Skip to main content

Full text of "Rivista italiana di numismatica e scienze affini"

See other formats


m 


wm. 


wmu 


ìifA 


ikmi 


j't/' 


IIM 


Ài 


E 


T- 


li 


s 


RIVISTA  ITALIANA 


DI 


NUMISMATICA 


RIVISTA   ITALIANA 


DI 


NUMISMATICA 

DIRETTA   DA 

FRANCESCO  ed  ERCOLE  GNECCHI 


E  DA  UN 

CONSIGLIO  DI  REDAZIONE 


Anno  Terzo  —  1890 


MILANO 

Lodovico  Felice  Cogliati,  Tipografo-Editore 

Via  Tantano,  N.  26 

1890^ 


PROPRIETÀ  LETTERARIA 


V.3 


Tip.  L.  F.  Cogliali.  -  Scz.  nel  Pio  Istituto  pei  Figli  della  Provvidenza. 


CONSIGLIO    DI    REDAZIONE 
pel    1890 

— ^^*- ~ 


GNECCHI  Cav.  Francesco    }   r..    ..    . 
GNECCHI  Cav.  Ercole         )  ^*^^^^^^*- 


AMBROSOLI  Dott.  Solone,  Conservatore  del  Eegio  Gabinetto  Nu- 
mismatico di  Brera. 

BRAMBILLA  Nob.  Comm.  Camillo. 

GAVAZZI  Cav.  Giuseppe. 

MARIOTTI  Cav.  Dott.  Giovanni,  Direttore  del  R.  Museo  di  Anti- 
chità di  Parma. 

MILANI  Cav.  Prof.  Luigi  Adriano,  Direttore  del  R.  Museo  Archeo- 
logico di  Firenze. 

MOTTA  Ing.  Emilio,  Bibliotecario  della  Trivulziana. 

PAPADOPOLI  Conte  Nicolò. 

ROSSI  Dott.  Umberto,  Conservatore  del  Museo  Nazionale  di  Firenze. 

SALINAS  Comm.  Prof.  Antonino,  Direttore  del  Museo  Nazionale 
di  Palermo. 

SANTONI  Can.»  Prof.  Milziade,  Direttore  della  Valentiniana  di 
Camerino. 

VISCONTI  March.  Carlo  Ermes,  Conservatore  del  Museo  Artistico 
Municipale  di  Milano. 

Luppi  Cav.  Prof.  Costantino,  Segretario. 


#•  ^ 


AI  LETTORI 


Non   fu  certo  per   nostra    elezione 
che  abbiamo  assunto  la  Direzione  della 
Rivista;    7na    seìnplicemente   perchè , 
avendo  deciso  di  ritirarsi  da  tale  ufficio 
il  nostro  buon  aìnico  e  collega  Dottor  Solone 
Ambrosoli,  ne  seguiva  coìne  naturale   conse- 
guenza che  qualcuno  lo  dovesse  sostituire, 

#Vuoi  la  sorte,  vuoi  la  necessità  delle  cose, 
fatto  sta  che  tal  peso  venne  a  cadere  sidle 
nostre  spalle;  e,  date  le  circostanze,  non  ab- 
biamo creduto  conveniente  da  parte  nostra  il  rifiutarlo. 
Fata  sequimur.  Tale  sostituzione  del  resto,  ci  afffrettiamo 
a  dichiararlo,  non  porterà  alcun  cambiamento  nella  Ri- 
vista ,  se   non   fosse   quello    che,    restando   fnaggior    tempo 


-^  AI   LETTORI 


disponibile  all' ex-direttore ,  questi  ne  diventerà  un  più 
attivo  collaboratore,  del  che  certo  non  avranno  a  lagnarsi 
%  nostri  Associati,  Nulla  viene  cambiato  nella  forìna  esterna, 
nulla  nell'organizzazione  interna  della  Ei vista ,  la  quale, 
pure  essendo  materialmente  in  mani  private ,  è  però  già, 
quanto  al  sistema  di  redazione,  organizzata  in  modo  da 
poter  passare  tale  e  quale  sotto  la  direzione  di  una  So- 
cietà Numismatica,  appena  questa  sia  fondata  e  posta  in 
grado  di  assumerla;  ciò  che  non  solo  abbiamo  in  animo 
e  desideriamo  da  lungo  tempo,  ma  facciamo  ogni  sforzo 
perchè  sia  al  piti  presto  realizzato.  La  posizione  attuale  va 
dunque  considerata  come  un  periodo  di  transizione,  come 
un  seìnplice  interim. 

La  Rivista  ci  viene  consegnata  in  ottime  condizioni, 
dopo  due  anni  di  onorata  esistenza  ;  il  che,  se  evidentemente 
è  un  bene^  è  però  anche  nello  stesso  tempo  un  aggravio  di 
responsabilità  per  chi  deve  incaricarsi  della  continuazione, 
Noblesse  oblige.  Ba  parte  nostra  siamo  disposti  a  mettervi 
tutto  il  buon  volere  ;  ma  il  buon  voler  nostro  non  potrebbe 
essere  che  ben  poca  cosa  per  la  felice  riuscita  di  un  lavoro 
di  sua  natura  collettivo  e  complesso,  senza  la  cooperazione 
tanto  dei  vecchi  coìne  dei  nuovi  collaboratori.  Nutriamo  per- 
tanto fiducia  e  anzi  abbiamo  fondamento  di  ritenere  che 
i  vecchi  non  ci  abbandoneranno  e  che  nuovi  nomi  verranno 
ad  aumentare  e  completare  la  schiera  degli  scienziati^  stu- 
diosi ed  amatori  italiani,  portando  alla  Rivista  nuovo  e 
prezioso  contributo  di  investigazioni  e  di  studii. 

Senza  menomamente  escludere  quanto  ci  potesse  venire 
da  altri  paesi,  e  accogliendolo  anzi  di  buon  grado,  come  si 


AI  LETTORI  1[ 


fece  finora,  noi  facciamo  un  caldo  e  speciale  appello  a  tutti 
i  nostri  confratelli  sparsi  sull'Italico  suolo  dalVAlpi  alla 
Trinacria,  dichiarando  che  tutti  senza  distinzione  saranno 
i  ben  venuti  in  questa  Rivista,  il  cui  ideale  è  sopratutto  di 
divenire  veramente  Italiana. 

Per  meglio  raggiungere  questo  vagheggiato  ideale  ci 
proponiamo  di  riprodurre  in  essa  anche  i  migliori  opuscoli 
apparsi  qua  e  là  in  questi  ultimi  due  anni,  o  staccati  o 
per  cosi  dire  dispersi  in  periodici  di  indole  non  numisma- 
tica, e  che  quindi  sarebbero  destinati  ad  andare  perduti  o 
a  divenire  irreperibili,  come  avvenne  già  di  tanti  altri  an- 
teriormente pubblicati.  Della  riproduzione  di  una  buona 
parte  abbiamo  già  ottenuto  V autorizzazione  dai  rispettivi 
autori  (1)  e  non  dubitiamo  d'  averla  anche  per  i  rimanenti. 

Riassumendo  il  prodotto  degli  studii  numismatici  fatti 
nelle  diverse  regioni  d'Italia,  la  nostra  Rivista  diverrà  un 
nuovo  legarne  fra  gli  studiosi  di  questa  scienza,  la  quale,  se 
non  ha  l'importanza  e  la  pratica  utilità  di  altre  piic  vive  e 
pili  palpitanti,  deve  però  tenere  il  suo  posto  onorifico  in  un 
paese  civile  ed  essere  nuovo  centro  d'irradiazione  a  sus- 
sidio delle  storiche  discipline. 

Solamente  quando  questo  ideale  sarà  raggiunto,  quando 


(1)  Incominciamo  anzi  la  serio  di  tali  pubblicazioni  in  questo  stesso 
primo  fascicolo  coi  duo  ultimi  opuscoli  del  compianto  comm.  Vincenzo 
Promis  :  I.*'  Moneta  inedita  di  Pietro  I  di  Savoia  e  pochi  cenni  sulla  zecca 
primitiva  dei  Principi  Sabaudi  y  e  II.*'  Monete  di  Giov.  Battista  Falletti 
conte  di  Benevello,  e  con  due  memorie  del  Can.  Ab.  Bernardo  Morsolin: 
Lodovico  Chiericati  e  Girolamo  Gualdo. 


12 


*-  AI  LETTORI 


tutte  saranno  vinte  le  piccole  difficoltà,  le  piccole  diffi- 
denze, che  pur  troppo  poco  o  molto  esistono  ancora  fra  di 
noi,  triste  retaggio  dei  tempi  passati  e  lontano  ricordo 
delle  antiche  divisioni  ;  quando  tutte  le  pubblicazioni  d'in- 
dole numismatica  affluiranno  direttaìnente  alla  Rivista  come 
alla  loro  sede  naturale,  solamente  allora  si  potranno  dire 
gettate  le  basi  di  una  vera  Società  Numismatica  Italiana, 
di  cui   la  Rivista  sarà  l* organo  e  V espressione. 


Francesco  ed  Ercole  Ónecchi. 


-*^ 


FASCICOLO  I, 


APPUNTI 


DI 


NUMISMATICA  ROMANA 


vili. 

ANTONINIANO  DI  ZENOBIA. 


^  —  S,  Z6N0BIA  ÀVG-  • 

Busto  diademato  a  destra  contornato  da  una  mezzaluna. 

^  —  IVNO   REGINA  • 

Giunone  di  fronte,  rivolta  a  sinistra  con  una  patera  e 
un  lungo  scettro.  Ai  suoi  piedi  il  pavone.  Nel  campo 
a  sinistra  una  stella. 

È  questo  l' Antoniniano  di  Zenobia,  di  cui  il 
sig.  A.  Markl  annunciava  la  prossima  pubblicazione 
nel  suo  ultimo  articolo  Serdica  o  Antiochia?  0-).  Già  da 
qualche  tempo  esso  era  entrato  a  formar  parte  della 
mia  collezione;  ma  aspettava  appunto  l'apparizione 
di  quell'articolo  per  comparire  alla  luce  del  giorno. 


(1)  Rivista  Italiana  di  Numismatica.  Anno  II,  Fase.  lY,  Nota  2  a 
pag.  558, 


16  FRANCESCO  GNECCHI 


Essendo  V  unico  Antoniniano  oggi  esistente  di 
Zenobia  (l),  il  cui  nome  non  figura  nella  sevie  mone- 
taria romana  che  pei  bronzi  battuti  in  Egitto,  e, 
trattandosi  perciò  di  moneta  molto  importante  anche 
a  chiarire  qualche  punto  storico  ancora  oscuro  e 
controverso  relativamente  ai  Principi  di  Palmira , 
desideravo  fissarmi  bene  sulla  sua  origine ,  ossia 
sulla  zecca  a  cui  attribuirla....  e  mi  avvidi  che  la 
questione  non  era  tanto  semplice  né  facile  a  risol- 
versi. —  Interpellai  quelli  fra  i  colleghi  che  so  spe- 
cialisti in  tal  genere  di  studii  e  fra  questi  citerò 
principalmente  i  signori  Teodoro  Rhode  e  Andrea 
Markl.  Ambedue  mi  risposero  ritenere  che  l'Antoni- 
niano  di  Zenobia  doveva  essere  stato  coniato  nella 
zecca  ove  si  coniavano  le  monete  di  Vaballato,  e 
questo  sembrava  molto  naturale  anche  a  me,  piut- 
tosto però  per  probabilità  storica  che  non  per  vera 
analogia  di  fabbrica  ;  giacché  non  potrei  asserire  di 


(1)  Cohen  pubblica,  riportandolo  da  Tanìni  come  esistente  nel  fu 
Moseo  Gradenigo,  ma  prestandovi  poca  fede,  il  seguente  Antoniniano: 

D.  —  ZENOBIA   AYG  . 

Testa  a  destra  circondata  dalla  mezzaluna. 

K.   —   PIETAS   AVGG  . 

La  Pietà  seduta  a  sinistra  stendente  la  mano  a  un   fanciullo  o  ap- 
poggiata a  un'asta. 

Anche  altri  autori  posteriori  al  Cohen,  citarono  questa  moneta  come 
sospetta.  —  Quanto  a  me,  quantunque  sia  ignoto  ove  attualmente  si  trovi, 
0  se  ancora  esista,  e  malgrado  qualche  probabile  errore  di  grafia  (la  leg- 
genda del  dritto  doveva  probabilmente  essere  :  s.  zenoiìia  avg.,  e  quella  del 
rovescio  forse  :  pietas  avo.)  non  vedo  alcun  motivo  per  non  ammetterla. 
L'esistenza  poi  del  mio  esemplare  mi  conferma  sempre  più  nella  per- 
suasione che  anche  quello  del  Museo  Gradenigo  abbia  realmente  esistito, 
0  fosse  genuino. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  17 

trovare  fra  rAntoniniano  di  Zenobia  e  gli  Antoni- 
niani  di  Vaballato  quella  identità  di  tipo  che  fa  dire 
senz'altro:  ambedue  devono  necessariamente  essere  il 
prodotto  della  medesima  zecca.  Tale  giudizio  poi  nel 
nostro  caso  è  reso  assai  difficile  dall'essere  unico  uno 
dei  termini  di  confronto  e  scarsissimi  gli  esemplari 
dell'altro.  Ma  ammettiamo  pure  che  le  monete,  tanto 
di  Zenobia  che  di  Vaballato,  siano  state  coniate  nella 
medesima  zecca;  le  discrepanze  incominciano  quando 
si  tratta  di  definire  il  luogo  ove  quella  zecca  esisteva. 
Il  sig.  Rhode  l'attribuisce  a  Tripoli  nella  Fenicia  (l),  il 
sig.  Markl  invece  ad  Antiochia  di  Siria  ;  né  occorre 
accennare  che  altri  vorrebbe  attribuirla  a  Serdica  ^2). 
Ecco  dunque  perchè,  prima  di  pronunciarmi  in  mezzo 
a  tanta  indecisione,  volli  aspettare  l'apparizione  del- 
l' articolo  Serdica  o  Antiochia  ?^  che  1'  autore  stesso 
mi  aveva  annunciato  come  specialmente  dedicato  alla 
soluzione  di  tale  problema.  E  questo  completamente 
risolto  ?  Potremo  noi  attribuire  l' Antoniniano  di 
Zenobia  alla  zecca  d'Antiochia  con  tutta  sicurezza 
e  con  nessuna  restrizione?  Senza  ripetere  qui  i 
ragionamenti  e  le  prove  acutamente  addotte  nel 
citato  articolo  dal  signor  Markl  in  appoggio  di 
questa  attribuzione,  e  senza  invadere  il  campo  emi- 
nentemente tedesco  di  tali  sottili  investigazioni  , 
mi  limiterò  a  dire  che,  quanto  a  me,  parmi  che 
le  maggiori  probabilità  pendano  dalla  parte  del  Markl, 
e  che    quindi    possiamo    accettare    la    sua    attribu- 


(1)  Theodor  Rhode.  Die  Miinzen  des  Kaiser  Aurelianus,  seiner  Frau 
Severina  und  der  Fursien  von  Palmyra.  Pag.  400-401. 

(2)  E.  Lépaulle.  La  Mannaie  romaine  à  la  fin  du  haut  empire.  — 
Revm  Numismatiquey  1888-89. 


18  FRANCESCO  GNECCHI 


zione ,  come  quella  che  oggi  resta  provata  meglio 
di  ogni  altra,  e  meglio  si  concilia  anche  colle  no- 
tizie storiche  che  ci  sono  pervenute  per  altre  vie  che 
per  la  numismatica.  —  Se  non  accetto  la  cosa  col- 
Tentusiasmo  del  credente  e  con  fede  incrollabile , 
gli  è  che  qualche  riserva  mi  pare  conveniente  farla 
sui  risultati  dello  stretto  ragionamento  critico,  quando 
questo,  appoggiandosi  a  monumenti  per  sé  stessi 
molto  imperfetti ,  è  applicato  ad  avvenimenti  così 
lontani  che  vanno  a  perdersi  nella  caligine  dei  tempi 
e  in  mezzo  a  circostanze  pochissimo  conosciute  e 
talora  anche  completamente  ignote. 

E  del  resto,  sia  pure  Antiochia ,  che  per  ora 
ammetteremo  ,  o  Tripoli  o  Serdica  o  forse  Palmira 
od  altra  ancora  la  patria  delF  Antoniniano  in  di- 
scorso, resta  acquisito  il  fatto  della  sua  esistenza , 
che  prima  non  si  conosceva  se  non  molto  dubita- 
tivamente ,  e  questo  è  quanto  formava  l' oggetto 
precipuo  della   presente  memoria. 

Quantunque  molto  sia  già  stato  scritto  a  pro- 
posito della  famiglia  d' Odenato  e  dei  Principi  di 
Palmira ,  non  sarà  fuori  del  caso  ripetere  qualche 
cenno  storico  relativamente  alla  regina  Zenobia,  onde 
poter  stabilire  la  data  dell' Antoniniano  descritto. 

Settimia  Zenobia  fu  la  seconda  moglie  d'Ode- 
nato,  re  di  Palmira,  a  cui  GaUieno  nel  264  d.  C. 
aveva  accordato  il  titolo  d'  Auffusfo  in  ricompensa 
delle  sue  gesta  vittoriose  contro  i  Persiani.  Il  suo 
nome  non  figura  nella  serie  numismatica  Romana  W, 


(1)  Autori  degni  di  poca  fodo,  quali  Occo  e  Mezzabarba  diedero  come 
d'altri  tiranni  assolutamente  ignoti,  anche  alcuni  bronzi  alessandrini  di  Ode- 
nato.  Se  si  dove  giudicare  dagli  esemplari  apparsi  in  qualche  pubblica  ven- 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  19 

Morto  Odenato  nel  266,  Zenobia ,  ritenendo 
sempre  per  sé  il  titolo  à' Augusta,  legittimamente  o 
arbitrariamente  ereditato  dal  marito ,  si  divise  il 
regno,  secondo  alcuni,  coi  figli  Timolao  e  Erenniano, 
secondo  altri  con  Vaballato,  il  quale  è  ancora  molto 
discusso  se  fosse  figlio  di  Zenobia  oppure  della  prima 
moglie  d'  Odenato,  ne  noi  entreremo  nell'intricatis- 
sima e  forse  inestricabile  questione,  la  quale  del  resto 
poco  importa  al  caso  nostro.  Fatto  sta  però  che  di 
Vaballato  ci  rimasero  monete,  mentre  nessuna  se  ne 
conosce  degli  altri  due.  Zenobia  per  parecchi  anni 
governò  l'Oriente  dalla  sua  capitale  Palmira,  lasciata 
in  pace  da  Claudio  Gotico  già  abbastanza  occupato 
in  Occidente,  finché  Aureliano ,  impegnato  nella 
guerra  contro  i  Goti,  inseguendoli  per  scacciarli  dal- 
l'Asia Minore,  si  spinse  colle  sue  armi  fino  ad  An- 
tiochia. L' intrepida  regina  gli  mosse  incontro  da 
Palmira ,  sostenne  una  guerra  lunga  e  gloriosa  ;  in 
cui  più  volte  ebbe  il  sopravvento  ;  ma  poi  dovette 
soccombere,  vedere  Palmira  distrutta  e  seguire  pri- 
gioniera a  Roma  il  carro  del  trionfatore. 


dita  0  in  commercio,  bisogna  dira  si  tratti  di  monete  di  Claudio  Gotico  a  cui 
fn  rifatta  la  leggenda.  —  Un  mio  amico  competentissimo  e  autorevolissimo, 
da  me  interpellato  sull'argomento,  mi  scriveva  alcuni  anni  sono  :  «  Je  puis 
«  vous  assurer  qu'il  est  de  tonte  impossibilitò  que  co  souvorain  ait  jamais  pu 
«  frapper  en  Egypte  sous  Gallien.  On  pourrait  admettre  dos  pìèces  d'An- 
«  tioche,  méme  de  Palmyra,  mais  en  Egypto  Gallien  ne  l'aurait  jamais 
«  admis.  »  Credo  anch'io  alla  maggioro  probabilità  per  le  zecche  d'Oriente  ; 
ma  non  mi  sembra  però  che  a  priori  si  debba  escludere  la  possibilità  di 
monete  battute  anche  in  Egitto.  Gallieno,  avendo  accordato  a  Odenato 
il  titolo  d'Augusto,  non  gli  avrebbe  forse  potuto  accordare  anche  il  diritto 
di  batter  moneta?  E  non  si  potrebbe  anche  supporre  che  Odenato  avesse 
creduto  di  poter  far  senza  di  tale  permesso?  Il  caso  non  sarebbe  nuovo. 


20  FRANCESCO   GNECCHI 


Questo  avveniva  nel  273.  —  L'  Antoniniano  di 
Zenobia  dunque  deve  essere  stato  battuto  tra  il  266 
e  il  272  d.  C,  e  mi  parrebbe  difficile  stabilirne  la 
data  più  precisamente. 

Quanto  alla  provenienza,  esso  era  compreso  in 
un  ricco  ripostiglio  di  monete  romane  dei  bassi 
tempi  trovato  due  anni  sono  vicino  a  Tautha  in 
Egitto.  Il  ripostiglio  (una  piccola  parte  del  quale 
fu  già  da  me  descritta)  W  constava  di  circa  5000 
monete  tutte  di  buona  conservazione  e  appartenenti 
agli  imperatori  Gallieno,  Claudio  Gotico,  Aureliano, 
Aureliano  e  Atenodoro,  Aureliano  e  Vaballato,  Ta- 
cito, Floriano,  Probo,  Caro,  Carino,  Magna  Urbica, 
Numeriano,  Diocleziano ,  Massimiano  Erculeo ,  Co- 
stanzo Cloro  e  Calerlo  Massimiano.  Ora  Galerio  Mas- 
simiano avendo  regnato  dal  305  al  311,  il  tesoro  non 
potè  essere  nascosto  prima  di  quest'epoca,  ossia  circa 
40  dopo  che  V  Antoniniano  di  Zenobia  era  stato 
coniato. 

Fra  le  5000  monete  del  ripostiglio  V  esemplare 
di  Zenobia  era  unico. 


(1)  Ora  solamente  vengo  informato  dal  Sig.  A.  Parazzoli  del  Cairo,  da 
cui  ebbi  a  mezzo  del  Sig.  Gaetano  Vigano  di  Desio  l'Antoniniano  di  Ze- 
nobia, che  a  questo  medesimo  ripostiglio  appartenevano  le  monete  da  me 
descritte  al  N.  II  di  questi  stessi  Appunti^  sotto  il  titolo  di:  Ripostiglio 
di  Monete  Romane  in  Egitto,  Vedi  Rivista  Italiana .  di  Num.  Anno  I, 
fase.  II,  pag.  151. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  21 


IX. 

I  CONTRASSEGNI  SULLE  MONETE  DELLA  REPUBBLICA 
E   DEL   PRINCIPIO   DELL'IMPERO 


Le  impronte  applicate  per  mezzo  di  un  punzone 
alle  monete  antiche  in  epoca  posteriore  alla  loro 
coniazione  sono  designate  col  nome  generico  di  Con- 
tromarche. Ma  queste  si  possono  dividere  in  due  cate- 
gorie ben  distinte  ;  quelle  formate  da  lettere,  il  più 
delle  volte  legate  fra  loro  in  nesso  e  indicanti  in 
abbreviazione  un  dato  nome  o  una  data  parola,  op- 
pure da  numeri  indicanti  un  valore  —  e  sono  le  vere 
contromarche;  —  e  quelle  formate  da  semplici  segni 
convenzionali,  senza  un  significato  precisato  e  deter- 
minabile. Ora,  siccome,  al  dire  di  Manzoni,  le  parole 
sono  il  manico  delle  idee,  ad  esprimere  due  cose  di- 
verse, a  distinguere  cioè  le  due  accennate  categorie  e 
ad  evitare  confusione,  sarà  bene  adoperare  due  diverse 
parole,  lasciando  il  nome  di  Contromarche  alle  prime, 
e  chiamando  Contrassegni  i  secondi,  parole  che  val- 
gono anche  a  rendere  più  precisamente  le  idee  che 
si  vogliono  esprimere. 

Le  Contromarche,  come  più  evidenti  e  più  facil- 
mente spiegabili  o  interpretabili,  perchè  contenenti 
in  sé  stesse  la  chiave  dell'interpretazione,  e  del  resto 
poco  numerose,  attirarono  già  da  tempo  l'attenzione 
del  numismatico,  furono  da  molti  studiate  e  in  gran 


22  FRANCESCO  GNECCHI 


parte  più  o  meno  felicemente  spiegate  ;  rimanendo 
cosi  oramai  chiarito  che  in  generale  servirono  a  in- 
dicare la  riammissione  ufficiale  ^(1  corso  legale  di  mo- 
nete (per  lo  più  di  bronzo),  le  quali  per  quanto  logore 
non  avevano  perduto  il  voluto  peso. 

I  Contrassegni  invece,  immensamente  più  nume- 
rosi nelle  loro  varietà,  ma  assai  meno  visibili  per  la 
loro  piccolezza,  si  trovano  quasi  unicamente  sulle 
monete  d'oro  e  d'argento  ;  e,  non  avendo  un  signi- 
ficato diremo  implicito ,  come  sfuggono  alla  descri- 
zione, —  talché  non  e'  è  altro  mezzo  di  esprimerle 
che  la  riproduzione  col  disegno,  —  sfuggirono  pari- 
menti per  lungo  tempo  allo  studio  non  solo,  ma  anche 
air  osservazione  dei  numismatici.  Dirò  anzi  che  al- 
lorché incominciai  a  osservarli  e  prenderne  nota,  io 
credeva  che  l'argomento  fosse  completamente  ver- 
gine; ma,  frugando  poi  nelle  riviste  e  negli  opuscoli 
recenti,  trovai  che  qualche  cosa  fu  già  scritto  in  pro- 
posito, il  che  mi  corre  obbligo  d'accennare. 

Prima  di  tutti  il  sig.  M.  Bahrfeldt  pubblicò  un 
articoletto  (i),  dando  un  elenco  delle  Lettere  e  di 
alcuni  Segni  impressi  su  denari  repubblicani. 

Arturo  Engel  poi  in  un  suo  articolo  (2)  diede  la 
descrizione  e  il  disegno  di  16  di  tali  Segni  stampati  su 
denari  della  Repubblica  e  d'Augusto,  senza  però  en- 
trare neppure  superficialmente  nella  materia;  e  un 
seguito  a  questo  lo  diede  E.  Taillebois  (3). 


(1)  Vé)er  Einsteìnpeìungen  auf  Silhenniimm  der  roinischen  Repuhìik 
—  ZeU9chrift  far  Numisntatiky  1881. 

(2)  Note  sur  quelqués  contretitarques  antiques  et  sur  certaines  sittgu- 
lùn'tes  numitmatiques.  —  Reme  Numisinatiqtie.  1887. 

(3)  Contromarq*te8  antiques,  pour  faire  suite  à  Vétude  de  M.  A.  Engel. 
^  Reme  yurnisinatique,  1888. 


APPUNTI   DI  NUMISMATICA   ROMANA  23 

Ma  lo  scritto  più  importante  è  quello  del  pro- 
fessor L.  A.  Milani  :  Di  alcuni  ripostigli  di  Monete 
Romane,  pubblicato  nel  Museo  d'Antichità  classica  del 
Comparetti,  Voi.  II,  Punt.  I,  anno  1886,  in  cui  l'Autore, 
descrivendo  il  Ripostiglio  di  Roma,  dà  l'accurata  de- 
scrizione di  tutti  i  Contrassegni  che  vi  si  trovavano, 
corredandoli  di  acute  osservazioni.  Queste  però  sono 
naturalmente  limitate  alle  sole  monete  di  quel  ripo- 
stiglio, le  quali,  forse  per  ragioni  speciali  a  noi  ignote, 
sono  lontane  dal- dare  un'idea  della  generalità. 

Babelon  nella  sua  Descrizione  delle  monete  della 
Repubblica  romana,  accenna  alla  nota  contromarca 
di  Vespasiano  che  si  trova  su  alcuni  denari,  ma  non 
si  occupa  punto  dei  Contrassegni;  i  quali  invece  parmi 
possano  meritare  qualche  attenzione,  sia  per  quelle 
deduzioni  generali  che  per  ora  dobbiamo  limitarci  a 
fare,  sia  perchè  potrebbe  anche  darsi  che  una  volta 
studiati,  quei  segni  avessero  ad  uscire  dal  misterioso 
mutismo  che  li  avvolge  e  parlare  un  linguaggio,  in- 
segnando qualche  cosa  a  profitto  della  numismatica. 

Ma  qualsiasi  argomento  per  essere  studiato  ha 
bisogno  prima  di  tutto  d'essere  conosciuto  e  cono- 
sciuto nella  più  larga  scala  possibile;  ed  è  appunto 
con  tale  intendimento  che  nelle  due  annesse  tavole 
ho  disegnato  il  più  accuratamente  che  mi  fu  possi- 
bile e  in  proporzioni  un  poco  maggiori  del  vero  circa 
600  Contrassegni  o  gruppi  di  Contrassegni  esistenti 
su  altrettante  faccio  di  monete  della  repubblica  ro- 
mana o  del  principio  dell'impero.  Le  monete  esami- 
nate sono  per  la  più  parte  contenute  nella  mia  col- 
lezione e  in  quella  massa  di  duplicati  che  formano  il 
necessario  contorno  di  una  collezione  viva ,  (fra 
i  quali  anzi,  come  i  meno  conservati,  trovai  la  messe 


24  FRANCESCO  GNECCHI 


più  copiosa  di  Contrassegni),  e  nella  serie  consolare 
del   R.  Gabinetto  di  Brera  (l).  Come  necessario  cor- 
redo al  disegno  dò  nel  prospetto  che  segue  l'indica- 
zione di  quegli  elementi  che  vi  possono   servire  di 
schiarimento,  ossia:  la  identificazione  della  moneta  su 
cui  il  Contrassegno  si  trova,  mediante  riferimento  ai 
numeri  di  Babelon  per  quelle  della  Repubblica  e  di 
Cohen  per  le  imperiali,  V  indicazione  della  famiglia 
a  cui  la  moneta  appartiene,  nonché  il  nome  del  mo- 
netario che  la  fece  coniare  e  la  relativa  data,  e  final- 
mente se  il  Contrassegno  si  trova  sul  dritto  o  sul  ro- 
vescio della  moneta.  Due  altri  elementi,  il  peso  e  la 
conservazione,  che  forse  a  taluno  potrebbero  sembrare 
interessanti,   io   ho  ommesso,   ed  eccone  le   ragioni. 
È    indubitato  o  almeno    più   che   probabile,    che    il 
peso    dov(ìtte    avere    la  sua    influenza   al   momento 
che  il  Contrassegno  venne   stampato  sulla    moneta, 
anzi  con   tutta  probabilità  ne  fu  la  causa  determi- 
nante ,  come  lo  fu  di  tutte  le  contromarche  in  genere. 
Ma,  se  ci  è  facile  avere  il  peso  attuale  della  moneta, 
non  ci  è  assolutamente  possibile  aver  quello  che  essa 
aveva  al  momento  in  cui  il  Contrassegno  vi  venne 
impresso,  il  quale  peso  sarebbe  il  solo  interessante. 
Dacché    noi  ignoriamo  quale   circolazione  e  quindi 
quale  diminuzione  di  peso  abbia  subito  la  moneta 
dopo  d'esser  stata  contrassegnata,  il  peso  attuale  delle 
monete  viene  ad  essere  per  noi  un  elemento  affatto 
inconcludente  ;  e  il   medesimo   ragionamento    valga 
anche  per  la  conservazione.  Perciò  ho  omesso  Tuna 
cosa  e  l'altra,  e  mi  limiterò  a  fare  qualche  accenno 


(1)  Appartengono  alla  mia  Colleziono  le  monete  portanti  i  481  Contrassegni 
disegnati  da  A-1  a  M-26,  e  a  qaolla  di  Brera  gli  altri  117  da  0-14  alla  fino. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  25 

generale  intorno  a  questi  due  coefficienti  del  peso 
e  della  conservazione.  Pesato  un  centinaio  di  de- 
nari, contrassegnati,  ottenni  una  media  di  gr.  3,5150, 
ciò  che  vuol  dire  che  l'uno  per  l'altro  conservano 
ancora  un  peso  superiore  a  quello  neroniano  di 
gr.  3,41.  Il  peso  minimo,  ossia  di  circa  tre  grammi, 
e  quindi  inferiore  a  quello  legale,  lo  trovai  fra  alcuni 
denari  sconservatissimi  delle  Legioni  di  M.  Antonio  ; 
e  qui  appunto  è  probabile  si  sia  verificato  il  caso 
accennato  d'una  diminuzione  di  peso  per  peggiorata 
conservazione ,  posteriore  al  Contrassegno.  Questo 
prova  di  quanto  poco  interesse  sarebbero  il  peso 
e  il  grado  di  conservazione  attuale  delle  monete 
nel  caso  nostro,  ben  diverso  di  quello  d'un  ritro- 
vamento ,  ove  questi  elementi  possono  essere  sotto 
altri  rapporti  importantissimi. 

Noterò  ancora  come  i  denari  trovati  calanti 
portino  i  Contrassegni  più  svariati  e  tanto  dissimili 
fra  loro  quanto  lo  sono  da  tutti  gli  altri.  Il  che 
escluderebbe  l' ipotesi  che  dei  Contrassegni  alcuni 
fossero  destinati  a  indicare  un  peso  abbondante,  altri 
un  peso  deficiente.  E  del  resto  non  crederei  che  in 
nessun  caso  un  Contrassegno  potesse  esser  fatto  per 
indicare  una  moneta  calante.  0  era  lo  Stato  che  ve  lo 
imprimeva,  —  ciò  che  non  credo,  come  vedremo  in 
seguito,  —  e  allora  le  monete  calanti  sarebbero  state 
ritirate  e  riconiate;  o  ve  lo  imprimevano  i  particolari, 
come  mi  pare  sia  veramente  avvenuto,  e  in  tal  caso, 
se  me  lo  spiego  assai  bene  per  le  monete  crescenti, 
non  me  lo  spiego  in  alcun  modo  per  le  calanti.  Non 
posso  ammettere  che  i  banchieri  di  Roma  antica 
fossero  molto  diversi  da  quelli  pdierni,  i  quali  si  guar- 
derebbero bene  dal  contrassegnare  un  valore  calante... 


FRANCESCO  GNECCHI 


H  Prof.  Milani  —  e  qui  mi  spiace  di  non  tro- 
varmi d'accordo  con  chi  naturalmente  considero 
quale  maestro,  —  è  invece  dell'opinione  che  il  Con- 
trassegno comcchè  privato  e  segreto  abbia  potuto 
adoperarsi  nei  due  casi ,  ossia  tanto  per  le  monete 
crescenti  come  per  le  calanti,  e  anzi  trae  la  prova 
di  tale  principio  dall'arguta  osservazione  dei  Con- 
trassegni sulle  monete  del  ripostiglio  di  Roma. 

Ecco  le  sue  parole  «  Considerando  nel  nostro 
«  elenco  i  marchi  simbolici  più  comuni  in  rapporto 
u  coi  rispettivi  pesi  ,  par  quasi  di  sorprendere  il 
u  significato  intrinseco  dei  medesimi  ;  imperocché 
u  si  osserva  che  al  segno  unico  del  cimeo  corrisponde 
u  regolarmente  con  due  leggere  eccezioni ,  un  peso 
a  inferiore  al  piede  normale  neroniano  (gr.  3,41)  ; 
u  mentre  alle  lunule  non  accompagnate  dal  cuneo  , 
a  corrisponde  regolarmente  ,  senza  eccezione  ,  un 
a  peso  superiore  a  quello  legale.  La  lunula  crescente 
u  è  una  delle  contromarche  più  antiche,  e  si  mostra 
tt  tanto  appropriata  a  indicare  di  sua  natura  un 
tt  peso  crescente^  quanto  il  cuneo  a  indicare  un  peso 
a  decrescente^  ossia  calante.  Le  tre  monete  contro- 
a  marcate  con  i  due  cunei,  del  peso  di  gr.  3,55-3,38- 
tt  3,50  non  farebbero  eccezione,  potendosi  spiegare  la 
a  duplicazione  del  cuneo  come  un  segno  di  corre - 
a  zione  in  una  ulteriore  verifica  «.  (Op.  cit.,  pag.  63). 

In  una  lettera  recentissima  poi,  in  cui  gentil- 
mente mi  comunicava  alcune  sue  osservazioni,  di 
cui  feci  tesoro,  sull'argomento,  lo  stesso  prof  Milani, 
confermandomi  l'opinione  sua  sul  duplice  scopo  del 
Contrassegno,  mi  scriveva  :  u  Nella  fluttuazione  mo- 
li netaria  dell'  argento,  quante  volte  i  banchieri,  che 
tt  avevano  già  riscontrato  e  pesato  un  pezzo  calante 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA.  ROMANA  27 

u  si  sarebbero  trovati  a  ripesarlo,  ove  con  un  segno 
u  convenzionale  non  l' avessero  precedentemente  e 
u  forse  individualmente  classificato  ?  ?? 

Dal  canto  mio  non  posso  a  meno  di  opporre 
a  tale  ragionamento  due  osservazioni.  Prima  di 
tutto  mi  parrebbe  che  la  moltiplicità  dei  Contras- 
segni adibiti  a  due  scopi  opposti  avrebbe  dovuto  in- 
generare tanta  confusione,  da  sconsigliarne  addirit- 
tura l'uso.  In  secondo  luogo  poi,  se  davvero  il  cuneo 
voleva  significare  peso  calante  e  la  hmida  peso  cre- 
scente, dove  se  ne  andava  il  segreto  che  solo  poteva 
giustificare  l'applicazione  del  Contrassegno  alle  mo- 
nete calanti  ?...  È  ben  vero  che  a  queste  osserva- 
zioni altre  se  ne  possono  contrapporre,  e  il  Prof.  Mi- 
lani risponde  alla  prima  che  i  Contrassegni  non  eran 
fatti  pel  comune  della  gente,  a  cui,  anzi  sfuggivano, 
come  sfuggirono  fin  qui  ai  numismatici,  e  come  anche 
al  pubblico  d'oggi  sfuggono  certe  piccole  sigle  poste 
sulle  nostre  monete,  come  p.  es.  bn  sulle  lire  emesse 
dalla  Banca  nazionale.  —  Alla  seconda  poi  rispose 
implicitamente  (op.  cit.  pag.  63),  osservando  come  per 
togliere  appunto  l'inevitabile  confusione,  lo  Stato  si 
trovasse  costretto  a  intervenire,  e  come  la  contro- 
marca IMP  •  VESP  •  corrisponda  precisamente  a  questo 
intervento.  —  Ma,  come  dissi  più  sopra,  noi  qui  non 
possiamo  che  aggirarci  nel  campo  molto  vago  e 
indeterminato  delle  supposizioni,  mancandoci  i  dati 
per  discorrere  della  cosa  con  fondamento.  Non  sarà 
però  stato  male  l'aver  espresso  i  varii  pareri,  fra  cui 
il  lettore  potrà  fare  la  sua  scelta. 

Ed  ora  ecco  le  Tavole  dei  Contrassegni  e  il  re- 
lativo elenco  : 


12      3      4      5       6      7      8      9      10     11    12    13 

A 
B 
G 
D 
E 
F 
G 
H 

I 
J 
K 
L 
M 
N 
O 
P 

Q 

R 

s 

T 
U 

V 

L 

r 

J 

V 

X 

> 

< 

-X 

0 

■\ 

o 

1 

r 

A 

B 

G 

D 

E 

F 

G 

H 

I 

J 

K 

L 

M 

N 

0 

P 

Q 

R 

S 

T 

U 

V 

z 

^ 

X 

f 

> 

*A<^ 

V 

2- 

e 

/ 

V» 

f 

*ì 

B 

• 

r; 

V 

/-^ 

CP 

-* 

».    . 

>^ 

*t 

r- 

T 

P 

i" 

p 

5 

^ 

p 

^ 

/ 

tì 

;o 

*  + 

OP 

7 

A- 

1 

•ri 

/ 

V 

Y 

,v 

r 
7^ 

ì 

7^ 

r 

A 

/ 

A 

«* 

- 

V 

j 

r 

v; 

^/ 

V' 

f 

Q 

o 

L 

/ 

^'i 

c 

:) 

")"? 

o 

o 

)' 

S 

:i 

y 

S 

3C 

;5. 

:> 

V 

<? 

< 

y 

b 
'h 

/ 

/ 
V 

O 

7 

V 

rrs 

/ 

e 

/ 

y^ 

o 

o 

o  e 

^ 

< 

• 
• 

i 

< 

*o 

t 

«  • 

O 

i 

) 

.•> 

• 
* 

J» 

Vr> 

\» 

V 

^ 

1 

r 

/v» 

»> 

C 

r 

-* 

( 

w 

T 

T 

/ 

./> 

X 

..-^ 

'n 

^ 

r 

-« 
♦^ 

Ck 

T 

y 

\ 

V'-^ 

^ 

-> 

^> 

^ 

t 

^ 

1. 

T 

/ 

Y 

4 

•> 

v-f^ 

•) 

) 

jf: 

t 

1 

r 

i 

• 

\ 

•J 

V 

r 

T 

*r 

-r' 

H 

0 

X 

- 

0^ 

X 

/ 

-j 

>< 

!^:: 

//* 

- 

D 

^ 

vA 

0 

^c 

^ 

"^ 

J 

V" 

C 

y 

• 

▲ 

r- 

€ 

s 

^/ 

T 

5 

0 

T- 

0 

^>^ 

K 
K 

$' 

5^ 

1') 

^/ 

^ 

^ 

r 

•a. 

U 

^ 

'> 

y 

* 

t 

e 

«  V 

i 

l 

• 

L- 

» 

^ 

„. 

vi 

O 

•V' 

A 

f 

r 

K 

4 

d 

T 

>^ 

ì 

^^' 

* 
• 

^ 

W 

P 

e 

0 

^/ 

.1 

V 

< 

A 

L 

>'' 

V-" 

^ 

a 

r 

/OA 

^'t 

^ 

1 

f\ 

K  f 

?^ 

aT 

S"-; 

r 

A 

5 

51 

L 

1      2      3      4      5      6      7      8     9     10     11    12    13 

14    15     16    17     18    19    20    21     22    23    24    25    26 

A 
B 
G 
D 
E 
F 
G 
H 
I 
J 
K 
L 
M 
N 
O 
P 
Q 
R 
S 
T 
U 
V 

z 

^ 

/ 

9 

5 

1 

; 

AA 

^.^ 

5  A 

.^i' 

> 

©- 

A 

B 

G 

D 

E 

F 

G 

H 

I 

J 

K 

L 

M 

N 

O 

P 

Q 

R 

s 

T 
U 
V 

z 

V 

c 

o 

^ 

e 

S^ 

Z^ 

C 

® 

V 

w 

n 

o 

A 

r-L 

t^ 

e 

(^ 

# 

3 

o'o 

- 

0 

• 

e. 

f' 

O 

.;- 

•^ 

f 

O 

• 

s 

R 

f 

t4 

) 

•^ 

/?- 

i\ 

i» 

r 

-^ 

^/ 

L 

i<-^ 

A- 

-^^ 

o 

1 

**; 

^ 
%» 

/ 

o 

X 

o 

s 

<«/ 

A 

V 

:r 

1 

4^ 

/a 

'\ 

•r-1 

/l 

V 

^ 

'.<> 

A 

^ 
c 

V 

•; 

e 

o 

X 

a 

H 

^ 

M 

l 

^-i 

■ 

\ 

i 

^ 

/ 

>  > 
> 

h 

>s 

A 

► 

r 

0 

ì\ 

v.> 

<> 

> 

k 

xt 

e 

i'» 

^^ 

6 

^ 

»• 

% 

H 

•.r 

0 

J- 

-l 

K 

4r 

r 

*\  1 

8 

1 

/ 

0 

r 

• 

f 

C 

+ 

<» 

o 

^ 

r. 

O 

• 

^ 

e 

T 

\ 

/'» 

r 

e 

& 

^ 

*> 

C^ 

J» 

1  o 

X 

»^ 

Y 

w 

i;- 

i/ 

-Vk 

c5^ 

:>.^ 

X 

r'- 

<> 

1 

u 

^. 

".f 

1*- 

> 

f- 

y 

e' 

A 

0^ 

V 

■*-, 

/-^ 

<^/ 

r 

> 

•«^v 

^ 

^ 

/} 

^<^ 

* 
/ 

V 

X? 

r 

^  ^ 

"T 

n 

t 

J 

U 

o 

o 

il 

A 

s 

^ 

<SC 

3 

\M 

V 

L 

? 

3 

V 

•  • 

n 

e 
5 

C 

j 

\ 

o^ 

O 

^ 

>\ 

A 

f^^ 

y' 

r 

■> 

/v 

CL 

<CL 

CL 

s 

O 

A 

« 

C 

OÒ 

^  o 

h 

-- 

P 

»<~ 

o 

r 

L 

^; 

> 

rj 

1 

> 

^ 

/ 

CL 
CL 
CL 

A 

o 

> 

/ 

-^ 

a 

e 

- 

X 

A 

rv 

r 

14    15     16    17    18    19    20    21    22    23    24    25    26 



80 


FRANCESCO  GNECCHI 


ELENCO 

DELLE    MONETE    CONTRASSEGNATE 


MONETE    DORO. 


Augusto. 

(44  a.  C.  14  d.  C). 
Cuh.    .        .        .        D.    C-4 


2. 


Augusto  e  Tiberio. 

(14  d.  C). 
Coh.  3       .       .       D.    Z-24 


MONETE   D'ARGENTO. 


Accoleia. 

P.   AOCOI.EIVS  LARISCOLVS. 

(43  a.  C). 
8.      Bab.  1.       .       .1),    L-25 
R.    L-26 

Acilia. 

MAN.  ACILIVS  GLABRIO. 

(54  a.  C). 

4.  B.  8     .  .      D.    S-17 

Aemilia. 

L.  AEMILIVS  BVCA. 

(44  a.  C). 

5.  B.  13   .  .  D.    V-17 

6.  »   13   .        .        ,        »    D-7 

7.  »   15   .        .        .        *    A-24 

8.  »   17   .  ,        »    A-9 

9.  »   18   .        .  »    A-9 

M.   AEMILIVS  LEPIDVS. 

(60  a.  C). 

10.  B.  20   .       .       .  D.  A-23 

11.  »  23   .               .  »  F-1 

12.  »   23   .               .  >  S-18 

(42  a.  C). 
18.    B.  27   .  .      D.    P-8 

14.  »   34   .  .       »    Z-5 

(Incasa)  B.    Z-6 

Afrania. 

SPVRIV8  AFRANIYS. 

(200  a.  C). 

15.  B.  1     .       .       .      D.    P.2 


Alliena. 

AVLVS  ALLIENVS. 

(47  a.  C). 

16.  B.  1     .       .        .      D.    C-5 

Annia. 

ANNIVS  LVSCVS. 

(87-82  a.  C). 

17.  B.  3     .        .        .      D.    A-11 

Antestia. 

L.  ANTESTIVS  GRAGVLVS. 

(124  a.  0.). 

18.  B.  9     .       .       .      D.      M9 

19.  »   9     .       .       .       »    M-16 

e.   ANTISTIVS  REGINVS. 
(18  a.  C). 

20.  B.  18  .       .       .      D.    D-5 

e.  ANTISTIVS  VETVS. 

(16  a.  C). 

21.  B.  24  .       .       .      D.   A-25 

Antonia. 

Q.  ANTONIVS  BALBVS. 

82  a.  C). 

22.  B.  1     .       .       .      D.    B-15 
»    E-8 


23.  »   1 

24.  »    1 
25. 


26. 


»    1 
»   1 


»  V-16 

*  N-12 

R.  N-13 

»  J-20 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA 


SI 


71. 

B.  114.        . 

.      R. 

A-11 

M.  ANTONIVS. 

72. 

»   114. 

.      D. 

F-2 

(43-31  a 

i.  C). 

73. 
74. 

»   115. 
>   116. 

N-7 
S-23 

27. 

B.  3     .        . 

.      D. 

N-16 

R. 

S-24 

28. 

»  3     . 

» 

A-26 

75. 

*   116. 

.      D. 

F-22 

29. 

»  3     . 

> 

V-18 

R. 

F-23 

30. 

:^    14    . 

» 

B-14 

76. 

»   117.        . 

.      D. 

N-8 

31. 

:^    28    . 

» 

0-19 

77. 

»   117.        . 

.      R. 

Z-2 

E. 

O-20 

78. 

»   118. 

.      D. 

B-18 

32. 

»   32   . 

.      D. 

P-16 

79. 

»   118. 

» 

A-7 

33. 

»   32   . 

» 

P-17 

80. 

»   118. 

» 

F-24 

34. 

»   41   . 

» 

M-21 

81. 

»   118. 

.       » 

N-21 

35. 

»   41    . 

» 

S-19 

82. 

»   119. 

» 

S-25 

36. 

*   42   .        . 

» 

E-9 

§3. 

)>   119. 

» 

M-3 

37. 

»   42   . 

* 

J-17 

84. 

=.   120.        . 

» 

N-9 

E. 

J-18 

R. 

N-10 

38. 

:.    42    . 

.      D. 

R-13 

85. 

»   120. 

.      D. 

M-4 

39. 

»   52   . 

» 

Q-15 

R. 

M-5 

40. 

»   75   . 

» 

T-8 

86. 

:^    121. 

.      D. 

N-17 

41. 

»   78   . 

.      R. 

S-9 

87. 

»   121. 

» 

1-20 

42. 

»   94  . 

.      D. 

T-9 

R. 

1-23 

43. 

»   95   . 

.      R. 

E-12 

88. 

:^   121. 

.      D. 

K-12 

44. 

»   95   . 

.      D. 

Z-3 

89. 

»   121. 

» 

P-3 

R. 

Z-4 

90. 

»   122. 

» 

1-16 

45. 

»  95  .        . 

.      D. 

Q-16 

91. 

y>    123. 

» 

S-26 

46. 

!>   95   . 

» 

Q-17 

92. 

»    123. 

.      R. 

A-9 

.    R. 

Q-18 

93. 

»   123. 

.      D. 

MI 

47. 

»   96  .        . 

.     D. 

E-11 

R. 

M-2 

48. 

:^    96   . 

» 

0-11 

94. 

^125. 

.      D. 

T-14 

R. 

0-12 

95. 

:^    125. 

» 

M-11 

49. 

»   102. 

.      D. 

F-6 

R. 

M-12 

50. 

»   103. 

» 

A-1 

96. 

»    125. 

.      D. 

M-6 

51. 

!►   105. 

» 

E-13 

97. 

»   125. 

» 

M-7 

52. 

»   105.        . 

.      R. 

L-7 

R. 

M-8 

53. 

>   105. 

.      D. 

L-8 

98. 

»   125. 

.      D. 

M-10 

R. 

L-9 

99. 

^   126. 

> 

1-22 

54. 

»   105. 

.      D. 

M-9 

100. 

:.    126. 

» 

F-25 

55. 

»   105. 

» 

R-17 

R. 

F-26 

56. 

»   106. 

» 

1-24 

101. 

»   126.        . 

.      D. 

T-15 

57. 

:^    106. 

» 

A-2 

102. 

»   127. 

.      R. 

B-16 

R. 

A-3 

103. 

>   127. 

.      D. 

A-9 

58. 

»   106. 

.      D. 

L-12 

R. 

A-10 

59. 

»   106. 

» 

S-20 

104. 

:.   127.       . 

» 

A-11 

60. 

:^   108. 

» 

L-10 

105. 

»   128. 

.      D. 

T-16 

R. 

L-11 

106. 

:^    128. 

» 

0-4 

61. 

»   108. 

»        » 

B-17 

107. 

»   130. 

» 

A-12 

62. 

:^    109. 

.      D. 

S-21 

108. 

=^130. 

» 

P-5 

63. 

»   110. 

» 

F-21 

109. 

»   132. 

» 

D-14 

64. 

»   110 . 

» 

A-4 

110. 

»   132. 

» 

N-16 

65. 

»   110. 

» 

S-22 

111. 

»   132. 

» 

N-12 

m. 

»   110. 

» 

L-24 

112. 

>   133. 

» 

M-13 

67. 

»    111.        . 

» 

A-5 

113. 

»   133. 

» 

T-17 

R. 

A-8 

114. 

:.    133.        . 

» 

F-3 

68. 

»    111.        . 

.       » 

L-13 

R. 

F-4 

69. 

»   113. 

.      R. 

N-6 

115. 

>   134. 

.      D. 

N-4 

70. 

*   114,        , 

,       > 

A-^ 

R, 

N-$ 

82 


FRANCESCO  GNECCHI 


116.  D. 

135.        . 

.  D. 
R. 

117.  » 

135. 

.      D. 

118.  » 

135. 

> 

119.   » 

135.       . 

> 

120.  » 

135. 

» 

121.   > 

135. 

R. 

122.  » 

135.        . 

.      D. 

123.  » 

136. 

> 

124.   » 

136. 

» 

125.   » 

136. 

R. 

126.  » 

136. 

.      D. 

127.   » 

137. 

R. 

128.  » 

137. 

.  D. 
R. 

129.  » 

137.        . 

.  D. 
R. 

130.  » 

138. 

.      D. 

131.   » 

138. 

» 

1-25 
1-26 
T-18 
N-19 
G-16 
Z-1 
N-1 
N-2 
N-3 
F-5 
B-19 
B-20 
B-21 
J-16 
P-6 
R-17 
B-22 
B-23 
G-14 
G-15 
B-4 
G-17 


e.    ANTONIVS. 

(44-43  a.  C). 

132.  B.  148.       .       .     D.    0-11 

Appuleia. 

L.  APPVLLEIVS  SATVRNINVS. 

(104-94  a.  C). 

133.  B.  1     .        .       .      D.     S-14 

134.  »   1     .        .       .       »     J.23 

135.  >  1     .       .  »    p.20 

Aquillia. 

L.  AQVILLIVS    FLORVS. 

(20  a.  C). 

136.  B.  9     .                .  D.  F-7 

137.  >  9     .               .  »  M-22 

138.  »   15  .               .  >  P-18 

Atia. 

Q.  ATIVS  LABIENVS  PARTHICVS. 

(40  a.  G.K 

189.  B.  2     .  .      D.    F-8 

Atilìa. 

ATILIVS  SARANVS. 
(191  a.  C). 

140.  B.  1     .       .       .      D.    0-1 
Aurelia. 

L.  AVRELIVS  COTTA. 

(90  a.  C). 
UL  B.  21   .       .       .      D.    0-16 


Barbatia. 

M.  BARBATIVS    PHILIPPVS. 

(41  a.  C). 

142. 

B.  2     .        .        . 

D. 

P-9 

143. 

*   2     . 

» 

MS 

144. 

>   2     . 

> 

L-23 

145. 

*   2     .        ,        . 

» 

F-9 

R. 

F-10 

Caecilia. 

Q.  CAECILIVS  METELLVS   ] 

PIVS 

SCIPIO. 

(48-46  a.  C.) 

146. 

B.  48   . 

D. 

B-24 

147. 

»  48   . 

> 

T-19 

148. 

»   51   . 

j> 

F-ll 

R. 

F-12 

Gaesia. 

L.  CAESIVS. 

(104  a.  C). 

149. 

B.  1     . 

Calpurnia. 

D. 

N-11 

L.  CALPVRNIVS    PISO 

FRVGI. 

(89.  a.  C). 

150. 

B.  8     .        .        . 

D. 

T-10 

151. 

^   11   . 

, 

> 

G-1 

152. 

»   11   . 

. 

> 

B-25 

153. 

:.     12    .      • 

. 

» 

F-13 

154. 

^    12   . 

. 

» 

M-18 

e.  CALPVRNIVS  PISO 

FRVGI. 

(64  a.  C). 

155. 

B.  26   . 

Caninia. 

D. 

A-13 

L.  CANINIVS    GALLVS. 

(20  a.  C). 

156. 

B.  3     .       .        . 

D. 

T-10 

157. 

2^    3      . 

Garisia. 

» 

C-14 

T.    CARISIVS 

• 

(48  a.  C). 

158. 

B.  4     . 

D. 

M-14 

159. 

»  8     . 

» 

G-2 

160. 

»   10   . 

» 

0-18 

P.    CARISIVS 

, 

(25  a.  C). 

161. 

B.  17  .       .        . 

D. 

C-15 

162. 

^    19    . 

T-21 

163. 

>    19   . 

Z-7 

164. 

»   20   . 

C-18 

165. 

»   20   . 

G-18 

166. 

»   20   . 

G-19 

167. 

>   21   . 

T-11 

168. 

y  22   . 

C-16 

169. 

»  24  .       , 

C-17 

APPUNTI   DI  NUMISMATICA  ROMANA 


33 


Cassia. 

L.    CASSIVS    Q.  F. 

(79  a.  C). 

170.  B.  6     .        .        .      D.    R-8 

Q.   CASSIVS    LONGINYS. 

(60  a.  C). 

171.  B.  7     .       .        .      D.    A-11 

172.  x>   8     .        .        .        »     0-5 

173.  >   10   .        .        .       ^    N-21 

e.  CASSIVS  LONGINVS. 

174.  B.  14   .        .        .E.     L-5 

175.  »   14   .        .        .      D.    P-15 

176.  2>   19   .  »     N-23 

Claudia. 


177. 

e.   CLAVDIVS  PVLCHER. 

(106  a.  C). 
B.  1     .        .  .      .      D. 

T-22 

195 
196 

178. 

CLAVDIVS    VNIMANVS. 

(89  a.  C). 
B.  4     .        .        .      D. 

TI.   CLAUDIVS  NERO. 

Z-22 

197 

198. 
199 

179. 

(84  a.  C). 
B.  5     .        .        .      D. 

1-15 

P.  CORN.  P.  F.  LENTVLVS  MARCELLINVS 

(45  a.  C). 

180.  B.  11   .        .        .      D.    R-14 

181.  :^    11   .        ...        >      J-19 

e.  CLODIVS  C.  F.    PVLCHER. 

(43  a.  C). 

182.  B.  12   .        .        .      D.     S-11 

183.  »    13    .        .        .        »     B-1 

P.   CLODIVS  TVRRINVS. 

(43  a.  C). 

184.  B.  14   .        .        .  D.  0-8 

185.  »    15    .        .        .  »  J-15 

186.  »    17   .        .        .  ^  R-15 

187.  »   18   .        .        .  y>  R-16 

Cloulia. 

T.    CLOVLIVS. 

'       (101.  a.  C). 

188.  B.  2     .        .        .      D.    K-22 

Cocceia. 

L.   ANT  ONIVS 

(41  a.  C). 

189.  B.  2     .        .        .      D.      1-17 

190.  *   2     .        .        .        »     S-26 

B.    R-17 


191. 

B. 

2 

• 

' 

D. 
E. 

T-7 
G-3 

192. 

» 

2 

• 

• 

E. 

T-23 
T-24 

Coelia. 

e. 

COILIVS 

CALDVS. 

(94  a. 

C). 

193. 

B. 

2 

,        . 

, 

D. 

R-17 

e.   COELIVS  CALDVS. 

(54  a.  C). 

194.  B.  7     .        .        .      E.    R-11 

Considia. 

e.   CONSIDIVS  NONIÀNVS. 

(60  a.  C). 
B.  1     .        .        .      D.    G-4 
»   1     .  .■      »     P-1 

e.   CONSIDIVS   PAETVS. 

(49  a.  C). 

B.  2     .        .        .  D.  G-5 

»   2     .        .        .  ^  G-6 

»   7     .        .  y>  K-15 

Cordia. 

MANIVS  CORDIVS    RVFVS. 

(49  a.  C). 

200.  B.  4     .        .        .      D.     C-22 

Cornelia. 

L.   CORN.   SCIPIO  ASIAGENVS. 

(90  a.  C). 

201.  B.  24   .        .        .      D.    R-11 

E.    R-18 

P.   CORN.   LENTVLVS  MARCELLINVS. 

(89  a  C). 

202.  B.  25   .        .        .      D.    B-25 

E.    R-18 

L.   CORNELIVS  SYLLA  FELIX. 

(87  a.  C). 

203.  B.  28   .        .        .      D.    G-7 


A.    M-ANLIVS. 

(81 

a.  C). 

204. 

B. 

48 

• 

E. 

TU-25,  26 
VZ-25,  26 

CN. 

CORN. 

LENTVLVS  P 

F.  MARCELL. 

(8i 

a.  C). 

205. 

B. 

51 

. 

D. 

B-2 

206. 

» 

51 

(74 

a.  C.}. 

E. 

B-3 
B-4 

207. 

B. 

54 

• 

• 

D. 

B-5 

5 

34 


FRANCESCO  GNECCHI 


r.  CORN.  LENTVLVS  SPINTHER. 

(74  a.  C). 

208.  B.  58  .       .       .      D.    C-21 

FAVSTVS  CORNELIVS  SYLLA. 

(64  a.  C). 

209.  B.  59   .        .        .      D.    C-19 

210.  »   63   .  ^    B-6 

•  E.    A-13 

L.  CORNELIVS  LENTVLVS  CRVS. 

(49  a.  C). 

211.  B.  65   .        .        .      D.    D-5 

212.  y>   m   .        .        .        ^     B-21 

E.   A-13 

L.   CORNELIVS  BALBVS. 
(41  a.  C). 

213.  B.  77   .        .        .      D.    G-8 

214.  :^   77   .        .        .        »     C-20 

Cossutia. 

e.  COSSVTIVS    MARIDIANVS. 

(44  a.  C). 

215.  B.  2     .       .        .      D.    B-8 

Cì'epusia. 

P.    CREPVSIVS. 

(84  a.  C). 

216.  B.  1     .  .      D.    G-9 

217.  »   1     .        .        .        »     L-6 

218.  »   1     .  »     D-4 

219.  »   1     .  »     B-8 

Domitia. 

CN.  DOMITIVS   AHENOBARBVS. 

(42-36  a.  C). 

220.  B.  21   .  .      D.   G-10 

Durmia. 

M.    DVRMIVS. 

(20  a.  C). 

221.  B.  3     .        .        .      D.    R-18 

222.  >  5      .  x>    R-1 

Egnatuleia. 

e.   EGNATVLRIVS. 

(101  a.  C). 


223.  B.  1 

224.  >   1 

225.  »   1 

226.  »   1 


227.  B.  1 

228.  >   1 

229.  »   1 


Eppia. 

M.  EPPIVS. 


E.  0-7 

D.  0-13 

»  C-23 

»  G-20 


D.  G-11 
>  R-20 
»    G-21 


230. 

B.  1     .        .        .      D. 

L-14 

231. 

»   1     . 

B-9 

E. 

B-10 

232. 

>   1     .        .        .1). 

B-11 

E. 

B-12 

Fabia. 

FABIVS  LABEO. 

(144  a.  C). 

233. 

B.  1     .        .        .      D. 

J-14 

L.  FABIVS  HISPANIENSIS. 

(81  a.  C). 

234. 

B.  17   .        .        .      D. 
Farsuleia. 

L.   FARSVLEIVS  MENSOR 

(82  a.  C). 

R-21 

235. 

B.  1     .        .        .      D. 

R-22 

236. 

»   2     . 

0-24 

237. 

^   2     . 

0-17 

Flaminia. 

L.   FLAMINIVS  CHILO. 

(44  a.  C). 

238.  B.  1     .        .        .      J).    0-9 

E.    O-IO 

239.  »   1     .        .        .      D.     C-25 

240.  »  3     .        .        .        »     0-6 

Flavia. 

e.   FLAVIVS  HEMICILLVS. 

(44-42  a.  C). 

241.  B.  1     .        .        .      D.    G-12 

Fonteia. 

MAN.    FONTEIVS. 

(104  a.  C). 
212.  B.  7     .  .E.    R-23 

243.  »   7     .  .       »    R-24 

MAN.  FONTEIVS.   C.  F. 

(88  a.  C). 

244.  B.  10   .        .        .      D.    C-I 

E.    B-13 

245.  ^^   10   .        .        .      D.     J-21 

E.     J-22 

246.  »   12   .        .        .      D.    G-2 

E.    C-3 

P.   FONTEIVS  P.  F.   CAPITO. 

(54  a.  C). 

247.  B.  17    .  .      D.    C-26 

248.  »   18   .  ^    D-14 

Fufia. 

Q.   FVFIVS  CALENVS 

(82  a.  C). 

249.  B.  1     .       .        .      D.    G-13 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA 


35 


Fundania. 

275. 

B.  140 .  ■     .        .      D. 

C-7 

e.  FVNDANIVS. 

E. 

C-5 

(101  a.  C). 

276. 

^   141.        .        .      D. 

T-12 

250. 

B.  2     .        .        .      D. 

D-15 

E. 

T-13 

Furia. 

277. 

»   145.       .        .      D. 
E. 

K-14 
K-15 

M.  FOVRIVS  M.   F.  PHILVS. 

278. 

»   145.        .        .      D. 

D-16 

(104  a.  C). 

279. 

»   145.        .        .        » 

K-16 

251. 

B.  18   .        .        .      D. 

0-2 

280. 

»    145.        .        .        » 

S-6 

L.   FVRIVS   CN.   F.   BROCCHVS. 

281. 

»   153.        .        .        » 

H-11 

(53  a.  C). 
B.  18   .                .      D. 
R. 

E. 

H-12 

252. 

0-2 
0-4 

282. 
283. 

»   154.        .        .      D. 
»   159.        .        .        » 

H-5 
H-6 

Gelila. 

lunia. 

L.   GELLIVS    PVBLICOLA 

. 

e.  IVNIVS  C.  F. 

(41  a.  C). 

(204  a.  C). 

253. 

B.  7    .      :      .    D. 

P-10 

284. 

B.  1     .        .        .      D. 

H-7 

Herennia. 

D.   IVNIVS    SILANVS  L. 

F. 

M.    HERENNIVS. 

(89  a.  C). 

(99  a.  C). 

285. 

B.  15   .        .        .      D. 

N-24 

254. 

B.  1     .        .        .      D. 

R-10 

286. 

»   15   . 

U-11 

Hostilia. 

287. 

»   17   .        .        .        » 

N-25 

L.   HOSTILIVS   SASERNA 

Q.    CAEPIO    BRVTVS. 

(49-46  a.  C). 

(43-42  a.  C). 

255. 

B.  4     .        .        .      D. 

C-20 

288. 

B.  29   .        .        .      D. 

H-15 

lulia. 

E. 

H-16 

256. 
257. 

L.   IVLIVS  BVRSIO. 

(88  a.  C). 
B.  5     .       ,        .      D. 

»   5     .        .        .        » 

H-1 
Q-3 

289. 
290. 

291. 

»   31    .        .        .      D. 
»   34   . 

E. 
»  34  .        .        .      D. 

R-2 
J-24 
J-25 
N-26 

258. 

»   5     .        .        .        » 

e.   IVLIVS   CAESAR. 

(58-44  a.  C). 

K-20 

Licinia. 

P.  LICINIVS   NERVA. 

(110  a.  C). 

259. 

B.  9     .        .        .      D. 

C-4 

292. 

B.  7     .        .        .      D. 

K-5 

260. 
261. 
262. 
263. 

*    9     .        .        .E. 
»  9     .        .        .      D. 
^   9     .        .        .        » 
»   9     .        .        .        » 

P-13 
Q-1 
M-19 
M-20 

293. 

e.  LICINIVS  L.  F.  MACER. 

(82  a.  C). 
B.  16   .        .        .      D.     S-1 

264. 

»   11    .        .        .        » 

Q-26 

294. 

»   16   .        .        .        » 

J-26 

265. 

*   12   . 

T-1 

A.   LICINIVS    NERVA. 

266. 

»   12   .        .        .        » 

M-26 

(49-45  a.  C). 
B.  23   .        .        .      D. 

267. 
268. 

»   28   .        .        .       » 
:^   59   .        .        .        ^ 

K-12 
R-17 

295. 

H-8 

269. 

»   112.        .        .E. 

H-2 

P.  LICINIVS  STOLO. 

270. 

^^   115.        .        .      D. 

H-3 

(17  a.  C). 

E. 

H-4 

296. 

B.  28   .        .        .E. 

P-20 

271. 
272. 

»   116.        .        .      D. 
»   135.        .        .       » 

P-12 
Z.8 

297. 

»   29   .        .        .        » 

T-13 

( 

3.   IVL.   CAESAR  OCTAVIANVS. 

Livineia. 

(44-29  a.  C). 

L.  LIVINEIVS    REGVLVS 

. 

273. 

B.  139 .        .        .      D. 

0-23 

(43-42  a.  C). 

274. 

:>    140. 

C-5 

298. 

B.  1     .        .        .      D. 

R-25 

E. 

C-6 

299. 

»      8         .              .              .              2> 

C-8 

86 


FRANCESCO  GNECCHI 


300.  B.  8     .        .        . 

D. 

H-9 

Mettia. 

301.   :^    11   . 

E. 

C-9 
C-IO 

M.    METTIVS. 

(44  a.  C). 

302.  :^   13  . 

D. 

Q-2 

324. 

B.  1 

.      D. 

P-14 

Lollia. 

825. 

»    4 

» 

1-4 

LOLLIVS  PALIKANVS. 

326. 

»   4 

» 

Q-7 

(45  a.  C). 

E. 

Q-8 

303:  B.  2     . 
304.  :^   2     . 

D. 

L-17 
0-24 

327. 

»   4 

...      D. 
E. 

C-11 
A-9 

Lucretia. 

Minatia. 

L.  LVCRETIVS  TRIO. 

M. 

MINATIVS  SABINVS 

(74  a.  C). 

(46-45  a.  C.j. 

#-       305.  B.  3     .        .        . 

D. 

H-13 

328. 

B.  3 

.      D. 

D-22 

306.  x>   3     . 

» 

I-l 

Munatia. 

Marcia. 

L.  ] 

VIUNATIVS  PLANCVS 

. 

L.  MARCIVS  CENSORINVS. 

(46-45  a.  C). 

(84  a.  C). 

329. 

B.  4 

.      D. 

D-23 

307.  B.  24  .        .        . 

E. 

Q-4 
Q-5 

E. 
Mussidia. 

C-20 

308.   >   25   . 

D. 

1-2 

309.  »  25   . 

» 

M-17 

L. 

MVSSIDIVS   LONGVS. 

(43-42  a.  C). 

Maria. 

380. 

B.  5 

.      D. 

1-5 

e.  MARIVS  C.  F.   CAPITO. 

831. 

»   5 

» 

D-21 

(84  a.  C). 

382. 

^   8 

» 

T-3 

310.  B.  9     . 

D. 

D-17 

333. 

>   8 

* 

DIO 

311.   »   9     . 

» 

G-6 

834. 

^   8 

» 

Q-9 

.     e.  MARIVS  C.  F.  TROMENTINA. 

Naevia. 

(17  a.  C). 

e. 

NAEVIVS    BALBVS. 

312.  B.  10   . 

D. 

U-1 

(218  a.  C). 

313.  :^     15     . 

314.  »   16   . 

P-24 
P-22 

335. 

B.  1 

P-10 

E. 

P-23 

Nasidia. 

315.   »   17   .        .        . 

E. 

D-18 
D-19 

c 

,.     N  A  S  I  D  I  V  S. 

(38-36  a.  C). 

Memmia. 

336. 

B.  1 

.        .        .      D. 

S-13 

L.   MEMMIVS  L. 

F. 

Papia. 

(58  a.  C). 

L.     PAPIVS. 

316.  B.  8     .       .        . 

D. 

D-20 

(79  a.  C). 

387. 

B.  1 

.      D. 

1-6 

e.  MEMMIVS  C. 

F. 

338. 

»   1 

» 

D-24 

(60  a.  C). 

339. 

»   1 

» 

0-15 

317.  B.  9     .        . 

D. 

L-17 

318.  »   10   . 

» 

Q-6 

M. 

Papiria. 

PAPI  RI  VS    GARBO. 

Mescinia. 

(139  a.  C). 

L.  MESCINIVS  RVFVS. 

340. 

B.  7 

> 

K-26 

(15  0  16  a.  C 
319.  B.  1     . 

U-2 

Petillia. 

820.   »   i     . 

» 

1-3 

PETILLIVS  CAPJTOLINVS 

321.  »   1     .        .       . 

E. 

G-22 

(43  a.  C). 

322.  »   4     .        . 

I). 

B-26 

341. 

B.  1 

.      D. 

1-7 

323.  »  6     . 

» 

D-17 

342. 

>   2 

.        .        .     E. 

G-23 

APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA 


37 


Petronia. 

Pompeia. 

P.  PETRONIVS  TVRPILIANVS. 

Q.  POMPEIVS  RVFVS. 

(20  a.  C). 

(58  a.  C). 

343. 

B.  4     .        .        .      D. 

R-26 

367. 

B.  4     .        .        .      D. 

D-8 

344. 

»     9       .           .           .           :^ 

L-19 

E. 

D-9 

345. 

»     10     . 

Q-11 

368. 

»   5     .        .        .E. 

S-8 

346. 

>   10    .        .        .  .     » 

S-5 

369. 

»   5     .        .        .      D. 

R-6 

347. 

»   10   . 

R-1 

E. 

R-7 

348. 

»    19   . 

U-14 

349. 

»   20   . 

U-15 

CN.  POMPEI VS    MAGNVS    FILlVS. 

350. 

»   20   .        .        .        » 

C-20 

(46-45  a.  C). 

K. 

D-12 

370. 

B.  8     .        .        .      D. 

U-21 

Pinaria. 

371. 

»   9     .        .        ,        » 

C-12 

L.   PINARIVS  SCARPVS. 

E. 

C-13 

(31-27  a.  C). 

SEX.   POMPEIVS  MAGNVS. 

351. 

B.  9     .        .        .E. 

U-16 

(43  a.  C). 

352. 

»   9     .        .        .1). 

Q-14 

372. 

B.  20   .        .        .      D. 

Q-10 

Plaetoria. 

373. 

»   20   .        .        .        » 

K-21 

L. 

PLAETORIVS  L.  F.   CESTI ANVS. 

(74  a.  C). 

374. 
375. 

»   21   .        .        .E. 
:^    25    .        .        .      D. 

D-13 
S-12 

353. 

B.  2     .       .        .E. 

1-8 

Pomponia. 

M.   PLAETORIVS  CESTIANVS. 

L.   POMPONIVS    MOLO. 

(69  a.  C). 

(94  a.  C). 

354. 

B.  4     .       .       .      D. 

A-9 

376. 

B.  6     .       .       .      D. 

C-2, 

355. 

»   4     .        .        .E. 

U-17 

377. 

»   6     .        .        .        » 

Q-12 

356. 

»   5     .        .        .      D. 

1-9 

378 

»   6     .        .       .        » 

Q-13 

357. 

»  5     .        .        .       » 

I-IO 

358. 

»  6     .        ,        .       » 

MI 

Q.  POMPONIVS  MVSA. 

359. 

»   9     .        .        .        » 

U-18 

(64  a.  C). 

360. 

»   10   . 

U-19 

379. 

B.  8     .        .        .      D. 

E-2 

L.  PLAETORIVS  CESTIANVS. 

380. 

»   8     .        .        .        » 

R-5 

361. 

(44-42  a.  C). 
B.  11   .        .        .      D. 

F-7 

381. 

382. 
383. 

»   9     .        .        .        » 
»    15   .        .        .        » 
»   17   . 

E-1 
U-22 
1-13 

Plancia. 

384. 

»   17   . 

J-  - 

CN.    PLANCIVS. 

385. 

»   19   .        .        .        » 

E-14 

(54  a.  C). 

386. 

»   21   .        .        .        ^ 

G-26 

362. 

B.  1     .        .        .      D. 
Plautia. 

A.     PLAVTIVS. 

J-9 

Porcia. 

M.  PORCIVS   CATO. 

(101  a.  C). 

(54  a.  C.j. 

387. 

B.  5     .        .       .      D. 

J-3 

363. 

B.  13   .        .        .      D. 

G-24 

388. 

»   6     .        .        .E. 

U-23 

E. 

G-25 

389. 

»   6     .        .        .      D. 

U-24 

L.  PLAVTIVS  PLANCVS 

390. 

»   7     .        .        .        * 

J-2 

(45  a.  C). 
B.  14   .        .        .      D. 

391. 

»  7     .        .        .        » 

S-7 

864. 

M2 

392. 

»   7     . 

E. 

K-23 
K-24 

Poblicia. 

M.     P  0  B  L  I  C  I  V  S. 

Postumia. 

(46-45  a.  C). 

POSTVMIVS    ALBINVS  SP. 

F. 

365. 

B.  10   .        .        .      D. 

D-25 

(89  a.  C). 

366. 

»   10   .        .        .       ^ 

U-20 

393. 

B.  5     .        .        .      D. 

E.15 

38 


FRANCESCO  GNECCHI 


D 

.  POSTVMIVS  ALBINVS  BRVTI  F. 

Scribonia. 

(43-44  a.  C). 

L.   SCRIBONIVS  LIBO. 

394. 

B.   10 

.      D. 

P-10 

(54  a.  C). 

395. 

>     13 

» 

C-20 

422. 

B.  8     .        .        .      D. 

K-17 

396. 

»     13 

» 

D-26 

423. 

»   8     .        .        .        » 

H-8 

397. 

»  14 

Quinctia. 

H-14 

Sempronia. 

TI.   SEMPRONIVS     GRACCVS. 

#TI. 

QUINCTIVS  TROGVS 

. 

(38-36  a.  C). 

(104  a.  C). 

424. 

B.  10   .        .        .      D. 

K-2 

398. 

B.  6 

D 

J-5 

425. 

:^   11   .        .        .       » 

K-3 

399. 

»   6 

» 

J-6 

426. 

»   11   . 

N-14 

Rosela. 

427. 

»   13   .        .        .        » 

E- 20 

L. 

ROSCIVS    FABATVS. 

(64  a.  C). 

Sentia. 

L.   SENTIVS     0.   F. 

400. 

B.  1 

.      D. 

0-22 

(89  a.  C). 
B.  1     .        .        .      D. 

401. 
402. 

»     1 
»    1 

» 

J-7 
J-8 

428. 

Q-20 

403. 

»    1 

» 

J-9 

E. 

Q-21 

404. 

»    1 

» 

J-10 

SepuUia. 

405. 

»    1 

» 

J-11 

P.  SEPVLLIVS  MACER. 

406. 

»    1 

» 

J-12 

(44  a.  C). 

407. 

»    1 

» 

J-13 

429. 

B.  1     .        .        .      D. 

S-2 

408. 

»    1 

» 

V-14 

430. 

»   3     .        .        .        » 

T-2 

Rustia. 

431. 

»   5     . 

K-19 

Q.     R  V  S  T  I  V  S. 

(19  a.  C). 

Servilia. 

M.  SERVILIVS    C.    F. 

409. 
410. 

B.  3 

^  3 

L.  ] 

Rutilia. 

RTTILIVS  FLACCVS. 

(79  a.  C). 

K-1 
B-21 

432. 

(94  a.  C). 
B.  13   .       .        .      D, 

e.   SERVILIVS  C.  F. 

(64  a.  C). 

Q-19 

411. 

B.  1 

.        .        .      D. 
Salvia. 

L-22 

433. 
434. 
435. 

B.  15   .        .        .      D. 
»    15    .        .        .        » 
»   15   .        .        .        » 

D-6 

D-7 

1-7 

Q. 

SALVIDIENVS    SALVIVS  RVFVS. 

436. 

»   15   .        .        .E. 

K-12 

(41  a.  u.;. 

437. 

»    16   .        .        .        » 

C-20 

412. 

B.  1 

.      D. 

E-16 

E. 

E-19 

413. 

»   1 

» 

V-15 

414. 

»   1 

» 

L-20 

Q 

.   SERVILIVS    CAEPIO    BRVTVS. 

415. 

»   1 

» 

L-21 

(43-42  a.  C). 

416. 

>   1 

> 

P-21 

438. 

B.  22   .        .       .      D. 

K-4 

Sanquinia. 

SERVILIVS  CASCA  LONGVS. 

M. 

SANQVINIVS. 

(43-42  a.  C). 

(17  a.  C). 

439. 

B.  35   .        .        .E. 

T-6 

417. 

B.  1 

.       .       .      R. 

T-2 

418. 

>   1 

.       .       .      D. 

E-18 

Sestia. 

p. 

E. 
Satriena. 

SATRIENVS. 

(74  a.  C). 

E-17 

440. 

L.     S  E  S  T  I  V  S. 

(44-42  a.  C). 
B.  1     .        .        .      D. 

Sicinia. 

E-21 

419. 

B.  1 

.        .        .      D. 

A-11 

Q.  S  I  C  I  N  I  V  S. 

420. 

>   1 

» 

M-23 

(49  a.  C). 

421. 

>  1 

» 

P.7 

441. 

B.  1     .       .        .      D. 

L-24 

E. 

Q-9 

E. 

D-17 

APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA 


89 


Spurilia. 

AVLVS    SPVRILIV3. 

(214  a.  C). 

442.  B.  1     .        .        .      D.    D-1 

Statia. 

L.   STATIVS   MVRCVS. 

(43  a.  C). 

443.  B.  1     .        .        .      D.    E-7 

Sulpicia. 

e.    SVLPICIVS   C.   F. 

(94  a.  C). 

444.  B.  1     .        .        .      D.    K-6 

P.   SVLPICIVS  GALEA. 

(64  a.  C). 

445.  B.  6     .        .        .      D.    H-10 

L.   SERVIVS   SVLPICIVS  RVFVS. 

(44-43  a.  C). 

446.  B.  10    .        .        .      B.    K-7 

447.  »    10  .        .        .        ^    K-8 

R.    K-9 

448.  »    10   .        .        .      D.    E-22 

E.    E-23 
Thoria. 

L.  THORIVS  BALBVS. 

(94  a.  C). 

449.  B.  1     .  .      D.    Q-22 

Titia. 

Q.     T  I  T  I  V  S. 

(90  a.  C). 

450.  B.  2     .        .        .      B.    A-11 

451.  »   3     .        .        .        »    K-10 

Tituria. 

L.  TITVRIVS    L.   F.   SABINVS 

(88  a.  C). 

452.  B.  1     .        .        .      D.     S-3 

Valeria. 

e.   VALERIVS  FLACCVS. 

(81  a.  C). 

453.  B.  12   .        .        .      D.    0-14 

VALERIVS  ACISCVLVS. 

(46-45  a.  C). 

454.  B.  18   .        .        .      D.    K-11 

455.  »    18   .        .        .        »     E-24 

E.    E-25 

Vettia. 

T.   VETTIVS  SABINVS. 

(69  a.  C). 

456.  B.  2     .        .        .      D.    H-17 

457.  »    2      .        .        .        »     L-18 

458.  *   2     .        .        .        »    M-24 

459.  »    2      .        ,        .        »     T-13 


Vibia. 

e. 

VIBIVS 

PANSA. 

(43  a. 

C). 

460. 

B. 

16 

* 

D. 

K-12 

461. 

» 

16 

» 

R-4 

462. 

» 

16 

• 

E. 

H-18 
H-19 

463. 

» 

18 

. 

D. 

A-8 

464. 

» 

18 

. 

» 

A-11 

465. 

» 

22 

• 

E. 

E-3 
E-4 

466. 

» 

22 

. 

» 

K-18 

467. 

i> 

22 

• 

E. 

E-5 
E-6 

468. 

> 

23 

. 

. 

D. 

Q-23 

Vinicia. 

L. 

V  I  N  I  e  I  V  S. 

(58  a. 

C). 

469. 

B. 

1 

. 

. 

D. 

K-13 

L. 

VINICIVS  L. 

F. 

(16  a. 

C). 

470. 

B. 

2 

D. 

R-3 

471. 

» 

3 

E. 

L-2 

472. 

> 

3 

. 

D. 

Q-24 

473. 

» 

4 

. 

» 

LI 

574. 

» 

4 

. 

» 

U-3 

Vipsania. 

w 

.     A  G  R  I  P  P  A. 

(38  a. 

C). 

475. 

B. 

1 

. 

D. 

T-B 

476. 

» 

2 

. 

. 

E. 

Q-25 

477. 

» 

3 

. 

. 

D. 

L-15 

e. 

SVLPICIVS 

PLATORINVS. 

(18  a. 

C). 

478. 

B 

.   7 

. 

D. 

S-10 

Voconia. 

Q.   VOCONIVS 

VITVLVS 

(41-40 

a.  C.) 

. 

479. 

B. 

1 

. 

. 

D. 

L-3 

480. 

» 

1 

• 

• 

E. 

T-4 
H-20 

481. 

» 

2 

, 

. 

D. 

D-2 

482. 

» 

3 

. 

» 

M^25 

Volteia. 

M. 

VOLTEIVS  M 

.  F. 

(88  a. 

C). 

483. 

B. 

2 

. 

. 

D. 

L-4 

484. 

» 

4 

. 

, 

> 

S-4 

Denaro  anonimo. 

(104  a.  C). 
485.  B.  176.        ,        .      P. 


H-21 


40 


FRANCESCO  GNECCHI 


(89-54 

a.  C). 

486. 

B.  226. 

D. 

Sesterzio. 

487. 

B.  ? 

J    .       .       . 

R. 

Semivittoriato. 

48a  B.  10   . 

D. 

Augusto. 

489. 

Coh 

4  . 

D. 

490. 

> 

8. 

» 

491. 

» 

17 

» 

492. 

» 

suppl. 

5      . 

» 

493. 

» 

18 

» 

444. 

» 

33        . 

» 

495. 

» 

50 

» 

496. 

» 

50 

» 

497. 

» 

50 

» 

498. 

» 

52 

E. 

499. 

» 

60 

» 

500. 

» 

60 

D. 

501. 

» 

70 

R. 

502. 

> 

70 

D. 

503. 

» 

76 

» 

504. 

» 

76 

» 

505. 

» 

80 

» 

506. 

:» 

80 

» 

507. 

» 

83 

» 

508. 

x> 

85 

» 

509. 

s> 

87 

» 
R. 

510. 

> 

87 

D. 

511. 

» 

87 

» 

512. 

» 

87 

.      R. 

513. 

» 

87 

D. 

514. 

» 

91 

» 

515. 

» 

91 

j> 

516. 

» 

94 

j> 

617. 

» 

94 

» 

518. 

» 

99 

» 

519. 


105 


R. 


M-28 
S-16 
S-15 


D-11 

H-22 

P-26 

V-19 

B-21 

U-12 

V-20 

A-18 

F-20 

H-23 

U-13 

V-21 

V-1 

H-24 

V-2 

V-22 

V-3 

V-23 

V-4 

V-5 

U-4 

U-5 

U-6 

U-7 

U-8 

H25 

H-26 

Z-20 

V-6 

V-24 

V-7 

V-8 

0-25 


520. 

Coh. 

107 

. 

R. 

E-26 

521. 

» 

109 

. 

D. 

E-14 

522. 

» 

110 

» 

V-9 

523. 

» 

110 

. 

» 

FI  5 

524. 

» 

110 

. 

> 

Z-21 

525. 

» 

110  i 

'incusa) 

» 

A-21 

526. 

» 

111 

. 

» 

V-lO 

527. 

» 

112 

» 

ZI  5 

528. 

» 

112 

'incusa) 

•» 

A22 

529. 

» 

117 

, 

» 

121 

530. 

» 

117 

R. 

V-22 

531. 

» 

117 

. 

D. 

Z-16 

532. 

» 

119 

» 

V-1 2 

533. 

» 

124 

. 

» 

P-25 

534. 

» 

126 

» 

V-1 3 

535. 

» 

128 

, 

» 

Z-9 

536. 

» 

128 

. 

» 

F-16 

537. 

•» 

138 

. 

» 

FI  7 

538. 

» 

156 

. 

R. 

ZIO 

539. 

» 

177 

D. 

ZI  7 

540. 

» 

186 

. 

» 

ZI  8 

541. 

» 

196 

. 

R. 

ZÌI 

542. 

» 

198 

. 

1). 

N-23 

543. 

» 

204 

. 

» 

K-25 

544. 

» 

204 

. 

» 

M4 

545. 

» 

218 

. 

.  » 

ZI  2 

546. 

» 

221 

. 

» 

ZI  3 

547. 

» 

223 

. 

» 

A-14 

548. 

» 

226 

\ 

» 

U-10 

549. 

» 

226 

• 

» 
R. 

F-18 
F-19 

550. 

> 

232 

. 

D. 

Al  5 

551. 

» 

247 

. 

R. 

A-16 

552. 

» 

248 

. 

D. 

Z-19 

553. 

» 

251 

. 

» 

A-17 

554. 

» 

253 

» 
R. 

U-9 
U-10 

555. 

» 

253 

. 

D. 

A-20 

556. 

» 

320 

. 

» 

A-19 

Tiberio. 

(14 

-37  d.  C.) 

557.  Coh.  2 


D.    Z-23 


T  u  V  z 


35-:i6 


APPUNTI  DI   NUMISMATICA   ROMANA  41 

La  serie  avrebbe  potuto  prolungarsi  indefinita- 
mente esplorando  altri  musei,  ma  mi  pare  che  il 
materiale  raccolto  sia  più  che  sufficiente  per  addi- 
venire ai  seguenti  dati  generali,  i  quali  ben  poco  e 
solo  in  parte  potrebbero  forse  variare,  anche  quando 
la  serie  venisse  duplicata  : 

I.  Le  monete  d'  argento  (l)  contrassegnate  sono 
tutte  di  buon  argento,  fatte  pochissime  eccezioni, 
(4  o  5  in  tutta  la  serie  descritta)  le  quali  però  si 
verificano  su  monete  suberate  così  ben  fatte  e  com- 
plete, o  che  almeno  si  può  argomentare  tali  essere 
state  all'epoca  in  cui  furono  contrassegnate,  da  au- 
torizzare a  credere  che  chi  vi  ha  posto  il  contras- 
segno sia  stato  tratto  in  errore,  e  le  abbia  credute 
di  puro  argento. 

II.  I  Contrassegni  esistono,  oltre  che  sugli  aurei, 
su  tutte  le  monete  d'argento,  denari,  vittoriati,.  se- 
mivittoriati,  quinarii  e  sesterzii,  e  non  sono  escluse 
neppure  le  monete  incuse. 

Il  Sig.  Bahrfeldt  nel  citato  articoletto  osserva 
che  non  gli  sono  mai  capitati  vittoriati  né  sesterzi 
contrassegnati  ;  ma  aggiunge  ciò  doversi  probabil- 
mente alla  minore  quantità  di  questi  in  confronto 
dei  denari  e  dei  quinarii.  La  quale  osservazione  mi 
pare  giustissima,  giacché  io,  esaminando  un  numero 
molto  maggiore  di  monete,  ho  trovato  un  sesterzio 
(N.  487)  e  un  semivittoriato  (N.  488),  dal  che  è  più 
che  lecito  argomentare  come  egualmente  v'abbiano 
ad  essere  anche  dei  vittoriati  muniti  di  Contrassegno. 


(1)  Parlo  delle  monete  d'argento  perchè,  come  abbiamo  veduto,  gli  aurei 
contrassegnati  sono  rarissimi  e  quasi  si  possono  considerare  come  eccezioni. 


42  FRANCESCO  GNECCHI 


I  Contrassegni  si  trovano  indifferentemente  sia 
sui  denari  conosciuti  solamente  in  puro  argento, 
che  su  quelli  del  cui  tipo  v'hanno  anche  esemplari 
suberati. 

IV.  I  Contrassegni  si  trovano  di  preferenza  sulle 
monete  sciupate ,  e  solo  per  eccezione  taluno  si 
trova  su  monete  a  fior  di  conio,  forse  uno  in  cento. 
—  È  un  fatto  noto  e  facilmente  spiegabile  che  delle 
monete  antiche  ne  sono  rimaste  assai  più  di  sciupate 
che  di  nuove,  e  quindi  è  naturale  che  delle  monete 
contrassegnate  ve  ne  siano  più  delle  prime  che  delle 
seconde.  Quando  poi  si  consideri  che  dei  denari  della 
Repubblica,  stante  i  numerosi  ripostigli  di  monete 
nascoste  appena  uscite  dalla  zecca,  non  è  cosi  dif- 
ficile come  in  altre  serie  trovare  dei  pezzi  a  fior  di 
conio,  o  almeno  di  eccellente  conservazione,  risulterà 
tanto  maggiore  la  proporzione  delle  monete  scon- 
servate relativamente  a  quelle  di  buona  conserva- 
zione sotto  questo  rapporto  dei  Contrassegni. 

V.  I  Contrassegni  sono  impressi  di  preferenza 
sul  diritto  delle  monete  senza  alcun  riguardo  che 
essi  cadano  nella  figura  o  nel  campo.  Talvolta  ve 
ne  hanno  sia  sul  diritto  che  sul  rovescio,  più  rara- 
mente nel  solo  rovescio.  Delle  556  monete  figuranti 
nel  prospetto,  439  hanno  i  Contrassegni  nel  dritto, 
78  nelle  due  faccio,  e  sole  39  semplicemente  al  ro- 
vescio. 

VI.  Il  più  delle  volte  il  Contrassegno  è  unico  ;  ma 
non  è  raro  il  caso  che  se  ne  trovino  due,  tre,  quattro, 
cinque,  sei  e  anche  più  su  di  una  stessa  moneta. 
Talvolta  su  di  un  piccolo  quinario  pare  quasi  che  i 
punzoni  si  siano  inferociti  fino  al  punto  di  renderne 
irriconoscibile    la   figura    rappresentata.    Vedasi   ad 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  43 

esempio  il  gruppo  di  Contrassegni  Z-7  esistente  su 
di  un  Quinario  della  Julia.  —  È  raro  però  il  caso 
della  ripetizione  dello  stesso  Contrassegno  su  di  una 
moneta,  e  come  unico  citerò  il  caso  di  un  Contras- 
segno (o  di  una  vera  contromarca  CL)  ripetuta  tre 
volte  nel  dritto  e  tre  nel  rovescio  di  un  denaro  della 
Cornelia  (N.  204)  (l),  il  quale  denaro  ha  poi  anche  nel 
dritto  un  altro  Contrassegno  somigliante  a  un  V  pure 
tre  volte  ripetuto. 

VII.  Quanto  alla  maggiore  o  minore  rarità  delle 
monete  contrassegnate  parmi  non  si  possa  dire  che 
vi  sia  preferenza  ne  per  le  rare  ne  per  le  comuni, 
trovandosene  indifferentemente  tanto  sulle  une  quanto 
sulle  altre  a  un  dipresso  nella  proporzione  in  cui  le 
monete  rare  stanno  alle  comuni*  Ciò  si  potrà  rilevare 
dalla  serie  esposta,  in  cui  fra  le  moltissime  monete  co- 
muni figurano  anche  nomi  rari  e  rarissimi,  come  quelli 
dell'Atia,   della  Maria,  della  Minatia  e  della  Statia. 

Vili.  I  Contrassegni  sui  denari  romani  sono 
impressi  con  un  punzone  nella  loro  grandissima 
maggioranza  e  solo  qualche  volta  per  eccezione  graf- 
fiti col  bulino  o  collo  stilo.  Quelli  da  me  esaminati 
sono  tutti  indistintamente  impressi  con  punzone;  ma 
il  Prof.  Milani  ne  trovò  anche  alcuni  graffiti  (2). 

IX.  Come  dei  conii  antichi,  di  cui  è  ben  difiì- 
cile  trovarne  due  eguali,  così  avviene  dei  Contras- 
segni. Due  perfettamente  identici  e  che  si  possano 
dire  con  sicurezza  prodotti  dal  medesimo  punzone  è 
quasi  impossibile  trovarli,  salvo  il  caso  di  ripetizione 
sulla  stessa  moneta. 


(1)  Vedi  fìg.  a  pag.  40. 

(2)  Vedi  articolo  citato,  pag.  62. 


44  FRANCESCO  GNECCHI 


Se  qualche  rara  volta  ho  fatto  servire  il  medesimo 
disegno  per  due  Contrassegni  su  due  diverse  monete, 
gli  è  perchè  le  differenze  erano  tanto  piccole,  che 
certo  sarebbero  sfuggite  nella  riproduzione,  mentre 
erano  però  sufficienti  a  riconoscerli  come  prodotti  da 
due  punzoni  differenti.  Conviene  però  anche  osservare 
che  alcuni  segni  talvolta  sembrano  diversi  da  altri 
mentre  forse  sono  uguali  o  molto  simili ,  per  l' ine- 
guaglianza della  superficie  su  cui  furono  impressi.  Un 
cerchietto  per  esempio  riuscirà  completo  nel  campo 
piano  di  una  moneta,  ma  se  battuto  sulla  parte  con- 
vessa di  una  testa  può  rimanere  impresso  solamente 
in  parte  e  formare  uno   o   due  segmenti  di  cerchio. 

X.  Pochissimi  fra  i  Contrassegni  dei  denari  re- 
pubblicani rappresentano  un  oggetto  o  qualche  cosa 
di  esprimibile  a  parole  ;  ossia,  quando  escludiamo 
i  punti,  i  cerchietti  o  frazioni  di  cerchio,  le  mezza- 
lune, i  cunei,  i  rettangoli,  e  le  lettere,  le  quali  pure 
sono  per  lo  più  segni  somiglianti  a  lettere  che  vere 
lettere,  tutti  gli  altri  sono  segni  che  quasi  chiamerei 
cabalistici,  e  che  non  hanno  assolutamente  un  appel- 
lativo con  cui  poterli  distinguere  a  parole. 

Mi  sorprende  anzi  a  questo  proposito  come  il 
Bahrfeldt  nel  citato  articolo  non  abbia  quasi  trovato 
che  lettere  sui  denari  da  lui  esaminati,  mentre  a  me 
risulta  che  le  lettere  sono  in  estrema  minoranza 
contro  quelli  che  non  posso  chiamare  con  altro  nome 
che  segni.  Ma  potrebbe  benissimo  darsi  che  le  monete 
da  lui  esaminate  provenienti  in  gran  parte  da  un 
solo  ripostiglio  portassero,  per  speciali  condizioni  a 
noi  ignote,  quali  comuni  Contrassegni,  quelli  che  nella 
massa  generale  non  si  trovano  che  per  eccezione. 
E  lo  stesso  dicasi  del  ripostiglio  già  più  volte  citato 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  45 

di  Roma,  sulle  cui  monete  il  Prof.  Milani  trovò  propor- 
zionatamente assai  più  lettere  di  quelle  che  a  me  av- 
venne di  trovare  sulla  massa  delle  monete  esaminate. 

XI.  Quanto  all'epoca,  le  monete  contrassegnate 
si  estendono  da  circa  un  secolo  avanti  l'era  volgare, 
fino  a  tutto  il  regno  d'Augusto,  abbracciando  cosi  il  pe- 
riodo di  circa  un  secolo  e  mezzo.  Poche  sono  anteriori 
a  quest'epoca,  e  si  spingono  fino  a  circa  200  anni  a.  C; 
crescono  evidentemente  quelle  che  datano  da  solo 
mezzo  secolo  a.  C,  e  il  punto  culminante  lo  segnano 
quelle  di  Marc' Antonio  e  d'Augusto.  Di  posteriori  a 
quest'epoca  non  ho  trovato  che  un  aureo  di  Tiberio 
colla  testa  d'Augusto  al  rovescio  e  un  denaro  pure  di 
Tiberio  suherato,  ambedue  appartenenti  al  Gabinetto 
di  Brera. 

XII.  Dal  numero  delle  monete  esaminate  risul- 
terebbe che  le  contrassegnate  si  trovano  in  propor- 
zione minima  fra  quelle  d'oro  (una  o  due  in  cento) 
e  invece  in  ragione  di  circa  il  10  per  cento  fra  quelle 
d'  argento.  Fra  poco  più  di  un  centinaio  di  aurei, 
due  soli  ne  trovai  contrassegnati,  uno  d' Augusto 
(Cohen  N.  150)  appartenente  alle  mia  collezione 
(Vedi  N.  1)  e  uno  d'Augusto  e  Tiberio  (Cohen  N.  3) 
appartenente  al  Museo  di  Brera  (Vedi  N.  2).  Fra  le 
monete  d' argento  invece  ne  trovai  poco  meno  di 
600  mentre  la  cifra  delle  monete  esaminate  ascende 
a  un  dipresso  a  6000.  —  Il  Contrassegno  è  dunque 
veramente  la  specialità  della  moneta  d'argento. 

Ed  ora,  venendo  alle  conclusioni  generali  che  si 
possono  cavare  dai  fatti  accennati,  mi  pare  si  pos- 
sano ridurre  alle  seguenti  : 

La  infinita  varietà  dei  Contrassegni  esclude  che 
questo  fosse  un   marchio    governativo.  Se    lo  Stato 


46  FRANCESCO  GNECCHI 


avesse  voluto  apporre  un  marchio  ufficiale  alle  mo- 
nete che  ancora  conservavano  un  peso  legale,  si 
sarebbe  servito  di  una  vera  contromarca  o  almeno 
di  un  marchio  stabilito  e  uniforme,  e  difatti  vediamo 
che  quando  lo  volle  fare,  impresse  anche  sui  denari, 
come  sui  bronzi,  una  contromarca  uniforme  e  intel- 
ligibile. Cosi  fece  Vespasiano ,  il  quale  sui  denari 
repubblicani,  riammessi  alla  circolazione  impresse  la 
contromarca  imp  vesp  (l). 

Per  darci  una  ragione  sufficiente  a  spiegare 
l'enorme  quantità  e  varietà  dei  Contrassegni  è  ne- 
cessario ammettere  l'opera  dei  privati,  e  forse  anche 
quella  dei  comandanti  militari,  a  cui  Roma  spediva 
volentieri  pel  soldo  delle  truppe  lontane  la  vecchia 
moneta  meglio  conosciuta  e  meglio  accetta  dai  po- 
poli, fra  cui  si  trovavano  gli  eserciti. 

Ecco  come  mi  pare  ciò  possa  essere  avvenuto 
e  a  quarepoca. 

E  noto  come  il  denaro  romano  subisse  una  prima 
riduzione  di  peso,  quando,  in  seguito  ai  disastri  della 
seconda  guerra  punica,  in  forza  della  legge  flaminia, 
venne  tagliato  a  1^84  di  libbra  in  luogo  di  1^72,  al 
al  peso  cioè  di  gr.  3,90,  in  luogo  di  4,55  ;  ed  è  quindi 
probabile  che  i  primi  contrassegni  siano  stati  impressi 
molto  anteriormente  all'impero  (2)  nei  due  ultimi  se- 
coli della  repubblica. 


(1)  Vedi  M.  Bahrfoldt:  Contremarken  Vespasians  auf  romischen  Fami- 
liendenaren  nella  Zeitschrift  fur  Numismatik  di  Berlino,  1876. 

(2)  Tale  idea  fa  espressa  già  dal  Prof.  Milani  nell'opuscolo  citato 
pag.  60.  €  Il  ripostiglio  di  Aleria  (altro  descritto  prima  di  quello  di  Koma) 

<  ci  offre  la  prova  che  V  uso  di  contromarcare  con   segni   incusi   (lunule , 

<  punti,  quadratini,  ecc.)  i  denari   detriti  è  anteriore  all'  imporo ,  e  ci  ap- 

<  prende  che  probabilmente  l' uso  risale  al  tempo  della  prima  riduzione 

<  del  denaro  a  1  [84  di  libbra.  > 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  47 

Ma  le  monete  che  a  noi  pervennero  contrasse- 
gnate sono,  meno  rare  eccezioni,  quelle  coniate  ap- 
punto nei  due  ultimi  secoli  della  repubblica.  Bisogna 
dunque  che  noi  cerchiamo  più  tardi  il  nostro  mo- 
mento storico  ,  e  lo  troviamo  precisamente  sotto  il 
regno  di  Nerone,  quando  il  denaro  romano  subisce  la 
sua  seconda  riduzione  e  viene  tagliato  non  più  a  84 
ma  a  96  la  libbra,  ossia  a  grammi  3,41.  In  seguito 
a  ciò  è  naturale  che  i  vecchi  danari  tuttora  in  cir- 
colazione aumentassero  di  pregio  rispetto  ai  nuovi , 
comechè  di  maggior  valore  intrinseco;  e  come  tali 
avrebbero  continuato  il  loro  corso  regolarmente , 
se  il  lungo  uso  non  li  avesse  in  gran  parte  consunti 
fino  al  punto  da  renderne  dubbio  il  peso  ,  giacché 
una  quantità  di  quei  danari  repubblicani  erano  in 
circolazione  da  circa  un  secolo  ,  altri  da  un  secolo 
e  mezzo  o  anche  più. 

Se  a  questo  si  aggiunge  come  in  causa  della 
sterminata  varietà  dei  tipi,  una  gran  parte  di  essi 
fosse  diventata  quasi  sconosciuta  al  pubblico ,  si 
capisce  come  assai  probabilmente  di  quando  in 
quando  si  verificasse  il  caso  che  alcuni  denari  non 
venissero  accettati  per  un  valore  superiore  o  anche 
pel  semplice  valore  dei  denari  contemporanei,  se  non 
dietro  una  garanzia  di  chi  li  spendeva.  Ora  questa 
garanzia  si  esplicava  con  un  Contrassegno  di  prove- 
nienza, confrontabile  in  qualche  modo  ad  una  firma, 
che  talvolta  al  giorno  d'oggi  viene  apposta  a  un 
biglietto  di  banca,  su  cui  sia  nato  qualche  sospetto, 
allo  scopo  di  renderlo  alFoccasione  a  chi  l'ha  speso. 
E  tale  fu  l'origine  dei  Contrassegni. 

Il  primo  Contrassegno  bastava  talora  da  solo 
per  molte  successive  transazioni  e,  per  quanto    non 


48  FRANCESCO   GNECCHI 


precisamente  da  tutti  conosciuto,  imprimeva  al  de- 
naro un  marchio  di  garanzia;  talvolta  invece  se  ne 
esigeva  un  secondo,  un  terzo  e  così  via,  il  che  spie- 
gherebbe la  moltiplicità  dei  Contrassegni  su  di  una 
stessa  moneta. 

Si  potrà  qui  dimandare  perchè,  ammesso  che 
ciò  abbia  avuto  luogo  al  tempo  di  Nerone,  i  Con- 
trassegni finiscano  colle  monete  d'Augusto  e  non  se 
ne  trovino  più  su  quelle  di  Tiberio,  Caligola  e  Claudio; 
e  la  risposta  parmi  abbastanza  ovvia,  dacché  questi 
denari,  sia  per  essere  poco  numerosi  e  di  tipi  poco 
variati,  sia  per  essere  molto  recenti  erano  univer- 
salmente conosciuti  e  circolavano  apprezzati  al  loro 
giusto  valore  senza  bisogno  di  ulteriore  garanzia.  — 
Il  Contrassegno  trovato  in  via  eccezionale  sul  denaro 
suberato  di  Tiberio  mi  pare  serva  di  prova  a  tale 
ipotesi.  Era  un  denaro  suberato  ma  così  bene  ese- 
guito da  poter  trarre  in  inganno.  E  quindi  spiega- 
bilissimo che  su  di  esso  sia  nato  un  dubbio,  a  dis- 
sipare il  quale,  in  buona  o  in  mala  fede  questo 
non  ci  riguarda,  vi  venne  apposto  un  Contrassegno. 
La  piccola  rottura  per  la  quale  oggi  è  visibile  il 
rame  interno  sarebbe,  come  negli  altri  simili  casi, 
posteriore  al  Contrassegno. 

Ammessa  dunque  la  causa  e  l'epoca  dei  Con- 
trassegni come  da  me  esposte,  emergerebbe  quale 
conseguenza  il  fatto  che  al  tempo  di  Nerone  o  giù 
di  li  la  circolazione  monetaria  nell'impero  romano 
era  costituita  ancora  in  gran  parte  dalla  vecchia 
moneta  repubblicana.  Vi  circolavano  in  massa  le 
monete  coniate  da  circa  un  secolo  ;  v'era  ancora  in 
corso  buon  numero  di  denari  repubblicani  datanti 
da    un    secolo    e    mezzo ,    e    una    certa    quantità, 


APPUNTI  DI   NUMISMATICA  ROMANA 


49 


anche  di  anteriori.  In  altre  parole  i  Contrassegni 
servono  colla  loro  maggiore  o  minore  frequenza  a 
dare  un'idea  abbastanza  esatta  della  qualità  delle 
monete  in  circolazione  all'epoca  di  Nerone. 

E  con  questo  finisco,  lasciando  che  altri,  ap- 
profittando del  materiale  da  me  raccolto,  faccia 
qualche  ipotesi  più  ingegnosa  e  più  probabile  se  la 
mia  non  gli  soddisfa.  Nulla  è  meno  assoluto  e  più 
soggetto  a  variazioni  che  il  risultato  dell'induzione. 


Francesco  Gnecchi. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  EOIANI 
LEONE  Vffl  (ritenuto  antipapa)  E  GIOVANNI  XIII 

ANNI  dell'Era  cristiana  963-972 


Tutti  coloro,  che,  dal  Vignoli  (1709)  al  Promis 
(1858),  hanno  pubblicato  illustrazioni,  od  anche  sem- 
plici descrizioni,  delle  monete  pontificie,  che  lo  stesso 
Vignoli  chiamò  antiquiori  (1),  attribuiscono  a  papa 
Leone  Vili  le  tre  che  vengono  riprodotte  nella 
tav.  I,  fìg.  1,  2  e  3.  Non  tutti  concordano  egualmente 
sulla  spettanza  di  quelle  che  pur  si  riproducono  nella 
stessa  tavola  fig.  4  e  5. 

Frattanto  però  le  une  e  le  altre,  specialmente 
nel  dritto,  presentano  molte  singolarità,  capaci  a 
distinguerle  assolutamente  da  tutte  le  altre  della 
serie.  Quali  le  ragioni  di  quei  tipi  così  straordinari  ? 


(1)  a  più  chiara  intelligenza  si  avverta  che  per  divisione  fattane  da 
Vignoli,  Fioravanti  e  Scilla,  le  monete  pontifìcie  si  distinguono  in  tre  serie  : 
antiquiori ,  antiche  e  nuove.  Le  prime  comprendono  tutte  le  anteriori  al 
secolo  XIV  :  le  seconde  quelle  spettanti  ai  papi  da  Benedetto  XI  (1B03)  a 
Clemente  VII  (1534):  le  ultime  da  Paolo  HI  (1534)  fino  ai  nostri  giorni, 
che  però  lo  Scilla  suddivide  ancora  in  vecchie  da  Paolo  III  ad  Urbano  Vili, 
ed  in  nuove  da  Innocenzo  X  in  appresso. 


52  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


Inutilmente  si  ricercano  negli  scritti  degli  illustra- 
tori, anche  più  accurati  ed  eruditi,  fra  i  quali  pri- 
meggia indubbiamente  il  Promis.  Eppure  le  diffe- 
renze sono  tante,  e  cosi  salienti,  da  non  potersi  am- 
mettere che  siano  dipendenti  dal  caso  o  dal  fatto 
dello  zecchiero  in  un'epoca,  nella  quale  la  sorpren- 
dente uniformità  dei  tipi  monetari ,  anche  nella 
rozzezza,  dimostra  la  mancanza  di  ogni  iniziativa 
nello  artefice,  e  la  intera  partecipazione  di  lui  alla 
generale  ignoranza  di  quei  secoli. 

E  le  ragioni  possono  solo  ricercarsi  nelle  con- 
dizioni dei  tempi,  nei  fatti  che  si  compievano  allora 
che  le  monete  venivano  battute.  Ricerca  ardua  ve- 
ramente, perchè  poche  sono  le  notizie  fino  a  noi 
pervenute,  e,  peggio  ancora,  varie  di  esse  presentano 
dubbiezze  non  lievi ,  altre  appariscono  erronee.  Ma 
perciò  appunto  lo  studio  che  se  ne  faccia  riesce 
maggiormente  utile,  perchè  il  documento  irrefraga- 
bile della  moneta,  messo  a  confronto  de'  fatti  sto- 
rici conosciuti,  giova  a  nuova  conferma  dei  già  ac- 
certati, a  dilucidazione  dei  dubbi,  a  rettificazione 
degli  errati,  a  diradare  insomma  le  fitte  tenebre  di 
un'epoca,  pure  importantissima  per  noi,  in  quanto  ha 
preceduto  immediatamente  la  nostra,  ed  indica  le 
cause  e  lo  svolgersi  di  quella  evoluzione,  che  ci  ha 
poi  condotto  al  risorgimento. 

Le  tre  prime  monete  portano  tutte  il  nome  di 
un  Papa  Leone,  ma  apparterranno  veramente  alVot- 
favo,  cui  finora  sono  state  attribuite,  senza  però  di- 
mostrazione veruna  ?  prima  necessarissima  indagine, 
sola  capace  ad  evitare  fantastiche  deduzioni,  è  quella 
di  confrontare  il  documento  monetario  colle  me- 
morie storiche  pervenuteci.  Due    di    quelle    monete 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  53 

(fìg.  1  e  2),  oltre  il  nome  del  papa ,  portano  pure 
quello  di  Ottone.  La  cronologia  accertata  dei  Papi 
ne  assicura,  che,  sotto  lo  impero  degli  Ottoni,  nes- 
suno ebbe  il  nome  di  Leone  ,  all'  infuori  di  quello 
assunto  al  Pontificato  dal  Concilio  convocato  da  Ot- 
tone I,  il  grande,  nel  novembre  dell'anno  968,  che 
depose  l'ancor  vivente  papa  Giovanni  XII.  Questo 
appunto  è  1'  Vili  di  tal  nome  nella  serie  de'  papi  ; 
nessun  dubbio  adunque  sulla  retta  attribuzione  a 
lui  ed  all'epoca  sua  delle  due  monete  col  nome  di 
Ottone.  Manca  questo  nome  nella  terza,  la  quale, 
inoltre,  differisce  nella  leggenda  del  dritto,  e  nella 
maggiore  ruvidezza  dell'intero  conio  :  occorre  dunque 
una  speciale  dimostrazione,  della  quale  potrà  trat- 
tarsi più  innanzi,  se  ed  in  quanto  le  ricerche  da 
farsi  per  le  altre  potranno  condurre  a  determinar 
l'epoca  anche  di  questa. 

Se  Leone  Vili  fu  spinto  alla  sede  pontificia,  vi- 
vente tuttora  papa  Giovanni  XII,  che  la  occupava 
da  oltre  sette  anni ,  è  evidente  che  le  vicende  di 
quello  si  collegano  essenzialmente  e  quasi  s'innestano 
ai  fasti  di  questo  ;  ne  riesce  possibile  apprezzare  de- 
bitamente le  une,  senza  un  richiamo,  almeno  som- 
mario, degli  altri  più  salienti  e  meglio   accertati. 


54  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


CENNI     STORICI. 


Per  unanime  attestazione  di  tutti  gli  storici, 
Giovanni  XII  è  figlio  di  quel  marchese  Alberico,  il 
quale,  profittando  della  lunga  vacanza  dell'impero 
cosi  detto  dei  Romani  (riproduzione  delFimpero  di 
occidente  fatta  dai  Papi)  avvenuta  fino  dall'anno 
924  con  la  morte  del  primo  Berengario,  si  fece  ti- 
ranno di  Roma,  usurpandone  la  Signoria,  e  giunse 
sino  al  punto  da  ottenere  nelle  monete  pontificie  , 
col  titolo  di  principe,  il  posto  che  prima  vi  avevano 
gli  imperatori  :  lo  accertano  indubbiamente  le  mo- 
nete dei  papi  Marino  II  e  Agapito  II  riportate  dal 
Promis.  Morì  Alberico  nel  954,  ed  il  figlio  di  lui 
Ottaviano,  o  per  volontà  manifestata  dal  padre,  o 
per  suo  proprio  impulso,  s'impossessò  della  Signoria 
di  Roma,  tuttoché  anco]*  minorenne  e  già  chierico. 
Mancò  pur  di  vita  l'anno  appresso  (955)  papa  Aga- 
pito II,  e  il  chierico  minorenne  Ottaviano  seppe 
cosi  bene  profittare  della  potenza  a  lui  attribuita 
dalle  tiranniche  tradizioni  paterne,  e  dalla  assunta 
Signoria,  che  in  dodici  giorni  (secondo  afferma  il 
Promis)  si  fece  eleggere  Papa  ;  e  volle  come  Pon- 
tefice essere  chiamato  Giovanni. 

Fu  il  primo  tra  i  papi  a  cambiar  nome  nello 
assumere  il    pontificato  :    quale    la    ragione  ?   se   ne 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,   ECC.  55 

adducono  varie.  Non  parve  a  lui  che  il  nome  di 
Ottaviano  rispondesse  alla  maestà  della  religione, 
secondo  il  Fioravanti  0-)  :  perchè  potesse  dirsi  di  lui  : 
fm't  homo  missiis  a  Deo^  cui  nomen  erat  Joannes^  come 
pensa  il  Palazzi  (2)  :  egh,  che  era  già  signore  di 
Eoma  prima  di  salire  al  pontificato,  volle  servirsi  di 
due  nomi,  cioè  di  Ottaviano  nelle  cose  temporali,  e 
di  Giovanni  nelle  spirituali,  così  afferma  il  Mura- 
tori (^).  La  espressione  aggiunta  dal  Palazzi  W  :  sed 
fcedior  factus  in  omnem  Joannes  erupit  libidinem,  ac- 
certa quasi,  che  nessun  alto  ideale  di  religione,  o  di 
maestà  della  Chiesa  e  del  sommo  pontificato,  con- 
corse nella  determinazione  del  cambiamento  di  nome. 
Resta  invece  ammissibile  l'affermazione  del  Mura- 
tori, anche  perchè  sostenuta  da  varie  circostanze  di 
fatto. 

Il  neo-papa  conosceva  bene,  che  i  mezzi  usati 
per  salire  allo  alto  posto,  e  l'età  sua  minorenne, 
rendevano  illegittima  e  nulla  la  elezione  (^).  Egli 
quindi  prudentemente  prevedendo  la  possibile  eve- 
nienza nella  quale  lo  imposto  favore,  che  oggi  lo 
aveva  innalzato,  potesse  domani  scemare  o  cam- 
biarsi in  opposizione,  volle  bene  conservar  distinte 
le  due  potestà,  per  diverse  vie  conseguite^  onde  non 
perderle  entrambe,  se  dall'ultima  dovesse  pur  de- 
cadere. 


(1)  Fioravanti,  Parte  I,  pag.  74. 

(2)  Palatii,  Gesta  Pontificum,  Voi.  Il,  col.  120. 

(3)  Muratori,  Annali,  anno  956,  pag.  209. 

(4)  Palatii,  1.  e. 

(5)  E  nulla  era  veramente,  benché  poi  tollerata  come  legittima,  eo 
voto,  quo  scBculum  exigehat  nefartum,  tyrannos  etiam  prceterire,  ne  unita^ 
9ctnderetur  ecclesim,  Palatii,  1.  e. 


56  TARQUINIO  GENTILI  DI   ROVELLONE 


La  quale  interpretazione  è  sorretta  dal  fatto 
che  Giovanni  XII,  solo  fra  tutti  i  papi,  volle  ag- 
giunto nelle  sue  monete  il  titolo  di  Domnus  (l).  Per 
gli  altri  è  bastato  segnar  nelle  monete  Papa  onde 
indicare  la  unione,  che  ritengono  indissolubile,  della 
potestà  civile  con  la  religiosa.  A  Giovanni  XII  non 
basta  Papa;  vuole  aggiunto  Domnus^  al  preciso  scopo 
di  tener  disgiunte  le  due  potestà.  Scopo  ben  giusti- 
ficato per  un  Ottaviano  figlio  e  successore  di  quel- 
TAlberico,  che,  fattosi  tiranno  di  Roma,  potè  poi 
affermarne  la  Signoria  o  il  principato  nelle  monete 
dei  due  papi  Marino  II  ed  Agapito  II,  come  già  si 
è  accennato. 

Somma  fallacia  della  umana  previdenza  !  La 
prima  a  pericolare  per  papa  Giovanni  fu  proprio  la 
potestà  civile,  in  parte  oppressa ,  in  parte  minac- 
ciata dai  re  d'Italia  Berengario  II  e  suo  figlio  Adal- 
berto. Ed  ecco  che,  non  Ottaviano,  Signore  di  Roma, 
ma  Giovanni,  papa,  manda  ambasciatori  ad  Ottone 
re  di  Germania,  con  promessa  della  corona  impe- 
riale, se,  previo  giuramento,  fosse  sceso  in  Italia  a 
liberare  la  Chiesa  dalla  tirannide  che  la  opprimeva, 
e  a  restituirle  la  pristina  libertà  (2).  Ed  Ottone  venne. 
Intraprese  la  guerra  per  la  conquista  del  Regno 
d'Italia,  e  cinse  con  grande  solennità  la  corona  im- 
periale. E  allora  con  formale    stipulazione,    affidata 


(1)  Domnus  (non  Doininus,  vedasi  la  nota  1  a  pag.  74;  titolo  or  di  onore 
or  di  potestà,  nello  stesso  doppio  significato,  benché  meno  esteso,  dell'odierno 
Signore,  Il  Cinagli,  seguendo  l'Argelati  ed  il  Fioravanti,  attribuisce  a 
ciascuno  de' papi  Giovanni  XI  e  Giovanni  XIII  una  moneta  col  Domnus; 
il  Promis  giustamente  le  rivendica  a  Giovanni  XIL 

(2)  Palatii,  1.  e.  col  121. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  57 

ad  imp.  diploma  (1)  13  febbraio  962,  promette  e  giura 
di  difendere  e  conservare  a  favore  della  S.  Chiesa  e 
della  Sede  pontifìcia  (non  già  di  Ottaviano  signore 
di  Roma)  tutto  ciò  die  fino  ad  ora  avea  posseduto 
o  ritenuto  sotto  la  sua  potestà  e  giurisdizione,  a 
cominciare  dalla  Città  di  Roma,  suo  ducato,  terri- 
torio^ ecc.  ecc. 

La  fermezza  di  Ottone  nel  giuramento  prestato, 
nelle  promesse  fatte  intorno  alla  tutela  dei  beni,  dei 
diritti  e  delle  giurisdizioni  della  Chiesa,  riuscì  fatale 
al  volubile  papa  Giovanni.  Anch'egli  alla  sua  volta 
giurò,  i]isieme  al  popolo  romano,  di  non  mai  acco- 
gliere, avere  aderenze,  prestare  aiuto  ai  deposti  re 
Berengario  ed  Adalberto  (2).  Dopo  pochi  mesi,  e 
mentre  Ottone  combatteva  ancora  per  riacquistare 
le  terre  dalla  Chiesa  perdute,  Giovanni  XII  entrò 
in  trattative  con  Adalberto,  congiurando  per  la  cac- 
ciata dello  straniero  Ottone,  e  riconoscendo  nuova- 
mente Berengario,  già  marchese  d'Ivrea,  quale  Re 
italiano.  Per  questa  via  il  Sigonio  (^)  vuole  atte- 
nuare la  brutta  defezione,  non  pensando  esser  diffi- 
cile persuadere  che  nell'animo  del  figlio  di  Alberico 
potessero  nutrirsi  alti  sentimenti  di  patria  e  di  na- 
zionalità ! 

Frattanto  i  romani  stessi  divennero  stanchi  della 
dissoluta  e  scandalosa  vita  del  giovane  papa,  e 
mentre  avvertivano  l'Imperatore  della  congiura  con 
Adalberto^  gli  facevano  pur  considerare  come  a  lui 
toccasse,  per   le    fatte    promesse,    provvedere    seria- 


(1)  Lo  stesso  Palazzi  lo  riporta  por  intero  alla  col.  122. 

(2)  Palatii,  1.  e.  col.  122.  —  Muratori  alFanno  962,  pag.  231  ed  altri. 

(3)  Palatii,  1.  e.  col  125. 


58  TARQUINIO  GENTILI    DI  ROVELLOKE 

mente  al  decoro  della  Chiesa  romana  (i).  Pericolava 
ormai  per  Giovanni  XII  la  male  acquistata  potestà 
religiosa,  trascinando  seco  la  riunitavi  potestà  civile, 
non  ostante,  e  per  fatto  anzi  della  potenza  straniera 
chiamata  a  sostener  Funa  e  l'altra  ! 

Il  mite  Ottone  volle  da  principio  molto  conce- 
dere all'età  giovanile.  Puer  est,  egli  disse,  facile  ho- 
norum iramutahitur  exemplo  virorum,  e  spedì  suoi 
messi  al  papa  per  ammonirlo  (2).  E  i  messi  dovettero 
anche  meglio  accertare  la  gravità  dei  fatti,  la  mise- 
randa condizione  delle  cose  di  Roma.  Anche  il  Papa 
mandò  ad  Ottone  i  suoi  nunzi  con  larghe  promesse 
di  correzione.  Non  andò  però  molto,  e  Giovanni  XII 
invitava,  e  riceveva  in  Roma  con  gran  pompa  il  già 
re  Adalberto,  e  ciò  decise  Ottone  a  recarvisi  con 
parte  delle  sue  truppe,  cedendo  finalmente  alle  ri- 
petute istanze  di  ogni  ordine  di  cittadini. 

Al  giungere  dello  Imperatore  il  Papa  fuggi  con 
Adalberto.  Ottone,  benché  istigato  da  insistenti  pre- 
ghiere dei  romani,  nessun  provvedimento  volle  pren- 
dere, ma  consenti  alla  riunione  di  un  concilio,  nel 
quale  invitato  il  Papa,  si  giudicasse  sulla  condotta 
di  questo,  sul  modo  di  riparare.  E  il  Concilio  ebbe 
luogo  nel  novembre  dell'anno  963  ;  numerose  e  gra- 
vissime furon  le  accuse  contro  il  Papa,  che  ricusò 
di  presentarsi,  e  condannò  la  riunione  :  egli  nondi- 
meno fu  deposto  e  nei  primi  giorni  di  dicembre  fu 
eletto  nuovo  Papa  ad  una  voce,  Leonem  S.  R.  ec- 
clesice  prothoscriniarhtm  (^). 


(1)  Muratori,  1.  e.  pag.  239. 

(2)  Muratori,  ivi.  Palazzi  1.  e. 

(3   Palatii,  1.  e.  col.  127  e  segg.,  ove  è  riportato  lo  intero  atto. 


LE  MONETE  DEI    PONTEFICI   ROMANI,  ECC.  59 

Il  nuovo  eletto  fu  subito  consacrato,  e  senza 
seguire  l'esempio  dato  per  primo  da  Giovanni  XII, 
conservò  il  proprio  nome  di  Leone ^  ottavo  fra  i  Pon- 
tefici di  tal  nome  (1).  Il  Papa  deposto  tenne  ferma  la 
sua  opposizione  al  Concilio  e  allo  Imperatore  che  lo 
aveva  riunito.  Lontano  da  Roma  egli  preparava  la 
rivendicazione  a  favor  suo  ,  la  più  feroce  vendetta 
contro  Leone  ed  Ottone. 

Quest'ultimo  volle  passare  il  Natale  in  Roma, 
ma  frattanto  rimandò  buona  parte  delle  sue  schiere 
a  raggiunger  le  altre  ancora  occupate  ad  espugnar  le 
fortezze  tenute  da  Berengario  e  da  Adalberto.  Seco 
trattenne  a  propria  guardia  poca  truppa,  ma  scelta. 
Al  vigile  Giovanni  parve  il  momento  opportuno  per 
liberarsi  con  un  colpo  solo  dello  imperatore  e  del 
novello  Papa.  Fu  ordita  e  assai  ben  preparata,  entro 
le  stesse  mura  di  Roma,  una  ribellione  armata.  In 
tal  modo,  Giovanni  XII  attentò  perfino  alla  vita  di 
colui,  che  appena  due  anni  innanzi  aveva  chiamato 
dalla  Germania  e  incoronato  Imperatore  per  ispon- 
tanea  sua  volontà.  Sostennero  la  congiura,  colla  ri- 
bellione armata,  tutti  gli  ordini  di  quel  popolo,  che 


(1)  Nessuno  degli  otto  papi  ed  antipapi,  immediatamente  succeduti  a 
Giovanni  XII,  cambiò  nome  nell'assumere  il  Pontificato,  e  ciò  prova  che 
l'esempio  non  poteva,  o  non  doveva  imitarci  in  ragione  dello  scopo  che  lo 
aveva  determinato.  Nel  984  fu  eletto  papa  Pietro  vescovo  di  Pavia,  che 
volle  chiamarsi  Giovanni  e  fu  il  XIV  di  tal  nome.  In  questo  caso  si  com- 
prende facilmente  la  ragione  del  cambiamento,  che  certo  fu  il  rispetto  do- 
vuto al  primo  papa  S.  Pietro.  Questa  volta  l'esempio  fu  seguito  volonta- 
riamente da  tutti  fino  a  Sergio  17,  (anno  1009)  nel  qual  tempo  una  co- 
stituzione prescrisse  il  cambiamento  di  nome,  basandosi  su  quelli  ideali 
religiosi  che  sicuramente  non  erano  nella  mente  di  Giovanni  XII. 

La  costituzione  è  rammentata  dal  Palazzi  1.  e.  col.  205. 


6Ò  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 

due  anni  prima  acclamò  il  novello  imperatore  ;  che 
un  sol  mese  innanzi  avea  implorato  l'aiuto  di  questo 
per  liberarsi  dal  papa  che  accusava  come  tiranno  e 
come  indegno  dell'alto  suo  posto  a  causa  di  depra- 
vata condotta  ;  che  aveva  quasi  imposto  la  sostitu- 
zione di  Leone  Vili,  ed  applaudito  ad  essa.  Tre- 
mendo insegnamento  storico,  certo  non  unico,  anzi 
non  raro  ;  ma  pur  singolare  nel  caso,  e  maggiormente 
istruttivo,  per  la  doppia,  rapidissima  evoluzione  dal 
favore  all'odio,  cosi  del  popolo,  come  del  tiranno 
che  l'opprimeva,  e  tanto  nei  rapporti  fra  loro,  quanto 
con  i  terzi  interposti. 

Ottone  I  il  grande  affrontò  la  ribellione  :  i  non 
molti,  ma  fedeli  ed  agguerriti  militi  della  sua  guardia 
la  combatterono  cosi  da  mettere  in  fuga  i  ribelli,  da 
far  di  essi  orribile  strage,  cessata  solo  ad  interposi- 
zione del  mite  Leone  Vili.  L'Imperatore  volle  aver 
fiducia  ancora  una  volta  nelle  promesse  dei  Romani  : 
perdonò  loro  ,  restituendo  anche  i  presi  ostaggi ,  e 
raccomandato  alla  lor  fede  il  suo  papa  Leone,  lasciò 
Roma,  per  condursi  a  finirla  una  volta,  come  presto 
fece,  colle  ultime  resistenze  dei  già  re  Berengario 
ed  Adalberto  (i). 

E  Giovanni  XII  prosegue  a  congiurare  per  di- 
sfarsi di  Leone  Vili  ;  e  il  figlio  di  Alberico,  tiranno 
di  Roma,  sa  bene  scegliere  il  mezzo  e  cogliere  il  mo- 
mento per  rendere,  all'uopo,  il  popolo  romano  nuo- 
vamente fedifrago  verso  di  Ottone.  Dopo  oltre  nove 
secoli  riesce  forse  impossibile    rintracciare    i    mezzi 


(1)  Muratori,  1.  e.  pag.  244.   —   Palatii,  1.  e.  col.   134 ,  e  tutti  gli 
storici  e  cronisti  concordano  sui  fatti  or  narrati. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI   ROMANI,  ECC.  61 

usati  ;  è  facile  però  riconoscere  che  il  momento  op- 
portuno era  quello,  nel  quale,  Roma  restava  libera 
dalle  milizie  imperiali,  perchè  tutte  impegnate,  col 
loro  duce  supremo,  in  due  fazioni  decisive  nel  du- 
cato di  Spoleto  e  Camerino^  e  nel  Montefeltro  sotto 
la  rocca  di  S.  Leo.  Trascorsi  difatto  non  molti  giorni 
dalla  partenza  di  Ottone,  i  Romani  stessi  introdus- 
sero Giovanni  XII  nella  città  e  subito  potè  egli 
esercitare  barbare  vendette  su  Cardinali,  Vescovi  e 
cittadini  a  lui  contrari  (1).  In  gravissimo  pericolo  si 
trovò  Leone ,  che  però  ebbe  la  fortuna  di  poter 
fuggire  in  tempo  da  Roma,  benché  spogliato  di  tutto 
e  ricoverarsi  al  Campo  dello  Iraperatore  ^2).  Rientrato 
Giovanni  XII  nel  suo  pieno  potere,  li  26  febbraio 
964,  radunò  un  Concilio  nel  quale  si  dichiarò  Leone 
occupatore  illegittimo  della  Sede  pontificia  e  si 
annullarono  tutti  gli  atti  di  lui  (^) 

Tali  nuovi  fatti  dispiacquero  assai  ad  Ottone, 
il  quale  pensò  subito  a  formare  l'esercito  per  la  spe- 
dizione contro  Roma.  Qui  però  non  doveva  più  tro- 


(1)  In  tutto  come  alla  nota  precendente. 

(2)  Muratori,  1.  e.  pag.  245.  Palatii,  1.  e.  col.  134. 

(3)  Quale  de'  duo  Papi  era  veramente  legittimo  ?  Certo,  che  Giovanni 
non  può  ritenersi  eletto  legittimamente,  ma  soltanto  legittimato.  (V.  la 
nota  5  a  pag.  55).  Ed  a  leggittimarlo  contribuì  il  Concilio  del  novembre 
963,  quando  dichiarò  Giovanni  deposto  dal  papato,  non  già  illegalmente 
eletto.  D'altronde  era  nello  interesse  dello  Imperatore  non  mettere  neppure 
in  dubbio  la  legittimità  del  Pontefice  che  gli  aveva  dato  la  corona,  e  con 
essa  il  potere  di  difensore  della  Chiesa.  Questo  potere  dava  la  forza  al 
Concilio  per  liberar  la  Chiesa  da  un  papa  indegno,  ma  lo  metteva  in  una 
aperta  contradizione.  Conseguenza  di  che  fu  che  il  Concilio  del  novembre 
963  si  ritenesse  non  ingiustamente  un  conciliabolo,  e  Leone  Vili  intruso, 
od  Antipapa. 


62  TARQUINIO  GENTILI   DI   ROVELLONE 

vare  Giovanni  XII,  che  nel  suo  ottavo  anno  di 
Pontificato,  e  tutto  al  più  nel  26°  di  sua  età,  mi- 
seramente mori  nei  primi  del  mese  di  maggio  964. 
Quale  la  causa  della  morte  di  lui  ?  forse  misteriosa 
e  perciò  stesso  molto  contradetta  !  Non  improbabile 
però  la  accennata  da  qualche  antico  scrittore  ger- 
manico^ la  vita,  cioè,  troppo  giovanilmente  sfrenata. 

La  morte  di  papa  Giovanni  non  ricondusse  i  Ro- 
mani alla  fede  ripetutamente  promessa  a  Leone  Vili 
ed  allo  Imperatore  :  tutt'altro  !  Essi  non  ebbero  che 
un  sol  pensiero  ;  quello  di  scegliere  un  altro  papa, 
che  fu  consacrato  sul  finire  dello  stesso  mese  di 
maggio,  e  che  ottenne  da  tutto  il  popolo  giura- 
mento di  fedeltà,  e  solenne  promessa  di  aiuto  e  di- 
fesa contro  il  potente  Imperatore.  Lo  innalzato  al 
Pontificato  si  chiamò  Benedetto  V,  perchè  la  ele- 
zione cadde  su  quel  Benedetto  cardinale  arcidiacono 
che  nel  Concilio  del  novembre  963  figurò  tra  i  prin- 
cipali accusatori  di  Giovanni  XII,  e  prese  parte  al 
voto  unanime  che  volle  la  deposizione  di  questo  e 
la  sostituzione  di  Leone.  Apparisce  ciò  chiaramente 
dagli  atti  di  quel  Concilio  riportati  per  intero  dal 
Palazzi  nella  sua  opera  tante  volte  richiamata.  Da 
così  strana  confusione  di  idee  ;  da  tale  continua  mu- 
tabilità e  contraddizione  di  propositi^  può  ben  de- 
dursi  a  quale  livello  di  degradazione  avesse  abbas- 
sato la  vita  sociale  la  quasi  incredibile  ignoranza 
di  quei  secoli  ! 

Crebbero  naturalmente  le  ire  di  Ottone,  offeso 
dai  Romani  con  tre  atti  di  ribellione  in  sei  mesi  e 
non  indugiò  egli  a  condurre  nuovamente  il  suo  eser- 
cito sotto  le  mura  di  Roma.  Non  potè  subito  pene- 
trarvi per  altro,  perchè  questa  volta  il  popolo  tenne 


LE   MONETE   DEI   PONTEFICI   ROMANI,  ECC»  63 

fede  alle  promesse  fatte  a  Benedetto  V  :  eran  forse 
troppo  recenti  !  Fa  necessario  un  formale  assedio 
con  uso  di  petriere  ed  altre  macchine  da  guerra 
e  collo  impedire  la  entrata  di  ogni  sorta  di  viveri. 
In  breve  tempo  i  romani  furono  costretti  ad  arren- 
dersij  ed  il  23  giugno  .964  Ottone  I  entrò  in  Roma 
e  la  occupò  coir  esercito  vincitore. 

Il  primo  atto  fu  naturalmente,  di  rimettere  al 
suo  posto  il  papa  Leone  Vili.  E  poiché  occorreva 
provvedere  al  nuovo  papa  Benedetto,  che,  seguendo 
la  sorte  toccata  al  popolo,  aspettava  gli  eventi,  fu 
convocato  un  nuovo  Concilio,  anche  allo  scopo  di 
discutere  i  mezzi  adatti  ad  assicurar  l'ordine  per  lo 
avvenire  e  la  stabilità  della  Sede  pontifìcia. 

Intervenne  al  Concilio  anche  papa  Benedetto, 
il  quale,  redarguito  perchè  avesse  usurpato  il  papato 
a  danno  di  Leone,  alla  cui  elezione  aveva  concorso 
col  voto  e  colla  opera  sua  ,  ed  al  quale  avea  pur 
giurato  fedeltà,  null'altro  ebbe  a  ripetere  che  questo  : 
se  ho  errato,  abbiate  misericordia  di  me.  E  bastò.  Ebbe 
luogo  per  lui  una  vera  pubblica  degradazione,  perchè 
fu  spogliato  degli  abiti  pontificali,  coi  quali  era  in- 
tervenuto al  ConciUo,  e  dovè  consegnare  il  pasto- 
rale a  Leone,  che  fattolo  spezzare,  ne  mostrò  al 
popolo  i  rottami  (^).  Ed  ecco  il  terzo  Papa  che  ve- 
niva deposto  nel  breve  tempo  trascorso  dal  novembre 
963  al  giugno  964  !  Strani  tempi  davvero,  e  più  che 
strani,  incomprensibili  !  Si  accordò  a  Benedetto  di 
restare  nell'ordine  dei  diaconi,  ma  collo  esilio  in 
Germania. 


(1)  Palatii,  1.  e,  col,  139.  —  Muratori,  ].  e.  pa^.  247, 


64  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


In  quanto  ai  provvedimenti,  per  finirla  una  volta 
colle  continue  ribellioni  dei  romani,  nulla  di  certo 
ci  hanno  trasmesso  le  cronache.  Soltanto  alcuni  au- 
tori germanici  riportano  atti,  che  denoterebbero 
una  vera  abdicazione  di  potestà  civile  e  religiosa  a 
danno  del  papato  e  a  favore  dello  impero  (i).  Tali 
atti  non  hanno  alcuna  autenticità  ;  anzi  sono  rite- 
nuti apocrifi,  come  ben  lo  dimostra  il  Palazzi.  Né, 
indipendentemente  da  quelli,  è  ammissibile  il  fatto 
del  quale  non  si  fa  mai  più  menzione  in  appresso, 
e  non  mai  lo  stesso  Ottone  I  ha  richiamato  o  fatto 
uso  di  poteri  rinunziati  dal  Pontefice,  neppure  nella 
elezione  del  Papa,  dopo  la  morte  di  Leone  Vili. 

Però  fra  una  formale  abdicazione  del  Papato  a 
favor  dell'Impero,  ed  una  straordinaria,  ed  anche 
amplissima,  delegazione  di  poteri,  specialmente  civili, 
di  Leone  Vili  a  favore  di  Ottone  I  corre  un  gran 
tratto.  Incredibile  e  forse  impossibile  la  prima;  la  se- 
conda, all'  opposto,  apparisce  reclamata  necessaria- 
mente per  sostenere  la  impotenza  del  Papa  da  un 
lato,  il  compromesso  decoro  dello  Imperatore  dall'altro 
di  fronte  al  contegno  riottoso  del  popolo  romano, 
quanto  persistente  nella  ribellione ,  altrettanto  in- 
certo,  indeterminato,  contradittorio  nell'esplicarsi. 

E  che  Ottone  I  assumesse  veramente,  e  facesse 
largo  uso  di  straordinari,  anzi  di  assoluti  poteri  so- 
vrani ih  Roma,  vari  fatti  lo  dimostrano.  Tutti  gli 
storici  affermano  che  Ottone  non  fu  solo  severo,  ma 
quasi  feroce  coi  romani.  E  si  noti  che  entrato  in 
Roma  il    23    giugno,    ne    partiva    poi    subito    dopo 


(1)  Palatii,  1.  e.  col.  131  0  132, 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  65 

S.  Pietro.  Egli  dunque  dovette  lasciar  là  un  governo 
die  a  suo  nome  esercitasse  con  severità  e  fermezza 
la  civile  potestà.  E  lo  prova  il  fatto,  che  i  romani 
subirono  tranquilli  il  Papa  imposto  loro  con  la 
forza,  anche  dopo  partito  Ottone  da  Roma  :  non  ar- 
dirono muoversi,  quando  Tesercito  imperiale  fu  colto 
in  marcia  da  terribile  pestilenza  che  lo  decimò  :  vi- 
dero impassibili  il  ritorno  di  Ottone  in  Germania 
collo  esiliato  Benedetto  V,  commesso,  quasi  prigio- 
niero, alla  custodia  del  Vescovo  di  Amburgo  (i). 

Così  potè  Leone  passare  in  perfetta  quiete  l'ul- 
timo periodo  del  suo  Pontificato  ,  della  breve  du- 
rata però  di  soli  nove  mesi,  che  lo  colse  la  morte 
nei  primi  di  aprile  dell'anno  965  (2).  E  in  tale  in- 
contro si  sperimentarono  anche  meglio  i  buoni  ef- 
fetti del  forte  governo  imperiale.  Non  solo  nulla 
osarono  i  romani  per  provvedere  alla  Sede  Pontifìcia, 
ma  docili  e  sommessi  spedirono  due  ambasciatori  allo 
Augusto  per  conoscere  la  volontà  di  lui,  azzardando 
appena  una  preghiera  pel  ritorno  dello  esiliato 
Benedetto.  Par  che  in  questo  senso  s'intavolassero 
trattative,  che  però  approdarono  a  nulla,  perchè  nel 
frattempo  anche  Benedetto  V  moriva  in  Amburgo. 
L'imperatore  rimandò  gli  ambasciatori  romani  ai  quali 
associò,  nella  qualità  di  suoi  messi,  i  vescovi  Otgiero 
di  Spira  e  Liuzo  o  Lnitprando  (lo  storico)  di  Cremona. 

Giunti  a  Roma  questi  personaggi,  non  si  pensò 
che  alla  elezione  del  nuovo  Papa,  e  nel  settembre  965, 
di  piena  concordia  fra  Clero  e  popolo,  fu  innalzato  al 


(1)  Muratori,  1.  e.  pag.  249. 

(2)  Fioravanti,  parte  I,  pa^.  77. 


TARQUINIO  GENTILI   DI   ROVELLONE 


sommo  Pontificato  il  vescovo  di  Narni  Giovanni^  che 
fu  il  XTTT  di  tal  nome.  Senz'alcuna  ingerenza  dello  Im- 
peratore, il  nuovo  eletto  fu  pur  consacrato.  La  piena 
concordia  nella  elezione  a  nulla  giovò  :  poco  appresso, 
e  di  certo  prima  che  giungesse  al  suo  termine  l'anno 
965,  si  ribellarono  nuovamente  i  romani,  si  imposses- 
sarono di  papa  Giovanni  e  lo  mandarono  esiliato  nella 
Campania. 

I  fatti  storici  fin  qui  riassunti  dimostrano  abba- 
stanza con  quanta  facilità  i  romani  del  secolo  decimo 
si  volgessero  ad  abbatter  coloro  che  ieri  aveano  in- 
nalzato, concordi  e  con  plauso,  al  più  alto  grado  della 
potestà  religiosa  e  civile.  Ciò  però  non  basta  a  spiegare 
il  passaggio,  per  verità  troppo  rapido,  dalla  docile  e 
quasi  umile  e  timorosa  sommissione  alla  autorità  im- 
periale nel  maggio,  e  quindi  a  quella  papale  nel  set- 
tembre, allo  sciogliersi  per  via  di  fatti  violenti  nel 
novembre  dello  stesso  anno,  da  ogni  soggezione  pa- 
pale ed  imperiale.  Non  par  diffìcile  trovare  una  ra- 
gione di  tale  anomalìa,  se  si  esaminino  le  speciali  con- 
dizioni dell'epoca,  per  quanto  assai  poco  chiarite  dalle 
scarse  notizie  fino  a  noi  pervenute. 

Accennano  gli  storici  che  papa  Giovanni  XIII  si 
mostrò  fin  dalle  prime  severo  rivendicatore  di  tutte  le 
giurisdizioni  pontificie ,  forse  anche  a  danno  delle 
usurpate  prerogative  dei  potenti  baroni  ^i).  Questo 
fatto,  congiunto  all'altro  della  libera  scelta  del  Papa 
lasciata  da  Ottone  ai  romani,  valse  senz'  altro  a  di- 
mostrare, che  la  pretesa  abdicazione  di  ogni  potestà 
pontificia  fatta  da  Leone  a  favor  dell'impero  era  stata 


(1)  Muratori,  1.  e.  pa^.  25X. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  67 

divulgata  perchè  sì  credesse,  ma  non  esisteva  real- 
mente (1)  :  che  gli  estesi  poteri  esercitati  da  Ottone  in 
Roma  provenivano  da  personale  delegazione  di  Leone 
venuta  meno  con  la  morte  di  lui.  Non  fu  tanto  quindi 
l'odio  destato  dai  rigori  di  Giovanni  XIII,  che  scosse 
i  romani,  come  crede  il  Muratori,  quanto  il  cessato  ti- 
more d'incontrar  l'ira  del  potentissimo  Imperatore,  che 
se  ne  restava  lontano,  e  parca  indifferente,  nel  suo 
regno  di  Germania,  dopo  morto  Leone  Vili,  il  Papa 
ch'egli  stesso  avea  fatto  eleggere,  e  che  perciò  aveva 
dovuto  sempre  e  ad  ogni  costo  difendere.  Né  bisogna 
negare,  che  la  sperata  indipendenza  dalla  autorità 
imperiale  potesse  ridestar  più  forte  nei  romani  la  ten- 
denza che  ovunque  e  potente  cominciava  a  manife- 
starsi, verso  l'autonomia  e  le  libertà  comunali. 

Errarono  grandemente  i  romani  nel  supporre  la 
indifferenza  dello  Imperatore  nelle  cose  di  Roma.  Ot- 
tone il  grande  non  dimenticava,  e  molto  meno  man- 
cava ai  giuramenti  fatti  nello  assumere  la  corona 
imperiale.  Egli  fu  irritatissimo  della  nuova  ribellione 
e  dopo  la  metà  di  Agosto  dell'anno  966,  mosse  per 
l'Italia  al  doppio  scopo  di  riparare  ai  disordini  di 
Roma,  e  di  combattere  in  Lombardia  le  sedizioni  di 
Adalberto  figlio  di  Berengario.  Il  timore  scosso  da 
errata  supposizione  ritornò  vigoroso  nell'  animo  dei 
romani  di  fronte  alla  realtà  dei  fatti.  Aveva  appena 
Ottone  I  messo  il  piede  in  Italia,  ch'essi  richiama- 
rono spontaneamente  il  Papa,  che  circa  dieci  mesi 
innanzi  avevano,   prima    liberamente    eletto,    poscia 


(1)  È  ben  possibile,  che  i  cronisti  germanici  si  facessero  promulgatori 
di  ciò  che  si  volle  far  credere  ai  romani  por  viemmeglio  tenerli  in  sog- 
gezione. 


68  TARQUINIO  GENTILI   DI    ROVELLONE 

imprigionato ,  ed  infine  esiliato.  E  Giovanni  tornò 
alla  sua  Sede,  e  i  romani,  implorando  perdono,  lo 
accolsero  con  molte  onoranze  (i).  Tutto  ciò  non  bastò 
ad  abbonire  lo  Imperatore,  che  giunto  in  Roma  e 
solennizzato  il  S.  Natale  del  966,  sui  primi  del  967 
fece  severa  giustizia  contro  i  rebelli.  Più  che  severa 
pare  anzi  che  la  giustizia  imperiale  fosse  crudele, 
secondo  che  affermano  i  cronisti,  e  secondo  il  rim- 
provero che  l'imperatore  Niceforo  Foca  ne  fece  ai 
male  accolti  ambasciatori,  mandati  da  Ottone  a  Co- 
stantinopoli per  chiedere  in  isposa  del  figlio  la  prin- 
cipessa Teofania,  figlia  del  già  imperatore  Romano  II, 
e  figliastra  di  esso  Niceforo. 

Ottone  in  seguito  si  dimostrò  sempre  per  papa 
Giovanni  fautore  e  sostenitore  non  meno  fermo  e 
solerte  di  quel  ch'era  stato  per  Leone  Vili.  E  papa 
Giovanni  lo  ricambiava  di  affetto  e  di  intera  comu- 
nanza di  vedute,  tanto  che  egli  stesso  propose  ed 
ottenne  di  chiamare  in  Roma  il  giovane  figlio  dell'im- 
peratore per  dare  anche  a  lui  la  corona  imperiale.  La 
incoronazione  ebbe  luogo,  pomposamente  solenne  , 
nella  basilica  Vaticana  il  di  di  Natale  967,  con  piena 
soddisfazione,  cosi  degl'imperiali,  come  dei  romani  (2). 

Ottone  I  si  trattenne  continuamente  in  Italia 
fino  all'anno  972,  occupato  dal  968  in  appresso, 
anche  a  vendicar  nelle  Puglie  i  rifiuti  ed  i  tradi- 
menti dello  Imperator  d'Oriente.  E  riusci  vincitore,  e 
raggiunse  il  suo  scopo.  Niceforo,  per  istigazione  della 
moglie  sua  Teofanona,  fu  assassinato  da  Zimisce,  che  si 


(1)  Muratori,  1.  e.  pag.  256.  —  Palatii,  1.  e,  col.  146. 

(2)  Muratori,  1.  e.  pag.  264.  —  Fioravanti,  parto  I,  pag.  18. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECO.  69 

impadronì  dell'impero.  Il  nuovo  Augusto  offri  la  pace 
ad  Ottone,  accettandone  per  condizione  il  matrimonio 
di  Teofania  con  Ottone  IL 

La  continua  presenza  in  Italia  dell'Imperatore 
contribuì  senza  meno  a  tenere  in  freno  i  romani, 
tanto  che  in  perfetta  pace  e  tranquillità  potè  passare 
Giovanni  XIII  i  rimanenti  anni  del  suo  pontificato. 
Nulla  anzi  di  notevole  avvenne  in  Roma  in  questo 
tempo,  se  se  no  tolga  il  solenne  e  festeggiatissimo 
matrimonio,  ivi  celebrato  nel  14  aprile  972,  del  gio- 
vane imperatore  Ottone  II  colla  bellissima  principessa 
Teofania.  Pochi  mesi  dopo  il  fausto  avvenimento  Ot- 
tone I  volle  lasciare  l'Italia  per  accompagnare  in  Ger- 
mania il  figlio  e  la  nuora.  Partito  Ottone,  poco  ancora 
sopravvisse  papa  Giovanni,  che  morì  il  6  sett.  dello 
stesso  anno  972;  e  soli  otto  mesi  dopo  (7  maggio  973) 
cessò  pur  di  vivere  il  vecchio  Imperatore. 

Sono  questi  i  fatti  storici  più  salienti  e  meglio 
accertati,  che  avvennero  intorno  alla  epoca  nella 
quale  furono  battute  le  monete  da  esaminarsi.  Resta 
a  vedere  se  e  come  queste  illustrino  la  storia  da  noi 
conosciuta,  e  reciprocamente  vengano  illustrate  da 
essa.  Esame  importante  ,  anche  perchè  le  monete  , 
delle  quali  si  tratta ,  presentano  forme  e  caratteri , 
affatto  singolari  e  senza  confronti  in  tutte  le  altre 
pontificie  antiquiori.  Agli  accennati  eventi  di  certo 
non  ordinari ,  corrisponde  la  straordinarietà  delle 
monete:  primo  argomento  per  ritenere  che  queste 
appartengano  ai  Papi  ai  quali  si  attribuiscono ,  ed 
all'epoca  trascorsa  dal  963  al  972. 


70  TARQUINIO  GENTILI   DI  ROVELLONE 


IL 
Le  monete  di  Leone  Vili. 


Le  due  prime  (Tav.  I,  fig.  1  e  2)  hanno  eguale 
la  leggenda  nel  dritto  LEONI  PÀP.  OTTO  segnata  nel 
campo  in  tre  righe  divise  da  due  sbarre  orizzontali  : 
nel  rovescio  hanno  ugualmente  la  mezza  figura  di 
S.  Pietro,  ma  con  diversa  corona  nella  testa,  e  la 
prima  ha  le  sole  lettere  P.  S.  {Petrus  Sanctus)  che 
accostano  la  mezza  figura,  l'altra  ha  P  •  SCS. 

Prima  singolarità  da  notarsi  è  la  mancanza 
della  crocetta,  specialmente  nel  dritto.  Era  costume 
allora  di  premetter  il  segno  di  croce  ad  ogni  scrittura 
e  al  proprio  nome  scritto  W.  Dopo  Costantino  Magno 
poi  tutti  i  principi  cristiani  del  medio  evo  lo  scolpi- 
rono nelle  monete.  Non  mai  manca  nelle  pontificie 
antiquiori^  (2)  almeno  in  una  delle  due  leggende,  e 
proseguì  pure  il  costume  presso  che  in  tutta  la  co- 
niazione delle  antiche.  Non  è  possibile    rintracciare 


(1)  Fioravanti,  pag.  5.  —  Lo  conservano  tuttora  i  Vescovi  nelle  loro 
soscrìzionL 

(2)  Solo  in  una  moneta  di  Gregorio  IV  (anni  828-844)  riportata  dal 
Promis  nella  tav.  II,  n.  10,  manca  affatto  la  crocetta,  sostituita  tanto  nel 
dritto  che  nel  rovescio  da  una  stella  di  otto  raggi.  Ma  ha  la  sua  speciale 
ragione  che  potrà  apparire  nella  illustrazione  ^che  forse  si  farà  di  quella 
moneta. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,   ECC.  71 

una  ragione  che  l'abbia  fatta  pensatamente  soppri- 
mere :  forse  la  cosa  avvenne  casualmente  ,  e  di  ciò 
si  tornerà  a  parlare  nella  illustrazione  della  terza 
moneta  di  Leone.  Il  fatto  della  mancanza,  comunque 
avvenuto,  può  bene  dar  sospetto  che  le  due  monete 
non  siano  state  coniate  per  ordine  del  Papa.  Se  tutti 
i  principi  cristiani  ammettevano  nelle  loro  monete 
quel  segno  :  se  questo  non  era  mai  mancato  nella 
monetazione  pontificia  antecedente,  non  è  certo  pre- 
sumibile, che  ne  consentisse  la  soppressione,  in  due 
coni  diversi,  Leone  Vili,  riconosciuto  come  buono  e 
pio  da  quelli  stessi  che  lo  annoverano  fra  gli  antipapi. 

Le  due  monete  presentano  tutto  intero  il  dritto 
occupato  dalla  leggenda  in  tre  righe  orizzontali, 
esempio  unico  nelle  antiqidori  dopo  la  regolare  mone- 
tazione incominciata  da  papa  Adriano  I  (a.  772-795) 
a  seguito  della  donazione  rinnovata ,  o  confermata 
da  Carlo  Magno  nell'anno  774.  E  questa  nuova,  ec- 
cezionalissima  variante,  innalza  a  grave  indizio  lo 
accennato  sospetto,  che  la  coniazione  non  sia  stata 
fatta  per  ordine  del  Papa.  Non  si  saprebbe  davvero 
trovare  ragione  per  la  quale  questi  volesse  cambiare 
così  radicalmente  la  forma  adottata  da  tutti  i  suoi 
antecessori. 

E  il  grave  indizio  trova  nuova  conferma  in  altra 
omissione,  certo  non  comune  in  quei  tempi.  Nelle  due 
monete  non  si  trova  segnato  il  nome  di  Roma,  Ep- 
pure Leone  Vili,  cacciato  di  là,  quasi  appena  eletto, 
e  dichiarato  anzi  intruso  nel  pontificato,  aveva  tutto 
l'interesse  di  affermar  solennemente  al  ritorno  la  sua 
potestà  sovrana  colla  coniazione  della  moneta,  e  per 
via  di  questa,  la  sua  presenza  in  Roma,  il  suo  inse- 
diamento nella  Cattedra  di  S.  Pietro, 


72  TARQUINIO  GENTILI   DI  ROVELLONE 


Unico  assolutamente  in  tutta  la  serie  delle  an- 
tiquiori  è  il  tenore  della  leggenda  nel  dritto.  Il  nome 
del  Papa  è  espresso  in  dativo:  LEONI  PAP.  Vi  è 
l'esempio  del  genitivo,  specialmente  usato  da  Gre- 
gorio IV,  e  si  comprende.  Quando  eravi  impresso  il 
nome  dell'Imperatore  al  nominativo,  quello  del  Papa 
al  genitivo  significava  ed  affermava  che  la  moneta 
spettava  od  era  battuta  non  già  dal  primo,  ma  dal 
secondo:  —  moneta  di  Gregorio  papa;  —  ma  af- 
fatto incomprensibile  è  il  dativo ,  se  voglia  rite- 
nersi la  coniazione  eseguita  a  nome  e  per  ordine 
del  Papa.  E  molto  più  perchè  al  nome  del  Papa 
segue,  al  primo  caso,  quello  dello  Imperatore  LEONI 
PAP.  —  OTTO  —  E  inammissibile  qualunque  altra 
interpretazione  allo  infuori  di  questa  :  le  monete 
sono  state  battute  non  per  ordine  del  Papa ,  ma 
dello  Imperatore.  Ed  ecco  il  caso  nel  quale  la  moneta 
viene  in  aiuto  della  storia  e  la  chiarisce. 

Alcuni  cronisti  affermano  Tabdicazione  di  Leone 
a  favore  di  Ottone,  che  lo  ricondusse  in  Roma  e  lo 
rimise  nella  sua  sede  di  Pontefice:  altri  assoluta- 
mente la  negano,  come  è  stato  accennato.  Non  vi  è 
dubbio  nondimeno  che  esercitasse  Ottone  grandis- 
sima parte  della  potestà  sovrana,  sia  pure  semplice- 
mente delegata,  ed  ecco  le  monete  a  provarci  che 
si  estendeva  fino  alla  loro  coniazione.  Su  di  quelle 
però  è  anche  impresso,  e  nel  posto  di  onore,  il  nome 
di  Leone,  unito  alla  qualifica  di  Papa  :  e  la  quali- 
fica e  il  nome  sono  cosi  posti  da  far  comprendere, 
che  chi  esercita  quel  potere  non  lo  esercita  per  sé, 
ma  quasi  a  nome  e  per  conto  dell'altro,  cui  offre  o 
dedica  la  moneta  coniata. 

Né  basta,  che  il  nome    e   la   mezza   figura   di 


LE  MONETE   DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  73 

S.  Pietro  nel  rovescio  dimostrano,  anche  più  chia- 
ramente, che  le  monete  spettano  alla  Chiesa  romana, 
al  successor  di  S.  Pietro.  La  prova  è  piena,  e  per 
tali  documenti  il  fatto  storico  resta  interamente 
chiarito.  È  affatto  esclusa  la  supposta  abdicazione 
di  Leone  a  favore  di  Ottone,  ma  non  può  dubitarsi 
della  più  estesa  e  forse  totale  delegazione  per  lo 
esercizio  della  sovrana  potestà  civile. 

Pesta  sempre  incerta  la  ragione  per  la  quale 
l'Imperatore,  sostituendosi  al  Papa  nella  coniazione 
delle  monete,  abbia  voluto  cambiare  così  radical- 
mente il  dritto  di  queste,  da  allontanarsi  del  tutto 
dal  tipo  oltre  secolare  della  monetazione  pontifìcia. 
Forse  fu  a  caso,  forse  avvenne  per  fatto  dello  zec- 
chiere ;  ma  prima  di  pronunciarsi  sarà  bene  com- 
pletare l'esame  delle  monete  di  Leone. 

La  terza  moneta  (Tav.  I ,  ^g.  3)  ha  nel  dritto 
la  leggenda  :  D  —  N  —  LEONI  PAPE  —  in  tre  righe  oriz- 
zontali divise  da  sbarre  :  nel  rovescio  poi  ha  una 
mezza  figura  accostata  dalle  lettere  SCS  —  PETRS 
{Sanctus  Petrus),  Il  tipo  e  la  forma  di  questa  è  per- 
fettamente simile  alle  altre  due,  mentre  quella  forma 
e  quel  tipo  non  si  trova  imitato  nelle  antiquiori,  né 
prima  né  dopo  l'epoca  della  quale  si  tratta.  Primo 
non  lieve  argomento  per  attribuire  anche  questo 
denaro  a  Leone  Vili,  benché  non  porti  il  nome  di 
Ottone.  Anche  qui  manca  la  crocetta  ed  il  nome  di 
Roma.  Però  a  queste  particolarità,  comuni  alle  pre- 
cedenti, se  ne  aggiungono  altre  affatto  proprie. 

Nella  prima  riga  del  dritto  sono  impresse  le 
lettere  d"n.  Il  Promis  legge  Domino  nostro^  il  Fiora- 
vanti semplicemente  Bomno.  La  mancanza  del  punto 
intermedio,  e  la  lineetta  sovrapposta,  che  indica,  non 


74  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 

disgiunzione,  ma  unione  delle  due  lettere,  secondo 
Tuso  dell'epoca,  danno  certo  ragione  al  Fioravanti. 
Anche  perchè  solo  a  Dio  era  allora  riservato  il  titolo 
di  Dommics  e  Imperatori  e  Papi  non  eran  che  Domni, 
come  dimostrano  gli  atti  autentici  pervenutici  senza 
errore  di  copisti  (l).  Giovanni  XII  è  stato  l'unico  Papa 
che  abbia  segnato  il  domnus  nelle  monete,  lo  stesso 
titolo  nella  moneta  in  esame ,  fa  attribuir  questa 
a  quel  Leone  che  immediatamente,  anzi  contempo- 
raneamente gli  successe  nel  pontificato. 

Anche  più  singolare  in  questa  moneta  è  la  roz- 
zezza del  conio,  e  il  disegno  quasi  barbaro  della 
mezza  figura  del  rovescio.  Ciò  non  solo  la  distingue 
dalle  due  precedenti,  ma  ben  anco  dalle  altre  che 
in  quel  tempo  uscivano  dalla  zecca  pontificia,  ed 
autorizza  a  ritenerla  non  battuta  in  Roma.  Se  cosi 
è,  ne  pare  possa  dubitarsene,  deve  pur  ritenersi  fat- 
tane la  coniazione  quando  il  Papa  stette  assente  da 
Roma,  costretto  a  fuggire  per  togliersi  alla  vendetta 
di  Giovanni  XII.  Ma,  fuori  di  Roma,  la  moneta  non 
fu  certo  coniata  per  fatto  e  per  ordine  di  Leone:  ce 
ne  assicura  la  leggenda  del  dritto  al  terzo  caso 
lo  attribuitogli  titolo  di  Domnus,  usato  dal  solo  suo 
predecessore,  e  per  ragione  affatto  speciale,  alla 
quale  Leone,  semplice  primo  archivista  innanzi  di 
esser  Papa,  era  ben  lontano  dal  poter    partecipare. 

Sospetta  il  Promis  che  la  moneta  provenga  da 
qualche  città  del  patrimonio  della  Chiesa,  indipen- 
dente dallo  Imperatore,  nella  quale  il  Papa  si  fosse 


(1)  La  regola  ora  così  espressa  :  «  Coolestem  —  DonUnum  —  terrestrem 
dicito  —  Doinnum.  > 


LE    MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  75 


rifugiato  fuggendo  da  Roma.  Non  pare  ammissibile; 
principalmente  perchè  si  ricercherebbe  invano  la 
ragione  per  la  quale  il  nome  del  Papa  ,  piuttosto 
che  al  nominativo  vi  apparisca  impresso  al  dativo. 
Resta  poi  accertato,  che  Leone  corse  dritto  a  rifu- 
giarsi nel  campo  di  Ottone.  E  vi  giunse,  come  è 
stato  già  notato,  privo  e  spoglio  di  tutto,  di  modo 
ch'egli  dovette  naturalmente  implorare  ogni  sorta  di 
assistenza  e  di  aiuto  dalla  benevolenza  imperiale.  E 
a  seguito  di  questi  fatti  par  davvero  lecito  il  sospet- 
tare che  la  moneta  si  battesse  per  ordine  di  Ottone 
e  dov'egli  esercitava  pieno  e  proprio  dominio. 

In  questo  caso  può  ben  spiegarsi  il  tipo  nuovo 
della  moneta,  notando  poi,  fin  da  ora,  che  questa , 
coniata  nell'assenza  di  Leone,  da  Roma,  avrebbe  pre- 
ceduto le  due  antecedentemente  illustrate  del  Papa 
stesso.  Volle  Ottone  solennemente  affermare,  e  far 
noto  a  tutti,  che  Leone  era  ancora  il  Papa  ricono- 
sciuto, il  successor  di  S.  Pietro,  benché  il  già  de- 
posto Giovanni  si  fosse  nuovamente  assiso  sulla  sedia 
pontificale  :  non  poter  Leone  batter  moneta,  perchè 
fuori  de' suoi  stati  ;  ma  non  esser  così  tapino,  come 
lo  si  era  da  quelli  scacciato,  perchè  altri  la  batteva 
per  lui,  ed  a  lui  la  offeriva.  Così  pare  possa  bene 
spiegarsi  la  novità  del  tipo  ;  la  leggenda  del  dritto 
al  terzo  caso  ;  il  domnus  aggiuntovi,  perchè  adot- 
tato da  Giovanni  XII,  e  quindi  imitato  da  chi  non 
ne  conosceva  il  valore  originariamente  attribuitogli. 
Non  vi  appose  Ottone  il  suo  nome  ,  perchè  avrebbe 
con  ciò  menomata  l'autorità  del  Papa,  in  opposizione 
allo  scopo  propostosi  ;  perchè  non  battea  la  moneta 
per  proprio  conto  e  pel  suo  regno,  ma  per  altro  so- 
vrano e  per  altro  regno.  D'onde  anche  il  tipo  affatto 


76  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


diverso  da  quello  che  Ottone    aveva    prescritto    pei 
suoi  stati. 

È  facile  comprendere  la  mancanza  nella  moneta 
della  parola  Roma  una  volta  che  la  coniazione  av- 
veniva fuori  di  quella  città,  e  del  suo  ducato,  come 
allora  si  diceva.  Era  il  rovescio,  d'altronde^  che  spie- 
gava senza  ombra  di  dubbio,  trattarsi  del  papa  di 
Roma.  E  può  pure  spiegarsi  il  difetto  della  crocetta 
se,  come  è  possibile,  non  debba  attribuirsi  a  dimen- 
ticanza dello  zecchiere.  Si  osservi  che  la  moneta 
riproduce,  può  dirsi,  la  firma  del  sovrano  che  la  fa 
battere,  e  il  costume  era  appunto,  che  alla  firma 
precedesse  sempre  la  crocetta  :  non  è  più  il  caso, 
quando  il  nome  è  scritto  da  altri ,  e  per  di  più  in 
dativo. 

A  confermare  che  la  moneta  sia  stata  battuta 
per  ordine  di  Ottone,  sta  pur  questo,  che  pare  possa 
accertarsi  essere  uscita  dalla  zecca  di  Pavia.  Ferma 
sempre  la  diversità  del  tipo  dalle  pavesi  del  tempo 
di  Ottone  I,  esistono  non  di  meno  varii  segni  e  ca- 
ratteri di  ravvicinamento  e  di  confronto.  Vi  è  prima 
di  tutto  la  rozzezza  del  conio,  e  il  suo  forte  rilievo, 
tutto  adattato  però  alle  monete  più  antiche  di  Lo- 
tario I.  Corrisponde  a  queste  il  diametro  e  forse 
anche  il  peso,  l'uno  e  l'altro  analogo  alla  legge  mo- 
netaria detta  di  Carlomagno,  già  adottata,  benché 
in  fatto  non  sempre  osservata,  nella  zecca  dei  papi. 
Ottone  però  aveva  cambiato  pei  suoi  stati  la  legge 
monetaria  di  Carlomagno  (l),  e  per  ciò,  forse,  il  nuovo 
tipo  da  battersi  col  nome  di  Leone,  affatto  difforme 


(1)  Brambilla,  Monete  di  Pavia,  pag.  179  o  nota. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC. 


dalla  moneta  corrente  di  Pavia,  si  modellò  in  qualche 
modo  su  quella  di  Lotario.  Fatto  è  che  oltre  il  dia- 
metro ed  il  peso  corrisponde  la  forma  delle  lettere, 
strette  ed  allungate,  benché  colle  aste  meno  grosse, 
e  proprio  simili  sono  specialmente  FA,  la  R,  la  S  (l). 
A  seguito  delle  premesse  considerazioni  sembra 
possa  abbastanza  ragionevolmente  ritenersi,  che  la 
moneta,  segnata  dal  Promis  come  terza^  sia  invece 
la  'prima  coniata  col  nome  di  Leone  Vili.  Questo 
fatto  dà  la  ragione  della  somiglianza  del  tipo  colle 
altre  battute  in  Roma,  senza  attribuirla  ad  arbitraria 
imitazione  dello  zecchiero.  Una  strana  condizione  di 
cose  indusse  Ottone  ad  ordinar  ne'  suoi  stati  una 
moneta  pel  Papa,  che  necessariamente  riusci  di  tipo 
affatto  straordinario.  Eventi  poscia  non  meno  strani 
lo  portarono  in  Roma  a  batter  moneta  colla  potestà 
sovrana  delegata  dal  Papa,  e  per  conto  di  questo  : 
le  due  posizioni  non  si  copiavano,  ma  si  rassomi- 
gliavano perfettamente,  e  benissimo  venivano  rap- 
presentate dallo  stesso  tipo  di  monete,  colla  sola  va- 
riante di  sostituire  al  d"n  non  mai  usato  dai  papi, 
come  tali,  il  nome  di  OTTO  autorità  imperante  de- 
legata. E  tal  qualifica  viene  ben  designata  dal  nome 
dello  Imperatore  messo  al  secondo  posto  e  quasi 
nello    esergo.    Ma    vi   è    impresso    in    nominativo,  e 


(1)  Da  pochi  mesi  ha  preso  posto  nella  mia  collezione  delle  pontificie 
la  rara  moneta  di  Leone  VITT,  che  poi  ha  dato  occasione  a  questo  studio. 
Possedevo  già  un  esemplare  della  moneta  di  Lotario  I,  e  precisamente  quella 
riportata  dal  Brambilla  nella  Tav.  II,  n.  12,  e  quindi  ho  potuto  fare  i 
confronti  che  ho  notati.  Kesta  soltanto  il  dubbio  nel  peso.  Il  mio  Leone  è 
un  vero  fior  di  conio,  ma  è  mancante  di  due  non  piccoli  pezzi  nel  con- 
torno. Cosi,  com'è,  pesa  oltre  un  grammo  :  parrebbe  che  intero  potesse  rag- 
giungere il  grammo  1  e  li2,  come  il  mio  Lotario. 


78  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 

ciò  ha  portato  che  non  s'indicasse  Roma^  perchè  non 
si  estendeva  a  questa  città  e  ducato  il  regno  di  Ot- 
tone. Finahnente  la  ragione  stessa  che  fece  mancar 
la  crocetta  nella  moneta  battuta  in  Pavia,  la  escluse 
pure  in  quelle  di  Roma,  benché  sia  verosimile  che 
il  modello  preso  ad  imitare  l'abbia  fatta  dimenticare 
allo  incisore.  Fatto  è  che  le  monete  riportate  al 
loro  posto  cronologico  completano  perfettamente  la 
rispettiva  illustrazione. 

Per  l'epoca  della  coniazione  può  affermarsi , 
che  la  moneta  di  Pavia  rimonta  al  marzo  o  aprile 
964  e  le  due  di  Roma  sono  posteriori  al  giugno 
dello  stesso  anno,  seppure  l'una  delle  due  non  sia 
stata  battuta  nei  primi  mesi  del  965  (i). 


(1)  Le  due  monete,  molto  simili  fra  loro ,  provengono  certo  da  due 
conii  distinti.  Io  ritengo  che  non  sempre  la  diversità  dei  conii  indichi  una 
monetazione  di  epoca  diversa.  Quando  sì  era  ben  lontani  dai  facili  e  pro- 
duttivi meccanismi  delle  nostre  zecche,  una  monetazione  numerosa  richie- 
deva lungo  tempo,  ad  abbreviare  il  quale  forse  si  moltiplicavano  i  conii, 
non  sempre  riprodotti  esattamente  dagli  incisori  nelle  parti  secondarie  del 
disegno.  È  una  idea  che  espongo ,  ma  che  non  affermo ,  mancandomi  ba- 
stanti prove. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  79 

III. 

Le   monete   di   Giovanni  XIII. 


Quattro  monete  vengono  attribuite  dal  Promis 
al  pontificato  di  Giovanni  XIII.  Una  di  esse  ,  non 
molta  conservata  (Tav.  I  n.  5),  porta  nel  campo  del 
dritto  una  croce  alla  estremità  delle  cui  braccia  sono 
le  quattro  lettere  OTTO,  disposte  però  in  modo  affatto 
diverso  da  quello  che  si  rinviene  in  tutte  le  altre 
monete  col  nome  degli  Ottoni.  Indubbiamente  è 
quella  stessa  che  il  Cinagli,  seguendo  il  Selvaggi  (1), 
assegna  allo  antipapa  Giovanni  Filigato  (an.  997) , 
unico  occupatore  della  Sede  pontificia  col  nome  di 
Giovanni ,  durante  il  breve  impero  di  Ottone  III 
(996-1002).  Sorge  quindi  la  difiìcoltà  a  quale  dei  papi 
od  antipapi  di  nome  Giovanni  possa  veramente  ap- 
partenere tale  moneta. 

Lo  impero  dei  tre  Ottoni  ebbe  luogo  dall'anno 
962  al  1002.  Vi  fu  però  un  periodo  d'impero  vacante, 
dalla  morte  di  Ottone  II  (983)  alla  incoronazione  di 
Ottone  III  (996). 

Una  moneta  adunque  che  porti  il  nome  di  Ottone 
non  può  certo  spettare  ai  papi  Giovanni  XIV  (2),  XV 


(1)  Cinagli,  Le  monete  dei  Papi,  ecc.,  pag.  12. 

(2)  È  incerta  la  data  della  elezione  di  Giovanni  XIV.  Alcuni  la  riten- 
gono anteriore  alla  morte  di  Ottone  II,  benché  di  poco.  Ho  creduto  atte- 
nermi alla  maggioranza  degli  storici,  molto  più  perchè  non  ho  trovato  ra- 
gione da  attribuire  a  questo  Papa  alcuna  delle  monete  delle  quali  mi  oc- 
cupo. Vedasi  appresso  nota  1,  pag.  83, 


TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


e  XVr,  vissuti  nel  periodo  trascorso  dal  984  al  995. 
La  difficoltà  quindi  si  restringe  perchè  restan  solo 
i  papi  Giovanni  XII  e  XIII,  e  l'antipapa  Giovanni 
Filigato.  Potrà  la  moneta  spettare  a  quest'  ultimo  , 
come  vorrebbero  il  Selvaggi  ed  il  Cinagli?  Par- 
rebbe che  no. 

Giovanni  Filigato ,  vescovo  di  Piacenza .  era 
certo  in  ottime  relazioni  con  Ottone  III,  avendo  ap- 
partenuto alla  cancelleria  imperiale,  ed  essendo  stato 
mandato  dallo  stesso  Ottone  ambasciatore  a  Costan- 
tinopoli per  trattare  il  matrimonio  di  lui  con  una 
principessa  di  quella  corte.  Fatto  è  però  che  Gio- 
vanni usurpò  il  pontificato  per  accordi  presi  col  fa- 
moso patrizio  Crescenzio ,  che  avea  già  obbligato 
papa  Gregorio  V  a  fuggir  da  Roma  per  salvare  la 
vita.  E  Gregorio  V  avea,  proprio  Tanno  innanzi, 
coronato  imperatore  Ottone  III  !  Non  par  quindi 
possibile  che  in  tali  condizioni  1'  antipapa  pensasse 
a  batter  moneta  col  nome  di  Ottone.  Ed  anche  meno 
è  possibile  che  ciò  tollerasse  Crescenzio  ,  il  quale 
a  scuotere  la  soggezione  dallo  Imperatore  germa- 
nico ,  affidavasi  alla  protezione  degli  imperatori 
greci  (1). 

Ebbe  d'altronde  la  breve  durata  di  pochi  mesi 
il  pontificato  di  Giovanni,  che  al  primo  sentore  dello 
avvicinarsi  a  Roma  di  Ottone  con  papa  Gregorio  V 
fuggi  e  si  nascose.  Di  lui  fecer  giustizia  i  romani. 
Lo  rintracciarono  e  gli  fecero  subire  barbare  muti- 
lazioni, e  quindi  morte  ignominiosa:  Ottone  espugnò 
il  Castel   S.   Angelo  ,  ultimo  rifugio  di  Crescenzio, 


(1)  Muratori^  Annali^  pa^.  380, 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  81 

e  questo,  e  12  fra  i  principali  fautori  suoi  mandò 
allo  estremo  supplizio. 

Vi  è  poi  una  circostanza  anche  più  decisiva  , 
per  quanto  tocca  la  moneta  in  questione.  Il  Filigato 
ed  il  Crescenzio  venner  fra  loro  a  patti  preventivi 
sulla  divisione  dei  poteri  :  a  Crescenzio  il  poter  tem- 
porale, al  pontefice  il  solo  potere  spirituale.  Non  potea 
dunque,  non  dovea  in  alcun  conto  quest'ultimo  batter 
moneta  col  proprio  nome  soltanto  ,  e  molto  meno 
accompagnato  a  quello  di  Ottone. 

Par  quindi  dimostrato  alla  evidenza  lo  error  di 
coloro  che  hanno  creduto  attribuire  la  moneta  allo 
antipapa  Giovanni  Filigato.  Non  si  può  neppur  supr 
porre  d'  altronde  ,  che  fosse  battuta  dal  papa  Gio- 
vanni XII.  Questi  soltanto  nel  febbraio  962  incoronò 
imperatore  Ottone  I:  nel  susseguente  anno  963  trattò 
con  Adalberto,  ribellandosi  ad  Ottone,  il  quale  sul 
finir  dell'anno  stesso  lo  fece  deporre.  Si  conoscono 
quattro  differenti  monete,  col  nome  di  Ottone,  battute 
da  Giovanni  in  si  breve  periodo  di  tempo:  e  sono  tutte 
indubbiamente  di  Giovanni  XII,  perchè  tutte  portano 
la  qualifica  affatto  speciale  del  Domnus.  Mancherebbe 
pertanto  ogni  ragionevole  fondamento  per  attribuire 
a  lui  un  quinto  tipo  totalmente  diverso  dagli  altri, 
anche  per  forma  e  disegno ,  e  mancante  del  carat- 
teristico BoìTthus.  Non  resta  dunque  che  assegnar  la 
moneta ,  come  vuole  il  Promis  ,  a  Giovanni  XIII , 
per  la  quale  assegnazione  non  sorgono  difiìcoltà  , 
come  nieglio  potrà  dedursi  dopo  l'esame  delle  altre 
tre  dello  stesso  Pontefice. 

Le  quali  presentano,  a  fronte  di  tutte  le  ponti- 
ficie antiquiori,  delle  singolarità  molto  affini  alle  già 
notate  nelle  monete  di  Leone  VIII.  Ne  è  a  moravi- 


82  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


gliarne  :  le  condizioni  storiche  non  si  ripetono,  ma 
si  rassomigliano,  perchè  determinate  da  fatti  nuovi 
che  essenzialmente  dipendono  o  almeno  si  collegano 
ai  precedenti.  E  così  spesso  si  rassomigliano  fra  loro 
i  documenti  destinati  a  rappresentare  quei  fatti.  E 
per  ciò  appunto,  l'affinità  che  si  riscontra  fra  le  mo- 
nete di  Leone  Vili  e  quelle  in  esame  fornisce  va- 
lido, anzi  potente  argomento  per  ritener  che  queste 
ultime  spettino  a  Giovanni  XIII ,  immediato  suc- 
cessor  di  Leone. 

La  prima  moneta  ha  nel  diritto  :  lOHS  PAPÀ  e 
sotto  OTTO,  il  tutto  in  tre  righe  in  campo  pieno,  con 
una  sbarra  fra  il  nome  del  papa  e  quello  dello  impe- 
ratore ;  nel  rovescio  ha  :  SCS  PETRVS  nel  giro,  e  ROA 
nel  campo  (Tav.  I,  n.  4)  ;  par  proprio  la  copia,  benché 
non  esatta  e  fedele,  delle  due  prime  di  Leone  Vili. 
Perchè  ripetere  tale  tipo  singolare,  specialmente  nel 
diritto?  La  ragione  si  rintraccia  facilmente  sol  che  si 
richiamino  le  condizioni  storiche  speciali  ai  due 
pontefici. 

Papa  Giovanni  fu  cacciato  da  Roma,  quasi  ap- 
pena eletto,  ma  fu  richiamato  alla  sua  sede  subito  che 
si  conobbe  la  venuta  di  Ottone  diretta  a  rintuzzare 
la  ribellione  romana.  Giovanni  accettò  il  richiamo 
prima  ancora  dell'arrivo  dello  imperatore,  ma  a  lui  im- 
portava far  conoscere  ed  affermare  con  ogni  mezzo, 
che  nulla  era  cambiato  nelle  relazioni  fra  il  papato  e 
l'impero,  ed  adottò  subito  nella  moneta  quella  forma 
e  quella  leggenda  nel  dritto,  che  pure  eran  concorse 
a  tenere  in  soggezione  i  romani  nel  pontificato  del 
suo  antecessore.  Però  ,  severo  rivendicatore  ,  quale 
egli  era,  dei  diritti  e  delle  giurisdizioni  della  sede 
apostolica,  segnò  il  proprio  nome  al  primo,  non  già 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC. 


al  terzo  caso,  senza  che  ciò  menomasse  lo  effetto  che 
volea  conseguirsi,  legato  più  alla  forma  della  mo- 
neta che  alla  declinazione  di  un  nome^  facile  questa 
a  sfuggire  in  quei  tempi  di  generale  ignoranza. 

Maggior  singolarità  presenta  il  tipo  delle  altre 
due  monete  di  questo  Papa,  (Tav.  I,  n.  6).  Si  riter- 
rebbero uguali,  se  il  Promis,  che  certo  le  ha  avute 
sott'occhio,  non  vi  avesse  scorto  una  lievissima  diffe- 
renza di  conio  nella  croce  impressa  nel  rovescio,  e 
quindi  l'esame  di  una  vale  per  ambedue  W. 

Nel  diritto  abbiamo:  SCS  PETRVS  RO  nel  giro,  e 


(1)  Era  scritta  questa  memoria  allora  che ,  per  somma  cortesia  del 
Cav.  Ortensio  Yitalini  notissimo  nummofilo,  ho  avuto  copia  della  lettera  a 
stampa  che  il  signor  Giancarlo  Eossi  dirigeva ,  nel  1878 ,  al  compianto 
Enrico  Hirsch,  su  di  una  moneta  simile  a  quella  della  quale  qui  si  tratta. 
Il  Rossi  intende  dimostrare,  che  a  torto  il  Promis  ha  quella  attribuita  a 
Giovanni  XIII,  togliendola  a  Giovanni  XIV,  cui  il  Selvaggi  ed  il  Cinagli 
l'aveano  assegnata.  Noto  prima  di  ogni  altro,  che  la  moneta  posseduta  e 
descritta  dal  Rossi  è  simile,  ma  non  uguale  alle  due  riprodotte  dal  Promis, 
e  all'altra  che  è  nella  mia  colleziono.  In  queste  si  legge  imper  e  non  im- 
PERAT  e  RO  {Roma)  e  non  ap  (Apostolus).  Stando  tali  varianti,  e  special- 
monte  la  seconda ,  non  si  possono  confondere  i  due  tipi ,  e  dovrebbe  stu- 
diarsi se  possano  spettare  a  due  diversi  Papi. 

Del  resto  la  critica  del  sig.  Rossi  basa  tutta  sul  fatto  :  se  Benedetto  VII 
morisse,  ed  il  successore  di  lui  Giovanni  XIV  fosse  eletto  prima  o  dopo  la 
morte  dello  Imperatore  Ottone  II  (7  dicembre  983).  Egli  stesso  ammette  la 
incertezza  di  tali  date  (pag.  4) ,  ed  io  aggiungo  che  se  il  Muratori  ed  il 
Pizzamiglio  indicano  per  la  morte  di  Benedetto  l'ottobre  983,  e  per  la  ele- 
zione di  Giovanni  il  dicembre  dello  stesso  anno,  il  Platina,  il  Panvinio,  il 
Baronio,  il  Pagi,  il  Palazzi,  il  Fioravanti,  il  Cinagli,  rimandano  la  prima 
al  10  loglio  984  e  la  seconda  alla  fine  del  mese  stesso.  Né  par  davvero  che 
il  Promis  abbia  implicitamente  affermato  la  elezione  di  Giovanni  avvenuta 
sotto  Ottone  II,  come  vuole  il  Rossi  (pagina  5-6).  Il  Promis  invece  dice 
chiaro  (pag.  96)  che  Beitedetto  VII  morì  nel  gennaio  984 ,  un  mese  dopo 
r Imperatore,  e  che  Bonifacio  tornò  in  Roma  nel  984.  Tenuto  conto  del 
lungo  tempo  che  allora  occorreva  por  la  trasmissione  delle  notizie ,  e  pel 
viaggio  delle  persone,  può  bene  ammettersi,  che  fra  la  morte  di  Ottono  o 
l'arrivo  in  Roma  di  Bonifacio  da  Costantinopoli,  no    trascorresse  tanto, 


84  TARQOINIO  GENTILI  DI   ROVELLONE 


lOH.  P.  P.  nel  campo.  Come  si  vede,  nel  solo  dritto  è 
segnato  tutto  quanto  occorre  per  una  moneta  papale  : 
SÀNCTVS  PETRVS  ROMA  —  lOHÀNNES  PAPÀ  ;  e  questo  solo 
è  affatto  nuovo  nelle  antiqw'ori.  Nel  rovescio  la  leg- 
genda del  giro  è  :  OTTONI  IMPER,  e  nel  campo  è  im- 
pressa una  croce  patente^,  senz'  altra  indicazione.  Cosi 
anche  questa  moneta  presenta  quasi  una  derivazione 
da  quelle  di  Leone.  Soltanto,  in  queste  ultime  era 
lo  imperatore  che  offriva ,  o  dedicava  alla  potestà 
delegante  la  moneta  da  lui  battuta  col  poter  dele- 
gato ,  e  tutto  ciò  giustamente  si  esprimeva  nel  di- 
ritto. Giovanni  all'opposto  afferma  nel  dritto  tutta 
e  sola  la  potestà  sua  sovrana  e  dedica  il  rovescio 
ad  un  imperatore  Ottone.  Curiosa  differenza  che 
deve  aver  pure  una  speciale  ragione  di  essere.  E 
l'ha  veramente,  e  assai  importante,  perchè  conferma 
un  fatto  storico  d'altronde  accertato. 

Papa  Giovanni  cercava  con  ogni  mezzo  di  in- 
graziarsi Ottone  I ,  unico  sostegno  del  suo  pontifi- 
cato verso  i  ribelli  romani.  È  stato  già  accennato 
che,  allo  scopo,  volle  concedere  la  corona  imperiale 
al  giovanetto  Ottone  II ,  tuttoché  vivente  il  padre , 


quanto  bastava,  e  allora  potea  essoro  di  pochi  giorni,  a  compiere  gli  avve- 
nimenti della  morto  di  un  Papa  e  della  elezione  dì  un  altro. 

Infine  poi,  se  fosse  anche  indubitata  la  elezione  di  Giovanni  prima 
della  morto  di  Ottone  II,  nulla  gioverebbe  allo  scopo  del  sig.  Rossi.  Quando 
più  papi  dello  stesso  nome  hanno  vissuto  nel  tempo  di  uno  o  più  impera- 
tori, pur  di  ugual  nome ,  quest'  ultimo  non  è  più  bastante  ad  indicare  a 
quale  di  quei  papi  spetti  la  moneta.  Bisogna  allora  ricorrere  ad  altri  in- 
dizii,  ad  altri  argomenti,  in  difetto  dei  quali  viene  di  necessità  abbando- 
nare la  moneta  stessa  fra  le  incerte.  E  cosi  pare,  che  per  ora  almeno, 
debba  farsi  di  quella  del  sig.  Rossi,  se  veramente  presenti  un  tipo  diffe- 
rente dai  simili  riprodotti  dal  Promis.  Per  questi  mi  pare  di  avere  rac- 
colto circostanze  bastanti  a  farli  ragionevolmente  attribuire  a  Giovanni  XIII. 


LE  MONETE  DEI   PONTEFICI   ROMANI,    ECC.  85 

che  vi  prestò  il  suo  consenso.  La  incoronazione  ebbe 
luogo  in  Roma  solennemente  nel  di  di  Natale  967, 
e  la  memoria  della  solennità  volle  il  Papa  perpe- 
tuare nella  moneta.  Ottone  II  era  allora  dodicenne 
appena,  e  il  titolo  e  la  dignità  imperiale  a  lui  con- 
ferita non  poteva,  ne  doveva  menomare  in  nessuna 
guisa  le  prerogative  già  acquisite  allo  imperatore 
padre  di  lui  ;  che  così  fosse  e  così  apparisse,  era  pure 
nello  interèsse  dello  stesso  Pontefice. 

A  maggior  conferma  di  tutto  ciò  sta  il  fatto 
della  mancanza  di  ROMA  nel  campo,  dove  certo  sa- 
rebbe stata  segnata,  secondo  il  costume,  qualora  il 
nome  impresso  nel  giro  fosse  stato  quello  dello  im- 
peratore in  attuale  esercizio  deir  autorità ,  giurisdi- 
zione, o  che  altro  s' intendesse  —  né  qui  importa 
indagare,  —  sulla  stessa  Roma. 

Ma  perchè  al  posto  di  Roma  si  è  sostituita  la 
croce  patente?  È  ardito,  e  può  talora  condurre  a  grossi 
errori ,  lo  indagare  nelle  monete  le  ragioni  anche 
degli  accessori  :  possono  dipendere  dal  genio  ,  o  dal 
capriccio  dello  incisore  !  Qui  però  trattasi  di  un  em- 
blema impresso  nel  campo,  cioè  in  una  delle  parti 
più  importanti ,  o  in  uno  dei  posti  di  onore  :  non 
può  quindi  supporsi  che  manchi  di  un  significato  , 
voluto,  od  almeno  approvato,  da  chi  facea  batter  la 
moneta.  Si  volea  dimostrare  che  il  rovescio  di  questa 
era  sol  destinato  ad  onorare  Ottone  II,  commemo- 
rando il  semplice  titolo  imperiale  a  lui  conferito  :  a 
ciò  dovea  concorrere  lo  emblema  aggiunto  ,  e  par 
veramente  che  così  possa  questo  interpretarsi,  se  si 
pon  mente  a  tutte  le  circostanze  risultanti  dalla  storia. 

Ottone  I,  divenuto  imperatore,  volle  che  il  figlio 
suo,  a  lui  associato  nel  regno  di   Germania,  venisse 


8G  TARQUINIO  GENTILI  DI  RO\TELLONE 

pur  riconosciuto  quale  re  d' Italia ,  quasi  perchè 
negli  affari  della  Italia  stessa  restasser  distinte  le 
attribuzioni:  al  padre  lo  impero,  quale  che  fosse,  dei 
Romani,  al  figlio  il  regno ,  che  era  già  stato  dei 
Longobardi  W.  Bisogna  anco  rammentare,  che  nella 
massima  parte  delle  monete  battute  in  Italia  dai  re 
franchi,  si  trova  la  croce  patente,  e  precisamente  nel 
campo  di  quella  parte,  nella  quale  la  leggenda  del 
giro  porta  impresso  il  nome  del  Re  ;  si  direbbe  quasi 
che  avessero  assunto  la  Croce  quale  loro  emblema 
od  insegna  (2).  Lo  conferma  il  fatto,  che  la  croce  fu 
subito  sostituita  dal  monogramma  di  Cristo  nelle 
monete  di  quel  Berengario  ,  che  primo  raccolse  la 
corona  d'Italia,  lasciata  cadere  dall'ultimo  dei  Caro- 
lingi, lo  imbelle  Carlo  il  Grosso. 

È  poi  noto,  e  ciò  molto  importa,  che  Ottone  re 
di  Germania  si  ritenne  e  volle  essere  rivendicatore  e 
continuatore  in  Italia  del  dominio  dei  Franchi,  in- 
terrotto dallo  infelice  tentativo  di  Berengario  duca 
del  Friuli,  e  di  Guido  duca  di  Spoleto  e  Camerino, 
diretto  a  stabilire  in  Italia  un  regno  non  infeudato  ad 
imperanti  stranieri.  Tentativo  infelice  sol  per  questo, 
che  mosso  da  due  ambizioni  meramente  personali,  e 


(1)  H  concetto  è  abbastanza  chiaramente  espresso  in  fino  della  for- 
mula del  giuramento  prestato  a  Giovanni  XTI ,  da  Ottone  I ,  per  ottenere 
la  corona  imperiale  :  Cuicumqt*e  aute.n,  vi  si  aggiunge ,  regnum  italicum 
committet  turare  faciet  illum  ut  adiutor  sit  Donino  PapcB  et  successorihus 
ejuSf  ad  defendendam  terram  S.  Petri,  eie.  Vedasi  la  formula  riportata  dal 
Garampi  nel  suo  libro:  De  nummo  argenteo  Benedicti  III.  Pont.  Max, 
pag.  168. 

(2)  E  l'usavano  anche  nel  loro  regno  fuori  d'Italia.  —  Carlo  il  Calvo, 
che  volle  portare  una  riforma  nella  moneta  del  suo  regno,  assegnò  al  mo- 
nogramma del  Re  il  campo  del  diritto,  e  volle  che  in  altera  vero  parte 
noinen  civitatiSf  et  in  medio  Crux  haheatur,  Garampi,  1.  e.  pag.  137. 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI  ROMANI,  ECC.  87 

di  origine  non  italiana,  e  cominciato  ad  attuare  con 
guerre  fratricide,  riuscì  solo  a  destar  nuove  gare  , 
egualmente  ambiziose,  fra  i  più  prepotenti  feudatarii 
nostrani  e  stranieri.  Ambizioni  e  gare,  che,  in  luogo 
di  un  regno  autonomo  ed  indipendente,  procurarono 
alla  Italia  uno  dei  più  tristi  periodi,  quale  sol  potea 
venirle  da  dieci  tiranni,  che  nel  breve  corso  di  74 
anni  (888-962)  si  disputarono  la  corona,  ferocemente 
combattendo  per  conseguirla ,  o  per  riacquistarla 
perduta  (^). 

La  mancanza  del  nome  Roma,  e  la  sostituzione 
della  croce  patente,  concorrono  a  determinare  con 
sicurezza  il  significato  dello  straordinario  rovescio 
fatto  imprimere  dal  Papa  in  questa  moneta.  Esso 
dice  chiaro,  che  si  riferisce  a  colui  che  di  recente 
aveva  assunto  la  corona  d'Italia,  e  che  sarebbe  stato 
il  continuatore  delle  tradizioni  dei  Franchi,  non  già 
dei  Re  intermedi,  egualmente  nefasti  alla  Italia  ed 
ai  Papi.  Era  pure  la  espressione  della  speranza  su 
di  un  migliore  avvenire  ! 

Sembra  in  fine  possa  ragionevolmente  conclu- 
dersi, che  al  solo  Ottone  II  debba  riferirsi  il  rovescio 


(1)  l^on  sarà  inutile  ricordare  i  nomi  di  coloro  che  a  raggiungere  le 
proprie  mire  ambiziose  non  rifuggirono  dal  profittare  del  vario  parteggiar 
de'  potenti  Baroni  e  dallo  invocare  alleanze  ed  aiuti  stranieri,  riducendo 
per  tal  via  alla  estrema  rovina  ((uel  Regno,  che  pur  diceano  di  volere  au- 
tonomo ed  italiano ,  e  trascinandolo  ancora  una  volta ,  e  sventuratamente 
non  fu  l'ultima,  sotto  la  dominazione  di  regnanti  di  oltre  Alpi.  Essi  sono  • 
Berengario  duca  del  Friuli,  re  ed  anche  imperatore  (888-924).  —  Guido  duca 
di  Spoleto  e  Camerino,  re  ed  imperatore  (888-894).  —  Lamberto  ,  figlio  di 
Guido,  re  ed  imperatore  (894-898).  —  Arnolfo  di  Germania,  re  ed  imperatore 
(884-899;.  —  Lodovico  di  Provenza ,  re  od  imperatore  (900-905).  —  Ro- 
dolfo di  Borgogna,  re  (922-925).  —  Ugo  di  Provenza,  re  (926-945).  —  Lo- 
tario figlio  di  Ugo,  re  (945-950).  —  Boregario  II,  marchese  4' Ivrea,  ed  il 
figlio  Adalberto,  associati  (950-962). 


88  TARQUINIO  GENTILI  DI  ROVELLONE 


di  questa  moneta,  e  che  il  nome  di  lui  vi  sia  stato 
posto  senz'  altra  indicazione,  ed  in  dativo,  per  dimo- 
strar chiaramente  che  nessuna  potestà  egli  esercitava 
allora  su  Roma  (l). 

L'esame  fatto  delle  due  monete  (fìg.  4  e  6)  porta 
a  riferirle  a  due  fatti  speciali,  e  quindi  a  due  epoche 
determinate,  e  non  molto  distanti  fra  loro.  L'una 
ricorda  il  ritorno  in  Roma  di  Giovanni  XIII,  richia- 
mato dallo  esilio,  e  fu  di  certo  coniata  circa  il  mese 
di  ottobre  dell'anno  966:  l'altra  data  con  sicurezza 
dal  Natale  967. 

Papa  Giovanni  peraltro  resse  in  piena  tranquil- 
lità la  Sede  apostolica  fino  al  6  settembre  del  972. 
E  ragionevole  presumere  che  durante  il  periodo  non 
breve  dal  967  al  972,  abbia  fatto  battere  altre  mo- 
nete ,  o  almeno  quella  della  quale  per  prima  si  è 
ragionato  (fig.  5).  E  poiché  questa  non  riferiva,  ne 
richiamava  alcun  fatto  speciale,  il  suo  conio  ritornò 
alla  forma  ordinaria,  segnando  nel  dritto  i  due  nomi 
del  Papa  e  dello  Imperatore.  Non  riesce  possibile 
assegnarle  una  data  precisa  :  indubbiamente  però  la 
maggiore  rozzezza  del  conio  e  la  somma  irregolarità 
del  disegno,  (2)  come  assicurano    non    essere    uscita 


(1)  Resta  nn  dubbio.  So  questa  moneta  fu  destinata  a  commemorare 
un  fatto  storico  che  non  si  poteva  ripetere,  come  e  perchè  viene  rappresen- 
tata con  due  conii  differenti  ?  Par  che  non  possa  osservi  se  non  una  ri- 
sposta: le  minime  differenze  di  conio  non  bastano  a  dimostrare  la  diffe- 
renza di  tempo  nella  coniazione^  secondo  la  idea  accennata  nella  prece- 
dente nota  1,  pag.  78. 

(2)  Ho  nella  mia  collezione  un  esemplare  di  questa  moneta  ed  uno  del- 
l'altra col  OTTONI  iMPER,  ho  quindi  potuto  far  con  esattezza  il  confronto 
per  rilevare  la  differenza  del  conio  e  del  disegno.  Il  mio  esemplare  della 
fig.  5,  tav.  I,  ò  incompleto  nello  leggendo  dei  duo  giri  come  quello  riportato 
dal  Promis,  È  però   meglio  conservato  uelle  leggende   dei  due  centri.  In 


LE  MONETE  DEI  PONTEFICI   ROMANI,  ECC.  89 

dalla  Zecca  nel  tempo  trascorso  fra  le  due  del  966 
e  del  967  ,  così  autorizzano  a  credere  che  sia  stata 
battuta  negli  ultimi  anni  di  papa  Giovanni  e  da  un 
nuovo  zecchiero. 

Ecco  gli  appunti  storici,  e  le  analoghe  osserva- 
zioni e  deduzioni,  che  un  semplice  amatore  di  nu- 
mismatica è  riuscito  ad  accozzare  e  ad  esporre  alla 
meglio.  Quale  il  valore  di  questa  memoria?  Cosi  com'è 
non  può  averne  nessuno.  Potrà  solo  ottenerlo,  se  varrà 
a  richiamare  1'  attenzione  dei  dotti,  ed  indurli  a  cor- 
reggerla ed  a  completarla.  A  questo  unico  scopo  essa 
viene  pubblicata. 

Sanseverino-Marche.  —  Giugno  1889. 

Tarquinio  Gentili  di  Rovellone. 


quella  del  diritto  appariscon  chiarissime,  una  specialmente,  le  lettere  T  in 
cima  alle  aste  della  croce,  onde  svanisce  il  dubbio  manifestato  dal  Cinagli, 
pag.  12  e  nota  2.  Nel  rovescio  poi  roma,  non  è  affatto  scritta  colle  lettore 
inverse,  come  afferma  lo  stesso  Cinagli.  Trattasi  senza  meno  di  un  equi- 
voco ;  questo  Autore  attribuisce  al  roma,  del  rovescio,  ciò  che  si  verifica  nel- 
ToTTG  del  diritto.  L'esemplare  che  io  possiedo  e  quello  riprodotto  dal  Promis 
nella  sua  Tav.  IX,  n.  3,  sono  fra  loro  eguali ,  anche  nelle  parti ,  o  meno 
impresse,  o  meno  conservate.  Or  bone,  in  ambedue  non  è  già  nel  campo 
del  rovescio,  ma  in  quello  del  diritto,  che  si  trovano  invertite,  o  corto  mal 
disposte  le  lettere ,  che  formano  il  nome  dello  Imperatore.  Le  due  T  sono 
sulla  sinistra,  le  due  0  sulla  destra.  Leggendo  quindi  con  le  norme  ordi- 
narie de  vosi  dire  toto  in  luogo  di  otto.  Il  Cinagli  non  ha  avuto  certo 
sott'occhio  la  moneta:  lo  dimostra  chiaramente  la  figura  incompleta  ed 
informe  che  riporta  nella  sua  Tav.  I,  n.  8  che  dice  riprodotta  dal  mano- 
scritto Selvaggi. 


PATACCHINA  SAVONESE  INEDITA 

DI 

Filippo  Maria   Visconti 


Per  ben  quattro  volte,  nel  decorso  di  un  secolo 
e  mezzo ,  Savona  fu  sottoposta  alla  dominazione 
milanese:  dapprima,  nel  1354,  a  Giovanni  Visconti, 
e,  per  tre  anni,  a'  successori  di  lui ,  Bernabò  e  Ga- 
leazzo ;  —  poi,  dal  1421  al  1435,  a  Filippo  Maria; 
—  poi  ancora,  circa  trent'  anni  dopo  ,  a  Francesco 
Sforza,  e,  morto  questi,  a  suo  figlio  Galeazzo  Maria, 
da  cui  in  séguito  fu  ceduta  a  Genova  ;  —  infine,  dal 
1487,  per  oltre  un  decennio,  di  nuovo  alla  signoria 
degli  Sforza. 

Il  primo  periodo  non  ci  lasciò  monumenti  numi- 
smatici speciali  (1)  ;  —  del  terzo  e"  del  quarto,  ossia 


(1)  Promis  Domenico,  Monete  della  zecca  di  Savona^  Torino ,  1864 , 
pag.  27.  —  Ecco  le  sue  parole:  «  Nessun  indizio  »  havvi  «  per  credere 
«  che  durante  la  breve  signoria  di  Giovanni  e  Galeazzo  con  Bernabò  Vi- 
«  sconti,  cioè  dal  1354  al  1357 ,  abbia  essa   (Savona)  variato  V  impronto 


92  SOLONE  AMBROSOLI 


degli  Sforza,  non  si  conosce  che  una  sola  moneta,  il 
grosso  del  duca  Francesco  (i);  —  del  secondo  pe- 
riodo, vale  a  dire  della  dominazione  di  Filippo  Maria 
Visconti,  erano  note  sinora  due  monete  (2),  alle  quali 
sono  lieto  di  poter  aggiunger  qui  una  terza,  ch'io  ri- 
tengo inedita,  e  che  si  conserva  nel  Medagliere  di 
Brera  : 

Patacchina.  Mistura.  Peso,  grammi  1,402. 
,B'  —  +  COMVNIS  :  {scudetto)  :  SAONÀ 

Arme  inquartata  1  e  4  dell'aquila  e  2  e  3  del  biscione, 
entro  cerchio  di  perline. 

9I    —  Hh  MONETA  (rosetta)  SÀONA  {scudetto)'. 
Croce,  entro  cerchio. 

Non  ho  esitato  ad  attribuire  questo  pezzo  al  Vi- 
sconti ,  anziché  agli  Sforza  ;  infatti  (anche  prescin- 
dendo dalla  circostanza  che  l'unica  moneta  savonese- 
sforzesca  a  noi  nota,  quella  di  Francesco,  ne  reca  il 
nome)  la  monetina  di  Brera  si  può  assegnare  con 
sicurezza  a  Filippo  Maria  Visconti  per  la  rispon- 
denza delle  sue  leggende  a  quelle  delle  due  monete 
di  Filippo  Maria ,  pubblicate  dal  Promis  (3).  Questa 


<  delle  sue  monete,  ecc.  ».  —  Infatti,  nel  diploma  del  1355  (Promis,  op. 
cit.,  pag.  40),  in  cui  Bernabò  e  Galeazzo  confermano  alla  città  di  Savona 
il  diritto  di  zecca  già  concessole  da  Lodovico  il  Bavaro,  si  dico  soltanto 
che  ai  Savonesi  è  accordata  licenza  «  faciendi  j  seu  fieri  faciendi  zecham 
€  fiorenorum  et  monete  argentee  modo  quo  actenus  ipsam  facere  consue- 
€  veruni.  » 

(1)  Promis,  op.  cit.,  pag.  33. 

(2)  Idem,  pag.  30-31.  —  H  Catalogo  della  Collezione  Amilcare  Ancona 
(Milano,  1885)  registra  due  esemplari  d'una  variante  (pag.  321,  n.  3580-81). 

(3)  Ibidem,  Tav.  Ili,  nn.  22  e  23. 


PATACCHINA  SAVONESE   INEDITA   DI   FILIPPO   MARIA  VISCONTI  93 

rispondenza  è  esatta ,  materialmente ,  anche  nella 
grafia  :  comvnis  e  moneta  saona  invece  di  :  comvnis  e 
MONETA  SAONE  ;  ma  ciò  che  più  importa  ,  per  esclu- 
dere r  attribuzione  alla  signoria  sforzesca  ,  si  è  di 
por  mente  al  non  trovarvisi  V  espressione  :  Civitas 
Saone,  che,  introdotta  per  la  prima  volta  da  Lodo- 
vico XI,  si  mantiene  poi  costantemente  su  tutte  le 
monete  uscite  dalla  zecca  di  Savona;  —  bisogne- 
rebbe, in  caso  diverso,  ammettere  per  la  nostra  mo- 
netina un  LL  ritorno  all'  antico  " ,  che  costituirebbe 
un'eccezione  troppo  singolare. 

Ho  chiamato  patacchina  questa  moneta,  poiché 
essa,  per  le  sue  dimensioni,  corrisponde  esattamente 
a  tutte  le  altre  patacchine  savonesi  d'  epoca  ante- 
riore e  (si  noti)  anche  d'epoca  posteriore  alla  domi- 
nazione di  Filippo  Maria  ;  e  perchè  quest'argomento 
delle  dimensioni  è  rafforzato  in  modo  eloquentissimo 
dall'argomento  del  peso.  La  monetina  pesa  infatti, 
come  ho  detto,  grammi  1,402;  ora,  un'altra  patac- 
china  savonese,  eh'  è  pure  nel  Gabinetto  di  Brera , 
ed  è  un  po'  meno  sciupata,  pesa  grammi  1,405,  il 
che  equivale  a  dire  che  tali  due  monete  hanno 
l'identico  peso. 

È  bensì  vero  che  l'illustre  Domenico  Promis  , 
non  conoscendo  la  patacchina  di  Filippo  Maria  (la 
quale,  a  parer  mio,  è  questa) ,  e  pur  volendo  spie- 
gare i  termini  della  convenzione  del  16  luglio  1425 
con  gli  zecchieri  Infcerminelli  e  Bugia  (l),  credette 
di  ravvisare  tale  patacchina  nella  maggiore  delle 
due  monete  da  lui    pubblicate  ,  presupponendo    per 


(1)  Ibidem,  pag.  30. 


94  SOLONE  AMBROSOLI 


ciò  una  riduzione  di  titolo  nella  nuova  coniazione 
ed  un  aumento  nel  corso  delle  monete  preesistenti  ; 
—  ma,  tanto  più  ora  che  possediamo  una  moneta 
la  quale  per  ogni  riguardo  appare  essere  la  vera 
patacchina  di  Filippo  Maria,  mi  sembra  naturale  di 
considerare  semplicemente  la  moneta  del  Promis  per 
quello  che  dovrebb'  essere ,  cioè  una  mezza  patac- 
chma  (1) ,  avendo  essa  le  dimensioni  precise  delle 
altre  mezze  patacchine  savonesi. 

E  si  osservi  quale  elegante  gradazione  ne  ri- 
sulta nella  monetazione  di  Filippo  Maria: 

La  patacchina  ha  due  aquile  e  due  biscioni , 
inquartati  ; 

La  mezza  patacchina  ha  un'  aquila  ed  un  bi- 
scione, nel  campo  partito; 

Il  denaro  piccolo  ha  da  una  faccia  la  sola 
aquila,  mentre  la  biscia  è  ridotta  ad  accantonare  la 
croce  (analogamente  al  giglio  in  una  monetina  di 
Lodovico  XI). 

Prima  di  chiudere ,  mi  si  permetta  una  di- 
gressione. 

Nel  descrivere  la  patacchina  inedita  del  Gabi- 
netto di  Brera ,  ho  considerato  come  diritto  della 
moneta  il  lato  coli'  arme  e  la  leggenda  :  Comunis 
Saone;  nel  far  ciò  mi  sono  conformato  all'uso  invalso, 
e,  d'altra  parte,  in  questo  caso  speciale  della  patac- 
china, poco  importava  il  considerare  come  diritto  o 
rovescio  Tun  lato  oppure  l'altro. 


(1)  Infatti,  per  es.,  nel  Catalogo  della  Collezione  Franchini  (Roma, 
1879;  a  pag.  127,  n.  2224)  ò  indicata  come  una  mezza  patacchina,  non- 
ostante raccurato  riferimento  alla  Tavola  ed  al  numero  del  Promis. 


PATACCHINA  SAVONESE  INEDITA  DI   FILIPPO  MARIA  VISCONTI  95 

Ma  prendendo  in  esame,  nel  loro  complesso,  le 
monete  di  Savona ,  quali  ci  si  presentano  raccolte 
nella  più  volte  citata  Memoria  di  Domenico  Promis, 
mi  vado  sempre  più  persuadendo  che,  per  quanto 
ciò  possa  ripugnare  alle  consuetudini,  bisognerebbe 
invertire  le  descrizioni  ed  i  disegni  di  tutte  queste 
monete  (o  almeno  di  gran  parte  di  esse)  e  conside- 
rare come  diritto  ciò  che  per  il  Promis  è  rovescio  e 
viceversa. 

Il  Promis ,  seguendo  le  regole  generalmente 
adottate  dai  numismatici,  considera  come  diritto  quel 
lato  sul  quale  si  afferma,  con  indicazione  figurata , 
scritta  o  araldica,  l'autorità  da  cui  venne  fatta  bat- 
tere la  moneta.  Non  ho  la  pretesa  di  sconvolgere 
questo  principio ,  combattendolo  in  tesi  generale  ; 
ma,  pur  rimanendo  nel  campo  della  numismatica 
savonese,  osserverò  che  addirittura  ci  si  affacciano 
alcune  eccezioni,  le  quali  facilmente  mi  verranno 
concesse.  Sono  costituite  da  quelle  monete  sulle 
quali,  secondo  il  Promis,  si  dovrebbe  leggere  nel  di- 
ritto :  Civitatem  Savonoe,  e  nel  rovescio  :  Virgo  Maria 
protege,  e  ciò  perchè  nel  primo  lato  hanno  l'aquila, 
che  è  l'arme  della  città.  Ma  è  ben  più  ovvio  il  leg- 
gere invece:  Virgo  Maria  protege  civitatem  Savonce; 
e  infatti,  per  es.,  il  eh.  Magg.  Vittorio  Poggi,  in  un 
recente  suo  articolo  W,  descrivendo  il  testone  savo- 
nese già  di  proprietà  del  March.  Angelo  Remedi , 
considera  come  diritto  il  lato  della  moneta  colla  B.  V. 
e  :  Virgo  Maria  protege.  Ed  uno  scrittore  del  secolo 
scorso,  il  PoUeri,  nel  suo  libriccino:  Il  triplice   Vas- 


(1)  Una  moneta  inedita  di  Savona  (negli  Atti  e  Memorie  della  Società 
Storico,  Savonese,,  YqI.  I,  Savona,  1888,  pag.  521). 


SOLONE  AMBROSOLI 


sallaggio  di  Savona  verso  Maria  Santissima  i^),  scrive 
che  la  B.  V.  aveva  condisceso  alle  continue  istanze 
fattele  da'  Savonesi  per  averla  come  protettrice , 
«  esprimendo  anche  i  lor  prieghi  nelle  monete  d'oro, 
u  e  d'argento,  che  pria  battevano  col  motto  :  Virgo 
u  Maria  Protege  Civitatem  Savonce.  ti  Si  osservi  che 
sulle  monete  di  Pisa  leggesi  l'invocazione:  *  PROTEGE 
VIRGO  PISÀS;  ora,  non  mi  sembra  ardito,  anzi  mi 
sembra  naturale  il  supporre  che  i  Savonesi ,  adot- 
tando il:  -^  VIRGO  MARIA  PROTEGE  CIVITATEM  SAVONAE, 
non  abbiano  fatto  altro  che  imitare  l' invocazione 
che  leggevasi  sulle  monete  di  Pisa ,  come  già  ave- 
vano adottato  per  arme  un'  aquila  tanto  simile  a 
quella  pisana  (2),  che  il  Bellore  ,  nella  sua  Memoria 
ms.  sulla  zecca  di  Savona,  descrive  un  grosso  pisano 
scambiandolo  per  savonese  (^).  Un  testone  di  Sa- 
vona, ed  uno  di  Pisa  (entrambi  conservati  nel  Ga- 
binetto di  Brera),  evidentemente  sincroni,  colla  B.  V. 
e  le  invocazioni  suddette,  si  rassomigliano  in  modo 
mirabile:  l'una  moneta  sembra  imitata  dall'altra. 

Sono  noti  i  legami  di  gratitudine  che  avvince- 
vano Savona  a  Pisa,  per  l'aiuto  prestato  un  tempo 
da  questa  ai  Savonesi  contro  Genova  (4). 


(1)  Il  triplice  Vassallaggio  che  vanta  la  Città  di  Savoììa  alVImm<tcc- 
latissima  Vergine,  e  Madre  di  Misericordia  MARIA,  Regina  del  Paradiso, 
Signora  deW  Vniverso,  etc.  sua  particolar  Protettrice  per  tre  insigni  grazie, 
e  prodigi  oprati  dalla  medesima  nel  Savonese  distretto  succintatnente  de- 
scritti dal  Dottor  Filippo  Alberto  Polleri  Savonese ,  Promotor  Fiscale 
del  S.  Vfficio.  In  Genova,  MDCCXIX.  Per  Antonio  Scionico,  nel  Vico  del 
Filo.  (A  pag.  4). 

(2)  Promis,  op.  cit.,  pag.  14. 

(3)  Ibidem,  pag.  19-20. 

(4)  €  Savona  per  dimostrare  ai  Pisani  la  sua  riconoscenza  per  Taiuto 
f  datole^  li  dichiarò  suoi  concittadini.  »  (Promis,  ibidem,  pag.  13). 


PATACCHINA  SAVONESE  INEDITA  DI  FILIPPO  MARIA  VISCONTI  97 

Che  il  diritto  sia  la  parte  su  cui  v'è  la  leggenda  : 
Virgo  Maria  i^otege ,  sarebbe  confermato  anche,  a 
mio  modo  di  vedere,  dalla  circostanza  che  la  parola 
VIRGO  è  preceduta  quasi  sempre  da  una  crocetta  W; 
ora  è  noto  che  la  crocetta  sta  comunemente  (non 
sempre,  lo  riconosco)  ad  indicare  il  principio  della 
leggenda  ;  invece  la  parola  CIVITÀTEM  non  è  mai 
preceduta  dalla  crocetta,  ciò  che  indica  essere  tal 
parola  la  semplice  continuazione  della  leggenda 
dell'altro  lato,  che  io  chiamo  diritto  di  tali  monete. 

Ripeto,  per  questa  classe  di  monete  savonesi 
coU'invocazione  alla  B.  V.,  spero  che  pei  motivi  ad- 
dotti mi  si  concederà  T  inversione  del  diritto  e  del 
rovescio. 

Ma  anche  per  le  altre,  o  almeno  per  quasi  tutte 
le  altre  ,  vi  sono  argomenti  che  militano  a  favore 
di  quest'inversione.  Infatti,  se  nelle  monete  in  cui  la 
leggenda  non  è  spezzata  si  legge  pianamente  in 
giro  :  +  MONETA  SÀONE,  oppure:  *  MONETA  CIVITATIS 
SAONE,  perchè  mai,  quando  la  leggenda  è  spezzata, 
quando  è  distribuita  sulle  due  faccio  della  moneta, 
dovremmo  leggere  invece:  SAONE  MONETA?  Lo  stesso 
Promis  ,  volendo  esser  troppo  metodico  nell'  enun- 
ciare il  diritto  ed  il  rovescio,  non  è  caduto  forse  in 
una  contraddizione  eloquentissima,  là  dove  dice:  La 
moneta  n.  5  ,  Tav.  I,  ha  da  una   parte  1'  aquila  col 


(1)  Promis,  op.  cit. ,  Tav.  Ili,  nn.  28  o  30  ;  Tav.  lY,  nn.  34,  35,  36, 
37.  —  Il  n.  29,  Tav.  Ili,  ed  i  nn.  38  e  39 ,  Tav.  lY ,  non  hanno  la  cro- 
cetta, ma  per  il  motivo  che  la  testa  della  figura  occupa  lo  spazio  sin  quasi 
all'orlo  della  moneta.  Il  n.  31,  Tav.  lY,  infine,  ha  un  giglio  invece  della 
crocetta,  prima  della  parola  virgo  ;  è  Tunica  eccezione,  ma  se  non  vale  a 
corroborare  il  mio  argomento,  non  vale  neppure  ad  infirmarlo. 

i3 


SOLONE  AMBROSOLI 


nome  della  città  :  SAONE,  e  dall'altra  una  croce  ed 
in  giro  :  MONETA,   u  onde  leggesi  Moneta  Saone  ^i  ? 

Per  me  non  v'è  dubbio  che,  in  tali  monete,  il 
diritto  sia  il  lato  colla  croce  ,  e  il  rovescio  quello 
coll'aquila,  in  modo  insomma  che  la  leggenda  suoni 
sempre  spontaneamente:  Moneta  Saone, 

Vi  sarebbe  ,  eh'  io  vegga ,  un  solo  argomento 
da  opporre:  l'alternarsi  come  a  capriccio  delle  ini- 
ziali M  —  S  e  S  —  M  che  accostano  1'  arme  savonese 
nelle  monete  di  Lodovico  XII  e  di  Francesco  I ,  e 
che  il  Promis  interpreta:  Moneta  Savona^,  Savonce 
mo7ieta.  A  questo  proposito  osserverò  che ,  quan- 
tunque le  varietà  con  S  —  M  siano  altrettanto  co- 
muni di  quelle  con  M  —  S ,  lo  scambio  stesso  delle 
iniziali  lascia  supporre  qualcosa  di  anormale  ,  e  si 
spiega  benissimo,  mi  pare,  colla  faciUtà  di  confon- 
dersi neir  applicare  a  rovescio  tali  lettere  isolate 
nel  campo  del  conio.  Le  iniziali  S  —  M,  cosi  disposte, 
non  sarebbero  altro  che  errori  di  conio  ;  le  stesse 
monete  di  Savona  ci  offrono  un  esempio  di  tali  er- 
rori (del  resto  frequentissimi,  coni'  è  noto),  nel  MO- 
NETÀS  del  grosso  di  Francesco  Sforza,  ma  per  le  ini- 
ziali M  —  S,  S  —  M  ,  vi  è  inoltre  appunto  la  facilità 
dello  scambio  per  la  loro  posizione  isolata  nel  campo. 

D'altra  parte,  mancano  gli  elementi  per  poter 
dimostrare  con  sicurezza  che  quelle  iniziali  si  deb- 
bano interpretare  :  Moneta  Savonce  (i). 


(1)  Il  Rentzmann  {Numismatisches  Legendett-Lexicon)  non  registra 
né  r  abbreviatura  m.  s.  né  quella  s.  m.  come  da  attribuirsi  alla  zecca  di 
Savona;  è  vero  però  che  quel  libro,  edito  nel  1865-66,  è  quasi  contempo- 
raneo alla  Memoria  del  Promis,  e  quindi  l'omissione  può  dipendere  da 
causo  materiali.  La  2*  odiz.  dello  Schlickeysen  {Erkliìrung  der  Abkur- 


PATACCHINA  SAVONESE   INEDITA   DI   FILIPPO   MARIA   VISCONTI  99 

Combattuta  anche  quest'  obbiezione  ,  potranno 
forse  accettarsi  con  minor  difficoltà  le  conseguenze 
che  scaturiscono  dalle  modeste  osservazioni  su- 
esposte ,  vale  a  dire  le  numerose  inversioni  che  ne 
derivano  tra  il  diritto  ed  il  rovescio  delle  monete  sa- 
vonesi. 

Vorrei  aggiungere  alcune  considerazioni  gene- 
rali, suggeritemi  da  quanto  precede,  e  che  avrebbero 
per  base  il  carattere  religioso  della  moneta  nel  Medio 
Evo  e  ancora  nei  primi  tempi  dell'  Evo  Moderno  , 
carattere  cui  ritengo  non  si  dia  l' importanza  che 
merita,  ma  queste  considerazioni  mi  condurrebbero 
troppo  lontano  dal  nostro  punto  di  partenza,  talché 
stimo  opportuno  di  rimandarle  a  miglior  occasione. 

Solone  Ambrosoli. 


zungen  auf  Miinzen ,  ecc.,  zweìte  Anflage  von  Dr.  R.  Pallmann  und 
Dr.  H.  Droysen) ,  eh'  è  molto  più  recente  (1882) ,  registra  l' abbreviatura 
M.  s.  per  Moneta  Savoiice,  ma  tralascia  l'altra,  s.  m. 

Del  resto,  la  sigla  m,  per  Moneta,  si  trova  bensì  usata  frequentemente 
noi  Paesi  Bassi,  in  Germania,  in  Polonia,  in  Ungheria  ed  altrove  ;  —  ma, 
per  quanto  io  mi  sappia,  tutta  la  numismatica  italiana  non  ce  ne  offri- 
rebbe che  un  solo  esempio  :  il  cavallotto  di  Vespasiano  Gonzaga,  coU'arme 
accostata  dalle  lettere  m  —  s  che  l'Affò  legge:  Moneta  Sablonetce.  Ma 
neppure  in  quest'unico  esempio  l' interpretazione  è  incontrastata ,  poiché 
vediamo  che  lo  Zanetti,  in  una  postilla  all'Affò,  esprime  i  propri  dubbi  in- 
torno a  quella  lettura  (Zanetti,  Nuova  Raccolta  delle  ìitonete  e  zecche 
d'Italw,  Tomo  III,  pag.  139). 


DI    UN 

MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO 

DELL'  ANNO   1506  (1) 


In  quel  tesoro  incomparabile  di  schizzi  e  di  studi 
di  antichi  maestri,  ch'era  stato  raccolto  dal  pittore 
milanese  Giuseppe  Bossi  e  che  dal  1822  si  conserva 
nell'Accademia  di  Belle  Arti  in  Venezia,  non  è  certo 


(1)  Armand,  Les  médailleurs  italiens  des  quinztème  et  seizihne  siècies, 
voi.  Ili,  pag.  47. 


102  ROBERTO  VON   SCHNEIDER 

da  assegnare  l' ultimo  posto  ad  un  piccolo  foglietto  (l), 
sul  quale  si  veggono,  —  accuratamente  disegnati  a 
penna  ed  acquarello,  —  un  Gesù  Bambino  in  atto 
di  benedire,  e  due  busti,  l'uno  di  uomo,  l'altro  di  donna. 
Il  profilo  ardito  della  testa  maschile,  col  berretto  e 
colla  lunga  capigliatura  spiovente  sulle  spalle,  ci  ri- 
chiama tosto  i  ben  noti  lineamenti  dell'imperatore 
Massimiliano  I,  e  se  questo  è  il  personaggio  rappre- 
sentato, e  non  invece,  come  si  è  preteso  senza  fonda- 
mento, Lodovico  il  Moro,  la  testa  femminile  non  può 
raffigurare  la  di  lui  moglie  Beatrice  d'Este.  Non  ri- 
mane che  la  scelta  fra  le  due  consorti  di  quell'impe- 
ratore, e,  se  confrontiamo  i  loro  ritratti  contempo- 
ranei, non  dureremo  fatica  a  deciderci  per  la  seconda. 
Bianca  Maria,  la  nipote  di  quel  duca  di  Milano  che  si 
è  voluto  riconoscere  a  torto  su  quello  stesso  foglietto. 
Quell'eccellente  conoscitore  dell'antica  pittura 
italiana,  che  si  nasconde  sotto  lo  pseudonimo  di 
Ivan  Lermolieff,  è  stato  il  primo  a  sostituire  i  veri 
nomi  a  quelli  tradizionali  e  insostenibili  di  questi 
ritratti,  escludendo  nello  stesso  tempo  che  l'autore 
del  disegno  fosse  Leonardo  da  Vinci,  come  si  trova 
scritto  inconsideratamente  sul  margine  superiore 
del  foglietto.  Egli  lo  attribuì  piuttosto  ad  un  pittore, 
per  cosi  diro  scoperto  da  lui,  il  quale,  in  un  ritratto 
di  Massimiliano  dell'anno  1502  nella  Pinacoteca 
imperiale  di  Vienna,  si  segna  Ambrogio  de  Predis. 
Basandosi  su  quest'opera  firmata,  Lermolieff  è  riu- 
scito a  dimostrare  che  molti  altri  quadri  di  diverse 


(1)  Altezza  cent.  8,  larghezza  cent.  15.  L'annessa   illustrazione  lo   ri- 
produce alquanto  impicciolito. 


DI   UN   MEDAGLISTA   ANONIMO  MANTOVANO  103 

gallerie  appartengono  a  questo  maestro  ,  evidente- 
mente assai  apprezzato  a'  suoi  tempi  e  tenuto  in  onore 
alla  Corte  degli  Sforza,  ed  è  pure  riuscito,  mediante 
alcuni  documenti,  a  gettare  un  po'  di  luce  su  questo 
artista  dimenticato  (l). 

Infatti,  la  rispondenza  che  vi  è  fra  la  testa  di 
Massimiliano  sul  disegno  di  Venezia  e  sul  quadro 
di  Vienna  non  potrebb' essere  più  completa.  Tanto 
nell'uno  che  nell'altro,  noi  vediamo  lo  stesso  atteg- 
giamento della  testa,  coperta  egualmente  di  un  ber- 
retto e  rivolta  di  profilo  verso  la  stessa  parte  ;  vediamo 
la  lunga  capigliatura  divisa  allo  stesso  modo  in  due 
masse,  di  cui  l'una  si  piega  innanzi,  mentre  l'altra, 
la  maggiore,  ricade  sulle  spalle.  A  paragone  di  queste 
rispondenze,  diventano  insignificanti  ed  affatto  tra- 
scurabili le  differenze  nel  vestito  del  principe,  e  poco 
importa  che  nel  quadro  egli  abbia  l'ordine  del  Toson 
d'oro,  e  nel  disegno  non  lo  abbia.  La  stretta  paren- 
tela che  v'è  fra  loro  è  innegabile;  di  fronte  agli  altri 
ritratti  dell'imperatore  contemporanei,  i  quali  appar- 
tengono quasi  tutti  alla  scuola  tedesca,  essi  si  con- 
trappongono recisamente,  come  portato  di  una  stessa 
concezione  ed  emanazione  di  uno  stesso  sentimento 
artistico. 

Che  Ambrogio  de  Predis,  il  quale  eseguì  molti 
lavori  per  la  Corte  milanese,  e  di  cui  Lermolieff  ci 
enumera  i  ritratti  di  Gian  Galeazzo  Maria  Sforza, 


(1)  LermoliefF;  Die  Werke  italienischer  Meister  in  den  Gaìerien  von 
MUnchen,  Dresdm  und  Berlin  (Lipsia,  1880),  pag.  456  e  seg.,  in  nota  ;  e  ora 
più  diifasamonte,  Kunstkritische  Stitdien  ilber  italienische  Molerei:  die 
Gaìerien  Borghese  und  Boria  Panfìli  in  Boni  (Lipsia,  1890),  pag.  230-246, 
dovo  si  trova  anche  una  riproduzione  del  (^[uadro  di  Vienna. 


104  ROBERTO   VON  SCHNEIDER 

di  Lodovico  il  Moro  e  del  piccolo  Massimiliano  Sforza 
(questi  ultimi  due  miniati  nel  Libro  del  Jesus  della 
Biblioteca  Trivulziana),  abbia  eseguito  anche  il  ri- 
tratto della  consorte  dell'imperatore,  Bianca  Maria, 
non  sarebbe  cosa  improbabile  per  sé  stessa,  ma  si 
desume  inoltre  da  una  a  dir  vero  incompleta  notizia 
di  Marc' Antonio  Michiel,  il  cosidetto  Anonimo  del 
Morelli  (^).  Si  tratti  poi  di  questo  quadro  da  lui  ac- 
cennato, che  una  volta  si  trovava  nella  casa  di  Taddeo 
Contarini  in  Venezia,  o  si  tratti  di  un  altro,  il  che 
è  indifferente,  fatto  si  è  che  in  una  raccolta  privata 
a  Berlino  si  è  scoperto  un  ritratto  di  questa  princi- 
pessa, il  quale,  secondo  ogni  probabilità,  dev'essere 
opera  di  mastro  Ambrogio  (2).  Esso  la  rappresenta 
in  una  veste  attillata  di  broccato  pesante,  con  cintura 
e  monile  di  squisito  lavoro,  con  una  ricca  reticella 
tempestata  di  perle  e  di  pietre  preziose  ,  e  coi  ca- 
pelli raccolti  e  strettamente  attorcigliati  in  una  treccia 
prolissa  che  scende  lungo  la  schiena,  ed  intorno  a 
cui  è  ravvolta,  per  tutta  la  sua  lunghezza,  una  fila 
di  perle.  La  regina  ha  questa  treccia,  che  arriva  sino 
alle  calcagna,  anche  in  un  ritratto  della  Collezione 
Ambras  di  Vienna,  ch'è  la  copia  di  un  dipinto  ori- 
ginale italiano,  in  cui  Bianca  Maria  è  rappresentata 
in  un  abbigliamento   meno   pomposo,   ma  sotto  un 


(1)  Notizia  W  opere  di  disegno  pubblicata  e  illustrata  da  D.  Jacopo 
Morelli.  Seconda  edizione  per  cura  di  Gustavo  Frizzoni  (Bologna,  1884) , 
pag.  166. 

(2)BoDE,  Ein  Bildnis  derzweiten  Geinahlin  Kaiser  Maximiliaiìs  Bianca 
Maria  Sforza  von  Ambrogio  de  Predis,  nel  Jahrbuch  der  konigL  preussischen 
Kunstsammlungen,  voi.  X  (1889),  pag.  71  o  sog.,  in  cui  il  ritratto  è  anche 
riprodotto  in  fotoincisione.  Cfr.  Lermolieff  ,  Kunstkritische  Stvdien , 
pag.  243  in  nota. 


DI   UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  105 

aspetto  tanto  più  aggradevole;  come  pure  nel  pro- 
getto che  mastro  Gilg  Sesselschreiber  esegui  per  la 
di  lei  statua  in  bronzo  destinata  al  monumento  di 
Massimiliano  W,  Sul  quadro  di  Berlino,  ella  è  ancora 
nel  fiore  della  giovinezza,  non  dimostra  più  de'  ventun 
anno  che  contava  quando  era  la  fidanzata  dell'im- 
peratore, col  quale  celebrò  le  nozze  ad  Inspruck 
nell'anno  susseguente,  addì  16  marzo  1494.  La  prin- 
cipessa, di  figura  delicata  e  snella,  non  era  priva  di 
grazia  (2).  Ma  colui  al  quale  non  fosse  toccata  in  sorte 
la  missione  di  tesserne  il  panegirico,  o  come  Giason 
del  Maino  nel  giorno  del  di  lei  sposalizio,  o  come 
Ulrico  Zasio  alla  di  lei  bara,  non  avrebbe  potuto 
nascondersi  già  sin  d'allora  che  i  suoi  lineamenti  e 
la  sua  figura  non  corrispondevano  all'  alta  idea  col- 


(1)  Jahrhuch  der  hunsthistorischen  Sammlungen  des  KaiserJiauses 
(Vienna),  voi.  XI  (1890),  pag.  169.  Questa  lunga  treccia  sembra  essere 
stata  di  moda  in  ispecie  a  Milano,  probabilmente  ad  esempio  di  Beatrice 
d' Este,  la  qual  principessa  lo  porta  in  tutti  i  suoi  ritratti  ;  cfr.  V  articolo 
di  CouRAJOD  nella  Gazette  des  heaux-arts,  1877,  voi.  II,  pag.  330  e  seg., 
cosi  pure  «  La  belle  ferronnière  »  di  Leonardo  da  Vinci. 

(2)  Jasonis  Mayni  epithalamion,  in  Freher-Struve,  Rerum  Germa- 
nicarum  scHptores,  voi.  II,  pag.  472;  «  Gratia  oris  eximia,  forma  totius 
«  corporis  procera  et  eleganti,  et  bis  lineamentis  a  quibus  Zeusis  pictor 
«  cantatissimus  facile  omnem  pingendi  venustatem,  ut  a  virginibus  Croto- 
«  niatibus,  posset  excerpere.  »  —  Udalrici  Zasii  ornilo  funehris,  Freher- 
Struve,  II,  pag.  774:  «  His  tam  praecellentibus  stemmatis,  sua  quoque 
«  pulchritudinis  dona  natura  adiecit;  insigni  enim  formae  venustate  princeps 
«  nostra  totiusque  et  corporis  et  membrorum  elogantia  mirifice  enituit,  ut 
«  sicut  nomine,  ita  et  voritate  rei  Bianca  Maria,  id  est  pulchra  diceretur, 
«  quae  insignes  et  generis  et  naturae  dotes  uimirum  meruere,  ut  ipsa  orbis 
«  terrarum  Domino,  Divo  Maximiliano  principi  invìctissimo,  matrimonii 
«  nexu  iungi  digna  haberetur.  »  Johannes  Trithemius,  negli  Annales 
Hirsaugienses,  voi.  II,  pag.  554,  la  cliiama:  «  mulier  corpore  parva,  sod 
«  animo  magno,  suaeque  gentis  amatrix.  » 


106  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 

legata  da  tempo  alla  bellezza  di  una  Lombarda, 
u  quella  bellezza  ??  —  per  dirla  con  Manzoni  — 
u  molle  a  un  tempo  e  maestosa  ?? ,  alla  quale  un  ca- 
valiere tedesco  che  aveva  veduto  molti  paesi,  intorno 
appunto  a  quell'  epoca,  non  esita  a  conferire  la 
palma  (1),  quella  bellezza  che  trovò  la  sua  più  sublime 
glorificazione  artistica  negli  affascinanti  dipinti  di 
Leonardo  da  Vinci. 

Il  disegno  di  Venezia  ci  presenta  Bianca  Maria 
più  attempata  di  alcuni  anni  che  sul  ritratto  di  Ber- 
lino. Il  di  lei  viso  non  rispecchia  più  lo  splendore 
radioso  della  sua  patria,  e  gli  è  come  se  i  disinganni 
di  quel  matrimonio  conchiuso  dalla  politica  si  riflet- 
tessero neir  espressione  un  po' infastidita  della  prin- 
cipessa. Sopra  la  reticella,  porta  una  berretta  colla 
tesa  rialzata  posteriormente.  La  lunga  treccia  è  scom- 
parsa; invece,  una  fila  tanto  più  lunga  di  perle,  tolta 
dal  riboccante  cassone  nuziale,  adorna  il  suo  collo 
sottile   (2).  Noi   non   possediamo   nessun   ritratto   di- 


(1)  Die  Pilgerfahrt  des  Bitter s  Arnold  von  Harff...  in  den  Jahren  1496 
bis  1499,  pubblicata  da  E.  v.  Groote  (Colonia,  1860),  pagina  217:  «  Item 
«  in  deser  stat  Meylaen  dunkt  mich  nae  mijnem  dummen  erkentonyss  dat 
«  ich  dae  die  schoenste  frauwen  gesien  hane  von  allo  mijner  wandolonge 

<  ind  zo  Venedick  die  koestlichste...  ind  in  demo  koninckrijch  von  Moabar 
«  dio  aller  swartzte.  »  (Così  pure  in  questa  città  di  Milano  mi  pare,  secondo 
il  mio  grossolano  discernimento,  di  aver  veduto  le  donne  più  belle  di  tutti 
i  miei  viaggi,  e  in  Venezia  le  più  suntuose....  e  nel  regno  del  Malabar  le 
più  nere  di  tutte). 

(2)  Per  il  corredo,  v.  G.  del  Maino,  1.  e:  «  In  dotem  constituta  sunt 

<  ad  quator  centena  millia  aurei  nummi  »  (veramente  soltanto  300,000 , 
5  cfr.  Ulmann,  Kaiser  Maximilian  I,  voi.  I,  pag.  219,  nota  1).  «  Insuper 
«  in  paraphorna  advecta  est  surama  auroorum  sexaginta  millium,  prò  ioca- 
«  libus,  vestimentis ,  pretiosa  suppollectili,  et  reliquo  mundo  muliebri.  » 
Cfr.  y Inventarimi  iocalium,  argenteorum  etc,  que  dantur  serenissime  domine 


DI  "UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  107 

pinto  di  Bianca,  che  corrisponda  a  questo  schizzo. 
Ma  abbiamo  una  prova  indiscutibile  che  un  tal 
quadro  esisteva.  Infatti ,  nel  Gabinetto  delle  inci- 
sioni a  Berlino  si  conserva  un  disegno  colorato,  di 
grandi  dimensioni ,  che  falsamente  si  attribuisce 
all'Amberger  (i),  in  cui  è  riprodotto  quello  stesso 
ritratto,  con  tutte  le  sue  particolarità.  Soltanto,  la 
berretta  vi  è  ornata  di  un  ricamo,  che  manca  nello 
schizzo  di  Venezia.  Che  quello  di  Berlino  sia  preso 
da  un  dipinto,  lo  dimostrano  le  annotazioni  con  cui 
sono  indicati  i  colori  dell'originale,  dove  ciò  non  è 
stato  fatto  con  una  leggera  tinta.  Queste  annota- 
zioni sono  in  lingua  tedesca,  e  quindi  il  copista  era 
un  tedesco.  Ma  certamente  il  ritratto  originale  della 
regina,  ora  scomparso,  da  cui  fu  ricavato  quel  disegno, 
era  fattura  di  pennello  italiano,  e  secondo  ogni  pro- 
babilità, di  Ambrogio  de  Predis,  e  ciò   sarebbe   ad- 


Bìance  preter  dotem  (nel  Jahrhuch  der  kunsthistortschen  Sammlungm,  di 
Vienna,  voi.  I,  2,  n.  191),  in  cui  le  file  di  perle  occupano  un  posto  prin- 
cipalissimo.  Una  di  esse  ha  il  valore  di  1780  ducati.  Molti  fra  i  gioielli, 
nelle  non  infrequenti  angustie  domestiche,  venivano  impegnati  {Jahrhuch, 
III,  2,  n.  2676),  come  una  volta  la  stessa  biancheria  (Ulmann,  1,  pag.  225). 
Una  descrizione  evidente  delPabbigliamento  in  cui  la  regina  fu  posta  nella 
bara,  ci  vien  data  dalla  lettera  di  un  figlio  al  proprio  padre,  del  2  gen- 
naio 1511,  pubblicata  nel  Jahrhuch,  III,  2,  n.  2684.  Secondo  quella  de- 
scrizione, il  di  lei  vestito  era  di  velluto  nero  con  ornamenti  d'oro;  portava 
guanti  gialli  ed  aveva  alle  dita  due  anelli  d'oro  con  un  diamante  ed  un 
rubino  ;  attorno  alla  sua  mano  destra  era  avvolto  a  quattro  giri  un  rosario 
di  corallo,  ogni  corallo  era  grosso  come  una  nocciuola.  In  capo  aveva  una 
corona  d'argento  dorato,  con  un  arco  sormontato  da  una  piccola  croce.  Una 
cintura  d'oro,  «  di  lavoro  italiano,  »  le  attorniava  la  vita,  una  fila  di  perle 
lo  ornava  il  collo. 

(1)  Riprodotto  ad  un  terzo  della  grandezza  originalo,  nel  Jahrhuch  der 
kón.  preuss.  Kunstsammlungen,  voi.  X,  pag.  74. 


108  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 


dirittura  quasi  sicuro,  se  il  disegno  di  Venezia,  come 
risulterebbe  da  quanto  precede,  fosse  opera  vera- 
mente di  questo  maestro. 

Per  quanto  sembrino  ben  fondati  i  suoi  diritti 
sulla  paternità  di  quel  foglietto,  non  si  dovrebbe  tut- 
tavia rinunciare  ad  esaminare  le  ragioni  che  possono 
venir  accampate  in  proposito  da  una  parte,  la  quale, 
per  quel  ch'io  sappia^  fu  trascurata  sinora.  Esiste 
un  testone,  coniato  in  oro  ed  in  argento  (Tav.  IT,  n.  1), 
che  da  un  lato  ci  presenta  le  teste  accollate,  a  destra, 
dell'imperatore  Massimiliano  e  di  Bianca  Maria,  e 
dall'altro  la  B.  V.  assisa  sulle  nubi,  in  atto  di  por- 
gere il  seno  al  Bambino,  attorniata  da  sette  teste 
alate  di  angioli.  La  leggenda  del  diritto  suona  :  Maxi- 
miliamt{s)  /i?o(manorum)  Rex  et  Bianca  il/(aria)  co7i- 
iuges;  le  ultime  due  lettere  IV  si  debbono  inter- 
pretare, nonostante  la  tautologia,  hmcti.  Nel  rovescio 
si  legge  l'invocazione  alla  B.  V.:  Esto  nohis  turris 
fbr(tìs)  a  facie  inimici.  Le  identiche  rappresentazioni 
si  veggono  anche  su  di  una  medaglia,  della  quale 
si  conservano  un  esemplare  in  oro  nella  Collezione  di 
Vienna  (Tav.  II,  n.  2)  ed  uno  di  bronzo  in  quella 
di  Berlino  (i).  Essa  ha  un  rilievo  maggiore,  ed  es- 
sendo più  grande  ci  offre  con  maggior  chiarezza  i 
particolari.  Tuttavia  le  iscrizioni  su  di  essa  sono 
peggio  distribuite  e  presentano  maggiori  lacune. 
Anche  per    altri    rispetti ,  il    testone  mi  sembra  di 


(1)  Riprodotto  da  Friedlaender,  Die  italientschen  Schaumunzen  des 
funfzehnten  Jahrhunderts,  Jahrbuch  der  kon.  preuss.  Kunstsammlungen, 
voi.  Ili,  tav.  XXXIII.  L'esemplare  di  Berlino  è  meglio  conservato,  special- 
mente nello  parti  più  rilevate,  ma  è  meno  accuratamente  cesellato  di  quello 
di  Vienna. 


DI  UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  109 

lavoro  più  ponderato,  e  quindi  io  mi  atterrò  preferi- 
bilmente ad  esso. 

Tutto  ciò  che  si  trova  sul  disegno  di  Venezia, 
si  trova  anche  sulla  medaglia  e  sul  testone,  tanto 
il  Gesù  Bambino  quanto  le  due  teste  dell'imperatore 
e  della  di  lui  consorte,  queste  ultime  collo  stesso  ca- 
rattere e  rappresentate  allo  stesso  modo ,  ma  tutto 
in  senso  inverso.  Oltre  a  questo  parallelismo,  per 
dir  cosi,  che  si  riscontra  fra  la  moneta  e  la  me- 
daglia da  una  parte  e  il  disegno  dall'  altra,  è  anzi- 
tutto la  piccolezza  di  quest'ultimo,  che  mi  decide  ad 
attribuirlo  al  medesimo  artista  che  lavorò  quei  due 
pezzi.  Chi  disegna  a  questo  modo  non  può  essere 
evidentemente  fuorché  un  artista  avvezzo  a  lavorare 
in  piccolo  e  che  pensa  di  eseguire  ancor  più  in  pic- 
colo i  suoi  progetti,  quindi  in  ogni  caso  come  fa  un 
orafo  od  un  medaglista,  ma  non  mai  come  fa  un 
pittore  di  ritratti  pei  suoi  studi  dal  vero.  Per  tal 
ragione  questi  studi  non  possono  aver  servito  ad 
Ambrogio  pei  suoi  ritratti  di  grandezza  naturale, 
anche  ammettendo  ch'egli_^abbia  avuto  i  primi  inse- 
gnamenti dal  suo  parente  Cristoforo  Preda  che  era 
un  miniatore,  e  all'occasione  abbia  eseguito  miniature 
egli  stesso,  come  nel  Libro  del  Jesus  della  Trivulziana. 
Almeno  avrebbe  dovuto  fare  questi  schizzi  per  un 
altro  scopo,  diverso  da  quello  di  cui  ci  occupiamo. 
Tuttavia  mi  sembra  inutile  di  andarlo  cercando,  dal 
momento  che  lo  scopo  del  foglietto  risulta  cosi 
chiaro  dal  confronto  colla  medaglia  e  col  testone. 

Non  si  vuol  passare  sotto  silenzio  che  tra  i 
progetti  e  i  pezzi  eseguiti  vi  sono  alcune  differenze. 
Per  cominciare  dalla  più  importante,  su  questi  il 
Bambino  non  è  rappresentato   in   atto    di    benedire 


110  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 


ma  sta  invece  al  seno  della  madre.  Il  cappello 
della  regina  è  differente,  invece  della  solita  fila  di 
perle,  essa  ha  al  collo  una  pesante  catena  d'oro; 
l'imperatore  porta  al  "disopra  di  una  corazza  la  ca- 
tena del  Toson  d'oro,  e  in  questo  particolare  si  al- 
lontana dal  disegno  di  Venezia,  come  abbiamo  già  ve- 
duto che  se  ne  scosta  nel  ritratto  di  Ambrogio.  Alcune 
di  queste  modificazioni  che  i  primi  schizzi,  quali  ci 
si  presentano  sul  foglietto,  hanno  subito  nell'esecu- 
zione, potranno  poi  forse  trovare  la  loro  spiegazione 
naturale.  Ciononostante  sia  detto  sin  d'ora  che  tutte 
queste  differenze  sono  assai  minori  di  quelle  che  inter- 
cedono per  esempio  fra  lo  schizzo  del  Pisanello  per  la 
medaglia  di  Alfonso  V  d'Aragona  nel  cosidetto  Re- 
cueil  Vallardi  del  Louvre  e  la  medaglia  come  fu  real- 
mente eseguita,  oppure  fra  il  rovescio  della  sua 
medagUa  per  Giovanni  VII  Paleologo  e  lo  studio 
eseguito  per  essa  dal  vero  e  conservato  egualmente 
nel  Louvre  W. 

Per  ciò  che  concerne  l' origine  del  testone  e  della 
medaglia,  ne  abbiamo  informazioni  abbastanza  par- 
ticolareggiate, dacché  l'archivio  d'Inspruck  fu  rovi- 
stato da  capo  a  fondo  in  cerca  di  notizie  attinenti 
alla  storia  dell'  arte,  e  dopoché  si  hanno  gli  estratti 
del  libro  di  conti  dello  scrivano  della  zecca  di  Hall 
(in  Tirolo),  Sigismondo  Yseregker  (2).  Veniamo  a  co- 


(1)  Heiss,  Les  médailleurs  de  la  renaissance;  Vittore  Pisano  (Parigi, 
1881),  pag.  33  e  44. 

(2)  I  documenti  relativi,  ricavati  dairarcliivlo  di  Inspruck,  si  trovano 
pubblicati  nel  Jahrbuch  der  kunsthistorischen  Sammluiìgen  des  Kaiserhauses^ 
voi.  II,  2,  nn.  770,  771,  780,- 812;  gli  estratti  del  registro  di  Yseregker, 
nella  Numismatische  Zeitschrift,  annata  XVIII  (Vienna,  1886),  pag.  55-56. 


DI  UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  111 

noscere  da  documenti  contemporanei  che  essi  sono 
opera  di  un  intagliatore  di  conii  mantovano  che 
nel  1506  era  stato  chiamato  a  Hall,  città  la  quale 
dal  1478  era  la  zecca  più  importante  nei  possedi- 
menti ereditari  dell'  imperatore.  Sgraziatamente  , 
nessun  documento  ci  dà  il  suo  nome.  Si  acconten- 
tavano di  chiamarlo,  secondo  l'uso  popolare,  u  Tin- 
tagliatore  di  ferri  "  o  u  l'intagliatore  di  conii 
italiano  w  oppure  addirittura  «  l' italiano  " ,  senza 
dubbio  perchè  agl'impiegati  tedeschi  riusciva  troppo 
difficile  il  tenere  a  mente  la  parola  straniera. 
Lo  troviamo  ricordato  per  la  prima  volta  in  due 
scritti,  entrambi  in  data  7  marzo  dell'  anno  suddetto. 
Egli  era  arrivato  allora  appunto  a  Hall.  In  uno  di 
quegli  scritti  il  consigliere  Pietro  Kummel  di  Lich- 
tenau  prega  il  maresciallo  della  contea  di  Tirolo, 
Paolo  Liechtenstein,  di  rilasciargli  un  mandato  di 
pagamento  a  di  lui  favore,  aggiungendo  di  aver  già 
dato  ordine  che  gli  si  fornisse  ferro,  acciaio  e  rame. 
Nell'altro  scritto ,  il  maresciallo  della  contea  in- 
carica il  mastro  di  zecca  di  Hall,  Bernardo  Beheim, 
di  dare  al  Mantovano  1'  occorrente  per  tre  persone 
e  per  due  cavalli,  e  di  fornirgli  tutti  gli  attrezzi  di 
cui  abbisognasse.  Dai  conti  dello  scrivano  della  zecca 
di  Hall,  ricaviamo  che  il  Mantovano  intagliò  conii 
per  talleri,  mezzi  talleri,  pezzi  da  trenta,  ed  altre 
monete  "  inferiori ,  e  che  ne  furono  mandate  delle 
prove  a  Paolo  Liechtenstein  e  Pietro  Kummel.  Tutto 
è  registrato  accuratamente,  compreso  persino  le  due 
misure  di  vino  che  il  mastro  di  zecca  elargì  quando 
si  provarono  i  grandi  conii,  e  la  mercede  di  sette 
carantani  al  messo  per  Inspruck.  Da  ultimo  si  ac- 
cenna anche  ai  conii  che   «  l' intagliatore  di  ferri  ?? 


112  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 

aveva  fatto,  colle  teste  di  Massimiliano  e  della  regina, 
e  coirimmagine  della  B.  V.  sul  rovescio.  Egli  ne 
aveva  fatto  coniare  quattro  saggi  per  consegnarli 
u  in  mani  proprie  della  regina.  ^  Da  uno  scritto  del 
consigliere  Rummel  di  Lichtenau  si  rileva  che  al 
9  maggio  egli  aveva  oramai  terminato  il  suo  lavoro, 
perchè  il  figlio  omonimo  del  mastro  di  zecca,  Ber- 
nardo Beheim,  doveva  presentare  all'imperatore  in- 
sieme a  quella  lettera  le  prove  dei  conii.  Egli  manda, 
vi  si  dice,  i  saggi  in  argento  dei  nuovi  conii  che  i 
Mantovani  avevano  intagliato,  e  due  in  oro  da  zec- 
chino, e  spera  che  l'imperatore  se  ne  compiacerà 
grandemente.  Per  qualunque  modificazione  che  l' im- 
peratore eventualmente  desiderasse,  potrà  darne  in- 
carico al  figlio  del  mastro  di  zecca,  che  sarebbe  in 
grado  di  riferirne  esattamente.  Egli  è  intelligente 
come  suo  padre,  ha  coniato  anzi  di  proprio  pugno 
i  saggi  e  se  ne  è  occupato  molto  coi  Mantovani. 
Pel  caso  che  si  desiderassero  mutamenti,  vi  sono  già 
i  ferri  pronti.  Al  31  settembre  si  mandarono  ancora 
air  imperatore  quattro  pezzi  d' argento  da  un  fiorino, 
battuti  coi  conii  dell'  u  italiano  " .  L'  ultima  men- 
zione di  queste  monete  la  troviamo  in  uno  scritto 
di  Massimiliano  del  1°  gennaio  1507 ,  in  cui  egli 
ordina  al  suo  consigliere  Urbano  di  Serralunga  di 
consegnare  4  monete  d'argento  su  cui  è  impressa  la 
sua  effigie  e  quella  della  sua  cara  consorte.  11  re- 
gistro di  Hall  ci  fa  sapere  che  l'ordine  fu  eseguito. 
Da  queste  notìzie  apprendiamo  che  il  soggiorno 
dell'  intagliatore  mantovano  e  de'  suoi  assistenti  in 
Hall  non  fu  che  di  breve  durata.  Nel  settembre 
avevano  finito  i  loro  lavori ,  e  dopo  forse  di  aver 
eseguito  le  modificazioni  desidei'ate  dall'imperatore, 


DI   UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  113 

ritornarono  probabilmente  in  patria  per  la  via  del 
Brennero  ancora  prima  che  incominciasse  la  cattiva 
stagione.  L'intagliatore,  d arante  il  suo  soggiorno  in 
Tirolo,  non  può  aver  visto  Massimiliano  in  persona, 
perchè  le  complicazioni  ungheresi ,  le  trattative  di 
matrimonio  con  re  Vratislao  ,  la  breve  guerra  col 
regno  vicino  nei  mesi  di  maggio  e  giugno,  tratten- 
nero r imperatore  nella  parte  orientale  dei  suoi  posse- 
dimenti ereditari,  per  quasi  tutto  l'anno  1506.  Soltanto 
nell'ottobre  egli  incomincia  ad  avvicinarsi  lentamente, 
per  l'Austria  superiore  e  per  Salisburgo,  al  suo  pre- 
diletto Tirolo,  e  nel  dicembre,  quando  le  monete 
colla  sua  effigie  erano  già  state  coniate  da  lungo 
tempo,  egli  arriva  finalmente  a  Inspruck  (1).  Il  Man- 
tovano deve  quindi  necessariamente  essersi  servito 
di  un  ritratto  già  esistente  dell'imperatore,  per  ri- 
produrne i  lineamenti  nel  suo  punzone;  ed  è  evi- 
dente, per  la  innegabile  rispondenza  della  testa  sulla 
moneta  col  ritratto  firmato  di  mano  di  Ambrogio 
de  Predis,  che  appunto  questo  gli  servì  da  modello. 
In  tal  modo  si  spiega  senza  difficoltà  la  parentela 
dello  schizzo  di  Venezia  coli' uno  e  coli' altro  (2).  Che 


(1)  Chr.  Fr.  Staelin,  Aufenthaltsorte  Kaiser  Maximilians  7, 1498-1519, 
nelle  Forschungen  zur  Deutschen  Geschichte,  voi.  I  (1862),  pag.  365,  e  seg. 

(2)  Clio  il  pittore  Ambrogio  de  Predis,  —  ciò  che,  ad  esempio  del  Pi- 
sanello ,  del  Francia ,  di  Antonio  Pollainolo ,  di  Gentile  Bollini  o  di  altri, 
data  la  versatilità  degli  artisti  di  quell'epoca,  non  avrebbe  nulla  di  strano, 
--  non  possa  essere  il  medaglista  «  italiano  »  di  Hall ,  lo  si  deduce  dai 
seguenti  motivi.  In  primo  luogo,  sul  ritratto  di  Massimiliano  egli  si  dico 
milanese,  mentre  il  medaglista  era  un  mantovano.  In  secondo  luogo,  in 
una  lettera  di  Paolo  di  Liechtenstein,  del  6  ottobre  1506,  egli  vien  chiamalo 
espressamente:  mastro  Ambrogio  pittore  da  Milano  {Jahrbuch  der  kunsihistm; 
Sammlungen,  di  Vienna,  voi,  V,  2,  num.  4020),  mentre  quando  Liechtenstein 

i5 


114  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 

il  primo  progetto,  nelF  esecuzione  ad  incavo  dei  conii, 
non  sia  rimasto  invariato,  lo  si  comprende  facilmente. 
È  probabile  che  ancora  all'ultimo  momento  vi  si  sia 
lavorato  attorno  per  migliorarlo,  poiché  era  stato 
presentato  ad  un  padrone  così  difficile  da  acconten- 
tare e  così  sofìstico  qual  era  Massimiliano.  Come 
l'imperatore,  che  s'interessava  anche  alle  cose  appa- 
rentemente di  minor  importanza,  si  sarà  comportato 
in  tale  occasione,  lo  argomentiamo  da  uno  scritto  del- 
l'anno  1501(1).  In  esso  egli  esamina  i  conii  di  mo- 
nete incisi  da  mastro  Benedetto  Burkart.  Sulla  prova 
ch'egli  rimandava,  egli  aveva  segnato  coli' inchiostro 
tutti  i  difetti  ;  il  naso  era  troppo  alto,  il  volto  troppo 
lungo  e  il  corpo  troppo  grande. 

Diversamente  stanno  le  cose  per  ciò  che  con- 
cerne l'effigie  della  regina.  Anche  per  questa,  senza 
dubbio,  il  Mantovano  si  è  servito  come  modello  di 
un  ritratto,  che  secondo  ogni  probabilità  dev'  essere 
stato  dipinto  da  Ambrogio  de  Predis.  Ma  la  regina, 
durante  il  soggiorno  dell'  intagliatore  italiano ,  si 
trovava  in  Tirolo;  egli ,  come  abbiamo  visto,  si  ri- 
serva di  consegnare  in  di  lei  mani  i  saggi  della  sua 


parla  del  nostro  incisore  di  monete  sì  serve  di  quelle  stesse  espressioni  ge- 
nerali che  abbiamo  visto  usate  dal  consigliere  Kummel  e  dallo  scrivano  di 
Hall.  In  terzo  luogo,  dallo  stesso  scritto  si  rileva  che  Ambrogio,  presso  a 
poco  allo  stesso  tempo  in  cui  Tintagliatore  di  conii  soggiornava  in  Tirolo, 
ora  occupato  in  Milano  a  disegnare  un  abito  per  gli  arcieri  dell'imperatore. 
Questo  documento,  proveniente  dalla  biblioteca  della  collezione  Ambras,  il 
quale  ci  mostra  l'attività  di  Ambrogio  sotto  un  nuovo  aspetto,  meriterebbe 
di  essere  aggiunto  alle  notizie  dateci  da  Lermolieff  intorno  a  (questo  pittore 
{Kunstkritische  Studien,  pag.  230  e  seg.). 

(1)  Jahrbuch  der  kunsthistorischen  Sammlungen  (Vienna),  voi.  II,  2, 
».  645, 


DI  UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  11^ 

arte,  ed  evidentemente  le  era  già  stato  presentato 
in  qualità  di  compatriota.  Egli  la  conosceva  dunque 
da  faccia  a  faccia,  e  probabilmente  non  aveva  tra- 
scurato di  modificare  dal  vero  i  lineamenti  di  Bianca, 
che  gli  erano  stati  trasmessi  dapprincipio  per  mezzo  di 
un  ritratto  di  alcuni  anni  prima.  Bisogna  riconoscere 
a  sua  lode  che  sotto  la  sua  mano  essi  hanno  acqui- 
stato in  grazia,  a  paragone  del  primo  schizzo. 

Dopo  quanto  ho  esposto,  non  mi  perito  ad  attri- 
buire il  foglietto  di  Venezia  all'artista  mantovano. 
Quel  foglietto  non  è  uno  studio  dal  vero,  di  mano 
d'Ambrogio  de  Predis,  pei  suoi  ritratti,  ma  piuttosto 
lo  studio  di  queir  intagliatore  di  conii ,  da  quei 
ritratti  d' Ambrogio ,  pel  suo  testone  e  la  sua 
medaglia. 

Perchè  l'intagliatore  non  sia  rimasto  fedele  al 
suo  primo  progetto  e  non  abbia  rappresentato  il 
Bambino  in  grembo  alla  madre,  in  atto  di  benedire, 
non  saprei  dirlo,  ma  in  compenso  egli  ci  ha  dato 
una  graziosissima  immagine  della  Vergine  che  porge 
il  seno  al  Bambino.  E  ciò  è  il  punto  di  partenza  che 
deve  servirci  a  ricondurre  in  patria  l'artista.  Poiché 
noi  troviamo  lo  stesso  gruppo,  colla  leggenda  :  Virgo 
Dei  Genitrix^  quantunque  senza  le  testoline  d'angioli 
in  giro,  su  monete  d'argento  mantovane  che  furono 
coniate  durante  il  marchesato  di  Gian  Francesco  II 
(1484-1519).  Il  Gabinetto  imperiale  di  Vienna  ne 
possiede  due,  le  quali  differiscono  l'una  dall'altra  sol- 
tanto per  gli  emblemi  del  rovescio  :  la  prima  (Tav.  II, 
n.  4)  reca  il  crogiuolo    tra  le  fiamme  W,  l'impresa 


(1)  PoRTiOLi,  La  zecca  di  Mantova,  parte  I,  pag.  86. 


116  ROBERTO  VON  SCHNEIDER 


del  Marchese,  già  conosciuta  per  le  belle  monete  di 
Melioli  ;  la  seconda  (Tav.  II,  n.  5),  un  uccello  su  di 
un'ara,  colla  scritta:  Vico  e  morto  (l).  Il  materiale 
di  cui  dispongo  non  mi  permette  di  appurare  se  il 
nostro  intagliatore  abbia  recato  a  Hall  con  sé  questo 
tipo,  comechè  usato  nella  sua  patria  zecca,  o  se  questa 
raffigurazione  sia  venuta  in  uso  nelle  monete  man- 
tovane soltanto  dopo  il  1506.  S'intende  che  in  un 
motivo  artistico  tanto  frequente  non  si  possa  parlare 
di  una  vera  invenzione.  Non  sono  rare  le  placchette 
uscite  dalle  officine  dell'Italia  settentrionale,  con  si- 
mili immagini  della  B.  V.  (2).  I  cherubini  nelle  nubi, 
come  li  ha  disposti  l'incisore  intorno  alla  Vergine, 
sono  un  motivo  usato  con  predilezione  da  Mantegna, 
che,  come  è  noto,  esercitò  una  possente  influenza 
sulle  arti  minori  nei  luoghi  in  cui  si  estrinsecò  la 
sua  attività.  Cosi,  per  esempio,  li  troviamo  due  volte 
nel  suo  celebre  trittico  della  Tribuna  di  Firenze,  una 
volta  intorno  a  Cristo  che  sale  al  cielo,  un'altra  volta 
intorno  alla  Vergine  nell'adorazione  dei  Magi,  que- 
st'ultima conosciuta  a  tutti  per  l'incisione  del  maestro, 
sotto  il  nome  di  Vergine  della  Grotta  (3);  o  nel  bel 
quadro  della  Vergine,  che  ora,  liberato  dai  guasti 
d'una  malintesa  ristaurazione,  è  divenuto  una  delle 
perle  della  ricca  galleria  di  Brera. 

Da  questa  rispondenza  dei  tipi  sulla  medaglia, 
sul  testone  e  sulle  monete  mantovane,  si  deduce  con 


(1)  Portigli,  1.  e,  pag.  87. 

(2)  Mounier,  Les  plaquettes,  voi.  Il,  nn.  423,  427.  Bode  und  Tschudi, 
Beschreihung  der  Bildtverke  der  cliristlichen  Epoche  (Konigl.  Museen  zu 
Berlin),  n.  704,  826. 

(3)  Bartsch,  Le  peintre-graveur,  voi.  XIT,  pag.  233,  n.  9. 


m  UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO  117 

tutta  sicurezza  che  il  nostro  intagliatore  di  conii  ha 
lavorato  nella  zecca  di  Mantova.  E  ciò  ne  permette 
di  sperare  che  un  giorno  potremo  chiamarlo  col  suo 
vero  nome.  Senza  dubbio,  il  suo  viaggio  in  Tirolo 
dev'essere  stato  preceduto  da  un  carteggio  fra  l'im- 
peratore e  il  marchese  Gian  Francesco  II.  Poiché 
è  noto  quanto  gelosamente  allora  i  principi  e  gli 
stati  custodissero  i  propri  artisti.  Le  notizie  che  noi 
desideriamo,  e  che  gli  archivi  austriaci,  nonostante 
le  più  attive  ricerche,  non  riuscirono  a  fornirci,  pos- 
sono ancora  tuttavia  esserci  date  dagli  archivi  italiani; 
ed  i  nuovi  ed  importanti  risultati  che  furono  pub- 
blicati, appunto  in  questo  stesso  periodico,  sui  meda- 
glisti alla  Corte  dei  Gonzaghi,  ci  danno  animo  a 
bene  sperare.  Perciò  queste  righe  si  indirizzano  agli 
indagatori  d'Oltralpe,  cosi  straordinariamente  felici 
nelle  loro  ricerche  nel  campo  della  storia  dell'arte, 
ed  avranno  adempiuto  al  loro  scopo  se  riesciranno 
a  far  rivolgere  l^  loro  attenzione  su  questo  maestro 
che  nei  suoi  lavori  autentici  dispiega  tanta  valentìa. 
Poiché  davvero  non  é  la  sola  curiosità  che  ci 
spinge  a  ricercare  quale  fosse  il  suo  nome.  Ammet- 
tiamo pure  che  nella  sua  patria  non  gli  competa 
che  un  posto  secondario,  in  confronto  di  un  Barto- 
lomeo Melioli  o  di  un  Gian  Marco  Cavalli.  Anche  la 
sua  attività  in  Hall,  a  giudicarne  dalle  monete  che 
ci  restano,  sarebbe  stata  meno  svariata  di  quello  che 
si  potrebbe  supporre  dagli  appunti  surriferiti  dello 
scrivano  della  zecca.  Tranne  in  una  moneta  d'argento 
col  busto  di  Massimiliano  nel  diritto  e  coli' aquila  e 
la  leggenda  :  Moneta  nova  Comitat.  Tirolis  (Tav.  II, 
n.  3)  nel  rovescio,  non  posso  riconoscere  con  sicu- 
rezza la   sua    mano   in    nessun    altro    conio   a   me 


118      R.  VON  SCHNEIDER  -   DI  UN  MEDAGLISTA  ANONIMO  MANTOVANO 

noto  (1).  Comunque,  nonostante  la  brevità  del  di  lui 
soggiorno  presso  la  zecca  imperiale,  la  sua  attività  fu 
quivi  accompagnata  dai  più  favorevoli  effetti  ;  e  se, 
come  non  è  da  dubitarne,  Massimiliano  aveva  divisato 
di  portare  le  monete  colla  sua  effigie  tecnicamente  e 
artisticamente  all'altezza  approssimativa  delle  monete 
italiane  del  suo  tempo,  coll'invito  all'intagliatore  man- 
tovano egli  aveva  pienamente  raggiunto  il  proprio 
scopo.  Con  questo  maestro,  il  cui  nome  ci  rimane  tut- 
tora ignoto,  l'arte  italiana  incomincia  ad  esercitare 
sullo  stile  e  sul  carattere  delle  medaglie  imperiali 
tedesche  quell'  influenza  che  doveva  durare  quasi  un 
secolo  e  mezzo  e  che  raggiunse  il  suo  punto  culmi- 
nante per  opera  di  Antonio  Abondio  il  giovane,  alle 
Corti  di  Vienna  e  di  Praga. 

Vienna f  gennaio  1890. 

EOBERTO    VON   SCHNEIDER. 
(Trad.  di  Solone  Ambrosoli). 


(1)  Per  motivi  estrinseci  si  potrebbe  forse  esser  tentati  di  attribuire  al 
maestro  mantovano  la  bella  medaglia  pel  maggiordomo  della  regina  Bianca 
Maria,  Nicolò  di  Firmian,  che  fu  trovata  sul  solaio  di  una  casa  a  Yillaco 
in  Carinzia,  e  che  ora  si  conserva  nel  piccolo  museo  di  quella  città  (Armand, 
Les  médailleurs  italiens,  voi.  IIT,  pag.  187,  n.  E.).  Ma,  a  giudicarne  dallo 
stile,  è  anteriore ,  ed  anche  la  rappresentazione  e  la  leggenda  del  suo  ro- 
vescio si  riferiscono  all'opera  di  Firmian  nel  Tirolo  meridionale  nell'anno 
1487.  Se  le  medaglie  per  Maddalena  (Rossi  ?)  di  Mantova,  del  1504  (Armano, 
voi.  II,  pag.  100,  n.  11;  pag.  101,  n.  12;  voi.  Ili,  pag.  194,  n.  B.),  siano 
state  eseguite  dal  nostro  intagliatore  di  conii,  è  ben  difficile  da  decidere 
per  la  scarsità  delle  notizie  che  abbiamo  intorno  a  lui. 


UNA  MEDAGLIA  INEDITA 
DE' PRINCIPI  BACIOCCHI 


Domenico  Massagli  nella  sua  Storia  della  Zecca 
e  delle  monete  lucchesi ,  che  forma  la  Parte  II  del 
tomo  XI  delle  Memorie  e  documenti  per  servire  alla 
Storia  di  Lucca ,  nell'appendice  (pp.  135-163)  tratta 
anche  de'  sigilli  e  delle  medaglie ,  e  tra  le  varie 
medaglie,  coniate  dai  Principi  Baciocchi,  pone  la 
seguente  ,  della  quale  è  opportuno  che  trascriva  la 
illustrazione  da  esso  fattane  : 

Medaglia  d'argento  della  R.  Accademia  Lucchese /deno- 
minata QVATVOR  VIRI. 

^  —  Corona  di  lauro ,  e  nel  campo  in  tre  linee  : 
MVNIFICENTIA  —  OPT  •  PRINC  •   —  A  •  CIDIDCCCXIII  • 

9I  —  Nell'area  inornata:  ||||  .  VIRI  —  R  •  ACAD  •  LVC  • 
A  •  NE(7  •  -  FF  •  CVR  - 


120  GIOVANNI  SFORZA 


u  La  storia  letteraria  di  Lucca  ??,  son  sue  pa- 
role, «  ci  mostra  come  la  nostra  città  da  oltre  due 
u  secoli  e  mezzo  ebbe  sempre  dentro  le  sue  mura 
u  un  consesso  scientifico  ,  che  abbracciò  poi  anche 
u  le  belle  arti ,  il  quale  ,  sebbene  sotto  varie  deno- 
ti minazioni ,  si  è  conservato  fino  ai  nostri  giorni , 
«  ed  oggi  è  detto  B.  Accademia  Lucchese  di  lettere, 
u  scienze  ed  arti, 

u  La  munificenza  dei  Principi  Baciocchi  volle 
«  nel  1812  onorare  questa  nostra  celebre  ed  anti- 
u  chissima  istituzione  del  nome  dell'  augusto  capo 
«  della  famiglia  loro,  ordinando  che  in  luogo  di  chia- 
«  marsi ,  dal  modesto  titolo  che  allora  portava,  di 
«  Accademia  degli  Oscuri^  chiamar  si  dovesse  Imp.  e 
«  Regia  Accademia  Napoleone, 

u  È  certo  che  nuovi  statuti  ed  anche  usi  novelli 
u  dovettero  naturalmente  essere  introdotti  nel  riordi- 
ni namento  di  questa  società  (e  ciò  secondo  la  co- 
ti stumanza  degli  oltramontani,  perchè  tutto  allora 
il  volevasi  qua  foggiato  alla  francese),  fra  i  quali  usi 
u  fu  nel  1813  stabilito  :  che  gli  ufficiali  di  essa,  per- 
ii petui,  o  temporanei  che  fossero,  entrando  in  ufficio 
u  dovessero  ricevere  una  medaglia  d'  argento  qual 
LL  testimonianza  dell'onorevole  incarico  loro  affidato, 
u  per  eccitare  alle  ricerche  di  storia  patria,  le  quali 
ii  dovevano  da  allora  in  poi  formare  subietto  prin- 
ii  cipaUssimo  degli  studii  di  essa  Accademia. 

u  Quattro  dunque  essendo  gli  ufficiali ,  che  al- 
ti lora,  come  adesso,  componevano  il  seggio  di  questo 
u  nostro  Istituto,  non  poteva  la  denominazione  della 
u  medaglia  essere  più  logicamente  appropriata  di 
u  quella  che  le  fu  imposta,  voglio  dire,  inedaglia  dei 
ii  QuATuoR  VIRI.  Un    beir  esemplare  di    essa    trovasi 


UNA  MEDAGLIA  INEDITA  DE*  PRINCIPI  BACIOCCHI  121 

u  presso  di  me,  ed  il  conio  originale  è  nella  Biblio- 
u  teca  pubblica  ??. 

È  verissimo  che  a  Lucca  ebbe  vita  un'  Acca- 
demia, che  si  chiamò  degli  O^^^z^n,  fondata  nel  1584 
da  Gio.  Lorenzo  Malpigli ,  amico  costante  anche 
nelle  sventure  di  Torquato  Tasso  ;  e  che  ,  per  vo- 
lontà de'  Principi  Baciocchi ,  mutò  poi  il  suo  mo- 
desto nome  in  quello  di  Accademia  Napoleone  ;  ma 
è  falso  che  ciò  seguisse  nel  1812  ;  com'è  falso  pure 
che  questa  medaglia  venisse  fatta  coniare  dai  Ba- 
ciocchi. Il  Massagli  ha  preso  un  grosso  abbaglio 
nel  leggerne  e  nel  trascriverne  la  leggenda,  che  non 
porta  scritto  A.^clolocccxrd ,  ma  cblocccxxiil ,  e  per 
conseguenza  non  appartiene  alla  Signoria  de'  Ba- 
ciocchi, che  durò  dal  1805  al  1814,  ma  a  quella  dei 
Borboni,  che,  cominciata  nel  1817,  fini  nel  1847. 

Il  14  luglio  del  1805  Elisa  sorella  di  Napoleone 
e  il  marito  di  lei  Felice  Baciocchi  presero  a  reggere 
il  Principato  di  Lucca.  Con  decreto  del  15  agosto 
del  medesimo  anno  la  vecchia  Accademia  degli 
Oscuri  fu  chiamata  Accademia  Napoleone.  I  Prin- 
cipi fondarono  u  sulle  loro  rendite  quattro  premi  di 
u  lire  300  1'  uno  " ,  consistenti  «  in  una  medaglia 
u  d'oro,  avente  da  una  parte  l'effigie  delle  LL.  AA. 
u  e  dair  altra  queste  parole  :  Premio  dato  al  Si- 
li ffnore,,,,  da  conferirsi,  una  a  chi  avrà  fatto  la 
u  migliore  opera  sopra  una  questione  che  la  classe 
a  delle  scienze  proporrà  il  18  maggio  di  ogni  anno  "  ; 
una  a  chi  u  avrà  meglio  trattato  una  questione  po- 
u  litica ,  o  un  soggetto  d'  eloquenza  jj  ;  una  a  chi 
a  avrà  fatto  il  miglior  pezzo  di  poesia  tì  ;  e  una  a 
chi  «  avrà  fatto  1'  opera  migliore  di  pittura  e  di 
«  scultura,  o  di  architettura,  o  di  musica  ??. 

i6 


122  G.   SFORZA   -    UNA   MEDAGLIA   INEDITA   DE'  PRINCIPI   BACIOCCHI 

Quando  si  venne  poi  all'  atto  di  conferire  i 
premii,  si  dette  l'incarico  al  Santarelli  di  coniare  la 
medaglia ,  e  riusci  bellissima.  Vi  fu  incisa  V  effigie 
di  Felice  e  d'Elisa,  come  voleva  il  decreto  di  fon- 
dazione, ma  la  leggenda  del  rovescio  venne  mutata. 

Presso  gli  eredi  del  celebre  criminalista  pisano 
Giovanni  Carmignani,  che  fu  il  primo  de'  premiati, 
se  ne  conserva  un  esemplare  in  oro  ,  ed  è  quello 
stesso  che  gli  conferì  1'  Accademia.  Se  ne  tirarono 
anche  in  argentò,  per  darle  ai  concorrenti  che  aves- 
sere  riportato  1'  accessit  ;  ma  quelle  d'  argento  sono 
anche  più  rare  assai  di  quelle  d' oro.  Trattandosi 
pertanto  d'  una  medaglia ,  non  solo  inedita ,  ma  af- 
fatto sconosciuta ,  e  per  giunta  quasi  introvabile  , 
essendone  stato  messo  fuori  un  numero  ristrettissimo 
d'esemplari,  non  sarà  sgradito  che  la  descriva  e  la 
riproduca. 

Diam.  mm.  47. 
/B'  —  Busti  di  Elisa,  a  destra,  e  di  Felice  I,  a  sinistra, 
uno  di  faccia  all'altro.  In  giro  :  ELISA  •  NÀPOL  •  AVG-  • 
SOROR  •  ET  •  FELIX  •  I  •  PRINCC  •  LVCAE  •  ET  •  PLVM- 
BINL  Sotto  il  taglio  de'  busti  :  Santarelli  p. 

9»  —  Corona  di  due  rami,  d'alloro  e  di  quercia ,  incro- 
ciati e  annodati  in  basso.  Nel  campo  ,  in  due  linee  : 
DIGNIORIBVS  —  MVNERANDIS.  In  giro:  ÀCÀD  •  LVCEN- 
SIVM  •  NAPOLEONEA  •  INSTITVTA  •  A  •  M  •  DCCC  •  V  • 
FELICITER. 

Massa,  15  Gennaio  1890. 

Giovanni  Sforza. 


MONETA  INEDITA 

DI 

PIETRO    I    DI    SAVOIA 

E  POCHI  CENNI 

SULLA    ZECCA    PRIMITIVA 
DEI  PRINCIPI  SABAUDI  (1) 


Nella  sua  opera  sulle  Monete  dei  Reali  di  Savoia, 
mio  Padre ,  accennando  alle  diverse  officine  monetarie 
state  aperte  sotto  i  nostri  principi  ,  nomina  come  prima 
quella  di  Aiguebelle  (2),  ed  in  proposito  cosi  si  esprime  : 
u  Rodolfo  imperatore  concedendo,  con  diploma  del  1284,  a 
a  Ludovico  I  di  Savoia  signore  di  Vaud  il  diritto  di  bat- 
u  tere  moneta  soggiungeva  :  Licei  hoc  sibi  ex  nobilitate 
a  et  auctoritate  sui  generis  videatur  coìupetere  ab  an- 
u  tiqiio  (3)  ;  ed  appunto  da  antichissimo  tempo  godeva 
u  questa  E.  Casa  di  tale  diritto,  trovandosi  durante  il  ve- 
a  scovado  di  S.  Ugo  di  Grrenoble  ,  cbe  cominciò  nel  1080  , 
tt  menzione  (come  di  moneta  avente  corso  legale)  di  danari 
u  battuti  in  Aiguebelle  nella  Moriana,  Stato  il  più  antico 
a  che    abbia   posseduto    questa   famiglia ,    e   diversi   certa- 


(1)  Questa  memoria  fu  pubblicata  per  la  prima  volta  negli  Atti  della 
R.  Accadeììiia  delle  Scienze  di  Torino  (1888,  Voi.  XXIII). 

(Nota  della  Direzione). 

(2)  Voi.  I.  pag.  1. 

(3)  GuiCHENON.  Hist.  ge'n.  de  la  R.  Maison  'de   Savoye.  Lyon,  1660, 
Preuves,  pag.  636. 


124  VINCENZO  PROMIS 


tt  mente  da  quelli  battuti  in  Vienna ,  essendo  in  carta  di 
u  quegli  anni  gli  uni  dagli  altri  distinti  (1). 

a  Di  tal  diritto  v'  era  già  indizio  in  carta  del  1065 
tf  riportata  dal  D'Achery  (2)  ma  senza  poterlo  sicuramente 
u  affermare ,  lasciando  dubbio  che  fosse  essa  indirizzata 
u  principalmente  contro  falsificatori  della  moneta  viennese 
u  abitanti  in  Aiguebelle  ;  ma  la  scoperta  della  prima  serve 
tt  a  provare  non  trattarsi  propriamente  di  falsificazione , 
tt  ma  d'imitazione  della  moneta  viennese  fatta  nella  zecca 
tt  dei  conti  di  Moriana  aperta  in  Aiguebelle ,  la  quale 
u  quando  cominciasse  a  lavorare  ignorasi,  ma  dalla  carta 
a  del  D'Achery  appare  che  vi  si  batteva  vivente  il  conte 
tf  Oddone  sul  1060 ,  e  che  durò  dopo  di  lui ,  ma  dovette 
K  chiudersi  quando  dopo  la  morte  della  contessa  Adelaide, 
a  accaduta  nel  1091  ,  Umberto  II  aperse  quella  di  Susa 
K  residenza  di  quelli  antichi    marchesi    conti  di  Torino,  v 

A  pag.  57  e  seg.,  parlando  di  Oddone  di  Savoia  succes- 
sore di  suo  avo  Umberto  I  e  marito  della  celebre  Adelaide 
di  Susa ,  riporta  alcuni  estratti  del  Cartolario  di  S.  Ugo 
succitato  in  cui  si  fa  ripetutamente  menzione  di  solidi 
aquabellenses,  denarii  monete  Aquebelle ,  ecc.  in  modo  da 
provare  che  si  trattava  di  vera  moneta  colà  battuta,  e  con- 
tinua :  tt  Quale  fosse  il  tipo  delle  monete  di  Aiguebelle 
tf  r  ignoro ,  non  avendo  sinora  scoperto  alcun  denaro  a 
tf  quelli  di  Vienna  consimile  ,  sul  quale  segno  alcuno 
tf  esista  per  poterlo  con  certezza  attribuire  ai  Principi  di 
tf  Savoia;  cosa  che  non  sorprende,  essendo  comune  anche 
tf  in  tempi  assai  a  questi  posteriori  il  trovarsi  memoria 
tf  positiva  di  monete  battute  da  principi  o  città ,  e  non 
tf  essere  mai  stato  possibile  il  conoscerne  l' impronto  ;  nel 
tf  nostro  caso  è  ancor  più  facile  tal  cosa,  che  queste  monete 
tf  acquabellesi  dovettero  coniarsi  in  poca  quantità  ed  aver 
tf  avuto  un  oscuro  corso,  non  trovandosi  altrimenti  mento- 


(1)  CiBRARio  e  Promis.  Doc.f  Sig.  e  Monete,  ecc.  Torino,  1833,  pa- 
gine 36  e  37. 

(2)  Spicilegium.  Tomo,  III,  pag.  393. 


MONETA  INEDITA  DI  PIETRO  I   DI  SAVOIA  125 

a  vate,  e  facilmente  confondendosi  colle  viennesi ,  presto 
u  saranno  pel  continuo  nso  scomparse,  n  In  Nota  poi  ac- 
cenna alla  moneta  di  Aiguebelle  citata  dal  De  Rivaz  nel 
suo  Corpo  Diplomatico  m.  s.  del  regno  di  Borgogna  come 
da  lui  posseduta  ed  inesattamente  ivi  descritta  ;  citazione 
poi  riportata  dal  Cibrario  nella  Storia  della  Monarchia  di 
Savoia,  I,  135  in  nota. 

Il  documento  riportato  dal  D'Achery  è  un  atto  con  cui 
Leodegario  arcivescovo  di  Vienna  (morto  nel  1073)  si  ri- 
volge non  al  vescovo  di  Moriana  che  aveva  parte  della 
giurisdizione  di  Aiguebelle,  ma  alla  contessa  Adelaide  ed 
ai  suoi  figli  Pietro  ed  Amedeo  II  che  ivi  pure  dominavano, 
onde  si  facesse  in  quel  luogo  cessare  la  contraffazione  della 
moneta  viennese.  Quindi  io  pure  ritengo  che  in  questo  do- 
cumento si  tratti  di  una  vera  imitazione  del  tipo  e  della 
leggenda  dei  denari  viennesi ,  e  non  dei  nostri  in  cui  la 
leggenda  era  variata.  Ma  al  tempo  stesso  non  può  in  alcun 
modo  dedursene  la  non  esistenza  di  vera  moneta  battuta 
allora  nella  stessa  località  dei  nostri  Principi. 

A  tale  opinione  si  accostò  pure  il  S.  Quintino,  quando 
pubblicò  la  moneta  per  lo  innanzi  sconosciuta  del  vescovo 
di  S.  Giovanni  di  Moriana  (1),  ed  il  sig.  Perrin  nel  suo  im- 
portante scritto  le  Monnayage  en  Savoie  sous  les  Princes 
de  celie  Maison  (2).  Sia  però  il  S.  Quintino  che  il  Perrin, 
in  mancanza  di  un  dato  certo,  propendevano  a  dare  al  ve- 
scovo di  Moriana  la  sola  moneta  conosciuta  per  le  memorie 
del  De  Eivaz,  pubblicata  in  seguito  dal  dotto  Francesco 
Rabut  (3),  il  quale  propugnò  questa  sentenza  fondandosi 
specialmente  sul  tipo  del  pezzo  acquabellese  essenzialmente 
vescovile  ,  e  corrispondente  in  peso  ,  bontà  e  forma  delle 
lettere  al  danaro  di  Moriana. 


(1)  Monete  del  decinto  e  delVundecimo  secolo   scoperte  nei  dintorni  di 
Roma  nel  1843.  Torino,  1816,  pag.  35  dogli  Estratti. 

(2)  Pag.  33. 

(3)  Denier  de  VEve'ché  de  S.  Jean  de  Maurienne  frappé  à  Aiguebelle 
au  omihne  siede,  1858. 


126  VINCENZO  PROMIS 


Non  solo,  come  dissi  qui  sopra ,  ritengo  per  certo  che 
in  Aiguebelle  i  primi  nostri  Principi  ebbero  zecca  propria, 
il  che  io  attribuirei  al  Conte  Oddone ,  ma  sono  inoltre 
spinto  a  credere  a  lui  debba  spettare  la  preziosa  moneta 
pubblicata  dal  Rabut,  da  un  recente  fatto  che  darebbe  pie- 
namente ragione  alle  supposizioni  di  mio  padre  ,  del  San 
Quintino  e  del  Perrin,  ed  al  tempo  stesso  spiegherebbe  le 
espressioni  del  documento  del  vescovo  Leodegario  e  del  di- 
ploma dell'imperatore  Eodolfo. 

Verso  la  fine  del  1887  acquistai  pella  Collezione  di 
S.  M.  una  piccola  moneta  d'argento  buono,  del  peso  di 
gr.  1,100,  e  corrispondente  pel  tipo  e  per  la  forma  delle 
lettere  a  quelle  note  di  S.  Giovanni  di  Moriana  e  di  Ai- 
guebelle. Ha  da  un  lato  una  testina  volta  a  destra  ed  in 
giro  ^  PETRVS  MR  ;  e  nel  rovescio  una  croce  con  quattro 
punti  a  foggia  di  chiodetti  negli  angoli,  con  attorno 
Hb  SEVSIE  VR.  Completo  le  leggende  con  PETRVS  MaRchio  e 
SEcVSIE  WRàis.  Per  meglio  provare  il  mio  asserto  nell'an- 
nessa tavola  (Tav.  Ili)  do  il  disegno  dei  tre  pezzi  sin  qui 
menzionati  contrassegnando  col  n.  1  quello  del  vescovo  di 
Moriana,  col  2  il  denaro  acquabellese,  col  3  il  nostro. 

Eaffrontando  i  vari  dati  sovraesposti,  la  zecca  certa- 
mente vescovile  a  S.  Giovanni,  il  documento  di  Leodegario 
di  Vienna  le  cui  monete  erano  imitate  in  Moriana,  l'accer- 
tamento dell'esistenza  della  zecca  di  Aiguebelle  nella  se- 
conda metà  del  secolo  X,  l'officina  di  Susa  già  attiva  sotto 
il  Conte  Umberto  II  (1080-1103),  non  ho  il  menomo  dubbio 
di  attribuire  il  pezzo,  che  ora  per  la  prima  volta  vede  la 
luce,  a  Pietro  I  (figlio  e  successore  del  conte  Oddone  e 
della  celebre  Adelaide  di  Susa),  il  quale  mori  nel  1078  e  che 
sempre  prese  il  titolo  di  marchese^  come  appare  dai  docu- 
menti in  cui  questo  nostro  Principe  è  nominato.  Cosi  ac- 
cresciamo la  serie  numismatica  dei  Eeali  di  Savoia  col 
pezzo  del  conte  Pietro  I  che  prenderebbe  il  primo  posto 
con  indicazione  certa  ed  al  quale  si  dovrebbe  lo  stabili- 
mento della  zecca  secusina,  avanzandola  di  qualche  anno 
su  quanto  sinora  si  credeva.  Ma  al  tempo  istesso  ritengo  sia 
questo  una  nuova  prova  che  ad  Oddone  suo  padre,  che  fu  ni- 


MONETA  INEDITA  DI  PIETRO   I  DI  SAVOIA  127 

potè  e  successore  di  Umberto  I,  debba  attribuirsi  il  denaro  di 
Aiguebelle  su  cui  non  avvi  nome  di  principe,  e  somiglian- 
tissimo pel  tipo  agli  altri  contemporanei  di  Vienna  e  di 
Moriana,  che  certamente  si  vollero  imitare  ma  non  contraf- 
fare. La  cosa  si  spiega  da  sé,  qualora  si  consideri  che  da 
poco  tempo  datando  allora  il  dominio  sovrano  riconosciuto 
dei  Principi  nostri,  non  credettero  essi,  ad  imitazione  di 
quanto  fecero  altri  signori  loro  coetanei,  di  tosto  inscrivere 
il  loro  nome  su  quelle  monete  che  pure  volevano  far  bat- 
tere. Imitarono  quindi  quelle  che  già  avevano  buon  corso 
nel  loro  Stato,  e  solamente  poco  a  poco  stabilirono  in 
modo  evidente  la  loro  pretesa,  conservando  ancora  per  un 
certo  tempo  il  tipo  antico  e  cambiando  soltanto  l'indica- 
zione della  località  ove  avevano  fissato  una  nuova  officina 
per  poi  adottare  poco  dopo  un  tipo  affatto  proprio  sotto 
Umberto  II,  se  pure  ciò  non  fu  prima.  Mi  viene  diffatti  il 
sospetto  che  non  ad  Amedeo  III  ma  al  suo  avolo  e  fratello 
del  nostro  Pietro,  col  quale  resse  gli  Stati  aviti,  debba  at- 
tribuirsi il  curioso  denaro  da  me  pubblicato  nel  1882  (1), 
che  si  conserva  nella  Collezione  nazionale  di  Parigi,  e  che 
porta  col  tipo  segusino  nel  diritto  Hh  ÀMEDEVS  COMES  e 
nel  rovescio  SGCV€VITÀS  per  SECVSIE  CIVITÀS,  mentre  sulle 
monete  susseguenti  sempre  ed  invariabilmente  leggesi  : 
SECVSIA. 

Vincenzo  Promis. 


(1)  Monete  di  zecche  italiane  inedite  e  corrette,  pag.  5  e  tav.  I;  n.  1. 


MONETE 

DI 

GIO.  BATTISTA  FALLETTI 

CONTE    DI    BENEVELLOW 


Nella  rara  Tariffa  stampata  a  Gand  nel  1546  (2)  è  ri- 
portata per  la  prima  volta,  a  quanto  mi  risulta,  una  curiosa 
moneta  d'oro  che  fu  sinora  un  enigma  pei  numismatici  ita- 
liani ed  esteri.  A  pagina  95  tra  altre  Croonen  e  coll'indi- 
cazione  di  Beneventen  si  dà  il  disegno  del  nostro  scudo.  Ha 
nel  diritto  1'  aquila  bicipite  con  grande  corona  imperiale 
ed  in  giro  *  CAROLVS  *  IMPERÀTOR  *,  e  nel  rovescio  una 
croce  fiorata  nel  campo,  somigliante  a  quella  che  scorgesi 
su  alcune  monete  d'oro  contemporanee  di  Carlo  V  come 
re  di  Spagna  e  delle  Due  Sicilie,  con  attorno  la  leggenda 
i  IO  *  ANTO  *  FA  *  COMES  *  BENE  preceduta  da  uno 
scudetto  caricato  di  due  leoni  passanti  a  destra.  Trovai 
susseguentemente  questo  pezzo  riportato  in  altre  due  Ta- 
riffe  di  Gand    del    1552  (B) ,   in    quella  di  Amsterdam   del 


(1)  Questa  memoria  fu  pubblicata  per  la  prima^olta  negli  Atti  della 
B,  Accadeììiia  delle  Scienze  di  Torino  (1888,  Voi.  XXIV). 

(Nota  della  Direziono). 

(2)  Der  Coopliedon  Hanboucxkin.   Ghedruckt  te  Ghend  by  loos  Lam- 
brecht  m.  d.  xlvj.  in  12  \  pag.  95. 

(3)  Ordonnance,  statut,  et  permission  de  T  imperiale  M.   des  especes 
d'aur  et  d'argent,  ayant  cours  au  pais  de  par  de^a.  Publiée  Pan  m.  d.  xLviij. 


130  VINCENZO  PROMIS 


1566  (1)  ed  in  quelle  di  Anversa  del  1575  (2),  1589  (3),  1627  (4), 
163£J  (5),  queste  due  ultime  coli' indicazione  di  Plstoìet  de 
Benevente.  L'Hoffmann  (6)  ripubblicò  scorrettamente  questo 
ducato  sulla  fine  del  secolo  XVII ,  indicandolo  semplice- 
mente come  Gold  Krone  Italienische.  Sul  disegno  di  una 
delle  Tariffe  di  Gand  del  1552  e  'su  quello  dell'  Hoffmann 
descrisse  nel  secolo  scorso  il  pezzo  in  questione  Gio.  Tobia 
Kòbler  nel  volume  II  del  suo  Ducaten  Cabinet  (7) ,  a  pa- 
gina 830,  N.  2608,  aggiungendovi  l'attribuzione  seguente  : 
tt  Yermutlilich  ist  dieser  Ducato  von  dem  Grafen  von  Bene, 
«  oder  Bena,  naheam  Tanaro  in  Piemontesischen.  n  Final- 
mente  il   Rentzmann  nel   suo  Numismatisches   Legenden  - 


Le  xvij  de  Juillet.  Imprimé  à  Gand,  par  Josse  Lambert,  Tailleur  de  lottres. 
L'an  M.  D.  LÌj,  in  12°,  pag.  33. 

Le  Billon  d'aur  et  d'argent,  de  plusieurs  Eoyaumes,  Ducés,  Contés , 
Seignenriés.  Pais  et  villes.  Imprimé  à  Gand ,  par  Josse  Lambert,  Taylleur 
de  lettres.  Anno  m.  d.  lii,  in  12°,  pag.  46. 

(1)  Ordonnantie ,  statuyt ,  ende  permissio  der  K.  M.  vanden  gouden, 
endo  silvoren  pinninghen  conrs  endo  gauck  kobbende  over  allo  sineLandon 
van  herwaerdts  over  Gepublice  erdb  int  Jaer  m.  d.  acht  enveertich  den  xvij 
dack  Julij  (Aomstelrodam,  1566),  in  12,°  pag.  33. 

(2)  Dongheualverdo  gouden  ende  silvoren  Munte  van  diveersche  Coninck- 
rijschen  et  Tantwerpon,  By  Christoffel  Plantijn,  indon  gulden  Passer,  1575, 
in  8°  piccolo,  pag.  80. 

(3)  Hot  Thresooroft  scbat  van  alle  de  specien,  figuren  en  sorten  van 
gouden  ende  sìlveren  munten  et  Ghoprint  Tantwerpeu  op  dio  Lombaerde 
vesto,  inden  Gulden  Pellicaon  by  Guilaem  van  Parijs.  m.  d.  lxxx  in  8°  pic- 
colo, pag.  149. 

(4)  Placcart  du  Eoy  nostre  Siro  contenant  deffence  du  cours  des 
Florins  d'or  d'Allemaigne,  et  de  quelques  autres  especes.  Anvers,  choz  Hie- 
rosme  Verdussen,  etc.  1527,  in  4°,  pag.  75. 

(5)  Ordonnance  et  Instruction  pour  les  Changeurs.  Anvers,  chez  Hio- 
rosme  Verdussen,  etc.  1633,  in  4°,  pag.  67. 

(6)  Alter  und  Neuor  Mùnz-Schlùssel,  etc.  Mrnberg,  1692,  in  4°  Tav.  12. 
annessa  a  pag.  288,  n.  125. 

(7)  Hannover,  1760,  in  8,** 


MONETE  DI  GIO.   BATTISTA  FALLETTI  CONTE  DI  BENEVELLO  131 

Lexicon  (1),  sotto  la  indicazione  di    lohanìies  Antonius  mit 
Famìliennamen ,  cita  :  u  Io.  Ant.  Fa  -  Bene,  n 

Malgrado  tutto  questo,  l'incertezza  continuava  sempre,  e 
le  lettere  BENE,  principio  certo  di  un  titolo  feudale  che  dap- 
prima non  si  indicava  se  tedesco  od  italiano  ed  in  seguito 
si  attribuiva  alla  nostra  Penisola,  non  conducevano  ad  al- 
cuna plausibile  spiegazione.  II  tipo  della  moneta  era  co- 
mune alla  Germania  ed  all'Italia  ;  il  piccolo  stemma  non 
si  poteva  blasonare  in  modo  sicuro  :  l' aquila  imperiale  , 
come  sul  nostro  pezzo,  si  trova  pure  su  molti  altri  battuti 
per  concessione  dell'imperatore  ed  anche  su  numerose  con- 
traffazioni. Occorreva  quindi  attendere  che  qualche  nuova 
scoperta  valesse  a  gettar  lume  sulla  questione  ;  restandosi 
sempre  pel  passato  nel  dubbio  se  questo  bello  scudo  d'oro 
si  avesse  a  classificare  tra  le  monete  italiane  o  non  si  do- 
vesse piuttosto  attribuire  a  qualche  zecca  ignota  di  Ger- 
mania. Questo  fu  il  motivo  per  cui  non  osai  inserirlo  nelle 
mie  Tavole  Sinottiche  (2). 

Se  non  prendo  abbaglio,  ritengo  poter  finalmente  pre- 
sentare una  soddisfacente  soluzione  della  leggenda  sue- 
sposta. Nei  primi  mesi  del  corrente  anno  acquistai  pella 
Collezione  del  He  un  pezzo  d'argento,  di  titolo  alquanto 
basso  e  del  peso  di  grammi  2,900,  nel  quale,  pur  ravvisando 
una  certa  relazione  collo  scudo  d'oro  delle  antiche  Tariffe, 
scoprivo  poi  una  nuova  difficoltà  nella  diversità  dello 
stemma  incisovi.  Porta  nel  diritto  nel  campo  sotto  la  data 
1537  uno  scudo  caricato  di  una  banda  scaccheggiata  di  tre 
tiri  senza  i  colori,  ed  attorno  leggesi:  "^  MONETA  °  NOVA 
°  IO  °  ANT  °  FA  ^  CO  °  BE.  Nel  rovescio  scorgesi  un'  aquila 
bicipite  con  corona  imperiale  e  caricata  in  petto  dello  scu- 
detto austriaco  d'argento    ad  una  fascia  di  rosso ,  eziandio 


(1)  Erster  Tlieil.  Alphabetisch-chronologische  Tabellen  der  Mùnzherren 
und  verzeichniss  der  auf.  Mùazeri  vorkommenden  Heiligen.  Berlin ,  1865 , 
in  8,  pag.  96. 

(2)  Torino,  1868,  in  4.« 


132  VINCENZO  PROMIS 


senza  indicazione  degli  smalti,  con  in  giro  :  ^  <>  KAROLVS 
^  ROMÀMOR  IMPERA  ^  La  data  1537  che  vi  è  inscritta  ha 
lina  grande  importanza  perchè  stabilisce  pure  l'età  del  du- 
cato summenzionato  sinora  sconosciuto  in  originale  e  solo 
noto  pei  disegni  delle  Tariffe  ed  opere  che  più  sopra  ho 
indicate.  Fissata  l'epoca  cui  appartener  dovevano  i  due 
pezzi  in  questione,  occorreva  ancora  scoprire  a  quale  per- 
sonaggio potessero  esattamente  adattarsi  le  prime  lettere 
del  nome  e  cognome  IO  •  ÀNT  •  FA  •  ;  quale  fosse  il  feudo 
che  in  Italia  (poiché  italiane  si  volevano  le  nostre  due  mo- 
nete) cominciasse  con  BENE,  e  portasse  titolo  comitale  ;  a 
chi  appartenessero  i  due  stemmi  che  ho  descritti  ;  dove  i 
medesimi  pezzi  possano  essere  stati  coniati  ;  e  finalmente 
in  quale  occasione  ed  in  forza  di  quale  diritto. 

Quasi  impossibile  cosa  era  il  rispondere  alla  prima 
questione  quando  non  si  conosceva  che  il  ducato  d'oro 
senza  data,  il  quale  in  ogni  caso  però  chiaramente  appa- 
riva imitazione  di  monete  note  e  contemporanee.  Mai  ho 
potuto  trovare  una  spiegazione  plausibile  dello  stemma  dei 
due  leoni  che  vi  si  scorge,  come  non  la  trovavo  pel  nome 
del  Casato  e  pel  feudo,  che  sempre  ritenni  essere  tutt'altra 
cosa  che  la  nostra  Bene  Vagienna,  secondo  la  supposizione 
del  Kòhler.  Fui  però  ognora  convinto  trattarsi  di  monete 
lavorate  non  in  Italia  ma  in  Germania.  Quella  in  argento 
or  ora  acquistata  venne  a  confermare  pienamente  la  mia 
opinione  col  genere  d'intaglio  che  ci  presenta,  e  mi  fissò 
sulla  data,  lasciandomi  ancora  dubbioso  sulle  altre  questioni. 
Sempre  col  pensiero  che,  secondo  l'idea  generalmente  ac- 
colta, il  pezzo  con  BENE  fosse  italiano  e  forse  anche  pie- 
montese, in  seguito  a  nuove  indagini  mi  accorsi  che  lo 
stemma  della  banda  scaccata  poteva  corrispondere  alle  ini- 
ziali FA  del  nome,  qualora  si  potesse  stabilire  che  i  Falletti, 
nobili  d'Alba,  in  qualche  circostanza  avessero  avuto  il  di- 
ritto di  zecca.  Continuando  le  ricerche  più  in  manoscritti 
che  in  libri  a  stampa,  riescii  a  formare  un  piccolo  albero 
genealogico  di  questa  illustre  famiglia,  nota  nei  documenti 
sin  dal  secolo  XII,  e  che,  a  datare  dal  fine  del  decimoterzo 
fu  investita  successivamente  nei  varii  suoi  rami  dei    feudi 


MONETE  DI  GIO.  BATTISTA  FALLETTI  CONTE  DI  BENEVEF.LO     133 

di  Pocapaglia,  Kuffia,  Racconigi,  La  Volta,  La  Morra,  Ba- 
rolo, Villa,  Votignasco,  Villanova,  ecc.  Il  primo  di  questo 
casato  che  risulta  in  modo  certo  come  stipite  dei  diversi 
rami,  ridotti  attualmente  al  solo  dei  conti  di  Villafalletto, 
discendenti  da  Simondino  o  Simonino  signore  di  Villa  e 
Votignasco  nel  1337,  è  Giacomo,  che  nel  1300  aveva  la  si- 
gnoria di  Pocapaglia,  e  che  ebbe  tra  altri  figli  Pietrino,  da 
cui  i  marchesi  di  Barolo,  Leone  signore  di  Euffia,  Simon- 
dino suddetto  ed  Emanuele  Signore  di  Villanova.  Trovai 
poscia  che  nel  secolo  XV  alcuni  discendenti  di  Leone  di 
Ruffia  acquistarono  dai  loro  parenti  del  ramo  di  Pietrino  di 
Barolo  e  La  Morra  alcuni  punti  della  giurisdizione  di  Bene- 
vello,  pure  nel  contado  d'Alba,  la  quale  posteriormente  si 
riunì  in  gran  parte  nel  1451  nella  persona  di  Bernardo, 
padre  di  Filippo,  il  cui  figlio  Giov.  Antonio  assunse  il  ti- 
tolo di  conte  di  Benevello.  Ritengo  perciò  le  enigmatiche 
leggende  si  possano  spiegare  :  \Ovines  kWonius  ^tJettus 
COMES  BJE.^Evelli  e  MONETA  NOVA  \Omnis  kmonii  PhJetli 
CO^nids   BEnevelli. 

Passo  ora  agli  altri  dubbi.  Gio.  Antonio  Falletti,  consi- 
gnore di  Pocapaglia,  conte  di  Benevello  e  signore  di  Mom- 
barchero,  nato  verso  la  fine  del  secolo  XV,  compare  col  ti- 
tolo comitale  in  documenti  del  1520,  1528,  1530  e  già  era 
passato  ad  altra  vita  nel  1554,  nel  quale  anno  trovasi, 
Gio.  Battista  figlio  del  fu  Gio.  Antonio  ed  esso  pure  conte 
di  Benevello.  Monsignor  Francesco  Agostino  Della  Chiesa 
nella  sua  inedita  Descrizione  del  Piemonte  (1)  ci  porge  lume 
per  sciogliere  la  questione.  Parlando  egli  di  vari  feudi  dei 
Falletti,  dice  di  due  di  essi  :  u  Borgomale  e  Benevello 
a  furono  prima,  quello  d'alcuni  che  de  Borgomale  si  dice- 
u  vano,  e  questi  della  casa  di  Revello,  onde  che  trovasi 
u  qualmente  Manfredo  detto  Piola  e  Ottone  fratelli  de  Re- 
u  vello  vendeteno  nel  1270  la  loro  portione  di  Benevello 
a  ad  Alberto  consignore  di  Borgomale,  ma  essendo  poi  tanto 
u  l'uno  che  l'altro  in  potere    de'  marchesi  Del  Garretto    si- 


(1)  Autografo  nella  Biblioteca  di  S.  M.  Tomo  I,  fo^'lio  215  recto. 


134  VINCENZO  PROMIS 


u  gnore  di  Cortemiglia,  passare  ne  facevano  costoro  la  fe- 
u  deità  al  comune  d'Asti,  onde  furono  indi  fra  quelle  terre 
u  compresi,  le  quali  il  marchese  Oddone  in  'compagnia  di 
a  Manfredino  suo  figliuolo  dal  Conte  Amedeo  di  Savoia 
u  come  signore  d'Asti,  in  virtù  del  privilegio  fattogli  da 
a  Henrico  settimo  imperatore,  riconobbe  ;  ma  passarono  poi 
u  a'  sudetti  Faletti  figliuoli  di  Petrino  signore  della  Morra, 
a  de'  quali  Antonio  (1),  che  Benevello  con  titolo  di  Contado 
a  possedeva,  avendo  seguito  l'armi  francesi  con  cui  trovossi 
u  in  molte  segnalate  fattioni  contro  gl'Imperiali,  fu  di  quel 
a  suo  Castello  dagli  Spagnuoli  privato,  donandolo  l'impera- 
u  tore  Carlo  quinto  con  Mombarchero,  ch'era  parimente 
u  dell'istesso  conte  Antonio,  a  D.  Alvaro  di  Sanchies  spa- 
u  gnuolo.  Ma  essendo  indi  venuto  in  potere  di  certo  Zuc- 
u  cone,  l'ha  così  ceduto  agli  Asinari  signori  di  Casasco, 
tt  che  hoggidi  lo  possedono  (cioè  sulla  metà  del  secolo  XVII) 
tt  prettentendovi  però  ragioni  il  conte  di  Pocapaglia  come 
u  prossimiore  agnato  nella  successione  del  conte  Antonio 
a  che  ne  fu  spogliata,  n  Meglio  chiarisce  il  fatto  il  Casalis 
nel  suo  Dizionario  corografico  degli  Stati  Sardi  (2),  dicendo 
che  Carlo  V  tolse  Benevello  e  Mombarchero  ad  Antonio 
Falletti  perchè  abbandonato  il  servizio  dell'imperatore,  nel 
cui  esercito  comandava  un  reggimento  di  fanti  italiani, 
passò  a  quello  di  Francia.  Ciò  deve  essere  avvenuto  poco 
dopo  il  1550. 

Riassumendo  quanto  sopra ,  credo  che  1'  unica  spiega- 
zione possibile  di  questo  fatto  curiosissimo  nella  storia 
numismatica  piemontese  sia  la  seguente.  Giovanni  Antonio 
Falletti,  recatosi,  come  tanti  altri  della  nobiltà  piemontese 


(1)  A  questo  punto  il  Della  Chiesa  sì  sbaglia,  poiché  il  nostro  Gio.  An- 
tonio non  discende  da  Pietrino  della  Morra  e  di  Barolo,  ma  da  Leone  suo 
fratello  e  signore  di  Kuffia,  come  egli  stesso  dimostra  nel  voi.  II  a  foglio 
819  recto.  Appare  però  che  i  rami  suddetti  di  questi  illustri  casati  ave- 
vano giurisdizione  in  comune  su  alcuni  dei  loro  antichi  feudi ,  sebbene  il 
solo  Gio.  Antonio  e  suo  figlio  abbiano  preso  il  titolo  di  conti  di  Benevello. 

(2)  Voi.  II.  Benevello. 


MONETE  DI  GIO.  BATTISTA  FALLETTI  CONTE  DI  BENEVELLO  135 

all'estero  per  ivi  prendere  servizio  militare ,  quando  nei 
calamitosi  tempi  del  duca  Carlo  II  la  nostra  infelice  patria 
era  da  un  capo  all'altro  scorazzata  e  malmenata  da  amici 
e  da  nemici,  si  pose  agli  stipendi  dell'imperatore  Carlo  V, 
per  cui  comandò  un  corpo  di  Italiani.  Probabilmente  egli 
si  distinse  tanto  da  entrare  in  modo  affatto  speciale  nelle 
grazie  dell'imperatore,  sino  al  punto  di  ottenere  dal  mede- 
simo qualche  diploma  onorifico  cosi  ampio  da  permettergli 
l'uso  di  moneta  segnata  al  proprio  nome.  Ciò  sarebbe  stato 
verso  il  1537 ,  data  che  si  legge  sulla  moneta  d'  argento. 
Dove  questa  e  l'altra  in  oro  siano  state  battute  non  risulta 
in  modo  chiaro;  ritengo  però  che  i  loro  conii  siano  opera 
di  quegli  artefici  girovaghi ,  i  quali  si  mettevano  al  ser- 
vizio di  chiunque  intendesse  di  far  lavorare  principal- 
mente pezzi  contraffatti  alla  moneta  che  in  un  dato  luogo 
ave^a  miglior  corso,  cercando  solo  che  e  tipo  e  leggende 
fossero  combinate  in  modo  da  lasciar  travedere  il  meno 
possibile  l'inganno,  cosa  che,  se  ora  è  difficile  ad  ottenere, 
era  assai  facile  nell'epoca  di  cui  trattiamo.  Più  che  un  vero 
diploma  di  concessione  della  zecca,  sino  a  prova  contraria, 
credo  però  si  tratti  d'un  puro  abuso  d'  un  diritto  sovrano, 
spediente  questo  di  cui  forse  il  nostro  Falletti  si  valse  per 
poter  più  facilmente  mantenere  i  soldati  che  aveva  a'  suoi 
ordini ,  sapendosi  in  modo  preciso  che  in  Francia  ed  in 
Spagna  a  que'  tempi  le  paghe  correvano  tutt' altro  che  re- 
golarmente, e  le  truppe  per  lo  più  vivevano  a  spese  delle 
popolazioni  vinte  ,  quando  non  trattavano  con  eguale  im- 
parzialità amici  e  nemici.  Ma  che  più  probabilmente  siano 
i  pezzi  in  discorso  usciti  da  officine  di  Germania  ed  ivi 
abbiano  avuto  corso,  mettendovi  talora  lo  stemma  vero  del 
casato  e  talora  uno  immaginario  come  sull'oro  (se  pure  non 
è  un  quarto  dello  stemma  dei  Caresana  di  Carisio,  di  Ver- 
celli, coi  quali  forse  potè  il  nostro  Falletti  aver  vincolo  di 
parentela),  ne  ho  una  prova  nel  fatto  che  lo  scudo  che  solo 
sinora  si  conosceva  non  trovasi  inserto  se  non  in  Tariffe 
dei  dominii  di  Carlo  V,  quali  Gand,  Anversa  e  Amsterdam, 
e  la  moneta  d'argento  ora  per  la  prima  volta  ci  viene  da 
quella  regione,  e  nulla  ha  che  fare  con  quella  di  puro  tipo 


136  V.  PROMIS  -   MONETE  DI  GIO.   BATTISTA  FALLETTI,   ECC. 

italiano,  mentre  si  accosta  alle  numerose  contraffazioni  te- 
desclie  e  svizzere.  Ciò  proverebbe  pure  la  loro  rarità  come 
accade  per  altre  di  consimile  provenienza  ;  rarità  cbe  sa- 
rebbe confermata  dall'aver  il  Falletti  verso  il  1550  abban- 
donato il  servizio  imperiale  per  passare  a  quello  di  Francia, 
cadendo  cosi  in  totale  disgrazia  presso  Carlo  V,  che  tosto 
lo  privò  dei  due  principali  suoi  feudi  di  Benevello  e  Mom- 
barcbero ,  dei  quali  fu  gratificato  il  capitano  spagnuolo 
Alvaro  de  Sancbez. 


Vincenzo  Promis. 


MONETE  DI  GIO.  BATTISTA  FALLETTI  CONTE  DI  BENEVELLO 


137 


GIACOMO  FALLETTI 

Signore  di  Pocapaglia,  1300 


PlETRINO 

Sig".  di  Eacconigì, 

La  Volta, 
La  Morra,  Barolo 
1340 


I 
Leone 

Sig.  di  Ruffia 
1325-1345 
Consignoro 

di  Pocapaglia 


I 

SlMONDINO 

Siff.  di  Villa 

e  votignasco 

1337-1340 


Emanuele 

Sig".  di  Vili  anova 

1325-1345 


Giovannino 
Consignore 

di  Ruffia,  ecc. 
1366-1389 


I 
Corrado 

Sig.  di  Villanova 
1360-1378, 
già  t  1407 

Antonio 

1390-1402, 
già  t  1423 


Giorgio 

1409-1438, 
già  t  1442 


Corrado 
Leone 


I 
Bernardo 

1442-1483  investito  di  parte 

di  Benevello 

per 

compera  da  suoi  cugini 


Giovanni 
1437-1467 


Filippo 

1473,  già  t  1528 


Giovanni 
1473 


).  Fi 


010.  ANTONIO  Gio.  J^ìlippo 

1520-1530,  già  t  1554.  cedo  nel  1528  al  fratello 

Nel  1530  acquista  in  Asti  i  suoi  diritti 

da  Andrea  suo  cugino 

la  sua  parte  di  Pocapaglia. 

Nel  1529 

compare  come  Conte  di  Benevello 

Gio.  Battista 

1554 

Conte  di  Benevello 

NB.  Questa  genealogia ,  tutta  tratta  da  documenti  e  da  manoscritti , 
contiene  solamente  le  persone  che  provano  la  discendenza  od  i  possessi  di 
Giacomo  Falletti  sino  al  figlio  di  Gio.  Antonio ,  in  cui  pare  la  linea  sua 
siasi  estinta. 


J8 


LODOVICO    CHIERICATI  « 


Alfredo  Armand  nel  terzo  volume  dell'opera  :  Les  Médail- 
leurs  Italiens  des  quinzième  et  seizième  siècles ,  dà  notizia 
d'una  medaglia  della  sua  Collezione,  raffigurante  Lodovico 
Chiericati,  Arcivescovo  d' Antivari  e  Primate  della  Serbia , 
nato  nel  1482  e  morto  del  1573,  in  età  d'oltre  novant'anni.  Il 
rovescio  difetta  di  leggenda  :  nel  dritto  sta  scolpito  :  LVDO- 
VICI  •  CLERICÀTI  •  ARCHIEPISCOPI  •  ANTI  •  (2).  Io  non  so  se  il 
dotto  francese  ignori  che  il  Chiericati  era  vicentino  ;  ben 
è  a  credere  non  sia  giunta  fino  a  lui  la  notizia  della  rara 
perizia,  onde  il  Prelato,  insigne  per  pietà  e  per  dottrina, 
sapeva  trattare  il  disegno,  la  stecca  e  il  punzone.  Non  è 
detto  da  chi  apprendesse  l'arte  se  pure  non  gli  era  maestro 
il  celebre  Valerio  Belli,  nato  in  Vicenza  nel  1468.  E  certo 
però  che  i  due  valent'uomini  erano  stretti  d'intima  dime- 
stichezza ;  e  che  del  Belli  ammiravasi,  fino  a  mezzo  il  se- 
colo decimo  settimo,  un  busto  in  gesso,  modellato  dall'  Ar- 
civescovo. Era  il  busto,  custodito  in  quel  prezioso  Museo 
de'  Gualdo  (3),  che  fu  disperso,  non  si  sa  come,  da  circa 
duecent'anni.  Del  raro  valore  del  Chiericati  nell'  arte  del 
modellare  rimane  ancora,  posseduto  dagli  eredi  del  Conte 
Andrea  Piovene ,  morto  nel  gennaio  del  1889 ,  un  tondo 
in  gesso  dorato,  sottratto  per  miracolo  alla  vandalica  di- 
spersione. In  quel  tondo  è  rappresentata  tutta  la  Passione 
di  Gesù  Cristo  in    cento    e    venticinque    figurine,    campeg- 


(1)  Dal  Periodico  Arte  e  Storia  del  6  dicembre  1889. 

(2)  A.RMAND.  Les  Médailleurs  Italiens,  Tom.  III.  pag.  234  A.  Paris,  1887. 

(3)  N.  Basilio.  Il  Museo  Gualdo.  Vicenza,  1854. 


140  BERNARDO  MORSOLIN 


gianti  in  vari  riparti  e  arieggiatiti  per  atteggiamenti  e  per 
pose  alle  stupende  storie  del  Ciborio,  in  cristallo  di  monte, 
del  Belli,  custodito  nella  Galleria  degli  Uffizi. 

Nulla  si  conosce,  invece  clie  attesti  la  valentia  del 
Chiericati  nell'arte  de'  coni.  Ma  ch'egli  vi  si  esercitasse,  si 
rileva ,  mi  pare ,  da  un  luogo  del  Testamento  rogato  il 
5  aprile  del  1557  dal  Notaio  Matteo  Dal  Buso.  In  esso  il 
buon  Prelato  dichiara  di  lasciare  al  fratello  Cesare,  ai  ne- 
poti  Chiereghino  e  Princivale  e  al  consanguineo  Valerio 
Chiericati  u  tutte  le  medaglie  d'oro  e  d'argento  in  una  agli 
altri  coni  t)  di  sua  proprietà  (1).  E  più  esplicite  ancora 
sono  le  testimonianze,  che  si  possono  desumere  da  certi 
elenchi  e  da  certe  descrizioni,  parte  edite  e  parte  inedite 
del  Giardino  e  del  Museo  de'  Gualdo  in  Vicenza  :  descri- 
zioni ed  elenchi,  compilati  da  chi,  vivo  ne'  primi  decenni 
del  secolo  decimo  settimo,  poteva  aver  conosciuto  di  per- 
sona il  Chiericati,  o  ricevutane  notizia ,  per  lo  meno,  da 
coetanei  di  lui.  In  una  descrizione  di  Girolamo  Gualdo  è 
detto  che  u  non  ostante  ch'egli  (il  Chiericati)  fosse  Arci- 
vescovo di  Antivari  e  Primate  di  tutta  la  Servia,  con  le 
obbligazioni  di  una  rigorosa  vita,  che  sempre  usò,  come 
vero  Osservante  di  san  Francesco,  egli  sempre  disegnò, 
scolpi,  intagliò  et  improntete  pulitamente  n,  E  più  avanti 
si  soggiunge  che  nel  Museo  Gualdo  si  conservavan  del 
Chiericati  a  un  impronto  del  Salvatore  dorato,  molte  me- 
daglie di  Casa  d'Este  et  altre  cose  belle  n  (2).  Io  non  dirò 
per  questo  che  la  posseduta  e  illustrata  dall' Armand,  dove 


(1)  «  Item  legavit  Mag.^o  et  Rev.do  D.no  fratri  Caesari  ipsium  R.tiii 
D.ni  Tostatoris  fratri  ;  necnon  d.nis  Choreghino  ot  Princivali  fratribus  ne- 
potibus  suis  et  filiis  Mag.<^'  d.ni  Gregorii  de  Cloricatis  ipsius  E.mi  D.ni 
Testatoris  fratri,  et  generoso  Equiti  d.no  Valerio,  filio  q.  alterius  d.ni  Va- 
lerli de  Clericatis  nobilis  Vicentini  omnes  modaloas  auri  et  argenti  cum, 
aliis  stampls  ipsius  E.mi  D.ni  dividendas  et  dividendis  in  tres  partes  >. 
Msc.  neirArch.  Not.  di  Vicenza. 

(2)  Girolamo  Gualdo.  Giardino  de  Cha  Gualdo^  Msc.  nel  Cod.  CXXVII. 
Classe  rV  della  Marciana. 


LODOVICO  CHIERICATI  141 


il  Prelato  è  rappresentato  per  un  a  buste  a  gauche,  téte 
nue,  longue  barbe,  vétu  du  camail  n  sia  lavoro  del  Chieri- 
cati :  ma  perchè  non  si  potrebbe  congetturare ,  eh'  essa 
uscisse  dal  punzone  di  lui,  per  non  dire  del  Belli,  che  gli 
era  stretto  di  cosi  viva  e  cordiale  amicizia? 

L'Armand,  od  altri  ,  eh'  io  sappia  ,  non  ha  neppur  so- 
spettato che  il  buon  Arcivescovo  di  Antivari,  morto,  come 
attesta  un  suo  contemporaneo  (1),  in  odor  di  santità,  po- 
tesse esercitarsi  nell'  arte  de'  coni.  E  perciò  va  da  se  che 
nessuno  s'argomentasse  d'indagare  con  quali  sigle  segnasse 
egli  l'opere  sue.  Nò  io,  porgendo  questa  qualsivoglia  notizia 
dell'artefice  ignorato,  mi  proverò  a  indovinare  ciò  che  nes- 
suno s'è  neppure  sognato.  Mi  permetto  soltanto  una  con- 
gettura. L'Armand  illustra  una  medaglia  del  gabinetto  di 
Francia  in  onore  di  Pompeo  Conestabile  con  le  sigle 
L.  C.  (2)  a  Peut-étre,  dit  M.  G.  Milanesi,  est-ce  Lorenzo  Cor- 
bolini  orfèvre  romain,  lequel  eut  la  charge  de  graveur  de 
la  monnaie  romaine  pendant  les  primières  années  du  règne 
d'Alexandre  VI  n  (3).  Perchè  nelle  sigle  L.  C.  non  si  po- 
trebbero riconoscere  le  iniziali  di  Lodovico  Chiericad,  che 
fioriva,  se  non  contemporaneamente,  certo  a  poca  distanza 
del  Oorbolini  ?  E  la  congettura  parrebbe  tanto  più  ragio- 
nevole, da  che  l'Armand  non  dà  notizia  alcuna  del  tempo, 
in  cui  ebbe  a  fiorire  il  Conestabile,  il  quale  potrebbe  anche 
esser  vissuto  alcuni  anni  più  tardi  della  fine  del  secolo  de- 
cimo quinto,  quando  fioriva  appunto  il  Chiericati.  Comunque 
m'è  grato  d'additare  agli  studiosi  della  storia  della  numi- 
smatica in  Italia  un  artefice,  il  cui  nome  è  avvolto,  forse 
con  tanti  altri,  nelle  tenebre  della  dimenticanza. 


Bernardo  Morsolin. 


(1)  Gr.  Marzari.  Htstoria  di  Vicenza,  Libro  II,  pag.  197.  Vicenza,  1590. 

(2)  Tom.  I,  paff.  107. 

(3)  Tom.  Ili,  pag.  34. 


GIROLAMO    GUALDO  <-'^ 


Fra  le  medaglie  illustrate  dall'Armand  (2)  ve  ne  ha 
una  in  onore  di  Girolamo  Gualdo,  nato  in  Vicenza  nel  1492  e 
mortovi  nel  1566.  La  medaglia,  già  illustrata  dal  Mazzuc- 
chelli,  reca  nel  diritto  il  busto  del  Gualdo  colla  testa  scoperta, 
la  fronte  calva,  la  barba  al  mento  e  all'ingiro  la  leggenda  : 
HIEROMINVS  •  GVÀLDVS  •  PROTONOTÀRIVS  •  ÀPOST  •  Sono 
scolpiti  nel  rovescio  una  tartaruga  e  un  delfino,  attaccati 
l'una  e  l'altro  per  la  coda  e  indirizzantisi  in  senso  opposto 
per  la  superficie  del  mare  con  la  leggenda  :  INTER  • 
VTRVNQVE  •  Il  Gualdo,  vissuto  buona  parte  degli  anni  in 
Roma  ai  servizi  del  Card.  Pompeo  Colonna,  si  ritrasse, 
già  nel  pieno  della  virilità,  in  patria  ;  dove,  Canonico  della 
Cattedrale,  attese  a'  begli  studi,  dilettandosi  a  un  tempo 
d'opere  d'arte.  Il  suo  nome,  non  dimenticato  del  tutto  per 
alcune  orazioni  e  meno  ancora  per  una  serie  di  rime,  parte 
edite  e  parte  inedite,  si  collega  sopra  tutto  a  quella  pre- 
ziosa collezione  di  pitture,  di  sculture,  di  disegni,  di  me- 
daglie e  d'altri  cimeli,  che  costituivano  il  Museo  Gualdo, 
disperso  avanti  i  primordi  del  secolo  decimottavo.  In  Vi- 
cenza fu  intimo  a'  più  insigni  dei  suoi  concittadini,  il  Bell\ 
e  il  Trissino.  Il  Belli,  morto  nel  1546,  nominavalo  tra  i 
suoi  esecutori  testamentari  ;  ed  è  a  credere  che  alcuni  dei 
cimeli  d'arte,  onde  adornavasi  la  collezione  dell'insigne 
incisore,  chiamata  a  uno  stupore  w  dal  Vasari,  passassero  nel 
Museo  Gualdo.  Tanta  amicizia  potrebbe  far    sospettare,    di 


(1)  Dal  Periodico  Arte  e  Storta  del  31  dicembre  1889. 

(2)  Les  Médailleurs  italiens.  Tom.  II,  pag.  177,  Paris,  1883. 


GIROLAMO  GUALDO  143 


primo  tratto,  die  la  medaglia  in  onore  di  Girolamo,  illu- 
strata prima  dal  Mazzucchelli  e  poi  dall' Armand,  uscisse 
dal  punzone  del  celebre  Vicentino  :  e  il  sospetto  potrebbe 
anche  pigliar  forma  di  ragionevole  congettura,  quando  non 
sorgesse  di  mezzo  un'altro  fatto. 

In  Vicenza  nasceva  nel  1567,  un  anno  dopo  la  morte 
del  Gualdo,  Camillo  Mariani.  Di  lui  lasciava  memoria  Gi- 
rolamo Gualdo,  un  pronipote  del  Protonotario,  vissuto  in 
sui  primordi  del  secolo  decimo  settimo.  Il  Mariani,  scriveva 
u  fece  molte  opere  nella  città  n  di  Vicenza  u  et  in  Venetia  ;  n 
ma  «  perfettissimo  divenne  in  Roma  nella  pittura,  scoltura 
et  architettura ,  come  ne  dimostra  chiaro  l'adornamento 
della  Cappella  Paolina  in  Santa  Maria  Maggiore,  dove  anco 
fu  sepolto  e  da  Monsignor  Gualdo  juniore  gli  fu  scritto 
quell'epitaffio,  in  nome  d'un  suo  discepolo,  che  dice  :  —  Ca- 
millo Mariano  Vicentino  architecto ,  pictori,  sciilptorique 
insigni,  qui  dum  veteruyn  gloriam  aemulatur,  satis  eos 
acquasse  constai,  Inventionibus  acer,  manu  excellens,  prin- 
cipibus  cha7^us,  hominibus  eiusdem  artis  acceptior,  complu- 
res  Italiae  iirbes  7nonumentìs  ipsius  clariores  reddidit,  felix 
quod  Summorum  Pontificum  Clementis  Vili  et  Pauli  V  in 
exornandis  almaj  Urbis  Basilicis  primariis  voto  vel  imple- 
verit,  vel  superaverit.  Paschalis  discipulus  in  admirationcìn 
verae  laudis  magistro  et  civi  suo  e.  p,  (l).  —  E  il  Museo  Gualdo 


(1)  Girolamo  Gualdo,  Giardino  di  Cha  Gualdo  (1650)  Msc.  Cod.  XXVII. 
ci.  lY.  nella  Marciana.  Oltre  il  detto,  recansi  nel  Giardino  altri  epitaffi  e 
due  sonetti  in  lode  di  Camillo,  i  quali  erano  stati  affissi  al  sepolcro. 
Mi  sia  lecito  riprodurre  l'epitaffio:  Camillo  Mariano  Vicentino  sculptori 
eximio,  picturae  et  archttecturae  peritissimo.  Quantum  fuerit  fufurusque 
fuisset,  si  44  annorum  non  decessisset,  ejiis  opera  Me  et  alibi  demostrant. 
Moritur  PauUnam  in  Exquiliis  excolens  structuram  a.  1611.  Vale,  optime 
Praeceptor. 

Hospes,  ades  parumque  venerare  sepulchrum: 

Est  etenim  magni  funeris  urna  capax. 
Hic  iacet  insignis  non  una  laude  Camillus, 

Mille  modis  vivum  qui  simulatur  opus, 


144  B.   MORSOLIN   -    GIROLAMO  GUALDO 


possedeva  di  Camillo  pareccliie  medaglie,  u  Le  sue  opere 
presso  di  me,  scriveva  nel  1650  lo  stesso  Girolamo,  sono 
in  medaglie  pulitissime  :  —  Aulo  Cecina  Capitano  generale 
di  Vitellio  —  Gallo  Poeta  Vicentino  —  Palemone  oratore 
(sic)  —  Alferisio  Conte  di  Vicenza  —  Alberto  Marano  Vi- 
cario Imperiale  —  Giovanni  da  Schio  Oratore  —  Girolamo 
Gualdo  Cavaliere  Protonotario  Apostolico  (1)  n. 

Non  lascio  d'avvertire  che  l'impresa  inter  iitrumque 
era  la  scelta  secondo  il  vezzo  del  secolo  decimo  sesto,  dal 
Protonotario  medesimo,  la  quale  vedevasi  scolpita  anche 
nella  casa,  dove  raccoglievasi  il  prezioso  Museo. 

Bernardo  Morsolin. 


Doctus  erat  li  qui  di  s  animare  coloribus  ora  ; 

Sculpere  sic  raarmor,  marmor  ut  esse  nogos. 
Aspice  quae  erexit  miranda  palatia,  dices 

Arte  Syracusium  iam  superasse  senem. 
Dum  Lachesis  numerat  laudes,  non  respicit  annos  ; 

Sic  necat  hunc  iuvenem,  quem  putat  esse  senem. 

Questi  epitaffi  sono  portati,  con  gravi  scorrezioni  anche  dal  Barbarano 
nella  sua  Historia  Ecclesia$tica  di  Vicenza^  Lib.  IV  pag.  413  o  414,  edita 
in  Vicenza,  nel  1760. 

(1)  //  Giardino  di  Cha  Gtmldo,  loc.  cit. 


VITE 

DI 

ILLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI 


V. 

P.    IRENEO    AFFO' 


In  un  antico  feudo  de'  Pallavicini,  regnante  Filippo 
fratello  di  Carlo  Borbone,  in  Busseto  a  29  chilometri  da 
Parma,  il  giorno  10  dicembre  1741,  nacque  Davide  Affò. 
Figlio  a  Pietro  ed  a  Francesca  Dalle  Donne,  fino  dalla 
fanciullezza  rivelò  una  inclinazione  molto  spiccata  al  di- 
segno ed  alla  poesia.  I  genitori,  oscuri,  ma  onesti  cittadini, 
onde  secondare,  il  suo  genio  cercarono  d'avviarlo  all'arte  e 
fecero  opera  di  collocarlo  nella  scuola  di  Pietro  Balestra 
rinomato  pittore  di  quel  tempo.  Ma  questo  artista  non  volle 
saperne  di  aderire  alle  loro  richieste,  avendo  risoluto  da  tempo 
di  chiudere  la  sua  scuola,  perchè  disgustato  de'  suoi  allievi. 
Allora  il  padre,  deciso  a  non  lasciar  soffocare  nell'ignoranza 
le  belle  doti  del  figlio,  destinollo  allo  studio  delle  lettere, 
inviandolo  a  Soragna  presso  una  zia  materna ,  perchè  vi 
fosse  iniziato  in  quelle  scuole  alla  coltura  del  latino  e  dei 
classici  antichi.  Varcati  i  tredici  anni,  richiamato  in  patria 
Davide  continuò  nei  pubblici  istituti  di  Busseto  i  suoi 
studi,  passando  di  grado  in  grado  ai  più  elevati  della  let- 
teratura e  della  filosofia.  Suo  maestro  fu  Bonafede  Vitali 
medico  e  coltissimo  bussetano,  col  quale  l'allievo  si  strinse 
di  riconoscente  affetto,  che  non  cessò  in  lui  che  colla  vita. 
A  diciassette  anni  il  discepolo  lesse    il    suo    primo    lavoro 

19 


146  e.  Luppi 


poetico,  un  carme  a  Maria  Assunta^  con  plauso  generale, 
talché  fu  aggregato  dlV Accademia  de'  Pastori  Emonii  col 
pseudonimo  di  Enargo  Assioteo.  La  fama  conquistata  dal 
giovane  poeta,  suscitò  la  gelosia  di  un  emulo,  clie  lo  morse 
con  un  sonetto.  L'Affò  di  natura  sdegnoso,  non  seppe  tol- 
lerare le  punture  dell'avversario,  e  gli  rispose  con  un  ca- 
pitolo non  meno  mordace.  E  cosi  dichiarata  aperta  guerra 
al  suo  nemico,  fatto  ritorno  all'antico  genio,  che  in  lui 
durò  sempre  vivo  per  l'arti  imitative,  ritrasse  sopra  una 
tela  un  satiro,  che  con  una  forbice  di  legno  s'argomentava 
di  tagliare  un  ferro,  con  sotto  l'anagramma  del  nome  arca- 
dico dell'emulo,  ed  alcuni  versi  allusivi.  Poi,  vestitosi  alla 
foggia  de'  pittori,  percorse  le  vie  di  Busseto,  mostrando  a 
tutti  il  Satiro  e  l'epigramma,  sollevando  con  ciò  le  risa 
de'  suoi  concittadini.  Troppo  aspra  fu  questa  vendetta  ;  se 
n'accorse  presto  anche  l'Affò,  e  calmatosi  in  lui  lo  sdegno, 
si  propose  per  l'avvenire  di  stare  in  guardia  sopra  sé  stesso 
per  non  più  cadere  in  simili  eccessi.  Un  anno  dopo,  rivoltosi 
con  passione  al  culto  della  religione  e  della  morale  compose  un 
poemetto  che  intitolò  la  Fuga  dal  inondo^  preludio  del  cam- 
biamento profondo  che  effettuavasi  in  lui  e  abbandonatosi 
a  quel  sentimento  di  ascetismo  che  diventava  in  lui  sempre 
più  vivace,  malgrado  la  ripugnanza  del  padre,  solitario  e 
pedestre  si  trasferi  a  Bologna,  e  bussando  alla  porta  del 
convento  dei  padri  Minori  Osservanti,  cercò  presso  di  loro 
la  pace  dell'anima  sua.  L'accettarono  que'  frati  e  l'inviarono 
a  Busseto,  sua  patria,  a  fare  il  noviziato.  Mantenutosi  fermo 
nella  sua  risoluzione,  tocchi  appena  i  vent'anni,  pronunciò 
i  voti  solenni,  assumendo  il  nome  di  Padre  Ireneo.  Quivi 
però,  nel  convento,  in  luogo  di  trovare  la  pace  e  la  tran- 
quillità che  aveva  tanto  bramato ,  incontrò  invece  altri 
emuli,  non  meno  fieri  del  primo,  invidiosi  del  suo  ingegno 
e  della  fama  che  s'era  acquistata.  Non  per  questo  l'Affò  si 
penti  della  scelta  del  suo  nuovo  stato,  e  non  badando  alle 
piccole  traversie,  si  diede  con  maggior  ardore  a  coltivare  il 
suo  ingegno,  perfezionandosi  nella  filosofia  nell'Istituto  di 
Parma,  e  nella  teologia  in  quello  di  Bologna.  A  vent'un 
anni  fu  promosso    sacerdote.    Da   questo   momento    avendo 


P.    IRENEO    AFFO. 


VITE  DI  ILLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI  149 

maggior  agio  a  frugare  nelle  biblioteclie  di  cui  andavano 
doviziosi  i  conventi  dell'Ordine,  intraprese  la  scoperta  di 
preziosi  codici  che  ivi  erano  giaciuti  fino  allora  inesplorati, 
ne  corresse  e  ne  diede  in  luce  parecclii.  Nel  1766  allar- 
gando le  sue  indagini  alle  cronache  e  ai  documenti  d'ogni 
genere,  ne  faceva  oggetto  delle  sue  meditazioni,  infon- 
dendo nuova  vita  agli  studi  letterari,  con  erudite  pubblica- 
zioni che  riscuotevano  il  plauso  universale  dei  letterati  e 
dei  dotti.  E-ecatosi  per  diporto  in  patria  ordinò  la  libreria 
del  suo  convento  di  Busseto,  e  ne  compilò  il  Catalogo.  Si- 
mili cure  estese  alle  biblioteche  dell'  Ordine,  in  Bologna  e 
Ferrara.  Maturo  di  studi  e  ricco  di  svariate  cognizioni,  con- 
corse alla  cattedra  di  filosofia  nel  convento  di  Parma.  Al- 
lora appunto  nel  1768,  per  la  caduta  de'  Gesuiti,  era  rimasta 
vacante  quella  di  Guastalla  ;  a  questa,  per  le  raccomanda- 
zioni del  celebre  Padre  Paolo  Maria  Paciaudi,  fu  eletto 
professore  1'  Affò.  In  quell'  anno  stesso  1'  Affò  diede  in 
luce  il  suo  Dizionario  della  poesia  volgare  ;  poco  di  poi, 
avendo  scoperto  fra  i  codici  di  Santo  Spirito  in  Reggio,  un 
antico  manoscritto  di  Angelo  Poliziano,  l'Affò  ridotta  la  fa- 
mosa tragedia  dell'Orfeo  alla  sua  genuina  integrità  e  per- 
fezione ne  curò  la  stampa  dottamente  illustrata.  Dimorando 
in  Guastalla  richiamò  a  nuova  vita  l'Accademia  degli  Ine- 
sperti, ivi  fondata  più  d'un  secolo  prima,  e  per  l'amore  del 
luogo,  datosi  alle  ricerche  erudite  intorno  a  quella  città, 
scrisse  àoìV origine  e  della  storia  di  Guastalla^  àelV antichità 
della  sua  Chiesa^  e  della  zecca  ivi  aperta  dai  Gonzaga. 
Nel  1773  il  Paciaudi,  ammiratore  dell'ingegno  e  della  dot- 
trina deirAffò,  propose  al  Duca  Filippo  di  Borbone  la  no- 
mina del  padre  Ireneo  a  bibliotecario  della  Parmense,  ma 
alla  caduta  del  ministro  Dutillot,  il  Paciaudi  abbandonata 
Parma,  si  ridusse  a  Torino,  non  cessando  di  mantenere 
coll'Affò,  una  corrispondenza  continua  ed  affettuosa.  Non 
trascorsi  però  cinque  anni,  richiamato  il  Paciaudi  dal  Duca 
insistendo  egli  nella  sua  proposta,  l'Affò  ottenne  l'ambito  posto 
di  Vicebibliotecario.  Nel  frattempo  l'Affò  non  aveva  intrala- 
sciato le  sue  pubblicazioni,  che  si  succedevano  l'una  al- 
l'altra, e  fra  queste,  come  più  notevoli  o  interessanti,  la  vita 


150  e.  Ltjppi 


di  Pier  Luigi  Farnese^  quelle  di  Luigi  Gonzaga  detto  Ro- 
doìnonte^  di  Vespasiano  duca  di  Sabbioneta  e  d'Ippolita 
pure  ambedue  dell'illustre  famiglia  Gonzaga,  del  Cardinale 
Sforza  Pallavicino,  ed  altre  molte.  Riconoscente  verso  il 
Duca  per  l'onorifico  incarico  ottenuto  di  Yicebibliotecario 
della  Parmense,  rifiutò  la  prefettura  della  Biblioteca  di 
Brera  di  Milano  offertagli  dal  celebre  Conte  Carlo  di  Fir- 
mian,  in  quel  tempo  governatore  della  Lombardia.  Eletto 
De  finitore  generale  dell'Ordine,  raddoppiò  la  sua  prodigiosa 
attività  per  non  mancare  agli  obblighi  contratti  verso  i  suoi 
fratelli,  e  continuare  in  pari  tempo  le  svariate  e  innumere- 
voli scritture,  cbe  uscivano  dalla  sua  penna  sempre  feconda 
e  inesauribile.  Tra  queste  molteplici  pubblicazioni ,  ci 
occuperemo  solo  di  quelle  concernenti  i  nostri  studi.  Tali 
sono  ;  I.  Il  Trattato  della  zecca  di  Guastalla  ;  16  marzo  1779  ; 
II.  Le  Lettere  intorno  al  diritto  conceduto  alla  Casa  Gonzaga 
di  battere  moneta  in  tutte  le  terre  da  essa  possedute  nella 
Diocesi  di  Cremona  e  nella  Contea  di  Rodigo  colla  spiega- 
zione delle  monete  che  uscirono  specialmente  dalle  zecche 
di  Sabbioneta,  Pomponesco  e  Bozzolo  ;  3  aprile  1781  ;  III.  Le 
monete  de*  Gonzaghi  priìicipi  di  Castiglione  delle  Stiviere, 
e  Signori  di  Solferino,  illustrate  colle  memorie  genealogiche 
della  stessa  famiglia  ;  15  maggio  dello  stesso  anno  1781. 
IV.  Lettera  al  Signor  Guid^ Antonio  Zanetti  intorno  la  zecca 
e  le  monete  di  Novellara  ;  11  settembre  dello  stesso  1781. 
Queste  erudite  Dissertazioni  furono  dal  sunnominato  Zanetti 
inserte  nel  volume  terzo  della  sua  celebre  Opera  :  Nuova 
raccolta  delle  monete  e  zecche  d^ Italia  uscito  in  luce  a 
Bologna  dalla  stamperia  di  Lelio  della  Volpe  l'anno  1789. 
Poi  cbe  l'Affò  ebbe  dato  l'ultima  mano  ai  succitati  lavori, 
gli  venne  desiderio,  per  completare  i  suoi  studi,  di  visitare 
gli  archivi  e  le  biblioteche  d'altre  città  importanti  della 
penisola,  e  nel  settembre  dello  stesso  anno  1781,  intra- 
prese il  viaggio  alla  volta  di  Eoma,  senza  renderne  av- 
vertito il  Paciaudi ,  suo  superiore.  In  Roma  l' Affò  ebbe 
un'udienza  particolare  dal  papa  Pio  VI,  e  festeggiato  dai 
dotti,  e  letterati  di  quella  metropoli  gli  furono  aperte 
le    porte    di    tutti    gli    istituti     letterari    e    scientifici  ;  fu 


VITE  di;  illustri  numismatici  italiani 


151 


accolto  con  onori  nelle  famose  Accademie  degli  Arcadi 
e  degli  Occulti^  ne  fu  annoverato  tra  i  soci.  Nel  feb- 
braio dell'anno  seguente ,  1782 ,  continuò  il  suo  viaggio 
alla  volta  di  Napoli,  dove  però  non  potè,  come  bramava, 
esaminare  con  agio  la  Biblioteca  di  Capo  di  Monte,  perchè 
imminente  allora  il  trasloco  di  quella  celebre  libreria.  Ri- 
trattosi in  patria,  quivi  non  fu  accolto  coli' usata  cordialità 
dal  Paciaudi,  il  quale  serbava  verso  di  lui  un  certo  ran- 
core, non  ancor  sopito,  per  quella  sua  improvvisa  e  non  de- 
nunciata partenza  da  Parma.  Gli  eruditi  suoi  lavori  che 
andava  continuamente  pubblicando,  gli  valsero  la  nomina  a 
socio  corrispondente  dell'Accademia  Clementina  di  Bologna. 
Ma,  stanco  per  la  succeduta  freddezza  del  Paciaudi,  e  forse 
più  per  le  diuturne  occupazioni  della  mente  e  del  corpo, 
vennegli  in  pensiero  di  ritirarsi  in  qualche  angolo  remoto 
d'Italia  per  godersi  gli  ultimi  giorni  della  vita  in  pace,  col 
modesto  emolumento  guadagnato  in  tanti  anni  di  fatiche, 
quando  gli  giunse  l'annunzio  della  repentina  morte  del 
Paciaudi.  Ne  senti  dolore  sincero  e  profondo,  e  ne  difese 
la  fama  contro  i  postumi  detrattori.  Succedutogli  nel  posto 
elevato  di  E,,  bibliotecario  il  17  marzo  1785,  attese  tosto 
con  ardore  ad  accrescere  sempre  più  il  decoro  e  la  prezio- 
sità di  quella  insigne  biblioteca.  In  pari  tempo  pose  mano 
alla  pubblicazione  del  primo  volume  della  Storia  di  Gua- 
stalla cui  tennero  dietro  nei  seguenti  due  anni  gli  altri  tre 
volumi  ;  nel  1787  diede  principio  alla  compilazione  delle  Me- 
morie degli  Scrittori  e  Letterati  parmigiani^  il  primo  tomo 
delle  quali  apparve  nel  1789  coi  tipi  nella  R.  Stamperia. 
Dopo  altri  meno  importanti  lavori,  in  quello  stesso  anno 
fa  pubblicare  dallo  Zanetti  in  Bologna  la  Zecca  e  moneta 
"parmigiana  illustrata^  inserta  nel  V  volume  della  Nuova 
Raccolta  delle  monete  e  zecche  d'Italia.  Altro  lavoro  di 
questo  infaticabile  scrittore,  e  che  interessa  al  pari  degli 
ultimi  citati  qui  sopra  i  nostri  studi  e  non  da  passare  sotto 
silenzio,  è  V Illustrazione  di  un  antico  pio7nbo  del  Museo  For- 
giano di  Velletri  appartenente  alla  memoria  ed  al  culto  di  San 
Genesio  vescovo  di  Bruxelles  con  appendice  di  documenti, 
stampata  a  Parma  il  1790  coi  tipi  del  Carmignani,   dove  a 


152  e.  Luppi 


pag.  40  discorre  della  zecca  di  Brescello  e  nella  seguente  dà 
r  impronta  di  tre  monete  di  quell'  officina  fino  allora  quasi 
sconosciute.  Nominato  Ex  De  finitore  generale  ^-^oi  De  finitore 
generale,  1791,  diede  in  luce  il  suo  celebrato  Saggio  sulla  tipo- 
grafia parmense  e  il  primo  volume  della  Storia  della  città  di 
Parma^  che  fu  poi  seguito  dagli  altri  tre,  che  giungono  fino 
all'anno  1346.  Nell'aprile  del  1797  si  recò  in  patria  nel  suo 
convento  per  godervi  un  po'  di  riposo  ;  ma  questo  non  fu  per 
lui,  come  dice  il  suo  biografo  Pezzana,  che  il  preludio  del 
riposo  eterno.  Nell'esercizio  de'  suoi  doveri  sacerdotali,  cioè 
mentre  prestava  gli  ultimi  uffici  ad  una  ammalata,  Bar- 
bara Ponticelli,  affetta  da  violenta  febbre  petecchiale,  l'in- 
ferma inconsciamente  gli  trasfuse  il  morbo  letale,  che  svi- 
luppatosi con  rapida  intensità,  ad  onta  della  cura  sapiente 
ed  affettuosa  del  medico  Bonafede  Vitali,  che  quarant'anni 
prima  aveva  creata  la  vita  letteraria  dell'Affò,  ancora  nel 
fiore  della  vita  dovette  soccombere  alla  forza  del  male  e  il 
buon  medico  non  potè  altro  che  ricevere  gli  estremi  aneliti 
dell'uomo,  ch'egli  aveva  si  bene  incamminato  sulla  via  del- 
l'onore e  della  celebrità.  Dopo  sette  giorni  di  febbre,  il 
Padre  Ireneo  Affò  mori  rassegnato  in  mezzo  al  compianto 
de'  confratelli,  che  circondavano  il  suo  letto,  e  pregavano 
la  pace  eterna  a  lui,  che  la  fatica  in  vita  non  aveva  mai 
potuto  domare.  Tutta  Busseto  ne  senti  dolore  ;  il  mesto  an- 
nunzio tosto  si  diffuse  anche  a  Parma,  e  troncò  in  un  attimo 
le  piccole  e  sorde  gare  che  avevano  troppo  spesso  turbato 
la  vita  dell'infaticabile  scrittore.  Le  sue  esequie  furono  ce- 
lebrate con  mestissima  pubblica  solennità. 

Qualche  anno  prima  il  valente   incisore    Weber   aveva 
coniato  una  bella  medaglia  in  onore  dell'Affò. 


Questi  cenni  sulla  vita  del  Padre  Ireneo  furono  tratti  dalle 
Memorie  degli  Scrittori  e  letterati  parmigiani  raccolte  dal  padre 
Ireneo  Affò  e  continuate  da  Angelo  Fezzana.  In  4*,  Parma  tipo- 
grafia ducale.  La  prima  parte  1823  del  tomo  sesto  di  quest'opera 
contiene  la  vita  dell'Affò   scritta   dal  Pezzana.   —  Biografia  degli 


VITE  DI   ILLUSTRI   NUMISMATICI    ITALIANI  1.53 

Itiliani  Illustri  nelle  scienze,  lettere  ed  arti  del  secolo  XVIII  e  dei 
contemporanei^  compilata  da  letterati  italiani  di  ogni  provincia  e 
pidMicata  per  cura  del  professore  Emilio  de  Tipaldo.  Volume  nono. 
Venezia  1844  ;  in  8."  —  JBiographie  unioerselle  ancienne  et  moderne. 
Ouvraye  redige  par  une  société  de  gens  de  lettres  et  de  Savants 
Tome  premier.  Paris,  1343,  in  8";  pag.  209.  —  Zanetti  Guid'An- 
TONio  :  Nuova  raccolta  delle  monete  e  zecche  d'Italia.  Bologna  1783, 
e  1789  ;  voi.  Ili  e  V.  Angelo  Fava  :  Dizionario  storico-mitologico- 
geografico.  Torino  1856,  parte  T,  pag.  25.  —  Giuseppe  Maffei  :  Storia 
della  letteratura  Italiana.  Firenze,  1853,  voi  II,  pag.  192.  —  Le 
Stanze f  l'Orfeo  e  le  Rime  di  Messer  Angelo  Amhrogini  Poliziano 
riiedute  su  i  codici  e  su  le  antiche  stampe  e  illustrate  con  annota- 
zioni di  varii  e  nuove  da  Giosuè  Carducci.  Firenze,  18G3  ;  pag.  163. 
—  La  città  di  Busseto  capitale  un  tempo  dello  Stato  Pallavicino.  Me- 
morie storiche  raccolte  da  Emilio  Seletti.  Milano,  1883.  Voi.  II,  pa- 
gine 191-205. 

C   Luppi. 


T 


NECROLOGIE 


VINCENZO   PROMiS. 

Un  erudito,  altrettanto  modesto  quanto  valente,  erede 
di  un  nome  celebre,  di  cui  aveva  saputo  mantenere  la  fama 
coi  propri  scritti  e  colla  esemplare  integrità  della  vita,  — 
il  Comm.  Vincenzo  Promis,  Bibliotecario  di  S.  M.  il  Re  in 
Torino,  —  si  spegneva  il  19  dicembre  u.  s.  dopo  breve  ma- 
lattia, a  soli  cinquant'  anni,  quando  appunto  la  scienza  at- 
tendeva da  lui  una  sempre  più  copiosa  messe  di  contributi. 

Vincenzo  Promis  era  nato  a  Torino  il  giorno  8  luglio 
1839,  dall'illustre  Comm.  Domenico  e  dalla  Nobil  Donna 
Marianna  Borbonese.  Compiuti  gli  studi  nella  patria  Uni- 
versità, ne  usci  addottorato  in  leggi,  e  per  qualche  tempo 
fu  addetto  al  Ministero  degli  Esteri.  Ma  sopravvenuto  poi 
il  trasferimento  della  capitale  a  Firenze,  ed  increscendogli 
di  abbandonare  i  genitori  a  lui  sommamente  diletti,  ri- 
nunciò alla  carriera  intrapresa,  ed  ottenne  di  essere  ag- 
gregato alla  Direzione  della  Biblioteca  e  del  Medagliere 
Reale.  I  buoni  studi  di  cui  era  fornito,  i  consigli  ed  i 
preziosi  ammaestramenti  del  padre,  gli  agevolarono  la  tran- 
sizione dell'ufficio,  e  già  nel  1867  troviamo  di  lui,  nella 
JRcvue  Numismatique  di  Parigi,  una  Rcciification  a  un  ar- 
ticle  sur  des  ìiionnaies  obsidionales  franco-iialiennes.  L'anno 
dopo,  egli  pubblicava  una  memoria  SuìV origine  della  Zecca 
Veneta,  e,  nel  1869,  la  sna  opera  più  nota  e  più  assidua- 
mente consultata  da  studiosi  di  numismatica  e  raccoglitori, 
le  Tavole  sÌ7iottiche  delle  monete  hattide  in  Italia  e  da  Ita- 
liani ali* esiero,  che  gli  procacciarono    fama  ed  autorità,    e 


156  NECROLOGIE 


ch'egli  più  tardi  voleva  rifondere  in  una  nuova  edizione 
ampliata,  divisamento  andato  a  vuoto  purtroppo  per  la  sua 
morte  immatura. 

Alle  Tavole  sinottiche  fecero  séguito  interpolatamente 
vari  altri  scritti  numismatici  e  sfragistici,  dei  quali  il  let- 
tore troverà  l' elenco  qui  appresso,  scritti  che  attestano 
come  nel  Promis  rimanesse  sempre  vivo  l'amore  a  queste 
discipline,  anche  frammezzo  alla  multiforme  sua  attività 
scientifica  e  letteraria  ed  alle  cure  delle  numerose  cariche 
di  cui  venne  meritamente  onorato.  Successo  infatti  al  padre 
nella  Direzione  della  Biblioteca  e  dell'  unito  Gabinetto 
Numismatico,  egli  fu  pure  Membro  operosissimo  della  E. 
Deputazione  di  Storia  Patria,  della  Consulta  Araldica,  della 
Commissione  pei  monumenti  e  scavi,  della  R.  Accademia 
delle  Scienze  di  Torino,  e  di  altri  istituti  e  sodalizi,  ed 
attese  inoltre  con  amore  a  svariate  pubblicazioni  d' argo- 
mento storico,  letterario  ed  artistico,  dando  prova  di  sin- 
golare alacrità  e  di  soda  erudizione.  Nell'adempimento  del 
suo  ufficio  di  Bibliotecario,  egli  dimostrò  poi  una  si  intelli- 
gente premura  ed  una  si  cortese  e  liberale  affabilità  pei 
visitatori,  da  rendere  veramente  incancellabile  e  caro  il 
suo  ricordo. 

Ed  è  caratteristico  per  la  modestia  di  un  uomo ,  cosi 
largamente  insignito  di  onori  e  di  distinzioni,  che  la  fa- 
miglia desolata  ed  amorosissima  di  Vincenzo  Promis  non 
abbia  potuto  rintracciarne  un  ritratto  qualsiasi,  come  ave- 
vamo chiesto  per  rendere  meno  inadeguato  questo  fugge- 
vole cenno. 

S.  A. 


NECROLOGIE  157 


PUBBLICAZIONI  NUMISMATICHE   E   SFRAGISTICHE 

DI 

VINCENZO    PROMIS. 

Sull'origine  della  Zecca  Veneta.  Torino,   1868. 

Tavole  sinottiche  delle  monete  battute  in  Italia  e  da 
Italiani  ali/ estero,  dal  secolo  vita  tutto  l'anno  mdccclxviii, 
illustrate  con  note.  Torino,  1869. 

Sigilli  italiani  editi  ed  illustrati.  Torino,  1874. 

Su   UNA   MEDAGLIA  INEDITA  DI  CaRLO   EMANUELE  I.  TorinO  1875. 

NOTICE  SUR  LES  JETONS  DE  MARGUERITE  DE  BOURGOGNE,  DU- 
CHESSE DE  SAVOIE.  Chambéry,  1875. 

Su  DUE  MONETE  DI  Kamniskire  Re  DEI  Parti.  Toiìno,  1870. 

Bolla  in  piombo  del  secolo  YIH.  Torino,  1876. 

Monete  imperiali  romane  scoperte  a  Casalvolone  presso 
Novara.  Torino,  1878. 

Tessere  di  Principi  di  Casa  Savoia  o  relative  ai  loro 
antichi  Stati,  illustrate.  Torino,  1879. 

Filippo  d'Este  marchese  di  S.  Martino  e  Lanzo,  ed  una 
sua  medaglia  inedita,  Torino,  1879. 

Medaglia  di  Teresa  di  Liechtenstein  moglie  di  Emanuele 
di  Savoia  Carignano  conte  di  Soissons.  Torino,  1880. 

Su   UNA   TESSERA  ROMANA.   ToiìnO,   1880. 

Su  tre  sigilli  inediti  del  Piemonte.  Torino,  1880. 

Sulle  monete  di  Castiglione  de'  Gatti.  Torino,  1881. 

Monete  di  Zecche  italiane,  inedite  o  corrette.  Memoria 
quarta.  Torino,  1883. 

Medaglia  commemorativa  della  spedizione  sarda  contro 
Tripoli  nel  1825.  Torino,  1835. 

Moneta  inedita  di  Pietro  I  di  Savoia  e  pochi  cenni 
sulla  zecca  primitiva  dei  principi  sabaudi.  Torino,  1888. 

Monete  di  Gio.  Battista  Falletti,  conte  di  Benevello. 
Torino,  1888. 


158  NECROLOGIE 


IL    MARCHESE   DE   M0LIN3. 

Sullo  scorcio  del  1889,  la  Spagna  lia  perduto  uno  dei 
suoi  cittadini  più  eminenti,  l' illustre  diplomatico  Marchese 
de  Molins.  Alle  qualità  dell'uomo  di  Stato,  egli  congiungeva 
una  vasta  erudizione  e  1'  amore  più  appassionato  per  la 
storia  e  1'  archeologia.  Coltivò  pure  la  numismatica,  e  lasciò 
una  cospicua  raccolta  di  monete  spagnuole  d'  ogni  epoca, 
nonché  di  medaglie  italiane  del  Rinascimento. 


G.    F.    G.   MEYER. 


Nello  scorso  ottobre  è  morto  il  direttore  del  Gabinetto 
Reale  dell'Aja  in  Olanda,  G.  F.  G.  Meyer,  benemerito  di  quella 
importante  collezione,  da  lui  notevolmente  accresciuta  du- 
rante il  lungo  periodo  in  cui  tenne   quell'  ufficio. 


G.   W.   WILSON. 

A  Gotemburgo,  la  seconda  città  della  Svezia,  è  morto 
un  ricco  ed  intelligente  mecenate  delle  arti  e  delle  scienze, 
Giovanni  West  Wilson,  che  aveva  fatto  a  quel  Museo  molti 
doni  munificentissimi,  anche  di  monete. 


BIBLIOGRAFIA 


IJBRI   NUOVI. 

Catalogne  of  Grceh  Ooins.  Fontus,  Papldagonia^  Bitìiynia  and  the 
Kingdom  of  Bosporus  bj  Warwick  Wroth.  Edited  by  Reginaìd 
Stuart  Poole,  L.  L.  D.  —  London ,  printed  by  order  of  the 
trustees,  1889  (1). 

Il  Museo  Britannico  è  certamente  quello  che  meglio 
intende  le  collezioni  nel  loro  vero  scopo  ,  e  che  coi  suoi 
numerosi  e  accuratissimi  cataloghi  rende  accessibili  i  suoi 
tesori  anche  a  chi  non  può  avere  la  ventura  di  material- 
mente visitarli.  Il  Volume,  cui  qui  si  accenna ,  pubblicato 
alla  fine  dello  scorso  anno,  è  il  XXI  di  una  serie  di  cata- 
loghi illustranti  diversi  rami  della  sterminata  collezione 
numismatica  del  Museo  Britannico. 

Stampato  colla  solita  accuratezza  che  distingue  le  an- 
tecedenti pubblicazioni,  è  corredato  di  39  bellissime  tavole 
in  eliotipia.  Se  ci  fosse  lecito  esprimere  un  semplice  desi- 
derio diremmo  che  forse  a  complemento  dell'accuratissimo 
lavoro,  avrebbe  servito  ottimamente  una  carta  geografica 
della  plaga  comprendente  le  città  di  cui  si  descrivono  le 
monete.  F.  G. 


(11  Mandato  in  dono  alla  lilcìsta  (prosontod  by  tho   trustoos  of  Bri- 
tish  Musoum)  21  Gon.  1890. 


160  IJIBLIOG  RAFIA 


Su  due  Contromarche  in  monete  romane.  —  Breve  disanima  del 
Cav.  Giovanni  Fraccia.  —  Bologna,  Società  Tipografica  già 
Compositori,  1889. 

Le  due  Contromarche  di  cui  si  tratta  non  sono  nuove. 
La  prima  .FE,ON  non  è  comune,  e  non  ò  conosciuta  che 
per  pochissimi  esemplari  ;  la  seconda  NCAPR  è  forse  la  più 
comune  fra  le  contromarche  romane  ;  ma  l'opuscolo  del 
cav.  Fraccia  è  tutto  rivolto  ad  una  nuovissima  interpreta- 
zione che  vorrebbe  dare  a  questa  seconda.  Quanto  è  detto 
molto  diffusamente  nell'opuscolo,  possiamo  riassumerlo  in 
poche  parole,  sfrondandolo  di  tutto  ciò  che  col  soggetto 
non  ha  diretta  attinenza,  e  che  anzi,  essendo  molto  sogget- 
tivo e  personale,  avremmo  voluto  omesso  anche  dall'opu- 
scolo stesso. 

La  prima  delle  due  Contromarche  .PRON  fu  già  dal 
Saulcy  e  da  altri  attribuita  ad  Apronio  monetario  sotto  Au- 
gusto. Dall'essere  tale  Contromarca  stampata  su  di  un  se- 
sterzio di  bronzo  della  famiglia  Quinctia,  contemporaneo 
ad  Augusto,  l'autore  ne  trae  come  conseguenza,  attribuen- 
dovi, secondo  noi  e  secondo  il  prof.  Pais,  una  soverchia 
importanza,  quella  di  stabilire  che  Apronio  fu  monetario 
sotto  Angusto  e  non  sotto  Giulio  Cesare.  Sta  bene  che  questa 
ne  sia  una  prova  ;  ma  a  stabilire  il  medesimo  fatto  ne 
abbiamo  già  un'altra,  secondo  noi  più  forte  e  più  sicura, 
nel  tipo  delle  monete.  Può  sempre  rimaner  dubbio  che  la 
contromarca  ^FRON  sia  precisamente  stata  applicata  da 
Apronio  triumviro  monetario  e  che  abbia -veramente  questo 
significato  invece  di  qualunque  altro,  mentre  invece  il  tipo 
delle  monete  d' Apronio  è  cosi  identico  a  quelle  degli  altri 
triumviri  monetarii  Gaio,  Messala  e  Sisenna  suoi  confra- 
telli sotto  Augusto,  che  sarebbe  assolutamente  impossibile 
collocarle  ad  altr'epoca  e  assurdo  addirittura  sotto  G.  Cesare. 

Altra  conseguenza  poi  che  l'A.  vorrebbe  trarre  dall'in- 
terpretazione della  prima  è  una  nuova  interpretaiiione  della 
seconda  contromarca.  Dopo  aver  citato  e  scartato  alcune  inter- 
pretazioni molto  arbitrarie  e  che  non  vale  neppure  la  pena 


BIBLIOGRAFIA  161 


di  confutare,  ma  senza  citare  quella  ragionevolissima  e 
ormai  comunemente  ammessa  come  la  vera,  ne  propone  una 
nuova  affatto  e  che  sarebbe  la  seguente  : 

Nummus  (o  Numerus)  Cohortis  (o  Cohortes  o  Cohortium) 
APRoni  (o  APRoniae  o  APRonianae  o  APRonia- 
narum) 

e,  trovando  cosi  un  nesso  fra  l*una  e  l'altra  contromarca,  fa 
servire  l'una  ad  appoggio  dell'altra.  Sta  però  a  vedere  so 
seriamente  tale  spiegazione  possa  essere  accettata  e  se  abbia 
un  fondamento  razionale. 

Lasciamo  da  parte  diverse  piccole  ragioni  che  vi  sa- 
rebbero da  opporre  e  fermiamoci  a  quelle  due  sole  che  ci 
sembrano  le  più  gravi.  Nessun  documento  storico  ci  ap^ 
prende  l'esistenza  di  una  Coorte  Aproniana  ;  non  è  un  var- 
care i  limiti  possibili  dell'induzione  il  voler  creare  una 
Coorte  al  solo  scopo  di  dare  la  spiegazione  di  una  contro- 
marca, tanto  più  quando  ne  abbiamo  già  una  che  pare  assai 
più  naturale  ?  E  poi  come  spiegare  il  ripetersi  di  questa 
stessa  contromarca  sui  bronzi  di  Claudio  portanti  la  data 
dell'anno  4:1  d.  C.  mentre  la  prima  contromarca  d'Apronio 
sarebbe  del  12  a.  C.  anteriore  cioè  di  53  anni  ?  E  vero  che 
FA.  con  uno  sfoggio  grande  d'erudizione  ha  raccolti  tutti. 
i  dati  storici  relativi  a  quest'Apronio,  ed  è  riuscito  a  pro- 
vare che  materiahnente  la  cosa  non  era  impossibile,  perchè 
nell'anno  41  appunto  Apronio  finiva  la  sua  carriera  come 
Governatore  della  Germania.  Data  però  anche  questa  possi- 
bilità materiale,  ben  diversa  dalla  probabilità,  e  dato,  come 
ognuno  sa,  che  i  bronzi  contromarcati  di  Claudio  come 
tutti  in  generale  quelli  portanti  contromarca  sono  di  pessima 
conservazione,  come  si  può  spiegare  che  i  detti  bronzi  di 
Claudio  fossero  già  frusti  e  avessero  perciò  bisogno  di  una 
contromarca  nell'anno  stesso  in  cui  venivano  battuti  ? 

Non  è  assai  più  ovvia  l'antica  spiegazione  della  con- 
tromarca in  questione  Nero  Caesar  Aug.  PRobavit  ?  L'À. 
citando,  come  s'è  detto  più  sopra,  parecchie  delle  interpre- 
tazioni della  contromarca  NGAPR,  e  scartandole  facilmente 
ad  una  ad  una,  ha  taciuto  a  bella  posta,  (in  una  persona  tanto 


162  BIBLIOGRAFIA. 


erudita  non  possiamo  ammettere  l' ignoranza  di  una  cosa 
tanto  ovvia),  l'interpretazione  ora  accennata  per  rendere  la 
sua  più  facilmente  accettabile  ;  ma  quanto  a  noi  confes- 
siamo francamente  clie  vi  ci  atteniamo  fino  a  che  prove  più 
convincenti  di  quelle  portate  dall' A.  non  ci  persuadano  ad 
accettarne  un'altra. 


Antiche  monete  Siciliane  pubblicate  pel  primo  dal  Cav.  Giovanni 
Fraccia.  —  Estratto  dal  Giornale  II  Buonarroti.  Serie  III,  Voi.  Ili 
Quaderno  IX  1889  e  Quaderni  1890.  — 

L'Autore  riunisce  in  questo  Opuscolo  tutte  le  monete 
Greche  inedite  da  lui  già  pubblicate  in  quattro  precedenti 
Opuscoli  e  ve  ne  aggiunge  alcune  altre  portandole  cosi  al 
complessivo  numero  di  332. 

Non  intendiamo  qui  entrare  ad  esaminare  partitamente 
e  singolarmente  le  monete  descritte  ;  ma  facendo  il  dovuto 
plauso  al  ricco  contributo  che  l'autore  porta  al  Corpus 
numorum^  e  pel  quale  la  scienza  gli  dovrà  essere  ricono- 
scente, ci  limiteremo  a  farvi  due  appunti  suggeritici  dal- 
l'importanza della  pubblicazione.  E  per  prima  cosa  lamente- 
remo la  mancanza  di  tavole  illustrative.  Le  pubblicazioni  di 
monete  inedite,  specie  quando  non  si  tratti  solo  di  piccole 
varianti,  non  dovrebbero  mai  mancare  di  questo  corredo 
importantissimo.  Colle  tavole  dal  vero  si  offre  al  lettore  il 
mezzo  di  controllare  coi  proprii  occhi,  sia  l'interpretazione 
delle  leggende,  che  l'autenticità  stessa  dei  pezzi  descritti. 
Per  quanto  grande  sia  la  fiducia  che  il  lettore  ripone  nello 
scrittore,  preferisce  sempre  poter  fare  lui  stesso  l'una  veri- 
fica e  l'altra. 

In  secondo  luogo  poi  non  ci  sembra  molto  opportuna 
la  scelta  del  Periodico  in  cui  venne  fatta  la  pubblicazione. 
Il  Buonarroti  è  un  giornale  storico-letterario  e  nella  sua 
qualità  di  storico  potrebbe  in  qualche  modo  comprendere 
anche  la  numismatica  ;  ma  ora  che  nella  scienza  si  tende  a 
tutto  specializzare  non  crediamo  che  un  giornale  di  lette- 
ratura e  storia  possa  avere  lettori    che  si   interessano    alla 


BIBLIOGRAFIA  163 


Numismatica;  ne  allorquando,  fra  un  tempo  che  vorremmo 
non  troppo  lontano  nascerà  chi  vorrà  rendersi  veramente 
benemerito  allestendo  il  Catalogo  generale  della  Numismatica 
Greca,  noi  non  crediamo  che  penserà  mai  a  cercare  gli  ele- 
menti per  la  sua  opera  nel  Buonarroti...  a  meno  che  queste 
poche  righe  non  glie  lo  suggeriscano. 

L'autore  stesso  mentre  nel  cenno  preliminare  a  pag.  6 
riconosce  come  gli  scritti  numismatici  pubblicati  isolata- 
mente 0  in  giornali  d'  altr'  indole  vadano  assai  facilmenti 
dispersi ,  nell'  avvertenza  alla  pag.  1  dichiara  d'  avere  di- 
messo il  pensiero  di  pubblicare  il  suo  Opuscolo  nella 
Rivista  Italiana  di  Nuìnismatica  ,  per  u  ragioni  facili 
u  a  comprendere  dalla  lettura  di  esso,  n  E  noi  dal  canto 
nostro  non  possiamo  che  trovar  giusta  tale  determinazione. 
Alcune  controversie  e  per  meglio  dire  il  modo  con  cui  sono 
trattate  non  avrebbero  certo  potuto  trovar  luogo  nella  Ri- 
vista^ la  quale  mentre  accorda  ai  suoi  collaboratori  la  mas- 
sima libertà  d'opinione  nel  campo  scientifico ,  vuole  che 
tale  libertà  vada  unita  al  maggior  riserbo  per    le    persone. 

La  disputa  scientifica  per  quanto  libera  deve  sempre  te- 
nersi nel  campo  sereno  dell'oggettività,  e  la  critica  deve  se- 
guire lo  splendido  esempio  del  Manzoni,  rifuggendo  da  quello 
cosi  deplorevole  dei  nostri  letterati  del  secolo  decimottavo. 

Conclusione  :  non  è  da  incolpare  la  Rivista  se  i  due 
Opuscoli  del  Cav.  Fraccia  non  vi  poterono  essere  pubbli- 
cati, bensì  il  modo  con  cui  essi  sono  scritti. 

F.  G. 


KizziNi  P.  Illustrazione  dei  Civici  Musei  di  Brescia.  Parte  I. 
Flacchette  e  hassirilievi. 

Il  solerte  Direttore  dei  Musei  bresciani,  Dott.  Prospero 
Rizzini,  ha  intrapreso  nei  Commentari  dell'Ateneo  di  Brescia 
uno  studio  diligente  intorno  alle  insigni  Collezioni  artistiche 
di  cui  gli  venne  affidata  la  custodia  da  quel  Municipio. 

Egli  ha  incominciato  dalla  illustrazione  di  una  sèrie 
interessantissima  di  monumenti,  che  ha  grande  attinenza 
colla  numismatica,  quantunque  strettamente  parlando  non 
vi  appartenga:  la  serie  delle  placche tte,  la  quale  è  rappre- 


164  BIBLIOGRAFIA 


sentata  in  modo  splendido  nei  Musei  di  Brescia,  dove  se 
ne  conservano  ben  370,  provenienti  in  gran  parte  da  un 
munificente  legato  del  conte  Leopardo  Martinengo. 

Il  Dott.  E/izzini  ne  dà  partitamente  la  descrizione, 
raffrontandole  colla  nota  opera  del  Molinier,  alla  quale 
può  servire  oggi  di  utilissimo  complemento  la  bella  pub- 
blicazione di  Bode  e  Tscbudi  (1). 

Neil' annunci  are  ai  lettori  della  Rivista  l'inizio  di  questa 
accurata  descrizione  de'  Musei  bresciani,  ci  permettiamo 
di  esprimere  un  voto,  che  cioè  per  l'avvenire  si  largheggi 
maggiormente  nel  corredo  illustrativo,  tanto  più  che  la 
sola  tavola  fototipica  annessa  a  questa  prima  puntata  fa 
onore  allo  Stabilimento  Mattironi  di  Brescia  che  l'ha  ese- 
guita, e  dà  adito  a  bene  sperare  per  la  continuazione  del 
lavoro. 

S.  A. 


La  pratica  degli  affari.  Voi.  VITI.  Misure  e  monete  in  16/ 
pp.  110.  Milano,  Giov.  Massa,  1890. 

FuRSE  (Edouard  Henri) ,  Mémoires  numismatiques  de  V  ordre 
souverain  de  Saint  Jean  de  Jérusalem,  illustrées  avec  les  médailles  et 
monnaies  frappées  par  les  grands  maitres  de  Vordre.  Deuxième  édi- 
tion.  Rome,  typ.  Forzani,  1889,  in  4%  fig,  pp.  430  con  4  tav. 

Catalogo  della  collezione  del  sig.  Alessandro  Fasi  di  Ferrara  ; 
monete  romane,  consolari  e  imperiali,  monete  italiane  del  medio  evo 
e  moderne  in  vendita  all'amichevole  con  i  prezzi  fissati  a  ciascun 
numero.  Firenze,  tip.  Bonducciana  A.  Meozzi,  1889,  in  8",  pp.  233.  — 
Impresa  di  vendite  Sarabon,  Anno  XII,  n."  8. 

Catalogo  delle  monete  delle  zecche  italiane  meridionali,  con  ricca 
serie  delle  monete  di  Venezia;  monete  romane  consolari,  imperiali, 
monete  greche,  componenti  la  collezione  del  conte  Fulclo  Miari  di 
Venezia,  di  cui  la  vendita  al  pubblico  incanto  avrà  luogo  in  Milano. 
Milano,  tip.  Pirola,  1889,  in  8".  pp.  108  (Impresa  Vendite  Sambon  ; 
anno  XII,  n."  I). 

Perosa  Dott.  Marco.  Bulgaro  (Borgovercelli)  e  Usuo  circondario. 
Monografia  con  illustrazioni.  In  4.°  Vercelli,  tip.  G.  B.  Dell'Erra.  — 


(1)  Bode  nnd  Tschudi,  Beschreihung  der  Bildtverke  der  christltchen 
Epoche  {Konigl.  Museen  zu  Berlin).  Boriino,  Spemann,  1888. 


BIBLIOGRAFIA 


165 


A  pp.  394-397:  Monete  cimlriclie  e  romane  trovate  a  BorgoverceìU, 
con  1  tav. 

Catalogne  d'une  belle  collection^  formée  imr  un  diligent  colle- 
dionneur  de  Florence  :  Première  partie  (Aes  grave,  ou  monnaies  pri- 
mitives  moulòes,  monnaies  romaines  consulaires,  impériales  et  bizan- 
tines  en  or,  argent  et  bronze).  Florence,  impr.  Bonducciana  A.  Meozzi, 
1889,  in  S,"*  pp.  130.  —  Vendite  Sambon,  anno  XII,  n."  5. 


SouTzo,  Introduction  à  Vétude  des  monnaies  de  Vltalie  antique^ 
2'  partie,  64  pp.  avec  fig.  et  tableaux.  In  8,"  Macon,  impr.  Protat 
frères. 

Barthélemy  (A.  de),  Manuels  Boret.  Nouveau  manuel  de  numi- 
smatique  ancienne.  Paris,  Roret ,  in  1 8,"  pag.  VIII-483 ,  avec  atlas 
de  12  pi. 

Malarce  (A.  de),  Monnaies  metalliques  et  fiduciaires.  —  Poids 
et  mesurcs  des  divers  Etats  da  Monde  et  leur  rapport  exact  avec  les 
monnaies,  poids  et  mesures  de  France.  Paris,  Guillaumin  et  C,  1889. 

Muntz  Edgène,  Les  Ar  hives  des  Arts.  Paris,  librairie  de  TArt, 
1890  in  8."  Le  medailleur  Cristoforo  —  Quaire  lettres  du  medailleur 
Melioli. 

Engel  et  Serrure,  Bepertoire  des  sonrces  imprimées  de  la  nu- 
mismatique  frangaise.  Supplement  et  tàble.  Paris  ,  Leroux ,  in  8*, 
pp.  VIII-257. 

Drouin,  Essai  de  déchiffrement  des  monnaies  à  légendes  des 
araméennes  de  la  Gharacène.  Paris,  Leroux,  1889,  in  8\ 

Ris-Paquot,  Dictionnaire  des  poinrons  ,  simboles ,  signes  figu- 
rati fs^  marques  et  monogrammes  des  orfèvres  frangais  et  étr anger s, 
fermiers  généraux^  maitres  de  monnaies,  controleurs^  vérificateurs^  etc. 
In  8°  p."*  pp.  yiII-384,  avec  armoiries.  Evreux,  impr.  H^rissey.  Paris, 
librairie  Laurens,  1890. 

La  loi  monétaire  de  1890.  Tableau  de  toutes  les  pièces  à  ac- 
cepter  et  à  refuser,  avec  la  nomenclature  des  monnaies  étrangères 
et  leur  valeur  en  France.  Paris,  librairie  I.  Strauss,  1890. 

Leduc  H.,  Histoire  des  décorations  en  France:  Origine  histo- 
rique  et  description  des  Ordres^  Croix,  Médailles  et  Insignes  ante- 
rieures- et  posterie  ars  à  la  R'volution.  In  12,"  pp.  Ili,  av.  pi.  Le 
Mans  (Sarthe)  librairie  ancienne  et  moderne  R.  Pellechat,  1890. 

Monnaies  royales  et  féodales.  (Collection  X...  )  In  8,"  pp.  30, 
avec  figures.  Macon,  impr.  Protat  frères.  Paris,  MM.  I.  Hermerel  et 
R.  Serrure,  experts,  53,  rue  de  Richelieu,  1890. 


166  BIBLIOGRAFIA 


# 


Letellier,  Description  historlque  des  monnaies  frangaises,  gau- 
loises,  roìjaìes  et  seigneuriales,  donnant  un  apergu  des  prix  à  chaque 
numero.  Tome  III.  Paris,  impr.  Julien,  1889,  in  18,"  pp.  292  et  35 
planches. 

Pellet  Marcellin.  Variétés  révólutionaires.  Troisième  et  der- 
nière  sèrie.  Paris,  Alean,  1890.  (Un  peu  de  numismatiqiie). 


Brambach  W.,  Das  hadische  Wappen  auf  MUnzen  und  Me- 
daillen.  Karlsriihe,  Gros.  1890,  in  12.°  pp.  43. 

Kacziany  F,  Zur  Begeìung  des  Geld  =  Milns y  Bank,  und 
Zahlungsivesen.  Eine  staatshurgerrechtliche  und  national  =  dicono- 
mische  Frage.  Wien,  1889,  Steckler,  40  pp.,  in  8." 


Frère-Orban,  M.  Beernaert  et  nos  affaires  monetaires.  Examen 
des  doctrines  et  des  actes  de  M.  le  ministre  des  finances  au  sujet  de 
la  monnaie,  et  ripense  aux  critiques  de  la  convention  monétaire  de 
1865  contenues  dans  le  discours  qii'il  a  prononcé  devant  le  Sénat 
le  13  avril  1889.  Liège,  A.  Desoer,  1889,  in  8.»  pp.  49. 


Carter  (Thomas),  British  War  Medals,  Military  and  Naval; 
and  Hoiv  they  were  Won.  Forming  a  Compiete  History  of  these  Di- 
stinctions  from  the  Earliest  Times  to  the  Fresent  Date.  lUustr. 
with  fac-simile  Coloured  Plates  and  Wood  Engravings.  Part.  I  (Sa- 
ronno  8  parti)  London ,  Groombridge,  1890,  in  8." 

Tates  Modern  Cambist,  A.  Manuàl  of  Foreign  Exchanges  and 
Bullion,  with  the  Moneys  and  other  Mediums  of  Exchange  of  ali 
Trading  Nations,  eie.  etc.  Twenty  first  Edition.  By  Hermann  Schmidt. 
London,  Effingham  Wilson  and  C,  Royal  Exchange,  1889,  in  8." 


PEEIODICL 

Mevue  Numismaiique,  IV  Trimestre  1889. 

Kink   (K.  F.),  Observations    sur    les  noms    attribués    à 
des  graveurs  de  monnaies  grèques. 

L'Autore  combatto  Tidoa  goneralmonte  invalsa  che  tali  nomi  siano  da 
attriuirsi  agli  incisori  delle  moneto  e  propugna  invoce  V  attribuzione  di 
essi  ai  vincitori  dei  giuochi  o  a  chi  offriva  doni  alle  divinità  concludendo 


BIBLIOGRAFIA 


167 


che  forse  gli  uni  e  gli  altri  potevano  indicare  il  medesimo  personaggio 
ossia  il  vincitore  che  riconoscente  alla  divinità  per  la  vittoria  oifriva  un 
dono.  La  nuova  teoria  ci  pare  provata  con  sufficienti  ragioni. 

Bahelon   (E.),    Quelques    remarques    sur   des    monnaios 
d'Afrique  et  d'Espagne. 

Continuazione  e  fine  di  uno  studio  intrapreso  nei  precedenti  fascicoli. 

Poncet  (D.  Ernest),  Le  trésor  de  Planche. 
Interessante  ragguaglio  di  un  piccolo  ma  ricco  ripostiglio  di  oggetti 
e  di  nove  rarissime  monete  d' oro ,  appartenenti  a  Leliano,  Vittorino, 
Tettico  padre  e  figlio,  Aureliano,  Diocleziano  e  Massimiano  Erculeo,  fa  cui 
tre  inedite.  Peccato  che  l'autore  non  ci  faccia  sapere  in  qual  museo  o  in 
quali  mani  il  prezioso  ripostiglio  ora  si  trovi. 

Prou  (M.),  Deux  tiers  de  sou  du  Eoi  Gontran. 

Caron  (E.),  Monnaies  du  commencement  du  XI  siècle, 
frappées  dans  la  comté  de  Bourgogne. 

Marchécille  (M.  de),  Le  denier  d'or  à  la  Eeine. 

Cronaca,  Necrologie,  Bibliografia.  Quattro  tavole. 


Annuaire  de  la  Société  franca Ise  de  Niiìnismatlqiie. 

Novembre-Dicembre  1889. 

Hucher  (E.),  Le  trésor  de  Plourhan. 

Robert  (P.  Ch.)  ,  Monnaies  et  médailles  des  Evèques 
de  Metz. 

Marchèville  (M.  de) ,  Une  pièce  d' or  inedite  de  Ray- 
mond IV  Prince  d' Grange. 

Amécourl  (Ponton  d'),  Les  monnaies  Eoyales  de  la  pre- 
mière race  des  Rois  de  France  (seguito). 

Froener  (W.),  Grands  bronzes  de  Neron  transformés 
en  miroir. 

Processi  verbali  della  Società. 


Bulletln  de  la  Société   Suisse   de   Nmnisìnatique.    Ge- 
nève 1890,  n.  I. 
Demole  (E.),  A  nos  collègues. 
Th.  von  LiebenaUy  Die  Miinzmeister  von  Luzern. 
Vallier  (G.),  Un  jeton  inédit  des  Chanoines  comtes  de 

Lyon,  Guignes  Bourgeois,  XV  siècle. 

Demole  (E.),  Histoire  monétaire  de  Genève,  de  1792    à 

1848  (fragment). 


168  BIBLIOGRAFIA 


Mayor  (J.),  Médaille  de  Tunioii  romande  pour  la  pro- 
tection  des  animaux. 

Trackscl  (C.  F.) ,  Zwei  Waffeleisen  vom  Anfangedes 
XVII  Jahrkunderts    mit    medaillenartingen   Darstellungen. 

Necrologia,  Bibliografia,  ecc.   Tavola. 


Zeitsclirift  fiìv  l^umismatik,  XVII  Band  (1889),  Heft  T. 
(Berlin  ,  Weidmannsche  Buchhandlung  1890). 

Lòhbeke  (A.),  Griechische  Mùnzen  aus  meiner  Samm- 
lung.  IV. 

Interessante  pubblicazione  di  monete  greche  entrate  da  poco  tempo 
nella  celebre  collezione  dell'Autoro.  Alcune  di  questo  monete  erano  affatto 
sconosciute.  L'articolo  è  corredato  Ja  duo  tavole. 

Buschmann  (H.) ,  Bracfcheatenabdruck  an  Kirchenglo- 
cken  zu  Verden. 

Seech  (0.),  Die  Mùnzpolitik  Diocletians  und  seiner 
Nachfolger. 

Aleooi.j  Die  Auszahlung  des  E-anfschillings  fùr  das  Her- 
zothum  Ehstland  in  den  Jahren  1346  u.  1347. 

Barde  (F.),  Der  Fund  von  Reichen. 

Piccole  comunicazioni,  Bibliografia.    Tre  tavole. 


Archivio  della  R.  Società  Ramana  di  storia  patria,  voi.  XII, 
fase.  I-IV  (1890):  Monaci  E.,  Sul  «  Liber  i/ storiar um  Bomanorum.  » 
Prime  ricerche.  —  A  pp.  156-167  :  Notizie  per  la  moneta  senatoria 
che  fu  coniata  in  lioma  durante  il  governo  di  messer  Brancaleone 
degli  Andato,  cioè  negli  anni  che  corsero  fra  il  1252  e  il  1257.  Con 
disegno. 

Monumenti  antichi  N.  1.  Koma  G.  F.  Gamurrini,  Della 
libbra  etrusca. 

Arte  e  Storia,  n.  31  e  33-34,  1889:  Morsolin  B.,  Lodovico 
Chiericati  (medaglia  in  suo  onore).  —  Girolamo  Gualdo  (idem). 


Les  Causeries  bi-mensuelles,  15  dicembre  1889:  Léfèbvre 
JuLES,  Origine  des  monnaies  en  France. 

Revne  archéologique,  tome  XI,  nov.-dicembro  1889.  A  pag.  422- 
23:  JDécouvertes  de  médailles  à  Apt  (Vancluse). 


BIBLIOGRAFIA  169 


La  Nouvelle  Revae,  15  dicembre  1889:  Strauss  Louis,  L'union 
latine:  La  situation  monétaire  en  Belgique. 

Magasin  pitturesque,  n."  del  31  agosto  1889:  G-uignet  Ch.  Er., 
Les  nouvelles  monnaies  della  Francia.  Con  ili. 

Bulletin  de  l'Académie  delphinale,  4'  serie,  tome  II,  1887-88 
(uscito  nel  1889):  Ciiaper,  Monnaies  frappecs  en  Dauphiné  par  fes 
Ligueurs  avec  la  date  de  1593  et  au  nom  du  CJirist-Eoi. 

L' intermódiaire  des  chercheurs  et  curieux,  25  nov.  1889  :  La 
numismatique  de  Victor  Hugo. 

Journal  des  Économistes,  dicembre,  1839:  FKANgois  Gr.,  La 
re  fonte  des  monnaies  d'or  en  Angleterre. 

Bulletin  de  la  Société  de  la  Diana,  n.°  2-3,  1889:  E.  The- 
VENET,  Bécoverte  d'xn  trésor  antique  à  Chalain  d'Isoure. 

Société  de  l'histoire  de  Paris.  Bulletin  1889:  4'  livr.  :  Proq  , 
Avis  du  corps  municipal  de  Paris  sur  la  ré  forme  monétaire  en  1313 
ou  1314. 

L'Economiste  francais,  8  febbraio  1890  :  Leroy-Beaulieu  P., 
Uor  et  Vargent  :  la  production  et  le  monnayage  des  métaux  pré- 
cieux  dans  les  trois  dernières  années. 

Revue  d'economie  politique,  nov.-dic.  1889:  Crump  A.,  Be- 
clierclies  sur  la  grande  haisse  des  prix  qui  a  coincide  avec  la  démo- 
nétisation  de  Vargent  en  Aìlemagne. 

Annales  du  Conservatoire  des  arts  et  métiers,série  2,  tome  I, 
fase.  1-3,  (Paris,  1889):  Peligot.  Sur  la  eomposifion  des  alliages 
monétaires. 

Zeitschrift  des  Vereins  fiir  lubeckische  Geschichte  und  Al- 
terthumsknnde,  XI,  1  :  Curtius  ,  Der  Miìnzfund  in  Travemiinde 
und  die  lilheckìschen  Ilohlmilnzen. 

Zeitschrift  fiir  Schul-Geographie,  Jabrg.  XI,  Heft  3:  Geld  in 
AfriJca. 

Annalen  des  Vereins  fiir  nassauische  Alterthumskunde  und 
Geschichtsforschung,  voi.  XXI,  1889  :  Isenbeck  Julius,  Das  nas- 
sauische Milnsivesen,  3.  Periodo,  1800-1866. 

Die  Gegenwart,  voi.  XXXVII,  fase.  5"  (1890)  :  Gurlitt  Cor- 
NELius ,    Geldiuerth   und    ArheitsìoJin   in  frilheren  Jahrìiunderten. 

Studien  und  Mittheilungen  aus  dem  Benedictiner  Orden\ 
anno  X,  fase.  4"  :  Sciiratz  W.,  Mllnzen  auf  den  heiligen  Wolfgang. 

Westdeutsche  Zeitschrift  fiir  Geschichte  und  Kunst,  fase.  4"* 
(1889-90)  :  Yan  AYerveke,  Fund  rómischer  Milmen  su  EttelhrilcTc. 

Die  Nation,  1889,  n.  13  :  Bamberger  L.,  Bie  Milnzpolitih  der 
CuUurstaaten  am  Ende  des  Jalires  (1889). 


170  BIBLIOGRAFIA 


Kunstchronik,  (Lipsia),  n.  12,  16  gennaio  1890,  p.  188:  Bis- 
marTc-Medaille. 

Mittheilnngen  der  bayerischen  numismatìsclien  Gesells- 
chaft,  VII  (1888).  Munchen,  Franz,  in  8°  X-113  pag.  et  10  tav. 

Sitzungsherichte  dell'I.  K.  Accademia  di  Berlino,  1890,  fase.  4-6: 
MoMMSEN,  Bericlìt  iìher  das  Corpus  nummorum. 

Jahrbuch  far  Miinchener  Geschichte ,  3  Jahrg.  :  Riggauer 
Hans,  Bine  Medaille  auf  Herz'yg  Clemens  Franz  de  Paula  von 
Baijern  àls  Bicìiter. 

Alemannia,  18  Jahrg  Heft  I  (1890)  :  Birlinger  A.,  Ein  Spruch 
snn  den  Falsch-  und  Leichetmiinzìrn. 


La  Philosophie  de  l'avenir  (Belgio),  n."  151,  1889:  Colins, 
Mannaie  (manuscrit  inédit). 

La  Pódération  artistique  (Belgio)  n."  41, 1889:  Paul  Stephen, 
Les  médailles. 

Précis  historiqae,  novembre  1889  (Bruxelles)  :  Huyge  Ch.,  Les 
métaux  précieux  chez  les  Israélites  au  dèsert. 


BuUetia   de   l' Institut  national    Genevois ,  tome   29.  (Ge- 
nove, 1889)  :  Yerchère,  Sur  les  pièces  de  cinq  francs. 


The  Indian  Antiquary,  agosto  1889  :  Fleet  ,  The  Coins  and 
Ristori/  of  Toramana.  —  Smith,  The  Bodleian  Cóllection  of  Coins. 

Journal  of  the  Asiatic  Society  of  Bengal,  Part  I,  lviii,  i  : 
Oliver,  Coins  of  the  Muhammadan  Kings  of  Gujaràt. 


NOTIZIE    VARIE 


Ripostiglio  di  Sartirana  (Lomellina).  —  Lo  scorso  No- 
vembre nel  comune  di  Sartirana  (Lomellina)  un  muratore, 
nel  praticare  uno  sterro  in  un  cortile  di  una  veccliia  casa 
di  proprietà  parrocchiale,  rinvenne  a  poca  profondità  la 
parte  inferiore  di  un  vaso  di  terra,  ove  nell'acqua  giace- 
vano circa  Kil.  4  di  monete  in  argento  avvolte  in  pezze 
di  tela  e  dall'ossido  agglomerate  in  un  sol  corpo,  che  venne 
rotto  a  colpi  di  martello,  sciupandone  cosi  una  buona  quan- 
tità. Una  metà  di  quelle  monete  fini  inesorabilmente  nel 
crogiuolo  (1)  ;  il  rimanente  venne  suddiviso  in  varii  lotti,  la 
maggior  parte  dei  quali  fu  venduta  a  Milano.  Siamo  dunque 
in  grado  di  darne  una  sommaria  descrizione,  e  lo  facciamo 
ben  volentieri,  desiderando    rettificare  le  notizie   esagerate 


(1)  A  questo  proposito  non  sapremmo  abbastanza  raccomandare  agli 
orefici  di  non  aver  troppa  fretta  nel  mettere  alla  fondita  le  monete  prove- 
nienti da  ripostigli.  Dalle  monete  di  Sartirana  avrebbero  ricavato  per  lo 
meno  il  triplo  deirintrinseco.  È  poi  anche  da  raccomandarsi  ai  pro- 
prietari, nel  caso  di  ritrovamenti^  di  non  dare  in  natura  la  metà  d'uso  ap- 
partenente all'operaio  scopritore  del  ripostiglio,  il  che  di  solito  equivale  a 
buttarle  nel  crogiolo  ;  ma  di  occuparsi  essi  stessi  della  vendita  presso 
gl'intelligenti  in  materia.  Sul  prezzo  che  ricaverebbero  dall'orefice  non  perde- 
ranno mai  e  sovente  anzi  ne  avranno  grande  vantaggio  ;  e  se  qualche  cosa 
potesse  valere  anche  quest'altro  argomento,  diremo  loro  che  si  renderanno 
sempre  benemeriti  verso  la  scienza.  Siccome  poi  queste  nostre  righe,  pel 
tramite  solo  della  Rivista^  non  perverranno  probabilmente  fino  a  chi  sono 
indirizzati,  saremo  gratissimi  a  quei  giornali  quotidiani  che  volessero  pub- 
blicarle nelle  loro  colonne,  contribuendo  così  alla  diminuzione  del  vanda- 
lismo che  pur  troppo  non  è  morto  nel  secolo  che  s'intitola  dei  lumi,  van- 
dalismo che  riesce  sempre  a  danno  anche  di  chi  n'è  autore. 


172  NOTIZIE  VARIE 


diffuse  da  alcuni  giornali  cittadini,  sulla  quantità  e  sulla  qua- 
lità delle  monete  di  questo  ripostiglio.  La  parte  dunque 
salvata  al  crogiuolo  si  compone  specialmente  di  monete  di 
Gian  Galeazzo  Visconti  e  di  Gio.  Maria  Visconti]  e  dalle 
poche  conservate  monete  di  Filippo  Maria  Visconti^  che  vi 
si  trovano,  si  può  arguire  che  il  ripostiglio  fu  nascosto 
sotto  il  ducato  di  quest'ultimo.  Eccone  ora  la  distinta 
approssimativa  : 

Avignone.  —  Urbano  Y  (1362-70)  Grosso,  variante  del  Cinagli  N.  6. 

Un  esemplare. 
Bologna.   —    Giov.  e   Giacomo   Popoli   (1317-50)   Bolognino.   Un 

esemplare. 
Casale.  —  Teodoro  II  Paleologo  (1381-1418)  Mezzo  grosso  (Promis  4). 
Due  esemplari.  —  Quarto  di  grosso  (Promis  7).  Tre  esemplari. 
Como.  —  Franchino  li  Eusca  (1408-12)  Trillina.  Uà  esemplare. 
Genova.  —  Barnaba  Guano  (1415)  Grossetto.  Quattro  esemplari. 

»    —  Tomaso  Fregoso  (1415-1421)  Grossetto.  Circa  150  esemplari. 
Milano.  —   Barnabò  Visconti   (1351-85)   Seslno    (Gnocchi   15).    Un 
esemplare. 
»    —   Giangaleazzo   Visconti   (1385-1402)   Pegione  (Guecchi  G). 
Circa  100  esemplari  con   varianti.  —   Soldo   (Gnecchi  8).  Tre 
esemplari.  —  Sesino  (Gnecchi    19).   Circa   100   esemplari  con 
varianti.  —  Denaro  (Gnecchi  22).  Circa  50  esemplari. 
»     —  Gio.  Maria  Visconti  (1402-12)  Grosso  (Gnecchi  2).  Parecchie 
centinaia.  —  Soldo   (Gnecchi  3).   Cinque   esemplari.  —  Soldo. 
(Gnecchi  6).  Tre  esemplari. 
»    —  Estere  Visconti  (1412)  Grosso.  Undici  esemplari,  con  va- 
rianti da  quelli  pubblicati.  —  Sesino^  inedito. 
>    —  Giancarlo  Visconti  (1412)  Grosso  (Gnocchi  1).  Due  esemplari. 
»    —  Giancarlo  ed  Estere  Visconti  (1412)  Grosso.  Cinque  esem- 
plari, con  varianti. 
»    —  Filippo  Maria  Visconti  (1412-47)  Grosso  (Gnecchi  13).  Due 
esemplari.  —  Grosso  (Gnecchi  27).  Due  esemplari. 
Pavia.  —  Filippo  Maria  Visconti  (1412-47)  Grosso  (Brambilla,  Ta- 
vola IX,  5).  Quattro  esemplari. 
Piacenza.  —  Giovanni  da  Vignate  (1410-13)  Grosso.  Cinque  esemplari. 
Savoia.  —  Amedeo  VI  (1343-83)  Bianco  (Promis  3).  Un  esemplare. 
Verona.  —  Gian  Galeazzo  Visconti  (1387-1402)  Grosso.  Tre  esem- 
plari. —  Sesino.  Cinque  esemplari. 


NOTIZIE  VARIE 


173 


Fra  le  monete  milanesi  del  ripostiglio  si  trovarono  di- 
verse varietà  inedite.  Ne  omettiamo  qui  la  descrizione, 
perchè  essa  verrà  compenetrata  nell'Appendice  alle  Monete 
di  Milano^  che  presto  ci  proponiamo  di  pubblicare  in  questa 
Rivista.  E.  G. 

Ripostiglio  di  Solignano  (Modena).  —  Sulle  colline 
modenesi ,  nel  territorio  di  Solignano ,  frazione  del  Co- 
mune di  Castelvetro ,  in  un  podere  prossimo  alla  vec- 
chia Chiesa  parrocchiale ,  alcuni  agricoltori  nel  dissodare 
il  terreno  per  collocarvi  un  nuovo  filare  di  olmi,  sco- 
privano alla  profondità  di  75  centimetri  un  grosso  muro 
costrutto  in  ciottoli  cementati  ,  parte  forse  delle  fonda- 
menta di  qualche  palazzotto  ivi  esistente  nel  periodo 
medioevale.  Nel  demolirlo  vi  trovarono  rinchiuso  un  pic- 
colo vaso  contenente  :  79  monete,  di  cui  78  in  argento  e  una 
in  oro,  in  massima  parte  di  zecche  italiane  ;  un  anello  a 
cerchietto  d'oro  arabescato  con  corniola  incastonata,  sulla 
quale  sono  incisi  i  busti  di  Iside  e  di  Serapide  rimiran- 
tisi  di  prospetto  ;  un  altro  anello  a  cerchietto  d' argento 
dorato  con  doppietta  simulante  uno  smeraldo  ,  e  venti- 
cinque dischetti  pure  d' argento  dorato,  con  foro  tondo 
nel  mezzo ,  adorni  di  cinque  giglietti  simulanti  corona 
marchesana. 

Tralasciando  di  parlare  delle  poche  monete  francesi  e 
tedesche^  che  componevano  il  ripostiglio  e  che  sono  co- 
munissime,  daremo  una  nota  sommaria  delle  monete  ita- 
liane^ le  quali  però  sono  tutte  pubblicate  e  conosciute. 

Bologna.  —  Anonime  papali.  Quattro  Grossi  variati.  —  Nove  car- 
lini variati. 
»    —  Giulio  li  (1503-13).  Un  giulio  col  ritratto  a  destra. 

Carmagnola.  —  Michele  Antonio   Marchese   (1504-1528).   Due  Te- 
stoni variati   e  un  Cavallotto. 

Desana.  —  Gio.  Bart.  Tizzoni  (1529-33).  Un  Testone. 

Ferrara.  —  Alfonso  I  d'Este  (1505-34).  Testone  (Bellini,  pag.  169 
191,  N.  I).  Moneta  da  soldi  5  (Bellini,  pag.  191-192,  N.  XI). 

Firenze.  —  Kepubblica  (1510-26).  Cinque  Grossi  con  stemmi  variati. 

Lucca.  —  Repubblica.  Tredici  Grossi  variati. 


174  NOTIZIE  VARIE 


Mantova.  —  Lodovico  III  Gonzaga  (1444-78).  Grosso. 
Messerano.    —    Pietro    Luca   Fieschi   (1528-32).    Due    Cavallotti 

variati. 
Pesaro.  —  Giovanni  Sforza  (1489-1500).  Tre  Grossi  variati. 
Piacenza.  —  Sede  vacante  (1523).  Grosso. 
Roma.  —  Alessandro  VI  (14921503).  Due  Giulii. 

»     —  Giulio  II  (1503-13).  Me^jso  Grosso. 
Savoia.  —  Carlo  I  Duca  (1482-90).  Quattro  Parpajoìe  variate. 
Siena.  —  Repubblica  (1500?).  Un  Mesijso  Sanese. 
Venezia.  —  Andrea  Vendramin  (1476-78).  Marcella. 

»        —  Andrea  Mocenigo  (1478-85).  Marcella. 

»        •—  Antonio  Grimani   (1521-23).  Ba  Sedici.  Due  esemplari 
variati. 

>        —  Andrea  Gritti  (1523-38).  Da  Sedici. 

Prendendo  ora  in  esame  le  monete  sopracitate,  e  con- 
siderato che  le  più  recenti  per  data  di  loro  coniazione  non 
oltrepassano  il  1530,  si  può  con  buon  fondamento  stabilire 
ch'esse  furono  sotterrate  dal  1523  al  1529,  o  per  la  guerra 
civile  che  in  quel  pei-iodo  di  sconvolgimenti  politici  funestò 
il  modenese  occupato  dalle  armi  pontifìcie  ,  o  pel  timore 
incusso  alle  popolazioni  italiane  dalle  orde  selvagge  con- 
dotte dal  Borbone  nel  1527  al  sacco  di  Roma. 

A.  Crespellani. 

Ripostiglio  di  S.  Damiano  d'Asti.  —  Avuto  notizia  del 
ritrovamento  di  monete  romane  nei  dintorni  di  Asti,  ne  ab- 
biamo chiesto  informazioni  al  M.  R.  Don  Vitaliano  Sossi  , 
Preposto  di  quella  Cattedrale  e  appassionato  raccoglitore  di 
monete  romane ,  e  ne  ebbimo  la  seguente  interessante 
lettera: 

Egregi  Signori^ 

Mi  faccio  premura  di  dar  loro  quelle  informazioni  che  deside- 
rano sul  ripostiglio  di  monete  romane  scoperto  non  è  guaii  sul  con- 
fine dei  territori  di  S.  Damiano  e  Cisterna  d'Asti. 

Nel  dissodare  il  terreno  per  piantarvi  una  vigna,  un  contadino 
battè  col  piccone  in  un'anfora,  e  vide  con  sua  grande  sorpresa  sgor- 
gare dallo  squarcio  un  torrente  di  piccole  monete  verdognole.  Estratta 
l'anfora  che  andò  a  pezzi ,  si  calcolò  che   contenesse   dai   quattro  ai 


NOTIZIE  VARIE  175 


cinque  miriagrammi  e  forse  più  di  piccole  monete  di  rame,  molte  delle 
quali  andarono  in  quel  primo  trambusto  disperse  o  furono  trafugate. 

Me  ne  furono  portate  da  diverse  persone  più  di  trecento  e  fui 
assicurato  che  tutte  le  monete  contenute  nell'anfora  sono  dello  stesso 
modulo  e  dello  stesso  metallo;  cioè  piccoli  bronzi  argentati  [antoni- 
niani)  dello  scorcio  del  III  e  del  principio  del  IV  secolo.  I  più  an- 
tichi sono  di  Gallieno  e  i  più  recenti  di  Massimiano  Ercole.  Abbon- 
dano specialmente  quelli  d'Aureliano,  di  Probo  e  Diocleziano;  poi 
vengono  in  decrescente  proporzione  quelli  di  Claudio  Gotico,  di  Ta- 
cito, di  Floriano,  di  Caro,  di  Numeriano,  di  Carino  e  di  Massimiano 
Ercole.  Ne  trovai  pure  alcuni  di  Severina  ed  uno  di  Magnia  Urbica. 
Niuno  ne  incontrai  dei  due  Tetrici,  di  Postumo  e  degli  altri  Au- 
gusti regnanti  in  quel  tempo  nelle  Gallio  ed  è  facile  intenderne  la 
ragione. 

Sono  generalmente  di  conservazione  discreta,  e,  mentre  alcuni  pezzi 
sono  profondamente  intaccati  dalla  ruggine,  altri  presentano  una  bel- 
lissima patina  verde  scura. 

Nei  trecento  da  me  acquistati  ed  esaminati  ho  trovato  due  soli 
tipi  nuovi,  cioè  non  notati  nel  Cohen  2"  ediz.  Il  primo  è  di  Claudio 
Gotico  e  presenta  nel  diritto  il  busto  radiato  e  corazzato  di  Claudio 
colla  scrìtta:  imp.  c.  clavdivs.  avg.;  nel  rovescio  il  tipo  della  Cle- 
menza di  fronte,  rivolta  a  sinistra ,  che  sta  colle  gambe  incrociate , 
appoggiata  colla  sinistra  ad  una  colonna,  e  tiene  nella  destra  uno 
scettro.  La  leggenda  intorno  è  clementia  temp.  —  L' altro  è  di 
Tacito  ed  ha  nel  diritto  il  busto  radiato  e  paludato  di  Tacito  colla 
scritta  :  imp.  c.  m.  cl.  tacitvs  ayg.  e  nel  rovescio  la  leggenda  virtvs 
AVG  .  con  un  soldato  a  destra,  che  tiene  colla  mano  destra  un'  asta 
obliqua  e  nella  sinistra  un  globo.  Nell'esergo  xxir. 

Ho  però  trovato  una  grande  quantità  di  varianti  inedite  sia  nella 
leggenda  del  diritto,  sia  nei  simboli,  nelle  lettere  e  nei  numeri  dei  ro- 
vesci, e  siccome  di  queste  varietà  io  sono  curioso  ricercatore,  ho  avuto 
la  soddisfazione  di  farne  amplissima  raccolta. 

Altri  più  competenti  di  me  potranno  pronunciare  sulla  natura 
e  suirorigine  del  ripostiglio.  Se  mi  è  lecito  proporre  una  mia  conget- 
tura, penso  essere  dalla  qualità  delle  monete  esclusa  affatto  qua- 
lunque probabilità  che  siasi  voluto  riporre  un  tesoro,  A  mio  giudizio 
l'anfora  faceva  parte  di  ciò  che  ora  diremmo  una  cassa  militare  per 
gli  stipendii  di  qualche  legione  o  meglio  coorte.  Nelle  vicende  delle 
fazioni  guerresche  e  delle  marcie  può  essere  mancato  il  mezzo  di 
trasporto,  o  può  il  nemico  aver  incalzato  così  che  Yufficiale  pagatore 
(quaestor  militaris)  fosse  costretto  ad  abbandonare  l'anfora  contenente 
gli  spiccioli  necessari  alla  paga  dei  soldati,  non  senza  però  averla 


176  NOTIZIE  VARIE 


prima  riposta  ia  uno  scavo  praticato  su  per  l'erta  di  una  di  quelle 
ripidissime  colline. 

Se  mi  giungeranno  altre  informazioni,  che  possano  essere  di 
qualche  interesse  per  loro  e  pei  lettori  della  Blvista ,  mi  farò  una 
grata  premura  di  darne  loro  contezza. 

Colla  massima  considerazione  mi  protesto 

Asti,  4  febbraio  1890.  Devot. 

A.  V.  Sossi. 

Scavi  di  Roma  durante  il  1889.  —  I  ritrovamenti  di 
oggetti  antichi,  e  specialmente  di  monete  ,  sono  divenuti 
cosi  rari,  a  causa  della  crisi  edilizia  e  della  conseguente 
sospensione  dei  lavori  murari  nella  Capitale,  che  gli  anti- 
quari ne  sono  desolati  e  dichiarano  che,  andando  avanti  di 
questo  passo,  dovranno  cambiar  mestiere. 

E  strano  che,  mentre  la  maggioranza  dei  negozianti  di 
altri  generi,  si  lagna  dell'abbondanza  di  mercanzie  e  della 
mancanza  di  compratori,  gli  antiquari  si  lamentano  invece 
del  difetto  di  merce,  per  la  quale  troverebbero  sempre  gli 
amatori  pronti  a  farne  acquisto. 

Gli  unici  lavori  che  proseguono  sono  quelli  fatti  dal 
Governo  o  per  conto  di  esso,  come  la  sistemazione  del  Te- 
vere, i  nuovi  ponti,  il  Policlinico  ed  il  Palazzo  di  Giustizia  ; 
ma  pochi  sono  gli  oggetti  che,  rinvenuti  su  questi  lavori, 
possano  sfuggire  alla  sorveglianza  che  vi  è  esercitata  dal 
Governo  o  dal  Municipio.  Inoltre  gli  oggetti  rinvenuti  nel 
Tevere  non  hanno  gran  pregio  agli  occhi  di  molti  amatori, 
specialmente  stranieri,  perchè  mancanti  generalmente  di 
patina  o  perchè  corrosi  e  danneggiati  dalle  acque. 

Fra  le  monete,  il  pezzo  più  importante  che  sia  uscito 
di  recente  dal  fiume,  è  un  bronzo  di  mezzana  grandezza 
che  ha  nel  diritto  le  teste  affrontate  di  Treboniano  Gallo 
e  di  Yolusiano.  E  una  moneta  addirittura  nuova  e  non 
priva  di  interesse. 

Nei  quartieri  alti,  non  ho  potuto  sapere  con  certezza 
se  al  Policlinico  od  a  villa  Ludovisi,  l'unica  moneta  impor- 
tante trovata  in  questi  giorni,  è  un  gran  bronzo  di  Manlia 
Scantina^  di  mediocre  conservazione,  che   è    stata   venduta 


NOTIZIE  VARIE  177 


ad  un  collettore  per  un  prezzo  quasi  doppio  di  quello  se- 
gnato dal  Cohen.  Un  altro  gran  bronzo,  trovato  non  so  dove, 
appartiene  a  Traiano  ed  ha  nel  rovescio  la  colonna  dedi- 
cata in  Roma  a  quell'imperatore  ;  è  bellissimo  per  arte,  per 
conservazione  e  per  patina. 

In  questi  ultimi  mesi  sono  poi  pervenuti  in  mano  di 
negozianti  parecchi  medaglioni,  i  quali  però  non  sono  di 
recente  ritrovamento,  ma  provengono  da  un  privato  racco- 
glitore di  antichità  che  li  ha  acquistati  in  gran  parte  a 
Tivoli. 

Di  medaglioni  ne  vennero  fuori  anche  in  Roma  quattro 
0  cinque  verso  la  fine  dell'estate  scorsa,  e  fra  questi  ve  ne 
è  uno  inedito  di  Faustina  madre,  il  quale  ha  nel  rovescio 
lo  stesso  rogo  che  si  vede  su  alcune  monete  di  quella  im- 
peratrice. Un  altro  è  contorniato  ed  appartiene  a  Marco 
Aurelio;  è  bellissimo  per  conservazione  e  per  patina. 

Da  Siena  fu  portato  al  Cav.  Vitalini  un  esemplare 
dell'asse  libbrale  della  rarissima  serie  etrusca  che  ha  per 
tipi  nel  diritto  la  testa  di  Flamine  col  pileo  acuminato  e 
nel  rovescio  una  scure  ed  un  coltello,  strumenti  sacerdotali, 
nonché  un  globetto  ,  una  mezza  luna  ed  il  solito  segno 
dell'asse.  Il  Garrucci  nella  sua  opera  :  Le  monete  primi- 
tive deW Italia  antica  (pag.  28,  tav.  LIV) ,  dopo  avere  esa- 
minato i  vari  ritrovamenti  delle  monete  appartenenti  a 
tali  serie,  ed  avere  dibattuto  le  opinioni  di  altri  numisma- 
tici intorno  alla  città  cui  essa  spetterebbe,  conclude  col 
dire  che  ìion  si  debba  attribuire  ad  una  speciale  città,  ma 
sia  piuttosto  stata  emessa  a  nome  comune  della  nazione. 

Se  ciò  fosse ,  questa  serie  dovrebbe  essere  assai  più 
comune,  mentre  nel  fatto  è  la  più  rara  fra  quelle  etrusche. 
L' attuale  ritrovamento  confermerebbe  piuttosto  l' ipotesi 
espressa  dai  P.  Marchi  e  Tessieri  {U  aes  grave  del  Museo 
Kircheriano,  pag.  92)  che  tale  serie  appartenga  a  Siena. 

L'unico  esemplare  dell'asse  di  questa  serie  finora  cono- 
sciuto trovasi  nel  Museo  Kircheriano  di  Roma,  ed  in  origine 
apparteneva  alla  collezione  Coltellini  di  Cortona. 

Il  Bilancio  delle  monete  di  ogni  serie  rinvenute  dal 
Municipio  negli  scavi  di  Roma,  durante  l'intero  anno  1889, 

23 


178  NOTIZIE  VARIE 


è  piuttosto  magro  ;   sono  in  tutte  773    monete  ,  di    cui  110 
d'argento,  197  di  mistura  e  466  di  bronzo. 

Bontà,  20  Fébhrajo  1890.  P.  Stettiner. 

Falsificazioni  moderne.  —  Quantunque  la  nuova  fal- 
sificazione comparsa  in  Milano  sia  grossolana  e  tale  da  in- 
gannare solamente  gli  inesperti,  pure  crediamo  utile  segna- 
larla, perchè  anche  questi  ultimi  non  cadano  nell'agguato 
di  disonesti  speculatori,  tanto  più  che  si  tratta  di  moneta 
rara.  Essa  è  un  Testone  di  Carlo  V  per  Milano  e  precisa- 
mente la  varietà  pubblicata  nell'Opera  dei  Fratelli  Gnecchi 
al  N.  14.  Eccone  la  descrizione  : 

ÌB'  —  (Testina  di  S.  Ambrogio)  CÀROLVS  •  RO  •  IMPERÀTOR 

Stemma  di  Carlo  V  coli' Aquila  bicipite  coronata. 
5I  —  (Croce)  SÀNCTVS  ÀMBROSIVS. 

Il  Santo  a  cavallo    galoppante   a    destra,    collo    staffile 
alzato.  Sotto  il  cavallo  M  gotica  coronata. 

Il  disegno  di  questa  moneta  è  riportato  alla  Tav.  CLYI, 
n.  4  dell'Heiss. 

La  moneta  è  fusa  in  buon  argento,  ma  fortunatamente 
la  fusione  è  mal  riuscita,  e  il  contorno  porta  recenti  traccio 
della  lima.  Il  fondo  è  rinettato  col  bulino,  ma  anche  questa 
operazione  è  fatta  grossolanamente.  In  conclusione  la  fal- 
sificazione è  destinata  a'  novizi  della  scienza  numismatica. 

Dono  al  R.  Gabinetto  di  Brera.  —  Il  sig.  Enrico  Osnago, 
avendo  acquistato  i  due  esemplari  del  grosso  di  Giancarlo 
Visconti  per  Milano ,  provenienti  dal  ripostiglio  di  Sarti- 
rana  ,  sopra  accennato ,  ne  donò  uno  al  E».  Gabinetto  di 
Brera.  Segnaliamo  con  piacere  il  generoso  dono ,  nella 
fiducia  ch'esso  invogli  altri  ad  imitarne  l'esempio.  Di  questa 
moneta  non  si  conoscevano  che  tre  esemplari  ;  ora  sono 
dunque  cinque,  e  tutti  si  trovano  in  collezioni  di    Milano. 

Vendita  Miari.  _  Nei  giorni  24,  26,  26,  27  e  28  dello 
scorso  febbraio  ebbe  luogo  a  Milano  la  vendita  al  pubblico 
incanto    della   Collezione   numismatica   del   Conte   Fulda 


NOTIZIE  VARIE 


179 


Miari  di  Venezia.  —  Questo  si  componeva  per  la  maggior 
parte  di  Monete  Venete ,  fra  non  poclie  rarità.  —  A  titolo 
di  curiosità  diamo  qui  la  distinta  dei  pezzi  principali  coi 
prezzi  a'  quali  furono  aggiudicati  : 

N.      1.  Lodovico  Pio.  Denaro  con  venecias  moneta 
»      2.  Corrado  II.  Denaro. 

>  33.  Marino  Zorzi.  Zecchino    . 
»    66.  Michele  Morosini.  Zecchino 
»  105.  Nicolò  Marcello.  Zecchino 
»  108.  Pietro  Mocenigo.  Zecchino 
»  127.  Leonardo  Loredan.  Mezso  zecchino  . 
»  165.  Francesco  Dona.  Scudo  d'oro  . 
»  225.  Nicolò  da  Ponte.  Giustino  maggiore 
»  236.  Pasquali  Cicogaa.  Quarto  di  zecchino 
»  276.  Giovanni  Bembo.  Zecchino 
»  286.  Antono  Priuli.  Scudo  d'oro 
»  296.  Francesco  Contariui.  Doppia    . 
»  301.  Giovanni  I  Cornerò.  Doppia    . 
»  307.  Nicolò  Contarini.  Quarto  di  ^secchino 

>  313.  Francesco  Erizzo.  Quarto  di  zecchino 
»  314.  »  Doppio 
»  329.  Francesco  Molin.  Quarto  di  zecchino 
»  351.  Giovanni  Pesaro.  Quarto  di  zecchino 
»  357.  Domenico  Contarini.  Mezzo  zecchino 
»  382.  Alvise  Contarini.  Mezzo  zecchino  . 
»  438.  Giovanni  II  Carner.  Scudo  d'oro     . 

Il  totale  della  vendita  comprese  le  monete  romane 
e  greche  raggiunse  L.  15.54S. 

Zecca  di  Milano.  —  Nello  scorso  febbraio  il  Ministro 
dei  Tesoro  pubblicava  il  seguente  avviso  : 

a  Si  rende  noto  cbe  col  giorno  3  del  prossimo  venturo 
mese  di  marzo  verrà  aperto  presso  la  Direzione  della  Zecca 
di  Milano  apposito  Ufficio  di  cambio  per  V  acquisto  delle 
materie  preziose  foro  e  dorati). 

u  Presso  r  Ufficio  medesimo  si  possono  avere  le  notizie 
relative  ai  prezzi  ed  alle  altre  modalità  delle  operazioni  di 
cambio,  n 


ETÀ  L. 

105 

» 

63 

» 

340 

» 

105 

» 

185 

» 

145 

» 

150 

» 

88 

» 

130 

» 

87 

» 

65 

» 

210 

» 

81 

» 

90 

» 

90 

» 

53 

» 

260 

» 

48 

» 

85 

» 

60 

» 

150 

» 

100 

180  NOTIZIE  VARIE 


Società  Numismatica  Svizzera.  —  Nell'Assemblea  gene- 
rale della  Società  numismatica  svizzera ,  tenutasi  ai  22 
settembre  1889  in  Berna  venne  eletto  a  Presidente  della 
medesima  il  dott.  Eugenio  Demole  ^  il  noto  numismatico 
ginevrino,  al  quale  venne  pure  deferita  la  redazione  del 
Bidletin  de  la  Société  Suisse  de  Nwnismatique  che  fino  ad 
oggi  si  stampava  in  Basilea. 


Finito  di  stampare  il  15  Marzo  1890. 
Lodovico  Felice  Cogliati,  Gerente  responsabile. 


FASCICOLO  IL 


APPUNTI 


DI 


NUMISMATICA  ROMANA 


X. 

ALCUNE  OSSERVAZIONI 

SULLE    MONETE 

DI    SANT' ELENA    E    DI    FAUSTA. 


Il  ripostiglio  di  monete  romane  scoperto  in 
Egitto  nel  1888,  e  che  già  diede  materia  a  due  di 
questi  Appunti  (N.  II  e  Vili),  ne  offre  ancora  oggi 
a  un  terzo  con  alcuni  piccoli  bronzi  d'  Elena  e  di 
Fausta  che  vi  si  trovavano,  e  che  ora  solamente  ho 
potuto  avere.  Molto  s'  è  già  discusso  intorno  all'  at- 
tribuzione delle  monete  di  queste  due  Auguste  ne 
io  rifarò  qui  la  storia  delle  tre  Elene  (l)  e  delie  due 


(1)  Elena  I  (Sant'EIena),  prima  moglie  di  Costanzo  Cloro,  e  madre  di 
Costantino  Magno.  Elena  II,  moglie  di  Crispo.  Elena  m,  moglie  di  Giu- 
liano II. 


1Ò4  FRANCESCO  GNECCHI 


Fauste  (i) ,  che  per  molto  tempo  se  ne  disputarono 
la  proprietà. 

La  questione,  lasciata  incerta  o  non  bene  risolta 
da  Eckliel,  venne  definita  in  modo  assai  plausibile 
dal  barone  Marchant  ^^),  confermata  da  Lenormant  (^), 
e  accettata  definitivamente  da  Cohen,  e  credo  da 
tutti  gli  altri  numismatici,  i  quali  si  accordano  nella 
attribuzione  di  tutte  le  monete  col  nome  di  Elena, 
a  Sant'  Elena,  prima  moglie  di  Costanzo  Cloro  e 
madre  di  Costantino,  e  di  quelle  portanti  il  nome 
di  Fausta  alla  seconda  moglie  di  Costantino  Magno. 

Alcuni  fra  i  piccoli  bronzi  venuti  in  luce  pos- 
sono dar  luogo  a  dire  ancora  qualche  parola,  non 
già  in  contraddizione  bensì  in  piena  conferma  di 
tale  attribuzione,  in  aggiunta  a  quanto  i  due  illustri 
numismatici  ne  hanno  dettò,  come  pure  a  rettificare 
alcune  delle  descrizioni  di  Cohen,  e  finalmente  a  fare 
qualche  considerazione  generale  sulle  monete  delle 
due  Auguste  e  a  stabilirne  i  veri  tipi  purgati  dai 
prodotti  dell'ibridismo. 

Incomincio  dalla  descrizione  di  queste  nuove 
monete  provenienti  dal  citato  ripostiglio  d'Egitto,  a 
cai  ne  aggiungo  anche  qualche  altra  pervenuta  da 
altra  parte  alla  mia  collezione  W,  perchè  pure  va- 
riante, e  interessante  l'argomento. 


(1)  Fausta  T,  figlia  dì  Massimiano  Ercole  o  seconda  moglie  di  Costan- 
tino Magno.  Fausta  II,  supposta  mos^lio  di  Costanzo  IL 

(2)  Mélange^  de  Numismatiqiie  et  d'Hlstoire.  Lettera  XVIL 

(3)  Retile  Numisniatiqiie ,  1843  :  Médailles  de  Sainte  HeUne  mh'e  de 
Constantin  le  Grand  et  de  Fausta  femme  de  cet  empsreur. 

(4)  Non  appartengono  al  ripostiglio  d'Egitto  i  N.  7,  8,  12,  13,  14,  15, 
16,  17,  18  e  19. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  185 

ELENA. 

(prima  moglie  di  Costanzo  Cloro  e  madre  di  Costantino  Magno). 

1.  Piccolo  Bronzo.  —  I>opo  Cohen  6. 
/B'  —  FL  HELENÀ  AVCrVSTÀ 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
5/    —  SÀLVS  REIPVBLICAE 

Fausta  (1)  di  fronte  rivolta  a  sinistra  con  due  bambini 
(Costantino  II  e  Costanzo  II)   in  braccio.  All'esergo 

SMÀLA 

(Tav.  IV,  N.  1). 

2.  Piccolo  Bronzo.  —  Variante  Cohen  7. 
^  —  PL  HELENÀ  kWOyST^ 

Busto  diademato  a  destra. 
9I    —  SECVRITÀS  REIPVBLICE  (2) 


(1)  Vedremo  in  seguito  il  perchè  di  tale  interpretazione. 

(2)  Una  curiosa  anomalia  ortografica  si  verifica  nelle  monete  d'Elena, 
in  cui  il  genitivo  femminile  ora  è  scritto  col  dittongo,  ora  senza.  Da  qualche 
numismatico,  e  fra  questi  anche  da  Eckhel,  fu  annessa  a  mio  parere  soverchia 
importanza  a  tale  anomalia,  tanto  da  farne  anzi  un  argomento  per  attri- 
buire le  moneto  piuttosto  a  Elena  di  Giuliano  che  a  Elena  madre  di  Co- 
stantino. Anche  senza  considerare  però  che  di  simili  genitivi  abbiamo  altri 
esempi  in  monete  d'  epoca  intermedia  fra  Costantino  e  Giuliano  II ,  per 
esempio  in  alcune  di  Costanzo  II  0  di  Magnenzio  e  anche  in  monumenti 
epigrafici  —  numismatici  non  so  —  fino  dal  tempo  di  Probo,  ormai  1'  at- 
tribuzione delle  monete  d'Elena  è  così  sicuramente  per  altro  ragioni  stabi- 
lita, che  non  può  esser  mossa  in  dubbio  da  tale  piccola  variante  ortografica, 
la  quale  si  devo  necessariamente  ritenere  per  possibile  all'epoca  di  Costan- 
tino, come  è  ammesso  che  lo  fosse  pochi  anni  dopo  e  forse  anche  alcuni 
anni  prima.  Se  poi  si  considera  che  l'anomalia  si  ripete  colla  massima  rego- 
larità a  seconda  delle  leggende,  e  che  cioè  abbiamo  costantemente  e  senza 
alcuna  eccezione  :  salvs  PwEIpvblicae  e  spes  reipvblicae  ,  0  invece  :  se- 
cvRiTAs  REIPVBLICE,  io  Crederei  di  non  appormi  male  ritenendo  che  una 
semplice  legge  di  economia  epigrafica  abbia  deciso  dell'  adozione  dell'  uno 
0  dell'altro  genitivo.  Dal  momento  che  l' uno  e  1'  altro  erano  nell'aso,  il 
dittongo  si  omise  unicamente  col  secvritas,  quando  cioè  la  parola  antece- 
dente era  più  lunga ,  onde  meglio  distribuire  la  leggenda.  Comunque  sia , 
è  necessario  ammettere  che  il  genitivo  senza  dittongo  era  adoperato  al 
tempo  di  Costantino  0  per  lo  meno  dall'  anno  325  in  cui  viene  collocata 
l'emissione  delle  monete  d'Elena. 


186  FRANCESCO  GNECCHI 


Elena  a  sinistra.  Tiene  un  ramo  d'alloro  (o  di  ulivo)  (1) 
abbassato  colla  destra  ,  mentre  colla  sinistra  si  so- 
stiene la  veste.  AU'esergo  PSIS  e  Lunula. 

3.  Simile.  AU'esergo  €SIS  e  Lunula, 

4.  Simile.  AU'esergo  NS  e  Lunula. 

5.  Simile.  AU'esergo  Q  Palma  T 

6.  Simile.  AU'esergo  SMHA 

7.  Simile.  AU'esergo  T  Lunula  S 

8.  Simile.  Nel  campo  A.  AU'esergo  CONS 

(Tay.  IV,  N.  4). 

9.  Simile.  Nel  campo  Coroìia  e  A.  AU'esergo  SMAL 

(Tav.  IV,  N.  5). 

10.  Simile.  Nel  campo  Corona  e  B.  AU'esergo  SMAL 

(Tav.  IV,  N.  6). 

11.  Simile.  Nel  campo  Corona  e  ||.  AU'esergo  SMAL 

12.  Piccolo  Bronzo.  —  Dopo  Cohon  7. 
^^  —  FL  HELENA  AVGVSTA 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
9/    —  SPES  REIPVBLICAE 

Fausta  di  fronte  rivolta  a  sinistra  coi  due  bambini  in 
collo,  come  al  N.  1.  AU'esergo  SMALA 

(Tav.  IV,  N.  2). 

13.  Piccolo  Bronzo.  —  I>opo  Cuhcn  7. 
/B'  —  FL  HELENA  AVG-VSTA 

Busto  diademato  a  destra. 
9/    —  SPES  REIPVBLICAE 

Elena  a  sinistra.  Tiene  un  ramo  d'ulivo  (0  d'alloro?) 
abbassato  colla  destra ,  mentre  colla  sinistra  si  so- 
stiene la  veste.  AU'esergo  SMKA 

(Tav.  IV,  N.  3). 


(1)  H  ramo  che  tiene  Elona,  chi  lo  vorrebbe  d'ulivo  e  chi  d'alloro,  e 
tutti  e  due  questi  emblemi  potrebbero  avere  il  loro  giusto  significato  nella 
mano  d'una  Augusta,  in  cui  onoro  fu  battuta  la  moneta.  Ma  il  determi- 
nare quale  dei  tre  precisamente  sia  è  assai  difficile  colla  semplice  ispe- 
zione delle  monete,  in  tempi  nei  quali  1'  arte  è  così  bassa  e  le  monete  di 
bronzo  sono  fabbricate  con  si  poca  cura,  che  non  è  già  molto  facile  rac- 
certarsi delle  fisionomie. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA    ROMANA  187 

FAUSTA. 

(moglie  di  Costantino  Magno). 

14.  Piccolo  Broìizo,  —  Variante  di  Cohen  7. 
B"  —  FLAV  MAX  FÀVSTÀ  AVG 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
9I    —  SÀLVS  REIPVBLICÀE 

Fausta  velata,  di  fronte  rivolta  a  sinistra  coi  due  figli 

Costantino  II  e  Costanzo  II  in  braccio.  All'esergo  Q 

Astro  AR 

(Tav.  IV,  N.  9). 

15.  Simile.  All'esergo  STR  Lunula  con  un  punto, 

16.  Simile.  All'esergo  CONS.  Nel  campo  A 

(Tav.  IV,  N.  11). 

17.  Piccolo  Bronzo.  —  Variante  di  Cohen  12. 
^  —  FLAV  MAX  FAVSTA  AVG- 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
?1    —  SPES  REIPVBLICÀE 

Fausta  coi  figli  come  nei  precedenti.  All'esergo  SMANTA 

18.  Piccolo  Bro7izo,   —  Dopo  Cohen  13. 
ÌB'  —  FLAV  MAX  FAVSTA  AVG 

Busto  diademato  a  destra    (acconciatura   di  Elena)    or- 
nato d'una  ricca  collana. 
9I    —  SPES  REIPVBLICÀE 

Fausta  coi  figli  come  nei  numeri  prec.  All'esergo  SMTSA 

(Tav.  IV,  N.  12). 

19.  Piccolo  Bronzo.  —  Variante  di  Cohen  15. 
^  —  FLAV  MAX  FAVSTA  AVG- 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
'^    —  SPES  REIPVBLICÀE 

Fausta    come    nei    numeri    precedenti ,  ma    rivolta    di 
fronte  (1).  All'esergo  Q  A  Lunula  RL 

(Tav.  IV,  N.  10). 


(1)  Un  simile  piccolo  Bronzo  con  Fausta  al  rovescio  rivolta  di  fronte 
è  descritto  nella  prima  Edizione  di  Cohen,  (]S[.  15)  ma,  non  so  perchè,  venne 
omesso  nella  seconda. 


188  FRANCESCO   GNECCHI 


20.  Piccolo  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  16. 
^  —  FAVSTÀ  N  F 

Busto  a  destra  coi  capelli  ondati. 
9*    —  Anepigrafe. 
Astro  in  mezzo  a  una  corona.  All'esergo  TSÀ 
♦  (Tav.  ly,  N.  8). 

Dei  piccoli  bronzi  descritti,  quelli  d'Elena  col 
rovescio  SECVRITÀS  REIPVBLICE  e  quelli  di  Fausta  coi 
due  rovesci  SÀLVS  e  SPES  REIPVBLICAE  non  sono  che 
varianti  di  quelli  dati  da  Cohen.  Mentre  però  le 
nuove  varietà  di  esergo  e  di  lettere  nel  campo  W 
aumentano  il  numero  già  sorprendente  di  città  e 
di  officine  monetarie  che  batterono  moneta  al  nome 
di  queste  due  Auguste ,  la  corona  che  appare  nel 
campo  di  due  monete  d' Elena  riesce  una  nuova 
conferma  dell'  epoca  in  cui  le  monete  furono  bat- 
tute, rappresentando  appunto  l'epoca  di  Costantino, 
non  quella  di  Giuliano. 

Il  piccolo  bronzo  di  Fausta  Wohilissima  femina^  col- 
l'indicazione  dell'officina  all'esergo,  l'ho  riprodotto  per 
fare  riscontro  a  quello  simile  d'Elena  (Cohen,  tav.  XV, 
num.  8).  Il  Marchant,  che  appoggia  il  suo  ragiona- 
mento per  provare  la  contemporaneità  delle  monete  di 
Elena  e  di  Fausta  specialmente  sull'identità  delle  due 
monete  battute  al  nome  delle  due  nobilissime  donne 


(1)  Lo  duo  Ietterò  A  o  B  uol  campo  dello  monete  d'Elena  (N.  4,  5  e  6,  e 
che  sono,  mi  pare,  le  indicazioni  delle  officine  1*  di  Costantinopoli  e  1*  e  2*  dì 
Alessandria  portato  nel  campo  invece  elio  airesorgo)  non  sono  che  in  au- 
mento a  quelle  già  conosciute.  Per  le  monete  di  Fausta  (N.  11)  invece  è 
l'unico  esempio  di  tale  trasporto  finora  conosciuto,  indicante  pure  la  prim^ 
officina  di  Costantinopoli. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA   ROMANA  189 

non  ancora  elevate  al  grado  d'Auguste  (i),  conosce 
già  questo  bronzo  nelle  due  varietà  con  o  senza 
esergo ,  sia  per  Elena  come  per  Fausta ,  e  lo  co- 
nosce p'ure  il  Lenormant  ;  ma  il  Cohen,  di  Fausta 
non  pubblica  che  l'esemplare  senza  esergo  e  del 
simile  bronzo  d'Elena  segna  come  variante  uno  con 
TSA,  ciò  che  indicherebbe  la  quarta  officina  di  Tes- 
salonica.  —  Credo  all'esattezza  di  Marchant,  il  quale 
dà  l'esergo  TSA,  e  riproduce  anche  la  moneta  nell'ac- 
curatissima tavola,  che  accompagna  la  sua  memoria, 
e  vi  credo  tanto  più  che  la  moneta  coU'esergo  TSA 
ha  il  suo  perfetto  riscontro  nella  identica  moneta  di 
Fausta;  ma  mi  permetto  di  dubitare  dell'esergo  che 
Cohen  riporta  da  Taninl,  e  che  mi  pare  meriti  d'es- 
sere verificato. 

Le  monete  più  interessanti ,  che  richiama- 
rono la  mia  attenzione  sull'  argomento,  e  che  per 
conseguenza  fornirono  occasione  anche  alla  pubbli- 
cazione delle  altre  a  complemento  ,  sono  le  tre  di 
Elena  colle  leggende  SALVS  e  SPES  REIPVBLICAE  (N.  1, 
2  e  3).  Mentre  costituiscono  tre  tipi  nuovi  per 
Elena,  una  delle  rappresentazioni  e  le  due  leg- 
gende sono  conosciutissime  per  Fausta ,  e  per  di 
più,  due  di  queste  monete  (N.  1  e  2)  hanno  comune 
con  Fausta  l'acconciatura  dei  capelli.  Furono  preci- 
samente questi  punti  di  contatto ,  questa  estrema 
somiglianza  o  dirò  addirittura  questa  identità  di  par- 
ticolari che  mi  fecero  pensare  ad  una  comunanza 
e  forse  ad  una  confusione  probabilmente  avvenuta 


(1)  Questi  bronzi  col  tipo  della  Stella  e  anteriori  aU'olevaz'ono  di  Elena 
0  Fausta  al  grado  d'Auguste  furono  assai  probabilmente  battute  noli'  anno 
307,  in  occasione  dello  feste  pel  matrimonio  di  Fausta. 

?5 


190  FRANCESCO   GNECCHI 


durante  la  coniazione  di  queste  monete  e  mi  porta- 
rono ai  confronti  e  alle  osservazioni  che  andrò  espo- 
nendo, dopo  d'avere  sgombrato  il  terreno  di  alcune 
inesattezze  sfuggite  al  Cohen  nelle  sue  descrizioni, 
e  d'alcuni  errori  d' interpretazione  delle  figure  rap- 
presentate sul  rovescio  di  due  piccoli  bronzi  da  lui 
descritti. 

Seguendo  il  Eamus  0)  e  senza  assicurarsi  de  visti, 
il  Cohen  descrisse  al  suo  N.  5  come  piccolo  bronzo, 
la  seguente  moneta: 

^^  —  FL  •  IVL  •  HELENÀE  AVO  • 

Busto  diademato  a  destra. 
^   —  PIETAS  ROMANA 

La  Pietà  di   fronte  rivolta  a  destra   con    due   bambini 
in  braccio. 

La  descrizione  non  mi  parve  poter  essere  esatta 
e,  appartenendo  la  moneta  al  Museo  di  Danimarca, 
ne  chiesi  un'  impronta  al  Ch.  prof  L.  Muller  diret- 
tore del  Museo  di  Copenaghen,  il  quale  gentilmente 
me  la  trasmise  e  la  riproduco  al  N.  16  della  Tavola. 
Da  essa  appare  in  primo  luogo  che  non  si  tratta  di 
un  piccolo  bronzo,  bensì  di  un  quinario  battuto  sul 
tipo  degli  altri  quinari  d' Elena  col  rovescio  PAX 
PVBLICA  (2) ,  di  tipo    perfettamente    identico   nel    ro- 


(1)  Catalogus  nutnorum  veterum  musei  regis  Danitre,  Hafiiiao  1816. 
Pars  II,  Voi.  I,  pag.  210,  N.  7. 

(2)  E  tutti  questi  Quinari  io  li  ritengo  postumi,  corno  li  ritiene  il 
Marchant.  In  primo  luogo  per  la  leggenda  al  dativo,  quale  la  troviamo 
usata  in  tutto  lo  moneto  di  Consacrazione  o  di  semplice  Memoria',  in  se- 
condo luogo  perchè  Testroma  somiglianza  di  tipo  fra  i  quinari  di  Elena  e 
di  Teodora,  e  la  replica  del  rovescio  piktas  romana,  (sia  poi  avvenuta  re- 


APPUNTI   DI   NUMISMATICA   ROMANA  191 

vescio  a  quelli  di  Teodora  con  PIETAS  ROMÀNA  (i) , 
e  forse  anche  ad  uno  di  Fausta  colla  medesima  leg- 
genda PAX  PVBLICA  molto  incompletamente  descritto 
nella  2*  edizione  del  Cohen  (Fausta  N.  2).  Ne  ho  ri- 
prodotto alla  tavola  alcuni  d'Elena  (N.  13,  14,  15)  e  di 
Teodora  (N.  18  e  19)  come  termini  di  confronto.  — 
In  secondo  luogo  poi,  per  quanto  la  moneta  si  trovi 
in  uno  stato  deplorevolissimo  di  conservazione,  si 
può  vedere  abbastanza  chiaramente  che  la  figura 
femminile  al  rovescio  tiene ,  come  nei  quinari  di 
Teodora ,  un  solo  bambino  in  luogo  di  due  e  può 
quindi  intendersi  (se  pure  la  moneta  non  è  ibrida) 
per  Elena  stessa  col  figlio  Costantino,  mentre  coi 
due  bambini  non  avrebbe  significato.  Tale  rappre- 
sentazione resta  controllata  e  confermata  dall'  altro 
esemplare  assai  migliore  riprodotto  al  N.  17  della 
Tavola.  È  un  esemplare  appartenente  alla  Colle- 
zione del  Signor  Alfonso  de   Scholdt   di  Bruxelles  , 


golarmente  o  irregolarmento,  al  nostro  caso  fa  Io  stesso)  sopra  alcuni  qui- 
nari d'Elena,  mi  fanno  ritenere  assai  probabile  che  tutti,  sia  dell'una  che  del- 
l'altra Angusta,  siano  il  prodotto  di  una  medesima  emissione.  Ora,  siccome 
Teodora  mori  vent'anni  prima  che  ad  Elena  fosso  conferito  il  titolo  d' Au- 
gusta, data  l'accennata  contemporaneità,  le  dette  monete,  essendo  necessa- 
riamente postume  per  Teodora,  doTevano  esser  tali  anche  per  E  lena,  non 
essendo  ammissibile  che  si  coniassero  eguali  monete  per  un'  Augusta  vi- 
vente e  una  morta.  L'epoca  probabile  della  coniazione  di  tali  quinari  mi 
pare  possa  accettarsi  quale  l'accenna  il  Marchant,  ovvero  nel  335.  (Lett. 
cit,  pag.  22). 

(1)  Giacché  mi  si  presenta  l'occasione,  conviene  qui  accennare  un'altra 
inesattezza  che  trovo  nel  Cohen  a  proposito  del  Quinario  comune  di  Teo- 
dora. Quante  ne  appajono  di  inesattezze,  allorché  le  cose  si  guardano  un 
po'  da  vicino  !  —  La  moneta  è  descritta,  quale  è  infatti,  col  rovescio  pietas 
ROMANA.  Ebbene  l'incisione  dà  pietas  reipvblicae,  né  saprei  dove  l'inci- 
sore ha  proso  questa  strana  leggenda.  Non  occorre  poi  dire  che  l'errore  fu 
religiosamente  mantenuto  nella  seconda  edizione,  dove  salta  all'occhio  an- 
cora più  evidentemente,  per  essere  il  disegno  intercalato  nel  testo. 


192  FRANCESCO  GNECCHl 


il  quale ,  sapendo  che  mi  stavo  occupando  delle 
monete  d' Elena  e  di  Fausta ,  me  ne  favori  gen- 
tilmente un'impronta.  —  L'esemplare  è  molto  meglio 
conservato  di  quello  del  Museo  danese,  e  vi  si  legge 
chiaramente  anche  l'esergo  TRP.  La  moneta  descritta 
al  N.  5  di  Cohen  va  dunque  cosi  rettificata: 

Quinario  di  Bronzo.  (Museo  di  Danimarca), 
^^  —  FL  IVL  HELENÀE  AVG 
Busto  diademato  a  destra. 
9/    —  PIETAS  ROMÀNA 

Elena   di  fronte  rivolta  a  destra    col  figlio  Costantino 
in  collo. 

Il  Cohen,  accettando  V  inesatta  descrizione  del 
Ramus ,  interpretò  la  figura  del  rovescio  per  la 
personificazione  della  Pietà;  ma,  se  a  primo  aspetto 
una  donna  che  stringe  al  petto  due  bambini  parrebbe 
con  molta  verosimiglianza  prestarsi  a  tale  interpre- 
tazione ,  conviene  osservare  come  la  Pietà  sulle 
monete  romane  sia  sempre  in  ben  altri  modi  rappre- 
sentata ,  e  come  i  tipi  siano  generalmente  man- 
tenuti. Il  tipo  accennato  assomiglierebbe  piuttosto 
a  quello  raffigurante  la  Fecondità.  Ma ,  ammet- 
tendolo pure  per  la  Pietà ,  giacche  accompagnato 
dalla  leggenda  PIETAS ,  come  giustificheremo  questo 
medesimo  tipo  ripetuto  nei  due  nuovi  bronzi  colle 
leggende  SALVS  e  SPES?  Non  potremo  certo  am- 
mettere che  la  medesima  figura  sia  stata  adoperata 
a  personificare  successivamente  la  Pietà,  la  Salute  e 
la  Speranza,  queste  ultime  due  poi  con  assai  meno 
verosimiglianza  che  la  prima;  e  dovremo  conchiu- 
dere che  la  figura  non  è  la  personificazione  par- 
ticolare d'una  deità  astratta. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  193 

Il  medesimo  ragionamento  dovremmo  ripetere 
per  r  altro  bronzo  colla  leggenda  SECVRITÀS,  la  cui 
figura  Cohen  interpreta  dubitativamente  per  Elena 
o  per  la  Sicurezza,  mentre  questa  seconda  interpreta- 
zione non  è  per  nulla  giustificata  dal  tipo.  Il  piccolo 
bronzo  d' Elena  ci  offre  una  figura  femminile  che 
tiene  un  ramo  ;  ma  ognuno  sa  come  la  Sicurezza 
sia  sempre  ben  altrimenti  rappresentata.  L'  appari- 
zione del  nuovo  bronzo  colla  medesima  figura  e  la 
leggenda  SPES  rinforza  1'  argomentazione  e  ci  per- 
suade ancora  una  volta  che  il  tipo  non  è  la  perso- 
nificazione della  deità  annunciata  nella  leggenda. 
Date  dunque  le  leggende  SECVRITÀS,  SÀLVS  e  SPES 
REIPVBLICAE  non  rispondenti  oggettivamente  ai  tipi 
rispettivi,  cosi  nelle  monete  d'Elena  come  in  quelle  di 
Fausta,  parrebbe  ovvia  e  naturale  la  seguente  inter- 
pretazione. La  SECVRITÀS  della  Repubblica,  ossia  del- 
l'Impero, era  nelle  mani  e  nella  persona  d'  Elena 
madre  dell'imperatore  Costantino  rappresentata  col- 
Tattributo  di  pace  (il  ramo  d'ulivo)  ;  la  SÀLVS  e  la  SPES 
dell'impero  erano  particolarmente  nelle  mani  e  nella 
persona  di  Fausta  moglie  di  Costantino  e  madre 
dei  figli,  che  dovevano  continuarne  l'impero. 

Un  esame  comparativo  poi  delle  monete  di  Elena 
con  quelle  di  Fausta  ci  persuaderà  che  il  tipo  della 
donna  col  ramo  è  Elena,  mentre  il  tipo  della  donna 
coi  due  bambini  è  Fausta  coi  figli  Costantino  II  e 
Costanzo  II ,  anche  quando  si  trova  sulle  monete 
d'Elena. 

Difatti,  se  dai  piccoli  bronzi  di  Elena  Augusta 
comunemente  conosciuti  e  descritti  da  Cohen,  to- 
gliamo quello  colla  leggenda  PIETAS  ROMÀNA,  il  quale, 
come  abbiamo  veduto  ,  è    un  quinario    postumo  ,  e 


194  FRANCESCO  GNECCHI 


quello  colla  leggenda  PROVIDENTIÀE  AVGG-  e  la  porta 
di  campo,  (il  quale  non  può  altrimenti  giudicarsi  che 
ibrido,  il  rovescio  non  potendo  esser  stato  fatto  per 
una  moneta  di  donna,  e  dovendo  evidentemente  ap- 
partenere a  Costantino  oppure  a  Licinio),  non  ci  resta 
che  quello  col  rovescio  SECVRITÀS  REIPVBLICE,  quale 
sua  moneta,  dirò,  ordinaria  e  con  un  rovescio  pure 
ad  essa  consono,  raffigurante  cioè  Elena  stessa  o,  se  si 
vuole,  la  riproduzione  del  monumento  a  lei  innalzato 
da  Costantino  nelle  vicinanze  d'Antiochia  (l). 

L'  acconciatura  del  capo  d'  Polena  è  sempre  la 
stessa,  ossia  capigliatura  inalzata  sul  capo  con  dia- 
dema di  foggia  pur  diversa.  Si  osservino  tutte  le 
monete  di  Elena  e  specialmente  la  serie  di  teste  che 
ho  riprodotto  nella  tavola  dal  N.  20  al  31  rappre- 
sentanti altrettante  varietà  d'acconciatura. 

Di  Fausta  conosciamo,  come  sue  monete  ordi- 
narie, quelle  portanti  le  leggende:  SÀLVS  REIPVBLICÀE 
e  SPES  REIPVBLICÀE  ,  sempre  colla  medesima  rappre- 
sentazione di  Fausta  coi  figli.  —  Il  busto  di  Fausta, 
meno  rarissime  eccezioni ,  è  sempre  rappresentato 
senza  diadema  e  con  capelli  ondati  e  annodati  dietro 
la  nuca.  (2). 


(1)  Fu  il  Lenormant  (art.  cit.  pag*.  98,  99)  elio  propose  di  interpretaro 
la  figura  femminile  piuttosto  che  per  Elena  stessa ,  pel  monumento  a  lei 
fatto  erigere  da  Costantino  a  Dafne  sobborgo  d'Antiochia,  anzi  dal  nomo 
8àcf.vY]  (lauro)  argomenta  che  il  ramo  sia  di  lauro  ;  quanto  a  me,  stante  la 
somiglianza  e  direi  quasi  la  simmetria  delle  monete  d'  Elena  con  quello 
di  Fausta,  vedendo  su  queste  ultime  Fausta  stessa  coi  figli,  inclino  a  ve- 
dere Elona  in  persona  sulle  suo  monete. 

(2)  Fra  una  quarantina  di  piccoli  bronzi  di  Fausta  provenienti  da 
diverse  parti  io  non  no  ho  trovato  che  uno  col  capo  diademato ,  (Vedi 
Tav.  4  N.  12)  e  credo  quindi  abbia  torto  il  Cohen  di  non  avvertire  la  rarità 
di  questo  tipo  assolutamente  eccezionale. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA  195 

Ora  delle  nuove  monete  d'  Elena  descritte  ,  i 
numeri  1  e  2  ci  offrono  due  rovesci  di  Fausta 
riprodotti  esattamente ,  sia  nella  rappresentazione 
come  nella  leggenda,  e  per  di  più  ci  danno  il  busto 
d' Elena  coi  capelli  acconciati  come  nelle  monete  di 
Fausta;  il  N.  3  ci  offre  al  rovescio  di  una  testa  di 
Elena  una  rappresentazione  pure  di  Elena  con  una 
leggenda  propria  delle  monete  di  Fausta.  Se  a  queste 
anomalie  si  aggiunge,  che,  per  quanto  si  può  tener 
conto  della  iconografìa  (i)  in  questi  bassi  tempi ,  la 
testa  coi  capelli  ondati  e  annodati  ha  sempre  dal 
più  al  meno  le  fattezze  di  Fausta,  anche  quando 
porta  la  leggenda  relativa  ad  Elena  (N.  1  e  2),  e 
viceversa  la  testa  diademata  offre  piuttosto  le  sem- 
bianze d'Elena,  anche  col  nome  di  Fausta  (N.  12)  ; 


(1)  Veramente  non  si  può  tenerne  gran  conto  in  quest'  epoca ,  fatta 
forse  un'eccezione  per  le  monete  d'  oro.  In  quello  di  bronzo  le  fisionomie, 
principalmente  femminili,  non  sono  riconoscibili  che  fino  a  un  certo  punto, 
e  non  reca  quindi  sorpresa  come  non  abbiano  mai  potuto  accordarsi  i  nu- 
mismatici allorché  vollero  dare  un  giudizio  suir  età  d'Elena  dalle  sue  fat- 
tezze sulle  monete  di  bronzo.  A  seconda  dogli  esemplari ,  chi  vedeva  una 
giovino,  chi  una  donna  di  mozza  età,  chi  una  vecchia  addirittura,  e  io  puro 
confesso  francamente  che  davvero  non  saprei  quale  età  attribuire  all'Au- 
gusta rappresentata  su  quei  bronzi.  Ho  fatto  un'eccezione  per  le  monete 
d'oro  ;  ma  anche  questa  va  in  tosa  in  modo  assai  relativo  e  ristretto.  Si 
osservino  i  tre  aurei  d' Elena,  che  mi  furono  gentilmente  comunicati  dal 
Museo  Britannico,  e  che  ho  riprodotto  in  fino  di  quest'articolo.  Esiste  bensì 
fra  quei  tre  ritratti  una  vaga  somiglianza;  ma  esiterei  ad  affermare  che, 
senza  l'aiuto  della  leggenda,  i  semplici  lineamenti  basterebbero  ad  identifi- 
carli con  sicurezza. 

Non  parliamo  poi  delle  monete  postume,  le  quali  per  esser  state  bat- 
tute qualche  anno  dopo,  portano  più  evidenti  le  traccio  della  decadenza 
dell'  arte.  Si  osservino  i  tre  Quinari  (N.  13 ,  14  e  15).  Dovrebbero  tutti 
rappresentare  Elena;  ma  invece  presentano  tre  teste  affatto  differenti 
r  una  dall'  altra ,  o  ce  n'  è  per  tutti  i  gusti....  eccettuato  forse  il  buono. 
E  lo  stesso  dicasi  dei  Quinari  di  Teodora  (N.  18  e  19).  —  Si  vollero  scu- 
sare (]^uoste  monete,  o  per  meglio  dire  ^li  incisori  che  ne   apprestarono  i 


196  FRANCESCO  GNECCHI 


e  se  finalmente  si  considera  come  i  tre  tipi  comuni 
accennati  siano  la  fedele  riproduzione  dei  tre  soli 
tipi  delle  monete  d'oro  (i)  conosciute  delle  due  Au- 
guste, e  vi  corrispondano  perfettamente  sia  nei  diritti 
come  nei  rovesci  (2),  mi  pare  sia  lecito  argomentare 
che  nella  coniazione  di  queste  monete  vi  sia  stata 
della  confusione,  e  che  non  solamente  si  siano  talora 
scambiati  i  rovesci  (e  principalmente  adoperati  quelli 
di  Fausta  per  Elena) ,  ma  benanco  durante  la  lavo- 
razione dei  coni,  vuoi  per  la  fretta,  vuoi  per  qua- 
lunque altro  motivo,  ad  alcune  teste  già  incise  sia 
stata  applicata  talvolta  una  leggenda  che  non  vi  era 
appropriata,  e  lo  stesso  sia  avvenuto  di  qualche 
rovescio. 

Se  da  un  lato  tale  confusione  sarebbe  una  nuova 
conferma  della  contemporaneità  di  queste  monete 
e  quindi  della  giustezza  di  attribuzione  proposta  da 
Marchant,  dall'altro  mi  pare  si  possa,  come  conclusione 


coni  coir  asserirò  che ,  trattandosi  di  persone  morto,  era  lecito  agli  artisti 
rappresentarlo  in  quell'età  che  meglio  loro  talentava.  Ma  qui  si  tratta  ben 
altro  che  di  sola  età.  Sono  addirittura  fattezze  diiferentissime,  e  che,  per 
quanti  anni  fossero  trascorsi,  non  potevano  in  niun  modo  aver  successiva- 
mente appartenuto  a  una  sola  persona. 

(1)  Si  vedano  i  tre  aurei  riprodotti  in  testa  a  quost'  Articolo.  L'  aureo 
di  Fausta  col  rovescio  salvs  appartiene  alla  mia  collezione,  gli  altri  due 
al  Museo  Britannico. 

(2)  L'esatta  riproduzione  del  tipo  delForo  nel  bronzo  lo  troviamo  anche 
nelle  moneto  di  Galeria  Valeria  moglie  di  Galerio  Massimiamo,  una  delle 
pochissimo  imperatrici,  anzi  la  sola,  oltre  Elena  e  Fausta,  che,  nell'opoca 
in  cui  ci  troviamo,  abbia  avuto  monete  coniate  al  suo  nomo,  mentre  era 
in  vita. 

Ognuno  sa  d'  altronde  come  la  coniazione  delle  monete  d'  oro  fosse  in 
ogni  epoca  affidata  ai  migliori  artisti,  ed  eseguita  perciò  con  molto  mag- 
gior cura  che  quella  del  bronzo,  rappresenti ,  assai  meglio  di  quest'ultimo, 
i  veri  tipi  monetari  uflBcialraonto  stabiliti,  scevri  da  ibridismi. 


APPUNTI   DI   NUMISMATICA.  ROMANA 


197 


definitiva  di  quanto  s' è  esposto ,  asserire  che  i 
soli  tipi  dirò  ufficiali  delle  monete  di  bronzo  di 
Sant'Elena  e  di  Fausta  Auguste  sono  i  tre  dell'oro, 
mentre  tutte  le  altre  monete,  che  presentano  un'ap- 
parenza anormale ,  sono  il  prodotto  dell'  ibridismo 
e  della  confusione. 


36 


XL 
CONTRIBUZIONI   AL    CORPUS   NUMORUM 

B.    COLLEZIONE    MUNICIPALE    DI    MILANO 


Nel  Num.  VII  di  questi  appunti,  dando  la  descri- 
zione di  monete  inedite  o  varianti  della  mia  colle- 
zione, promettevo  che  ne  avrei  esplorato  anche  altre 
pubbliche  e  private.  Incominciai  difatti  tali  indagini 
nella  Collezione  del  Museo  Artistico  Municipale  di  Mi- 
lano, il  quale  però,  se  vanta  la  più  splendida  collezione 
che  si  conosca  di  monete  e  fors'  anche  di  medaglie 
milanesi,  airinfuori  di  questa  non  possiede  in  fatto 
di  numismatica  se  non  collezioni  incipienti.  La  serie 
romana  è  appena  rappresenta^ta  ;  e  piuttosto  che  una 
collezione  si  può  dire  un  semplice  abbozzo  ;  un  paio 
di  migliaia  di  pezzi,  roba  comunissima  nella  massima 
parte  e  in  generale  di  conservazione  al  disotto  del 
mediocre.  Eppure  non  v'ha  collezione,  per  piccola  che 
sia,  la  quale  non  contenga  qualche  pezzo  che  manca 


200  FRANCESCO  GNECCHI 


allo  più  grandi ,  e  anche  1'  umile  serie  romana  del 
nostro  Museo  Municipale  racchiude  qualche  cosa 
di  inedito  che  conviene  registrare.  Si  tratta  per 
lo  più  di  piccole  varianti  di  poco  interesse  ;  ma 
a  sostenere  l'onore  dei  pezzi  che  si  presentano  basta 
il  bellissimo  Medaglione  d'argento  di  Gallieno  po&to 
in  testa  a  questi  cenni,  proveniente  dal  lascito  Bo- 
lognini, dal  quale  pure  provengono  tutte  le  poche 
belle  monete  della  collezione. 

Tutte  le  serie  numismatiche  del  Museo  Arti- 
stico Municipale  di  Milano  sono  state  cosi  bene 
ording,te  dal  diligentissimo  Conservatore  il  marchese 
Carlo  Ermes  Visconti  da  fare  invidia  ai  migliori 
Gabinetti ,  e  ben  facile  sarebbe  il  compito  mio,  so 
tutte  le  collezioni  si  presentassero  come  questa. 

TITO. 

1.  Medio  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  301. 

^^  —  IMP  T  CAES  VESP  AVG  P  M  TR  P  COS  Vili 

Testa  laureata  a  sinistra. 
^    —  VICTORIA  AVGVST  S  C 

Vittoria  a  destra  con  una  corona  e  una  palma. 

(Anno  80  d.  C). 

DOMIZIANO. 

2.  Medio  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  358. 

^    —    IMP    CAES    DOMIT    AVG    GERM    COS    XII    CENS 
PER  P  P 

Testa  laureata  a  destra. 
^    -   lOVI  CONSERV  S  C 

Giove  a  sinistra  col   fulmine  e  lo   scettro  e  col   manto 
a  mezza  vita. 

(Anno  86  d.  C). 


APPUNTI   DI  NUMISMATICA   ROMANA  201 


VALERIANO. 

3.  Antonmiano.  —  ^opo  Cohen  106. 
^  —  IMP  VALERIÀNVS  P  AVG 

Busto  radiato  a  destra, 

9/    —  PROVID  AVOG- 

La  Provvidenza  a  sinistra  con  una  verghe tta,  colla  quale 
indica  un  globo  a  terra,  e  una  cornucopia. 

4.  Anioniniano.  —  l^opo  Cohen  157. 

^^  —  IMP  C  P  LIC  VALERIANO  AVO 

Busto  radiato  a  destra. 
^    —  VIRTVS  AVO 

Il  Valore  galeato  a  sinistra  con  una  piccola  Vittoria  e 
appoggiato  al  proprio  scudo.  L'  asta  riposa  sul  suo 
braccio  sinistro. 

GALLIENO. 

5.  Medaglione  d'Argento.  —  Prima  del  numero  1  di  Cohen. 
^  —  GALLIENVS  PIVS  AVO 

Busto  a  destra    col  paludamento   e  la  corazza.  Il  capo 
è  coronato  da  semplice  tenia. 
^    —  ADLOCVTIO  AVGG 

Valeriano  e  Gallieno  stanno  su  di  un  palco  eretto  a 
destra,  ambedue  con  un'  asta  nella  sinistra.  Dietro  a 
loro  sta  il  prefetto  del  pretorio.  L'  imperatore  che  è 
davanti  alza  la  mano  destra  arringando  tre  soldati, 
ciascuno  dei  quali  tiene  un'insegna  e  lo  scudo. 

(Vedi  Figura  in  principio). 

Come  ho  accennato  più  sopra,  questo  bellissimo  Meda- 
glione è  la  perla  della  Collezione  Eomana  nel  Museo  Artistico 
Municipale  di  Milano.  Essendo  già  il  pezzo  più  importante 
quale  Medaglione  d'argento,  e  uno  dei  migliori  anche  come 
conservazione;  ha  per  di  più  la  fortuna  d'essere  inedito  e 
d'avere  anzi  una  specialità  per  cui  merita  d'essere  descritto. 
Il  tipo   dell'  Allocuzione    somiglia    piuttosto    a    quello  dei 


FRANCESCO  GNECCHI 


Medaglioni  di  bronzo  (Cohen  712  e  713)  che  non  all'unico 
conosciuto  in  argento  (Cohen  1)  ;  ma  la  particolarità  che 
distingue  questo  Medaglione  da  tutti  gli  altri  e  anche  da 
tutte  le  monete  di  Gallieno  è  la  nuova  e  strana  orna- 
mentazione del  capo.  Poche  teste  imperiali  furono  cosi 
variamente  rappresentate  come  quella  di  Gallieno,  le  cui 
monete  ce  la  presentano  ora  nuda,  ora  fregiata  di  corona  di 
lauro  o  d'altra  corona  che  ancora  non  è  ben  definita,  e  chi 
la  vuole  d'erba,  chi  di  canne,  chi  di  giunchi;  ora  finalmente 
coll'elmo  di  varie  foggie  o  colla  corona  radiata  o  di  lauro 
sovrapposta   all'  elmo. 

Nel  nuovo  Medaglione,  il  capo  di  Gallieno  è  circondato 
da  semplice  tenia.  Questo  noto  ornamento  delle  teste  dei  Dia- 
dochi  e  simbolo  di  autorità  regale  appare  qui  per  la  prima  e 
crederei  anzi  per  l'unica  volta  in  tutta  la  serie  delle  monete 
imperiali  dei  primi  tre  secoli,  per  riapparire  poi  ornato  di 
gemme  e  convertito  in  vero  diadema  sulle  monete  bizantine. 

6.  Antoniniano,  —  I^opo  Cohen  404. 
^  —  GALLI ENVS  AVG 

Testa  radiata  a  sinistra. 
?/    —  PAX  AVGVSTI 

La  Pace  corrente  a  sinistra  con  un  ramo  e  uno  scettro 
trasversale. 

CLAUDIO   GOTICO. 

7.  Antoniniano,  —  Dopo  Cohen  67. 
^'  —  IMP  e  CLAVDIVS  AVG 

Testa  radiata  a  destra. 
9!    —  FELICITAS  AVG 

La  Felicità  a  sinistra  con  un  caduceo  e  una  cornucopia. 

8.  Antoniniano.  Dopo  Cohen  103. 
^^  —  IMP  C  CLAVDIVS  AVG 

Busto  radiato  e  corazzato  a  destra. 

9!  —  lovi  viCTORi  '  ^  r;/^ 

Giove  ignudo  a  sinistra  col  liianto  sul  braccio  sinistro,  col 
fulmine  nella  destra  e  lo  scettro  nella  sinistra. 


APPUNTI  DI  NUMISMATICA  ROMANA 


TACITO. 

9.  Antoniniano,  —  I>opo  Cohen  48. 

^^  —  IMP  C  M  CL  TACITVS  AVO 

Busto  radiato  e  corazzato  a  destra. 

^    —  FELICITAS  AVO 

La  Felicità  a  sinistra  con  un  lungo  caduceo  e  una  cor- 
nucopia. 

PROBO. 

10.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  120. 
^^  —  IMP  C  PROBVS  AVG 

Busto  radiato  a  sinistra  col  manto  imperiale  e  lo  scettro 
sormontato  dall'aquila. 
9?    —  ADVENTVS  AVG- 

Probo  cavalcante  a  sin.  collo  scettro  e  la  destra  alzata. 

11.  —  Antoniniano.  Dopo  Cohen  164. 
ÌB'  —  IMP  PROBVS  P  F  AVO- 

Busto  radiato  e  corazzato  a  sinistra. 
9!    —  CLEMENTIA  TEMP 

Giove    ignudo    a   destra    presenta    un    globo    con    una 

Vittoriola  a  Probo  in  abito  militare.  Ambedue  hanno 

lo  scettro. 

12.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  179. 
^'  —  IMP  C  M  AVR  PROBVS  AVG 

Busto  radiato  a  destra  col  paludamento  e  la  corazza. 
1^    —  CONCORD  AVG 

La  Concordia  con  due  insegne  militari  a  destra,  di 
fronte  al  Sole  ignudo  che  alza  la  mano  destra  e  tiene 
un  globo. 

13.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  260. 

^^  —  IMP  C  M  AVR  PROBVS  P  F  AVG 

Busto  radiato  a  destra  col  paludamento. 
9^    -  FELICITAS  TEMP 
La  Felicità  a  sinistra  con  un  caduceo  e  uno  scettro. 


204  FRANCESCO  GNECCHI 


14.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  440. 
^  —  VIRTVS  PROBI  ÀVG 

Busto  radiato  e  corazzato  a  sinistra  con  lancia  e  scudo. 
9I    —  ROMAE  ÀETERN 

Tempio  a  sei  colonne  in  mezzo  al  quale  Eoma  di  fronte 
con  una  vittoria  e  uno  scettro. 
% 

15.  Antoniniano.  —  I>opo  Cuhon  494. 

^  —  IMP  C  M  AVR  PROBVS  AVO- 

Busto  radiato  e  corazzato  a  destra. 
9I    —  SECVRIT  PERP 

La  Sicurezza  a  sinistra  appoggiata  a  una  colonna  colla 
destra  alzata  sopra  la  testa. 

16.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  628. 

^  —  IMP  C  M  AVR  PROBVS  P  F  AVO 

Busto  radiato  a  destra. 
^    —  VIRTVS  AVOVSTI 

Probo  a  sinistra  in  atto  di  coronare  un  trofeo,  ai  piedi 
del  quale  sta  un  prigioniero. 

17.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  QQQ. 

^^  —   IMP  C  M  AVR  PROBVS  P  F  AVG 

Busto  radiato  e  corazzato  a    sinistra  armato  di  lancia 
e  scudo. 
9I    —  VIRTVS  PROBI  AVO 

Probo  galoppante  a  destra  in  atto  di  colpire  coli'  asta 
un  nemico  inginocchiato  e  che  ha  perduto  lo  scudo. 

DIOCLEZIANO. 

18.  Antoniniano.  —  Dopo  Cohen  150. 

^^  —  IMP  C  DIOCLETIANVS  AVO 

Busto  radiato  e  destra  col  paludamento. 
9'    —  FELICITAS  AVO 

La  ^Felicità  a  sinistra  con  un  caduceo  e  una  cornucopia. 


APPUNTI  DI   NUMISMATICA   ROMANA  205 


MASSIMIANO    ERCULEO. 

19.  Antoniniano.  —  I^opo  Cohen  413. 

^^  —  IMP  C  VAL  MÀXIMIÀNVS  AVO- 

Basto  radiato  a  destra  col  paludamento. 

^   —  VIRTVS  AVGO 

Ercole  ignudo  a  destra  colla  destra  sul  fianco,  e  ap- 
poggiato alla  clava,  intorno  a  cui  è  avvolta  la  pelle 
del  leone. 

GALERIO    MASSIMIANO. 

20.  Medio  Bronzo.  —  I>opo  Cohen  75. 

^  —  GAL  VAL  MAXIMIANVS  NOB  CAES 

Testa  laureata  a  destra. 
Ijl   —  GENIO  CAESARIS 

Genio  seminudo  di  fronte  con   una  patera    e  una   cor- 
nucopia. 
NB.  Questa  leggenda  è  nuova  fra  le  monete  di  Galerio  Massimiano. 

MASSENZIO. 

21.  Medio  BroJizo.  —  Dopo  Cohen  63. 
^  —  IMP  MAXENTIVS  P  F  AVG 

Testa  laureata  a  destra. 
'^   —  CONSERV  VRBIS  SVAE 

Tempio  a  quattro  colonne.  Nel  mezzo  Roma  (?)  seduta 
con  un  globo  e  uno  scettro  ,  e  a'  suoi  lati  due  Vit- 
torie che  le  offrono  corone. 


NB.  Questo  rovescio  è  affatto  nuovo.  La  moneta  proviene  da  quel 
copiosissimo  ripostiglio  di  Belinzago,  scoperto  nel  1877,  e  che 
già  diede  un  buon  contingente  di  nuove  monete. 


27 


203  V.   GNECCIH  -  APPUNTI   DI   NUMISMATICA   ROMANA 


LICINIO   PADRE. 

22.  Piccolo  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  134. 
^  —  IMP  LICINIVS  P  F  AVO 

Busto  laureato  e  corazzato  a  destra. 
?(    —  SOLI  INVICTO  GOMITI 

Il  Sole  seminudo  di  fronte,  rivolto  a  sinistra.  Tiene 
nella  sinistra  un  globo  e  un  flagello  e  ha  la  destra 
alzata. 

CRISPO. 

23.  Piccolo  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  119. 

^  —  CRISPVS  NOB  CÀES 

Busto  laureato  a  destra  col  paludamento  e  la  corazza. 
^  —  VICTORIA  LAETAE  PRINC  PER? 

Due  Vittorie  posano    su  di    un  cippo  uno    scudo  colla 
leggenda  VOT  P  R 

COSTANTINO  II. 

24.  Piccolo^  Bronzo.  —  Dopo  Cohen  136. 
^  —  CONSTANTINVS  VIC  AVG 

Busto  diademato  a  destra  col  paludamento. 
?!  —  GLORIA  EXERCITVS 

Due  soldati   di    fronte    armati  di    lancia    e    appoggiati 
allo  scudo.  Tra  loro  due  insegne  militari. 

COSTANZO   II. 

25.  Piccolo  Bronzo.  ~  Dopo  Cohen  246. 
^  -    CONSTANTIVS  NOB  C 

Busto  laureato  e  corazzato  a  destra. 
9»    —  Come  il  precedente. 

Francesco  Gnecchi. 


CONGETTURE 

SULL'  ATTRIBUZIONE  DI  ALCUNI  TREMISSI  LONGOBARDI 


Questi  tremissi,  dallo  stampo  ristretto  relativa- 
mente al  diametro  loro,  donde  risulta  in  contorno 
un  largo  margine  liscio,  caratteristica  dei  longobardi, 
se  ne  distinguono  per  la  singolarità  delle  impronte. 

Quantunque  non  perfettamente  uguali,  si  pre- 
stano per  la  grandissima  rassomiglianza  fra  di  loro, 
indizio  di  una  origine  sola  per  tutti,  ad  uno  studio 
di  confronto.  I  due  primi  sono  tolti  all'opera  gran- 
diosa di  E.  Gariel  sulle  monete  dei  Carolingi  (l),  il 
terzo  mi  appartiene. 

In  tutti  non  havvi  che  un  monogramma  in  di- 


(1)  E.  Gariel,  Les  monnaies'royales  de  France  sous  la  race  Carlorùi' 
gienne.  Parte  II,  Tav.  IV,  N.  84  e  85. 


208  GIUSEPPE   GAVAZZI 


ritto,  ed  uno  in  rovescio,  dissimili  fuorché  nel  nesso 
REX,  o  RX  comune  all'  uno  e  all'altro  lato.  Essi  de- 
vono dunque  appartenere  ad  una  società  reale.  Sep- 
pure non  v'  abbia  un  solo  regnante  il  cui  nome 
contenga  tutte  le  lettere  costituenti  i  due  mono- 
grammi. 

Gariel  legge  nel  primo  dei  suoi  tremi  ssi:  in 
diritto  CARLEMÀN  RX;  in  rovescio  CARLE  RX  o  CÀRLF  RX; 
nel  secondo:  in  diritto  CARLEMÀN  REX;  in  rovescio 
CARLE  RX.  Con  mio  rammarico  lascia  desiderare  il 
titolo  ed  il  peso  dell'ano  e^delJ'altro.  Il  N.  3,  ossia 
il  mio,  pesa  110  centigrammi;  ed  in  seguito  ad  un 
assaggio  alla  pietra  sembra  composto  di  sette  parti 
d'oro  e  di  tre  d  argento. 


Ha  in  diritto  il 
monogramma 


In  rovescio 
corpo  del  mono   -^^ 


che    scompongo    in 
CAROSMTREX. 


D 


e  cioè  CEROSMREX  nel 
gramma  ed'M^D  fuori ,  le 
quali  due  ultime  lettere  crederei  perciò' essere  piut- 
tosto marchi  di  zecca,  come  Gariel  giudicò  le  sigle 
sparse  intorno    ai  monogrammi  dei  suoi  tremissi. 

Si  può,  col  monogramma  del  diritto  del  mio,  co- 
strurre  il  nome  di  Grimoaldo,  e,  non  senza  sforzo, 
farne  altrettanto  nei  diritti  dei  tremissi  di  Gariel. 
Si  ponno  eziandio  nel  rovescio  (del  mio  solo  però) 
leggere  i  nomi  di  Gondeberto  e  di  Caniberto. 

Ma  il  nome  del  prim.o,  che  non  ebbe  soci  di 
regno,  non  torna  nel  rovescio  di  nessuno  dei  tre 
tremissi,  come  non  torna  nel  diritto  del  mio  quello 
di  Pertanto  associato  col  secondo  e  col  terzo. 


CONGETTURE   SULT/aTTRIBUZIONE,   ECC.  209 

Ma  vi  ha  una  ragione  assai  più  calzante  per 
negare  a  quei  tre  principi  l' attribuzione  del  mio 
tremisse,  e  conseguentemente  anche  dei  due  di  Gariel, 
supposto  che  questi  nel  titolo  e  nel  peso  siano  con- 
formi, come  pare,  al  mio,  visto  che  lo  sono  nello 
stile,  nel  diametro  e  nelle  impronte. 

Autorevoli  scrittori  osservarono  che  il  peso  dei 
tremissi  longobardi  si  mantiene  da  Rotari  a  Liut- 
prando  incluso  fra  grammi  1.38  e  1.26  W;  scade  con 
Astolfo  e  più  ancora  con  Desiderio.  Fatto  constatato 
anche  da  me  colla  pesatura  di  alcuni  tremissi  lon- 
gobardi dei  quali  dispongo,  e  coi  dati  gentilmente 
favoritimi  dagli  ottimi  amici  miei  Prof.  S.  Ambro- 
soli  Conservatore  del  Gabinetto  di  Brera  e  Cav.  Èr- 
cole Gnecchi  per  quelli  dei  rispettivi  medaglieri. 
Trovammo  costante  buon  peso  nei  tremissi  di  Cu- 
niberto, Liutberto,  Ariberto  e  Liutprando:  per  Astolfo 
grammi  1.10  e  per  Desiderio  perfino  1.02,  cioè  ancor 
meno  dei  pesi  indicati  dal  Cav.  Brambilla  nelle 
monete  di  Pavia,  di  1.180  rispettivamente  al  primo, 
e  1.065  al  secondo  dei  due  regni. 

Il  mio  tremisse  non  offre  traccie  di  tosatura  ed 
è  nelle  stesse  buone  condizioni,  di  conservazione  di 
quelli  pesati  da  quei  signori  e  da  me.  Il  suo  peso 
è  quindi  un  buon  argomento  per  ritenerlo  non  an- 
teriore alla  metà  dell'ottavo  secolo.  E  per  analogia 
dirò  altrettanto  di  quelli  di  Gariel. 

Il  Conte  di  San  Quintino  ed  il  Cav.  Brambilla  (2) 
osservano  altresì  che  nei  primi  tempi  della  domina- 


(1)  G.  dei  conti  di  San  Quintino,  Sulla  Moneta  dei  Longobardi  in 
Italia.  —  C.  Brambilla,  Tremisse  di  Rotari,  —  Monete  di  Pavia. 

(2)  Di  San  Quintino  e  Brambilla.  Opere  citate. 


210  GIUSEPPE  GAVAZZI 


zione  longobarda,  quei  re,  non  osando  battere  mo- 
neta in  nome  proprio,  copiarono  la  bizantina  come 
quella  che  godeva  del  massimo  credito. 

E  in  pari  tempo  volendo  dare  una  certa  origi- 
nalità alla  loro  propria  ne  alterarono  scientemente 
le  scritte  in  modo  da  renderle  soventi  illegibili.  Con 
questa  astuzia  poterono  far  correre  fra  il  volgo 
ignorante  di  allora  tremissi  di  peso  e  lega  inferiori 
agli  imperiali. 

Il  più  antico  tremisse  conosciuto,  che  porti  nome 
di  re  longobardo,  è  quello  di  Eotari  del  Museo  Bre- 
sciano. 

Rotari  conserva  il  tipo  bizantino  :  in  dritto 
busto  diademato  di  profilo  ;  Vittoria  alata  in  rovescio. 
Cuniberto  sostituì  alla  Vittoria  l'Arcangelo  San  Mi- 
chele, tipo  costantemente  seguito  poi  da  Liutberto, 
Ariberto  II  W  e  Liutprando. 

Astolfo  mise  in  diritto  un  monogramma  in  luogo 
del  busto,  conservando  in  rovescio  T Arcangelo:  poi 
adottò  il  tipo  di  Lucca ,  stella  in  diritto  ,  croce  in 
rovescio,  che  tenne  anche  Desiderio. 

Ora  le  impronte  del  mio  e  dei  tremissi  di  Gariel 
non  hanno  nulla  di  comune  con  quelli  da  Rotari  a 
Liutprando.  Dato  pure  che  un  regnante  fra  quei  due 
avesse  creduto  di  attenuare  il  peso  normale  del  tre- 


(1)  Veramente  abbiamo  un  tremisse  di  taglio  romano  col  nome  e  l'effigie 
di  Ariberto  II  descritto  da  D.  Promis  nelle  Monete  di  zecche  italiane  ine- 
dite e  corrette^  1867,  che  dall'iscrizione  iffo  glorivso  dvx  appare  coniata 
da  un  principe  feudale.  Quell'autore  rimarca  aver  esso  nulla  di  comune  coi 
tremissi  di  Pavia  e  molto  ragionevolmente  crede  che  l'ignoto  duca  Iffo 
avesse  residenza  in  qualche  città  confinante  colle  provinole  soggette  all'im- 
pero greco  0  in  grande  relazione  con  esse.  Così  i  duchi  e  principi  di  Be- 
nevento seguirono  costantemente  il  tipo  romano  a  differenza  dei  re  longo- 
bardi che  ebbero  il  loro  speciale. 


CONGETTURE  SULL'aTTRIBUZIONE,  ECC.  211 

misse  longobardo,  questi  l'avrebbe  fatto,  o  in  modo 
palese  coll'intendimento  di  stabilire  la  monetazione 
su  basi  diverse,  o  segretamente  a  scopo  di  lucro.  La 
prima  ipotesi  è  contraddetta  dal  buon  peso  costante 
e  dallo  stampo  invariato  dei  tremissi  longobardi  fino 
a  Liutprando.  La  seconda  poi  non  regge  affatto  se 
appena  si  consideri  che  1'  autore  della  frode  ,  lungi 
dallo  scioccamente  palesarla  con  un  tipo  nuovo 
di  pianta ,  avrebbe  fatto  di  tutto  per  nasconderla 
sotto  le  forme  consuete. 

Ignoro  le  ragioni  che  indussero  Astolfo  a  mo- 
dificare il  peso  e  variare  lo  stampo  dei  suoi  tremissi. 
Fatto  è  però  che  dopo  di  lui  non  si  ritornò  più  al 
tipo  ed  al  peso  di  prima. 

Mi  chiesi  se  l'ardita  lettura  di  Gariel  non  po- 
tesse avere  probabilità  di  vero,  e  non  a  me  soltanto, 
ma  lo  chiesi  anche  ad  altri  assai  di  me  più  valenti. 
E  questi  cortesemente  mi  risposero  non  vederne  di 
migliori,  neppure  nel  mio  tremisse,  e  con  generosa 
modestia  aggiunsero  che  non  mi  avessi  a  preoccu- 
pare dei  loro  giudizi  e  farmene  uno  da  me. 

Per  quanto  infatti  strana  a  prima  vista,  la  let- 
tura di  Gariel  sembrami  tecnicamente  la  più  naturale. 
Nel  mio  tremisse  i  nomi  di  Carlo  in  diritto,  di  Car- 
lomanno  in  rovescio  si  presentano  con  un'  evidenza 
sorprendente. 

Ma  come  ammetterli-  in  moneta  longobarda? 
Dove  quei  tremissi  poterono  aver  veduto  la  luce  ? 
Non  in  Francia,  ove  recentemente  Pipino  il  Breve 
aveva  abolito  la  coniazione  dell'  oro  e  riconosciuto 
sola  moneta  legale  l'argento.  Dato  anche  che  Pipino 
o  i  suoi  figli  avessei'o  eccezionalmente  battuto  oro, 
gli  avrebbero  dat?t   \^  forrqa    massiccia   merovingia 


212  GIUSEPPE  GAVAZZI 


modellata  sulla  romana.  Tali  sono  infatti  i  rarissimi 
soldi  d'oro  battuti  in  Francia  da  Carlomagno  e  da 
Lodovico  Pio. 

Resta  a  vedere  se  e  come  quei  tremissi  possano 
essere  di  fabbrica  longobarda. 

^  Le  paci,  le  quali  chiusero  le  spedizioni  franche 
del  754  e  del  756  in  Italia,  presentano  differenze 
notevoli,  e  ne:  contraenti  e  nella  forma,  che  non 
isfuggirono  al  nostro  grande  Muratori. 

Dalla  vita  di  Stefano  II  in  Anastasio  bibliote- 
cario, evidentemente  scritta  da  testimonio  contem- 
poraneo e  bene  informato,  e  dal  Codice  carolino, 
veniamo  a  conoscere: 

Che  i  Franchi  vennero  richiesti  dai  romani  in 
virtù  dell'obbligo  fatto  loro  dal  jpatto  letico  di  mili- 
tare in  difesa  dell'impero  e  di  Eoma.  I  Franchi  erano 
considerati  militi  romani  ed  i  re  loro  cittadini  romani 
per  la  dignità  patriziale  conferita  a  Pipino  ed  ai 
suoi  figli  Carlo  e  Carlomanno  con  lui  regnanti. 

Che  la  pace  seguita  alla  spedizione  del  754  fu 
contratta  da  romani,  franchi  e  longobardi^  questi  obbli- 
gandosi a  restituire  ai  primi  le  città  e  terre  usurpate. 

Che  avendo  Astolfo  mancato  ai  patti ,  Pipino 
sceso  nuovamente  nel  756  conchiudeva  con  esso  un 
secondo  trattato,  e  questa  volta  senza  intervento  dei 
romani,  nel  quale  i  longobardi  cedevano,  non  più  ai 
romani,  ma  ai  franchi  i  territori  di  giurisdizione 
romana. 

Pipino  poi  si  obbligava  verso  la  Chiesa  Romana 
a  rimetterli  ad  essa ,  come  fece.  Ciò  risulta  dai  se- 
guenti passi  della  vita  succitata: 

Gregorio  legato  del  greco  Augusto,  raggiunto 
Pipino  sotto  Pavia,    rammentandogli   senza    dubbio 


CONGETTURE  SULL'aTTRIBUZIONE,  ECC.  213 

il  imito  letico^  gli  richiese  Raveniia  e  le  altre  città 
e  terre  imperiali  contro  pagamento  delle  spese.  Cui 
Pipino  rispose  che  per  nulla  al  mondo  avrebbe  ri- 
tolto a  S.  Pietro  ciò  che  gli  aveva  dato  [Ohtidit  dice  il 
succitato  biografo),  né  si  dà  che  ciò  che  si  possiede. 

Nel  trattato  di  pace  con  Pipino,  Astolfo  conferma 
i  patti  di  prima,  ma  la  restituzione  non  ha  luogo 
direttamente  da  longobardi  a  romani,  bensì  ad  re- 
cipiendas  ipsas  civitates  il  re  dei  franchi  delega  l'a- 
bate Fulrado  suo  consigliere,  il  quale  accompagna- 
tosi con  messi  di  Astolfo,  entrando  di  città  in  città 
ne  riceve  ostaggi  e  le  chiavi  delle  porte,  finche 
giunto  a  Roma  depone  le  chiavi  una  cum  donatione 
a  suo  rege  emissa  nella  confessione  di  S.  Pietro. 

Fuvvi  dunque  un  tempo  breve  o  lungo,  non 
monta,  nel  quale  i  re  franchi  patrizi  dei  romani 
ebbero  Teffettivo  possesso  di  Ravenna  e  delle  altre 
città  dell'  Italia  centrale  loro  cedute  dai  longobardi 
col  trattato  del  756. 

Mi  par  quindi  niente  affatto  improbabile  che 
durante  questa,  sia  pure  effimera  signoria,  eglino  vi 
avessero  ad  esercitare  atti  di  vera  sovranità  e  fra  altri 
quello  di  coniar  moneta.  Tanto  più  che  1'  attestare 
con  documenti  pubblici  e  solenni  il  possesso  reale, 
benché  temporaneo  di  quei  territori,  dimostrando  il 
proposito  di  difenderli,  sarebbe  stato  argomento  op- 
portuno a  contenere  i  longobardi  e  rassicurare  pie- 
namente i  romani  W. 


(1)  Clio  i  romani  fossero  stati  fino  allora  mediocromento  persuasi,  non 
della  fedeltà,  ma  della  premura  dei  re  franchi  per  loro,  traspare  dalle  let- 
tere di  papa  Stefano  II  a  Pipino  ed  ai  figli,  di  giugno  e  luglio  755  e  feb- 
braio 756  tolte  dal  Codice  Carolino  e  riprodotte  da  C.  Troya  nei  Documenti 
diplomatici  longobardi  ai  N.  692,  694  e  696. 


38 


214  GIUSEPPE   GAVAZZI 


Lo  stile  di  quei  tremissi  non  lascia  dubbio  che 
artefici  longobardi  vi  abbiano  lavorato.  La  coniazione 
può  essere  avvenuta  nel  tempo  del  breve  soggiorno 
di  Pipino  in  Lombardia  fra  la  conclusione  della  pace 
ed  il  suo  ritorno  in  Francia.  In  questo  caso  essa 
ebbe  luogo  assai  probabilmente  nel  campo  franco 
non  lungi  da  Pavia.  Oppure  potrebbe  più  tardi  avervi 
provveduto  Fulrado  stesso  per  conto  dei  suoi  re. 
Parmi  più  credibile  la  prima  ipotesi,  perchè  Fulrado 
nell'esarcato,  ove  si  recò  tosto  avrebbe  probabilmente 
coniato  sul  taglio  romano,  come  prima  di  lui  vi  coniò 
lo  stesso  re  Astolfo  W. 

Veniamo  ora  all'analisi  dei  monogrammi  del  mio 
tremisse.  Il  nesso  REX,  come  vedemmo,  è  comune  ai 
due  lati.  Il  diritto  si  può  facilmente  scomporre  nei 
seguenti  nessi  : 

(p^     CAROLVS       fv     FkTRicms       p/ì 


ROMANORVM 


Quanto  alla  lettera  T  nel  nesso  da  me  letto 
Patricius^  non  saprei  vederne  altra  in  quell'incrocio 
della  barra  orizzontale  di  A  prolungata  oltre  1'  asta 
minore  di  R.  Tanto  più  che  ho  un  esempio  analogo 
in  una  iscrizione  dell'  ottavo  secolo  riportata  da 
L.  Alpli.  Chassant  nel  Dictionnaire  des  abréoiations 
latìnes  et  francaises  dit  moyen  àge,  ove  la  lettera  T 
è  formata    da    un    incrocio    analogo    colla    C    qua- 


(1)  D.  Promis,  Monete  di  zecche  italiane  inedite  o  corrette  ^  1867,   — 
C.  BRAMBILLA,  Annotazioni  numismatiche,  1867, 


CONGETTURE  SULL'aTTRIBUZIONE,   ECC.  2l5 


drata  della  terza  parola  abbreviativa  di  SÀNCTO  (i). 
Nel  rovescio: 


f  n/     CÀRLEMÀNNVS    N^     Pktricius    k^j 


ROMÀNORVM 


Non  posso  ammettere  la  mancanza  del  nome 
di  Pipino,  re  principale  e  padre.  Lo  vedrei  nelle  P 
contenute  nelle  due  R  che  figurano  tanto  nel  mio 
che  nei  tremissi  di  Gariel.  Nel  mio  poi  è  facilissimo 
coatrurre  in  ambo  i  lati  l'intero  nome. 


PIPINVS  col  nesso 


n 


Così  nel  mio  tremisse  i  titoli  di  REX  e  di  PÀTRICIVS 
ROMÀNORVM  verranno  a  riferirsi  al  singolare  ai  nomi 
di  Pipino,  di  Carlo  e  di  Carlomanno.  E  andrebbero 
d'  accordo,  salvo  varianti  insignificanti,  coi  seguenti 
indirizzi  delle  lettere  a  quei  re  inserte  nel  codice  ca- 
rolino :  Dominis  Excellentissimis  Pippino,  Carolo  et  Ca- 
roloman7io  trihus  regibus  et  nostris  romanorum patriciis. 

Quanto  poi  alle  sigle  M  •  D  •  un  amatore  di  monete 
milanesi  potrebbe  desiderare  di  leggervi  fAeDiolanum, 
ma  quelle  due  lettere  possono  significare  troppe  cose 
perchè  io  mi  attenti  di  darne  la  spiegazione. 

Anche  nei   tremissi   di  Gariel   crederei   vedere, 


(1)  Credo  far  cosa  grata  al  lettore  riportando  quella  bella  iscrizione: 
[vAPPEIDTilSyiS^. 

cioè  hic  pausante  sancto  Germano  die  trasìationis  dedit  et  rex  Pìpinus 
fiscum  pulatioli  cum  appenditiis  suis  omnibus. 


216  G  GAVAZZI   -   CONGETTURE  SULL'aTTRIBCZIONE,  ECC. 

almeno  nei  diritti,  le  lettere  rudimentali  di  PÀTRICIVS 
ROMÀNORVM. 

Ecco  in  qual  modo  io  spiegherei  queste  curiose 
monete  che  ritengo  possono  far  parte  della  serie 
longobarda,  e  per  lo  stile  indubbiamente  longobardo 
e  perchè  tali  a  mio  avviso  si  possono  considerare 
anche  dal  punto  di  vista  politico  e  storico.  Poiché  si 
riferirebbero  ad  una  parte  d'Italia  che  cessa  di  ès- 
sere longobarda,  né  è  ancora  romana,  e  segnano  un 
momento  importantissimo  della  storia  dei  longobardi. 

Attribuendole  poi  a  Pipino,  Carlo  e  Carlomanno 
quali  patrizi  dei  romani,  ed  a  zecca  incerta  le  porrei 
sotto  l'anno  756  per  le  ragioni  già  dette. 

Con  ciò  io  non  pretendo  di  aver  còlto  nel  segno 
ma  vorrei  sperarlo.  Perciò  intitolai  questo  mio  lavoro 
Congetture,  né  più  che  tali  le  credo.  Altri  più  valenti 
di  me  troveranno  forse  spiegazione  migliore  e  di- 
versa. Che  se  alcuno  vorrà  combattere  queste  mie 
conclusioni,  io  non  me  ne  dorrò  certo,  anzi  1'  avrò 
ad  onore  e  se  sarò  convinto  di  errore,  mi  arrenderò 
lietamente  alla  verità.  In  queste  controversie,  vinci- 
tori e  vinti  ne  sortono  sempre  con  guadagno. 

Non  mi  resta  se  non  attestare  la  mia  ricono- 
scenza al  Nob.  Cav.  C.  Brambilla  e  alla  onoraiida 
memoria  del  desideratissimo  Comm.  Vincenzo  Promis, 
i  quali  con  bontà  pari  alla  loro  dottrina,  mi  furono 
larghi  dei  loro  lumi,  mi  posero  sulla  via,  e  mi  fecero 
cortese  violenza  a  proseguirla. 

Ebbi  cosi  modo  di  procurarmi  soddisfazioni  gran- 
dissime nello  studio  di  un  periodo  tanto  interessante 
della  storia  del  nostro  bello  e  caro  paese. 

Giuseppe  Gavazzi. 


NUOVE  OSSERVAZIONI 

SOPRA   ALCUNE   MONETE   BATTUTE    DAI   PAPI 
NEL  CONTADO  VENESINO  E  D^  AVIGNONE 


u  Piacemi  di  notare  che  aveva  ragione  il  Cartier 
u  quando  attribuiva  a  Bonifacio  IX,  papa  dal  1389 
u  al  1404  [Revue  numismatique  francaise,  Blois,  1836, 
u  pag.  12),  un  pezzo  di  bassa  lega  con  un  busto  di 
u  papa  tenente  una  chiave  colla  destra  e  con  attorno 
u  BO  •  PAPE  •  DOMIN  •  da  una  parte,  e  dall'altra  una 
u  croce  accantonata  da  una  B  ed  in  giro  COITAT  • 
u  VENÀSSIN  •  (1),  mentre  invece  due  anni  dopo  {Revue 
u  nwm's.,  Blois,  1838,  pag.  214)  si  lasciò  indurre  in 
«  errore  dal  sig.  di  Saulcy,  dandolo  a  Bonifazio  Vili, 
«  quando  il  Venesino  non  fu  eretto  in  contado 
u  che  dal  suo  successore.  ??  Così  il  chiarissimo  nu- 
mismatico italiano  Domenico  Promis  scriveva  nel- 
Tanno  1867  in  nota  ad  una  sua  memoria  intitolata 
Carpentrasso  (2). 

Il  signor  avvocato  Vincenzo  Promis,  figlio  del- 
l'illustre numografo,  seguendo  la  medesima  opinione 


(1)  Vedasi  la  Tav.  V,  N.  1. 

(2)  Domenico   Promis,  Monete  di  zecche  italiane  inedite  o  corrette. 
Torino,  1867,  pag.  28-30. 


218  VINCENZO  CAPOBl ANGUI 


nelle  sue  Tavole  Sinottiche  delle  Monete  battute  in  Italia 
e  da  Italiani  all'estero  (1),  pag.  20,  contro  l'opinione 
che  prevalsa  era,  toglieva  a  Bonifacio  Vili  la  suin- 
dicata moneta  per  assegnarla  al  IX,  notandovi  pa- 
rimente come  «  tale  moneta  dapprima  era  stata  dal 
«  Cartier  giustamente  attribuita  a  Bonifazio  IX,  indi 
«  indotto  in  errore,  ed  in  ciò  seguito  da  quasi  tutti 
u  i  nicmismaticiy  la  diede  a  Bonifazio  Vili,  dal  cui 
a  successore  soltanto  fu  il  Venesino  eretto  in  con- 
u  tado.  5? 

In  vero  dire  i  signori  Domenico  e  Vincenzo 
Promis,  a'  quali  la  numismatica  italiana  deve  tante 
interessanti  illustrazioni  e  discoperte,  mancarono  in 
questa  asserzione  della  loro  abituale  prudenza,  cir- 
cospezione e  diligenza,  poiché  essi  non  dovevano 
ignorare  l'interessante  opera  numismatica  del  Car- 
dinale Giuseppe  Garampi,  col  titolo  Saggi  di  Osser- 
vazioni sul  valore  delle  antiche  Monete  pontifìcie  (2), 
ove  nella  ricca  raccolta  di  Documenti  tratti  dagli 
Archivi  vaticani,  che  questa  ha  per  corredo,  essi 
avrebbero  ritrovato  invece,  che  sotto  Bonifacio  Vili 
il  Venesino  era  già  eretto  a  Contado  (^)  ;  che  la  nuova 


(1)  Torino,  1869. 

(2)  Quest'opera  è  citata  da  Vermigligli  Gio.  Battista  {Leila  Zecca 
e  delle  Monete  perugine.  Perugia,  1816.  App.  pag.  73,  nota  20),  e  da  Angelo 
CiNAGLi  {Le  Monete  de^ Papi.  Fermo,  1818.  Pag.  42,  nota  7;  pag.  43, 
nota  2  ;  pag.  71,  nota  3  o  4,  e  pag.  79,  nota  2). 

(3)  Garampi,  Op.  cit.  App.  di  Docum.  pag.  7.  Ordinazione  del  Rettore 
del  Contado  Venesino  sul  corso  delia  Moneta  paparina  (*). 

«  In  Dei  nomine  amen.  Anno  Domini  Incarnationis  MCCCII.  In- 
«  dictione  X  V  die  Veneris,  vigesimo  primo  septemhris,  pontificatus  domini 
«  Bonifacii  Pape  Vili  anno  octavo. 

O  Pag.  61   del  Protocollo    degli  Atti   della   curia  del    Contado  Venesino,  rogati  da  Barone    Alleotti 
noUgo  della  medesima  negli  anni  1302  e  1303,  in  Arch.  Vaticano. 


NUOVE  OSSERVAZIONI   SOPRA  ALCUNE  MONETE,  ECC.  219 

moneta    papale  (denominata    colà   denaro   coronato , 
perchè  su  di  esso  vedovasi  T  imagine  del  Papa   col 


«  ^08  Guido  de  Monte  Alcino  (*)  Senescaìlus  comitatvs   venaisini 

<  prò  magnifico  et  potenti  milite  domino  Rogerio  de  Spinis  (**)  de  Fio- 

<  rentia  Bectore  Comitatus  ejusdem  prò  domino  Papa  et  Sancta  Romana 
€  Ecclesia,  auctoritate  et  balia  nobis  commissis,  et  omni  ìnodo  et  jure  quibus 
«  melius  possumus,  intendenles  utilitati  gentium  Comitatus  ac  reipublice,  ut 
€  qneque  deceptiones,  cavili ationes,  et  questiones,  que  consueverunt  in  eodem 
€  Comitatu  in  pecuniarum  solutionibus  sepe  sepius  exhoriri,  cessent,  et  ad 
€  omnem  errorem  hujusmodi  evitandum,  statuimus,  sancimus,  ac  volumus 
€  et  mandamus,  et  prò  decreto  et  statuto  liaberi  volumus,  et  in  eodem  Comi- 

<  tatù  inviolahiliter  observari,  quod  in  comitatu  vknaisino  currat  et  cursum 
«  habeat  solummodo  et  tantum  moneta  bonorum  paparinorum  (***),  in 
«  ea  valentia  et  bonitate  monete,  que  fuit  ordinata,  composita  et  statuta 
€  per  dominum  mathiam  de  theate  (****)  oLiM  rectorem  comitatus 
«  eiusdem;  mandanfes  tenore  presentium,  quod  solutiones  fiant  et  fieri 
«  debeant  in  dicto  Comitatu  ad  dictam  monetam,,  et  dieta  moneta  cursum 
«  habeat  et  non  alia-,  de  quibus petiit  et  mandavit  fieri publica  Instrwnenta. 

«  Ada  sunt  hcec  Paternis  in  fortilitio  Paternarunt,  presentibus  testibus 
«  Ben  astro  Milgli,  et  Bono  Artinisii,  et  Feo  Coppie  tei  ad  hec  rogatis. 

«  Ego  Barone  de  Singna  Florentin.  diocesis  filius  Aliotti,  judex  ordi- 
€  tiarius,  et  notarius  puhlicus  dicti  domini  Senescalli,  et  Curie  Venaisin. 
«  notarius  etc.  » 

0  DE  MONTE  ALCINO.  Ruggieri  de'  Spini  deputò  discretum  et  prudentem  virum  dn.  Guidonem 
quondam  Bandirti  de  Monte  Alcino  uiriusque  juris  peritum  in  Senescallum  et  Vicarium  in  officio  Bectorie 
Comitatus,  con  SUO  Mandato  di  Procura  rogato  in  Firenze  a  di  30  aprile  1302  (ioc.  cit.  p.  3). 

(••)  DE  SPINIS.  Questi  fu  deputato  Rettore  del  Venesino  da  Bonifacio  Vili  a  di  18  marzo  1302 
a  suo  beneplacito,  come  si  era  usato  di  costituire  gli  altri  Rettori  precedenti.  La  bolla  è  diretta  dil.  fil. 
nobili  viro  Rogerio  de  Spinis  de  Florentia  Militi  (loC.  cit.  pag.  2).  Il  possesso  poi  del  Rettorato  fu 
preso  ai  29  di  maggio,  e  ciascuno  dei  feudatari  e  luoghi,  mediatamente  o  immediatamente  soggetti  al 
Contado,  prestò  in  seguito  il  solito  omaggio  e  giuramento  di  fedeltà  alla  Santa  Sede. 

("*)  PAPARINORVM.  Cosa  sieno  cotesti  Paparini,  niuno  è  che  lo  sappia,  scrive  il  CO.  Carli  (T.  1  p.  391), 
il  quale  inclinerebbe  a  trarne  la  denominazione  dall'antica  famiglia  de'  Paperoni.  Noi  però,  riserbando  di 
trattare  in  altro  luogo  e  tempo  del  giusto  valore  e  ragguaglio  delia  moneta  Paparina,  ci  contenteremo 
di  qui  accennare,  essersi  primieramente  cosi  denominata  la  moneta,  che  poco  dopo  la  metà  del  XIII  se- 
colo i  Romani  Pontefici  fecero  battere  in  Viterbo  e  nel  Patrimonio  di  S.  Pietro,  e  che  fu  diversa  affatto 
in  valore  dalla  Provisina  o  Romana;  e  cosi  essersi  anche  chiamata  Paparina  quella  ,  che  fecero  battere 
per  uso  dei  loro  proprii  sudditi  nel  Contado  Venesino.  Sicché  la  voce  Paparina  viene  ad  essere  sinonima 
di  Papalina,  o  Papolena,  come  altrove  si  enuncia. 

Il  Fiorino  d'oro  valse  a  moneta  Paparina  nel  Patrimonio  circa  l'anno  1270  soldi  25  ;  nel  1291  e  1297 
soldi  30  in  circa  ;  nel  1308  soldi  40.  e  nel  1317  soldi  47. 

Quanto  poi  ai  Paparini  del  Venesino,  nelle  rimesse  del  danaro  che  di  là  facevansi  alla  Camera  Apo- 
stolica, osservo  che  nell'anno  1301  fu  computato  il  Fiorino  d'oro  a  soldi  23  li2  Paparinorum  novorum  qui 
NUNC  cuduntur  in  comitatu  Venaissino  ,  licet  cum  mercatoribus  Clarentinis ,  qui  in  illis  partibus  dictam 
pecuniam  reoeperunt,  adhuc  de  dicto  cambio  simus  in  lite,  eis  petentibus  Florenum  prò  XXVI  solidis  com- 
putari  (lib.  Division.  Sac.  Colleg.  pag.  ,30)  ;  ma  nell'anno  seguente  fu  ragguagliato  il  medesimo  Fiorino  a 
soldi  25  ll2,  CORONATORUM  seu  Paparinorum  novorum  ,  sicut  de  dicto  valore  dominua  Mathias  Rector 
scripsit  Ooc.  cit.,  pag.  32). 

(•"•)  DE  THEATE.  Egli  fu  deputato  Rettore  del  Venesino  da  Bonifazio  VHI  a  di  5  giugno  del 
l'anno  1300  (Reg.  Bònif.  Vm,  an.  VI  ep.  183).  Il  medesimo  nel  nostro  protocollo  viene  poi  detto  Magistev 
Mathia  de  Theate  Clericua  Camere  domini  Pape,  ed  era  anche  Canonico  Morinense, 


220  VINCENZO  CAPOBIANCHI 


capo  coronato  della  tiara),  principiò  ad  esservi  bat- 
tuta da  Mattia  da  Theate  eletto  rettore  di  quel  con- 
tado da  Bonifazio  Vili  a  di  5  giugno  dell'anno  1300, 
e  che  la  zecca  trovossi  «  in  Castro  papali  Ponti s 
u  Sorgie  ^i  0)  capoluogo  allora  del  Contado  Venesino 
e  non  in  Carpentrasso  come  essi  immaginarono. 

Ciò  premesso,  più  facile  riesce  di  dare  giudizio 
sul  merito  della  Memoria,  testé  menzionata,  portante 
il  titolo  Carpentrasso,  colla  quale  Domenico  Promis 
pubblica  ed  illustra  una  piccola  moneta  di  bassa 
lega,  che  conservasi  in  Torino  nella  preziosa  serie 
dì  monete  papali  di  S.  M.  Su  di  essa  da  un  lato 
vedonsi  due  chiavi  in  palo  ma  opposte,  con  attorno 


(1)  Di  questa  località,  capoluogo  allora  del  Contado  Vonesino ,  il  Ga- 
rampi,  (Op.  cit.,  App.  di  Docum.,  pag.  11,  nota  9),  dice:  «  Già  nella  zecca 
«  Pontificia  del  Ponte  della  Sorga  batte  vasi  almeno  fin  dall'  anno  1301, 
€  (come  sopra  si  è  osservato  pag.  8),  la  moneta  d'argento,  e  le  altre  infe- 
«  riori;  e  questa  continuossi  a  battere  anche  sotto  il  Papa  Benedetto  XI, 
«  Clemente  V  e  Giovanni  XXII.  »  Inoltre  vedansi  i  Documenti  della  sud- 
detta Appendice,  pag.  9,  n.  IV;  pag.  12,  n.  V;  pag.  16,  n.  VI;  pag.  20, 
n.  VII;  pag.  22,  n.  Vili  ;  pag.  23,  n.  IX  ed  a  pag.  10,  nota  n.  4  «  pontis 
«  SORGIE.  In  questo  luogo,  ch'era  come  il  capo  di  tutto  il  Contado  Vene- 
«  sino  fecero  ordinariamente  la  loro  residenza  i  sommi  Pontefici,  e  vi  fab- 
«  bricarono  un  gran  palazzo ,  innanzi  che  divenissero  nell'anno  1348  pa- 
«  droni  di  Avignone.  Allorché  nell'anno  1274  Filippo  l'Ardito  re  di  Francia, 
«  che  indebitamente  occupava  il  Contado,  ammonitone  dal  P.  Gregorio  X, 
«  ne  rimise  in  pieno  e  assoluto  possesso  la  S.  Sede,  Rinaldo  da  Roveredo, 
€  siniscalco  regio  di  Boaucaire  e  di  Nimos,  a  di  27  gennaio  a  nome  del 
«  Re  fece  la  solenne  consogna  del  Contado  ai  Nunzi!  o  Commissarii  del 
«  Papa  nel  castello  suddetto:  Terram  Veneissini  predictarn j  et  ipsum 
€  castrum  pontis  sorge,  et  per  castrum  idem  terram  prefatam  Vetieis- 
€  sini  totam  restituii,  oc  dimisit  liheram  et  quietam  cum  castris,  etc.  oc 
€  possessionem  ipsorum   omnium  tradidtt  et  assignavit ,  etc. ,   relaxans 

<  omnia  juramenta  fidelitafis ,  et  absoìvens  singidos  ipsius  terre  ah 
e  Jiomagiis,  siqua  dicto  Regi  aut  aliis  quìhuìcumque  ipsius  Regis  nomine 
«  prestitissent,  come  più  ampiamente  apparisce  dal  protocollo  originale  dei 

<  possessi  presisi  allora  del  detto  Contado,  e  dei  giuramenti  di  fedeltà,  che 
«  prostaronsi  alla  S.  Sede,  che  conservasi  in  Archivio  segreto  Vaticano  ». 


NUOVE   OSSERVAZIONI   SOPRA   ALCUNE  MONETE,  ECC.  221 

^  NICOLAVS  •  PP  •  CARTVS  •  (papa  dal  1288  al  1291), 
e  dall'  altro  una  croce  ,  quasi  patente  accantonata 
neir  angolo  inferiore  di  sinistra  da  due  piccole 
chiavi  decussate  con  +  SANCTVS  •  PETRVS  •  (i). 

Domenico  Promis  ha  creduto  di  riconoscere  in 
questa  moneta  la  produzione  primitiva  della  zecca 
del  Venesino,  anteriormente  che  questo  fosse  stato 
eretto  a  Contado;  e  perciò  egli  dice,  che  Nicolò  IV 
volle  vi  fosse  solamente  col  suo  il  nome  di  San 
Pietro,  omettendo  quello  d'  ana  provincia  che  non 
aveva  alcun  titolo;  mentre  sulle  monete  coniate  in 
Italia  da  Benedetto  XI ,  Giovanni  XXII  e  Bene- 
detto XII ,  che  ressero  il  pontificato  nella  prima 
metà  del  secolo  decimoquarto  ,  epperciò  posterior- 
mente a  Nicolò  IV,  se  vedonsi  le  due  chiavi,  hanno 
tutte  Sancii  Petri  patrimonium,  per  indicare  che  fu- 
rono lavorate  nella  provincia  che  porta  tal  nome 
ed  in  Viterbo  capoluogo  di  essa,  a  Oltreché  »  egli 
prosegue  «  questa  moneta  nel  tipo,  peso  e  bontà 
u  è  UGUALE  ad  alcune  monete  emesse  in  questo 
44  contado  dagli  antipapi  Benedetto  XIII  (2)  e  Gio- 
«  vanni  XXIII  (^)  e  dal  le^gittimo  pontefice  Eu- 
genio IV  ". 

La  conclusione  dell'illustre  scienziato,  che  questa 
moneta  possa  essere  la  prima  che  i  Papi  coniassero 
nel  Venesino,  cade  per  le  medesime  sue  osservazioni. 
Come  mai  credere  possiamo  ,  senza  ammettere  uno 
di  quegli  errori  de'  quali  si  hanno  esempì,  che  questa 
moneta ,  che  coniata    esser   dovrebbe    nel  Venesino 


(1)  Vedasi  Tav.  V,  N.  6. 

(2)  Vedasi  Tav.  V,  N.  4. 

(3)  Vedasi  Tav.  V,  N.  5. 


29 


222  VINCENZO  CAPOBIANCHI 


verso  Tanno  1290 ,  e  perciò  di  tipo  ,  peso  e  bontà 
come  quelle  che  in  seguito  vi  si  usarono  coniare,  sia 
UGUALE  invece  ad  alcune  monete  emesse  in  Avignone 
nella  prima  metà  del  quindicesimo  secolo?  È  evi- 
dente che  lo  zecchiero  avignonese  errò  incidendo 
CARTVS  (1)  in  luogo  di  QVINTVS.  Eugenio  IV,  del  quale 
si  ha  moneta  uguale  ,  come  il  Promis  asserisce,  a 
quella  su  cui  ora  ragionasi ,  cessava  di  vivere  a  di 
23  febbraio  del  1446:  ai  6  marzo  dell'anno  seguente 
venivagli  eletto  a  successore  Tommaso  Parentucelli 
da  Sarzana ,  col  nome  di  Nicolò  V ,  a  cui  la  men- 
zionata moneta  indubitatamente  appartiene  (2).  Nes- 
sun' altra  dimostrazione  potrà  meglio  convincere  di 
quanto  ora  venne  indicato  che  l'esame  sui  tipi  e  sulle 
epigrafi  delle  monete  di  quell'epoca. 

Per  ciò  che  si  riferisce  alle  leggende  ed  agli 
emblemi  che  usaronsi  primieramente  stampare  dai 
Papi  sulle  monete  del  Contado  Venesino  si  è  potuto 
osservare  che,  da  Bonifacio  Vili  a  Clemente  VI,  per 
lo  spazio  cioè  di  mezzo  secolo,  tutte  le  monete  d'ar- 
gento e  billione  immancabilmente  portano  i  titoli 
COMITÀTVS  VENASINI  e  COMES  VENÀSINI  ;  cioè  COMITÀTVS 
VENASINI,  quelle  di  Bonifacio  Vili  e  Clemente  V  ; 
COMES  VENASINI  le  altre  di  Giovanni  XXII  e  Cle- 
mente VI  (^):  le  mancanti  appartenendo  invece  a  pro- 


(1)  Un  altro  esempio  della  parola  cartvs  ,  così  scritta ,  si  riscontra 
sopra  un  Grosso  di  Eugenio  IV  battuto  in  Avignone,  che  conservavasi  già 
nella  Collezione  Remedi  di  Sarzana,  indicandoci  questa  identità  di  voce  la 
stossa  zecca  e  forse  lo  stosso  zecchiero;  vedasi  Catalogo  della  CoUeziotie 
Remedi  di  Sarzana  pubblicato  dalllmpresa  di  Vendite  di  Giulio  Sambon. 
Milano,  1884,  pag.  248,  n.  2259. 

(2)  Vedasi  la  Tav.  V,  N.  6. 

(3)  CiNAGLi,  Le  Monete  de^  Papi:  Bonifacio  Vili,  pag.  27,  n.  1,  coitat 
VENASiN.  —  Clemente  V,  pag.  28,  n.  1,  comit,  venasini  ;  n.  2,  com,  veNAX- 


KUOVE   OSSERVAZIONI   SOMlA   ALCtNE  MOKETE,  ECC.  223 


vincie  italiane  soggette  alla  Santa  Sede.  Si  è  osser- 
vato parimenti  come  questi  titoli  cessino  sotto  Cle- 
mente VI  per  essere  sostituiti ,  in  nuovi  tipi  di 
monete,  dal  nome  di  san  Pietro,  ovvero  de'  santi 
Pietro  e  Paolo;  essendo  probabile  che  tale  cambia-, 
mento  avesse  origine  dall'acquisto  del  territorio  e 
città  d'Avignone  fatto  c^a  papa  Clemente  VI,  nel- 
l'anno 1348  (1),  che  formarono  allora  col  Venesino 
una  sola  e  più  vasta  provincia.  Trovansi  adunque 
di  quest'  ultimo  Papa ,  due  tipi  di  monete  ed  in 
maggior  copia  de'  suoi  predecessori. 

I  soli  fiorini  d'  oro  papali  del  tipo  fiorentino  , 
senza  nome  di  Papa,  ma  portanti  quello  di  SÀNT  • 
PETRH  (Sanctus  Petrus),  e  con  i  contrassegni  della 
mitra  ornata  di  due  cerchi  e  della  mitra  semplice  (2), 
i  quali  a  Giovanni    XXII    credevansi    spettare ,  ne 


siNi  (medesima  moneta  della  Colleziono  Raspoli.  Catalogo  della  vendita. 
Roma,  Tip.  Befani,  1886.  Tav.  1,  n.  43,  coit.  venasini).  —  Giovanni  XXII, 
pag.  29,  n.  4,  comes  venasini.  —  Clemente  VI,  pag.  30,  n.  1  o  2,  comes 

VENESI,  0  n.  6,   COMES  VENASINI. 

(1)  Domenico  Promis  errò  nel  riportare  che  «  nel  1340  Avignone  fu 
€  comprata  da  Benedetto  XIII  (sic)  »  citando  Topera  del  Fantoni-Castrucci, 
Istoria  delia  città  di  Avignone  e  del  Contado  Venesino,  pag.  220  (Memoria 
sopra  cit. ,  pag.  30).  Come  parimenti  errò  Vincenzo  Promis  dicendo  che 
«  Avignone  fa  data  nel  1340  a  Benedetto  XII.  »  {Tavole  Sinottiche  sopra 
citato,  pag.  19).  Il  Castrucci  a  pag.  206  narra  invece  che  «  Giovanna,  re- 
«  gina  di  Napoli  e  contossa  di  Provenza ,  ritrovandosi  in  Avignone ,  con 
€  l'assenso  di  Lodovico  di  Taranto  suo  marito  ivi  presente ,  vendè  questa 
«  città  a  Clemente  (VI)  ed  alla  S.  Sede  per  prezzo  di  ottantamila  fiorini 
€  d' oro  realmente  sborsati.  Seguì  la  vendita  a  nove  Giugno  del  1848,  e  la 
<  conferma  della  medesima  a  21  delPistesso  mese  ». 

Notiamo  parimenti  come  Domenico  Promis  (Memoria  cit.  pag.  30)  narri 
che  il  «  Venesino  venne  da  Filippo  il  Bello  re  di  Francia  ceduto  nel  1274 
«  a  papa  Gregorio  X  »,  dicasi  invece  «  Filippo  (III)  l'Ardito  »,  nato  il 
P  maggio  1245,  Re  nel  1270,  morto  il  5  ottobre  1285.  Genealogie  Historique 
de  la  Maison  royale  de  Fmnce.  Paris,  1738.  Tom.  Ili,  T.  XXXIV,  p.  178. 

(2)  CiNAGLi,  Op.,  cit.,  pag.  29,  n.  1  e  2. 


Ó24  VINCENZO  CAPOBIANCHI 


avrebbero  formato  Vunica  eccezione^  se,  nell'anno  1868, 
presso  il  signor  Hoffmann,  noto  negoziante  di  Pa- 
rigi ,  per  avventura  non  avessi  discoperto  un  nuovo 
inedito  tipo,  che,  da  me  acquistato,  passò  dipoi  nella 
celebre  collezione  del  sig.  Marchese  Senatore  Filippo 
Marignoli  (^).  Sopra  un  lato  di  questo  vedesi  l'ima- 
gine,  in  piedi,  di  S.  Giovanni  Battista,  con  attorno  la 
leggenda  S  •  lOHANNES  B  -,  e  per  segno,  a  destra  del 
Santo,  ma  in  alto,  due  chiavette  incrocicchiate  e  le- 
gate: sull'altro  lato,  il  giglio  di  Firenze,  la  leggenda 
COMES  VENSI  (Comes  Venaysmi)  e  due  paia  di  chia- 
vette solamente  incrocicchiate.  Nelle  indagini  da  me 
fatte,  onde  assegnare  un  posto  a  questa  nuova  mo- 
neta, mi  è  sembrato  logico  che  le  monete  d'oro  do- 
vessero seguire  la  stessa  norma  di  quelle  d'argento 
e  billione,  ossia  che,  da  Giovanni  XXII  (che  secondo 
i  documenti  del  Garampi  fu  il  primo,  nel  1322,  che 
ne  ordinò  la  battitura)  a  Clemente  VI ,  dovessero 
portare  il  titolo  COMES  VENÀSINI  ,  cambiato    da   que- 


(1)  Vedasi  la  riproduzione  alla  Tav.  V,  N.  3.  —  Questo  fiorino  venne 
già  da  me  descritto  in  una  Tavola  Sinottica  delle  monete  papali  del  deci- 
moquarto secolo  {Bullettino  di  ^Numismatica  e  Sfragistica  per  la  Storia 
d'Italia,  Voi.  II,  n.  1  e  2  riuniti.  Camerino,  1834,  pag.  9  e  22).  Altri  esem- 
plari di  questo  rarissimo  fiorino  d'oro  vennero  in  seguito  discoperti.  Uno 
eguale  fu  venduto  qui  in  Roma  airEminentissimo  Card.  Bandi,  ed  un  altro 
esemplare ,  ma  di  differente  conio ,  perchè  su  di  esso  leggesi  venesi  in 
luogo  di  VENSI,  fu  acquistato  dal  Sig.  Demole,  Conservatore  del  Gabinetto 
Numismatico  di  Ginevra,  e  pubblicato  dal  Sig.  Laugier,  neWAnntcaire  de 
la  Société  franqaise  de  Numismatique  et  d'Archeologie.  Mai-Juin  1888 , 
pag.  237-38-39.  Il  Sig.  Laugier,  nella  sua  illustrazione,  senza  tener  conto 
dell'epoca  in  cui  venne  introdotto ,  sulle  moneto  venesine,  il  nome  di  San 
Pietro,  assegna  il  fiorino  d'oro  col  nomo  sant.  petrh  e  con  la  mitra  sem- 
plice, a  Giovanni  XXII  ;  1'  altro  col  medesimo  nome  e  la  tiara  ornata  di 
tre  corone  (del  quale  non  mi  riuscì  finora  di  vedere  l'esemplare  effettivo), 
a  Benedetto  XII  ed  infine,  quello  colla  leggenda  comes  venesi,  a  Cle- 
mente VI. 


NUOVE  OSSERVAZIONI  SOPRA  ALCUNE   MONETE,   ECC.  225 

st'ultimo  Papa  nel  nome  di  SÀNCTVS  PETRVS.  Dunque, 
se  l'uso  di  segnare  il  nome  di  san  Pietro  aveva  prin- 
cipiato sotto  Clemente  VI ,  il  fiorino,  con  questo 
nome,  non  pò  tea  appartenere  a  Giovanni  XXII  che, 
tanto  nel  Contado  Venesino  come  in  Italia  nessuna 
moneta  segnava  col  nome  di  questo  Santo,  ma  bensì 
l'altro  nuovo  fiorino  portante  il  titolo  COMES  VENSI, 
che  alla  sua  moneta  d' argento  corrispondeva.  I 
documenti,  che  il  Garampi  pubblicò,  sulla  battitura 
dei  fiorini  papali  nel  Contado  Venesino  e  d' Avi- 
gnone, degli  anni  1322,  1323,  1331,  1344  e  1364  (l), 
mentre  ci  danno  preciso  conto  sul  loro  peso  e 
bontà  che  uguali  esser  dovevano  ai  fiorini  di  Fi- 
renze, nulla  ci  dicono  poi  delle  loro  leggende  ed 
insegne;  però  qualche  notizia  ricavasi  dalla  Provvi- 
sione colla  quale,  nell'anno  1368,  la  Repubblica  Fio- 
rentina, (2)  a  petizione  di  Urbano  V  papa,  contro  gli 
ordini  degli  Statuti  del  Comune  di  Firenze  ,  dava 
licenza  u  Nobili  Viro  Amar  io  de  Gianfiliazzis  Civi 
u  Fiorentino  Magistro  monetarum  D.  Pape  »  di  bat- 
tere fiorini,  i  quali  esser  doveano  stampati  a  sub  vel 
u  cum  imagine  S.  Johannis  Baptiste,  vel  Lilio^  vel  alio 
u  signo,  vel  Conio  Communis  Florentie ,  dum  tura  in 
u  ipsis  Florenis^  et  quolibet  ipsorum  sit  impressio  evi- 
u  dentium  litterarum,  seu  sigmim  Mitrie  PapaliSy  per 
u  quod  appareat  non  esse  Florenos  de  Florentia ,  et 
u  quod  in  ipsi  Florenis  non  sint  scripte,  seu  sculpte  he 
u  lictcre  de  Florentia  ",  dimostrandosi  con  questo  la 
giustezza  delle  osservazioni    fatte  che  ci    portarono 


(1)  Garampj,  Op.  cit.,  App.  di  Docum.,  pag.  9,  12,  16,  20  e  39. 

(2)  Orsini,   Storia   Mie  monete  della  Repubblica  Fiorentina.  Pa- 
gina XXXVIII. 


226  VINCENZO  CAPOBIANCHI 


a  ritenere  come  i  fiorini  papali  d'  oro ,  col  contras- 
segno della  mitra^  e  perciò  col  nome  SÀNT  PETRH,  fos- 
sero di  più  recente  battitura  che  quelli  col  titolo 
COMES  VENSI  (1). 

Le  chiavi  incrocicchiate  ad  x  sono  l'insegna  del 
Sommo  Pontefice  e  della  S.  Sede  :  disposte  in  questa 
guisa,  appariscono  per  la  prima  volta  sopra  le  monete 
di  Clemente  V  (1305-1314),  battute  nel  Contado  Vene- 
sino,  allorché  la  Sede  Pontificia  venne  colà  trasferita  ;. 
ne  è  improbabile  che  vi  fossero  rappresentate  cosi, 
onde  distinguere  le  nuove  monete  che  battevansi  in 
quel  Contado,  da  quelle  del  Patrimonio  di  S.  Pietro 


(1)  GriovANNi  Villani  nello  suo  Istorie  Fiorentine.  Lib.  IX,  cap.  CLXIX 
così  scrive:  <  Noi  dotto  tempo  e  anno  (1322)  papa  Giovanni  foce  faro  in 
«  Avignone  una  nuova  moneta  d'oro  fatta  del  peso  e  lega  e  conio  del  fio- 
<  rino  d'oro  di  Firenze  senza  altra  intrasegna,  se  non  che  dal  lato  del 
«  giglio  diceano  lo  lettere  il  nome  di  papa  Giovanni  ».  Al  Cap.  CCLXXVIIl 
del  medesimo  libro,  ripetendo  la  medesima  cosa,  dice  invece  :  «  Nel  detto 
«  anno  (1324)  e  mese  di  dicembre  papa  Giovanni  foco  fare  il  fiorino  a 
«  lega  e  conio  di  quelli  di  Firenze,  o  non  vi  avea  altra  differenza,  so  non. 
«  che  dal  lato  dell'impronta  di  Santo  Giovanni  diceano  le  lettore  papa  Gio- 
«  VANNI  e  per  intrasegna  di  costa  a  Santo  Giovanni  una  mitra  papale  o 
«  dal  lato  del  giglio  diceano  le  lotterò  Sanctvs  Petrvs  Sanctvs  Pavlvs.  » 

Il  Vettori,  {Il  Fiorino  d'oro  antico  illustrato,  pag.  25)  osserva  ,  cho 
descrivendo  il  Villani  queste  monete,  e  dicendo ,  che  il  Papa  foco  incidere 
il  suo  nome  intorno  al  giglio,  egli  è  facile,  come  ognuno  può  persuadersi,  cho 
abbia  preso  qualche  equivoco,  tanto  più  che  nel  secondo  luogo  scrivo  tutto 
all'opposto,  dicendo  cho  il  Papa  fece  incidere  il  suo  nome  intorno  alPima- 
gine  del  S.  Giovanni,  e  dalla  parto  del  giglio  i  nomi  dei  santi  Pietro  e 
Paolo.  Che  equivoco  esista  nella  notizia  del  Villani  è  evidente  perchè  in 
tutto  lo  riproduzioni  dei  fiorini  d'oro,  dal  lato  ove  è  V  imagino  di  S.  Gio- 
vanni, la  leggenda  è  sempre  s. Johannes,  b.;  ad  onta  di  questo  non  è 
improbabile  cho  nelle  due  descrizioni  il  Villani  voglia  intenderò  di  duo 
diversi  fiorini  battuti  in  due  differenti  e  più  distanti  epoche ,  come  i  do- 
cumenti di  zecca  co  ne  danno  indiscutibile  prova ,  ed  allora  su  quel  fio- 
rino «  cho  dal  lato  del  giglio  diceano  lo  lettore  il  nomo  di  papa  Giovanni  » 
avrebbero  detto  invece  il  titolo  di  papa  Giovanni,  comes  venasini  ,  e  per 
l'altro,  abbonchè  inesattamente  da  lui  descritto,  purnondimeno  tanto  vi  ha 
da  potervi  riconoscerò  il  tipo  o  le  leggende  di  quelli  fino  ad  ora  noti. 


NUOVE   OSSERVAZIONI   SOPRA    ALCUNE   MONETE,   ECC.  227 

in  Tuscia,  che  le  avevano  disposte  invece  vertical- 
mente e  parallele.  Fa  cosi  a  cuore  ai  Sommi  Pon- 
tefici questa  nuova  Insegna,  che  ne  vollero  fregiare, 
eccetto  qualche  raro  esempio,  tutte  le  monete  del 
Contado  Venesino  e  d'Avignone,  delle  quaU  furono 
l'emblema  ed  il  contrassegno  speciale.  Le  chiavi  in 
croce,  unite  alla  tiara,  ornarono  sempre  in  seguito 
lo  stemma  dei  Pontefici. 

Sulla  moneta  papale,  volgarmente  dettsipaparma, 
che  battevasi  nel  Patrimonio  di  S.  Pietro  in  Tuscia, 
è  da  notarsi  che,  sebbene  innumerevoli  siano  gli 
esempì  che  ne  appariscono  sui  registri  della  Curia 
di  questa  provincia,  purnondimeno  il  Card.  Garampi  (l) 
fu  il  primo  a  darne  esatto  conto,  ignorandosi  dagli 
scienziati  perfino  che  specie  essa  fosse!  Egli  ci 
fé  conoscere  a  essersi  primieramente  denominata 
u  paparina  la  moneta  che,  poco  dopo  la  metà  del 
u  XIII  secolo,  i  romani  Pontefici  fecero  battere  nel 
«  Patrimonio  di  S.  Pietro  «;  ce  ne  indicò  il  valore 
nelle  diverse  epoche,  e  come  verso  l' anno  1270 
vi  fosse  corrente.  Appartengono  a  Benedetto  XI 
(1303-1304)  le  prime  monete  segnate  col  nome  di 
Papa  ;  ed  è  verosimile  che  in  ciò  si  seguisse  l'esempio 
del  predecessore  Bonifacio  VIII  che,  per  primo,  aveva 
fatto  porre  il  proprio  nome  su  i  nuovi  paparini  da 
lui  fatti  battere  nel  Contado  Venesino. 

Non  sono  note  Ordinazioni  di  questa  zecca, 
anteriori  al  1300;  se  ne  hanno  in  seguito  di  Gio- 
vanni XXII,  degli  anni  1321  (2)  e  1334  (3);  di  Bene- 


(1)  Garampi,  Op.  cit.,  App.  di  Docura.,  p.  8,  nota  4. 

(2)  Theiner,  Cod.  diplom,  Vat.  Tom.  I,  pag.  504,  dclxix, 

(3)  Idem,  Tom.  I,  pa^.  606,  dcclxxvii. 


228  VINCENZO   CAPOBIANCHI 


detto  XII,  del  1337  (i),  spedite  da  Avignone,  e  di  Ur- 
bano VI,  del  1389  (2),  da  Roma. 

Le  chiavi  verticali,  parallele  ed  in  senso  opposto, 
che  veggonsi  su  questa  moneta,  sono  1'  emblema,  il 
vessillo  del  Patrimonio  di  S.  Pietro;  le  chiavi  cosi 
disposte  furono  scolpite  sopra  tutte  le  monete  papali 
ivi  battute  nel  XIII  e  in  parte  del  XIV  secolo;  né  mai 
sulla  moneta  portante  quest^emblema  trovasi  l'altro 
delle  Chiavi  incrocicchiate.  Le  monete,  con  le  Chiavi 
del  Patrimonio,  haijno  l'epigrafe  BEATI,  SANCII  ovvero 
DIVI  RETRI  PATRIMONIVM,  che,  sulle  monete  di  Bene- 
detto XI  e  Benedetto  XII,  leggesi  attorno  alle  chiavi  ; 
sopra  quelle  di  Giovanni  XXII ,  sul  lato  opposto, 
ove  è  rappresentata  la  croce,  e  sopra  quelle  mancanti 
del  nome  del  Papa  è  divisa  metà  per  lato,  principiando 
ove  trovansi  rappresentate  le  chiavi. 

Per  ultimo,  le  chiavi  disposte  nella  medesima 
guisa,  come  sulle  monete  del  Patrimonio  di  S.  Pietro, 
furono  egualmente  impresse  sopra  alcune  piccole 
monete,  che  batteronsi  in  Avignone  nella  prima  metà 
del  XV  secolo  ;  della  qual  cosa  ignorasi  la  ragione. 
Le  chiavi  sopra  queste  monete  stanno  sul  lato,  ove 
è  scritto  il  nome  del  Papa,  e  sull'opposto  nell'area 
è  scolpita  una  croce  accantonata  o  da  un  simbolo 
araldico ,  come  sulla  moneta  dell'  antipapa  Bene- 
detto XIII,  o  più  comunemente  da  due  chiavette 
incrocicchiate,  come  ben  vedesi  su  quella  di  Gio- 
vanni XXIII  e  sopra  l'altra,  della  quale  ora  ragio- 
nasi, portante  il  nome  di  Nicolò  IV:  intorno  alla 
croce  poi  tutte  portano  le  parole  '-  +  •  SANCTVS  PETRVS, 


(1)  Idem,  Tom.  I,  pag.  20,  xxxix. 

(2)  Idem,  Tom.  II,  pag.  617,  dcl. 


NUOVE  OSSERVAZIONI  SOPRA   ALCUNE   MONETE,  ECC.  229 


e  la  crocetta  in  alto  trovasi  fra  quattro   punti,   ov- 
vero cerchietti. 

Da  questo  esame  sulF  epigrafi  e  sugli  emblemi 
delle  monete  Venesine,  Avignonesi  e  del  Patrimonio 
di  S.  Pietro,  più  palese  appare  l'errore  esistente  sulla 
moneta,  creduta  da  Domenico  Promis  spettare  a  Ni- 
colò IV,  papa  dal  1288  al  1291. 

1.°  Per  appartenere  a  questo  Papa  ed  alla 
zecca  Venesina,  questa  moneta  avrebbe  dovuto  por- 
tare  il    nome   della    provincia  COMITÀTVS  VENASINVS. 

2."  Essa  non  dovrebbe  avere  SÀNCTVS  PETRVS, 
che  non  fu  usato,  sulle  monete  Venesine  d'argento  e 
billione,  prima  di  Clemente  VI,  eletto  papa  nel  1342. 

8.°  Non  dovrebbe  egualmente  avere  le  chiavi 
incrocicchiate,  non  trovandosi  così  rappresentate  in 
quell'epoca  ;  anzi,  a  questo  riguardo,  per  un  identico 
errore  di  numero  che  appare  sopra  una  moneta  di 
Martino  V,  pubblicata  dall'  Argelati  e  da  esso  pre- 
sentata come  moneta  di  Martino  IV  (papa  dal  1281 
al  1285),  perchè  vi  si  leggeva  QVÀRTVS  in  luogo  di 
QVINTVS,  il  Cinagli  escludendola,  giustamente  dice  0) 
u  che  più  d'  ogni  altro  riflesso  è  osservabile  avere 
«  questa  moneta  le  chiavi  decussate^  le  quali  non  tro- 
u  vansi  mai  usate  prima  di  Clemente  V  (1305)  v. 

4.°  Infine,  perchè  questa  moneta  porta  le  chiavi 
verticali  e  parallele,  che  mai  ebbero  le  Venesine  ;  ma 
solamente  alcune  monete  Avignonesi ,  non  prima 
dell'antipapa  Benedetto  XIII  (1394). 

Ed  ora  ci  sia  permesso  il  paragone  fra  la  mo- 
neta dai  Promis  assegnata  a  Nicolò  IV  e  l' altra 
ricusata  a  Bonifacio  Vili,  sulla  quale  ultima   diremo 


(1)  Cinagli,  Op.  cit.,  pag.  27,  nota  n.  1. 

3o 


230  VINCENZO  CAPORIANCHI 


che,  se  anche  in  nessun  conto  si  volessero  tenere  e 
i  documenti  pubbhcati  dal  Garampi  e  la  perfetta 
somiglianza  di  tipo,  coll'Obolo  di  denaro  battuto 
da  Clemente  V  W,  la  sua  singolare  epigrafe  era  per 
se  medesima  bastevole  a  provare  l'errore  nel  quale 
essi  incorrevano.  Ed  infatti,  a  quale  altro  Papa,  se 
non  a  Bonifacio  Vili  residente  in  Roma  e  rappre- 
sentato nel  Contado  Venesino  dal  Rettore  da  esso 
eletto,  poteva  quell'epigrafe  spettare?  Moneta  DOMINA 
BOnifacii  PAPE  —  CQmMt^Jus  VENAISSINf.  Ciò  nono- 
stante, essi  sostennero  che  questa  moneta  non  gli 
apparteneva  per  la  ragione  che  u  il  Venesino  non  fu 
«  eretto  in  contado  che  dal  suo  successore  (Cle- 
a  mente  V)  con  Breve  del  1309  »  C^)  citando  l'opera 
del  Castrucci,    ove    questo    troverebbesi    riprodotto. 

Orbene  ,  il  Breve  dai  Promis  citato  nulla  con- 
tiene che  affermi  la  loro  asserzione,  ma  ne  risulta 
soltanto  la  nomina  di  Raimondo  di  Guilliermo  signore 
di  Rudos  a  Rettore  (3). 

In  quanto  poi  all'epoca  in  cui  il  Venesino  abbia 
principiato  a  godere  il  titolo  di  Contado ,  il  citato 
Castrucci  cosi  si  esprime  W:  u  Alcuni  sentono,  che 
«  il  paese  del  Venesino,  fino  al  tempo  di  Clemente  V, 
«  non  godesse  del  titolo  di  Contea ,  come  non  con 
a  leggieri  fondamenti  si  è  riferito  nel  primo  libro. 
«  Questo    Pontefice  si  crede  ,   lo  illustrasse    con    la 


(1)  Vedasi  la  Tav.  V,  N.  2. 

(2)  Domenico  Promis,  Meraor.,  cit.,  pag.  30.  Leggasi  il  tosto  e  la  nota. 

(3)  Fantoni-Castrvcci  ,  Op.  cit. ,  pag.  161,  §  22.  Il  Breve  è  diretto  : 
«  Dilecto  filio  Nobili  viro  Rayìnundo  Guillermi  Doìnino  de  Rudos  in  tem- 
«  poralibm  Comitatus  Venayssini  Rectori  sahitem,  et  Apostolicam  bene- 
«  dictionem,  etc.  v, 

(4)  Idem,  pag.  161,  §  21, 


NUOVE  OSSERVAZIONI  SOPRA   ALCUNE  MONETE,  ECC.  231 


«  prerogativa  del  titolo,  ed  onor  Contale;  bastevol- 
u  mente  indicandolo  le  monete  d'argento,  che  egli 
a  fè  battere,  ed  oggi  ancor  si  conservano,  nelle  quali 
a  si  fè  scolpire  col  titolo  di  Conte  del  Venesino, 
u  Comes  Venesini  « .  E  quanto  ci  riferisce  il  Castrucci, 
abbenchè  non  interamente  conforme  al  vero,  perchè 
non  è  sulle  monete  di  Clemente  V  che  appare 
scritto  il  titolo  COMES ,  ma  bensì  su  quelle  del  suo 
successore  Giovanni  XXII ,  altro  non  è  che  sem- 
plice congettura. 

Il  Card.  Garampi,  che  più  estese  e  certe  notizie 
potè  attingere  da'  Protocolli  originali  dei  possessi 
presi  del  Contado  Venesino,  che  conservansi  nel- 
l'Archivio segreto  Vaticano,  non  solamente  ci  dice 
che,  sotto  Bonifacio  Vili  quella  terra  aveva  già  il 
titolo  di  Contea,  ma  avevalo  eziandio  nel  1274, 
quando,  a  richiesta  di  Gregorio  X,  Filippo  l'Ardito 
re  di  Francia  ne  rimise  in  assoluto  e  pieno  pos- 
sesso la  S.  Sede  e  lo  narra  con  le  seguenti  parole  (^): 
a  Rinaldo  da  Roveredo  Siniscalco  Regio  di  Beau- 
tt  caire  e  di  Nìmes  a  dì  27  gennaio  a  nome  del 
u,  Re  fece  la  solenne  consegna  del  contado  a'  Nunzi 
a  e  Commissari  del  Papa  nel  Castello  del  Ponte  della 
u  Sorga,  » 

Vincenzo  Capobianchi. 


(1)  Garampi,  Op.  cit.,  App.  di  Docam.  pag.  10,  nota  n.  4. 


SOLDINO  ASTIGIANO  INEDITO 

DI 

CARLO     QUINTO 


Le  monete'coniate  in  Asti  a  nome  di  Carlo  V, 
durante  il  breve  lasso  di  tempo  in  cui  egli  tenne  la  si- 
gnoria di  quella  città,  cioè  dal  1529  al  1531,  sono 
scarsissime  :  l'illustre  Domenico  Promis  non  potè  pub- 
blicarne che  quattro  soleW,  una  quinta  ci  venne  fatta 
conoscere  dal  chiaro  e  compianto  di  lui  figlio  Vin- 
cenzo (2),  due  altre  infine  sarebbero  state  aggiunte  alla 
serie  da  Carlo  Kunz  (3),  se,  cosa  singolare  in  quel  dili- 
gentissimo  indagatore,  non  gli  fosse  sfuggito  che  una 
di  esse,  quella  da  lui  data  come  inedita  al  n.  10, 
era  già  stata  pubblicata  da  D.  Promis  W. 


(1)  Monete  della  zecca  d'Asti.  Torino  1853  (Tav.  VI,  nn.  11  e  12,  o 
Tav.  Vn,  n.  1).  —  Monete  e  medaglie  italiane,  Torino,  1873  (Tav.  I,  n.  3). 

(2)  Monete  di  zecche  italiane^  inedite  o  corrette.  Memoria  quarta.  To- 
rino, 1882  (Tav.  II.  n.  17). 

(3)  Monete  inedite  o  rare  di  zecche  italiane.  Asti.  Noli'  Archeografo 
Triestino,  1884,  Voi  X,  nn.  9  e  10  della  Tavola). 

(4)  Nella  seconda  dello  ricordate  Memorie,  compresa  nel  Tomo  XIII 
della  Miscellanea  di  Storia  Italiana  edita  per  cura  della  E.  Deputazione 
torinese  di  Storia  Patria. 


SOLONE  AMBROSOLI 


Rimarrebbero  quindi,  in  tutto,  sei  monete,  al- 
meno per  quanto  è  a  mia  cognizione;  una  settima 
sarebbe  la  seguente,  che  ho  acquistata  non  ha  guari 
per  il  Gabinetto  di  Brera: 

Soldino.  Mistura.  Peso,  grammi  1,70. 
^  _  (^Piccola  torre)  .  KROLVS  •  QVIN?    IMPERATO 

Arme  senza  corona,  entro  cercliio  di  perline. 
9I    —  {Piccola  torre)  .  SANTA  •   INTERCEDE  •  PRO  •  NO  • 

Croce  filettata  e  fogliata,  entro  cerchio  e.  s. 

Un  altro  esemplare,  di  cui  mi  fu  concesso  il 
confronto  per  la  molta  cortesia  del  suo  possessore 
Cav.  Giuseppe  Fantaguzzi,  R.  Ispettore  degli  Scavi 
e  Monumenti  in  Asti,  differisce  leggermente  nelle 
leggende,  avendo  QVINTVS  in  tutte  lettere,  e  PRO  • 
NOBI  •  invece  di  PRO  •  NO  •  Il  peso  non  ne  è  che  di 
grammi  1,20,  ma  si  tratta  di  un  esemplare  alquanto 
negligentemente  coniato  e  mancante  inoltre  di  un 
frammento  delForlo. 

A  dir  vero,  la  suddescritta  monetina  non  reca 
indicazione  alcuna  per  poterla  assegnare  alla  zecca 
d'Asti,  e  si  trova  per  questo  riguardo  in  condizioni 
assai  peggiori  del  testone,  del  mezzo  testone  e  del  ca- 
vallotto editi  da  D.  Promis  nella  prima  sua  Memoria, 
a  proposito  dei  quali  egli  già  notava  :  u  In  tutte 
«  queste  monete,  le  sole  che  si  conoscano  di  Carlo  V, 
«  esso  assume  solamente  il  titolo  d' Imperatore,  e 
a  mai  quello  di  signore  d'  Asti,  e  dal  solo  rovescio 
u  si  conoscono  appartenere  a  quella  città.  "  W.  Qui 


(1)  Mi  si  permetta  un'osservazione  incidentale.  II  mezzo  testone  pubbli- 
cato dal  Promis  è  battuto  evidentemente  col  rovescio  della  moneta  franco- 
-astigiana  anonima  da  lui  attribuita  a  Lodovico  XII.  Questa  circostanza, 


SOLDINO  ASTIGIANO  INEDITO  DI  CARLO  QUINTO  235 

invece^  non  solo  manca  il  titolo  di  signore  d'  Asti, 
ma  anche  il  rovescio  non  presenta  che  una  croce  con 
una  semplice  invocazione  religiosa.  Questa,  tuttavia, 
basterà  nel  nostro  caso  a  determinare  l'attribuzione. 
Infatti,  se  l'aspetto  generale  della  monetina,  le  par- 
ticolarità del  lavoro,  e  sopratutto  la  forma  caratteri- 
stica della  croce,  indicano  chiaramente  che  questo 
pezzo  è  di  fattura  italiana,  che  anzi  dev'esser  uscito 
da  qualcuna  delle  nostre  zecche  dell'  Italia  Setten- 
trionale, questa  zecca  ci  vien  rivelata  dalla  circostanza 
che  la  stessa  invocazione  alla  croce  si  legge  nel  sol- 
dino astigiano  di  Francesco  I.  Ammessa  come  ragio- 
nevole ipotesi  la  pertinenza  alla  zecca  d'Asti,  sarà  fa- 
cile convincersi  che  tutti  i  caratteri  della  monetina 
concorrono  a  ribadire  quest'attribuzione;  e  si  potrà 
poi  concludere  più  precisamente  che  si  tratta  per 
l'appunto  di  un  soldino  astigiano,  battuto  a  nome  di 
Carlo  V,  moneta  tuttora  inedita,  per  quanto  mi  sappia. 
L'attribuzione  ad  Asti  è  ritenuta  ammissibile  anche 
dal  eh.  Cav.  Fantaguzzi,  il  quale  gentilmente  m'in- 
forma inoltre  che  il  Comm.  E.  Maggiora  Vergano 
divideva  pure  tale  opinione. 

Mi  rimane  soltanto  da  combattere  preventiva- 
mente un'  obbiezione  ,  che  forse  qualcuno  potrebbe 
elevare  basandosi  su  di  un'apparente  minuzia,  la 
quale,  esaminata  dappresso,  sembra  assumere  ad  un 
tratto  le  proporzioni  di  un  ostacolo  non  trascurabile. 


ma  più  ancora  il  motto:  Soli  Deo  trino  et  uni  gloria,  che  si  ì^^gQ  su 
quella  moneta  anonima,  e  che  non  si  trova  sulle  monete  di  quel  re  ma  bensì 
su  quelle  del  suo  successore,  mi  inducono  a  ritenere  che  essa  non  debba 
attribuirsi  a  Lodovico  XII  ma  a  Francesco  I,  l'immediato  antecessore  di 
Carlo  V  nella  signoria  d'Asti, 


236  SOLONE  AMBROSOLI 


Voglio  alludere  alla  piccola  torre  che,  su  ciascun  lato 
elei  nostro  soldino,  si  trova  al  principio  della  leggenda. 

Questa  piccola  torre  si  vede  anche  su  alcune 
monete  di  Giovanna  e  Carlo,  e  di  Carlo  solo,  attri- 
buite, ora  alla  Spagna,  ora  alle  Due  Sicilie  (i),  e  co- 
stituisce una  difficoltà  anche  per  1'  Heiss,  il  quale 
osserva  che  potrebbe  essere  un  segno  di  zecca  {un 
castillo  qice  podria  ser  la  sehal  del  taller  de  acimacwn), 
aggiungendo:....  confesamos  no  haherlo  hallado  (trovato) 
en  ningun  documento  castellano.  La  "inarca  de  la  casa 
de  moneda  de  Tournai  (nei  Paesi  Bassi)  es  un  castillo  ; 
pero  este  establecimiento  no  labro  (lavorò)  moneda  desde 
1501  hasta  1577  ;  es  decir ,  durante  lodo  el  reinado 
de  Carlos  V.  Tampoco  (neppure)  se  conoce  el  castillo 
corno  marca  de  un  lugar  (luogo)  de  acunacion  en  la 
sèrie  siciliana;  e  conchiude:  por  todo  lo  que  antecede 
no  titubeamos  en  clasiflcarlas  (le  dette  monete)  comò 
de  la  sèrie  castellana,  aunque  no  nos  sea  posible  por 
ahora  a  firmar  a  cual  de  los  taller  es  (zecche)  de  Espaha 
pertenecen  (2). 

A  questo,  veramente,  si  può  opporre  che  il  Ge- 
nerale Cocheteux,  in  un  importante  articolo  comparso 
nella  Revue  de  la  Numismatique  Belge  (3),  pubblicò  una 
corona  d'oro  di  Carlo  V,  col  segno  di  zecca  della  torre, 
e  dimostrò  con  brillante  e  stringente  argomentazione 
che  tale  moneta  doveva  essere  uscita  dalla  zecca  di 
Tournai  ;  ipotesi  confermata  poi  splendidamente  dalla 


(1)  Heiss  (Aloiss),  Descripcion  general  de  las  monedas  hispano-cri- 
stianas  desde  la  invasion  de  los  Arabes.  Madrid,  1865.  Tomo  I,  tav.  27, 
nn.  1-3;  Tomo  II,  tav.  125,  nn.  1,  7,  8,  e  tav.  127,  nn.  30  e  34. 

(2)  Heiss,  Tomo  I,  pag.  149. 

(3)  De  la  lìwnnaie  de  Tournai  de  1498  à  1578,  à  propos  d'une  cou- 
ronne  d'or  de  Charles-Quint  (E.  de  la  N.  B.,  2*  Serie,  Tomo  V,  1856). 


SOLDINO  ASTIGIANO   INEDITO   DI   CARLO   QUINTO  237 

scoperta  di  un'  altra  corona  simile,  die  ,  oltre  alla 
torre,  ha  Tabbreviatura  del  titolo  della  signoria:  D  • 
T  •  (J)ominiis  Tornaci)  0).  È  dunque  assodato  che 
durante  il  regno  di  Carlo  V  la  zecca  di  Tournai 
coniò  moneta,  quantunque,  come  giustamente  con- 
clude il  Conte  de  Nédonchel  in  un  suo  studio  rias- 
suntivo sull'attività  di  quell'officina  (2),  ciò  non  sia 
accaduto  che  tout  à  faìt  exceptionnellement.  Dal  punto 
di  vista  meramente  storico,  non  sarebbe  quindi  as- 
surdo il  supporre  che  tanto  quelle  otto  monete 
pubblicate  dall'Heiss  quanto  il  nostro  soldino  siano 
stati  coniati  a  Tournai.  Ma  il  tipo  e  la  fattura  del 
soldino  sono  cosi  evidentemente  italiani  da  escludere 
per  esso  a  priori  la  possibilità  di  un'attribuzione  a 
qualche  zecca  straniera. 

Credo  perciò  che  in  queste  monete  la  piccola 
torre  non  abbia  il  valore  d'  un  segno  di  zecca,  ma 
sia  stata  posta  come  ornamento  o  simbolo,  sempli- 
cemente perchè  la  torre  {el  castillo)  è  lo  stemma  di 
Castiglia.  Essa  non  avrebbe  insomma  un  significato 
diverso  da  quello  della  piccola  biscia  che  si  vede 
al  principio  della  leggenda  in  alcune  monete  dei 
Visconti  e  degli  Sforza,  oppure  del  giglio  che  si 
osserva  in  altre  di  Lodovico  XTI  e  di  Francesco  I 
per  Milano  e  specialmente  per  la  stessa  Asti. 

Solone  Ambrosoli. 


(1)  NÉDONCHEL   (C.t«de),  Couronne  d^  or  de    Charles- Quint,  seigneur 
de  Tournai  (E.  de  la  N.  B.,  4*  Serie,  Tomo  II,  1864). 

(2)  Smnmaire  historique  de  la   Numismatique   tournaisienne  (Reme 
Belge  de  Num.,  1882.) 


3i 


GIACOMO  BANNISSIO 


(Tav.  VI,  N.   1). 


Nei  Médailleurs  Italiens  dell' Armand,  che  vo- 
glionsi  riputare  1'  opera  più  dotta  non  solo  ,  ma  la 
più  completa  intorno  alle  medaglie,  coniate  dagli 
artefici  italiani  ne' secoli  XV  e  XVI,  io  ho  cercato 
indarno  notizie  e  ragguagli  d'  un  cimelio  de'  primi 
anni  del  cinquecento  ;  ho  cercato  indarno  l'illustra- 
zione d'una  medaglia,  la  quale  fa  parte  della  colle- 
zione numismatica  del  Museo  Civico  di  Vicenza.  Il 
suo  diametro  è  di  sessantotto  millimetri  e  il  conio 
di  cosi  squisita  fattura  da  gareggiar,  se  non  erro,  con 
le  opere  degli  artefici  più  insigni  del  secolo  XVI. 
Nel  diritto  raffigurasi  il  busto  d'un  uomo  nel  pieno 
della  virilità ,  senza  barba ,  vestito  di  pelliccia,  coi 
capelli  lisci  e  la  testa  coperta  di  berretto.  Vi  si  legge 
all'ingiro:  lACOBVS  •  BÀNNISSIVS  •  DÀLMATA  •  CAES  •  MAX  • 
A  •  SECRETIS  •  Rappresentasi  nel  rovescio  l'imperatore 
Massimiliano  in  trono,  coperto  da  baldacchino  e  fre- 
giato in  un  fianco  dall'  aquila  a  due  teste.  Ha  la 
corona  in  capo,  lo  scettro  nella  destra,  il  globo,  sor- 
montato dalla  croce,  nella  sinistra,  e  i  piedi  poggiati, 
quasi  in  atto  di  conculcazione,  sovra  un  leone  sco- 
raggiato e  dimesso.  Stagli,  prostrato  davanti,  un  indi- 
viduo in  toga  che  ha  tra  le  mani  un  diploma  spiegato. 
Il  campo  è  circondato  dalla  leggenda:  DIVVS  •  MAX  • 
DIVI  •  FRI  •  F  •  ITAL  •  GERMA  •  GALL  •  PANNONI  •  MAXI  • 


240  BERNARDO  MORSOLlN 


Giacomo  Bannissio ,  come  appare  anche  dalla 
leggenda,  scolpita  nel  diritto  della  medaglia ,  era 
dalmata.  Il  Le  Griay  dichiara  ,  per  di  più  ,  eh'  egli 
nasceva  nell'isola  di  Curzola  nel  1466  (i).  Dove  fosse 
educato  e  per  quali  vie  entrasse  nelle  grazie  dell'im 
peratore  Massimiliano  I,  non  è  dato  conoscere.  Di  lui 
come  di  valente  diplomatico,  si  hanno  però  le  testimo 
nianze  nella  trattazione  d'alcuni  difficili  negoziati 
occorsi  durante  il  periodo  delle  guerre,  suscitate  dai 
Confederati  a  Cambrai.  È  notevole,  sopratutto,  l'opera 
prestata  dal  Bannissio  presso  la  corte  di  Londra,  in 
qualità  d'  orator  dell'  Impero  verso  il  1515  :  opera 
della  quale  è  frequente  parola  nei  Diari  di  Marino 
Sanuto.  La  medaglia  ricorda  che  l'egregio  uomo  fu 
inoltre  cancelliere,  o  segretario  di  Massimiliano:  ciò, 
che  risulta  anche  dalla  pubblicazione  del  Le  Glay  (2), 
dalla  grand'  opera  del  Sanuto  (^)  e  da  una  infor- 
mazione ,  affidata  a  Giangiorgio  Trissino ,  quando 
da  Augusta ,  ov'  erasi  intrattenuto  nunzio  del  pon- 
tefice Leone  X,  ritornavasi  a  Roma  orator  dell'  Ln- 
pero  W.  Dire  poi  in  che  anno  fosse  assunto  all'ono- 
revole uffizio  ,  non  è  certo  cosa  facile  a  definirsi. 
L'età  troppo  immatura,  di  ventidue  anni,  mi  dis- 
suade dal  credere  ch'egli  potesse  succedere  a  Nicolò 
Ruter,  morto  nel  1509,  il    quale    fu    cancelliere    di 


(1)  Le  Glay,  Négociations,  etc.  Tomo  II,  pag.  40.  Paris  1845. 

(2)  Le  Glay,  Op.,  cit.  Tomo  I,  pag,  303  o  Tomo  II,  pag.  40. 

(3)  Sanuto,  Diari   Tomo   XXIV,  pag.  670  o  Tomo  XXVI,  pag.  434. 
Venezia,  1889. 

(4)  MoRSOLiN,  Giangiorgio  Trissino.  Doc.  XXIX,  pag.  468.  Vicenza,  1878. 


GIACOMO    BANNISSIO  241 


Massimiliano  dal  1480  al  1488  e  Vescovo  d'Arras 
nel  1501  (i).  È  certo  soltanto  che  rufficio  di  cancel- 
liere tene  vasi  già  da  lui  sin  dal  1509  (2),  né  smette  vasi 
in  onta  ad  altri  carichi  diplomatici,  sino  alla  morte 
di  Massimiliano,  avvenuta  nel  1519  O"^).  E  nel  1519  en- 
trava egli  nell'anno  cinquantesimo  terzo  dell'età  sua. 

* 
*  * 

Che  la  medaglia  si  coniasse  in  onore  del  Ban- 
nissio,  non  vi  ha,  mi  pare,  alcun  dubbio.  Lo  attesta 
apertamente  il  diritto,  che  ne  reca  l'effìgie,  del  pari 
che  la  leggenda,  incisavi  all'ingiro.  Non  con  altret- 
tanta sicurezza  si  può  fissare  1'  occasione  e  diciamo 
anche  il  motivo,  per  il  quale  si  ebbe  essa  a  coniare. 
Dalla  menzione  di  segretario  ,  che  si  fa  nella  leg- 
genda del  diritto,  potrebbesi  forse  congetturare  che 
vi  si  volesse  ricordare  la  promozione  del  Bannissio 
a  queir  ufficio.  E  la  congettura  si  avvalorerebbe 
anche  da  un  particolare  del  rovescio.  Badisi  che 
r  individuo  ,  in  toga ,  prostrato  davanti  a  Massimi- 
liano ,  assomigliasi  di  molto  al  Bannissio ,  che  si 
raffigura  nel  diritto.  Non  diversi  vi  si  presentano  il 
profilo  del  volto,  la  foggia  dei  capelli  e  le  rovescie 
della  toga,  identiche  a  quelle  d'  una  pelliccia.  Ag- 
giungasi che  r  individuo  prostrato  sostiene  con  le 
mani  un  quaderno  co'  sigilli  pendenti,  somigliantis- 
simo a  un  diploma.  Ma  questa  non  è  ,  ripeto  ,  che 
una  semplice  congettura.  E  la  congettura  stessa  non 


(1)  Armano,  Les  Médailleurs  Italiens.  Tomo  II,  pag.  81.  Paris  1883. 

(2)  Le  Glay,  Op.,  cit.  Tom.  I,  pag.  303. 

(3)  Sanuto,  Diari.  Voi.  XXVT,  pag.  cit. 


242  BERNARDO  MORSOLIN 


va  suffragata  per  intero  dall'  insieme  del  rovescio. 
Parrebbe  farle  contro  un  particolare  di  non  vano 
momento. 

* 

•  Ho  già  detto  che  dai  piedi  di  Massimiliano  si 
conculca  un  leone,  scoraggiato  e  dimesso.  Il  vezzo 
di  simboleggiare  nel  leone  la  forza  è  non  solo  an- 
tichissimo, ma  vige  tuttora.  Lasciamo  stare  le  im- 
prese di  Massimiliano,  per  le  quali,  o  mal  riuscite  o 
tronche  a  mezzo  per  difetto  specialmente  di  denari, 
non  si  può  dir  certamente  che  fosse  repressa  la  forza. 
È  noto  però  che  la  dignità  d'imperatore  ,  conside- 
rata sin  dall'età  del  Petrarca  non  più  che  un  nome 

Vano,  senza  soggetto, 

giudicavasi  ben  altra  cosa  da  lui,  che  aspirava  al- 
l'impero universale  e  per  poco  anche  al  pontificato 
romano  e  riputavasi  l'arbitro  delle  cose  del  mondo. 
Con  sì  fatto  concetto  era  naturale  che  Massimiliano, 
superbo  e  vanitoso  com'era,  potesse  credersi  superiore 
non  solo  di  nome,  ma  anche  di  fatto,  ad  ogni  altro 
sulla  terra  :  era  naturale  ch'egli  potesse  anche  pensare 
nell'animo  suo  d'  aver  rintuzzato  nelle  molte  lotte, 
alle  quali  erasi  avventurato,  gli  sforzi  de'  nemici, 
rivolti  a  suo  danno.  E  questo  concetto  ,  rinforzato 
da'  consigli  e  fors'anco  dall'adulazione  del  Bannissio, 
perchè  non  potrebbesi  ravvisare  nell'insieme  del  ro- 
vescio, dove  parrebbe  avvalorarsi  persino  dalla  leg- 
genda, che  di  Massimiliano  fa  il  massimo  dell'Italia, 
della  Germania,  delle  Gallio  e  dell'Ungheria,  o  altri- 
menti il  più  grande  de'  monarchi  e  de'  principi,  che 
reggevano  quegli  stati? 


GIACOMO  BANNISSIO  243 


*     * 

Ma  il  leone,  conculcato,  può  anche  porgere  ar- 
gomento a  congetture  di  fatti  più  particolari  e  più 
definiti.  Le  non  molte  notizie,  che  mi  fa  dato  rac- 
cogliere del  Bannissio,  non  escono  da  quel  periodo 
in  cui  si  son  combattute  le  battaglie,  suscitate  dai 
Collegati  a   Cambrai.  È  il   periodo  fortunoso,  in  cui 
lo  zelante  Dalmatino  fungeva  da  segretario  di  Mas- 
similiano.  Dalle    lettere    e    dalle   informazioni,    che 
rimangon  di  lui,  appare  ch'egli  accompagnasse  tal- 
volta in  Italia  l'Imperatore  medesimo,  o  vi  prendesse, 
per  lo  meno,  il  più  vivo  interesse  a'  singoli  avveni- 
menti. Potrebbe  cogliere  pertanto  nel  segno  chi  nel 
rovescio  della  medaglia    intravvedesse    un'  allusione 
all'  insieme  delle  vicende  fortunose    di  quel    memo- 
rando periodo  ;  o  meglio  ancora  un'allusione  alle  lotte, 
per  le  quali  Massimiliano,  in  onta  anche  a'  disastri 
toccati,  riputavasi  d'aver  ridotto  agli  estremi  la  Ee- 
pubblica  di    San  Marco,  raffigurata    nel    leone  con- 
culcato e    svigorito.  E    più  forse   che   al   complesso 
de'  fatti,  l'allusione  s'attaglierebbe,  mi  sembra,  a  un 
avvenimento    particolare:   s' attaglierebbe    cioè    alla 
giornata,  combattuta  alla  Motta,  una  piccola  terra  a 
quattro  miglia  da  Vicenza,  il  7  ottobre  del   1513.  È 
la  memoranda  giornata,  in  cui  l'armi  venete  toccarono 
quella  tremenda  sconfitta,  che  gli  storici  tutti  impu- 
tano non  sai  più  se  all'imprudenza  o    all'imperizia 
dell'Alviano,  a  cui    la    Signoria  aveva    commesso  il 
supremo  comando  dell'esercito  veneto.  Oso  dir  questo, 
non  essendomi  ignoto  che  l'accordo  degli  storici  era 
prevenuto  dal  giudizio  del  Bannissio,  che  in  quella 
rotta  aveva   veduto   e   pronosticato    nient' altro  che 


241  BERNARDO  MORSOLIN 


r  estrema  rovina  della  Repubblica.  «  Ciò  ,  che  fino 
ad  ora  non  han  potuto  fare  in  eccidio  de'  Veneti  ne 
la  Maestà  Cesarea,  né  gli  altri  confederati,  fu  com- 
piuto, scriveva  egli  a  Carlo  nipote  di  Massimiliano, 
dal  loro  generale  ,  il  quale  li  trasse  per  la  seconda 
e  ultima  volta  a  vera  distruzione.  Onde  è  che 
all' Al  Viano,  ossia  eh'  egli  viva,  ossia  eh'  egli  muoia, 
devesi  erigere  dai  Veneti  una  statua  con  la  scritta: 
al  distruttor  della  patria.  »  (l).  Non  è  già  che  quel 
disastro  incutesse  negli  animi  così  profondo  lo  sco- 
raggiamento da  far  disperare  della  salute  della 
Repubblica  ;  ma  doveva,  com'  è  facile  immaginare  , 
mettere  tanto  viva  la  compiacenza  nel  cuor  di 
Massimiliano,  per  le  cui  armi  riconosce  vasi,  in  parte, 
l'esito  della  giornata  campale,  da  fargli  giganteggiare 
nella  mente  il  concetto,  adombrato  nel  rovescio  della 
medaglia  per  consiglio  forse  e  per  opera  del  Bannissio 
stesso,  che  lo  aveva  già  espresso  a  parole. 

* 
*   * 

Tutte  queste,  ch'io  son  venuto  di  mano  in  mano 
esponendo,  non  sono  del  resto  che  congetture  più  o 
meno  ragionevoli,  più  o  meno  prossime  al  vero.  Di 
incontestabile  affatto  rimane  che  la  medaglia  fu  co- 
niata in  onor  del  Bannissio.  Quello,  che  ignorasi  del 
tutto,  è  invece  il  nome  dell'  artefice.  Si  sa  di  certo 
che  il  Cancelliere,  durante  il  periodo  delle  guerre, 
combattute  contro  la  Repubblica  di  San  Marco,  ebbe 
occasione  d'accompagnare  più  volte  in  Italia  il  suo 
signore.  Delle    città  di    terra   ferma ,  sottratte    alla 


(l)  Le  Glay,  Négociations,  etc.  Tomo  I,  p.  552.  Parigi,  1845, 


GIACOMO  BANNISSIO  245 


Signoria  di  Venezia,  1'  unica ,  ch'ebbe  a    soggiacere 
airimpero  per  il  corso  non  interrotto  di  quasi  otto 
anni,  dal  1609  cioè  al  1517,  fu  Verona.  Era  la  città, 
alla  quale  per  la  non  dubbia  sicurezza  e  per  le  di- 
rette comunicazioni  con  la  Germania  facevano  capo 
i  rappresentanti  dell'Impero  e  talvolta  l'Imperatore 
medesimo.  Che  al  Bannissio  si  porgesse  occasione  di 
visitarla  e  d'intrattenervisi,  fors'anco,  non  è  cosa  mi 
pare   che  si    possa    mettere  in   dubbio.    Ciò    posto  , 
perchè  non  si  potrebbe  pensare  che  la  medaglia  si 
coniasse  in  Verona,  od  uscisse  per  lo  meno  dal  pun- 
zone   di   qualcuno  degli  artefici  veronesi  ?  È  questa 
una    congettura ,  che  non  mi  sembra  fuori  di    pro- 
posito, quando  si  voglia  por  mente  non  tanto    alle 
prove  di  raro  valore  nel  lavoro  de'  conii,  quanto  alle 
speciali  condizioni  della  città,  che,  non  soggetta  allo 
fortunose  alternative  delle  altre  terre  della  Venezia, 
concedeva  un  asilo  abbastanza  pacifico  alle    arti.  Il 
grido  di  Vittore  Pisanello  e  di  Matteo  Pasti,  già  fioriti 
nel  secolo  XV,  proseguivasi  allora  per  una  pleiade  di 
artefici  veramente  meravigliosi  nell'arte  dell'incisione. 
Delle  medaglie  lavorate    da    Francesco   Caroto  ,  da 
Giammaria    Pomedello  ,  da  Giulio  Dalla  Torre  ,  da 
Matteo    del    Nassero    e    da   Giangìacomo    Garaglio 
parlano  i  biografi  del  tempo  e  se  ne  conservano  non 
pochi  esemplari  ne'  Musei  d'Italia,  di  Germania,  d'In- 
ghilterra e  di    Francia.  Lavoro    perfetto  e    non    in- 
degno del  punzone  d'alcuno  di  que'  maestri    famosi 
potrebbesi  giudicare,  senza  tema  d'errore,  la  medaglia 
in  onor  del  Bannissio.  Ma  la  finitezza  del  conio  non 
basta  a  fare  indovinare  ,  anche  per    larghe    conget- 
ture, chi  ne  fosse  V  autore.  Potrebbe   forse  cogliere 
nel  segno  chi   conoscesse  da  qual    mano    uscisse  la 

33 


246  B.    MOliSOLIN    -   GIACOMO    BANNISSIO 

medaglia  votiva ,  fatta  coniare  nel  1518  da  Fran- 
cesco di  Sickingen,  ottenuto  ch'egli  ebbe  il  perdono  di 
Massimiliano  dopo  Faccanita  resistenza  nella  lunga 
controversia  co'  cittadini  di  Worms.  È  la  medaglia, 
riprodotta  e  illustrata  dal  Luckius  nella  sua  Sìlloge 
Xumismatum  Elegantiorum  (pag.  39).  Tanta  è  la  somi- 
glianza de'  caratteri  nelle  leggende  e  l'analogia,  che 
dal  rovescio  di  questa,  rappresentante  Massimiliano 
in  trono,  si  offre  col  rovescio  della  medaglia  in  onor 
del  Bannissio.  Aggiungasi  che  come  nell'  una  sta 
prostrato  davanti  al  trono  il  Cancelliere,  cosi  nel- 
r  altra  si  vede  inginocchiato  il  Sickingen,  dalla  cui 
destra  esce  e  si  spiega  una  striscia  di  pergamena,  che 
ne  avvolge  ,  come  in  un  cerchio,  tutto  il  campo  re- 
cando la  scritta  : 

Armis  Mercurium  si  non  praeponas,  maxime  Caesar, 
Semper  eris  Victor  faustaque  regna  tenens. 


La  medaglia  in  onor  del  Bannissio  non  è,  come 
ho  pure  avvertito,  conosciuta:  ne  so  quanto  le 
congetture,  eh'  io  son  venuto  esponendo  per  dichia- 
rare r  allusione  e  indovinarne  a  un  dipresso  l'ar- 
tefice, parranno  attendibili.  Comunque,  sarà  sempre 
per  me  una  vera  compiacenza ,  l'aver  potuto  addi- 
tare a'  cultori  della  numismatica  un  cimelio  degno, 
non  v'ha  dubbio,  di  particolare  attenzione  e  per  la 
storia  e  per  l'arte. 

B.    MORSOLIN. 


ISABELLA  SESSO 


(1) 


(Tav.   VI,   N.  2). 


Poco  nota  dentro  e  fuori  d' Italia,  ma  famosa, 
per  breve  tratto,  ne'  fasti  della  città  di  Vicenza,  fu 
Isabella  Michiel  di  Venezia.  Figlia  di  Benedetto 
Michiel,  che  testava  nel  1481,  e  di  Maria  Pagello  di 
Vicenza,  che,  morta,  aveva  sepoltura  nel  Santuario 
della  Madonna  del  Perico,  entrava  con  la  sorella 
Bianca,  dalla  quale  dividevasi  poi  nel  1496,  a  far 
parte  della  famiglia  de'  Sesso,  un  antico  casato,  tra- 
mutatosi da  Reggio  d'Emilia  in  Verona  e  da  Verona 
a'  tempi  della  Signoria  degli  Scaligeri  in  Vicenza. 
Era  il  casato  stesso ,  onde  usciva  Y  avola  Paola , 
madre  a  Benedetto.  Bianca  v'  entrava  sposa  a  Pal- 
miero  e  Isabella  al  cugino  di  lui  Giambattista,  morto, 
per  quanto  è  dato  congetturare,  in  età  non  punto 
matura.  Ma  1'  origine  veneziana  e  la  parentela  col 
Doge  Leonardo  Mocenigo,  marito  a  una  sorella  di 
Benedetto ,  non  la  dissuasero  dallo  sconfessare  le 
parti  della  sua  città  natale  per  favorire,  durante  la 
guerra,  suscitata  da'  Collegati  a  Cambrai,  le  sorti  del- 


(1)  Articolo,  pubblicato  in  embrione  mìVArte  e  Storia  (5  febbraio  1890) 
e  rifuso  poi  dall'Autore  con  la  scorta  di  nuovi  dati  per  la  Rivista  italiana 
di  Numismatica, 


248  liERNARBO  MORSOLIN 


r  Impero  (i).  Narra  uno  scrittore  di  cose  vicentine, 
d'accordo,  quanto  alla  sostanza,  con  lo  storico  Luigi 
da  Porto  (^J,  die  Giovanni  Gonzaga,  costretto  a  la- 
sciare Vicenza,  dove  rappresentava  il  governo  dei 
Confederati,  per  riparare  i  primi  dell'agosto  1511  a 
Soave  e  congiungersi  quindi  all'  esercito,  inteso  al- 
l' assedio  di  Treviso,  commettesse  a  Isabella  l' ufficio 
di  reggere,  in  sua  vece,  la  città  (^):  ufficio,  ch'ella 
teneva  fino  all'entrar  del  novembre,  quando,  necessi- 
tatavi dalla  preponderanza  dell'armi  veneziane,  capi- 
tanate da  Meleagro  da  Forlì,  dovè  rifugiarsi,  quasi 
a  precipizio,  in  Verona.  Allorché  compivasi  questo 
fatto,  la  Michiel  non  era  però  più  la  moglie  del 
Sesso.  Il  Sanuto,  pure  accordandosi,  in  ciò  che  si 
riferisce  alla  sostanza  dell'avvenimento,  con  lo  scrit- 
tore vicentino,  avverte  eh'  ella,  bella  donna  e  già 
vedova,  s'  era,  o  dicevasi  per  lo  meno,  rimaritata  a 
Gasparo  Vincer,  un  tedesco,  governatore,  per  qualche 
tratto,  della  città  di  Vicenza,  preso  dagli  Stradioti 
e  tradotto  prigione  a  Venezia.  A  questi  aggiunge 
poi  alcuni  particolari  relativi  alla  fuga  d' Isabella 
da  Vicenza:  racconta  cioè  che,  invitata  a  cedere  la 
città,  pose  la  condizione  che  Meleagro  da  Forlì  facesse 
tirare  alcuni  colpi  d'  artiglieria,  con  l' intendimento 
che  que'  colpi  le  valessero  di  giustificazione  all'arresa. 
Dopo  di  che  furono  abbassati  i  ponti  e  spalancate 
le  porte  W 


(1)  Gio.  Da  Schio,  Memoràbili.  —  Famiglia  Sesso.  Msc.  nella  Biblio- 
teca Comunale  di  Vicenza. 

(2)  Luigi  Da  Porto,  Lettere  Storiche.  Lott.  60,  pa?.  285.  Firenze  1857. 

(3)  Castellini,  Storia  di  Vicenza.  Tomo  XIV,  lib.  17.  Vicenza  1822. 

(4)  M.  SanutO;  Diari.  Tom.  XIEI,  piig.  196.  Venezia,  1886. 


ISABELLA  SESSO  249 


* 
*      * 


La  defezione  dalla  causa  della  Signoria  di  Ve- 
nezia porgeva  motivo,  com'era  naturale,  alla  confisca 
de'  beni  d'Isabella  e  di  quelli  a  un  tempo  de'  figliuoli, 
che  la  madre  aveva  tratto  seco  nel  malanno.  Il  Conte 
Giovanni  Da  Schio,  al  quale  fu  dato  d' esplorare 
r  archivio  della  famiglia  de'  Sesso,  ha  potuto  ricono- 
scere che  Massimiliano,  meravigliato  di  tanta  fedeltà, 
si  studiò  di  compensarne  i  danni  e  le  perdite  con 
l'investitura  de'  feudi  di  Lovere  ,  di  Pisogne  e  del 
Lago  d'Iseo.  Il  decreto  fu  dato  il  25  marzo  1516  dal 
Castello  di  Pioltella.  A  que'  feudi,  de'  quali  andavano 
investiti,  a  un  tempo,  i  figliuoli  d'Isabella,  s'accompa- 
gnavano altre  provvigioni,  precedute  sin  dal  1513  da 
una  pensione,  assegnata  sulla  Camera  Imperiale  di 
Verona.  Pare  però  che  tanta  munificenza  fosse  più 
di  parole  che  di  fatto.  «  Io  credo,  scrive  il  Da  Schio, 
che  le  beneficenze  consistessero  in  sole  carte  ??  e 
non  recassero  u  nessun  profitto,  o  perchè  incep- 
pate dai  Veneti,  o  perchè  Massimiliano  era  cattivo 
pagatore  ».  È  «  certo  ,  conchiudeva ,  che  i  Sesso  , 
eredi  ??  d' Isabella  u  altro  non  percepirono  ,  se  non 
i  diplomi  ri  (1). 


Allusive,  per  quanto  vuoisi  credere,  al  fatto  del 
breve  governo  di  Vicenza  son  le   tre   medaglie,  co- 


(1)  Da  Schio,  Memorabili.  —  Famiglia  Sesso.  Msc.  nella  Biblioteca 
Comunale  di  Vicenza.  —  Vedi  anche  il  nostro  scritto:  Un  Episodio  della 
Vita  di  Carlo  F,  Archivio  Veneto.  Tomo  XXVII,  parto  II  (Venezia, 
Visentini,  1885). 


250  BERNARDO  MORSOLIN 


niate  in  onor  della  Sesso  e  illustrate  dall'  Armand 
nella  sua  lodata  opera  Le  Médailleurs  Italiens  des 
qidnzième  et  sezième  siècles  (^).  Il  dotto  uomo  non  du- 
bita neppure  che  le  due  prime,  le  quali  si  conser- 
vano nel  Gabinetto  Nazionale  di  Francia  e  recano 
nel  rovescio  un  motto  greco,  sieno  lavoro  di  Giam- 
maria Pomedello,  pittore,  orefice  e  incisor  veronese. 
Gliene  dà  prova,  com'egli  dichiara,  il  monogramma 
dell'artefice  una  mela  o,  dirò  meglio,  una  cotogna, 
attraversata  da  una  z  schiacciata,  nella  quale  si  rac- 
colgono le  quattro  maiuscole  z,  v,  a,  n,  Zìian^  pre- 
nome del  Pomedello.  Il  monogramma  è  inciso  nel- 
l'esergo  dell'una  e  dell'altra. 

Dalla  descrizione  dell' Armand  risulterebbe  che 
il  concetto  fosse  uno  e  identico  in  entrambe  le  me- 
daglie. Il  diritto  infatti ,  cosi  dell'  una ,  come  del- 
l' altra,  reca,  al  dir  di  lui,  il  busto  d'Isabella  con  la 
fronte  a  sinistra,  la  testa  coperta  d'un  drappo  rav- 
volto, e  al  basso  un  tronco,  seguito  dalla  leggenda  : 
ISABELLA  •  SESSA  •  MICHAEL  •  VENETA  •  E  identici  sa- 
rebbero, del  pari,  i  rovesci,  dove  tiene  il  campo  la 
Fortuna,  una  donna  seminuda,  seduta,  con  la  fronte 
volta  a  sinistra ,  un  freno  nella  manca ,  tre  chiodi 
nella  destra,  il  pie  dritto  su  d'un  cranio  e  un  casco 
dopo  il  sinistro.  Le  uniche  differenze  ,  che  vi  s' in- 
contrano, secondo  quella  descrizione ,  si  manifeste- 
rebbero non  nella  sostanza,  ma  in  alcuni  accessori: 
nell'ortografia  cioè  della  leggenda,  ch'è  greca,  nelle 
dimensioni  e  ne'  tronchi,  che  l'Armand  ravvisa  nei 


(1)  Armand,  Les  Médailleurs  Italiens,  etc.   Tomo   I,  pag.   127-128. 
Paris  1883. 


ISABELLA  SESSO  251 


due  diritti.  Il  motto  :  EK  nAAÀlMOI  •  MHNIZOMENH  • 
delia  prima,  cli'è  di  millimetri  quarantaquattro  ,  si 
converte  in:  EK  nOAEMOY  •  MHNIZOMENH  •  della  seconda 
di  millimetri  cinquantadue:  e  il  tronco  diritto  di 
quella,  guernito  di  due  foglie,  curvasi  in  questa  e  reca 
un'  unica  foglia.  Che  1'  Armand  abbia  veduti  i  due 
esemplari ,  conservati  nel  Gabinetto  Nazionale  di 
Francia,  io  non  ho  motivo  di  dubitare:  dubito,  invece, 
che  non  sieno  esatte  del  tutto  le  due  descrizioni.  E 
il  mio  dubbio  deriva  dal  raffronto,  che  mi  è  dato  di 
fare  ,  con  un  esemplare  della  prima  delle  due  me- 
daglie, custodito  nel  Civico  Museo  dì  Vicenza.  In  esso 
io  cerco  invano  il  tronco,  che  FArmand  ravvisa,  con 
poca  ragionevolezza ,  nel  diritto  e  propriamente  in 
precedenza  alla  leggenda  :  lo  incontro  ,  invece  ,  nel 
rovescio  alle  spalle  della  Fortuna,  che  sembra  assi- 
dervisi  sulle  radici.  Aggiungasi  che  nella  descrizione 
del  rovescio  non  s'avverte  dall' Armand  un  partico- 
lare di  qualche  importanza  ;  non  s'avverte  cioè  la 
foggia  singolare  dell'  acconciatura  de'  capelli  della 
Fortuna  ,  i  quali  son  legati  sul  davanti  della  testa 
e  si  protendono  quindi  in  un  ciuffo  ,  eh'  espandesi 
all'  aria.  Che  queste  inesattezze  sieno  comuni  alla 
medaglia  di  dimensione  maggiore  ,  non  so  ;  nò  so 
quale  essa  si  descriva  dal  Koehler  (l),  che  pur  la 
riproduceva  sin  dalla  prima  metà  del  secolo  de- 
cimo ottavo. 


(1)   Koehler,   Historische  Munz-Belustigun^ ,  XVIII ,   121,   Htìrn- 
berg  1729-1750, 


252  BERNARDO  MORSOLIN 


Ho  detto  che  il  Museo    Civico  di  Vicenza  pos- 
siede un  esemplare  della  prima  delle  due  medaglie 
illustrate  dall'Armand.  Dovevo  dire,  invece,  che  gì 
esemplari    son  due  ,  simili    ne'  diritti  e    ne'  rovesci 
uguali  nelle  dimensioni  e  col  monogramma  entrambi 
del  Pomedello.    Si    direbbe  di  primo  tratto  eh'  essi 
fossero  fattura  d'uno  stesso  artefice  e   impronta   di 
un  identico    conio.  E  in  questa  credenza   potrebbe 
facilmente  fermarsi  chi  non  sapesse  che  ne'  primordi 
del  secolo  XVII ,  quando  non    erasi  smesso    ancora 
il  vezzo    delle  contraffazioni ,  le  quali  avevano  reso 
famosi  i  nomi  prima  di  Valerio  Vicentino  e  poi  del 
Cavino  di  Padova,  coniavasi  pure  una    medaglia  in 
onore  della  Sesso.  N'erano  autori  due  artefici  Vicentini, 
allievi  di  Camillo    Mariani  pur  Vicentino,  il    quale 
architettava  in  Roma  la  Cappella  Paolina  in  Santa 
Maria  Maggiore  e  vi  moriva  nel  1611  in  età  di  44 
anni.  Di  quella  medaglia  si  custodiva    un  esemplare 
nel  Museo    Gualdo  di  Vicenza ,  disperso  ,  non  si  sa 
ne  come  ne  perchè,  avanti  la  fine  del  secolo  XVII 
Attingo  la  notizia  della  descrizione  del  Museo  stesso 
fatta  da  Girolamo  Gualdo,  che  n'era  il  possessore 
verso  il  1650.   u.  De'  due  condiscepoli ,  Felice  e  Pa 
squale,  conservo,  scrive  il  valent'  uomo ,  alcune  me 
daghe  coniate  in  metallo,  fra  le  quali  una,  che  im 
pronta  Isabella  Michiel ,  moglie  del    Conte    Bernar 
dino    (leggi    Giambattista)    Sesso,  il    rovescio    della 
quale  è  assai  vago  (i)  " .  Io  non  so  che  cosa  si  fìgu- 


(1)  G.  Gualdo,  Giardino  di  Cha  Gualdo.  Msc.  nella  Marciana  di  Ve- 
nezia, Cod.  CXXVII,  classo  IV, 


ISABELLA   SESSO  "^53 


rasse  in  sì  fatto  rovescio.  M'è  noto,  invece,  che  Vin- 
cenzo Gonzati ,  un  erudito  e  antiquario  vicentino  , 
morto  a  mezzo  il  secolo  XTX  ,  riputava  lavoro  di 
Felice  e  Pasquale  una  medaglia,  veduta  da  lui,  presso 
il  Maggiore  Tonelli ,  Comandante  la  Piazza  di  Vi- 
cenza, u  Essa,  scriveva  l'egregio  uomo  in  una  nota 
a  un  esemplare  del  Giardino  di  Cha  Gualdo  da  lui 
trascritto,  porta  la  testa  d' Isabella  con  le  parole  : 
ISABELLA  •  SESSA  •  MICHAEL  •  VENETA  •  Il  rovescio  ha 
una  figura  di  donna  pettinata  con  lungo  ciuffo  le- 
gato davanti;  nella  mano  destra  ha  tre  chiodi,  nella 
sinistra  due  delfini  :  è  seduta  a  pie  d' un  tronco 
secco:  ha  di  dietro  un  elmo  e  davanti  sotto  un  piede 
una  testa  da  morto  con  la  leggenda  greca  :  EK  TTA- 
AAIMOI  •  MHNIZOMENH.   »   (0. 

I  Ora  è  a  sapere  che  l'esemplare  della  medaglia, 
veduta  dal  Gonzati,  è  l'uno  de'  due,  posseduti  dal 
Museo  di  Vicenza.  Lo  prova  una  nota  autografa  del 
Gonzati  medesimo,  annessa  alla  medaglia,  «  coniata, 
v'  è  detto,  non  so  se  da  Felice,  o  da  Pasquale  Vi- 
centini, discepoli  di  Camillo  Mariani  -n  (2).  Ma  la 
descrizione  ,  onde  si  correda  la  copia  ,  da  lui  tra- 
scritta, del  Giardino  di  Cha  Gualdo^  non  è  esatta  del 
tutto.  Il  bravo  erudito  scambia  in  essa  il  freno  in 
due  delfini,  e  non  rileva  il  monogramma  del  Po- 
medello,  che  si  presenta  evidentissimo  nell'  esergo. 
Appare  specialmente  da  quest'ultima  omissione  che 
la  molta  erudizione    delle    cose    vicentine    non  era 


(1)  G.  Gualdo  ,  Giardino  di  Cha  Gualdo ,  trascritto  dal  Gonzati. 
Msc.  nella  Biblioteca  Cumunalo  di  Vicenza. 

(2)  La  nota  è  preceduta  delle  parole  :  «  Iscibella  Michieli  Sesso,  »  o 
sogniti  dalla  data  «  1650  »  e  dalla  citazione:  «  V.  Gualdo,  Giardino, 
anno  1650  >. 

33 


254  BERNARDO  MORSOLIN 


bastata  a  fargli  conoscere  l'opera,  che  in  onore  della 
Sesso  aveva  condotto  l' artefice  veronese  ;  non  era 
bastata  a  mettergli,  per  conseguenza,  nell'  animo  il 
sospetto  che  la  medaglia  de'  due  Vicentini  alla  quale 
accenna  il  Gualdo,  potesse  essere  una  contraffazione. 
In  lui  più  che  l'esame  attento  e  minuzioso  del  lavoro 
valse  l'asserzione  del  Gualdo  ;  tanto  che  fini  con  l'attri- 
buire a  Felice  e  a  Pasquale  ciò,  ch'era  lavoro  incon- 
testabile del  Pomedello.  Ma  non  credasi,  per  questo, 
che  la  notizia,  attinta  dalla  descrizione  del  Giardino  di 
Cha  Gualdo,  difetti  di  fondamento.  Dell'opera  de'  due 
allievi  del  Mariani  s' ha  la  prova  nell'  altro  de'  due 
esemplari,  custoditi  nel  Civico  Museo  di  Vicenza. 
Vero  è  che  i  diritti,  i  rovesci,  le  dimensioni  e  perfino 
i  monogrammi  sono  gli  stessi;  ma  gl'indizi  della 
contraffazione  si  manifestano  a  vista  d'occhio  anche 
a'  meno  periti:  si  manifestano  cioè  nella  precisione 
del  taglio,  nel  rilievo  delle  pieghe,  nello  sj)icco  dei 
profili ,  nella  proporzione  delle  lettere  e  delle  loro 
distanze,  perfetti,  se  così  m'è  lecito  dire,  nell'esem- 
plare veduto  dal  Gonzati,  incerti  e  talvolta  ineguali 
nell'altro,  sfuggito,  forse,  alla  dispersione  del  Museo 
Gualdo.  E  dove  ciò  non  bastasse,  una  prova  incon- 
testabile della  contraffazione  si  avrebbe  nell'  alte- 
razione della  leggenda  del  diritto  ,  comune  a'  due 
esemplari.  È  ralterazione,  che  si  rivela  nell'epiteto, 
premesso  al  nome  della  Sesso.  Vi  si  legge  cioè:  DIVA  • 
ISABELLA  •  SESSA  •  MICHAEL  •  VENETA. 


*    * 

Ho  già  avvertito  che  l'Armand,  nella  descrizione 
delle  due  medaglie  in  onor  della  Sesso,  non  è  esatto 


ISAliELLA   SESSO  255 


del  tutto.  Ed  esatto  non  è  ugualmente  nella  descri- 
zione della  medaglia,  che  fa  parte  della  Collezione 
reale  di  Berlino  e  fu  già  illustrata  dal  Friedlaender  (1). 
Lo  deduco  da  un  esemplare  in  zolfo ,  posseduto , 
come  gli  altri  due,  dal  Museo  Civico  di  Vicenza  ; 
esemplare,  che  ho  motivo  di  credere  tolto  dal  cu- 
stodito in  Berlino.  L'Armand  ritrae,  non  v'ha  dubbio, 
con  esattezza  il  diritto ,  dove  ,  recata  la  leggenda  , 
uguale  per  intero  alle  leggende  delle  altre  due  me- 
daglie, dice  che  il  busto  d'Isabella,  volto  a  sinistra, 
ha  la  testa  scoperta  co' capelli  distesi,  non  più  in  giù 
però  della  linea  del  mento.  Ed  esatta  ugualmente  , 
ancorché  non  avvertasi  il  ciuffo  come  nelle  altre 
due,  è  la  descrizione  del  rovescio,  dove  si  dice  che 
la  Fortuna  è  rappresentata  da  una  donna  nuda,  in 
piedi ,  con  nella  manca  un  freno  ,  nella  destra  tre 
chiodi,  il  pie  dritto  su  d'un  cranio,  un  elmo  presso 
il  sinistro,  e  la  leggenda:  ÀETERNA  •  FORTVNÀ  •  Ma 
l'Armand  manca  d'esattezza,  quando  soggiunge  che  il 
campo  del  rovescio  reca  a  sinistra  un  tronco  con 
foglie.  Se  cosi  fosse ,  né  si  avesse  il  monogramma , 
del  quale  la  descrizione  non  fa  cenno,  non  si  capi- 
rebbe con  che  fondamento  il  dotto  francese  annove- 
rasse la  medaglia  tra  le  incise  dall'artefice  veronese. 
Ma  buon  per  lui  che  quello,  che  si  ravvisa  nel  campo, 
non  é  un  tronco.  E,  invece,  il  monogramma,  bello 
ed  evidente,  del  Pomedello. 


(1)  Friedlaender  ,   Die  Italienischen  Schaumiinzen  des  funfzehnUn 
Jahrhmderts.  XIX.  Berlin,  1880-1882. 


256  IIRUNARDO  MORSOMN 

* 
*    * 

Ora  rimarrebbe  a  definirsi  il  tempo,  in  cui  s'eb- 
bero a  coniar  le  tre  medaglie.  L'Armand  ha  notato 
che  i  millesimi,  i  quali  s'incontrano  in  alcune  delle 
medaglie,  da  lui  illustrate  ,  del  Pomedello  ,  sono  il 
1519  e  il  1527.  Reca  cioè  il  1519  la  medaglia  in 
onore  di  Stefano  Magno,  patrizio  veneziano;  recano 
il  1527  le  medaglie  in  onore  di  Giovanni  Emo  e  di 
Tommaso  Moro,  Tuno  podestà  e  l'altro  capitano  di 
Verona.  Ma  chi  vorrebbe  dire  ,  come  sembrerebbe 
pensare  l'Armand,  che  il  Pomedello  s'esercitasse  nel- 
l'arte dei  conii  entro  quel  solo  periodo?  Badisi  che  il 
Moro  e  l'Emo  furono  rettori  di  Verona  ;  e  che  non 
vi  può  esser  dubbio,  mi  pare,  che  il  1527  segni  un 
anno  diverso  da  quello,  in  cui  i  due  magistrati  dura- 
rono nella  magistratura.  Quanto  poi  al  Magno,  che 
aveva  esercitato  l'ufficio  di  podestà  nel  1527  in  Tre- 
viso, è  a  credere  ugualmente  che  il  1519  fermasse 
l'anno  o  d'una  promozione,  o  di  qualche  nobile  uf- 
ficio, commessogli  dalla  Signoria.  Va  pertanto  da  se 
che  i  due  millesimi  non  possano  determinare  i  con- 
fini, entro  i  quali  lavorava  l'artefice  veronese.  Ch'egli 
del  resto  vivesse  ancora  dopo  il  1527 ,  lo  atte- 
stano, non  fosse  altro,  le  incisioni,  segnate  dal  mo- 
nogramma ,  comune  a  parecchie  delle  medaglie  ,  e 
dell'anno  1534.  E  se  nel  1519  era  già  provetto  nel- 
l'arte de'  coni,  come  si  può  argomentare  dalla  me- 
daglia in  onore  del  Magno,  perchè  non  vorrassi  con- 
cedere che  ne  battesse  prima  la  via ,  per  la  quale 
doveva  salire  a  tanta  perfezione  ?  L'Armand  stesso 
neir  illustrare  la  medaglia  in  onore  di  Carlo  V  av- 
verte ch'essa  doveva  coniarsi  tra  il   1516  e  il  1519, 


ISABELLA  SESSO  251 


eh'  è  quanto  dire  dopo  la  morte  di  Ferdinando  di 
Aragona,  onde  venivagli  il  titolo  di  Cattolico,  che  sta 
scritto  nella  leggenda,  e  avanti  la  fine  di  Massimi- 
liano T,  spento  il  quale,  conseguiva  la  suprema  di- 
gnità A.' Imperatore,  che  vi  si  desidera. 

*  * 

Ora  io  non  so  in  quale  anno  uscisse  di  vita  la 
Sesso;  ne  so,  del  pari,  quanto  tempo  s'intrattenesse, 
profuga  di  Vicenza,  in  Verona.  Ch'ella  col  favorire 
le  sorti  dell'  Impero  si  mettesse  in  non  buona  con- 
dizione di  fronte  alla  Signoria  di  San  Marco  ,  non 
vuol  certo  esser  cosa,  di  cui  s'abbia  a  dubitare.  La 
notizia  delle  nozze  col  Vincer,  un  nemico  acerrimo 
della  Repubblica,  non  credo  si  meriti  maggior  fede 
d'una  baia.  La  diffusero  forse  per  i  loro  fini,  che  ora 
non  giova  indagare,  gli  avversi  all'Impero.  Il  Sanuto 
stesso,  che  la  riferisce,  non  sembra  accoglierla  altri- 
menti che  una  diceria.  Ciò  non  toglie  però  che  la 
diceria  non  avesse  a  conseguire  l'intento  di  gettare 
il  maggior  discredito  sull'audacissima  donna.  Né  la 
Signoria  ebbe  a  considerarla  altrimenti  che  una  fuo- 
ruscita, colpevole  d'aver  attentato  alla  integrità  della 
Repubblica.  Il  Da  Schio,  che  ha  potuto  consultare, 
come  si  è  detto,  le  carte  della  famiglia  Sesso,  ebbe 
a  riconoscere  che  i  beni  d'Isabella  furono  presi,  dopo 
la  sua  fuga  di  Vicenza,  dal  fìsco.  Queste  ed  altre  con- 
siderazioni traggono  naturalmente  a  pensare  che  nes- 
sun' altra  terra  le  dovesse  porgere  tanta  sicurezza , 
quanto  la  città  di  Verona ,  presidiata,  com'  era,  di 
continuo  dalle  soldatesche  imperiali  :  traggono  a  pen- 
sare che  in  Verona,  ov'entrava,  secondo  che  s'è  detto 


258  BERNARDO   MORSOLIN 


nel  novembre  del  1511,  s'intrattenesse  fino  all'anno 
1517,  in  cui  la  città  resti tuivasi  per  trattato  alla 
Repubblica  di  Venezia.  Lo  fa  congetturare,  non  fosse 
altro,  la  poca  o  nessuna  sicurezza,  comune  al  resto 
della  Venezia,  corsa  e  ricorsa  ora  dalle  armi  della 
Repubblica  e  ora  dalle  orde  de'  Confederati.  In  questo 
periodo,  tra  il  1511  e  il  1517,  è  a  credere  si  co- 
niassero le  medaglie,  delle  quali  si  è  fatta  parola. 
E  al  conio  dovevano  contribuire,  mi  pare,  l'atteggia- 
mento e  la  fama  d'Amazzone,  ond'Isabella  entrava 
in  Verona.  Vero  è  che  dopo  il  1517  ella  viveva  an- 
cora per  parecchi  anni;  viveva  almeno  fino  al  1528, 
in  cui  dettava ,  come  attesta  il  Da  Schio  ,  il  suo 
testamento  ;  ma  non  per  questo  vuoisi  pensare  che  le 
condizioni  le  si  volgessero  così  propizie,  come  avanti 
la  restituzion  di  Verona.  Ricuperata  la  città,  andava 
mi  pare,  da  se  che  Isabella  dovesse  considerarsi  e 
trattarsi  anche  da'  Veneti  non  altrimenti  che  i  molti 
fuorusciti  vicentini,  i  quali ,  fatta  la  tregua ,  torna- 
vano in  patria.  E,  sia  che  vivesse  in  Vicenza,  o  che 
fermasse  altrove  la  sua  dimora,  non  è  nemmen  pre- 
sumibile ch'ella  volesse  nuocere  al  tornaconto  proprio, 
e  a  quello  de'  figli  rinnovando  con  la  coniazione 
delle  medaglie  la  memoria  d'un  fatto,  che  avrebbe 
potuto  arrestare  o  rendere  almeno  difficili  le  buone 
relazioni  con  la  Signoria. 


Bernardo  Morsolin. 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL  1889 


Eccoci  anche  quest'  anno  alla  nostra  rivista  degli 
avvenimenti  del  1889  fatta  con  la  scorta  delle  medaglie 
italiane  che  a  tali  avvenimenti  furono  consacrate. 

La  prima  medaglia  del  1889  che  troviamo  è  quella  del 
Comizio  radicale  italo-francese  tenutosi  a  Milano  il  13  gen- 
naio dell'anno  scorso.  Fu  una  dimostrazione  promossa  dalla 
parte  radicale  intransigente,  fu  indetta  in  nome  della  pace 
e  della  libertà,  ma  di  queste  poco  si  predicò  nel  Comizio, 
e  più  di  guerra  ad  istituzioni  vigenti  ed  a  classi  sociali 
dirigenti.  La  manifestazione,  come  la  medaglia  ci  dice, 
fu  posta  sotto  gli  auspici  di  Garibaldi ,  che ,  essendo 
morto  nel  1882,  non  potè  certamente  nulla  obbiettare  in 
contrario. 

La  medaglia,  in  pochi  esemplari  in  argento,  ed  in  molti 
in  metallo  bianco ,  fu  coniata  in  Milano  ,  distribuita  fra 
gì'  invitati  al  meeting  e  venduta  pubblicamente  per  50 
centesimi.  La  descriviamo  : 

1.  —  Diam.  mm.  21  {appiccagnolo  e  anellino  per  appenderla 
a  nastro)* 
^  —  Busto  a  destra,  con    mantello,  testa    nuda,  del  ge- 
nerale Giuseppe  Garibaldi. 
^    —  Nel  campo,  in  sette  linee  :  COMIZIO  —  PER  —  LA 
FRATELLANZA  -  DEI  POPOLI  —  MILANO  ~  13  (jENNAIO 
-  1899. 


260  ALFREDO   COMANDINI 


* 
*    * 


Da  una  festa  della  politica  passando  ad  una  della  scienza 
incontriamo  un  avvenimento  di  alta  importanza  scientifica 
celebrato  in  Milano  il  24  marzo  1889,  il  2b  anniversario 
dalla  fondazione  del  celebre  Politecnico  Milanese,  di  fama 
universale,  fondato  e  presieduto  sin  qui  dall'insigne  scien- 
ziato prof,  senatore  Francesco  Brioschi.  Fra  le  varie  feste 
commemorative,  fuvvi  anche  quella  della  presentazione  al 
prof.  Brioschi  di  una  bella  medaglia  in  oro,  eseguita  e  co- 
niata dall'incisore  Luigi  Broggi,  e  che  a  questi  fruttò  poi  il 
primo  premio  nel  concorso  di  istituzione  Girotti  (per  una 
medaglia  in  metallo  eseguita  nel  decennio)  tenuto  presso 
l'Accademia  di  Brera. 

Della  medaglia  ne  fu  presentato  un  esemplare  in  oro 
al  prof.  Brioschi,  e  pochissimi  ne  furono  tirati  in  argento 
ed  in  bronzo.  La  medaglia  è  questa:  (V.  Tav.  VI,  N.  4). 

2.  —  Diam.  mm.  64. 

^  —  Cerchio  periato.  Busto  a  destra,  in  abito  civile, 
testa  nuda,  del  prof.  Francesco  Brioschi.  Sotto  al  busto  : 
L.  Secchi  modellò  L.  Broggi  incise. 

ipl    ~  Cerchio  periato.  Nel  campo  in  nove  righe: 

A  —  FRANCESCO  —  BRIOSCHI  —  NEL  XXV  ANNIVER- 
SARIO —  DELLA  FONDAZIONE  —  DEL  POLITECNICO  - 
MILANESE   -  GLI  EX-ALLIEVI  MDCCCLXXXVIII  • 

L'anniversario  25°  dalla  fondazione  del  Politecnico  Mila- 
nese cadeva  appunto  verso  la  fine  del  1888,  ma  la  solenne 
cerimonia  commemorativa  fu  rinviata  al  24  marzo  1889;  ed 
è  per  questo  che  registriamo  fra  quelle  del  1889  cotesta 
bella  medaglia ,  per  fare  incidere  e  coniare  la  quale  fu 
indetta  sottoscrizione  e  largamente  coperta  fra  gli  ex- 
allievi del  Politecnico  del  prof.  Brioschi  costantemente 
memori. 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL   1889  261 


È  naturale  che  in  un  paese  pur  giovane  come  il  nostro, 
ma  compostosi  ad  unità  dopo  una  rivoluzione  fortunata  e 
ricca  di  particolari  avvenimenti,  si  cominci,  dopo  trent'anni 
di  vita  unitaria,  a  vivere  di  ricordi  e  di  commemorazioni  ; 
—  e,  però,  noi  troviamo  ora  molte  medaglie  dedicate  ad 
avvenimenti  del  periodo  ultimo  e  fortunato  del  risorgimento 
dopo  venticinque  o  trent'anni    festosamente    commemorati. 

Di  tali  medaglie  una,  e  bella  —  e  che,  per  essercene 
giunto  troppo  tardi  l'esemplare,  non  possiamo  comprendere, 
come  avremmo  voluto,  nella  annessa  tavola  —  è  quella  che  il 
Municipio  fiorentino  volle  dedicata  a  commemorare  il  fortu- 
nato rivolgimento  del  27  aprile  1859,  nel  quale  la  Toscana 
fu  unita  alle  altre  parti  d'Italia  nel  regime  liberale  e  costi- 
tuzionale di  Vittorio  Emanuele  II.  Degli  uomini  che  nel 
Governo  Provvisorio  di  Toscana,  presero  parte  diretta  e 
principale  a  quel  rivolgimento,  non  vive  che  l'onorevole 
Comm.  Ubaldino  Peruzzi,  ed  a  lui,  con  speciale  indirizzo, 
ne  fu  presentato  un  esemplare  in  oro  ;  un  esemplare  in 
argento  fu  dato  ai  Senatori  Poggi,  Busacca,  Cadorna,  Tabar- 
rini.  Corsi  Puccioni,  Fossombroni,  Ridolfi,  Giorgini,  Ruschi, 
i  cui  nomi  sono  collegati  con  la  storia  della  rivoluzione 
toscana;  ed  un  esemplare  in  bronzo  a  ciascuno  degli  80 
membri  del  Consiglio  Comunale  di  Firenze.  La  cerimonia 
commemorativa  ebbe  appunto  luogo  in  Firenze  il  27  aprile 
1889;  e  la  medaglia  fu  incisa,  a  spese  del  comune  fiorentino, 
dal  valentissimo  incisore  lucchese  dimorante  in  Firenze , 
cav.  Luigi  Giorgi,  ed  è  questa  : 

3.  —  Diam.  mm.  45. 

^  —  In  giro,  cerchio  a  smerlatura  gigliata.  Nel  campo, 
ghirlanda  fasciata,  di  alloro  e  di  quercia,  e  dentro 
la  ghirlanda,  scudo  a  testa  di  cavallo,  ornato  di  lacci 
svolazzanti ,  e  portante  il  giglio  bottonato  e  fiorito 
di  Firenze.  Sotto,  in  basso,  fuori  della  ghirlanda: 
L.  Giorgi  f. 


262  .  ALFREDO   COMANDI  NI 


^  —  Nel  campo,  in  alto,  stella  d'Italia  raggiante.  Nel 
mezzo,  su  quattro  righe  :  XXVII  APRILE  MDCCCLXXXIX 
—  DI  LIBERTÀ  RIVENDICATA  A  FIRENZE  —  D'AUSPICATA 
UNITÀ  ALL'ITALIA  —  TRIOESIMO  ANNIVERSARIO  • 

Complessivamente  ,  di  questa  medaglia  ne  furono  co- 
niati 117  esemplari  —  1  in  oro ,  36  in  argento ,  ed  80 
in  bronzo. 

* 
*  * 

Nella  nostra  rivista  delle  medaglie  del  1888  vedemmo 
quanta  parte  ebbero  in  quell'  anno,  nella  serie  nostra,  le 
medaglie  relative  alla  visita  ufficiale  fatta  in  Roma  dall'im- 
peratore Guglielmo  II  di  Germania  al  re  d'Italia. 

Nel  maggio  del  1889  la  visita  fu  dal  re  Umberto  ri- 
cambiata, all'imperatore,  in  Berlino  ;  e  dieci  sono  le  medaglie, 
che  noi  conosciamo  ,  relative  ad  un  avvenimento  di  tanta 
politica  importanza. 

Dal  21  al  25  maggio  1889  solenni,  straordinarie  furono 
le  feste  di  Berlino  in  onore  di  re  Umberto;  e  fra  i  festeg- 
giamenti vi  furono,  a  Charlottenburg ,  nel  pomeriggio  del 
25,  delle  corse.  La  prima  delle  medaglie  che  qui  descriviamo 
fu  appunto  presentata  a  re  Umberto,  in  esemplare  d'  oro, 
alle  corse  di  Charlottenburg. 

Eccole  tutte,  in  ordine  di  grandezza  : 

4.  —  aj  Diam.  mm.  60.  (Tav.  VI  N.  2). 

^  —  Cerchio  rilevato,  sulla  parte  superiore  del  quale, 
ad  arco,  fra  due  stelle  a  cinque  punti:  ZUR  ERINNERUNG 
AN  DEN  BESUCH  IN  BERLIN;  e  nella  parte  inferiore: 
IN  MEMORIA  DELLA  VISITA  A  BERLINO.  Nel  campo,  busto 
di  tre  quarti  a  destra,  in  uniforme  militare  con  collare 
dell'  Annunziata,  decorazioni  e  sulle  spalle  mantello  ; 
testa  nuda  a  destra.  Ai  lati,  in  giro  :  UMBERTO  I  — 
RE  D'ITALIA.  Nel  campo,  a  destra,  in  due  righe,  al  di- 
sopra della  spalla  sinistra  :  MAI  —  1889. 
9»  —  Cerchio  rilevato,  sul  quale,  da  sotto,  in  giro,  la 
leggenda  :  WILHELM  II  DEUTSCHER  KAISER  KONIO  VON 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL   188^  ^63 

PREUSSEN.  Stelletta  a  cinque  punte.  Sotto  la  stelletta: 
Lauer  Nurnberg.  Nel  campo,  busto  di  tre  quarti  a  si- 
nistra in  uniforme  militare,  spalline,  decorazioni,  collare 
dell'  Aquila  Nera,  mantello  ;  testa  nuda  a  sinistra  del- 
l'imperatore Guglielmo  II. 

5.  —  bj  Diam.  mm.  38. 

^  —  Nel  campo,  in  cerchio  di  perline,  busto  di  tre  quarti 
a  destra,  in  uniforme  militare,  collare  dell'Annunziata, 
decorazioni,  testa  nuda  a  destra  di  re  Umberto.  In 
cerchio  rilevato,  in  alto,  stella  d'Italia  ;  in  giro,  ai  lati  : 
UMBERTO  I  —  RE  D' ITALIA.  Sotto  al  busto,  affiancati, 
i  due  stemmi  di  Savoia  a  sinistra ,  e  di  Germania  a 
destra,  sovrapposti  a  due  rami  di  alloro  e  di  quercia 
intrecciati. 

1^  ~  Nel  campo,  in  cerchio  di  perline,  busto  di  tre  quarti 
a  sinistra,  in  uniforme  militare,  con  collare  dell'Aquila 
Nera,  decorazioni,  mantello  ;  testa  nuda  a  sinistra  del- 
l'imperatore Guglielmo  II.  In  cerchio  rilevato,  sulla 
metà  superiore,  ad  arco:  WILHELM  II  DEUTSCHER  KAISER 
KONIG  V  •  PREUSSEN  ;  e  sulla  parte  inferiore,  ad  arco, 
su  targa  :  SEMPRE  AVANTI  SAVOIA  1889. 

6.  —  cj  Diam.  mm.  30  {con  appiccagnolo  e  anello  per  por- 

tarla appesa  a  nastro), 
^  —  Cerchio  di  perle.  Testa  nuda  a  destra.  In  giro,  ad 
ad  arco,  superiormente  fra  due  rosette:  HUMBERT  I 
KÒNIG  VON  ITALIEN.  In  giro  ad  arco,  inferiormente: 
BESUCH  IN  BERLIN  21-25  MAI  1889.  Sotto  al  taglio 
del  collo  :  Oertel.  Berlin. 

9»  —  Testa  nuda  a  sinistra.  Sotto  al  taglio  del  collo  : 
Oertel.  Berlin.  Tutt'  in  giro  :  WILHELM  II  DEUTSCHER 
KAISER  KÒNIG  VON  PREUSSEN  • 

1.  —  d)  Diam.  mm.  30  {con  appiccagnolo  e  anello  per  por- 
tarla appesa  a  nastro), 
^  —  Come  la  precedente. 


264  ALfREDO  COMANDINI 


9  —  Nel  campo,  entro  cerchio  periato,  testa  nuda  a 
destra.  Tutt'in  giro,  da  sotto,  entro  cerchio  periato  più 
grosso:  WILHELM  II  DEUTSCHER  KAISER  KONIG-  VON 
PREUSSEN  •  Stelletta  a  cinque  punte. 

8.  —  e)  Diam.  mm.  28  {con  appiccagnolo  e  anello  per  por- 

tarla appesa  a  nastro), 

i&  —  In  giro,  cerchio  periato.  Nel  campo  due  medaglioni 
portanti,  entro  ghirlanda  d'  alloro  ciascuno,  quello  di 
sinistra,  la  testa  nuda,  a  destra,  di  re  Umberto,  e  quello 
di  destra,  la  testa  nuda,  a  sinistra,  di  Guglielmo  II.  Al 
di  sopra  di  ciascun  medaglione,  targa  portante,  rispet- 
tivamente :  UMBERTO  I  e  G-UG-LIELMO  II.  In  alto  ,  in 
disco  raggiante,  stella  a  cinque  punte.  Sotto  ai  meda- 
glioni, nel  campo,  ramoscello  d'  olivo.  Sotto,  ad  arco  : 
SEMPRE  UNITI. 

^  —  In  serto  di  due  rami  di  quercia  e  di  alloro,  anno- 
dati in  basso  ,  aperti  in  alto,  stemmi  affiancati  e  coro- 
nati, di  Germania  a  sinistra  e  d'Italia  a  destra.  In  alto, 
in  disco  raggiante,  stella  a  cinque  punte;  in  basso, 
sotto  il  nastro  annodante  il  serto  :  1889. 

9.  —  P  Diam.  mm.  28  {(aglio  scannellato). 

^  —  Cerchio  periato.  Nel  campo,  testa  nuda  a  destra. 
In  giro,  ad  arco,  nella  metà  superiore,  fra  due  rosette  : 
HUMBERT  I  KOENIG  VON  ITÀLIEN.  E  in  giro,  ad  arco 
nella  metà  inferiore:  BESUCH  IN  BERLIN  21-25  .MAI 
1889. 

91  —  Cerchio  periato.  Nel  campo,  testa  nuda  a  destra. 
In  giro  :  WILHELM  II  DEUTSCHER  KAISER  KONIG  V  • 
PREUSSEN.  Sotto  al  taglio  del  collo  stella  a  cinque 
punte. 

10.  —  gj  Diam.  mm.  28  {appiccagnolo,  e  anello  per  appen- 

derla a  nastro), 
^  —  Cerchio  periato.  Nel    campo,  testa  nuda    a  destra. 
In  giro,  ai  lati:  UMBERTO  I  —   RE  D'ITALIA- 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL   1889  2G5 

9*  —  Cerchio  periato.  Nel  campo,  testa  nuda  a  destra. 
In  giro  :  WILHELM  II  DEUTSCHER  KAISER  KONIG  V  • 
PREUSSEN.  Sotto  al  taglio  del  collo,  a  destra  :  W  :  M  • 

11.  —  hj  Diam.  mm.  28. 

^  —  Nel  campo,  entro  cerchio  periato,  le  tre  teste  nude  ac- 
collate a  sinistra,  di  Guglielmo  IT,  Francesco  Giuseppe  I 
ed  Umberto  I.  In  giro,  entro  cerchio  periato,  fra  due 
stellette  :  WILHELM  II  •  FRANZ  JOSEPH  I  •  UMBERTO  I  • 
Sotto  ,  ad  arco  :  FRIEDENSBUND.  Nel  campo  ,  sotto  la 
testa  di  Francesco  Giuseppe,  in  monogramma  :  T  N  B  • 

9»  —  Nel  campo,  in  cerchio  periato,  stemmi  d' Italia  e 
d'Austria,  questo  a  destra,  quello  a  sinistra,  affiancati, 
sormontati  da  leone  gradiente  a  sinistra,  e  sovrapposti 
alle  ali  dell'aquila  tedesca,  coronata,  spiegata,  portante 
lo  stemma  di  Germania,  e  con  la  coda  e  con  gli  artigli 
fuori  del  cerchio  periato.  In  giro,  su  targhe,  accartocciate 
alle  estremità,  con  fogliuzze  di  quercia,  e  disposte  ad 
arco,  in  alto  :  VIRIBUS  •  UNITIS  • 

12.  —  ij  Diam.  mm..  27  {appiccagnolo,  e  anello  per  appen- 

derla a  nastro). 

i&  —  Cerchio  periato.  Teste  nude,  accollate  a  destra  di 
Umberto  I  e  di  Guglielmo  II. 

5»    —  Cerchio  periato.  Nel   campo  ,  in    otto    righe  : 
UMBERTO  I   —   KÒNIG-  V.  ITALIEN  —  BESUCHT  —  WIL- 
HELM Il  —  KAISER  V.  DEUTSCHLD.  —  KONIG-  V.  PREUS- 
SEN —  21-25  MAI    -  1889. 

13.  —  kj   Diam.  mm.  24.  {con   appiccagnolo    e   anello  per 

appenderla  a  nastro). 

/D'  —  In  cerchio  periato,  nel  campo,  teste  nude  accollate 
a  destra,  di  Umberto  I  e  Guglielmo  II.  Entro  cerchio 
periato,  più  grosso,  in  giro:  KAISER  WILHELM  II  — 
KÒNIG-  UMBERTO  I.  Sotto,  stelletta  a  sei  punte. 

9/    —  Cerchio  periato.    Nel  campo,  in  otto    righe: 

UMBERTO  I  —  KÒNIG  V   ITALIEN    -   BESUCHT    ~  WIL- 
HELM Il  —  KAISER  V.  DEUTSCHL.  —  21-25  MAI  1889. 


266  ALFREDO  COMAKDINI 


Dieci  furono  le  medaglie  con  le  quali  fu  celebrato  il 
viaggio  di  Guglielmo  II  a  Roma  ed  a  Napoli;  e  dieci  sono 
state  le  medaglie  con  le  quali  i  tedeschi  hanno  festeggiato 
il  viaggio  di  Umberto  I  a  Berlino. 

La  penultima  di  queste  medaglie  (2)  richiede  che  noi 
aggiungiamo  che  essa,  oltre  che  il  viaggio  di  re  Umberto 
a  Berlino,  ricorda  anche  quello  di  Francesco  Giuseppe  I, 
imperatore  d'Austria,  che  si  recò  a  Berlino  più  tardi ,  nel- 
l'agosto ;  ed  essa  sta  anche  a  ricordare  la  triplice  alleanza, 
fra  l'Italia,  la  Germania  e  l'Austria-Ungheria,  stipulata  pel 
mantenimento  della  pace  {Friedensbund). 


Da  queste  feste  dell'  alta  politica  e  della  diplomazia , 
passando  alle  feste  suggerite  alla  gratitudine  popolare  e  alla 
venerazione  verso  i  fattori  grandi  della  Patria,  troviamo, 
il  2  giugno  89  ,  anniversario  settimo  dalla  morte  di  Giu- 
seppe Garibaldi  ,  due  medaglie  che  ricordano  la  memoria 
dell'Eroe,  onorata  di  nuovi  monumenti. 

Piacenza  e  Como,  il  2  giugno  1889,  eressero  pubblico 
monumento  a  Garibaldi. 

La  festa  di  Piacenza  è  ricordata  da  questa  medaglia  : 

14.  —  Diamm.  mm.  40. 
^  —  Il  monumento  visto  di  prospetto.  (Rappresenta 
Garibaldi ,  stante  ,  con  le  braccia  conserte,  sulla  vetta 
di  una  roccia ,  ai  piedi  della  quale ,  in  atteggiamento 
guerresco  ,  un  garibaldino).  Superiormente  ad  arco ,  ai 
lati,  su  due  giri,  fra  stellette  :  INAUGURAZIONE  —  DEL 
MONUMENTO  -  A  GIUSEPPE  —  GARIBALDI.  Esergo  : 
G.  Maserati  f. 

9»    —  Corona  di  due  rami,  di  alloro  e  di  quercia,  anno- 
dati in  basso,    aperti   in    alto.  In    alto  ,  stella    d' Italia 
raggiante.  Nel  campo,  in  tre  righe  : 
PIACENZA  —  2  GIUGNO  —  1889. 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL  1889  2G7 


La  festa  di  Como  ci  è  ricordata  da  due  medaglie,  quella 
del  monumento,  propriamente  detta,  e  quella  che  il  muni- 
cipio di  Como  conferi  ai  superstiti  delle  5  giornate  comensi 
del  marzo  1848. 

Qui  le  descriviamo  : 


15.  —  a)  Diam.  mm.  43. 

^  —  Statua  di  Garibaldi,  di  prospetto,  scolpita  dal  Vela 
(in  atto  di  avanzarsi,  con  la  spada  nuda,  abbassata, 
nella  destra).  Ai  lati,  in  giro,  a  sinistra:  A  G.  GARIBALDI  ; 
e,  a  destra,  su  due  righe,  in  giro:  NEL  XXX  ANNIV.  DEL 
27  MAGGIO  1859  —  COMO  RICONOSCENTE. 

9<  —  Nel  campo,  bassorilievo  (che  sta  nel  piedestallo 
del  monumento  a  Garibaldi  in  Como)  raffigurante  la 
cessione  di  Como  alla  cittadinanza  vittoriosa  fatta  dagli 
austriaci  il  marzo  1848.  In  alto,  in  tre  righe  : 
ALLA  —  RISCOSSA  —  POPOLARE.  —  Nel  campo,  sotto 
al  bassorilievo  :  dal  bronzo  di  Yela  —  A.  C.  me.  — 
Stabilimento  Johnson.  Milano.  E  sotto,  in  due  righe,  nel 
campo:  DEL  MARZO  —  1848. 

16.  —    bj   Diam.    mm.    38   {maglietta,   dentro   la   quale   è 

passato  nastro  di  seta  a  tre  righe  verticali,  quella  di 
mezzo  bianca,  le  laterali  rosse  ;  colori  ìnunicipali  di 
Como), 

^  —  Nel  campo,  stemma  coronato  di  Como.  In  cerchio 
rilevato,  nella  metà  superiore,  ad  arco,  fra  due  rosette  ; 


268  ALFREDO  COMANDINl 


IL  COMUNE  DECRETAVA  ;  —  e  nella  metà  inferiore,  ad 
arco  :  4  FEBBRAIO  1889.  Nel  campo,  sotto  lo  stemma, 
su  due  righe  a  sinistra  :  S.  Johnson  —  Milano. 
5*  —  Nel  campo,  veduta  delle  mura  turrite  di  Como  e 
del  colle  e  torre  del  Baradello.  NelPesergo  del  campo  : 
5  GIORNATE  —  MARZO  1848.  In  cerchio  rilevato  ,  in 
•  giro  :  COMO  LIBERATA  DAL  POPOLO  INSORTO.  Eamo- 
scello  di  quercia. 

Di  queste  due  medaglie  aggiungiamo  che  esse  furono 
coniate  in  Milano  nello  Stabilimento  S.  Johnson,  e  che  la 
ammirevole  esecuzione,  specialmente  della  prima,  è  dovuta 
air  eccellente  bulino  dell'  incisore  Antonio  Cappuccio,  che 
sta  a  capo  del  gabinetto  d'incisione  in  detto    stabilimento. 

La  prima  (a)  porta  la  data  del  27  maggio  1889,  e  — 
in  fatto  —  l'inaugurazione  del  monumento  a  Garibaldi  in 
Como  doveva  avere  luogo  il  27  maggio,  ma  per  preparativi 
da  ultimare,  e  per  assicurare  maggiore  il  concorso,  la  ce- 
rimonia fu  fatta  il  2  giugno,  e  in  questo  giorno  la  medaglia 
fu  distribuita. 

E  in  questo  medesimo  giorno  fu  anche  distribuita  ai 
valorosi  superstiti  delle  cinque  giornate  comensi  del  1848 
la  decorazione  commemorativa  (b)  la  quale  porta  la  data 
(4  febbraio  1889)  della  deliberazione  del  consiglio  comunale 
di  Como  decretante  tale  ricompensa  patriottica. 

Cosi,  con  la  festa  del  2  giugno,  e  con  le  due  belle 
medaglie  che  la  ricordano,  Como  onorò  la  memoria  di  Ga- 
ribaldi ed  i  superstiti  del  1848,  ricordando  i  5  giorni  glo- 
riosi di  tale  anno,  e  ricordando  anche  la  definitiva  libera- 
zione, avvenuta,  per  la  vittoria  garibaldina  di  San  Fermo, 
il  27  maggio  1859. 

*  * 

Compiuto  appena  le  commemorazioni  di  Garibaldi,  ebbe 
luogo  in  Roma,  il  9  giugno,  una  grande  festa  dei  liberi 
pensatori,  con  la  erezione  del  monumento  a  Giordano  Bruno 
—  monumento  ideato  nel  1876  dagli  studenti  dell'università 


MEDAGLIE  ITALIANE   DEL  1889 


269 


romana,  e  dopo  lunghe    difficoltà  inaugurato    in  Roma,  in 
Campo  de'  Fiori  il  9  giugno  1889. 

La  storia  di  cotesto  monumento  —  la  cui  inaugurazione 
è  ricordata  da  quattro  medaglie  —  è  riassunta  nell'  inscri- 
zione che  si  legge  sul  rovescio  della  prima  di  esse  che  qui 
descriviamo  ; 


17.  —  Diam.  mm.  60. 

^  —  Cerchio  periato.  Nel  campo ,  in  altorilievo ,  di 
fronte,  la  statua  di  Giordano  Bruno,  e  in  giro  : 
A  —  GIORDANO  BRUNO  —  IL  SECOLO  —  DA  LUI 
DIVINATO  —  IN  ROMA  —  DOVE  IL  ROG-0  ARSE.  Sotto 
la  statua,  su  due  righe  :  dal  bronzo  di  Ettore  Ferrari. 
—  Luigi  Broggi  incise. 

9»  —  Cerchio  di  fregi  in  stile  del  rinascimento.  Nel 
campo ,  in  dieciotto  righe,  :  A'  XIX  MARZO  MDCCC- 
LXXVI,  COSTITUITOSI  FRA  STUDENTI  DELL'UNIVERSITÀ 
ROMANA  UN  COMITATO  PER  ERIGERE  A  GIORDANO 
BRUNO  UN  MONUMENTO  IN  ROMA  NEL  CAMPO  DEI 
FIORI  ,  FU  INDETTA  UNIVERSALE  SOTTOSCRIZIONE  , 
DEPOSITANDO  A  CUMULARE  LE  SOMME  IN  TRE  ANNI 
RACCOLTE.  NEL  NOVEMBRE  MDCCCLXXXIV,  ALTRO 
COMITATO  UNIVERSITARIO  RINNOVO  IL  PROPOSITO, 
RACCOLSE    IN    CINQUE    ANNI    NUOVE    SOMME,  AFFIDO 

35 


270  ALFREDO  COMANDINI 


AD  ETTORE  FERRARI  L'ESECUZIONE  DEL  MONUMENTO. 
Al  IX  GIUGNO  MDCCCLXXXIX,  IN  ROMA  CAPITALE  IN- 
TANGIBILE I  DUE  COMITATI  RIUNITI  SCIOLSERO  IN 
CAMPO  DE'  FIORI  IL  COMUN  VOTO.  GLI  INIZIATORI 
DEL  MDCCCLXXVI  CURARONO  CHE  DELL'  ALTO  CON- 
CETTO CIVILE  ATTUATO  RIMANESSE  IN  QUESTA  ME- 
*       DAGLIA   MEMORIALE   DOCUMENTO   PERENNE. 

E,  appunto  perchè  documento,  chi  scrive  dettò  cotesta 
dicitura  per  questa  medaglia  che  non  fu  posta  in  commercio, 
e  della  quale  furono  coniati  205  esemplari  dall'egregio  in- 
cisore Luigi  Broggi  di  Milano  che  con  molta  valentia  la 
incise  ;  e  cioè,  1  in  oro  per  lo  scultore  Ettore  Ferrari,  4  in 
argento,  pel  Comune  di  Roma,  per  l'Università  Romana,  e 
per  gli  oratori  prof.  Bovio  e  prof.  Trezza,  e  200  in  bronzo 
per  i  membri  del  Comitato  d'onore,  per  i  membri  dei  due 
Comitati  universitari,  per  invitati,  per  professori,  musei, 
raccolte,  ecc.  I  conii,  annullati,  furono  dal  sottoscritto  do- 
nati al  comm.  Cesare  Fascila,  egregio  direttore  della  Zecca 
di  Milano ,  per  la  pregievole  raccolta  di  conii  che  egli, 
nella  Zecca  milanese,  ha  saputo  ordinare. 

Le  altre  tre  medaglie  ricordanti  l' inaugurazione  del 
monumento  bruniano  sono  le  seguenti  : 

18.  —  Diam.  mm.  64. 
^  —  Veduta  della  Piazza  di  Campo  de'  Fiori  in  Roma  ; 
ed  in  mezzo  alla  piazza  il  monumento  a  Bruno.  Sotto 
la  linea  dell'esergo,  a  sinistra:  E.  Ferrari  inv.,  a  destra: 
Giov,  Giani  inc. 
^    —  Corona  di  due  rami   di  palma,  annodati  in  basso, 
aperti  in  alto.  Nel  campo,  in  sei  righe: 
IX    GIUGNO    —    MDCCCLXXXIX    —    A    BRUNO     —    IL 
SECOLO  DA  LUI  DIVINATO  —  QUI    DOVE   IL  ROGO   — 
ARSE.  In  giro   fuori  della    corona   di  palma  :    AUSPICE 
LA   GIOVENTÙ   DELL'ATENEO    DI  ROMA    CONCORRENTI 
LE   NAZIOISI    CIVILI. 


MEDAGLIE   ITALIANE    DEL   1889  271 

Questa  medaglia  fu  fatta  eseguire,  per  scopo  commerciale, 
dal  comitato  esecutivo  universitario  di  Roma,  e  fu  venduta 
dall'  incisore  Giani,  tirata  in  grande  numero    di  esemplari. 

Le  due  seguenti  erano  vendute  per  le  piazze  e  per  le 
vie  di  Roma  il  9  giugno  : 

19.  —  Diam.  mm.  29  {con  appiccagnolo). 

^  —  Busto  di  prospetto,  testa  incappucciata  di  Giordano 
Bruno.  In  giro  :  GIORDANO  BRUNO  SANTIFICO  IL  PEN- 
SIERO COL  MARTIRIO.    Sotto  :  ROMA  9  GIUGNO  1889. 

^  —  Veduta  della  piazza  di  Campo  de'  Fiori,  in  Roma, 
nel  giorno  del  supplizio  di  Bruno.  Esergo  :  CAMPO 
DE'  FIORI  —  1600.  Sulla   linea   dell'  esergo  a    sinistra  : 

SlRLETTI. 

Fu  eseguita  dall'incisore  romano  Augusto  Sirletti,  gio- 
vane operoso,  e  fu  coniata  nella  regia  zecca  di  Roma. 

Questa  ultima  fu  fatta  dall'incisore  Giani,  sunnominato  : 

20.  —  Diam.  mm.  26  {con  appiccagnolo). 

^  —  Su  piedestallo  con  corona  d'alloro  e  palma,  statua, 

di  prospetto,  di  Giordano  Bruno.  In  giro,  ai  lati  : 

GIORDANO  —  BRUNO. 
9/    —  In  due  linee,  nel    campo  :  17  FEBBRAIO  1600    — 

9   GIUGNO  1889.  In  giro  :  DORMITANTIUM   ANIMORUM 

EXCUBITOR. 

« 
«  « 

Si  suol  dire,  ammirando  u  Roma  città  universale  n  dove 
vivono  e  si  svolgono  diverse  forme  di  autorità,  e  di  pen- 
siero ;  ma  universale,  quanto  Roma  e  più  di  Roma,  questa 
nostra  numismatica,  clie  ci  fa  porre,  senza  conflitto,  1'  une 
vicine  all'altre,  per  ragione  cronologica,  le  medaglie  più 
disparate. 

E  dopo  le  preaccennate  viene  appunto,  in  ordine  cro- 
nologico ,  la  medaglia  storica  pontifìcia  ,  cosi  detta  della 
ricorrenza  annuale. 


272  AT-PREDO   noMANl)INl 


Il  24  giugno  1889,  monsignor  Enrico  Folchi,  segretario 
dell'amministrazione  dei  beni  della  Santa  Sede  e  il  cava- 
liere Francesco  Bianchi,  incisore  dei  sacri  palazzi  aposto- 
lici, erano  ricevuti  in  particolare  udienza  dal  Pontefice,  al 
quale  presentavano  i  primi  esemplari  —  trenta  in  oro,  e 
trenta  in  argento,  racchiusi  in  astucci  con  lo  stemma  pon- 
tificio —  della  medaglia  storica  annuale,  che  viene  coniata 
per  la  festiva  ricorrenza  degli  apostoli  Pietro  e  Paolo. 

Tale  medaglia,  pel  1889,  è  la  seguente. 

21.  —  Diam.  mm.  43.  (Vedi  Tav.  VI,  N.  1). 

^  —  Busto  a  sinistra  con  callotta,  mezzetta  e  stola.  In 
giro,  ai  lati  :  LEO  •  XIII  •  PONT  •  —  MAX  •  AN  •  XII.  Sotto 
al  busto  :  F.  Bianchi. 
9»  —  Veduta  dell'antico  portico  del  Chiostro  Lateranese 
(che  si  sta  restaurando  a  spese  del  Pontefice)  col  giar- 
dino, antico  pozzo,  etc.  Nell'esergo,  in  quattro  righe  : 
PORTICVM  •  CLAVSTRI  •  LATER  •  —  EX  •  VET  •  FORMA  — 
RESTITVIT  •  ORNAVI!  —  A  •  MDCCCLXXXIX  •  Sotto  : 
F.  Bianchi. 

Queste  medaglie  pontifìcie  sono  coniate  per  conto  del 
Pontefice  nella  regia  zecca  di  Roma  ,  diretta  dal  distintis- 
simo cav.  Ettore  Conti.  L'epigrafe  latina  di  questa  del  1889 
fu  dettata  dal  gesuita  padre  Tongiorgi. 


* 
*  « 

I  sentimenti  patriottici  ed  il  culto  delle  memorie  rac- 
coglievano il  25  giugno  1889  in  Saluzzo  eletta  schiera  di 
uomini  studiosi  e  colti,  ad  onorare  il  nome  di  Silvio  Pellico, 
del  quale  ivi  celebravasi  il  primo  centenario  dalla  nascita; 
e  questa  festa  ci  è  ricordata  dalla  seguente  medaglia,  — 
l'unica  —  se  non  erriamo  —  che  ricordi  il  nome  di  Pellico 
nella  serie  di  medaglie  illustranti  uomini  e  fatti  del  risor- 
gimento   italiano  : 


MEDAGLIE  ITALIANE   DEL  1889  273 


22.  —  Diam.  mm.  34  {con  appiccagnolo  e  anello  per  appcìi- 
derla  a  nastro). 
^  —  Fra  due  rami  di  alloro,  incrociati,  statua  di  Silvio 
Pellico  (quale  si  vede  sul  monumento   erettogli  in  Sa- 
luzzo).  In  basso,  a  destra  :  Tacconet. 
9I    —  Nel  campo,  in  tre  righe  :  NASCITA  —  SILVIO  PEL- 
LICO —  SALUZZO.  Rosetta.  In  alto,  ad  arco:  RICORDO 
1°    CENTENARIO.  In    basso    ad    arco,  fra    due    stelle    a 
cinque  punte  :  25  (jlUG-NO  1889. 


* 


Al  nome  del  mite  poeta  e  filosofo  di  Saluzzo,  nessun 
altro  potrebbe  meglio  tener  dietro,  che  quello  del  buono, 
generoso,  fidente  abate  Antonio  Rosmini  Serbati.  Il  fonda- 
tore insigne  della  scuola  rosminiana  fu  onorato,  nell'estate 
del  1889,  non  di  una  medaglia,  propriamente  detta,  ma  di 
un  bel  medaglione,  misurante  20  centimetri  di  diametro, 
ed  il  cui  modello  in  legno  fu  eseguito  dal  sig.  Giovanni 
Gassina,  che  nella  scoltura  in  legno,  ha  fama  meritata  di 
artista  valente. 

Il  medaglione  è  questo  : 

23.  —  Diam.  mm.  195. 

/B'  —  Busto  a  sinistra,  in  abito  religioso,  testa  nuda.  In 
giro,  ai  lati:  A.  ROSMINI  —  SERBATI. 
Senza  rovescio. 

L'effigie  del  Rosmini,  riprodotta  in  questo  medaglione, 
fu  tolta  —  con  qualche  modificazione  in  riguardo  al  rilievo 
—  da  una  cera  modellata  dal  vero,  assicurasi,  dallo  scultore 
Nesti,  ed  ora  posseduta  dal  cav.  Cesare  Saldini.  Compiutosi 
dal  Cassina  il  modello  in  legno,  la  fusione  in  bronzo  fu  fatta  dal- 
l'artista Pietro  Trocchi,  ed  i  medaglioni  fusi  furono,  la  prima 
volta,  60.  L' idea  di  gettare  questo  medaglione  venne  al 
Cassina,  dall'iniziarsi  di  una  sottoscrizione,  tutt'ora  aperta, 
per  raccogliere  i  fondi  necessari  per  1'  erezione  in  Milano 
di  un  monumento  in  onore  del    Rosmini.  I  60  medaglioni 


274  ALFREDO  COMAKDINI 


furono  messi  in  vendita  a  L.  8  ciascuno,  destinando  una 
parte  del  ricavo  a  favore  del  fondo  per  il  monumento  pre- 
detto; e  furono  presto  esauriti.  Su  richieste  particolari  il 
Cassina  ne  ha  fatto  riprodurre  alcuni  altri,  ma  in  numero 
limitatissimo. 

^  ♦  ♦ 

Le  medaglie  italiane  delle  quali  ci  occupiamo  si  rife- 
riscono non  pure  ad  uomini  italiani  e  ad  avvenimenti  com- 
piutisi in  Italia,  ma  ben  anche  ad  uomini  e  ad  avvenimenti 
stranieri,  coi  quali  il  sentimento  e  gl'interessi  italiani  abbiano 
rapporto  diretto.  Cosi  noi  dobbiamo  registrare  una  medaglia 
che  da  italiani  si  volle  dedicata  a  Dardo  Eocha,  il  senatore 
argentino,  benemerito  della  colonia  italiana  nella  Eepublica 
Argentina,  e  fondatore  della  città  La  Piata  e  del  suo  porto, 
Ensenada. 

A  La  Piata,  —  nuova  capitale  della  provincia  di  Buenos- 
Ayres  —  la  prima  pietra  fu  collocata  il  19  novembre  1882, 
ed  il  3  giugno  1889  contava  già  61  mila  abitanti,  in  grande 
numero  italiani;  e  le  colossali  e  meravigliose  costruzioni 
di  questa  nuova  città  sono  opera  specialmente  di  italiani 
che  applicarono  largamente  la  genialità  del  proprio  intelletto 
e  la  varietà  artistica  delle  proprie  attitudini  e  industrie. 
Cosi,  dopo  fondata  e  sviluppata  la  città,  il  9  luglio  1889 
fu  inaugurato  il  grandioso  porto  della  Ensenada,  ed  anche  in 
questo  porto  ebbero  ed  hanno  vasto  campo  di  operosità  i 
lavoratori  italiani,  dei  quali  il  senatore  Dardo  Rocha  fu, 
ed  è  tuttavia,  amico  generoso  e  valido  protettore. 

A  ricordare  cosi  rilevanti  fatti,  una  grande  ed  influente 
parte  della  colonia  italiana  della  Repubblica  Argentina, 
coadiuvata  da  italiani  residenti  all'  estero  ,  altrove  ,  e  nel 
regno,  fece  coniare  la  seguente  medaglia  : 

24.  —  Diam.  mm.  36  {con  appiccagnolo  e   anello  per  infi- 
larvi nastro). 
^  —  Busto  di  prospetto,  abito  civile  e  testa  nuda,  leg- 
germente a  sinistra,  del  senatore  Dardo  Rocha.  In  giro  : 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL   1889  275 

GLI  ITALIANI  AMMIRATORI  AL  FONDATORE  DI  LA  PLATA. 

Sotto  il  busto:  Oh.  Massonet  &  C. 
^    —  Nel  campo,  in  ornato,  fra  due  rami  di    alloro,  an- 
nodati in  basso,  gli  stemmi,  d'Italia,  a  sinistra,  coronato 
alla  reale,  e  dell'  Argentina,  a    destra,  sormontato    dal 
Sole    raggiante,    e  in    alto  fra  i    due  stemmi,  stella    a 
cinque    punte,    raggiante.  In    alto,   ad    arco: 
19    NOVEMBRE  1889  —  LA  PLATA.  In  basso  ad  arco: 
9  LUGLIO  1889  —  ENSENADA. 

Un  esemplare  in  oro  di  questa  medaglia  —  stata  ese- 
guita in  Parigi  nella  officina  del  Massonet  —  fu  presentata, 
appunto  in  Parigi,  —  al  senatore  Rocha  il  6  luglio  1889, 
dal  senatore  italiano  marcbese  Alfieri  di  Sostegno,  accom- 
pagnando la  medaglia  con  una  pergamena  artistica  il  cui 
testo  fu  dettato  dall'on.  Bonghi. 

» 
*  * 

E  dalla  festa  argentina  del  9  luglio,  ritornando  a  feste 
e  commemorazioni  italiane,  troviamo,  alla  data  25  agosto, 
l'inaugurazione  del  monumento  di  Giuseppe  Garibaldi  in 
Livorno. 

Questa  patriottica  cerimonia  ci  è  ricordata  dalle  tre 
seguenti  medaglie: 

25.  —  aj  Diam.  mm.  56  (Y.  tav.  VI  N.  3). 

ÌB"  —  Busto  nudo,  testa  nuda  a  sinistra,  di  Giuseppe  Ga- 
ribaldi. Sotto  al  busto:  Speranza. 

5*    —  Nel  campo,  stemma  civico  di  Livorno,  sormontato 
da  corona  nobiliare.  In  cerchio  rilevato,  in  giro  : 
INAUGURAZIONE     DEL    MONUMENTO    A    GARIBALDI,    e 
sotto,  in  giro,  sullo  stesso  cerchio,  fra  due  stellette  : 
LIVORNO  25  AGOSTO  1889. 

Questa  medaglia,  la  cui  incisione  fu  affidata  al  distinto 
cav.  Speranza,  incisore  nella  regia  zecca  di  Roma,  fu  co- 
Tiiata  nell^,  stessa  zecca^  in  numero    limit8|,to  di    esemplari 


2TG  ALFREDO  COMANDINI 


—  meno  di  cento  —  per  conto  del  Municipio  di  Livorno, 
che  ne  ritirò  i  conii;  e  fu  dal  municipio  livornese  distri- 
buita a  personaggi  invitati  alla  festa  inaugurale  del  mo- 
numento. 

26.  —  bj  Diam.  mm.  24  {con  appiccagnolo  e  anellino   per 

VI  filarvi  nastro). 
^   —  Busf;0  con  mantello,   testa  nuda  a  sinistra.  In  giro, 

ai  lati:  GIUSEPPE  GARIBALDI. 
91    —  Nel  campo,  in  alto,  stella  d'Italia  raggiante;  sotto 

la  quale,  in  cinque  righe,  nel  campo: 

INAUGURAZIONE  —    DEL    MONUMENTO  —   IN   LIVORNO 

—  25  AGOSTO  —  1889. 

Questa  medaglia  eseguita  dall'  incisore  L.  Giorgi,  era 
venduta  per  le  vie  di  Livorno,  nel  di  della  festa,  ed  egual- 
mente, per  le  vie  di  Livorno  vendevasi  la  seguente,  incisa 
dall'artista  bresciano  L.  Ciocchetti,  residente  in  Siena: 

27.  —  cj  Diam.  mm.  23  {con  appiccagnolo   e    anellino  per 

infilarvi  nastro). 

fy  —  Busto  con  mantello,  testa  nuda,  a  destra,  di  Giu- 
seppe Garibaldi.  In  giro:  RICORDO  DI  LIVORNO. 

5*  —  Corona  di  alloro  aperta  in  alto;  e  nel  campo,  in 
tre  righe:  25  —  AGOSTO  —  1889. 

Con  questa  medaglia  noi  chiudiamo  la  prima  parte  di 
questa  nostra  rivista  ;  professandoci  grati,  fin  d'  ora,  agli 
amatori  e  colleghi,  che,  sulle  medaglie  descritte,  e  su  altre, 
del  1889,  che  loro  fossero  note,  vorranno  favorirci  schiari- 
menti e  notizie  che  migliorino  e  completino  il  nostro  arido 
e  modesto  lavoro. 

27  Maggio  1890. 

Alfredo  Comandini. 
(Contitìita). 


THEMISSE  INEDITO 

AL  NOME  DI 

DESIDERIO    RE    DEI    LONGOBARDICI) 


Smi  Colombano  borgo  che  prese  il  nome  dal  celebre 
monaco  fondatore  del  cenobio  Bobbiese,  ed  ora  si  distingue 
coir  aggiunta  al  Lambro ,  appartiene  presentemente  alla 
provincia  di  Milano  sul  confine  orientale  di  quella  di  Pavia, 
ed  è  territorio  segnalato  per  la  squisita  bontà  del  suo  vino. 
San  Colombano  è  però  ben  più  notevole  pel  singolare  ri- 
lievo di  terreno  sul  quale  sorge  e  si  estende,  e  la  cui  na- 
tura e  disposizione  hanno  dato  materia  ed  occasione  a  studi 
importanti  e  persistenti  dei  più  dotti  geologi. 

L'elevatezza  del  colle  di  S.  Colombano  sul  circostante 
piano,  e  la  sua  prossimità  al  fiume  Lambro,  al  Po  che  di 
questo  riceve  le  acque,  ed  all'antica  strada,  che  svolgendosi 
appunto  sulla  sinistra  del  Po  conduceva  e  conduce  per 
Cremona  dalla  vetusta  Pavia  a  Mantova  e  nel  Veneto,  erano 
circostanze  naturali,  che  per  sé  lo  designavano  adatto  tanto 
alla  difesa  quanto  a  preparare  le  offese,  epperò  non  vi  man- 


(ì)  Questo  studio  fu  per  la  prima  volta  pubblicato  in  fascicolo  separato 
nel  1889  a  Pavia. 

36 


278  CAMiLi-o  i{:tAMi{;i.T,.\ 


careno  anche  in  tempi  remoti  i  munimenti  guerreschi  nella 
foggia  e  nella  estensione,  che  essi  suggerivano,  e  rendevano 
possibili.  Al  Castello  con  baluardi  e  fosse,  che  San  Colom- 
bano ricorda  quale  tiitissimum  Federici  Cash^um  nel  se- 
colo XII,  e  vanta  anche  oggidì  annoverato  fra  i  monumenti 
nazionali,  facevano  corona  robuste  costruzioni  a  MomhìHone, 
alla  Mostiola,  a  Montemalo,  ed  altre  non  poche  in  situazione 
più  depressa,  che  non  quella  dominante  e  principale  ove 
sorgeva  il  Castello  tanto  più  importante  sotto  l'aspetto  stra- 
tegico e  per  la  sua  estensione. 

Tornerà  forse  arduo  ad  un  recentissimo  e  benemerito 
studioso  di  quanto  riguarda  questa  singola  parte  del  terri- 
torio lombardo  (1),  il  far  dividere  1'  opinione  anche  da  lui 
caldeggiata,  che  appunto  sulle  falde  sud-ovest  dei  Colli  di 
San  Colombano  accampossi  per  qualche  tempo  Annibale 
avanti  la  battaglia  del  Ticino,  ma  ad  ogni  modo  San  Co- 
lombano al  Lambro  di  remota  e  forse  non  umile  origine, 
può  avere  al  pari  d'altri  anche  più  importanti  comuni  una 
storia  propria,  varia  nelle  sue  vicende,  e  frequentemente  le- 
gata coi  fatti  più  memorandi  della  grande    patria  italiana. 

Luogo  forte  e  salubre  per  la  sua  posizione  il  Colle  di 
San  Colombano,  come  certamente  ebbe  ben  presto  numerosi 
abitanti,  e  fra  questi  anche  padroni,  e  con  essi  e  per  essi 
aver  parte  nei  vari  avvenimenti,  che  vennero  mutando  le 
sorti  del  paese,  doveva  anche  conservarne  le  traccio  e  i 
ricordi,  siccome  appunto,  e  specialmente  accade  per  simili 
particolari  rilievi  del  terreno  dai  quali  il  circostante  e  sot- 
toposto piano  viene  naturalmente,  e  per  ogni  rapporto  do- 
minato (2).  Ne  San  Colombano  contraddice  col  fatto  a  quelle 
premesse,  poiché  nel  terreno  suo  ed  in  quello  delle  vici- 
nanze nei  passati  anni  erano  frequenti  le  scoperte  di  avanzi 


(1)  Alessandro  Riccardi,  L-j  località  e  territorj  di  San  Colombano  al 
Lambro.  Pavia,  1888.  Pag.  198. 

(2)  Ricordo  per  abbondanza  di  simili  memorie  in  avanzi  di  costruzioni 
murario,  sepolcri,  monete  ed  arnesi  personali  e  domestici,  i  luoghi  elevati 
sul  circostante  piano  di  Casteggio  noU'Oltrepò,  e  della  Madonna  delle  Boz- 
zolo in  Lomellina,  provincia  di  Pavia. 


TREMIS3E  INEDITO  AL   NOME  DI    DESIDERIO,  ECC.  2t9 


murali  in  larghi  tavelloni  e  laterizi  quali  soglionsi  dire 
romani^  in  amplissimi  frammenti  di  pavimento  in  calce- 
struzzo, in  urne  cinerarie,  fìbule,  bronzi,  stoviglie  e  monete 
tanto  imperiali  romane  quanto  giù  discendendo  e  di  epoca 
più  recente.  Il  Riccardi  nei  suoi  studi  sul  territorio  di 
San  Colombano  (1)  accenna  opportunamente  e  con  dettaglio 
a  quelle  scoperte,  e  rileva  come  di  esse  e  di  quelle  che  si 
facessero  nei  contorni  si  occupasse,  facendone  premuroso 
studio  e  ragguardevole  raccolta,  il  sacerdote  Luigi  Gallotta, 
che  stette  proposto-parroco  e  vicario  foraneo  nel  borgo  di 
San  Colombano  per  ben  cinquant'  anni,  dal  1828,  cioè,  al 
1877  in  cui  mori  di  ottant'anni  al  31  dicembre.  Di  quanto 
poteva  raccogliere  l'ottimo  proposto  Gallotta  teneva  dili- 
gente nota,  e  deve  insieme  augurarsi,  che  quei  cimeli  non 
vadano  dispersi,  e  che  non  ne  rimangano  disgiunte  le  me- 
morie colle  quali  lo  studioso  raccoglitore  amava  constatare 
il  tempo  di  ogni  scoperta,  il  luogo  e  le  eventuali  circostanze 
in  cui  fosse  avvenuta  (2). 

Fra  le  monete  da  lui  raccolte,  il  nostro  proposto  con- 
siderava, e  giustamente,  più  preziosa  un  aurea,  agevolmente 
conosciuta  per  longobarda  al  nome  del  re  Desiderio  ,  ma 
di  cui  non  gli  riesciva  di  completamente  interpretare  il 
rovescio,  dove  dopo  la    parola    FLAVIA  vedevansi    alcune 


(1)  Opera  citata.  Pagine  125,  131,  132,  135,  204,  205. 

(2)  Quando  don  Luigi  Gallotta  nel  1828  era  eletto  a  proposto-parroco 
di  San  Colombano  per  voto  unanime  di  quel  comune,  egli  proveniva  da  Lodi 
ove  era  professore  in  quel  Seminario  diocesano.  Dotto  e  studiosissimo  seppe 
congiungero  Teificacia  della  parola  ai  benefìci  dell'operare,  quale  gli  era  sug- 
gerito da  un  cuore  schietto  e  tenerissimo.  Fu  ispiratore  benemerito  del  filan- 
tropo fondatore  di  uno  Spedale,  di  cui  S.  Colombano  mancava.  Come  buon 
sacerdote  seppe  anche  essere  buon  italiano  in  tempi  difiìcili,  e  vivente  ebbe 
giusta  fama  di  uomo  saggiamente  caritatevole,  e  lode  singolare  ed  incon- 
testata por  virtù  vera,  costante  e  scevra  da  ogni  ostentazione.  Lasciò  molti 
scritti,  ma  non  fece  alcuna  pubblicazione,  trattenutone  al  certo  da  modestia 
sincera,  che  non  fu  vinta  neppure  dall'intima  relazione  tenuta  per  comu- 
nanza di  studi  e  di  opinioni  col  non  mai  abbastanza  lodato  vescovo  di 
Pavia  Luigi  Tosi,  che  però  a  dir  vero  di  quella  stessa  modestia  dava  a  lui 
il  più  luminoso  esempio. 


2S0  CAMILLO  BRAMBILLA 


lettere  a  prima  giunta,  e  non  difficilmente  leggibili,  ma 
che  nella  loro  riunione  non  sembravano  prestarsi  ad  appli- 
cazione pratica,  a  città  qualsiasi,  non  che  fra  quelle  già 
note  per  monete  al  nome  di  Desiderio,  ad  altra  che  pur  si 
fosse  già  soggetta  a  quell'  ultimo  dei  re  longobardi. 

Quella  importante  moneta  era  stata  trovata  nel  luogo 
detto  oggi  Camatta  ed  anticamente  Campomah,  a  brevis- 
sima distanza  da  San  Colombano  presso  le  pendici  sud  dei 
suoi  colli,  in  adiacenza  alla  strada,  che  da  Pavia  conduce 
a  Cremona  passando  per  Corteolona,  ove  sin  dai  tempi  di 
re  Liutprando  esisteva  un  regio  Palazzo.  Camalla  o  Casa- 
matta è  attiguo  al  sito  ove  sorgeva  il  Castello  di  Monte- 
malo^  che  ora  si  nasconde  nel  modesto  cascinale  detto  Ca- 
stellazzo  nel  comune  di  Chignolo  di  questa  provincia  di 
Pavia  (1). 

Era  viva  nel  proposto  Gallotta  la  brama  di  avere 
completa  l'interpretazione  del  cimelio  longobardico  di  cui 
gli  era  riuscito  d'impedire  l'emigrazione,  ed  essendogli  ba- 
lenato alla  mente  il  pensiero,  che  appartenendo  esso  ad 
altro  dei  re  longobardi,  potesse  essere  sortito  dalla  zecca 
non  lontana  della  loro  capitale,  Pavia,  ne  comunicò  le  im- 
pronte al  chiarissimo  professore  Turroni  della    nostra  Uni- 


(1)  Devo  alla  compiacenza  dell'  egregio  Cav.  Fiorani,  medico  primario 
dello  Spedale  maggiore  di  Milano,  la  notizia  del  luogo  ove  il  tremisse  di 
Desiderio  venne  scoperto  e  raccolto.  Egli  per  me  la  ricercò  e  trascrisse  dalla 
memoria  originale  del  proposto  Gallotta  di  cui  era  congiunto.  Montemnlo 
col  suo  castello  era  località  di  molta  importanza  in  relazione  ai  munimenti 
del  vicino  e  dominante  San  Colombano  e  la  vicinanza  sua  all'antica  grande 
strada  pavese,  ed  alla  Corte  regia,  che  prese  il  nome  dall'attiguo  fiume 
Olona,  dà  modo  anche  di  spiegarsi  come  appunto  nella  stessa  località  po- 
tesse andar  smarrita  e  quindi  scoprirsi  la  preziosa  nostra  moneta.  Tengo 
poi  anche  sicura  informazione  essersi  ivi  rilevata  l'esistenza  di  antiche  se- 
polture in  parte  già  violate  e  scomposte,  e  ritenute  da  chi  le  ebbe  ad  esa- 
minare di  epoca  assai  remota.  Il  nomo  di  Campoinalo  ricorda  dolorosamente 
una  vittoria  dell'arcivescovo  Ariberto  a  capo  dei  militi  maggiori  o  capitani 
milanesi,  contro  i  concittadini  del  partito  dei  militi  minori  o  valvassori,  o 
fuorusciti  alleati  ai  lodigiani  nell'anno  1036. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI   DESIDERIO,   ECC.  281 

versità  (1)  e  quindi  anclie  a  chi  scrive  (2).  Poco  per  vero 
poteva  il  richiesto  avviso  essere  agevolato  da  quelle  im- 
pronte fatte  su  cera  lacca  di  vario  colore  e  quasi  a  modo 
di  suggello,  e  quindi  ogni  cenno  dovette  limitarsi  a  con- 
fermare il  molto  pregio  del  cimelio,  in  quanto  era  indub- 
biamente un  genuino  tremisse  battuto  per  re  Desiderio, 
lasciando  affatto  impregiudicata  la  tesi  della  località  di- 
stinta al  rovescio  del  pezzo  coli'  onorevole  predicato  di 
FLAVIA,  e  solo  negativamente  semplificandola  coll'escludere 
il  TICINO  ed  il  MEDIOLANO  a  cui  le  lettere  scolpite 
dopo  quella  parola  non  si  prestavano  in  nessun  modo.  Il 
professore  Turroni  ebbe  poi  anche  opportunità  di  vedere, 
e  forse  ripetutamente,  presso  il  proposto  Galletta  a  San  Co- 
lombano il  nostro  tremisse^  ma  non  mi  consta,  che  formu- 
lasse determinata  opinione  sulla  leggenda  del  rovescio,  il 
che  anche  a  me  non  riusci,  allorché  la  compiacenza  del 
possessore  me  ne  offriva  possibilità  in  una  visita,  che  ap- 
positamente io  gli  volli  fare. 

Allora  però  io  feci  precisa  annotazione  dei  caratteri  di 
quella  leggenda,  e  lo  studio  che  le  dedicai  nella  quiete 
domestica,  ripassando  libri  e  storie,  che  mi  trasportassero 
colla  mente  all'epoca  dell'ultimo  re  dei  longobardi,  e  quasi 
mi  ponessero  in  mezzo  alle  sue  vicende,  ed  ai  luoghi,  che 
esso  ebbe,  riebbe  e  perdette,  mi  apri  uno  spiraglio  di  luce, 
che  tentai  fissare  ed  ampliare,  siccome  l'ansia  numismatica 
voleva  e  suggeriva.  Senonchè  a  compiere  quello  studio  e 
renderne  sicuri  e  più  evidenti  le  conclusioni,  vedevo  1'  as- 
soluta necessità  di  avere  nelle  mani  il  prezioso  tremisse, 
non  fugacemente,  e  per  qualche  istante  concesso  da  gentile 
compiacenza,  ma  con  ogni  agio  come  solo  avviene  di  cosa 
propria.  L'ottimo  proposto  Gallotta  peraltro  che  se  lo  avea 


(1)  Gerolamo  Turroni  ora  erudito  e  coltissimo  professore  dì  storia,  e 
teneva  presso  il  nostro  Ateneo  le  veci  del  mancante  professore  di  archeo- 
logia, conservandone  il  gabinetto  ed  il  medagliere.  Morì  nell'anno  1864. 

(2)  Ebbi  le  impronte  a  mezzo  del  benemerito  proposto  della  Basilica 
reale  di  San  Michele  don  Federico  Cattaneo,  defunto  nel  1864,  e  che  era 
amicissimo  del  Gallotta. 


282  CAMILLO  BRAMBILLA 


giustamente  carissimo,  se  spontaneamente  mi  assicurava  di 
non  privarsene  per  altri  se  non  per  me,  mi  soggiungeva 
con  franca  sincerità  di  non  sapervisi  in  nessun  modo  ri- 
solvere. 

Trascorsero  cosi  molti  anni,  e  venuto  a  morte  il  pro- 
posto Gallotta,  anche  gli  eredi  suol,  possessori  dei  cimeli 
da  lui  raccolti  rispondevano  con  parole  assai  gentili,  ma 
in  fatto  conformi  a  quelle  del  loro  buon  zio,  alle  richieste, 
che  io  mi  permettevo  di  loro  rinnovare,  e  frattanto  il  trc- 
missc  rimaneva  materialmente  nell'  elegante  astuccietto , 
che  lo  custodiva,  e  scientificamente  non  era  restituito  alla 
città  che  doveva  onorarsene.  Azzardata  però  con  recente 
opportunità  una  nuova  domanda  per  la  cessione  del  tremisse 
trovò  essa  un  cordiale  ben  augurato  assentimento  per  la 
gradita  cooperazione  di  un  egregio  amico,  ed  ora  dopo 
lunga  seria  di  anni  mi  è  possibile  di  portare  il  tremisse 
di  San  Colombano  a  quella  pubblicità  che  esso  ben  merita. 
È  appunto  per  l'importanza  attribuitagli  e  credo  con  molta 
ragione  che  io  sono  venuto  esponendo  per  cosi  dire  la 
storia  del  cimelio  che  forma  argomento  al  presente  qual- 
siasi lavoro.  Sono  in  certo  qual  modo  i  documenti  del  suo 
processo,  e  se  da  essi  si  ha  motivo  di  dar  merito  al  Gal- 
lotta, che  dal  solo  fatto  del  nome  di  re  Desiderio  conobbe 
la  preziosità  del  pezzo  e  ne  assicurò  la  conservazione,  essi 
pur  concorrono  a  stabilire  colla  sua  constatata  provenienza, 
e  se  pur  ve  ne  fosse  bisogno,  la  genuinità  del  cimelio,  per 
quanto  esso  possa  apparire  singolare  e  peregrino. 

Il  tremisse  di  cui  mi  propongo  tentare  l' illustrazione 
è  lavorato  in  oro  come  suol  dirsi  pallido,  perchè  mescolato 
con  discreta  proporzione  all'  argento,  ed  anche  per  questo 
riguardo  si  conforma  a  simili  monete  di  epoca  longobarda 
già  edite  e  ben  conosciute.  Ha  il  diametro  di  circa  dieci- 
sette  millimetri,  ed   il  suo   peso  è  di   grammi  1,050  (1).  E 


(1)  I  tremissi  di  re  Desiderio  col  Flavia  Ticino  da  mo  pubblicati  fra 
le  Monete  di  Pavia,  Tslv.  I,  5  e  6,  pesano  rispettivamente  gr.  1,065  e  1,010. 

Discorrendo  delle  monete  di  Pavia,  ho  potuto  porre  in  evidenza  come 
dei  treinissi  lavorati  per  i  re  longobardi  abbiansene  a  distinguere  special- 


TREMISSE  INEDITO   AL  NOME  DI  DESIDERIO,   ECO.  283 

contrassegnato  da  quel  consueto  e  largo  orlo  liscio,  che 
verso  la  parte  centrale  coniata  passa  a  formare  un  anello 
rilevato  che  circonda  il  nome  del  principe  segnato  nella 
moneta,  lasciando  al  rovescio  le  traccie  dello  stesso  anello 
apparenti  in  incavo  con  qualche  danno  della  leggenda  ivi 
scolpita.  Al  centro  del  diritto  vi  ha  una  croce  potenziata 
a  braccia  eguali,  ed  in  capo  alla  leggenda  altra  simile  pic- 
cola croce.  In  seguito  da  destra:  D^NDESIDERIVE,  (Dominus 
ì^oster  DESIDERIVI  UeX).  La  lettera  N  è  in  nesso  colla 
successiva  D,  in  alto  dopo  la  prima  D  vi  ha  un  bisante,  e 
le  due  lettere  E  sono  indicate  con  due  punti  o  bisanti  acco- 
stati ad  un'asta  od  I. 

Il  rovescio  la  cui  parte  coniata  è  più  ampia,  presenta 
due  circoli  al  cui  centro  sta  una  stella  a  sei  raggi  accan- 
tonata da  fogliuccie;  in  giro  dopo  una  piccola  croce  eguale  a 
quella  segnata  nel  diritto  corre  la  leggenda  FLAVIA  SIDEIO 
in  qualche  modo  resa  meno  semplice,  ed  anzi  effettivamente 
complicata  dalla  presenza  di  alcuni  bisanti  o  punti  rilevati, 
e  dei  quali  se  ne  contano  ben  sei,  cioè  due  dopo  la  L,  uno 
fra  le  braccia  della  V,  uno  dopo  l'I  di  FLAVIA  ed  uno  ri- 
spettivamente dopo  ri  e  dopo  l'O  di  SIDRIO. 

E  consueta  la  presenza  di  alcuno  di  quei  punti  rilevati 
o  bisanti  nei  tremissi  longobardi  al  tipo  del  presente,  ap- 
partengano essi  al  re  Astolfo  (749-756)  ovvero  a  Desiderio 
(756-774),  ed  appaiono  poi  più  numerosi  e  variamente 
aggruppati  in  simili  pezzi  ed  anche  nei  denari  d'  argento 
col  nome  del  re  Carlo  di  Francia  detto  il  Magno,  quali  si 


mento  quattro  tipi,  dei  quali  i  primi  sono  puro  o  semplici  imitazioni  dei  tre- 
missi bizantini,  di  quelli  in  ispecie  al  nomo  di  Maurizio  Tiberio.  Conoscersene 
quindi  altri  che  portano  al  diritto  il  busto  od  il  nome  del  re  longobardo, 
ripetuto  lo  stosso  nomo  anche  al  rovescio  intorno  alla  figura  alata  di  tipo 
pur  bizantino;  poi  aversi  in  terza  linea  treinisst  col  busto  ed  il  nome  del 
re  al  diritto,  e  la  figura  di  San  Michele  colla  sua  leggenda  al  rovescio; 
chiudersi  infine  la  serie  coi  treinissi  stellati  fatti  a  somiglianza  di  quelli 
di  Lucca,  e  dove  non  più  compare  il  busto  ma  solo  il  nomo  del  re  intorno 
ad  una  croce,  e  noi  rovescio  vi  ha  la  stella  a  sei  raggi  col  nome  della 
città  onorata  colla  qualifica  di  Flavia, 


284  CAMILLO  BRAMBILLA. 


hanno  singolarmente  di  Lucca  (l).  Quei  bisanti  o  punti  ri- 
levati, se  scarsi  ed  isolati,  erano  ragionevolmente  ritenuti 
quali  semplici  segni  di  zecca  ;  ma  fu  ben  osservato  dal 
Massagli  raccoglitore  diligentissimo,  ed  illustratore  delle 
monete  di  Lucca  (2),  che  se  moltiplicati,  e  più  se  variati  di 
forma,  come  venne  verificandosi  per  Carlo  Magno,  passavano 
a  costruire  un  modo  di  ornamento  che  accenna  a  progresso 
di  tempo,  e  ad  epoca  diversa,  e  più  inoltrata.  Eitengo  op- 
portuno il  prendere  nota  di  questa  osservazione  per  asso- 
dare che  il  treynisse  di  cui  mi  occupo,  e  riguardo  al  quale 
ho  fatto  rilevare  la  presenza  di  non  pochi  di  quei  bisanti, 
debba  ritenersi  lavorato  non  nei  primi  anni  del  regno  di 
Desiderio  ma  piuttosto  verso  1'  epoca  per  lui  infelicissima 
in  cui  dovette  soggiacere  alle  estreme  umiliazioni  inflittegli 
dal  re  dei  Franchi  (3). 

Non  credo  possa  esservi  dubbio  nello  esporre  la  leg- 
genda del  rovescio^  ritenendola  costituita  dalle  due  distinte 
parole  FLAVIA  e  SIDRIO,  essendomi  sempre  sembrato,  che 
qualche  eccezione  potesse  farsi  all'assunto  dell' Azzoni-Avo- 
garo,  di  aprirsi  la  strada  a  leggere  il  nome  della  città  di 
Treviso  in  tremisse  di  Desiderio  col  riunire  al  FLAVIA  una 
S  che  gli  fa  seguito  (4).  SIDRIO  adunque  ecco  il  nome  della 
città  colla  inflessione  simile  al  TICINO,  che  per  re  Desiderio 
si  volle  segnato  nel  nostro  tremisse. 

È  noto  che  di  re  Desiderio  si  hanno  tremissi  stellati 
non  solo  al  nome  di  questa  sua  capitale  Pavia,  ma  anche 
di  altre  per  lui  occupate,  quali  Lucca  (5),  Milano   (6),  Pia- 


(1)  Massagli,  Memorie  e  documenti  per  servire  alla  Storia  di  Lticca, 
Lucca,  1870.  Tav.  Ili  o  IV. 

(2)  Opera  citata,  pag.  12. 

(3)  I  duo  tremissi  stellati  di  Desiderio  da  mo  pubblicati  ai  N.  5  e  6, 
Tav.  I  delle  Monete  di  Pavia,  al  loro  rovescio  non  hanno  che  un  solo  bi- 
sante  dopo  la  l  di  Flavia,  o  tre  no  portano  seguati  al  diritto. 

(4)  Zanetti,  Delle  monete  che  ebbero  corso  in  Trevigi.  Nuova  raccolta. 
Tomo  IV. 

(5)  Corderò  di  SA^QUIKTIKO,  Della  zecca  e  delle  monete  di  Lucca, 
Lucca,  1860.  Pag.  15. 

(6)  DoM.  Promis,  Monete  di  zecche  italiane.  Torino,  1867.  Pag.  16. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,   ECC.  285 

cenza  (1),  ed  anche  Treviso  secondo  1'  Azzoni-Avogaro  (2). 
E-arissimi  tutti  quei  cimeli,  si  hanno  singolari  in  alcune 
raccolte  privilegiate,  e  siccome  appunto  la  somma  loro  ra- 
rità doveva  essere  forte  stimolo  alla  triste  genia  dei  falsi- 
ficatori, cosi  ne  questi  mancarono,  ne  vi  fa  scarsità  di  ama- 
tori illusi  ed  ingannati.  Ma  difficile  era  che  la  falsificazione 
raggiungesse  il  minuto  ed  affatto  speciale  lavoro  dei  tremissi 
originali,  e  la  rarità  stessa  di  questi,  diveniva  al  tristo  fal- 
sificatore massimo  ostacolo  a  fare  che  l' indegna  sua  opera 
potesse  essere  condotta  a  tale  risultato  da  trarre  in  inganno 
chi  avesse  sufficiente  esperienza  nello  studio  pratico  delle  an- 
tiche monete.  Dobbiamo  alla  diligenza  di  Guid' Antonio  Za- 
netti la  narrazione  ben  dettagliata  di  una  serie  di  falsifica- 
zioni di  monete  longobarde  ai  nomi  di  Cuniperto,  di  Liut- 
perto,  ed  anche  appunto  di  Desiderio  tutte  con  applicazione 
alla  città  di  Milano  (Fhkvia  MEDIOLANO)  (^),  e  per  vero 
lo  Zanetti  collo  aver  constatato  ben  chiaramente  il  processo 
di  quella  grande  falsificazione,  che  doveva  però  presto  sco- 
prirsi, essendosi  esplicata  anche  con  impossibili  tì^emìssi  la- 
vorati in  argento,  ha  reso  ottimo  servigio  ai  numismatici 
divenuti  assai  più  guardinghi  e  severi  nell'accettare  simili 
cimeli.  Ci  occorre  infatti  di  incontrare  anche  in  alcuna  delle 
raccolte  numismatiche  più  distinte  avvertita  la  falsità  di 
qualche  tremisse  longobardo,  conservato  probabilmente  quale 
saggio  od  imitazione  per  la  mancanza  della  moneta  genuina 
originale.  Ciò  trovai  verificarsi  per  la  grande  collezione 
imperiale  di  Vienna  (4);  per  quella  si  rinomata  del  Welzl 
de  Wellenheim  venuta  in  vendita  nell'  anno  1844  (5)  ;  ed  in 
qualche    catalogo  recente    di    monete  poste    all'  incanto    ci 


(1)  Feuardent,  Revue  numismattque,  1862.  Pag.  55. 

(2)  Op.  cit.  Pag.  56. 

(3)  Zanetti,  Nuova   raccolta,  ecc.  Tom.  IV.  Pag.  519.  Lettere  inedite 
pubblicate  da  B.  Biondelli.  Milano,  1861.  Pag.  46. 

(4)  Arneth,  Si/mpsis  tiumorum  veterum  qui  in  Museo  Cesareo  Vin- 
dobonensi  adsenantur.  1812.  Pag.  211,  212. 

(5)  Caialogue  de  la  grande  collectìon  de  tnonnaies,  ecc.  Vienne,  184^. 
Voi.  IL  Pag.  159  N.  2733. 

37 


286  CAMILLO  BRAMBILLA. 


accadde  pur  di  trovare  annunciato  alcuno  di  quei  tremissi, 
se  non  colla  franca  dichiarazione  di  conio  moderno^  con 
quella  abbastanza  significante  di  dubbio  (1). 

Poiché  ho  segnalati  i  tremissi  stellati  di  re  Desiderio 
fra  le  monete  più  rare  che  ci  siano  pervenute  per  1'  epoca 
in  cui  signoreggiava  fra  noi  la  nazione  dei  longobardi, 
accennerò  esser  mio  avviso,  che  quella  somma  rarità  sia  da 
ascriversi  agli  avvenimenti  gravissimi,  che  debbono  aver 
preceduta  ed  accompagnata  la  catastrofe  con  cui  i  franchi 
posero  termine  alla  signoria  dei  longobardi  percorrendo  e 
saccheggiando  ogni  luogo  del  loro  dominio,  e  tenendo  as- 
sediata Pavia  per  ben  otto  mesi,  dalla  quale  città,  con  De- 
siderio fatto  prigione,  venne  tolto  e  predato  il  regio  tesoro 
distribuendolo  fra  le  truppe  vincitrici.  Già  scarso  il  denaro 
fra  la  popolazione  per  le  condizioni  dei  tempi ,  e  sempre 
peregrine  le  monete  auree  battute  nella  zecca  regia,  giacche 
agli  ordinari  bisogni  del  paese  in  tempi  appena  tranquilli 
provvedeva  la  moneta  bizantina  della  quale,  particolarmente 
per  quella  di  rame,  è  ovvio  il  trovare  non  meschini  ripo- 
stigli, i  pochi  tremissi  locali  in  qualsiasi  modo  venuti  in 
mano  ai  soldati  del  re  franco  ,  saranno  stati  avidamente 
presi  e  via  trasportati  a  trofeo  e  ricordo  della  spedizione 
felicemente  compiuta,  perdendosene  fra  noi  quasi  ogni 
traccia. 

Per  tutte  le  fatte  considerazioni  io  trovai  sempre  più 
interessante  e  prezioso  il  tremisse  di  cui  ragiono,  e  mi  sen- 
tivo animosamente  confermato  nel  proposito  di  pur  giun- 
gere a  formulare  riguardo  alla  città,  che  vi  si  volle  commemo- 
rata, un  concetto  che  avesse  base  ragionevole,  e  consistenza 
di  attendibilità.  Dopo  varie  ipotesi  più  presto  svanite  che 
non  proposte,  tornatami  vana  ogni  possibile  applicazione 
del  SIDRiO  a  luogo  qualsiasi  fra  quelli  soggetti  notoriamente 
al  dominio  dei  longobardi,  io  pensai  portare  la  mia  speciale 
e  minuta  attenzione  alle  città,  che  i  longobardi,  e  massime 


(1)  Veggasi  il  catalogo  della   colleziono  Taggiasco.    Roma,   1887  a| 
N.  974  e  975. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDEEIO,  ECC.  2g7 

rultimo  loro  re  Desiderio  ebbero  più  o  meno  lungamente 
ad  invadere.  Alternati  e  frequenti  erano  stati  sempre  per 
parte  dei  re  longobardi,  e  più  sotto  Astolfo  e  Desiderio,  i 
tentativi  per  estendere  la  loro  dominazione,  e  resistere 
reagendo  alle  pretese  dei  pontefici  sempre  pronti  dal  canto 
loro  a  promovere,  ed  implorare  l'intervento  delle  armi  dei 
franchi,  dopoché  la  lontananza  e  la  debolezza  degli  impe- 
ratori di  Costantinopoli  e  degli  esarchi,  che  in  queste  re- 
gioni li  rappresentavano,  avevano  aperto  1'  adito  fra  altre 
ambizioni  a  quella  appunto  dei  pontefici,  per  un  dominio 
loro  proprio  ed  affatto  indipendente. 

Scorrendo  fra  altri  libri  che  reputai  utili  al  mio  studio 
l'Istoria  di  Viterbo  di  Feliciano  Bussi  (1),  m'incontrai,  lad- 
dove quell'autore  intende  stabilire  l'autenticità  giustamente 
contrastata  del  marmo  in  cui  Viterbo  conserva  scolpito  un 
decreto  per  essa  molto  onorevole  di  Desiderio  re  dei  lon- 
gobardi, in  un  brano  della  Cosmografia  dell'  Anonimo  Ra- 
vennate edita  a  Parigi  nel  1688  dal  P.  Placido  Porcheron 
in  cui  nominandosi  molte  città  vicine  a  Roma  è  scritto  : 
Item  juxta  Roìnam  est  Civitas^  quce  dicitur  Civitate  Novas, 
Item  Sabbatis,  Foro  Globi.  Item  juxta  territorium  Civitatis, 
quam  superius  diximus  Battanis;  ad  partem  Tuscice  est 
Cìvitas,  que  dicitur  Sudrio  Magnensis,  item  foro  Casi, 
Beterbon  ,  Balneon  Regis  ,  Orbevetus  ,  Bulsinis ,  Pallia  , 
Clusion,  etc.  Fu  quello  lo  spiraglio  di  luce  che  fermò  la  mia 
attenzione,  aprendo  alle  successive  ricerche  un  campo  più 
ristretto  e  determinato  in  cui  conoscere,  e  stabilire  se  i  rap- 
porti di  Desiderio  colla  città  di  Sutri  potessero  effettivamente 
essere  stati  tali,  che  il  suo  nome  comparisse  in  moneta  di 
quel  re  dei  longobardi,  come  vi  troviamo  quello  di  Milano, 
di  Lucca,  di  Piacenza.  Poiché  nessun  dubbio  poteva  pre- 
sentarsi nel  ritenere,  che  Sudrio  stesse  nell'  Anonimo  Ra- 
vennate per  Sutri,  ciò  essendo  evidente  per  il  testo  medesimo 
di  quello  scrittore,  che  nomina  le  città  poste  juxta  Romam 
ed  anche  pel  Magnensis  che  segue  il  Siidriòj  e  che  accenna 


(1)  Roma,  1742.  Pag.  25. 


288  CAMILLO  BRAMBILLA. 


alla  Selva  magna,  la  quale  si  sa  essere  nel  territorio  appunto 
di  Sidri. 

M'importa  però  di  qui  accennare  che,  se  il  concetto  di 
attribuire  a  Sutri  il  nostro  tremisse  si  trovava  abbozzato 
nella  mia  mente  appena  essa  fermossi  sul  brano  dell'Anonimo 
Ravennate  riferita  dal  Bussi,  e  con  ciò  era  resa  in  me  più 
acuta  la  brama  di  possederlo,  il  forte  dubbio,  che  ciò  pur 
potesse  effettivamente  verificarsi,  e  la  non  esclusa  possibilità 
che  avuto  modo  di  una  prolungata  o  tranquilla  considera- 
zione del  singolarissimo  pezzo,  questa  aprisse  il  varco  a 
diverse  conclusioni,  mi  distoglievano  dall'  insistere  attiva- 
mente in  uno  studio,  che  rimaneva  ne'  miei  propositi,  ma 
in  certo  modo  sospeso,  in  quanto  la  direzione  poteva  esserne 
per  avventura  errata. 

Ma  come  già  ho  esposto  mi  riusci  dopo  tanti  anni  di 
avere  quel  tremisse,  e  di  conformarne  con  scrupoloso  esame 
ed  in  via  assoluta,  l'interpretazione.  Compiutone  pertanto, 
secondo  poteva  riuscire,  lo  studio,  mi  è  data  la  soddisfazione 
di  comunicarne  la  conclusione  ai  colleghi  amatori  della 
numismatica. 

Mia  prima  cura,  dopo  essermi  assicurato  della  giusta 
ed  inappuntabile  interpretazione  delle  leggende,  ed  aver 
quindi  ripresa  l'indagine  colla  guida  già  fissatami,  fu  di 
accertarmi,  che  esatta  fosse  la  citazione  di  Feliciano  Bussi 
riguardo  all'  Anonimo  Ravennate  di  cui  mancavami  ogni 
edizione.  Qui  mi  soccorse  la  compiacenza  del  Dott.  Paolo 
Orsi  della  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  che  oltre  avermi 
fatto  certo  per  riguardo  al  Sudrio  della  relativa  concordanza 
colla  edizione  primitiva  fatta  dal  Percheron  nel  1688  sul 
codice  della  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi,  mi  diede  no- 
tizia della  edizione  più  recente,  che  dell'Anonimo  Ravennate 
erasi  fatta  dai  sigg.  Pinder  Parthey  (1).  Su  questa  ho  potuto 
io  stesso  -constatare  a  pagina  285  sussistere  letteralmente 
il  Sudrio  ad  indicare  la  città  di  Sutri.  Ne  può  esservi  dubbio 


(1)  Ravennatis  Anonimi  Cosmographia  et  Guidonis  Geographica.  Be- 
rolini,  1860. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,  ECC.  289 

di  errore  di  copista  o  di  amanuense.  I  sigg.  Pinder  e  Parthey 
essendosi  proposto  di  procurare  una  edizione  veramente 
completa  ed  accurata  dell'importante  lavoro  dell'Anonimo 
di  Ravenna,  non  ebbero  ricorso  soltanto  al  codice  parigino 
come  il  Percheron,  venuto  perciò  in  qualche  sospetto  al 
nostro  eruditissimo  Muratori  (1),  ma  ne  fecero  riscontro  coi 
codici  della  Vaticana ,  e  di  Basilea ,  senza  trascurare  le 
riproduzioni  fattene  da  Giacomo  Gronovio  nel  1696,  e  da 
altri  successivamente.  Fra  le  molte  varianti  minutamente 
rilevate  dai  signori  Pinder  e  Parthey  nessuna  ebbero  essi 
ad  accennarne  di  relativa  al  nostro  proposito. 

Confermano  i  nuovi  diligentissimi  editori  dell'Anonimo 
Ravennate,  coadiuvati  nel  loro  importante  lavoro  da  non 
pochi  altri  eruditi,  doversi  ritenere  che  lo  stesso  Anonimo 
dettasse  la  sua  Cosmografia  nel  settimo  secolo  dell'  era 
volgare,  e  non  potersi  esso  confondere,  siccome  vi  inclinava 
il  Muratori,  in  una  sola  persona  con  Guido  prete  pur  di 
Ravenna,  appartenente  ad  epoca  posteriore,  e  forse  al  se- 
colo IX. 

Notevolissima  è  l'autorità  che  devesi  attribuire  all'A- 
nonimo Ravennate,  sia  pel  tempo  in  cui  ritiensi  aver  scritto, 
sia  per  appartenere  a  quella  città  di  Ravenna,  che  dopo 
l'epoca  di  Teodosio  II  era  importante  centro  per  le  cose 
geografiche  (2). 

Sutri^  come  si  denomina  questa  fra  le  antichissime  città 
italiane,  e  di  origine  etrusca,  ora  appartenente  alla  provincia 
di  Roma,  circondario  di  Viterbo;  trovasi  indicata  nelle  storie, 
e  negli  antichi  codici  ed  itinerari  col  nome  2ojTpr>v,  di 
Sutrium ,  di  Sutrio ,  e  finalmente  di  Sudrio  dall'  Anonimo 
Ravennate.  Si  disse  Respublica  Sutrinorum,  e  secondo  i 
tempi  anche  Colonia  lulia  Sutrina  quando  ebbe  una  nuova 
colonia,  imperando  Augusto  ;  Sutrinus  fu  chiamato  il  vescovo 
che  essa  città  ebbe  dalla  Chiesa. 

Non  è  punto  a    ritenersi  troppo  strano    il  trovare  nel- 


(1)  Rerum  Italicartim  Scriptores.  Tom.  10.  De  tabula  Chorographica 
Meda  Aevi,  Pag.  XV. 

(2)  Lelewel,  Géographie  du  Moyen-àge, 


290  CAMILLO   BRAMBILLA. 


rAnonimo  Ravennate  indicata  Sidri,  col  Sudrio  anziché 
col  Sutrium,  invece  usato  dall'  altro  Ravennate  il  prete 
Guido  (1).  Il  nostro  Anonimo  cosi  scrivendo  attenevasi  molto 
probabilmente  al  parlar  volgare  de'  suoi  tempi  in  cui  assai 
comunemente  accadeva  di  sostituire  alla  T  nelle  denomi- 
nazioni la  più  dolce  lettera  D  che  mancava  agli  antichi 
toscani  ed  etruschi  ;  dal  che  ne  vennero  mutati  HATRIA  in 
HADRIA  (Adria),  TVTER  in  TVDER  (Todi),  BVTRIYM  in 
BVDRIVM  (Budrio).  E  quanto  fosse  in  fatto  frequente  il  mu- 
tare la  T  in  D  ed  anche  viceversa  ci  è  constatato  da  antiche 
iscrizioni  ove  abbiamo,  a  cagion  d'esempio  SID,  invece  di  SIT 
Ubi  terra  levis,  non  che  da  moltissimi  documenti,  e  questi 
anche  precisamente  del  secolo  Vili,  dei  quali  io  mi  limiterò 
ad  accennare  quelli  riportati,  e  di  tale  epoca  nel  Codice 
diplomatico  Sant'Ambrosiano  (2). 

Tutto  ciò  per  altro  vale  pel  Sudrio  invece  di  Siitrio, 
ma  non  avrebbe  conveniente  rapporto  col  cambiamento  della 
XJ  in  I  come  si  verifica  sul  tremisse  di  San  Colombano  ove 
leggiamo  non  SVDRIO  ma  SIDRIO.  Mi  occorre  quindi  rile- 
vare, che  se  era  nella  bassa  latinità  ovvia  la  mutazione 
della  T  in  D  e  viceversa,  ciò  avveniva  anche  fra  loro  riguardo 
alle  lettere  I  V  (od  TI)  ed  Y.  Scorrendo  il  Glossario  Italico 
di  cui  siamo  debitori  all'erudizione  di  Ariodante  Fabretti  (3), 
e  cosi  le  ricordate  opere  dell'Anonimo  Ravennate,  e  del 
prete  Guido,  noi  ci  incontriamo  in  un  frequente  scambio 
—  quelle  lettere  nei  nomi  propri  di  persona,  come  Surus 
di  Syrus  —  Sirus;  Siilia  e  Sitia;  Tutina  e  Titius  ;  così  nella 
denominazione  di  non  poche  città,  e  già  in  uso  in  tempi 
remoti,  come  Dirachium,  Dyrachium,  Durachiwn;  Siracusa 
Siracusa,  e  Suracusa;  Sirentu?n  e  Surrentum,  e    con  ana- 


(1)  Guidonis  Geographica,  a  seguito  deirAnonimo  Ravennate  di  Pinder 
0  Parthey.  Pag.  488. 

(2)  Fumagalli,  Codice  diplomatico  San f  Ambrosiano.  Milano,  1805. 
Pag.  33,  39,  41  ed  altrove.  Vedasi  anche  Du  Gange,  Glossarium,  ecc.  Ba- 
sileae.  Tom.  I,  Pars  socunda.  Pag.  702.  Dmwatur  in  T  non  semel  ut  SET 
prò  SED  aut  vicissim. 

(3)  Torino,  1859  e  seguenti. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,  ECC.  291 


logo  esempio  ci  vien  fatto  di  leggere  Trasimenus  —  Tra- 
symenus,  e  Trasumenus^  ed  anche  Tharsomenus  pur  variato 
con  particolare  ortografia  a  norma  dell'uso  e  dei  tempi.  Ciò 
io  credo  appunto  avvenisse  per  l'uso  della  Y  che  sostituita 
alla  V  (U),  ed  avendo  suono  analogo  alla  lettera  I  conduceva 
poi  ad  un  notevole  mutamento  di  ortografia  e  di  pronuncia, 
quale  appunto  occorre  per  noi  in  quel  Sldrio  invece  del 
Sudrio,  dove  forse  lo  zecchiere,  ch(i  avea  a  scolpire  al  seguito 
del  FLAVIA,  e  dopo  la  S  una  V  alla  quale  riesciva  scarso 
materialmente  lo  spazio,  come  pur  lo  era  per  una  Y,  si  at- 
tenne al  comodo  lavoro  di  una  I,  che  nella  fuliggine  del 
tempo,  e  nelle  ristrette  sue  cognizioni  compiva  convenien- 
temente il  senso  e  la  parola. 

Credo  dopo  le  cose  fin  qui  dedotte,  mancando  assolu- 
tamente gli  elementi  di  una  diversa  conclusione,  che  per 
se,  ed  anche  fatta  astrazione  da  ogni  argomento,  che  d'al- 
tronde potesse  concorrere  a  tale  affermazione,  in  quel  SIDE,IO 
abbastanza  nettamente  scolpito  nel  nostro  tremisse  coll'ono- 
revole  titolo  di  FLAVIA,  applicato  per  le  più  cospicue  città 
dei  re  longobardi,  che  per  le  loro  persone  avevano  adottato 
quello  stesso  titolo  abbia  a  ravvisarsi  senz'  altro  indicata 
la  città  di  Sidri. 

Non  potevo  però  ignorare  che  oltre  la  città  di  Sutri 
nel  dominio  romano  esista  in  Italia  pur  una  borgata,  che 
egualmente  si  denomina  Sutrio^  e  questa  non  lungi  da 
Tolmezzo  in  provincia  di  Udine  a  cui  estendevasi  notoria- 
mente il  regno  dei  longobardi.  Ma  sebbene  tale  comune 
avesse  già  un  castello,  non  vi  manchino  scoperte  di  anti- 
chità, e  possa  ritenersi  non  vana  l'opinione  C^),  che  ne  fosse 
fondatrice  una  colonia  venuta  dal  Sutri  romano  ,  non  era 
il  caso  di  dar  seguito  a  relativo  dubbio ,  poiché,  mode- 
stissimo luogo  mai  sempre,  popolato  da  poco  più  di  mille 
abitanti,  non  è  posto  in  evidenza  da  fatto  qualsiasi  che 
potesse  aprir  l'adito  a  credere,  che  anche  momentaneamente 
regnando  la  nazione  dei  longobardi  avesse   assunto  impor- 


(2^  Nispi-Landi^  Storia  di  Sutri.  Pag.  7^, 


292  *  CAMILLO  BRAMBILLA 


tanza,  e  tanto  meno  poi  tale  e  siffatta  da  essere  equiparata 
alle  città  di  quel  dominio. 

Ristretta  pertanto  ogni  considerazione  al  SiUri  appar- 
tenente alla  Toscana  romana,  e  poi  al  ducato  di  Roma,  era 
ovvio  doversi  esaminare  se  gli  avvenimenti  storici  svoltisi 
qui  in  Italia  nel  secolo  VITI  permettessero  di  darci  giusti- 
ficata ragione  del  fatto  di  cui  la  comparsa  del  nome  di 
Sittri  in  tremisse  di  re  longobardo,  sarebbe  stato  effetto,  e 
costituirebbe  positiva  affermazione. 

La  città  di  Sutri^  ridotta  oggidì  a  più  modeste  pro- 
porzioni per  estensione  e  importanza,  e  pel  numero  de'  suoi 
abitanti,  è  luogo  fortissimo  per  la  posizione  su  di  una 
eminenza  di  tufo,  che  a  guisa  di  scoglio  è  tagliato  perpen- 
dicolarmente da  ogni  parte.  Divenuta  dopo  la  distruzione 
di  Veio,  da  etrusca  romana,  Sutri  ebbe  considerazione  di 
claustrum  Etruriae^  ossia  di  valido  baluardo  per  Roma  verso 
quella  parte  della  Toscana  cui  la  stessa  città  già  prima 
aveva  appartenuto. 

Le  storie  dettate  da  Tito  Livio  accennano  ripetutamente 
ad  avvenimenti  in  cui  va  congiunto  il  nome  di  Sutri,  con 
quelli  gloriosissimi  di  Furio  Camillo,  di  Emilio  Barbula, 
di  Quinto  Fabio  Massimo.  Augusto  apprezzando  l'importanza 
strategica  di  Suln\  vi  inviava  una  nuova  colonia  da  cui 
denominossi  Colonia  lulia  Siitrina, 

Più  volte  i  Goti  devastarono  la  misera  città,  cbe  posta 
sulla  via  Cassia,  che  presso  Roma  staccandosi  dalla  Flaminia 
conduceva  a  Firenze,  e  per  V Einilia  a  Bologna,  si  trovava 
per  la  stessa  sua  forte  postura  esposta  alle  più  gravi  vicende 
di  guerra,  essendone  il  possesso  desiderato,  e  robustamente 
contrastato  tanto  dalle  orde  invaditrici,  quanto  dai  difensori, 
e  dagli  stessi  cittadini. 

Nell'anno  569  i  Longobardi,  che  alla  lor  volta  chiamati 
da  Narsete  scesero  ad  invadere  l' Italia,  estendendosi  dal- 
l' Umbria^  anche  in  quella  parte  àoiV Etriiria  o  Toscana,  che 
più  prossima  a  Roma,  dicevasi  romana,  occuparono  con 
altre  città  di  quella  regione  anche  Sutri,  che  solo  parecchi 
anni  più  tardi  al  cadere  del  secolo  VI  fu  loro  ritolta  dal- 
l'Esarca Romano  Patrizio,  e  ritornata  all'impero. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME   DI   DESIDERIO,   ECC.  293 


Successivamente  Sutri  rimase  vincolata  alle  sorti  di 
Roma  e  del  suo  ducato  di  cui  si  trovò  far  parte,  e  nell'anno 
727,  quando  Liutprando  re  dei  longobardi,  approfittando 
dell'acuto  contrasto  sorto  fra  l'ardente  iconoclasta  imperatore 
Leone  Isaurico,  ed  il  pontefice  Gregorio  II  si  fece  contro 
di  questi  minacciosamente  aggressivo,  Sidri  pensò  di  tute- 
lare la  propria  sicurezza  facendo  omaggio  allo  stesso  pon- 
tefice di  obbedienza  devota  e  di  fedeltà.  Nell'anno  728  però 
Liutprando  entrava  in  Sutri,  e,  se  dopo  qualche  mese  in- 
dottovi dai  doni  e  dalle  preghiere  del  pontefice  acconsentiva 
a  partirsene,  non  lo  faceva  a  titolo  di  restituzione  siccome 
avrebbe  voluto  Gregorio  II  ma  per  vantato  ed  espresso 
atto  di  liberalità,  e  per  ossequio  verso  San  Pietro  ed  a 
titolo  di  dono  alla  Chiesa,  nel  che  si  accordano  gli  sto- 
rici ,  per  quanto  le  parole  adoperate  possano  essere  di- 
verse (1). 

Se  io  non  erro  nel  fatto  che  Liutprando  ben  credette 
aderire  alle  preghiere  del  pontefice,  accompagnate  da  cospicui 
donativi,  ma  colla  forma  di  libéralissimo  dono  si  diversa 
da  quella  di  una  restituzione,  sta  già  un  richiamo  del  pos- 
sesso, che  di  Sutri  avevano  preso  i  re  longobardi  a  comin- 
ciare da  re  Alboino  nei  primordi  della  loro  invasione,  e 
quasi  una  riserva  di  nuova  occupazione  non  difficile  a 
prevedersi  nello  stato  delle  relazioni  fra  i  pontefici  ed  i 
Longobardi,  assai  aggrovigliate  pei  ripetuti  tentativi  della 
parte  imperiale  per  riprendere  autorità  in  domini  sostan- 
zialmente perduti. 

Nell'anno  740  la  ribellione  di  Trasemondo  duca  di 
Spoleto,  che  si  volle  fosse  promossa  od  almeno  fomentata 
dal  pontefice  Gregorio  ITI,  che  lo  accolse  in  Roma,  condusse 
nuovamente  Liutprando  nel  ducato  romano  di  cui  gran 
parte  venne  da  esso  occupata,  togliendosene  solo  dopo  due 
anni  per  accordi  col  nuovo  pontefice  Zaccaria  ,  che  il  re 
longobardo  ricevette  molto    rispettosamente  in    Terni.  Fra 


(1)  Anastasio  Bibliotecario,  Rerum  Ital.  Script.  Tom.  III.  Pag.  157. 
SiGONio,  De  regno  Italico.  Bologna  1580.  Pag.  HO.  Muratori,  Annali. 
Anno  728. 


38 


294  ♦  CAMILLO  BRAMBILLA 


le  altre  concessioni  fatte  allora  da  Liutprando  noto  pel  mio 
assunto  quello  della  valle  quce  vocatur  magna  appartenente 
a  Sutri  (1),  ma  ancora  e  ripetutamente  a  titolo  di  liberalità 
e  di  volontaria  donazione,  siccome  di  territorio  proprio, 
comunque  occupato  per  ragione  di  guerra. 

Ciò  avveniva  nell'anno  742,  e  nel  successivo  743  Liut- 
prando aveva  nuovo  convegno,  ma  in  Pavia  sua  capitale, 
col  pontefice  Zaccaria  fattosi  questa  volta  intermediario  di 
Eutichio  esarca  di  Ravenna. 

Eletto  a  reggere  la  nazione  dei  Longobardi  Astolfo 
(anni  749-75(5),  questi  che  si  trovava  allora  padrone  di  Ra- 
venna, e  ne  aveva  anzi  fatta  la  sua  residenza,  spingevasi 
vigorosamente  nel  ducato  romano  et  suce  jurisdictioni  civi- 
tatem  romanam  vel  subjacentia  ei  castra  indignanter  asse- 
rehat  (2).  Fu  allora  Sutri  non  solo  nuovamente  occupata  ma 
anche  miseramente  devastata,  quando  nel!'  anno  745  il  re 
Astolfo,  fermo  nel  proposito  di  rendersi  padrone  di  Roma  e 
del  suo  ducato,  anche  dopo  gli  inutili  uffici  dell'imperatore 
Costantino  V  Copronimo,  ed  un  primo  assedio  posto  dai 
Franchi  di  Pipino  a  Pavia  e  tolto  a  condizioni  per  lui  gra- 
vissime, volle  rinnovare  i  suoi  tentativi,  dando  cosi  occasione 
ed  una  seconda  discesa  dei  Franchi,  ad  un  nuovo  assedio 
di  Pavia,  ed  a  conclusioni  assolutamente  disastrose  per  se 
e  per  la  nazione  sua. 

L'importanza  grandissima,  che  si  diede  alle  disposizioni 
di  Pipino,  e  dei  Franchi  da  lui  condotti  nei  rapporti  col 
pontefice  riguardo  al  dominio  temporale  di  questo  e  della 
sedo  romana,  fanno  emergere  gli  avvenimenti  momentanea- 
mente chiusi  colla  seconda  capitolazione  di  Astolfo  a  seguito 
dell'assedio  di  Pavia,  fra  i  più  segnalati  dalla  storia  nel 
più  ampio  suo  significato. 

Poco  tempo  sopravisse  Astolfo  alla  sua  sconfitta,  ed  a 
lui  con  breve  intervallo  succedeva  Desiderio  (756-774),  che 
per  salire  al  trono,  escludendone  1'  avversario  suo  Rachis, 
seppe  chiedere  ed  avere  l'appoggio  del  pontefice  Stefano  II. 


(1)  Anastasio  Bibliotecario,  Op.  cit.  Pag.  162. 

(2)  Idem,  idem,  pag.  166. 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,  ECC.  295 

Ed  anche  col  pontefice  Paolo  I  come  con  Pipino  e  cogli 
immediati  suoi  successori,  Desiderio  conservò  per  una  serie 
d'anni  non  breve  relazioni  almeno  in  apparenza  amichevoli, 
sebbene  la  dignità  di  Patrizio  romano  attribuita  ai  re  dei 
Franchi,  rendesse  meno  facili  i  comuni  rapporti.  Ma  fra  gli 
anni  769  e  772  rimasto  da  prima  solo  sul  trono  presso  i 
Franchi  Carlo  detto  il  Magno,  salito  poi  alla  sedia  pontificia 
Adriano  uomo  vigoroso  ed  intraprendente,  e  promosse  da 
questo  od  utilizzate  largamente  le  ribellioni  fra  i  perso- 
naggi più  distinti  di  nazione  longobarda,  il  re  Desiderio, 
che  dal  canto  suo  non  sapeva  ne  poteva  rinunciare  alle 
antiche  aspirazioni  de'  suoi  predecessori,  si  trovò  circondato 
dalle  maggiori  e  più  stringenti  difficoltà.  Indarno  cercò 
Desiderio  di  scongiurarle  con  una  possibile  ma  rifiutata 
riconciliazione  col  pontefice,  e  col  creare  difficoltà  nella 
famiglia  stessa  del  re  dei  Franchi,  non  più  suo  genero  pel 
ripudio  della  di  lui  figlia  Desiderata  (a.  771)  ;  col  promovere 
alleanze  ed  aiuti  alla  corte  imperiale  di  Costantinopoli. 
Avuto  in  fine  ricorso  risoluto  alle  armi.  Desiderio  invase 
una  volta  ancora  il  ducato  romano,  Eoma  stessa  minacciando 
di  formale  assedio. 

Fu  precisamente  nell'anno  772  che  l'esercito  longobardo 
s' impadroni  delle  maggiori  città  del  ducato  romano,  non 
risparmiando  devastazioni  e  rovine,  fra  le  quali  si  ebbe  a 
maggiormente  deplorare  quella  di  cui  fu  vittima  Blera,  dove 
colta  la  miglior  parte  della  popolazione  al  momento  di 
raccogliere  tranquilla  le  messi,  venne  quella  crudamente 
passata,  per  quanto  si  narra,  a  fil  di  spada.  Già  si  avanza- 
vano (773)  per  le  note  vie  Cassia  da  SuM  da  tempo  occu- 
pata, e  Flaminia  da  Otricoli  i  Longobardi  condotti  perso- 
nalmente dal  re  Desiderio  col  figlio  e  socio  Adelchi  verso 
Roma,  quando,  forse  per  le  minaccio  del  focoso  Adriano, 
ma  ben  più  probabilmente  per  1'  annunciato  approssimarsi 
ai  confini  del  regno  dell'esercito  franco  sollecitato,  non  solo 
dal  pontefice,  ma  anche  da  parecchi  influenti  ribelli,  Desi- 
derio si  ritrasse  coll'esercito  suo  riducendosi  rapidamente 
in  Lombardia  per  avvisare  alle  difese,  qui  dove  più  gravi 
incalzavano  i  pericoli.  E   ben  noto  come   Carlomagno,  che 


296  «  CAMILLO  BRAMBILLA. 


nell'anno  773  passate  le  difficili  chiuse  mercè  non  ben  de- 
terminati ma  facilmente  designati  ausiliari,  era  giunto  a 
Verona,  poi  a  Roma  per  ossequiarvi  il  pontefice  confermando 
le  famose  donazioni  fatte  dal  padre  Pipino,  nell'  anno  774 
dopo  un  assedio  di  oltre  otto  mesi  prendesse  Pavia,  facendo 
prigione  Desiderio,  che  seco  condusse  in  Francia  colla  moglie 
Ansa,  e  che  per  tal  modo  ebbe  trisbe  fine  il  regno  dei  Lon- 
gobardi durato  poco  più  di  due  secoli. 

Non  è  in  nessun  modo  per  me  il  caso  di  aggiungere 
parola  su  quell'ultimo  e  memorando  periodo  del  dominio 
dei  longobardi  fra  noi.  Le  molte  questioni,  cui  la  storia  di 
quella  nazione  nel  suo  complesso,  e  per  la  catastrofe,  che  ne 
fu  la  conclusione  ha  dato  luogo,  furono  ampiamente  trattate 
da  insigni  scrittori.  Sia  lecito  osservare  che  per  quanto  nei 
loro  egregi  lavori  quei  valentuomini  sapessero  elevarsi  con 
proposito  di  schietta  imparzialità,  indipendente  dai  partiti 
e  dalle  idee  preconcette,  non  poterono  ancora  raggiungere 
sufifragio  di  comune  e  generale  acquiescenza.  Oggi  poi  quelle 
questioni  sono  fors'  anche  più  difficili  ad  essere  toccate, 
altri  ostacoli  aggiungendosi  agli  antichi  derivanti  dalle  fonti 
stesse  cui  attingere,  e  che  appaiono  e  sono  eccessivamente 
partigiane. 

Per  l'assunto  che  io  doveva  propormi  bastami  aver 
posto  in  sufficiente  evidenza  il  fatto  che  la  città  di  Sutri, 
come  fu  una  delle  prime  ad  essere  occupata  dai  longo- 
bardi nel  ducato  romano,  fu  anche  una  di  quelle  più  fre- 
quentemente ripresa,  ed  una  poi  delle  ultime  ad  essere 
sgombrata. 

Se  si  pon  mente  alle  condizioni  in  cui  trovavasi  re 
Desiderio  negli  anni  772  e  773,  quando  avvertito  del  mi- 
nacciato ed  effettivo  intervento  di  Carlo  Magno  coi  Franchi, 
esso  stava  per  prendere  le  estreme  sue  risoluzioni,  sia  per 
procedere  dalla  forte  posizione  di  Sutri  verso  Roma  onde 
tentare  di  rendersi  rapidamente  padrone,  ovvero  per  racco- 
cogliere  ogni  sua  forza  e  ritrarsi  a  difendere  la  sua  capi- 
tale, si  può  ben  comprendere  come  in  lui  sorgesse  il  pen- 
siero di  constatare  il  suo  possesso  su  quella  città,  baluardo 
e  difesa  del  ducato  romano,  facendone  scolpire  il  nome  in 


TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,   ECC.  297 

altra  delle  monete  nelle  quali  già  figuravano  quelli  di  di- 
verse importanti  città,  come  fu  già  accennato. 

Ne  è  fuor  di  luogo  il  qui  prender  nota  che  Sutri  a 
differenza  di  altre  città,  ed  anche  della  vicina  Kepi  non 
ebbe  mai  un  proprio  duca,  e  come  a  volta  a  volta,  e  poi 
definitivamente  si  ritenne  soggetta  al  pontefice  insieme  al 
ducato  romano,  ma  si  trovasse  in  possesso  diretto  del  re  lon- 
gobardo, quando  questi  ebbe  a  portarvi  il  suo  campo,  di- 
morasse poi  anche  secondo  le  esigenze  del  momento  in 
Viterbo  od  in  Terni  (U. 

Quanto  all'officina  monetaria  nella  quale  il  nostro  tre- 
misse  possa  essere  stato  lavorato,  ammetto  senza  difficoltà 
le  eccezioni  che  si  affacciano  per  ritenere  che  una  simile 
officina  fosse  attivata  precisamente  nella  città  di  cui  quella 
moneta  porta  il  nome.  Può  piuttosto  credersi,  che  fosse 
lavoro  di  quell'officina,  che  per  le  loro  monete  i  re  longo- 
bardi tennero  sempre  e  sicuramente  aperta  in  Pavia.  Non 
vorrei  però  escludere,  che  Desiderio,  quando  nell'anno  773 
lasciava  Pavia  col  figlio  Adelchi,  e  coli'  intiera  sua  corte, 
per  mandare  a  compimento  la  divisata  impresa  contro  Roma 
ed  il  pontefice,  avesse  per  avventura  al  suo  seguito  anche 
gli  officiali  preposti  alla  moneta,  dai  quali  nella  regia  corte 
e  cum  jussione  regis,,  quello  ed  altri  simili  tì^emissi  potessero 
essere  preparati. 

La  rapidità  con  cui  corsero  e  si  mutarono  gli  avveni- 
menti memorabili  dell'estremo  periodo  della  storia  di  Desi- 
derio e  dei  longobardi,  si  aggiunge  alle  cose  già  esposte 
circa  la  rarità  dei  tremissi  al  nome  di  quel  re,  per  spiegarla 
abbondantemente  riguardo  al  cimelio  che  mi  è  dato  di 
pubblicare  colle  sin  qui  svolte  note  illustrative. 

Se  le  mie  congetture  e  le  mie  conclusioni  si  trovano 
accolte  ed  accettate,  la  città  di  Sutri  già  tanto  illustre  per 
le  sue  remotissime  origini  ;  pel  suo  anfiteatro  scavato  nella 


(1)   Paolo   Bondi,  Memorie  storiche  della  città   Sabazia,  e  saggio 
storico  suW antichissima  città  di  Sutri.  Firenze,  1886. 

Gaetano  Moroni,  Dizionario  di  erudizione  —  Voce  Sutri. 


298       e.  BRAMBILLA  -  TREMISSE  INEDITO  AL  NOME  DI  DESIDERIO,  ECC. 

massa  del  tufo  su  cui  essa  sorge  ;  per  le  sue  mura  etrusche; 
pei  concini  ripetutamente  inaugurativi,  pei  valentuomini 
finalmente  cui  ha  dato  la  nascita,  avrà  nuova  ragione  di 
gloriarsi,  avendo  il  suo  nome  raccomandato  al  tremisse  da 
me  segnalato  all'attenzione  dei  numismatici. 

Tale  moneta  pel  momento  in  cui  è  a  ritenersi  ordinata 
ed  emessa  è  un  monumento  di  grande  ed  assoluta  impor- 
tanza storica,  ed  altra  ne  acquista  per  essere  esemplare  delle 
ultime  monete  che  si  sarebbero  lavorate  per  la  nazione  dei 
Longobardi,  e  che  di  essa  serbino  memoria. 


Camillo  Brambilla. 


VITE 

DI 

ILLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI 


YI. 


GIAN   RINALDO    CARLI 


A  Capodistria,  piccola  città  al  sud  di  Trieste,  e  capi- 
tale dell'  Istria  veneta,  sotto  il  governo  della  Serenissima, 
nacque  Gian  Rinaldo  Carli,  il  9  aprile  1720. 

Discendente  da  nobile  famiglia  di  quella  città,  fu  dai 
genitori  posto  a  studiare  i  primi  rudimenti  letterari  in  quelle 
civiche  scuole  fino  ai  dodici  anni,  indi  inviato  a  Flambro  nel 
Friuli  presso  il  dotto  abate  Giuseppe  Bini,  sotto  la  scorta 
del  quale  attese  allo   studio   delle  scienze    esatte    e    della 


800  e.  LUPPi 


fisica.  Fornito  di  straordinario  e  versatile  ingegno,  in  mezzo 
a  quegli  studi  severi,  trovò  modo  il  Carli  di  applicarsi  anche 
a  quelli  non  meno  ardui  della  storia  e  delle  antichità.  I 
monumenti  del  medio-evo,  e  del  risorgimento  artistico  ita- 
liano furono  per  lui  oggetto  di  speciali  indagini.  Trasferi- 
tosi poi  a  Padova,  in  quella  celebre  Università  attese  a 
perfezionarsi  nelle  matematiche,  cui  aggiunse  lo  studio  della 
giurisprudenza,  e  delle  lingue  greca,  latina  ed  ebraica.  Chi 
lo  avvicinava  in  quel  suo  fervore  di  studi,  avrebbe  facil- 
mente potuto  preconizzare  in  lui  il  futuro  economista,  l'uomo 
di  stato,  l'archeologo  ed  erudito  insigne,  emdlo  dei  più  ce- 
lebrati d' Italia.  Fornito  com'  era  di  solida  dottrina,  e  di 
estesissima  coltura,  in  ancora  giovine  età,  gli  furono  aperte 
le  porte  dell'Accademia  de'  E/icovrati.  La  fama  sempre  cre- 
scente del  suo  vasto  sapere  mosse  il  governo  della  Repub- 
blica a  chiamarlo  a  Venezia  per  insegnarvi  1'  astronomia  e 
la  nautica,  e  soprastare  ai  lavori  di  quel  celebre  Arsenale. 
—  Tocchi  appena  i  ventisette  anni  il  Carli  indirizzò  al 
dottissimo  MafFei  la  Dissertazione  sulVuso  dell* argento^  che 
si  può  considerare  quale  importante  preludio  a  quegli  studi, 
che  più  tardi  dovevano  formare  V  occupazione  principale 
delle  sue  indagini,  e  in  cui  trovasi  il  germe,  d'onde  uscir 
doveva  la  sua  opera  immortale  sulle  zecche  e  monete  d'  I- 
talia.  La  stima  altissima  guadagnatasi  fra  i  dotti,  gli  valse 
la  nomina  di  Presidente  di  quella  stessa  Accademia  de'  Ri- 
covrati, ch'ei  cotanto  co'suoi  scritti  onorava.  —  Ammoglia- 
tosi nel  1747,  dopo  soli  due  anni  rimase  vedovo  con  un 
figlio  da  allevare  e  una  grande  sostanza  da  amministrare. 
Fu  in  questo  tempo  eh* egli  aggiunse  al  proprio  il  nome  di 
famiglia  della  defunta  moglie,  e  chiamossi  d'allora  in  poi 
Gian  Einaldo  Carli-Rubbi.  Le  cure  dell'  amministrazione 
domestica  lo  tolsero  alla  scuola  di  nautica,  e  alla  direzione 
dell'Arsenale,  obbligandolo  a  restituirsi  in  Istria,  dove  recossi 
in  compagnia  dell'illustre  naturalista  Vitaliano  Donati.  In 
mezzo  ai  sopraccapi  della  vasta  ed  intricata  azienda,  cui 
dedicò  la  massima  parte  della  sua  energica  attività,  trovò 
ancora  forza  e  mente  da  proseguire  i  suoi  studi  prediletti. 
Datosi  alla  ricerca  delle  antichità  di  quella  remota  regione 


VITE  DI  ILLUSTRI  NUMISMATICI   ITALIANI  301 

italiana,  scrutò  i  monumenti  della  sua  patria,  e  tra  questi 
fece  dell'Anfiteatro  di  Pola  V  oggetto  principale  delle  sue 
dotte  illustrazioni. 

Ma  lo  studio  delle  monete,  al  quale  aveva  preludiato 
colla  sua  bella  dissertazione  sull'uso  dell'argento,  da  allora 
e  finche  visse,  prese  il  sopravvento  nell'animo  di  lui  e  ne 
diede  uno  splendido  saggio  in  due  pregiate  dissertazioni, 
la  prima  delle  quali  tratta:  Della  origine  e  del  commercio 
della  moneta  e  dei  disordini  che  accadono  nelle  alterazioni 
di  essa;  la  seconda  comprende  le:  Ricerche  storiche  intorno 
ali* istituzione  delle  zecche  d'Italia  dalla  decadenza  dell'Im- 
pero sino  al  secolo  XVII.  Ambedue  queste  dissertazioni  unite 
furono  pubblicate  colla  data  dell' Aja  (Venezia),  nel  1751.  — 
Dopo  questa  pubblicazione,  volendo  sempre  più  approfondire, 
ed  esaurire  per  quanto  gli  era  possibile  quell'  argomento, 
fece  nuove  indagini,  estese  le  sue  corrispondenze,  intra- 
prese viaggi  a  Torino,  a  Milano,  nella  Toscana.  Dopo  tre 
anni  d'indefesse  ricerche,  cioè  nel  1754,  apparve  in  Mantova 
il  primo  tomo  dell'opera  che  doveva  collocarlo  fra  i  primi 
e  più  celebrati  nummologi  del  suo  tempo,  col  titolo:  Delle 
monete  e  dell'  istituzione  delle  zecche  d' Italia,  dell'antico  e 
presente  siste^na  d' esse  e  del  loro  intrinseco  valore  e  rap- 
porto con  la  presente  moneta  dalla  decadenza  dell'  Impero 
fino  al  secolo  XVII  per  utile  delle  pubbliche  e  private 
ragioni,    . 

A  questo,  dopo  il  breve  intervallo  di  tre  anni,  tenne 
dietro  il  secondo  tomo  stampato  in  Pisa  nel  1757;  indi  la 
prima  e  la  seconda  parte  del  terzo  coU'aggiunta  di  un'  ap- 
pendice, edite  in  Lucca  nel  1760.  Grandissimo  fu  il  grido 
che  si  levò  in  Italia  e  fuori  per  quest'  opera  veramente 
monumentale;  l'applauso  dei  dotti,  dei  giureconsulti,  degli 
economisti,  degli  uomini  di  Stato  e  de'  Corpi  politici  ne 
attestarono  l'alta  eccellenza,  e  in  breve  volgere  di  tempo 
ne  provocarono  parecchie  edizioni.  Di  poco  posteriore  al 
Muratori  e  all'Argelati;  coetaneo  al  Bellini,  all'Affò  e  allo 
Zanetti,  il  Carli  colla  serietà  ed  importanza  de'  suoi  scritti 
seppe  conquistarsi  un  posto  distinto  in  mezzo  a  quegli 
uomini  insigni,  e  diventare  un  nuovo  vanto  per  l'Italia.  Le 

39 


302  0.  LUPPi 


Corti  più  importanti  della  penisola  ne  accettarono  presto 
i  postulati,  ne  adottarono  i  principi  ne' saggi  delle  monete, 
e  per  stabilire  i  rapporti  di  queste.  La  Corte  imperiale  di 
Vienna  prese  i  suoi  risultati  come  base  pel  riscatto  dei 
diritti  di  regalia^  e  i  governi,  in  cui  era  divisa  allora  l'Italia 
nostra,  se  ne  servirono  di  regola  nei  giudizi  su  tale  materia. 
—  Un  lavoro  di  tanta  mole,  non  impedi  al  Carli  di  atten- 
dere contemporaneamente  ad  altri  studi  analoghi  e  di  eru- 
dizione, poiché  nel  1757  dedicò  all'illustre  Prof.  Stellini  il 
non  meno  celebrato  Saggio  politico  ed  economico  della  To- 
scana. Dopo  aver  parlato  dell'opera  immortale  che  concerne 
tanto  intimamente  i  nostri  studi,  non  è  intenzione  nostra 
di  tessere  il  catalogo  di  tutte  le  altre  produzioni  che  sca- 
turirono dal  fervido  attivissimo  ingegno  del  Carli.  —  Ri- 
chiamato in  patria  dopo  la  morte  del  padre,  e  trovandosi 
padrone  di  vasti  possessi,  accoppiando  alle  speculazioni 
scientifiche  un  lavoro  indefesso,  rivolse  la  sua  attività  a 
ridare  nuova  vita  allo  stabilimento  di  manifatture  di  lana, 
pervenutogli  dall'  eredità  della  moglie.  Ma  le  cure  penose 
di  quel  commercio  e  l'occupazione  troppo  intensa  e  con- 
tinua ,  gli  alterarono  la  salute  ,  e  diedero  a  temere  della 
sua  vita. 

A  sottrarlo  a  quelle  cure  soverchianti  giunse  opportuno 
l'invito  della  Corte  imperiale  di  Vienna.  Giuseppe  II  intento 
a  migliorare  l'indirizzo  degli  studi,  e  le  finanze  del  suo  vasto 
impero,  pensò  valersi  del  sapere  del  Carli  e  lo  nominò  Pre- 
sidente del  Consiglio  di  commercio  e  di  finanze,  nonché  del 
Consiglio  della  Pubblica  Istruzione  ;  ed  in  questo  non  meno 
che  in  quelli  il  Carli  esplicò  la  sua  energia  in  utili  inno- 
vazioni, ed  in  Vienna,  dove  era  stato  chiamato  dal  celebre 
ministro  Venceslao-Antonio  di  Kaunitz,  che  nel  1765  reggeva 
le  sorti  dell'impero,  suscitò  l'ammirazione  dei  dotti  della 
Germania.  —  Tornato  a  Milano  onorò  1'  eccelsa  sua  carica 
in  conferenze  sulla  pubblica  economia,  presenziate  nel  1769 
dallo  stesso  imperatore,  che  gli  accrebbe  lo  stipendio  e  l'in- 
signi del  titolo  di  Consigliere  privato  di  Stato.  Tante  fatiche 
logorarono  la  sua  salute  e  fin  d'allora  si  sviluppò  in  lui  il 
germe  di  quell'infermità  che   doveva  condurlo    alla  tomba. 


VITE  DI   ILLUSTRI  NUMISMATICI   ITALIANI  303 

Sentendosi  mancare  le  forze  vitali,  decise  abbandonare  ogni 
incarico  per  vivere  tranquillamente  e  godersi ,  sciolto  da 
quelle  cure  pressanti,  l'agiatezza  conseguita  in  tanti  anni 
d' indefesso  lavoro.  Fu  in  questo  tempo  di  relativo  riposo 
che  diede  mano  al  compimento  e  alla  produzione  d'un  gran 
numero  di  altre  opere  minori  sopra  argomenti  svariatissimi 
che  qui  non  giova  accennare  ;  tra  le  quali  però  non  crediamo 
di  passare  sotto  silenzio  la  raccolta  che  comprendeva  le 
ricerche  fatte  in  tempi  diversi  sulle  antichità  italiane,  rac- 
colta che  rese  di  pubblica  ragione  nel  1788-91,  in  5  volumi 
in  4°,  e  che  riscosse  le  lodi  dei  dotti  e  le  onoranze  dell'im- 
peratore Leopoldo  II  successo  nel  1790  al  fratello  Giuseppe  II. 
Il  Carli  mori  il  22  febbraio  1795,  e  fu  sepolto  u  nella  chiesa 
a  della  Madonna  di  Cusano  presso  Milano.  Alla  sua  memoria 
a  furono  poste  due  iscrizioni,  una  nell'interno,  l'altra  ester- 
u  namente  della  menzionata  chiesa  della  Madonna,  riportate 
a  neìV Elogio  del  Carli,  scritto  da  Luigi  Bossi.  Una  sola  di 
u  quelle  iscrizioni  conservasi  ancora,  avanti  l'altare.  Essa 
u  viene  qui  riprodotta  quale  fu  dettata  da  Francesco  Fontana 
u  professore  di  rettorica  nel  Collegio  dei  nobili: 

OSSA    IOAN.  RINALDI   CARLI 

IVSTINOPOLITANI 

ANNO    MDCCXCV    EX    TEST.    H.     S.     S. 

QVO   PIE  CONSTANTER 

DEC.    IX    KAL.     MARTL    ANN.    AGENS    LXXV 

STVDIO    ERVDITIOME    SCRIPTIS 

ET   PRIVATIS   ET   IN   MAGISTRATI6VS 

OPT.   DE.  R.  P.  MERITVS  (I). 

Il  Carli,  che  da  più  d'un  trentennio  aveva  vissuto  nella 
metropoli  lombarda,  fu  dai  milanesi  considerato  quale  loro 
concittadino,  e  ora  Milano  ,  passato  quasi  un  secolo  dalla 
sua   morte,    in    memoria  dell'  insigne    filosofo,  del    grande 


(1)  Belgiojoso  Conte  Emilio,  Guidu  del  Famedio  nel  Cimitero  monu- 
mentale di  Milano,  pag.  74. 


304  e.  HIPPI  -  VITE  DI  ILLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI 

statista  e  dell'integerrimo  magistrato,  ne  scrisse  il  nome 
nel  suo  famedio  tra  quelli  de'  più  benemeriti  ed  illustri 
suoi  figli. 

L'intero  corpo  delle  Opere  di  Gian   Rinaldo    Carli    fu 
stampato  in  Milano,  1784-94  in  19  volumi  in  8"  grande. 


Questi  cenni  sulla  vita  e  gli  scritti  principali  di  Gian  Rinaldo 
Carli  furono  tratti  dai  seguenti  libri:  Bossi  L.  :  Elogio  di  Gian 
Rinaldo  Carli;  Tipaldo  Emilio:  Biografia  degli  Italiani  illustri 
nelle  scienze^  lettere  ed  arti  nel  sscolo  XVIII.  Volume  Y;  Bio- 
graphie  universelle  ancienne  et  moderne.  Tome  sixième.  Paris  1843, 
pag.  633-6SG;  Corniani  :  I  secoli  della  letteratura  italiana;  Dizio- 
nario universale  storico-mitologico-geografico  compilato  da  una  so- 
cietà di  uomini  di  lettere  per  cura  del  Dottor  Angelo  Fava.  To- 
rino 1856,  pag.  389;  Belgiojoso  C.  Emilio:  Guida  del  Famedio  nel 
Cimitero  monumentale  di  Milano.  Ivi  1888,  pag.  74. 

C.  Luppi. 


BIBLIOGRAFIA 


LIBRI   NUOVI. 

Irnhoof-Blamer  und  Otto  Keller.  —  Tier-  und  FflanzenWder 
auf  Miìnseti  und  Gemmen  des  Massischen  AUertums  (Figure 
d'  animali  e  di  piante  su  monete  e  pietre  incise  dell'  antichità 
classica).  Lipsia,  Teubner,  1880.  —  Un  voi.  in  4°  di  pag.  X-168, 
con  26  tav.  in  fototipia. 

Già  da  vari  anni  il  distinto  filologo  ed  archeologo  te- 
desco Ottone  Keller  aveva  fatto  oggetto  delle  sue  indagini 
i  nomi  ed  i  tipi  sotto  cui  ci  furono  tramandati  gli  animali 
dall' antichità  classica,  nonché  le  loro  attinenze  colla  storia 
delia  civiltà  greca  e  romana.  Egli  era  andato  sempre  più 
convincendosi  che  la  numismatica  e  la  glittica  potevano 
fornire  un  sussidio  prezioso  a  tale  ordine  di  studi,  e  che 
in  ispecie  i  tipi  monetali  relativi  dovevano  essere  anno- 
verati fra  i  monumenti  più  importanti,  e  più  valevoli  a 
gettar  luce  su  quest'argomento.  Nel  frattempo  1'  amico  suo 
Dr.  Imhoof-Blumer,  il  valente  numismatico  svizzero  di  cui 
sono  ben  noti  i  lavori  sulle  monete  greche,  nel  formare 
una  vasta  collezione  d' impronte  allo  scopo  di  pubblicare 
un  atlante  di  tipi,  ne  aveva  raccolto  anche  una  cospicua 
serie  con  figure  d'  animali  e  di  piante.  Caso  volle  che  il 
Prof.  Keller,  allora  insegnante  all'Università  di  Praga,  si 
recasse  a  Winterthur  per  visitare  l'amico;  egli  fu  colpito 
dall'idea  del  vantaggio  che  si  poteva  trarre  pe'  suoi  fini 
scientifici  speciali  da  quella  serie,  e  propose  ad  Imhoof- 
Blumer  di  pubblicarla,  offrendosi  alla  propria  volta  di  com- 
pletarla con  impronte  di  pietre  incise.  Questa  è  1'  origine 
del  libro  che  ci  sta  dinanzi,  e  che,  a  malgrado  delle  gran- 


306  BIBLIOGRAFIA 


dissime  difficoltà  materiali  insorte  poi  per  la  compilazione 
della  seconda  parte,  si  presenta  come  un  tutto  armonico, 
simmetrico  anzi,  poiché  13  tavole  di  monumenti  e  80  pagine 
circa  di  testo  illustrativo  sono  dedicate  alle  monete,  ed  al- 
trettante sono  dedicate  alle  pietre  incise. 

Questa  rispondenza,  per  cosi  dire  esterna,  trova  il  suo 
raffronto  anche  nella  disposizione  metodica  del  materiale 
illustrato,  inquantochè  l'ordine  seguito  nella  parte  riservata 
alla  numismatica  si  ripeta  poi  in  quella  riservata  alla  glit- 
tica. La  distribuzione  generale  è  la  seguente: 

Mammiferi  —  Uccelli  —  Anfibi  e  Rettili  —  Pesci  — 
Insetti  e  Aracnidi  —  Crostacei  e  Molluschi  —  Cefalopodi 
—  Echinodermi  e  Meduse  —  Piante  —  Animali  favolosi  ed 
Esseri  ibridi. 

Disorbiterebbe  affatto  dal  nostro  compito  se  qui  ci 
estendessimo  a  discorrere  della  parte  del  libro  destinata 
alle  pietre  incise,  nella  quale  il  Prof.  Keller  (ora  chiamato 
ad  insegnare  nella  nuova  Università  Clark  a  Worcester  nel 
Massachusetts),  ha  dato  prova  di  somma  diligenza  e  di 
molto  acume,  tanto  più.  trattandosi  di  monumenti  che  spesso 
riescono  enigmatici  e  d'assai  ardua  illustrazione.  Per  atte- 
nerci invece  alla  parte  numismatica,  diremo  anzitutto  che 
non  fu  intenzione  degli  autori  di  fornire  un  catalogo 
descrittivo  di  tutte  le  varianti  di  ciascun  tipo  d'  ani- 
male o  di  pianta  che  si  riscontri  sulle  monete  classiche,  ma 
soltanto  (e  lo  notano  espressamente)  di  aggruppare  questi 
tipi  e  di  presentarli  e  spiegarli  nelle  loro  raffigurazioni  più 
interessanti.  Tuttavia  il  Dr.  Imhoof-Blamer,  per  dare  un'idea 
complessiva  del  vastissimo  materiale  di  studi,  ha  aggiunto 
volta  per  volta,  alla  descrizione  di  ciascun  tipo,  un  breve 
accenno  delle  varietà  più  importanti.  Cosi  p.  es.,  dopo  di 
aver  illustrato  varie  monete  greche  e  romane  che  recano 
il  tipo  dell'  elefante,  ecco  in  qual  modo  egli  ne  termina 
l'elenco  : 

BÀZIAEaZ  APOAAOAOTOY  iriTHPOZ.  Elefante  indiano. 
Dramma  di  ApoUodoto  re  nell'India.  Collezione  Imhoof. 


BIBLIOGRAFIA 


307 


Altri  tipi  di  elefanti  africani  e  indiani  : 

in  atto  di  camminare  oppure  stanti  :  africani,  —  Aes 
grave,  Atella,  Capua,  Pesto,  Alessandria,  Re  mauritani. 
Repubblica  romana  e  Imperatori  (Cesare,  Vespasiano, 
Tito,  Filippo),  ecc.;  —  indiani,  —  Seleucidi,  Arsa- 
cidi  ,  Battro-Indi ,  Pirro  ,  A.pamea  in  Siria  ,  Nicea  , 
Tarso,  ecc. 

con  fiaccola  nella  prqboscide:  Antioco  V. 

quadriga  e  biga:  Tolomeo  Sotere,  Alessandria,  Repub- 
blica romana,  ecc. 

quadriga  con  elefanti  cornuti:  Seleuco  I  e  Antioco  I. 

protome:  Re  battro-indiani. 

testa  :  Seleucidi ,  Re  battro-indiani,  Gortina,  Cnosso, 
Repubblica  romana. 

pelle  d^elefante  come  copertura  di  capo  di  Alessandro, 
dell'Africa,  della  Libia,  ecc.:  Tolomei,  Seleucidi,  Re 
battro-indiani,  Agatocle  di  Siracusa,  Alessandria,  Re- 
pubblica romana. 

Abbiamo  scelto  un  esempio  cbe  ci  è  sembrato  sufficiente, 
senza  invadere  troppo  spazio  della  Rivista.^  ma  non  rinun- 
ciamo a  dire  cbe  per  molti  tipi,  pur  abbondantemente  rap- 
presentati nelle  tavole  figurative,  le  aggiunte  di  varietà, 
spigolate  da  tutti  i  campi  della  numismatica  classica,  sono 
in  copia  mirabile  e  fanno  testimonianza  della  larga  e  co- 
scienziosa preparazione  che  precedette  il  licenziamento  de- 
finitivo di  questo  bel  libro.  A  tale  proposito  basterà  accen- 
nare che  gli  autori,  per  ottenere  una  identificazione  rigo- 
rosamente scientifica  degli  animali  e  delle  piante  raffigurati 
sulle  monete  e  sulle  pietre  incise,  ricorsero  nei  casi  dubbi 
al  giudicio  di  eminenti  zoologi  e  botanici,  giungendo  cosi 
a  risultati  altrettanto  notevoli  dal  punto  di  vista  dell'  ar- 
cheologia e  della  storia  dell'  arte  quanto  da  quello  delle 
scienze  naturali. 

S.  A. 


308  BIBLIOGRAFIA 


Nouveau  Manuel  de  Numismatique  ancienne,  par  A.  de  Barthélemy, 
Membre  de  l'Institut.  —  (Con  un  atlante  di  12  tavole).  —  Parigi, 
Libreria  Koret,  1890. 

Dopo  una  lunga  serie  d'anni,  durante  i  quali  ebbe  però 
una  copiosa  ristampa  per  soddisfare  alla  continua  richiesta 
del  pubblico,  l'eccellente  Manuale  Barthélemy  per  la  Nu- 
mismatica antica  si  presenta  ora  in  una  seconda  edizione 
ritoccata  ed  accresciuta  dall'illustre  autore. 

Notiamo,  fra  l'altre  innovazioni:  una  tavola  sinottica 
dell'alfabeto  celtiberico  nelle  diverse  sue  forme;  un  diffu- 
sissimo elenco  dei  nomi  inscritti  sulle  monete  della  Gallia, 
della  Britannia  e  della  Germania;  uno  sviluppo  notevole 
della  trattazione  numismatica  della  Battriana;  un  completo 
rimaneggiamento  della  serie  repubblicana  romana,  reso  ne- 
cessario dalla  recente  opera  di  Babelon;  infine  una  lista 
dei  Consolati  degl'imperatori,  per  facilitare  la  classificazione 
cronologica  delle  rispettive  monete. 


Nouveau  Manuel  de  Numismatique  du  moyen  àge  et  moderne^  par 
J.  Adrien  Blanchet.  —  (Con  un  atlante  di  14  tavole).  —  Parigi, 
Libreria  Eoret,  1890  (1). 

Questo  libro  è  destinato  a  sostituire,  coli'  assenso  del 
Sig.  de  Barthélemy,  il  di  lui  Manuale  dallo  stesso  titolo, 
che  ormai,  dopo  38  anni,  aveva  bisogno  di  una  completa 
revisione.  Ma  il  Sig.  Blanchet,  pur  conservando  molte  parti 
dell'opera  originaria,  vi  ha  introdotto  tali  e  tanti  mutamenti 
da  potersi  dire  che  il  Manuale  ne  è  uscito  rifatto  di  sana  pianta. 
Ad  esempio,  la  sezione  dedicata  alle  monete  reali  francesi 
è  stata  ampliata  per  modo  che  la  descrizione  delle  monete 
da  Ugo  Capeto  ai  nostri  giorni,  la  quale  nel  trattato  del 
Sig.  de  Barthélemy  non  comprendeva  che  otto  pagine,  ora 


(1)  Mandato  iu  dono  alla  Rivinta, 


BIBLIOGRAFIA  309 


ne  abbraccia  22,  con  altre  22  pagine  di  appendice  sulla 
carta-moneta,  sugli  assegnati,  ecc.  La  sezione  dedicata  alle 
monete  feudali  francesi  è  più  che  raddoppiata  di  estensione, 
anzi  quasi  triplicata  addirittura.  Ne  deriva  che  la  sola  Nu- 
mismatica francese  ha  richiesto  per  sé  un  primo  tomo,  e 
cioè  un  fitto  volume  di  oltre  500  pagine. 

Il  secondo  tomo  è  uscito  per  le  stampe  in  due  volumi 
separati:  l'uno  comprende  la  numismatica  dei  rimanenti 
paesi  ;  nell'altro  si  discorre  partitamente  delle  monete  ossi- 
dionali  e  di  necessità,  delle  medaglie,  dei  gettoni  e  affini, 
dei  pesi  monetali,  si  dà  un  elenco  dei  Santi  effigiati  sulle 
monete,  e  una  bibliografia  generale  e  speciale.  Quest'ultimo 
volume  contiene  pure  un  succoso  compendio  dell'opera  ma- 
gistrale di  Schlumberger  sulla  Numismatica  dell'  Oriente 
latino,  e  a  tale  compendio  risponde  un  corredo  illustrativo 
nelle  due  tavole  supplementari  aggiunte  all'atlante  (che  ori- 
ginariamente ne  comprendeva  soltanto  dodici). 

Il  sig.  Blanchet,  nella  chiusa  della  sua  Prefazione,  si 
augura  una  benigna  accoglienza  anche  presso  i  numisma- 
tici stranieri.  Per  ciò  che  concerne  l'Italia,  crediamo  che 
quest'accoglienza  sarà  cordiale  e  calorosa,  quale  ben  si  me- 
rita uno  straniero  che  con  tanto  amore  si  è  occupato  delle 
CDse  nostre.  Infatti  la  sezione  italiana,  in  una  forma 
densa  e  stringata  ,  concentra  una  quantità  straordinaria  di 
notizie  e  dati  preziosi,  cui  non  possono  toglier  merito  le 
numerose  inesattezze  ed  omissioni,  inevitabili  da  parte  di 
uno  straniero.  E  chiaro  che  il  Sig.  Blanchet  ha  consultato 
con  ogni  diligenza  la  nostra  letteratura  numismatica,  non 
escluse  le  pubblicazioni  più  recenti  ;  —  questa  cura  delle 
fonti  bibliografiche  è,  del  resto,  una  delle  più  spiccate  ca- 
ratteristiche di  questo  libro  eminentemente  moderno,  come 
un'altra  caratteristica  è  l'evoluzione,  ancora  adombrata,  ma 
pur  discernibile,  verso  il  compenetramento  della  tendenza 
teorica  colla  tendenza  pratica.  Veggasi  in  proposito,  verso 
la  fine  del  tomo  secondo,  VApergu  sur  la  valeur  marchande 
des  monnaies,  médailles,  etc;  è  un  capitolo  breve,  e  scritto 
solo  pei  francesi,  ma  esprime  pur  sempre  la  tendenza,  che 
appare  anche  in  molti  altri  punti  del  libro,  di  giovare  non 

40 


310  BIBLIOGRAFIA 


solo  agli  studiosi  ma  anche  ai  raccoglitori.  Ne  ci  sembra 
che  questo,  in  un  Manuale  destinato  sopratutto  ai  princi- 
pianti, sia  un  difetto  :  ci  sembra  piuttosto  un  merito,  e 
noi,  per  parte  nostra,  non  esitiamo  a  darne  piena  lode  al- 
l'autore. 

S.  A. 


m 

Nineteenth  annual  Beport  of  the  Deputi/  Master  of  the  Mini,  1888. 
Londra,  1889. 

Beport  of  the  Director  of  the  Mint  upon  production  of  the  prccious 
metals  in  the  United  States  during  the  calendar  year  1888. 
Washington,  1889. 

Per  la  cortesia  dell'egr.  sig.  Cav.  Carlo  Fascila,  Direttore  della 
E.  Zecca  di  Milano,  abbiamo  potuto  esaminare  queste  due  accurato 
pubblicazioni,  che  ci  forniscono  un  gran  numero  di  dati  ufficiali  con- 
cernenti la  statistica  monetaria  e  metallica,  non  solo  dell'Inghilterra 
e  degli  Stati  Uniti,  ma  di  tutto  il  mondo. 

Dal  punto  di  vista  numismatico  riescono  specialmente  interessanti 
nella  prima  di  queste  Relazioni,  le  notizie  sulla  quantità  e  qualità 
delle  monete  coniate  recentissimamente  nei  diversi  paesi,  non  esclusi 
quelli  dell'estremo  Oriente  ;  nella  seconda  Eelazione,  fittissima  di  ta- 
belle e  di  cifre,  il  riassunto  storico  di  tutta  la  monetazione  degli 
Stati  Uniti,  dalla  prima  organizzazione  delle  differenti  zecche  sino 
alla  loro  soppressione,  o  rispettivamente  sino  al  31  dicembre  1888 
per  le  zecche  tuttora  in  esercizio. 


llenochio  Raffaele,  Memorie  storiche  della  città  di  Carmagnola. 
—  Torino,  1890,  in-8.* 

A  pag.  233  l'Autore  pubblica  un  documento  inedito  in  data  10 
febbraio  1472,  col  quale  Federico  III  imperatore  conferma  al  mona- 
stero di  Casanova  i  privilegi  accordati  dai  suoi  predecessori  e  concede 
all'  Abate  Agostino  di  Lignana  quello  di  battere  monete  d' oro  e 
d'argento. 


Elenco  di  oggetti  etruschi  e  di  monete  romane^  imperiali^  con- 
solari e  famigliar ij  di  proprietà  dei  fratelli  Mandati  in  San  Ca- 
sciano  dei  Bagni.  Poggibonsi,  Stab.  tip.  M.  Cappelli,  1890,  pp.  Il  in-8'. 


BIBLIOGRAFIA  311 


Neri  A.,  Be  minimis.  Genova,  tip.  Sordo-muti,  1890,  in-8°.  (La 
statua  e  una  medaglia  di  Andrea  Doria). 

Gnecchi  Francesco,  In:  De  Guhernatis.  Dizionario  degli  artisti 
italiani  viventi.  Fase.  ITT,  p.  234.  Firenze,  1890,  Le  Monnier. 

Bedetti  Aless.,  Di  aìcimi  incisori  monogrammisti  italiani  e 
stranieri  dei  secoli  XV  e  XV L  Saggio.  Bologna,  Zanichelli ,  1890, 
in-16°,  pp.  100  con  tavola. 

De  Simoni  Cornelio,  Introduzione  alle  tavole  descrittive  delle 
monete  della  zecca  di  Genova  dal  MDXXXIX  al  MDGCOXIV. 
Genova,  tip.  Sordo-Muti,  1890,  in-8°  pp.  Ixxij  (Estr.  dagli  Atti  della 
Società  ligure  di  storia  patria^  voi.  XXII). 


Deloume  Ant.,  Les  manieurs  d^  argent  à  Home  ;  les  grandes 
compagnies  par  action  ;  le  marche'  ,*  puissance  des  puhlicains  et  des 
banquiers  jusqu^  à  V  Empire.  Étude  historique.  Paris  ,  E.  Thorin  , 
1890,  in-8.** 

Gongrès  monétaire  international  tenu  à  Paris  les  11,  12^  13  et 
là  septembre  1889,  à  V Exposition  universelle  internationale  de  1889. 
(Compte  rendu  in  extenso  et  documents).  Paris,  librairie  des  Annahs 
économiques,  4,  rue  Antoine  Dubois,  1890,  in-8°  gr.  pp.  477. 

Collection  de  feu  M.  Renier  Chalon.  Première  partie  :  Monnaies 
et  médailles ,  dont  la  vente  aura  lieu  les  14-16  novembre  1889 
(1640  n.°").  Deuxième  partie  :  Bibliothèque  numismatique,  dont  la  vente 
aura  lieu  les  18-25  novembre  1889  (1251  n°^).  Bruxelles,  imprimerle 
V.  Larcier,  in-8°,  pp.  50-103. 

Prèau  (Charles),  Méreau  inédit  du  chapitre  de  la  collegiale  de 
Saint-Etienne  de  Dreux.  Paris ,  Thorin.  in  8°  pp.  12.  (Extr.  de  la 
Rcvue  de  la  Soc.  des  études  historiques  1S89). 


Caballero-Infante  (F.),  Estudio  sobre  las  monedas  àrabas  de 
Denia.  Denia,  Fedro  Botella,  in-4°,  pp.  17. 


Die  Jcaiserlichen  russischen  Orden  und  Medaillen.  Autoriesierte 
deutsche  Ausgabe  mit  erlàut.  Texte  von  Aug.  Deubner.  Nebst  einer 
gì*,  folio  Tafel  in  Farbendruck,  in-4°  gr.,  pp.  8.  Berlin,  Deubner,  1890. 

ScHWALBACH  (C),  Die  neuesten  deutschen  Thaler,  Doppenthaler 
und  Doppelgulden.  Beschrieben  von  C.  Schwalbach,  mit  3  Lichtdruck- 
tafeln ,  3  vermehrte  Auflage,  in-4^  pp.  17-39.  Leipzig,  Zschiesck- 
e  Kdder,  1890. 


312  BIBLIOGRAFIA 


Bahrfeldt  d"".  E\f. ,  Ber  Mìinzfund  von  Ascherslehen.  Ein 
Beitrag  ziir  Benarhmde  des  XIII  und  XIV.  Jahrunderts.  Mit  4 
MùQztafeln  und  Abbildungen  im  Texte.  Berlin ,  Weyl,  1890 ,  in-S**, 
pp.  66. 

Weingartner  Jos.,  Nachtrdge  zur  Lippischen  Geld  und  Mi'mz- 
Geschichte  (Munzstudien;  Band  Y,  pp.  129-507).  Leipzig.  Hahn,  1890, 
in-8^  gr.  pp.  32. 

KiGGAUER  Hans  ,  Geschicìite  des  K'ònigl,  MunzMbinets  in 
Miinchen.  Zeichnungen  von  P.  Heine.  In-S^  pp.  74.  Bamberg , 
Buchner,  1890. 

Danneberg  (Herm.),  Verzeichniss  meiner  Sammlung  deutscher 
3Iunzen  der  sàchsischen  und  frànkischen  Kaiser zeit.  Leìi^zìg,  C.  G. 
Thieme,  in-8,°  pp.  95. 

A.  V.  Sallet,  Konigliche  Museen  zu  Berlin.  Beschreibung  der 
antiken  Milnzen.  II.  Band  (Paeonien,  Macedonien,  die  Maoedonischen 
KòQige  bis  Perdiccas  ITI).  Mit  8  Lichtdrucktafeln  und  70  Zinkdrucken. 
Berlin,  W.  Spemann,  in-8,  pp  Vni-207.  (In  preparazione  il  voi.  Ili, 
comprendente  le  monete  antiche  d'Italia). 

Imhoof-Blumer  ,  Griechische  Milnzen.  Neue  Beitrage  und 
Untersuclmngen.  Miinchen,  Franz  in  Comm.  1890,  in-4.'' 


PEEIODICI. 


Mevue  Niimismatique.  I  fascicolo  1890. 

Vercoutre  (Dr.  A.),  Explication  de  l'Aureus  frappé  par 
P.  Clodius  à  l'effigie  de  Marc' Antoine. 

MaX'Werlì/  (L.),  Monnaies  merovingi ennes.  Trouvaille 
de  S.  Aubin  (Meuse). 

Earle-Fox  (H.  B.),  Note  sur  quelques  monnaies  attiques 
rares  ou  inédites. 

Mowat  (R.),  Piavonius,  nom  de  famille  de  l'empereur 
Victorin;  Pius,  surnom  mobile  des  Tetricus. 

De  Witte  (A.),  Un  nouvel  atelier  monétaire  artésien.  — 
Monnaies  frappées  par  Philippe  de  Saint  Poi  à  Ruminghem 
et  à  Elincourt. 


BIBLIOGRAFIA  313 


Guiffrey  (J.),  Médailles  de  Constantin  et  d'Héraclius  ac- 
quises  par  Jean  due  de  Berry  en  1402. 

Cronaca.   —  Bibliografia.  —  Sei  tavole. 


Anniiaire  de  la  Soclété  fram^aise  de  NiimisìnaUque, 

Marzo-Aprile  1890.     • 

Belfort  (A.  de),  Eecherclies  des  Monnaies  impériales 
romaines  non  décrites  dans  l'ouvrage  de  H.  Cohen  (seguito). 

Serrure  (E..),  Monnaies  et  Médailles  des  évéques  de  Metz 
(seguito). 

Marchéviìle  (M.  de),  Le  rapport  entre  V  or  et  1'  argent 
au  temps  de  Saint  Louis. 

Froehner  (\V.),  Le  gant  dans  la  numismatique  By- 
zantine. 

Cronaca,  Verbali,  ecc. 


Btilletin   de  la   Société   Suisse  de   JVìiìnismatique,   Gi- 
nevra 1890.  N.  2. 

Stroehlin  (P.),  Souvenir  d'un  voyage  numismatique  en 
Russie. 

Demole  (E.),  Observations  sur  le  type  des  monnaies 
congolaises. 

Palézieiix  (M.  de),  Les  émaux  des  armoiries  de  la  Ee- 
publique  et  du  Canton  du  Vallais. 

Platel    (E.),   Das    Sohweizerische    Zwanzigrappensttick. 

Liebenaii  (Th.  von)  Zur  Mùnzgeschichte  der  Spinola. 

Trachsel  (C.  F.),  Die  Kippermùnzen. 

Necrologia,  Miscellanea. 


Tlie  Numismatic  Chronicle,  (Anno  1889). 

1.  Evans  (Arthur   J.)  The    u  Horsmen  n  of  Tarentum. 

2.  Barclay  Head  (V.),  Notanda  et  corrigenda. 

3.  Warwick  Wr'oth.  Greek  coins  acquired  by  the  British 
Museum  in  1888. 


314  BIBLIOGRAFIA 


4.  Canninghtwi  (A.)  Coins  of  the  Tockari. 
B.  Evans  (John)  On  a    hoard  of  silver    coins  found   at 
Neville's  Cross. 

6.  Thurston  (E.),  On  a  recent  discovery  of  roman  coins 
in  southern  India. 

7.  Arnold  (George),  The  roman  station  of  Vagniacae. 

-       8.  Latchmore  ■  (J^TdAik)^  On  a  find  of  roman    coins  near 
Cambridge. 

9.  Montagli  (H.),  The  mint  of  castle  Rising,  in  Norfolk. 

10.  Page  (Samuel),  Coins  of  the  reign  of  Stephen. 

11.  Longstaffe  (W.),  The  reading  penny. 

12.  Pache  (A.  E.),  The  M.  M.  Lis,  on  the  gold  coins  of 
Henry  VI's  Restoration. 

13.  Cì^owther  (Eev.  G.  F.),  Notes  on  coins  of  the  second 
issue  of  Henry  YII. 

14.  Longstaffe  (W.),  Misplaced  coins. 

15.  Montagu  (H.),  Unpublished  gold  coins  of  James   I. 

16.  Montagu  (H.),  Piedforts  in  the  english  coniage. 
Miscellanea.  —  Bibliografia.  —  Tredici  tavole. 


Archivio  storico  italiano,  1890,  disp.  I:  Ferrerò  Ermanno, 
Vincenzo  Promis. 

Arte  e  Storia,  n.  14,  1890:  Morsolin  B.,  Giorgio  Capohianco 
(medaglista). 

IX,  n.  3,  5  febbraio  1890  :  Morsolin  B.,  Isabella  Sesso 

(A  proposito  della  medaglia  dedicata  a  Isabella  Sesso). 

Il  Buonarroti  (Roma),  voi.  Ili,  quaderno  10  (1890):  Fraccia 
Giovanni,  Antiche  monete  siciliane  inedite  o  nuove. 

Commentari  delF  Ateneo  di  Brescia  per  V  anno  1889. 
Brescia,  1890:  Rizzini  Dr.  Prospero,  Illustrazione  dei  civici  Musei. 
Parte  1,  Placchette  e  bassorilievi.  Con  1  tavola. 

Giornale  di  erudizione.  Firenze,  voi.  II,  nn.  11-12,  1890:  Una 
medaglia  di  Napoleone  I. 

L'Ingegneria  civile,  Anno  XVI,  n.  2,  febbraio  1890.  Torino: 
Caselli,  Vincenzo  Promis,  archeologo. 

Monumenti  antichi  pubblicati  per  cura  della  R.  Accademia  dei 
Lincei.  Voi.  I,  puntata  I.  Milano,  U.  Hoepli:  Gamurrini  F.  G.  Della 
libbra  etrusca. 


BIBLIOGRAFIA  315 


Rivista  (Xuova)  Misena,  Anno  UT,  n.  2.  Arcevia  1890:  Yer- 
NARECCi  Prof  Augusto,  JDi  uno  sconosciuto  scrittore  marchigiano 
di  numismatica  nel  secolo  XVI:  Federico  Torricelli,  da  Fossombrone. 


La  Tribune,  Genève,  23  et  24  février  1890:  Stroehlin  Paul, 
Faussaires  en  médailles. 


Académie  des  inscriptions  et  belies-lettres.  Comptes  réndus. 
Tome  XVII,  sept-octobre  1889.  Paris ,  1890  :  Terkien  de  Lacou- 
PERiE,  Une  monnais  hactrochinoise  bilingue  du  premier  siede  avant 
notre  ère  —  Anatole  de  Barthèlemy,  Le  cités  allié.s  et  lihres 
de  la  Gaule  d^aprcs  les  monna ies. 

Annales  da  Midi,  n.  6,  avril  1890:  Prou,  Peiresc  et  la  numis- 
matique  mérovingienne. 

Revae  d'economie  politique,  mars-avril,  n.  2, 1890:  Milet  H.  A. 
D^un  aphorisme  orthodoxe  mais  inexact  sur  la  monnaie. 

Archives  historiques,  artistiqaes  et  littéraìres,  1  gennaio  1890: 
Vl\rd,  Un  sceau  d''or  faussement  attrihué  à  Philippe  VI  de  Vaìois. 

Archives  historiques  du  Bouibonnais,  gennaio  1890:  Bacine, 
trésorier  de  France  à  Moulins. 

Bnlletin  de  la  Société  d'études  des  Hautes-AIpes,  n.  2,  1890: 
M.  Dupont-Delportes,  Monnaies  romaines  données. 

La  petite  répnblique  frangaise ,  18  mars  1890  :  Blanie  nou- 
velie  (Les  collectionneurs  de  monnaies). 

Magasin  pittoresque,  15  aprile  1890:  Arnaud  Felix,  La  fa- 
hrication  des  monnaies.  Avec  ili. 

Ménioires  de  la  Société  d'émulation  d'AbbevilIe,  4^  serie, 
t.  I,  I  partie  :  A.  Yan  Robais,  Notes  d' Archeologie^  d'^histoire  et  de 
numisìnatique  (Abbeville  et  ancienne  Picardie). 

Méffloires  de  la  Société  nationale  des  Antiquaires  de 
France,  t.  49  :  Mowat,  De  quelques  ohjets  antiques  incrustés  de 
monnaies. 

Moniteur  des  intérets  materiels,  4  mai  1890:  Laveleye  (de) 
La  frappe  d'argent  aux  Etats  Unis. 

Revue  Celtique,  voi.  XE,  nos,  1-2,  janvier-avril  1890,  Barthè- 
lemy (A.  de),  Essai  de  classification  chronologique  de  différents 
groupes  de  monnaies  gauloises.  —  Prou  Maurice,  Correspondance. 

Revue  de  l'art  francais,  nov.-d^cembre  1889:  Eoman  J. , 
Lorthior,  graveur  en  médailles. 

Société  nationale  des  Antiquaires  de  France,  Séances,  18  de- 
cembro  1B89:  M.  Guiffrey  signale,  dans  l'inventaire  des  joyaux  du 


816  BIBLIOGRAFIA 

due  de  Berry,  dont  il  prc^pare  la  piiblication,  4  m^daillons  eo  or,  de 
facture  italienne,  repr^sentant  des  empereurs  romaiQs,  et  dont  le  prince 
fit  l'acquisition ,  en  1402,  de  marchands  originaires  d' Italie.  TI  pré- 
sente les  moulages  de  deux  de  ces  médailles  qui  appartiennent  actuel- 
lement  an  Cabinet  des  Médailles.  —  19  février  1890:  J.  Gqiffrey 
fait  une  communìcation  sur  une  médaille  de  Francois  li  de  Carare, 
qui  reprit  Padoue  en  1390. 


Berg-und  Hiitteninànnische  Zeitung,  48,  Jahrgang,  nn,  9-12: 
VoGT  I.  H.,  Uéber  die  Gold,  Siìber-  und  Kupfer -production  der  Welt. 

Das  Ansland,  anno  G8,  n.  7  :  von  LeiNdenfeld  R.  Das  Gold 
in  AnstraUen. 

Jahrbiiclier  des  Vereins  fiir  Meklemburgìsche  Geschichte, 
annata  LIY,  1889:  Wunderlich.  Miinzenfund  in  Laage  (2\l  monete 
d'argento  del  secolo  X,  coniate  per  la  massima  parte,  nella  Pomerania), 
Idem.  Miinzenfund  in  Bihnits  (83  monete  di  Pomerania,  Svezia,  Po- 
lonia e  Germania  del  Nord.  1668-1726). 

Mittheilangen  des  Vereins  fiir  Geschichte  Ton  Osnabriick, 
voi.  XIV" ,  1889  :  Hartmann,  Ròmische  Miìnzen  in  Lnsharst  bei 
Liibeclc  gefunden  (137  monete  degli  anni  98  a  192  dopo  G.  Cristo^ 

Schriften  des  Vereins  fiir  Meiningische  Geschichte.  Mùller 
Otto  F.,  Die  Miìnzen  auff  Meininger  Privatpersonen.  Mit  4  Tafeln 
Abbildugn.  Mtiningen^  v.  Eye,  1890,  in-8'  pp.  57. 

Zeitschrift  fiir  àgyptische  Sprache,  voi.  I.  1890:  Brugscii, 
JDas  àthiopische  Goldgeivicht. 

Der  Sammler,  1890 ,  n.  1  :  Clericus  J.,  Die  StiefTcinder  der 
Numismatik. 


Journal  of  the  Royal  Statistica!  Society,  dicembre  1889: 
A.  Coste,  The  international  Monetary  Congress  of  7S80. 

The  financial  World)  (édition  frangaise),  29  maggio  1890:  Ori- 
gine et  découvjrte  des  mines  d'or  de  VAfriqiie  du  Sud. 

The  Jndian  Antiqnary,  novembre  1889:  Temple.  Coins  ofthc 
Modem  Native  Chiefs  of  the  Panjab. 


NOTIZIE    VARIE 


Scavi  di  Roma.  —  Il  giorno  26  febbraio  decorso  si  sparse 
la  voce  che  la  sera  precedente  fosse  stato  rinvenuto  un 
importante  ripostiglio  di  monete  d'  oro  imperiali.  Assunte 
informazioni,  seppi  che  effettivamente  nel  fare  alcuni  lavori 
per  la  sistemazione  del  proseguimento  della  nuova  via 
Giovanni  Lanza,  sul  pendio  dell'Esquilino  verso  la  Suburra, 
fu  trovato  un  vaso  di  rame  contenente  una  gran  quantità 
di  monete,  le  quali  però  erano  tutte  di  bronzo.  Furono 
portate  al  Museo  del  Campidoglio  e  fu  riconosciuto  che 
erano  in  numero  di  5654,  di  piccolissimo  modulo  coi  tipi 
comuni  del  IV  secolo  ed  appartenenti  agli  imperatori  da 
Massenzio  ad  Onorio.  Ma  ho  motivo  di  credere  che  oltre 
queste,  il  ripostiglio  ne  contenesse  altre,  perchè  presso  un 
negoziante  ne  ho  vedute  400  cogli  stessi  tipi  e  dello  stesso 
modulo. 

Da  Porto  d'  Anzio,  ove  si  stanno  facendo  degli  scavi 
sono  venuti  in  luce  due  assi  libbrali  colla  testa  di  Apollo 
ripetuta  sui  due  lati,  appartenenti  alla  serie  assegnata  dal 
P.  Garrucci  ai  Sabini,  (tavola  XXXIV).  Insieme  agli  assi 
vi  erano  anche  tre  spezzati  della  stessa  serie,  e  tanto  gli 
uni  che  gli  altri  sono  andati  a  far  parte  di  collezioni  private. 

A  Civita  Castellana  nello  scavare  una  tomba  alla  pro- 
fondità di  venti  metri  fu  rinvenuto  insieme  a  due  statuette 
di  bronzo,  un  beli'  esemplare  del  triente  della  rarissima 
serie  di  aesgrave  di  Tarquinia  (Garrucci,  tav.  XLVI,  N.  3). 

Un  importante  ripostiglio  di  monete  d'argento  tedesche 
è  stato  rinvenuto  in  Roma  alla  fine  di  Aprile.  Sono  circa 
mille  monete  bracteate  nel  XIII  secolo,  ma  che  non  offrono 
in  tutte  che  18  varietà.  Era,  probabilmente  un'offerta  pro- 
veniente dalla  Germania  per  l'obolo  di  S.  Pietro. 

4' 


318  NOTIZIE  VARIE 


Di  monete  consolari  è  stata  trovata  una  restituzione 
di  Traiano  (N.  26  del  Babelon),  ma  non  l'ho  veduta.  Di 
monete  imperiali  degne  di  menzione  vi  è  un  quinario  d^oro 
inedito  di  Probo  a  fior  di  conio,  un  medaglione  di  Costan- 
tino, uno  di  Alessandro  Severo,  un  gran  bronzo  di  Emiliano 
di  buona  conservazione  ed  uno  di  Antinoo.  Il  medaglione 
di  Alessandro  (Cohen  N.  232,  ediz.  1") ,  bellissimo  per  con- 
servazione e  per  patina,  è  stato  consegnato  ad  un  orefice 
per  farne  un  gioiello  da  signora,  con  gran  dispiacere  dei 
raccoglitori. 

Di  altre  monete  venute  in  luce,  citerò  il  raro  ducatene 
di  Camillo  principe  di  Correggio,  che  differisce  da  quello 
riportato  da  Quirino  Bigi,  il  quale  probabilmente  lo  de- 
scrisse senza  averlo  presente  ;  {Di  Camillo  e  Siro  da  Cor- 
reggio e  della  loro  zecca.  Modena  1870,  tavola  VI,  N.  52), 
e  finalmente  una  monetina  d'argento  di  Segni  non  comune, 
(Garrucci,  tav.  LXXXII,  N.  20). 

La  messe  è  stata  davvero  importante,  tutte  le  serie  e  tutte 
le  epoche  hanno  avuta  la  loro  parte;  è  da  deplorarsi  sol- 
tanto che  i  due  ripostigli  offrano  poco  interesse,  sia  per  la 
storia,  sia  per  la  numismatica,  alle  quali  non  portano  alcun 
contributo  veramente  nuovo. 

P.  Stettiner. 

Una  lettera  del  Cav.  G.  Fraccia.  —  Eiceviamo,  con  pre- 
ghiera di  pubblicazione,  la  seguente,  a  cui  diamo  posto 
volentieri,  sia  per  debito  d' imparzialità,  sia  per  lasciare, 
come  abbiamo  altre  volte  espresso  essere  nostro  desiderio, 
che  tutte  le  opinioni  possano  essere  liberamente  esposte 
nella  Rivista.  Mentre  però  diamo  la  lettera  integralmente  nella 
sua  parte  scientifica ,  abbiamo  creduto  opportuno  soppri- 
mervi qualche  periodo,  che  da  questo  campo  si  allontanava, 
invadendone  altri,  di  cui  non  giova  intrattenere  i  nostri 
lettori. 

È  innegabile  che  nelle  nuove  ragioni  apportate  dal 
Cav.  Fraccia  vi  sia  dell'acume  e  della  giustezza  di  vedute  ; 
e,  quantunque  intravvediamo  qualche  altra  obbiezione,  'che 
vi  si  potrebbe  fare,  non  crediamo  il  caso  di  prolungare  la 
polemica,  lasciando  che  il  lettore  si  formi  da  sé  il  proprio 


NOTIZIE  VARIE  310 


concetto,  ora  che  le  due  parti  hanno  esposto  il  loro  modo 
di  vedere.  Non  sarebbe  stato  d'altronde  gentile  da  parte 
nostra  il  riservarci  noi  Tultima  parola.  Ecco  la  lettera: 

€  Al  ChiarissUno  Gav,  Francesco  Gnecchi  Redattore  della 
Rivista  Italiana  di  Numismatica  —  Milano. 

«  Nel  tascicolo  I,  anno  III,  1890,  del  pregevole  periodico,  ora  da 
Lei  e  dalFegregio  di  Lei  fratello  diretto,  leggo  a  pag.  160-162  due 
articoli,  co'  quali  è  a  Lei  piaciuto  onorare  di  sua  autorevole  recensione 
i  due  ultimi  miei  opuscoli:  Su  due  contromarche  in  monete  romane, 
ed  Antiche  monete  siciliane,  ecc. 

€  Nel  rendere  alla  Signoria  Vostra  Chiarissima  le  più  sentite  grazie 
per  tanto  onore  e  per  tutti  i  benevoli  apprezzamenti  e  gentili  espres- 
sioni usate  a  mio  riguardo,  io  La  prego  accordare  ospitalità  nelle 
colonne  dello  stesso  plaudito  periodico  alla  presente,  mercè  la  quale 
vorrà,  spero,  permettermi  le  seguenti  brevi  e  rispettose  osservazioni, 
responsive  a'  cortesi  appunti  da  Lei  fattimi,  e  de'  quali  io  mi  tengo 
non  meno  onorato. 

€  Tenendo  al  merito  di  ciascun  di  essi,  ed  incominciando  da  quello 
eh'  Ella  esamina  V  ultimo,  cioè  «  Antiche  monete  siciliane,  »  ecc. , 
due  cose  Elia  vi  lamenta  :  l''  la  mancanza  delle  Tavole  ;  2°  la  scelta 
del  Buonarroti  nel  pubblicarlo.  Ed  io  le  dirò  francamente  che  trovo, 
in  generale,  la  prima  giustissima;  ne,  in  generale,  ho  per  essa  che 
le  attenuanti;  e  della  difficoltà  de'  mezzi  (più  che  pecuniaria,  di  ma- 
teriale esecuzione  in  Palermo,  facendo  capo  al  Museo)  ;  e  dell'esempio, 
certamente  non  nuovo  di  tanti  altri  cataloghi,  repertori,  ecc,  ed  anche 
grandi  opere;  e  finalmente  dell'essermi  io  perciò  a  tutt' uomo  studiato 
di  supplirvi,  oltrecchè  col  richiamo  a  quegli  altri  miei  lavori  che 
n'eran  forniti,  con  tali  minute  e  precise  descrizioni,  di  cui  i  provetti 
cultori  di  numismatica,  pe'  quali  io  veramente  scrivo,  potevano  restar 
contenti,  come  difatti  è  avvenuto. 

€  In  particolare  però,  e  per  quel  che  riguarda  1'  altra  parte  di 
questo  primo  lamento,  quella,  cioè,  relativa  a  verifica,  controllo, 
fiducia,  ecc.,  a  me  basta  farle  semplicemente  notare  (ciò  che  per 
altro  risulta  dal  cenno  preliminare,  e  va  per  ogni  singola  moneta 
indicato  dalle  corrispondenti  iniziali  poste  in  margine  per  additarne 
la  provenienza),  ohe  trattandosi  di  monete  tutte  già  appartenute  da 
.  insigni  e  reputatissime  collezioni ,  e  tutte  poi  scelte ,  acquistate , 
accettate,  classificate,  collocate,  registrate,  in  uno  dei  primi  Musei 
d'Italia,  qual  è  quel  di  Palermo,  concepir  su  di  esse,  foss'anche  una 


S20  NOTIZIE  VARIE 


sola,  il  menomo  sospetto,  sarebbe  lo  stesso  che  concepirlo  e  mancar  di 
fede  a  quelle  collezioni,  a  quel  Museo,  ed  asfli  illustri  uomini  che 
l'han  diretto  e  il  dirigono. 

«  Quanto  al  secondo  di  Lei.  lamento  poi  circa  la  scelta  del  Buo- 
narroti per  la  pubblicazione  di  quest'opuscolo.  Le  fo  primieramente 
riflettere  che  gli  esemplari  destinati  agli  Istituti,  ai  periodici  ed  ai 
personaggi  nostrani  e  stranieri  in  numismatica  più  competenti  furono 
le  tirature  a  parte  {estratti)  fattine  appositamente  eseguire;  ma  che 
del  resto,  per  quanto  grandi  ed  invadenti  fossero  le  odierne  tendenze 
a  specializzare,  com'Ella  ben  dice,  e  la  superiorità  in  ciò  della  Rivista 
non  sarà  mai  certamente  (è  almeno  a  sperarlo)  che  si  arrivi  a  tal 
punto  di  esclusione,  da  interdire  la  concorrenza  ad  ogni  altro  perio- 
dico letterario  e  storico,  che  non  sia  affatto  da  sozzo,  qual  certamente 
non  è  il  Buonarroti. 

«  Passiamo  ora  air  altro  mio  opuscolo  :  Su  due  contromarche 
in  monete  romane,  ecc. 

«  Crede  dunque  anch'Elia  che  soverchia  sia  l' importanza  da  me 
attribuita  alla  contromarca  ^PRON  sul  G.  B.  della  Quinctia  da  me 
prodotto,  e  crede  così  perchè  a  stabilire  che  Apronio  fosse  monetario 
di  Augusto  e  non  di  Giulio  Cesare,  meglio  che  questa  mia,  che  pur 
Le  piace  ammettere  che  sia  una  prova,  «  ne  abbiamo  già  uyC  altra 
più  sicura  nelle  monéte  di  Gaio,  Messalla  e  Sisenna  compagni  mone- 
tari di  Apronio  sotto  di  Augusto,  che  sono  dell'identico  tipo.  —  Ma 
stando  sempre  alla  distinzione  ch'io  fo  nel  mio  opuscolo  fra  prove  di 
fatto,  ricavabili  da''  monumenti,  e  teoriche  induzioni,  non  era  appunto 
questo  ch'io  a  pag.  5  e  6  dimostrava  non  provar  nulla?  —  Che 
cosa  difatti,  io  diceva,  potevan  provare  questi  quattro  piccoli  bronzi 
di  tipo  affatto  alieno  a  qualsiasi  cronologica  applicazione,  quando  di 
tutti  questi  quattro  monetari  «  non  vi  si  trova  che  il  solo  nome,  senza 
«  alcun  prenome  o  soprannome  che  potesse  con  maggior  probabilità 
«  fissarne  l' epoca;  quando  son  essi  storicamente  sconosciuti ,  come 
«  Sisenna  e  Gaio,  o  di  nome  comune  all'epoca  di  Cesare  e  di  Augusto 
«  come  Messalla  ed  appunto  il  nostro  Apronio?  »  —  Si  degni  Ella 
adunque.  Chiarissimo  Signore,  rileggere  quelle  due  pagine  del  mio 
povero  opuscolo,  e  nella  pienissima  sua  buona  fede  si  convincerà  che 
l'importanza  da  me,  in  quel  senso,  attribuita  alla  monete  in  parola 
non  era  per  niente  soverchia. 

€  Ed  ora  all'altra  contromarca,  NCAPR. 

€  Ella  crede  ch'io  abbia  non  citata,  anzi  a  bella  posta  taciuta  per 
rendere  la  mia  più  accettabile  quella  spiegazione  che  stima  invece 


NOTIZIE  VARIE  321 


ragionevolissima^  e  oramai  comunemente  ammessa  come  la  vera  ed 
alla  quale  dichiara  attenersi  come  assai  pia  ovvia  :  Vantica  spiega- 
isione  Nero  Caesar  Aug  PBohavit. 

«  Ma  su  questa  interpretazione,  ch'Ella  suppone  non  poter  essere 
da  me  ignorata,  io  comunque  si  fosse,  non  poteva,  non  che  come  Lei 
adagiarmi,  più  che  tanto  fermarmi  :  prima,  perchè  non  comunemente 
ammessa,  com'Ella  dice,  ma  anzi  da  nissuno  dei  più  insigni  scrittori 
di  contromarche  da  me  consultati  e  citati  nemmen  ricordata  ;  secondo 
perchè  né  così  ragionevole  e  molto  meno  poi  vera,  com'Ella  asserisce, 
ma  invece  assolutamente  da  escludersi  in  quanto  che  (lasciando  anche 
stare,  se  così  Le  piace,  il  nesso  A*  e  la.  finale  ON  dell'  altra,  che 
secondo  me,  e  com'io  ho  dimostrato,  deve  darci  la  chiave  e  la  spie- 
gazione ragionevole  e  vera  di  questa),  mentre  questa  contromarca  non 
appare  più  intera,  in  alcuna  delle  monete  intermedie  fra  quelle  del 
1°  anno  di  Claudio  e  quelle  di  Nerone,  le  lettere  NO  si  trovano  poi 
in  monete  a  Nerone  posteriori.  E  difatti  non  più  un  solo  intero  NCAPR 
si  trova  in  alcuna  delle  altre  monete  dello  stesso  Claudio;  né  di  Mes- 
salina, né  di  Britannico ,  né  di  Agrippina  giovine,  ecc.  ;  né  è  suppo- 
ponibile  che  giusto  in  quel  periodo  di  13  anni  quanti  ne  corrono  sino 
a  Nerone,  in  nessuna  di  esse  si.  fosse  più  applicata,  massime  se  per 
causa  politica,  o  per  bisogao  di  aumentarne  il  valore  ;  ciò  che,  come 
infra  rammenterò,  non  necessitava  ch'esse  fossero  fruste.  —  Tediamo 
invece  le  lettere  NC  che  formerebbero  il  cavallo  di  battaglia  di  quella 
spiegazione  (il  famoso  supposto  Nero  Caesar)  su  monete  a  Nerone 
posteriori,  su  quelle  segnatamente  di  Vespasiano,  che  ne  portan  bensì 
il  nome  in  contro  marca ,  e  difatti  il  de  Saulcy,  in  questo  genere  a 
tutti  maestro,  cercava  interpretare  Nummi  Centum.  Or,  tutto  questo 
mi  pare  ch'io  già  l'avea  nel  mio  opuscolo  largamente  dimostrato,  perchè 
non  mi  fosse  stato  mestieri  di  ricorrere  a  tacere  a  bella  posta  una 
spiegazione  ovvia  e  comoda  sì  a  chicchessia,  ma  ragionevole  o  vera 
non  mai. 

€  Ed  ora  veniamo  alla  mia: 

«  A  Lei  pare,  o  almeno  Ella  dubita,  che  la  spiegazione  da  me  pro- 
posta non  possa  essere  seriamente  accettafa,  inquantoche  non  abbia  un 
fondamento  ragionevole.  E  ciò  per  due  principali  motivi  :  V  non  tro- 
varsi in  nessun  documento  storico  resistenza  di  una  Coorte  Aproniana; 
e  questo  Le  fa  pensare  che  io  al  solo  scopo  di  dare  la  spiegazione 
di  una  contromarca  voglia  creare  (sic)  una  coorte;  2"*  il  ripetersi  di 
questa  stessa  contromarca  su  bronzi  di  Claudio  portanti  la  data  del  41 
d.  6%  mentre  la  prima  contromarca  di  Apronio  sarebbe  del  12  a.  C, 
anteriore  cioè  di  53  anni:  e  sebben  riconosca  eh'  io  sia  riuscito  a 
provare  che  materialmente  la  cosa  non  era  impossibile,  trova  pure 


322  NOTIZIE  VARIE 


questa  possibilità  materiale  hen  diversa  dalla  probabilità  ;  né  sa 
spiegarsi  come  i  bronzi  di  Claudio  fossero  già  frusti  (dacché,  come 
ognun  sa,  Ella  aggiunge,  i  bronzi  contromarcati  di  Claudio  come 
tutti  in  generale  quelli  portanti  contromarca  sono  di  pessima  con- 
servazione) e  avessero  perciò  bisogno  di  una  contromarca  neW  anno 
stesso  in  cui  venivano  battuti. 

«  Ma  io  La  prego  a  voler  riflettere  (ciò  che  bensì  risulta  da  tutto 
il  mio  povero  e  mal  compreso  lavoro): 

«  r  Che  qui  non  si  tratta  di  una  Coorte  storica,  rammentata  in 
un  monumento  stabile  ;  sibbene  di  una  semplice  contromarca  castrense 
0  di  occasione,  in  cui  momentaneamente  veniva  applicato  il  nome  di 
colui  che  ordinava  o  permetteva  un  nuovo  corso  fiduciario; 

«  2"  Che,  difatti,  qui  non  si  tratta  più  del  Monetario  di  Augusto 
del  12  a.  Cristo  ;  ma  bensì  del  Proconsole,  Generale  di  Armata,  Go- 
vernatore di  piazze  forti,  che  appunto  in  que'  53  anni  e  sino  all'ultimo 
di  essi  vediam  figurare  in  Africa  e  in  Germania  nella  stessa  persona 
di  Lucio  Apronio....  Ed  ora  non  Le  dispiaccia  ch'io  aggiunga  (ciò  che 
non  trovasi  nel  mio  opuscolo,  ma  Ella  non  doveva  ignorare)  un 
prezioso  riscontro  di  fatto,  un  monumento,  cioè,  che  nel  modo  più 
solenne  ed  indiscutibile  costringe  a  non  potersi  più  mettere  in  dubbio 
nel  nostro  personaggio  quella  continuata  superiore  ingerenza  negli 
affari  monetali  delle  provincie  da  lui  occupate,  ch'io,  per  solo  teorico 
e  storico  intuito,  aveva  già  indovinata;  convertendo  così  quella  ch'Ella 
chiama  possibilità  materiale  ben  diversa  dalla  probabilità,  in  una 
quasi  certezza.  —  Parlo  di  quei  grandi,  mezzani  e  piccoli  bronzi 
(intere  monete  di  tutto  conio  e  non  contromarche)  battuti  in  Africa 
sotto  Tiberio  ed  appunto  durante  la  guerra  contro  Tacfarina  (pag.  Il 
del  mio  opuscolo),  nell'anno  20  di  C  :  «  PERMISSV  L  •  APRONI  • 
PROCOS  III  •  »  come  nella  loro  leggenda  si  legge.  (V.  Mùller,  Nu- 
mismatique  de  Vancicnne  Afrique.  Voi.  Il,  pag.  155  e  seg.  —  E.  Cohen 
2'  ed.  I  pag,  208,  n°  216;  pag.  210,  n**  251. 

«  Non  fo  commenti.  —  Torno  alla  contromarca  in  esame. 

«  Nel  farmi  infine  l'ultimo  appunto,  a  Lei  certamente  anche  sfug- 
giva quant'io  altresì  avea  dimostrato:  di  tali  contromarche  Castrensi 
non  esser  solo  a  cercar  ragione  nel  deperimento  metallico  delle  mo- 
nete su  cui  vennero  applicate  ;  ma  bensì ,  e  meglio ,  nel  bisogno  di 
crescerne  il  valore  con  un  temporaneo  o  più  alto  assegno  fittizio.  E 
di  fatti  ed  a  maggior  prova  del  mio  assunto,  in  preveggenza  dell'ob- 
biezione da  lei  fatta,  a  pag.  13,  nota  3',  io  segnalava  alcuni  esemplari 
battuti  «  indubbiamente  in  quest'  anno  41  di  C.  (uno  specialmente 
«  della  Collezione  Nissardi)  che  lungi  dall'esser  frusti  sono  fior  di 
«  conio  e  la  nitida  contromarca  vi  appare  evidentemente  coeva  al  conio 


NOTIZIE  VARIE  323 


«  stesso,  come  appunto  doveva  avvenire  essendovi  stata  applicata  nel- 
«  Tanno  medesimo.  » 

€  Ma  predicava  io  dunque  al  deserto  ?! 

«  Spero  che  no;  e  qui  fo  punto,  sicuro  anzi  che  per  tutte  le 
suesposte  ragioni  anch'Elia  non  tarderà  a  farmi  quella  giustizia  che 
molti  mi  han  fatta;  nel  senso  almeno,  onde  teste  me  Tha  resa  uno 
dei  più  competenti  nummologi  contemporanei  con  queste  parole: 

«  La  conclusion  de  vòtre  travail  est  amenèe  par  un  raisonnement 
«  aussi  logique  que  serre,  et  pour  ma  part  je  la  crois  benne.  A  moins 
«  de  nouvelles  découvertes,  je  ne  vois  pas  sur  quels  arguments  on 
«  pourrait  s'appuyer  pour  la  combattre. 

«  E  la  riverisco 
«  Aprile  1890. 

«  Ohbl.mo 
«  Giovanni  Fraccia  ». 

«  P.  S. 

«  Non  era  nemmeno  nel  mio  opuscolo,  ne  sopra  va  rammentato 
(ma  Ella  avrebbe  bensì  dovuto  saperlo)  quant'ora,  a  maggior  conferma 
di  tutto,  e  salvo  a  meglio  svilupparlo  e  trattarlo  in  appresso,  sono  ben 
lieto  di  poter  anche  aggiungere  relativamente  alla  contromarca  NCAPR. 

«  Trovo  io  ora  adunque  che  non  solo  in  Africa  nella  guerra  contro 
Tacfarina,  monete  di  ogni  modulo  furon  battute:  PERMISSY  L. 
APRONI;  ma  che  vi  ha  di  più: 

«  Abbiamo  un  altro  M.  B.,  bensì  per  intero  e  sempre  col  dritto 
di  Tiberio ,  portante  nel  rovescio  la  testa  di  Druse ,  ed  intorno  : 
L.  APRONIVS  HIPPONE  LIBERA  (Mùller  II,  pag.  167,  N.  378  - 
E.  Cohen,  2.»  ed.,  I,  pag.  220,  N.  2). 

«  Ne  è  tutto: 

«  Abbiamo  in  altre  monete  dello  stesso  genere  nientemeno  che 
il  nome  di  Apronio,  o  tutto  intero  con  FA  e  la  P  legate  (.FRON) 
in  un  piccolo  bronzo  di  tutto  conio  (Muller  II,  pag.  165,  N.  303  — 
E.  Cohen  2.*  ed.,  pag.  210,  N.  251) ,  ovvero  in  contromarca  portante 
non  solo  le  stesse  due  prime  lettere  ugualmente  legate  (^P),  ma  bensì 
e  meglio,  tutte  e  tre  del  mio  opuscolo,  in  unica  sigla  {M)  (Mùller  U, 
pag.  4,  N,  5,  e  pag.  7,  N.  25). 

«  E  né  basta  :  Tanto  nell'anzidetto  piccolo  bronzo,  quanto  in  queste 
contromarche,  abbiamo  il  nome  di  Apronio  preceduta  da  una  C  stac- 
cata; cioè:  0.  .PRON;  C  .P,  e  0  M, 

<  Ne  von*ebbe  di  più? 

«  0  non  Le  pare  ora  nemmeno  che  dal  12  a.  C.  in  giù  il  nome 
di  Apronio  possa  riapparire  sulle  monete   ad  indicare  il  personaggio 


324  NOTIZIE  VARIE 


medesimo?  0  ancor  non  Le  pare  che  T^,  e  molto  più  poi  VM  deb- 
bano assolutamente  escludere  (come  a  me  era  già  bastato  desumere 
dalla  moneta  Yallero)  qualsiasi  Prohavit  o  Fróbata,  e  simili;  e  del- 
l'egual  maniera  la  C  che  sola  precede  quel  nome  qualsiasi  Caesar  o 
altro  che  non  fosse  la  da  me  creata  Coorte?  —  E  così  essendo,  non 
Le  pare  un  vero  peccato  che  a  completare  la  contromarca  NCAPR 
ora  non  manchi  che  la  sola  N;  e  che  la  crudele  assenza  di  questa 
lettera  venga  a  dare  il  colpo  di  grazia  al  tanto  comodo  e  vagheggiato 
Nero  ?/.... 

«  G.  Fraccia.  » 

Museo  Provinciale  di  Bari.  —  Il  giorno  18  maggio  u.  s. 
venne  aperto  al  pubblico  il  nascente  Museo  Provinciale  di 
Bari,  impiantato  per  ora  nell'Aula  centrale  dell'Ateneo. 

Vendite  di  Monete.  —  Durante  il  trimestre  cbe  ora  'fi- 
nisce ebbero  luogo  a  Parigi  le  vendite  di  tre  collezioni,  Pho- 
tiades  Pacha  (monete  greche),  Ponton  d'Amécourt  (mero- 
vingie) e  Lépaulle  (romane).  —  Ne  daremo  i  particolari  nel 
prossimo  fascicolo. 


Finito  di  stampare  il  25  Giugno  1890. 

Lodovico  Felice  Cogliati,  Gerente  responsabile. 


Anno  HI,  1890. 


LEONE  Vm  963-965). 


GIOVANNI  Xni  (965-972). 
4 


T.  GENTILI  -  Le  monete  dei  pontefici  romani  Leone  YIII  (ritenuto  antipapa)  e  Giovanni  Xlll. 

(Anno  III  -  Fasc.  I) 


RIVISTA  ITALIANA  DI  NUMISMATICA 


Anno  111,1890 


Tav.  11 


N 


M 


#f# 


R.von   SCHNEIDER-Un   Medaglista  Mantovano. 
(  Anno  III-FascI  ) 


eliotipia  Blechinger.''Aenna.. 


Impr.L,  Pisani. 


3, 


y.  PROMIS.  -  Moneta  inedita  di  Pietro  I  di  Savoia. 


V.  PROMIS  -  Monete  di  Gio.  Battista  Panetti  Conte  di  Benevello. 

(  Anno  III  -  Fasc.  I  ) 


y^ 


1890. 


TAY.  IV. 


/    V   / 


<..> 


B  —  13  B  —  14  B  —  15  B-s-16  B7=^  17  B  »  18  B  —  19 


B  —  20 


B  —  21 


B  —  22 


B  —  23  B  —  24  B  —  25 


SUotipia  DANESI  -  Roma. 


PRANCESCOGHECCHI.  —  Appunti  di  Numismatica  Romana. -X. 

(Anno  III  -  Fasc.  II) 


RIVISTA  ITALIANA  DI   NUMISMATICA 


Anno  ni,  1890 


Tay.  Y. 


MONETE    PRIMITIVE     BATTUTE     DAI    PAPI 

NEL  CASTELLO    DEL  PONTE   DELLA    SORGA    CAPOLUOGO 
DEL   CONTADO    VENE  SINO 


DENARO    CORONATO 
Bo-nifacioVin- 129^-1303 


MEZZO  DENARO  CORONATO 
Clemente  V- 1305-1314 


FIORINO  PAPALE  D'ORO    CONIATO  PERLA  PRIMA  VOLTA 
da  GiovanniXXH  rLell'aimol322 


MONETA    (NIGRA)   BATTUTA  IN  AVIGNONE 

DALLA  FINE  DEL    XTV  ALLA  META  DEL    XV?  SECOLO 


Beile  detto  Xnt  aiitipapa 
1394--Ì417 


Giovaixni     XXIII 
1410  -  1415 


MONETA  DI  NICCOLO  V.  1447- 145Ò 
sulla  quale  per  eiTorre  dello  zeccltierre  fa  scritto  CARTVSmvece  di  QVINTVS 


V.CAPOBIMCHI  •  Uuove  osservazioni  sopra  alcune  monete  IsMg  dai  Papi  nel  Contado  Yenesino  ed  Avignone 

(Anno III.  FascII) 


KlVIiSTA  lTAlilAJ)IA  JJi  J^UMliSMATlUA 


TAV.  VI. 


B 


Eliotipia  DANESI  -  Roma. 


BERNARDO  MORSOLIN.  —  Giacomo  Bannissio  -  Isabella 

(  Anno  III  -  Fasc.  Il  ) 


A.  COMAHDINI.  —  Medaglie  italiaie  del  1889.  - 1. 


4- 


FASCICOLO   III. 


ORIGINE  DELLA  MONETA  IN  ITALIA 


(1) 


I  numismatici  che  hanno  studiato  il  problema  delle 
origini  della  moneta  in  Italia  si  possono  classificare  in 
due  scuole:  quelli  che  vogliono  dare  all'Italia  l'onore  di 
avere  inventato  la  moneta  ,  riportandone  l'introduzione 
ad  un'  alta  antichità ,  e  quelli  che  pretendono  abbia  essa 
copiato  tutto  dalla  Grecia. 

A  me  pare  che  ci  sia  dell'esagerazione  da  una  parte 
e  dall'  altra  ;  ma  che  ,  in  fondo  ,  abbiano  tutti  un  po'  di 
ragione.  Infatti  è  vero  che  la  moneta  coniata  propria- 
mente detta,  ebbe  origine  indubitatamente  nella  Lidia  e 
fu  quindi  adottata  in  tutta  la  Grecia,  ma  è  altresì  vero 
che  l'idea  di  adoperare  il  metallo  per  facilitare  gli  scambi 
sorse  spontanea  anche  fra  alcuni  popoli  italici ,  i  quali, 
quando  appresero  l'invenzione  del  conio,  possedevano  già 
le  loro  monete  primitive  fuse  che  differivano  sostanzial- 
mente dalle  greche  e  dalle  orientali. 

Non  deve  sembrare  strano  che  l' idea  della  moneta 
sia  sorta  indipendentemente  in  differenti  paesi.  Nella  storia 
si  notano  altri  fatti  consimili,  di  invenzioni  o  scoperte 
avvenute  in  paesi  posti  a  grande  distanza  e  che  non  ave- 
vano fra  loro  alcuna  comunicazione.  Basti  ricordare  la 
somiglianza  ,  affatto    casuale  ,  fra  i  geroglifici  egiziani  e 


(1)  Dal  Manuale  di  Numismatica  italiana  di  prossima  pubblicazione. 


328  P.    STETTI  NER 


quelli  messicani,  e  Tarte  della  stampa  inventata  in  Europa 
quando  in  China  era  già  conosciuta  da    parecchi  secoli. 
Per  dimostrare    meglio  il  mio    asserto  ,  riassumerò 
brevemente  la  storia  della  moneta. 

In  origine  la  base  delle  contrattazioni  commerciali 
fu  il  bestiame,  non  solo  in  Italia,  ma  anche  presso  altri 
popoli  antichi.  Infatti  Omero  ed  Esiodo  ,  posteriori  alla 
guerra  di  Troia,  non  parlano  mai  di  moneta  ed  indicano 
sempre  il  valore  delle  cose  a  bestiame,  oppure  fanno  men- 
zione di  scambi  con  oggetti  di  genere  diverso.  Un  campo 
coltivato  poteva  valere  due  o  tre  buoi  ,  un  bue  poteva 
cambiarsi  con  dieci  o  dodici  pecore  ,  una  bella  schiava 
era  valutata  quattro  buoi.  Lo  stesso  Omero  ci  dice  che 
il  tripode  dato  in  premio  della  lotta  al  funerale  di  Pa- 
troclo valeva  dodici  buoi  e  che  gli  Achei  si  procuravano 
il  vino  di  Lenno,  dando  in  cambio  metalli  ,  pelli  bovine 
o  qualche  robusto  schiavo. 

Ma  quest'uso  doveva  riuscire  assai  incomodo  e  non 
poteva  sempre  corrispondere  ai  bisogni  sociali.  La  sco- 
perta del  metallo  mostrò  il  grande  vantaggio  che  se  ne 
poteva  trarre,  valendosene  come  mezzo  di  scambio,  poiché, 
oltre  ad  avere  un  valore  intrinseco,  non  è  soggetto  a  de- 
perire, si  può  facilmente  trasportare,  e  dividere  con  esat- 
tezza nelle  più  minute  proporzioni.  Inoltre  il  bronzo,  che 
fu  il  primo  metallo  usato  in  Italia  per  gli  scambi,  poteva 
essere  trasformato,  ogni  qualvolta  si  volesse,  in  armi  od 
utensili  domestici.  In  Asia,  invece,  fu  l'oro  ed  in  Grecia 
r  argento  ,    il    primo    metallo  adoperato  pel  commercio. 

I  Latini  chiamarono  aes  rude  (bronzo  o  rame  in- 
forme) il  metallo  di  cui  si  servirono  in  principio  per  gli 
scambi  commerciali. 

In  seguito  il  metallo  fu  fuso  in  pezzi  regolari  di 
forma  rettangolare  di  cinque  o  dieci  libbre  e  s'incominciò 


ORIGINE   DELLA   MONETA   IN    ITALIA  329 

a  dargli  un'impronta  che  fu  generalmente  un  animale,  forse 
in  memoria  dell'antico  uso  degli  scambi  col  bestiame  in  na- 
tura, e  questo  fu  chiamato  aes  signatum  (bronzo  segnato). 

Da  questo  si  passò  all'  aes  grave  ,  prima  di  forma 
ovale  e  poi  di  forma  rotonda  che  fu  la  definitiva.  Allora, 
per  facilitare  sempre  piii  gli  scambi ,  fu  creata  l' intera 
serie  della  moneta  colle  sue  frazioni,  cioè  l'asse  del  peso 
di  una  libbra  corrispondente  alla  quantità  di  metallo  che 
un  uomo  poteva  sostenere  {librare)  sul  braccio  teso,  il 
semisse  di  mezza  libbra ,  il  triente  di  quattro  oncie  , 
il  quadrante  di  tre  oncie  ed  il  sestante  di  due  oncie. 
Cosicché  il  sistema  si  basava  su  una  libbra  di  bronzo  ed 
ognuno  dei  sei  pezzi  portava  il  segno  del  suo  valore. 

Di  queste  monete  primitive  molte  sono  pervenute 
fino  a  noi,  ed  il  ripostiglio  di  Vicarello  compendia  ,  si 
può  dire,  la  storia  stessa  della  moneta. 

Vicarello  è  una  località  presso  il  lago  di  Bracciano, 
ove  esistono  delle  acque  termali  chiamate  Acque  apolli- 
nari^  conosciute  e  adoperate  anche  in  oggi  per  curare 
certe  malattie. 

Nel  1852,  nel  fare  alcuni  lavori  presso  l'antica  fonte, 
fu  rinvenuto  un  numero  ingente  di  monete  ,  che  erano 
il  tributo  offerto ,  per  lo  spazio  di  parecchi  secoli ,  dai 
visitatori,  alla  Divinità  che,  secondo  essi,  rendeva  bene- 
fiche quelle   acque.  Era  un  uso  comune  di  quei    tem  )i. 

Vi  si  rinvenne  Vaes  rude  in  quantità  di  oltre  12^0 
libbre,  Yaes  signatum^  V  aes  grave  dei  vari  popoli  del- 
l'Italia centrale,  poi  le  monete  coniate  della  Repubblica 
romana  e  quelle  degli  imperatori ,  fino  al  principio  del 
quarto  secolo  dell'era  nostra  (2J. 


(2)  P.  Marchi,  La  stipe  tributata  alle  divinità  delle  acque  apoUinari 
di  Vicarello.  Roma,  1852. 


330  r.    STETTINER 


A  Vulci  tu  rinvenuto  un  vaso  di  terra  contenente 
insieme,  Vaes  rude  in  pezzi  informi  di  bronzo  del  peso 
da  un'oncia  ad  una  libbra,  Vaes  signatum  in  pezzi  ret- 
tangolari interi  od  in  frammenti  e  V  aes  grave  nella 
forma  ovale. 

Spessissimo  poi  si  ritrova  Vaes  rude  in  tombe  antiche 
specialmente  etrusche,  e  lo  si  può  vedere  in  quelle  tra- 
sportate intatte  nel  museo  di  Bologna.  Il  pezzo  di  bronzo 
è  vicino  alla  testa  del  cadavere. 

Farmi  dunque  che,  anche  non  volendo  prestar  fedi 
agli  antichi  scrittori  che  pure  parlano  dell'uso  del  bronzo 
in  natura,  non  si  possa  mettere  in  dubbio  che  esso  abbia 
servito  in  Italia  come  moneta  primitiva  che  si  scambiava, 
pesandolo,  con  altri  oggetti;  ed  a  Vicarello  ed  a  Vulci 
lo  abbiam  visto  fare  l'officio  di  moneta,  misto  a  monete 
propriamente  dette. 

Vi  è  chi  afferma  che  Vaes  rude  non  abbia  mai  avuto 
corso  come  moneta ,  ma  che  sia  stato  adoperato  sola- 
mente per  gli  usi  sacri,  perchè  si  rinviene  anche  in  tombe 
appartenenti  ad  epoche  in  cui  la  moneta  coniata  era  su- 
bentrata alla  fusa  e  perchè  fu  adoperato  per  offerte  alle 
divinità  in  tempi  ugualmente  posteriori  alla  sua  origine  ; 
e  si  citano  in  prova  le  offerte  di  aes  rude  fatte  dai  sol- 
dati di  Annibale  al  tempio  della  dea  Feronia  C^i  (544  di 
Roma,  210  av.  C).  Ma  ciò  dimostra  soltanto  che  per  gli 
usi  sacri  si  continuò  ad  adoperare  per  lungo  tempo  la 
moneta  primitiva;  che,  del  resto,  a  Vicarello  si  è  trovata 
ogni  sorta  di  monete  offerte  alla  divinità  del  luogo,  e 
probabilmente  i  soldati  di  Annibale  offrirono  aes  rude 
alla  dea  Feronia,  perchè  non  avevano  altra  moneta  e  con 


(3)  Livio,  lib.  XXVI,  cap.  XI. 


ORIGINE    DELLA    MONETA    IN    ITALIA  831 

quella  erano  pagati  i  loro  stipendi  ,  non  essendo  suppo- 
nibile che  Annibale  in  una  guerra  così  agitata,  combat- 
tuta su  territorio  straniero  e  coll'esercito  continuamente 
in  moto,  potesse  sempre  coniarne. 

Dagli  storici  antichi  non  e  facile  arguire  con  preci- 
sione in  quali  epoche  ebbero  corso  siffatte  monete,  poiché 
essi  sono  discordi,  ed  i  passi  che  si  riferiscono  alla  mo- 
neta, sono  stati  più  volte  citati  in  appoggio  di  tesi  di- 
sparate. Vi  è  però  un  documento  al  quale  possiamo 
prestar  fede,  ed  è  la  legge  delle  12  tavole,  pubblicata  dai 
Decemviri  che  entrarono  in  carica  nell'anno  di  Roma  304 
(450  av.  C),  colla  quale  fu  stabilito  che  le  contribuzioni 
e  le  multe  fossero  pagate  in  moneta  metallica  ,  anziché 
in  natura,  calcolando  dieci  assi  una  pecora  e  cento  un  bue. 

La  tradizione  romana  faceva  Numa  autore  dell'  aes 
rude,  poiché  alle  due  corporazioni  di  artefici  che  lavora- 
vano l'oro  e  l'argento  ,  egli  ne  aggiunse  una  terza  dei 
fabbri  del  rame,  e  riteneva  Servio  Tullio  autore  dell'ae^ 
signatam.  Abbiam  visto  che  Y  aes  grave  fu  introdotto 
dai  Decemviri ,  e  non  vi  sono  finora  argomenti  che 
combattano  seriamente  queste  tre  epoche  {^\ 

Se  però  possiamo  prendere  come  base  di  partenza 
Fanno  450  av.  C.  per  l' introduzione  in  Roma  dell'  aes 
grave,  bisogna  necessariamente  riportarne  l'introduzione 
in  Etruria  ad  un'epoca  alquanto  anteriore,  poiché  non  si 
può  a  meno  di  riconoscere  che  V  aes  grave  di  Tarquinia 
e  quello  ovale  rinvenuto  a  Vulci,  siano  più  antichi  di 
quello  romano. 

Non  sembrerà  dunque  esagerazione  l'affermare  che 
gli   Etruschi  incominciarono  ad  usarlo    al    principio    del 


(4)  Garrucci,  Le  monete  dell'  Italia  antica,  pag".  2  e  14.  Eoma,  188(>, 


832  P.    STETTINER 


quinto  secolo  e  che  la  sua  origine  è  appunto    da    ricer-' 
carsi  nel  cuore  dell'Etruria  da   dove  si  sarebbe  poi  dif- 
fuso fra  i  popoli  vicini. 

In  Sicilia,  prima  della  fondazione  delle  colonie  greche, 
fu  pure  usato  il  bronzo  in  natura  per  gli  scambi  com- 
merciali, ma  i  siculi  passarono  senza  transizioni  dall' a^5 
rude  alla  moneta  coniata  introdotta  dai  Greci  (5),  per  cui 
Vaes  rude  non  vi  può  esser  rimasto  in  uso  dopo  il  se- 
colo settimo  av.  C. 

Nell'alta  Italia  si  è  rinvenuto  Vaes  rude  e  Vaes  si- 
gnatum  a  Marzabotto  (Bologna),  a  Quingento  (Parma), 
a  Ser virola  (Reggio),  a  Levizzano  (Modena)  ed  a  Man- 
tova; Vaes  grave  solo  a  Bologna.  Gli  Etruschi  che 
avevano  introdotto  in  quelle  regioni  Vaes  rude  e  Vaes 
signaium,  dovettero  ritirarsi  dinnanzi  ai  Galli  invadenti 
e  non  ebbero  campo  di  estendervi  anche  1'  uso  dell'  aes 
grave. 

L^aes  rude  delle  tombe  etrusche  di  Villanova  e  di 
Marzabotto  si  può  riportare  al  VII  secolo,  Vaes  signatum 
al  VI  e  r  aes  grave  della  Certosa  di  Bologna  al  V  secolo 
av.  C.  Bologna  cadde  in  potere  dei  Galli  nel  396  av.  C. 
e  potè  conoscere  Vaes  grave,  il  quale  non  si  trova  più 
oltre  per  la  ragione  già  detta  dell'  invasione  gallica. 

In  Sardegna  Vaes  rude,  che  si  ritrova  anche  oggi 
in  abbondanza,  fu  sostituito  dalla  moneta  coniata  intro- 
dottavi dopo  la  conquista  cartaginese  dell'isola,  avvenuta 
verso  il  260  di  Roma  (494  av.  C). 

Un  fatto  notevole  è  quello  che  le  monete  dell' ae* 
grave  dei  vari  popoli  dell'Italia  centrale,  sono  assai  più 
rare  di  quelle  romane,  ed  è   naturale:   dopo   che   Roma 


(5)  MowMSEN,  Ilisioìrc  de  la  mouìmc  romainc.  Voi.  I,  pag.  Ili, 


ORIGINE    DELLA   MONETA    IN    ITALIA  333 


ebbe  esteso  il  suo  dominio  sulle  altre  città,  non  permise 
certo  che  continuassero  ad  emettere  moneta  in  nome 
proprio.  Ciò  dimostra  che  Vaes  grave  era  in  uso  in  Italia 
assai  prima  dell*  egemonia  di  Roma,  poiché  non  si  può 
ammettere  che  le  città  conquistate  abbiano  cominciato 
ad  emettere  moneta  propria,  appunto  quando  avevano 
perduta  la  loro  autonomia. 

Ne  è  una  prova  il  ripostiglio  di  assi  rinvenuto  a  Cer- 
veteri,  consistente  in  1578  pezzi  tutti  romani.  Cere  rico- 
nobbe la  supremazia  di  Roma  nell'anno  403  (351  av.  C.) 
e  dovette  adottarne  la  moneta. 

Inoltre  Tasse  romano  fu  successivamente  ridotto,  in 
seguito  a  contingenze  politiche  e  ad  urgenti  bisogni  del- 
l'Erario, da  una  libra  a  mezza  libra,  poi  a  quattro  oncie 
a  tre,  a  due,  a  una  e  finalmente  a  mezz'oncia,  conser- 
vandogli sempre  lo  stesso  valore  nominale. 

Ora,  la  maggior  parte  delle  serie  di  aes  grave  ap- 
partenenti al  Lazio,  all'Etruria,  alla  Sabina,  all'Umbria, 
al  Piceno,  ecc.  non  subirono  alcuna  riduzione  perchè  le 
zecche  che  le  emettevano  furono  chiuse  prima  che  aves- 
sero tempo  o  si  verificasse  il  bisogno  di  effettuarle.  Una 
prima  riduzione  l'ebbero  soltanto  le  monete  di  Todi  , 
di  Venosa  e  di  Lucerla,  ma  la  prima  tenne  aperta  più  a 
lungo  la  propria  zecca  forse  per  una  speciale  conces- 
sione di  Roma  ,  e  le  seconde  furono  occupate  dai  Ro- 
mani più  tardi ,  quando  la  riduzione  dell'  asse  era  già 
avvenuta. 

Dai  fatti  e  dalle  date  citate  si  rileva  che  le  vicende 
della  moneta  seguono  quelle  della  storia,  e  colla  storia 
si  spiega  la  presenza  o  la  mancanza  della  moneta,  o  di 
alcune  specie  della  moneta,  nelle  varie  regioni  ,  e  se  ne 
determinano  le  cause. 

La  tradizione  romana  sulla  moneta  è  confortata  al- 

43 


334  P.    STETTINER 


l'evidenza  dai  fatti  storici,  ed  una  volta  ammesso  che  i 
popoli  italici  abbiano  cominciato  ad  adoperare  il  metallo 
per  gli  scambi  prima  del  VII  secolo  av.  C,  bisogna  ri- 
conoscere che  questo  fatto  non  ha  alcuna  relazione  colla 
invenzione  della  moneta  coniata  nella  Lidia,  la  quale  non 
avvenne  certamente  prima  del  VII  secolo. 

Ma  il  documento  più  sicuro  ,  più  autentico  dell*  ori- 
gine indigena  della  moneta  italiana ,  è  rimasto  nella 
lingua.  I  vocaboli  più  antichi ,  come  pecunia  ,  da  pecus 
(bestiame),  applicato  al  metallo  perchè  questo  sostituì  il 
bestiame  nelle  contrattazioni  ,  e  quello  di  aes  (bronzo  , 
rame)  dato  alla  prima  moneta,  sono  indubbiamente  latini  ; 
da  aes ,  genitivo  aeris,  derivarono  i  seguenti  :  aerarium 
(erario)  ,  luogo  dove  si  conservava  il  metallo  pubblico , 
aestiìnatio,  aes  timo  ^  cioè  valutazione  delle  cose  a  misura 
di  rame.  La  parola  deìiarìus  ebbe  origine  dalla  prima 
moneta  di  argento  romana  ,  alla  quale  fu  dato  il  valore 
di  dieci  assi  {denos  aeris,  dieci  bronzi). 

Il  vocabolo  moneta  fu  dato  al  denaro,  perchè  la  zecca 
romana  era  posta  nel  tempio  di  Giunone  Moneta  sul  Cam- 
pidoglio ,  ed  il  soprannome  di  Moneta  (avvertitrice)  fu 
dato  a  Giunone,  perchè  il  suo  tempio  fu  costruito  sul- 
l'area della  casa  di  Manlio  ,  il  quale  ,  sentendo  i  Galli 
salire  all'assalto  del  Campidoglio,  ne  aveva  avvertito  le 
guardie. 

Altri  vocaboli  presero  un  significato  proprio  dal- 
l'uso primitivo  di  pesare  il  metallo  grezzo,  per  scambiarlo 
con  altri  oggetti,  ed  anche  questi  vocaboli  sono  di  origine 
italica  :  expensa  ,  stipendium  ,  dispendium  ,  dispensa- 
tores,  ecc. 

Vi  è  controversia  sulla  parola  nummo,  che  alcuni  vo- 
gliono derivata  dal  greco  vop;  che  significa  legge  ;  altri 
accettano  invece  la  versione  di  Svetonio,  il  quale,  secondo 


ORIGINE    DELLA   MONETA    IN    ITALIA  335 

quanto  riporta  Suida,  raccontava  che  il  re  Numa  avrebbe 
introdotte  le  monete  in  Roma  e  che  dal  suo  nome  le 
avrebbe  chiamate  nummi, 

È  vero  che  Dario  chiamò  darica  la  moneta  da  lui 
emessa,  e  Filippo  chìa,mò  Jllippi  le  proprie,  e  che  in  tempi 
moderni  abbiamo  avuto  i  carlini,  i  luigi,  i  francesconi, 
i  napoleoni,  ma  abbiamo  visto  altresì  che  i  Latini  chiama- 
rono pecunia  ed  aes  la  loro  prima  moneta  e  non  nummo. 
Pare  che  i  Tarantini  siano  stati  i  primi  a  chiamare 
nummo  la  loro  moneta. 

In  Grecia  le  più  antiche  monete  furono  chiamate  sta- 
teri, dramme,  oboli,  e  nessuno  di  questi  vocaboli  entrò 
nell'uso  della  lingua  latina.  E  neppure  nella  Grecia,  pro- 
priamente detta,  fu  mai  rinvenuta  alcuna  moneta  che  so- 
migliasse d\V aes  rude,  2IV aes  signatum  o  all'a^^  grave; 
le  più  antiche  monete  della  Grecia  e  della  Lidia  sono  d'oro 
o  d'argento   e  impresse  col  conio. 

E  dunque  senza  fondamento  l' asserzione  del  Le- 
normant  che  gli  Etruschi  abbiano  copiato  Vaes  grave  dai 
Greci  di  Sicilia  (6). 

Lasciamo  pure  alla  Lidia,  o  alla  Grecia,  se  si  vuole, 
l'onore  di  avere  inventato  il  conio  e  di  averlo  introdotto  in 
Italia,  ma  non  è  possibile  negare  che  la  moneta  italica 
primitiva  sia  sorta  in  modo  spontaneo,  quasi  naturale. 

P.  Stettjner. 


(6)  P.  Lenormant,  La  mannaie  dans  Vantiquité.  Voi.  I,  pag.  139. 


APPUNTI 

DI 

NUMISMATICA  ROMANA 


XII. 

CINQUE    BRONZI    INEDITI 

PROVENIENTI   DAGLI   SCAVI   DI   ROMA   DURANTE    IL    1889 


A)  Medaglione  d'Adriano.  —  B)  Medaglione  di  Faustina.  — 
C)  Medaglione  di  M.  Aurelio.  —  D)  Medaglione  di  Gor- 
diano ni.  —  E)  Medio  Bronzo  di  Gallieno  e  Valeriano. 

Nella  lettera  che  portava  il  titolo  «  Scavi  di  Roma 
durante  il  1889  »  pubblicata  nel  primo  fascicolo  1890 
di  questa  Rivista^  pag.  176,  il  sig.  Stettiner  segnalava 
i  pezzi  numismatici  più  notevoli  venuti  in  luce  du- 
rante quell'anno. 

u  Fra  le  monete,  il  pezzo  più  importante  che 
u  sia  uscito  di  recente  dal  fiume,  è  un  bronzo  di 
ti  mezzana  grandezza,  che  ha  nel  diritto  le  teste 
a  affrontate  di  Treboniano  Gallo  e  di  Volusiano. 
ti  È  una  moneta  addirittura  nuova  e  non  priva  d'in- 
it  teresse.  w  E  più  avanti:  «  Di  medaglioni  ne  ven- 
ti nero  fuori  anche  in  Roma  quattro  o  cinque  verso 
tt  la  fine  dell'estate  scorso,  e  fra  questi  ve  n'è  uno 
tt  inedito  di  Faustina  madre,  il  quale  ha  nel  ro- 
ti vescio    lo    stesso    rogo ,    che    si    vede    su    alcune 


338  FRANCESCO   GNECCHI 


u  monete  di  quell'imperatrice.  Un  altro  è  contor- 
u  niato  e  appartiene  a  Marco  Aurelio.  È  bellissimo 
u  per  conservazione  e  per  patina.  ?? 

Una  fortunata  combinazione  e  una  mia  gita  a 
Roma  durante  lo  scorso  aprile  fecero  si  che,  insieme 
a  parecchi  pezzi,  i  quali,  per  essere  già  conosciuti, 
non  potrebbero  qui  avere  interesse  e  perciò  non  ricor- 
derò in  questa  rassegna,  riuscii  ad  acquistare  i  tre 
bronzi  inediti  sopra  citati,  più  un  medaglione  di 
Adriano  ed  altro  di  Gordiano  pure  inediti.  Mi  pare 
valga  la  pena  di  presentare  queste  novità  degli 
ultimi  scavi  romani  ai  lettori  della  Rivista,  ai  quali 
anzi,  prima  ancora  che  alla  mia  collezione,  li  avevo 
dedicati  acquistandoli.  Se  non  costituiscono  tutto 
quanto  di  nuovo  abbia  prodotto  in  fatto  di  numi- 
smatica il  fecondo  grembo  di  Roma  durante  il  1889, 
pare  però  che  poco  di  più  si  sia  trovato,  ne  è  a 
mia  conoscenza  che  pezzi  importanti  ed  inediti  siano 
andati  altrove. 

Il  medio  Bronzo,  che,  come  vedremo  in  seguito, 
appartiene  non  a  Treboniano  Gallo  e  Volusiano,  come 
fu  creduto  da  principio,  bensì  a  Gallieno  e  Valeriane 
proviene  dal  Tevere,  i  medaglioni  dagli  scavi;  con- 
seguentemente il  primo  è  spattinato,  mentre  gli 
altri  sono  coperti  di  bella  patina  verde  o  nera. 

MEDAGLIONE  DI  BKONZO  DI   ADRIANO. 
(Dopo  Coh.  539). 

^  —  HADRIANVS  AVO  COS  III  P  P 

Testa  nuda  a  destra. 
'^   —  COS  III  (air  esergo). 
Apollo  ignudo  di  fronte  rivolto  a  sinistra,  con  un  ramo 
nella  destra  e  il  mantello  sul  braccio  sinistro.  Alla  sua 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA  339 

destra  una  tavola  su  cui  un  vaso.  Alla  sua  sinistra  un 
tripode  su  di  una  base  appiedi  di  un  vecchio  tronco 
d*  alloro, 

(Tav.  Vin,  N.  1). 
Diam.  mm.  38.  Peso  gr.  40,60. 

Questo  medaglione  di  superbo  stile  e  della  mi- 
glior epoca  dell'arte  romana,  intatto  dalla  parte 
della  testa,  fu  uq  po'  guasto  nel  rovescio  da  chi  lo 
ripulì  dall'ossido. 

La  rappresentazione  del  rovescio  è  molto  simile, 
se  non  identica,  a  quella  del  medaglione  anepigrafo 
descritto  al  Num.  561  di  Cohen  e  a  pagina  30  del 
FroehnerW;  la  spiegazione  non  ne  è  molto  chiara. 
Apollo,  come  osserva  il  Froenher,  non  ha  qui  il  suo 
attributo  usuale,  la  lira,  e  appare  invece  nella  sua 
qualità  di  Dio  sanitario.  Il  ramo  non  sarebbe  l'alloro 
simbolo  della  gloria,  bensì  l'aspersorio  atto  a  scac- 
ciare i  mali  e  guarire  le  malattie,  e  il  vaso  posto 
sulla  tavola  sacra  conterrebbe  1'  acqua  lustrale.  Non 
è  cosa  facile,  continua  il  Froehner,  il  ricostruire  i 
fatti  che  hanno  dato  origine  ai  medaglioni  e  spie- 
gare con  sicurezza  il  significato  delle  rappreisenta- 
zioni  che  figurano  sui  rovesci;  ma  è  probabile  che 
il  medaglione  sia  stato  coniato  durante  gli  ultimi 
quattro  anni  del  regno  d'  Adriano  ,  quando  era  già 
tormentato  dalla  malattia  a  cui  doveva  soccombere. 
La  data  posta  all'  esergo  del  mio  esemplare  non 
contraddirebbe  per  nulla  a  tale  supposizione  ,  e  il 
medaglione  si  può  considerare,  come  l'altro  simile,  un 
voto  pel  ricupero  della  pericolante  salute. 


(1)  Lea  Médaillom  de  VEmpire  romain,  Paris,  J.  Eothschild,  1878, 


340  FRANCESCO    GNECCHI 


MEDAGLIONE  DI  BRONZO   DI  FAUSTINA  MADRE. 
(Dopo  Coh.  123). 

1&  —  DIVA  ÀVGVSTÀ  FAVSTINA 
Busto  velato  a  destra. 

9!    —  CONSECRATIO 

Rogo  formato  da  quattro  piani.  Il  primo  é  costituito 
da  un  hasameyito  quadrato  ornato  da  ghirlande,  il 
secondo  'da  un  colonnato  colla  porta  nel  centro,  il 
terzo  pure  da  colonne  fra  le  quali  dei  festoni,  il 
quarto  sembra  pure  ornato  da  ghirlande.  In  alto 
Faustina  in  biga  veloce  a  destra. 

(Tav.  Vili,  N.  2). 

Diam.  mm.  38.  Peso  gr.  46,50. 

Chi  considerasse  questo  medaglione  come  una 
semplice  riproduzione  di  un  gran  bronzo  raro  in 
Faustina,  ma  comunissimo  in  Antonino  Pio,  Marco 
Aurelio  ed  altri  imperatori ,  potrebbe  giudicarlo 
assai  poco  importante.  Ma,  studiandolo  invece  sotto 
l'aspetto  che  andrò  esponendo,  di  Medaglione  di 
Consacrazione,  io  V  ho  trovato  di  interesse  assai 
maggiore  di  quanto  V  avevo   sulle    prime    giudicato. 

La  Consacrazione  romana ,  iniziata  coi  divini 
onori  resi  da  Augusto  a  Giulio  Cesare,  dura  per 
tutto  il  tempo  deir  impero  pagano,  e  nei  tre  secoli 
che  corrono  da  Augusto  a  Costantino  si  contano 
circa  cinquanta  fra  Augusti,  Auguste  e  Cesari,  i  quali, 
per  testimonio  delle  monete,  appaiono  aver  avuto 
l'onore  della  Consacrazione.  Né  sono  certo  tutti  i 
nomi  più  celebri  e  più  degni,  quelli  che  furono  con 
tale  suprema  onorificenza  passati  fra  i  Divi.  Inven- 
tata in  origine  per  celebrare  i  meriti  eccezionali, 
la  Consacrazion9  come   tutte    le    umane    istituzioni 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA  341 

bea  presto  degenerò  ;  il  calcolo,  il  tornaconto,  la 
paura,  i  bassi  interessi  subentrarono  al  solo  prin- 
cipio morale  che  doveva  informarla,  e  vediamo  ben 
presto  apparire  fra  i  Divi  non  solo  alcuni  nomi  me- 
diocri, e  di  tale  supremo  onore  affatto  immeritevoli  ; 
ma  anche  alcuni  Imperatori,  che  la  storia  classificò 
quali  mostri  e  vituperio  dell'  umanità,  e  alcune 
Auguste,  cui  assai  meglio  che  il  velo  della  Diva  sa- 
rebbero stati  appropriati  gli  attributi  della  Venere 
Salacia.  E  quasi  per  ironia  pare  che  queste  siano 
le  più  celebrate,  come  ne  abbiamo  un  esempio 
appunto  in  Faustina  d'  Antonino  Pio.  Il  buon 
Antonino  pare  che  cogli  onori  resi  alla  consorte 
estinta  abbia  voluto  farne  dimenticare  la  scandalosa 
vita,  e  fece  coniare  tante  monete  in  onore  e  gloria 
della  defunta,  quanto  non  ne  furono  mai  apprestate 
per  nessun  altro  Imperatore  e  per  nessuna  Augusta. 
La  ricchissima  serie  delle  monete  di  Consacrazione 
di  Faustina,  contiene  tutti,  si  può  dire,  i  tipi  di  questo 
culto,  il  Pavone,  l'Aquila  o  la  Vittoria,  che  volano 
trasportando  l'Augusta  in  cielo,  il  Rogo,  il  Carpento, 
la  Biga  trionfale. 

Oltre  a  ciò  buona  parte  anche  delle  monete,  su  cui 
non  leggesi  l' indicazione  CONSECRMIO,  sono  però 
postume  e  ad  esse  equivalgono,  portando  simboli 
divini,  come  Faustina  tirata  in  un  carro  trionfale  da 
leoni  o  da  elefanti,  colla  scritta  AETERNITÀS,  e  simili. 

Eppure  fra  questa  immensa  serie  di  monete, 
la  Consacrazione  di  Faustina  non  è  ricordata  che 
da  un  solo  medaglione  finora  conosciuto. 

Questo  dà  l'idea  della  straordinaria  rarità  dei 
medaglioni  di  Consacrazione,  rarità  però  che  credo 
Qon  venne  finora  à^.  alcuno   avvertita.    Certamente 

44 


/ 

342  FRANCESCO    GNECCHI 


non  r  avvertì  il  Cohen,  il  quale  non  fece  alcuna  di- 
stinzione di  valutazione  fra  i  pochissimi  medaglioni 
di  Consacrazione  da  lui  descritti  e  che  passeremo 
in  breve  rivista  e  i  medaglioni  più  comuni. 

Anche  il  Kenner  nel  suo  poderoso  articolo  sul 
Medaglione  Romano  (2),  parlando  delle  rappresenta- 
zioni che  si  vedono  sui  medaglioni,  accenna  alla 
Consacrazione,  come  una  delle  raffigurazioni  più 
frequenti  (^);  ma  mi  pare  che,  non  essendo  questo 
che  un  argomento  incidentale  pel  suo  assunto,  si 
sia  lasciato  trascinare  a  dir  cosa  che  non  aveva 
specialmente  verificata;  e  giova  d'  altra  parte  notare 
che  egli  faceva  i  suoi  studii  sulla  collezione  che 
ne  possiede  il  maggior  numero,  come  vedremo.  Io, 
esaminando  la  cosa  specialmente,  ho  dovuto  con- 
vincermi che  la  Consacrazione  Romana,  ricordata, 
diffusa,  popolarizzata  da  un  numero  grandissimo 
e  in  qualche  caso  sorprendente  di  monete  in  ogni 
metallo,  non  è  rappresentata  che  in  via  assoluta- 
mente eccezionale  nei  medaglioni.  A  prova  di  che 
servirà  il  seguente  prospetto,  il  quale,  partendo  dal- 
l'epoca d'Adriano,  in  cui  comincia  a  comparire  nelle 
monete  la  parola  CONSECRÀTIO,    e    in    cui    comincia 


(2)  Pabblicato  nella  Numisrnatische  Zeitschrift  noi  1888,  venne  poi  tra- 
dotto dal  dott.  Solone  Ambrosoli  per  la  nostra  Rivista,  nel  1889. 

(3)  Ecco  le  sue  parole:  «  L'insediamento  del  principe  come  Pontifex 
€  e  Princeps  tuvetttutis,  il  suo  matrimonio,  la  nascita  de'  suoi  figli,  poi  la 
«  salita  dell'Augusto  al  Campidoglio  pel  capo  d'anno,  i  sacrifici  votivi 
«  per  r  assunzione  di  un  nuovo  consolato  o  poi  giubilei  del  regno,  più 
«  tardi  il  primo  ingresso  in  città,  poi  la  partenza  pel  campo,  le  foste  per 
«  le  vittorie,  il  trionfo,  di  quando  in  quando  l'inaugurazione  d'un  tempio, 
€  finalmente  la  Consecratio,  queste  sono  lo  raffigurazioni  che  troviamo  più 
«  frequentemente  sui  medaglioni  di  tutti  i  regni...  »  (Vedi  Rivista  Jta-> 
ìiana  di  Numismatica,  Anno  II,  pag.  273), 


Àt'PUNTI    Ì)I    NUMISMATICA   ROMAtfA 


343 


pure  la  coniazione  dei  medaglioni  di  bronzo,  e  scen- 
dendo fino  a  Costantino  ,  rappresenta  per  ciascuno 
degli  Augusti,  delle  Auguste  e  dei  Cesari,  che  ebbero 
r  onore  della  Consacrazione,  in  quali  monete  tale 
fatto  viene  ricordato  ,  e  per  quali  nomi  è  ricordato 
anche  nei  medaglioni. 


Ueda- 

Monete 

glioni 

0 

A 

B 

B 

Marciana 

.    .    .    . 

* 

* 

* 

. 

Matidia .    .    . 

* 

* 

— 



Adriano .    .    . 

* 

* 

— 

— 

Sabina    .    .    . 

* 

* 

* 



Antonino  Pio  . 

* 

* 

» 

* 

Faustina  Madre 

* 

* 

% 

* 

Marco  Aurelio 

* 

* 

* 



Faustina  Figlia 

— 

* 

* 

— 

Lucio  Vero 

. 

* 

* 

— 

Commodo   .    . 

— 

* 

— 

— 

Pertinace    .    . 

* 

* 

* 

— 

Settimio  Severo 

* 

« 

« 

— 

Giulia  Domna. 



* 

* 

* 

Caracalla    .    . 



* 

* 

— 

Giulia  Mesa   . 



* 

— 



Paolina  .... 

__. 

* 

* 

— 

Mariniana  .    . 



* 

* 

— 

Saloni  no.    .    .    , 



* 

— 

* 

Vittorino    .    .    . 



* 

— 

— 

Tetrico  padre.    . 



* 

— 

— 

Tetrico  figlio  . 



* 

— 

— 

Claudio  Gotico    . 



* 

— . 

— 

Caro 



* 

— 

— 

Numeriano .    .    . 

__ 

* 



, 

Nigriniano .    .    . 



* 

— 

-^ 

Massimiano  Erculeo 





* 

— 

Costanzo  Cloro    . 

* 

_ 

* 

* 

Galerio  Massimiano. 

__ 

_ 

* 



Romolo  figlio  di  Massenzio  . 

« 

* 

* 

- 

Costantino  Magno 

. 

. 

• 

. 



— 

* 

-  J 

344  FRANCESCO    GNECCHl 


Da  questo  prospetto  risulta  che  Medaglioni  in 
oro  e  in  argento  di  Consacrazione  non  esistono,  o  per 
lo  meno  non  si  conoscono,  e  che  in  bronzo  cinque 
soli  sono  conosciuti.  Noto  poi  che,  mentre  nelle 
monete  di  ciascun  metallo  la  Consacrazione  è  rap- 
presentata ben  raramente  da  un  solo  tipo  e  sovente 
da  moltissimi,  nei  cinque  medaglioni  non  possediamo 
che  un  tipo  per  ciascheduno,  e  sono  i  seguenti: 

Il  primo  in  ordine  cronologico  è  quello  di  Fau- 
stina Madre  appartenente  al  Gabinetto  di  Vienna 
e  descritto  al  N.  123  di  Cohen,  il  cui  rovescio  colla 
leggenda  CONSECRATIO  rappresenta  Faustina  colla 
Vittoria  in  biga  al  galoppo.  Faustina  tiene  il  frustino, 
la  Vittoria  le  redini. 

Il  secondo  è  di  Antonino  Pio  e  appartiene  al 
Gabinetto  di  Francia.  Colla  medesima  leggenda 
CONSECRATIO  rappresenta  Antonino  trasportato  da 
un'  aquila  in  cielo,  mentre  un  uomo  (il  popolo  ro- 
mano?) sdrajato  a  terra  lo  sta  guardando.  Descritto 
al  N.  380  di  Cohen,  questo  medaglione  è  riprodotto 
anche  dal  Froehner  W,  il  quale  suppone  che  l'uomo 
sdraiato  a  terra  personifichi  il  campo  di  Marte  ove 
la  Consacrazione  aveva  luogo. 

Il  terzo  medaglione  non  ci  appare  che  mezzo 
secolo  dopo  ;  è  di  Giulia  Domna  e  appartiene,  come 
il  primo ,  al  Gabinetto  imperiale  di  Vienna.  Colla 
leggenda  CONSECRATIO  è  rappresentata  la  moglie  di 
Settimio  Severo  portata  in  cielo  da  un  pavone.  De- 
scritto da  Arneth  nella  sua  Synopsis  Numorum  Ro- 
manorum,  qui  in  Museo  Caesareo   Vindobonensi  adser- 


(4)  Op.  cit.  pag.  74. 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA  345 

vanttir,  questo  medaglione  venne  da  Cohen  dimen- 
ticato, sia  nella  prima  che  nella  seconda  edizione.  È  de- 
scritto anche  da  Vaillant,  il  quale  lo  dà  come  appar- 
tenente al  Museo  Tiepolo.  Nel  catalogo  di  questo 
Museo  però  non  trovo  descritto  che  il  Gran  Bronzo. 
Dopo  circa  un  altro  mezzo  secolo,  incontriauio 
il  quarto  medaglione  con  Salonino.  Ha  il  tipo  del 
rogo  (^)  e,  già  appartenente  all'  antica  Collezione 
Correr  di  Venezia  passato  poi  a  quella  Pisani,  più 
tardi  in  quella  Gréau  a  Troyes  (^),  si  trova  attual- 
mente nella  mia.  Ne  posso  quindi  offrire  la  ripro- 
duzicme  dal  vero,  quantunque  V  incisione  sia  già 
stata  data  nel  catalogo  del  citato  Museo  Pisani  0)  e 
in  quello  della  Collezione  Gréau  (^). 


(5)  Il  rogo  in  questo  Medaglione  di  Salonino  è  rappresentato  molto 
differentemente  che  nel  Medaglione  descritto  di  Faustina  ;  consta  di 
cinque  gradini  a  piramide  «  Suggestus  tahernaculis  compactus,  quorum 
«  superiora  inferiorihus  minora  ed  in  summo  biga  »  come  lo  descrive  il 
Padre  Cassinese  D.  Alberto  Mazzoleni  nel  Catalogo  Pisani  ;  mentre  noi 
Medaglione  di  Faustina  il  rogo  assume  l'aspetto  di  edificio  architettonico, 
e  lo  si  può  confondere  con  un  vero  mausoleo,  talché  alcuni  numismatici 
fecero  appunto  distinzione  tra  l'uno  e  l'altro  tipo  e  chiamarono  rogo  l'uno 
e  r  altro  mausoleo.  —  Io  ritengo  però  che  si  tratti  sempre  del  vero  rogo 
0  pira  che  dir  si  voglia,  destinato  alla  cremazione  dei  restì  del  defunto, 
il  cui  spirito  raffigurato  nel  carro  sovrastante  s' intendeva  che  dopo  quella 
purificazione  del  fuoco  dovesse  volare  al  cielo,  od  era  anzi  simboleggiato  da 
un'aquila,  che  racchiusa  nella  parte  superiore  del  rogo,  veniva  lasciata 
libera  e  prendeva  il  volo  al  momento  stesso  che  il  rogo  ora  dato  in  preda 
alle  fiamme,  e  Max  e  superiore  minimoque  tabernaculo  tamquam  e  fastigio 
«  quodam  aquila  deinittebatur,  quae  in  aerem  subtnisso  igne  elata,  in  coelum 
«  Principis  animam  e  terra  deferre  credebatur.  ^ 

(6)  Alla  cui  vendita  avvenuta  a  Parigi  nel  1869  ottenne  il  prezzo  di  L.  510. 

(7)  E  inciso  e  descritto  nella  splendida  pubblicazione  :  «  Numismata 
«  aerea  selectiora  inaximi  moduli  e  Museo  Pisano  alius  Corrario.  In 
«  Monasteri©  Benedictino-Cassinate  Sancti  Jacobi,  Pontidae  Agri  Bergo- 
€  matis,  apud  Johanem  Santinum.  anno  mdccxl,  xli,  xliv  ».  Ta- 
vola LXIX,  N.  2. 

(8)  Tav.  VI,  N.  3690. 


à46  iFRAt^CESCO    GNECCHi 


Dopo  Salonino  ,  il  solo  medaglione  che  si  può 
mettere  nella  categoria  della  Consacrazione,  quan- 
tunque non  vi  figuri  la  parola  CONSECRATIO,  è  uno 
di  Costanzo  Cloro  che  porta  la  leggenda  MEMORIA 
DIVI  CONSTANTI  e  la  rappresentazione  del  tempio 
rotondo  coli'  aquila  sovrapposta,  tipo  comune  nei 
medii  bronzi  postumi  di  quest'epoca.  Appartiene  al 
Museo  di  Vienna  ed  è  descritto  al  N.  72  di  Cohen. 

A  questi  cinque  attualmente  conosciuti  ora  se 
ne  aggiunge  un  sesto  con  quello  di  Faustina  sopra 
descritto,  né  a  mia  cognizione  ne  esistono  altri  al- 
l'infuori  di  questi,  i  quali  ho  anche  motivo  di  credere 
rappresentati  ciascuno  da  un  unico  esemplare.  Il 
Museo  Britannico,  che  possiede  la  più  ricca  collezione 
di  monete  romane  e  forse  la  più  splendida  serie  di 
medaglioni,  non  ne  possiede  uno  solo  di  Consacra- 
zione. Nessuno  ne  figura  nel  Catalogo  dei  medaglioni 
del  Museo  Britannico  pubblicato  nel  1874  (^),  e  sono 
informato  che  nessuno  venne  acquistato  dopo  la 
compilazione  di  quel  catalogo. 

Perchè    una    cosi    straordinaria    parsimonia    di 


(9)  Boman  Medallions  in  the  British  Masenm. 


APPUNTI    1»I    NUMISMATICA   ROMANA  347 

medaglioni  contro  una  tanta  esuberante  abbondanza 
di  monete  per  ricordare  uno  dei  fatti  più  importanti 
e  più  salienti  dei  costumi  romani,  il  fatto  anzi  che 
era  il  suggello  definitivo  della  vita  e  che  parrebbe 
il  più  degno  d'  essere  ricordato  e  tramandato  alla 
posterità  ? 

L'Augusto,  che  assunto  al  trono  imperiale,  com- 
memorava il  divo  antecessore  o  la  diva  Augusta  o 
un  divo  Cesare  con  tanta  profusione  di  monete  d'oro 
e  d'argento  e  di  bronzo,  e  lo  faceva  evidentemente 
per  diffondere  la  notizia  del  fatto  fra  tutti  gli  strati 
sociali,  perchè  non  lo  commemorava  egualmente  coi 
medaglioni,  nei  quali  pare  anzi  che  l' idea  della  com- 
memorazione dovesse  essere  specialmente  incarnata? 
Perchè  non  un  solo  medaglione  di  metallo  nobile  fu 
coniato  a  tale  scopo  e  quelli  di  bronzo  che  ci  rima- 
sero sono  così  straordinariamente  rari  ? 

È  ben  vero  che  di  alcune  Augaste  e  di  Fau- 
stina in  ispecie  si  può  dire  che,  se  mancano  i  veri 
medaglioni  di  Consacrazione,  ossia  quelli  col  motto 
CONSECRÀTIO ,  ve  ne  sono  però  molti  quasi'  equi- 
valenti; ma  questo  non  si  può  dire  della  grandis- 
sima maggioranza  degli  Augusti,  delle.  Auguste  e 
dei  Cesari  passati  nel  numero  dei  Divi.  Potrebbe 
forse  essere  stata  l' adozione  stessa  del  tipo  delta 
Consacrazione  nelle  monete  ufficiali  che  sconsigliò  la 
commemorazione  di  tal  fatto  nei  medaglioni  ?  Questo 
ragionamento  però  non  reggerebbe  per  tutti  gli  altri 
avvenimenti,  che  troviamo  raffigurati  tanto  nelle  mo- 
nete che  nei  medaglioni.  Resta  quindi  il  problema, 
il  quale  mi  sembra  interessante,  ma  non  per  questo 
facile  ad  essere  risolto.  Da  parte  mia  mi  acconten- 
terò d'avere  avvertito  il  fatto,  confessando  che  uns^ 


348  *  FRANCESCO    GNECCHI 


spiegazione  soddisfacente  non  la  vedo  e  il  fatto  sembra 
strano. 

Ma  siccome  nulla  vi  deve  essere  di  strano,  sarei 
felicissimo  che  qualcheduno  approfondisse  la  cosa 
e  ne  trovasse  la  spiegazione,  tanto  più  che  V  appa- 
rente anomalia  può  e  anzi  deve  collegarsi  coli'  in- 
tima natura  del  Medaglione ,  e  potrà  fornire  nuovi 
lumi  su  tale  materia  non  ancora  abbastanza  stu- 
diata, né  abbastanza  nettamente  definita. 

MEDAGLIONE  DI  BRONZO  CERCHIATO  DI  M.  AURELIO. 
(Dopo  Coh.  390). 

^  —  ANTONINVS  AVO  ARM  PARTH  MAX 

Busto  laureato  e  corazzato  a  destra, 
9/   —  TR  P  XXII  IMP  IMI  COS  MI 

Bue  Vittorie  di  fronte  Vuna  all'altra  sostengono  insieme 
uno  scudo  circondato  da  una  corona  d'  alloro  colla 
leggenda  S  P  Q  R  VIC  PARTHICAE.  Nel  mezzo  un 
parto  seduto  a  terra  e  piangente.  (Anno  168  d.  C). 

Diam.  del  medaglione  senza  cerchio  mm.  38. 
n         n  n  col  cerchio  mm.  60. 

Peso  gr.  175.  (Tav.  Vili,  N.  3). 

Considerato  semplicemente  come  Medaglione, 
questo  da  me  descritto  non  sarebbe  che  una  variante 
di  uno  simile  esistente  al  museo  di  Parigi  e  descritto 
al  N.  390  di  Cohen,  il  quale  ha  lo  stesso  rovescio,  col 
busto  di  M.  Aurelio  a  sinistra  colla  corazza  e  Tegida. 

Ma  ciò  che  forma  la  specialità  del  mio  esem- 
plare è  il  cerchio  che  lo  circonda,  e  che  ne  aumenta 
d'assai  il  pregio,  essendo  rarissimi  in  confronto  dei 
medaglioni  comuni  quelli  fregiati  di  tale  ornamento. 

A  questi  medaglioni  ornati  di  cerchio  non 
venne  finora  assegnata  una  denominazione  ben  fissa 


APPUNTI   DI   NUMISMATICA  ROMANA  349 

e  comunemente  accettata.  L'appellativo  di  Contor- 
niati  vi  sarebbe  assai  bene  appropriato,  e  sarebbe 
anzi  il  più  proprio  a  specificarli,  se  questo  vocabolo 
non  fosse  già  stato  accaparrato  da  quelle  tessere 
o  pseudo-monete  battute  al  tempo  di  Costantino  (?) 
colle  effigie  di  parecchi  antichi  imperatori  o  d'uo- 
mini illustri  nelle  scienze  e  nelle  lettere ,  desti- 
nati ,  come  pare  generalmente  ammesso  ,  a  premio 
dei  giuochi  circensi,  e  ormai  universalmente  desi- 
gnati sotto  il  nome  appunto  di  Medaglioni  Contorniati, 
Perciò  ,  ad  evitare  confusione  fra  due  cose  essen- 
zialmente diverse,  credo  bene  adottare  la  denomi- 
nazione di  Cerchiati  per  quei  medaglioni,  i  quali, 
come  quello  di  M.  Aurelio,  che  abbiamo  più  sopra 
descritto,  sono  veri  medaglioni  di  conio  romano,  col 
medesimo  diametro  e  spessore  dei  medaglioni  co- 
muni, come  questi  coniati  all'epoca  degli  impe- 
ratori che  rappresentano,  e  da  questi  in  null'altro 
differenti  se  non  nel  cerchio  ornamentale,  che  ne 
accresce  colla  mole  e  coli'  artistica  bellezza  l' im- 
portanza . 

Si  sarebbe  forse  anche  potuto  adottare  la  deno- 
minazione di  Falerati,  ossia  quasi  ridotti  a  foggia  di 
falera  ;  ma,  essendo  ormai  provato  che  questi  meda- 
glioni non  servivano  a  tale  scopo  (V.  Borghesi , 
Kenner ,  ecc.,  ecc.) ,  la  parola  potrebbe  ingenerare 
confusione  e  lasciar  credere  che  si  voglia  ritornare 
ad  una  interpretazione  che,  accettata  un  tempo,  venne 
poi  assai  ragionevolmente  abbandonata.  Mi  attengo 
dunque  alla  denominazione  di  Cerchiati,  come  quella 
che  mi  pare  la  più  propria  e  la  più  chiara. 

Ammesso  che  questi  medaglioni  fossero  monu- 
menti commemorativi,  e  ciò  pare  da  tutti  consentito, 

4^ 


350  FRANCESCO    GNECCHI 


anche  prescindendo  dalla  questione  se  i  medaglioni 
fossero  o  meno  monete,  della  quale  teoria  il  cerchio 
potrebbe  essere  una  prova  in  contrario,  (questiono  che 
per  ora  non  giova  toccare,  perchè  pi  condurrebbe 
troppo  lontano),  parrebbe  che  questi  medaglioni  cer- 
chiati dovessero  essere  dall'imperatore,  che  li  emet- 
teva, riservati  ai  personaggi  più  insigni,  e  di  qui 
la  loro  assai  maggiore  rarità  relativamente  agli 
altri  medaglioni. 

H  cerchio  nei  medaglioni  romani  talora  ò 
rimesso  ossia  aggiunto  con  alti'o  pezzo  di  metallo  , 
talora  invece  forma  un  tutto  col  medaglione  stesso  ; 
tale  è  il  caso  del  nostro  medaglione  di  Marco 
Aurelio. 

MEDAGLIONE  DI  GORDIANO  III. 

(Dopo  Coh.  191). 

B'  —  IMP  GORDIÀNVS  PIVS  FELIX  AVO 

Busto  laureato  a  destra  colla  corazza  e  V  egida. 

9I    —   PONTIFEX  MAX  TR  P  MI  COS  PP 

Roma  galeotta  seduta  a  sinistra,  su  di  uno  scudo  e  col- 
Vasta,  in  atto  di  presentare  un  globo  ali*  imperatore 
che  le  sta  davanti  togato  a  capo  scoperto.  Dietro 
questi  un  milite  con  un'insegna.  Alla  destra  di  Royna 
un'insegna.  Nello  sfondo  un  personaggio  a  capo  sco- 
perto. (Anno  240  d.  C). 

Diam.  mm.  37. 

(Tav.  YIII,  N.  4). 

Questo  medaglione  è  una  semplice  varietà  del 
N.  190  di  Cohen,  e  non  merita  speciale  commento. 


APPUNTI   DI    NUMISMATICA   ROMANA  351 


MEDIO   BKONZO 

DI   GALLIENO   E   VALERIANO. 

(Dopo  Coh.  10). 

^'  —  CONCORDIA  AVGVSTORVM 

Basti  laureati  e  affrontati  di  Gallieno  corazzato ,  e  di 
Valeriano   col  paludamento. 
9/   —  P  M  TR  P  V  COS  IMI  P  P  S  C 

Imperatore  seduto  a  sinistra  con  un  globo  e  lo  scettro. 

(Tav.  YIII,  N.  5). 

Questo  bronzo,  quando  venne  rinvenuto  a  Roma, 
fu  erroneamente  attribuito  a  Treboniano  Gallo  e  a 
Volusiano  ,  e  anch'  io  lo  acquistai ,  credendolo  ap- 
punto appartenere  a  questi  due  imperatori  ;  ma,  esa- 
minandolo poi  attentamente,  mi  si  presentarono  due 
obbiezioni  molto  serie,  l' una  iconografica  e  V  altra 
storica. 

Conviene  anzitutto  notare  die  una  cura  spe- 
ciale si  metteva  nella  coniazione  di  questi  medii 
bronzi  a  due  teste,  i  quali  per  essere  commemora- 
tivi di  qualche  avvenimento  importante,  hanno  una 
certa  analogia  col  medaglione,  tanto  che  alcune 
volte  si  chiamano  anche  piccoli  medaglioni  o  meda- 
glioncini.  Ora  i  due  ritratti  del  nostro  medio  bronzo, 
quantunque  alquanto  corrosi  dalle  acque  del  Te- 
vere ,  si  presentavano  però  tali  da  poter  essere 
abbastanza  bene  giudicati;  ma  né  Tuno^nè  l'altro 
mi  pareva  potersi  attribuire  a  Treboniano  Gallo 
o  a  Volusiano. 

Se  ciò  non  fosse  bastato  ,  v'era  un'altra  diffi- 
coltà nella  data  del  rovescio. 

La  V  podestà  tribunizia  non  poteva  riferirsi  né 


352  FRANCESCO    GNECCHl 


alFuno  né  all'altro  di  quegli  imperatori ,  ciascuno 
di  essi  non  essendo  arrivato  oltre  la  quarta.  Mi 
avvidi  quindi  che  Fattribuzione  a  Treboniano  Gallo 
e  Valeriano  era  erronea ,  come  parimenti  erronea 
era  Tal  tra  ai  due  Filippi  padre  e  figlio,  che  alcuno 
voleva  sostenere.  Se  vi  si  accordava  la  TRIB  POT  V 
relativa  a  Filippo  Padre  ,  e  che  segna  T  anno  248, 
in  cui  cadeva  la  celebrazione  dei  giuochi  secolari, 
nella  quale  occasione  si  coniarono  abbondantemente 
monete  e  medaglioni  colle  teste  della  imperante 
famiglia  in  più  modi  combinate ,  sorgeva  la  difiì- 
coltà  del  COS  IMI,  sapendosi  che  Filippo  padre  non 
andò  oltre  il  III  Consolato  ;  e  poi  e'  era  sempre  la 
questione  dei  ritratti. 

Non  rimane  dunque  quale  giusta  attribuzione 
che  quella  a  Gallieno  e  Valeriano,  a  cui  mi  sono 
definitivamente  attenuto,  e  contro  la  quale  non  urta 
più  ne  la  storia,  ne  la  iconografia. 

Difficile  riuscirebbe  determinare  quale  dei  due 
imperatori  sia  rappresentato  al  rovescio ,  poiché  la 
leggenda  si  adatta  tanto  all'uno  che  all'altro  e  segna 
la  data  del  257  d.  C,  nel  quale  anno  sia  Valeriano 
che  Gallieno  erano  alla  V  podestà  tribunizia  e  al 
IV  Consolato.  Potrebbe  darsi  che  si  fosse  inteso 
rappresentare  l' imperatore  in  astratto  ;  e  del  resto 
il  rovescio  ha  dei  riscontri  in  altre  monete  tanto  di 
Valeriano  che  di  Gallieno. 

Certo,  a  caso  vergine,  non  ci  sarebbe  stato  tanto 
da  studiare  per  trovare  la  giusta  attribuzione  di 
questo  bronzo,  ma  la  prevenzione,  che  si  era  formata 
in  seguito  a  un  primo  giudizio  falso,  mi  aveva  tenuto 
per  qualche  tempo  fuori  di  strada.  Tanto  è  vero 
che  r  errore  è  sempre  peggiore  dell'  ignoranza. 


APPUNTI   DI   NUMISMATICA   ROMANA  355 


XIII. 
AI   RESTAURATORI   DEI    BRONZI   ANTICHI 


A  Roma,  dove  la  terra  rende  continuamente  e 
generosamente  le  monete,  in  ispecie  di  bronzo,  che 
pel  corso  di  molti  secoli  andarono  a  seppellirsi  ed 
ammucchiarsi  nel  suo  grembo  ,  è  invalsa  la  mania 
di  ritornare  questi  risorti  a  una  seconda  vita,  al- 
l'aspetto e  alla  freschezza  che  avevano  nella  prima. 
È  giusta  tale  tendenza  ?  Io  credo  di  no.  I  bronzi 
escono,  come  è  naturale,  dagli  scavi  coperti  d'ossido 
e  di  terra.  Va  bene  ripulirli  di  questa  e  in  parte, 
con  molta  cura  e  delicatezza  anche  di  quello,  quando 
l'immagine  ne  rimanga  troppo  offuscata  ;  ma  qui 
dovrebbe  arrestarsi  la  mano  del  ripulitore,  e  nulla 
vi  dovrebbe  togliere  non  solo  di  quanto  v'  era  in 
origine  ,  ma  neppure  di  quanto  vi  hanno  natural- 
mente aggiunto  i  secoli  di  sepoltura.  Così  fa  gene- 
ralmente l'archeologo  pei  bronzi  di  scavo  che  non 
siano  monete,  e  li  conserva  gelosamente  nello  stato 
in  cui  vennero  trovati ,  compreso  V  ossido  che  li 
ricopre. 

Le  cose  invece  procedono  ben  diversamente  per 
le  monete,  e*  la  pulitura  si  trasforma  spesso  in  un 
ritocco,  anche  col  bulino,  con  qual  danno  del  pezzo 
originale  e  con  quale  deturpamento  dell'  arte  pri- 
mitiva ognuno  può  facilmente  immaginare. 

Perchè    tale    differenza    di    trattamento    tra    i 


354  FRANCESCO    GNECCHI 


bronzi  di  scavo  in  genere  e  le  monete  ?  Perchè  le 
monete  si  vogliono  avere  sgombre  dall'ossido,  ripu- 
lite e  lucenti  quasi  come  quelle  che  hanno  corso 
al  giorno  d'  oggi  ?  È  forse  che  si  vogliono  equipa- 
rare quelle  di  scavo  recente  a  quelle  che  già  ebbero 
un  secondo  corso  fittizio  nelle  mani  dei  raccogli- 
tori ?  Non  saprei  se  il  motivo  sia  questo  piuttosto 
che  qualunque  altro,  ma  il  fatto  è  tale,  e  per  questo 
fatto  molti  pezzi  vengono  barbaramente  deteriorati. 
Per  colmo  di  sventura  poi  è  fra  i  pezzi  di  maggior 
valore  che  tale  industria  maggiormente  si  esercita 
e  fa  il  più  gran  numero  delle  suo  vittime. 

Dei  cinque  pezzi  che  ho  descritti  nella  prece- 
dente memoria  (App.  N.  XII) ,  due  soli  si  trovano 
veramente  allo  stato  vergine  del  ritrovamento  ,  il 
medaglione  di  Faustina  e  il  medio  bronzo.  Gli  altri 
furono  tutti  dal  più  al  meno  ritoccati  ;  nel  meda- 
glione d'Adriano  fu  ritoccato  il  rovescio  ,  in  quello 
magnifico  e  di  perfetta  conservazione  di  M.  Aurelio 
fu  lasciato  intatto  il  rovescio,  ma  ritoccato,  o  almeno 
soverchiamente  ripulito  il  dritto  ,  e  quello  di  Gor- 
diano fu  pure  troppo  ripulito  dalle  due  parti.  Avrei 
di  gran  lunga  preferito  che  si  fosse  risparmiata  la 
fatica  di  tali  restauri;  ma  erano  fatti  e  non  c'era 
rimedio.  Dovetti  accontentarmi  di  prendere  i  bronzi 
quali  erano  stati  ridotti,  ossia  dal  più  al  meno  de- 
teriorati, ma  non  posso  trattenermi  dal  dirigere  ai 
moderni  restauratori  due  parole  quali  il  caso  pra- 
tico me  le  suggerisce,  onde  fare  almeno  quanto  sta 
in  me  per  salvare  nella  loro  integrità  le  monete  che 
d'ora  innanzi  usciranno  dagli  scavi,  e  nutro  lusinga 
che  qualche  voce  più  autorevole  della  mia  mi  venga 
in  appoggio. 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA    ROMANA  355 

Il  restauro  dei  monumenti  antichi,  a  qualunque 
genere  essi  appartengano  ,  costituisce  un'  arte  delle 
più  delicate.  Una  volta  dato  mano  al  lavoro,  è  dif- 
ficilissimo il  contenersi  e  facilissimo  per  contro  ed 
estremamente  pericoloso  Teccedere  ;  talché  crederei 
che  nella  grande  maggioranza  dei  casi  il  partito 
migliore  sia  quello  di  non  restaurare  affatto  e  di 
lasciare  i  monumenti  nello  stato  in  cui  si  trovano, 
limitandosi  alle  semplici  opere  di  conservazione  e 
di  sicurezza,  quando  siano  richieste  da  minaccia  dì 
rovina  o  di  deterioramento.  Il  vecchio  adagio  fran- 
cese :  il  est  plus  facile  de  s'ahstenir  que  de  se  contenir, 
non  fu  certo  inventato  a  proposito  di  restauri,  ma 
vi  si  adatta  mirabilmente  e  sarebbe  una  fortuna 
se  vi  venisse  applicato. 

Un  amico  mi  osserva  che  i  partiti  estremi  sono 
le  risorse  degli  animi  deboli,  mentre  la  vera  forza 
sta  neir  arrestarsi  a  tempo.  Il  che  io  sono  prontis- 
simo ad  ammettere  ;  ma,  dovendo  pure  ammettere 
nello  stesso  tempo  che  la  grande  maggioranza  è 
composta  dei  deboli,  rimane  sempre  consigliabile  in 
via  generale  il  partito  delFastensione,  il  quale,  se 
non  è  il  migliore  ,  è  certo  il  più  facile  e  il  meno 
pericoloso. 

Seguendo  la  naturale  inclinazione  ad  eccedere, 
il  restauro  viene  molte  volte  a  riuscire  un  rinno- 
vamento ;  e  allora  ,  se  del  monumento  primitivo  ri- 
mane la  forma  —  non  sempre  però  fedelmente 
identica  all'originaria  — ,  e  la  materia  —  se  non  in 
tutto  almeno  in  parte  — ,  vi  è  però  tolto  quello  che 
ne  costituisce  direi  lo  spirito,  che  forma  il  vero 
interesse  artistico  e  scientifico  in  un  monumento 
antico  ,  che  ne    riassume  quasi  la  storia  e  ispira  Ist 


356  -^  FRANCESCO    GNECCHI 


venerazione.  Per  citare  un  esempio  assai  noto  e  che 
fece  tanto  rumore  in  tutto  il  mondo  archeologico, 
accennerò  ai  restami  troppo  radicali  inconsultamente 
incominciati  alcuni  anni  sono  ad  uno  dei  lati  esterni 
del  San  Marco  di  Venezia ,  e  poi  fortunatamente 
sospesi ,  in  seguito  alle  energiche  rimostranze  dei 
veri  amatori  dei  monumenti  nella  loro  integrità,  nel 
loro  genuino  carattere,  comprese  le  impronte  anche 
deleterie  dei  secoli  trascorsi.  Quei  restauri,  che  dissi 
troppo  radicali,  per  quanto  riguarda  la  materiale  ese- 
cuzione, erano  egregiamente  eseguiti  da  abili  artisti  ; 
ma  la  pulitura  e  lucentezza  primitiva  ridonata  ai 
marmi,  la  sostituzione  di  pezzi  nuovi  —  tanto  peggio 
se  pezzi  di  scultura  —  a  quelli  un  po'  corrosi  e  guasti 
dal  tempo,  se  avevano  naturalmente  per  risultato  di 
dare  al  monumento  V  aspetto  che  si  supponeva  do- 
vesse avere  air  epoca  della  sua  costruzione ,  ne 
toglievano  però,  oltre  che  la  genuinità,  la  venerabile 
maestà  conferita  dal  tempo,  al  quale  non  v'ha  alcun 
surrogato.  Il  fianco  della  Basilica  che  guarda  la 
Piazzetta  è  là  per  provare  se  quanto  asserisco 
è   vero. 

Orbene  questo  è  il  genere  di  restauro-rinnovamento 
cui  accennavo  più  sopra  e  che  viene  inflitto,  ol trecche 
a  molti  monumenti  statuarii  o  architettonici,  anche 
a  buon  numero  di  monete  provenienti  dagli  scavi  di 
Roma.  Certo  quei  bronzi,  passati  per  le  mani  di 
abili  artefici,  si  presentano  poi  assai  favorevolmente 
agli  occhi  del  semplice  amatore  di  bronzi  artistici , 
o  del  raccoglitore  amante  unicamente  delle  belle 
conservazioni  o  infine  dell'  orefice  che  ne  forma  un 
gioiello  da  signora...,  ora  che  questa  nuova  maniera 
|;entile  ma  non  perciò  meno  efficace  di  distruzione 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA    ROMANA  357 

pare  abbia  invaso  anche  il  campo  del  bronzo,  finora 
riservato  ai  numismatici  ! 

Ma  r  archeologo  serio  e  intelligente  sarà  poco 
rallegrato  da  siffatti  restauri,  e  avvertirà  facilmente 
come  le  fisionomie  restino  dal  più  al  meno  falsate 
dal  ritocco,  e  come  i  caratteri  dello  leggende,  insen- 
sibilmente alterati  —  salvo  il  peggio  di  qualche  er- 
rore d'interpretazione  —  perdano  sempre  qualche 
cosa  del  loro  tipo  primitivo.  Del  che  non  è  a  mera- 
vigliarsi, essendo  impossibile  che  un  artista  si  spogli 
totalmente  della  sua  personalità,  ed  esca  completa- 
mente dall'  ambiente  che  lo  circonda  ,  per  entrare 
nello  spirito  d' altro  artista ,  che  respirava  in  un 
ambiente  tanto  remoto  e  tanto  differente.  Si  dice 
che  lo  stile  è  l'uomo;  ora  questo  siile,  nel  quale  com- 
prenderei tutte  le  diverse  manifestazioni  dell'arte,  si 
può  considerare  come  la  risultante  dell'individualità 
dell'  artista  combinata  coli'  ambiente  in  cui  vive. 
Le  due  cose  sono  quello  che  sono  e  a  nessuno  è 
dato  mutarle.  Nessuno  può  uscire  dal  proprio  am- 
biente per  portarsi  in  un  altro  e  a  nessuno  è  dato 
spogliarsi  completamente  della  propria  individualità. 

Queste  considerazioni  artistico-psicologiche  pos- 
sono parere  alquanto  discoste  dalla  numismatica  ;  ma 
ci  hanno  invece  un  nesso  molto  stretto,  e  sarei  ben 
felice  d' averle  fatte  se  potessero  penetrare  nella 
mente  dei  moderni  restauratori  di  monete  ,  i  quali 
credono  ingenuamente  che  sia  facile  ristabilire  l'an- 
tico. No,  non  è  facile  ;  è  impossibile  ,  e  per  di  più 
la  loro  opera  è  irrimediabile.  Si  possono  togliere  i 
cattivi  restauri  dai  quadri,  ma  non  si  potrà  mai  ag- 
giungere quello  che  essi  tolgono  a  un  bronzo,  e  che, 
se  è  poco,  è  però  sufficiente  a  falsarne  il  carattere. 

46 


35S  F.   GNECCHl  -  APPUNTI    DI   NUMISMATICA    ROMANA 

Si  persuadano  dunque  i  ritrovatori  e  i  nego- 
zianti di  monete  che  l'opera  della  cosi  detta  ripuli- 
tura è  troppo  spesso  deleteria,  consiglino  i  restau- 
ratori a  rivolgere  a  più  nobile  scopo  la  loro  abilità 
e  credano  che  moltissime  belle  monete  sono  dalle 
loro  intenzioni  di  miglioramento  miseramente  sciu- 
pato e  avrebbero  presso  i  veri  raccoghtori  pregio 
assai  maggiore  se  venissero  loro  presentate  nello 
stato  vergine  del  ritrovamento. 

Francesco  Gxecchi. 


A  PROPOSITO  DI  UNA  MONETA  DI  RUBI 


NUOVE     CONSIDERAZIONI. 


Bronzo,  Peso,  grammi  6,15. 
^  —  Testa   di  Pallade   galeata  a  destra.  Sopra  PAATTP. 
9I  —  Civetta  su  di  un  ramo.  Sopra  jiGAACt  ^.OC.  Sotto  PT. 

Allorquando  pubblicai  per  la  prima  volta  questa 
moneta  nel  Bollettino  dell* Istituto  Archeologico  di  Roma 
a.  1878,  asserii  che  di  un  tipo  siffatto  non  era  stato 
mai  fatto  menzione  per  lo  innanzi.  Questo  non  e 
interamente  esatto ,  perchè,  riscontrando ,  non  è 
molto,  la  Revue  Numismatique  del  1843  (pag.  250, 
tav.  X,  n.  5)  trovai  pubblicato  dal  de  Longpérier  un 
esemplare  della  nuova  moneta,  nel  quale  non  fu  visto 
però  il  monosillabo  pt  e  sul  dritto  fu  letto  paatei 
e  sul  rovescio  aatio.  Con  strana  e  falsa  attribuzione 
fu  la  moneta  assegnata  a  l'isola  di  Piatia,  menzionata, 
secondo  l'autore,  da  Stefano  Bizantino  e  da  Erodoto. 

I  miei  due  esemplari  li  ho  avuti  a  Ruvo,  nel- 
ristessa  località  dell'antica  Rubi.  Uno  è  sconserva- 
tissimo,  ma  l'altro,  se  non  fosse  per  la  leggenda  del 
rovescio  in  uno  o  due  punti  alquanto  corrosa,  sa- 
rebbe di  una  conservazione    quasi  perfetta. 


360  GIULIO  JATTA 


Come  credo  aver  dimostrato  quando  pubblicai 
per  la  prima  volta  questo  monumento,  è  chiaro  che 
tanto  il  nome  che  si  legge  sul  dritto  della  moneta, 
quanto  quello  che  anche  per  esteso  si  vede  sul  rove- 
scio, sono  da  considerarsi  come  nomi  di  magistrati. 

Per  quello  del  rovescio,  come  dissi  allora,  oltreché 
non  trova  analogia  di  sorta  con  nessun  nome  di  città 
di  questa  o  altra  contrada,  basta,  tenuto  conto  del- 
l'epoca e  del  metallo  della  moneta,  la  terminazione 
OC  e  la  corrispondenza  del  nome  del  dritto,  perchè 
si  possa  senza  tema  di  errare  asserire  ch'esso  è  un 
nome  di  persona.  Che  tale  sia  anche  quello  del  dritto 
è  reso  manifesto  da  un  curioso  confronto  che  trova 
questo  nome  sopra  un  altro  monumento  greco  della 
stessa  epoca  e  dello  stesso  luogo. 

Poco  tempo  prima  che  mi  fosse  riuscito  di  avere 
le  monete  in  discorso,  diroccandosi  una  vecchia  pa- 
rete di  campagna  poco  lungi  dalla  città,  furono  rin- 
venuti parecchi  di  quei  mattoni  della  forma  di  un 
tetraedro,  che  tanto  comunemente  si  rinvengono  nel 
terreno  presso  di  noi.  Sopra  uno  di  questi  mattoni 
è  scritto  a  rilievo  paattp,  e  taatt  si  legge  sopra 
un  altro  rotto  quasi  per  metà  come  il  primo.  È  inutile 
dire  come  questo  luminoso  confronto  giovi  assai  bene 
a  determinare  la  natura  di  quel  nome. 

Il  monosillabo  pt  che  in  caratteri,  non  a  caso 
più  grandi,  è  visibile  sotto  la  civetta,  deve  sicuramente 
esser  l'abbreviazione  della  leggenda  ptbasteinqn,  che 
trovasi  sopra  la  notissima  moneta  di  Rubi  con  l'iden- 
tico tipo  ma  di  stile  diverso. 

La  moneta  quindi  la  fo  decisamente  appartenere 
a  la  monetazione  di  Rubi,  città  greca  dell' Apulia 
nota  a'  cultori  dell'arte  antica.  E  per  sostegno  della 


A   PROPOSITO   DI   UNA   MONETA    DI    RUBI  SOI 

mia  opinione  valgano  le  seguenti  considerazioni  in- 
torno al  tipo,  alle  epigrafi  e  al  luogo  di  trovamento 
della  moneta. 

Il  tipo  di  Pallade  e  la  civetta,  tipo  di  origine 
Ateniese,  diventa  nell'epoca  meno  antica  assai  co- 
mune in  tutte  le  città  dell'  Italia  Meridionale  e  quindi 
anche  dell'Apulia,  tanto  nelle  monete  di  sistema  ro- 
mano, come  quelle  di  Venusia  e  di  Tiati,  quanto  nelle 
monete  di  sistema  greco,  come  quelle  di  Azetium,  di 
Salapia,  di  Rubi  e  di  altre.  È  a  considerare  ancora 
che  il  tipo  della  nuova  moneta  è  perfettamente  simile 
a  quello  delle  monete  con  la  leggenda  ptbasteinon, 
variando  soltanto  per  una  maggior  secchezza  e  du- 
rezza di  linee  che  si  rivela  nei  contorni  della  testa 
di  Pallade.  Ma  di  questa  differenza  non  si  deve  poi 
fare  gran  caso,  quando  si  consideri  che  può  benissimo 
spiegarsi  con  la  diversità  dell'epoca  dei  due  monu- 
menti. Questa  particolarità  dello  stile  della  nuova 
moneta,  che  potrebbe  indurre  qualcuno  a  classificarla 
tra  le  più  antiche  di  bronzo  di  Rubi,  pare  a  me  che 
possa  invece  giudicarsi  un  effetto  della  decadenza 
dell'arte  e  il  monumento  allora  riportarsi  ad  un'età 
posteriore,  se  non  a  tutte,  forse  a  la  maggior  parte 
delle  altre  monete  dello  stesso  metallo. 

In  quanto  a  le  epigrafi  è  da  considerare  che,  se 
i  due  nomi  scritti  per  intero  sono  certo  nomi  di  ma- 
gistrati, allora  la  sillaba  pt  non  si  può  diversamente 
considerare,  se  non  come  la  indicazione  del  nome 
della  città.  Né,  se  così  non  fosse,  si  potrebbe  spie- 
gare una  particolarità,  che  deve  giudicarsi  non  del 
tutto  fortuita.  Questa  particolarità  consiste  nella  forma 
assai  più  grande  delle  altre  in  cui  sono  scritte  le  let- 
tere della  sillaba  pt;  con  che  si  voleva,  a  me  pare, 


862  GIULIO    JATTA 


indicare  che  questa  sillaba  aveva  un  significato  ed 
una  importanza  maggiore  delle  altre  parole  messe 
su  la  moneta,  perchè  se  queste  indicavano  dei  nomi 
particolari  di  magistrati,  quella  invece  era  la  espres- 
sione della  città  tutta,  era  il  nome  di  tutto  il  popolo 
che  coniava  la  moneta. 

Che  il  nome  urbico  si  trovi  assai  comunemente 
nell'esergo  della  moneta  è  un  fatto  abbastanza  noto; 
come  è  anche  noto  che,  se  vi  sono  parecchi  esempii 
in  cui  il  monogramma  del  magistrato  è  posto  nel- 
l'esergo, questo  però  non  avviene  tanto  di  frequente 
quanto  per  il  nome  del  popolo. 

Che  infine  sia  di  un  valore  quasi  decisivo  in 
favore  della  mia  attribuzione  il  curioso  confronto, 
di  cui  si  è  fatto  innanzi  parola,  tra  il  nome  della 
moneta  e  quello  del  mattone  trovato  in  Ruvo  stesso, 
sembrami  chiaro  abbastanza. 

Per  il  luogo  di  trovamento  è  da  notare  che  uno 
dei  due  esemplari  trovavasi  da  molto  tempo  nel  mo- 
destissimo medagliere  della  mia  famiglia,  e  poiché 
quella  piccola  raccolta  è  stata  a  poco  a  poco  formata 
con  le  monete  che  si  aveva  occasione  di  comperare 
sul  luogo  stesso  da'  contadini  che  le  scoprivano,  né 
essendo  possibile  supporre  che  si  cercasse  o  compe- 
rasse di  fuori  una  moneta  tanto  guasta  dal  tempo 
che  si  fu  costretti  a  relegarla  tra  le  incerte  non  solo, 
ma  a  gittarla  nello  scarto,  fu  certamente  trovata  a 
Ruvo  e  qui  non  dirò  comperata,  che  non  poteva  va- 
lerne la  pena,  ma  avuta  per  una  occasione  qualunque. 

Dell'altro  esemplare  poi,  di  cui  offro  qui  un  esatto 
disegno,  posso  su  la  fede  del  mio  amico  can.  Fatelli, 
che  me  ne  faceva  gentilmente  dono,  con  certezza 
assicurare  essere  di  origine  ruvestina,  perchè  fu,  pochi 


A  PROPOSITO    DI    UNA   MONETA   DI    RUBI  363 

giorni  prima  che  io  l'avessi,  rinvenuta  da  un  conta- 
dino che  zappava  la  terra. 

Non  perchè  due  esemplari  ne  furono  rinvenuti 
a  Ruvo  intendo  assolutamente  dedurne  che  questa 
moneta  sì  debba  necessariamente  attribuire  a  la  mo- 
netazione di  quest'antica  città;  ma  stimo  d'altronde 
inutile  ripeter  quello  che  già  ai  numismatici  è  no- 
tissimo, che  il  luogo  di  trovamento,  quando  è  accop- 
piato ad  altri  criterii,  sia  uno  degli  argomenti  più 
valevoli  nell'attribuzione  delle  antiche  monete. 

Il  Friedlaender  nella  Zeitschrift  filr  Numismatik 
(B.  VII,  s.  183),  annunziando  la  mia  piccola  scoperta 
immismatica,  non  trovò  nulla  da  ridire  su  l'attribu- 
zione, che  mi  sembra  davvero  indiscutibile,  della  mo- 
neta. Accettò  la  lezione  della  leggenda  del  dritto, 
su  la  quale  non  cade  dubbio  alcuno,  ma  cercò  mo- 
dificare quella  del  rovescio;  gli  elementi  visibili  che 
io  lessi  e  leggo:  |:P*AÀa|:OC  credette  gratuitamente 
supplire  con  ^  aamoc  e  suppose  che  la  lacuna  tra 
t  ed  A  fosse  una  lacuna  naturale  e  che  alla  leggenda 
nulla  mancasse.  Per  convincerlo  fui  costretto  a  man- 
dargli originalmente  il  monumento.  Dopo  di  che,  nel 
seguente  fascicolo  della  Zeitschrift  f.  Ntcmismatik , 
s.  357,  egli  scrisse  che  una  ripetuta  accurata  osserva- 
zione aveva  dimostrato  che  la  iscrizione  del  rovescio 
sia  {-'"AAiìioc  in  lettere  non  interamente  regolari. 
Accettava  quindi  la  mia  lezione  con  la  semplice  dif- 
ferenza che  nella  prima  lettera  vedeva  una  sola  li- 
neetta invece  di  due  e  nell'antipenultima,  nessuna. 
Ma  che  nella  prima  lettera  le  lineette  sono  due  lo 
confessa  lo  stesso  Friedlaender  quando  dice:  la  se- 
conda lineetta  potrebbe  essere  un  casuale  solleva- 
mento.  Osservando   attentamente   il   monumento   sj 


36A  GIULIO    JATTA 


vede  che  la  seconda  lineetta  esiste  veramente,  e  non 
può  supporsi  casuale.  Nell'altra  lettera  in  questione 
non  compariscono  così  chiaramente  come  nella  prima 
le  due  lineette,  ma  se  ne  vedono  soltanto  le  traccio. 
Poiché  a  quel  posto  non  si  può  supporre  un  segno 
di  aspirazione  quale  sarebbe  h,  e  poiché  questa  let- 
tera in  tutto  il  resto  è  somigliante  alla  prima,  ho 
creduto  allora  e  credo  anche  adesso  che  questa  let- 
tera sia  la  stessa  della  prima  e  che  le  due  lineette, 
delle  quali  si  vede  chiaro  un  piccolo  accenno,  siano 
quasi  state  distrutte  da  l'attrito. 

Farmi  ad  ogni  modo  che  sia  assai  più  facile  e 
naturale  supporre  che  una  piccola  parte  della  lettera 
sia  stata  danneggiata  da  l'uso,  anziché,  come  ha  fatto 
il  Priedlaènder,  imaginare  che  vi  sia  stata  aggiunta 
dal  caso.  Or  questo  fatto  casuale  si  ripeterebbe  due 
volte  nella  medesima  leggenda,  perché  anche  nella 
antipenultima  lettera  dovrebbe  ritenersi  per  casuale 
la  comparsa  della  lineetta,  essendo  il  Friedlaender 
di  opinione  che  quell'elemento  fosse  un  jota  riuscito 
troppo  lungo.  Ma  che  esso  possa  invece  essere  la 
stessa  lettera  del  principio  sembra  farlo  comprendere 
lo  stesso  numismatico  tedesco  quando,  anteponendo 
ad  ogni  idea  preconcetta  la  verità  scientifica,  ag- 
giunge: questo  I  ha  alto  rilievo,  mentre  le  linee 
laterali,  le  quali  qui  sono  visibili  e  rappresentereb- 
bero K,  non  hanno  nessun  rilievo,  ma  sono  soltanto 
delle  macchie  o  irregolarità  del  fondo. 

Ma  come  mai  quelle  irregolarità  del  fondo  sono 
proprio  avvenute  in  quei  due  punti  e  nella  stessa 
maniera?  Certamente  è  strano;  ed  é  chiaro  nello 
stesso  tempo  che  le  ultime  osservazioni  del  Fried- 
laender, se   elevano   dei   possibili   e   lontani    dubbii 


A   PROPOSITO   DI   UNA    MONETA   DI   RUBI  365 


SU  la  mia  lezione  della  leggenda  del  rovescio,  non  la 
compromettono  affatto,  anzi,  se  non  m'inganno,  mi 
sembra  che  la  confermino  per  la  più  possibile  finora. 
Insisto  quindi,  fino  a  che  più  giù  feto  e  più  decisive 
osservazioni  in  contrario  non  mi  sieno  fatte,  a  leg- 
gerla così:  ji^AAiìfiOC,  da  completarsi  kaiaaokos  o 
K0AAriK02  o  sia  pure  diversamente,  essendo  naturale 
che  soltanto  dei  confronti  epigrafici  possono  scien- 
tificamente condurre  ad  una,  se  non  sicura,  almeno 
probabile  compie tazione. 

Rimane  a  dire  qualche  cosa  della  natura  delle 
epigrafi  e  quindi  del  carattere  della  moneta.  È  da 
questo  lato  che  l'illustre  Friedlaender  contradisse 
decisamente  la  mia  modesta  opinione,  nella  quale 
non  pertanto,  credo  di  dover  rimaner  fermo  e  mi 
appello  al  giudizio  dei  dotti. 

Che  la  parola  paattp  del  dritto  possa  riferirsi 
a  la  testa  di  Pallade,  come  non  era  alieno  dal  sup- 
porre il  Friedlaender  {vielleicht  den  Namen  der  dar- 
gestellten  Gòttin)^  è  una  opinione  insostenibile.  Il  con- 
fronto da  me  riportato  dei  mattoni,  ne'  quali  esso 
è  accoppiato  ad  un  altro  nome  di  persona,  la  esclude 
senz'altro.  Tanto  esso  quanto  quello  del  rovescio  mi 
pare  dunque  che  non  si  possano  meglio  considerare 
che  come  nomi  di  magistrati.  La  quistione  cade 
su  la  natura  di  queste  leggende  :  Diese  Aiifschriften 
(scriveva  il  Fr.  1.  e.  p.  183)  sind  nicht  griechisch, 
sondern  messapisch,  A  me  parve  e  pare  tuttora  che 
quelle  epigrafe  sieno  e  debbano  essere  greche.  Che 
sieno  greche  sembra  confermarlo  il  confronto  stesso 
dei  mattoni,  per  la  ragione  che  su  questi  non  compa- 
riscono che  nomi,  almeno  per  forma  epigrafica,  pu- 
ramente greci,  e  per  l'altra  ragione  ancora  che  del 

47 


30G  GIULIO    JATTA 


pari  genuinamente  greco  è  il  nome  che  comparisce 
su  l'altro  lato  del  mattone  che  porta  paattp. 

Il  confronto  dei  nomi  faatopas  e  nAATORBiHi 
trovati  dal  Mommsen  in  iscrizioni  messapiche,  panni 
che  formino  piuttosto  una  prova  in  contrario  ;  perchè 
su  la  moneta,  se  fosse  messapica,  si  sarebbe  dovuto 
trovare  adoperata  la  forma  e  la  desinenza  messapica 
come  in  quelle.  Nulla  invece  di  messapico  trovo  nella 
parola  nT^axup;  la  quinta  lettera  anzi,  è  puramente 
greca.  Infatti,  nell'alfabeto  messapico  certa  è  la  man- 
canza della  lettera  u,  dice  il  Mommsen  (Iscriz.  mes- 
sap.  p.  13). 

Tutte  le  lettere  parimenti  che  compongono  il 
nome  del  rovescio  sono,  è  vero,  di  forma  alquanto 
irregolare,  ma  essenzialmente  greche;  decisamente 
tali  sono  in  particolar  modo  le  lettere  [:,  c  ed  n,  la 
quale  ultima,  a  dire  del  Mommsen  (1.  e),  non  com- 
parisce mai  nelle  iscrizioni  messapiche.  Né  sappiamo 
comprendere  per  qual  ragione  la  terminazione  o;  il 
Friedlaender  chiami  Messapica  {die  Endimg  o;,  sie 
scheint  hier  sicher,  ist  eine  messapische,  —  1.  e.  p.  184), 
mentre  essa  è  una  delle  desinenze  più  comuni  dei 
nomi  greci. 

In  quanto  finalmente  al  confronto  che  il  chia- 
rissimo nummologo  tedesco  riportava  in  questa  occa- 
sione dell'altra  moneta  di  Rubi  con  la  leggenda 
rPoEE.E,  perchè  potesse  avere  un  qualche  valore  bi- 
sognerebbe prima  esser  sicuro  che  quella  sia  vera- 
mente una  iscrizione  messapica,  come  opinò  il  Momm- 
sen (1.  e.  p.  57).  Per  me,  tanto  ppo  quanto  EE  non 
so  diversamente  considerarli  se  non  come  abbre- 
viazioni di  due  diversi  nomi  di  magistrati  mone- 
tali greci.  Non  è  inutile  notare  che  in  uno  dei  due 


A    PROPOSITO    DI   UNA   MONETA   DI    RUBI  367 

esemplari  di  questa  moneta  che  si  conservano  nel 
Museo  Jatta  (Catal.  st.  v.  p.  1015,  n.  1787-88)  il  glo- 
betto  dopo  VP  e  più  grande  e  potrebbe  esser  consi- 
derato come  un  piccolo  o,  mentre  il  secondo  è  chia- 
ramente un  punto  di  distinzione;  nell'altro  invece 
il  primo  globetto  non  differisce  affatto  dal  secondo, 
come  nella  moneta  del  British  Museum  (cat.  n.  11) 
ingiustamente  corretta  dal  Friedlaender.  Deve  anche 
tenersi  presente  che  l'ultima  lettera  non  ha  nulla 
che  fare  colle  antecedenti  ;  talora  è  E,  talora  K  (Mus. 
Jatta,  Catal.  p,   1015  n.  1788). 

Ammettendo  la  congettura  del  Friedlaender,  che 
le  epigrafi  di  questa  moneta  sieno  da  considerarsi 
per  messapiche,  due  ipotesi  si  possono  fare:  o  sup- 
porre che  la  moneta  sia  stata  emessa  dai  Greci  con 
leggende  messapiche,  o  che  sia  stata  coniata  addi- 
rittura da  Messapii.  La  prima  ipotesi  non  sembra 
in  nessun  modo  sostenibile,  perchè  oltre  a  non  essere 
affatto  ragionevole  e  naturale,  non  trova  nello  stesso 
tempo  confronto  alcuno  nella  monetazione  della  stessa 
contrada. 

Per  me  pare  molto  evidente  che,  ammettendo  la 
messapicità  delle  epigrafi,  bisogna  necessariamente 
ritenere  che  la  moneta  sia  di  emissione  messapica. 
Greci,  come  quelli  che  abitavano  le  colonie  dell'Apulia 
e  che  la  monetazione  stessa  dimostra  essere  stati 
molto  intimamente  legati  per  rapporti  di  origine,  di 
natura  e  di  condizioni  politiche  a  quelli  di  Taranto, 
non  potevano  consentire  che  i  magistrati  monetali 
scrivessero  i  loro  nomi  su  le  monete  in  una  forma 
che  non  fosse  pienamente  greca.  I  fatti  confermano 
questo:  i  monumenti  numismatici  chiaramente  di- 
mostrano che  furono  i  popoli  del  luogo  che  adatta- 


SG8  g.  jatta  -  A  pRorosiTo  di  una  moneta  di  rubi 

rono  la  loro  monetazione  non  solo  al  sistema,  ma 
ancora  a  la  tecnica  ed  a  la  epigrafìa  greca. 

Bisognerebbe  dunque  ammettere  la  seconda  ipo- 
tesi e  imaginare  nelle  colonie  Appule  un  periodo  di 
monetazione  Messapica  per  necessità  molto  antico 
ed  anteriore  certamente  a  la  dominazione  greca. 
Posteriore  non  potrebb'essere,  perchè  vediamo  nelle 
altre  città  dell' Apulia,  ove  a  la  greca  monetazione 
segui  la  romana,  anche  le  ultime  emissioni  imme- 
diatamente antecedenti  a  questa  esser  sempre  e  pu- 
ramente greche. 

Ma  anche  questa  ipotesi  mi  pare  che  sia  deci- 
samente da  rifiutarsi,  almeno  per  ora,  per  la  vali- 
dissima ragione  che  un  fatto  di  si  grande  importanza 
per  la  storia  della  monetazione  dell' Apulia  non  si 
può  stabilire  senza  avere  prove  o  argomenti  storici  di 
sorta  o  almeno  monumenti  sicuri  che  lo  confermino. 

Finalmente,  senza  andare  più  per  le  lunghe, 
credo  non  sia  da  dubitare  che  questa  nuova  mo- 
neta di  Rubi,  e  per  questa  considerazione  e  perchè 
da  quanto  innanzi  si  è  detto  risulta  che  le  sue  epi- 
grafi non  pure  non  hanno  nulla  di  decisamente  mes- 
sapico,  ma  presentano  anzi  alcuni  caratteri  che  li 
determinano  addirittura  per  greche,  sia  da  giudicare 
un  monumento  puramente  greco,  un  genuino  pro- 
dotto dell'ultimo  periodo  della  greca  zecca  dell'an- 
tica Rubi. 

Napoli,  maggio  1890. 

Giulio  Jatta. 


È  davvero  esistita  la  zecca  di  Mesocco  ?... 


È  opinione  degli  storici  e  dei  numismatici,  che 
sul  cominciare  del  secolo  XVI  Gian  Giacomo  Tri- 
vulzio  abbia  aperta  una  zecca  in  Mesocco  e  che 
ivi  pure  lavorasse  T  abbiatico  suo  Gian  Francesco 
sin  verso  il  1526,  anno  nel  quale  ,  distrutta  quella 
rocca  dai  Grigioni,  la  zecca  Mesolcinese  venne  tra- 
sportata in  altro  borgo  della  valle. 

Noi  però,  basandoci  su  notizie  e  documenti  ine- 
diti, crediamo  poter  dimostrare  che  quella  zecca 
non  è  esistita;  ma  che  altrove  e  prima  dell'epoca 
sin  ora  creduta,  aveva  Gian  Giacomo  impiantata  la 
sua  officina  monetaria. 

Vediamo  come  si  formò  la  leggenda  di  questa 
zecca. 

Il  Muratori  W,  primo  investigatore  scientifico  di 
numismatica  italiana,  attribuì  a  Vigevano  le  poche 


(1)  L.  A.  Muratori,  Antiquitates  Medii  Aevi,  Tomo  II,  col.  747  e  seg. 
Mediolani,  1737-42.  Prima  di  lui  però  ,  il  cronista  Egidio  Sacchetti  , 
uel  De  Viglevano  Encomium.  Mediolani,  1596  ap.  haer.  I.  B.  Colonii,  aveva 
asserito:  «  Jacobus  Trivnltius  Viglevani  nummos  aereos  argenteosque  per- 
<  cuti  jussit  cnius  generis  etìamnum  sunt  apnd  Cives  ». 


370  EMILIO    TAGLIABUE 


monete  di  Gian  Giacomo  ch'egli  illustrò  e  sulla  sua 
fede  lo  hanno  ripetuto  l' Argelati  (2),  il  Carli  (3),  lo 
Zanetti  W,  il  Gradenigo  (5),  il  Bellini  (6)  e  il  Biffignandi 
Baccella  W.  Lo  Zanetti  in  seguito ,  non  trovando 
nelle  gride  monetarie  Milanesi  il  nome  di  Vigevano, 
pel  primo  dubitò  che  la  zecca  Trivulziana  lavorasse 
nel  feudo  di  Mesocco  (S). 

Il  Mazzuchelli  (9),  fonte  alla  quale  attinsero  tutti 
gli  autori  del  nostro  secolo,  con  validi  argomenti 
eliminò  la  zecca  di  Vigevano,  attribuendo  alle  zecche 
di  Mesocco  e  di  Musso,  le  monete  battute  dal  Magno 
Trivulzio. 

Secondo    il    Mazzuchelli ,    provano    V  esistenza 


(2)  Ph.  Argelati,  De  Monetis  Italiae.  Mediolani,  1750-59.  P.  Ili,  Ap- 
pendice, pag.  77  ed  ivi  Coron.,  13,  27,  28. 

(3)  G.  E.  Carli,  Delle  monete  e  delV  istituzione  delle  zecche  d^  Italia. 
Milano,  MDCCLxxxv.  Tomo  II,  Dissertazione  II,  P.  Il,  pag.  167. 

(4)  Guid'  Antonio  Zanetti  ,  Nuova  raccolta  delle  monete  e  zecche 
d:' Italia.  Bologna,  1779,  in4,°  Tomo  II,  pag.  44,  nota  60. 

(5)  Monsignore  Gradenigo,  Indice  delle  monete  d^ Italia,  nella  rac- 
colta di  Guid^  Antonio  Zanetti,  Tomo  II,  pag.  161. 

(6)  Bellini  Vincenzo,  De  Monetis  Italiae  Medii  aevi  non  evulgatis. 
Ferrariae,  mdcclv.  Dissertatio,  pag.  112.  Ferrariae ,  mdcolxvii.  —  Altera 
dissertatio,  pag.  138.  Ferrariae,  mdcclxxiv.  —  Postrema  dissertatio,  pag.  99. 

(7)  Prof.  Avv.  Pietro  Giorgio  Biffignandi  B uccella.  Memorie  isto- 
Hche  della  Città  di  Vigevano.  Vigevano,  1810,  pag.  150.  —  Prudentemente 
attribuì  a  Vigevano  le  solo  monete  col  titolo  di  marchese  di  Vige- 
vano. A  pag.  257  di  questa  memoria  è  ristampata  la  cronica  del  Sacchetti. 

(8)  Zanetti,  Op.  cit.  Tomo  V,  pag.  122 ,  123 ,  nota  78.  —  In  ([uesta 
nota  lo  Zanetti  parla  anche  della  zecca  di  Musso  esercitata  dal  Tri- 
vulzio, basandosi  sopra  una  grida  del  conte  di  Foix  pubblicata  in  Parma 
al  4  Agosto  1519,  ove  si  indicano  lo  monete  di  Musso  come  trivulziane. 
Erroneamente  però,  attribuisce  a  Mesocco  nel  Tomo  II,  pag.  159,  op.  cit. 
le  monete  battute  a  Retegno  nel  1676  da  Antonio  Teodoro  Trivulzio. 

(9)  Pietro  Mazzuchelli  ,  Informazioni  sopra  le  zecche  e  le  monete 
di  G.  G.  Trivulzio.  Milano,  1815,  in  appendice  al  Rosmini.  Voi.  II,  pa- 
gina 845-385  con  Tavole. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA    DI    MESOCCO  ?  371 

della  zecca  di  Mesocco,  i  diplomi  rilasciati  a  Gian 
Giacomo  e  la  testimonianza  dei  cronisti. 

Quattro  sono  i  diplomi,  due  i  cronisti. 

L'imperatore  Federico  III  di  Germania,  in  No- 
rimberga, 18  Novembre  1487,  concede  al  nobile  ca- 
valiere aurato  Gian  Giacomo  Trimdzio  l'investitura 
del  feudo  di  Mesocco,  confermandogli  la  compera 
fatta  sette  anni  prima  dai  Conti  de'  Sax  o  di  Sacco 
ed  aggiungendo  ai  titoli  e  privilegi,  che  godevano  i 
suoi  predecessori,  il  diritto  di  batter  moneta  d'oro  o 
d'argento  in  detto  castello  o  nel  suo  territorio  (l^). 

Lodovico  duca  d'Orléans,  quale  duca  di  Milano 
(in  allora  solo  di  nome)  e  di  Valois,  conte  di  Blois, 
di  Pavia,  Belmonte,  Asti,  ecc.  ecc.,  ai  2  Marzo  1496 
in  Amboise  rilascia  patenti  a  Gian  Giacomo  per 
batter  monete  a  Mesocco,  allo  stampo  e  bontà  di 
quelle  d'Asti  e  di  Francia  (i^). 

Nel  1501  Massimiliano  I  conferma  il  diploma 
di  Federico  III,  unendovi  il  diritto  di  disporre  ed 
alienare  liberamente  detto  feudo  di  Mesocco,  come 
fosse  bene  allodiale,  rimanendo  però  soggetto  alla 
giurisdizione  imperiale  (^2). 


(10)  Vedi  doc.  1  in  appendice.  Citato   dal  Mazzuchelli,  pag.  848. 

(11)  »        2  »  »  »  »     349. 

(12)  T>  h  ^  »  >  :^  351  sotto 
la  data  1505.  —  F.  ed  E.  Gnecchi,  Le  monete  dei  Trivulzio.  Milano,  1887. 
Prefaz.  pag.  xxii,  non  ne  fissano  la  data,  ma  la  ritengono  posteriore  al  1499, 
avendo  avuto  in  quell'anno  Gr.  G.  Trivulzio  i  titoli  di  Maresciallo  di  Francia  e 
marchese  di  Vigevano  ripetuti  nel  diploma.  —  Il  D.  Th.  di  Liebenau,  Zur 
Munzgeschichte  voti  Misocco,  etc.  a  pag.  96,  prova  che  questo  diploma  devo 
essere  del  1501  ;  data  accettata  anche  dal  Motta,  Le  zecche  di  Mesocco  e 
di  RoveredOj  etc,  pag.  170. 

Nell'Archivio  Trivulzio ,  Araldica  cart.  11,  esiste  una  procura  (perga- 
mena originale)  del  5  luglio  1494,  stesa  dal  notajo  Giacomo  de  Panicijg 


372  EMILIO    TAGLI ABUE 


Infine  Lodovico  XII  re  di  Francia  e  duca  di 
Milano  al  primo  Maggio  1512  in  Blois  permette  a 
Gian  Giacomo  d'aprire  zecca  a  Musso  e  battervi 
moneta  alla  bontà  di  Milano  come  già  faceva  a 
Mesocco  W. 

La  zecca  di  Mesocco  è  accennata  da  Cesare 
Nubilonio  prete  cantore  della  chiesa  maggiore  di 
Vigevano,  il  quale  nella  sua  cronica,  scritta  dal  1582  al 
1584:  Deir  Orìgine  e  del  Principio  di  Vigevano  et 
Guerre  successe  a  suoi  giorni  nel  1582,  dice  :  «  Gio. 
u  Giacobo  Trivultio  godendo  il  Marchisato  di  Vige- 
a  vano,  ecc.  ecc....  teneva  in  Vigevano  residentia  a 
«  ricevere  li  suoi  redditi  et  altri  negotii  pertinenti 
«  al  suo  dominio;  faceva  stampare  monete  a  Mu- 
u  socco  nelle  quali  era  scritto  :  Jo.  Jacobus  Trtvultius 
w  Marchio  Viglevani  et  Francie  Marescalcus  (i^). 

Lazzaro  Agostino  Cotta  d'Ameno  nelle  aggiunte 
al  suo  Museo  Novarese  mette  a  Fu  da  questo  Gio. 
«  Jacopo  Trivulzio  introdotta  la  fabbrica  degli  arazzi 
u  e  tapezzerie  di  Fiandra.  In  Misocco  di  suo  do- 
u  minio  fece  batter  moneta    legitima  di   liga    della 


in  Solmona,  colla  quale  il  Trivulzio  incarica  il  proto  Giovanni  Paolo  pro- 
posito di  S.  Vittore  e  il  notaio  Alberto  da  Salvagno  Gronese,  di  chiedere 
in  suo  nome  all'imperatore  Massimiliano  la  conferma  del  feudo  di  Mesocco, 
autorizzandoli  a  prestare  analogo  giuramento  di  fedeltà.  Ritrovandosi  però 
essa  ancora  nell'Archivio  Trivulzio,  si  può  supporre  non  sia  stata  adoperata. 
Nello  stesso  Archivio  ;  Araldica  cari  11.  Copia  senza  data  di  un  diploma 
di  Massimiliano  I,  il  quale  ad  istanza  di  G.  G.  Trivulzio,  conferma  la  legitti- 
mazione del  figlio  naturale  Camillo,  fatta  da  un  conte  Palatino,  accor- 
dandogli di  poter  succedere  nel  feudo  di  Mesocco  qualora  mancasse  la 
linea  mascolina  del  conte  Nicolò  figlio  legittimo.  Questo  documento  è  certo 
posteriore  a  quello  di  conferma,  forse  anteriore  al  1501,  anno  nel  quale 
Nicolò  sposò  Paola  Gonzaga. 

(13)  Vedi  doc.  7  in  appendice.  Citato  dal  Mazzuchelli,  pag.  351. 

(14)  Manoscritto  nella  Trivulziana,  Codice  2255,  Mazzuchelli,  pag.  351. 


k   DAVVERO    ESISTITA    LA   ZECCA   DI   MESOCCO  ?  373 

u  grandezza  e  valore  del  soldo  Milanese  e  si  chia- 
u  mava  soldo  Trivulzino  ,  nel  circolo  d' una  parte 
«  del  quale  si  legge:  Jo.  Jac.  Trivult.  March.  Viglev. 
u  e  nel  centro  le  insegne  di  sua  famiglia,  cioè  le 
u  tre  baste,  nel  circolo  dell'altra:  Marcs.  Franc.  e 
u  nel  centro  la  croce  in  quattro  parti    eguali  (i^).  " 

Le  affermazioni  dei  cronisti  sono  dal  Mazzu- 
chelli  rinforzate  con  un  documento  dell' archivio  di 
Stato  Milanese.  Ai  12  Febbraio  1499  da  Angera 
Leonardo  Botta  scriveva  al  Moro:  «  Heri  sera  allogiò 
«  qui  in  Angleria  uno  Mulatero  de  M.  Zo.  Jacomo 
u  de  Triulcio  cum  muli  dui  et  ebasse  quatro  mer- 
u  cantile  piene  de  croxoli  da  fondere  arzente  et 
«  parlando  cum  luy  me  disse  cbe  M.  Zo.  Jacomo 
«  era  in  Asti  et  mandava  dicti  croxoli  a  Mesocbo 
u  per  adoperarli  a  la  Cecba  et  masima  cbe  l'baveva 
u  trovato  in  quelli  paesi  una  vena  de  arzente  «  (^^). 

Ecco  quanto  si  sa  sulla  zecca  di  Mesocco. 

Pur  riconoscendo  l'importanza  e  il  valore  di 
queste  prove,  noi  non  le  crediamo  contrarie  alla 
nostra  tesi,  ma  colla  scorta  d'altri  documenti  e  notizie 
sulle  condizioni  e  vicende  de!  feudo,  le  interpretiamo 


(15)  Opera  stampata  in  Milano  «  Per  gli  Heredi  Ghisolfi  MDCCI  ». 
Airesemplare  della  Trivulziana  (Cod.  1444)  è  unito  un  voluminoso  mss.  auto- 
grafo del  Cotta  nel  quale  a  pag.  474 ,  n.  xxxiii  leggesi  la  citazione  del 
Mazzuchelli,  Op.  cit.,  pag.  352.  Nel  testo,  Mesocco  è  scritto  sopra  una  can- 
cellatura illegibile. 

(16)  Mazzuchelli  ,  Op.  cit. ,  pag.  350.  —  Il  Trivulzìo  si  trovava  in- 
fatti nel  febbraio  1499  in  Asti,  quale  luogotenente  generale  del  re  di 
Francia.  —  Lodovico  XII  appena  assunto  al  trono  ebbe  cura  di  riordinar 
le  monete  e  in  Asti,  antica  sua  Signoria,  riaprì  la  zecca.  Ai  27  febb.  1499 
il  Trivulzio  la  diede  in  appalto  al  maestro  Giacomo  dei  Conradi  e  forse 
questo  zecchiere  gli  donò  i  crogioli  veduti  dal  Botta  in  Angera.  (Vedi  do- 
cumento 4  in  appendice). 

48 


374  EMILIO    TAGLIABUE 


nel  senso  ch'esse  si  riferiscono,  non  alla  zecca  di 
Mesocco,  ma  alla  zecca  Mesolcinese. 

Innanzi  tutto  osserviamo.  Il  feudo  di  Gian  Gia- 
como, accennato  dai  diplomi,  dagli  storici  e  dai  cro- 
nisti col  nome  di  Contea  di  Mesocco  o  semplice- 
mente Mesocco,  non  restringevasi  alla  rocca  di  Me- 
socco, ma  comprendeva  la  valle  Mesolcina  dal  Colmo 
dell'  Uccello  (17)  al  Rial  de  lumino  e  tutta  la  Val 
Calanca. 

Sin  dal  1452  era  il  feudo  diviso  in  due  vicariati, 
o  giurisdizioni  (18),  cosi  risulta  dagli  statuti  stabiliti 
in  queir  anno  al  3  Dicembre  in  giorno  di  domenica 
fra  il  magnifico  conte  Enrico  de  Sacco  e  gli  uomini 
della  Valle  Mesolcina. 

Al  «  Capitulum  sectum  —  Ponendi  Vicarios  "  si 
legge  che  il  conte    Enrico    u    deve    ogni    anno    nel 


(17)  VAvis  dei  Romani  ;  nel  Medio  evo  si  disse  Culmen  Ocelli,  Colmo 
delV  Uccello,  Culininum  de  Olcello,  montem  qui  vulgariter  dicitur  Vogel. 
Verso  la  metà  del  secolo  XV  il  conte  Enrico  di  Sacco  e  le  vicinanze  com- 
ponenti la  terra  di  Mesocco,  eressero  un'ora  prima  del  passo  una  chiesa 
dedicandola  ai  SS.  Bernardino  e  Sebastiano.  Con  istrumento  pubblicato 
sulla  piazza  di  Cremeo  dal  notaio  Zanetto  da  Haijra  di  Cama,  il  26 
Marzo  1467  (copia  cart.  del  1716  fatta  sull'originale  p.  n.)  dotarono  la 
chiesa  di  beni,  unendovi  un  ospizio. 

Nel  secolo  XVI  il  passo  mutando  nome  si  chiamò  del  S.  Bernardino. 
La  chiesa  esiste  ancora  e  intorno  lo  sorse  il  paese  di  S.  Bernardino, 
stazione  alpina  assai  frequentata  durante  la  stagione  estiva  por  le  suo 
acque  minerali.  Il  nome  di  Sebastiano  caduto  in  dimenticanza,  ninno  il 
rammenta;  quello  di  Uccello  restò  ad  una  pnnta  il  Vogelspiz  (m.  2716) 
che  domina  quel  passaggio  alpino. 

(18)  Erroneamente  G.  A.  À  Marca,  Compendio  Storico  della  Valle  Me- 
solcina. Lugano,  1838,  pag.  124,  forma  del  feudo  di  Mesocco  una  sola  giu- 
risdizione. La  divisione  in  3  Vicariati  data  in  seguite  dall'À  Marca  stesso 
e  dallo  Sprecher,  Pallas  Rhaetica,  ecc.  Basilea,  mdcxvii,  pag.  212,  come 
deiranno  1651,  è  in-vece  anteriore,  e  venne  fatta  forse  durante  il  dominio 
di  Gian  Francesco  Trivulzio. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA    DI    MESOCCO  ?  375 

u  mese  di  dicembre  porre  un  Vicario  nel  Vicariato 
«  di  Roveredo  e  uno  in  quello  di  Mesocco  i  quali 
«  però  non  sieno  del  casato  dei  Sacco  (^^).  " 

Il  Vicariato  alto  o  di  Mesocco,  aspro  e  montuoso 
scendeva  dal  passo  al  ponte  di  Sorte  e  lo  compo- 
nevan  le  vicinanze  di  Crime,  (Cremeo),  Leso,  Anzone, 
Ciabbia,  {Cehhid)  Anderslia,  (Andergia)  d'Arva,  [Barba) 
Loggiano  e  Doira,  le  quali  riunite  prendevano  il  nome 
di  terra  di  Mesocco  o  Mesocco  sopra  il  Castello,  e 
Scazza  e  fors'  anco  Cabbiolo  e  Lostalto,  dette  anche 
Mesocco  sotto  il  castello  (2^). 

Nel  mezzo,  in  luogo  fortissimo  e  isolato,  la  rocca 
di  Mesocco,  la  quale  dominando  la  via  che  dalla  pia- 
nura Lombarda  conduceva  alla  Rezia  ed  ai  paesi 
d'Allemagna,  dava  nome  ed   importanza  alla  Valle. 

Il  secondo  Vicariato  basso  o  di  Roveredo  ab- 
bracciava la  bassa  Mesolcina  e  tutta  la  Val  Calanca. 

Se  poca  importanza  aveva  la  Calanca,  povera 
vallata  chiusa  e  stretta  fra  altissimi  monti,  era  in- 
vece la  bassa  Mesolcina  o  Val  Piana  la  parte  più 
ricca  del  feudo. 

Ivi  la  Moèsa  divallando,  stese  piani  d'ubertosa 
campagna,  sulla  quale  bruscamente  levansi  le  Alpi 
coi  piedi  coperti  da  floridi  vigneti  (^1),  e  i  fianchi  da 


(19)  Archivio  Trivulzio;  Araldica  Cart.  10.  --  Preziosa  raccolta  di  leggi 
0  ordinazioni  Mesolcinesi.  Cud.  su  pergamena  del  secolo  XV,  come  risulta 
dalla  intestazione ,  doveva  appartenere  allo  stesso  Gian  Giacomo  Tri- 
vulzio.  Su  queste  leggi  e  sulle  anteriori  del  1436,  stiamo  compilando  un 
lavoro  in  collaborazione  coll'egregio  amico  ingegnere  Emilio  Motta. 

(20)  Così  neU'istrumento  accennato  nella  nota  17. 

(21)  MoHR,  Codex  Diplomatìcus.  Chur.  Voi.  1.  Cod.  193,  pag.  283  ;  ri- 
produce un  inventario  (credesi  del  1200)  dei  beni  della  sede  vescovile  di 
Coirà,  nel  quale  troviamo  segnato,  che  a  S.  Vittore  possedeva  de  vino  Car- 
raias  ti. 


376  EMILIO    TAGLIABUÈ 


fitte  selve  d'abeti.  Alla  Val  Piana  appartenevano 
borghi  popolosi;  San  Vittore  sede  della  Canonica 
Vallerana  (22),  Grono  allo  sbocco  della  Val  Calanca 
e  Roveredo  la  terra  più  grossa  ed  importante  della 
Contea. 

Roveredo  posto  nella  parte  meridionale  della 
Valle  sulle  due  sponde  del  fiume  Moèsa,  aveva  co- 
mode e  facili  comunicazioni  col  paese  dei  Confede- 
rati e  col  ducato.  A  Roveredo  risiedevano  i  Com- 
missari del  Trivulzio,  i  quali  in  suo  nome  vi  radu- 
navano il  supremo  tribunale  Criminale  composto  di 
28  giudici  eletti  dalla  valle  e  presieduti  dai  Vicari 
di  Roveredo  e  Mesocco  (2^)  ;  affittavano  alpi  e  fondi  ; 
riscuotevano  le  taglie  e  decime  comunali  ;  sorveglia- 
vano l'esazione  dei  dazi. 

Nel  castello  di  Mesocco  posto  in  luogo  inespu- 
gnabile e  selvaggio  al  fondo  della  valle  nessun  com- 
missario, ma  uno  o  due  castellani,  chiusi  nella  rocca 
superbamente  ritta  fra  la  solitudine  delle  Alpi. 

Cronisti    e    storici    parlano    dell'importanza    di 


Nella  Trivulziana  si  conservano  parecchi  contratti  stipulati  dai  Commis- 
sari di  G.  Giacomo  per  la  compera  di  tini,  botti,  cantine,  ecc. 

Nell'Archivio  parrocchiale  di  S.  Vittore  {Mesolcina\  livello  (pergamena 
originale)  in  data  17  Aprile  1531  per  vino  che  la  chiesa  di  S.  Vittore  deve 
fornire  a  G.  Francesco  Trivulzio. 

(22)  SS.  Giovanni  e  Vittore,  eretta  a  Collegiata  al  21  Aprile  1219  da 
Enrico  de  Sacco;  vi  risiedevano  4  canonici.  Carta  Fondationis  Ecclesiae 
Collegiate  et  Plebis  SS.  Joannis  et  Victori.  Documento  di  recente  pubblicato 
dal  LiEBENAU,  I  Sax  Signori  e  Conti  di  Mesocco,  in  «  Bollettino  Storico 
della  Svizzera  Italiana  »  Bellinzona,  1890.  Fascicolo  Marzo-Aprile,  pag.  60. 

(23)  Emilio  Tagliabue,  Un  bando  contro  le  monete  Trivulziane,  in 
«  Rivista  Italiana  di  Numismatica  >,  Anno  II,  Fase.  II,  pag.  13,  nota  2. 
Milano,  1889. 

Cosi  risulta  anche  in  molti  processi  di  quel  tempo  da  noi  veduti  nella 
Mesolcina  e  nell'Archivio  Trivulzio. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  377 

Roveredo  e  del  palazzo  che  vi  aveva  il  Trivulzio; 
ma  copiandosi  Tun  l'altro,  fan  capo  tatti  allo  Spre- 
cher(2i),  il  primo  che  ne  faccia  cenno  con  qualche 
dettaglio.  Per  non  ripeterli ,  cercheremo  nei  docu- 
menti deir  epoca  nuove  informazioni. 

Al  17  Dicembre  1478  i  Commissari  ducali  in 
Bellinzona  avvisavano  il  duca  di  Milano  che  il  conte 
Enrico  de  Sacco  teneva  u  in  Roueredo  un  palatio 
«  di  molte  munitioni  et  artiglierie  (2^)  »  e  che  in- 
tendevano spedirvi  quella  notte  il  maestro  bombar- 
diere Francesco  da  Mantova  per  impadronirsene  (26). 

Una  lettera  senza  data  né  firma,  ma  certo  an- 
teriore alla  compera  di  Mesocco,  ci  dà  preziose  no- 
tizie sui  possessi  del  conte  Enrico  de  Sacco.  Di 
Roveredo  così  parla  V  ignoto  scrittore  :  w  la  terra 
u  de  Roueré  grande  ben  acasata  in  piano  ma  non  mu- 
«  rata  con  uno  bello  palazzo  dentro  che  è  suo  (del 
u  conte  Enrico  di  Sacco)  de  le  quatro  parti  le  tre 
u  e  1'  altra  parte  de  un  suo  nepote.   E   la   se   inco- 


(24)  Sprecher,  Op.  cit,  pag.  212.  «  Rogoretum  hic  palatio  Comitum 
«  erat  a  Joanno  Jacobo  Trivultio  sumptuose  exornatura  itera  turris  de  Bof- 
«  fano  et  Turris  del  Aua  feu  de  Bogiano  dieta.  » 

Jean  de  Muller,  Histoire  de  la  Conféderation  Suisse.  Paris-Lau- 
sanne, 1840.  Tom.  8,  liv.  V,  Gap.  Ili,  pag.  313.  «  Trivulce  prenait  plaìsir 
«  au  chàteau-fort  qui  dominait  Criraeo;  toutefois ,  il  choisit  a  Eogoródo 
«  une  belle  habitation  qu'il  voulait  orner  avec  magnificence.  » 

Carlo  de  Eosmini,  DelVistorìa  intorno  alle  militari  imprese  ed  alla 
vita  di  Gian  Jacopo  Trivulzio.  Milano,  1815.  Voi.  1. 

Fasi,  Staats  und  Erd  Beschreibung  der  Schiveiz,  Voi.  4,  pag.  124. 
Zùrich,  1768.  «  Il  conte  G.  G.  Trivulzio  aveva  costrutto  a  Eoveredo  un 
«  superbo  palazzo  abbruciato  dai  confederati  nel  1503  •». 

Leu.  Voi.  XV,  pag.  356,  edito  nel  1759,  accenna  al  palazzo  di  Roveredo 
distrutto  dai  confederati  nel  1503. 

(25)  Motta  Duilio, Regesti  Svizzeri  del  1478.  Bellinzona,  1882,  pag.  160. 

(26)  Impresa  fallita,  causa  la  grande  quantità  di  neve  caduta. 


378  EMILIO    TAGLIABUE 


tt  menza  la  Val  de  Mixoch  che  dura  dieci  miglia 
u  persino  al  Castello  e  ghe  paregie  ville  dentro  (27). 

Colla  compera  del  feudo  passò  a  Gian  Giacomo 
la  proprietà  del  castello  o  Palazzo  di  Roveredc  » 
che  ristaurato  si  destinò  a  sua  abitazione  per 
quando  veniva  in  Valle.  Infatti  al  3  Febbraio  1481, 
«  in  stupa  magna  scita  in  roueredo  in  domo  sue 
a  dominatione  "  egli  confermava  e  prometteva  ri- 
spettare e  mantenere  gli  ordini  statuti  e  capitoli 
della  terra  di  Lostallo  (28).  In  Roveredo  nel  Giugno 
1485,  accoglieva  i  capi  della  lega  Grigia  (29)  venuti 
a  definire  questioni  pendenti  da  tempo  col  duca  di 
Milano  ;  delegati  che  arrivarono  al  27  di  quel  mese 
come  egli  ne  informò  il  duca:  u  e  rivato  il  Reverendo 
u  Vescovo  di  Coyra  (^),  Monsignore  Tabbate  de  De- 
u  sertina  (^1)  et  el  Vicario  de  la  liga  accompagnati  da 
u  parechij  homini  da  bene  ;  et  tra  li  altri  el  prefato 
a  D.  Episcopo  e  venuto  molto  bene  in  puncto  cum 
u  una  brigata  de  Caualli  cum  persone  tute  vestite  ad 
u  una  livrea  et  certo  ha  una  cera  de  homo  da  bene 
u  et  me  pare  persona  molto  grave.  Misser  Conradino 
u  da  Rotzùnie  che  ancora  luj  e  uno  de  questi  signori 
a  de  la  liga  Grixa  (^2). 

Ma  le  trattative  non  furono  ne  facili  ne  spiccie  e 
al  trenta  di  Giugno,  partita  quella  brigata,  il  Trivulzio 


(27)  Archivio  Trivulzio.  Cartella  autografi,  6.  Giacomo  Trivulzio.  Cod. 
Cartaceo  del  secolo  XV.  Deve  essere  una  informazione  mandata  a  Gian 
Giacomo  quando  stava  trattando  l'acquisto  della  Mesolcina. 

(28)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  11. 

(29)  Rosmini,  Op.  cit.  Voi  1,  pag.  140. 

(30)  Ortlieb  von  Brandis,  1458-1491. 

(31)  L'Abbate  di  Dissentis.  Giovanni  VT  di  SchOneck,  m.  1497. 

(32)  Archivio  Trivulzio.  Corrispondenza  di  G.  Giacomo  estratta  dall'Ar- 
chivio di  Stato  Milanese,  libro  14,  p.  29. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  379 

riprende  la  penna  e  scrive  al  Secretarlo  Ducale  Bar- 
tolomeo Calco  «  Roueredi....  a  casa  mia  li  ho  tractati 
«  talmente  che  non  se  ne  andarono  quanto  ad  questa 
u  parte  salvo  bene  contenti,  cum  grata  recolentia 
Li  ben  veduti  per  quanto  s'  è  potuto....  (^^)  "  protesta 
però  in  termini  un  po'....  vivi  per  essere  ripetuti  in 
un  articolo  di  numismatica,  di  non  volerne  più  sapere 
di  simili  impicci. 

Il  Palazzo  di  Roveredo  era  fortificato,  e  come 
a  que'  tempi  le  dimore  de'  feudatari,  cinto  da  fossati, 
guardato  da  torri,  munito  d'  artiglierie  ;  anzi  nella 
confederazione  fatta  colla  lega  Grigia  il  Trivulzio  si 
obbligò  «  das  schlos  tmd  vesti  masox  und  den  palachs 
u  wol  vcrsogt  haben  sollent  mit  guoten  huchsen  und 
u  giiofem  geschiltz  und  allem  (^^)  ".  Palazzo  circon- 
dato da  un  vasto  giardino;  ivi  riuniti  gli  uomini  del 
Vicariato  di  Roveredo  al  27  Agosto  1503,  gli  presta- 
rono giuramento  di  fedeltà  (^^). 

Date  queste  condizioni,  non  si  comprende  perchè 
Gian  Giacomo  non  impiantasse  la  sua  zecca  a  Ro- 
veredo, ove  oltre  i  vantaggi  della  posizione,  aveva 
quello  grandissimo  di  poterla  attivamente  sorvegliare 
a  mezzo  de'  suoi  Commissari. 

Sta  il  fatto  che  nessun  diploma,  né  grida  mo- 
netaria parla  di  Roveredo  ;  ma  basandosi  su  questo, 
bisognerebbe  ritenere  che  la  zecca   Mesolcinese    re- 


(33)  Idem.  loc.  cit.  pag.  33.  Riportata  dal  Kos  mini  op.  cit.  Doc.  134 
al  libro  IH.  Voi.  Il,  pag.  129. 

(34)  Art.  3  della  Lega  stretta  fra  G.  Giacomo  Trivulzio  e  la  Lega 
Grigia,  al  4  Agosto  1496.  Vedi  XII  Jahresbericht  des  hist-anttq.  Gesell- 
schaft.  von  Graubiinden.  Chur,  1883. 

(35)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  11.  Pergamena  originale.  Istru- 
mento  rogito  dal  notajo  Martino  figlio  di  Gianella  d'Arabino, 


380  EMILIO    TAGLIABUE 


stasse  sempre  a  Mesocco.  Invece  esistono  libri  di 
conti  e  contratti  posteriori  al  1527  i  quali  parlano 
di  una  zecca  di  Roveredo  ed  il  Mazzuchelli  ed  altri 
autori  che  li  citano,  per  spiegarli  ammettono  che 
distrutta  la  rocca  di  Mesocco  (1526),  la  zecca  venne 
trasportata  nel  borgo  di  Roveredo. 

Eppure  nella  grida  pubblicata  al  30  Geimaio  1530 
in  Milano  dal  duca  Francesco  II  Sforza  troviamo  an- 
cora Mesocco  neir  elenco  delle  zecche  le  cui  monete 
sono  bandite  dal  ducato  (^^)  ;  segno  evidente  che  Me- 
socco serviva  ad  indicare  non  una  zecca  esistente  nella 
rocca  di  Mesocco,  ma  la  zecca  Mesolcinese. 

Ma  nemmeno  la  distruzione  della  rocca  di  Me- 
socco è  ben  comprovata  ;  lo  Sprecher  (^'^)  essendo 
la  prima  e  non  sicura  fonte,  delle  varianti  date 
dagli  storici  su  questo  fatto. 

L'à-Marca  la  fa  atterrare  nel  1525  e  di  varie 
leggende  facendo  un  solo  miscuglio,  ci  ricama  sopra 
uno  dei  soliti  episodi  che  le  tradizioni  popolari 
fan   precedere  a  queste  mine  (?^). 

Il  Trachsel  dice  che  «  Gian  Francesco  préféra  fa- 
u  voriser  le  parti  de  leur  ennemi  Jean  Jacques  Medici  ; 
tt  les  habitans  de  la  vallèe  de  Misolcino  aidés  par 
«  les  Grisons  demolirent  le  chateau  de  Misocco    en 


(36)  Raccolta  cronologica  di  editti  ed  ordini  emanati  nello  Staio  di 
Milano,  nella  materia  delle  monete,  per  Francesco  Bellati.  Voi.  3  manos. 
nella  Bibliot.  di  Brera  in  Milano  segnati  G.  N.  n.  Ili  -^^  —  Voi.  IL  pa- 
gina 125. 

(37)  Sprecher,  Op.  cit.,  pag.  128. 

(38)  G.  A.  À  Marca,  Op.  cit.,  pag.  114. 

Su  questo  episodio  noi  pure  abbiamo  pubblicato  un  Racconto  L'ul- 
timo Conte  della  Mesolcina  in  «  Emp.  Pittor.  >  Milano  ,  1881,  il  quale, 
dobbiamo  confessarlo,  aveva  di  storico  il  solo  nome,  basandosi,  solo  suUft 
tradizione. 


È   DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  381 

u  1526  (39).  "  Perchè  Gian  Francesco  favoriva  il  Mede- 
ghino  che  due  anni  prima  gli  aveva  tolto  Musso  e 
le  tre  Pievi  e  ferocemente  battuta  la  parte  francese, 
il  Trachsel  non  lo  dice.  Gian  Francesco  Trivulzio, 
che  da  Francia  teneva  titoli  ed  onori,  dopo  la  gran 
rotta  de'  Francesi  sotto  Pavia  ebbe  confiscati  dal- 
l' impero  beni  e  feudi  eà  annullati  tutti  i  privilegi 
sin  allora  goduti  dalla  sua  famiglia. 

Nel  1526  parve  avvicinarsi  allo  Sforza,  ma  è  as- 
surdo potesse  favorire  il  Medici  che  gli  aveva  usurpato 
gran  parte  dei  beni  ereditati  facendosi  un  dominio 
colle  sue  spoglie.  Annientata  nel  3  526  in  Italia  la 
parte  Francese  e  crescendovi  a  dismisura  la  potenza 
imperiale,  temettero  i  Grigioni,  come  già  era  acca- 
duto di  Chiavenna,  fosser  lor  tolte  all'improvviso  tutte 
le  castella  al  di  là  delle  Alpi  per  cui  «  persuasi  che 
u  le  fortezze  senza  un  giusto  numero  di  difensori  non 
u  potevan  esser  loro  che  dannose,  fecero  smantellare 
u  nonché  Chiavenna,  Mesocco,  Morbegno,  Piattamala, 
u  Masegra,  Ponte  Tirano,  Dosso,  Grosio  (^^).  Seguendo 
in  questo  i  precetti  del  Macchiavelli  il  quale  appunto 
aveva  scritto  «  i  buoni  eserciti  senza  le  fortezze  sono 
«  sufficienti  a  difendersi  ;  le  fortezze  senza  buoni  eser- 
«  citi  non  si  possono  difendere.  » 


(39)  e.  F.  Trachsel,  Les  atéliers  monétaires  de  la  famille  des  Trivulzio, 
Bruxelles,  1870.  Pag.  16.  In  un'altra  inesattezza  cade  il  Trachsel,  op.  cit. 
pag.  5,  mettendo  che  Gian  Giacomo  ebbe  il  feudo  di  Mesocco  nel  1482  per 
lOOOO  scudi  (data  e  somma  presa  dal  Mùller,  op.  cit.  Voi.  Vili,  lib.  V, 
cap.  lE,  pag.  212). 

Il  Kosmini;  che  gli  fu  guida  nel  compilare  la  sua  memoria,  cita  invece 
Tatto  di  vendita  steso  dal  notajo  Pietro  Brenna,  fatto  il  20  Novembre  1480 
per  16000  scudi. 

(40)  Francesco  Saverio  Quadrio,  Dissertazione  Critico-Storica  intorno 
alla  Rezia.  Milano,  1755.  Voi  I,  pag.  128. 

49 


382  EMILIO    TAGLIABUE 


Certo  i  Confederati  non  avrebbero  favorito  e  pro- 
tetto Gian  Franc(ìsco,  s'egli  avesse  fatto  contro  agli  al- 
leati Grigioni  ;  invece  alla  Dieta  di  Lucerna  del  giorno 
11  Agosto  1525  (^1)  il  Sig.  di  Diessbach  chiede  si  impe- 
disca ai  Grigioni  di  distruggere  il  castello  di  Mesocco, 
come  hanno  minacciato  e  nella  stessa  dieta  del 
29  Agosto  (^2)  i  Confederati,  nel  timore  che  i  Gri- 
gioni saccheggino  il  Castello  di  Mesocco,  al  che  pel 
loro  trattato  di  borghesia  Lucerna  e  Uri  avrebbero 
dovuto  opporsi,  incaricano  Glarona  d'impedirlo  pre- 
gando i  Grigioni  a  non  far  atto  d' inimicizia. 

Forse  nel  1526  la  rocca  venne  smantellata  da 
non  potervi  più  piazzare  artiglierie.  Di  ciò  pos- 
siamo dare  una  testimonianza  più  attendibile  dello 
Sprecher,  perchè  contemporanea.  Giovanni  Cotura 
di  Avignone  «  fonditore  e  maestro  di  tuta  la  arti- 
ci glieria  del  Serenissimo  Imperatore  in  Milano  ??  (4^), 
al  20  Giugno  1537  si  reca  a  Mesocco  per  sti- 
marvi r artiglieria  che  vi  teneva  il  Trivulzio.  Nella 
sua  perizia  dice  «  le  quali  cose  tute  sono  ne  la 
u  terra  de  Musoco  salvo  li  doi  Canonie*^)  restatj    a 


(41)  EiDGENóssiscHE  Abscheide,  Vol.  4  -  1.  a.  pag.  751. 

(42)  Idem.  Loc.  cit.,  pag.  761  -  pag.  866.  Dieta  di  Lucerna  20  Marzo  1526. 
I  Confederati  chiedono  si  trasportino  a  Locamo  «  molte  pietre  d'artiglieria 
«  che  si  trovano  nel  castello  di  Mesocco.  » 

(43)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  12.  —  Originale  di  detta  perizia. 
Curiosa  è  la  firma  del  Cottura:  un  falcono  incarrato  che  fa  fuoco,  colla 
parola  lOVANI  OOUTURA  intrecciata. 

Documento  citato  anche  dal  Quarenghi,  Tecno- Cronografia  delle  anni 
da  fuoco  Italiane.  Napoli,  1880.  Pag.  176. 

(44)  Che  ne  fu  dei  cannoni  lo  dice  lo  stesso  Cotura  <  li  quali  essi 
«  signori  Grisoni  hano  promisso  a  li  agentij  de  lo  Ul.mo  Sig.  Marchese  Conte 
«  di  Musoco  Sig.  Francesco  Trivultio  de  renderlj  et  pagar.  Come  appar  per 
€  breve  et  sigillo  di  essi  sigr.  li  quali  Canoni  sono  de  la  grandezza  et  qua- 
<  lità  et  mesura  et  de  peso  comò  li  altrj  canonj  de  sopra  nominati.  Como 
«  li  personalmente  hanno  dito  et  protestato  Jacomo  Toscano  M.  Balsa- 
«  remo  Bosso  li  quali  lor  hanno  aiutato  condurlj  a  la  dita  guerra  et  ado- 
c  perarlj,  et  anche  altrj  hommj  da  bene  de  Musoco  >. 


È   DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI   MESOCCO  ?  883 

u  li  sigg.  grixonj  a  la  dita  guerra  de  medeghino  (di 
u  Gr.  G.  Medici)  quali  artiglierie  ballote  fornimentj 
a  sono  del  prefato  sig.  marchese  et  conte  ut  supra 
u  exportati  fora  del  castelo  de  Musoco  et  reposti  in 
u  dita  terra  de  Musoco  per  la  Rujna  del  Castello.  " 
Grande  non  doveva  essere  questa  ruina,  se  un  secolo 
dopo  Gian  Giacomo  Teodoro  Trivulzio,  scrivendo  al- 
l'Albornez ,  descriveva  Mesocco  «  fortezza  adesso 
u  rovinata  non  è  però  smantellata  che  in  brevissimo 
a  tempo  e  con  pochissima  spesa  risarcendosi  non  si 
u  rendesse  di  nuovo  inespugnabile  "  (^^). 

Ma  veniamo  a  prove  più  positive  e  concludenti. 
Nella  Mesolcina  la  tradizione  non  rammenta  una 
zecca  di  Mesocco.  L'  à-Marca  nel  suo  compendio  a 
pag.  99  scrive:  u  II  sopracitato  Giacomo  Trivulzio,  il 
u  quale  aveva  ottenuto  il  privilegio  di  far  coniare 
u  moneta  d'  oro  e  d'  argento  ,  fece  a  tal  fine  già 
u.  nel  primo  anno  in  cui  si  stabilì  nella  Mesolcina 
u  costruire  una  piccola  zecca  a  Roveredo  (^^).  Invero 


(45)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  13.  Relaziono  presentata  al  Cardinale 
Albornez  nel  1635  sulle  condizioni  della  Mesolcina  e  pretese  che  su  quelle 
valli  aveva  Casa  Trivulzio.  Notizie  assai  incomplete  e  in  molti  punti  ine- 
satte, copiate  d'altre  fornite  nel  1622  da  Vital  Cattaneo  a  Gian  Giacomo 
Teodoro  Trivulzio;  la  relazione  del  Cattaneo  è  l'unico  documento  da  noi 
veduto  che  accenni  ad  una  zecca  di  Mesocco  «  ove  è  un  castello  altre  volte 
«  fortissimo  et  signoreggia  tuta  la  Valle  e  in  la  casa  de  la  zecca  vi  sono 
«  accora  duoi  canoni  di  bronzo  da  batteria  con  l'arma  Trivultia.  »  Evi- 
dentemente il  Cattaneo  confonde  la  zecca  di  Roveredo  con  Mesocco,  i  can- 
noni poi  non  eran  nel  castello  ma  nella  terra ,  come  dice  il  Cotura,  ove 
restarono  nella  casa  del  comune  sino  al  principio  di  questo  secolo. 

(46)  Erroneamente  l'à-Marca  attribuì  a  Gian  Giacomo  Trivulzio  la 
costruzione  del  palazzo  di  Roveredo  nell'aggiunta  alla  pag.  99,  linea  18, 
posta  a  fine  del  suo  Compendio.  <  Nell'istesso  tempo  (dell'erezione  della 
«  zecca)  detto  Trivulzio  fece  fabbricare  principalmente  per  dimora  del  suo 
«  Luogotenente  un  bel  palazzo  pure  in  Roveredo  che  diroccato  ora  si  vede 
«  dirimpetto  alla  zecca  ma  sull'altra  sponda  della  Móesa  ».  Come  abbiamo 
veduto,  il  palazzo  esisteva  già  ai  tempi  dei  Conti  di  Sacco. 


B84  EMILIO    TAGLIABÙE 


egli   più  che  storico  è  ingenuo  cronista,   lo  citiamo 
perchè  fedele  narratore  delle  tradizioni  vallerane. 

In  un  inventario  del  Castello  di  Mesocco  da 
noi  pubblicato  C'*'^),  i  Castellani  Andrea  Brocco  e  Bat- 
tista da  Musso  ci  danno  V  elenco  delle  armi  e 
munizioni  esistenti  nella  rocca  loro  affidata.  E  per 
farlo  i  Castellani  visitano  minutamente  ogni  parte, 
ogni  locale  del  castello  dicendone  Tuso  e  chi  vi  abi- 
tava e  chi  vi  aveva  abitato  ;  montano  sulle  torri,  scen- 
dono nei  sotterranei,  frugan  nei  cassoni,  entrano  nella 
chiesa  ove  sono  «  li  fornimenti  da  vestir  lo  preito  », 
pesano  i  «  piumaxi  et  coxini  ??  e  i  sacchi  di  zolfo,  con- 
tano i  barili  di  polvere  e  «  le  cadene  del  fogo  " ,  misu- 
rano il  vino  nelle  botti,  annasan  la  u  carna  de  bò  che 
ti  noi  vai  niente  » ,  notano  le  otto  grosse  bombarde  e 
u  el  fero  de  far  el  solazo  de  li  canali,  w  la  corazzina 
di  velluto  celeste  del  Signore  e  il  «  camixal  da  homo 
trista.  "  Eppure,  non  la  più  lontana  allusione  ad 
attrezzi  di  zecca,  a  locali  ove  si  battessero  monete  o 
alloggiassero  zecchieri. 

Dunque  nel  1503  la  zecca  non  era  nel  castello, 
ne  certo  poteva  essere  nelle  vicinanze  che  compo- 
ne van  la  terra  di  Mesocco,  poveri  ed  indifesi  casolari, 
sparsi  sulle  due  sponde  del  fiume  Moèsa  (^^)  mezz'ora 


(47)  Emilio  Tagliabue,  //  Castello  di  Mesocco  secondo  un  inventario 
del  1503.  In  e  BoUottino  Storico  della  Sv.  It.  ».  Bellinzona,  1889,  Fasci- 
colo 11-12,  pag.  233-252,  con  1  Tavola. 

(48)  LiEBENAU,  /  Sax  Signori  e  Conti  di  Mesocco.  In  <  Boll.  Stor.  » . 
Anno  1889,  pag.  182,  parla  della  povertà  di  Mesocco. 

I  Cronisti  del  XVI  secolo  descrivono  Mesocco  come  un  paese  povero  i 
cui  abitanti  si  guadagnavano  il  pane  intessondo  panieri  ;  Zeinenmacher , 
dicono  Giovanni  Stumpf  ed  Egidio  Tschudi  e  tali  ancora  nel  XVIII  secolo 
8i  chiamavano  a  Lucerna  i  Calanchini. 

Nella  Relazione  di  Vital  Cattaneo  (Vedi  nota  45)  si  danno  a  Mesocco 
nel  1622  140  fuochi,  a  Roveredo  360. 


È   DAVVERO   ESISTITA   LA   ZECCA   DI   MESOCCO  ? 


a  monte  della  rocca.  In  questo  inventario  troviamo 
nella  seconda  camera  delle  munizioni  un  «  picone  da 
cavar  arzento  "  C'^^).  Ha  esso  relazione  colla  lettera 
del  Botta?... 

Nella  Mesolcina  non  si  conoscono  miniere  argen- 
tifere, ma  verso  la  fine  del  secolo  XV  qualche  lavoro 
di  miniera  si  fece  nel  vicino  Rheinthal  signoria  di 
G.  Giacomo  W. 

Filoni  argentiferi  si  avevano  nel  Landschaft  di 
Schams  e  di  Rhazùns  (^i)  che  G.  Giacomo  cercò  com- 
perare da  quel  conte  Giorgio  di  Werdemberg  e  Sargans, 
chiamato  nelle  lettere  ducali  Conte  Giorgio  di  Sana- 
casa.  Di  questo  dà  notizia  al  duca  di  Milano  Gio- 
vanni Porro  Commissario  ducale  in  Bellinzona,  scri- 
vendo al  14  Gennaio  1496  (^2)  ^^  intendo  che  domino 
a  Jo.  Jacobo  de  Trivultio  è  per  comperare  la  signoria 
u  de  Rezanio  (^^)  vicino  alla  Valle  de  Reno  aprezo  a 
«  Cojra  a  quatro  o  sey  milia,  et  chel  sia  il  vero,  el  va 
«  adesso  zoe  el  di  de  ogi  uno  de  Valle  de  Reno  qual 
«  passa  per  qui  et  va  da  Domino  Jo.  Jacomo  per  as- 
u  settare  questa  facenda,  ecc.  et  questo  intendo  sarà 
u  in  detrimento  della  Exellentia  Vostra  " .  A  quei  tempi 
ogni  piccolo  conte  e  barone  ambiva  possedere  o  scoprire 
miniere  ne'  suoi  domimi  ;  quantunque  sovente,  anziché 
ricchezze,  procurassero  la  rovina  agli  ignoranti  signori 
che  s'ostinavano  a  sfruttar  miniere  d'oro  o  d'argento 


(49)  E.  Tagliabue,  Il  Castello  di  Mesocco,  ecc.,  pag".  247. 

(50)  Placidus  Plattner,    Geschichte  des  Bergbau^  s  der   Ostlichen 
Schweiz.  Chur,  1878,  pag.  29. 

(51)  Idem.  Loc.  cit,  pag.  55. 

(52)  EosMiNi,  Op.  cit.  Yol.  ],  pag.  290  —  doc  XI  al  libro  VII. 

(53)  Rhdzuns  trovasi  14  Kilom.  al  Sud  di  Coirà  sullo  stradale  che 
conduce  allo  Spluga  e  al  S.  Bernardino. 


386  EMILIO    TAGLIABUE 


affatto  improduttive.  Probabilmente  i  crogioli  accen- 
nati dal  Botta  servirono  a  fondere  metalli  o  per  as- 
saggi su  minerali  argentiferi  o  creduti  tali  ;  in 
termini  generici  scrisse  che  andavano  a  Mesocco,  pur 
non  sapendo  in  qual  paese  della  valle  si  sarebbe  fer- 
mato il  mulattiere. 

Due  altri  inventari  del  Castello  di  Mesocco  si 
conservano  nell'archivio  Trivulzio. 

Uno  del  1511  (P^),  il  secondo  del  1517  coirintesta- 
zione  :  u  Consegna  fatta  a  di  30  Augo.  1517  da  toso  da 
u  Candia  olim  Cast.""  in  mano  de  m.  Paolo  Gentili  de 
u  Seravalle  scripto  per  mano  de  Battista  di  Pellizaro 
u  da  Musso  "  (^5).  In  quello  del  1511  nessun  cenno  ad 
attrezzi  di  zecca,  nell'altro  del  1517  troviamo  regi- 
gistrato  «  Ne  la  camera  bianca  casa  (cassa)  una  in- 
u  ciodada  (o  ingiavada)  piena  de  feracta  de  la  cecha.  » 

La  fortuna  di  G.  Giacomo  strettamente  unita  a 
quella  di  Francia  subì  dal  1511  al  17  brusche  né 
ancor  ben  conosciute  vicende  (^^),  e  i  suoi  rapporti  coi 
Confederati  e  le  tre  Leghe,  più  che  a  suoi  particolari 
interessi,  dovettero  uniformarsi  a  quelli  del  re  di 
Francia.  Parecchie  volte  questi  rapporti  furono  pes- 
simi e  la  Mesolcina  ne  subì  le  conseguenze,  corsa  e 
ricorsa  da  Confederati  e  Grigioni,  messa  a  fuoco  e  a 
ruba  e  fors'anco  per  qualche  tempo  stabilmente  occu- 
pata. Certo  in  tanti  disordini  e  trambusti  tacque  la 
zecca  Mesolcinese  ,  se   pur  non  fu  data  preda  alle 


(64)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  12.  Cod.  cartaceo  del  secolo  XVI. 

(55)  Idem.  Araldica  Cart.  12.  Cod.  cartaceo  del  secolo  XVI.   Mss.   di 
Battista  di  Pelizzari  da  Musso. 

(56)  Questo,  ben  intoso,  solo  por  quanto  riguarda  la  parte  Mesolcinese. 
Storia  che  manca  totalmente  pel  periodo  Trivulziano. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA   DI    MESOCCO  ?  387 

fiamme  nel  1511  CT.  Noi  supponiamo  che  stanco 
delle  continue  incursioni  e  malsicuro  del  feudo  finché 
il  re  di  Francia  durasse  in  nimicizia  coi  Confederati, 
dopo  gli  incendi  deiril  Gian  Giacomo,  chiusa  la 
zecca  Mesolcinese,  nel  castello  di  Mesocco  ne  traspor- 
tasse gli  attrezzi,  come  luogo  più  sicuro  della  Contea. 

A  non  perdere  i  proventi  della  zecca  si  fece  il 
Trivulzio  nel  1512  rilasciare  da  Lodovico  XII  un 
nuovo  diploma  ,  che  gli  permetteva  d'  aprir  zecca  a 
Musso  e  battervi  moneta,  «  come  aveva  prima  co- 
«  stume  di  fare  a  Mesocco  "  (^^).  E  a  Musso,  lavorò 
forse  anche  Gian  Francesco  finché  quella  rocca  e  le 
tre  Pievi  e  il  Contado  di  Chiavenna  caddero  nelle 
mani  del  Medeghino.  Cosi  si  spiega  come  nel  1517 
poteva  esserci  nel  castello  di  Mesocco  una  cassa  chiusa 
e  piena  di  ferri  di  zecca  e  perché  nelle  gride  mone- 
tarie del  1518  e  19  le  monete  Trivulziane  son  chia- 
mate sempre   «  monete  di  Musso.  » 

Ma  ben  più  importante  sono  due  documenti  che 
abbiamo  avuto  la  fortuna  di  rinvenire  nelF  archivio 
Trivulzio.  Essi  a  parer  nostro  sciolgono  completa- 
mente la  questione,  attestando  che  Gian  Giacomo  sin 
dal  1497  teneva  in  Roveredo  una  casa  destinata 
all'uso  di  zecca,  e  sotto  tal  nome  appunto  cono- 
sciuta. Colla  data  23  giugno  1497,  Azino  da  Lecco 
procuratore  del  Trivulzio  ed  abitante  nella  zecca  di 
Roveredo,  contratta  del  legname  da  consegnarsi  a 
Lostallo   e  Cabbiolo   vicino    al  fiume   Moèsa.   Nella 


(57)  Giovio  B.,  Historia patria.  11  ediz.  Como,  1887,  pag.  114  «  insignes 
«  Trivultii  aedes  apud  Roverium  cremaverunt,  1511  ». 

(58)  Vedi  doc.  7  in  Appendice, 


888  EMILIO    TAGLIABUE 


chiusa    il   notaio    Giovanni   del    Piceno  attesta  che 
ristrumento  è  «  actum  in  pasquedo  roueredi  in  domo 

ZECHE  w    (^^). 

Il  2°  documento  porta  la  data  17  marzo  1509, 
è  rogato  dal  notaio  Giovanni  Amadiristo  «  in  roue- 
u  redi  in  pasquedo  in  cecha  ^  e  fra  i  testi  figura  un 
maestro  di  zecca  detto  Zanetto  (^). 

Come  abbiamo  cercato  dimostrare,  le  condizioni 
del  feudo,  Taver  Gian  Giacomo  palazzo  e  commissari 
in  Roveredo,  l'esser  quello  il  borgo  più  importante, 
capitale  diremo  così,  della  contea,  lo  indicavan  sen- 
z'altro a  sede  della  zecca  ;  ne  i  diplomi  si  oppongono 
a  questa  versione,  se  li  interpretiamo  nel  senso  logico, 
che  parlino  del  feudo  di  Mesocco,  pur  non  essendo 
Mesocco  nome  che  si  dava  indifferentemente  a  tutto 
il  feudo,  alla  rocca  e  alle  vicinanze  sopra  e  sotto  il 
castello.  La  tradizione  poi  e  i  documenti  dell'epoca 
da  noi  prodotti,  tutti  concordano  nel  fissare  a  Ro- 
veredo la  sede  della  zecca  Mesolcinese. 

Crediamo  quindi  poter  affermare  che  G.  Gia- 
como Trivulzio  e  non  Gian  Francesco  impiantò 
la  zecca  di  Roveredo  e  che  la  zecca  di  Mesocco,  non 
essendo  esistita,  va  cancellata  dal  novero  delle  zecche 
medioevali. 


(59)  Vedi  doc.  3  in  Appendice. 

(60)  Vedi  doc.  6  in  Appendice. 


È    DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  389 


II. 


.  Quando  incominciò  il  Trivulzio  ad  esercitare  il 
suo  diritto  di  zecca? 

Il  Mazzuchelli  ed  i  Gnocchi  non  lo  stabilirono. 
H  Liebenau  vorrebbe  dopo  la  conquista  del  ducato 
milanese  da  parte  di  Lodovico  XII,  cioè  dopo  l'ottobre 
del  1499  (^1)  ;  supposizione  che  non  regge  coi  docu- 
menti da  noi  prodotti.  Se  nel  1497  Gian  Giacomo 
aveva  in  Roveredo  una  casa  la  quale  veniva  nei  pub- 
blici istrumenti  chiamata  zecca,  già  da  tempo  doveva 
essere  a  tal  uso  destinata;  abbiamo  inoltre  il  diploma 
rilasciato  a  Gian  Giacomo  nel  1495  dal  duca  di 
Orléans,  il  quale,  interpretato  letteralmente,  dice  che 
fin  d'allora  esisteva  una  zecca  Mesolcinese. 

Se  poi  consideriamo,  che  smisurata  ambizione 
era  la  nota  dominante  del  carattere  di  Gian  Gia- 
como e  che  molte  sue  monete  d'oro  e  d'argento 
portano  il  solo  titolo  di  conte  di  Mesocco,  dobbiamo 
supporre  le  abbia  battute  prima  della  conquista  del 
ducato  ,  quando  non  aveva  i  titoli  di  marchese  di 
Vigevano  e  Maresciallo  di  Francia  (^^). 

Secondo  noi,  il  Trivulzio,  ottenuto  il  diploma  da 
Federico  III,  o  poco  dopo,  apri  la  zecca  di  Eoveredo, 
e  al  periodo  compreso  fra  quell'epoca  e  il  1499  appar- 


(61)  Zur  Miinzgeschtchte  von  Misocco,  in  e  BuUetin  de  la  Société  Suisse 
de  Numismatiqne  »..VI  Année,  pag.  96. 

(62)  Gian  Giacomo  venne  nominato  Marchese  di  Vigevano  e  Maresciallo 
di  Francia  nel  Novembre  1499. 


JO 


390  EMILIO   TAGLIABUE 


tengono    tutte  le    sue   monete   che  portano    il  solo 
titolo  di  conte  di  Mesocco. 

Il  diploma  imperiale  gli  aprì  i  mercati  della 
Rezia  e  finché  non  ruppe  fede  al  Moro,  potè  certo 
introdurre  I3  sue  monete  anche  nel  ducato,  e  noi 
non  vediamo  la  ragione  perchè  dovesse  tardare  a  va- 
lersi di  un  privilegio  da  lui  chiesto  e  fonte  di  lauti  gua- 
dagni. L'acquisto  fatto  dal  conte  Giorgio  di  Wer- 
demberg  e  Sargans  delle  Signorie  del  Rheinthal  e  del 
Safìenthal  (^^)  e  la  lega  stretta  coi  Grigioni  nel  1496, 
certo  favorirono  l'attività  della  zecca  di  Roveredo, 
finché  le  strepitose  vittorie  di  Lombardia  gli  permi- 
sero d'allagare  colle  sue  monete  il  ducato  milanese  e 
i  Cantoni  confederati  (^^). 

Sulla  lavorazione  di  Gian  Giacomo  poco  dicono 
le  gride  monetarie  del  tempo.  Nella  valutazione 
monetaria  fatta  alla  dieta  di  Lucerna  nel  gen- 
naio 1487  (^^)  si  parla  di  alcune  zecche  italiane,  ma 
non  di  Mesocco  ;  la  prima  convenzione  monetaria 
svizzera  conchiusa  in  Lucerna  al  31  marzo  1487  C^^) 
fra  i  sette  Cantoni  confederati  di  Lucerna,  Zurigo, 
Uri,  Svitto,  Untervaldo,  Zug  e  Glarona,  ci  dà  bensì 
l'elenco    di   molte  monete    italiane    e  imperiali,  ma 


(63)  Sprecher,  Op.  cit.,  pag.  194. 

Archivio  Trivulzio.  Cari  26  -  1  1/2  -  Istruinento  originale  del  notajo 
Giov.  del  Piceno  di  Rovorodo  rogito  agli  11  gennaio  1493;  Atto  di  vendita 
delle  dae  Signorie  per  4500  fiorini  di  Reno.  Nella  stessa  Cartella,  pergamena 
tedesca  con  sigilli  del  4  Maggio  1493;  il  vescovo  di  Coirà  concede  a  G.  G. 
Trivulzio  l'investitura  feudale  di  dette  Signorie, 

(61)  Motta,  Le  zecche  di  Mesocco,  ecc.,  pag.  170.  Già,  nel  settem- 
bre 1500,  furon  mossi  lamenti  contro  la  bontà  dei  cavallotti  di  Gian  Gia- 
como in  dose  straordinaria  importati  nei  Cantoni  confederati. 

(65)  EidgenOssische  Aijscheide.  Zurigo,  1858,  Voi.  Ili,  pag.  257. 

(66)  Idem.  Loc  cit.,  pag.  721. 


È   DAVVERO   ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  391 

nulla  che  riguardi  monete  trivulziane.  Silenzio  pur 
conservato  nella  convenzione  monetaria  del  24  set- 
tembre 1504  i^'^)  fatta  fra  Lucerna,  Svitto,  Unter- 
valdo,  Uri  e  Zug.  Potrebbe  darsi  però  che  le  monete 
trivulziane  sotto  altre  denominazioni  siano  sfuggite 
alla  nostra  osservazione. 

Nella  dieta  del  27  giugno  1494  W  si  parla  di 
monete  milanesi  di  cattiva  lega,  date  in  pagamento 
ai  Confederati  ingaggiati  pel  reame  di  Napoli,  e  nella 
successiva  del  7  gennaio  1495  (^9)  i  delegati  di  Svitto 
si  lamentano  pel  bando  dato  ai  4  soldi  milanesi,  «  il 
u  che  cagiona  loro  grave  danno  " .  Quattro  soldi  che 
col  nome  di  Ambrosini  sono  compresi  nella  piccola 
valutazione  monetaria  fatta  dalla  dieta  di  Lucerna  al 
26  maggio  1495  C^O)  che  ne  fissò  il  corso  a  3  Plappert, 

Monete  trivulziane  sono  per  la  prima  volta 
nominate  nella  grida  milanese  sulle  monete  pubbli- 
catasi in  nome  di  Lodovico  XII  re  di  Francia ,  ai 
19  gennaio  1500  W.  Avranno ,  dice  essa ,  corso 
regolare  nel  ducato  u  tute  le  monete  de  lo  Illu- 
«  strissimo  Signor   Johanne   Jacobo.   "   In   un'  altra 


(67)  Idem.  Lncerna,  1869.  Voi.  HI,  B. 

(68)  Idem.  Zurigo,  1858.  Voi.  IH,  pag.  461. 

(69)  Idem.  Loc.  cit.,  pag.  471. 

(70)  Idem.  Loc.  cit.,  pag.  479. 

(71)  Grida  pubblicata  <  sup.  platea  arenghi  p.  Ambrosiù  de  septimo 
«  tubetam  die  dominico  xviiii  Januarii  Mccccc.  t> 

Citata  dal  Mazzuchelli,  pag.  350;  dai  Gnecchi,  Pref.  XXIV. 

Trovasi  per  intero  nei  manoscritti  del  Sellati. 

Forma  parte  della  cronaca  di  Ambrogio  da  Panilo  pubblicata  da  An- 
tonio Ceruti  in  «  Miscellanea  di  Storia  Italiana  »,  Voi.  XIII,  pag.  355, 
Torino,  1873. 

Nella  Trivulziana  si  conserva  di  questa  grida  un  originale  a  stampa 
corredato  da  disegni.  È  la  più  antica  grida  monetaria  stampata  che  si 
conosca. 


392  EMILIO    TAGLIABUE 


del  17  maggio  1501  si  parla  di  grossoni  da  soldi  22 
u  del  Signor  Jo.  Jacobo  Trivultio  da  spendere  a 
u  soldi  22  5^  C^s). 

Nella  dieta  d'Altdorf,  1  febbraio  1506  «  riman- 
u  dasi  ad  referendum  che  cosa  intende  trattare  coi 
u  3  Cantoni  a  cagione  della  zecca  Giov.  Antonio 
u  (Giocaro  o  Giojero)  commissario  in  Roveredo  «  C^^); 
r  Abscheid  non  dice  ove  era  la  zecca.  Offuscatosi 
colla  morte  di  G.  Giacomo  lo  splendore  del  casato 
Trivulzio  ben  diversa  divenne  la  monetazione  dell'ab- 
biatico  Gian  Francesco.  La  zecca  di  Roveredo  distin- 
tasi sotto  G.  Giacomo  per  ricchezza  ed  abbondanza 
di  tipi ,  precipita  al  livello  delle  altre  possedute 
da  piccoli  Signori  o  comuni ,  i  quali ,  giustamente 
dice  il  Promis  ,  «  tenevano  zecca  aperta  affine  di 
u  poter  emettere  impunemente  in  gran  quantità 
u  monete  basse ,  minute,  contraffatte  a  quelle  dei 
u  finitimi  grandi  stati  allo  scopo  di  ricavarne  un 
a  grosso   guadagno  "  C^^). 

Le  gride  succedono  alle  gride  contro  queste 
fabbriche  di  monete  erose,  contraffatte,  falsificate,  e 
sono  piene  di  lamentele  contro  la  malizia  degli  zec- 
chieri i  quali  u  disfano  tutti  li  boni  scuti  per  fare 
u  d'  essi  scuti  de  stampa  forense,  e  se  ne  trovano 
u  infiniti  fatti  fuori  de  le  ditte  seche  ??  C'^). 


(72)  Archivio  Civico  di  Milano  :  Lettere  ducali,  1497-1502,  folio  207-210. 

(73)  EidgenOssische  Abscheide.  Ili,  2 ,  331.  —  Emilio  Motta  ,  Le 
origini  della  zecca  di  Bellinzona  (1503).  Estratto  dalla  «  Gazzetta  Numi- 
smatica >  diretta  dal  Doti  Solone  Ambrosoli.  Como,  1886,  pag.  9. 

(74)  Domenico  Promis,  Sulle  monete  del  Piemonte.  Supplemento.  To- 
rino, 1866. 

(75)  Archivio  Civico  di  Milano  :  Lettere  ducali,  1527-1537,  folio  174. 
Grida  Monetaria  del  12  luglio  1534. 


È   DAV\^ERO    ESISTITA   LA   ZECCA  DI   MESOCCO  ?  393 

Già  al  18  Agosto  1519  Monsignore  conte  di  Foix 
et  di  Comingue  ,  signore  di  Lautrech  ,  Maresciallo 
di  Francia,  pubblicava  in  Parma  una  grida,  colla 
quale,  riducendosi  il  corso  di  tutte  le  monete,  si  ri- 
bassa pur  quello  delle  monete  di  Musso  o  trivul- 
ziane.  In  questa  grida  per  la  prima  volta  sono  no- 
minati dei  Grossi  da  soldi  6  di  Gian  Francesco  C'^). 
Al  22  ottobre  1519  segue  una  seconda  grida  dello 
stesso  Lautrech  C^"^)  eduna  terza  al  29  dicembre  1519, 
perchè  si  vuole  «  con  tutte  le  forze  dell'  ingegnio 
«  sapere  de  sua  Excellentissima  Signoria  fare  re- 
ti dure  lo  corso  dell'oro  et  Monete  al  suo  justo  peso 
«  et  debito  ordine  "  C^^).  Né  i  Confederati  tardarono 
ad  imitarlo;  a  Glarona  il  9  gennaio  1520  C^^)  stabi- 
liscono che  i  vecchi  cavallotti  trivulziani  da  soldi  7 
abbiano  il  corso  per  soldi  6  1[2  e  i  nuovi  da  soldi  7 
per  6  soldi.  Assaggi  di  monete  trivulziane  vennero 
fatti  nel  1524,  e  al  14  agosto  1527  alla  dieta  di  Lu- 
cerna si  riferisce  che  Uri,  Switt,  Unterwald,  Zug 
hanno  trovato  u  die  alten  Ròssler  die  der  Trivulz 
tt  geschlagen  die  mak  hàlt  seines  Silber  Vili  Loth 
«  Weniger  1  quintlein  "  W. 

Sotto  la  data  4  agosto  1529,  Giov.  Giorgio   de 


(76)  Gnecchi,  Op.  cit.  Pref.  XXIV.  -    ,      . 

(77)  Idem.  Op.  cit.  Pref.  XXIY. 

(78)  Raccolta  cronologica  di  Editti,  ecc.,  per  Francesco  Bellati. 
Voi.  2,  Grida  del  29  dicembre  1519. 

(79)  EidgenOssische  Abscheide.  Lucerna,  1869.  Voi.  3,  B.  pag.  1218.  — 
Liebenau,  Zur  MUnzgeschichfe,  ecc.,  pag.  97. 

(80)  EidgenOssische  Abscheide.  Brugg.,  1873.  Voi.  1  a  pag.  1147.  — 
Liebenau,  Zur  Miimgeschichfe,  ecc.,  pag.  96-98,  altre  prove  di  m.onete  fatte 
a  Lucerna  nel  1517-1518-1619. 


394  EMILIO    TAGLI ABUE 


Albriono  (^^),  Commissario  in  Roveredo  del  Marchese 
Gian  Francesco  Trivulzio  ,  dava  in  appalto  quella 
zecca  ad  un  Dionigi  Besson  di  Lione  per  la  durata 
di  anni  sei.  Non  ci  dilungheremo  sui  patti  e  le 
convenzioni  portate  da  questo  istrumento  rimetten- 
doci ai  Gnocchi  che  per  esteso  l'hanno  riprodotto  (^2). 
Prenderemo  invece  in  esame  un  libro  di  conti  della 
zecca  di  Roveredo  che  si  riferisce  alla  lavorazione 
del  Besson  (83). 


(81)  Dei  Quattro  opuscoli  inediti  del  secolo  XVI  pubblicati  dal 
Rosmini  in  occasione  delle  nozze  di  donna  Cristina  dei  marchesi  Trivnlzio, 
Milano,  1819,  tre  (il  I,  II  e  III)  sono  di  questo  Giov.  Giorgio  d'Albriono, 
nominato  anche  dal  Rebucco  come  segretario  di  Gian  Giacomo. 

Nella  Biblioteca  Triv.ulzio,  Cod.  n.  2113,  cartaceo  in  folio  piccolo  del 
secolo  X7I,  si  conservano  gli  originali  di  questi  tre  opuscoli  unitamente 
ad  un  altro.  Soii  lettere  che  trattano  argomenti  storici.  Ne  riportiamo  i 
titoli. 

«  —  La  incoronatione  de  la  regina  Biancha  sorella  del  re  de  Inghil- 
«  terra  et  molier  del  re  Aloysio  de  Franza  a  di  4  Novembre  1514.  » 

«  —  La  intrata  qual  fece  la  prefata  regina  Biancha  dentro  de  Paris: 
«  fu  alli  7  de  Novembre  de  l'anno  1514.  » 

«  —  Lo  ordine  de  le  exequie  del  re  Aloysio  de  Franza  facto  in  Paris 
e  a  di  10  de  Zenaro  Tanno  1515.  > 

«  —  La  intrata  del  re  Francisco  de  Franza  dentro  Paris  a  di  15  do 
«  Februaro  Tanno  1515  ». 

Il  Rosmini,  nella  Prefaz.  a  questi  opuscoli  a  pag.  ix,  scrive  che  sono 

<  di  stile  rozzissimo  e  proprio  da  uomo  idiota  onde  io  credo  fosse  semplice 

<  cameriere.  >  11  Rosmini  erra  nel  suo  giudizio.  L'Albriono,  come  segre- 
tario di  Gian  Giacomo,  figura  in  una  lista  del  personale  addetto  a  casa 
Trivulzio  (Archivio  Trivulzio,  Cart.  2255)  e  qui  vediamo  che  il  nipote  Gian 
Francesco  lo  aveva  nominato  Commissario  in  Mesolcina.  Il  suo  stile  è  rozzo 
ma  non  da  idiota,  né  idiota  lo  mostra  il  libro  d'amministrazione  del  quale 
ci  occuperemo  più  avanti,  libro  tenuto  con  cura  e  precisione  ammirabile. 

(82)  F.  E.  Gnecchi,  Op.  cit.,  pag.  47.  Notiamo  però  che  a  questi  patti 
si  fecero  alcune  modificazioni;  così  il  diritto  di  zecca,  invece  di  20  soldi 
di  Milano,  si  stabilì  in  otto  soldi  imperiali  per  marco  d'argento. 

(83)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  12.  Conti  posti  al  principio  di 
un  grosso  libro  d'amministrazione,  manoscritto  del  commissario  Giovanni 
Giorgio  d'Albriono.  Dopo  questi  conti  il  libro  contiene  la  trascrizione  dì 
molti  documenti ,  e  gran  numero  di  registrazioni  e  notizie  riguardanti  il 
feudo  di  Mesocco. 


È    DAVVERO    ESISTITA   LA    ZECCA    DI    MESOCCO  ?  395 

Al  Besson  era  compagno  e  socio  un  Gabriele 
Tatti  ;  incaricato  di  sorvegliare  la  zecca  nell'  inte- 
resse del  Trivulzio  lo  stesso  Albriono,  il  quale  per 
questa  sua  mansione  aveva  dal  Besson  «  areson  de 
((  dinarij  sei  Imperiali  per  chaduno  marco  di  opera 
«  di  argento  »  C^^),  rimanendogli  però  sospeso  lo  sti- 
pendio di  commissario  di  lire  imperiali  356.  Sorve- 
glianza forse  non  troppo  scrupolosa,  perchè  fra  tante 
qualità  e  quantità  di  monete  tre  soli  pezzi  vennero 
spediti  a  Gian  Francesco  per  l'assaggio.  Lavorarono 
durante  questo  periodo  come  stampatori  :  —  I  tre- 
Compagni  di  Bellinzona  —  Angustino  d'  Ascona  — 
Tatteo  Bonalin  (forse  di  Roveredo)  —  Benedetto 
Ghiringhello  —  Enrico  Guazoro  —  Stefanino  Ma- 
gona   —  Salvino  Nicola    —  Cristoforo  Varrone. 

Per  riordinare  la  zecca  spese  l'Albriono  u  lire 
a  imperiali  628,  soldi  13,  den.  9  per  far  riparare  la 
u  zecca  ed  altre  piccole  spese  alla  camera  e  canova 
u  e  stalla  del  Palazzo  ^  (S^). 

Riportiamo  in  Appendice,  doc.  8,  le  registrazioni 
del  mese  di  settembre  e  nel  prospetto  seguente  i 
principali  dati  della  monetazione  del  Besson ,  che 
va  dal  24  agosto  1529  al  15  maggio  1530. 


(84)  Così  nel  registro  di  zecca.  Dopo  il  15  maggio  1530  a  tutto  il  1534 
è  registrato  nuovamente  il  pagamento  di  356  lire  imperiali,  stipendio  del 
Commissario  «  perchè  il  Sig.  Marchese  non  volle  lasciar  lavorare  la  zecca  ». 

(85)  Come  sopra,  registrazione  dell'Albriono. 


S96 


EMILIO    TAGLIABUE 


PROSPETTO 

dell'argento  lavorato  nella  zecca  di  roveredo 
dal  23  Agosto  1529  al  15  Maggio  1530. 


\ 

ARGENTO 

DATO  IN 

LAVORAZIONE 

CESALIA 

ARGENTO 

DIRITTO 
DI     ZECCA     A 

(87) 

MONETATO 

SOLDI  8 
PER  MARCO 

1529 

AGOSTO  e 

2^ 

8 

1 

1 

1 

1 

PI 

1 

<-> 

o 

1 

<< 

1 

SETTEMBRE  . 

1221 

— 

— 

34 

— 

— 

1187 



— 

474 

16 

— 

ottobre  .  .  . 

2166 

7 

12 

30 

— 

— 

2130 

7 

12 

854 

16 

— 

NOVEMBRE . . 

116 

3^2 

— 

— 

3l|2 

— 

IIG 

— 

— 

46 

8 

— 

DICEMBRE  .  . 

336 

^l2 

— 

1 

M2 

— 

335 

— 

— 

134 

— 

— 

1530 

GENNAIO  .  .  . 

836 

6 

6 

10 

2 

12 

820 

3 

18 

330 

11 

9 

Argento  per  doble 

3 

4 

4 

— 

— 

— 

3 

4 

4 

9 

9 

— 

FEBBRAIO.  .  . 

950 

1 

6 

2 

1 

— 

948 

— 

6 

379 

4 

3 

Arg.  per  ^2  doble 

1 

2 

1 

— 

— 

1 

2 

1 

3 

10 

— 

MARZO 

363 

3 

1 

3 

2 

— 

360 

.1 

1 

144 

1 

0 

Arg.  per  %  doble 

1 

5 

- 

— 

— 

— 

1 

5 

— 

4 

11 

— 

APRILE 

272 

1 

12 

3 

— 

— 

269 

1 

12 

107 

13 

6 

Arg.  per  ^2  ^^^^^ 

2 

— 

— 

— 

— 

— 

2 

— 

— 

5 

12 

— 

MAGGIO 

Totale  .... 

58 
6329 

5 

7 

18 

85 

7 

— 

57 

6 

7 

6- 

23 

2 

— 

12 

6244 

2617 

15 

— 

(86)  Domenico  Promis,  Monete  della  zecca  d' Asti.  Torino,  1853,  pa- 
gina 33.  Il  marco  di  Piemonte  equivaleva  a  grammi  245,896  1/3. 

H  marco,  misura  pei  metalli  preziosi,  si  divideva  in  8  once;  l'oncia 
in  8  grossi  o  in  24  denari,  il  grosso  in  72  grani,  e  il  denaro  in  24  grani. 
Dne  marchi  formavano  la  libbra. 

(87)  Calo,  scarto,  avanzo  della  monetazione. 

(88)  La  lira  imperiale  valeva  20  soldi,  il  soldo  12  denari.  Al  tempo 
deirAlbriono  uno  scudo  si  calcolava  112  soldi  imperiali. 

H  carbone  per  la  zecca  al  sacco  costava  lire  1  e  soldi  4, 


k    DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO? 


597 


Sono  adunque  marchi  d'  argento  6329,  once  7, 
denari  18  di  lega  alla  bontà  della  zecca  di  Saluzzo, 
che  servirono  a  battere  le  seguenti  qualità  e  quan- 
tità di  monete.  Ci  atteniamo  strettamente  al  registro 
dell' Albriono  per  la  loro  denominazione. 

Qualità  e  quantità  della  moneta  battuta  da  Dio- 
nigi Besson  e  Gabriele  Tatti  nella  zecca  di 
roveredo,  dal  23  agosto  1529  al  15  maggio  1530. 


qualità 


1.  —  Denari  da  un  soldo 

2.  —  Denari  da  un  soldo  e  dae   denari    .     . 

3.  —  Soldini  (89) 

4.  —  Trine,  trilline,  traine  o  terline  (90) .     . 

5.  —  Denari  da  tre  soldi 

6.  —  Mezzi  cavallotti  da  113  pezzi  per  marco 

7.  —  Denari  da  bazi  uno,  cioè  da  soldi  4  e 
denari  6,  da  pezzi  73  al  marco 

8.  —  Cavallotti  da   soldi  5  e  mezzo  a  pezzi 
67  per  marco 

9.  —  Mezze  doppie  da  1  scudo  l'uno  a  pezzi 
67  per  marco  di  Milano 

10.  —  Denari  da  7  soldi  a  pezzi  45  per  marco 

11.  —  Cornoni  da  pezze  45  per  marco  (91)     . 

12.  —  Denari  da  3  bazzi ,  a  pezzi  27  per 
marco  (92) 

13.  —  Testoni  della  Madonna  colla  leggenda 
QUEM .  GENVIT .  ADORA VIT .  a  pezzi  25  per 
marco  (93)    . .,    .     . 


o  «^ 

S     CU 


904 

10001 

28028 

561 
26297 
33848 

75600 
378 


Peso  lordo 


10 
1 
139 
1436 
12 
8 

137 

418 

8 

684 
752 

2800 
15 


12 
12 


19 
18 


(89)  Soldino,  forse  corrispondeva  al  sezzino  dì  Piemonte  o  raezzo  soldo 
di  grani  20  o  grammi  1,067,  o  grani  22  uguali  a  grammi  1,174.  Vedi 
Promis,  Sulle  monete  del  Piemonte.  Supplemento.  Torino,  1866,  pag.  83. 
Forse  è  adoperato  come  diminutivo  di  soldo. 

(90)  La  terlina  o  treina  valeva  denari  3  ossia  1/4  di  soldo.  Nella  zecca 
di  Milano  se  ne  stampavano  245  per  marco.  Vedi  Luigi  Eepossi,  Milano  e 
la  sua  zecca.  Torino,  1876,  pag.  169. 

(  Vedi  il  seguito  delle  note  alla  pagina  seguente). 


5i 


308  ■-  EMILIO     TAGLIABUE 


Lo  spoglio  del  libro  dei  Conti  della  zecca  di 
Roveredo  dimostra ,  che  sotto  Gian  Francesco  Tri- 
vulzio  la  zecca  era  una  fabbrica  di  monete  erose.  I 
Gnecchi  ci  danno  la  descrizione  di  20  tipi  e  varianti 
di  questa  monetazione  ;  fra  essi  non  ne  troviamo 
alcuno  di  quelli  registrati  nei  libri  dell'  Albriono. 
Bisogna  ritenere  eh'  essi  andarono  perduti  o  confusi 
coi  vecchi  conii  di  Gian  Giacomo  o  d'altre  zecche  (9^), 
e  non  sono  dai  numismatici  attribuiti  a  G.  Francesco 
Trivulzio. 

Così  non  si  conoscono  i  testoni  della  Madonna, 
i  denari  da  un  soldo  e  due  denari,  da  soldi  quattro 
e  denari  sei,  ecc.,  che  pur  figurano  nel  registro  del- 
l'Albriono. 

Certo  Roveredo  era  una  delle  zecche  che  si  fa- 
ceva lecito  a  disfare  li  boni  scuti  per  fare  d'essi  scuti 


(91)  Imitazione  dei  Cornabò  del  Monferrato  i  quali  pesavano  appunto 
d.  4,  s.  6.  Vedi  Promis,  Monete  dei  Paleologi.  Torino,  1858,  pag.  31.  Corri- 
spondono alle  monete  segnate  dai  Gnecchi  come  cavallotti  dal  6  al  10. 
Op.  cit.,  pag.  21. 

(92)  Questi  denari  da  3  bazzi  sono  le  monete  chiamate  nelle  gride 
bianchi  o  bianchont  ed  or  conosciuti  col  nome  di  testoni.  I  Gnecchi  ne  descri- 
vono 3  tipi.  Due  hanno  la  testa  con  la  leggenda  FRANCISC.  TRIVL.  MAR. 
VIGLE.  E.  C.  e  San  Biagio  nel  rovescio.  Il  terzo,  invece  del  Santo,  ha  lo 
stemma  dei  tre  pali  in  uno  scudo  a  testa  di  cavallo  e  intorno  la  leggenda 
MAR.  VIGLE.  ET.  CASTRI.  NOVI.  C.  M.  Dalla  parte  della  testa  si 
legge  FRANCISCVS.  TRIWLTIVS  ;  questo  tipo  corrisponde  alla  descri- 
zione dei  bianchi  trivulziani  data  dal  Leyva  in  una  grida  monetaria.  (Vedi 
avanti  n.  95). 

(93)  Su  questo  disegno  G.  Giacomo  battè  il  doppio  testone  del  quale 
se  ne  conosce  un  tipo.  (Vedi  Gnecchi,  Op.  cit.,  pag.  4,  n.  7)  il  testone  (Idem, 
Op.  cit.,  pag.  5,  n.  8,  9,  10)  il  mezzo  testone  (Idem,  Op.  cit.,  pag.  5,  n.  11) 
e  il  quarto  di  testone  (Idem,  Op.  cit.,  pag.  5,  n.  12)  e  Tav.  1,  n.  7,  8,  9. 
Monete  di  Gian  Francesco  di  questo  tipo  sono  sconosciute. 

(91)  Eidgenossische  Abscheide,  dell'anno  1550,  n.  379.  —  Liebenau,  Die 
von  Uri  y  Schwyz  und  Unterwalden  gemeinschaftlich  gepnìgten  Miinzen. 
In  «  Bulletin  de  la  Société  suisse  de  Numismatique  »  Band  VII.  Basel,  1888, 
pag.  106.  Nel  1550  si  temeva  che  i  vecchi  stampi  della  zecca  di  Bellinzona 
fossero  stati  dalla  casa  di  Alessio  Tutsch  trafugati  a  Roveredo, 


È    DAVVERO   ESISTITA   LA    ZECCA   DI    MESOCCO  ? 


3^ 


tt  de  stampa  forense.  »  Di  nove  conii,  avanzi  del  mate- 
riale deir  antica  zecca  (^5),  che  noi  abbiamo  potuto 
aver  fra  mano,  neppur  uno  è  trivulziano.  Omettendo 
tre  doppi,  diamo  il  disegno  degli  altri  sette,  interes- 
santi, perchè  accertate  falsificazioni  di  questa  zecca. 


B 


D 


(95)  A  mezzo  deiregrogìo  amico  avv.  Nicola. 


400  EMILIO    TAGLÌABUE 


Eccone  la  descrizione  : 

A)  VENEZIA  —  Andrea  Gritti  (1523-38). 

Scudo  d'oro. 
^  —  ^  ANDREAS  •  GRITI  •  DVX  •  VENETIAR  • 

Croce  gigliata. 
1^    —  *  SANCTVS  •  MARCVS  •  VENETVS  • 

Leone  in  soldo  entro  uno  scudo  {Padovan,  pag.  30). 

B)  FKANCIA  —  Francesco  1  (1514-46). 

Scudo  d*oro  del  sole, 

/©'  —  FRANCISCVS  :  D  :  G  :  FRANCOR  :  REX  : 

Scudo  coronato  coi  tre  gigli.  Al   disopra  il  sole. 
9/    —  *  XPS  :  VINCIT  :  XPS  :  REGNAI  :  XPS  :  IMPER  : 

Croce  gigliata  accantonata  in  due  lati  opposti  da  un  F 
coronata. 

C)  PIACENZA  -  Paolo  III  (1534-45). 

Scudo  d'oro. 

^'    -  PAV  •  III  •  P  •  M  •  PLAC  •  D  • 

Stemma  Farnese  sormontato  dalle  chiavi  e  dal  triregno. 
9I    —  *  NON  •  ALIVNDE  •  SALVS  • 
Croce  gigliata  accantonata  dalle  lettere  p  •  L  •  A  •  C  • 

D)  GENOVA  —  Dogi  biennali  ? 

^  —  Manca. 

9/    —  +  CONRADVS  •  REX  •   ROM   •  CC  • 

Croce  accantonata  da  un  punto. 

Nei  primi  mesi  di  lavoro,  stampò  il  Besson  circa 
75600  pezzi  da  bazzi  tre  :  conosciuta  la  loro  pessima 
lega,  cambiò  tipo,  attaccandosi  di  preferenza  alle  mo- 
nete che  pel  tenue  loro  valore  più  facilmente  si  po- 
tevan  spacciare.  Ma  inutilmente  ;  esuberanti  pel  con- 
sumo locale,  bisognava  esportale  e  divenendo  la  cosa 


È   DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA    DI    MESOCCO  ?  401 

Ogni  giorno  più  difficile,  la  produzione  diminuì  ra- 
pidamente finché  al  16  maggio  u  M.  Dionisio  se  ne 
«  fugito  et  la  Cecha  non  ha  poi  più  lavorato  «. 

Questa  notizia  senza  altro  commento  ci  è  data 
dall'Albriono;  al  suo  laconismo  cercheremo  supplire 
col  gridario  milanese. 

Ai  15  ottobre  1529(^6)  Antonio  Leyva  governa- 
tore del  ducato,  pubblicava  una  grida  a  regolare  il 
corso  delle  monete  e  bandire  quelle  in  straordinaria 
quantità  importate  dalle  zecche  piemontesi.  Sei  giorni 
dopo  aggiungeva  :  «  E  perchè  novamente  sono  com- 
«  parsi  certi  bianchi  (^7)  quali  hano  da  una  parte 
«  una  testa  e  da  l'altra  Tarma  triulcescha  quali 
c(  sono  di  manca  bontà  etiam  de  manco  peso  de  li 
«  altri,  perciò  se  li  dà  bando,  che  non  se  possano 
((  spendere  ricevere  ne  tenire  sotto  pena  de  perdere 
«  ditti  bianchi  et  de  pagare  per  uno  quattro  ap- 
«  plicando  ut  supra  ». 

Al  30  genn.  1530,  Francesco  II  Sforza  bandisce 
tutte  le  monete  delle  zecche  di  «  Casale  S/°  Evaxio, 
c(  Dexana  ,    Salutio  ,    Crevacuore  ,    Valtaro  ,    Belin- 


(96)  Francesco  Bellati,  Raccolta  cronologica,  ecc.  Voi.  2,  pag.  123. 

(97)  Giovanni  Mulazzani,  Studi  economici  sulle  monete  di  Milano. 
In  «  Rivista  italiana  di  Numismatica  ».  Milano,  1888.  Fase,  m,  pag.  301. 
Denominazione  a  noi  derivata  dalla  Francia,  usata  pel  basso  biglione 
accuratamente  imbiancato. 

Il  Mulazzani  cita  la  grida  di  Francesco  II  Sforza  del  1530  come  la 
prima  che  parli  di  bianchi.  La  nostra,  come  si  vede,  è  anteriore;  delle 
monete  importate  dal  Piemonte  dice  «  Alchuni  bianchoni  maximamente 
«  per  lo  augmento  loro  intollerabile  de  soldi  XVII  a  XVI.  »  Ma  monete 
bianche  d^arzento  son  già  nominate  nella  grida  del  22  settembre  1501. 
(Vedi  Archivio  Civico  di  Milano.  Lettere  ducali  dal  1497-1502  folio  251). 
Anche  negli  Eidgen.  Absch,  si  citano  dei  blanken  come  monete  italiane. 
Zurich,  1876.  Voi.  4,  1,  b.  Losanna,  29  marzo  1530. 


402  EMILIO    TAGLIABUE 


«  zona,  Mixocho  »  e  fissa  che  i  bianchi  non  banditi 
si  debban  ricevere  per  soldi  14  e  i  vecchi  cavallotti 
«  del  Sig.  Jo.  Jacobo  permissi  per  soldi  6  che  si 
c(  spenderanno  invece  a  soldi  5  e  denari  6  (^8)  »  ;  si 
permise  però  che  le  monete  bandite  avessero  ancora 
corso  per  un  mese  ,  purché  portati  entro  15  giorni 
dai  Commissari  sulle  monete  a  segnare  con  appo- 
sito bollo.  I  maligni  zecchieri  ne  approfittano  ,  e 
al  30  marzo  di  queir  anno  una  nuova  grida  si  la- 
menta «  habino  fabricato  uno  novo  Ingano  cioè  in 
«  hauere  facto  uno  falso  bollo  col  quale  segnano  i 
«  bianchi  di  pegiore  sorte  et  boutade  de  li  vegi  »  W. 
Infine  colla  grida  del  5  maggio  1530  si  stabilisce  il 
corso  dei  cornoni  a  soldi  sei  e  dei  bianchi  da  soldi 
tredici  a  soldi  dodici  e  quelli  da  soldi  quattordici  a 
tredici,  ordinando  che  i  bianchi  e  cornoni  già  ban- 
diti non  si  possano  più  spendere  per  prezzo  alcuno. 

Ecco  come  restò  arenata  V  onesta  industria  del 
Besson. 

Le  registrazioni  dell'Albriono,  nel  libro  che  ab- 
biamo preso  in  esame,  vanno  sino  al  1543  ;  cessano 
per  la  zecca,  al  15  maggio  1530. 

Tacque  essa  durante  questo  periodo?... 

Nel  1531  si  regolò  nella  Mesolcina  il  corso  delle 
monete.  Convenuti  in  Lostallo  ,  al  13  febbraio  di 
quell'anno,  gli  uomini  della  valle  approvarono  con 
altri  statuti  il  seguente  capitolo  (^^). 


(98)  Francesco  Bellati,  Raccolta  cronologica,  ecc.  Voi.  Il,  pag.  125. 

(99)  Idem,  idem,  voi.  IL  Grida  del  30  marzo  1530. 

(100)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart,  10.  Cod.  in  pergamena  del 
secolo  XVI  scritto  dal  notajo  Giov.  Pietro  fu  Q.  Gottardo  Bolzoni  da  Grono. 
Sono  nominati  come  presenti  all'adunanza  tre  Vicari,  i  due  soliti  di  Me- 
socco  e  Roveredo  e  un  terzo  di  Calanca. 


k   DAVVERO   ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  403 

De  Vallttudine  Monetarum. 

Item  statutum  est  quod  omnis  valuta  denariorium 
videlicet  tam  auri  quam  monete  anno  in  antea  MVXXXl 
haheat  cursum  in  toto  eo  modo  et  forma  prout  habet 
in  liga  Grixa;  salico  si  contingeret  aliquem  forensem 
esse  creditorum  alicuius  persone  diete  vallis  quod  dicto 
creditori  fiat  sohctio  ad  valorem  auri  vel  argenti  prout 
expenduntur  in  jurisdictione  dicti  forentis. 

Il  Mazzuchelli  (l^l)  cita  alcuni  capitoli  e  contratti 
di  zecca  intervenuti  al  15  settembre  1537  tra  il  mar- 
chese Gian  Francesco  Trivulzio  e  il  maestro  di  zecca 
Gian  Battista  d'Appiano  (^^2);  capitoli  riprodotti  in 
extenso  dai  Gnecchi,  unitamente  a  cinque  tavole  di 
disegni,  eseguiti  dal  Trivulzio  per  la  zecca  (i^^)  ;  non 
possiamo  assicurare  se  veramente  Gian  Battista  d'Ap- 
piano lavorò  a  Roveredo,  né  per   quanto  tempo. 

Nella  Mesolcina,  le  leggi  vietavano  sotto  commi- 
natoria di  severissime  pene  il  commercio  dei  metalli 
preziosi  in  verghe,  grani,  fili,  bolzonaglie,  a  chi  non 
fosse  orefice  o  zecchiere.  Un  codice  della  Trivul- 
zianaC^^*^)  ci  mostra,  al  19  ottobre  1537,  il  vicario  di 


(101)  Mazzucchelli,  Op.  cit.,  pag.  353. 

(102)  Questo  maestro  di  zecca  lavorò  anche  nella  zecca  di  Milano.  In 
un  istrumento  del  29  gennaio  1505  del  notajo  Zunico  si  contengono  i  patti 
per  Tassunzìone  della  zecca  di  Milano  per  parte  di  Gio.  Torrettini  da  Lucca. 
Tra  i  soci  figura  un  Battista  d'Appiano,  fil.  quond.»"  Spect.  domini  Johannis 
abit.  in  S.  Protaso  ad  monacos. 

Notizia  cortesemente  fornitaci  dall'amico  E.  Motta  che  presto  pubbli- 
cherà questo  importante  ed  inedito  documento. 

(103)  Gnecchi,  Op.  cit.,  pag.  49.  Tav.  N.  1,  2,  2  a,  2  ò,  2c. 

(104)  Archivio  Trivulzio.  Araldica  Cart.  11.  Coi  Cartaceo,  ideilo  stesso 
Archivio,  copia  al  Cpd.  2^53, 


404  EMILIO    TAGLIABUE 


Roveredo,  Giovanni  Pietro  Bottanello,  che  ad  istanza 
del  Commissario  Giovanni  Giorgio  d'Albriono,  apre 
un  processo  contro  alcuni  uomini  di  Mesocco,  i  quali 
sulla  piazza  di  Roveredo  furon  veduti  a  vendere 
oro  filato.  La  cosa  non  ebbe  seguito. 

Dopo  ciò  poco  o  nulla  possiamo  dire  sulla  zecca 
di  Roveredo. 

L' alito  potente  di  libertà  che  la  riforma  dif- 
fondeva nella  Rezia  penetrava  nelle  vallate  poste 
al  Sud  delle  Alpi.  L'  autorità  di  Gian  Francesco  ne 
è  scossa;  insorgono  litigi  fra  i  suoi  commissari  e  i 
comuni  delle  valli,  spalleggiati  dai  Grigioni,  i  quali 
sono  i  veri  padroni  del  feudo,  come  egli  si  lamenta  C^^^) 
avanti  il  Consìglio  di  Lucerna  nel  1543  e  nel  1546. 

Nel  marzo  1546  la  zecca  non  lavorava.  Un 
inventario  di  quel  mese  ci  fa  conoscere  che  V  abi- 
tava solo  il  commissario  di  Gian  Francesco  Tri- 
vulzioaoe). 

11  superbo  palazzo  di  Roveredo,  il  quale  nei  tempi 
di  maggior  splendore  aveva  ospitato  il  vescovo  di 
Coirà,  r  abate  di  Dissentis  e  i  più  potenti  signori 
della  lega  Grigia,  cadeva  in  rovina.  Un  inventario 
contemporaneo  a  quello  della  zecca,  lo  descrive  ripo- 
stiglio di  legnami  e  di  pietre,  sguarnito  d'artiglierie, 
e  abitato  da  un  servo  di  stalla  del  commissario  C^^'^). 

Infine  a  al  nome  di  Dio  a  li  2  octobre  in  Men- 
ti drisio  neiranno  1549  »  (^^^)  il  marchese  Gian  Fran- 
cesco Trivulzio  risolve  di  rinunciare  a  tutti  i  diritti, 
beni  e  crediti  che  possedeva  nel  feudo  di   Mesocco, 


(105)  Motta,  Le  zecche  di  Mesocco^  ecc.,  pag.  170. 

(106)  Vedi  doc.  9  in  Appendice. 

(107)  Archivio  TriTulzio,  Araldic?t  Cart,  12,  Cod,  cartaceo  originale. 


È   DAVVERO    ESISTITA  LA   ZECCA  DI   MESOCCO  ?  405 

a  favore  degli  uomini  di  quelle  valli,  dietro  lo  sborso 
di  24500  scudi  d'  oro  d'Italia.  Non  è  qui  luogo  di- 
lungarci suir  istrumento  steso  per  la  vendita  :  fra 
molti  patti  e  convenzioni  rileveremo  solo  che  a  il 
«  Signore  se  riservato  in  questo  tuti  mobili  che  sono 
a  in  la  cassa  (casa)  de  la  zecha  et  le  fontane  de 
a  marmollo  che  sono  in  palazo  et  che  fatto  lo  istru- 
«  mento  de  la  vendita,  da  li  15  giorni  per  spazare  ». 

Ma  avuti  17400  scudi,  Gian  Francesco  si  penti 
della  vendita  fatta  ;  nacquero  contestazioni  e  questioni 
che  per  più  di  un  secolo  si  trascinarono  avanti  i 
tribunali  delle  Tre  Leghe  e  dell'  Impero  (^^^). 

Ma  nulla  ottenne  Gian  Francesco,  e  come  il  suo 
rappresentante  piatì  alla  dieta  di  Ilanz  «  lo  spoglia- 
«  rono  del  tuto  del  suo  possesso.  Et  missero  mano 
c<  ancora  nei  mobili  del  Sig.  Marc,  reservati  come 
sopra  »  (^^^). 

Gli  attrezzi  dell'  officina  monetaria  restarono  a 
Roveredo  inoperosi.  Nei  sotterranei  della  zecca  se 
ne  vedevano  ancora  al  principio  del  secolo;  sfortu- 
natamente nel  decennio  dal  1820  al  30,  ristaurandosi 
quei  locali,  andarono  dispersi  (m). 

Nella  casa  passata  in  proprietà  della  valle,  ebber 


(108)  Pergamena  originale  inedita  del  notajo  Lazzaro  BovoUino  Q. 
Martino  nell'Archivio  Patriziale  di  Mesocco.  Da  una  copia  in  lingua  vol- 
gare del  secolo  XVI  favoritaci  dall'avv.  Aurelio  Schenardi  di  Grono  abbiamo 
tolta  la  nostra  citazione. 

(109)  Per  questa  intricata  questione  vedi  Liebenau,  Zur  Munzgeschi- 
chte,  ecc.y  e  il  nostro  articolo  «  Un  bando  contro  le  fnonete  Trivulziane.  > 

(HO)  Archivio  Trivnlzio.  Araldica  Cari  13.  Copia  del  XVI  secolo  del 
memoriale  presentato  alla  dieta  di  Ilanz. 

(Ili)  Motta,  Le  zecche  di  Mesocco^  ecc.,  pag.  140.  Cita  8  punzoni,  sei 
dei  quali  coU'impronta  di  monete  venete,  1  di  Francesco  I  di  Francia  e  1 
di  Paolo  III  Farnese  duca  di  Piacenza. 


406  *  EMILIO   TAGLI ABUE 


sede  il  Tribunale  Criminale,  i  locali  della  tortura  e 
tutti  gli  ufìS.ci  del  vicariato  di  Roveredo  (^^2)  ^  {  sot- 
terranei servirono  da  prigione  C^^^),  ma  malgrado  la 
mutata  destinazione,  la  casa  continuò  a  chiamarsi  la 
zecca.  E  zecca  si  chiama  ancora  oggigiorno,  come 
al  tempo  in  cui  u  Domino  Azino  da  Lecco  «  com- 
perava legname  per  conto  del  «  prestantissimo  Conte 
«  Jo.  Jacobo  Trivultio  ». 

Entrando  in  Roveredo  sulla  sponda  diritta  della 
Moèsa,  per  chi  ascende  la  valle,  al  di  là  del  ponte 
che  attraversa  il  fiume,  spicca  fra  tozze  costruzioni 
l'antica  zecca  Mesolcinese ,  attualmente  sede  del 
Tribunale  del  Distretto  Moèsa  e  degli  uffici  del  Cir- 
colo di  Roveredo.  Le  finestre  di  varie  forme  e  gran- 
dezze, disposte  irregolarmente  e  difese  da  grosse 
inferriate  a  maglia  intrecciata;  la  porta  bassa  ad 
arco  intero,  foderata  d'arruginita  lamiera  (i^^)  •  i^  torre 
delForologio  ;  le  travature  rozzamente  scolpite,  carat- 
terizzano l'edificio  che  Gian  Giacomo  Trivulzio  fab- 
bricò e  destinò  ad  uso  della  zecca. 

A  tramontana,  sull'altra  sponda  del  fiume,  un'an- 
tica costruzione  specchia  le  nere  muraglie  nelle  lim- 
pide acque  della  Moésa. 


(112)  In  varie  cellette  si  vedono  ancora  infissi  nei  muri  i  grossi  anelli 
di  ferro  ai  quali  si  attaccavano  i  prigioni. 

(113)  In  molti  processi  della  prima  metà  del  secolo  XVII  contro  indi- 
ziati di  stregheria  da  noi  veduti  in  Valle,  si  parla  sempre  della  casa  della 
zecca  «  in  domo  zoche  in  loco  solito  »  come  luogo  ove  si  radunava  il 
tribunale  Criminale ,  si  inquisivano  gli  imputati ,  si  tenevano  i  prigioni. 
Alcuni  di  quegli  infelici,  vittima  dell'ignoranza  dei  tempi,  vennero  giusti- 
ziati nelle  carceri,  altri  vi  perirono  di  spavento  e  per  gli  strazii  della  tor- 
tura «  et  eius  cadaver  sepultum  fuit  sub.  Zecha  ». 

(114)  Questi  particolari  corrispondono  all'inventario  del  1546.  L'interno 
df^lla  casa  ancor  meglio  conserva  il  carattere  antico  ;  lo  prigioni  sono  pic- 
colo e  oscure  celle,  duo  piani  sotto  il  suolo. 


È    DAVVERO    ESISTITA  LA   ZECCA   DI   MESOCCO?  407 

Una  larga  fossa  cinge  quei  fabbricati,  occupati 
da  stalle  e  fienili ,  guardati  da  una  torre  diroccata 
che  dalle  vuote  feritoie  melanconicamente  spia  la 
strada,  ed  il  superbo  panorama  delle  Lepontie. 

Le  capre  pascolano  nei  fossati,  i  rovi  nascon- 
dono i  crepacci  delle  mura  e  il  libero  montanaro 
quasi  ha  dimenticato  che  quelle  povere  stalle  erano 
temuta  abitazione  dei  Signori  della  valle,  che  vi  al- 
bergarono conti  e  marchesi,  vescovi  ed  abati,  ch'erano 
insomma  «  el  bel  palatio  munito  di  molta  artiglieria  » 
residenza  dei  Conti  di  Sacco  e  dei  Trivulzio. 

Emilio  Tagltabue. 


,/ 


y 


408  EMILIO   TAGLIABILE 


DOCUMENTI   INEDITI  W 


1. 

KiMPERATORE  FEDERICO  III  CONFERMA  A  G.  G.  TrIVULZIO  LA  COM- 
PERA FATTA  DAL  CONTE  GlAN  PlETRO  DE  SaCCO  DEL  FEUDO  DI 
MeSOCCO,  aggiungendo  agli  altri  privilegi  quello  DI  BAT- 
TERE MONETA. 

Norimberga,  18  Noyembre  1487  (b) 


Fridericns  divina  favente  clementia  Eomanorum  Iraperator  semper 
Angustus,  Ungarie,  Dalmatie,  Croatie  etc.  Eex  ac  Austrie,  Stirie,  Karintie 
et  Corniole  Dux,  Domìnus  Marchie  Sclavonice  ac  Portus  Naonìs,  Comes  in 
Habspurg,  Tirolis  Zerretis  et  in  Kiburg,  Marchio  Burgorie  et  Landegravius 
Alsatie,  ad  perpetuam  rei  memoriam  notum  facimus  presentium  tenore 
nniversis  quamquam  inter  ardua  reipublice  nostre  negotia  nobis  prò  debito 
Imperatorie  Maiestatis  ad  quam  divina  providentia  evecti  sumus  obeunda 
vorsantes  eisdem  assidua  solicitudine  animum  nostrum  devoverimus  nihilo- 
minus  tantum  munificentie  et  liberalitatis  nostre  studium  his«  qui  se  nobis 
ac  Sacro  Imperio  fide  et  obsequio  priomptiores  exhibent  libenter  impartimur 
ut  nostris  cumulati  benefìtiis  ac  onoribus  adaucti  tanto  devotius  sacras 
venerentur  infulas  ;  quanto  magis  se  earum  autoritate  noverint  esse  subii- 
matos,  sane  prò  parte  nobilis  jo.  jacobi  trivultii  equitis  aurati  ac 
CoMiTis  MosACHi  nostri  ac  Sacri  Imperli  fidelis  dilecti  nobis  humiliter 
extitit  supplicatum.  Cum  alias  idem  Jo.  Jacobus  pros  se  suisque  heredìbus 
ac  successoribns  quibucunque  Castrum  Mosachi  situm  in  coerentiis  cura 
valle  Misolcina  eidem  Castro  adherenti  cum  omnibus  honorantiis  pertinen- 
tiis,  juribus,  actionibus,  dignitatibus,  prerogativis,  privilegìis,  gratiis  et 
donationibus  universis  una  cum  titulo  comitatus  in  eum  traslato  uti  alodialia 
et  libera  bona  a  quodam  Jo.  Petro  de  Sacho  Comito  Henrici  Comitis  filio 


(a)  I  documenti  inediti  che  pubblichiamo,  togliendoli  dall'Archivio  Trivulzio,  li  dobbiamo  alla  gentilezza 
ed  all'amore  agli  studi  del  Prìncipe  Gian  Giacomo  Trivulzio  il  quale,  non  solo  ci  permise  lunghe  e  pa- 
zienti ricerche  nell'Archivio  stesso,  ma  ci  diede  ogni  comodità  per  la  loro  trascrizione. 

(fr)  Copia  in  pergamena  nell'Archivio  Trivulzio  Araldica  Cat-t.  il,  eseguita  dai  notai  Gabriele  de 
Sovico,  Andrea  de  Carbonari  e  Galeazzo  Visconti  le  cui  firme  sono  autenticate,  sotto  la  data  27 
Maggio  1606,  dagli  Abbati  del  Collegio  dei  Notai  di  Milano. 

Copia  di  questa  pergamena,  trovasi  anche  nel  manoscritto  del  Mazzuchelli  ,  Copia  d'Atti  e  PriviUgi 
relativi  aOe  Ztcch*  d*"  Tritulti,  che  8i  conserva  Della  Biblioteca  di  Brera  in  Milano.  Segnato  G.  N.  - 
N.  IV.  1113. 


È    DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  409 

legitimo  emptionis  titulo  acquisivisset  prout  in  litteris  et  instrumentis  de- 
super editis  latius  ac  plenius  contineatur  qaod  nos  huiusmodi  venditionis 
contractum  seu  Instrumentum  omniaque  et  singola  in  eo  contenta  que 
hic  prò  expressis  haberi  volumus  ipsumque  Comitatus  titulum  ac  iura, 
indulta,  libertates,  immunitates,  gratias,  honores,  horaagia,  donationes, 
concessiones  universaque  et  singula  eius  privilegia  alias  concessa  uti  et 
possidere  solita  et  non  solita  cum  omnibus  pertinentiis,  datiis,  gabellis,  pe- 
dagiis,  exactionibus  et  tributis  ac  aliis  oneribus  etiam  apponi  non  solitis, 
ordinariis  et  extraordinariis,  realibus  et  personalibus  atque  mixtis  et  aliis 
quibuscumque  prò  ipso  Jo.  Jacobo  supplicante  et  prò  suis  successoribus 
non  attento  dicto  venditionis  modo  sub  certis  modo  et  forma  inferius  dic- 
tandis  et  in  dicto  venditionis  Instrumento  minime  expressis  de  benigni- 
tatis  nostre  clementia  approbare,  innovare,  ratificare,  confirmare  et  de  novo 
concedere  et  gratiose  largiri  et  amplioribus  libertatibus,  privilegiis,  exemp- 
tionibus  et  immunitatibus  et  presertim  facultate  cudendi  monetam 
AUREAM  ET  ARGENTEAM  DOTARE.  Quodque  sucessiouem  ipsam  hereditariam 
dicti  Castri  et  Comitatus  Mosachi  ad  primogenitos  suos  natos  vel  nascituros 
restringere  ipsisque  omnem  alienandi  facultatem  de  plenitudine  potestatis 
nostre  Imperatorie  adimere  dignaremur  Nos  itaque  etsi  prò  debito  offitii 
nostri  tum  prò  innata  nobis  clementia  subiectorum  saluti  comodis  et  incre- 
mento intenti  sumus  et  eorum  precibus  aures  benivolas  volentes  preboamus, 
tamen  attendentes  fidem  et  integritatem  prefati  Jo.  Jacobi  Trivulti  quibus 
apud  nos  probatorum  virorum  testimonio  sedulo  commendatur  tum  et  ob- 
sequia  que  majores  sui  sacro  Imperio  exibuerunt  et  ipse  in  futurum  ex- 
hibere  potest  et  debebit  tanto  sibi  ad  gratiam  faciendam  sumus  liberaliores 
et  ipsius  precibus  benignìus  inclinamur  quanto  illius  ac  majorum  suorum 
benemerita  in  nos  ac  Sacrum  Imperium  noscuntur  esse  malora:  bis  itaque 
pensatis  non  per  crrorem  aut  per  importunitatem  petentis  sed  animo  deli- 
berato sacro  principum,  baronum,  procerum,  nobilium  et  fidelium  nostrorum 
accedente  Consilio  auctoritate  Romana  Imperiali,  de  certa  nostra  scientia 
dictum  venditionis  contractum  de  prefato  castro  Mosachi  initum  et  factum 
cum  omnibus  suis  punctis,  clausulis,  articulis  et  tenoribus  de  verbo  ad  vor- 
bum  prout  in  dicto  venditionis  Instrumento  comprehenduntur  quos  hic  prò 
oxpresse  insertis  habere  volumus  ipsumque  Comitatus  titulum  ac  iura,  in- 
dulta, libertates,  immunitates,  gratias,  honores,  homagia,  donationes,  conces- 
siones universaque  et  singula  eius  privilegia  alias  concessa  uti  et  pos- 
sideri  solita  et  non  solita,  cum  omnibus  pertinentiis  suis,  datiis,  gabellis, 
pedagiis,  exactionibus  ac  tributis  ac  aliis  oneribus  etiam  apponi  non 
solitis  ordinariis  et  extraordinariis,  realibus  et  personalibus  atque  mistis 
et  aliis  quibuscumque  prò  ipso  supplicante  non  attento  venditionis  modo 
supradicto  auctoritate  et  scientia  predictis  approbavimus,  ìnnovavimus,  ra- 
tificavimus,  confirmavimus  et  concessimus  ac  presentium  tenore  appro- 
bamus,  innovamus,  ratificamus,  confirmamus  et  de  novo  concedimus  ita 
quod  ipse  et  ejus  heredos  primogeniti  dumtaxat  et  deìnde  eiusdem  sui 
primogeniti  primogenitus ,  ita  deinceps  gradatim  de  primogenito  in  suum 
existentem   vel  futurum   primogenitum  usque   in  finem  linee  recte  primo- 


410  EMILIO    TAGLIABUE 


genitorum  descendendo.  Qua  deficiente  qui  secundo  post  illum  primoge- 
nitnm  ex  dicto  Jo.  Jacobo  genitus  fuerit,  et  sic  successive  ordine  pri- 
mogeniti sui  nati  vel  nascituri  et  primogeniti  eorum  primogenitorum 
usque  in  infinitum,  quibus  prorsus  deficientibus  primogeniti  post  illum 
secundum  tertio  et  successive  primogeniti  quarto  tertio  cum  sua  genelogia 
deficiente  et  sic  gradatim  de  singulo  in  singulum  usque  dum  linea  recta 
dicti  Jo:  Jacobi  Trivuìtii  prorsus  extincta  fuerit:  qua  per  casum  quem- 
cunque  deleta,  ita  quod  ex  linea  eius  masculina  nemo  sit  superstes  fratris 
sui  maioris  primogenitus  et  cius  doscendentes  primogenitis  quibus  similiter 
deflScientibus  reliquorum  fratrum  suorum  cuiuscunque  videlicet  in  ordine 
sue  nativitatis  primogeniti  et  eorum  nati  primogeniti.  Quibus  omnibus 
sublatis  reliqui  de  domo  et  stipite  nobilium  de  Trivultio  proximiores  gradu 
prefato  Joanni  Jacobo  Trivultio  et  eorum  primogeniti  qui  proximiores  gradu 
si  pares  fuerint  antiquiores  et  eorum  primogeniti  ordine  prescripto  per- 
petuis  futuris  temporibus  se  se  in  pubblicis  sivo  privatis  scripturis,  actionibus, 
conventionibus,  negociationibus  ac  aliis  tractatibus  quibuscunque  Comites 
Mosachi  appellare,  nominare  ac  scribere  possint  ac  valeant  talesque  ab 
aliis  appellari,  nomìnari,  scribi,  teneri  ac  reputari  debeant  prefatumque 
castrum  Mosachi  et  Vallera  Misolchinam  cum  ti  tuli  s,  dignitatibus,  honoribus, 
libertatibus,  gratiis  cum  hominibus  illi  subiectis,  terris  cultis  et  incultis,  pratis 
gerbis,  nemoribus,  furnis,  molendinis,  venationibus,  piscationibus,  aquaticis 
piscaticis  et  cum  mero  et  mixto  Imperio  ac  omnimoda  jurisdictìone  ho- 
magiis  et  fidelitatibus  ac  universis  iuribus,  datiis,  gabellis,  pedagiis  ac  aliis 
redditibus,  obventionibus,  omolumentis,  suis  confinibus  et  pertinentis  qui- 
buscunque in  antedicto  venditionis  instrumento  contentis,  ipsumque  comi- 
tatus  titulum  ac  iura,  indulta,  libertatos,  immunitates,  gratias,  homagia  et 
honores  prout  supra  fit  mentio  nostro  Sacri  Imperli  aut  alterius  cuiuscumquo 
iure  si  quod  in  dictis  Castro  et  Comitatu  Mosachi  comperierit  salvo  libere 
possidere,  uti  frui  et  gaudere  possint  et  debeant:  hac  tamen  adiecta  conditiono 
ex  mente  et  voluntate  sepe  dicti  Jo.  Jacobi  Trivulti  et  auctoritate  nostra 
Imperiali  roborante  et  de  novo  constituente  hinc  in  antea  perpetuis  tempo- 
ribus valitura  ut  antedicti  primogeniti  prò  tempore  ad  prelibatum  comitatum 
Mosachi  ordino  successionis  supradicto  pervenìentes  eundem  neque  in  totum 
partem  neque  aliquid  de  eius  pertinentiis  neque  directe  neque  indirecto 
oxpresse  seu  tacite  nec  alio  quovis  colore  vel  ingenio  humanitus  possibili 
neque  vendere  neque  obligare  neque  permutare  neque  Inter  vivos  vel  causa 
mortis  neque  ad  pias  causas  nec  in  dotem  dare,  donare,  legare,  testar i  nec 
quovis  alio  titulo  alienationis  in  aliquem  alium  transferre  possint  sed  quod 
idem  Comitatus  cum  suis  iuribus  et  bonis  absque  aliqua  diminutione  ubi 
et  cuiuslibet  falcidie  et  trebellianice  detractionis  in  dictis  bonis  auctoritato 
nostra  predicta  harum  serie  expresse  derogamus  neque  ullo  unquam  tem- 
pore aut  casu  locum  habere  volumus  transeat  et  perveniat  de  uno  in  alium 
primogenitum  modo  et  ordine  supradictis  irritum  et  inane  ac  nullius  foro 
momenti  decernentes.  Si  quovis  ingenio  por  quemcumque  ex  primogenitis 
prefactis  etiam  cum  dispensatione  contra  nostram  huiusmodi  ordinationem 
ot  constitutionem  obtenta  quam  similiter  harum  serio  nullas  habero  viros 


È   DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   1)1   MESOCCO  ?  41 1 

sed  prorsus  invalidam  esse  decernimus  attentatura  aut  contraventnm  fuerit. 
Volentes  insuper  prenominato  Jo.  Jacobo  uberiorem  facere  gratiam  quo 
quanto  abundius  lìberalitate  et  munificentia  nostra  se  se  donatum  agnoscit 
tanto  in  nostra  ac  sacri  Imperii  obsequia  promptiorem  ac  fideliorem  exibeat 
eidem  Jo.  Jacobo  et  primogenitis  et  heredibus  suis  ei  ordine  profato  suc- 
cedentibus  ut  quamcunque  Monetam  auream  vel  argenteam  cudere 

SEU  CUDI  facere  ET  ETIAM  QUAMCUNQUE  MoNETAM  SIMILITER  AUREAM 
VEL  ARGENTEAM  FABRICARE  ET  SIMILITER  FABRICATAM  AD  STAMPUM  FORUM 
REDUCERE  ET  REDUCI  FACERE  QUOCUNQUE  TEMPORE  DIE  ET  HORA  PRO  FORUM 
BENEPLACITO  IN  DICTO  CaSTRO  MoSACHI  AUT  EIUS  TERRITORIO  ABSQUE 
CUIUSVIS  ALTERIUS  SUPERIORITATIS    RECOGNITIONE  AUT  REQUISITIONE  POSSIT 

ET  VALEAT,  auctoritate  et  scientia  quibus  supra  gratiose  annuimus  et  im- 
partimur  iuribus  consuotudinibus  aut  aliis  non  obstantibus  quibuscumquo 
quibus  espresse  per  presentes  similiter  volumus  esse  derogatum  et  super 
omnia  predicta  dictum  comitatura  Jo.  Jacobum  Trivultium  Comitem  Mo- 
sachi  eiusque  heredes  memoratum  comitatum  superiori  ordine  obtinentes  una 
cum  bonis  et  rebus  eorum  omnibus  insuper  et  personis  dicto  Comitatui 
spectantibus  ab  omni  inferiorum  principum  quorumcunque  officialiumque 
suorum  potestate  jurusdictione  tam  in  civilibus  et  criminalibus  quam  mixtis 
et  imperandi  facultate  et  auctoritate  harum  serie  exhimimus  et  separamus 
assumendo  eosdem  unacum  eorum  et  subditorum  suorum  bonis  et  rebus 
omnibus  mobilibus  et  immobilibus,  prosentibus  et  futuris  in  nostram  ac 
Sacri  Imperii  salviguardiam,  protectionem  et  defensionem  volentes  ut  bine 
in  antea  omnibus  gratiis  libertatibus  ac  bonis  et  consuetudinibus  quibus 
ceteri  in  nostram  ac  Sacri  Imperii  protectionem  assumpti  gaudent  uti  fruì 
et  gaudere  possint  suplentes  preterea  omnem  defectum  jurisque  solemnitatem 
ac  omnem  maculam  tollentes  auctoritate  prefata  si  vel  in  dicto  venditionis 
contractu  vel  alias  quoquomodo  intervenissent  aut  intervenire  potuissent: 
Nulli  ergo  omnino  hominum  universitatum  vel  comitatum  liceat  hanc  nostre 
roborationis,  concessionis,  confirmationis,  derogationis  ac  decreti  paginam 
infringere  aut  ei  quovismodo  ausu  temerario  contraire.  Si  quis  vero  secus 
temptare  presumpserit  nostram  et  Imperli  Sacri  indignationem  et  penam 
quinquaginta  marcarum  auri  purissimi  totiens  quotiens  contrafactum  fuerit 
irremissibiliter  se  noverit  incursurum  quarum  medietatem  Imperialis  nostri 
fisci  si  ve  erarii,  reliquam  vero  partem  antedicto  Jo.  Jacobo  aut  eius  here- 
dibus usibus  decernimus  applicandam  presontium  sub  nostre  Imperialis 
sigilli  Majestatis  appensione  testimonio  litterarum.  Dat.  in  oppido  nostro 
Imperiali  Norimberge  die  decimaoctava  mensis  novembris  anno  domini 
millesimo  quadringentessimo  octuagessimo  septimo  regnorum  nostrorum  Ro- 
mani quadragesimooctavo,  Imperli  trigesimo  sexto,  Ungarie  vero  vigosimo 
nono.  Signata  ad  mandatum  domini  Imperatoris,  pretereamcum  sigillo 
magno  pendenti  in  cera  alba  cum  siriceo  violaceo.  A  tergo  signata  :  Matias 
Murimm. 


412  .  EMILIO    TAGLIABUE 


2. 

Lodovico  Duca  d'Orléans  concede  a  G.  G.  Trivulzio  di  batter 

MONETA  ALLA   BONTÀ   DI   QUELLE   d' ASTI   E  DI   FRANCIA. 


Amboise,  2  Marzo  1496  (a) 


Lnduvicus  Dux  Anrelianensis  Mediolani  et  Valesie  Comes  Blesensis 
Papié  ac  Bellimontis,  Astensis  Comitique  Dominiis  Universis  presentes 
litteras  inspectnris  salatem. 

Capientes  nos  Egregio  ac  Nobili  viro  Consanguìneo  nostro  D.no  Johann! 
Jacob  Trivulcio  Corniti  Belcastri  etc  rem  pergratam  sibi  effigere  ob  virtutes 
fidem  et  integritatem  suam  obque  incredibilem  benivolenciam  nostram  erga 

ipSUm  ACCIPIENTES  QUOD  CUDERE  MONETARUM  ARGENTEARUM  ET  AUREARUM 

AD  STAMPUM  NOSTRUM  IN  Ceccha  SUA  MisoccHi  jucundum  esset,  idque  nobis 
jucnmdissimum  itcirco  concedimus  et  libere  donamus  eidem  pref.  D.no  Jo. 
Jacobo  Trivulcio  Corniti  suique  auctoritatem  et  amplam  potestatem  cudendi 
seu  cadere  faciendi  quascumque  monetas  aureas  vel  argenteas  prout  sibi 
placuerit  die  noctuque  bone  legis  taraen  et  ponderis  prout  fuerit  in  Regno 
Francie  et  sicut  ad  starapum  nostrum  in  Ceccha  nostra  Astensì  fabricatur. 
Mandantes  et  precipientes  omnibus  et  singulis  Justiciariis  ac  officiariis 
iiostris  quatenoB  soprascript.  D.no  Jo.  Jacobo  Trivulcio  presenti  conces- 
sione donacione  seu  gracia  nostra  uti  et  gaudere  faciant  et  permittant.  In 
cuius  rei  testimonium  presentes  fieri  jussimus  ac  nostra  propria  manus 
subscripcione  solitoque  sigillo  munitas. 

Dat.  in  Villa  Ambasie  secunda  die  {Martis)  anno  Domini  millesimo 
ceco  nonagesimo  quinto  more  Gallicano  computando  (è). 

Sìgnat.  Loijs 

Per  dominum  ducem  Vobies  et  alis 
presentibus  Coiereau  subscripsi. 

Reg.  ad  officium  statutorum 

Comunis  Mediolani  in  libro  sìgnato  N  in  foglio  169  (e). 
Da  una  lista  di  pergamena  pende  un  frammento  di  sigillo  in  cera  rossa. 


(a)  Pergamena  originale  nell'Archivio  Trivulzio,  Araldica  Cari.  11. 

(b)  In  Francia  durò  la  consuetudine  sino  al  1564   di  principiar  l'anno  nel   giorno  di  pasqua,  perciò 
all'uso  odierno  la  data  di  questo  diploma  deve  ritenersi,  2  Marzo  1496. 

(e)  Ora  registro  Fanigarola  N.  -  Archivio  di  Stato,  Milano. 


È   DAVVERO    ESISTITA   LA   ZECCA   DI   MESOCCO  ?  413 


3. 

ISTRUMENTO  ROGATO  NELLA  ZECCA  DI  ROVEREDO,  COL  QUALE  AziNO 

DA  Lecco   procuratore  di  G.  Q.  Trivulzio  contratta  del 

LEGNAME  DA  CONSEGNARSI  A  LoSTALLO  VICINO  AL  FIUME  MOESA. 

Roveredo,  23  Giugno  1497  (a) 


In  nomine  d.ni  amen,  anno  nativitatis  millesimo  quadragintessimo 
NONAGEsiMo  SEPTIMO.  Inditione  quintadecima  die  veneris  vigesimo  tertio 
mensis  Junij. 

Dominus  Azinus  de  leucho  habitator  in  zecha  roueredi  nomine  et 
vice  ex.t's  et  prestantissimi  corniti  domini  Jo:  Jacobus  Trivultis...  signore 
generale  della  Valle  Mesolcina,  conviene  con  Antonio  fu  Jacopo  Conforti  e 
Giacomo  figlio  dAntonio  del  Brenta  ambi  di  Lostallo,  di  comperare  pel 
maggio  1498,  400  bore  e  travi  larice  e  pecchia  a...  grossos  septem  et  da- 
narios  tres  tertiolorum  prò  qualibis  burra  pijcee  et  grossos  octo  et  danarìos 
tres  prò  qualibet  burra  do  mensura  laricis  et  de  pijcea,  et  quod  trabes  sint 
longi  brachia  octo  et  novem  et  quod  soprascriptum  totum  lignamen  sint 
obligati  soprascripti  de  lostallo  consignare  ad  aquam  moesie... 

Actum  in  pasquedo  roueredi  in  domo  zeche... 

Ego  Joannes  del  Pijceno  filius  ser  Antonij  de  roueredi  vallis  Mexolcino 
publicus  Imperiali  auctoritate  notarius  superscripta  omnia  rogatus  traditi 
scripsi  et  me  subscripsi:  laus  deo  amen. 


4. 

G.  G.  Trivulzio  concede  a  Maestro  Giacomo  dei  Conradi  di 
Reggio  ,  Zecchiere  in  Asti  di  stampare  monete  coll'  im- 
pronta, armi  e  nome  di  Lodovico  XII  re  di  Francia. 

Asti,  27  Febbraio  1499  (b) 


Johannes  Jacobus  Trivulcius  Comes  Dezenasii  Baro  Castrìlorii  sacri 
ordinis  regij  miles  et  regie  maiestatis  Conci liarius  cambellanus  et  citra- 
montes  lacumtenens  generalis  Egregio  dilecto  nostro  Magistro  Jacobo  de 
Conradis  de  rezio  habitatori  Ast  fabricatori  stamparum  monetarum  asten- 
sium  earumque  taglatorj  salutem.  De  vestri  industria  et  fide  ad  plenum 
informati  vos  favoribus  nostris  dignis  comoditatibus  ;  honoribus  et  prehe- 


(«)  Pergamena  originale  nell'Archivio  Trivulzio,  Araldica  Cart.  11. 

(h)  Pergamena  originale  nell'Archivio  Trivulzio,  Cartella  49,  n.  29. 


53 


414  EMILIO    TAGLIABUE 


minoncijs  ac  franchisijs  et  alijs  ad  officium  fabricaverum  monetam  hac  in 
Civitate  concessis  ornari  et  sequj  volentes  haram  serie  vobis  licenciam 
irapartimur  inpune  stampandi  et  seu  stampas  et  formas  monetarum  et  ferros 
taglandi  prò  monetis  fabricandis  hac  in  civitate  Astensi  sub  nomine,  signis 
et  armis  Serenissimi  ac  christianissimi  Principis  nostri  dominj  dominj  Lu- 
duvici  dei  gracia  franchorum  regìs  Mediolanique  ducis  et  astensis  dominj 
prout  per  raagistrum  monetarum  ad  fabricam  diete  monete  deputatum  et 
designatum  fuerit  ac  ordinatum  ad  ipsum  officium  expresse  vos  constituentes 
et  deputantes  et  aliorum  officialium  diete  monete  numero  aggregantes  cum 
immunitatibus  exemptionibus  et  franchisijs,  honoribus,  oneribus,  prehemi- 
noncijs,  prerogativis,  dignitatibus  et  alijs  ad  dictum  officium  pertinentibus 
et  spectantibus  et  quibus  ceterj  officiales  dictarum  monetarum  hac  in  Ci- 
vitate et  illius  dominio  ussi  (usi)  et  gavissi  vestri  officio  et  illius  hac  in 
civitate  exercicio  durantibus.  Mandantes  omnibus  et  singulis  officialibus  et 
dacitarijs  regie  maiestatis  prefacte  presentibus  et  futuris  deputatis  vel  depu- 
tandis  quatenus  vos  prò  talj  habeant,  tractent  et  reputent  nichil  in  con- 
trarium  attemptando,  quominus  privillegio  aliorum  officialium  ad  fabricam 
diete  moneto  deputatorura  uti  valeatis  et  gaudere  sub  pena  indìgnacionis 
Regio  et  nostre  et  prò  quanto  illam  evitare  caripendunt.  In  quorum  testimo- 
nium  presentes  fierj  jussimus  et  nostro  sigillo  muniri.  Datum  Ast  vigessimo 
septimo  mensis  februarij  Millessimo  quatercentessimo  nonagessimo  nono. 

Per  prefatum  111.  dominum  Comitero 

Regium  locuratenentem  generalem 

Ferrerij. 
(Con  sigillo  pendolo). 


Massimiliano  I  conferma  a  Gr.  G.  Trivulzio  il  diploma  di 
Federico  III  colla  facoltà  di  disporre  ed  alienare  il 
Contado  di  Mesocco. 

1501  ?  (a). 

(Diploma  di  data  incerta  del  quale  non  si  conosce  né  originale,  né  copia 
autentica.  Copie  senza  data  si  conservano  nell'Archivio  Trivulzio;  la  più 
antica,  del  1620  circa,  ci  servì  per  questa  trascrizione). 


Confermatone  dell'investitura  del  Contado  di  Misocco  et  Valle  Misol- 
cina  fatta  dalla  Maestà  di  Massimigliano  Re  dei  Romani  a  Gio.  Jae.  il 
Magno  Trivnltio  con  facoltà  di  disporre  et  alienare  d.  Contado  come  gli  pare. 


(o)  Archivio  Trivulzio,  Armldina  Cari.  11. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA   ^ECCA   DI    MESOCCO  ?  415 

Dopo  il  lungo  elenco  dei  titoli  di  Massimiliano  e  le  solite  formolo, 
nelle  quali  G.  Giacomo  è  chiamato  «  Marchioni  Yiglevani  magno  Fran- 
ciAE  Marescallo  ET  CoMiTi  MisocHi  >  SÌ  ripete  il  diploma  di  Federico, 
la  conferma  che  seguo  non  è  che  una  parafrasi  di  detto  diploma  con 
aggiunto  il  diritto  di  vendere  e  disporre  del  Contado.  Nel  testo  si  leggo: 

<  ....  quam  habet  ipso  D.  Jo.  Jacobus  Triultius  cudendi  et  fabricandì 
seu  cu  di  et  fabricari  faciendi  quamcumque  monetam  auream,  argenteam 
iuxta  dieta  Concissionis  formam  et  tenorem,  confirmamus  verum  etiam  ex 
abundantiori  gratia  oidom  D.  Jo.  Jacobo  Trivultio  et  heredibus  et  succos- 
soribus  suis  tam  masculis  quam  foeminis,  et  quibus  dederint  ut  supra  quod 
quamcumque  monetam  similiter  auream  et  argenteam  cudire  et  fabricaro 
et  cudi  et  fabricare  facere,  et  similiter  fabricatam  ad  stampum  eorum 
reducere  et  reduci  facere  et  expendere  ubique  locorum  quocumque  tempore 
die  et  hora  prò  eorum  boniplacito  in   dicto  Castro  Musochi  aut  eius 

TERRITORIO...  » 


6. 

Paolo  Gentili  procuratore  di  G.  G  Trivulzio,  da  in  affitto 

PER  ANNI  NOVE  LA  DECIMA  DI  YeRDABBIO  AI  CONSOLI  DI  QUELLA 
TERRA.  ISTRUMENTO  ROGATO  NELLA  ZECCA  DI  EOVEREDO. 

Eoveredo,  17  Marzo  1509  (a). 


In  nomine  domini  amen  anno  nativitatis  oiusdem  millesimo  quingen- 
TEsiMo  nono.  Indicione  duodecima  die  martis  decime  septimo  mensis  Julij. 
Spoeta bilis  vir  dominus  paulus  gentili s  filius  qln  domini  iacobi  de  Sarauale 
dijocesis  Tortononsis.  De  praesenti  habitator  roueredi  vallis  mexolzine  dyo- 
cesys  curiensis  negociorum  gestor  illustris  et  oxcolsy  domini  domini  Joannis 
Jacobi  triultij  domini  generalis  vallis  mexolzine  ecc.  affitta  a  Francesco  Ki- 
gassi  console  di  Yerdabbio,  Antonio  Grigeto  e  Antonio  Eomoleto  di  Ver- 
dabbio  i  quali  contrattano  a  nome  della  Comunità  di  Yerdabbio,  la  taglia 
per  anni  9  spettante  al  Trivulzio  e  si  obbligano  a...  solvere  et  consignaro 
tempore  Sancti  martini  in  palacio  roueredi  prelibati  ili."»»  domino  ac  here- 
dibus suis,  starla  quadraginta  segalis,  starla  decem  milij,  starla  decem 
panicij  bene  vansorum  sichatorum  et  bene  ordinatorum,  ecc.,  ecc. 

Actum  in  roueredi  in  pasquedo  in  cecha  presentibus  ibi  magistro 
Zaneto,  filio  ser  Joannoli  de  beffano  ser  georgino  de  peperalis  de  Clauena 
habìtatoribus  roueredi  et  dominicho  tartaglino  fiiio  qm  togni  del  sonatore 
habitante  roueredi  testibus  notijs  et  cognotis  nec  non  vocatis  et  rogatis. 

Ego  Joannes  amadiristus  publicus  imperiali  auctoritate  notarius  filius 
domini  henrici  de  verdabio  vallis  mexolcine,  diocosijs  Curiensis  soprascriptum 
locationis  instrumentum  rogatus  traditi  scripsi  et  me  propria  manu  sub- 
scripsi  signi  Dominique  meijs  solitis  appositis. 


(«)  Copia  cavata  dall'originale  nell'Archivio  Trivulzio,  Cod.  2253.  Misceli.  III. 


416  EMILIO    TAGIJABUE 


Lodovico  XII  re  di  Francia  accorda  a  G.  G.  Trivulzio  di 
batter  moneta  nel  castello  di  musso  come  faceva  a 
Mesocco. 


Blois,  1  Maggio  1512  (a). 


Nel  testo  del  diploma  si  legge: 

«...  donnons  et  octroyons  par  ces  presentes  congó  perraission  et  liconce 
de  pouvoir  doresenavant  faire  batre  et  forger  au  lieu  de  mus  toute  monnoye 
dor  et  dargent  anssi  que  bon  leur  semblera  et  tout  ainsì  et  par  la  forme 
et  maniere  quil  faisoit  et  a  acoustume  faire  par  cy  devant  au  lieu 
DE  Musoc  et  de  tei  bonte  loy  et  poix  qne  lou  fait  en  notre  ville  et  cite  do 
millan.  » 

Bloys  ou  moys  de  may  lan  de  grace  mil  cinqcons  et  doaze  et  de  notre 
Regno  le  quinzieme. 

par  le  Boy  Due  do  Millan 
Móbertet 


8. 

Libro  dei  conti  della  zecca  di  Koveredo 
dal  23  Agosto  1529  al  15  Maggio  1530, 

Settembre  1529  (b). 


M.  Dionisio  de  Besono  Citadino  de  lione  m.'»  de  la  Ceca  de  Rovereto 
de  dare  a  lo  III.  SJ  marchese  conte  de  mesoco  a  di  23  Agosto  p.  marchi  21 
de  dinarij  de  la  testa  ed  arma  di  esso  sig.""®  de  valore  de  bazi  tri  per  uno 
a  rasone  de  peze  27  p.  marco.  In  mane  141  Vo  a  4  peze  per  mano  a  la 
liga  e  bontà  (e)  de  li  denarij  de  la  Ceca  de  Saluzo  che  sono  a  dinarij 
11  grani  mar.  21  onz  - 

E  più  de  dare  a  di  7  setembre  per  marchi  quaranta  de  li  soprad.*'  de- 
nari de  bazi  tre  dati  a  stampare  A  M.  Stephano  grenghelo  e  A  nicol  a  de 
Salvino  cioè  marchi  venti  per  Caduno  mar.  40  onz  - 

Cesaglia  per  indietro  peze  65 
E  più  a  di  11  setembre  per  marchi  vinti  uno  de  denari  di  bazi  tro 
dati  a  stampare  a  M.  grìnghello  e  nicola  Salvino  mar.  21  onz  - 

Cesaglia  da  r.re  detratta  peze  9 


(a)  Pergamena  originale  nell'Archivio  Trivulzio,  Vicende  personali  Cart.  7,  n.  2.  MàZZUCHELU,  Copia 
di  atti  e  privUegi,  ecc.  Biblioteca  di  Brera  in  Milano.  Copia  manoscritta. 

(b)  Dall'originale  manoscritto  del  XVI  secolo  nell'Archivio  Trivulzio,  Araldica  Cart.  li. 

(e)  Possiamo  garantire  l'esatta  trascrizione  di  questo  periodo,  non  sappiamo  però  interpretarne  il  senso. 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA    DI    MESOCCO  ?  417 


E  più  a  di  dito  11  setembre  per  marchi  tentauno  onze  tri  de  denarij 
de  bazi  tri  dati  a  stampare  a  li  sopraditi  gringhello  e  nicola     mar.  31  onz  3 

Cesaglia  peze  desdoto,  peze  18 
E  più  a  di  13  Setembre  p  marchi   trenta   cinq.    onze   quatro  de  dicti 
dinari  de  bazi  tri  Tuno  dati  a  stampare  a  li  soprad.  gringhelo  e  nicola 

mar.  35  onz  4 

Cesaglia  peze  decesette,  peze  17 
M.  Dionisio  bessono  de  dare  a  di  14  p  marchi  ventinovo  et  meze  de 
denari  da  bazi  tri  l'uno  dati  a  stampare  al  Salvino  mar.  29  onz  i 

Cosalia  peze  desdoto,  peze  18 
E  più  a  di  dito  de  dare  p  la  fatnra  de  marchi  vinti  nove  onze  tre  de 
diti  dinari  de  bazi  tre  l'uno  a  rasone  de  soldi  otto  per  marco  si  corno  si 
6  Convenuto  dati  a  stampar  al  salvino.  Et  nota  che  tute  le  partite  sopra.tto 
sono  per  honoranza  del  sig.  et  solamente  Ms  dionisio  e  debitore  de  dita 
honoranza  el  no  del  argento  et  cosi  io  testifico  mar.  29  onz  8 

Cesalia  peze  tredoze,  peze  13 
E  più  a  di  15  mercore  a  stampare  peze  de  bazi  3  n.°  400  fano  marchi 
quatordeze  onze  cinq.  mar.  14  onz  5 

Cesalia  peze  sey,  peze  6 
Zobia       16  dito  ecc.  ecc.  peze  da  bazi  3  ecc.  n.  cinquecentovinti  mar.  19 

Cesalia  peze  quatro,  peze  4 
Zobia       16  dito  ecc.  ecc.  da  bazi  3  ecc.  n.  ottocento  mar.  29  onz  4 

Cesalia  peze  quatro,  peze  4 
Zobia       16  dito  ecc.  ecc.  da  bazi  3  ecc.  n.  quatrocento         mar.  14  onz  6 

Cesalia  numero  sete,  n.  7 
Venere    17  ecc.  ecc.  da  bazi  3  ecc.  n.  1000  mar.  37  onz  - 

Cesalia  peze  22 
Venere     17  dito  dati  a  stampare  ecc.  ecc.  da  bazi  tre  n.  625    mar.  22  onz  6 

Cesalia  peze  64 
Sabbato    18    p.    ecc.  ecc.  da  bazi  tre  ecc.  n.  1200  mar.  44  onz  3 

Cesalia  peze  20 
Sabbato    18  ecc.  ecc.  da  bazi  3  ecc.  n.  1140  mar.  42  onz  2 

Cesalia  peze  21 
Sabbato   18  dito  dati  a  stampare  marchi  doi  de  Cavaloti  a  peze  n.  67  per 
marco  mar.  2  onz.  - 

Cesalia  pezo  00 
D.mca      19  festa  000 

Lune       20  dati  a  stampare  pezi  da  3  bazi  n.  800  dano  marchi  venti  nove 
onze  cinq.  mar.  29  onz  5 

Cesalia  peze  13 
Lune       20  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  503  ecc.  mar.  18  onz  5 

Cesalia  peze  12 
Lune       20  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  500  ecc.  mar.  18  onz  4 

Cesalia  peze  6 
Lune       20  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  292  ecc.  mar.  10  onz  6 

Cesalia  peze  13 


418  EMILIO    TAGLIABUE 


Lune       20  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  292  ecc.  mar.  10  ouz  6 

Cesalia  peze  13 
Lune       20  dito  ecc.  ecc.  cavaloti  da  cinque  soldi  e  mezo  ecc.    mar.  13  onz  2 

Cesalia  peze  22 
Martedì  festa  San  Mateo  21  ODO 
Mercordi  22  dito  a.  stampare  d.  da  bazi  3  peze  n.  600  mar.  22  onz  2 

Cesalia  peze  12 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  1200  mar.  44  onz  4 

Cesalia  peze  25 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  pezi  da  tri  bazi  n.  600  ecc.  mar.  22  onz  2 

Cesalia  peze  12 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  dinari  da  tri  bazi  n.  800  ecc.        mar.  29  onz  4 

Cesalia  peze  12 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  dinari  da  tri  bazi  n.  400  ecc.        mar.  14  onz  6 

Cesalia  peze  — 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  dinari  da  bazi  tri  n.  400  ecc.        mar.  14  onz  6 

Cesalia  peze  12 
Mercordi  22  dito  ecc.  ecc.  dinari  da  bazi  tri  n.  600  ecc.        mar.  24  onz  2 

Cesalia  peze  21 
Zobia      23  dito  ecc.  a  stampare  al  Salvino  pezi  da  bazi  tri  n.  600  ecc. 

mar.  22  onz  2 
Cesalia  pezi  5 
Zobia      28  dito  a  stampare  alli  tri  compagni  de  bellinzona  denari  da  bazi 
tri  n.  900  ecc.  mar.  44  onz  4 

Cesalia  peze  37 
Zobia      23  dito  a  stampare  a  li  tri   compagni  de  bellinzona  d.  da  bazi 
tri  n.  537  ecc.  mar.  19  onz  7 

Cesalia  peze  14 
Tenere    24  dito  a  stampare  a  li  tri  compagni  de  Bellinzona  d.  da  bazi  tri 

mar.  51  onz  - 
Cesalia  peze  33 
Venere    24  dito  a  stampare  al  Salvino  d.  da  bazi  3  mar.  18  onz  2 

Cesalia  peze  5 
Venere     24  dito  ecc.  ecc.  d.  da  bazi  3  mar.  20  onz  - 

Cesalia  pezd  5 
Venere    24  dito  ecc.  a  li  tri  compagni  ecc.  di  da  bazi  tri    mar.  51  onz  1 

Cesalia  peze  28 
Sabbato  25  dito  ecc.  ecc.  ecc.  d.  da  bazi  tri  mar.  44  onz  4 

Cesalia  peze  32 
Sabbato  25  dito  ecc.  al  Salvino  d.  da  bazi  tri  mar.  20  onz  4 

Cesalia  peze  8 
Sabbato  25  dito  ecc.  ecc.  da  bazi  tri  mar.  20  onz  - 

Cesalia  peze  9 
D.mco     26  dito  festa  000 

Lune       27  dito  ecc.  al  Saluino  d.  da  tri  bazi  mar.  20  onz  - 

Cesalia  peze  5 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA   ZECCA   DI    MESOCCO  ?  419 

Lune       27  dito  ecc.  a  Cristoforo  Varono  d.  da  bazi  tri  tolto  una  peze  de 
le  contrascripto  e  datole  il  contraccambio  per  assaggio  signata  A 

mar.  20  onz.  - 
Cesalia  peze  13 
Lune       27  dito  ecc.  in  più  giorni  a  henrico  guazoro  Cavaloti  da  s.  5  d.  6 

mar.  24  onz  7 
Cesalia  peze  79 
Lune       27  Settembre  a  stampare  al  Saluino  d.  da  bazi  3       mar.  20  onz.  - 

Cesalia  peze  8 
Lunedi    27  dito  ecc.  al  Yarono  d.  da  bazi  3  mar.  20  onz  7 

Cesalia  peze  11 
Lunedi     27  dito  dati  a  stampare  al  Stefanino  denari  da  soldi  uno  ecc. 

mar.    2  onz  7 
Cesalia  peze  — 
Martedì    28  dito  a  stampare  d.  da  bazi  3  al  Stophano  e  al  varrono  ecc. 

mar.  45  onz  - 
Cesalia  peze  18 
Martedì   28  dito  a  ecc.  d.  da  bazi  3  al  Salvino  mar.  24  onz  - 

Cesalia  11 
Martedì   28  dito  ecc.  al  stephanno  e  al  varrone  d.  da  bazi  3     mar.  15  onz  - 

Cesalia  peze  7 
Martedì   28  dito  ecc.  a  stampare  al  Salvino  d.  da  bazi  3         mar.    7  onz  - 

Cesalia  peze  3 
Martedì   28  dito  ecc.  a  Stephanino  e  A  varrone  d.  da  soldi  5  denari  6,  Ca- 
valoti mar.    4  onz  - 
Cesalia  peze  — 
Mercordi  29  Settembre  festa  Santo  michaelo    000 
Zobia       ultimo  dito  festa  San  hytronno    000 


Nota:  €  Como  Jo.  Joannegeorgio  di  Albriono  ho  fato  e  saldato  il  conto 
a  nome  de  lo  111.™°  Sig.  Marchese  con  Ms  Gabriele  Tatto  compagno  di 
Ms  dionisio  besono  mj°  de  Cecha  per  into  el  mese  di  Sottombre  e  sono  in 
tuto  marchi  mille  duecento  vinti  uno  di  argento  stampito  do  li  quali  ne 
vano  dectrati  marchi  trentaquatro  de  cesalia  ne  resta  al  sìgj^  di  noto 
millecento  ottantasette  a  rasone  de  soldi  otto  per  marco  p.  honoranza  di 
sua  signoria  montano  a  lire  quatrocento  settantaquatro  soldi  sedici  Imp. 
lire  474.  soldi  16  ». 

Cosi  continua  regolarmente  l'Albriono,  giorno  per  giorno,  le  sue  regi- 
strazioni, liquidando  ogni  fine  mese  col  Besson  e  col  Tatto  le  onoranze 
dovute  a  Gian  Francesco  Trivulzio. 

Al  giorno  15  Maggio  1530  l'Albrione  termina  le  sue  note  scrivendo: 

15  Maggio. 
<  Del  dito  tempo  no  si  è- fato  conto  alcuno  pcho  M.  Dionisio  se  ne  fudto 
et  la  Ceca  non  ha  poi  più  lavorato  ma  sono  marchi  cinquantasette  onzo  sei 
di  noto  montano  per  le  honoranze  del  dito  Sig.''^  lire  ventitrij  soldi  dui.  p 


420 


EMILIO    TAGLIABUE 


9. 

Inventario  dei  mobili  consegnati  al  Commissario  Antonio 
Maria  Gentili,  esistenti  nella  zecca  di  Koveredo  nei  lo- 
cali destinati  a  sua  abitazione. 


RoToredo,  10  Marzo  1546  (a) 


♦  MDXLVl  die  X  ìnartij. 
Inventario  de  la  Cecha  cioè  de  lo 
Kobbe  consignate  al  Comissario  il 
Capitano  Ant.*^  maria  gentile  quale 
sono  del  111.™°  s.""  marchese  di  vige- 
vane  S.  di  questa  valle  II  s.  Fran.^o 
Triuul.o  in  Eovoretio  nelli  luochi  in 
frascritti. 

In  Stuffa  (b). 

Archebuxi  Cinque  forniti  con  le  fia- 
sche forme  et  polverini  et  taschetti. 

Item  una  Picha  de  Frassino. 

Itom  duoi  spontoni. 

Item  quatro  zegalie. 

Item  due  Allebarde. 

Item  una  meggia  testa. 

Item  uno  Tavogliero  con  serradura 
e  chiave. 

Item  uno  Armario  attachatto  come 
se  dentro  de  la  Stuffa. 

Item  una  lettera  e  una  comolla. 

Item  letto  duo  e  duo  piumazzo  pe- 
xano  lire  87  grosse. 

Item  un  altro  letto  con  piumazzo 
pexa  lipre  29. 

Item  sotto  le  due  fenestre  duoi  cre- 
denzini  con  serradure  e  chiave. 

Item  due  coperte  bixe  da  letto. 

Item  una  coracina. 


Item  uno  scranno  (e)  con  serradura 

et  chiave. 
Item  le  banche  attorno  alla  Stuffa. 
Item  uno  homo  da  legno. 
Item  una  cadrega  di  camera. 
Item  fenestre  tre  con  le  sue  telline 

de  fella. 

Ne  la  coxina. 

Al  uschio  sua  seri-adura  et  chiave. 
Item  una  tavoUa  con  duoi  trespedi. 
Item  una  credenza  di  legno  de  peltro. 
Item  bancho  uno  de  seder  con  una 

chiavadura  l'altro  non. 
Item  sopra  el  Camino  di  qua  et  di 

la  dui  ponti  d'assi  e  una  scalla. 
Item  uno  armario  con  chiave  et  ser- 
radura. 
Item  uno  armario  scavezzo  in  tri  con 

due  chiave  e  serrature. 
Item  uno  zepo  de  tagliar  sopra  la 

carne. 
Item  una  fenestra  et  la  stamegua  {d) 

de  tella. 
Item  due  assetto  di  pasta  una  grande 

e  una  piccola. 
Item  uno  rampino  de  carne. 
Item  una  sechia  de  sallar  carne  con 

uno  cerchio  de  ferro. 
Item  una  cadregha  et  una  scabella. 


(a)  Dalforìginale  Ck>d.  cartaceo  del  XVI  secolo,  nell'Archivio  Trivulzio,  Araldica  li. 
(h)  Camera  foderata  di  legno,  con  una  grande  stufa  in  pietra  per  riscaldarla. 
{e)  Voce  ancora  in  uso  nel  dialetto  Mesolcinese,  cassone,  cassapanca. 
(<7)  Teliùo  coperto  di  tela  che  faceva  l'ufficio  di  vetri, 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA   DI    MESOCCO  ? 


421 


Supra  la  p."  scalla. 

Dne  fenestre  con  le  stamegue  di  Telia. 
Item  una  cardenza  in  cantone  con 
serradura  et  Chiave. 

Ne  lap.«  camera  sopra  le  dice  scalle. 

Sopra  laschio  due  serradnrre  con 
chiave  et  uno  cadenazzolo. 

Item  una  tavolla  con  duoi  trespedi. 

Item  una  lettera  con  una  comolla. 

Item  duoi  sechioni  con  dui  coperti 
de  salar  onero  de  far  altro. 

Item  una  casetta  chiavata  do  batistino. 

Item  uno  coperto  de  pelle  tutto  rotto. 

Item  uno  credenzino  con  robbe  de 
batistino  dentro. 

Item  una  fenestra  con  suo  tellaro. 

Ne  la  2"  Camera. 

Uno  uschio  con  due  serradnrre  et 
chiave. 

Item  una  lettera  con  una  comolla. 

Item  una  trivella  grossa  de  le  bu- 
seno  de  fontanna. 

Item  boge  due  di  ferro  una  grande 
et  una  picoUa. 

Item  uno  pesi  de  monette. 

Item  una  cadregha  de  camera. 

Item  uno  homo  de  legno. 

Item  una  leverà  de  ferro. 

Item  una  raaza  de  ferro. 

Item  dui  badili  et  due  zappe  de  malta. 

Item  uno  staro  de  misurare  biade. 

Item  chignolli  dui  de  ferro  per  rom- 
per sassi. 

Item  una  caldera  grande  de  bugatta. 

Item  un'altra  caldera  mezana. 

Item  un'altro  CaldiroUo. 

Item  una  conca  de  laton  (a). 

Item  bacillo  de  ramo  in  soma  con 
questi  cinqui  pezzi  pexano  lipre  80. 


Item  una  tavolla  con  duoi  treppedi. 
Item  una  cassa  do  tamburro. 
Item  dui  telloni  di  stamegua  di  tella. 
Item  in  l'anditto  desopra  de  le  due 

scalle  due  fenestre  e  due  stamegue 

di  tella. 

Sopra  le  tre  scalle. 

Una  fenestra  con  una  stamegua  di 

tela. 
Item  uno  uschio  de  andar  sopra  del 

ralogio  (b)  con  la  sua  seradura  et 

chiave. 
Item  dove  e  il  ralogio  una  bancha 

ch'era  in  Stuffa. 
Item  lo  Rologio  con  la  campana. 

Ifem  ne  la  Canepa  (e). 

La  serratura  et  chiave. 
Itera  uno  seggiono  di  bugatta. 
Item  duoi  trespedi  con  dui  assi  sopra. 
Item  una  marna  de  dar  da  mangiar 

a  uno  cavallo. 
Item  uno  aquirollo  de  legno. 

Ne  la  ;?.«  Canepa. 

L'uschio  con  serradura  et  chiavo. 
Item  duoi  vaxelli  de  cinqui  brente 

l'uno. 
Item  uno  altro  vassello  de  otto  brente. 
Item  un'altro  vaseletto  de  due  brente. 
Item  barilli  quatro   de   una   brenta 

l'uno. 
Item  una  pidria. 
Item  una  moscherra. 
Item  una  formagiera. 

Al  Pozzo. 
L'uschio  con  cadenazzo  serradura  col 

suo  torno. 
Item  6  ap.*  porta  ferrata   di   ferro 

con  la  sua  chiave  et  serradurra. 


(rt)  Conca  d'ottone. 

{b)  Esiste  ancora  la  torricella  per  l'orologio,  ma  l'orologio  manca. 

(e)  Cantina. 


54 


422 


EMILIO    TAGLIABUE 


Jtein  dae  stanghe. 

Item  uno  cadenazo  de  dentro. 

La  saìetta. 

Uschio  con  serradurra  et  chiave. 

Item  una  cardenza  con  serradurra 
et  chiave. 

Item  con  le  cornixe  attorno  a  detta 
saletta  una  tavolla  inchiodatta  in- 
sieme. 

Item  una  cadregha  armatta. 

Item  scabelli  n.  seij. 

Item  la  fenestra  con  la  stamegua  di 
Telia. 

Item  de  dotro  la  cecha  de  fora. 

Una  armadura  de  muro  per  fare  il  ca- 
mino a  la  maijstrisia  con  caute  (a) 
sey  e  codighe  sey  et  assi  diece  con 
altro  legnamo  per  fare  armature 
et  caute  tre  de  foo. 


Item  nella   coxina  due  cadenne  di 

focco. 
Item  due  parrà  do  brandenalli. 
Item  duoi  spodi  de  rosto. 
Item  una  padella. 
Itera  una  lecharda. 
Item  una  gradexella  di  ferro  tutto 

pesan  45  grosse. 


Mi  Ant.«  Maria  gientille  afermo  es- 
sermi stato  Consegnato  le  pp.^  robe 
scrite  in  fogli  tri  conputato  el  pnte 
de  le  quali  io  no  ho  una  copia  simillo 
a  questa  et  in  fede  mi  sono  sotto 
scritto. 

Sulla  copertina  è  scritto:  Inven- 
tario dele  robbo  do  la  cecha  consi- 
gnato  al  com."*'»  cap.  m.'»  1546. 


10. 

Sulle  monete  battute  da  Antonio  Teodoro  Trivulzio. 

1676-78  (b). 

Airill"'o  Ed'Eccell.*""  Sig.  Prencipe 

Antonio  Teodoro 

Triviiìtio 

Marchese,  Conte,  barone  libero 

Signore,  ecc. 

per   le  Monete,  che  nouamente 

fa  battere. 

Dalle  vene  del  Sol  sudati  argenti 
Mida  profondo  ad  eternar  Teodoro; 
E  di  Giove  emulando  i  gran  portenti 
Un'Augusto  distilla  in  nembi  d'oro 


(a)  Cantari,  travi  leggere  per  far  armature. 

(ò)  Da  uno  stampato  in  folio  sciolto  senza  data  nell'Àrch.  Triv.,  Cari.  79,  N.  83.  Antonio  Teodoro  Tri- 
vulzio  esercì  !a  zecca  di   Retegno  dal  J676  al  78  ;  a  tal  periodo  deve  quindi  appartenere  questo  sonetto. 

Veramente  esso  non  potrebbe  figurare  come  documento  inedito,  ma  essendo  la  copia  della  Trivul 
ziana  rarissima,  se  non  unica,  abbiamo  creduto  ripubblicarlo  esaurendo  cosi  quanto  ci  fu  dato  rinvenire 
negli  archivi  Milanesi  su  questo  argomento.  * 

Del  resto  non  lo  citiamo  a  modello  di  stile.  Esso  è  quanto  di  più  goffo  e  barocco  possa  aver  pro- 
dotto l'Arcadia,  L'adulazione  smaccata  è  sviluppata  con  tali  idee  contorte  e  nebulose  che  ci  fan  dubitare 
ci  fo.s.se  nel  buon  Domenico  Antonio  Ceresola  stoffa  per  un  compositore  di  sciarade  anziché  di  sonettj, 


È    DAVVERO    ESISTITA    LA    ZECCA    DI    MESOCCO  ?  423 


Fidia  suiscerì  invan  marmi  innocenti 
Porge  incisi  Alessandri  oggi  un  tesoro 
Qui  fan  serto  ad  Alcide  ori  lucenti, 
Tu  se  gl'inalzi  al  crin  Delfico  Alloro. 

Non  convien  più  pescar  dov'ha'l  sol  cuna 
Conca  Eritrea,  cui  la  ruggiada  ingombra 
Lega  Antonio  nell'oro,  or  la  fortuna 

Fasti  d'Enea  già  Teodoro  adombra. 
Che  s'ei  con  ramo  d'or  sue  glorie  aduna 
Questi  d'Oblio  sa  trionfar  con  l'ombra. 

Domenico  Antonio  Ceresola. 

In  Milano,  per  gVHeredi  Ghisolfi. 

(Con  lic.  de'  Superiori). 


SAGGIO  DI  BIBLIOGRAFIA 

DELLA    ZECCA    MESOLCINESE 


Am  EROSO  LI  Solone  ,  Di  una  moneta  trivulsiana  con  S.  Carpo  foro  ^ 
in  €  Rivista  Italiana  di  Numismatica  ».  Milano,  188  ^  fase.  II. 

Gnecchi  Francesco  ed  Ercole,  Ze  monete  dei  TrivuUio  descritte 
ed  illustrate.  Milano,  1887,  in-4''  (con  8  tavole). 

Saggio  di  Bibliografia  numisìnatica  delle  zecche  italiane  me- 
dioevali e  moderne.  Milano,  1889.  Mesocco,  pag.  192  ;  Boveredo, 
pag.  329  (*). 

KuNZ  Carlo,  Il  Museo  Bottacin  annesso  alla  Civica  Biblioteca  e 
Museo  di  Padova,  in  «  Periodico  di  numismatica  e  sfragistica». 
Yol.  I,  pag.  233,  tav.  X,  8  e  9. 

LiEBENAU  (Tu.  di),  Zur  Milnzgeschichte  von  Misocco,  in  «  Bullettin 
de  la  Società  Suisse  de  Numismatique,  1887,  n.  7-8. 


(*)  Di  questa  importante  opera  ci  siamo  naturalmente  serviti  per  la 
compilazione  della  presente  bibliografia ,  omettendo  però  le  pubblicazioni 
che,  pur  parlando  di  moneto  trivulziane,  non  accennano  alla  zecca  Mesol- 
cineso.  , 


424         E.  TAGLIABUE  -  È  DAVVERO  ESISTITA  LA  ZECCA  DI  MESOCCO  ? 

LiTTA  Pompeo,  Famiglie  celebri  italiane  :  I  Trivulzio. 

Marca  G.  Antonio  (à),  Compendio  storico  della  Valle  Mesolcina. 
Lugano,  1838,  pag.  99  e  232. 

Mazzdchelli  Pietro,  Informazioni  sopra  le  zecche  e  le  monete  di 
Gian  Giacoma  Trivulzio  marchese  di  Vigevano  e  Maresciallo 
di  Francia^  in  appendice  al  Rosmini  ,  BeW istoria  intorno  alle 
militari  imprese  ed  alla  vita  di  Gian  Jacopo  Trivulzio.  Mi- 
lano, 1815,  in-4°,  tomo  II,  pag.  345-380  (con  4  tavole). 

Motta  Emilio,  Le  zecche  di  Mesocco  e  Boveredo,  in  «  Ballettino 
storico  della  Svizzera  Italiana  ».  Bellinzona,  1887,  fase.  8, 11  e  12. 

pROMis  Vincenzo,  Tavole  sinottiche  delle  monete  battute  in  Italia  e 
da  Italiani  alVestero  dal  sec.  VII  a  tutto  il  MDCOGLXVIIL 
Torino,  MDCCCLXIX,  pag.  137  138  179. 

Rosmini  Carlo  (de),  DeWistoria  intorno  alle  militari  imprese  e  alla 
vita  di  Gian  Jacopo  Trivulzio.  Milano,  1815,  Volumi  due  in -4°. 

Taqliabue  Emilio,  Un  bando  contro  le  monete  trivulziane,  in  «  Ri- 
vista Italiana  di  Numismatica  ».  Milano,  1889,  fase.  IL 

Trachsel  Carlo  Fr.,  Die  angebliechen  Milnzen  von  Misocco  im 
Wellenheimischen  Gataloge,  in  «  Berlin  Blàtter,  etc.  »  Tomo  IV. 

Les  atéliers  monétaires  de  la  famille  des  Trivulzio  comtes  de 

Misocco,  seigneurs  de  Reinwald  et  de  Savien^  marquis  de  Vi- 
gevano ,  princes  de  la  vallèe  Misolcina  et  de  Retegno  impe- 
riale, etc.  Lettre  à  Monsieur  R.  Ghalon,  in  «  Revue  Numisma- 
tique  belge  ».  Tomo  II,  serie  V. 

Zanetti  Guid'  Antonio  ,  Nuova  raccolta  delle  monete  e  zecche 
d'Italia.  Bologna,   1779,  in-4^ 


m  PICCIOLO  DI  ASTORGIO  III  MANFREDI 

PER    FAENZA 


Non  è  un  pezzo  inedito  che  offro  agli  studiosi 
di  Numismatica  italiana,  ma  semplicemente  un  esem- 
plare meglio  conservato  degli  altri  finora  conosciuti 
di  questo  picciolo  e  che  permette  quindi  di  asse- 
gnarlo con  sicurezza  all'ultimo  dei  principi  Manfredi 
di  Faenza. 

La  monetina,  di  cui,  grazie  alla  cortesia  dei 
Direttori  della  Rivista^  posso  dare  ai  lettori  l'esat- 
tissima riproduzione  ,  porta  al  diritto  un  Falco  o 
Astorre  di  prospetto  con  la  leggenda  in  giro  da 
destra:  ASTORG-IVS  T  •  M  •  FA  •  {Astorgiics  Tertius  Man- 
fredits  Favenliniis)]  al  rovescio  il  busto  di  S.  Pietro 
con  le  chiavi  nella  sinistra  e  in  giro:  S  •  PETRVS.  E 
di  rame  con  poca  quantità  di  argento,  pesa  circa 
milligrammi  70  e  ha  un  diametro  di  17  millimetri. 

Il  primo  a  pubblicarla  fu  il  conte  Ernesto  Tam- 
broni  Armaroli  (^),  il  quale  ne  indovinò  la  giusta  as^- 


(1)  Bullettino  di  Numìstnatica  Italiana f  diretto   e   redatto   da  A.  R. 
Cancich.  Serio  IT,  anno  1867-68,  pag.  2,  tav.  I,  n.  1.  Firenze,  a867-6S. 


42G  GIUSEPPE   CASTELLANI 

segnazione  attribuendola  ad  Astorgio  III  per  un 
mero  caso  o  meglio  per  erronee  deduzioni.  Quando 
egli  imprese  ad  illustrare  questo  picciolo  capitatogli 
sotto  mano  nel  riordinare  la  collezione  della  Biblio- 
teca di  Macerata ,  non  conosceva  altra  moneta  di 
Faenza  all' infuori  di  quella  con  la  lancetta  e  il  San 
Pietro  edita  dal  Litta  (2)  da  un  esemplare  di  cattiva 
conservazione  e  quindi  di  attribuzione  allora  incerta, 
mentre  nuovi  esemplari  meglio  conservati  venuti  poi 
alla  luce  hanno  dimostrato  che  esso  pure  appartiene 
indubbiamente  ad  Astorgio  III.  Il  Tambroni  Arma- 
roli  credette  trovare  nella  monetina  da  lui  scoperta, 
che  relativamente  all'  esemplare  prodotto  dal  Litta 
era  un  po'  meglio  conservata,  un  miglioramento  di 
stile,  e  la  ritenne  quindi  posteriore  all'  altra  che 
credette  di  Astorgio  II,  assegnando  quindi  la  propria 
ad  Astorgio  III. 

Ognuno  sa  quanto  sia  fallace  criterio  quello 
dello  stile  per  aggiudicare  una  moneta  ad  uno  piut- 
tosto che  ad  altro  principe,  specialmente  se  di  epoche 
vicine  ;  nel  caso  speciale  poi  questo  criterio  fu 
adottato  arbitrariamente,  perchè  il  semplice  esame 
anche  dei  disegni  delle  due  monete  basta  a  convin- 
cere il  più  inesperto  che  figura  e  lettere  del  rovescio 
sono,  non  solo  dello  stesso  stile  e  maniera,  ma  for- 
s'  anco  dello  stesso  conio. 

Il  distinto  numismatico  sig.  Cav.  Giulio  Sambon 
nel  compilare  il  catalogo  della  celebre  collezione 
Rossi  (^),  non  avendo  agio  di  fare  nella    fretta  con- 


(2)  Famiglie  celebri  italiane,  —  I  Manfredi  di  Faenza. 

(3)  CataUtgo  della  Collezione  Rossi  di  Rnna,  Roma,  1880,  num.   1071 
pag.  82. 


UN    nCCIOLO    DI    ASTORGIO    III    MANFREDI    TER    FAENZA  427 

fronti  e  trovandosi  di  fronte  a  un  tipo  nuovo  ,  lo 
attribuì  ad  Astorgio  I ,  come  quello  al  quale  non 
erano  state  attribuite  altre  monete,  pur  rilevandone 
la  singolarità  e  massima  importanza.    . 

Da  ultimo  il  sig.  Prof.  Federico  Argnani ,  che 
raccolse  con  amore  e  diligenza  tutto  quanto  si  ri- 
ferisce alla  zecca  Faentina  (^),  attribuisce  il  nostro 
picciolo  ad  Astorgio  II.  E  notevole  che  tra  gli  ar- 
gomenti addotti  a  sostegno  di  questa  sua  attribu- 
zione evvi  quello  dello  stile  e  dei  caratteri ,  che  il 
C.  Tambroni  Armaroli  portava  in  appoggio  della 
sua.  Il  Prof  Argnani,  distinto  cultore  tanto  di  nu- 
mismatica che  di  arte,  conosceva  esemplari  ben  con- 
servati della  monetina  di  Astorgio  III  con  la  lancetta, 
mentre  dell'esemplare  di  Macerata  con  lAstorre  non 
vide  che  il  disegno  del  Bullettino  di  Firenze  ripro- 
dotto da  un  esemplare  poco  conservato  e  parvegli 
scorgervi  «  lo  stile  dell'  arte  troppo  scorretto  n el- 
ee r  insieme  dell'Astorre,  che  si  presenta  tutt'  altro 
«  che  elegante,  e  la  forma  larga  e  grossa  del  carat- 
«  tere  che  sente  ancora  del  gotico....  »  (^)  e  la  at- 
tribuisce ad  Astorgio  II. 

Io  non  seguirò  il  Prof.  Argnani  negli  ingegnósi 
ragionamenti  che  fa  per  sostenere  la  sua  ipotesi.  Il 
fatto  che  questo  mio  esemplare  porta  dopo  il  nome 
del  Principe  il  T  ossia  la  numerazione  genealogica 
identica  a  quella  portata  dal  picciolo  colla  lancetta, 


(4)  Cenni  storici  sulla  zecca,  sulle  monete  e  medaglie  de'  Manfredi  Si- 
gnori di  Faenza  e  sul  Sigillo  del  Comune  e  del  Popolo  della  stessa  Città 
compilati  dal  Prof.  Federico  Argnani  conservatore  della  Pinacoteca  Comu- 
nale. Faenza,  Ditta  Tipografica  Pietro  Conti,  1886. 

(5)  Pag.  26. 


428  GIUSEPPE    CASTELLANI 


e  che  egli  diceva  essere  inutile  cercarvi  (^),  ne  ro- 
vescia addirittura  la  base. 

Accennerò  di  volo  che  lo  stile  della  monetina 
e  la  forma  dei  caratteri  rispondono  perfettamente 
air  epoca  di  Astorgio  III,  che  è  quella  del  risorgi- 
mento dell'  arte  italiana  ;  infatti  1'  astorre  è  effigiato 
con  vera  delicatezza  ed  è  elegantissimo. 

Un  fatto  che  potrebbe  servire  a  determinare 
r  epoca  precisa  della  coniazione  di  questo  picciolo, 
e  che  venne  accennato  anche  dal  conte  Ernesto  Tam- 
broni  Armaroli  ffl,  è  il  cambiamento  di  nome  da  Fran- 
cesco in  Astorgio  che  sarebbe  avvenuto  nell'  assun- 
zione al  principato  dell'  ultimo  dei  Manfredi.  Io  non 
ho  libri  o  documenti  per  accertarlo,  ciò  che  potranno 
fare  agevolmente  gli  studiosi  di  cose  Faentine;  ma, 
qualora  fosse  vero  ,  esso  segnerebbe  1'  anno  preciso 
in  cui  fu  coniata  questa  piccola  moneta  che  sarebbe 
la  prima  apparsa  sotto  il  nuovo  principe,  del  cui 
nome  rinovellato  portava  l'emblema  parlante. 

Con  r  attribuzione  di  questo  picciolo  ad  Astor- 
gio III  la  serie  dei  principi  di  Faenza ,  che  conia- 
rono moneta,  viene  limitata  a  due  soli,  e  cioè  a  quello 
che  fece  coniare  le  monete  col  Beato  Nevolone,  che 
fu  Astorgio  I,  stando  all'Argnani,  ed  il  secondo,  stando 
allo  Zanetti,  e  ad  Astorgio  III,  che  oltre  alle  monete 
descritte  dall' Argnani,  fece  coniare  anche  questa  col- 
r  impronta  dell'Astorre. 


Giuseppe  Castellani. 


(6)  Ivi. 

(7)  Ballettino  citato,  pag.  3. 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL  1889 


{Continuazione  e  finej  redi  Fase.  prec.). 


II. 


Nell'estate  del  1889  re  Umberto  recavasi  a  visitare  le 
Paglie,  e  fermavasi  specialmente  a  Lecce,  dove  il  23  agosto 
veniva  inaugurato  il  monumento  eretto  per  voto  dei  Lec- 
cesi a  Ee  Vittorio  Emanuele. 

Il  viaggio  reale  a  Lecce  era  stato  prestabilito  per  il 
luglio,  e,  in  fatto,  noi  troviamo  preparata,  per  il  luglio,  la 
medaglia  seguente  : 

28,  —  Diam.  mm.  36. 

^  —  Testa  nuda  a  sin.  In  giro,  ai  lati:  UMBERTO  I   — 

RE  D'ITALIA. 
^  —  Nel  campo,  in  sette  linee:  LECCE  —  INAUGURANDO 
MONUMENTO  —  A  —  VITTORIO   EMANUELE  II  —  OSPI- 
TAVA ESULTANTE  —  RE  UMBERTO  I  —  LUGLIO  1889. 

Questa  medaglia,  eseguita  in  Milano  dall'ine.  A.  Don- 
zelli ,  dovette  —  per  la  prorogata  visita  reale  —  essere 
riconiata  con  un  nuovo  rovescio,  portante  invece  dell'indi- 
cazione del  mese  di  Luglio ,  quella  del  mese  di  Agosto, 
(Tav.  IX,  N.  2). 

Di  questa  medaglia  furono  distribuiti  in  Lecce  numerosi 
esemplari  in  bronzo  e  in  argento,  con  appiccagnolo  ed  anello 
entro  al  quale  era  passato  un  nastro  di  seta  dai  colori 
nazionali, 

55 


430  ALFREDO    COMAKDINI 


Alla  Maestà  del  Re  poi ,  fu  offerta  dal  Comitato  pel 
monumento  a  Vittorio  Emanuele  la  seguente  medaglia,  di 
diametro  speciale,  coniata  in  unico  esemplare  d'  oro. 

29.  Diam.  mm.  52. 

^  —  Testa  nuda  a  sin.  In  giro,  ai  lati  :  UMBERTO  I  —  RE 
D' ITALIA. 

9<'  —  Corona  di  due  rami  d'alloro,  aperti  in  alto,  intrecciati 
•  e  annodati  da  nastro  in  basso.  Nel  campo,  in  sette  linee: 
LECCE  —  INAUGURANDO  MONUMENTO  —  A  —  VITTORIO 
EMANUELE  II  —  OSPITAVA  ESULTANTE  -  RE  UMBERTO  I 
—  AG-OSTO  1889.  Tutt'ingiro  alla  medaglia,  cerchio  di 
perline. 

Anche  questa  medaglia  fu  eseguita  dalP  incisore  A.  Don- 
zelli di  Milano. 

* 
*  * 

Seguendo  cronologicamente,  alla  stregua  delle  medaglie 
i  fatti  del  1889,  troviamo  una  medaglia  ohe  ricorda  il  IV 
congresso  internazionale  delle  società  per  tramvie  a  vapore,  a 
cavallo,  ecc.,  riunitosi  in  Milano  nei  giorni  dal  28  al  31  agosto. 
La  medaglia  incisa  e  coniata  nello  stabilimento  S.  Johnson 
di  Milano,  fu  offerta ,  in  argento  ed  in  bronzo  ai  congres- 
sisti, dalla  Deputazione  Provinciale  di  Milano,  ed  è  la 
seguente  : 

30.  —    Diam.  mm.    32    fcon    appiccagnolo  ed  anellino  per 

nastro) , 

^  —  Stemma  della  provincia  di  Milano,  sormontato  da 
corona  turrita ,  e  circondato ,  in  fregi ,  dagli  stemmi 
dei  quattro  capi-luoghi  di  circondario  ;  a  sinistra,  quello 
di  Lodi,  in  alto,  e  quello  di  Monza,  in  basso;  a  destra, 
quello  di  Abbiategrasso,  in  alto  e  quello  di  Gallarate, 
in  basso. 

9»  —  Corona  di  due  rami  d'alloro,  aperti  in  alto,  intrec- 
ciati e  annodati  da  nastro  in  basso.  Nel  campo  in  sette 
righe  :  OMAGGIO  —  DELLA  PROVINCIA  —  AL  IV   CON- 


MEDAGLIE    ITALIANE   DEL    1889  431 


G-RESSO  —   INTERNAZIONALE  —  DEI  TRAMWAYS 

MILANO    —  AGOSTO  1889.  Sotto,    a    destra,  dentro  la 
corona  in  piccolo  :  S.  J.  {Stefano  Johnson). 


L'8  di  Agosto,  nella  villa  reale  di  Capodimonte,  sopra 
Napoli,  compianto  grandemente  da  tutta  la  nazione,  cessava 
di  vivere  quella  splendida,  gloriosa  incarnazione  del  più 
puro  e  disinteressato  patriottismo  che  fu  Benedetto  Cairoli. 

Medaglie  coniate  con  la  data  di  questo  lutto  sincero 
del  Re  e  della  Patria,  non  ne  conosciamo.  Ma,  dopo  trenta 
giorni  dalla  morte  di  Gairoli,  in  Roma,  l'S  settembre,  ini- 
ziatrice la  società  dei  Reduci  dalle  Patrie  Battaglie  pre- 
sieduta da  Menotti  Garibaldi,  fu  fatta  di  Benedetto  Oairoli 
una  commemorazione-apoteosi,  trasportandosene  un  busto 
marmoreo  in  Campidoglio.  La  stessa  società  dei  Reduci,  per 
ricordare  questa  commemorazione,  fece  incidere  dall'incisore 
Sirletti,  e  coniare  nella  regia  zecca  di  Roma  la  seguente 
medaglia,  che  fu  distribuita,  in  bronzo,  alle  rappresentanze 
cbe  alla  cerimonia  parteciparono: 

31.  —    Diam.  mm.    34   fcon  appiccagnolo  e   anellino   per 
nastroj, 
i&  —  Busto  a  sin.,   testa  nuda,   abito    civile.  In  giro    ai 
lati:    A    BENEDETTO  —  CAIROLI.   Sotto:    ROMA.  Nel 
taglio  del  busto:  A.  Sirletti. 

9(  —  Campo  liscio.  In  giro:  Vili  SETTEMBRE  MDCCCLXXXIX. 
In  basso,  stella  a  cinque  punte. 


Nello  stesso  giorno  8  settembre  aveva  luogo  in  Brescia 
la  inaugurazione  del  monumento  equestre  eretto  alla  memoria 
di  Giuseppe  Garibaldi.  In  Brescia,  in  quel  giorno,  premia- 
vansi  anche  i  tiratori  al  bersaglio  distintisi  nella  gara  pro- 
vinciale; e  chiudevasi  una  Esposizione  Industriale  operaia 
apertasi  alla  metà  d'  agosto. 


482  ALFREDO    COMANDINI 


Queste  feste  bresciane  ci  sono  ricordate  dalle  seguenti 
medaglie  : 

32.  —  Diam.  mm.  4A. 

^  —  Gruppo    equestre,    volto  a  destra,    rappresentante 

Garibaldi  a  cavallo   con  berretto   in  capo,  poncho  sulle 

spalle,    sciabola    inguainata,    e    le   braccia    incrociate 

sul  petto  ,  in    atteggiamento   d'uomo  pensoso.  Sotto  la 

*      linea  dell' esergo  a  sinistra:  Johnson;  a  destra:  Milano. 

9»  —  In  mezzo  al  campo,  piccola  corona  di  due  rami,  di 
quercia  a  sinistra,  d'alloro  a  destra,  aperti  in  alto,  intrec- 
ciati e  annodati  da  nastro,  in  basso.  Dentro  la  corona,  in 
tre  linee:  ÀI  —  TIRATORI  —  PREMIATI.  In  giro  este- 
riormente alla  corona:  GARA  PROVINCIALE  DI  TIRO  A 
SEGNO.  Sotto  alla  corona,  a  mo'  d'esergo,  in  due  linee: 
BRESCIA  —  SETTEMBRE  1889. 


Questa  medaglia,  riproducente  egregiamente  nel  diritto 
il  monumento  scolpito  da  Eugenio  Maccagnani,  fu  incisa  dal 
bravo  A.  Cappuccio  nello  stabilimento  S.  Johnson  di  Milano, 
dove  fi),  coniata  in  numero  di  esemplari  limitatamente  ai 
premi  da  conferirsi  per  la  gara  di  tiro. 

A  ricordo  particolare  dell'inaugurazione  del  monumento 
a  Garibaldi,  veniva  poi  venduta  al  prezzo  di  una  lira,  per 
le  vie  di  Brescia,  la  medaglia  seguente  ,  della  quale  non 
conosciamo  l'autore,  né  il  luago  dove  fu  coniata: 

33.  —  Diam.  mm.  25  {appiccagnolo  con  anello  per  passarvi 

nastro). 

^  —  Busto  a  destra,  testa  con  berretto,  di  Giuseppe  Ga- 
ribaldi. In  alto,  ad  arco  :  RICORDO  DI  BRESCIA. 

5I  —  Corona  di  due  rami  di  alloro  e  di  quercia ,  aperti 
in  alto,  intrecciati  e  annodati  in  basso.  Nel  campo,  in 
due  linee  :  SETTEMBRE  —  1889. 

Una  terza  medaglia,  per  le  feste  bresciane,  incisa  e  co- 
niata anche  questa  nello  stabilimento  Johnson  di  Milano,  è 
la  seguente: 


MEDAGLIE    ITALIANE    DEL    1889  433 

34.  —  Diam.  mm.  38. 

^  —  Statua ,  volta  a  destra  ,  della  Vittoria  Bresciana. 
In  giro  :  ESPOSIZIONE  INDUSTRIALE  OPERÀIA  PROVIN- 
CIALE. Sotto,  in  esergo:  BRESCIA  1889.  Accanto  alla 
linea  dell'esergo,  a  sinistra,  nel  campo  :  Johnson. 
]p|  —  Corona  di  due  rami  ricchi,  di  alloro  a  sinistra,  di 
quercia  a  destra,  aperti  in  alto,  intrecciati  ed  annodati 
da  nastro  in  basso.  Campo  e  giro  lisci. 


Contemporaneamente  alle  feste  bresciane ,  aprivasi  in 
Verona,  l'S  settembre  1889,  il  Concorso  Agrario  Eegionale 
Veneto  con  Esposizione  Industriale.  Di  questa  festa  del- 
l'industria abbiamo  la  seguente  medaglia-ricordo,  incisa  dal 
Cappuccio  e  coniata  nello  stabilimento  Johnson  di  Milano. 

35.  —  Diam.  mm.  44. 

^  —  Appoggiata  a  pilastro  fregiato  dello  stemma  coro- 
nato di  Verona,  e  fra  emblemi  ed  attrezzi  delle  arti, 
delle  industrie  e  dell'agricoltura,  figura  di  donna  alata 
stante  ,  di  prospetto  con  1'  ali  spiegate  ,  con  corona  di 
alloro  nella  sinistra  appoggiata  al  pilastro,  ed  in  atto 
di  porgere  corona  d'  alloro  con  la  destra.  In  basso  ,  a 
sinistra,  il  palazzo  della  Camera  di  Commercio  di  Ve- 
rona. In  giro:  ESPOSIZIONE  INDUSTRIALE  DI  VERONA. 
Al  disopra  del  capo  della  donna  alata,  nel  campo,  stella 
a  cinque  punte.  Esergo  :  S.  Johnson. 

5»  —  Veduta  della  piazza  Bra,  in  Verona,  con  l'Arena  a 
sinistra,  il  palazzo  del  Municipio  nel  centro,  il  palazzo 
della  Gran  Guardia  a  destra ,  e  in  basso  a  sinistra  ,  il 
monumento  equestre  a  Vittorio  Emanuele.  In  alto  nel 
campo,  stella  a  cinque  punte  in  raggi.  Esergo  :  RICORDO 
1889.  Sotto,  ad  arco:  Stabilimento  Johnson  Milano. 

* 

E  un'altra  festa  dell'industria  e  dell'agricoltura  —  una 
fiera  enologica  —  aveva  luogo  in  Palermo,  e  ci  è  ricordata 


434  ALFREDO    COMANDINI 


dalla  seguente    medaglia ,  incisa  dal    Cappuccio   e    coniata 
nello  stabilimento  Jolinson  di  Milano: 

36.  —  Diamm.  mm.  46. 

^  —  Nel  campo,  Mercurio,  nudo,  seduto  a  destra  su  di 
una  sfera,  con  in  capo  il  petaso  alato,  volto  a  sinistra, 
con  la  destra  appoggiata  a  un  caduceo  capovolto,  e  con 
una  cornucopia  versante  monete  nella  sinistra.  Attorno 
ai  piedi  di  Mercurio,  emblemi  industriali  ed  agricoli  ; 
dietro  di  lui  ,  nello  sfondo,  a  sinistra ,  la  veduta  del 
golfo  di  Palermo ,  e  a  destra  ponte  attraversato,  da 
treno  ferroviario.  Ad  arco ,  nella  metà  superiore  di 
cerchio  rilevato,  fra  due  stellette  a  sei  punte  :  CÀMERA 
DI  COMMERCIO  DI  PALERMO.  Ad  arco,  nella  metà  in- 
feriore dello  stesso  cerchio  :  FIERA  ENOLOG-ICA  1889. 
Nel  campo ,  sotto  alla  linea  dell'  esergo  a  sinistra  : 
Johnson. 

'^  —  Corona  di  due  ricchi  rami  di  alloro,  aperti  in  alto, 
intrecciati  e  annodati  in  basso.  Campo  e  giro,  lisci. 

* 

*  * 

Sul  finire  del  Settembre,  a'  22,  inauguravasi  in  Lucca 
un  monumento  alla  memoria  di  Garibaldi,  e  coniavansi  per 
la  circostanza,  le  due  seguenti  medaglie: 

37.  —  Diam.  mm.  51. 

^  —  Busto  a  sin.,  testa  nuda.  In  giro,  ai  lati:  GIUSEPPE 
GARIBALDI.  Sotto  al  busto  nel  campo,  a  destra:  Adolfo 
Farnesi  J. 
9»  —  In  alto,  nel  campo,  stella  d'Italia  in  raggi.  Nel  campo 
in  sei  linee:  XXII  SETTEMBRE  MDCCCLXXXIX.  —  COMME- 
MORANDO IL  XX  ANNIVERSARIO  —  DI  ROMA    REDENTA 

—  IL   POPOLO  LUCCHESE  —   INNALZO'  IL  MONUMENTO 

—  AL  VINTO    D'  ASPROMONTE    E   DI  MENTANA.    Sotto , 
rami  di  alloro  e  di  quercia,  intrecciati  e  annodati. 

Questa  medaglia,  incisa  dal  giovane  e  distinto  incisore 
lucchese  Adolfo  Farnesi,  figlio  del  valente  incisore  Nicola, 


MEDAGLIE   ITALIANE   DEL    1889  435 

fu   distribuita    dal    Comitato    pel    monumento,  e  messa    in 
commercio  al  prezzo  di  L.  5. 

Quest'altra  invece,  eseguita  in  Firenze  dal  noto  ed 
eccellente  prof.  Luigi  Giorgi,  fu  fatta  da  questi  per  conto 
proprio,  non  venne  messa  in  commercio,  e  fu  coniata  in  molto 
limitato  numero  di  esemplari  : 

38.  —  Diam.  mm.  60. 
^  —  Busto,    testa   nuda.    In    giro,    ai    lati:    GIUSEPPE 

GARIBALDI.  Sotto  al  busto:  L.  Giorgi  in  Firenze. 
9I  -^  Nel  campo,  in  sei  linee:  PER  L'INAUGURAZIONE  — 
IN  LUCCA  —  DEL  MONUMENTO  —  AL'  EROE  DEI    DUE 
MONDI  —  XXII  SETTEMBRE  —  MDCCCLXXXIX. 


Dopo  queste  medaglie,  troviamo  cronologicamente,  quella 
cbe  ci  ricorda  il  giubileo  artistico  del  maestro  Giuseppe 
Verdi.  I  cinquant'anni  di  gloriosa  carriera  artistica  furono 
compiuti  dall'  illustre  compositore  il  17  novembre ,  e  la 
giunta  comunale  di  Genova  —  dove  il  maestro  ordinariamente 
risiede  —  aveva  decretato  fino  dal  19  settembre  1889  di 
far  coniare,  pel  17  novembre,  una  medaglia  d'oro  da  confe- 
rirsi a  Verdi,  che  di  Genova  è  cittadino  onorario. 

La  medaglia  fu  in  breve  tempo  incisa  dall'egregio 
cav.  Speranza  Filippo,  primo  incisore  della  regia  zecca  di 
Eoma;  e  in  questa  ne  furono  coniati  un  esemplare  in  oro, 
pochissimi  in  argento,  un  centinaio  in  rame.  La  presenta- 
zione della  medaglia  fu  fatta  al  maestro  quindici  giorni  dopo 
la  data  del  giubileo,  avendo  egli  tardato  a  restituirsi  a 
Genova  dalla  sua  villa  di  Sant'Agata.  La  medaglia  è  la 
seguente:  (Tav.  IX,  N.  4). 

39.  —  Diam.  mm.  69. 

^  —  Busto  a  sin.,  abito  civile,  testa  nuda:  nel  taglio  del 

busto:  Speranza. In  giro:  PER  IL  GIUBILEO  ARTISTICO 

DEL    SUO    GRANDE   CITTADINO   ONORARIO.  Sotto   al 

■    busto  fra  due  stellette  a  cinque  punte ,  in  due  linee  : 

GENOVA  —  XVII  NOVEMBRE  MDCCCLXXXIX, 


4of)  ALFREDO    COMANDINI 


5I  —  Nel  campo,  in  nove  linee  :  A  —  GIUSEPPE  VERDI  — 
GLORIA  D' ITALIA  —  NELL'  ARTE  DIVINA  DELLA  MUSICA 
COI  CANTI  ISPIRATI  —  ALL'AMOR  DELLA  PATRIA  — 
FAUTORE  POTENTE  -  DEL  —  RISORGIMENTO  NAZIO- 
NALE. 

*  * 

Quattro  giorni  dopo  il  giubileo  verdiano,  compiva  i 
settanta  anni  di  età  ed  i  cinquanta  di  gloriosa  carriera 
industriale  un  uomo  grandemente  benemerito  della  industria 
e  del  lavoro  nazionale,  il  senatore  Alessandro  Rossi  di  Schio. 

Ad  onore  e  memoria  di  questo  tenace  propugnatore 
della  protezione  del  lavoro  italiano  ,  troviamo ,  coniate  pel 
21  novembre  1889,  due  medaglie. 

La  prima  fu  fatta  eseguire  dallo  stesso  senatore  Rossi, 
che  ne  affidò  1'  incisione  e  la  coniazione  all'  incisore  mila- 
nese signor  Antonio  Donzelli  ;  e  qui  la  descriviamo  : 

40.  —  Diam.  mm.  70. 

^  —  Mare  agitato  solcato  da  navi  ;  a  destra  sole  na- 
scente ;  a  sin.  nubi.  Sulla  riva,  vecchio  pescatore  se- 
duto a  sin.  in  atto  di  raccogliere  le  reti,  circondato 
da  sei  figure  di  giovanette  e  fanciulli.  Nell'esergo  :  ME- 
MOR  FUI  DIERUM  ANTIQUORVM.  ~  S.  CXLII. 
5^  —  Nel  campo,  in  cinque  linee  :  ALESSANDRO  ROSSI 
—  1819  •  21  NOVEMBRE  •  1889  —  Al  SUOI  COETANEI 
DI  SCHIO  —  IN  ATTESA  —  DELLA  SECONDA  VITA. 

Il  senatore  Rossi,  il  giorno  21  novembre,  volendo  nella 
propria  onorare  la  canizie  dei  suoi  coetanei,  e  condividere 
con  essi  tutti  la  consolazione  dei  suoi  cari,  fino  dal  1  no- 
vembre, aveva  invitato  i  concittadini  di  Schio,  nati  dal  1819 
in  su,  a  festa  comune.  E  l'invito  al  geniale  convegno  era 
cosi  concepito  : 

«  Caro  coetaneo  e  concittadino, 

€  Compiendo  io  70  anni  col  21  di  questo  mese,  mi  è  venuto  il 
«  pensiero  di  passare  quel  giorno  tra  i  nati  di  Schio  dal  1819  in  là 
f  che  ancora  sorvivono  a  tanti  cittadini  ed  amici  e  parenti   perduti. 


MEDAGLIE   ITALIANE    DEL    1889  437 


«  Vi  prego  di  non  mancare  al  mio  invito,  e  ve  ne  sarò  grato. 
«  Siamo  in  ottanta  ;  teniamoci  in  guardia  che  nessuno  di  noi  sia 
«  malato  in  quel  dì. 

«  Vi  noto  quale  sarà  l'orario  ;  e  vi  saluto  cordialmente. 

«   Vostro  concittadino 
€  A.  Eossi.  » 

Non  è  a  dire  se  gl'invitati  gradirono  la  cortese  pro- 
posta. E  la  mattina  del  giorno  21 ,  alle  ore  10 ,  si  trova- 
rono tutti  ottanta  nel  tempio  magnifico  eretto  dal  Rossi 
nella  nuova  Schio,  dove  con  una  messa  cantata  da  mons.  Gae- 
tano Rossi,  fratello  del  festeggiato  ,  ed  accompagnata  dal- 
l'orchestra degli  operai  del  Lanifìcio  ,  indi  con  un  solenne 
Te  Deiim  resero  grazie  a  Dio  del  lieto  avvenimento. 

Dalla  chiesa  di  S.  Antonio  l'onorando  corteo  ,  percor- 
rendo la  via  maggiore  della  nuova  Schio  ,  passò  nel  gran- 
dioso edificio  delle  scuole  Rossi.  Là  il  munifico  invitante 
ogni  cosa  aveva  disposto  per  rendere  più  solenne  il  giorno 
della  comune  allegrezza.  Un  fotografo  ritrasse  da  prima  i 
convenuti,  tutti  in  gruppo  ;  poi  passarono  questi  nel  tea- 
trino annesso  alle  scuole,  dove  i  giovanetti,  figli  di  operai, 
che  frequentano  le  istituzioni  Rossi,  diedero  una  piacevole 
e  bene  adattata  rappresentazione.  Finita  questa ,  dodici 
degli  stessi  giovanetti ,  entrarono  coi  convitati  nella  sala 
da  pranzo,  festosamente  parata  a  drappi  bianchi  e  rossi  con 
corone  di  verde  alloro ,  e ,  cantata  la  benedizione  della 
mensa ,  musica  del  maestro  Fogliardi  su  versi  eccellenti 
dello  stesso  senatore  Rossi,  il  pranzo  ^  degno  della  straor- 
dinaria festa  —  fu  signorilmente  servito ,  da  dodici  pre- 
stanti ragazze,  già  alunne  delle  scuole  Rossi,  ed  ora  lavo- 
ratrici nell'opificio. 

Al  levare  delle  mense  brindarono,  d'occasione,  un  mon- 
signore di  Schio  ed  il  senatore  Rossi ,  con  caratteristica 
vivacità.  Poi  entrarono  nella  sala  cento  alunni  delle  scuole, 
a  cantare  un  bell'inno  in  onore  del  festeggiato  ;  e  alla  fine 
dell'  inno  ,  il  senatore  Rossi  distribuì  a  ciascuno  dei  coe- 
tanei un  esemplare  in  argento  ,  del  peso  di  200  grammi  , 
della  medaglia  incisa  dal  Donzelli,  e  sopra  descritta. 

Non  è  compito  nostro  l'esporre  qui  il  dettaglio  di  tutte 

56 


438  ALFREDO   COMANDINl 


le  manifestazioni  di  festa  e  di  gioia  che  circondarono,  il  21 
nov.  1889,  il  senatore  Rossi  ;  e  notiamo  che  sono  appunto 
descritte  in  un  fascicaletto  ,  estratto  dal  periodico  Silvio 
Pellico  {TI  giubileo  operaio  del  senatore  Alessandro  Rossi  a 
Schio  —  Ricordo  della  memoranda  festa  del  21  nov.  1889, 
—  Torino,  1889,  Giulio  Speirani  e  figli,  tipografi-editori).  Ma 
è  di  nostra  competenza  il  registrare  qui  la  seconda  delle 
medaglie  relative  a  tale  festa,  e  da  noi  già  accennata.  Essa 
è  la  seguente  (Tav.  IX,  N.  3). 

41.  Diam.  mm.  64. 

^  —  In  alto  rilievo,  donna  laureata,  seduta  a  sin.,  volta 
a  destra  col  busto  ed  a  sin.  col  capo,  avente  nella  si- 
nistra una  corona  d'  alloro  e  nella  destra  un  ramo  di 
quercia  ;  sotto  del  quale  un  medaglione  portante  la 
testa  nuda  a  destra  di  Alessandro  Rossi.  A  destra  della 
donna ,  ruota  dentata,  e  nello  sfondo,  paesaggio  con 
opificio.  Sul  basamento,  a  sinistra:  A.  Pogliaghi  inv. 
—  A.  C.  INC.  Neir  esergo  ,  in  lambello  :  Stabilimento 
Johnson.  Milano. 

5/  —  Nel  campo,  in  tredici  linee:  AL  —  SENATORE  — 
ALESSANDRO  ROSSI  —  NEL  SETTANTESIMO  SVO  NA- 
TALIZIO —  QVESTA  MEMORIA  —  I  CONSIGLIERI  I  SIN- 
DACI —  DEL  LANIFICIO  —  CON  AFFETTO  CON  FERVIDI 
VOTI  —  CONSACRANO  —  MILANO -SCHIO  —  21  NO- 
VEMBRE —  1889. 

Questa  medaglia  fu  offerta  al  senatore  Alessandro  Rossi 
in  esemplare  d'  oro,  dai  Consiglieri  e  Sindaci  del  Lanificio 
che  dal  benemerito  senatore  Rossi  prende  nome,  e  la  cui 
sede  amministrativa  è  in  Milano.  La  medaglia  fu  modellata 
dal  pittore  A.  Pogliaghi,  e  incisa  squisitamente  dall' A.  Cap- 
puccio ;  fu  coniata  nello  Stabilimento  S.  Johnson  di  Mi- 
lano, rimanendone  i  coni  di  proprietà  dei  committenti 
consiglieri  e  sindaci  del  Lanificio  i  quali ,  oltre  all'  esem- 
plare in  oro,  pochissimi  altri  in  bronzo  ne  fecero   coniare. 


MEDAGLIE    ITALIANE    DEL    1889  439 


*     * 

Alla  fine  del  dicembre  1889  la  città  di  Firenze  festeggiò 
solennemente  il  quarto  centenario  dalla  nascita  di  quel- 
r  eroico  e  leggendario  capitano  popolare  che  fu  Francesco 
Ferruccio. 

Fuvvi  un  solenne  corteo  imponente  di  sodalizi,  non 
che  di  Firenze  e  di  Toscana,  di  tutta  Italia,  che  portò  co- 
rone, in  via  S.  Spirito,  alla  lapide  ricordante  la  località 
dove  Ferruccio  nacque.  Poi  fu  inaugarata  una  lapide  com- 
memorativa nel  primo  cortile  dello  storico  Palazzo  Vecchio; 
quindi  nel  salone  dei  Cinquecento  il  professore  e  deputato 
Giovanni  Bovio  tenne  una  conferenza  storica  e  filosofica; 
poi  festosi  banchetti,  concerti,  ecc. 

Il  Comitato  curò,  che  la  commemorazione  del  29  di- 
cembre rimanesse  ricordata  da  una  medaglia,  la  cui  inci- 
sione fu  affidata  al  prof.  cav.  Luigi  Giorgi,  di  chiara  e 
meritata  fama,  da  questo  nuovo  lavoro  confermata. 

La  medaglia  (Tav.  IX,  n.  1)  è  la  seguente: 

42.  —  Diam.  mm.  52. 

^  —  Busto  coricato  a  sinistra,  testa  nuda.  In  giro  ai  lati  : 
FRANCESCO  —  FERRVCCIO.  Sotto  al  busto:  L.  Giorgi  f. 
Il  tutto  in  cerchio  di  perline. 

5/  —  Cerchio  di  perline.  Nel  campo  in  otto  righe:  A  — 
FRANCESCO  FERRVCCIO  —  DELLA  REPVBBLICA  FIOREN- 
TINA —  VNICO  BALVARDO  -  VLTIMO  SOSPIRO  -  NEL 
IV  CENTENARIO  IL  COMITATO  -  XIV  AGOSTO  — 
MDCCCLXXXIX. 

La  festa  commemorativa,  realmente,  ricorreva  il  giorno 
14  agosto  ;  ma  per  meglio  attuarne  la  celebrazione  fu  rin- 
viata al  29  dicembre.  L'  epigrafe  surriferita  fu  dettata  dal 
prof.  Francesco  Curzio,  presidente  del  Comitato  per  le  ono- 
ranze a  Ferruccio. 


140  ALFREDO    COMANDIN] 


*    *     *    * 


Qui  cessa  il  novero  delle  medaglie  relative  a  fatti  ed 
a  fasti  compiutisi  o  celebratisi  nel  1889.  Ma  ci  rimangono 
da  descrivere  poche  medaglie,  che,  coniate  nel  1889,  sotto 
questa  data  si  possono  tuttavia  classificare. 

Due  di  queste  medaglie  portano  1'  effigie  del  generale 
Garibaldi  ;  e  sono  le  seguenti  : 

43.  —  Diam.  mm.  60. 

^  ~  Busto  di  prospetto,  testa  nuda  a  sinistra.  In  giro, 
ai  lati  :  GIUSEPPE  —  GARIBALDI.  Sotto  al  busto  ,  ad 
arco  :  Gio.  Batt.  Noto  Millefiori. 

51  —  Corona  di  due  rami  di  alloro  e  di  palma  ,  aperti 
in  alto  ,  intrecciati  e  annodati  in  basso.  Nel  campo  , 
sovrapposta  a  disco,  e  stante  suU'annodatura  della  co- 
rona. Fama  seminuda,  ad  ali  spiegate  di  prospetto,  suo- 
nante tromba  a  destra,  ed  additante  con  la  destra  a  si- 
nistra. In  alto,  nell'apertura  dei  due  rami  della  corona, 
stella  a  cinque  punte. 

44.  —  Diam.  mm.  30. 

^  —  Uguale  a  quello  della  medaglia  precedente  ;  ma , 
sotto  al  busto  non  si  legge  il  nome  delVincisore, 

51  —  Uguale  a  quello  della  medaglia  precedente  ;  77ia  la 
Fama  è  gradiente  a  destra. 

Questa  medaglia,  nei  suoi  due  diversi  moduli,  fu  ese- 
guita in  E,oma  dal  signor  Giovanni  Battista  Noto  Millefiori, 
non  incisore,  ma  soltanto  modellatore  distinto,  addetto  allo 
studio  dell'illustre  scultore  Monteverde.  Nell'aprile  del  1887 
essendo  venuto  a  morire  il  chiarissimo  comm.  Demetrio 
Canzani ,  primo  incisore  nella  regia  zecca  di  Milano ,  il 
ministero  per  le  finanze  indisse  in  E-oma  un  concorso  per 
la  nomina  di  un  successore  al  Canzani.  Al  concorso  presen- 
taronsi  vari  distinti  incisori  italiani,  i  quali,  come  d'obbligo 
presentarono,  modellati  in  cera,  in  grande  dimensione,  una 


MEDAGLIE   ITALIANE    DEL    1830  44:1 

testa  nuda,  a  sinistra,  di  sua  Maestà  il  Re,  ed  una  Vittoria 
alata;  più  una  medaglia  in  rame  già  eseguita  nelF  anno  1888. 
Concorse  anche  il  signor  G.  B.  Noto  Millefiori,  modellatore; 
ed  i  suoi  eccellenti  modelli  gli  valsero  la  scelta  a  primo 
fra  i  concorrenti;  ma  non  essendo  egli  incisore  e,  però  non 
avendo  una  medaglia  eseguita  da  presentare,  si  assunse  di 
eseguirne  una  —  e  la  esegui  appunto  nel  1889,  e  fu  quella 
in  onore  di  Garibaldi,  sopra  descritta  e  del  diam.  di  mm.  60. 
Non  completamente  soddisfatto  il  ministero  per  le 
finanze  di  questo  esperimento,  richiese  al  Noto  Millefiori 
che  facesse  la  riduzione  di  detta  medaglia  a  metà  diametro, 
valendosi  del  pantografo  esistente  nella  regia  zecca  di  Roma, 
ed  eseguendo  tale  riduzione  nei  locali  di  detta  zecca  e  sotto 
la  sorveglianza  quotidiana  di  un  delegato  del  ministero 
delle  finanze.  Cosi ,  nel  1889 ,  il  signor  Noto  Millefiori 
esegui  anche  la  riduzione  —  accennata  al  N.  44,  con  le 
leggiere  varianti  indicate;  ma,  evidentemente,  il  lavoro  non 
corrispose  alle  esigenze  del  ministero  per  le  finanze,  giac- 
che l'esito  del  concorso  fu  dichiarato  nullo;  ed  un  nuovo 
concorso  pel  posto  di  primo  incisore  alla  regia  zecca  di 
Milano  pare  debba  essere  nuovamente  indetto  prossimamente. 


*  * 

Un'  altra   medaglia    stata   incisa ,  coniata    e    messa    in 
commercio  nel  1889  è  la  seguente: 

45.  —  Diam.  mm.  70. 

/B'  —  Testa  nuda  a  sinistra.  In  giro,  ai  lati:  UMBERTO  I 
—    RE    D'  ITALIA.    In    basso ,   ad    arco  :    Gaetano  Calvi 

DIS.   MOD.   ED   INC. 

5(  —  Nel  campo  figura  simbolica  nuda  di  vecchio  lau- 
reato, seduto  su  roccia  a  sinistra  e  raffigurante  il  Tevere, 
appoggiato  con  la  sinistra,  tenente  il  remo,  ad  otre  dal 
quale  scaturisce  acqua.  Sotto  la  figura  del  Tevere,  spie- 
gata ,  di  fronte  ,  con  rostro  a  destra  ,  aquila  coronata 
alla  reale,  portante  sul  petto  lo  scudo  sabaudo.  A  destra, 
nel  campo,  le  cupole  del  tempio  di  San  Pietro  in  Roma; 


442  ALFREDO    COMANDINI 


e  a  sinistra  le  colonne  del  Foro  e  la  Grecostasis.  In 
alto,  in  giro,  ad  arco:  a  INTÀIMG-IBILE  CONQUISTA.  « 
Neil' esergo,  in  tre  linee,  le  prime  due  orizzontali,  e  la 
terza  ad  arco:  TELEGRAMMA  DI  S.  M.  UMBERTO  I  — 
AL  SINDACO  DI  ROMA  —  IL  XX  SET.  MDCCCLXXXVI.  Sulla 
linea  dell' esergo  à  sinistra:  Gaetano  Calvi  dis.  mod.  ed  inc. 

Questa  medaglia  ricorda  il  telegramma  cLe,  il  20  set- 
tembre 1886,  nella  ricorrenza  del  sedicesimo  anniversario, 
dall'  entrata  delle  truppe  italiane  in  Roma ,  fu  mandato 
dal  Re  Umberto  I  al  sindaco  di  Roma,  e  che,  per  le  parole 
Roma  conquista  intangibile ,  fu  accolto  con  grande  favore 
dalla  pubblica  opinione,  e,  come  propose  il  deputato  Luciani, 
fu  consacrato  in  varie  medaglie,  ultima  venuta  delle  quali 
quella  che  qui  abbiamo  descritta. 

Di  questa  medaglia  furono  finora  eseguiti  dal  cav.  Calvi 
pochissimi  esemplari  in  bronzo.  Un  esemplare  in  argento 
fu  inviato  dal  cav.  Calvi  a  Sua  Maestà,  e  fu  collocato  nel 
gabinetto  numismatico  di  Corte,  facendo  Sua  Maestà  signi- 
ficare i  propri  ringraziamenti  all'autore  con  lettera  del 
ministro  Visone  in  data  3  dicembre  1889. 


* 
*  * 

Altra    medaglia  —  che    si  può  dire    dedicata  ad   Ales- 
sandro Volta  —  coniata  nel  1889  è  la  seguente: 

46.  —  Diam.  mm.  50. 

^  —  Busto ,  testa    nuda    a    destra.    In    giro ,    ad    arco  : 

ALEXANDRO    VOLTAE     NOVOCOMENSI    V.    C    Sotto    al 

busto,  nel  campo:  F.  Putinati. 
5>  —  Campo  liscio:  corona  di  due  rami  d'alloro  e  di  quercia. 

In  giro,  ad  arco:  SOCIETÀ'  ITALIANA  DI  ELETTRICITÀ'. 

Sotto,  ad  arco,    su    due    linee:    PER     IL    PROGRESSO 

DEGLI  STUDII  —  E  DELLE  APPLICAZIONI. 

Per    questa    medaglia  —  la    cui  leggenda    ne   dice    lo 
scopo  —  fu  adoperato,  pel  diritto,  il  conio  inciso  dal  Puti- 


MEDAGLIE   ITALIANE   DEL    1889  443 

nati  nel  1838  per  la  medaglia  commemorativa  della  inau- 
gurazione del  monumento  ad  Alessandro  Volta  in  Como. 
Tale  conio,  posseduto  dal  municipio  comense,  fu  adoperato 
già,  un'altra  volta,  per  la  coniazione  della  medaglia  com- 
memorativa della  inaugurazione  del  monumento  a  Volta  in 
Pavia  il  maggio  1878.  Nella  terza  coniazione,  del  1889,  pare 
che  il  vecchio  conio  abbia  alcun  poco  sofferto;  cosicché  della 
medaglia  sopra  descritta  non  furono  potuti  coniare  che 
pochi  esemplari. 

Il  rovescio   fu   eseguito  nello   stabilimento  S.  Johnson 
in  Milano. 


Altre  medagliette  minori,  relative  al  1889,  si  potrebbero 
qui  descrivere  ;  ma  non  hanno,  a  modesto  parer  nostro,  im- 
portanza speciale,  generale  o  locale,  né  per  la  storia,  nò 
per  l'arte.  Se  i  nostri  egregi  colleghi  altre  ne  conoscono, 
meritevoli  di  particolare  attenzione  —  favoriscano  segna- 
larcele. 


Noi  chiudiamo  qui  il  nostro  arido  e  semplice  lavoro  ; 
aggiungendo,  a  complemento  della  notizia  —  data  nella 
prima  parte  del  nostro  scritto  —  sopra  il  medaglione  in 
onore  del  Rosmini ,  che  l' esimio  scultore  Gr.  Cassina  non 
ne  fece  eseguire  80,  ma  solamente  38,  di  detti  medaglioni  ; 
e  del  modello  in  legno  fece  dono  al  gabinetto  numismatico 
di  Brera. 

Milano,  2  settembre  1890. 

Alfredo  Comandini. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  (i) 


Manca  sin*  ora  una  notizia  compiuta  delle  monete  ap- 
partenenti al  Ducato  napoletano.  Nel  secolo  trascorso  ne 
parlarono  il  Tutini  (2),  il  de  Pietri  (3),  il  Capaccio  W,  e  pa- 
recchi altri,  tra  i  quali  più  ampiamente  il  Muratori  (5).  Ma 
la  scienza  numismatica  faceva  allora  le  sue  prime  prove 
nella  parte  medioevale,  e  gli  esemplari  sui  quali  si  volge- 
vano gli  studi  erano  ancora  scarsi  di  numero,  spesso  logori 
troppo,  e  a  volta  falsi  ;  cosiccliè  facilmente  si  cadde  in  er- 
rore, o  si  trascese  a  supposizioni  immaginarie,  come  quando 
in  cambio  di  NEÀTTOAIC,  si  lesse  nel  rovescio  d'una  moneta 
NEATTOAITnN,e  quando  si  ritenne  genuino  lo  strano  bronzo 
che  battezzava  per  Apostolo  s.  Gennaro  (6). 

Tuttavia  quei  primi  tentativi  non  rimasero  infruttuosi. 
D'  allora  sino  ai  nostri  giorni ,  altri  attesero   con  indagine 


(1)  Quest'articolo  fu  pubblicato  per  la  prima  volta  iìqìV Archivio  Storico 
per  le  Provìnce  Napoletane.  Anno  XIV,  1889,  fascicolo  III.        (N.  d.  R.). 

(2)  Memorie  della  vita,  miracoli  e  culto  di  S.  Gennaro  martire.  Na- 
poli, 1633,  pag.  86  e  seg. 

(3)  Historia  Napoletana.  Napoli,  1634,  L.  I. 

(4)  Hist.  Neapolit.  L.  I. 

(b)  Antiq.  Ital.  Med.  Aevi.  T.  II,  Diss.  XXVII.  In  generale  gli  altri  tol- 
sero occasione  di  parlarne  a  proposito  deirimmagine  di  S.  Gennaro  messa 
sulle  monete,  restringendosi  a  pochi  cenni,  come  fecero  il  Caracciolo  ,  De 
Sacr.  Eccl.  Neap.  Monum.  C.  25  ;  il  Falcone  ,  Vif.  S.  Genn.  ;  Girol.  M.* 
di  S.  Anna,  Istor.  della  vita,  ecc.  di  S.  Genn.  Pag.  455-456  ;  il  Mazzocchi, 
De  Episc.  Neap.  e  I'Ignarra,  Opuscula  Rece^isio  Actorum  S.  Januarii. 

(6)  A  giudicare  quanta  poca  cura  ponessero  nell'esame,  basta  porre  a 
confronto  i  diversi  disegni,  per  lo  più  immaginarii,  che  si  riprodussero  delle 
stesse  monete.  Cf.  Tutini,  Op.  e.  Muratori,  Op.  e,  ecc. 


416  ARTURO    G.    SAMRON 


più  paziente  allo  studio  delle  monete  medioevali  dell'Italia 
meridionale,  e  si  giovarono  della  scoperta  d'  esemplari  più 
perfetti  e  sicuri,  e  li  tolsero  ad  esame  con  acume  maggiore 
di  critica.  E  ,  oltre  al  libro  del  Vergara  sulle  Monete  del 
regno  di  Napoli,  vanno  ricordate  con  pregio  più  o  meno  di 
lode,  le  Illustrazioni  del  Diodati  sulle  Monete  che  si  nomi- 
7io.no  nelle  Costituzioni^  le  Tavole  di  monete  del  Reame  di 
Napoli  e  Sicilia  del  Fusco,  la  monografia  erudita  dello  Spi- 
nelli sulle  Monete  Cufiche,  e  quelle  più  speciali  e  recenti 
sulle  Monete  di  Giustiniano  II  del  Corderò  di  Sanquintino, 
del  Lazari  sulle  Monete  d^ Abruzzo,  e  dell'Engel  intorno  alla 
Numismatica  e  alla  Sigillografia  dell'epoca  Normanna  (7). 

Ma  ancorché  queste  ed  altre  simili  opere  abbiano  svelata 
una  messe  abbastanza  copiosa  di  monete  sconosciute  ,  ed 
abbiano  descritte  con  maggiore  verità  quelle  già  note,  assai 
rimane  a  fare.  Parecchie  monete  furono  trasandate,  o  ven- 
nero a  luce  dopo  ,  di  altre  non  fu  ben  definita  l' apparte- 
nenza; e  in  generale  si  sente  il  bisogno  di  un'  opera  com- 
plessiva che,  ordinando  ed  illustrando  la  monetazione  dei 
varii  Stati  e  dei  dinasti,  che  durante  la  media  età  sursero 
e  dominarono  nella  regione  meridionale  d' Italia  ,  ne  dia 
un'idea  compiuta. 

Come  contributo  ed  apparecchio  a  quest'opera  di  mag- 
gior lena,  io  mi  propongo  ora  di  raccogliere  i  tipi  e  di  dar 
notizia  delle  monete  del  Ducato  napoletano,  che,  tra  quegli 
Stati,  ebbe  anch'esso  un  glorioso  periodo  di  vita;  ben  lieto 
di  poter  aggiungere  alla  cognizione  dei  più  comuni  esem- 
plari, quella  di  altri  meno  imperfetti ,  o  ignorati  in  tutto. 


(7)  A  queste,  e  alle  minori  opere  dei  tre  Fasco,  del  Promis  ,  Tavole 
sinott.  delle  monete  battute  in  Italia  dal  sec.  Vili  in  poi-,  del  Tonini, 
Appunti  di  Numismatica,  ecc.  e  di  altri,  vanno  aggiunti  i  Cataloghi  delle 
Collezioni  del  Museo  di  Napoli  del  Fiorelli. 


I,E  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  447 


La  prima  serie  delle  monete  Ducali,  che  comprende  i 
bronzi  improntati  in  Napoli  al  tempo  in  cui  la  città  tro- 
va vasi  in  una  diretta  dipendenza  dall'impero  Bizantino, 
s'  inizia  poc'  oltre  la  metà  del  settimo  secolo.  Ormai  può 
ritenersi  con  certezza  quello  che  il  Corderò  di  Sanquintino 
avea  intravveduto  (8),  cioè,  che  1'  antichissima  zecca  Napo- 
letana si  riapre  quando  l'imperatore  Costante  II,  venuto  ad 
assalire  i  Longobardi  di  Benevento  ,  fece  breve  dimora  in 
Napoli.  Per  modo  che  la  rinnovata  monetazione  si  riscontra 
ed  a  ragione  in  un  fatto  memorabile,  quale  fu  l'istituzione 
d'un  primo  Duca,  Basilio,  posto  al  governo  della  città  tra 
il  661  e  il  662  (9). 

Le  monete  di  questa  serie,  almeno  quelle  che  avanzano, 
cominciando  da  una  data  anteriore  al  668  (10)^  vanno  fin 
quasi  alla  metà  dell'  ottavo  secolo.  E  il  Sabatier  ne  anno- 
vera due  di  piccolo  modulo  ,  tra  le  Bizantine  (H)  ;  1'  una 
con  l'immagine  di  Costante  II,  l'altra  con  quella  di  Giusti- 
niano II,  le  quali  recando  al  rovescio  la  sigla  N€,  lasciano 
intendere  che  furono  battute  in  Napoli.  Però  va  notato, 
che  nell'opera  del  Sabatier  i  tipi  delle  due  monetine  Na- 
poletane  non   furono    riprodotti  con    esattezza   scrupolosa. 


(8)  Delle  monete  di  Giustiniano  II,  (Meni.  delV  Accad.  delle  Scienze, 
Torino,  Serie  II,  1845), 

(9)  Gap  ASSO,  Monum.  ad  Neap.  ducat.  Hist.  pertin.  T.  I,  pag.  30. 

(10)  In  quell'anno  morì  Costante  II. 

(11)  J.  Sabatier,  Description  generale  des  rnonnaies  Byzantines  depuis 
Arcadius  jusqu'à  la  prise  de  Constant  inopie  par  Mahomet  II.  Paris  1863. 
Fra  le  carte  del  Fusco,  che  sono  raccolte  nella  Biblioteca  di  San  Mar- 
tino a  Napoli,  A'i  sono  alcune  note  sulle  monete  del  Ducato  Napoletano  ; 
e  in  una  è  detto,  che  nel  suo  medagliere  domestico  si  conservava  una 
moneta  di  Giastiniano  I  assai  consunta  della  specie  dei  follari,  segnata  al 
rovescio  con  le  siglo  NEAP.  Ma  il  dotto  uomo  dove  essersi  ingannato  a 
causa  delle  lettere  dolete,  e  la  leggenda  sarà  stata  forse  THE^P  che  spesso 
si  legge  sui  follari  di  quoirimperatore. 


448  ARTURO    G.    SAMBON 


Anzi ,  raffrontando  V  originale  moneta  di  Giustiniano  II  al 
disegno  a  stampa,  si  vede  che  il  disegno  fa  abbellito  se- 
condo un  tipo  d'immaginaria  perfezione  che  n'alterò  il  ca- 
rattere. Ed  io  sospetto  che  nemmeno  l'interpretazione  delle 
leggende  sia  stata  fatta  sempre  con  diligenza,  perchè  non 
m'accadde  mai  nei  molti  esemplari  leggere  intere  le  parole 
DN  ivsTiNiAN  chc  il  Sabaticr  lesse  in  una  delle  dette  mone- 
tine, e  perchè  nella  sua  opera  non  mancano  altri  esempì 
d'arbitraria  interpretazione. 

Oltre  le  due  riferite  dal  Sabatier,  ne  rimangono  altre  di 
tempo  posteriore  annotate  dal  Corderò  di  Sanquintino  in 
una  inedita  Tavola  di  monete  napolitane ,  posseduta  dal 
professor  Luppi  di  Milano,  ed  altre  della  mia  particolare 
collezione.  Cosicché,  per  questo  periodo,  le  monete  Ducali 
di  Napoli,  conosciute  sino  adesso,  sono  in  tutto  dieci  ch'io 
classifico  a  questo  modo: 

COSTANTE  n. 

(641-668). 

1.  V2  Follis  {20  nummia)  (12).  Rame,  Peso   gr.  2,36.    (Colle- 

zione Sambon). 
^  —  Effigie  dell'  Imperatore  con    lunga   barba,  di    pro- 
spetto: nella  sinistra  ha  un  globo  crocigero:  uno  scet- 
tro nella  destra. 
9/    —  L'  area  è    divisa  da  una  sbarra  orizzontale  ;  al    di 
sopra,  il  numerario  XX;  disotto,  la  sigla  N€. 

(Tav.  X,  N.  1). 

2.  Rame.    - 

^  —  CONST  .... 

Busto  dell'Imperatore,  di  prospetto. 


(12)  Il  folh'Sj  moneta  dì  rame  deirimporo  Bizantino,  prendeva  nome  dai 
sacchetti  di  pelle  folles ,  nei  quali  si  riponeva.  L'unità  di  questa  moneta 
era  il  numrnus,  e  quindi  si  avea  il  follis  0  multiplo  massimo  di  40  nummi, 
il  cui  valore  (da  Anastasio  sino  a  Michele  m)  era  indicato  con  le  cifre 
M,  o  XXX,  XL.  Il  Va  di  folliSf  nummi  30,  col  A  0  xxx.  Il  V2  >  nummi  20 
col  K,  0  XX.  H  DecanummOf  col  1  0  x.  Il  Pentanummo,  col  €  0  V.  Il 
numrnus  coli 'A, 


LE   MONETE    DEL   DUCATO    NAPOLETANO  449 

9/.    —  Simile  al  precedente;  se  non  che,  al  di  sopra  del 
numerario,  v'è  una  crocetta  (13). 

3.  Rame, 

^^  -  b  SOD 

Busto  di  prospetto:  globo  crocigero  nella  destra. 
^    —  Simile  al  num.  1.   La    cifra   numerica  è  però  rap- 
presentata in  modo  che  gli  estremi  del  secondo  x  si 
riattaccano  a  quelli  dell'altro  (14). 

(Tav.  X,  N.  2). 

4.  Rame.  Peso  gr.  1,13.  (Coli.  Sambon). 

^  —  L' istessa  moneta  anepigrafe.  Varia  soltanto  la  foggia 
del  vestiario. 

(Tav.  X,  N.  3). 

6.  Rame,  Peso  gr.  1,75.  (Coli.  Sambon). 

^  —  Busto  imberbe,  di  prospetto:  globo  crocigero  nella 

destra. 
5I    —  Numerario  xx:  sotto  una  sbarra,  le  sigle  N€ 

(Tav.  X,  N.  4). 

6.  Rame, 

^'  —  €N  TOY  .... 

Figura  ritta  delPImperatore.  Sostiene  colla  destra  una 

lunga  asta  con  una  croce  :  nella  sinistra  ha  un  globo 

crocigero. 

5»    —  Indizio  del  valore  K  con  tre  crocette,  una  disopra,  e 

due  ai  lati:  sotto  alla    sbarra  orizz.  la   sigla  N6  (1^). 

(Tav.  X,  N.  5). 

7.  Rame. 

/B'  —  . .  .  .  Doe 

Busto  di  prospetto  dell'Imperatore. 
9^    —  Numerario  xx:    sotto  alla  sbarra  orizz.  À9N  (1^). 

(Tav.  X,  N.  6). 

(13)  Sabatier,  0.  e, 

(14)  Sanquintino,  Tav.  cit, 

(15)  Idem,  idem. 

(16)  Fusco,  Disegni. 


450  ARTURO    G.    SAMBON 


GIUSTINIANO    II. 

(685-695  0  705-711). 

8.  V2  Follis,  Rame. 
^  —  DN  IMSTINIA 

Busto  di  prospetto  dell'Imperatore. 
9»    —  XX  :  sotto  una  sbarra  orizzontale  la  sigla  N€  (1'^). 

9.  Rame.  Peso  gr.  1,52.  (Coli.  Sambon). 
/B'  -  IUTI 

Busto  di  prospetto:  globo  crocigero  nella  destra. 
1^    —  Simile  al  precedente. 

(Tav.  X,  N.  7). 

LEONE  III. 

(716-741). 

10.  V2  FoUis.  Rame. 
^^  —  ND  L€0 

Busto  imberbe  e   di    prospetto    dell'Imperatore:    globo 
crocigero  nella  destra. 
91    —  Numerario  xx:  sbarra    orizzontale  e  sigla    N€  (^S). 

(Tav.  X,  N.  8). 

Come  scorgesi  a  prima  vista,  queste  monete  sono  nel 
maggior  numero  anepigrafi,  o  portano  a  leggenda  un  ODO, 
un  I^TI,  ed  altri  tali  segni  indecifrabili.  Or  la  mancanza, 
o  l'enigmatica  alterazione  delle  sigle,  io  non  credo  che  sia 
da  attribuire  ad  imperizia  dello  zecchiere.  Non  lo  credo 
perchè,  mentre  viene  omesso  o  confuso  il  nome  dell'impe- 
ratore, si  pone  grande  diligenza  a  segnare  le  iniziali  della 
zecca;  e  perchè,  mentre  da  un  lato  si  toglie  importanza  al 
dritto  della  moneta,  si  dà  maggior  rilievo  al  rovescio,  dov'è 
scritta  NEATTOAIC.  E  per  di  più  si  aggiunga,  che  assai  spesso 
lo   stile    di    queste    monete  è  abbastanza  corretto,  e  spesso 


(17)  Sabatier,  Op.  e. 

(18)  Sanquintino,  Op.  e. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  451 

migliore  quasi  di  quelle  battute  a  Costantinopoli.  Una  con- 
simile disfigurazione  della  leggenda  imperiale,  si  riscontra 
anche  nelle  prime  monete  dei  Principi  Beneventani,  i  quali 
imitando  e  contraffacendo  il  soldo  bizantino  con  successive 
e  graduate  alterazioni,  s'arrogarono  il  dritto  di  zecca,  sot- 
traendosi con  quelle  mendaci  apparenze  alle  rappresaglie 
elle  una  più  manifesta  usurpazione  avrebbe  potuto  provo- 
care. Come  segno  quindi  dell'  ambita  indipendenza,  essi 
guastavano  e  confondevano  le  lettere  del  nome  imperiale, 
affinchè  al  confronto  meglio  apparissero  le  iniziali  del 
nome  loro  ;  e  non  è  improbabile  che  lo  stesso  sia  avvenuto 
a  Napoli,  non  potendo  altrimenti  spiegarsi  questa  anomalia 
che  fa  contrasto  alla  serie  numerosa  delle  monete  prodotta 
dalle  zecche  di  Roma  e  di  Ravenna,  sulle  quali,  ancorché 
a  volta  ne  sia  barbaro  e  sconvolto  il  tipo,  si  legge  sempre 
chiaramente  il  nome  dell'  imperatore  (19).  Solamente ,  attra- 
verso le  fìtte  tenebre  che  oscurano  la  storia  dei  quindici 
Duchi  che  si  successero  a  Napoli,  non  è  possibile  indagare 
quali  tra  essi,  sforzandosi  a  rendere  meno  visibili  i  segni 
di  dipendenza  verso  la  corte  Bizantina,  diedero  ardire  agli 
altri  di  procedere  a  più  audaci  tentativi,  e  di  apporre  il 
loro  nome  sulle  monete. 


II. 


La  seconda  serie  della  monetazione  napoletana  ha  il 
carattere  d'assoluta  autonomia,  e  s'inizia  con  un  singolare 
mutamento,  perchè  all'immagine  imperiale,  vien  sostituita 
quella  di  s.  Gennaro. 

Io  so  bene,  che  queste  monete,  anche  perchè  coniate 
a  sbalzi  di  tempo,  al  giudizio  di  alcuni,  parvero   piuttosto 


(19)  Di  Roma  si  conosce  solamente  una  monetina  quadrata  anepigrafe, 
sulla  quale  manca  il  nome  imperiale,  ma  lo  stile  n'è  cosi  rozzo,  che  non 
può  darsi  alcun  valore  a  quella  omissione, 


452  ARTURO    G.    SAMBON 


medaglie  commemorative  e  religiose  (20).  Ma  assai  altre  mo- 
nete medioevali,  al  modo  stesso  s'improntano  dalla  protome 
dei  santi  patroni  delle  città;  e  d'altra  parte,  ammesso  pure, 
quantunque  sia  poco  credibile,  che  gli  esemplari  posseduti 
sin' ora,  rappresentino  tutta  intera  la  serie  delle  monete 
autonome  ducali,  ninna  prova  negativa  può  dedursi  dall'  in- 
terrotta coniazione.  E  noto  pur  troppo  clie  i  rapporti  di 
dipendenza  tra  le  città  di  Campania  scampate  alla  conquista 
longobarda,  e  l' impero  Bizantino,  furono  sempre  mal  defi- 
niti e  mutabili.  E  che  assalite  da  ogni  parte,  e  costrette  a 
schermirsi  con  deboli  forze  tra  nemici  potenti,  fu  per  esse 
necessità  d'acconciarsi  ai  casi  variabili  di  fortuna.  Onde 
Duchi  e  Consoli,  secondo  gl'interessi  del  momento,  e  se- 
condo che  declinava  o  rialzavasi  il  dominio  greco  in  Italia, 
or  s'atteggiarono  a  dinasti  indipendenti,  ed  ora  accettarono 
e  richiesero  titoli  d'imperiali  ministri.  Non  è  dunque  me- 
raviglia se,  in  mezzo  a  questa  alterna  vicenda,  a  volte 
apparve  e  a  volte  spari  dalle  monete  il  nome  dei  Duchi 
Napoletani,  cosi  come  v'apparve  e  ne  spari  l'immagine  di 
s.  Gennaro. 

Quanto  a  questo  simbolo  narrano,  che  in  tempo  assai 
remoto,  i  cittadini  atterriti  da  un  incendio  spaventoso  del 
Vesuvio,  invocassero  la  protezione  del  martire  Vescovo,  e 
che  smorzate  per  miracolo  le  fiamme,  ut  Deo  gratias  agerent 
et  monimentum  beneficii  posteris  commeìidarent  per  Theo- 
critum  ducem  numismata  cum  imagine  sancii  Benefactoris 
ciiderunt  (21).  Però  gli  agiografi  non  s'accordano  intorno 
r  anno   dell'  incendio ,    e   il    singolare   nwìiisma,  impresso 


(20)  In  sanctorum  honorem  potius  cusos,  quam  ut  per  manus  ad  mer- 
ciinonios  traderentur.  Capacii,  Op.  e,  pag.  271,  e  lo  stesso  dicono  tutti  i 
biografi  del  Santo. 

(21)  Narratiuncula  site  Homilia  de  Vesuviano  incendio,  in  calce  all'apo- 
grafo greco  della  vita  di  S.  Grennaro,  intorno  al  quale  v.  Capassó,  Op.  e, 
pag.  36  e  seg.  La  moneta  sarebbe  stata  coniata  nel  685,  ma  allora  era  duca 
Stefano  e  non  Teocrito.  Altri  pongono  Tincendio  del  Vesuvio  e  il  miracolo 
in  tempo  anteriore. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  453 


come  dicono  a  rammentarlo,  e  riprodotto  in  più  libri,  si 
scopre  una  postuma  impostura  (22). 

Ben  altro  significato  ebbe  la  protome  di  s.  Gennaro 
sulle  monete,  e  in  tempi  meno  lontani  vi  comparve. 

Quando  il  furore  iconoclasta  di  Leone  Isaurico  com- 
mosse l'Italia  e  vi  destò  il  primo  sentimento  di  nazione, 
Napoli  fu  l'ultima  ad  insorgere;  anzi  dalla  città  partirono 
armati  ad  offesa  del  Papa,  e  non  si  volle  ammettere  dentro 
le  mura  l'eletto  vescovo  Paolo,  quia  fune  Parthenopensis 
populus  polestaii  Graecorum  favebat  (23).  Ma  infine  i  pri- 
mati, uno  Consilio,  unoque  consen'su,  si  scoprirono  anch'essi 
avversi  alla  detestabile  altercazione  delle  iimnagini,  e  il 
Duca  Stefano  secondò  quel  moto  d'indipendenza,  e  fece  ren- 
dere al  Pontefice  i  patrimoni  della  Chiesa  Romana  confi- 
scati presso  Napoli;  e,  allorché  Paolo  venne  a  morte,  fu 
egli  stesso  consacrato  Vescovo  nel  767.  Tra  quegli  anni 
dunque,  quando  la  prima  volta  sollevaronsi  i  primatcs  Nea- 
politani,  e  quando  tornò  in  onore  il  culto  delle  sante  imma- 
gini, quasi  a  protesta  del  divieto  che  le  avea  proscritte  (24)^ 
deve  credersi  battuta  la  moneta,  che  reca  la  figura  di  S.  Gen- 
naro, della  quale  rimangono  i  tre  seguenti  esemplari  (25): 


(22)  La  Narraiiuncula  dico  che  sulla  moneta  fu  impressa  da  una  parto 
la  prolomo  del  Santo  e  la  scritta  '^Yto?  è  lavo-  Acio?,  Santus  lanuarius^ 
0  dall'altra  AoTpiut)]?  r^i;  itóXeo)?  ano  toj  re  pò;,  Liherator  Civiiatìs  ah  igne. 
Poro  noiresompJaro  della  moneta  odit.i  dal  Tutini,  Op.  e.  al  dritto  si  leggo 
Apostohis  lanuarius,  ondo  il  Muratori,  riproducondola,  confossa  cho  la 
spiegazione  di  quel  titolo  divinari  nondum  potui.  E  giudicando  dal  carat- 
tere corsivo  della  scritta  greca  improntata  nel  rovescio,  e  dagli  accenti  elio 
la  sognano,  suppone,  come  suppose  anche  Stilting,  Act  S.  lanuar.  et  soc, 
cho  fosso  opera  di  tempi  posteriori;  e  si  può  aggiungere  cho  fu  opera  di 
falsarli.  Il  Fusco,  nello  carte  citato,  dubita  anch'egli  della  voracità  della 
moneta;  ma  non  osa  bandirla. 

(23)  loHAN,  Di(w.  Gesta  Epis.  Neap.  ed.  Waitz  Mon.  Genn.  Hist.  n.  41. 

(24)  A  conforma  di  questo  fatto  s'aggiungo  un'altra  testimonianza,  cioè 
quella  dei  suggelli  del  Vescovo  Paolo,  e  del  Vescovo  Duca  Stefano  conser- 
vati nel  Museo  Nazionale  di  Napoli.  In  entrambi  si  vedo  l'immagine  di 
s.  Gennaro  con  la  scritta  pauli  episc  —  scs  ianovari  —  stephani  episc 

—  scs  lANUARIUS. 

(25)  Sono  tutti  di  ramo,  e  sì  conservano  nella  Colleziono  Sambon.  La  P 
pesa  ^r.  1,92,  la  2*  gr.  1,85  e  la  3*  ^r.  ],75. 

53 


451  ARTURO    G.    SAMBOX 


1.  7,  Foìiis. 

^^  —  se  lANO 

Busto  del  santo  col  libro  degli  Evangeli. 

?(  —  +  NEA  -  nOA  -  IC 

(Tav.  X,  N.  9). 

2.  (D"  —  Altro  di  tipo  diverso  —  $  |AN 
IJ/  —  Simile. 

(Tav.  X,  N.  10). 

3.  /ly  —  Altro  di  modulo  più   piccolo  e  di   tipo    anche  di- 

verso —  SCS  lA 
yl  —  Simile,  ma  senza  croce. 

(Tav.  X,  N.  11). 

D'allora,  simbolo  insieme  della  religiosa  e  della  poli- 
tica riscossa,  l'immagine  del  Martire  venerato  riapparve 
sulle  monete  ogni  volta  che  i  Duchi  riuscirono  ad  affer- 
mare i  diritti  della  loro  autonoma  sovranità  ;  ed  a  renderne 
più  apparenti  i  segni,  posteriormente  essi  v'aggiunsero  le 
iniziali  del  loro  nome. 

Le  monete  più  antiche  del  secondo  periodo  di  questa 
serie,  sono  quelle  che  portano  impresse  le  lettere  S  T,  le 
quali,  messa  da  banda  l'ipotesi  di  chi,  credendole  mistiche 
sigle,  vi  lesse  Sanata  Trini/ as  o  Saliti is  Tropheiun  (26)^  ad- 
ditano certamente  il  nome  di  Stefano.  Però  i  moltissimi 
esemplari  che  ne  rimangono  sono  diversi  per  tipo.  E  da 
una  parte  il  numero,  dall'altra  la  varietà,  danno  motivo  a 
due  quistioni,  cioè  se  ad  un  solo  o  ad  entrambi  gli  omo- 
nimi Duchi,  debbono  attribuirsi;  e  come  mai,  posto  che  al 
tempo  d'un  solo  vennero  battute,  fu  possibile  quella  diver- 


(26)  La  prima  intorpretaziono  è  del  Totini ,  la  seconda  del  Muratori , 
che  certamente  la  ricopiò  dal  Caracciolo,  Op.  e.  E  forse  si  persuasero  a  dare 
alle  lettere  un  sacro  significato,  vedendole  tramezzato  da  una  croco;  ma 
anche  sullo  monete  Beneventane  di  Grimoaldo,  Sicone,  Sicardo,  Eadelchi,  e 
su  quelle  Salernitane  di  Siconolfo,  si  vedono  le  lettere  iniziali  del  nome  di  quei 
principi  divise  da  una  croce.  Assai  strano  fa  Terrore  del  Sabatier  che 
mutò  la  scritta  siano st  in  scoxstct  (Cartagine).  Op.  e. 


LE    MONETE    DEL    DUCATO    NAPOI  ETANO  455 

sita  cosi  grande  di  stile,  per  cui  dagli  esemplari  coniati 
con  arte  discreta,  via  via  si  discende  a  rozze  e  goffe  imi- 
tazioni. 

Quanto  alla  prima  quistione,  il  dubbio  da  risolvere  è 
tra  il  duca  Stefano,  che  resse  dal  758  al  789,  e  il  nipote 
di  lui  ch'ebbe  il  medesimo  nome,  e  governò  dall' 821  all' 832. 
E  i  molti  anni  del  dominio  del  primo  darebbero  buon  fon- 
damento ad  asserire,  che  al  suo  tempo  furono  diffuse  pa- 
recchie emissioni  di  monete  con  mutabile  tipo.  Però  questa 
ipotesi  è  sino  ad  un  certo  punto  probabile. 

Disdetta  l'obbedienza  ai  decreti  iconoclastici,  il  governo 
del  Ducato  di  Napoli  assunse  più  libere  forme.  Ma  pure 
allentandosi  i  vincoli  esterni  di  sudditanza,  non  s'infran- 
sero ;  o  almeno  non  s' infransero  a  lungo.  E  anche  quando 
Stefano  I  ebbe  riunita  alla  ducale  potestà  quella  vescovile, 
destreggiandosi  accortamente  tra  Roma  e  Bisanzio,  man- 
tenne il  culto  delle  immagini,  e  insieme  anche  certe  appa- 
renze d'ossequio  verso  l'Imperatore  (27).  Or  questa  accorta 
ed  ambigua  condotta  toglie  il  sospetto  che,  oltre  alle  mo- 
nete coniate  nei  primordi  della  riscossa  con  l'impronta  di 
S.  Gennaro  e  la  scritta  NGAnOAIC,  finché  visse  quel  Duca, 
siano  state  battute  tutte  le  monete  autonome  che  portano 
il  nome  di  Stefano. 

Sembrerebbe  perciò  più  verosimile  attribuirle  a  Stefano 
juniore,  ove  si  tenga  conto  delle  condizioni  storiche.  Dopo 
che  i  primates  della  città  s'arrogarono  il  dritto  d'elezione, 
i  Duchi  furono  prescelti,  quasi  ereditariamente,  nella  fami- 
glia del  vecchio  Stefano  sino  all'anno  818.  Però,  morto  An- 
timo, cominciarono  anche  altri  a  pretendere  a  quella  dignità; 
e  allora,  crescendo  le  discordie  e  le  contese,  il  governo  fu 


(27)  I  legami  rimasti  tra  Stefano  I  e  la  corte  imperiale  d'Oriente  si 
deducono  dalle  lettere  di  papa  Adriano  I  e  specialmente  dalla  65^  Coà. 
Caroliti.^  scritta  tra  gli  anni  777,  778.  Il  Pontefice  si  duole  perchè  i  nefan- 
dissìmos  NeapoUfanos  et  Deo  odihiles  graecos  ad  istigazione  di  Arechi 
duca  Beneventano,  avevano  invasa  Terracina.  E  altrove  {Epis.  88,  92)  parla 
di  due  Spatarii,  che  venuti  da  Costantinopoli,  e  accolti  dai  Napoletani  cum 
signis  et  imaginihus...  cum  Stephano  episcopo...  tractaverunt. 


4&t3  AllTURO  G.  saMboN 


s accessi vamente  ridato  in  mano  degl'imperiali  ministri, 
Teotisco  e  Teodoro,  venuti  dalla  Sicilia  con  titolo  di  Mae- 
stri dei  Militi.  Ma  quella  mutazione  subito  increbbe;  i 
fautori  del  dritto  ereditario  soUevaronsi,  sbandirono  Teo- 
doro, acclamarono  l'anno  821  il  nipote  del  seniore  Vescovo- 
Duca.  E  questo  secondo  Stefano,  apertamente  ribelle  ai 
Greci  (28)j  si  può  intendere  che  a  ragione  imprimesse  il 
nome  suo  sulle  monete. 

Non  pertanto  questa  deduzione,  che  ha  molta  apparenza 
di  vero,  non  basta  a  sciogliere  l'enigma  maggiore.  Il  Fusco 
raccolse  sino  a  quaranta  esemplari  delle  monete  di  Stefano 
con  tipo  più  o  meno  dissimile  (29),  e  anch'io  ne  posseggo 
buon  numero  di  conio  diverso,  e  a  volte  assai  strano.  Il 
tipo  originale  e  più  corretto  è  il  seguente: 

Rame,  gr.  1,61  (Collez.  Sambon)  (30). 

(B'  —  Effigie  di  S.   Gennaro    tonsurato,  in    abito  episco- 
pale, con  la  scritta  SCS  lÀN. 
9*    —  S  T  divise  da  una  croce  su  due  gradini. 

(Tav.  X,  N.  12). 

Le  altre  sono  di  stile  meno  corretto,  e  in  parecchie  fra 
queste  i  contorni  della  figura  del  Santo,  allargandosi,  con- 
torcendosi, confondendosi,  alterarono  il  disegno,  per  modo 
che  il  cocuzzolo  raso  del  Vescovo  martire  prese  foggia,  o 
di  un  nimbo,  o  di  un  berretto  a  punta  o  spianato  ;  e  il  pi- 
viale si  cangiò  in  un  intrigo  indefinibile  di  linee.  E  peggio 
ancora,  in  alcune  le  letfcere  dell'epigrafe,  furono  in  parte 
trasandate,  o  capovolte  e  impresse  a  rovescio,  e  perfino  mu- 
taronsi    nello    sgorbio    indicifrabile,    che    apparisce    al   nu- 


(28)  Un  argomento  a  provare  che  la  sovranità  greca  fu  allora,  almeno 
di  fatto,  sconosciuta  a  Napoli,  può  trarsi  dal  vedere  che  nell'ostinata  guerra 
combattuta  durante  il  ducato  di  Stefano  II,  tra  Napoletani  e  Longobardi, 
non  si  accenna  mai  all'intervento  dei  Bizantini. 

(29)  I  disegni  di  questi  varii  esemplari,  raccolti  dal  Fusco  in  due  Ta- 
vole rimaste  inedite,  si  conservano  presso  il  prof.  Luppi  in  Milano. 

(30)  Le  altre  al  n.  13,  14  e  15,  della  stessa  Collezione,  hanno  presso 
a  poco  ristesso  peso. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  457 

mero  16  della  Tavola  X  (31).  Come  dunque  spiegare  questa 
moltiplicità  e  varietà  di  tipo?  Come  persuadersi  d'una  cosi 
evidente  differenza  di  stile,  durante  un  periodo  d'appena 
dieci  anni  assegnati  al  governo  di  Stefano  II? 

Il  primo  sospetto  ohe  viene  in  mente  è  quello  di  una 
contraffazione.  E  confesso,  che  rammentando  come  i  Mu- 
sulmani usarono  a  volta,  per  ragione  di  traffico,  foggiare 
le  altrui  monete  ;  e  che  di  fatto  foggiarono  i  foUari  anonimi 
bizantini  attribuiti  a  Tzimisce,  i  quali  col  loro  simbolo  di 
pace,  per  essere  estranei  agli  odii  religiosi,  avevano  facile 
corso  negli  Stati  dell'Italia  meridionale  (32)^  quasi  mi  per- 
suasi, che  le  più  goffe  imitazioni  delle  monete  di  Stefano 
fossero  uscite  dalle  zecche  Saraceniche. 

Ma  pur  troppo  il  sospetto  si  dilegua,  quando  si  consi- 
dera che  a  dargli  ombra  di  possibilità,  bisognerebbe  im- 
maginare che  i  Musulmani  di  Sicilia  cominciassero  a  mo- 
strarsi sul  continente  in  un  tempo  anteriore  a  quello  indi- 
cato nelle  storiche  tradizioni,  o  che  dopo  la  morte  di  Ste- 
fano II,  durante  una  serie  d'anni  assai  lunga  le  sue  monete 
rimanessero  in  uso  nei  commerci.  E  anche  consentito  questo, 
resterebbe  a  provare,  perchè  valesse  la  pena  di  contraffarle, 
che  quelle  monete  di  rame  avessero  importanza  tale  da  es- 
sere accettate  nei  traffici  degli  altri  Stati.  Or  dei  tre  fatti 
immaginabili,  l'uno  è  smentito  dai  ricordi  unanimi  dei  cro- 
nisti, e  agli  altri  due  manca  il  sostegno  di  qualsiasi  indizio 
anche  lontano,  anzi  vi  si  oppongono  tutte  le  notizie  che 
abbiamo  sulla  circolazione  delle  monete  che  furono  in  uso 
allora. 

La  più  probabile  soluzione  del  quesito  non  pertanto  è 
quella  di  attribuirle  al  secondo  Stefano;  perchè,  a  parte  le 
mal  note  ragioni  che  hanno  potuto  contribuire  a  trasfor- 
marne il  tipo  più  corretto  in  un  tipo  più  rozzo  e  contraf- 
fatto, non  deve  destar  meraviglia  1'  imperizia  degli  artefici 


•    (31)  Peso  gr.  2,76.  (Collezione  Sambon). 

(32)  Qaesti  follavi  circolano  anche  fra  gli  Arabi,  e  alcuni  se  ne  veggono 
improntati  da  una  contromarca  con  la  scrittura  buono  in  caratteri  cufici. 


458  ARTURO    G.    SAMBON 


e  la  decadenza  dell'arte,  quando  si  rammenti  in  mezzo  a 
quali  vicende  burrascose  visse  quel  Duca,  e  come  la  sca- 
dente coltura  apparisca  anche  nelle  scritture  del  suo  tempo, 
e  perfino  nel  barbarico  epitaffio  che  si  legge  sul  suo  se- 
polcro (33). 

Bellissimi    invece    al  paragone    sono   i  due    tipi    della 
moneta  di  Sergio  : 

1.  Follis.  Rame,  Peso  gr.  7,74  (Coli.  Sambon). 
^^  —  Ai  lati:  SERGIV  DVX 

Effigie  del  Duca  con  abiti  gemmati  e  berretto  ducale  : 
nella  destra  lunga  asta  con  croce:  nella  sinistra  globo 
crocigero. 
:^    —  Ai  lati  :  SCS  lANV 

Busto  tonsurato  di  S.  Gennaro  che  poggia  la  destra  sul 
libro  degli  Evangeli. 

(Tav.  X,  N.  17). 

2.  Rame,  Peso  gr.  7,14  (Coli.  Sambon). 

Altro  consimile  ma    di   stile    diverso    con    una    stella   al 
disotto  della  mano  che  sostiene  il  globo  (34). 

(Tav.  X,  N.  18). 

Non  è  facile  indovinare  a  chi  tra  i  sette  Duchi  ch'eb- 
bero il  nome  stesso  s'appartenga  quel  follaro.  Lo  Spinelli 
e  il  Corderò  di  Sanquintino  s'  accordano  ad  assegnarlo  a 
Sergio  II;  ma  il  Lazari  non  sa  proprio  decidersi  ne  per 
quel  Duca,  nò  per  alcun  altro.  E  prima  vorrebbe  attribuirlo 
a  Sergio  IV,  pur  dubitando  a  che  ad  uno  dei  tre  successivi 


(33)  V.  De  Meo,  Ad  an.,  che  però  lo  crede  dubbio. 

(34)  Il  Muratori,  Op.  e,  ricorda  un  altro  esemplare  diverso  e  inesso  Tef- 
figie  di  S.  Gennaro  non  ha  nimbo  ed  invece  ha  la  barba.  Ne  fa  cenno  anche 
riGNARRA,  Oj).  e.  0  il  MAZZOCCHI,  Op.  c.  osserva,  che  a  Sergii  ducatu  coepit 
lanuariiis  exprimi  annosior  et  cum  modica  barba,  siciiti  in  Micsivo  S.  Mariae 
de  Principio  videtur.  Ma  evidentemente  la  moneta  è  apocrifa.  Quanto  poi 
alla  sigla,  sis  che  si  scorgo  in  petto  alla  protomo  del  Santo,  pare  cho 
abbia  a  leggersi  s.  ianuarius;  ed  io  suppongo  che  la  sigla  dovea  essere 
nel  busto  d'una  statua  del  Santo,  che  fu  tolta  a  modello  nell'impronta 
della  moneta. 


LE   MONETE    DEL    DUCATO    NAPOLETANO  459 

omonimi  non  convenga  n  ;  e  poi  inchina  a  concederlo  all'ul- 
timo dei  Sergi.  Cioè  al  settimo,  ch'egli  a  torto  diffama,  giu- 
dicandolo un  u  vile  che  nel  1137,  atterrito  dai  trionfi  del 
re  Ruggiero^  se  gli  dichiarò  vassallo,  e  si  fece  ammazzare 
per  lui,  acciocché  aggiungesse  Napoli  agli  altri  suoi  Stati  (S5). 

Eppure  un  raffronto,  non  fatfco  da  altri,  basta  a  togliere 
ogni  incertezza.  Chi  guarda  l'atteggiamento  dell'effigie,  le 
vesti,  i  simboli  dell'asta  e  del  globo,  e  la  stessa  disposi- 
zione dell'epigrafe  nella  moneta  di  Sergio,  la  riconosce  con- 
forme in  tutto  al  Follis  del  bizantino  Teofilo  0^6).  Deve  cre- 
dersi dunque  che  l'imitazione  venne  fatta  da  un  Duca  vis- 
suto 0  al  tempo  di  quell'imperatore,  o  poco  dopo.  E  questa 
contemporaneità,  o  quasi  contemporaneità,  non  si  riscontra 
in  altri  fuorché  nel  primo  Sergio,  acclamato  al  seggio  du- 
cale circa  due  anni  innanzi  alla  morte  di  Teofilo  (B"?). 

E  indizii  altrettanto  sicuri  si  traggono  dalla  storia. 
Dopo  l'uccisione  di  Stefano  II,  grandi  sciagure  avevano 
funestata  Napoli;  ove,  con  breve  dominio,  succeduti  tre 
Duchi,  l'ult  mo,  Andrea  (3-3),  assalito  senza  tregua  dai  Lon- 
gobardi, e  costretto  ad  allearsi  ai  Saraceni,  era  perito  per 
tradimento  del  franco  Contardo  (39).  Ma  tra  mezzo  a  quei 
pericoli,  l'anno  810,  eletto  Sergio,  già  conte  di  Cuma,  d'un 
tratto,  quetarono  i  tumulti  nella  città,  e  fuori  si  respinsero 
i  nemici.  Il  nuovo  Duca,  de  prosapia  procerum  ortus,  sed 
longe  nobilior  mente  (4^0)^  rimasto  a  reggere  lo  Stato  quasi 
per  un  quarto  di  secolo,  fondò  una  dinastia  durata  fin  quando 


(35)  Da  Mss.  presso  il  conto  Papadopoli.  Il  De  Petris,  Op.  e.  ed  altri 
attribuiscono  lo  monete  a  Sergio  I,  e  invece  Falcone,  Op,  e.  a  Sergio  HI. 

(86)  Fu  riprodotto  dal  Sabatier,  Op.  e. 

(37)  L'elezione  di  Sergio  I  è  posta  nel  marzo  810,  e  la  morte  di  Teofilo 
noi  gennaio  842.  Gap  asso,  Mon.  ad  Neap.  ducat,  ecc.  pag.  83. 

(38j  Lo  Spinelli  dà  il  tipo  di  un  nummo  d' oro  sul  quale,  preceduto  e 
seguito  da  caratteri  cufici,  lesse  il  nome  di  Andrea,  Op.  e.  XXVI.  Ma  fu 
lotto  erroneamente  quel  nome,  e  in  ogni  modo  non  potrebbe  riferirsi  ad 
Andrea  Duca  di  Napoli,  come  qualcuno  vorrebbe. 

(39)  Chronicon  ec.  ap.  Capasso,  Op.  e,  pag.  83. 

(40)  Vit.  S.  Alhanas.  n.  2.  L'agiografo  soggiunge  clie  Sergio  era  litteris 
tam  graecis  quam  latinis  favorablliter  eruditus,  ap.  Capasso,  Op.  e,  pag.  84, 


460  ARTURO    G     SAMBON 


durò  r  indipendenza  della  sua  patria.  E  mentre  egli  trami- 
schiandosi alle  gare  dei  dinasti  Longobardi,  lottando  con 
essi  e  contro  essi,  apprendeva  ai  successori  l'arte  di  scher- 
mirsene e  d'infievolirne  le  forze,  suo  figlio  Cesario,  oppo- 
nendo alle  offese  le  offese,  spazzava  il  golfo  dai  pirati  Sa- 
raceni, scacciavali  dal  porto  di  Gaeta,  e  rivincevali  più  glo- 
riosamente in  battaglia  navale  ad  Ostia  (41).  Rare  volte  nel 
Ducato  Napoletano,  apparve  come  allora  una  maggiore  ope- 
rosità politica,  una  maggiore  virtù  militare.  E  si  può  bene 
immaginare  che  Sergio,  orgoglioso  dei  trionfi,  sicuro  della 
sua  potenza,  sorretta  dall'ossequio  dei  cittadini,  e  dall'al- 
leanza del  Papa  e  degl'imperatori  Carolingi  (42)^  ardisse,  primo 
fra  tutti,  segnare  intero  il  suo  nome  sulle  monete,  ed  im- 
prontarvi la  sua  effigie  ornata  dei  simboli  fastosi  dei  Cesari 
bizantini. 

Questo  lungo  e  glorioso  dominio  esclude  per  me  anche 
la  possibilità,  che  negli  anni  del  suo  Ducato  siasi  coniata 
moneta  col  nome  imperiale  a  Napoli,  e  meno  ancora  quella 
che  reca  le  immagini  di  Michele  III  il  Beone  e  di  Basilio  I, 
ed  ha  in  giro  la  leggenda  MIHÀEL  IMPERATOR  e  BÀSILIVS 
REX  (^^).  Il  Diruti,  che  prima  pubblicoUa,  notando  la  singo- 
larità del  titolo  latino,  la  giudicò  venuta  fuori  da  una  zecca 
dell'Italia  meridionale,  e  probabilmente  da  quella  di  Na- 
poli; e  interpretò  il  duplice  titolo  d'imperatore  e  di  re  come 
un  segno  d'opposizione  ai  titoli  che  s'arrogavano  gl'impe- 
ratori d'occidente  (4i).  Onde  il  sospetto  parve  certezza  al 
Kunz;  il  quale,  plaudendo  al  Diruti,  e  confermando  che 
quel   Follis   fosse    napoletano,  soggiunse  che  bastava  porlo 


(41)  Cf.  JoAN.  DiAC,  M.  60.  Anast.  Bibliot.,  In  Leon  IV.  Ignot. 
Casin.,  Ad  an.f  ecc. 

(42)  Penes  Gregorium,  Ro>nanne  sedìs  Pontificem,  ergoque  serenissimos 
viros  Lodoicum  piissimum...  eiusque  Sobolem  Lothan'wn,  invicHssùms 
Cesarea,  fatniliarissimus  esset,  ìnaximmnque  ohtineret  honoris  locum^  ecc. 
Vii.  S.  Athanas.,  1.  e. 

(43)  Rame.  Peso  gr.  6,967  (Colloziono  Sambon).  V.  Tav.  XI,  N.  2, 
(^14)  LiRUTi,  Lettera  al  conte  Savorgnano, 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  4GL 

a  confronto    coi    follavi    dei    Duchi,  e  più  particolarmente 
con  quelli  di  Sergio,  per  restarne  convinti  (4'^>). 

Ma  pure  ammessa  la  prima  ipotesi  del  luogo  della  zecca, 
quantunque  assai  incerta,  si  sbaglierebbe  assegnandone  la 
coniazione  al  tempo  di  Sergio  I,  perchè  in  quel  tempo 
sparisce  ogni  orma  di  greco  dominio  nel  Ducato;  e  perchè 
Basilio  fu  associato  all'  impero  da  Michele  nel  maggio  868, 
vale  a  dire,  oltre  due  anni  dopo  la  morte  di  quel  glorioso 
Duca  (46).  Perciò,  se  mai  nel  breve  periodo  in  cui  i  nomi 
dei  due  imperatori  si  trovarono  congiunti,  il  Follis  fu  bat- 
tuto a  Napoli,  lo  fu  durante  il  governo  del  figliuolo  di 
Sergio  I,  Gregorio  (4=7).  E  pro})abile  che  allora,  quando  il 
franco  Ludovico  II,  richiamato  a  combattere  i  Saraceni,  più 
apertamente  scopriva  il  disegno  d'estendere  la  sua  sovranità 
sul  mezzodì  d'Italia,  i  Napoletani,  sdegnando  obbedirgli, 
s'inducessero  ad  invocare  il  nome  degl'imperatori  Bizantini, 
per  farsene  schermo  contro  di  lui  (48).  E  questo  fatto  ser- 
virebbe meglio  a  spiegare  il  titolo  inusato  di  REX  che  si 
legge  su  quella  moneta,  e  che  proprio  richiama  alla  mente 


(45)  Strozzi,  Dissertaz.  sul  Museo  Bottacin.  {Periodico  di  Numistna- 
tica  e  Sfragistica,  V.  Ili,  pag.  242). 

(46)  Basilio  venne  associato  da  Michele  airimpero  il  26  maggio  868, 
quando  già  Sergio  I  era  morto  nel  giugno  o  nel  luglio  865.  Capasso,  Op.  e, 
pag.  90. 

(47)  Governarono  insieme  Michele  e  Basilio  al  più  un  anno  e  quattro 
mesi  sino  al  24  settembre  869. 

(48)  Ludovici  adventui  omnium  circurnquaque  urhium  patuit  introytiis. 
Solummodo  neapolitam  non  est  ingressus  civitatem.  Joh.  Diac,  n.  64  e 
Vit.  S.  Athan.  che  attribuiscono  l'astensione  a  grazia  concessa  al  pio  ve- 
scovo Atanasio  I.  Ma  offeso  dalla  contumacia  dei  cittadini,  Ludovico  scri- 
veva più  tardi  a  Basilio  di  aver  mandato  contro  Napoli  populum  nostrum 
ad  incidendas  arbores,  et  messes  igne  creittandas,  et  hanc  ditioni  nostrae 
subdendam,  cum  Ucet  ah  olim  nostra  fuerit  et  parentibus  nostris  piis  im- 
peratoribus  tributa  persolveret,  volendo  anche  che  la  città  si  sciogliesse 
dall'iniqua  alleanza  dei  Saraceni.  Chron.  Anon.  Salem.  M.  G.  H.  T.  Ili, 
Scr.  526,  L'Amari,  (Stor.  dei  Musul.  T.  I,  pag.  381)  ritiene  che  la  lettera  sia 
parafrasi  di  altra  autentica, 

59 


4G2  ARTURO    G.    SAMBON 


le  singolari  pretese  intorno  all'uso  di  quel  titolo  accampate 
poco  dopo  nella  corte  d'oriente  (49). 

Un  viluppo  intricato  d'eventi  s'annodava  allora  a  scon- 
volgere le  signorie  dell'Italia  meridionale.  Contrastavano 
tra  essi  i  Longobardi,  s'astiavano  le  autonome  città  della 
Campania,  rinnovavansi  gli  assalti  terribili  dei  Saraceni. 
E  alle  discordie,  alle  guerre,  agli  eccidii,  tramischiavansi 
le  ambizioni  di  Ludovico  II,  le  mire  di  temporale  gran- 
dezza dei  Papi,  le  insidie  e  gli  sforzi  dei  Greci  per  ripren- 
dere le  province  perdute.  Quel  contagio  di  violenze,  di 
perfidie,  di  cupide  brame  travolse  anche  Napoli.  Il  vescovo 
Attanasio  II,  imprigionato,  accecato,  suo  fratello  Sergio  III 
fecesi  Duca,  e  come  gli  altri  adoperò  le  armi  e  gl'inganni, 
secondo  i  mutabili  interessi  e  la  prevalenza  dei  nemici,  ora 
alleato  al  Papa,  ora  stretto  ai  Musulmani,  ora  affidato  in 
tutto  alle  sue  forze,  ed  ora  disposto,  fosse  anche  per  sola 
apparenza,  a  riconoscere  la  greca  supremazia  (50). 

E  questa  vicenda  di  casi,  e  di  politici  maneggi,  spiega 
il  conio  diverso  delle  monete,  che  uscirono  dalla  zecca  di 
Napoli  durante  il  suo  governo. 

1.  Follis.  Rame,  Peso  gr.  3,823.  (Coli.  Sambon). 
^  —  Busto  del  Duca:  ai  lati  ATHÀ  EPS 
!l^    —  Protome  di  s.  Gennaro  come  nella  moneta  di  Sergio, 
aggiuntovi  il  nimbo  intorno  al  capo  (51). 

(Tav.  XI,  N.  2). 


(49)  Niceta  Orifa  venuto  d'Oriente  ad  aiutar  Ludovico  nella  guerra 
contro  i  Saraceni,  al  ritorno  suscitò  cavilli  intorno  al  titolo  d'imperatore 
dei  Romani  assunto  dai  Franchi,  e  al  titolo  di  Basilea,  riserbato,  dicea, 
solamente  ai  G-reci.  Chron.  Anon.  Saler.,  1.  e.  Quantunque  il  pettegolezzo 
nascesse  dopo,  deve  credersi  che  la  pretensione  fosse  già  prima  surta  nella 
corte  Bizantina,  e  che  ora  Basilio  per  faro  dispetto  ai  Franchi  s'intitolasse 
anche  re. 

(50)  Attanasio,  ch'erasi  mostrato  avverso  alla  lega  strotta  tra  il  fratello 
e  i  Saraceni,  sfidando  poi  le  ire  del  Papa  prò  turpis  lucri  comoio  tornò 
ad  allearsi  ad  essi,  e  s'unì  anche  ai  Greci  per  combattere  i  Capuani. 
(Johan  PP,  Vili,  ep.  227,  265,  270).  Erchemp,  Chr.,  e.  43,  41),  60,  71, 
72;  Chr.  Anon.  Salern.,  e.  130,  140. 

(51)  Stranamente  il  Capaccio,  (Hist.  Nap.  1.  I),  crede  che  il  nummo  sia 
stato  coniato  in  onore  di  s.  Gennaro  e  di  Attanasio  I,  quos  sanciissimos 
hahuit  Xeapolis  episcopos. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  463 

2.  Denaro  d'argento, 
^  —  ^  BÀSIL  IMRE 

Al  centro,  in  forma  di  monogramma,  NEÀPOLI 
^    —  +  SCI  lANVARI 

Al   centro   croce   potenziata   su   d'un   gradino,   tra   due 
stelle  (52). 

(Tav.  XI,  N.  3). 

3.  Argento,  Peso  gr.  0,431.  (Coli.  Sambon). 
^  —  ^  BÀSIL  IMRE 

Al  centro  NEÀ 
^    —  ^  SCI  lANVAR 
Croce  tra  due  stellette. 

(Tav.  XI,  N.  4). 

Dei  due  denari,  inedito  è  il  secondo  ;  né,  credo,  clie  si 
sbaglierebbe,  ponendone  la  coniazione  tra  gli  anni  881  e 
884,  quando  i  ministri  di  Basilio  rialzavano  in  Italia  il 
prestigio  dell'impero  Bizantino,  e  scacciavano  e  vincevano 
i  Musulmani.  Onde  in  segno  d'alleanza  ovvero  di  pretesa 
dipendenza,  s'improntavano  uniti  sulla  medesima  moneta 
i  nomi  di  Basilio  e  del  Santo  Napoletano ,  e  battevasi , 
forse  nella  stessa  zecca ,  e  certo  a  memoria  delle  imprese 
contro  i  Saraceni,  anche  il  seguente  denaro  rinvenuto 
presso  Telese: 

4.  Argento,  Peso  gr.  0,935.  (Coli.  Sambon). 
^  —  BASILI  IMRE   nell'  area. 

^    —  SANCTA  R-XA  (in  nesso)  j 
Da  leggersi  XRISTIANA  RELIGIO  (53). 

(Tav.  XI,  N.  5). 


(62)  Pfister,  Monnaie  inèdite  de  Vempereur  Basile  J.*»* .  frappée  à 
Naples  en  884  —  «  Eevue  Nnmis.  »,  1849  e  Regio  Museo  di  Torino. 

(53)  Forse  a  questo  tempo  sono  da  riferirsi  due  sconosciute  monete  di 
argento  da  me  possedute.  L'una  ha  al  dritto  i  nomi  di  basil  leo  alexan  : 
al  centro  imps  e  al  rovescio,  intorno  ad  un  ramo  che  sembra  spiga,  mihael 
ARHAGEL  (Tav.  II,  N.  Q),  6  l'altra  al  dritto  arhan  mih  :  (ivi,  N.  7). 


464  ARTURO   G.    SAMBON 


Fu  quasi  comune  opinione,  che  d'allora  sino  all'anno 
1278,  in  cui  Carlo  I  riaprivala,  rimanesse  chiusa  la  zecca 
napoletana.  Cosicché  ultima  nella  serie  delle  monete  auto- 
nome sarebbe  stata  quella  del  truce  vescovo  Attanasio  II. 
Ma  è  per  lo  meno  inconcepibile  il  fatto,  che  non  uno  degli 
undici  Duchi,  i  quali  dopo  lui  si  successero,  ne  imitasse 
l'esempio  ;  e  il  non  essersi  fìn'ora  rinvenuta  alcuna  moneta 
col  nome  loro,  non  è  ragione  sufficiente  per  affermarlo  (54). 

Il  Fusco  asserì  d'aver  vista  una  moneta  sulla  quale  era 
un  santo  in  abito  vescovile  colle  braccia  levate  in  alto,  e 
al  rovescio  un  cavallo  frenato.  E  da  quest'immagine  del 
cavallo,  che  rammentavagli  una  popolare  tradizione,  argo- 
mentò che  la  moneta  fosse  stata  battuta  in  oltraggio  ai 
Napoletani,  allorché  Pandolfo  IV,  Principe  di  Capua,  riusci 
a  signoreggiare  per  breve  tempo  la  loro  città,  scacciandone 


al  centro  una  croce  contornata  da  quattro  punti,  e  al  rovescio  la  stessa 
leggenda,  intorno  al  monogramma  s  imp.  La  seconda,  benché  anonima, 
per  la  simiglianza  che  ha  con  la  precedente,  deve  assegnarsi  agli  stessi 
imperatori.  Ed  entrambe  per  la  forma  dello  lettore,  e  il  nome  deirArcan- 
gelo  Michele,  fanno  supporre  che  siano  state  battute  in  una  zecca  Longo- 
barda dell'Italia  meridionale.  Ma  il  nome  di  Basilio  unito  a  quelli  di  Leone 
e  di  Alessandro,  esclude  la  possibilità  di  attribuirle  alla  zecca  di  Bene- 
vento, perchè,  quando  neir891  1  Greci  s'insignorirono  di  quella  città,  Ba- 
silio era  morto.  Una  possibile  congettura  potrebbe  essere  la  seguente.  Neil' 881 
Gaiderisio  Principe  di  Benevento,  scacciato,  fuggì  presso  i  Greci,  e  Basilio 
rimandoUo  in  Puglia  assegnandogli  la  città  di  Oria.  Può  darsi  ch'egli 
abbia  prestato  omaggio  al  greco  imperatore,  il  quale  intento  a  restaurare 
il  suo  dominio  in  Italia,  segnando  il  nome  del  santo  patrono  dei  Longo- 
bardi sulle  monete,  volle  affermare  la  pretesa  sovranità  sulle  loro  terre. 

(54)  Non  posso  tener  conto  della  testimonianza  riferita  da  Engel,  {Ee- 
cherches  sur  la  Numismattque  et  la  Sigillographie  des  Normands,  ecc.) 
nella  quale  in  una  donazione  testamentaria  dell'anno  923:  si  logge:  post 
meum  transitum  ibidem  habeat  predicta  nostra  ecclesia  prò  luminariis, 
absque  iniuria,  auri  Iremissem  unum  Neapolitanum.  La  tremissa,  ricordata 
ivi  e  in  parecchio  altre  carte,  non  era  una  moneta  d'oro  battuta  a  Napoli 
come  sembra  sospettare  il  Fusco,  ma  quel  nome  s'adoprò  con  significato 
generale  a  determinare  le  monete  d'oro  che  nella  città  avevano  corso.  La 
formola  di  eseguire  i  pagamenti  in  moneta  que  tunc  andaverit  in  ista 
civitate,  si  trova  spesso  adoperata  in  altre  carte  napoletane  del  tempo. 
V.  Camera,  Importante  scoperta  del  fam.  tareno  Amalfit.  pag.  29  e  UO. 


Lt   MONETE   DEL    DUCATO   NAPOLETANO  465 

il  Duca  Sergio  IV  (55).  Però  non  è  possibile  consentire 
all'attribuzione  che  il  Fusco  dà  a  questa  moneta,  destinata, 
com'egli  crede,  col  simbolo  dell'  imposto  freno  a  commemo- 
rare quell'onta,  che  una  leggenda  posteriore  d'oltre  due 
secoli  attribuì  variamente  a  Corrado  IV  di  Svevia,  o  a 
Carlo  I  d'Angiò  (56).  Una  prova  più  sicura  della  non  in- 
terrotta coniazione,  sarebbe  quella  data  dall'  Engel  (57)^  che 
pubblicò  il  tipo  d'una  monetina,  la  quale  al  dritto  ha  la 
solita  effìgie  del  santo  patrono  di  Napoli  in  mezzo  alle 
lettere  S  lA,  e  al  rovescio  il  monogramma  XPS  VI  XPS 
RE:  0,  come  meglio  si  legge  nell'esemplare  assai  perfetto 
da  me  posseduto:  XRS  VINCE  (in  nesso)  XRS  REG  XRS  I, 
posto  intorno  ad  una  croce  chiusa  in  un  cerchio  con  quattro 
stelle  agli  angoli  (Tav.  XI,  N.  8)  (58). 

La  minima  proporzione,  la  forma  delle  lettere,  lo  stile 
della  figura  di  questa   monetina,    accennano   all'epoca  Nor- 


(55)  Traggo  la  notizia  dalle  accennate  carte  del  Fasco  esistenti  nella 
Biblioteca  di  s.  Martino,  dove  è  detto  che  il  santo  Vescovo  potrebbe  essere 
s.  Pietro  patrono  di  Capua.  Pandolfo  s'insignorì  nel  1027  di  Napoli  à  Vaide 
de  ceux  d£  la  cité.  Amato,  /,  46>,  e  ne  rimase  padrone  per  annos  ferme 
tresj  Leo  Ostien,  //,  58,  o  come  altri  scrive,  solamente  quindici  mesi 
Cron.  Cass.  ad  an.  Non  si  trova  nemmeno  ch'egli  intitolasse  i  pubblici 
atti  col  suo  nome. 

(56)  Il  CoLLENUccio,  1.  IV  fu  il  primo  a  raccontare,  che  Corrado  IV 
di  Svevia,  per  vendicarsi  della  resistenza  oppostagli  dai  Napoletani,  volle 
che  si  ponesse  il  freno  al  cavallo  di  bronzo  ch'era  innanzi  la  loro  chiesa 
cattedrale,  e  che  vi  si  scrivessero  i  seguenti  versi: 

Hactenus  effrenis,  domini  nunc  paret  habenis 
Rex  domai  hunc  aequus  Parthenopensìs  equum. 

Ma  la  Cronaca  di  Partenope,  compilata  intorno  la  metà  del  secolo  XIV, 
che  raccolse  la  favolosa  leggenda  di  quel  cavallo  costruito  per  opera  ma- 
gica da  Virgilio,  narra  che  quei  versi  furono  fatti  incidere  da  Carlo  I  An- 
gioino, e.  10,  e  s'accorda  con  Eustazio  da  Matera  vissuto  nel  secolo  XIII, 
che  in  un  poema  de  pianeta  Italie,  ora  perduto,  avrebbe  detto  lo  stesso. 
V.  Capasso,  Hist.  dipi,  Regn.  Sic,  pag.  51  e  354. 

(57)  Op,  cit. 

(58)  Eame  gr.  0,555.  In  questo  esemplare  della  mia  Collezione,  si  vede 
chiaro  non  il  P  greco,  ma  TK  latina  formata  dal  prolungamento  dì  una 
delle  linee  delPX. 


466  ARTURO    G.    SAMBON 


manna,  e  l'Engel  non  esitò  ad  assegnarla  al  tempo  di 
Ruggiero  II,  supponendo  che  quel  re,  tra  gli  altri  privilegi, 
avesse  mantenuto  a  Napoli  il  diritto  di  una  particolare  mo- 
netazione. Ma  è  noto  che  Ruggiero  restrinse  in  limiti  an- 
gusti l'autonomia  della  città,  e  tra  quei  limiti  non  può 
immaginarsi  che  assentisse  perfino  a  vedere  escluso  il  nome 
suo  dal  conio  delle  monete;  ne,  pur  consentendo  all'inve- 
rosimile ipotesi,  si  giungerebbe  ad  intendere  il  significato 
delle  cifre  monogrammatiche  che  a  quel  nome  furono  so- 
stituite (59). 

Da  che  Ruggiero  aveva  ambito  unificare  nel  suo  do- 
minio le  divise  signorie  dell'  Italia  meridionale,  una  lotta 
pertinace  s'era  combattuta  tra  i  singoli  dinasti  e  il  prepo- 
tente re.  E  Napoli  anch'essa,  partecipe  a  quella  lotta,  avea 
opposta  resistenza  ostinata,  avea  con  eroico  valore  difese 
le  sue  mura,  e  sovvenuti  gli  altri  ribelli.  Finche  il  suo 
Duca,  Sergio  VII,  rimasto  quasi  solo  a  fronte  al  comune 
nemico,  e  costretto  a  fargli  omaggio,  era  perito  nel  1137 
combattendo  per  lui  a  Rignano.  Ma  sparsa  la  fama  della 
sconfitta  di  Ruggiero  in  quella  battaglia,  Napoli  tornava 
a  ribellarsi,  e  senza  eleggere  altro  Duca,  i  suoi  primates 
la  reggevano  per  oltre  un  anno.  Ond'  io  mi  convinco,  che 
essi,  in  quell'estremo  respiro  di  libertà,  invocando  Cristo 
vindice  e  signore,  facessero  coniare  la  monetina  scoperta 
dall'  Engel  che  porta  in  monogramma  le  mistiche  parole 
XRISTVS  VINCIT:  XRISTVS  REGNAI:  XRISTVS  IMPERAI  (60). 


(59)  Non  pare  probabile  che  Knggiero ,  il  quale  con  terribile  edictum 
proscrisse  le  Romesine  d'argento,  che  aveano  corso  nel  Regno,  sosti  tnendovi 
il  suo  ducato  j  e  fece  battere  per  proprio  conto  i  tre  follari  di  bronzo, 
(Falc.  Benev.,  Ad.  an.  1140)  potesse  mostrarsi  largo  nel  concedere  il  dritto 
d'una  particolare  coniazione  a  parecchie  città  soggette. 

(60)  Sono  noti  gli  esempì  di  altre  simili  invocazioni  segnate  sulle  mo 
nete,  e  basterà  rammentare  la  leggenda  dello  zecchino  Veneziano  :  Sit  tibi 
Christe  datus  qtiem  tu  regia  iste  ditcatus,  e  quella  più  famosa  della  moneta 
ossidionale  di  Firenze  del  1529  :  Jesus,  Rex.  Noster.  Et.  Deus.  Noster. 


LE    MONETE    DEL    DUCATO    NAPOLETANO  467 


III. 


Quella  dunque  sarebbe  T ultima  moneta  autonoma  del- 
l'età Ducale.  Però  la  tradizione  della  zecca  cittadina  so- 
pravvisse ancora  a  Napoli  attraverso  le  politiche  vicende 
d'un  secolo.  E  se  mancano  le  prove  per  attestarne  la  con- 
tinuità durante  il  regno  di  Ruggiero  II  (61),  non  manca  la 
certezza,  ch'essa  a  volta  a  volta,  dopo,  ridivenne  attiva. 

Ma  scarsa  troppo  è  questa  postuma  serie,,  quantunque 
non  sia  priva  d'importanza.  Comincia  dal  tipo  d'uno  spez- 
zato di  f oliar Oy  che  mostra  al  dritto  il  capo  d'un  cavallo, 
e  al  rovescio  nell'  area  le  sigle  R  G,  con  traccia  d'altre 
lettere  appresso  l' R  (62).  E  queste  lettere  delete  ,  meglio 
visibili  in  altro  esemplare  (63),  foggiandosi  dal  prolunga- 
mento della  linea  finale  dell'  R,  e  prendendo  forma  d'un 
monogramma  che  può  leggersi  REX  ,  danno  indizio  a  clas- 
sificarla (Tav.  XI,  N.  9). 

Chiaramente  vi  si  scorge  lo  stile  del  periodo  Normanno, 
e  quanto  al  luogo  di  coniazione,  si  può  bene  assegnarla  a 
Napoli,  perchè  il  simbolo  del  cavallo  non  si  trova  se  non 
in  altra  moneta  posteriore  di  questa  città.  Dirò  ora  come 
quel   simbolo  fu    congiunto    al   nome    d'  un    REX    G-VILLEL- 


(61)  H  Fusco  nelle  carte  citate,  argomenta  che  Raggiere  confermasse 
il  privilegio  delia  zecca  a  Napoli,  da  una  monetina  sulla  quale,  dice,  era 
impressa  da  una  parte  la  leggenda  roge  rex,  e  dall'  altra  la  protome  di 
un  Vescovo,  e  le  parole  s  atha.  Ma  niuno  vide  mai  questa  moneta,  ed  è 
impossibile  che  all'immagine  di  s.  Gennaro  patrono  della  città  se  ne  sia 
sostituita  altra.  Anche  Engel,  Op.  e,  n.  49,  pag.  40,  reca  il  tipo  d'una  pic- 
cola moneta  Normanna  assai  corrosa,  e  vuole  attribuirla  a  Napoli,  imma- 
ginando che  le  due  lettore  visibili  siano  iniziali  di  s.  ianuarius.  Però 
in  parecchi  esemplari  della  stessa  moneta  esistenti  nella  mia  Collezione,  si 
legge  chiaramente  s.  stephanus,  quindi  essa  deve  riporsi  tra  le  altre 
monete  di  Ruggiero  II  che  hanno  l'effigie  del  Santo  Capuano.  Ed  io  volen- 
tieri cancello  dalla  Serie  Napoletana  questa  monetina  così  brutta,  nella 
quale  fu  possibile  scambiare  la  testa  del  re  con  una  pentola. 

(62)  Collezione  Colonna. 

(63)  Rame,  gr.  0,561.  (Collozione  Sambon). 


468  ARTURO    G.    SAMBON 


MVS  (^^),  che  i  fatti  ci  assicurano  non  poter  essere  che 
Guglielmo  I. 

Questi  fatti  vennero  messi  in  luce  dal  eh.  Capasse  con 
la  scorta  d' inediti  documenti  dell'Archivio  Vaticano  (65),  e 
svelano  una  pagina  ignorata  dalla  storia  napoletana.  Quando 
nel  11B6  signori  e  città  congiurarono  e  sollevaronsi  contro 
Guglielmo  I,  Napoli  si  divise,  i  magnati  parteggiarono 
per  lui,  e  i  cosi  detti  Mediani  o  borghesi  aderirono  ai  suoi 
nemici,  sperando  in  quel  subuglio  pareggiarsi  agli  emuli 
loro,  e  sopraffarli.  Ma  poiché  il  re  vinse  e  punì  crudel- 
mente i  ribelli,  i  magnati,  a  premio  della  fedeltà,  ottennero 
conferma  dei  loro  dritti  di  supremazia  {^^),  E,  ancorché  il 
documento  noi  dica,  è  lecito  congetturare,  che  Guglielmo 
riconcedesse  anche  alla  città  il  privilegio  della  zecca,  donde 
a  memoria  dell'ossequio,  venne  fuori  la  moneta  che  improntò 
insieme  il  nome  del  re  e  l'insegna  che  i  Seggi  nobiliari 
aveano  assunta  (67). 

Io  non  so  dire  perché,  e  quando  l'assumessero.  Però, 
lasciando  da  parte  la  favolosa  origine  Virgiliana  che  la 
popolare  fantasia  diede  al  simbolo  del  cavallo,  assai  signi- 
ficative sono  le  parole  dell'anonimo  compilatore  della  Cro- 
nica di  Partenone,  Egli  dice  che,  l'arma  della  piacza  di 
Capuana  era  uno  cavallo  in  coloro  d*oro  senza  freno,  e  che 
anche  la  piacza  de  Nido  havia  per  arma  un  cavallo  nigro 
pure  senza  freno  (68).  Con   ragione    dunque  se  ne    deduce, 


(64)  Il  titolo  di  REX,  precedente  al  nome  di  Guglielmo,  si  rincontra 
nel  Fusco,  Tav.  di  Mon.  del  Reame,  ecc.  Tav.  IX,  n.  6,  7  e  12,  e  nel- 
r  Engel  Op.  e,  Tav.  Vili,  n.  5,  6,  19. 

(65)  Il  Factum  giurato  da  Sergio,  (Arch.  Stor.  per  le  Prov.  Napol., 
Tom.  IX,  pag.  714). 

(66)  Precepit  edam  ut  carta  quas  mediani  rumpere  fecerunt...  res 
tauraretur  ut  a  teiere  tempore  fuerunt.  {Ivi,  pag.  715). 

(67)  La  distinzione  dei  Seggi,  ai  quali  i  nobili  erano  ascritti,  detti 
anche  Sedili,  Tocchi^  Piazze,  secondo  i  documenti  noti  sin' ora  e  sicuri, 
non  apparisce  in  epoca  anteriore  al  regno  di  Buggero  IL  V.  Capasso,  Op.  e, 
pag.  721. 

(68)  Cron.  di  Porteti.  Il  Collencccio,  L.  IV,  scrive  che  quel  cavallo 
fu  fatto  togliere  dai  vescovi  religiosi  con  li  napolitani  nell'anno  1322, 
trasformandone  il  metallo  in  campane.  E  più  tardi  il  Tarcagnota,  {Del 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  469 

che  il  cavallo  fu  tolto  ad  insegna  da  quei  magnati,  che 
abitando  le  regioni  più  antiche  di  Napoli,  s'aveano  arrogata 
dal  tempo  dei  Duchi  un'assoluta  ingerenza  nel  governo,  e 
che,  come  soli  rappresentanti  della  città,  contrastavano  e 
contrastarono  dopo  lungamente,  per  escluderne  le  altre 
classi  (69). 

Cosi  per  via  d'una  trasformazione  conforme  alla  diversa 
qualità  dei  tempi,  il  simbolo  cittadino  si  sostituì  al  sim- 
bolo religioso,  l'effigie  del  cavallo  all'effigie  di  S.  Gennaro; 
e,  con  più  evidente  significato,  il  nuovo  tipo  venne  impresso 
sulle  monete,  allorché  per  l'ultima  volta  si  tentò  di  ricosti- 
tuire la  municipale   autonomia. 

Prima  che  questo  avvenisse  ,  un  maggior  lustro  aveva 
acquistato  la  zecca  napoletana.  L' anno  1190 ,  tra  i  molti 
privilegi  concessi  alla  città,  il  re  Tancredi  le  permise  di 
facere  monetam  argenti  per  se  (70).  Ed  io  ho  per  certo  che 
quel  privilegio  mirò  ad  ampliare  l'esistente  prerogativa  di 
battere  moneta  di  rame,  e  non  a  farla  rivivere,  perchè  in- 
terrotta. Ma,  a  giovarsene,  mancò  il  tempo.  L'odio  di  Ar- 
rigo VI,  e  la  gelosa  cura  con  la  quale  Federico  II  attese  a 
rivendicare  a  sé  i  dritti  di  Regalia ,  privarono  Napoli  di 
quella  e  di  ogni  altra  franchigia.  Perciò  la  città  mostrossi 
sempre  avversa  alla  Casa  di  Svevia.  E  quando  Federico 
soggiacque  nella  tragica  lotta  contro  il  Papato  ,  istigata , 
lusingata  da  Innocenzo  IV,  essa  fu  tra  le  prime  a  ribellarsi  ; 
e  nobili  e  popolo  s'accordarono,  ordinandosi  a  Comune. 


sito  e  lodi  della  città  di  Nap.,  pag.  64),  asserì  che  la  testa  di  bronzo  esi- 
stente nel  palazzo  del  Duca  di  Maddaloni,  potesse  essere  reliquia  di  quel 
cavallo.  Questa  testa  conservasi  nel  Museo  di  Napoli,  ed  è  ora  provato  che 
essa  fu  opera  del  Donatello.  Y.  Filangieri, La  testa  del  cavallo  di  bronzo,  ecc. 
{Arch.  Stor.  pei'  le  prov.  Napoli  Tom.  VII,  pag.  407). 

(69)  Nel  laudo  che  nel  1338  fu  pronunciato  da  Eoberto  d'Angiò  per 
porre  pace  tra  i  Seggi  di  Capuana  e  Nido,  qui  gloriantur  se  esse  rneliores, 
e  gli  altri  Seggi,  il  re  stabilì  che  una  terza  parte  degli  oneri  e  degli  onori 
dovessero  attribuirsi  ai  primi.  Ma  le  contese  si  ravvivarono  ancora  al  tempo 
di  Giovanna  I.  (Summonte,  Tom.  III). 

(70)  Privilegium  concessum  civihus  Neapolitanis  per  gloriosissimum 
dorninum  nostrum  Tancredum,  ecc.  Capasso,  Op.  e,  pag.  783. 

6o 


470  ARTURO    G.    SAMBON 


Prezioso  monumento  della  rivendicata  libertà,  rimane 
la  moneta  che  ha  per  tipo  : 

Biglione  (Oollez.  Boyne,  Firenze). 
^  —  ^  CIVITAS 

Neil'  area  chiusa  in  un    cerchio  la  testa  d'  un    cavallo 
volta  a  destra. 
•    9I    —  >f<  NEÀPOLIS 

In  mezzo  una  croce,  le  cui  braccia  tagliano  in  quattro 
parti  un  cerchio  di  globetti  ,  e  ai  cui  angoli  sono 
quattro  piccolissimi  cerchi. 

(Tav.  XI,  N.  10). 

Ch'essa  spetti  al  tempo  dell'  animosa  riscossa ,  1'  addi- 
mostra lo  stile  (71),  e  lo  comprova  la  parola  CIVITAS  ,  in 
cui  s'accenna  il  tentato  mutamento  dell'  antica  repubblica 
patrizia  nel  popolare  Comune  del  secolo  XIII  (72). 

Né  l'esempio  di  Napoli  restò  isolato.  Sono  già  parecchi 
anni  dacché  il  eh.  Matteo  Camera  mise  a  stampa  il  tipo 
d'una  moneta  che  reca,  da  una  banda  e  dall'altra,  la  croce 
chiusa  in  un  cerchio  di  globetti,  ed  ha  scritto  da  un  lato 
AMALFIA,  dall'  altra  CIVITAS  (Tav.  XI,  N.  12)  (73).  L'eru- 


(71)  Si  determina  l'epoca  Sveva  paragonandola  al  denaro  di  Federico  II 
e  Costanza,  dal  quale  fu  copiato  il  rovescio. 

(72)  Napoli,  ribellatasi  nel  gennaio  1251,  insieme  ad  altre  città  della 
Campania  0  di  Puglia,  si  sostenne  infino  al  10  ottobre  1253.  Al  nuovo  go- 
verno comunale  che  assunse,  accenna  il  Papa  nella  lettera  del  22  giugno  1251 
diretta  Potestati  Consilio  et  Comuni  Neapolitano,  e  più  apertamente  in 
quella  del  13  dicembre,  nella  quale,  accogliendo  la  città  sotto  la  protezione 
della  Chiesa,  conforma  le  rationabiles  constietudines,  concede  facoltà  lilier- 
tatem  assumendis  potestatibus  et  statutis  edendi ,  ed  approva  le  ordina- 
tiones,  che  dopo  la  morto  di  Federico  erano  stato  fatte  inter  niilites  et  pò- 
polares....  prò  bono  et  pacifico  statu  ipsius  civitatis.  Raynal  ,  Ad  an. , 
n.  38,  39,  42. 

(73)  Scoperta  del  famoso  Tareno  Amalfitano^  e  Mernor.  stor.  diplom. 
delVantica  città  e  ducato  d'Amalfi.  T.  I,  pag.  174.  L'opinione  del  Camera 
fu  contradetta  da  L.  Volpicella  {Arch.  Stor.  per  le  Prov.  Nap.  T.  I)  e  dal 
Faraglia,  Storia  dei  prezzi  in  Napoli j  pag.  23,  n.  3.  E  anche  l'Engel,  Op.  e, 
pag.  19,  assegna  quella  moneta  al  principio  del  secolo  XIII. 


LE  MONETE  DEL  DUCATO  NAPOLETANO  47l 

dito  archeologo  giudicò  che  fosse  un  esemplare  del  famoso 
Tareno  Amalfitano,  ma  essa  ha  tutto  il  carattere  dalle  mo- 
nete sveve;  e  il  riscontro  di  simigli  anza  con  la  descritta 
moneta  di  Napoli  definisce  il  tempo  e  l'occasione  in  cui  fu 
battuta  (74). 

Napoli  ed  Amalfi,  che  nei  tempi  più  bui  del  medioevo 
avevano  avuto  conforme  governo,  e  gloria  e  destini  comuni, 
sospinte  dalla  stessa  aspirazione  ,  anche  ora  in  una  volta 
ambirono  rifarsi  autonome.  Se  non  che,  falliti  i  loro  sforzi, 
venute  meno  le  fallaci  promesse  del  Papa  (75)  ^  caddero 
entrambe ,  ma  con  sorte  diversa.  E  ad  Amalfi  rimase  il 
vanto  solo  del  passato;  a  Napoli  invece,  divenuta  capitale 
del  regno,  s'aggiunse  nuova  grandezza  ;  e  avventurosa  anche 
in  questo,  ciascuna  delle  monete  che  avanzarono  della  sua 
zecca  cittadina,  servi  ad  attestare  un  fatto  memorabile  della 
sua  storia  remota. 

Arturo  Giulio  Sambon. 


(74)  Oltre  quella  edita  dal  Camera,  io  posseggo  una  varietà  di  questa 
moneta  Amalfitana,  che  si  distingue  dalla  prima,  perchè  la  croce  nel  centro 
è  accantonata  da  quattro  globetti,  e  taglia  colle  braccia  il  cerchio  in  cui 
è  rinchiusa  (Tav.  XI,  N.  11).  Innocenzo  IV  nel  dicembre  1254,  pochi  giorni 
prima  di  morire,  aveva  riconosciuta  Amalfi  come  demanio  perpetuo  della 
Chiesa ,  e  confermate  le  sue  consuetudines  et  lihertates.  Ma  questo  non 
impedì  al  suo  successore  d'infeudarla  nel  seguente  mese  ai  marchesi  di 
Hohenburg.  Camera,  Meni.,  cif.,  pag.  426,  427. 

(75)  Nullum  civitati  predictae  sede  apostolica  destinato  sxibsidium. 
Saba  Malaspina,  I,  3. 


VITE 


DI 


LLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI 


VII. 

DOMENICO   BESTINI 


Dopo  la  comparsa  dell'immortale  Boctrina  numorun 
veterum  del  sapiente  gesuita  viennese  Giuseppe  Eckhel 
(1792-98  e  1826),  anche  in  Italia,  inspirata  da  quella,  sorse 
una  plejade  di  scrittori,  che  illustrarono  la  numismatica 
classica,  e  di  cui  gli  astri  maggiori  furono  Domenico  Bestini 
(1750-1832),  Ennio  Quirino  Visconti  (1751-1816) ,  Bartolomeo 
Borghesi  (1781-1860,  e  Celestino  Cavedoni  (1795-1865). 

Domenico  Sestini  nacque  in  Firenze  il  10  agosto  1750. 
Fatti  i  primi  studi  nelle  scuole  di  S.  Marco  di  quella  città, 
entrò  nella  carriera  ecclesiastica  vestendo  l'abito  dei  Chierici 
Eegolari  delle  Scuole  Pie.  Tocchi  appena  i  24  anni  d'  età, 
il  24  settembre  1774,  lasciò  la  casa  paterna  per  darsi  alla 
vita  fortunosa  de'  viaggi,  cui  lo  spingeva  con  fascino  irre- 
sistibile la  sua  indole  irrequieta  e  smaniosa  di  vedere  coi 
propri  occhi  ciò  che  doveva  formare  l'oggetto  delle  ricerche 
e  degli  studi  di  tutta  la  sua  vita.  Dapprima  visitò  Roma, 
Napoli  e  la  Sicilia.  A  Catania  il  principe  Ignazio  di  Biscari, 
possessore  di  una  preziosa  collezione  di  oggetti  antichi  e 
rari,  lo  trattenne  presso  di  sé  circa  tre  anni,  nominandolo 
suo  archeologo  e  bibliotecario,  e  con  questo  incarico  il 
Sestini  diede  in  luce  la  Descrizione  di  quel  celebre  museo. 


474  *  e.  LUPPi 


Durante  la  sua  dimora  in  Sicilia,  per  naturale  inclinazione 
del  suo  vario  e  versatile  ingegno,  fece  pure  oggetto  delle 
sue  considerazioni,  l* agricoltura^  le  produzioni  e  il  comìnercio 
di  quell'isola.  Indi  passò  a  Malta,  poi  a  Smirne,  e  nel  1768 
giunse  a  Costantinopoli,  dove  fu  testimonio  di  una  peste  fieris- 
sima,  della  quale  pubblicò  in  Firenze  un'importante  descri- 
zione, di  cui  giovossi  il  Gran  Duca  Pietro  Leopoldo  per 
riformare  le  leggi  sanitarie  del  suo  stato.  Da  Costantinopoli 
intraprese  altro  breve  viaggio  a  Cizico,  passando  per  Brussa 
e  Nicea  coi  figli  del  Conte  Landoff  inviato  straordinario 
del  re  di  Napoli  alla  Porta  Ottomana,  stampandone  poi  la 
relazione  a  Livorno  (Yverdun ,  1785)  col  titolo:  Lettere 
Odeporiche  per  la  penisola  di  Cizico,  Brussa  e  Nicea ,  nella 
quale  opera  incluse  anche  una  descrizione  della  Flora  del 
Monte  Olimpo,  Di  ritorno  a  Costantinopoli  il  Landoff  con- 
dusse il  Sestini  nella  sua  deliziosa  villa  di  Therapia^ 
affidandogli  l'educazione  dei  suoi  due  figli.  In  questa  tran- 
quilla dimora,  in  mezzo  alla  campagna,  il  Sestini  scrisse  un 
opuscolo  sulla:  Coltura  della  vite  lunghesso  il  mare  di  Mar- 
mar  a;  poi,  dopo  il  ritorno  da  una  gita  a  Bucarest  coi  figli 
dell'ambasciatore,  della  quale  pure  stampò  una  relazione,  vi 
inckiuse  una  lettera  all'avvocato  Coltellini  di  Cortona  sulla: 
Capra  d'Angora  e  le  fabbriche  di  scialli.  —  Dopo  il  ritorno 
da  Bucarest  (1780),  lasciata  la  casa  dell'ambasciatore,  il 
Sestini  visse  alcun  tempo  presso  il  principe  Ypsilanti  il 
vecchio,  Ospodaro  di  Valacchia;  indi,  visitate  la  Transilvania 
e  l'Ungheria  ,  si  trasferi  a  Vienna ,  e  fatta  quivi  breve  di- 
mora, pel  Danubio  e  il  mar  Nero,  ritornò  a  Costantinopoli. 
Quivi,  incontratosi  con  Sir  Roberto  Ainslie  ,  ambasciatore 
d'Inghilterra  presso  la  Porta,  cui  era  pervenuta  la  fama 
della  dottrina  e  dell'erudizione  del  Sestini  in  tutti  i  rami 
dell'  archeologia ,  nonché  della  sua  perizia  e  competenza 
nella  numismatica,  Ainslie  diedegli  l'incarico  di  formare  per 
suo  conto  una  vasta  collezione  di  medaglie  antiche  greche 
e  romane.  Sotto  gli  auspicii,  e  coi  mezzi  potenti  fornitigli 
da  questo  suo  nuovo  ricchissimo  Mecenate,  il  Sestini,  fatte 
diverse  escursioni  nei  paesi  dove  più  abbondano  simili  mo- 
numenti, potè  mettere  insieme  più  di  diecimila    medaglie, 


DOMENICO    SESTINI. 


VITE   PI    ILLUSTRI    NUMISMATICI    ITALIANI  477 

la  più  parte  rarissime  e  allora  sconosciute,  delle  quali  non 
mancò  di  descrivere  e  fare  incidere  in  seguito  i  tipi  più 
rari  e  preziosi  nelle  diverse  opere,  di  cui  si  occupò  poste- 
riormente. 

Da  questo  momento,  la  scienza  delle  monete  antiche 
greche  e  romane  occupò  quasi  esclusivamente  1'  ingegno  e 
le  ricerche  del  Sestini.  In  quel  turno  di  tempo,  essendo 
stato  nominato  Giovanni  Sullivan,  Presidente  della  Compa- 
gnia delle  Indie  inglesi  presso  il  nahab  di  Golconda,  il  Se- 
stini  parti  con  lui  e  lo  accompagnò  fino  a  Bassora,  donde 
poi  pel  Tigri,  l'Eufrate  e  il  deserto  fece  ritorno  a  Costan- 
tinopoli. Ma  tosto  neir  agosto  del  1782  ne  riparti  e  per 
dieci  anni,  cioè  fino  all'aprile  del  1792  il  Sestini,  frammessi 
brevi  intervalli,  continuò  e  ripetè"  i  suoi  viaggi  in  Oriente. 
Arduo,  per  non  dire  impossibile,  in  questa  nostra  compen- 
diosa biografìa,  e  di  poco  interesse  al  nostro  scopo,  il  ser- 
bare lo  stretto  ordine  cronologico  e  geografico  di  quei 
viaggi  e  ritorni ,  da  lui  fatti  secondo  lo  spingeva  il  suo 
genio,  o  l'occasione  del  momento.  Basti  il  sapere  che  scopo 
dei  medesimi,  furono  i  suoi  studii  prediletti,  fra  i  quali  era 
principalissimo  quello  della  numismatica;  e  di  fatto,  da  quei 
viaggi  non  mai  fece  ritorno,  senza  portare  nuove  dovizie 
da  aggiungere  alle  splendide  collezioni  di  Sir  Eoberto 
Ainslie,  suo  costante  e  generoso  protettore.  Nelle  sue  più 
o  meno  lunghe  escursioni  visitò  Aleppo  nella  Siria,  Bagdad 
nell'Asia  occidentale,  Cipro,  due  volte  Alessandria  d'Egitto, 
Rodi  e  Cos  presso  la  costa  dell'  Asia  Minore  ,  la  Galazia  , 
Tessalonica ,  Smirne  più  volte,  la  Macedonia,  il  Monte 
Santo  (Athos)  e  Fella,  la  Tessaglia,  Lemno,  Micone  ed  altre 
isole  dell'Arcipelago  ,  Eagusa  nella  Dalmazia.  Finalmente 
nell'agosto  del  1791  da  Smirne  cerca  un  imbarco  per  Li- 
vorno ;  sale  un  vecchio  bastimento  provenzale  ,  che  dopo 
aver  fatto  sosta  a  Tchesmé  ed  a  Scio,  naufraga  a  Navarino 
nella  Morea,  onde  trovossi  costretto  retrocedere  a  Tessalo- 
nica (Salonicco).  Quivi  ebbe  affettuosa  accoglienza  dal 
Sig.  Cousinery  che  gli  agevolò  il  ritorno  in  patria;  atteso 
pertanto  un  nuovo  trasporto  per  Livorno,  finalmente  arrivò 
in  Toscana  nell'  aprile  dal  1792.  Il  Sestini  di    tutti  i    suoi 

6i 


478  (^.  Lurri 


viaggi  scrisse  relazioni  assai  curiose  ed  importanti ,  la 
maggior  parte  delle  quali  in  epoche  e  in  luoghi  diversi 
furono  stampate,  e  parecchie  di  esse  ebbero  l'onore  di  tra- 
duzioni in  francese  ed  in  tedesco.  Nel  lungo  periodo  di 
quei  dieci  anni,  è  facile  immaginare  ,  quanto  fosse  estesa 
e  viva  la  corrispondenza  del  Sestini  cogli  uomini  più  dotti 
ed  illustri  delle  più  colte  nazioni ,  cominciando  da  quella 
col  sommo  Eckhel  e  con  Ennio  Quirino  Visconti,  corrispon- 
denza ,  che  si  accrebbe  ancor  più  negli  anni  seguenti.  Fi- 
nite nel  1792  le  escursioni  del  Sestini  in  Oriente  ,  comin- 
ciarono quelle  per  la  colta  Europa.  Percorse  di  nuovo 
l'Italia,  indi  passò  nella  Germania  e  in  Prussia,  dove  fece 
lunga  sosta  a  Berlino  e  a  Carlottemburgo.  Il  re  di  Prussia 
Federico  Guglielmo  III,  ad  onorare  lo  scienziato,  e  a  pre- 
miare l'insigne  erudizione  e  dottrina  dell'  infaticabile  ar- 
cheologo, gli  concedette  una  lauta  pensione,  di  cui  il  Sestini 
fruì  fino  a  che  la  celebre  vittoria  di  Napoleone  a  Jena,  14 
ottobre  1806,  mise  quel  re  nell'impossibilità  di  continuare 
la  sua  generosa  larghezza  a  chi  aveva  cotanto  illustrato  la 
scienza  e  le  archeologiche  discipline.  Nel  1810  il  Sestini 
fu  a  Parigi  ,  e  vi  descrisse  il  ricco  medagliere  del  Signor 
Tovhon  ;  nel  suo  ritorno  a  Firenze  ,  la  principessa  Elisa 
Bonaparte,  sorella  maggiore  di  Napoleone,  creata  poco  prima 
dall'  Imperatore,  Granduchessa  di  Toscana ,  lo  elesse  a  suo 
bibliotecario  ed  archeologo.  Quattro  anni  dopo  ,  cadute  le 
sorti  dei  Napoleonidi  in  Italia,  Ferdinando  III  di  Lorena, 
risalendo  il  trono  granducale  della  Toscana ,  trattenne  e 
confermò  nella  sua  carica  il  Sestini,  e  per  di  più  lo  insigni 
del  titolo  di  Regio  antiquario  e  di  Professore  onorario  del- 
l'Università di  Pisa.  Il  Sestini  si  stabili  pertanto  a  Firenze, 
che  lasciò  soltanto  l'ultima  volta,  per  recarsi  in  Ungheria 
a  Hedervar  presso  Vienna,  dove  attese  a  classare  e  descri- 
vere il  magnifico  gabinetto  di  medaglie  del  conte  Michele 
AViczay.  —  Ritornato  a  Firenze,  non  si  allontanò  più  da 
questa  sua  città  nativa.  Ora,  perchè  più  agevolmente  si  possa 
rilevare  l'attività  non  mai  interrotta  di  questo  grande  ar- 
cheologo, anche  a  riguardo  dello  studio  delle  monete  ,  che 
forma    l' oggetto    principale    delle    nostre   pubblicazioni ,  e 


VITE    DI    ILLUSTRI    NUMISMATICI    ITALIANI  479 

dimostra  come,  non  senza  ragione,  i  suoi  contemporanei 
considerarono  il  Bestini  uomo  straordinario  e  principe 
dei  numismatici  della  penisola ,  aggiungiamo  la  nota  cro- 
nologica de'  suoi  scritti  relativi  allo  studio  delle  antiche 
monete. 

Il  primo  suo  lavoro  intorno  a  questo  ramo  di  erudi- 
zione fu  la:  Dissertazione  sopra  alcune  monete  arinene dei 
principi  di  Rupen  della  Collezione  Ainslie  (Livorno  1790)  ; 
alla  quale  tennero  dietro  le  Lettere  e  dissertazioni  numis- 
matiche (Livorno  1789),  che  furono  continuate  poi  negli  anni 
successivi  (in  Roma  e  Berlino  in  9  volumi  dal  1789  al  1806)  ; 
Osservazioni  sopra  una  medaglia  di  Europus  III  re  di  Ma- 
cedonia^ e  sopra  una  serie  di  medaglie  di  Tolomeo  figlio 
di  Juha ,  ecc.;  Descriptio  numoruìn  veteruìn  ex  Musaeis 
Ainsliae,  Bellini,  Bondacca,  Borgia,  Casali,  Gradenigo,  San 
Clemente,  ecc.  (Lipsia  1796);  le  :  Classes  generales  geographiae 
numismaticae  populorum  et  regiwi  (Lipsia  1797,  delle  quali 
rinnovò  V  edizione  nel  1821).  In  questo  grande  quadro , 
se  non  eguaglia  la  profonda  erudizione  e  la  sagacità 
del  sommo  Eckhel ,  è  certamente  più  completo  di  quello 
per  nuove  scoperte  di  monete.  A  questa  classica  opera 
tennero  dietro:  le  Medaglie  del  Museo  Knohelsdorfflano 
(Berlino ,  1804)  ;  il  Catalogus  nwnorum  veterum  Musaci 
Arrigoniani,  castigatus  (Berlino  1805)  ;  Spiegazione  d' una 
medaglia  antica  di  piombo  appartenente  a  Velletri  (Roma)  ; 
Descrizione  d'alcune  medaglie  di  gran  bronzo  del  gabinetto 
delV Abate  de  Camps,  (1803);  Descrizione  delle  medaglie 
greche  e  romane  della  Collezione  del  fu  Benkowitz,  (1809)  ; 
Dissertazione  sopra  le  medaglie  antiche  relative  alla  Con- 
federazione degli  Acheij  (Milano,  1817)  ;  Monete  ispaniche  e 
celtiberiche  del  gabinetto  Heden,  (1818);  Lettera  sul  Gabi- 
netto del  Granduca  di  Toscana  (Firenze,  1820);  Descrizione 
di  alcune  medaglie  greche  del  Museo  del  sig.  Carlo  Fontana 
a  Trieste,  (Firenze  1822)  ;  il  Museo  Hederwariano  riordinato 
e  purgato  dagli  errori  del  P.  Barnabita  Felice  Caronni  , 
(1822-29,  in  tre  volumi  in-4°);  Descrizione  di  alcune  me- 
daglie  greche  del  Museo  Choudoir,  (1831)  ;  senza  tener  conto 
d'- altre   molte  pubblicazioni    archeologiche  aventi    qualche 


480  e.    LUPPI  -  VITE    DI    ILLUSTRI   NUMISMATICI    ITALIANI 

attinenza  coll'antica  numismatica.  Oltre  le  riferite  opere 
stampate,  ne  esistono  altre  di  lui  che  giacciono  ancora  ine- 
dite nelle  pubbliche  e  private  librerie  ;  principalissima  fra 
queste  il  Sistema  geografico-numismatico  redatto  in  quat- 
tordici volumi  in  foglio,  che  alla  morte  del  Bestini  fu  com- 
perato dal  Granduca  Leopoldo  II  insieme  ad  altri  mano- 
scritti e  alla  libreria  numismatica  di  questo  insigne  scrittore, 
che  aveva  illustrato  con  si  splendidi  risultati  tutta  la  sua 
vita.  Il  Sestini  mori  in  Firenze  l'S  giugno  1832,  in  età  di 
82  anni  (*). 


I  presenti  cenni  sulla  vita  e  sugli  scritti  di  questo  illustre  numis 
matico  furono  desunti  dalle  opere  seguenti:  Prof.  Domenico   Vale 
RiANi,  Necrologia  di  Domenico  Sestini  neir«  Iconografia   contempo 
ranea  »;  Biographie  universelle  ancienne  (Michaud),  tome  XXXIX, 
Paris  ;  Fruttuoso  Becchi   nella   Biografia  degli  Italiani  illustri 
nelle  scienze,  lettere  ed  arti  del  secolo  XVIII  e  di  contemporanei 
(?'  ogni  provincia ,  pubblicata  per  cura  del  prof.  Emilio  do  Tipaldo 
Venezia,  voi.  IV,  pag.  239-244;  Maffei  Giuseppe,  Storia  della  let 
teratura  italiana.  Firenze,  1853,  voi.  II,  pag.  332-384;   Dizionario 
universale  storìco-mitologico-geografico  compilato  da  una  società   d 
uomini  di  lettere  per  cura  del  dottor  Angelo  Fava 

C.  Luppi. 


(*)  Questo  celebre  numismatico  fa  membro  dell'  Istituto  di  Francia , 
Corrispondente  dell'Accademia  delle  Iscrizioni  e  Belle  lettere,  30  nov.  1810, 
Socio  straniero  della  medesima  Accademia ,  80  dicembre  1820  ;  membro 
onorario  dell'lmp.  e  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Pietroburgo  e  di  molte 
altre. 


NECROLOGIA 


Mons.   GAETANO   BAZZI. 


Il  giorno  15  settembre  scorso  moriva  in  Cremona  Mon- 
signor Gaetano  Baf^zi.  Nato  a  Cassano  d'Adda,  il  27  marzo  1847, 
entrò  a  14  anni  in  Seminario  e  fu  ordinato  Sacerdote  nel  1870  a 
Tortona.  Nel  dicembre  dell'anno  seguente  S.  E.  il  Vescovo 
di  Cremona,  Mons.  Bonomelli,  lo  nominava  suo  Segretario, 
e  nel  1886  gli  conferiva  la  nomina  di  Canonico  della 
Cattedrale. 

Era  appassionato  raccoglitore  e  distinto  Numismatico. 
Valente  quanto  modesto,  si  compiaceva  nel  poter  giovare  a 
tutti  coloro  che,  in  materie  archeologiche  lo  richiedevano 
di  consiglio  e  di  lumi.  Anima  candida  ed  eletta,  non  ebbe 
mai  un  nemico  e  quanti  ebbero  la  fortuna  di  avvicinarlo, 
si  dichiararono  felici  d'averlo  conosciuto. 

Nel  1886,  in  collaborazione  col  Can.  Milziade  Santoni 
di  Camerino,  pubblicò  il  Vademecum  del  raccoglitore  di 
ononete  italiane,  ossia  re'pertorio  numismatico  che  ne  con- 
tiene i  motti  e  gli  emblemi,  i  Signori  Feudatarii  e  le  loro 
zecche,  la  bibliografia  ed  altre  molte  indicazioni.  E  un  ma- 
nuale molto  pratico  e  utilissimo  specialmente  per  raccogli- 
tori novizi.  Mons.  Bazzi,  modestissimo  ,  non  dissimulava 
a  chicchessia  i  difetti  e  le  lacune,  ch'egli  aveva  già  notato 
nel  suo  lavoro,  il  quale  del  resto  è  di  un  genere  di  assai 
difficile  compilazione  e  si  proponeva  di  migliorare  quel 
manuale  e  di  farne  una  seconda  edizione;  quando  lo  colse 


482  NECROLOGIA 


il  male  che  doveva  in  breve  tempo  trarlo  cosi  immatura- 
mente alla  tomba.  Il  26  ottobre  1887  ebbe  un  primo  insulto 
apoplettico  ,  che  gli  tolse  quasi  affatto  la  facoltà  di  occu- 
parsi di  lavori  mentali.  Il  15  settembre  dell'anno  corrente 
un  nuovo  e  più  forte  attacco  lo  toglieva  improvvisamente 
all'affetto  della  famiglia,  e  alla  stima  di  quanti  lo  cono- 
|cevano. 


E.  G. 


BIBLIOGRAFIA 


PERIODICI. 

Reviie  N^atnismatique.  2^  Trimestre  1890. 

Prou  (Maurice) ,  Inventaire  sommaire  des  monnaies 
mérovingiennes  de  la  Collection  d'  Amécourt,  acquises  par 
la  Bibliofchèque  nationale. 

Vallentin  (Roger),  Un  denier  coronafc  inédit  de  Char- 
les Vili,  frappé  à  Marseille. 

Reinach  (Théodore) ,  Sur  1'  epoque  et  le  nombre  des 
néocorats  de  Cizique. 

Cronaca.  —  Vendite.  —  Bibliografia. 


Meviie  Belge  de  Nmnismatlqiie.  1890.  Troisième  livraison. 

Rouyer  (M.  J.)  Jetons  historiques  et  autres ,  interes- 
sant  les  diverses  Provinces  des  Pays-Bas  ,  dont  les  coins 
sont  conservés  à  l'hotel  des  monnaies  à  Paris. 

Jonghe  (B.  de) ,  Deux  monnaies  frappóes  en  Fiandre, 
en  1581. 

Necrologie.  —  Miscellanea. 


Niimismatlsche  Zeitschrift, 

Brexler  (Dr.  W.),  Der  Isis-  und  Serapis-Cultus  in  Klein- 
asien. 

Markl  (Andreas) ,  Gewicht  und  Silbergehalt  der  Anto- 
niniane  von  Claudius  II  Gothicus. 

Fiala  (Eduard),  Ober-Potschapler  Denarenfund. 

Busson  (D.  Arnold),  Kleine  Beitràge  zur  mittelalterlichen 
Miinzkunde  Tirols, 


484  BIBLIOGRAFIA 


Noss  (Alfred),  Heidelberger  Mùnzen  des   Kònigs    Frie- 
dric  von  Bòhmen. 

Von  Belhdzy  (Johann),  Ueber  die  Ermittlung  des  Werthes 
alter  Mùnzen. 

Mùller  (Otto  F.),  Die  Miinzen    der   Familie    Bachoven 
von  Echt. 

Necrologia.  —  Miscellanea.   —  Bibliografia. 


American  Journal  of  Numisniaiics,  Ottobre,  1889. 

Walter    (David  L.) ,  Medallic    Memorials  of  the   great 
Comets. 

—  Tetradrachm  of  Sardanapalus. 

—  Washington  medals. 

Storer  (Horatio  E.),  The  medals,  jetons  and  tokens  illu- 
strative of  the  science  of  medicine. 

Marwin  (W.  T.  E..),  Masonic  medals. 

Miscellanea. 

Gennaio  1890. 

Walter  (David.  L.) ,  Medallic   Memorials    of  the    great 
Comets. 

Storer  (Horatio  E.),  The  medals,  jetons  and  tokens  il- 
lustrative of  the  science  of  medicine. 

—  "Washington  medals. 

Marwin  (W.  T.  E.)  Masonic  medals. 

Miscellanea. 

Aprile  1890. 

Carrington  Bolton  (Henry),  Contributions  of  Alchemy  to 
Numismatics. 

Walter  (David  L.)  ,  Medallic    memorials    of  the    great 
Comets. 

Storer  (Horatio  E.),  The  medals,  jetons  and  tokens  il- 
lustrative of  the  science  of  medicine. 

Marwin  (W.  T.  E.),  Masonic  medals 

Miscellanea. 


NOTIZIE    VARIE 


Un'urna  di  monete  viscontee  a  Treviglio.    —    Il  12  di 

agosto  p.  p.,  mentre  procedevasi  allo  scavo  di  una  cantina 
nella  casa  Belletti  a  Treviglio,  i  muratori  addetti  al  lavoro 
trovarono,  alla  profondità  di  poco  più  di  un  metro  dal 
suolo  ,  e  immediatamente  al  disotto  del  fondamento  d'  un 
vecchio  muro,  un'urna  di  terra  cotta.  Come  suole  avvenire 
in  simili  casi,  gli  operai  spezzarono  senz'altro  con  un  colpo 
di  piccone  l' urna ,  e  con  grande  meraviglia  scopersero  un 
considerevole  ammasso  di  monete  d'argento  tutte  attaccate 
assieme  e  coperte  da  uno  strato  verde.  Per  quanto  non  ne 
potessero  calcolare  immediatamente  il  valore,  pure  a  buon 
conto  se  ne  intascarono  gran  quantità.  Accorso  il  proprie- 
tario, raccolse  quelle  che  potè,  un  migliaio  circa  ;  le  altre 
asportate,  furono  poi  spacciate  perfino  a  un  soldo  1'  una  a 
poco  scrupolosi  incettatori. 

Dallo  spoglio  diligente  di  tutte  le  varie  monete,  risul- 
tarono i  seguenti  tipi: 

Milano  —  Galeazzo  II  e  Barnabó  Visconti.  (1354-78) 

Grosso.  —  D.  Biscia  fra  le  iniziali  B  .  G.    —  K.   Sant'  Ambrogio 

seduto.  (Gnecchi,  N.  2), 
Fegiorie.  —  D.  Come  il  precedente,  ma  ooU' aquila  imperiale  sopra 

la  Biscia.  (Gnecchi,  N.  4). 

Galeazzo  li  Visconti.  (1354-78) 

Fegione,  —  D.  Biscia  fra  le  lettere  G  .  Z.  —  R.  Sant'Ambrogio 
seduto.  (Gnecchi,  N.  4). 

Idem.  (Gnecchi,  N.  5). 

Idem.  (Gnecchi,  N.  6). 

Idem.  —  D.  Cimiero  visconteo,  coi  tizzoni.  —  R.  Sant'Ambrogio  se- 
duto. (Gnecchi,  N.  3). 

6a 


486  NOTIZIE   VARIE 


Barnabò  Visconti.  (1354-85) 

Pegione.  —  D.  Cimiero  sormontato  dal   drago   alato.   —  R.  Biscia, 
(Gnocchi,  N.  9  e  10). 

Pavia  —  Galeazzo  II  Visconti.  (1354-78) 

Pegione.  —  D.  Biscia  sormontata  dal  drago;   ai   due   lati  i  tizzoni. 

—  R.  San  Siro  seduto  (Brambilla  Tav.  IX,  1). 
Grosso.  —  D.  Cimiero  fra  le  lettere  G.  Z.  —  R.  San  Siro   seduto 

(brambilla,  Tav.  IX,  2). 

Queste  sono  le  varietà  trovate  dal  proprietario ,  né 
pare  che  fra  le  sottratte,  le  quali  raggiungono  qualche  mi» 
gliaio,  ve  ne  fossero  d'altri  conii. 

Le  monete  sono  ben  conservate,  e  i  conii  bellissimi  e 
tali  da  giustificare  le  parole  del  Conte  Giovanni  Mulazzani  : 
a  Ma  ciò  che  sarà  per  recar  più  stupore  è  se  io  dico  che  alcuni 
u  conii  dei  Visconti  della  metà  del  trecento  sorpassano 
tt  egualmente  ogni  altro  ch'io  abbia  veduto  in  quel  tempo, 
u  Alcune  linee  serpentine  dei  vestimenti  di  S.  Ambrogio  e 
u  molto  più  di  S.  Siro,  che  si  scorgono  nelle  monete  dei  due 
a  fratelli  Barnabò  e  Galeazzo,  fabbricate  in  Milano  e  Pavia  ; 
u  una  ricchezza  inusitata  di  drapperie,  come  pure  certa  tal 
u  quale  forza  impressa  alle  mani  che  stringono  il  pastorale 
u  e  lo  staffile  dei  santi,  mostrano  lo  studio  che  davvero  si 
u  cominciava  a  fare  presso  di  noi  della  natura  del  disegno, 
u  onde  può  dirsi  che  l'incisione  superava  nel  1354  nell'In- 
a  subria,  e  la  pittura  e  la  scoltura...  n  (*). 

L'appartenere  tali  monete  al  breve  periodo  di  trent'anni, 
potrebbe  agevolare  la  ricerca  altresì  della  causa  e  delle  cir- 
costanze, in  cui  (dato  che  il  tesoretto  sia  stato  nascosto  in 
tempo  di  bellici  cimenti) ,  il  sotterramento  sia  stato  com- 
piuto.  Troviamo ,  per  esempio  ,  nel    Lodi ,  come   nel    1382 


(♦)  G.  Mulazzani,  Sulla  Zecca  di  Milano  dal  secolo  XII  fino  ai  nostri 
giorni,  nella  «  Eivista  Europea  »,  1844.  Quest'opuscolo,  divenuto  quasi 
irreperibile,  fu  recentemente  ristampato  insieme  a  due  altri  dello  stesso  au- 
tore, S(»tto  il  titolo:  Tre  Opuscoli  di  Numismatica  milanese  del  Conte 
Giovanni  Mulazzani,  ristampati  per  cura  di  F.  ed  E.  Gnecchi.  Milano, 
Co<,'liati,  1889. 


NOTIZIE  VARIE  487 


nacquero  liti  e  controversie  fra  Treviglio  e  Caravaggio,  in 
occasione  di  porrle  i  termini  ai  loro  confini,  e  procedettero 
tanto  innanzi  che  gli  assalti  reciproci  e  le  scorribande 
erano  numerose.  Poi  è  a  notarsi  come  in  queste  terre  si 
contendessero  il  predominio  i  Visconti,  che  s'avviavano  al 
fiore  della  loro  potenza,  e  i  loro  avversari  ;  come  qui  si 
ridestassero  le  discordie  fra  guelfi  e  ghibellini,  le  quali  ori- 
ginarono uno  stato  di  guerra  in  permanenza ,  di  cui  sono 
episodii  gli  assalti  e  gli  incendi  di  Borgo  S.  Caterina  di 
Bergamo,  quello  del  castello  di  Ghisalba  e  del  Castello  di 
Fara  Olivana  dato  dai  ghibellini  trevigliesi.  —  Ma  guaj  a 
lasciarsi  trascinare  dalle  congetture  !    Si  sa  dove    si  entra , 

non  dove  se  ne  può  uscire. 

Ayv.  Cesare  Bellotti. 

Ripostiglio  di  Monete  romane  in  Egitto.  —  Dall'Egitto 
riceviamo  un  piccolo  ripostiglio  di  monete  romane  trovate 
nella  provincia  di  Fayoum.  Si  tratta  di  230  piccoli  bronzi 
della  fine  del  IV  secolo  appartenenti  agli  imperatori  Co- 
stante, Costanzo  II,  Giuliano  II,  Valentiniano  I,  Valente  e 
Graziano.  Le  monete  si  vede  che  hanno  avuto  lunghissimo 
corso,  essendo  tutte  di  pessima  conservazione  ;  sono  tutte 
comunissime  ,  cosicché  non  vale  la  pena  di  darne  una  par- 
ticolareggiata  descrizione. 

Il  ripostiglio  non  ha  dunque  che  l'interesse  storico  del 
luogo  del  ritrovamento  e  dell'epoca  della  sepoltura.  Le  mo- 
nete dell'ultimo  imperatore  rappresentato,  ossia  di  Graziano, 
sono  un  poco  meglio  conservate  delle  altre  e  si  può  quindi 
ritenere  che  il  piccolo  tesoro  venne  nascosto  poco  dopo  la 
morte  di  questo  imperatore,  avvenuta  nell'anno  383,  d.  C. 

Lo  scudo  di  San  Marino.  —  A  proposito  dell'  articolo 
pubblicato  nel  Fase.  III ,  Annata  1 ,  1888  ,  della  presente 
Rivista  ,  il  eh.  sig.  Comm.  Carlo  Malagola ,  Direttore  del- 
l'Archivio di  Stato  in  Bologna,  e  studiosissimo  di  cose  sam- 
marinesi, c'informa  gentilmente  che  i  due  esemplari  della 
prova  dello  scudo  da  5  lire  di  San  Marino,  conservati  nell'Ar- 
chivio di  quella  Repubblica,  non  sono  in  argento,  ma  bensì 


488  NOTIZIE   VARIE 


in  metallo  inargentato,  e  che  probabilmente  è  tale  anche 
l'esemplare  già  appartenuto  al  compianto  Comm.  Nicomede 
Bianchi,  mentre  il  prefato  Comm.  Malagola  ne  possiede  un 
esemplare  di  schietto  argento  ,  che  sino  a  prova  contraria 
si  dovrebbe  quindi  ritenere  unico. 

S.  A. 

Scavi  di  Roma.  —  Fra  le  monete  recentemente  venute 
in  luce  a  Roma  va  notato  un  bel  medaglione  di  Commodo 
e  M,  Aurelio  (Coh.  N.  2)  di  buona  conservazione ,  uno 
stupendo  medaglione  inedito  di  M.  Aurelio,  e  un  bel  meda- 
glioncino  pure  inedito  dello  stesso  Marc' Aurelio ,  di  cui  si 
darà  descrizione  a  suo  tempo  nella  Rivista. 

Vendita  d'Amécourt.  —  Monete  merovingie.  —  Nella 
famosa  collezione  di  Monete  merovingie  appartenenti  al  fu 
Visconte  Ponton  d'Amécourt ,  la  Biblioteca  nazionale  di 
Parigi  autorizzata  da  una  legge  speciale  24  luglio  1889, 
fece  un'ampia  scelta  ad  aumento  di  quell'insigne  gabinetto. 
■ —  Un  catalogo  di  queste  monete,  passate  al  Gabinetto  di 
Francia,  si  sta  attualmente  pubblicando  da  Maurizio  Prou 
nella  Revue  Numismatique ,  invadendone  anzi  forse  sover- 
chiamente lo  spazio.  --Le  rimanenti  monete  furono  ven- 
dute al  pubblico  incanto  nelle  sale  dell'Hotel  Drouot  nello 
scorso  giugno  ;  ma  la  vendita  venne  fatta  in  cattive  condi- 
zioni, il  concorso  degli  amatori  fu  estremamente  scarso,  e 
i  prezzi  furono  cosi  meschini  da  segnare  sulle  monete  me- 
rovingie un  ribasso  del  40  al  50  %.  Diamo  qui  i  prezzi 
dei  pezzi  principali,  tutti  acquistati  da  negozianti. 

N.  8      Teodeberto  I Terzo  di  soldo    Fr.  185 

»  14  »  (Lione)     . 

>  93  Childeberto  re  (Tours)  . 
»  94  Dagoberto  I  re  (Tours). 
»  131  Cariberto  re  d'Aquitania  (Nantes). 

>  162  Clodoveo  e  Sant'Eligio  (Parigi)  . 
»  210  »  (Verdun)  . 
»  224  Teodeberto  I  re  (Reims) 

>  247  »  (Boulogne  sur  Mer) 
»  254              »             (Colonia)     . 


» 

»  210 

» 

y>      27 

» 

»  200 

» 

*  200 

> 

V  228 

» 

^    225 

» 

V  530 

* 

»  560 

V 

»  860 

NOTIZIE  VARIE 


489 


N. 


296  Teodeberto  I  re    (Namur)    . 

297  »  ». 
321  Maurizio  Tiberio  (Vienna)  . 
332  Sìgeberto  re  (Marsiglia) 

343  Childerico  II         y> 

344  »  ». 

345  »  ». 
367  Cbildeberto  re  (Clermont  Ferrand) 
369           »  ». 
421  Cariberto  re  (Bannassac) 
487  Dagoberto  I  re  (Uzès)  . 


Terzo  di  soldo    Fr.  170 


» 

»  170 

» 

»  335 

» 

»  810 

» 

»  485 

» 

»    261 

» 

»  900 

» 

»  210 

» 

»  165 

» 

»  196 

» 

»  406 

Gran  Brettagna. 


»   705  Offa 


Denaro 


Spagna. 

709  Leovigilde Oro 

726  Ervigio  ......... 

728  Yittiza » 


151 


158 
135 
180 


Vendita  Photiades  Pacha.  ~  Monete  greche.  —  Nella 
seconda  metà  dello  scorso  maggio  ebbe  luogo  a  Parigi  la 
vendita  della  splendida  Collezione  di  monete  greche  di 
S.  E.  Photiades  Pacha ,  già  ambasciatore  turco  a  Roma. 
L'alta  posizione  del  proprietario,  le  sue  aderenze  e  la  sua 
lunga  residenza  in  Creta  e  ad  Atene,  gli  avevano  offerto  il 
destro  di  mettere  insieme  nel  lungo  lasso  di  tempo  di  circa 
trent'anni,  una  collezione  ragguardevole  per  la  rarità  e  la 
bella  conservazione  degli  esemplari.  —  Quella  Raccolta 
comprendeva  le  monete  della  Grecia  propriamente  detta,  e 
fra  una  serie  di  1530  numeri,  vantava  buon  numero  di  mo- 
nete uniche  ,  inedite  ,  o  di  grande  importanza.  Diamo  qui 
la  nota  dei  pezzi  più  importanti ,  col  prezzo  di  aggiudi- 
cazione. 

N.  51  Tessalia  (Cierium)  Varietà  inedita   .        .     arg.  Fr.  1450 

»  59  »        (Gomphi-Philippo  polis)  Inedito  .        »     »  2600 

»  60  »                     »             ....»»  600 

»  68           »        (Lamia) »     »  700 

»  74           »        (Larisa) »     »  600 

»  95           »            ». »     »  510 


490 


NOTIZIE  VARIE 


» 
» 

» 

» 
> 

» 

> 

> 


125 

128 

162 

165 

170 

228 

239 

242 

243 

331 

337 

351 

362 

375 

430 

433 

446 

452 

465 

465 

478 

484 

528 

529 

530 

559 

716 

1020 

1031 

1035 

1079 

1090 

1091 

1154 

1170 

1177 

1178 

1231 

1239 

1245 

1265 

1290 


Tessalia  (Melitela)  Inedito. 
,    »        (Oeteens)        » 
»        (Pherae) 
»  »        Inedito 

»        (Alessandro,  tiranno  di 
Epiro  (Cassope)  . 
Ke  dell'Epiro  (Alessandro) 
»  (Pirro). 

»  ». 

Etolia  (Lega  d'Etolia) . 
Locride  (Opuntii) 

»        (Hypoknemidi) 
Focide  (Delfo)     . 
Beozia  (Lega  di  Beozia) 
»       (Tebe)     . 
»  »        .       . 

»       (Thespi). 
Isola  d'Eubea  (Lega  d'Eubea) 

»  (Chalcis) 

Eubea  (Eretria)  . 
»  »       .        . 

»      (Histiea)  Unico 
Attica  (Atene)    . 
»  »        Unico 


» 
Elide 


Messenia  (Messene) 
Laconia 

»  ... 

Arcadia  (Lega  Arcadica) 

>  (Manti) . 

>  (Penco) . 

Creta  (Cnosso)    . 

»  (Cydonia)  . 
»  (Gortyna)  . 
»     (Hierapytna) 


Pher 


ae)  Ined 


arg. 

Fr. 

960 

» 

» 

1115 

» 

» 

830 

» 

» 

2700 

» 

» 

1700 

» 

» 

610 

» 

» 

600 

oro 

» 

690 

arg. 

» 

725 

» 

» 

530 

» 

» 

600 

» 

» 

655 

» 

» 

1900 

» 

» 

600 

» 

» 

1315 

» 

» 

560 

» 

» 

1000 

» 

» 

2655 

» 

» 

2900 

» 

» 

720 

» 

» 

720 

» 

» 

1505 

» 

» 

525 

oro 

» 

450 

» 

» 

600 

arg. 

» 

600 

oro 

» 

2500 

arg. 

» 

2000 

» 

» 

5900 

» 

» 

500 

» 

» 

1050 

» 

» 

880 

» 

» 

840 

» 

» 

1800 

> 

» 

500 

» 

» 

2060 

» 

» 

639 

» 

» 

550 

» 

» 

020 

» 

» 

600 

» 

» 

630 

» 

» 

1300 

NOTIZIE   VARIE 

491 

N 

1293  Creta  (Itanus) arg. 

Fr.  Ilio 

» 

1295      »           » 

. 

, 

» 

»      655 

» 

1313      »     (Lyttus)     . 

» 

»      805 

» 

1323      »      (Phaestus). 

. 

» 

y>      730 

» 

1330      »     (Polyrhenium)  . 

» 

»      960 

» 

1394  Naxos  Inedito    . 

» 

»    1510 

» 

1395      >           ^ 

» 

»      580 

» 

1397      »            »         .        . 

» 

»    1700 

» 

1403  Paros  .... 

» 

»,    1600 

» 

1405      »... 

» 

»      520 

» 

1411  Sìphnos  Inedito  . 

oro 

»     1200 

» 

1419  Tenos .... 

arg. 

»    1010 

» 

1516  Calchadon    . 

» 

»    1075 

Il  prodotto  totale  della 

ven 

dita 

fu  d 

i  franchi 

124.358. 

Il  proprietario  di  questa  Collezione  possedeva  inoltre 
una  importantissima  Serie  di  77ionete  bizantine.  Questa  Rac- 
colta doveva,  al  pari  dell'altra,  vendersi  all'asta  pubblica  e 
n'era  già  stato  compilato  il  Catalogo  ,  comprendente  682 
numeri,  e  redatto  unitamente  all'altro  delle  monete  greche 
dall'illustre  Froehner.  Quella  vendita  però  non  ebbe  luogo, 
essendo  stata  la  Collezione  acquistata  in  blocco  dal  Museo 
dell'  Eremitaggio  di  Pietroburgo  per  la  somma  di  70.000 
franchi. 


Finito  di  stampare  il  30  Settembre  1890. 


Lodovico  Felice  Cogluti,  Gerente  responsàbile. 


RIVISTA  ITALIANA  DI  NUMISMATICA 


1890. 


TAY.  V 


F.  GNECCHI.  —  Appunti  di  Numismatica  Romaaa.  -  N.  Xll. 

(Anno  HI  -  Fasc.  Ili) 


A.  CCKANBINI.  -  Medaglie  Italiane  del  1889. -IL 


/    A  ~„^      UT        C„„-        TfT 


1890. 


Tav.  X. 


ASiTn'bon.Ais. 


V.$teftQj« 


A.SAMBON.  _  Le  Monefe  del  Ducato  Napoletano, 


(Anno  III.    Fasc.III) 


1890. 


Tav.  XI. 


A.SAMBON,  ._  Le  Monete  del  Ducato  Napoletano. 


(AnnoÌII.    Fasc.III) 


FASCICOLO    IV. 


APPUNTI 


DI 


NUMISMATICA  ROMANA 


XIV. 


MEDAGLIONE? 
Osservazioni  a  proposito  di  un  Bronzo 

COLLE    effigie    DI    MaRc' AURELIO    E    LUCIO    VeRO 
appartenente  al  R.  Gabinetto  di  Brera. 

B^  —  IMP  M  ANTONINVS  ÀVG  COS  Ili  IMP  L  VERVS  AVG 
COS  MI. 

Busti  affrontali  di  Marc' Aurelio  e  Lucio  Vero  amhedue 
a  testa  nuda  e  col  paludamento.  Marc' Aurelio  è  fregiato 
dell* egida  da  cui  escono  due  serpenti.  Tra  i  due  busti 
al  basso  la  marca  del  Museo  estense* 


496  FRANCESCO    GNECCHI 


9I    —  VICT  GERM  falVesergoJ  IMP  VI  COS  III  fin  giroj. 
Vittoria  alata  che  guida  una  quadriga  lenta  a  sinistra, 
volgendosi  indietro.  Il  davanti  del  carro  termina   in 
una  testa  d'aquila. 

(Vedi  Tav.  XH). 
Il  tutto  è  racchiuso  in  un  cerchio   di  bronzo    concavo 
al  dritto,  convesso  al  rovescio  e  lavorato  esteriormente. 

Diam.  mm.    88  col    cerchio,  mm.  59    senza  cerchio.  — 
Peso  gr.  191,200. 

Questo  bellissimo  bronzo,  il  cui  dritto,  in  pro- 
porzione ridotta,  quale  si  vede  in  testa  a  queste 
osservazioni,  fu  adottato  come  ornamento  al  fron- 
tispizio della  nostra  Rivista  fino  dalla  sua  origine, 
e  le  cui  due  faccio  sono  riprodotte  al  vero  nell'an- 
nessa tavola  N.  XIT,  venne  finora  considerato  quale 
medaglione;  ma,  per  le  ragioni  che  andrò  esponendo, 
io  sono  venuto  nella  convinzione  che  non  si  tratti 
affatto  d'un  medaglione,  bensì  di  un  bronzo  desti- 
nato a  tu tt' altro  uso  e  che  del  medaglione  non  ha 
se  non  la  superficiale  apparenza.  Avvenne  di  esso 
come  di  molte  altre  cose,  cui  un  primo  falso  batte- 
simo conferisce  un  carattere,  che  viene  dai  seguenti 
accettato  senza  sufficiente  esame,  cosicché  la  fama 
usurpata  va  di  mano  in  mano  acquistando  consi- 
stenza, finché  poi  passa  nel  numero  dei  fatti  giudicati. 
E,  caso  tutt'  altro  che  strano,  anzi  comune,  questo 
supposto  medaglione  ebbe  l'onore  di  tante  illustra- 
zioni, citazioni  e  riproduzioni,  quante  probabilmente 
non  ebbe  mai  alcuno  dei  veri  ! 

Appartenente  già  al  famoso  medagliere  Estense, 
di  cui  porta  la  marca,  entrò  con  molti  altri  splen- 
didi pezzi  di  quel  medagliere  nel  Gabinetto  di  Brera. 
Quella  provenienza  e  quella  marca  attestano  un  primo 


APPUNTI    DI   NUMISMATICA    ROMANA  497 

battesimo  di  medaglione,  o  per  dire  più  precisamente, 
di  pezzo  numismatico.  Quale  vero  medaglione  lo 
giudicò  Bartolomeo  Borghesi,  che  pel  primo  lo  pub- 
blicò (1),  dandone  una  eccellente  incisione,  e  tale  è 
chiaro  che  venne  ritenuto  dai  diversi  direttori  del 
Gabinetto  Braidense  fino  al  compianto  Biondelli , 
il  quale  nei  suoi  «  Cenni  storici  snlVoìngine^  sviluppo 
u  e  sfato  attuale  del  R.  Gabinetto  Numismatico  di 
u  Milano  »  (2)  ne  orna  di  un  accuratissimo  disegno 
litografico  il  fascicolo ,  evidentemente  per  indicare 
uno  dei  pezzi  più  importanti,  anzi  il  più  impor- 
tante di  tutti.  E  difatti,  enumerando  i  diversi  titoli 
per  cui  va  celebre  il  detto  Gabinetto,  scrive:  «  Per 
u  una  collezione  di  alcune  centinaia  di  Medaglioni 
u  greci  e  romani,  alcuni  dei  quali  rarissimi  e  taluno 
«  anche  unico,  siccome  appare  da  quello  di  M.  Au- 
«  relio  e  L.  Vero,  che  abbiamo  apposto  in  fronte  a 
u  questi  rapidi  cenni.  ?? 

Omesso  da  Cohen  nella  sua  descrizione  delle 
monete  imperiali,  venne  poi  dallo  stesso  aggiunto 
nel  volume  di  supplemento  con  un  semplice  accenno 
alla  sconcordanza  delle  date  (^)  ;  e  nella  seconda  edi- 
zióne del  Cohen  è  inserito  fra  i  medaglioni  di  M.  Au- 
relio e  Lucio  Vero,  colla  ripetizione  della  medesima 
nota. 

Ciò  significa  dunque  che  il  pezzo  venne   finora 


(1)  Annali  delVInstituto  di  Corrispondenza  Archeologica.  Voi.  X.  Roma, 
1838.  Sopra  due  Medaglioni  rappresentanti  Marc' Aurelio  e  Lucio  Vero  dol- 
ri.  R.  Gabinetto  di  Milano  e  Settimio  Severo  della  Numoteca  Borghesi. 

(2)  Milano,  Tip.  Bornardoni  1872. 

(3)  «  Le  Médaillon  est  hyhride.  Les  dates  de  la  tète  et  du  revers  ne 
coincident  pas.  i>  Voi.  VII,  pag.  181. 


498  *  FRANCESCO   GNECCHI 


considerato  come  vero  medaglione  e  certo  io  mi 
trovo  alquanto  imbarazzato  e  quasi  a  disagio,  dovendo 
esporre  un'idea  contraria  non  solo  alla  mia  che  ho 
avuto  sino  a  poco  tempo  fa,  —  il  che  poco  importe- 
rebbe, —  ma  a  quella  di  tante  altre  autorità,  fra  cui 
metto  in  prima  linea  il  Borghesi,  al  quale  va  l' opi- 
nione invalsa  specialmente  attribuita,  egli  essendo 
stato  il  primo  che  ne  parlò  diffusamente  ed  ex  pro- 
fesso. Ma  potrebbe  darsi,  anzi  io  ritengo  positiva- 
mente, che,  se  Borghesi  avesse  trattato  oggi  l'argo- 
mento invece  che  mezzo  secolo  fa,  avrebbe  scritto 
ben  diversamente.  In  questo  mezzo  secolo  qualche 
cosa  ha  progredito  la  scienza,  e  molto  la  pratica 
materiale  delle  monete;  e,  appoggiandomi  a  questo 
fatto,  credo  poter  esprimere  la  mia  opinione ,  senza 
menomamente  mancare  di  rispetto  all'autorità  d'un 
tanto  Numismatico. 

«  Il  primo  dei  medaglioni  che  pubblichiamo  ?? 
dice  il  Borghesi  al  principio  della  sua  citata  disser- 
tazione u  inedito,  per  quanto  è  a  nostra  notizia,  forma 
«  uno  splendido  monumento  in  Milano  dell'I.  R.  Ga- 
u  binetto  numismatico  di  Brera.  Ma  quanto  è  insigne 
u  per  la  sua  conservazione,  per  la  sua  bontà  del  la- 
u  voro  e  per  lo  straordinario  suo  modulo,  altrettanto 
u  fastidio  egli  reca  ai  cronologi.  " 

E  quindi  entra  a  descrivere  e  illustrare  il  me- 
daglione, rilevandone  con  grandissima  erudizione 
storica  l'errore  di  data.  Mi  asterrò  dal  ripetere  qui 
tutte  le  sue  dotte  disquisizioni;  ma,  venendo  diret- 
tamente alle  conclusioni,  accennerò  come  dalle  date 
iscritte  risulti  che  il  diritto  non  può  essere  posteriore 
all'anno  919  di  Roma  (166  d.  C),  mentre  il  rovescio 
non  può  essere  anteriore  al  924   (171  d.  C.)  ;  emer- 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA  499 

gendo  così  una  differenza  di  almeno  cinque  anni  fra 
l'una  e  l'altra  data. 

Ora,  fermandoci  a  questo  primo  punto,  è  egli 
possibile  ammettere  un  così  grossolano  errore  in  un 
medaglione  di  tanta  importanza?  Gli  errori  di  data 
sono  assai  rari  in  quest'  epoca  ;  e  se  alcuno  se  ne 
trova  nelle  monete  di  bronzo,  e  anche  per  rarissima 
eccezione  in  quelle  d'argento  (a  meno  che  si  tratti  di 
falsificazioni)  ,  non  ricordo  d'  averne  mai  trovato  in 
quelle  d'oro;  il  che  dà  a  divedere  come  la  cura  che 
si  poneva  nella  coniazione  delle  monete  fosse  sempre 
maggiore,  a  grado  che  aumentava  la  loro  importanza. 
Ora  qual  pezzo  più  importante  di  un  medaglione  di 
così  straordinarie  dimensioni? 

L'  errore  accennato  poi  è  assai  più  grave  e  più 
complesso  di  quanto  può  parere  a  prima  vista,  e  da 
esso  nasce  un  altro  inconveniente  di  assai  difiìcile 
spiegazione.  Lascio  la  parola  a  Borghesi:  «  Se  questo 
«  nummo  fu  improntato  (come  riuscirebbe  chiaro 
«  dalla  data  del  rovescio)  due  anni  dopo  l'apoteosi 
«  di  Lucio  Vero,  come  sta  che  non  ce  n'offre  alcun 
«  indizio  ed  anzi  ce  lo  rappresenta  siccome  vivo 
«  tuttora?  Per  troncare  questo  nodo  gordiano  non 
u  vi  ha  che  una  via  e  lo  stesso  medaglione  ce  la 
u  addita.  Si  badi  che  il  COS  III  è  ripetuto  in  ambe- 
u  due  i  lati.  Ora  tali  inutili  ripetizioni  sono  affatto 
u  contrarie  alle  leggi  di  ogni  antico  monumento  di 
u  un'  età  non  decaduta,  e  segnatamente  a  quelli 
«  della  numismatica,  se  ciò  non  è  per  un  errore. 
u  Questo  solo  basterebbe  a  mostrarci  che  le  due 
u  faccie  della  presente  medaglia  non  furono  incise 
u  per  essere  congiunte  insieme.  " 

Il   Borghesi ,    dopo    d' avere    egli    pure   ricono- 


500  FRANCESCO    GNECCHI 


sciuto  che  gli  errori  di  data  a  quest'  epoca ,  se  si 
tolgono  le  monete  false,  sono  rarissimi  su  quelle  di 
bronzo ,  mentre  nessuno  se  ne  trova  sui  medaglioni, 
volendo  pur  dare  una  spiegazione  del  fatto,  aggiunge: 

«  È  più  supponibile  che  (il  medaglione)  fosse 
«  stato  diputato  a  qualche  donativo,  come  suol  farsi 
<c  delle  odierne  medaglie,  e  ch'essendone  stata  com- 
«  messa  alla  zecca  una  determinata  quantità  per  una 
«  data  occasione,  a  mezzo  dell'opera  si  spezzasse  il 
c(  conio  del  diritto,  onde  si  fosse  costretti  di  richia- 
«  mare  questo  più  antico  di  un  modulo  corrispon- 
cc  dente  per  essere  in  grado  di  somministrarne  l'in- 
«  tero  numero  per  la  giornata  richiesta  ». 

Sostituirebbe  così  l'ibridismo  all'  errore  mate- 
riale, ma  non  mi  pare  più  accettabile  l'una  cosa  che 
l'altra  ;  prima  di  tutto  perchè  l'importanza  del  mo- 
numento —  dato  e  non  concesso  che  veramente  si 
fosse  inteso  di  fare  un  medaglione  —  non  avrebbe 
comportata  tale  sostituzione  ;  poi  anche  perchè  la  so- 
stituzione non  sarebbe  stata  materialmente  possibile 
per  le  dimensioni  straordinarie  del  medaglione  af- 
fatto fuori  dell'  uso  nell'  epoca  in  cui  ci  troviamo. 
E  da  ciò  sono  condotto  a  discorrere  delle  ragioni 
tecniche  che   stanno  a    prova  della  mia    asserzione. 

Il  bronzo  misura ,  senza  il  contorno  ,  un  dia- 
metro di  Mill.  59,  superando  così  di  ben  5  millimetri 
la  dimensione  massima  dei  medaglioni  al  tempo  di 
Commodo  (^) ,  mentre  i    più    grandi    medaglioni    di 


(4)  I  due  medaglioni  più  grandi  conosciuti  sono  di  Commodo.  Uno , 
appartenente  al  Museo  Britannico,  è  da  Cohen  descritto  al  suo  N.  447,  o 
r  altro  appartiene  alla  mia  Collezione  e  fu  illustrato  nel  N.  Ili  di  questi 
appunti.  Vedi  Riv.  It.  di  Num.,  Anno  I,  fase.  III.  —  Il  primo  ha  un  dia- 
inetro  di  54  mill.,  il  secondo  di  53. 


APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA  501 

Marco  Aurelio  raggiungono  appena  il  diametro  di 
40  millimetri. 

La  dimensione  straordinaria  potrebbe  non  es- 
sere una  ragione  sufficiente  per  negare  la  possibi- 
lità del  medaglione,  quando  gli  altri  elementi,  ossia 
lo  spessore  e  il  peso  vi  concordassero  ;  ma  qui  è  spe- 
cialmente il  punto  debole. 

E  noto  come  nei  medaglioni  col  diametro 
cresca  proporzionalmente  lo  spessore  e  quindi  il 
peso ,  cosicché  questo  aumenta  in  ragione  com- 
posta del  diametro  e  dello  spessore;  ma  nel  caso 
nostro  lo  spessore  sta  in  ragione  inversa  del  dia- 
metro. Mentre  avrebbe  dovuto  misurare  da  5  a  6 
millimetri ,  se  ci  riferiamo  al  citato  medaglione 
di  Commodo,  di  diametro  quasi  eguale;  o  almeno  di 
4  o  5,  se  ci  riferiamo  anche  agli  altri  medaglioni 
di  M.  Aurelio  e  Lucio  Vero,  di  diametro  molto  mi- 
nore, non  ne  misura  in  realtà  che  due  appena,  spes- 
sore proprio  di  un  medio  bronzo.  E  a  tale  defi- 
cienza di  spessore  segue  come  naturale  conseguenza 
quella  del  peso,  il  quale  è  di  soli  gr.  190  compreso 
il  cerchio  fortissimo  ,  che  ,  a  quanto  si  può  giudi- 
care, dovrebbe  rappresentare  da  solo  almeno  i  due 
terzi  del  peso  totale.  I  medaglioni  di  M.  Aurelio  e 
di  Lucio  Vero  ,  del  diametro  fra  i  35  e  i  40  milli- 
metri ,  hanno  un  peso  che  oscilla  fra  i  45  e  i  50 
grammi;  il  mio  già  citato  gran  medaglione  di  Com- 
modo ne  pesa  135,  e  il  nuovo  Medaglione  cerchiato 
di  M.  Aurelio  che  descrissi  ultimamente  in  questa 
Rivista  (5),  avendo  soli  38  mill.  di  diam,  pesa  gr  175. 


(5)  Vedi  Appunti  di  Numismatica  Barnana,  N.  XI. 

64 


502  FRANCESCO   GNECCHI 


Questi  argomenti,  in  parte  scientifici  e  in  parte 
tecnici,  mi  pare  dovrebbero  bastare  a  togliere  il 
Bronzo  di  Brera  dal  numero  dei  medaglioni.  Ma  ve 
n'ha  un  altro  assai  grave  ed  è  Tarte,  che  non  cor- 
risponde certamente  all'  epoca  del  medaglione.  Il 
ritratto  di  M.  Aurelio  è  ben  lontano  dal  rendere 
esattamente  le  notissime  sue  fattezze  e  principal- 
mente quel  suo  naso  profilato,  sottile,  caratteristico. 
Al  rovescio  poi  i  cavalli  della  quadriga  mancano  di 
vita ,  le  teste  sono  mal  fatte  ,  le  gambe  sembrano 
enfiate,  e  le  zampe  sono  grossolane  e  pessimamente 
disegnate.  No,  non  è  questa  l'arte  romana  all'epoca 
di  M.  Aurelio!... 

Si  potrebbe  supporre  che  il  bronzo  fosse  stato 
in  epoca  posteriore  ritoccato  a  bulino  onde  aiutarne 
la  conservazione,  operazione  che  pur  troppo,  come 
abbiamo  avuto  occasione  di  osservare  altra  volta  (^), 
•venne  fatta  subire  a  molti  pezzi  antichi  ;  ma  il 
ritocco  non  potrebbe  giustificare  la  poco  felice 
distribuzione  delle  lettere  nelle  leggende,  tanto  del 
dritto  come  del  rovescio ,  non  ammissibile  in  un 
vero  medaglione.  Io  non  sarei  lontano  dal  ritenere 
che  tutto  il  bronzo  sia  stato  eseguito  a  bulino  e  non 
coniato. 

Finalmente  anche  la  forma  del  disco  convesso 
nel  dritto  e  concavo  al  rovescio  non  corrisponde  al 
tipo  del  medaglione  romano  ,  e  non  vi  corrisponde 
r  orlo  solo  esternamente  lavorato  ,  e  terminante  in 
forma  conica,  di  modo  che  la  parte  ornata  non  ap- 
pare che  di  sbieco  a  chi  osserva  il  rovescio,  mentre 


(6)  Vodì  Appunti  di  Numismatica  Romana,  N.  XII. 


APPUNTI   DI   NUMISMATICA   ROMANA  503 

è  affatto  invisibile  a  chi  guarda  il  dritto.  E  si  ag- 
giunga che  r  ornato  esterno  non  consiste  in  una 
semplice  scanalatura  fatta  al  torno,  come  sovente  — 
o  forse  sempre,  almeno  negli  esemplari  a  mia  cono- 
scenza —  si  trova  nei  medaglioni  cerchiati ,  ma 
è  affatto  insolita,  constando  di  un  ovolo,  che  ricorre 
tutto  all'ingiro. 

Mancano  dunque  al  nostro  bronzo  tutti  quei 
caratteri  tanto  intrinseci  quanto  estrinseci ,  ai  quali 
si  riconosce  senz'  altro  un  medaglione ,  e  conviene 
quindi  rassegnarsi  a  escluderlo  da  questa  categoria 
e  a  trovargli  un'  altra  denominazione  e  un  altro 
scopo,  fuori  della  numismatica. 

M'  era  passato  per  la  mente  che  potesse  esser 
stato  uno  di  quei  ritratti  imperiali  {imagines),  che 
ornavano  le  insegne  militari ,  come  li  vediamo  nei 
bassorilievi  antichi,  o  nelle  rappresentazioni  delle  mo- 
nete e  dei  medaglioni  stessi,  e  a  corroborare  tale  sup- 
posizione contribuivano  le  due  rotture  laterali,  che 
sembravano  segnare  il  posto  ove  erano  infìssi  gli 
appiccagnoli.  Ma,  oltre  che  in  questo  caso  le  dimen- 
sioni non  sarebbero  state  sufficienti,  poiché  quei  ri- 
tratti dovevano  esser  veduti  a  una  grande  distanza  W, 
e,  oltreché  la  sconcordanza  delle  date  e  il  ritratto 
di  L.  Vero  due  anni  dopo  la  sua  morte  rimarreb- 
bero ancora  inesplicabili,  v'ha  un'altra  ragione  ma- 
teriale che  esclude  tale  supposizione.  Il  dritto  e  il 
rovescio  sono  combinati  in  modo  che  l'uno  è  preci- 
samente in  posizione  opposta  all'altro  ;  quando  cioè 
il  pezzo  è  nella    sua    giusta  posizione  verticale    pel 


(7)  Difatti  V imago  scoperta  a  Niederbieber  misura  circa  19  centimetri 
di  diametro,  e  per  di  più  è  lavorata  a  sbalzo. 


604  ^  PRANCBSCO    GNECCHI 


dritto ,  il  rovescio  rimane  capovolto ,  e  viceversa. 
Se  avesse  dovuto  servire  allo  scopo  accennato,  tanto 
il  dritto  quanto  il  rovescio  sarebbero  stati  fatti  su  di 
un  medesimo  verso,  in  modo  da  potersi  vedere  con- 
temporaneamente ciascuno  nella  sua  giusta  posizione. 

Eliminata  anche  questa  supposizione,  che,  anche 
ammessa,  escluderebbe  tuttavia  il  pezzo  dal  dominio 
della  Numismatica,  a  me  non  si  presenta  altra  possibile 
destinazione  del  bronzo  che  quella  di  parte  centrale  o 
fondo  di  un  vaso  o  di  una  patera.  La  destinazione  è  più 
umile,  ma  a  questa  mi  pare  che  tutto  si  accordi  mira- 
bilmente. La  faccia  convessa  che  porta  le  due  teste 
avrebbe  formato  il  fondo  interno  della  patera  o  del 
vaso,  mentre  il  rovescio  sarebbe  rimasto  al  disotto,  leg- 
germente concavo  e  difeso  dall'orlo  assai  sporgente. 
L'ornato  dell'  orlo  sarebbe  stato  esterno  e  avrebbe 
formato  la  parte  più  bassa  della  patera ,  mentre  al 
disopra  e  precisamente  nell'  incavo  che  gira  nella 
parte  superiore  dell'orlo  (dal  lato  del  dritto)  vi  sa- 
rebbe stata  saldata  la  parete  circolare  destinata  a 
formare  la  vera  patera,  ed  alle  due  rotture  del 
cerchio  sarebbero  state  infisse  le  due  anse,  le  quali 
probabilmente  avranno  avuto  il  loro  secondo  punto 
di  appoggio  all'orlo  superiore. 

Con  questa  destinazione  del  bronzo  tutto  va 
perfettamente  a  posto  come  lavoro  materiale  e  tec- 
nico, e  diventano  spiegabilissimi  tutti  i  problemi  inso- 
lubili quando  si  voglia  mantenerlo  fra  i  medaglioni. 
La  dimensione  non  obbligata  da  alcuna  legge  ,  ne 
da  alcuna  consuetudine  ,  era  in  piena  libertà  del- 
l'artista, lo  spessore  è  più  che  sufficiente  allo  scopo, 
e  la  sconcordanza  delle  date  diventa  affatto  insi- 
gnificante e  trascurabile,  quando  si  pensi    che   Far- 


APPUNTI    DI   NUMISMATICA   ROMANA 


505 


tista,  volendo  rappresentare  i  due  imperatori,  li  copiò 
evidentemente  da  un  medaglione  ,  su  cui  trovò  riu- 
nite le  due  teste.  Per  ornare  poi  anche  il  disotto 
della  patera  vi  copiò  il  rovescio  d'un  medaglione  di 
M.  Aurelio  e  vi  copiò  pure  le  leggende  quali  sta- 
vano sui  due  medaglioni ,  sènza  punto  preoccuparsi 
se  concordavano  o  meno.  Le  due  impronte  che  qui 
si  offrono  (i  cui  originali  stanno  in  un  medagliere 
altrettanto  insigne  quanto  finora  sconosciuto....  ma 
che  ho  qualche  speranza  di  far  conoscere  un  giorno) 


rappresentano  il  diritto  di  un  medaglione  d'Aurelio 
e  Vero  (Coh.  N.  1)  e  il  rovescio  d'uno  di  M.  Aurelio 
(Coh.  N.  392).  Chi  non  vi  riconosce  a  prima  vista  i 
modelli  che  servirono  all'autore  del  bronzo  incrimi- 
nato ?  Nel  dritto  il  nostro  autore  s' è  preso  qualche 
piccolo  arbitrio,  aggiungendo  una  l  avanti  a  vervs 
o  ornando  i  busti  col  paludamento  —  a  meno  che 
possedesse  una  variante  di  questo  medaglione  a  noi 
sconosciuta,  il  che  è  possibilissimo.  —  Ma  nel  ro- 
vescio, riproduce  tutto  —  arte  a  parte  —  colla  più 
scrupolosa  fedeltà  ,  e  la  forma  del  carro  terminato 
da  una  testa  d'aquila,  e  la  Vittoria  che  si  volge  al- 
rindietro,  e  la  posa  dei  cavalli  e  le  loro  movenze,  e 


506  F.    GNECCHI    -   APPUNTI    DI    NUMISMATICA   ROMANA 

perfino  quella  bizzarria  che  ebbe  l'artista  originario 
di  rappresentare  tre  dei  cavalli  in  movimento,  e  uno, 
l'ultimo,  in  riposo  !  Si  noti  che  tale  strana  bizzarria 
è  ripetuta  anche  nell'altra  variante  dello  stesso  me- 
daglione di  Marc'  Aurelio  colla  Vittoria    Germanica 
(Goh.  N.  393),  di  cui  esiste  pure  un  esemplare,  nella 
splendida  serie  dei  medaglioni  romani  appartenente 
all'insigne  medagliere,  cui  si  fece  allusione  più  sopra. 
A  chi  non  trovasse  accettabile  la  supposta  de- 
stinazione originaria  del  bronzo  come  centro  di  vaso 
o  patera,  ne  accennerò  anche  un'altra,  che  mi  viene 
suggerita    dal  Ch.°  Prof.  Milani,   la  quale    ha  anche 
r  appoggio    di    esempì   simiU,    ed   è  quella    di    em- 
blema o  centro    di    un    clipeo   votivo    od  onorario. 
Il    clipeo    d' argento    di    Artaburio    nel    Museo    di 
Firenze    può    fornire    un    esempio ,  come    pure    ne 
possono  fornire  i  clipei  a  ritratto  (imagines  clipeatae) 
nei  sarcofagi  romani  tanto  comuni  appunto  nei  se- 
coli II  e  III  dell'  era  volgare ,  riprodotti  poi   anche 
dai  nostri  artefici  del  secolo  XVI,  esempio  il  Cellini. 
Ma ,  qualunque  sia    stata    l' originaria    destina- 
zione che  abbia  avuto  il  bronzo  discusso,  quello  che 
mi  par  fuori  di  contestazione  è  che  esso  debba  esser 
tolto  definitivamente  alla    Numismatica    per    essere 
consegnato    all'  Archeologia  ;  il   che  certamente  ,  se 
ne  cambia  la  natura,  non  ne  scema  il  pregio. 

Francesco  Gnecchi. 


ENRICO  DANDOLO  E  LE  SUE  MONETE  ^'^ 

(1192-1205). 


Quando  Enrico  Dandolo  fu  assunto  al  principato, 
Venezia  era  prospera  e  rigogliosa,  le  sue  flotte  var- 
cavano i  mari,  la  sua  alleanza  era  cercata  dai  maggiori 
potentati  d'Europa.  La  modesta  città  sorta  dalle 
lagune  aveva  fatto  rapidi  progressi  nel  secolo  fra 
Pietro  Orseolo  ed  Enrico  Dandolo.  Quest'ultimo  doge, 
ottuagenario  e  quasi  cieco,  conquistò  Trieste,  Zara  e 
finalmente  portò  l'ultimo  colpo  all'impero  d'Oriente, 
entrando  assieme  ai  crociati  nella  superba  Bisanzio, 
altre  volte  padrona  del  mondo.  Baldovino  di  Fiandra 
ebbe  la  corona  imperiale,  ma  nella  divisione  delle 
spoglie  Venezia  ebbe  la  parte  migliore  e  conservò 
il  predominio  commerciale  su  tutto  l'Oriente,  che  fu 
la  sorgente  della  prosperità  e  della  grandezza  della 
Repubblica. 

In  quest'epoca  remota,  in  cui  l'Europa  usciva 
appena  dalla  barbarie,  Venezia  primeggiava  per  la 
sua  civiltà:  non  è  quindi  a  sorprendersi  che  nella  sua 
zecca  si  iniziasse  una  delle  più  importanti  riforme  mo- 
netarie del  secolo,  qual'è  la  istituzione  del  grosso.  Sino 
allora  non  esistevano  in  circolazione  se  non  i  denari, 


(1)  Questo  articolo  è  una  primizia  dell'importante  opera  sulle  Monete 
di  Venezia,  intorno  alla  quale  T  egregio  Conte  Nicolò  Papadopoli  sta  lavo- 
rando da  qualche  anno  e  che  ci  auguriamo  veda  presto  la  luco.  (N.  d.  D.) 


508  NICOLÒ    PAPADOPOLI 


assai  deteriorati  dall' originario  valore,  differenti  di 
peso  e  di  bontà,  incomodi  a  maneggiarsi  ;  la  varietà  e 
l'incertezza  del  valore,  aggravate  da  molte  falsifica- 
zioni, recavano  non  poco  danno  al  commercio,  per  cui 
la  istituzione  di  una  moneta  più  pesante,  di  ottimo 
argento,  dove  la  zecca  si  mantenne  fedele  al  peso  ed 
al  titolo  stabilito,  fu  un  vero  progresso,  nel  quale  Ve- 
nezia ebbe  il  vanto  di  precedere  gli  altri  stati.  Tale 
progresso  fu  accolto  con  immenso  favore  in  Italia  ed 
in  Oriente,  ed  il  grosso  ebbe  dovunque  una  grandissima 
diffusione:  lo  provano  le  molteplici  imitazioni  dell'idea 
ed  anche  del  tipo,  lo  provano  le  memorie  che  il  grosso 
ha  lasciato  e  che  durano  ancora  dopo  tanti  secoli, 
cosicché  in  Oriente  si  sente  parlare  di  grossi  ed  a 
Venezia  il  popolo  continua  a  valersi  del  nome  di  questa 
moneta  in  molte  contrattazioni. 

Non  sono  concordi  gli  antichi  cronisti  sull'epoca 
della  prima  coniazione  del  grosso,  Andrea  Dandolo 
la  fi^sa  all'anno  1194  colle  parole:  Subsequenter  Duco 
argenteam  monetam  volgariter  dictara  grossi  veneziani 
vel  Matapani  cum  imagine  Jesu  Christi  in  Throno  ab  uno 
latere,  et  ab  alio  cum  figura  Sancii  Marci,  et  Ducis, 
valoris  viginti  sex  parvulorum  fieri  decrevit  (2),  Marin 
Sanudo  antecipa  l'epoca  della  fabbricazione  al  1192  (3); 
invece  Martino  da  Canale,  cronista  quasi  contempo- 
raneo, asserisce  che  questa  moneta  fu  coniata  dai 
Veneziani  solo  nell'anno  1202,  quando  si  prepara- 
vano all'impresa  della   conquista   di   Costantinopoli, 


(2)  Andrea  Danduli   Chronicon ,  in  Muratori,  Rerum  Ital.  Script, 
Tomo  Xir,  pag.  316. 

(3)  Sanuto,  Vitae  Ducum  Venetorum  in  Muratori,  Ber.  JtaL  Script 
Tomo  XXII,  pag.  527, 


ENRICO    DANDOLO    E   LE   SUE   MONETE  509 

colle  parole:  «  Messire  Henric  Dandle,  li  noble  Dus 
u  de  Venise,  mande  venir  li  charpentiers,  et  fist  er- 
te raument  apariller  et  faire  chalandres  et  nes  et 
u  galies  a  piante;  et  fist  erraument  faire  mehailles 
u  d'argent  por  doner  as  maistres  la  sodee  (soldo  , 
«  salario)  et  ce  que  il  deservoient  :  que  les  petites 
«  que  il  avoient^  (intendi  i  denari  o  piccoli)  ne  lor 
u  venoient  enei  a  eise.  Et  don  tens  de  Monseignor 
u  Henric  Dandle  en  sa,  fu  comencie  en  Venise  a 
«  faire  les  nobles  mehailles  d'argent  que  l'en  apele 
u  ducat,  qui  cort  parmi  le  monde  por  sa  bonte  W.  5? 
Senza  discutere  quale  di  queste  date  sia  vera- 
mente la  giusta,  la  concordia  di  questi  autorevolissimi 
cronisti  basta  a  provare  che  a  Venezia,  prima  della 
partenza  dei  crociati,  e  non  a  Costantinopoli,  o  durante 
il  viaggio,  come  taluno  sospettò,  fu  cominciata  la  co- 
niazione del  grosso.  Anche  il  tipo  e  l'aspetto  della  mo- 
neta, attentamente  esaminati,  confermano  quest'opi- 
nione. Ogni  moneta,  per  quanto  nuova,  ha  pure  alcuni 
legami  intimi  ed  apparenti  con  quelle  coniate  nelle 
epoche  precedenti,  per  cui,  non  riuscendo  a  scoprirli 
subito  nella  stessa  zecca,  è  necessario  indagare  nei 
paesi  vicini  od  in  quelli  avvicinati  da  rapporti  commer- 
ciali. Ora  il  grosso  non  ha  alcuna  affinità  colle  monete 
d'occidente  né  per  il  peso  né  per  l'aspetto,  e  conviene 
cercare  i  suoi  legami  in  quell'Oriento,  con  cui  Venezia 
aveva  florido  commercio;  infatti  colà  esistevano  mo- 
nete d'argento  di  maggior  peso  che  in  occidente,  colà 
si  conservavano  le  tradizioni  dell'arte  e  della  civiltà  an- 
tica. Studiando  i  pezzi  che  hanno  qualche  affinità  col 


(4)  Archivio  storico  italiano.  Voi.  Vili,  pag.  320. 

65 


510  ISKOLÒ    i^APADoPOLl 


grosso,  si  riconosce  facilmente  ch*esso  ha  per  base  e  per 
prototipo  l'arte  greca,  ma  passata  per  il  sentimento  e 
per  la  mano  degli  antichi  veneziani.  Sul  rovescio  ve- 
diamo disegnato  il  Redentore  seduto  sopra  un  trono, 
che  tiene  il  libro  appoggiato  sul  ginocchio  e  la  destra 
alzata  in  atto  di  benedire.  Questa  sacra  immagine 
si  vede  in  tutte  le  antiche  chiese  di  origine  greca  e  si 
trova  nel  soldo  d' oro  bizantino  dei  secoli  X,  XI  e  XII, 
da  cui  fu  copiata  con  fedeltà  religiosa.  Sul  diritto  della 
moneta  sono  disegnati  due  personaggi,  che  tengono 
insieme  una  lunga  asta,  la  quale  divide  in  due  parti 
eguali  il  disco  della  moneta.  Anche  da  questo  lato  il 
grosso  ricorda  i  nummi  bizantini  di  quei  tempi,  dove 
talora  sono  disegnati  due  o  tre  principi  della  casa  im- 
periale, il  Redentore  o  la  Vergine  pongono  sul  capo 
la  corona  al  sovrano,  ovvero  l'Arcangelo  Michele  con- 
segna il  labaro  all'imperatore,  od  altri  analoghi  pensieri 
allegorici  e  religiosi.  Questo  concetto  non  è  però  copiato 
direttamente  ed  in  modo  servile  dalle  monete  bizan- 
tine, ma  adottato  con  qualche  modificazione  e  diven- 
tato veneziano  per  l'uso  fattone  durante  un  lungo  corso 
d'  anni.  San  Marco  che  rappresenta  e,  per  così  dire, 
personifica  l'idea  del  Comune  indipendente  di  Venezia, 
consegna  al  capo  dello  stato  lo  stendardo,  sul  quale  è 
disegnata  la  Croce,  ricordo  del  tempo  in  cui  tutti  si 
decoravano  di  questo  simbolo  sacro  ;  entrambi  sono 
vestiti  di  lunghi  paludamenti  di  foggia  orientale  con 
pietre  preziose  ;  la  testa  però  non  è  coperta  dalle  bende 
e  dai  diademi  gemmati  dei  sovrani  orientali,  bensì  i 
capelli  lunghi  sono  la  sola  decorazione  del  capo  e  ri- 
cordano gli  usi  franchi  e  longobardi,  presso  i  quali 
questo  distintivo  era  quello  dei  principi  e  dei  grandi 
personaggi.  Questa  composizione  caratteristica,  che  fu 


ENRICO    bANDOLO    E    LE    SUE   MONETE 


511 


conservata  con  lievi  modificazioni  di  forma  nella  mo- 
neta veneziana  di  tutti  i  tempi,  è  tolta  di  pianta  dalle 
bolle  di  piombo,  che  i  Dogi  usavano  attaccare  ai  di- 
plomi per  antichissima  consuetudine.  Basta  vedere  le 
poche  bolle  che  esistono,  anteriori  all'istituzione  del 
grosso,  e  cioè  quelle  di  Pietro  Polani,  di  Sebastiano 
Ziani,  di  Orio  Malipiero  e  quella  dello  stesso  Enrico 
Dandolo,  per  riconoscere  che  l'intagliatore  dei  coni 
copiò  le  due  figure  rappresentate  sul  sigillo  facendovi 
un  leggero  cambiamento,  che  è  la  soppressione  della 
sedia  o  cattedra  del  Santo,  raffigurandolo  in  piedi  an- 
ziché seduto.  Non  è  un  fatto  nuovo  ne  isolato  nella 
storia  numismatica  del  medio  evo,  che  le  monete  trag- 
gano il  concetto  ed  il  disegno  dai  sigilli,  e  lo  dimostra 
il  dotto  signor  C.  Piot  in  una  notevole  monografia  in- 
titolata: u  Etudes  sur  les  Types  "  pubblicata  nella 
Revue  de  la  Numismatique  Belge  -  1848,  con  esempì 
tolti  dalle  monete  della  Francia  e  dei  Paesi  Bassi,  a 
cui  se  ne  potrebbero  aggiungere  altri  degli  altri  paesi. 
Per  rimuovere  ogni  dubbio,  riprodurrò  qui  il  disegno 
della  bolla  di  Orio  Malipiero,  che  ho  la  fortuna  di  pos- 
sedere nella  mia  raccolta,  persuaso  che  esso  servirà 
meglio  delle  parole  a  dimostrare  la  giustezza  del  mio 
assunto. 


512  NICOLÒ   PAPADOPOLI 


È  degno  di  essere  notato  il  modo  insolito  con 
cui  sono  disposte  le  iscrizioni  su  questo  sigillo.  Presso 
al  Santo  ed  al  Doge  sta  scritto  il  nome  e  la  qua- 
lifica di  ognuno  dei  due  personaggi,  ma  parte  del- 
l'iscrizione è  posta  a  destra,  parte  a  sinistra  della 
stessa  figura,  ciocché  lascia  supporre  che  in  tempi 
più  antichi  essa  dovesse  correre  tu tt' attorno  la  testa 
come  si  vede  in  alcune  immagini  di  santi  bizantini. 
Nel  grosso  e  nei  sigilli  posteriori  fu  ancora  modi- 
ficata la  forma  delle  iscrizioni,  ma  lungo  l'asta  dello 
stendardo  restarono  le  tre  lettere  d  v  x,  V  una  sotto 
l'altra,  in  una  posizione  che  non  ha  altri  esempì 
e  tale  che  non  si  saprebbe  indovinarne  l'origine, 
se  non  si  conoscessero  questa  ed  altre  bolle,  che  mo- 
strano la  genesi  e  le  successive  modificazioni  di  tale 
scritta. 

Come  abbiamo  visto  la  nuova  moneta  istituita 
da  Enrico  Dandolo  ebbe  i  nomi  di  Bucato  e  di  Ma- 
tapan,  ma  il  suo  nome  proprio  usato  in  tutti  i  tempi 
ed  in  tutti  i  luoghi,  e  che  riscontrasi  Gsclusivamente 
nei  documenti ,  fu  quello  di  Grosso  :  onde  mi  par 
bene  conservarlo  a  preferenza  di  tutti  gli  altri , 
avendo  esso  attraversato  ,  senza  alterazioni ,  tanti 
secoli  nella  bocca  del  nostro  popolo. 

Il  valore  originario  del  grosso  fu  di  ventisei 
piccoli  o  denari,  come  affermano  i  cronisti  Andrea 
Dandolo  e  Marin  Sanudo  e  come  ci  vien  confermato 
dall'esame  del  peso  e  dell'intrinseco  della  moneta. 
Possiamo  esattamente  rilevare  il  peso  del  grosso  da 
un  documento  autentico  ed  ufficiale,  quale  è  il  Ca- 
pitolare  dei  Massari  alla  Moneta,  compilato  nel  1278, 
dove  sono  raccolte  le  deliberazioni  dei  Magistrati  che 
si  riferiscono  alla  zecca.  Alla  fine  del  primo  capitolo 


ENRICO    DANDOLO    E    LE    SUE   MONETE  513 

troviamo  indicato  il  numero  dei  pezzi,  che  si  dove- 
vano tagliare  da  ogni  marco  d'argento,  colle  seguenti 
parole  :  «  iiem  faciam  fieri  istam  monetam  taliter  quod 
((  erit  a  soldis  novem  et  uno  denario  et  tercia^  usqtie 
(c  ad  medium  denarium  prò  marcha  y  e  cioè  se  ne 
devono  trarre  soldi  (di  grossi)  nove  e  denari  1  e  Va 
sino  a  denari  1  e  V2,  ossia  denari  (grossi)  109  Vs  fino 
a  109-|-,  il  che  dà  per  ogni  grosso  un  peso,  che  oscilla 
fra  g.  V.  42;^  e  42  j^  e  può  ridursi  alla  media  di 
g.  V.  42  75-,  peso  assai  vicino  a  quello  rilevato  da 
Lambros  (^)  dall'  autorevole  volume  del  Pegolotti  : 
La  pratica  della  mercatura. 

Lo  stesso  prezioso  documento  ci  dà  anche  il 
fino  del  grosso  e  dell'argento  veneziano  colle  se- 
guenti parole  del  Capitolo  73:  u  Preferea  teneor  et 
u  deheo  h'gare  et  hxillare  vel  facere  hullare  totum  ar- 
u  gentum  quod  mihi  per  mercatores  presentabitur  ad 
u  ligam  de  sterlino,  etc.  "  Da  ciò  rileviamo  che  la 
lega  del  grosso  era  quella  dello  sterlino,  la  migliore 
del  medio  evo  istituita  dai  mercanti  tedeschi  del- 
l'Hansa.  Pegolotti  nel  Capitolo  LXXIII  (6),  intito- 
lato a  che  leghe  di  monete  assegna  ai  viniziani  grossi 
oncie  11  denari  14,  titolo  che  colla  formula  usata 
nella  zecca  di  Venezia,  si  diceva  a  peggio  40,  ciocche 
vuol  dire  che  dei  1152  carati  componenti  una  marca 
40  soli  erano  rame  o  lega,  il  resto  argento  fino.  A 
sistema  decimale  questo  titolo  corrisponde   a   0,965 


(5)  Lambros,  Le  Monete  inedite  dei  Gran  Maestri  deirOrdine  di  San 
Giovanni  di  Gerusalemme  in  Rodi.  Traduzione  dal  greco  di  C.  Kunz.  — 
Venezia,  1865,  pag.  20. 

(6)  Pegolotti  ,  La  Pratica  della  Mercatura,  Lisbona  e  Lucca  1766 , 
pagina  292. 


514  ■*  NICOLÒ   PAPADOPOLI 


e  quindi,  sulla  media  di  g.  v.  42-^,  il  fino  del  grosso 
rimane  g.  v.  40-;^  di  buon  argento,  che,  diviso  per 
26,  dà  per  ogni  denaro  o  piccolo  un  peso  d'argento 
puro  di  g.  V.  1^ ,  che  è  approssimativamente  la 
quantità  di  metallo  che  si  è  ritrovata  nelle  analisi 
da  me  istituite  su  tali  monetine. 

Altra  moneta  coniata  per  la  prima  volta  da 
Enrico  Dandolo  è  il  Quartarolo  o  quarto  di  denaro, 
pezzo  di  rame  con  poco  argento  creato  per  servire 
alle  minute  contrattazioni.  Cosi  ne  parla  Andrea 
Dandolo  nella  sua  cronaca  dell'anno  1264(7),  nar- 
rando la  prima  costruzione  del  ponte  di  Rialto  in 
legno  :  a  Civitas  quoque  Eivoaltina,  quae  mediatione 
«  Canalis  tractenus  divisa  fuerat,  nunc  ex  lignei  Pontis 
u  constructione  unita  est,  et  appellatus  est  Pons  ille 
u  de  moneta^  quia  priusquam  factus  esset,  transeuntes 
a  monetam  unam  vocatam  quartarolum  valoris  quartae 
u  Partis  imius  Denari  Veneti^  nautis  exsolvebant.   ?? 

Carli  (S),  che  riporta  questo  passo,  incorse,  tradu- 
cendolo, in  una  di  quelle  sviste  non  impossibili  anche 
ad  un  uomo  dotto,  e,  prendendo  il  denaro  per  soldo, 
diede  al  quartarolo  il  valore  di  un  quarto  di  soldo. 
Meno  scusabile  è  invece  che  tutti  gli  altri ,  i  quali 
trattarono  ,  dopo  di  lui,  del  quartarolo  ,  copiassero 
religiosamente  l' errore  senza  accorgersi  mai  di  una 
differenza  tanto  rilevante ,  che  dà  al  quartarolo  un 
valore  di  tre  piccoli ,  cioè  dodici  volte  maggiore 
del  reale. 


(7)  Andrea  Danduli   Chronicon  in   Muratori  ,  Rerum  Ital.    Script, 
Tomo  Xir,  pag.  372. 

(8)  Cari.!  Rubbi  G.  E. ,  Delle  monete  e  delV  istituzione  delle   zecche 
d^ Italia,  Aja  (Mantova),  1754,  Voi.  I,  pag.  401. 


ENRICO    DANDOLO    E   LE    SUE   MONETE  515 


MONETE   DI   ENRICO    DANDOLO. 


1.  Grosso  (^26  denari  o  piccoli). 

Argento  —  titolo  -^  (peggio  40). 
Peso  —  grani  veneti  42-Jj-  (grammi  2,18). 

^  —  S.  Marco  a  destra  ritto  in  piedi,  cinto  il  capo  di 
aureola,  col  libro  dei  Vangeli  nella  mano  sinistra, 
consegna  colla  destra  al  Doge  un  vessillo  con  asta 
lunghissima,  che  divide  la  moneta  in  due  parti  pres- 
soché uguali.  A  sinistra  il  Doge,  vestito  di  ricco  manto 
ornato  di  gemme,  tiene  colla  sinistra  un  volume,  o 
rotolo,  che  rappresenta  la  promissione  ducale,  e  colla 
destra  regge  il  vessillo,  la  cui  banderuola  colla  croce 
è  volta  a  sinistra.  Entrambe  le  figure  sono  di  faccia, 
le  teste  colla  barba  sono  scoperte;  quella  del  Doge 
ha  i  capelli  lunghi  che  si  arricciano  al  basso  ;  a  si- 
nistra Hh  •  H  •  DANDOL',  lungo  l'asta  sotto  Forifiamma 
DVX  in  senso  verticale  colle  lettere  sottoposte  l'una 
all'altra;  a  destra  S  •  M  .  V6N6TI. 

5/  —  Gesù  Cristo  seduto  in  trono  col  libro  appoggiato 
sul  ginocchio  sinistro.  Il  Redentore  ha  il  capo  av- 
volto da  largo  nimbo  colla  croce,  a  destra  e  a  si- 
nistra della  testa  IC    XC* 

Opere  che  trattano  del  grosso  di  Enrico  Dandolo: 

Muratori  L.  A.  —  Be  moneta  sive  iure  cudendi  nummos. 
Antiquitates  italiese  medii  sevi.  Mediolani,  1739  Tomo  II,  ed  Arge- 
LATI  E.  —  Be  Monetis  Italica,  1750.  Tomo  I,  tav.  XXXYII  n.  2 
(la  leggenda  è  invertita). 


516  NICOLÒ    PAPADOPOLI 


Schiavini  F.  —  Ohservationes  in  venetos  nummos,  etc,  in  Ar- 
GELATi,  Voi.  I,  pag.  272. 

Zanetti  Girolamo.  —  De  nummis  regum  lìasciee  ad  venetos  tipos 
percussis.  Yenetiis,  1750,  ed  Argelati,  Tomo  ITI,  App.  pag.  22  n.  1. 

Carli  Rubbi  G.  R.  —  Delle  Monete  e  delV  istituzione  delle 
Zecche  d"^  Italia.  A  TAja  (Mantova),  1754.  Volume  I,  p.  406-407, 
tav.  VI,  n.  5. 

Bellini  Vincenzo.  —  DelVantica  lira  ferrarese^  ecc.  ecc.  Fer- 
rara, 1754,  pag.  5. 

Delle  monete  di  Ferrara,  Ferrara,  1761,  pag.  43. 

Gradenigo  Gian  Agostino.  —  Indice  delle  monete  d^  Italia 
raccolte,  ecc.  ;  Zanetti  Guid'Antonio.  —  Nuova  raccolta  delle  mo- 
nete e  zecche  d'Italia.  Bologna,  1779,  Voi.  II,  n.  XIV,  p.  167-168. 

Tentori  C.  —  Saggio  sulla  storia  civile ,  politica ,  ecclesia- 
stica, ecc.  Venezia,  1784,  Voi.  II,  pag.  45. 

Galliccioli  Giambattista.  — -  Delle  memorie  Venete  antiche 
profane  ed  ecclesiastiche.  Venezia  1795,  volume  II,  p.  33  e  seguenti. 

Delle  monete  de''  Veneziani  dal  principio  al  fine  della  loro  repub- 
blica. Venezia,  1818,  p.  8. 

Pfister  J.  G.  —  The  coins  of  Venice,  in  J.  Y.  Akerman,  The  nu- 
mismatic  Journal,  Voi.  II,  1837-38.  Pag.  210-211,  tav.  a  pag.  201. 

Di  S.  Quintino  Giulio.  ~  Osservazioni  critiche  intorno  al- 
Vorigine  ed  antichità  della  moneta  veneziana.  Torino,  1847,  p.  3-33-55. 
Tav.  II  n.  11. 

ZoN  A.  —  Cenni  istorici  intorno  alla  moneta  veneziana.  Ve- 
nezia, 1847  (Venezia  e  le  sue  lagune)  p.  22-23,  tav.  I,  n.  8. 

ScHWEiTZER  F.  —  Serie  delle  monete  e  medaglie  d'Aquileja  e 
di  Venezia.  Trieste,  1848-52,  tav.  a  pag.  74,  n.  1. 

Roman  IN  S.  —  Storia  documentata  di  Venezia.  Venezia,  1853-61. 
Voi.  II,  p.  320. 

Numismatica  Veneta  o  serie  di  monete  e  medaglie  dei  Dogi  di 
Venezia.  Grimaldo,  1854-56. 

Biografia  dei  Dogi  di  Venezia,  corredata  dei  120  ritratti  e  delle 
monete  e  medaglie  coniate,  ecc.  Venezia  1855-57  ;  è  la  stessa  opera 
dalla  precedente  con  cambiamento  del  frontispizio,  p.  41,  Doge  XXXX. 

Padovan  E  Cecchetti.  —  Sommario  della  Nummografia  Ve- 
neziana. Venezia,  1866  p.  10. 

Wachter  C.  —  Versuch  einer  systematischen  Beschreihung  dir 
venezianer  Miinze  nach  ihren  Typen.  —  Numismatische  Zeitschrift. 
Voi.  Ili,  1871,  pag.  228  e  577. 

Padovan  V.  —  Le  monete  dei  Veneziani.  Venezia,  1881,  p.  9. 


ENRICO    DANDOLO    E    LE    SUE    MONETE  517 


2.  Denaro  o  piccolo» 

Argento  titolo  ^  circa  (9). 
peso  —  gr:  ven:  7  (grammi  0,36). 
scodellato. 
^  —  Croce  patente  in  un  cerchio. 

+  ENRIC'.  DVX 
9<  —  Croce  patente  in  un  cerchio. 
+  <o   MARCVco 

3.  Varietà  nel  ^  —  ^  ENRIC  •  DVX 


4.  Varietà  nel  ^^  —  *  hNRIC  DVX 

Disegnato,  o  descritto  da: 

Zanetti  Girolamo.  —  DelVorigine  e  della  antichità  della  mo- 
neta Viniziana^  Ragionamento.  Venezia,  1750,  p.  47,  d.  6  della  ta- 
vola, ed  in  Argelati,  voi.  ITI,  App.,  p.  14,  n.  6. 

Gradenigo  G.  a.  —  In  Zanetti  G.  A. ,  Op.  cit.,  Voi.  II,  pa- 
gina 167.  n.  XIII. 

Appel  J.  —  Repertorium  zur  MìXnzkunde  des  Mittelalters  und 
der  neuer  Zeit.  Wien  und  Pest,  1820-29.  Voi.  Ili,  n.  3907. 

ZoN  A.  —  Opera  citata,  pag.  17. 

ScHWEiTZER.  —  Opera  citata,  tav.  a  pag.  74,  n.  2,  3  e  4. 

Numismatica  Veneta  )  ^  ...  i■^    t\        ttwtt 

Biografia  dei  Dogi    \  ^^''^  ''^^'  P'^S'  "■  °»S«  ^^^- 

Padovan  E  Cecchetti.  —  Opera  citata,  pag.  10. 

Wachter  C.  —  Opera  citata,  pag.  228. 

Padovan  V.  —  Opera  citata,  pag.  9. 


(9)  L'esame  chimico  fatto  airUfficio  del  Saggio  di  Venezia,  14^4  1883, 


dà  il  fino  di  ,^. 


66 


518 


NICOLÒ     PAPADOPOLI 


5.  Mezzo  denaro  o  bianco. 

Argento,  titolo  -^  circa, 
peso  gr  :  ven:  10  (grammi  0,B1) 
scodellato. 
^  —  Croce  patente  accantonata  da  quattro  punti  trian- 
golari entro  due  cerchi  di  puntini  ;  altri  due  cercliì 
simili  chiudono  l'iscrizione. 
+  ENRICO  DVX 
5»  —  Busto  in  faccia  di  S.  Marco  con  aureola  di  puntini; 
due  circoli  di  puntini  separano  la  figura  dalla  iscri- 
zione, altri  due  chiudono  l'iscrizione. 
+  •  co  -MARCVco  -VN- 
Esiste:  al  civico  Museo  Correr.  Venezia. 

presso  il  d.'^  Carlo  Gregorutti.  Trieste. 
Ne  parlano: 

Becker  W.  G.  —  Zweihundert  settene  Miinsen  des  Mitteìàlters. 
Dresda,  1813,  pag.  50. 

Padovan  e  Cecchetti.  —  Op.  cit.,  pag.  10. 
Wachter  C.  —  Opera  citata,  pag.  227. 
Padovan  V.  —  Op.  cit.,  pag.  9. 


6.  Quartarolo  {1/4  di  denaro) 

E-ame  (con  traccio  d'argento), 
peso  gr:  ven:  15  (grammi  0,77). 
^  —  Nel  campo  V  •  N  •  C  •  E  poste  in  croce  con  un  punto 
nel  mezzo  ;  un  cerchio  divide  dall'iscrizione 
*ED^ADVLO  DVX 


ENRICO     DANDOLO    E    LE    SUE    MONETE  5l9 

5/  —  Croce  accantonata  da  quattro  gigli  in  un    cercliio. 
+   co  •  MARCVco 

Esiste:  E.  Museo  di  S.  Marco,  Venezia. 

R.  Gabinetto  numismatico  di  S.  M.,  Torino. 

!R.  Museo  Britannico,  Londra. 
Disegnato,  o  descritto  da: 

Bellini.  —  De  monetis  Italice  medii  cevi,  etc.  Prima  Disserta- 
zione, 1755,  pag.  107,  n.  II. 

Gradenigo  G.  a.  —  In  Zanetti,  op.  cit.  Voi.  Il,  pag.  168,  n.  XV. 

ScHWEiTZER.  —  Opera  citata,  tav.  a  pag.  74,  n.  5. 

Orlandini.  —  Catalogo  di  una  serie  di  monete  dei  Dogi  veneti^ 
Portogruaro  1855,  n.  5. 

Padovan  e  Cecchetti.  —  Op.  cit.,  pag.  10. 

Wachter  C.  —  Opera  citata.  Voi.  Ili,  230  e  Voi.  V,  pag.  191. 

Padovan.  —  Op.  cit.,  pag.  9. 

Nicolò  Papadopoli. 


O'O^SKT'Oo 


ANNOTAZIONI  NUMISMATICHE  GENOVESI 


XIX. 
MONETE  ATTRIBUITE  DAL  (JANDOLFI  AI  DOGI  X  ED  XI. 

H  Gandolfi,  (voi.  Il,  pag.  62),  citando  due  monete 
esistenti  nella  Collezione  Universitaria,  asserisce  che 
sono  sufficientemente  chiare  ambedue  quanto  al  leg- 
gervi il  numero  dogale,  che  in  una  è  X  e  nell'altra  XI, 
e  che  portano  le  iniziali  del  Doge  (V.  Tav.  II,  N.  22 
e  23).  A  proposito  di  queste  iniziali  egli  fa  notare,  esser 
cotali  lettere  una  vera  singolarità  per  siffatte  mone- 
tine e  segnatamente  rispetto  alla  prima,  perchè  del 
decimo  Doge  abbiamo  altre  monete  sulle  quali  di 
nomi  non  v'  è  indizio  veruno  ,  ma  soltanto  vi  sta 
scritto  un  bel  Dux  decem  tutto  alla  distesa.  Nelle 
iniziali  molto  incerte  ,  Y  Autore  leggeva  i  nomi  dei 
due  Montaldo  ai  quali  spettano  quei  due  numeri  , 
mentre  dovea  avvedersi  che  si  trattava  del  Doge 
Tommaso  di  Campofregoso,  t.  c. 

Lo  stato  di  conservazione  delle  due  monete,  ed 
il  non  conoscere  alcun  esemplare  ben  chiaro  degli 
innumerevoli  soldini  e  petachine  del  Doge  XXI,  fu- 
rono causa  doU'errorc  in  cui  cadde  il  Gandolfi,  mal- 
grado la  singolarità  che  avea  fermato  V  attenzione 
sua,  poiché  egli  ben  sapeva  che  le  iniziali  dogali  e 
la  numerazione  in    cifre  ,  cominciano    solamente   in 


622  GIUSEPPE    RUGGERO 


Giorgio  Adorno  Doge  XVIl.  Vedendo  i  disegni  che 
ritraggono  queste  due  monete  nella  Tavola  II  del 
Gandolfì,  ognuno  si  persuade  che  si  tratta  veramente 
di  un  soldino  e  di  una  petachina  del  Tommaso  per 
il  suo  secondo  dogato,  da  non  confondersi  con  quelle 
del  primo,  nel  quale  si  segnava  t.  d.  c.  Non  c'è  dubbio 
quanto  alla  specie,  perchè  sole  quattro  erano  quelle 
in  uso  per  l'argento  ed  il  biglione  ;  il  grosso,  il  sol- 
dino, la  petachina  ossia  mezzo  soldo  ed  il  minuto. 
Il  soldino  non  può  confondersi  con  alcun'  altra  né 
per  diametro  né  per  impronta  ;  e  dalla  petachina , 
sola  moneta  che  a  primo  aspetto  gli  si  avvicina  al- 
quanto, si  distingue  agevolmente  per  gli  archetti 
che  stanno  internamente  al  circolo  di  perline,  man- 
canti in  quella  (^). 

In  oggi  non  sarebbe  più  possibile  V  errore  di 
questa  attribuzione,  perchè  nel  metallo  stesso  delle 
monete  in  discorso  ,  si  avrebbe  il  criterio  più  deci- 
sivo in  proposito.  Infatti  all'epoca  del  decimo  Doge 
(1383-84) ,  troviamo  un  valore  ben  differente  per  il 
soldo,  da  quello  che  correva  nel  secondo  dogato  di 
Tommaso  Campofregoso  (1436-42).  Mentre  nel  1437  (2) 
il  fino  del  soldo  è  0,905  e  vi  corrispondono  i  sol- 
dini del  Tommaso  al  titolo  di  500  con  alcune  ec- 
cezioni che  se  ne  scostano  di  poco  ;  nel  1365  invece 
abbiamo  il  fino  di  1,459,  e  nel  1390  di  1,431  (3). 
Inoltre  il  Cartolario  di  zecca  del  1390,  ci  dà  la  no- 


(1)  Nel  disegno  del  rovescio  al  N.  22,  Tav.  II  del  Gandolfì,  mancano 
gli  archetti  ;  e  nel  dritto,  il  C  fu  scambiato  con  una  rosetta,  per  una  svista 
del  disegnatore. 

(2)  Vedi  Desimoni,  Le  prime  monete  d' argento^  etc. ,  in  «  Atti  della 
Soc.  Lig.  di  S.  P.  Voi.  XIX,  pag.  215,  Cartolario  di  zecca  1437. 

(3)  Vedi  Desimoni,  ibid..  pag.  210,  Cartolari  del  1365  e  1390. 


ANNOTAZIONI    NUMISMATICHE   GENOVESI  523 

tizia  che  il  mezzo  grosso  o  soldo  era  al  titolo  eguale 
a  quello  del  grosso.  Rimane  quindi  escluso,  che  possa 
attribuirsi  al  decimo  Doge  un  soldo  che  non  sia 
d'argento. 

Da  pochi  giorni  ho  acquistato  un  esemplare  ben 
conservato  del  soldino  della  Universitaria ,  colle 
leggende  : 

^^  —  *  :  T  :  C  :  DVX  :  lANVENS  X 
9f    —  *  :  CONRÀDVS  :  REX  :   RM 

Fino  ad  oggi  avevo  considerato  questa  anomalia 
del  numero  X  come  un  prodotto  di  cause  acciden- 
tali, ma  appena  avuto  questo  soldino  ,  cominciai  a 
sospettare  che  si  trattasse  di  falsificazione.  La  mo- 
neta per  i  suoi  caratteri  generali  sembrava  genuina 
di  zecca,  ma  alcune  piccole  varianti  in  qualche  let- 
tera troppo  finita,  contrariamente  allo  stile  usato  su 
queste  monete,  m'indussero  al  dubbio.  Fatto  assag- 
giare alla  pietra ,  questo  soldino  si  dimostrò  infatti 
di  molto  inferiore  al  300 ,  mentre  il  titolo  legale, 
come  già  si  è  veduto,  è  quello  di  500.  Allora  scrissi 
a  Genova  pregando  l'Ili.  Comm.  Belgrano  di  favo- 
rirmi il  titolo  delle  due  monete  della  Universitaria, 
ed  il  risultato  fu  identico  perchè  quel  soldino  fu  ri- 
conosciuto a  250  o  poco  più.  Ecco  adunque  la  pre- 
sunta anomalia  dileguarsi  e  rimanere  in  sua  vece 
una  delle  volgari  falsificazioni  di  quel  tempo,  per  le 
quali  non  sbandava  tanto  per  il  sottile  a  contare  gli 
X  e  gli  I,  purché  lo  spazio  della  leggenda  fosse 
riempito.  Mi  rincrebbe  che  lo  stesso  assaggio  non 
abbia  potuto  farsi  per  la  petachina  coli'  XI ,  non 
avendosi  potuto  ritrovare  la  moneta,  malgrado  le 
ricerche  fatte.  Ma   non   mi  stupirei   che  non   fosse 


524  -  GIUSEPPE    RUGGERO 


mai  esistita,  e  che  il  Gandolfi  avesse  mal  letto  una 
delle  solite  petachine  col  N.  XXI.  D'  altronde  se  il 
disegno  è  esatto  ,  bisogna  dedurne  che  1'  originale 
fosse  difettoso  o  ribattuto  ,  come  lo  indicherebbero 
la  doppia  rosa  al  diritto  ed  il  doppio  e  del  conradvs 
al  rovescio.  Noi^  aveva  creduto  conveniente  di  com- 
prendere le  due  monete  nelle  tavole  descrittive  delle 
monete  Genovesi  (^) ,  perchè  eguali  alle  solite  mo- 
nete di  T.C.  Dvx  XXI  sebbene  col  numero  sbagHato  , 
e  per  giunta  mal  conservate.  Ora  più  che  mai  ho 
dovuto  compiacermi  di  tale  esclusione. 

Dopo  aver  eliminato  queste  anomalie,  sarà  bene 
di  riepilogare  quelle  che  rimangono,  distinguendole 
a  bella  prima  in  due  specie,  intenzionaU  ed  accidentali. 

Le  prime  si  riducono  a  due  sole  fino  ad  ora 
conosciute  e  constatate  con  sicurezza.  Quella  del 
Doge  Raffaele  Adorno  che  ha  monetato  con  i  due 
numeri  XXIT  e  XXIII,  cambiamento  che  non  si  può 
attribuire  che  ad  un  atto  volontario  dello  stesso 
Doge  (5).  L'  altra  del  Doge  Ludovico  di  Campofre- 
goso  col  N.  XXVII ,  non  avendo  egli  voluto  rico- 
noscere il  dogato  di  Prospero  Adorno,  che  con  tale 
numero  si  era  segnato. 


(4)  È  ultimata  la  stampa  di  queste  tavole ,  ed  ora  è  in  corso  quella 
dogli  allegati  alle  stesse,  che  complessivamente  formano  il  voi.  XXII  degli 
Atti  della  Società  Ligure  di  S.  P. 

(5)  Vedi  Annoi  V  (Palermo,  1881),  alla  quale  tuttavia  devono  farsi 
due  correzioni.  1°,  a  pag.  29 ,  citando  il  N.  559  del  Catalogo  Franchini, 
del  Sambon,  io  ammetteva  che  fosse  del  Barnaba  Adorno  sulla  fede  del 
Gazze.  È  invece  del  Raffaele ,  come  risulta  dai  mss.  dell'  Avignone  e  del 
Franchini  stesso.  Non  si  conoscono  adunque  fino  ad  oggi  monete  del  Bar- 
naba, ne  abbiamo  molta  speranza  di  rinvenirne,  per  aver  egli  durato  in 
carica  26  giorni  soli.  2^,  la  moneta  segnata  al  N.  560  dello  stesso  Cata- 
logo come  un  ottavino,  è  invece  una  quartarol^. 


« 
ANNOTAZIONI    NUMISMATICHE    GENOVESI  525 

Tra  le  seconde  devonsi  annoverare  quelle  ano- 
malie, che  fino  a  prova  in  contrario  non  si  possono 
ragionevolmente  attribuire  a  volontà  del  Doge  ,  e 
queste  non  sono  rappresentate  che  da  qualche  mo- 
neta isolata  o  tutt'al  più  da  pochi  esemplari  ;  e  si 
ritengono  prodotte  da  cause  accidentali.  Fino  ad  ora 
conosciamo  le  seguenti  : 

Nel  dogato  XXI,  due  o  tre  ducati  ed  un  sol- 
dino col  N.  XX  (6). 

Nel  dogato  XXVI,  due  ducati  col  N.  XXV  W. 

Non  registro  tra  queste  anomalie  quella  che 
sarebbe  rappresentata  in  un  soldino  di  Ludovico 
Campofregoso,  col  numero  XXII  invece  del  XXV.  Si 
conserva  nel  Museo  Palagi  di  Bologna  e  potei  averne 
un  calco  riuscitissimo  per  1'  ottima  conservazione  , 
dalla  cortesia  del  Dott.  Frati.  Ne  tenni  calcolo  nelle 
tavole,  perchè  già  accennato  nei  mss.  dei  primi  com- 
^  pilatori ,  e  perchè  posseduto  da  una  delle  raccolte 
principali,  ma  ho  dichiarato  che  non  posso  accettarlo 
come  genuino.  Infatti,  vi  si  legge  distintamente  dys 
e  RES  invece  di  dvx  e  rex  ;  e  questa  infelice  imita- 
zione delle  due  desinenze,  mi  fa  credere  che  il  nu- 
mero XXII  non  sia  altro  che  una  imitazione  del 
numero  vero,  che  nelle  monete  di  questo  Doge  è 
scritto  coirU  gotico,  XXU,  invece  di  XXV. 


(6)  Vedi  Annoi  IX,  in  Gazz,  Num.  di  Como,  1884.  Circa  al  soldino, 
descritto  nelFÀvignono  senza  citarne  la  Collezione,  ma  che  trovai  nel  Ca- 
talogo di  vendita  della  Franchini,  vorrei  poterne  conoscere  il  titolo. 

(7)  Uno,  trovasi  descritto  nell'Avignone  come  appartenente  alla  Colle- 
zione Universitaria  ;  il  secondo,  fa  da  me  veduto  negli  anni  passati  presso 
un  collettore  che  ora  più  non  lo  possiede. 


67 


526 


GIUSEPPE   HUGGERO 


XX. 


MINUTI  DEL  GOVERNATORE  FILIPPO  DI  CLEVES. 


Sebbene  la  serie  dei  minuti  abbia  fatto  note- 
voli progressi  in  questi  ultimi  anni ,  vi  rimangono 
tuttavia  lacune  importanti  e  specialmente  quelle 
delle  Signorie  straniere  al  principio  del  XVI  secolo. 

In  altra  precedente  Annotazione,  ho  rilevato  come 
si  conoscano  numerose  varianti  di  conio  e  di  sigle 
nei  minuti  del  Governatore  Agostino  Adorno  ;  e 
come  si  possa  dedurne,  con  molta  probabilità  di  non 
errare  ,  che  non  siansi  coniati  minuti  al  nome  dei 
duchi  Gian  Galeazzo  e  Ludovico  Sforza.  Ho  detto 
che  questo  fatto  della  coniazione  dell'infima  moneta 
a  nome  del  Governatore  e  non  a  quello  del  vero 
Signore,  doveva  esser  stato  tal  precedente  da  creare 
una  vera  consuetudine  di  zecca,  se  pure  non  esisteva 
già  ai  tempi  dei  primi  Sforza. 


ANNOTAZIONI   NUMISMATICHE    GENOVESI  ^27 

Il  lettore  avrà  facilmente  compreso  Io  scopo 
delFosservazione  mia  a  questo  riguardo,  quello  cioè 
di  spiegare  in  modo  analogo  la  mancanza  di  mi- 
nuti col  nome  dei  Re  Francesi  Ludovico  XII  e  Fran- 
cesco I  (^).  Ma  non  credetti  bene  di  dire  allora,  che 
io  non  ignorava  1'  esistenza  dei  denarini  di  un  Go- 
vernatore per  Ludovico  XII.  Infatti ,  4  o  5  anni 
addietro,  aveva  acquistato  una  bellissima  monetina  a 
fior  di  conio,  con  tutti  i  caratteri  del  XVI  secolo  e 
colla  leggenda  f  c  .  o  r,  nella  quale  indubbiamente 
era  indicato  Filippo  di  Cleves.  Disgraziatamente 
tale  minuto  andò  smarrito  poco  dopo  l'acquisto  fat- 
tone, in  causa  dei  troppo  frequenti  cambiamenti  di 
residenza,  ne  mi  credetti  più  autorizzato  a  pubbli- 
carne il  disegno ,  trovandomi  privo  della  testimo- 
nianza dell'  originale.  Mi  limitai  a  parlarne  con 
alcuni  amici ,  e  se  ho  dovuto  rinunziare  alla  spe- 
ranza di  rinvenire  l' esemplare  perduto ,  non  ri- 
nunziai  a  quella  di  poterne  scoprire  qualche  altro 
in  seguito. 

Venne  alla  fine  il  momento  fortunato  ,  ed  ora 
mi  trovo  possessore  di  sei  minuti  del  Cleves  ,  cioè 
quattro  eguali  a  quello  perduto,  e  due  altri  variati 
nella  leggenda.  Credo  sia  utile  riportare  il  disegno 
di  tutti,  perchè  sono  varianti  di   conio  ,  e  perchè   i 


(8)  Rimando  il  lettore  alla  VII  Annot.  in  Giornale  Ligustico ,  1882 , 
circa  l'attribuzione  di  minuti  ai  due  Re  Francesi  in  qualche  catalogo  di  ven- 
dita. Quello  dato  a  Ludovico  XII,  non  è  che  un  minuto  del  primo  Gover- 
natore per  Carlo  VI,  con  lANVA,  preceduta  dalla  sigla  di  zecca  L;  l'altro 
(N.  676  del  Catalogo  Franchini),  assegnato  a  Francesco  I,  è  un  Carlo  VI, 
nel  quale  si  scambiò  il  K  in  F.  Per  maggior  sicurezza  riporterò  qui  la 
leggenda  di  un  minuto  di  Carlo  VI  ben  conservato,  avuto  da  poco  tempo 
e  colla  stessa  sigla  di  quello  :  K  :  REX  :  F  :  D  :  lAN  :  B  : 


528  GIUSEPPE   RUGGERO 


diversi  esemplari  generalmente  mancanti  in  qualche 
parte,  si  completino  a  vicenda. 

1.  ^'  —  *®FC  —  ®GI®  Solito  tipo. 

5/   —  .C----R-  —  -R-  —  -SB-  Solito  tipo. 
C  ^  —  Peso  gì'.  0,44.  (Vedi  per  questo  e  per  i  seguenti  il  disegno 
al  numero  corrispondente). 

2.  /D'  —  Leggenda   come  quella  del  N.  1. 

Tipo  solito,  ma  il  castello  è  molto  più  piccolo. 

9I    — —  :R-  —  :R-  — Solito  tipo. 

CI  —  Peso  gr.  0,42. 

S.  ^  —  Leggenda  eguale  alle  precedenti. 

Solito  tipo.  Castello  come  al  N.  1,  ma  collo  stile    cen- 
trale molto  ingrossato. 
9I    —  •  C  ••  —  •  •  •  •  —  •  •  •  •  —  SB  •  Solito  tipo. 
CI  —  Peso  gr.  0,49. 

4.  ^  —  Leggenda  e  tipo  e.  s.  Variante  nel  cerchietto. 

9I—  ••••  —  ••••  —  R-  —  SB 

Tipo  solito,  ma  con  la  croce  molto  larga. 
02  _  Peso  Gr.  0,56. 

5.  ^'  —  *®FD®  —  ®CG-I^  Tipo  solito. 

5I    —  ..  C-  —  -R-  —  -R-  — Tipo  solito. 

CI  —  Peso  gr.  0,48. 

6.  ^  —  Come  il  preced.,  ma  leggera  variante  di  conio. 
5I    —  -C-  —  -R-  —  -R-  —  -B-  Tipo   solito. 

C2  —  Peso  gr.  0,45. 

La  leggenda  di  questi  denarini,  sebbene  ridotta 
alle  sole  iniziali,  non  lascia  alcun  dubbio  sulla  loro 
attribuzione  al  Governatore  del  Re  di  Francia ,  Fi- 
lippo Cleves  o  Di  Cleves.  Tutti  gli  altri  caratteri 
concorrono  a  provarla,  ma  in  special  modo  le  sigle 
dello  zecchiere  sb.  Queste  iniziali  non  si  trovano  che 
sulle  monete  di  Ludovico  XII  coniate  prima  della 
rivolta  de]   1507,  anzi  sono  qjieste  le  sigle  predomi- 


ANNOTAZIONI   NUMISMATICHE   GENOVESI  529 


nanti  sulle  monete  d'oro,  d'argento  e  di  mistura  di 
queir  epoca,  nella  quale  era  Governatore  il  Cleves  ; 
né  più  si  mostrano  su  quelle  coniate  dopo  la  restau- 
razione. L'elenco  dei  soprastanti  registra  infatti  un 
tal  Stephanus  de  Brevei  in  carica  nel  1502,  e  quindi 
salta  al  1508,  mancandovi  i  nomi  per  gli  altri  quattro 
anni  della  prima  dominazione  di  Lodovico  XII,  nei 
quali  può  benissimo  esser  rimasto  riconfermato  o 
rientrato  il  Brevei  sopradetto. 

Per  non  trascurare  alcuna  possibile  obbiezione, 
ed  anche  quella  della  iniziale  del  nome  che  gli 
stessi  autori  contemporanei  scrivevano  sempre  col  ph 
in  latino  ed  in  volgare,  dirò  che  non  sarebbe  questa 
una  difficoltà  tale  da  arrestarci  di  fronte  ad  una 
leggenda  che  non  si  presta  per  alcun  altro  nome,  e 
ad  uno  zecchiere  che  non  troviamo  in  alcun'  altra 
epoca.  Ma  non  siamo  ridotti  a  ricorrere  ad  altri  ra- 
gionamenti, avendosi  precedenti  in  gran  numero  per 
l'uso  della  f  in  luogo  del  ph  :  e  basteranno  quelli 
del  denarino  Parmense  dello  svevo  Filippo  sul  prin- 
cipio del  secolo  XII ,  e  del  denaro  d'  Aquileia ,  del 
Cardinale  d'Alencon  della  fine  del  XIV.  Ma  per  non 
uscire  dalla  stessa  zecca  Genovese  e  per  non  retro- 
cedere oltre  al  XV  secolo,  basterà  per  tutti  l'esempio 
del  duca  Filippo  M.  Visconti ,  il  quale  in  tutta  la 
sua  ricca  serie  monetale,  ha  sempre  il  nome  scritto 
colla  F,  fatto  che  si  ripete  nella  serie  Milanese. 

Filippo  di  Cleves,  signore  di  Ravestein  e  cugino 
del  Re,  entra  in  carica  il  4  novembre  1499  in  sur- 
rogazione al  primo  Governatore  Scipione  Barba- 
vara  da  Milano,  il  quale  non  aveva  troppo  soddi- 
sfatto i  Genovesi.  Nel  1501  ha  il  comando  della 
flotta  destinata  al  soccorso  di  Napoli,  ma  trovata  la 


530  "  GIUSEPPE   RUGGERO 


città  già  ripresa  dal  re  Federico,  si  porta  in  Levante, 
dove,  unito  all'  armata  dei  Veneziani,  tenta  inutil- 
mente la  presa  di  Metelino  ;  onde  deve  tornarsene 
con  gravi  perdite  prodotte  dalla  lunga  navigazione, 
dal  combattimento  e  dal  naufragio  sofferto.  Prepara 
e  dirige  il  ricevimento  e  le  feste  in  occasione  della 
visita  del  re  a  Genova  nel  1502.  Poi  rimane  assente 
per  molto  tempo,  e  dopo  il  suo  ritorno  nella  metà 
del  1506,  vedendo  crescere  le  difficoltà  del  governare, 
diminuire  la  propria  autorità,  e  subodorando  la  pros- 
sima rivolta,  lascia  il  reggimento  della  città  al  suo 
luogotenente ,  ed  ai  25  ottobre  definitivamente  si 
allontana  (^). 

Constatata  adunque  l'esistenza  di  questi  minuti, 
ne  rimane  confermata  la  continuazione  della  con- 
suetudine già  in  vigore  sotto  i  due  ultimi  Sforza , 
ed  eliminata  per  conseguenza  la  possibilità  dell'esi- 
stenza di  minuti  col  nome  del  Re.  A  chi  volesse 
oppormi  l'esempio  di  quelli  dei  Re  Carlo  VI  e  VII, 
risponderei  che  gli  usi  di  zecca  vigenti  negli  ultimi 
decennii  del  XV  secolo  dovevano  per  certo  aver 
maggior  forza  che  non  quelli  di  un  secolo  prima. 
Potrebbesi  osservare  che  il  Governatore  per  gli 
Sforza  era  Genovese,  mentre  il  Cleves  era  Francese, 
e  come  tale  non  avrebbe  dovuto  mettere  il  proprio 
nome  in  luogo  di  quello  reale,  con  patente  infrazione 
all'art.  15  della  convenzione  stipulata  tra  il  Re  ed  i 
Genovesi  (i^).  Questa   prescrive  per    1'  appunto  ,  che 


(9)  Vedi  Annali  del  Giustiniani.  —  Cronaca  del  Salvago  pubblicata  dal 
Desìmoni  negli  Atti  della  Soc.  Lig.  di  S.  P.  Voi.  XIII ,  fase.  Ili ,  1879. 
—  Belgrano,  Dedizione  dei  Genovesi  a  Ludovico  XII,  nella  <  Miscellanea 
di  Storia  Italiana.  Voi.  I,  1862. 

(10)  Vedi  Belgrano,  luogo  citato,  pag.  586  e  647. 


ANNOTAZIONI    NUMISMATICHE    GENOVESI  531 

la  moneta  genovese  porti  il  giglio  ed  il  nome  del 
Re  signore  di  Genova  ;  ed  infatti  vediamo  tutta  la 
serie  in  oro,  argento  e  mistura  ad  alto  titolo,  sod- 
disfare pienamente  a  questa  condizione.  Ma  l'infima 
monetuccia,  come  cosa  insignificante  e  per  diametro 
e  per  titolo,  poteva  ben  sottrarsi  alla  legge  gene- 
rale, per  non  variare  la  consuetudine  invalsa  nella 
nostra  zecca.  D'altronde  questa  stessa  consuetudine 
non  dovea  tornar  sgradita  al  Governatore,  nel  dargli 
facoltà  d'imprimere  il  proprio  nome  sui  minuti:  tanto 
più  che  qualunque  infrazione  alle  convenzioni,  poteva 
trovare  una  sufficiente  giustificazione  nelle  istruzioni 
segrete  avute  dal  Re,  il  quale  voleva  che  si  gover- 
nasse con  dolcezza  questo  riottoso  popolo  ,  purché 
non  ne  patisse  l'interesse  proprio. 

Nella  mia  XIII  Annotazione  trovasi  disegnato  un 
minuto  colla  leggenda  incompleta  ....  coi,  ed  asse- 
gnato al  Cardinale  Paolo  di  Campofregoso.  Ricor- 
dando bensì  il  minuto  fc  gì  ,  ma  non  conoscendo 
ancora  la  variante  fd  coi,  non  mi  trovava  allora  in 
grado  di  spiegare  il  e  diversamente  da  Cardinali s. 
In  seguito  alla  scoperta  dei  N.  5  e  6,  devo  ora  leal- 
mente dichiarare,  che  la  interpretazione  di  quella 
leggenda  diventa  incerta,  potendo  quel  minuto  stesso 
essere  eguale  a  quelli  della  presente. 

Cremona,  Ottobre  1890. 

Giuseppe  Ruggero. 


APPUNTI 

DI 

NUMISMATICA    ITALIANA 


I. 

TEE   LUIGINI  INEDITI  DI  CAMPI. 

Poche  e  rarissime  sono  le  monete  de'  Principi 
Centurioni-Scotti,  marchesi  di  Campi.  Otto  sole  ne 
conosciamo  dalle  opere  numismatiche  finora  pub- 
blicate, e  di  esse  credo  utile  premettere  un  rapido 
cenno.  Nello  splendido  Catalogo  delle  monete  d'oro 
del  Museo  di  Vienna,  pubblicato  da  Duval  e  Proelich 
nel  1759  (l) ,  troviamo  il  disegno  di  due  doppie  del 
principe  Carlo  Centurioni-Scotti  (2) ,  una  dell'  anno 
1661,  l'altra  del  1662. 

L'Olivieri  pubblicava  nel  1862  una  interessante 
monografia  sulle  Monete  e  i  Sigilli  dei  principi  Cen- 
turioni (3).  È  l'unica  operetta  che  tratta  diffusamente 


(1)  Monnoies  en  or,  qui  composent  une  des  différentes  parties  du  Ca- 
binet di  S.  M.  VEmpereur  depuis  les  plus  grandes  pièces  jusqu'aux  plus 
petites.  Vienne,  1759,  in  fol.,  pag.  258. 

(2)  Il  principe  Carlo  Centurioni- Scotti  aprì  rofficina  di  Campi  nel  1654, 
per  concessione  dell'imperatore  Ferdinando  III,  e  vi  battè  moneta  in  oro  e 
argento,  fino  all'anno  1663. 

(3)  Olivieri  A.,  Monete  e  sigilli  de^  Principi  Centurioni-Scotti  che 
serbami  nella  Regia  Università  ed  in  altre  collezioni  di  Genova.  Ivi,  1862, 
in-8°,  con  una  tavola. 

68 


534  ERCOLE   GNECCHI 


della  storia  di  questa  officina  monetaria  ,  dei  feudi 
di  questi  principi ,  dei  privilegi  loro  concessi  dagli 
imperatori ,  dei  contratti  di  zecca ,  e  delle  varie 
specie  di  monete  da  loro  coniate.  Una  tavola  ag- 
giunta ci  offre  il  disegno  di  cinque  monete  di  Campi, 
e  Fautore,  dandone  la  descrizione  ,  dichiara  di  non 
averne  vedute  altre  in  tutte  le  collezioni  pubbliche 
e  private  di  Genova ,  compresa  quella  della  stessa 
famiglia  Centurioni,  dove  si  conservano  gelosamente 
tutte  le  memorie  relative  a  quel  casato.  —  Le  mo- 
nete da  esso  illustrate  sono  le  seguenti  : 

Carlo  Centurioni  (1654-63).  Una  Dojopia  d'oro 
del  1662  (una  delle  due  già  pubblicate  nel  Catalogo 
del  Museo  di  Vienna),  e  un  Testone  (?)  di  tipo  iden- 
tico alla  doppia. 

Gio.  Batta  Centurioni  colla  moglie  Giulia  Serra 
(1668-72).  \Jm>  Doppia  d'oro  del  1668,  e  due  Testoni  {^) 
dello  stesso  tipo,  uno  dell'anno  1668,  Taltro  del  1672. 

Lo  stesso  Olivieri  poi,  in  un  suo  articolo  su  mo- 
nete e  medaglie  di  famiglie  genovesi,  inserita  nella 
sua  Rivista  della  Numismatica  antica  e  moderna  W  , 
pubblicava  nel  1864  due  altre  monete  di  Campi,  in 
aggiunta  a  quelle  da  lui  descritte  nell'altra  sua  opera 
citata.  La  prima  è  uno  zecchino  del  principe  Gio.  Bat- 
tista Centurioni  dell'anno  1668  W.  La  seconda  è  un 
luigino  dall'Olivieri  attribuito  a  Giulia  Serra  moglie 
del  principe  G.  B.  Centurioni.  L'autore  riporta  quel 


(4)  Olivieri  A.,  Monete  e  medaglie  delle  famiglie  genovesi  dei  Centu- 
rioni^ dei  Boria  e  degli  Spinola^  di  recente  scoperte.  —  e  Rivista  numis- 
matica antica  e  moderna  ».  Voi.  I,  pag.  58-65;  tav.  II,  N.  3  e  4. 

(5)  Questo  zecchino,  forse  unico ,  già  posseduto  dal  Big.  Franchini  di 
Genova,  si  trova  descritto  nel  Catalogo  della  sua  collezione  (Pag.  14,  tav.  I, 
n.  167),  ed  è  ora  posseduto  dal  conte  Nicolò  Papadopoli  di  Venezia. 


TRE   LUIGINI    INEDITI   DI    CAMPI  535 

luigino  dall'opera  del  Poey  d'Avant  sulle  monete  feu- 
dali di  Francia  (6) ,  accennando  però  che  il  numis- 
matico francese  dubita  che  quella  moneta  appartenga 
a  principe  tedesco  C^). 

Tutto  ciò  infatti  che  potrebbe  far  attribuire  quel 
luigino  alla  prefata  principessa,  sarebbero  le  prime 
lettere  della  leggenda  del  dritto  IVL  •  M  -,  che  l' Oli- 
vieri interpreta  lulia Mariane  la  data  del  rovescio  1669. 

Quanto  al  nome  lulia  Maria^  è  bene  notare  che 
esso  era  comune  a  molte  principesse  dell'epoca  ,  si 
italiane  che  straniere.  La  data  poi  1669  si  trova  su 
moltissimi  altri  luigini  anonimi ,  coniati  in  officine 
italiane  ad  imitazione  di  quelli  di  Dombes.  Si  po- 
trebbe da  ultimo  aggiungere  (se  questo  argomento 
può  avere  qualche  valore  )  che  la  leggenda  del  ro- 
vescio MELLIBAT  •  EX  •  LILIIS  non  è  una  delle  tre  state 
proposte  dai  teologi ,  dietro  loro  richiesta  ,  ai  prin- 
cipi Centurioni ,  pei  loro  luigini  di  Campi.  Esse 
erano  le  seguenti  : 

DICO  HVIC  VADE  — 
SVM  SVB  POTESTÀTE  — 
CENTVPLVM  (tERMINABIT   ©. 

Quest'  ultimo  motto  lo  vedremo  appunto  nel 
rovescio  dei  primi    due  luigini    che    sto   per  descri- 


(6)  F.  Poey  d'  A vant  ,  Monnaies  féodales  de  France.  Paris ,  1858-62 , 
in-4«  (Voi.  in,  tav.  CXIX,  n.  10,  e  pag.  117,  n.  5267). 

(7)  Olivieri,  Op,  cit.,  pag.  59.  Ecco  la  doscrizione  di  questo   luigino: 

D.  —  IVL  •  M  •  S  •  R  •  I .  PRINC  •  SOW  •  DOM  •  Tosta  di  donna 
volta  a  destra. 

E.  —  MELLIBAT  •  EX  •  LILIIS.  Stemma  coi  tre  gigli  di  Francia. 
Al  disopra  corona.  Ai  lati  dello  stemma  la  data  16  69. 

(8)  Olivieri,  Monete  e  sigilli  dei  principi  Centurioni- Scotti,  Pag.  29. 


536 


ERCOLE   GNECCHI 


vere ,  e,  con  qualche  variante  ,  anche  in  quello  del 
secondo. 

In  ogni  modo,  il  luigino  pubblicato  dal  Poey 
d'Avant  e  riprodotto  dall'  Olivieri ,  resta  tuttora  di 
incerta  attribuzione,  e  non  porta  nome  di  zecca. 

Nel  settembre  dell'  anno  1889  ,  in  un  gran 
ripostiglio  di  luigini  scoperti  presso  l'isola  di  Andros 
(Mar  Egeo)  e  appartenenti ,  per  la  maggior  parte  , 
a  zecche  italiane ,  furono  trovati  tre  luigini ,  co- 
niati a  nome  di  Giulia  Serra  ,  moglie  del  principe 
G.  B.  Centurioni.  Essi  portano  il  nome  della  zecca 
e  sono  perciò  i  primi  tre  luigini  di  Campi  di 
sicura  attribuzione.  —  Due  d'essi  si  trovano  ora  nella 
mia  collezione  ;  il  terzo  passò  in  quella  del  conte 
Nicolò  Papadopoli  di  Venezia,  che  gentilmente  mi 
volle  mandare  la  moneta  in  esame,  autorizzandomi 
a  pubblicarla,  per  il  che  io  gliene  rendo  qui  i  più 
sentiti  ringraziamenti. 

Ecco  pertanto  la  descrizione  dei  tre  luigini  : 


Peso  gr.  1.100. 
/B'  —  IVLIA  •  M  •  PRINCIP  CAMP  • 

Mezzo  busto  di  donna  a  d.  Sotto  il  busto  un  punto. 

9!    —  CENTVPLV    GERMINÀB  • 

Stemma  coronato  coi  tre  gigli  di  Francia,  sopra  i  quali  il 
lambello  a  tre  pendenti.  A.i   due  lati  dello   stemma , 
la  data  16  68. 
(Coli.  Gnecchi). 


TRE   LUIGINI    INEDITI    DI    CAMPI 


537 


Peso  gr.  2.300. 
^  —  IVLIÀ  •  M  •  PRINCIP  •  CAMPI   • 

Mezzo  busto  di  donna  a  destra. 
^—  CENTVPLVM  •  GERMINABV  • 

Stemma  coronato  coi  tre  gigli  e  il  lambello  come  nel 
precedente.  Ai  lati  dello  stemma  16  68.  Due  rosette 
sopra  lo  stemma  e  una  sotto. 
(Coli.  Papadopoli). 


Peso  gr.  1.800. 
^  —  IVLIA  •  M  •  PRINCIP  •  CAMPI  • 

Mezzo  busto  di  donna  a  d.  Sotto  il  busto  una  rosetta. 
5Ì    —  P  •  •  RA  GERMINAI  BON  • 

Stemma    coronato  coi    tre  gigli  di  Francia,  e    il    lam- 
bello e.  s.  Ai  lati  dello  stemma  16  69.  All'esergo  4. 
(Coli.  Gnecchi). 

Il  rovescio  di  questo  luigino  sfortunatamente  è 
molto  sconservato  e  ne  riesce  un  po'  difficile  la  let- 
tura e  l'interpretazione. 

Quanto  al  motto  ,  il  quale  ,  come  quello  degli 
altri  due  luigini,  si  riferisce  evidentemente  ai  gigli, 
io  lo  completerei    in  :    plvra  germinat    bona  ,  motto 


538  ^  ERCOLE   GNECCHI 


che  avrebbe  un  senso  molto  analogo  a  quello  dei 
precedenti.  Il  numero  4,  posto  all'esergo,  è  il  segno 
della  bontà  della  moneta,  ossia  di  onde  quattro  per 
una  libbra  d* argento ,  come  troviamo  nei  numerosi 
contratti  di  zecca  per  la  battitura  dei  luigini  stipulati 
dal  principe  G.  B.  Centurioni  con  vari  zecchieri  negli 
anni  1668  e  1669,  contratti  riportati  per  intero  nella 
citata  opera  dell'Olivieri. 

Il  titolo  di  questi  luigini  è  evidentemente  bas- 
sissimo e  forse  minore  di  quanto  si  conveniva  nei 
citati  contratti.  Straordinaria  poi  e  degna  di  nota  è 
la  differenza  di  peso  fra  queste  tre  monete  (gr  1.100 
—  1.800  —  2.300),  mentre,  avendo  io  pesato  più  di 
cinquanta  luigini  di  Dombes  degli  stessi  anni  e  ap- 
partenenti a  quel  medesimo  ripostiglio,  ho  verificato 
che  il  loro  peso  oscilla  fra  gr.  1.750  e  1.900.  Consul- 
tando i  contratti  di  zecca ,  trovo  ,  com'  è  naturale  , 
che  i  luigini  dovevano  sempre  avere  uno  stesso  va- 
lore; perciò  mi  pare  che  questa  grande  differenza  di 
peso  non  sia  da  attribuire  che  alla  fretta  e  negli- 
genza degli  zecchieri,  i  quali,  provveduti  di  scarsi 
mezzi  di  fabbricazione,  si  obbligavano  per  contratto 
a  consegnare  quella  data  quantità  di  monete  ogni 
mese,  e  fino  ogni  quindici  giorni,  sottostando  anche 
a  multe  in  caso  di  mancata  consegna.  Queste  mo- 
nete poi,  come  dirò  in  seguito,  erano  destinate  esclu- 
sivamente al  commercio  col  Levante  ,  quindi  meno 
delle  altre  monete  soggette  a  controllo  per  parte 
degli  stati  confinanti  e  dei  sovrani  che  accorda- 
vano il  privilegio  di  zecca  ;  nulla  quindi  di  più 
naturale  che  si  usasse  minor  rigore  e  diligenza  nella 
loro  fabbricazione.  Noterò  da  ultimo  che  sotto  il 
nome  di  zecca  di  Campi  non  si  deve  intendere  una 


TRE   LUIGINI    INEDITI    DI   CAMPI  539 

sola  officina  monetaria.  Precisamente  negli  anni  1668 
e  1669  il  principe  G.  B.  Centurioni  aveva  attivato 
nella  giurisdizione  di  Campi  varie  officine  ,  di  cui 
tre  in  Campi  stesso,  una  a  Gorreto,  un'altra  a  Cà- 
tabiasco,  ed  altre,  di  cui  nei  capitolati  di  zecca  non 
è  indicato  precisamente  il  nome  della  località.  Sup- 
posto anche,  come  vuole  taluno  ,  che  in  alcune  di 
queste  officine  non  si  sia  effettivamente  lavorato,  è 
ormai  accertato  ,  da  una  nota  sincrona  pubblicata 
dall'Olivieri  in  fine  al  citato  articolo  sulle  monete  e 
medaglie  dei  Centurioni,  dei  Doria  e  degli  Spinola, 
[Rivista  della  Num.  antica  e  moderna,  pag.  64  e  65), 
che  nella  giurisdizione  di  Campi,  lavoravano  ad  un 
tempo  tre  officine  monetarie.  —  Questa  suddivisione 
di  zecche,  per  coniare  le  stesse  monete,  unita  alle 
cause  suaccennate,  può  in  gran  parte  spiegare  la 
irregolarità  del  loro  peso. 

La  zecca  di  Campi  viene  pertanto  arricchita 
di  tre  nuove  monete  ,  e  resta  assodato  che  colà  si 
battevano  luigini  negli  anni  1668  e  1669.  Queste 
monete,  più  spesso  denominate  nei  contratti  di  zecca 
gettoni^  ottavetti  o  marchesini^  al  pari  di  altre  con- 
temporanee di  zecche  italiane,  imitavano  esattamente 
il  tipo  dei  luigini  di  Anna  Maria  Luisa  di  Borbone, 
principessa  di  Dombes.  ed  erano,  come  dissi,  esclu- 
sivamente coniate  pel  Levante.  Colà  il  loro  tipo 
godeva  gran  credito  e  quelle  popolazioni  le  accetta- 
vano volentieri,  adoperandole  anche  come  ornamento, 
badando  quindi  più  alla  bellezza  dell'  impronta  che 
air  intrinseca  bontà  del  metallo.  Siccome  poi  colà 
si  accettavano  di  preferenza  i  luigini  con  ritratto 
di  donna ,  così  i  nostri  principi  si  affrettarono  a 
stampare    su  quelle    monete ,  anziché  il  proprio  ,  il 


540  ERCOLE   GNECCHI 


ritratto  delle  loro  mogli ,  oppure  delle  teste  mu- 
liebri ideali. 

Nei  contratti  per  la  battitura  di  questi  luigini , 
vediamo  spesso  fra  le  condizioni  per  la  durata  della 
concessione,  che  quelle  monete  siano  accettate  nella 
Turchia  e  negli  stati  adiacenti.  In  un  contratto  sti- 
pulato fra  il  principe  G.  B.  Centurioni  e  il  sig.  Lu- 
ciano Centurioni,  in  data  6  dicembre  1668  ,  per  la 
battitura  dei  luigini,  si  stabilisce  che  u  quella  obbli- 
u  gazione  non  abbia  loco  e  sia  nulla  sempre  che 
u  dal  Gran  Turco  o  suoi  ministri  escissero  proibi- 
u  zioni,  ed  ordini  rigorosi  che  non  si  potesse  più 
«  introdurre  ne'  suoi  Stati  di  detti  Ottavetti  (^).  »  In 
un  altro  contratto,  conchiuso  dal  detto  principe  con 
Giuseppe  Maria  Deferrari,  in  data  24  dicembre  1668, 
si  ripete  che  u  detta  obbligazione  però  non  abbia 
u  loco  e  sia  nulla  sempre  che  per  parte  del  Gran 
u  Turco  0  da  suoi  ministri  fosse  proibito  il  non  po- 
ti tersi  più  portare  né  introdurre  nei  suoi  Stati  detti 
«  ottavetti,  di  modo  che  per  queste  proibizioni  non 
u  avessero  più  il  dovuto  smaltimento  »  (i^). 

La  stessa  condizione  vediamo  ripetuta  in  altri 
contratti  di  quell'anno  1668  e  del  seguente. 

Altre  officine  monetarie,  fra  cui  quelle  di  Tas- 
sarolo,  di  Loano,  di  Fosdinovo  e  di  Tresana,  (H)  imi- 


(9)  Olivieri,  Op.  cit,  pag.  31. 

(10)  Idem,  Op.  cit,  pag.  33. 

(11)  Sa  di  un  lnigino  anonimo,  battuto  a  Fosdinovo,  notiamo  noi 
diritto  la  leggenda:  HANC  ASIA  MERCEM  QVAERIT.  Questo,  come  altri 
simili,  che  si  leggono  su  altri  luigini  pure  anonimi,  ma  corto  di  fabbrica 
italiana,  provano  chiaramente  lo  scopo  a  cui  servivano  queste  monete. 
E  cosi  i  nostri  principi  italiani,  spacciando  nel  Levante  i  loro  luigini 
contraffatti  e  adulterati,  aggiungevano  al  danno  le  beffe. 


TRE    LUIGINI    INEDITI    DI    CAMPI  541 

tavano  quelFesempio  e  andavano  inondando  la  Tur- 
chia e  l'Asia  Minore  di  questi  luigini,  con  gravissimo 
danno  di  quei  paesi ,  giacché  per  V  ingordigia  dei 
principi  e  dei  loro  zecchieri ,  quelle  monete ,  già 
di  bontà  molto  inferiori  alle  francesi,  erano  andate 
di  continuo  peggiorando,  talché  anche  in  quei  paesi 
tali  frodi  furono  talvolta  scoperte,  e  gli  agenti  di 
quella  vergognosa  speculazione  si  videro  costretti 
a  salvarsi  colla  fuga  o  a  vedersi  sequestrate  le  par- 
tite di  luigini  che  tentavano  di  mettere  in  com- 
mercio. La  cosa  era  giunta  a  tal  punto,  che  tutti  i 
principi  italiani  proibirono  il  commercio  di  quelle 
monete,  e  la  Repubblica  Genovese,  con  decreto  del 
18  luglio  1667,  vietava  l'introduzione  nel  suo  stato 
di  tutte  le  monete  mancanti  e  di  bassa  lega,  e  spe- 
cialmente degli  ottavetti  i^"^). 

Infatti,  in  una  concessione  di  zecca  del  prin- 
cipe G.  B.  Centurioni,  la  quale  non  porta  data,  ma 
dovrebbe  essere  posteriore  a  quell'anno  1667,  si  pre- 
scrisse che  le  monete  battute  in  Campi  non  deb- 
bansi  spendere  dentro  il  dominio  della  Repubblica  (l^). 

Ma  la  persecuzione  ai  luigini  non  ebbe  tregua: 
i  principi  e  le  repubbliche  con  ripetuti  editti  proi- 
birono quelle  monete,  minacciando  gravissime  pene 
ai  detentori ,  e  questi  si  affrettarono  a  distruggerli. 
Da  ciò  la  loro  rarità. 


PS.    Quest'  arfcicoletto    era    appena    licenziato    per    le 
stampe,   quando  mi    giunse   dalla  Grecia  un    altro    piccolo 


(12)  Olivieri,  Op.  cit,  pag.  53. 

(13)  Idem,  Op.  cit.,  ivi. 


69 


542  E.  GNECCHi  -  t;:e  luigini  inediti  di  campi 

avanzo  di  quel  citato  ripostiglio  di  luigini  scoperto  presso 
l'isola  di  Andros.  Nulla  di  relativo  alla  zecca  di  Campi 
trovai  fra  quelle  monete,  ma  invece  vi  rinvenni  altri  luigini 
prodotti  in  zeccKe  italiane  e  un  certo  numero  di  luigini 
anonimi  molto  verosimilmente  fabbricati  in  Italia  ad  imi- 
tazione di  quelli  di  Dombes.  Mi  propongo  quindi  di  descri- 
verli in  un  prossimo  fascicolo ,  aggiungendovi  anche  gli 
assaggi  di  titolo  ,  molto  importanti  per  monete ,  che  sono 
tuttora  di  incerta  attribuzione.  Darò  poi  il  disegno  di  quelle 
tuttora  inedite  o  cKe  furono  solamente  descritte  nelle  opere 
numismatiche. 

Dicembre,  1890, 

.    Ercole  Gnecchi. 


1  o  so 

7T-   TT  . 


[enp  li 


IL  MEZZO  ZECCHINO  DEL  VASTO 


La  illustre  famiglia  D'Avalos  è  celebrata  in 
varie  forme  da  egregi  monumenti  numismatici. 

Don  Inigo,  che  nel  1442  era  venuto  di  Spagna 
in  Italia  con  re  Alfonso  V  d'Aragona,  ci  è  ricordato 
da  una  medaglia  del  sommo  Pisanello  (i). 

Ferdinando  Francesco  I  e  Alfonso  II  D'Avalos, 
entrambi  famosi  capitani,  e  Ferdinando  Francesco  II, 
che  mori  viceré  di  Sicilia,  hanno  medaglie  di  Cesare 
da  Bagno,  di  Cavino,  del  Bombarda,  di  Annibale 
Fontana,  di  Leone  Leoni,  e  d'altri  (2). 

Vittoria  Colonna,  la  chiara  poetessa,  moglie  del 
primo  Ferdinando  Francesco,  nonché  Maria  d'Aragona 


(1)  Trésor  de  Numisiiiatique  et  de  Glyptique:  Médailles  coulées  et 
ciselées  en  Italie.  —  Friedlaender  J.,  Die  italienischen  Schaumilmen  des 
fUnfzehnten  Jahrhunderts.  —  Heiss  A.,  Les  Médailleurs  de  la  Renaissance: 
Vittore  Pisano.  —  Armand  A.,  Les  Médailleurs  Italiens  des  quimième  et 
aeizihne  Siècles. 

(2)  BoLZENTHAL  H.,  Skizzeu  zur  Kunstgeschichte  der  modernen  Me- 
daillen-Arheit.  —  Armand,  op.  cit.  —  Plon  E.,  Leone  Leoni,  etc. 


544  SOLONE   AMBROSOLI 


moglie  di  Alfonso  II,  e  Ifiigo  suo  figlio,  hanno  pure 
medaglie  di  vari  artisti  C^). 

Don  Ruiz  Lopez  D'  Avalos  è  effigiato  dal  Ga- 
leotti W. 

A  questa  ricca  serie  di  medaglie  fanno  degno 
séguito  le  poche  ma  preziose  monete  coniate  sul 
principio  del  secolo  XVIII  da  Don  Cesare  D'Avalos, 
marchese  e  principe  del  Vasto,  u  in  ostentazione 
u,  del  diritto  di  zecca  statogli  accordato  dall'  impe- 
«  ratore  «  (^).  Questa  concessione,  di  Leopoldo,  è  in 
data  di  Vienna,  12  marzo  1704,  e  il  passo  relativo 
del  diploma  ch'è  riferito  dal  Liinig  (6)  suona  come 
segue ,  nella  forma  tradizionale  di    simili    privilegi  : 

tt  Ad  porro  magis  magisque  Animi  Nostri  Caesarei  pro- 
upensionem  in  prsedictum  Celsissimum  Nostrum  Piscariae, 
a  Vasti,  Francavillae,  et  Roccellae  Principem  testifìcandam, 
u  ex  certa  scientia,  ac  sano  accedente  Consilio,  proque  ea 
u  qua  fungimur  autori  tate  CsBsarea,  deque  ejus  pò  testa  tis  ple- 
u  nitudine,  ipsi  ejusdemque  fìliis,  hseredibus,  descendentibus, 
u  et  successoribus  legitimis  in  infìnitum  benigne  dedimus, 
a  concessimus  et  elargiti  sumus  libertatem  ,  et  facultatem 
u  in  aliquo  ipsi  eisque  commodo  et  opportuno  Jurisdictionis 
u  loco  Officinam  Monetariaìn  fabricandi  et  ejostruendi,  mone- 
tt  tamque  auream  et  argenteam,  majoris  tamen  generis,  ex 
tt  una  parte  Aquila  Nostra  Imperiali,  et  ex  altera  Armorum 
a  Su9e  Dilectionis,  ejusque  descendentium  insigniis,  nominis 
a  item,  et  cognominis  proprii  insoriptione  signatam,  bonam 
tt  tamen,  probam,  sinceram,  et  justam,  quae    non    sit  adul- 


(3)  Armand,  op.  cit.  —  Plon,  op.  cit. 

(4)  Armand,  op.  cit. 

(6)  Promis  V.,  Tavole  sinottiche  delle  monete  battute  iti  Italia  e  da 
Italiani  all'estero,  Torino,  1869  (a  pag.  226). 

(6)  LuNiG  J.  Chr.,  Codex  Italice  diplomai icus,  Francofarti  et  Lipsìse, 
1726  (tomo  II,  a  pag.  663  e  seguenti). 


IL   MEZZO    ZECCHINO    DEL   VASTO  545 

u  terata ,  aut  deterior  illa ,  quam  cseteri  vel  ItalisB ,  vel 
a  Germaniae  Principes  Divorum  Antecessorum  Nostrorum 
a  Eomanorum  Imperatoruin  concessione  cudunt  (ita  ut  nemo 
u  de  ejusmodi  cusione  justam  conquerendi  causam  habere 
u  queat)  faciendi^  atque  cudendi^  etc.  etc.  etc.  n 

Don  Cesare  D'Avalos,  tuttavia,  come  altri  neo- 
principi italiani  di  quel  tempo,  non  approfittò  della 
facoltà  accordatagli  di  erigere  zecca  propria,  e  si 
servi  invece  della  zecca  d'Augusta  in  Baviera,  nella 
quale,  come  dice  il  Kunz  (7),  «  fece  lavorare  uno 
«  zecchino^  un  mezzo  zecchino,  un  tallero  ed  un 
«  mezzo  tallero.  I  coni  del  tallero  servirono  anche 
«  per  alcuni  pochi  pezzi  in  oro  ??. 

E  vero  che  il  Promis,  nelle  Tavole  sinottiche , 
parlando  delle  monete  del  Vasto ,  aggiunge  di 
non  aver  «  potuto  conoscere  dove  esse  siano  state 
«  lavorate  5?  ;  ma ,  per  chiarire  esatta  1'  asserzione 
del  Kunz,  basta  osservare  che  quasi  tutte  le  monete 
di  Cesare  D'Avalos  portano  per  distintivo  la  pigna, 
ch'è  il  segno  di  zecca,  o  meglio  ch'è  1'  arme  stessa 
della  città  di  Augusta,  e  i  ferri  da  cavallo,  i  quali 
pur  si  veggono  sulle  monete  di  quella  zecca  (^). 
D'altronde,  già  nel  Catalogo  della  Collezione  Reichel 
è    annotato    esplicitamente  (e    senza    darne    nessun 


(7)  Kunz  C,  Il  Museo  Bottacin  annesso  alla  Civica  Biblioteca  e  Museo 
di  Padova,  Firenze,  1871  (a  pag.  145;  —  anche  nel  Periodico  di  Num.  e 
Sfrag.y  voi.  Ili,  pag.  25t>). 

(8)  Cfr.  il  Catalogo  Wesener  della  Collezione  Morbio  (Monaco  di  Ba- 
viera, 1882),  in  cui,  a  pag.  258,  nella  descrizione  del  tallero  di  Cesare 
D'Avalos,  è  detto  :  «  Unten  neben  dem  Vliesse  das  Augsburger  Stadtpyr 
«  unddie  zwei  Hufeisen  ».(In  basso,  allato  al  Tosone,  la  pigna  della  città 
di  Augusta  e  i  due  ferri  da  cavallo). 


546  SOLONE   AMBROSOLI 


motivo,  come  di  cosa  facile  a  verificare)  che  il  tal- 
lero del  Vasto  è  battuto  ad  Augusta  (9). 

Vi  sarebbe  il  mezzo  tallero,  che  non  ha  con- 
trassegni caratteristici  particolari,  ma  esso  è  di  lavoro 
tanto  simile  a  quello  del  tallero  e  dello  zecchino,  da 
non  lasciar  dubbio  sulla  sua  provenienza  dall'officina 
di  Augusta;  tanto  più  che ,  essendo  dello  stesso 
anno,  1706,  diventa  maggiormente  inverosimile  che 
per  coniare  quello  spezzato  si  sia  ricorso  a  qualche 
altra  zecca. 

Tutte  le  monete  del  Vasto  furono  già  pubblicate, 
nel  grande  Catalogo  del  Gabinetto  Imperiale  di 
Vienna  C^^),  —  tranne  il  mezzo  zecchino^  di  cui  non 
si  troverebbe  nessun  disegno,  e  neppure  altra  men- 
zione fuorché  quella  surriferita  del  Kunz  (^i). 

Credo  quindi  di  far  cosa  grata  ai  cortesi  lettori 
della  Rivista  col  presentare  l'impronta  e  dar  la  descri- 
zione di  questa  moneta,  togliendole  dall'esemplare  a 
fior  di  conio  che  se  ne  conserva  nel  R.  Gabinetto  di 
Brera. 

Mezzo  zecchino.  Peso,  grammi  1,74. 
^  —  VASTI  -D—  G-SRIPR- 

Busto  del  Principe,  a  destra,  con    lunga    zazzera    ina- 
nellata, corazza,  pelliccia  e  Toson  d'oro. 
^    —  DOMINVS  REGIT  ME  •  17  —  07  • 

Arme  di  forma  elittica  ,  circondata    dal  Toson  d'oro  e 
sormontata  da  berretto  principesco. 


(9)  Die  Reichelsche  Munzsainmlung  in  St.  Petersburg,  Neunter  Theil, 
1843  (a  pag.  69,  N.  466  :  Ein  in  Augsburg  gepràgter  Thaler). 

10)  Monnoies  en  or,  qui  composent  une  des  différeìites  parties  dit 
Cabinet  de  S.  M.  VEmpereur,  Vienne,  1759  (a  pag.  258). 

Monnoies  en  argent,  etc.  efc,  Vienne,  1769  (a  pag.  474). 

(11)  Cfr.  Gnecchi  F.  od  E.,  Saggio  di  Bibliografia  numismatica  delle 
Zecche  Italiane,  Milano,  1889  (a  pag.  396-397). 


IL    MEZZO    ZECCHINO    DEL    VASTO  547 

Se  si  confronta  il  mezzo  zecchino  colle  rimanenti 
monete  del  Vasto,  si  rilevano  sùbito  tre  differenze: 

—  esso  reca  1'  arme  D'Avalos  semplice  (^2)^  mentre 
le  altre  hanno  uno  stemma  assai  complicato  ;  —  è 
deiranno  1707,  mentre  le  altre  sono  tutte  del  1706; 

—  ed  è  mancante  del  nome  di  Don  Cesare. 

La  prima  differenza  si  spiega  agevolmente  col- 
l'angustia  dello  spazio.  Ben  più  diffìcile  è  il  rendersi 
ragione  della  singolare  leggenda:  VASTI  •  D  •  G-  •  S  • 
R  •  I  •  PR  -,  fuorché  supponendo  un  equivoco  da  parte 
dell'incisore,  costretto  ad  accorciare  sul  suo  mezzo 
zecchino  la  lunghissima  leggenda  delle  monete  del 
1706  che  gli  avranno  servito  da  model] o.  E  si  noti 
infatti  che  questa  prolissa  leggenda,  per  la  sua  di- 
sposizione, aggravata  dalla  particolarità  di  presentare 
i  nomi  ed  i  titoli  alternati  con  parole  di  carattere 
più  piccolo,  poteva  realmente  indurre  in  errore  ;  tanto 
più  se  (come  mi  sembra)  questa  moneta  del  1707 
non  fosse  della  stessa  mano  di  quelle  del  1706. 

E  la  omissione  del  nome  di  Don  Cesare  spie- 
gherebbe la  straordinaria  rarità  del  mezzo  zecchino, 
il  quale,  probabilmente  per  quel  motivo,  dev'essere 
rimasto  allo  stadio  di  semplice  progetto. 

SoLONE    AmBROSOLI. 


(12)  «  D'Avalo  a  Napoli  alza  lo  Scudo  di  azzurro  con  un  Maschio  di 
«  Fortezza  d'oro,  e  la  bordura  composta  d'oro,  e  di  rosso.  »  (Ginanni  M.  A., 
L'Arte  del  Blasone,  Venezia,  1756;  a  pag.  215,  con  figura  alla  Tav.  X, 
N.  223). 


MEDAGLIE  DEL  YELLAKO  DI  PADOVA 

IN    ONOEE    DI   PAOLO  II 


A  nessuno  de'  Papi  ,  che  hanno  retto  la  Chiesa  nel 
secolo  XV ,  furono  coniate  tante  medaglie ,  quante  a 
Paolo  IL  L'Armand  ne  annovera  ben  ventisette,  varie  di 
dimensioni,  di  leggende  e  di  storie  (1):  ma  non  di  tutte  ò 
riuscito  a  determinare,  anche  per  ragionevoli  congetture, 
gli  autori.  Il  lungo  studio  e  il  grande  amore  lo  condus- 
sero a  scoprire  appena  che  tre  soltanto  delle  ventisette 
sono  opera  del  Paladino  ,  un  artefice  noto  per  le  sue 
medaglie  di  riproduzione  in  onore  de'  Pontefici  del  se- 
colo XV  (2),  e  una,  forse,  d'Aristotele  Fioravanti  di  Bo- 
logna (3),  Quanto  agl'incisori  delle  altre  ventitré,  l'Armand 
non  osa  proferire  nemmeno  una  parola  di  semplice  con- 
gettura. Ricorda  bensì  che  Cristoforo  Geremia  di  Man- 
tova ebbe  a  coniare,  a  testimonianza  di  Raifaello  di  Vol- 
terra, una  medaglia  in  onore  di  Paolo  (^) ,  e  che  un'altra 
ne  usciva,  come  afferma  il  Vasari,  dal  punzone  del  Vel- 
lano  di  Padova  (^)  ;  ma ,  all'  oscuro  de'  caratteri ,  che  le 
contraddistinguono  ,  confessa  schiettamente  di  non  cono- 


(1)  Armano,  Les  Médailleurs  italiens  des  XV^  et  XVP  sihìes.  Vo- 
lume IT,  pag.  31  0  sog.  e  pag.  300  ;  Voi.  Ili,  pag.  162.  Paris,  1883  e  1887. 

(2)  Idem,  idem.  Voi.  Ili,  pag.  142. 

(3)  Idem,  idem.  Voi.  Ili,  pag.  163. 

(4)  Idem,  idem.  Voi.  I,  pag.  31. 

(5)  Idem,  idem.  Voi.  I,  pag.  47. 

70 


550  BERNARDO    MORSOLIN 


scerle.  Pensa,  tutto  al  più,  che  le  due  medaglie  possano 
confondersi  con  quelle  degli  artefici  anonimi,  i  quali  eb- 
bero a  esercitare  pure  il  punzone  in  onore  di  Paolo  (^). 

* 

Ne  la  congettura  del  dotto  francese  si  scosta  intera- 
mente dal  vero.  Io  non  so  se  tra  le  medaglie  anonime  , 
illustrate  da  lui,  abbiasi  la  medaglia  dell'  incisor  manto- 
vano :  ben  credo  che  vi  si  possano  riconoscere  le  lavo- 
rate dal  Vellano  di  Padova.  Dico  le  medaglie  ,  perchè 
esse  sarebbero  non  una  ,  come  vorrebbe  il  Vasari,  ma 
più.  Me  ne  fa  fede  Girolamo  Gualdo,  nel  cui  Museo 
di  famiglia,  disperso  verso  la  fine  del  secolo  XVII,  se  ne 
custodivano  ben  cinque.  E  delle  cinque  nessuna  è  sfug- 
gita all'attenzione  dell' Armand,  che  le  descrive  ad  una  ad 
una,  non  senza  additarne  le  collezioni,  alle  quali  esse  fan 
parte,  e  le  opere  di  numismatica,  che  le  riproducono,  o 
ne  fanno  parola.  Ho  detto  che  le  medaglie  del  Vellano 
in  onore  di  Paolo  son  cinque.  Devo  ora  soggiungere  che 
quattro  delle  cinque  hanno  comuni  e  identiche  le  dimen- 
sioni e  il  diritto,  così  nel  busto  del  Pontefice,  come  nella 
leggenda  che  vi  corre  all'intorno.  Il  diametro  ha  la  mi- 
sura di  mill.  trentanove:  il  busto  è  volto  a  sinistra  con  la 
testa  scoperta  e  indosso  il  piviale.  Visi  legge  all'ingiro: 
PAVLVS  •  Il  •  VENETVS  •  PONT  •  MAX  •  I  rovesci  sono,  in- 
vece, diversi.  L'uno  reca  l'abside  o  tribuna  della  Chiesa 
di  San  Pietro  in  Roma  col    ciborio    nel    mezzo  C^).  E  il 


(6)  Idem,  idem.  Voi.  I,  pag.  31  e  47. 

(7)  Il  Gualdo,  dopo  aver  detto  che  del  Vellano  teneva  nel  suo  Museo 
«  un  bassorilievo  d'una  Venero  nuda,  che  siede  a  pie  d'un  albero  con  un 
«  cartello  sopra,  attaccato  ad  un  ramo,  che  dice  Venus,  t>  socrgiunge:  «  Hq 


MEDAGLIE   DEL   VELLANO    DI   PADOVA   IN    ONORE    DI   PAOLO    li        551 

rovescio  d'  una  delle  medaglie  ,  fatte  incidere  dal  Litta 
con  la  leggenda:  HÀS  •  /EDES  •  CONDIDIT  •  ANNO  •  CHRIST  • 
MCCCCLXV  •  -  TRIBVNÀ  •  S  •  RETRI  •  ROMA  •  (8).  Il  Vel- 
lano  si  trasferiva  in  Roma  ne'  primordi  del  Pontificato 
di  Paolo,  e  il  1465  s'accorda  mirabilmente  col  tempo  in 
cui  vi  lavorava ,  secondo  che  avverte  il  Vasari  ,  nel 
palazzo  di  Venezia,  e  s'intratteneva,  al  dire  del  Gualdo, 
in  cordiali  conversazioni  col  nuovo  Pontefice.  Il  rovescio 
d'altra  delle  quattro  medaglie,  che  fu  pur  riprodotto  dal 
Litta  e  incontrasi  descritto  nel  Trésor  de  Numismatique 
et  de  Glyptique^  rappresenta  il  Papa  in  atto  di  benedire 
dal  suo  trono  i  fedeli,  prostrati  a'  suoi  piedi,  con  in  giro 
la  leggenda:  AVDIENTIA  •  PVBLICA  •  PONT  •  MAX  •  (9).  L'Ar- 
mand  non  ha  lasciato  d'  avvertire  che  l' insieme  doveva 
ispirare  al  Camello  il  rovescio  d'una  medaglia  in  onore 
di  Sisto  IV.  È  la  medaglia,  in  cui  si  rappresenta  il  Papa 
in  trono,  con  un  Cardinale  alla  destra  ,  in  atto  di  bene- 
dire parecchi  individui,  vestiti  all'antica  (1^).  Il  rovescio 
della  terza  delle  quattro  medaglie,  di  cui  s'  ha  un  esem- 
plare nel  Museo  Civico  di  Vicenza  e  che  fu  pure  ripro- 
dotto dal  Litta  e  descritto  nel  Trésor  de  Numismatique^ 
rappresenta  gli  Apostoli  Pietro  e  Paolo,  posti  di  fronte 
l'uno  all'altro,  in  atto  d'indirizzare,  come  scrive  l'Armand, 


«  parimente  alcune  medaglie  dello  stesso,  fra  quali  di  Papa  Paolo  sopra- 
«  detto,  mentre  in  Eoma  si  tratteneva  col  Pontefice.  In  una  sta  la  famosa 

<  fabbrica  del  tempio  di  San  Pietro,   che  pensava  far  erigere.  »   Giardino 
di  Cha  Gimldo,  Msc.  nella  Marciana.  Cod.  cxxvii.  1.  iv. 

(8)  Armand,   Tom.  Il,  pag.  32,  n.   10.   —   Litta,  Famiglie  celebri 
italiane j  Barbo,  6. 

(9)  Idem,  idem.  pag.  33,  n.  18.  —  Litta,  op.  cit.  Barbo,  14.  —  Trésor  de 
Numismatique  et  Glyptique  I.  xxiii.  3.  Paris  1839.  —  «  In  un'altra  si  vede 

<  un'audienza  pubblica,  che  dà  Paolo  II  a  Principi  e  Cardinali,  con  il  motto 
«  (sic)  Audienzia.  puhlica.  Ponfificis.  Maximi.  »  Gualdo,  Msc.  cit. 

(10)  Armano,  Tom.  I.  pag.  117.  Nota  A. 


552  BERNARDO    MORSOLIN 


((  un  branco  d' agnelli  verso  l'Agnello  Pasquale  »  con  la 
leggenda:  PABVLVM  •  SALVTIS  (H).  Il  Gualdo,  riportando 
la  stessa  leggenda,  non  si  dà  a  divedere  troppo  esatto 
nella  descrizione.  L'insieme  avrebbe  raffigurato  ,  a  suo 
dire,  la  Vergine  e]  il  Bambino  in  mezzo  ad  animali  e  a 
pastori.  x\ppare  da  ciò  ch'egli  ha  scambiato  V Agnus  Dei 
nella  Vergine  e  nel  Bambino  ;  ha  scambiato  i  due  Apo- 
stoli, Pietro  e  Paolo,  in  altrettanti  pastori.  Non  ostante 
la  inesattezza,  la  qual  certo  non  vale  a  infermar  l'identità 
della  medaglia  illustrata  dall'  Armand  e  custodita  in  un 
buon  esemplare  anche  nel  Museo  Civico  di  Vicenza,  credo 
che  il  Gualdo  non  dia  in  fallo,  quando  dice  che  il  conio 
fu  fatto  in  memoria  della  edificazione  del  Presepio  di  Santa 
Maria  Maggiore.  Il  quarto  rovescio,  la  cui  riproduzione  si 
può  vedere  pure  nel  Litta  e  nel  Trésor  de  Numismatique^ 
è  senza  leggenda  (12).  Reca  soltanto  lo  scudo  gentilizio  della 
famiglia  patrizia  de'  Barbo  di  -  Venezia ,  sormontato  dal 
Triregno  e  dalle  Chiavi  (l^). 

Di  nessuna  delle  quattro  medaglie  o,  dirò  meglio , 
de'  quattro  rovesci  del  Vellano  si  son  additate  dal  Gualdo 
le  dimensioni.  Se  l'unicità  e  l'identicità  delle  storie  e  delle 
leggende  tolgono  ogni  dubbio  che  i  tre  primi  rovesci  sieno 
quelli  di  millimetri  trentanove,  descritti  dall 'Armand,  non 


(11)  Idem,  Tom.  IL  pag.  33.  n.  14.  —  Litta,  Famiglie  celebri  italiane, 
Barbo,  ii.  13.  —  Trésor  de  Nuin.,  I.  xxiii,  4.  —  «  In  un'altra  (medaglia), 
«  quando  (Paolo  II)  edificò  il  Presepio  in  Santa  Maria  Maggiore,  dove  si 
«  vedo  la  Beatissima  Vergine  con  il  Puttino  fra  animali  e  pastori.  Pabulum 
Salutis  è  il  suo  «  moto  (sic).  »  Gualdo,  Msc.  cit. 

(12 j  Armand,  op.  cit.  n.  15.  —  Trésor  de  Numismatique  I.  xxiii.  5. 
—  Litta,  Famiglie  celebri  Italiane^  Barbo,  n.  10. 

(13)  «  In  altra  (medaglia)  è  pur  Teffigio  del  papa  con  V  armi  Barbo , 
«  famiglia  Veneta.  »  Gualdo,  Msc.  cit. 


MEDAGLIE    DEL   VELLANO    DI    PADOVA   IN    ONORE    DI    PAOLO    II        553 

altrettanto  si  può  dir  con  certezza  del  quarto.  Le  me- 
daglie in  onore  di  Paolo  ,  con  lo  scudo  dei  Barbo  nel 
rovescio,  sono  parecchie:  ma  i  rovesci  privi  di  leggenda 
son  due  solamente,  l'uno  del  diametro  di  mill.  trenta- 
nove, del  quale  s'è  parlato,  l'altro  di  mill.  quarantaquattro 
per  trent'otto,  nel  cui  diritto  si  legge:  PAVLO  •  VENETO  • 
PAPE  •  Il  •  ITALICE  •  PACIS  •  FVNDATORI  •  ROMA  •  È  la  me- 
daglia, che  si  riferisce  all'  editto  di  Paolo,  relativo  alla 
pacificazione  d' Italia  del  1468  (1^),  conservata  in  iin  bel- 
l'esemplare anche  nel  Museo  Civico  di  Vicenza.  A' due 
rovesci,  privi  di  leggende,  si  potrebbe  anche  aggiungere  un 
terzo:  ma  su  questo,  che  ha  il  diametro  di  sessantasei  per 
quarantaquattro  millimetri ,  non  vuoisi ,  mi  pare ,  nem- 
meno discutere,  essendo  una  riproduzione  in  rilievo  d' un 
intaglio  in  corniola,  custodito  nella  Galleria  degli  Uffìzi 
in  Firenze,  allusivo  al  Giubileo  del  1470  ,  come  appare 
dalla  leggenda:  PAVLO  •  VENETO  •  PAPE  •  Il  •  ANNO  •  PVBLI- 
CATIONIS  •  IVBILEI  •  ROMA  (15).  Resterebbe  pertanto  il  dubbio, 
se  opera  del  Vellano  sia  il  rovescio  di  millimetri  trentanove, 
o  r  altro  di  millimetri  quarantaquattro  per  trent'  otto. 
Dato  però,  come  attesta  il  Gualdo,  che  l'artefice  padovano 
lavorasse  la  medaglia  di  millimetri  trentanove  co'  rovesci 
rappresentanti  l'abside  del  san  Pietro,  l'udienza  pubblica 
e  il  Presepio  di  Santa  Maria  Maggiore  ,  non  pare  che 
anche  la  medaglia  col  rovescio,  rappresentante  lo  scudo 
dei  Barbo  senza  leggenda  ,  dovesse  avere  dimensione  di- 
versa. Lo  fa  presumere  ,  non  fosse  altro  ,  il  millesimo 
del  rovescio  ,  ov'è  scolpita  la  tribuna  di  San  Pietro  in 
Roma,  che  si  accorda,  come  ho  detto,  col  tempo,  in  cui 
il  Vellano  lavorava  nel  palazzo  di  Venezia. 


(14)  Armand,  Tom.  II,  pag.  33,  n.  17.  —  Trésor  de   Numismatique  , 
I.  xxiii,  7.  —  LiTTA,  op.  cit..  Barbo,  n.  17. 

(15)  Armand,  Tom.  III.  pag.  162.  D. 


554  BERNARDO    MORSOLIN 


I  quattro  rovesci,  de'  quali  s'  è  parlato,  non  sono  i 
soli  della  medaglia  ,  che  il  Gualdo  dichiara  lavoro  del 
Vellano.  L'Armand  ne  descrive  altri  tre.  L'uno  porta, 
chiusa  in  una  corona ,  la  leggenda ,  in  cui  si  com- 
memora :  lACOBVS  •  COTTIFREDVS  •  ROMÀNVS  •  PHISICVS  • 
EIVSDEM  •  SVFFRÀGIO  •  HAS  AEDES  •  A  •  FVNDAMENTIS  • 
EREXIT.  Il  Gottifredi  era  primo  medico  di  Paolo,  col  cui 
assenso  aveva  fabbricata  la  sua  casa  in  piazza  Kavona  ; 
casa  ,  demolita  il  1692  nel  luogo  ,  ove  sorge  la  Chiesa 
di  Sant'Agnese.  La  medaglia  fu  anzi  scoperta  in  quel  sito 
e  in  quell'anno  (l^).  L'altro  rovescio  è  identico  a  quello 
della  leggenda  :  AVDIENTIA  •  PVBLICA  •  PONT  •  MAX.  Non 
varia  che  in  quest'ultima,  sostituendovisi  :  CONSISTORIVM  • 
PVBLICVM  (1"^).  Il  terzo  reca,  come  quello  in  memoria  del 
Gottifredi,  la  sola  scritta  entro  una  corona.  Vi  si  legge 
cioè  :  ANNO  •  CHRISTI  •  MCCCCLXX  •  HAS  •  AEDES  •  CON- 
DIDIT  (18).  Che  questi  tre  rovesci  possano  essere,  come 
gli  altri,  opera  del  Vellano,  non  è  cosa,  che  si  voglia  ne 
asserire ,  ne  negare.  Potrebbesi  anche  pensare  che  al 
diritto  del  Vellano,  conservato  nella  zecca  pontificia,  si 
adattassero  all'occorrenza  i  nuovi  rovesci  lavorati  per  mano 
d'altri  artefici.  E  tali  vorrebbero  credersi  forse  i  due  dalle 
corone  con  entrovi  le  leggende.  Del  Vellano  sarebbe  a  ripu- 
tarsi piuttosto  il  rovescio  con  la  leggenda:  CONSISTORIVM  • 
PVBLICVM.  Lo  esige  l'identità  della  storia  con  l'altro  dalla 
leggenda:  AVDIENTIA  •  PVBLICA  •  PONT  •  MAX  •  (19). 


(16)  Idem,  Tom.  II.  pag.  32.  n.  11.  Tom.  HI.  pag.  163.  e.  —  Litta, 
op.  e  loc.  cit.,  n.  12. 

(17)  Armand.  Tomo  II,  pag.  32,  n.  10.  —  Trésor  de  Numismatiqtte,  I, 
fase.  XXIII. 

(18)  Armand.  Tomo  II,  pag.  33,  n.  16.  —  Litta,  op.  o  loc.  cit.,  n,  9. 

(19)  Armand.  Tomo  II,  pag.  33. 


MEDAGLIE    DEL    VELLANO    DI    PADOVA   IN    ONORE    DI    PAOLO    II        555 

»   # 

La  quinta  medaglia ,  lavorata  dal  Vellano  in  onore  di 
Paolo  II  e  della  quale  si  conservano  due  esemplari  nel 
Museo  Civico  di  Vicenza  (20),  è  di  dimensioni  minori  della 
descritta.  Il  suo  diametro  raggiunge  appena  i  millimetri 
trentatrè.  Rappresentasi  nel  diritto  il  Papa  volto  a  sinistra 
con  la  testa  scoperta  e  indosso  il  piviale.  Il  profilo  ,  la 
posa  e  la  foggia  degl'indumenti  sono  gli  stessi  della  meda- 
glia di  trentanove  millimetri.  Intorno  al  busto  di  Paolo 
corre  la  leggenda:  PAVLVS  •  VENETVS  •  PAPA  •  II.  Nel 
rovescio  è  scolpito  il  palazzo  di  Venezia  in  Roma,  somi- 
gliante, come  dice  il  Gualdo,  a  c(  un  gran  castello  d.  Vi  si 
legge  air  ingiro:  HAS  •  AEDES  •  CONDIDIT  •  ANNO  •  CHRISTI  • 
MCCCCLXV  (21).  E  aneli.' essa  una  delle  medaglie,  illustrate 
dall' Armand  e  riprodotte  dal  Litta  (22).  Ma  il  rovescio  , 


(20)  Oltre  a  questi  e  agli  altri  esemplari,  dei  quali  si  è  fatto  cenno,  con- 
servasi nel  Museo  Civico  di  Vicenza  un  bell'esemplare,  in  metallo  dorato,  della 
medaglia  di  millimetri  settantotto,  che  fu  coniata  in  memoria  del  Concistoro 
pubblico  del  1466.  È  la  medaglia,  che  fu  riprodotta  dal  Litta,  al  n.  18  e  si 
incontra  nel  novero  delle  medaglie  papali  del  Trésor  de  Numismatique  et 
Ghjptique,  II,  5,  e  neWHistorische  Miinz-Belustigung  del  Koehler,  II,  201. 
Nel  diritto  si  rappresenta  Paolo  in  trono,  che  presiede  al  Concistoro  ed  ha 
airingiro  la  leggenda:  sacrvm  .  pvblicvm  .  apostolicvm  .  consistorivm 
—  PAVLVS  .  VENETVS  .  pp  .  II.  Mirasi  nel  rovescio  Gesù  in  cielo;  nella 
parte  superiore  una  moltitudine  di  Angeli  e  nella  inferiore ,  a  destra  e  a 
sinistra.  Apostoli  e  Dottori  e  al  basso  la  Vergine  e  san  Giovanni  Battista, 
che  adorano  la  croce,  e  la  risurrezione  de'  morti  per  gli  Angeli  che  suonan 
le  trombe.  Vi  si  legge  all'intorno  :  ivstvs  .  es  .  domine  .  et  .  rectvm  .  iv- 
DicivM  .  TVVM  .  miserere  .  NOSTRI .  DO  .  MisERERE  .  NOSTRI.  È  la  medaglia 
in  un  «  pièce  en  or  de  la  valeur  de  20  sequins ,  dont ,  dice  l' Armand , 
«  nous  avons  vu  un  bel  exemplaire  entre  les  mains  de  M.  A.  Hess,  de  Franc- 
«  fort-sur-Mein  ».  «  Elle,  soggiunge,  a  été  executèe,  comrae  une  monnaie, 
«  c'est-à-dire  avec  un  faible   relief  et  a  ótó  frappée  ».  Tom  II,  pagina  34. 

(21)  «  In  altra  (medaglia)  si  porge  lo  stupendo  palagio  di  S.  Marco, 
<  quasi  un  gran  castello,  nelle  quali  (medaglie)  tutte  sta  efiHgiato  il  Papa 
«  mirabilmente.  In   questa  sta  scolpito  :  has  .  aedes  .  condidit  .  anno  . 

«   CHRISTI  :   MCCCCLXV  ».   GUALDO,   MSC.   CÌt. 

(22)  Armano.  Tomo  II,  pag.  32^  n.  4.  —  Litta,  op.  cit.  Barbo,  n.  4» 


556  <-  BERNARDO    MORSOLIN 

del  quale  si  parla  dal  Gualdo,  non  è  T  unico.  A  quello, 
che  reca  il  palazzo  di  Venezia  in  Roma ,  voglionsene 
aggiungere  altri  quattro.  In  due  si  ha  lo  scudo  dei  Barbo, 
sormontato  dalla  tiara  e  dalle  chiavi,  con  leggenda  diversa. 
Nell'uno  è  incisa  la  stessa,  che  leggesi  intorno  al  palazzo 
di  Venezia  in  Roma:  HAS  •  ÀEDES  •  CONDIDIT  •  ANNO  • 
CHRISTI  •  MCCCCLXV  .  ;  nell'altro  sta  scolpito:  HANC  • 
ARCEM  •  CONDIDIT  •  ANNO  •  CHRISTI  •  MCCCCLXV  •  (23).  Ne' 
due  altri  rappresentasi  una  donna  inginocchiata  fra  due 
fanciulli.  Nell'uno  leggesi:  LETITIA  •  SCOLASTICA  •  A  •  BO; 
neir  altra,  dove  la  donna  tiene  in  mano  un  cornucopia, 
sta  scritto:  HILARITAS  •  PVBLICA  (24).  Ora  io  non  dirò  che 
i  quattro  rovesci  sien  tutti,  come  l'unico  diritto,  del  Vel- 
lano.  Non  darebbe  forse  in  fallo  chi  ritenesse  di  lui  i  due 
dallo  scudo  dei  Barbo  ,  sormontato  dalla  tiara  e  dalle 
chiavi.  Neir  A  •  80  •  del  rovescio  ,  rappresentante  la 
donna  inginocchiata  fra  due  fanciulli  con  la  leggenda  : 
LETITIA  •  SCOLASTICA  -,  fu  riconosciuto  da  Gaetano  Mi- 
lanesi r  Aristotele  Bolognese  ,  o  altrimenti  1'  Aristotele 
Fioravanti  da  Bologna,  ingegnere  e  architetto,  a  cui 
commettevasi  da  Paolo  il  trasporto  di  un  obelisco  (25).  Io 
non  ho  sott' occhio  ne  questo,  né  l'altro  rovescio,  dove 
la  donna,  inginocchiata  fra  due  fanciulli,  tiene  in  mano 
il  corno  dell'abbondanza  e  si  legge:  HILARITAS  •  PVBLICA. 
Ma  a  giudicare  dalla  somiglianza  del  concetto  vorrebbesi 
credere  che  l'artefice  dell'ultimo  de'due  non  fosse  altro  dal 
Fioravanti  di  Bologna ,  se  pur  non  è  l' identico  rovescio 
della  medaglia  d'uguale  dimensione,  il  cui  diritto,  rap- 


(23)  Armand.  Tomo  li,  pag.  32,  n.   5-6.    —    Trésor   de  Numisma- 
tique,  I ,  XXIII,  6.  —  Litta,  op.  cit.  Barbo,  n.  5. 

(24)  Armano.  Tomo  II,  u.  7-8.  —  Litta,  op.  cit.  Barbo,  n.  2-3, 

(25)  Armand.  Tomo  III,  pa^.  163^  b, 


MEDAGLIE    DEL   YELLANO    DI    PADOVA   IN    ONORE    DI    PAOLO    II         557 

presentante  Paolo  secondo,  volto  a  sinistra,  con  la  testa 
scoperta  e  il  piviale  a  fogliami  ,  reca  la  leggenda  : 
PAVLVS  •  SECVNDVS  •  PONT  •  MAX  •  (26).  Il  fatto  poi  della 
medaglia,  che  reca  nel  rovescio  le  iniziali  di  Aristotele 
da  Bologna,  mi  trae  a  credere  che  i  rovesci  si  lavorassero 
come  ho  detto  e  si  applicassero,  all'occorenza,  a'  diritti 
già  eseguiti  da  altra  mano. 

*  * 

Il  Vasari  non  fa  cenno,  come  s'è  avvertito,  che  d'una 
sola  medaglia  ,  lavorata  dal  Vellano  in  onore  di  Paolo. 
Dalle  parole  del  Gualdo  risulta  invece  che  le  medaglie 
furono  più  d'una;  e  risulta,  ad  un  tempo,  che  nel  suo 
Museo  se  ne  custodivano  anche  altre  del  medesimo  artefice 
in  onore  d'altri  individui.  Il  che  non  fa  punto  contro  il 
Vasari,  il  quale  pure  afferma  ugualmente  che  il  Padovano 
avea  lavorato  più  medaglie.  Non  vuoisi  anzi  tacere  che  lo 
scrittore  delle  Vite  degli  artisti  ne  segnala  tre  delle  più 
notevoli,  quella  cioè  in  onore  di  Paolo  e  due  altre  in 
onore,  Tuna  di  Bartolomeo  Platina,  l'altra  di  Antonio 
Rosselli,  un  celebre  giureconsulto  d'Arezzo.  La  dispersione 
del  Museo  ,  compiutasi  verso  la  fine  del  secolo  decimo 
settimo,  non  concede  di  certo  che  si  possa  congetturare 
quali  fossero  le  altre  accennate  dal  Gualdo  (2'?).  Ben  si 
può  credere  che  la  testimonianza  di  lui,  riguardo  alle 
medaglie  in  onore  di  Paolo,  non  lasci  campo  a  dubbio 
alcuno.  Il  Museo,  a  mezzo  il  secolo  decimosettimo,  quando 


(27)  «  Ito  parimente  alcune  medaglie  dello  stesso  (Vellano)  fra  le  quali 
di  Papa  Paolo,  etc.  »  Gualdo,  Msc.  cit. 

(26)  Armand.  Tomo  III,  pag.  162,  B,  C,  D.  —  Si  badi  poi  che  questa 
stessa  medaglia  e  altre  due  in  onore  di  Paolo  furon  fatte,  o  dirò  meglio, 
riprodotte  dal  Paladino,  quali  medaglie  di  riproduzione.  Armano.  Tomo  II; 
pa^.  31,  n.  20,  21,  22,  23.  Tomo  III,  pag.  162,  n.  D,  E,  F. 

7» 


553  B.    MORSOIJN  -  MEDAGLIE    DEL    VELLANO    DI    PADOVA,    ECC. 

il  Gualdo  ne  faceva  la  descrizione ,  era  già  ordinato 
da  oltre  cent'  anni.  Fondato  da  Girolamo  Gualdo ,  vis- 
suto in  Roma  ai  tempi  di  Leone  decimo  e  di  Clemente 
settimo,  erasi  arricchito,  a  mezzo  il  secolo  decimosesto, 
delle  medaglie,  che  adornavano  quello  studio  di  Valerio 
Belli,  il  quale  fu  chiamato  dal  Vasari  «  uno  stupore  d. 
Aggiungasi  che  Paolo  II,  quando  saliva  al  pontificato, 
era  già  vescovo  di  Vicenza,  e  che  da  Vicenza  lo  se- 
guivano a  Roma  parecchi  cittadini,  ira' quali  Guglielmo 
Pagello,  il  quale  lo  ebbe  a  servire  in  qualità  di  segretario. 
Questi  fatti  sono,  mi  pare,  più  che  sufficienti  a  far  credere 
che  i  Vicentini  dovessero  esser  molto  addentro  ne'  fasti 
di  quel  pontificato,  e  che  il  Gualdo,  vissuto,  almeno  nella 
sua  giovinezza,  co'  contemporanei  di  Paolo ,  non  dovesse 
ignorare,  in  un  secolo  protettore  e  ammiratore  degli 
artisti,  quale  il  decimosesto,  le  opere  degne  di  partico- 
lare encomio  e  tra  le  altre  c][uelle  del  Vellano,  ch'era  vis- 
suto in  Padova,  così  vicina  a  Vicenza,  e  aveva  lasciato 
di  se  singoiar  nominanza. 

Ajjrile  1890. 

Bernardo  Morsolin. 


MEDAGLIE  ITALIANE  DEL  1889 


(UNA  AGGIUNTA). 

Abbiamo  una  breve  aggiunta  da  fare  al  nostro  articolo 
sulle  Medaglie  italiane  del  1889  pubblicato  nel  fascicolo  II 
della  nostra  Rivista^  anno  III,  1890.  E  l'aggiunta  si  riferisce 
ad  una  medaglia  illustrante  il  viaggio  fatto  nel  maggio  1889 
da  Sua  Maestà  il  Re  Umberto  in  Germania. 

Nel  ritornare  da  Berlino  in  Italia,  Sua  Maestà  si  fermò 
a  Francoforte  sul  Meno  per  passarvi  in  rassegna  il  primo 
reggimento  Ussari  d'Assia  N.  13,  del  quale  Sua  Maestà  è 
colonnello  onorario  e  del  quale  il  principe  ereditario  Vit- 
torio Emanuele  è  luogotenente.  La  rassegna  ebbe  luogo 
il  27  maggio  durante  la  breve  fermata  di  Re  Umberto  a 
Francoforte,  e  la  medaglia  che  ricorda  tal  fatto  è  la  seguente  : 

Diam.  mm.  55 
^  —  Busto,  in  uniforme  militare  italiana  con  decorazioni, 

e  mantello  sulle  spalle,  testa  nuda  a  destra.  In  giro,  ai 

lati:  UMBERTO  —  RE  D'ITALIA. 
]^   —  Nella    metà    superiore   del   campo  in   sette    linee: 

ZUR    ERINNERUNG    -      AN    DEN    BESUCH    S.  M.  KONIG- 

—  HUMBERT'S  V.  ITALIEN  —  UND  BESICHTIGUNG  DES  — 
I*""  HESS'ISCHEN  HUSAREN  —  REO.  N.  13  —  IN  FRANK- 
FURT 7m.  27  MAI  1882.  Nel  centro  della  medaglia,  oriz- 
zontalmente, fregio;  e  nella  parte  inferiore  del  campo, 
in  sette  linee:  IN  MEMORIA  AL  PASSAGGIO  IN  —  FRAN- 
COFORTE 7m.  DI  S.  M.  IL  RE  —  UMBERTO  D'ITALIA  — 
ALLORCHÉ  PASSO  IN  RIVISTA  IL  ~    XIII    REGGIMENTO 

—  USSARI  DI  ASSIA  —  27  MAGGIO  1889.  Sotto,  in 
piccolissime  lettere  Lauer. 


560  A.    COMANDINI  •  MEDAGLIE    ITALIANE    DEL    1889 

Dal  Lauer  di  Norimberga  furono  eseguite  altre  medaglie, 
nei  nostri  articoli  precedenti  descritte,  illustranti  il  viaggio 
di  Sua  Maestà  a  Berlino  :  ed  anzi  il  busto  di  Ee  Umberto 
effigiato  nel  diritto  di  questa  medaglia  è  lo  stesso  portato 
dalla  medaglia  N.  4  descritta  nel  nostro  primo  articolo.  {Ri- 
vista Numismatica^  anno  II,  fase.  II,  pag.  262). 

I  Ottobre  1890. 

A.  CoMANDINI. 


VITE 


DI 


ILLUSTRI  NUMISMATICI  ITALIANI 


vin. 
ENNIO  QUIRINO  VISCONTI 


Primogenito  di  Gian  Battista  Antonio  Visconti,  Ennio 
Quirino  nacque  in  Roma  ai  30  ottobre  1761.  Il  padre,  uomo 
coltissimo,  Prefetto  delle  Antichità,  accortosi  della  precoce 
intelligenza  del  bambino,  quasi  presago  della  sublime  al- 
tezza cui  avrebbe  poggiato,  non  volle  affidare  ad  altri  la 
cura  di  coltivare  i  primi  germi  del  di  lui  ingegno,  ma  riserbò 
a  sé  solo  l'educazione  del  figlio  ;  né  fallirono  le  sue  speranze, 
e  rapidi  ne  vide  i  frutti.  A  diciotto  mesi  Ennio  conosceva 
già  tutte  le  lettere  dell'  alfabeto  ;  a  due  anni  distingueva 
sulle  medaglie  1'  effìgie  di  tutti  gì'  imperatori  romani  da 
Cesare  sino  a  Gallieno  ;  a  tre  anni  e  mezzo  leggeva  cor- 
rettamente latino  e  greco.  Dotato  di  prodigiosa  memoria,  a 
dieci  anni  maravigliò  i  più  dotti  per  le  sue  cognizioni  in 
geografìa,  storia,  cronologia,  numismatica  e  geometria,  e  a 
tredici,  in  un  solenne  esame,  nella  Biblioteca  Angelica, 
seppe  risolvere  i  più  astrusi  problemi  della  trigonometria, 
dell'analisi  e  del  calcolo  differenziale.  I  giornali  letterari 
e  scientifìci  di  quel  tempo  si  occuparono  di  cosi  raro  fe- 
nomeno, e  colmarono  di  elogi  il  precoce  scienziato.  Uscito 
da  una  schiatta  illustre  per  uomini  colti  ed  eruditi,  in 
breve  tempo  li  eclissò  tutti  colla  prevalenza  del  suo  ingegno 


562  e.  LUPPi 


e  la  vastità  della  sua  dottrina.  Giovanissimo,  e  già  esperto 
nelle  lingue  classiche  di  Grecia  e  di  Roma ,  preso  dalle 
bellezze  della  poesia,  sfogò  la  sua  nobile  passione  tradu- 
cendo in  versi  italiani  i  capolavori  dell'  antichità,  e  in 
occasione  d'una  visita  fatta  a  Roma  da  Giuseppe  II,  offerse 
il  suo  omaggio  a  quell'  imperatore  in  versi  italiani,  greci 
e  latini.  Ma  la  spiccata  tendenza  del  secolo  alle  indagini 
archeologiche,  rinvigorita  allora  più  che  mai  dalle  scoperte 
recenti  di  Ercolano  e  Pompei,  nonché  dagli  scavi  della  Villa 
Adriana,  avevano  suscitato  anche  tra  noi  una  gara  vivis- 
sima di  ricerche  e  di  nuovi  studi  per  ricostruir  colla  scorta 
di  quelle  scoperte  la  storia  della  splendida  civiltà  greco- 
latina.  Movimento  si  grande  non  potè  a  meno  di  comunicarsi 
anche  all'  ingegno  potente  del  Visconti ,  già  preparato  a 
quell'impulso  da'  severi  studi  già  fatti,  sorretto  da  memoria 
prodigiosa  e  da  moltiforme  erudizione.  Fu  quello  il  tempo, 
che  a  papa  Clemente  XIV,  per  assecondare  tanto  ardore 
di  studi  e  di  ricerche,  venne  il  pensiero  di  fondare  in 
Vaticano  altro  vasto  museo  in  supplemento  al  Capitolino, 
per  raccogliere  in  esso  i  monumenti  più  importanti  che  si 
andavano  mano  mano  scoprendo,  e  quelli  che  da  tempo 
giacevano  ignorati  nei  palazzi  e  nei  conventi  di  Roma. 
Il  padre  di  Ennio,  nella  sua  qualità  di  Prefetto  delle  An- 
tichità, fu  chiamato  a  si  nobile  incarico,  e  a  presiedere 
alla  scelta,  agli  acquisti  e  al  collocamento  dèi  tesori,  che 
affluivano  al  nuovo  museo.  Pio  VI,  succeduto  nel  1775  a 
Clemente,  continuando  la  magnanima  impresa  del  suo  an- 
tecessore, ordinò  nuovi  scavi  e  nuovi  acquisti.  11  Visconti 
mantenuto  dal  Pontefice  alla  direzione  e  all'ordinamento  di 
queir  enorme  congerie,  sopraffatto  dall'  immane  lavoro,  si 
associò  dapprima  il  figlio  secondogenito  Aurelio,  coli' aiuto 
del  quale  potè  affrettare  il  compimento  dell'insigne  colle- 
zione, che  col  nome  di  Museo  Pio-Clementino,  divenne  in 
breve  la  scuola  degli  artisti  e  degli  antiquari  di  tutto  il 
mondo.  Ennio  intanto  il  7  agosto  1771  consegue  il  grado 
di  dottore  in  diritto  romano  e  canonico;  il  principe  Sigis- 
mondo Chigi,  suo  amico  ed  ammiratore,  lo  elegge  a  suo 
bibliotecario,  assegnandogli  abitazione  e  tavola  nel  proprio 


VITE    DI    ILLUSTRI    NUMISMATICI    ITALIANI  563 

palazzo  ;  e  affinchè  potesse  attendere  con  maggior  agio  ai 
suoi  studi,  gli  concede  in  aiuto  l'abate  Carlo  Fea  con  titolo 
di  sottobibliotecario.  In  questo  frattempo,  causa  le  soverchie 
fatiche  dell'ordinamento  del  nuovo  museo,  il  padre  fu  colto 
da  malattia  giudicata  inguaribile.  Allora,  annuente  il  Papa, 
che  aveva  smesso  il  pensiero  di  fare  di  Ennio  un  prete  e 
forse  un  cardinale,  chiamò  presso  di  sé  il  suo  primogenito, 
valendosi  del  suo  potente  ingegno  e  della  sua  sconfinata 
erudizione  a  dare  vita  all'insigne  raccolta.  In  collaborazione 
con  Ennio  potè  fìualmente  nel  1782  dare  alla  luce  il  primo 
volume  illustrativo  del  Museo  Pio-Clementino,  considerato 
quale  opera  classica  ed  unica  nel  suo  genere.  Gian  Battista 
non  sopra  visse  che  due  anni  a  tanta  gloria;  morto  nel  1784, 
Ennio  continuò  da  solo  l' illustrazione  del  Museo,  pubbli- 
candone il  secondo  volume  in  quell'anno  stesso,  riscuotendo 
per  sé  nuovi  elogi,  ed  estendendo  la  sua  fama  oltre  i  confini 
della  penisola.  Il  predominio  cosi  conquistato  da  Ennio  in 
ogni  ramo  della  scienza  archeologica  gli  valse  la  nomina 
a  Conservatore  del  Museo  Capitolino.  Sposata  nel  1786  la 
sua  diletta  Angela  Teresa  Doria,  tranquillo  di  mente  e  di 
cuore,  consacrò  intera  la  sua  attività  agli  studi  prediletti, 
producendo  opere  che  segnano  un'orma  luminosa  nelFardua 
scienza  dell'  antichità,  fra  le  quali  principalissima  la  con- 
tinuazione del  Museo  Pio-Clementino ,  pubblicandone  ad 
intervalli  gli  altri  volumi  fino  al  settimo,  composto  a  Parigi 
ed  edito  in  Roma  nel  1807. 

Il  Visconti  non  si  lasciò  mai  sfuggire  1'  occasione  di 
esaminare  e  di  descrivere  i  monumenti  d'ogni  sorta  che  si 
venivano  di  continuo  scoprendo.  Nel  1785  colla  sua  profonda 
dottrina  illustra  il  vetusto  Monumento  degli  Scipioni^  pub- 
blicato con  aggiunte  del  Piranesi  ;  nel  1787  i  Monumenti 
scritti  del  Museo  Jenkins  ;  nel  1788  le  Osservazioni  su  due 
mosaici  antichi  istoriati  della  Collezione  del  Cav.  d'Azara  ; 
inserisce  poco  dopo  nella  Raccolta  del  Quattoni  lettere  e 
descrizioni  sopra  varie  antichità,  e  nel  Museum  "Worstlianum 
di  Londra  le  Dissertazioni  sopra  un  bassorilievo  rappre- 
sentante Giove  e  Minerva  che  ricevono  gli  omaggi  da  una 
folla  di  Ateniesi  ;  nel  1793  le  Osservazioni  sopra  un  anticQ 


564  e.  LUPPi 


cammeo  rappresentante  Giove  Egioco;  e  la  Lettera  sopra 
un'antica  o.rgenteria  nuovamente  scoperta  in  Roma;  nel 
1794  le  Iscrizioni  greche  Triopee,  ora  Borghesiane,  con 
versioni,  e  le  Pitture  di  un  antico  vaso  fittile  trovato  nella 
Magna  Grecia  ed  appartenente  a  S.  A.  il  signor  Principe 
Stanislao  Poniatoioski  ;  e  nel  1797  i  Monumenti  Gabini  della 
Villa  Piìiciana.  Evidentemente  dalla  surriferita  nota  si  chia- 
risce quanto  grande  fosse  l'operosità  del  Visconti  per  tanti 
e  si  svariati  lavori,  e  quanto  meravigliosa  fosse  la  versatilità 
del  suo  ingegno  nel  passare  per  si  differenti  argomenti, 
trattati  sempre  con  inesauribile  erudizione. 

In  mezzo  però  a  si  grande  fervore  di  studi  si  erano 
maturati  in  Europa  grandi  avvenimenti,  la  rivoluzione  in 
Francia,  1789,  e  1'  invasione  dei  repubblicani  francesi  in 
Italia,  1796. 

Nell'ottobre  dell'anno  1797  il  Berthier  coi  Francesi  entra 
anche  in  Roma,  vi  instituisce  tosto  un  governo  provvisorio,  e 
inaugura  la  Repubblica,  chiamandovi  a  reggere  il  Ministero 
degli  interni  il  nostro  Visconti,  ed  eleggendolo  poco  di  poi 
uno  dei  cinque  del  Consolato,  1798.  Per  tal  modo  il  sommo 
archeologo  trovossi  ingolfato  senza  volerlo  nel  mare  torbido 
della  politica  e  della  guerra,  a  cui  l'indole  sua  mite,  ed  il 
suo  genio  lo  rendevano  affatto  inetto.  Pertanto  non  corri- 
spondendo alle  speranze  dei  più  esaltati ,  abbeverato  di 
amarezze,  fu  privato  dopo  breve  tempo  di  quelle  cariche, 
onde  ritornò  con  gioia  a'  suoi  studi.  Ma  non  doveva  lunga- 
mente godere  di  quella  tranquillità,  perchè  impadronitisi  i 
napoletani  dell'eterna  città,  il  Visconti,  temendone  le  ire  per 
aver  servito,  sebbene  nolente,  il  governo  francese,  abbandona 
la  patria,  ricoverandosi  colla  famiglia  in  Perugia.  Quel  suo 
primo  esilio  durò  solo  ventisei  giorni,  perocché  ripresa  Roma 
dai  francesi  con  Championnet,  il  Visconti  rivide  la  sua  città 
nativa,  ma  dovette  ben  presto  rifare  i  passi  dell'  esilio  al 
nuovo  sopraggiungere  dei  napoletani,  al  novembre  del  1799, 
e  questa  volta  si  trovò  separato  dai  figli  e  dalla  moglie  che 
teneramente  amava.  Dopo  molte  avventure  potè  finalmente 
rifugiarsi  in  Francia,  dalla  quale  non  si  allontanò  più  mai. 
Appena  toccatp  il    suolo  francese^  una  lettera  di    (juel  Gq- 


E.  Ce..      -    I  S  C  ON  f  f 


7» 


VITR  DI   ILLUSTRI  NTTMISMATICI    ITALIANI  567 

verno,  18  dicembre,  la  ascrive  tosto  tra  gli  Amministratori 
del  Museo  clie  stavasi  formando  al  Louvre  colle  spoglie 
di  tutta  Europa,  e  specialmente  d'Italia,  ed  ebbe  il  titolo 
di  Sorvegliante,  poi  di  Professore  di  archeologia,  finalmente 
la  carica  di  Conservatore  delle  antichità,  1803,  e  Membro 
dell'Istituto,  1804.  Tutti  i  Francesi  più  colti  si  rallegrarono 
dell'esaltazione  del  Visconti  a  quel  posto,  pensando  essere 
Ennio  Quirino  una  delle  più  belle  conquiste  fatte  dalla 
Francia  in  Italia.  In  questo  suo  nuovo  stato  tranquillo  ri- 
prende con  nuova  lena  i  suoi  studi  interrotti.  Compone  il 
Catalogo  di  quel  vasto  Museo  da  lui  presieduto,  descrivendo 
brevemente,  ma  colla  sua  usata  dottrina  la  più  splendida 
collezione  che  sia  mai  esistita  al  mondo  ;  illustra  lo  Zodiaco 
di  Tentira^  scoperto  recentemente  dai  Francesi  in  Egitto  e 
dopo  un  gran  numero  di  scritti  minori  e  d'occasione,  per 
ordine  di  Napoleone  nel  1804  pò  n  mano  alla  grande  opera 
àeW Iconografia  greca  e  romana,  ossia  alla  collezione  dei 
ritratti  autentici  di  tutti  i  regnanti  e  dei  personaggi  illustri 
dell'antichità.  U Iconografia  greca  apparve  nel  1808  in  tre 
volumi,  ed  è  e  sarà  nei  secoli  futuri  il  monumento  più 
bello  della  sua  gloria.  La  fama  del  Visconti  aveva  toccato 
il  suo  apogeo  ;  la  sua  autorità  in  fatto  di  archeologia  giu- 
dicata quasi  inappellabile,  talché  gli  Inglesi  ebbero  ricorso 
alla  sua  dottrina  e  chiamarono  in  Londra  Ennio  Quirino  per 
giudicare  del  valore  delle  insigni  scolture  tolte  al  Partenone 
nel  1817  da  Lord  Elgin  e  da  questo  trasportate  in  Inghil- 
terra. Il  Visconti ,  giudicatele  opera  in  gran  parte  dello 
scalpello  di  Fidia,  loro  attribuì  un  prezzo  altissimo,  dicono 
35  mila  ghinee.  Ritornato  il  Visconti  in  Francia,  descrisse 
quei  monumenti  in  una  Memoria  sopra  alcune  opere  di 
scoltura  del  Partenone  e  di  alcuni  edifici  dell'Acropoli  d'A- 
tene. Ma  la  vita  del  sommo  archeologo,  logorata  da  tante 
fatiche,  volgeva  al  suo  termine.  Fin  dal  1816  si  manifesta- 
rono i  sintomi  della  malattia  che  lo  doveva  rapire  a'  suoi 
ammiratori,  per  addurlo  al  tempio  dell'immortalità  ;  un'af- 
fezione morbosa  alla  vescica,  cui  la  scienza  non  potè  rime- 
diare, dopo  lunghe  sofferenze,  lo  spense  il  7  febbraio  1818, 
nella  non  tarda  età  di  67  anni.  Poco  prima  di  morire  aveva 


568  e,  Luppi 


pubblicato  il  primo  volume  dell'  Iconografia  romana  che 
doveva  degnamente  far  seguito  alla  greca.  L'annunzio  della 
sua  morte  commosse  tutto  il  mondo  civile,  e  ai  suoi  funerali 
non  solo  l'Italia,  ma  la  Grecia,  la  Germania,  la  Svezia,  la 
Danimarca,  l'Inghilterra,  la  Spagna,  il  Portogallo,  vi  vollero 
essere  rappresentate  per  mezzo  de'  loro  scienziati  e  de'  perso- 
naggi più  illustri,  a  Nel  cimitero  del  Padre  Lachaise  gli  venne 
u  eretta  una  tomba  ornata  del  suo  busto  ;  mentre  in  E-oma 
tt  ed  in  Bologna  si  celebrava  la  sua  memoria  ed  i  giornali 
u  facevano  a  gara  nello  spargere  fiori  sulla  sua  tomba,  w  (*) 
—  Di  tutte  le  opere  dell'  ingegno  fecondissimo  di  Ennio 
Quirino,  quelle  che  interessano  più  da  vicino,  e  in  sommo 
grado  gli  studi  nostri  sono  le  due  ultime  citate,  cioè  V Ico- 
nografia greca  e  V Iconografia  romana  ;  in  ispecie  la  prima, 
perchè  compiuta,  e  più  ardua,  comprendente  la  storia  illu- 
strata colle  monete  dei  E-e  di  Sicilia,  di  Macedonia,  del- 
l'Epiro, di  Sparta,  di  Tracia,  d'Illiria,  del  Ponto  e  del  Bosforo 
Cimmerio ,  di  Bitinia ,  di  Pergamo,  dell'  Asia  minore,  di 
Cappadocia,  d' Armenia,  e  della  Siria  ;  dei  principi  della 
Cilicia,  di  Commagene  e  della  Giudea  ;  de'  re  Parti  e  dei 
re  Persiani  della  dinastia  dei  Sassanidi,  dei  re  della  Bat- 
triana ,  di  Caracene  e  Babilonia ,  e  infine  dei  Tolomei 
d'Egitto.  A  questo  immenso  lavoro,  che  inchiude  la  storia 
di  tutto  il  mondo  greco  antico,  antepose  anche  i  ritratti  che 
si  riscontrano  sulle  antiche  medaglie  e  pietre  incise  dei 
più  illustri  poeti,  legislatori,  filosofi,  e  delle  donne  celebri, 
che  resero  famosa,  sopra  ogni  altra,  quell'età.  Storia  questa 
non  mai  tentata  in  cosi  vasto  complesso  da  nessun  altro 
prima  di  lui,  con  tanta  competenza,  con  si  profonda  eru- 
dizione, e  con  si  splendida  illustrazione.  Talché  per  questa 
e  per  le  altre  molteplici  sue  opere,  accennate  più  sopra, 
un  biografo  francese  non  esitò  a  conchiudere  :  "Winkelmann , 
il  sommo  archeologo  prussiano  ha  fatto  amare  la  scienza 
delle  antichità  ;  l' italiano  Visconti  ne  ha  splendidamente 
illustrato  tutto  quanto  il  dominio. 


(*)  Giuseppe  Maffei. 


VITE    DI    ILLUSTRI    NUMISMATICI    ITALIANI  569 

Ennio  Quirino  ,  oltre  le  opere  stampate,  ne  lasciò  pa- 
recchie manoscritte  ed  inedite,  che  furono  acquistate  dalla 
Biblioteca  nazionale  e  dall'Istituto  di  Francia  ;  fra  queste 
una  Dissertazione  sopra  una  medaglia  di  Thermusa  moglie 
di  Fraate  IV  re  de* Parti ^  scritta  nel  dicembre  del  1817.  — 
Dall'epoca  della  morte  del  Visconti,  i  suoi  discendenti,  eredi 
di  tanta  gloria,  si  fissarono  definitivamente  in  Parigi,  so- 
stenendo degnamente  con  opere  egregie  e  la  coltura  d'ogni 
bell'arte,  la  fortuna  e  l'onore  del  suo  nome  immortale. 


Questi  cenni  biografici  furono  tolti  dai  seguenti  libri  : 

Biografia  degli  italiani  illustri  nelle  scienze,  lettere  ed  arti 
del  secolo  XVIII  e  de'  contemporanei  compilata  da  letterati  italiani 
di  ogni  provincia  e  pubblicata  per  cura  del  prof.  Emilio  de  Ti- 
paldo.  Volume  sesto,  pag.  493-507.  —  Emeric  David  nella  Bìogra- 
phie  universelle  (Michaud)  ancienne  et  moderne.  Paris,  tome  XLIII, 
pag.  626-635.  —  Giuseppe  Maffei,  Storia  della  letteratura  italiana. 
Voi.  II,  pag.  367-381.  —  Dizionario  universale  storico-mitologico- 
geografico  compilato  da  una  società  di  uomini  di  lettere  per  cura 
del  Dottore  Angelo  Fava.  Torino ,  1856.  Parte  III ,  pag.  2395.  — 
Giovanni  Labus,  Notizie  intorno  la  vita  di  Ennio  Quirino  Visconti. 
Milano,  1818.  (In  fronte  al  primo  volume  del  Museo  Pio-Clemen- 
tino).  —  Zannoni,  Elogio.  Q^qW Antologia  di  Firenze,  1822,  n.  18). 
—  Batelli  e  Fanfani  ,  Serie  di  vite  e  ritratti  de'  famosi  perso- 
naggi degli  ultimi  tempi.  Milano,  1815,  pag.  26.  —  Cantù  Cesare, 
Storia  di  cento  anni.  Firenze,  1855,  voi.  II,  pag.  556. 


BIBLIOGRAFIA 


LIBRI   NUOVI. 


Fraccia  G.,  Lettera  al  cliiar.  Cav.  Francesco  Gnecchi,  redattore  della 
Riv.  It.  di  Num.  Bologna,  Soc.  Tip.  già  Compositori,  1890,  ia-8  p.  5. 

Perella,  Vantico  Sannio  e  Vattiiale  provincia  di  Molise.  Memorie 
topografiche,  storiche,  numismatiche,  ecc.,  ecc.,  edite  od  inedite.  Isernia. 
Frat.  De  Matteis,  Voi.  I,  in-8,  1890. 


Babelon  ,  Monnaies  des  rois  de  Si/rie,  d' Armenie  et  de  Commaghie. 
I  volume.  Paris,  Rollin  et  Feuardent,  in-8  gr.  et  30  planches. 

Maxe-Werly,  Recherches  sur  les  monnaies  des  arche véques  d'Emrun. 
Valence,  Impr.  Céas  et  fìls,  pp.  33  et  carte  in-8. 

Vallentin,  Les  monnaies  frappées  à  Montélimar  pendant  le  regne 
de  Louis  XII  (1498-1515).  Valence,  Imp.  Céas  et  fìls,  1890,  16  pag.  in-8. 

Les  pinatelles  frappées  en  Dauphiné  en  1591  et  en  1592.  Va- 
lence, Céas,  15  pag.  in-8. 

Terrien  de  Lacouperie,  Une  monnaie  bactrochinoise  bilingue  du  /«'• 
siede  avant  iiotre  ere.  Paris,  Imp.  nationale,  1890,  14  pp.  avec  fig.  in-8. 

Fournier  de  Flais,  L'i  problèma  monétaire.  Paris,  Guillaumin  et  C, 
1890,  pp.  168  in-8  gr. 

Poncet  e.,  Le  trésor  de  Planche  (commune  de  Neuville  sur  Ain). 
Lyon,  Brun,  in-4  p.  29. 

Svoronos  J.  N.,  Numismatique  de  la  Crete  ancienne,  accompagne'e  de 
rhistoire,  la  géographie  et  la  mythologie  de  V  ile.  Première  partie  :  Des- 
cription  des  monnaies,  histoire  et  géographie.  Macon,  Impr.  Protat,  in-4 , 
pp.  IX-364  et  35  pi. 

Quintard  (L.);  Jetons  de  l'hotel  de  Ville  de  Nancy  aux  X  VP,  X  VIP 
et  XVIIP  siècles.  Nancy,  Impr.  Crépin-Leblond,  1890,  in-4  gr.,  pp.  38. 

Blancard  L.,  Monnaies  attribuées  aux  fosses  mariennes.  Marseilìe , 
Imp.  Barlatier  et  Barthelet,  1890,  in-8,  pp.  16,  avec  fig. 

Catalogue  raisonné  de  la  collection  de  deniers  mérovingiens  des  VIP 
et  VIJL  siècles  de  la  trouvaille  de  Cimiez,  donnée  au  Cabinet  des  mé- 
dailles  de  la  Bibliothèque  nationale  par  M.  Arnold  Morel  Fatio.  Re- 
dige par  le  donateur  et  publié  selon  ses  voeux  par  M.  A.  Chabouillet. 
Macon,  Impr.  Protat  frères,  1890,  in-8  gr.,  pp.  xviii-70  et  11  planches. 


572  ^  BIBLIOGRAFIA 


HòLSCHER  Franz.,  Katalog  der  Munzammlung  zu  Attendorn.  (Pro- 
gramma 1890  del  Ginnasio  di  Attendorn,  in-4,  pag.  34. 

Imhoof-Blumer  F.,  Griechische  Miinzen.  Nette  fìeitrage  und  Unter- 
suchungen.  Mit  378  Abbildgn.  auf  14  Lichtdrack-  Tafeln.  (Aus  u  Abhand- 
lungen  der  bayerschen  Akademie  der  Wissenschaften  n).  Miinchen, 
Franz,  1890,  in-4  gr.,  pp.  525  a  798. 

KiKMis  Dr.  M.,  Chemische  Winke  fur  Numismatikei'.  Anleitung  zur 
Kenniniss  und  zur  Behandlmìg  der  Miinzen.  Berlin,  Weyl,  in-8  gr.  pp.  15- 

IsENBECK  JuL.,  DcLS  Nossauìsche  Munzwesen.  (Aus:  a  Annalen  des 
^ereins  fiir  Nassauische  Alterthumskunde  n).  Wiesbaden  (Lùtzenkirchen), 
1890,  lex-8,  pp.  192  e  10  tav. 


PERIODICI. 


Mevue  Nmnisìnatique,  III  Trimestre  1890. 

Prou  (Maurice),  Inventaire  sommaire  des  monnaies  me- 
rovingi ennes  de  la  CoUeotion  d'Amécourt,  acquises  par  la 
Bibliothèque  Nationale. 

Drouin  (Edmond) ,  Notice  sur  quelques  monnaies  bi- 
lingues  sassanides. 

Heiss  (Aloiss),  Note  sur  les  portraits  de  Gonzalve  de 
Cordone. 

Vercoutì'e  (A.) ,  Les  types  des  monnaies  frappées  par 
Manius  Aquilius  et  par  Publius  Clodius  à  l'effìgie  du  Soleil. 

In  questa  memoria  l'autore  cerca  il  significato  delle  stelle  collocate 
sui  rovesci  delle  citate  monete,  e  lo  trova  felicemente  nell'Astronomia.  Le 
quattro  stelle  del  denaro  di  Manio  Aquillio,  tre  in  alto  ed  una  al  basso, 
figurerebbero  la  costellazione  dioiV  Aquila  ^  che  la  famiglia  Aquillia  si 
avrebbe  scelta  quale  simbolo  del  suo  nome,  mentre  le  cinque  che  figu- 
rano sul  denaro  e  sull'aureo  di  Publio  Clodio  (fra  le  quali  però  non 
sempre  una  è  rappresentata  più  grande  delle  altre  ,  poiché  io  posso  ci- 
tare un  aureo  e  quattro  denari  in  cui  le  quattro  stelle  sono  tutte  eguali) 
figurerebbero  la  costellazione  del  Toro ,  da  cui  per  una  derivazione  un 
poco  più  complicata,  da  Taurus,  taurinus,  verrebbe  il  cognome  di  Tur- 
rinus  al  monetario  P.  Clodio.  L'autore  suppone  che  probabilmente  detto 
monetario  avrebbe  preferito  come  simbolo  il  toro  animale,  se  questo  già 
jion  fosse  stato  accaparrato  dalla  famiglia  Thoria.  Si  potrebbe  aggiungere 


BIBLIOGRAFIA  573 


che  torse  anche  M.  Aquillio  si  trovò  nel  medesimo  caso  ,  essendo  stato 
preceduto  da  M.  Pletorio,  che  pose  1'  aquila  sulle  sue  monete.  Se  tali 
spiegazioni  non  sono  matematicamente  provate  ,  sono  però  assai  inge- 
gnosamente trovate  e  hanno  tutta  l'apparenza  della  verità ,  analoghe 
come  sono,  a  quella  che  generalmente  vien  data  al  denaro  di  Lucrezio, 
Trio ,  ove  le  sette  stelle  alluderebbero  a  tal  nome ,  rappresentando  la 
costellazione  dell'Orsa  maggiore,  septem  Triones, 

Anche  nella  serip  imperiale  non  mancano  simboli  astronomici  sulle 
monete,  e,  lasciando  quelle  ove  la  stella  o  le  stelle  stanno  a  rappresen- 
tare 1'  eternità  o  la  consacrazione ,  citerò  l' esempio  di  un  denaro  di 
Adriano  in  cui  figurano  insieme  ad  una  mezzaluna  sette  stelle  varia- 
mente disposte.  Non  si  potrebbe  forse  trovare  una  spiegazione  anche  di 
queste  esplorando  la  sfera  celeste  ? 

Blanchet  (Jules  Adrien),  Médaillon  en  bronze   de  l'em- 
perur  Hadrien. 

Si  tratta  di  un  bel  medaglione  trovato  vicino  a  Dourdan  (Seine-et- 
Oise)  e  acquistato  dal  Gabinetto  di  Parigi.  Non  è  però  che  una  va- 
riante di  quello  descritto  da  Cohen  al  Num.  640  e  inciso    alla  Tav.  V. 

Engel  (Arthur),  Souvenirs  numismatiques  d'un  voyage 
autour  du  monde. 

Bibliografìa. 


Annuaire  de  Numisìnatique^  Setteinbre-Ottobre  1890. 

Buplan  (A.),  Un  tiers  de  sol  inédit. 

Jolivot  (C),  Un  tiers  de  sou  de  Monaco. 

Amécourt  (René  d') ,  Un  denier  de  Gui  de  Chatillon, 
comte  de  Blois. 

Serrure  (R.) ,  Trouvaille  de  monnaies  Carolingiennes 
faite  en  Hollande. 

Belfort  (A.  de) ,  Description  generale  des  monnaies 
mérovingiennes. 

Cronaca.  —  Necrologia.  —  Bibliografìa. 


Mevue  belge  de  Numismatique.  Quatrième  livraison. 

Chautard  (J.),  Etude  sur  les  jetons  au  point  de  vue  de 
la  reproduction  du  type  du  revers. 

JS'w^^r  (Arthur),  Mólanges  numismatiques. 

73 


574  lìIBLIOGRAFIA 


Wiéte  (Alphonse  de) ,  Poids  de  marchandises  des  an- 
ciennes  provinces  belgiques.  —    Un  quarterou    de  Binche. 

Vallentin  (Roger) ,  Date  de  la  fabrication  des  quarts 
d'écu  d'Henri  III. 

Corrispondenze.  —  Miscellanea. 


Tlie  Numismatic  Chronicle,  1890.  Num.  37,  38  e  39. 

1.  Greenicell  (the  Eev.  Canon) ,  On  a  find    of  Arcliaic 
Greek  Coins  in  Egypt. 

2.  Lo  stesso.  —    On  a  find    of  Arcliaic    Greek    Coins  , 
principally  of  the  Islands  of  the  Aegean   sea. 

3.  Lo  stesso.  —  On  some  rare  Greek  Coins. 

4.  Howorth  (Henry  H.),  The  initial  Coinage  of  Parthia. 

5.  Lawì^ence  (L.  A.),    On  a    Baronial   Coin    of  Eustace 
Fitz-John. 

6.  Montagli  (H.),  Find  of  gold  Coins  near  Chesham,  Buchs. 

7.  Grueher    (Herbert    A.) ,    English    personal    medals 
from  1760. 

8.  Prevost  (A.),  The  fìve-franc  pieces  of  France. 

9.  Citnningham  (A.  Maj or-General),  Coins  of  the  Sakas. 

10.  Six  (J.  P.),  Monnaies  grècques  inódites  et  incertaines. 

11.  Bagnali  Oakeley  (M.  E.) ,  Coins  found  at  Caerwent 
and    Caerleon. 

12.  Eoans  (.John) ,  On  a  small    board   of   roman  Coins 
found  at  Amiens. 

13.  Montagli    (H.) ,  Silver    Crowns    of  James  I    of   the 
Second  Issue. 

Bibliografia.  —  Miscellanea. 


Arte  e  Storia,  N.  18:  Gallo  G.,  Nummo  Romano  a  Castrovillari. 

Giornale  degli  Economisti.  Roma,  nov.  1890:  Loria  A.,  Studi 
sul  valore  della  moneta^  cap.  IV.  —  X.  La  situazione  del  mercato  monetario. 

Atti  e  Memorie  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per 
le  Provincie  di  Romagna.  Voi.  VITI,  fase.  I-II,  gennaio-aprile,  1890  : 
Salvioni  G.  B.,  La  popolazione  di  Bologna  nel  secolo  XVII  (Cfr.  il  §  VII, 
La  moneta  bolognese  ed  i  suoi  ragguagli). 


BIBLIOGRAFIA  575 


Notes  d'art  et  d'archeologie.  Marzo  1890:  Gruyer  G.,  Médaill» 

représentant  Tito  Vespasiano  Strozzi. 

BuUetin  de  la  Diana,  n.  5-6, 1890  :  P.  Testenoire-Lafayette,  De- 
couveries  de  monnaies  a?iiiqites  à  Saint-André  le  Puy. 

Bibliothèque  de  l'école  des  chartes.  Mai-aout  1890:  Le  tne- 
daiUeur  Jean  de  Candida. 

Académie  des  inscriptions  et  belles-lettres.  Comptes  rendus, 
tome  XVin ,  bulletin  de  mai-juin  1890  :  Vercoutre  Dr. ,  Un  denier  et 
un  aureus  de  Manius  Aquillius  et  de  Publius  Cìodius.  —  Saglio,  Sur  un 
denier  d^Hostiìius  Saserna  et  sur  le  eulte  primitif  de  Diane  en  Italie. 

Géographie ,  13  novembre  1890  :  Notre  systhne  monétaire  et  la 
languì  fran^aise. 


Annales  de  la  Sociétè  archéologique  de  Namur,  XVIII, 
3*  livr.  :  CuMOMT  G.,  Un  triens  inedit  frappé  a  Dinan. 

Bulletin  de  l' Académie  d'archeologie  d^Anvers,  N.  1, 1890: 
Ch.  Euelens,  Deux  chansons  de  1724  sur  les  faux  monnayeurs. 


Studien  und  Mittheilungen  aus  dem  Benedictiner  Orden, 

XI,  fase.  2,  1890  :  Schratz  W.,  Mìinzen   auf  den   hlg,  Wolfgang   (fine). 

Der  Sammler,  1890,  n.  2-3:  L.  Clericus,  Die  Stiefkinder  der  JSu- 
misrnatik. 

Daheim,  n.  42,  1890  :  Klaussmann  ,  Ein  Besuch  in  der  Berliner 
Miinze. 

Kirchliche  Monatsschrift,  9  Jahrg,  ii°  9  :  Schiller,  Das  Chris- 
tenthum  und  das  Geld.  Studia. 

Jahrbuch  fiir  Gesetzgebung  im  deutschen  Reiche,  fase.  Ili, 
1890  :  Lawes  ,  Die  Warenwàrung  als  Erganzung  der  Edelmetallwarung. 

Zeitschrift  der  histor.  Gesellschaft  fiir  die  Provinz  Posen, 
5  Jahrgang ,  2  Heft  :  Hassencamp  R.  ,  Miinzfund  von  Olohok.  —  Max 
KiRMis,  Einleitung  in  die  polnische  Milnzkunde. 

—  —  Fase.  3  :  Prììmers  R.  ,  Miinzfund  von  der  Johannismiihle 
bei  Posen. 

Mittheilungen  aus  dem  Germanischen  Nationalmuseum, 
fol.  8  e  9.  (Suppl.  all'  u  Anzeiger  des  germaniselieii  Nationalmuseums  », 
n.  4,  1890:  Bòsch-Hans^  Der  Nothpfennig  der  Stadt  Ingolstadt. 

Zeitschrift  des  Vereins  fiir  Geschichte  Schlesiens,  24, 
Band,  1890:  Friedensburg  F.,  Der  hreslauer  Ponfall  und  die  Miinzordnung 
Konig  Ferdinands. 

Westermann'  s  illustrierte  deutsche  Monatshefte ,  Set- 
tembre 1890:  Brugsch  H.,  Die  àltesten  Goldbergwerke. 

Die  Nation,  n.  38,  1890  :  Bamberger  Ludwig,  Dar  neueste  Act  der 
amerikanischen  Miinzgesetzgehung. 

Illustrierte  Zeitung,  n.  2469,  1790  :  Die  neue  Militar-  Verdienst- 
medaille. 


576  BIBLIOGRAFIA 


Antiqua.  Zurigo,  nn.  5-7,  1890:  Messikomer  H.  ,  Ein  Massenfund 
gallischer  Potinmilnzen  in  Ziirich.  —  Eine  Pfahlbau-Denkmunze. 

Anzeiger  fiir  Sch-weizer.  Alterthumskunde.  Zurigo ,  n.  B , 
1890:  Meisterhans  K.,  Miinztopfe  aus  dem  Kfn.  Solothurii, 

Jahrbuch  des  historischen  Vereins  des  Kantons  Glarus, 
Fase.  XXV,  1890  :  Schindler  Dr.  Fr.,  Die  Sammlungen  des  liistor.  Vereins 
des  Kantons  Glarus.  (Verzeichniss  der  Miiazen,  Medaillen,  Waffen,  etc). 


Boletin  de  la  Real  Academia  de  la  Historia.  Madrid - 
aprile  1890  :  Pujol  C,  La  epigrafia  numismàtica.  —  Fr.  Corderà  ,  Nu- 
mismàtica y  metrologia  musulmanas 

Luglio-Settembre  1890:  V.  de  la  Fuente,  Una  medallamd ionica, 


The  quarterly  Journal  of  economics.  Boston ,  luglio   1890  : 
White  Horace,  The  Silver  Sltuation. 

Mittheilungen  des  deutschen  -wissenschaftlichen  Vereins 

in  Mexiko,  Voi.  I,  fase.  I  :  Struck  Gustav,  Mexiko   und  die  Silberent- 
tcerthung  im  Auslande. 


The  Indian  Antiquary,  Marzo  1890  :  Fleet,  Some  Gold  Coins  of 
the  Eastern  Chalukya  Kings  Saktivartnan  and  Rajaraja  II. 


NOTIZIE    VARIE 


Un  ripostiglio  di  monete  d' oro  medioevali  a  Roma.  — 

Nello  scorso  settembre,  un  muratore,  lavorando  presso  un 
vecchio  muro  nella  città  di  Roma,  scopri  un  vasetto  di  terra 
contenente  circa  250  monete  d'oro.  Quel  tesoretto  fu  subito 
diviso  in  tre  o  quattro  lotti,  che  andarono  venduti  agli 
antiquari  della  città. 

Io  ho  potuto  acquistarne  circa  la  metà,  altre  ne  ebbi 
sott'occhio,  e  riunendo  poi  le  notizie,  che  mi  furono  fornite, 
su  quelle  che  non  potei  vedere,  mi  trovo  in  grado  di  dare 
in  succinto  la  descrizione  di  tutte  le  monete  contenute  in 
quel  ripostiglio,  persuaso  che  nella  detta  descrizione  si 
trovino  tutti  i  tipi  rappresentati  da  quelle  monete.  —  Per 
non  dilungarmi  in  inutili  descrizioni,  citerò  mano  mano, 
pei  tipi  già  noti,  gli  autori  che  li  pubblicarono.  Quanto 
alle  monete  inedite^  e  specialmente  all'  unico  zecchino  di 
Pio  II  per  Spoleto,  mi  riserbo  di  darne  il  disegno  e  parlarne 
a  miglior  agio  in  altra  occasione. 

BOLOGNA. 

Paolo  II  (1464-71). 

Zecchino.  —  D.:  Leone  rampante  con  vessillo;  nel  campo,  cifra. 
K.  :  S.  Paolo  stante.  Ai  lati ,  stemma  del  Pontefice  e  del  Cardinal 
Capranica.  (Cai  Bossi,  pag.  35,  N.  414). 

FIRENZE. 

Repubblica  (1460-1490). 

Zecchino.  —  D.  :  S.  Giovanni  in  piedi. 
E.:  Giglio;  tipo  solito. 
NB.  Circa  quaranta  esemplari  cogli  stemmi   di  varie  famiglie, 
dall'anno  1460  fino  al  1490;  tutte  pubblicate  dall'Orsini. 


578  NOTIZIE   VARIE 


MANTOVA. 
Lodovico  IH  Gonzaga  (1444-78). 

Zecchino.  —  D.  :  Il  Duca  in  piedi  in  abito  da  guerriero  colla  spada 
sguainata  nella  destra  e  sostenente  colla  sinistra  lo  stemma  Gonzaga. 
R.  :  S.  Giorgio  a  cavallo  che  uccide  il  drago.  (Bellini,  De  monetis 
Italiae,  etc.  Voi.  II,  pag.  73). 

NB.  Un  solo  esemplare  di  questo  zecchino  di  esimia  rarità  con- 
teneva il  ripostiglio. 

MILANO. 

Francesco  I  Sforza  (1450-66). 

Ducato  d'oro.  —  D.  :  Busto  del  Duca  a  destra. 
R.  :  Il  Duca  a  cavallo  galoppante  a  destra  (Gnocchi,  N.  11). 

Galeazzo  Maria  Sforza  (1466-76). 

Ducato  cToro.  —  D.  :  Busto  giovanile  del  duca  a  destra. 
R.  :  Cimiero  visconteo.  (Gnocchi  N.  9). 

GENOVA. 
Repubblica  (1330-1339?) 

Genovino.  —  D.:  Castello  genovese. 
R.  :  Croce.  (Cat.  Franchini,  N.  407). 

Doge  XXII  (Raffaele  Adorno)  (1443-47). 

Genovino.  —  D.  :  ^i  r  :  a  :  dvx  :  ianven  :  xxii  :  Castello. 
R.  :  ►I*   conradvs  :  rex  :  romanor  :  i  :   ....  Croce.   (Gandolfi, 
Tav.  m,  27). 

MACERATA. 
Innocenzo  Vili  (1484-92). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 
R.  :  S.  Pietro  nella  barca  che  ritira  le  reti.  {0.  Vitalini,  Di  alcune 
monete  inedite  e  non  ancora  segnalate.  In  «  Bollettino  di  Numis- 
matica e  Sfragistica  ».  Voi.  I,  pag.  15;  tav.  I,  n.  2). 

NB.  Di  questo  rarissimo  zecchino  il  ripostiglio  conteneva  due 
esemplari  di  conio  perfettamente  identico. 


NOTIZIE  VARIE  579 


ROMA. 

Senato  romano  (1300-1347?) 

Zecchino.  —  D.  :  S.  Pietro  che  consegna  il  vessillo  al  Senatore. 
E.  :  Il  Salvatore  fra  nove  stelle.  (Ginagli,  N.  3). 

Eugenio  IV  (143147). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 
R.  :  S.  Pietro  stante.  (Ginagli,  N.  2). 

Nicolò  Y  (1447-55). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 
R.  :  S.  Pietro  stante.  (Ginagli,  N.  1). 

Galisto  m  (1455-58). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 
R.  :  S.  Pietro  nella  nave  col  remo  e  la  croce.  (Ginagli,  N.  2). 

Pio  II  (1458-64). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma,  m  nel  giro. 

R.  :  S.  Pietro  stante.  (Ginagli,  N.  2). 
Zecchino.  —  D.  :  Stemma.  Gifra  ad  in  monogramma. 

R.  :  S.  Pietro  stante.  (Ginagli,  Suppl.  N.  31). 
Zecchino.  —  ^  pivs  •  papa  •  secvndvs  •  (Mezzaluna)  Stemma. 

R.  :  ►f-  s  •  PETRVS  •  DE  TE  MANTOVA  (sic).  Il  Santo  in  piedi. 

Assai  curiosa  è  la  leggenda  del  rovescio  di  questo 
zeccliino,  e  nessuno,  ch'io  sappia,  si  è  finora  accinto  a  darne 
una  spiegazione.  Questa  moneta  fu  pubblicata  per  la  prima 
volta  sul  Catalogo  del  Museo  di  Vienna  (1759).  Il  ro- 
vescio ,  come  appare  dal  disegno  ,  era  di  cattiva  con- 
servazione e  vi  si  legge  :  ►!*  s  .  petrvs  de  te  ma  hi  ...  .  Lo 
Zanetti  {Nuova  raccolta  delle  monete,  ecc.  Voi.  II,  pag.  481) 
riporta  questo  zecchino  ,  togliendolo  appunto  da  quel  Ca- 
talogo ,  e  descritte  esattamente  le  parole  della  leggenda , 
aggiunge:  delle  quali  lascio  agli  eruditila  interpretazione; 
quando  mai  nel  disegno  non  vi  fosse  errore,  —  Il  C inagli 
{Le  monete  dei  Papi ,    pag.  52,   n.  3)    copia  dallo   Zanetti 


580  "^  NOTIZIE  VARIE 


questo  zecchino,  e  non  vi  aggiunge  alcun  commento.  Trovo 
poi  questa  moneta  nel  Catalogo  della  vendita  Rossi  (pag.  296, 
N.  3839)  colla  leggenda  del  rovescio  variata  come  segue  : 
s  •  PETRVS  *  ITE  •  MANTOVA  '  Il  compilatore  pone  lo  zecchino 
nella  serie  di  Roma,  mettendo  in  nota  che  la  leggenda  al 
lato  sinistro  del  rovescio  è  alquanto  confusa, 

L^esemplare,  ohe  io  ho  sott' occhio  e  che  è  di  bella  con- 
-  servazione ,  porta  precisamente  nel  rovescio  le  parole  : 
s  •  PETRVS  •  DE  TE  MANTOVA.  Ora  ,  che  cosa  possono  signifi- 
care queste  parole  su  di  uno  zecchino  di  Pio  II  ?  Sappiamo 
dalla  storia  che  questo  Pontefice,  bramando  tentare  una 
nuova  crociata  contro  i  Turchi,  convocò  un'  Assemblea  a 
Mantova  nel  1463,  dove  si  decise  per  l'anno  seguente  una 
spedizione,  di  cui  il  Papa  stesso  voleva  mettersi  alla  testa; 
senonchè,  mentre  nell'agosto  dell'anno  dopo  stava  per  met- 
tere in  atto  questo  suo  pensiero  ,  lo  colse  una  febbre  in 
Ancona  e  vi  mori.  Non  potrebbe  quella  leggenda  ricordare 
l'Assemblea  di  Mantova  ?  Pio  II,  disposto  a  partire  in  per- 
sona per  quella  spedizione,  volle  eternare  quel  fatto  nelle 
sue  monete ,  e  ne  coniò  parecchie ,  ove  vediamo  il  Papa 
stesso  su  di    una  nave  in  atto  di  partire  ,  colla  leggenda  : 

DIRIGE   DOMINE    GRESSVS    NOSTROS     O     COll'  altra  :    EXVRGAT    *   D    . 

ET  .  DissiPENTVR  .  INIMICI  .  Eivs  *  Non  è  dunque  possibile  che 
egli  abbia  voluto  ricordare  in  altra  moneta  l'origine  e  il 
movente  di  quell'impresa,  l'Assemblea  di  Mantova  ?  In  tal 
caso ,  si  dirà ,  perchè  quel  Mantova  scritto  all'  italiana , 
invece  di  mantva,  come  vediamo  su  tutte  le  monete  ante- 
riori e  contemporanee  di  quella  città?  E  poi,  qual  è  il 
significato  delle  lettere  de  te  che  precedono  la  parola 
MANTOVA  ?  È  un  quesito  ch'io  non  so  sciogliere  e  ne  propongo 
la  soluzione  ai  numismatici,  ben  lieto  se  qualcuno  me  ne 
darà  una  plausibile  spiegazione.  In  ogni  modo  la  moneta 
non  può  essere  coniata  a  Mantova ,  come  vorrebbe  taluno. 
A  giudicarne  dal  tipo  e  dal  disegno,  essa  usci  molto  pro- 
babilmente, come  altri  zecchini  di  Pio  II ,  dalla  zecca  di 
Foligno  e  sarebbe  opera  dell'incisore  Emiliano  Orfini, 


NOTIZIE  VARIE  581 


Paolo  H  (1464-71). 

Zecchino.  —  D.  :  *  pavlvs  •  p  •  p  •  (rosetta)  secvndvs  •  Stemma  sor- 
montato dalle  chiavi  e  dal  triregno. 
E.  :  •  s  .  PETRVS  .  ALMA  .  ROMA.   S.   Pieti'o   in  piedi   di  prospetto 
colle  chiavi  nella  destra  e  un  libro  nella  sinistra.  (Inedito). 

NB.   Questo  rovescio,  comune  negli   zecchini  di  Nicolò  V,  di 
Calisto  III  e  di  altri,  era  affatto  sconosciuto  in  quelli  di  Paolo  II. 

Zecchino.  —  D.  :  Arme  sostenuta  da  due  angioli. 
E.  :  Il  Salvatore  e  S.  Pietro  ;   pecorelle  che  pascolano  ;   colla   leg- 
genda:   ^'  PETRE  PASCE  OVES  MEAS.  (Ciuagli,  K  4). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 

E.  :  —  S.  Pietro  che  dà  le  chiavi  al  Papa  genuflesso  (Cinagli,  N.  11). 
Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 

E.  :  S.  Pietro  e  S.  Paolo  stanti.  (Cinagli,  N.  12). 
Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 

E.  :  Santa  Veronica  col  Sudario.  (Cinagli,  N.  13). 

Sisto  IV  (1471-84). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 

E.  :  S.  Pietro  e  S.  Paolo  in  piedi.  (Cinagli,  Suppl.  N.  39). 
Zecchino.  —  D.:  Stemma. 

E.  :  S.  Pietro  nella  barca  che  ritira  le  reti.  (Cinagli,  N.  3). 
Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 

E.  :  S.  Pietro  come  nel  precedente.  (Cinagli,  N.  4). 

Innocenzo  Vili  (1484-92). 

Zecchino.  —  D.  :  Stemma. 
E.  :  S.  Pietro  nella  barca  che  ritira  la  rete.  (Cinagli,  N.  3). 

SPOLETO. 

Paolo  II  (1464-71). 

Zecchino,  —  D.  :  •  pavlv  *  n  *  pont  •  max  •  an  *  i  •  Stemma. 
E.  :  •  s  •  PETRVS  •  IN  .  PViN  .  DVCAT.  Il  Sauto  in  piedi. 
NB.  Questo   zecchino,  unico  nel  ripostiglio ,  è  il  primo   che  si 
conosca  coniato  in  provinciae  dvcatv,  ossia  per  Spoleto.  È  moneta 
importante  e  merita  una  speciale  illustrazione,  ciò  che   farò  in  uno 
dei  prossimi  fascicoli  della  Bivista. 

74 


582  *  NOTIZIE   VARIE 


VENEZIA. 
Andrea  Contarini  (1363-82). 

Zecchino.  —  Tipo  solito. 

Tomaso  Mocenigo  (1414-23). 
Zecchino.  —  Tipo  solito. 

IFNGHEKIA. 

Ladislao  Postumo  (1452-57). 

Bucato.  —  Yarì  esemplari  variati. 

Mattia  Corvino  (1453-90). 

Ducato.  —  Yari  esemplari   variati.   Tanto   questi ,  quanto  quelli   di 
Ladislao,  sono  tutti  descritti  nel  Catalogo  Wellenheim. 

Tenuto  conto  delle  monete  di  data  più  recente,  se  ne 
deduce  che  il  tesoretto  fu  nascosto  negli  ultimi  anni  del 
secolo  XV,  e  verosimilmente  nell'occasione  dell'entrata  di 
Carlo  Vili  re  di  Francia  in  Roma  (21  dicembre  1494).  Nulla 
di  più  naturale  che  all'appressarsi  del  sovrano  conquista- 
tore, nel  timore  di  un  saccheggio  e  nella  incertezza  degli 
eventi ,  quegli  abitanti  pensassero  a  mettere  in  salvo  il 
fatto    loro  dalla  rapacità  degli  invasori. 

E.  G. 

Nuove  falsificazioni  in  vista.  —  Ci  affrettiamo  a  met- 
tere in  guardia  gli  amatori  di  Numismatica  contro  due  nuove 
falsificazioni  di  monete  italiane,  appena  terminate,  e  delle 
quali  solo  pochi  esemplari  iinora  sono  apparsi  in  commercio. 

Una  di  queste  è  un  Testone  di  Bellinzona: 

^  "  VRANIE  •  SVIT  •  ET  •  VNDERVÀLD 

Nel  campo  gli    stemmi  dei  tre  Cantoni ,  disposti  oriz- 
zontalmente. Al  disopra,  aquila  bicipite  coronata. 

Li?'  —  S  •  MARTINVS  •  EPISCOPVS 

Il  santo    in  piedi  in    abito    militare  col   vessillo  nella 

destra  e  la  spada  nella  sinistra. 
(BiONDELLi ,  Bellinzona  e  le  sue  monete.  Pag.  27,  N.  8). 


NOTIZIE  VARIE  533 


L' altra  moneta  è  un  raro  Testone  di  Ludovico  II 
Fie  scili  per  M esser  ano  : 

^  —  ^  LVDOVIC  •  FLISC  •  LAVANIE  3  C  DO 

Busto  a  destra.  Testa  nuda. 

9'    -   IHS  •  ÀVTEM  •  TRAN  •  P  •  MED  •  ILL  •  IB  • 

Scudo  inclinato  colle  bande  dei  Fiesclii,  sormontato  da 
elmo  con  lambrecchini ,  e  sopra,  aquila  imperiale 
coronata. 

(Promis,  Monete   delle  zecche  di  Messerano  e   Crevacuorc   dei 
FiescU  e  Ferrerò.  Tav.  IT,  N.  4  e  6). 

Sappiamo  positivamente  clie  queste  due  monete  furono 
testé  fabbricate  in  una  città  vicina,  e  conosciamo  anche  i 
nomi  degli  autori,  e  di  quelli  che  si  incaricano  di  spacciarle. 
Se  questa  zecca  clandestina  continuerà  a  produrre  cimelii 
antichi  e  a  gabbare  gli  amatori  novizii,  siamo  pronti  anche 
a  dare  maggiori  schiarimenti  sulla  località  e  sugli  autori 
di  queste  bricconerie  ,  delle  quali  non  sarebbe  male  che 
anche  l'Autorità  se  ne  immischiasse  un  pochino. 

Le  due  monete  sopra  descritte  furono  prodotte  su  due 
esemplari  autentici  ,  mediante  la  galvanoplastica.  Si  vede 
che  gli  autori,  ancora  inesperti  in  questo  mestiere,  trovano 
delle  difticoltà  nel  congiungere  il  dritto  col  rovescio,  man- 
tenendo lo  spessore  naturale  della  moneta ,  cosicché  quei 
due  testoni  sono  più  grossi  del  vero.  Questo  solo  fatto 
basta  ai  raccoglitori  provetti  a  metterli  in  avvertenza,  e  a 
far  loro  conoscere  l'inganno.  Ciò  sanno  benissimo  gli  spac- 
ciatori di  queste  monete  ,  e  perciò  questi  Becker  da  stra- 
pazzo portano  sempre  i  loro  prodotti  ai  piccoli  amatori  e  ai 
principianti,  e  si  guardano  bene  dal  farli  vedere  a  quelli 
che  hanno  lunga  pratica  nelle  monete. 

Aggiungerò  infine  che  gli  stessi  messeri  si  propongono 
di  fare  altre  monete  ,  e  vedendo  che  il  mercato  monetario 
ne  è  sprovvisto,  pensano  anche  a  fabbricare  dei  piéforts^  i 
quali  sono  molto  accetti  agli  amatori.  Per  far  questi  essi 
adopreranno  probabilmente  testoni  e  scudi  genuini,  segan- 
doli in  mezzo  ed  applicandovi    fra  il  diritto  e  il    rovescio 


NOTIZIE  VARIE 


la  quantità  necessaria  d'argento.  Gli  amatori  li  riconosce- 
ranno facilmente,  esaminando  l'orlo  della  moneta,  il  quale, 
per  quanto  si  faccia,  mostra  sempre  i  segni  evidenti  della 
saldatura  e  conseguente  operazione  della  lima. 

La  Direzione. 

Monete  per  la  Colonia  Eritrea.  —  Con  Decreto  Eeale 
10  agosto  veniva  stabilita  la  coniazione  di  una  moneta 
speciale  per  la  Colonia  Eritrea ,  e  con  altro  decreto  ,  me- 
desima data,  si  fissava  la  quantità  e  qualità  degli  spez- 
zati d'argento  di  tale  coniazione.  Diamo  il  testo  dei  due 
decreti  e  1'  impronta  di  due  spezzati  del  Tallero  Eritreo, 
ossia  il  pezzo  da  Vio  P^ri  a  due  lire  italiane  e  quello 
da  Vio  P^^'i  ^  ^^  centesimi.  —  La  zecca  di  Roma  lia  teste 
terminata  la  coniazione  di  un  milione  di  pezzi  da  L.  2, 
(v.  al  basso  del  rovescio  la  sigla  R)  e  quella  di  Milano  sta 
attualmente  eseguendo  la  coniazione  dei  due  milioni  di 
pezzi  da  50  Cent,  (sigla  M  al  basso  nel  rovescio).  Del  tal- 
lero si  intraprenderà  la  coniazione  col  principio  del  pros- 
simo anno.  Lq  Speranza ,  incisore  della  zecca  di  Roma , 
è  l'autore  dei  conii  e  sta  ora  apprestando  quello  per  i  pezzi 
da  una  lira. 


NOTIZIE   VARIE  585 


UMBERTO    I 

PER  GRAZIA  DI  DIO  E  PER  VOLONTÀ  DELLA  NAZIONE 

RE   d' ITALIA. 

Viste  le  leggi  24  Agosto  1862  N.  788  Serie  I  e  17  Luglio  1875  N.  2651 
Serie  II  sull'ordinamento  monetario  del  Eegno. 

Visto  l'articolo  IV  della  Convenzione  addizionale  tra  il  Regno  d'Italia 
e  l'Impero  d'Etiopia  approvata  con  legge  16  Luglio  1890  N.  7016  Serie  III. 

Visti  gli  articoli  I  e  III  della  legge  P  Luglio  1890  N.  7003  Serie  III 
suU'Ammin.  della  Colonia  Eritrea. 

Sulla  proposta  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  Ministro 
ad  interim  degli  Affari  Esteri  e  del  Ministro  del  Tesoro  di  concerto 
col  Ministro  dell'Agricoltura  Industria  e  Commercio  ; 

Udito  il  parere  del  Consiglio  di  Stato  ; 

Sentito  il  Consiglio  dei  Ministri  ; 

Abbiamo  decretato  e  decretiamo  quello  che  segue: 

Art.  I. 

Le  Zecche  del  Regno  conieranno  monete  decimali  speciali  da  aver 
corso  legale  esclusivamente  nel  territorio  dell'  Eritrea  e  consistenti  in 
pezzi  da  un  Tallero  eritreo,  4/10,  2/10,  1/10,  2/100,  1/100  del  Tallero  stesso 
equivalenti  rispettivamente  ad  italiane  lire  cinque,  due,  una  e  centesimi 
cinquanta  in  argento,  ed  a  centesimi  10  e  5  in  bronzo. 

Art.  II. 

Il  Tallero  Eritreo,  pari  a  lire  cinque  italiane,  avrà  il  diametro  di 
mm.  40  ed  il  peso  in  lega  di  gr.  28.125,  conterrà  otto  decimi  d'argento 
fino,  cioè  gr.  22.500,  e  quindi  sarà  al  titolo  di  800  millesimi. 

La  tolleranza  di  coniazione  in  più  ed  in  meno  sarà  di  3  millesimi 
per  gramma  sul  peso  e  di  2  millesimi  sul  titolo. 

Porterà  nel  retto  la  nostra  effigie  coronata  rivolta  a  destra  colla 
leggenda  intorno  Umberto  i  re  d'  Italia  e  l' anno  di  coniazione.  Sul 
verso  l'Aquila  di  Savoia  ed  il  valore  espresso  in  italiano,  in  amarico  e 
in  arabo. 

Il  contorno  sarà  scanalato. 

Art.  in. 

I  sottomultipli  in  argento  del  Tallero  eritreo  da  L.  5  cioè  i  pezzi 
da  4, 10  2/10  e  1/10  di  tallero  pari  a  L.  2,  1  e  Cent.  50  verranno  coniati 
in  piena  conformità  degli  Art.  I  e  III  della  legge  24  Agosto  1862  N.  788, 
tanto  riguardo  al  titolo,  al  peso  ed  al  diametro,  quanto  rispetto  alla  tol- 
leranza di  fabbricazione  sul  titolo  e  sul  peso. 


586     ^  NOTIZIE   VARIE 


L'impronta  del  retto  sarà  conforme  a  quella  del  Tallero,  sul  verso 
avranno  in  alto  la  leggenda:  colonia  eritrea,  in  basso  due  rami  riuniti 
d'alloro  e  nel  centro  la  stella  d'Italia  ed  il  valore  in  italiano,  in  amarico 
ed  in  arabo. 

Il  contortio  sarà  scanalato. 

Art.  IV. 

I  sottomultipli  in  bronzo  cioè  i  pezzi  da  2/100  e  1/100  di  Tallero 
pari  ad  italiani  Centesimi  10  e  5  di  lira  verranno  coniati  in  piena  con- 
formità degli  art.  I  e  IV  della  legge  24  Agosto  1862  N.  788,  tanto  riguardo 
alla  lega,  al  peso  ed  al  diametro,  quanto  rispetto  alla  tolleranza  di  fab- 
bricazione. 

Porteranno  nel  retto  la  nostra  effigie  coronata  volta  a  sinistra  colla 
leggenda  UMBERTO  I  RE  d'italia,  e  r  anno  di  coniazione  ;  il  verso  ed  il 
contorno  saranno  come  negli  spezzati,  di  cui  all'Art.  III. 

Art.  V. 

II  Tallero  Eritreo,  d'intrinseco  eguale  al  pezzo  da  L.  5  del  Regno, 
avrà  potere  liberativo  per  qualunque  importo,  e  sarà  dato  e  ricevuto 
dalle  Casse  pubbliche  e  fra  privati  nell'Eritrea,  senza  limite  di  somma. 

Ninno  è  obbligato  a  ricevere  in  pagamento  una  somma  maggiore  di 
dieci  talleri  eritrei  o  lire  cinquanta  in  spezzati  d' argento,  di  cui  al- 
l'Art. Ili,  ma  le  Casse  pubbliche  nell'Eritrea  li  riceveranno  per  qualunquo 
somma. 

Le  monete  di  bronzo  non  si  accettano  che  per  le  frazioni  di  2/10 
di  tallero  o  di  una  lira. 

Art.  vi. 

La  Tesoreria  provinciale  di  Napoli  eseguirà  a  richiesta  il  cambio 
delle  monete  speciali  per  la  Colonia  Eritrea  con  monete  identiche  aventi 
corso  in  Italia. 

Art.  vii. 

Con  successivi  decreti  reali  sarà  determinata  la  quantità  proporzio- 
nale di  spezzati  d'Argento  e  di  Bronzo  speciali  per  la  Colonia  Eritrea 
da  coniarsi  per  i  singoli  tagli  indicati  nei  precedenti  Art.  Ili  e  IV. 

Ordiniamo  che  il  presente  Decreto,  munito  del  Sigillo  dello  Stato, 
sia  inserto  nella  Raccolta  ufficiale  delle  Leggi  e  dei  Decreti  del  Regno 
d'Italia,  mandando  a  chiunque  spetti  di  osservarlo  e  di  farlo  osservare. 

Dato  a  Monza  il  10  Agosto  1S90. 

firmato  Umderto. 
contrassegnato  Givlitti. 


NOTIZIE   VARIE  587 


II. 

UMBERTO   I 

PER  GRAZIA   DI  DIO  E  PER  VOLONTX  DELLA  NAZIONE 

RE    d' ITALIA. 

Visto  il  nostro  Decreto  10  Agosto  1890 

Sulla  proposta  del  presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  Ministro 
ad  interim  degli  Affari  Esteri  e  del  nostro  Ministro  del  Tesoro,  di  concerto 
col  Ministro  d'Agricoltura  Industria  e  Commercio  ; 

Abbiamo  decretato  e  decretiamo  quanto  segue: 

Art.  unico. 

La  quantità  proporzionale  di  spezzati  d'argento  da  4flO  2/10  e  1/10 
di  Tallero  Eritreo,  pari  a  L.  2,  1  e  Cent.  50  da  coniarsi  per  la  Colonia 
Eritrea,  è  fissato  come  appresso  : 

Pezzi  N.  1.000.000  da  4/10  di  Tallero  equivalenti  a  L.  2.000.000 
«        )i    3.000.000  da  2/10  «  un»   3.000.000 

)i        «    2.000.000  da  1/10  «  n  ji    »    1.000.000 


Pezzi  N.  6.000.000  L.  6.000.000 

Ordiniamo   che  il  presente    decreto  munito  del  Sigillo   dello    Stato 
sia  inserto  nella  Raccolta  Ufficiale  delle  leggi,  ecc.,  ecc. 

Dato  a  Monza^  addì  10  Agosto  1890. 

firmato  Umberto. 
contrassegnato  Giolitti  —  Miceli. 

Vistato  —  Zdnardelli, 

Club  Numismatico.  —  Lo  scorso  Giugno  venne  fondato 
a  Vienna  un  Club  d'  amatori  di  monete  e  medaglie,  scopo 
del  quale  è  di  agevolare  le  relazioni  fra  i  numismatici 
mediante  riunioni  settimanali.  Il  Club  pubblica  un  bollet- 
tino mensile  per  le  notizie  numismatiche  e  s'  occuperà  di 
promuovere  esposizioni ,  di  coniare  medaglie  e  gettoni  e 
infine  di  tutto  quanto  riguarda  gli  studi  numismatici  ,  ai 
quali  certo  porterà  non  piccolo  giovamento.  Mentre  gli 
mandiamo  i  nostri  migliori  auguri,  non  possiamo  a  meno 
di  esclamare  con  qualche  rammarico  :  Quan(Jo  sarà  possibile 
lina  simile  istituzione  in  Italia? 


588  NOTIZIE   VARIE 


Il  premio  di  Numismatica  all'Accademia  delle  Iscrizioni 
e  Belle  Lettere  di  Francia,  venne  ultimamente  conferito  al 
Repertoire  des  soitrces  imprimèes  de  la  Numismatique  fran- 
gaise  dei  signori  Arturo  Engel  et  Raimondo  Serrure. 

Mandiamo  a  questi  nostri  buoni  amici  le  più  vive  feli- 
citazioni, cui  non  dubitiamo  si  assooieranno  tutti  i  lettori 
della  Rivista. 

Nuovi  doni  al  Gabinetto  Numismatico  di  Brera.  —  Nel 
corrente  anno  ,  oltre  al  raro  grosso  di  Giancarlo  Visconti  , 
donato  dal  Sig.  E.  Osnago  (v.  Fase.  I,  Riv.  1890),  il  Regio 
Gabinetto  ha  ricevuto  i  seguenti  doni  : 

Dalla  on.  Direzione  della  Biblioteca  Nazionale  di  Brera, 
un  esemplare  in  bronzo  della  medaglia  offerta  dalla  Società 
d'Esplorazione  Commerciale  in  Africa  a  Gaetano  Casati. 

Dal  Sig.  Cav.  Ercole  Gnecchi ,  una  moneta  d'  argento 
di  Carlo  V  per  Casale. 

Dal  Sig.  Gaetano  Oldrini,  un  piccolo  bronzo  del  Basso 
Impero. 

Dal  Sig.  Rag.  Annibale  Ghisalberti,  una  pseudomoneta 
di  Messerano. 

Dal  Sig.  Colonn.  M.  G.  Clark,  di  Londra,  una  moneta 
d'argento  dell'India  Meridionale. 

Dal  Sig.  Ercole  Mazzoni,  una  tessera  di  Malacca  nelle 
Indie. 

Dal  Sig.  Alessandro  Cornelio,  una  moneta  del  Messico. 

Da  un  anonimo ,  un  saggio  in  piombo  (a  modo  di 
piéfort)^  d'una  medaglia  di  L.  Cessa  per  Francesco  T. 

Dai  Sigg.  Eredi  di  Antonio  Gavazzi,  due  medaglie  in 
bronzo. 

Dal  M.  R.  Don  Bernardo  Galli,  un  esemplare  in  bronzo 
della  medaglia  coniata  recentemente  per  la  reintegrazione 
del  culto  al  B.  Zaccaria. 

Dal  Sig.  Prof.  Lodovico  Pogliagbi ,  due  esemplari  in 
bronzo  della  medaglia  di  premio ,  da  lui  modellata ,  pel 
Tiro  a  Segno  Nazionale  in  Roma,  1890,  incisa  da  A.  Cap- 
puccio. 

Dal  Sig.  Luigi  Broggi,  un    esemplare  in   bronzo  della 


NOTIZIE  VARIE  689 


medaglia  da  lui  incisa  in  onore  di  S.  E.  il  Presidente  del 
Consiglio  dei  Ministri,  Francesco  Crispi  (settembre  1890). 

Dai  Sigg.  Fratelli  F.  ed  E.  Gnecchi  una  serie  di  bolle 
papali  ed  altri  piombi  diversi,  nonché  sette  pregevoli  lui- 
girti  battuti  pel  Levante. 

Per  la  storia  dei  Periodici  numismatici  italiani.    —  Il 

nostro  collega  Ambrosoli  desidera  di  raccogliere  tutti  i  dati 
possibili  intorno  alle  varie  pubblicazioni  periodiche  di  Nu- 
mismatica che  si  succedettero  in  Italia.  Nel  Fase.  I ,  An- 
nata I  di  questa  Rivista ,  fu  stampato  un  elenco  di  tali 
periodici  ,  che  qui  si  ripete  con  qualche  lieve  ritocco  ;  se 
alcuno  fra  i  nostri  cortesi  lettori  avesse  notizia  di  altri 
giornali  numismatici  italiani,  farebbe  cosa  grata  informan- 
done il  Dott.  Ambrosoli  oppure  la  Direzione  della  Rivista, 
Oltre  ai  periodici  esclusivamente  o  prevalentemente  numi- 
smatici ,  si  desidera  aver  notizia  di  tutti  quegli  altri  che 
abbiano  avuto  per  programma  di  occuparsi  anche  di  Nu- 
mismatica, come  la  Raccolta  Veneta,  il  Giornale  degli  Eru- 
diti, ecc.,  ecc.  Ecco  l'elenco  di  cui  abbiamo  parlato  : 

Giornale   Numismatico,   diretto  da  Fr.  Maria  Avellino,  Napoli,  1808-12. 

Annali  di  Numismatica  ,  diretti  da  Giuseppe  Fiorelli ,  Roma  e  Na- 
poli, 1846-51. 

Memorie  Numismatiche,  pubblicate  da  Demetrio  Diamilla,  Roma,  1847. 

Notizie  peregrine  di  Numismatica  e  d^  Archeologia ,  pubblicate  da  Fede- 
rico Schweitzer,  Trieste,  1851-61,  (Sei  decadi). 

Rivista  della  Numismatica  antica  e  moderna ,  diretta  dapprima  da  Ago- 
stino Olivieri,  poi  da  Ernesto  Maggiora-Vergano    Asti,  1864-65. 

Rivista  Numismatica  Italiana  (Continuazione  della  precedente),  pubbli- 
cata da  E.  Maggiora-Vergano,  Asti  1866. 

Bullettino  di  Numismatica  Italiana,  diretto  da  Antonio  Riccardo  Caucich, 
Firenze,  1866-70. 

Periodico  di  Numismatica  e  Sfragistica  per  la  storia  d' Italia,  diretto 
dal  Marchese  Carlo  Strozzi,  Firenze,  1868-74.  (Sei  annate). 

Bullettino  d^Arte,  Antichità ,  Numismatica ,  ecc.,  pubblicato  da  Raffaele 
Dura,  Roma,  1881-82. 

Gazzetta  Numismatica,  diretta  da  Solone  Ambrosoli,  Como,  1881-87. 
(Sei  annate). 

Bullettino  di  Numismatica  e  Sfragistica  per  la  storia  d'Italia,  diretto  da 
Milziade  Santoni  e  Ortensio  Vitalini,  Camerino,  1882-87. 


COLLABORATORI  DELLA  RIVISTA 

NELL'ANNO  1888 


Memorie  e  Dissertazioni. 

Ambrosoli  Solone 
Ancona  Amilcare 
Gavazzi  Giuseppe 
Gnecchi  Ercole 
Gnecchi  Francesco 
MiARi  FuLcio  Lucio 
Motta  Emilio 
MuLAzzANi  Giovanni 
ostermann  valentino 
Papadopoli  Nicolò 
Kossi  Umberto 
Buggero  Giuseppe 
Tamassia  Francesco. 

Cronaca. 

Ambrosoli  Solone 
Gavazzi  Giuseppe 
Gnecchi  Ercole 
Gnecchi  Francesco 
Luppi  Costantino 
Melani  Alfredo 
Papadopoli  Nicolò 
PuscHi  Alberto 
Kossi  Umberto. 


COLLABORATORI  DELLA  RIVISTA 

NELL'ANNO   1889 


Memorie  e  Dissertazioni. 

Ambrosoli  Solone 
Castellani  Giuseppe 
CoMANDiNi  Alfredo 
Gavazzi  Giuseppe 
Gnecchi  Ercole 
Gnecchi  Francesco 
Kenner  Federico 
Luppi  Costantino 
Markl  Andrea 
MuoNi  Damiano 
Papadopoli  Nicolò 
Poggi  Cencio 
Buggero  Giuseppe 
Sambon  G.  Arturo 
Tagliabue  Emilio. 

Cronaca. 

Ambrosoli  Solone 
Gnecchi  Ercole 
Gnecchi  Francesco 
Mariani  Giuseppe 
Melani  Alfredo 
Milani  L.  Adriano 
Padovan  Vincenzo 
EosA  Ugo. 


COLLABORATORI  DELLA  RIVISTA 

NELL'ANNO   1890 


Memorie  e  Dissertazioni. 

Ambrosoli  Solone 

Brambilla  Camillo 

Capobianchi  Vincenzo 

Castellani  Giuseppe 

Gavazzi  Giuseppe 

Gentili  di  Kovellone  Tarquinio 

Gnecchi  Ercole 

Gnecciii  Francesco 

Jatta  Giulio 

Luppi  Costantino 

MoRSOLiN  Bernardo 

MuLAzzANi  Giovanni 

Papadopoli  Nicolò 

Promis  Vincenzo 

Buggero  Giuseppe 

Schneider  (von)  Boberto 

Sforza  Giovanni 

Stettiner  Pietro 

Tagliabue  Emilio. 

Cronaca. 

Ambrosoli  Solone 
Bellotti  Cesare 
Crespellani  Arsenio 
Fraccia  Giovanni 
Gnecchi  Ercole 
Gnecchi  Francesco 
Sossi  Antonio  Vitaliano 
Stettiner  Pietro. 


INDICE  DELL'ANNATA  1890 


Faseicolo  I. 


Appunti  di  Numismatica  romana  ^  Vili  e  IX  (con  duo   figure).  — 

Francesco  Gnecchi Pag,    15 

Le  monete  dei  Pontefici  romani  Leone  Vili  e  Giovanni  XIII  (con 

una  tav.).  —  Tarquinio  Gentili  di  Rovellone.       .       .       »      51 

Fatacchina  savonese  inedita  di  Filippo  Maria  Visconti  (con  fig.). 

—  Solone  Ambrosoli »      91 

Di  un  medaglista  anonimo  Mantovano  (con  una  tav.).  —  Roberto 

von  Schneider.  (Trad.  di  S.  A.)    .       .        •       .       .       .       >    101 
Una  Medaglia  inedita  de^  Principi  Baciocchi   (con  fig.).  —   Gio- 
vanni Sforza »    119 

Moneta  inedita  di  Pietro  I  di  Savoia  e  pochi  cenni  sulla  zecca  pri- 
mitiva de^  Principi  Sabaudi  (con  una  tav.).  —  V.  Promis  .      >    123 
Monete  di  Gio.  Battista  Falletti  conte  di   Benevello  (con  una  tav.). 

—  Vincenzo  Promis .       .       »    129 

Lodovico  Chiericati.  —  Bernardo  Morsolin      ....       »    139 

Girolamo  Gualdo.  —  Bernardo  Morsolin »    142 

Vite  di  illustri  numismatici  italiani.  V.  P.  Ireneo  Affò  (con  ritratto). 

—  C.  Luppi     .       .       .        , »    145 

Cronaca.  —  Necrologie »    155 

Bibliografia »    159 

Notizie  varie »    171 


Fascicolo  11. 


Appunti  di  Numismatica  romana.  X  o  XI  (con  una  tav.  e  figure) 

—  Francesco  Gnecchi Pag.  183 

Congetture  sull'attribuzione  di  alcuni  tremissi  longobardi  (con  fig.). 

—  Giuseppe  Gavazzi »    207 

Nuove  osservazioni  sopra  alcune  monete  battute  dai  papi  nel  contado 

Venesino  e  d'Avignone  (con  una  tav.).  —  V.  Capobianchi.       »    217 
Soldino   Astigiano   inedito  di    Carlo    Quinto   (configura).    —So- 
lone Ambrosoli >    233 

Giacomo  Bannissio  (con  tav.).  —  Bernardo  Morsolin    .       .       »    239 
Isabella  Sesso  (con  tav.).  —  Bernardo  Morsolin      ...»    247 


596  INDICE  dell'annata  1890 

Medaglie  Italiane  del   1889.   —   Parte    I  (con   una  tavola).     — 

Alfredo  Comandini Pag,  259 

Treinisse  inedito  al  nome  di  Desiderio  re  dei  Longobardi  (con  fig.). 

—  Camillo  Brambilla  .        . »    277 

Vite  di  Bilustri  numismatici  italiani,  VI.  Gian  Rinaldo  Carli  (con 

ritratto).  —  C.  Luppi »    299 

Cronaca.  —  Bibliografia »    305 

Notizie  varie »    317 


Fasci eolo   III. 


Origine  della  moneta  in  Italia.  —  P.  Stettiner       .       .        .    Pag.  327 
Appunti  di  Numismatica  romana.  XII  e  XIII  (con  fig.).  —  Fran- 
cesco Gnecchi »  337 

A  proposito  di  una  moneta  di  Rubi.  —  Giulio  Jatta      .        .        >  359 

È  davvero  esistita  la  zecca  di  Mesocco  ?  —  Emilio  Tagliabue        »  369 

Un  picciolo  di  Astorgio  HI  Manfredi  per  Faenza.  —  G.  Castellani  »  425 

Medaglie  Italiane  del  1889  (con  una  tav.).  —  Alfredo  Comandini  »  429 

Le  monete  del  ducato  Napoletano  (con  duo  tav.).  —  A.  G.  Sambon  »  445 
Vite  di  illustri  numismatici  italiani.  VII.  Domenico  Bestini  (con 

ritratto).  —  C.  Luppi »  473 

Cronaca.  —  Necrologia »  481 

Bibliografia »  483 

Notizie  varie »  485 


Fascicolo  IV. 


Appunti  di  Numismatica  romana.  XIV  (con   una  tav.  e  fig.).   — 

Francesco  Gnecchi Pag.  495 

Enrico  Dandolo  e    le  sue  monete   (1092-1205)  (con    fig.).   —   Ni- 
colò Papadopoli >  507 

Annotazioni  numismatiche  genoiesi.  XIX  e  XX  (con  fig.)   —  Giu- 
seppe Ruggero »  521 

Appunti  di  Numismatica  italiana.  I  (con  fig.)  —  Ercole  Gnecchi  >  533 

Il  mezzo  zecchino  del  Vasto  (con  fig.).  —  Solone  Ambrosoli  .        »  543 

Medaglie  del  Vellano  di  Padova  in  onore  di  Paolo  II.  —  B.  Morsolin  »  549 

Medaglie  Italiane  del  1889.  (Una  aggiunta).  —  Alfredo  Comandini  »  559 
Vite  di  illustri  numismatici  italiani.  VIII.  Ennio  Quirino  Visconti 

(con  ritratto).  —  C.  Luppi »  561 

Cronaca.  —  Bibliografia »  571 

Notizie  varie »  577 


>  ^  t 


ELENCO  DEGLI  ASSOCIATI 

ALLA 

RIVISTA    ITALIANA    DI    NUMISMATICA 

PER    L'ANNO     1890 


-^ 


cop; 

S.  A.  E.  IL  Principe  di  Napoli        .        .        . 

Adriani  Prof.  Comm.  ])ott.  G.  B.,  R.  Ispettore  degli  Scavi  e 
Monumenti  di  Antichità.  —  Cherasco 

Ambrosoli  Dott.  Solone,  Conservatore  del  R.  Gabinetto  Numis- 
matico di  Brera.  —  Milano 

Ancona  Amilcare.  —  Milano 

Averara  Avv.  Manifesto.  —  Lodi 

Bahrfeldt  Max.  —  Friburgo 

Ballarati  Magg.  Amedeo.  —  Sacconago 

Balli  Emilio.  —  Locamo     .        .        .        .        . 

Bartolini  Cav.  Luigi.  —  Trevi 

Bartolo  (Di)  Prof.  Francesco,  Museo  Civico.  —  Catania    . 

Beltrami  Luca,  Architetto.  —  Milano 

Berlino.  —  Zeitschrift  filr  Numismatik 

Bignami  Cav.  Giulio.  —  Boma 

Bocca  Fratelli,  Librai.  —  Torino 

Bologna.  -—  Biblioteca  Municipale 

Bonomi  Enrico.  —  Legnago 

Borghese  Principe  D.  Paolo.  —  Roma 

Bosso  Dott.  Giuseppe.  —  Cairo  (Egitto)     .        .        . 

Boston.  —  American  Journal  of  Archeologi/  .... 
»       —  American  Journal  of  Numismatics  .... 

Boyne  William.  —  Firenze 

Brambilla  Nob.  Comm.  Camillo.  —  Pavia 

Briganti  Cav.  Bellino.  —  Osimo 

Brockhaus  F.  A.,  Libraio.  —  Lipsia 

Bruxelles.  —  Bevue  belge  de  Numismatique      .... 

Butti  Alfonso.  —  Milano     .        .        .        .        . 

76 


598 


INDICE   DEGLI   ASSOCIATI    PER   l'aNNO    1890 


Milano 


Torino 


Cagliari.  —  Kegio  Museo  di  Antichità       .... 

Camozzi  Verteva  Comm.  Gr.  B.  Sen.  del  Regno.  —  Bergamo 

Camuccini  Barone  G.  B.  —  Boma 

Cantoni  Achille.  —  Milano  . 

Capobianchi  Cav.  Prof.  Vincenzo.  —  Boma 

Capretti  Giuseppe.  —  Albiate 

Carpinoni  Michele.  —  Brescia 

Castellani  Rag.  Giuseppe.  —  Fano 

Ciani  Dott.  Giorgio.  —  Trento    . 

Cini  Avv.  Tito.  —  Montevarclii  . 

Comandini  Dott.  Alfredo.  —  Milano   . 

Como.  —  Municipio      .... 

»     —  Museo  Civico 
Cunha  (Da)  Dott.  Giuseppe  Gerson.  —  Bombay 
Demole  Dott.  Eugenio,  Conservatore  del  Gabinetto  Numismatico 

—  Ginevra 

Dupriez  Raimondo.  —  Bruxelles. 

Eletto  (Frate)  da  Imola.  —  Imola 

Engel  Dott.  Arturo.  ~  Parigi     . 

Fascila  Comm.  Carlo,  Direttore  della  R.  Zecca. 

Ferrarlo  Dott.  Ercole.  --  Gallarate     . 

Fiorasi  Capitano  Gaetano  —  Scuola  di  Guerra 

Firenze.  —  Archivio  Storico  Italiano . 

»        —  Biblioteca  Riccardiana 
Foa  Alessandro.  —  Torino   .        .        . 
Franchi  Carlo  (ditta  di  A.  Vismara,  Libraio). 
Furchheim  Federico,  Libraio.  —  Napoli 
Garovaglio  Dott.  Cav.  Alfonso.  —  Loveno  sopra  Menaggio  (Como 
Gavazzi  Cav.  Giuseppe.  —  Milano 
Geigy  Dott.  Alfredo.  —  Basilea  . 
Genova.  —  Biblioteca  Civica 

»        —  Giornale  ligustico 
Gentili  di  Rovellone  Conte  Tarquinio.  —  San  Si 
Georg  H.,  Libraio.  —  Ginevra     . 
Giletti  Carlo,  Orefice.  —  Bedonia  (Parma) . 
Ginevra.  ~  Società  Svizzera  di  Numismatica 
Gnecchi  Carlo.  —  Milano    .... 
Gnocchi  Cesare.  —  Milano  .... 
Gnecchi  Ing.  Giuseppe.  —  Milano 
Gn cecili  Marco.  —  Milano  .... 
Gnecchi  Vittorio   —  Milano 

Grazioli  Francesco,  Incisore  di  medaglie.  —  Milano  . 
Grossi  Gualtiero,  Bibliotecario  dell'Oliveriana.  —  Pesaro 
Hamburger  L.  e  L.  —  Francoforte  sul  Meno     . 
Hermerel  e  Serrure.  —  Parigi 


COPIE 


Como 


verino 


INDICE    DEGLI    ASSOCIATI    PER    l'aNNO    1890 


599 


Ke.  —  Civitavecchia 


Hess  Adolfo.  —  Francoforte  sul  Meno 

Hiersemann  M.  K.  W.,  Libraio.  —  Lipsia 

Hoepli  Comm.  Ulrico,  Libraio-Editore.  —  Milano 

Jatta  Giulio.  —  Ruvo  di  Puglia . 

Lamberti  Policarpo.  —  Savona    . 

Lambros  Gio.  Paolo.  —  Atene     . 

Landolina  di  Kigilifi  Francesco.  —  Palermo 

Lazara  (De)  Conte  Antonio.  —  Padova 

Leone  Cav.  Camillo.  —  Vercelli  . 

Lippi  Raffaele.  —  Biccari   . 

Loescher  Ermanno,  Libraio.  —  Poma  . 

Loescher  Ermanno,  Libraio.  —  Torino 

Londra.  —  The  Numismatic  Chronicle 

Luppi  Cav.  Prof.  Costantino.  —  Milano 

Mantegazza  Avv.  Cav.  Carlo,  Procuratore  del 

Mantova.  —  Biblioteca  Comunale 

Mariani  Giuseppe.  —  Milano 

Marignoli  March.  Filippo,  Sen.  del  Regno.  —  Boìtia 

Milani  Cav.  Prof.  Luigi  Adriano,  Direttore  del  R.  Museo  Archeo 

logico.  —  Firenze 

Milano.  —  Archivio  Civico  di  S.  Carpoforo 

»        —  Archivio  Storico  Lombardo 

»       —  Biblioteca  Ambrosiana 

»       —  Direzione  della  R.  Zecca   . 

»       —  R.  Biblioteca  Braidense 

»       —  R.  Gabinetto  Numismatico  di  Brera. 

»       —  Società  dell'Unione     .... 

»       —  Società  degli  Artisti  e  Patriottica     . 
Mirenghi  Avv.  Michele,  Presidente  della  Commissione 

Provinciale.  —  Bari 

Modena.  —  Regia  Biblioteca  Estense  . 
Mojana  (De)  Conte  Avv.  Alberto.  —  Milano 
Monti  Ing.  Antonio.  —  Como      .... 
Morsolin  Ab.  Prof.  Bernardo.  —  Direttore  del  Museo 

Vicenza 

Motta  Ing.  Emilio.  —  Milano     .... 

Mulazzani  Conte  Lodovico.  -—  Treviglio 

Napoli.  —  Direzione  dei  RR.  Musei  di  Antichità 

Nervegna  Giuseppe.  —  Brindisi  .... 

Nutt  Davide,  Libraio.  —  Londra 

Oreschnikow  Alessio,  Conservatore  del  Museo  Storico. 

Osio  Col.  Comm.  Egidio.  —  Poma 

Osnago  Enrico.  —  Milano 

Padoa  Cav.  Vittorio.  —  Firenze .... 
Papadopoli  Conte  Nicolò.  —  Venezia  ... 


COPI 


del  Museo 


Civico.  — 


Mosca 


600  INDICE   DEGLI   ASSOCIATI    PER    l'aNNO    1890 


ocp: 

Parazzoli  Antonio.  —  Cairo  (Egitto) 

Parigi  —  Fólyhihlion 

»       —  JRevue  Numismatique 

»      —  Société  fran^aise  de  numismatique     .... 

Parma.  —  E.  Museo  di  Antichità 

Pasi  Avv.  Adolfo.  —  Bologna 

Pasinati  Francesco.  —  Boma 

Patrizi  March.  Giovanni.  —  Boma      .        .        .        . 

Peelman  Giulio  e  C.  —  Parigi . 

Perini  Quintilio.  —  Mattaréllo  (Trento) 

Persiani  Avv.  Raffaele.  —  Chieti 

Piacenza.  —  Biblioteca  pubblica  Passerini-Landi 

Picozzi  Dott.  Francesco.  —  Lodi 

Pisano  Cav.  Dott.  G.  B.  —  Genova 

Prayer  Carlo.  —  Milano 

Ratti  Dott.  Luigi.  —  Milano 

Ratto  Rodolfo-  —  Genova 

Rivani  Giuseppe,  Direttore  del  Civico  Museo  di  Archeologia.  — 

Ferrara . 

Rizzini  Dott.  Prospero,  Direttore  del  Museo  Civico.  —  Brescia 
Rizzoli  Luigi,  Conservatore  del  Museo  Bottacin.  —  Padova 
Rolandi  Dott.  Francesco.  —  Alhenga  ...... 

Boma.  —  Biblioteca  del  Senato 

»      —  Biblioteca  della  R.  Accademia  dei  Lincei   . 

»      —  Direzione  della  R.  Zecca 

Rossi  Dott.  Umberto,  Conservatore  del  Museo  Nazionale.  —  Firenze 
Ruggero  Cav.  Giuseppe,  Tenente  Colonello.  —  Cremona     . 
Salinas  Comm.  Prof.  Antonino,  Direttore  del  Museo  Nazionale. 

—  Palermo ,        .        .        .        . 

Sambon  Cav.  Giulio.  —  Firenze  .        .        .        . 

Santoni  Can.  Milziade,  Direttore  della  Yalentiniana.  —  Camerino 

Savini  Paolo.  —  Milano 

Scarpa  Dott.  Ettore.  —  Treviso 

Schulman  Giacomo.  —  Amersfoort  (Olanda)       .... 

Seletti  Avv.  Emilio.  —  Milano 

Serazzi  Avv.  Pietro.  —  Novara 

Sessa  Rodolfo.  —  Milano    .        . 

Sforza  Prof.  Giovanni.  —  Dirett.  dell'Archivio  di  Stato.  —  Massa 
Sormani  Andreani  Conte  Lorenzo.  —  Milano  .... 
Sossi  D.  A.  Y.,  Prevosto  del  Capitolo  della  Cattedrale.  —  Asti . 
Sozzani  Ing.  Vincenzo.  —  Tromello  (Lomellina) .... 

Stettiner  Cav.  Pietro.  —  Boma 

Stevens  Emilio.  —  Napoli 

Taggiasco  Monsig.""  Cesare.  —  Boma  .        .  '    . 

Tatti  Ing.  Paolo.  —  Milano 


INDICE   DEGLI   ASSOCIATI    PER    l'aNNO    1890 


601 


Tolstoj  Conte  Giovanni.  —  Pietroburgo 
Torino.  —  Regio  Museo  di  Antichità  . 

»       —  R.  Biblioteca  Nazionale 
Torrequadra  Conte  Rogadeo.  —  Bitonto 
Trento.  —  Biblioteca  Comunale   . 
Trieste.  —  Museo  Civico  di  Antichità. 
Trùbner  K.  J.,  Libraio.  —  Strasburgo. 
Turati  Conte  Emilio.  —  Milano. 
Valton  Prospero.  —  Parigi . 
Van  Schoor  Carlo.  —  Bruxelles  . 
Yan  Trigt  G.  A.,  Libraio.  —  Bruxelles 
Varese.  —  Museo  Patrio 
Varisco  Sac.  Achille.  —  Monza  . 
Venezia.  —  Archivio  Veneto 

»        —  Ateneo  Veneto  . 

»        —  R.  Biblioteca 'Marciana    . 

»        —  Museo  Civico    . 
Verona.  —  Biblioteca  Comunale  . 
Yidal  Quadras  y  Ramon  Emanuele.  —  Barcellona 
Vienna.  —  Gabinetto  Num.  e  di  Antichità  della  Casa 

»        —  Numismatische  Zeitschrift. 
Vigano  Gaetano.  —  Desio    . 
Visconti  March.  Carlo  Ermes.  —  Milano 
Vitalini  Cav.  Ortensio.  —  Roma . 
Volterra.  —  Museo  e  Biblioteca  Guarnacci 
Wesener  F.  J.  —  Monaco    . 
Witte  (De)  Alfonso.  —  Bruxelles. 
Zecca  Cav.  Avv.  Vincenzo,  Segretario-Capo  Provinciale 
Zitelli  Pietro.  —  Scio  (Turchia)  . 


COPIE 


Imperiale 


—  GMeti 


INDICE   METODICO 


Gli  indici  delle  annate  scorse  non  essendo  stati  fatti  per  ordine  di  materie, 
come  intendiamo  farli  d'ora  innanzi  per  facilitar  le  ricerche,  riassu- 
miamo quest'anno  la  materia  delle  prime  tre  annate  della  Kivista. 


NUMISMATICA  ANTICA. 

(Memorie   e   Dissertazioni). 

Anno    Pag. 

i^lcune  monete  inedite  di  Magna  Grecia.  A.  G.  Sambon   .  II  139 

A  proposito  di  una  moneta  di  Rubi.  Giulio  Jatta  .     .     .  Ili  359 

Origine  della  Moneta  in  Italia.  P.  Stettiner Ili  327 

Il  Medaglione  Eomano.  Federico  Kenner  (Trad.  di  S.  A.)  II     83 

Idem.  —  (Continuazione  e  fine) II  243 

Il  Ripostiglio  di  S.  Zeno  Città.  Amilcare  Ancona     ...  I  229 

Peso  e  titolo  degli  Antoniniani  di  Claudio  Gotico.  A.  Markl  II  323 

Serdica  o  Antiochia  ?  Andrea  Markl  (Trad.  di  S.  A.)  .     .  II  537 
Appunti  di  Numismatica  Romana.  Francesco  Gnecchi  : 
I.  Monete    imperiali  inedite  nella  Collezione  Gnecchi 

a  Milano I  131 

II.  Ripostiglio  di  monete  romane  in  Egitto     ....  I  151 

III.  Medaglioni  inediti  nella  Collez.  Gnecchi  a  Milano    .  I  275 

IV.  Piccoli  Bronzi  da  Antonino  Pio  a  Severo  Alessandro  I  291 
V.  Monete  della  Repubblica  inedite  o  varianti ,  rista- 
bilite e  corrette,  nella  Coli.  Gnecchi  a  Milano    .  II  151 

VI.  La  corona  d'Augusto  in  alcuni  aurei  consolari   .     .  II  181 
VII.  Contribuzioni  al    Corpus    Numorum,    A)   Collezione 

Francesco  Gnecchi II  431 

Vili.   Antoniniano  di  Zenobia Ili     15 

IX.  I    Contrassegni    sulle    monete    della    Repubblica  e 

del  principio  dell'Impero III     21 

X.  Considerazioni  sulle  monete  di  S,  Elena  e  di  Fausta  III  183 


604  -  INDICE   METODICO 


Anno    Fag. 
XI.  Contribuzioni  al  Corpus  Numorum.  B)  Museo  Mu- 
nicipale di  Milano Ili  199 

XII.  Cinque  Bronzi  inediti  provenienti  dagli  scavi  di 

Roma  durante  il  1889 Ili  337 

XIII.  Ai  restauratori  dei  Bronzi  antichi Ili  353 

XIV.  Medaglione  ?    Considerazioni    su    di    un    bronzo 
colle  effigie  di    M.  Aurelio  e    L.  Vero    appar- 

#                    tenente  al  Museo  di  Brera III  495 

(Notizie  varie). 

Ripostiglio  di  Monete  Greche I  120 

Notizie  degli  Scavi I  120 

Idem I  269 

Un  piccolo  ripostiglio  in  Brianza I  269 

Ripostiglio  a  Vercelli. I  395 

Tessere  romane I  501 

Idem II  316 

Ripostigli  di  monete  romane  (U.  Rosa)    .     .     .     .     .     .     .  II  129 

Ripostiglio  di  Parabiago  (G.  M.).  • II  130 

Idem.  II II  315 

Ripostiglio  di  Pratocolombajo II  130 

Ripostiglio  di  Saligny II  131 

Ritrovamenti  di  monete II  316 

Ripostiglio  di  S.  Damiano   d'Asti  (V.  Sossi) Ili  174 

Scavi  di  Roma  durante  il  1889.  (P.  Stettiner)    .     .     .     .  Ili  176 

Scavi  di  Roma  (1890).  (P.  Stettiner) Ili  317 

Idem Ili  488 

Ripostiglio  di  monete  romane  in  Egitto.  (F.  G.)  .     .     .     .  Ili  487 

NUMISMATICA  ITALIANA  MEDIOEVALE  E  MODERNA. 

(Memorie  e  Dissertazioni). 

Di  alcune    monete    inedite  e    sconosciute   della   zecca    di 

Scio.  Francesco  ed  Ercole  Gnecchi I      1 

Idem.  —  Appendice I  399 

Il  Ripostiglio  di  Durate  Abbate.  Solone  Ambrosoll     .     .  I     15 

Studii  economici  sulle  monete  di  Milano.  G.  Mulazzani   .  I    41 

Idem I  299 

Idem II      3 


INDICE   METODICO  605 


Anno    Fag. 
Gli  Zecchieri  di  Milano  nel  1479.  Emilio  Motta.     ...  I    73 
Di    una    monetina    trivulziana    con    San    Carpoforo.    So- 
lone Ambrosoli I  211 

Documenti  inediti  della  zecca  di  Correggio.  E.  G^ecchi  .  I  217 

Idem.  —  Appendice  I II     13 

A  proposito    delle    monete  di    Gian  Carlo  Visconti.    Giu- 
seppe Gavazzi I  225 

Alcune  notizie  sugli  intagliatori    della  zecca    di  Venezia. 

Nicolò  Papadopoli I  351 

Di  una  moneta  inedita  mantovana.  Francesco  Tamassia    .  I  361 
Di  uno  scudo  progettato  per  S.  Marino.  Solone  Ambrosoli  I  363 
Eicerca  del   fiorino  d'  oro  di  Giangaleazzo    Visconti.  Giu- 
seppe Gavazzi I  411 

Annotazioni  Numismatiche  Genovesi.  Giuseppe  Ruggero: 

XI.  Minuto  colla   leggenda  ianva  q  •  d  •  p  •     .     .     .     .  I  455 

XII.  Monete  del  Governatore  Agostino  Adorno    ...  I  461 

XIII.  Monete  del  Governatore  Card.  Campofregoso    .     .  II     17 

XIV.  Minuto  del  Doge  Antoniotto  Adorno II    23 

XV.  Nuova  variante  e  considerazione  su  di  un  minuto 

già  edito II    28 

XVI.  Le  terzarolo  di  Carlo  VI II  197 

XVII.  Ducato  della  Libertà  del  144243 II  371 

XVIII.  Varianti  di  Minuti  ed  una  moneta  inedita  ...  II  507 

XIX.  Monete  attribuite  dal  Gandolfi  ai  Dogi  X  e  XI  .  Ili  521 

XX.  Minuti  del  Governatore  Filippo  di  Cleves    .     .     .Ili  526 

Moneta  d'oro  del  Principe  Siro  da  Correggio.  F.  Miari   .  I  481 

La  Zecca  di  Tresana.  Umberto  Rossi II    35 

Monetazione  Carolingia  italiana.  —  Carlomanno.  D.  Muoni  II  187 

Un  bando  contro  le  monete  trivulziane.  E.  Tagliabue  .     .  II  201 
Compendio    storico  di  quindici  zecche    italiane.   Giovanni 

MULAZZANI II  333 

Idem.  —  (Continuazione  e  fine) II  477 

Moneta  Dalmatiae.  Nicolò  Papadopoli II  361 

La  Zecca  di  Fano  nel  1797.  Giuseppe  Castellani     ...  II  381 

Gerolamo  Alberti  maestro  di  zecca.  Emilio  Motta   ...  II  401 

Note  Monegasche.  Solone  Ambrosoli  . II  515 

Le    Monete    dei    Pontefici    Romani    Leone  Vili    e    Gio- 
vanni XIII.  Tarquinio  Gentili  di  Rovellone     .    .     .  Ili    51 
Patacchina  Savonese    inedita  di    Filippo    Maria  Visconti. 

Solone  Ambrosoli Ili    91 

Moneta  inedita   di  Pietro  I  di  Savoia.  V.  Promis.     .     .     .Ili  123 

77 


606  INDICE    METODICO 


Anno    Fàg. 

Monete  di  G.  B.  Falletti  conte  di  Benevello.  V.  Promis   .  Ili  129 
Congetture  suirattribuzione  di  alcuni  tremissi  longobardi. 

Giuseppe  Gavazzi Ili  207 

Nuove  osservazioni  sopra  alcune  monete  battute  dai  Papi 

nel  Contado  Venesino  e  d'Avignone.  V.  Capobianchi  .  Ili  217 
Soldino  astigiano  inedito  di  Carlo  V.  Solone  Ambrosoli  .  Ili  233 
Tremisse  inedito  al  nome  di  Desiderio  re  dei  Longobardi. 

Camillo  Brambilla Ili  277 

E  davvero  esistita  la  zecca  di  Mesocco?  E.  Tagliabue     .  Ili  369 
Un  picciolo  di  Astorgio  III    Manfredi  per   Faenza.    Giu- 
seppe Castellani Ili  425 

Le  monete  del  ducato  napoletano.  Arturo  G.  Sambon  .     .  Ili  445 
Appunti  di  Numismatica  Italiana.  E.  Gnecchi  : 

I.  Tre  luigini  inediti  di  Campi     .........  III  533 

Enrico  Dandolo  e  le  sue  monete.  Nicolò  Papadopoli  .     .  Ili  507 
Il  mezzo  zecchino  del  Vasto.  Solone  Ambrosoli  ....  Ili  543 

(Notizie  varie). 

Ripostiglio  a  Mombello I  395 

Ripostiglio  di  Ballabio I  498 

Ripostiglio  di  Villa  Raverio    ...     . II  131 

Ritrovamento  di  monete  a  Firenze  .........     II  133 

Ritrovamenti  di  monete .     II  316 

Ripostiglio  di  Gessopalena  (C.  Persiani).    .     .     ....     II  427 

Ripostiglio  di  Sartirana  (E.  G.) Ili  171 

Ripostiglio  di  Solignano  (A.  Crespellani)     ......  Ili  173 

Un'urna  di  monete  viscontee  a  Treviglio.  (C.  Bellotti)  .  Ili  485 
Un  ripostiglio  di  monete  d'oro  medioevali  a  Roma.  (E.  G.)  Ili  577 


MEDAGLIE    ANTICHE, 

I    Medaglisti   del   Rinascimento  alla   Corte    di   Mantova. 
Umberto  Rossi  : 

I.  Ermes  Flavio  de  Bonis ,     .     •       I    25 

IL  Pier  Jacopo  Alari-Bonacolsi  detto  VAntico     ...       I  161 

Idem.  —  (Continuazione  e  fine) I  433 

III.  Gian  Marco  Cavalli I  439 

Le   medaglie    Friulane    dei   secoli   XV   e    XVL    Valen- 
tino Ostermann I  195 


INDICE   METODICO  607 


Anso  Fag. 
Francesco  Marchi  e  lo  medaglie  di  Margherita  d'Austria. 

Umberto  Rossi.    . I  333 

Una  medaglia  inedita  del  Museo  di  Brera.  S.  Ambrosoli.  I  471 

La  medaglia  dei  Dottori  del  Collegio  di  Como.  C.  Poggi.  II    67 

Una  medaglia  di  Antonio  Abbondio.  Solone  Ambrosoli    .  II  391 

Una  medaglia  commemorativa  milanese.  Ercole  Gnecchi.  II  395 
Di    un   medaglista    anonimo    mantovano    dell'  anno    1506. 

Roberto  von  Schneider  (Trad.  di  S.  A.) Ili  101 

Lodovico  Chiericati.  Bernardo  Morsolin Ili  139 

Gerolamo  Gualdo.  Idem Ili  142 

Giacomo  Bannissio.  Idem    ............  IH  239 

Isabella  Sesso.  Idem Ili  247 

Medaglie  del  Vellano    di   Padova  in  onore  di    Paolo  III. 

Idem Ili  549 

MEDAGLIE    MODERNE. 

Medaglie  italiane  del  1888.  Alfredo  Comandini.  —  Parte  I.     II    53 

Idem.  —  Parte  II II  217 

Medaglie  italiane  del  1889.  Alfredo  Comandini.  —  Parte  I  III  259 

Idem.  —  Parte  II Ili  429 

Idem.  —  Un'Aggiunta Ili  559 

Le  medaglie  di  Giuditta  Pasta.  Cencio  Poggi II  517 

Una  medaglia  inedita  dei  Principi  Baciocchi.  G,  Sforza  .  Ili  119 

La  medaglia  della  Duchessa  di  Galliera I  126 

Medaglia  al  Prof.  Brioschi II  133 

Medaglie  a  Giacomo  Medici  e  Luciano  Manara    ....     II  316 

BIBLIOGRAFIA. 

(Opere  Numismatiche). 

Àrmand  Alfred.  Les    médailleurs    italiens  des    quinzième 

et  seizième  siècles.  Parigi,  1887.  (S.  A.) I  106 

Atkins  James.  The    coins  and  Tokens  of  the  Possessions 

and  Colonies,  etc.  Londra,  1889 II  124 

Barclay  V.  Head,  Historia  numorum.  Oxford,  anno  1887. 

(A.  PuscHi) I    97 

Barthélemy   (A.  de).   Nouveau  manuel   de    Numismatique 

ancienne.  Parigi,  1890.  (S.  A.) Ili  308 

Blanchet  (J.  A.).  Manuel  de  Numismatique  du  moyen  àge. 

Parigi,  1890.  (S.  A.) Ili  308 


608  INDICE   METODICO 


Anno  Fag. 
Bodleian  Library  (The)  in  1882-87.  Oxford,  1888.  (F.  G.).  II  122 
Brambilla  Camillo.  Tremisse  inedito  al  nome  di  Desiderio. 

Pavia,  1888 I  491 

Cecchetti  B.  Bolle  dei   Dogi    di    Venezia.    Venezia  ,  1888. 

(V.  Padovan) II  120 

Cerexhe  Michel.  Les   monnajes  de   Charlemagne.   Gand , 

anno  1887.  (C.  L.)     .  ^^V'^'i"'^^^  Ì'-'}''^^',  ^^i^-'Ì;;^^j"V^    ^1?  37Ò 
Crespellani  Arsenio.    Oggetti   galIò-celtici    del    modériese.      '' 

Modena,  1887 .       I  lOt 

Desimoni  Cornelio.  Le  prime  monete  d'argento  della  zecca 

di  Genova  e  il  loro  valore.  Genova,  1888.     ....       I  375 

Engel  et  Serrure.    Repertoire  des   sources    imprimées    de 

la  Numismatique  franpaise.  T.  I.  Parigi,  1887.  (S.  A.).       I  255 

Idem.  —  Tomo  II.  Parigi,  1889 II  120 

Idem.  —  Supplemento.  Parigi,  1889 II  582 

Fraccia  Giovanni.  Su    due    contromarche    in    monete    ro- 

...    mane.  (F.  G.) Ili  160 

—T.—  Antiche  monete  siciliane,  ecc.  (F.  G.) Ili  162 

.^■-..(Una  lettera  del  Cav.) .  Ili  318 

Gnecchi  Francesco  ed  Ercole.  Guida  numismatica  univer- 
sale. 2'  edizione.  Milano,  1889 II  307 

Saggio  di    Bibliografia    numismatica     delle    zecche 

italiane.  Milano,  1889.  (Solone  Ambrosolt) II  115 

Imhoof-Blumer  und  Otto  Keller.  Tier   und  Pflanzenbilder 
-^:i  auf  Munzen,  etc.  Lipsia,  1889.  (S.  A.) Ili  305 

Kòrher  Dr.  Karl.  Beitràge  zur  ròmischen  Mùnzkunde.  Ma- 

gonza,  1887.  (L.  A.  Milani) II  298 

Molinier  Emile.  Les  Bronzea  de  la  Renaissance.  Les  Pla- 

quettes.  (Alfredo  Melani) I  251 

Mulazzani  Giovanni.  Tre    opuscoli  di  numismatica   mila- 
nese. Milano,  1889 II  124 

Promis   Vincenzo.  Moneta  inedita  di  Pietro  di  Savoia,  ecc. 

Torino,  1888 I  374 

Monete  di  G.  B.  Falletti.  Torino,  1888 I  491 

Quadras  y-  Ramon  D.  Manuel  Vidal.  (Compendio  del  Ca- 
talogo, ecc.).  Barcellona,  1888 I  375 

Rizzini.  Illustrazione  dei  Civici  Musei  di  Brescia.  Parte  I: 

Placchette  e  bassorilievi Ili  163 

Salinas  Antonio.  Ripostiglio   siciliano    di  monete    antiche 

d'argento II  305 


INDICE   METODICO  609 


Anno    Pag. 
Sambon  Arturo    Giulio.    Monete    del    ducato    napoletano. 

Napoli,  1889 Il  582 

Warwieh    Wroth.    Catalogne    of    Greek    coins.    Londra I^)  ;:iiil'  " 

anno  1889.  (F.  G.) ^nX>'JXl  159 

Werdnig  Dr.  G.  Die  Osellen.  Vienna  1889.  (N.  P)  •.  't.-IT'     I  489 
Nuove  pubblicazioni  di  numismatica.  I  109,  257,  376,  492. 

II  124,  308,  422,  583.  Ili  164,  310,  571. 


(Periodici  numismatici) 


'.U  on- 


Bollettino  di  Numismatica  e  Sfragistica.  I  111.  —  The 
Nùmismatic  Chronicle.  I  313.  Ili  574.  —  Revue  Nu- 

'  mismatique.  I  112,  377,  493.  II  126,  310,  584.  Ili  166, 
312,  483,  574.  —  Annuaire  de  la  Société  franpaise  de 
Numismatique  et  d'Archeologie.  1: 113,  259,  379,  494. 
II  126,  310,  585.  Ili  167,  313,  573.  —  Numismatische 
Zeitschrift.  II  311.  Ili  483.  —  Zeitschrift  ftir  Numis- 
matik.  I  384.  II  587.  Ili  168.  —  Revue  Belge  de 
Numismatique.  1115,  260,  381.  II  126,  311,  423,  586. 
Ili  483,  573.  —  Bulletin  de  Numismatique  et  d'Ar- 
chéologie.  I  262.  —  Bulletin  de  la  Société  Suisse  de 
Numismatique.  I  262.  Ili  167,  313.  —  American 
Journal  of  Numismatics.  I  262.  II  127.  Ili  484. 

(Articoli  numismatici  in  Periodici  diversi). 
I  117,  263,  387,  494.  II.  127,  312,  424,  587.  Ili  168,  314,  574. 

NECROLOGIE. 

Amécourt  (Visconte  Ponton  d') I    93 

Armand  (Alfred).  Art.  di  U.  Bossi I  367 

Bazzi  (Mons.  Gaetano).  Articolo  di  E.  G Ili  481 

Biondelli  (Bernardino).  Art.  di  S.  Ambrosoli I  239 

Canzani  (Demetrio) I    96 

Cecchetti  (Bartolomeo) II  113 

Chalon  (Bénier) II  114 

Danicourt  (Alfred) I     95 

Ghiron  (Isaia).  Art.  di  S.  Ambrosoli     ........  II  417 

Kunz  (Carlo).  Art.  di  A.  Buschi ;*;;m  *-    .  I    85 


IMDICB   METODICO  6lO 


Anno    Faf. 

Lambros  (Paolo) I     93 

Meyer  (G.  F.  G.) ".  Ili  158 

Molins  (Marchese  de) Ili  158 

Morel  Fatio I    91 

Quelen  (Eleazaro  de)  . I    95 

Promis  (Vincenzo).  Art.   di   S.  A Ili  155 

Reimer  (Hans)    ................  I     96 

Remedi  (Angelo). II  297 

Robert  (Pierre  Charles)  •....,..,.. I    94 

Rovelli  (Pietro) II  295 

Tambroni  Armaroli  (Ernesto) I     93 

Wilson  (G.  W.)  .     . Ili  158 

Witte  (Barone  de)  ................  II  581 

MISCELLÀNEA. 

Prefazione.  La  Direzione    ............  I   IX 

Ai  Lettori.  Solone  Ambrosoli II  593 

Ai  Lettori.  Francesco  ed  Ercole  Gnecchi Ili      9 

Vite  di  illustri  numismatici  italiani.  C.  Luppi  : 

I.  Lodovico  Antonio  Muratori    .     .     .     .     .     .     .     .  II  105 

II.  Filippo  Argelati II  287 

in.  Vincenzo  Bellini.     ............  II  409 

IV.  Guid'Antonio  Zanetti II  573 

V.  P.  Ireneo  Affò Ili  145 

VI.  Gian  Rinaldo  Carli Ili  299 

VII.  Domenico  Sestini '  III  473 

Vili.  Ennio  Quirino  Visconti  . Ili  561 

Falsificazioni  moderne I  125 

Idem I  266 

Idem I  497 

Idem Ili  178 

Idem Ili  582 

Le  antiche  monete   americane I  122 

Una  raccolta  di  gettoni I  122 

Furto  di  monete I  122 

Offerte  per  la  fondazione  della  Rivista I  12& 

Idem I  272 

Il  furto  di  Parigi I  268 

Un  premio  ad  Ernesto  Babelon I  269 

Numismatica  musulmana I  270 


INDICE   METODICO  611 


A&no    Fag. 

Le  monete  antiche  e  la  dogana  italiana I  270 

Un  dono  di  Torino  a  Milano I  271 

Manoscritti  di  Carlo  Kunz I  393 

Una  lettera  di  P.  Verri  relativamente  al  Gabinetto  di  Brera       I  394 

Un  altro  furto  di  monete I  395 

Guida  Numismatica  universale I  396 

Spigolature  d'Archivio.  (E.  Motta) I  483 

Il  famoso  ripostiglio  di  Russia I  499 

Per  la  numismatica  milanese I  501 

Per  la  Brigata  Aosta II  135 

Kumismatica  medica II  307 

Monete  merovingie II  316 

Concorso  della  E.  Accademia  di  Belle  Arti  di  Milano.     .     II  319 
La  Numismatica  all'Esposizione  di  Parigi.  (F.  Gnecchi)  .     II  428 

Medaglisti  moderni.  (A.  Melani  ) II  590 

Premio  Girotti II  591 

Moneta  coloniale II  591 

Monete  per  la  Colonia  Eritrea Ili  584 

Zecca  di  Milano Ili  179 

Società  Numismatica  Svizzera Ili  180 

Museo  Provinciale  di  Bari Ili  324 

Lo  scudo  di  S.  Marino.  (S.  A.) Ili  487 

Club  Numismatico Ili  587 

Il  premio  di  numismatica   all'Accademia  delle  Iscrizioni 

e  Belle  Lettere  in  Francia Ili  588 

Per  la  Storia  dei  Periodici  di  Numismatica Ili  589 

Doni  al  Gabinetto  di  Brera I  127 

Idem I  500 

Idem II  135 

Idem II  320 

Idem II  591 

Idem Ili  178 

Idem Ili  588 

Vendite  di  monete  : 

Collezione  Amécourt  (Visconte  Ponton  d') Ili  488 

n  Belfort  (Augusto  de)  (P  G.) I  123 

n  D***  (Conte).   (F.  G.) II  317 

n  Hirsch I  122  e  268 

n  Miari  (Conte  Fulcio  Lucio)     . III  178 

n  Morel  Fatio   .     , I  393 

P  Phothiades  Paoha  (E.  G.)   .......    .  Ili  489 


612  INDICE    METODICO 


Anno    Fas* 

Collezione  Quelen  (Eleazaro  de)  (F.  G.) I  388 

r>  di  un  amatore  russo II  134 

Collaboratori  della  Rivista  nell'anno  1888 Ili  591 

Idem,  nel  1889 Ili  592 

Idem,  nel  1890 Ili  593 

Indice  dell'annata  1888 I  503 

Idem,  dell'annata  1889    .............     II  395 

Idem,  dell'annata  1890 Ili  595 

Elenco  degli  Associati  alla  Rivista  per  l'anno  1888  ...       I  507 

Idem,  per  l'anno  1889 II  597 

Idem,  per  l'anno  1890 Ili  597 


Finito  di  stampare  il  16  Dicembre  1890. 
Lodovico  Felice  Cogliati,  Gerente  responsàbile. 


TAVOLE. 


BRONZO 


K  # 


F.  GHECCHI.  —  Appunti  di  Numismatica  Romana.  -  N.  XIV. 

(Anno  III  -  Fasc.  IV) 


CJ        Rivista  italiana  di  numism 
9  tica  e  scienze  affini 

R6 
V.3 


PLEASE  DO  NOT  REMOVE 
CARDS  OR  SLIPS  FROM  THIS  POCKET 

UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY