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Full text of "Rivista musicale italiana"

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A  ABERTURA  DE  S.  CARLOS 


Rivista  musicale  italiana 


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icale 


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ivista  Hlusicale 

Italiana. 


Volume  Vin.  —  Anno  igoi. 


FRATELLI  BOCCA  EDITORI 

TORINO 

MILANO  .  ROMA  -  FIRENZE 


BappreMPtanti  generali  per  la  (Hrmania  e  l' Austria-Ungheria 
BRSmOFF  é  HiBTSL  -  LEIPZIG. 

1901 


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PROPailTi    LITTiaAaiA 


Torino,  SUbiliiMnto  Tipognfleo  Vorotiiso  Bova,  Ti»  Ospedale,  8. 


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\^/Ui^\ 


^(^113'  INDICE  DEL  VOLUME  Vili 


■//lui. 


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MEMORIE 

ÀOÀIEWSKY  (E.)  —  Lea  chants  de  TÉglise  Grecque-Orien- 
tale Pag. 

GÀMETTI  (A.)  —  Sagf<io  cronologico  delle  opere  teatrali 
(1754-1794)  di  Niccolò  Piccinni 

CHILESOTTI  (0.)  —  L'evoluzione  nella  scrittura  dei  suoni 
musicali 

GRASSI- LAND!  (B.)  —  Genesi  della  musica    . 

KLING  (H.)  —  Schiller  et  la  Musique     .... 

PISTORELLl  (L.)  —  li  •  Miserere  ,  in  Mi  minore  di  J.  To- 
madini 

ROBERTI  (6.)  •—  La  musica  in  Italia  nel  secolo  XVIII,  se- 
condo le  impressioni  di  viaggiatori  stranieri    . 

SINCERO  (D.)  —  La  sonata  a  KreutKer  .... 

SOUBIES  (A.)  —  La  musique  scandinave  avant  le  XIX*  siècle 

THIBAUT  (P.  J.)  —  Les  chants  de  la  liturgie  de  S'  Jean 
Chrjsostome 

TORCHI  (L.)  —  La  musica  istrumentale  in  Italia  nei  secoli 
XVI,  xvn  e  XVIII 

TORRI  (L.)  —  Il  Solitaire  aeeond  ou  Prose  de  la  tnusigue  di 
Pontus  de  Tyard 


48-579 

75 

123 
560 
802 

784 

519 

603 

101-255 

768 

1 
847 


ARTE  CONTEMPORANEA 


BOCCA  (G.)  —  Verdi  e  la  caricatura 

DECUJOS  (L.)  —  La  casa  di  riposo  pei  musicisti 

DUVAL  (R.)  —  L'amour  du  poète    . 

FOÀ  (F.)  —  Il  teatro  lirico  nazionale 

GIANI  (R.)  —  Il  ■  Nerone  ,  di  Arrigo  Boito   . 

MAGRINI  (G.)  —  La  revisione  delle  edizioni  musicali 


326 
363 
656 
690 
861 
674 


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MAUKE  (G.)  —  La  nuova  romanza Pag, 

MONALDI  (G.)  —  Aneddoti  Verdi^ii       .        .        .        .        , 
SOMIGLI  (C.)  —  La  tecnica  del  canale  d*attacco    .        .        ,         : 
TABANELLI  (N.)  —  La  "  questione  della  Scala  ,  dal  punto 

di  vista  storico  e  giurìdico ^ 

' —  Giurìsprudofìta  teatrale «  441-7 

TORCHI  (L.)  —  Le  "  Maschere  ,  di  P.  Mascagni    . 
—  L'opera  di  Giuseppe  Verdi  e  i  suoi   caratteri  principali  , 
TORRI  (L.)  —  Saggio  di  bibliografia  Verdiana      . 
ZAMBIASI  (G.)  '  Intorno  alla  misura  degli  intervalli  me- 
lodici     „ 

*  *  Le  date  (a  proposito  di  G.  VerdO*  Bibliografia  .  « 


Recensioni: 

Storia  —  212,  459,  727,  1023. 

Critica  —  219,  472,  730,  1043. 

Estetica  —  222,  475,  1044. 

Opere  teoriche  —  226,  482,  721,  1046. 

Strumentazione  —  733,  1053. 

Ricerche  scientifiche  —  227,  1054. 

Musica  sacra  —  43,  487,  735,  763,  784. 

Musica  —  489,  735. 

,      wagneriana  —  230,  488,  747,  1056. 

Legislazione  e  Giurisprudenza  —  490. 

Varie  —  230.  491.  736,  1067. 
Spoglio  dei  Periodici  —  232,  495,  787,  1059. 
Notimie  —  240.  504,  745,  1067. 
mienco  dei  lAhH  —  249,  513,  756,  1069. 
EHenco  deUa  Musica  -  235,  516,  759,  1072. 
Indice  deUe  Opere  recensite  —  1075. 
Indice  aMfabetico  —  1077. 


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^m©mo^I©^ 


La  niugica  istrunientale  in  Italia 
nei  gecoU  X¥I,  XYH  e  XYffl. 

(Continuai,  e  fine,  Y.  voi.  YU,  ùac.  2*,  pag.  233^  anno  1900). 


XII. 


SX'i  rimane  a  mostrare  come,  per  ciò  che  concerne  la  forma  quale 
l'abbiamo  seguita  fin  qui  nelle  sue  molteplici  manifestazioni,  il  me- 
desimo 8?ilappo  si  avverta,  parallelo  per  legge  naturale,  anche  nelle 
opere  dei  clavicembalisti  e  degli  organisti  italiani  del  settecento.  Ed 
è  una  evoluzione  analoga  che  segue  neiruno  e  nell'altro  campo.  Noi 
tralasciammo  di  discorrere  della  musica  d'organo  nel  punto  in  cui  la 
osservammo  pervenuta  ad  un  alto  grado  di  sviluppo  nelle  opere  del 
Frescobaldi,  di  Fabrizio  Fontana,  di  Michelangelo  Bossi  e  di  Bernardo 
Pasquini,  mentre  la  musica  di  liuto,  nell'epoca  stessa,  cioè  nella 
seconda  metà  del  sec.  XVII  s'era  di  molto  modificata  nello  stile, 
scendendo  ad  un  livello  poco  artistico.  La  letteratura  del  liuto  si  perde  ; 
quella  dell'organo  si  fonde  con  quella  del  clavicembalo  e  si  modifica 
anch'essa.  L'analogia  che  vi  è  fra  lo  stile  d'uso  nella  musica  di  cla- 

Ri9iiia  mmtkaU  Halimui,  Vili.  1 


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MEMORIE 


yicembalo  e  in  quella  dell'organo,  nel  1600,  Tabbiamo  già  considerata. 
Ed  ora  è  appunto  dai  clavicembalisti  del  sec.  XVII  che  dobbiamo 
muovere  i  nostri  passi,  se  vogliamo  spiegarci  attraverso  quali  rivol- 
gimenti la  musica  di  clavicembalo  raggiunse  la  indipendenza  deirepoca 
di  Domenico  Scarlatti,  di  Martini  e  di  Galuppi.  Anche  quest'ultima 
parte  della  mia  ricerca,  purtroppo  non  può  esser  breve  ;  ma  di  essa 
il  mio  studio,  che  ha  bisogno  di  completarsi  in  qualche  guisa,  non 
può  far  senza.  Anche  questo  ramo  della   musica  da  camera  è  nel 
nostro  settecento  immensamente  interessante;  prego  dunque  il  lettore 
a  fare  un  altro  po'  di  sacrifìcio  e  a  seguirmi  con  pazienza  benevola. 
La  toccata  per  organo,  come  abbiamo  visto,  fu  tra  le  forme  mu- 
sicali più  movimentate,  più  sovraccariche  di  melisme  e  diminuzioni, 
una  composizione  nella  quale,  senza  differenza  di  epoche,  lo  slancio 
della  libera   fantasia  si  dirigeva   preferibilmente  verso  l'esteriorità 
degli  effetti.  Nel  ricercare,  nella  camone,  nell'aria  di  danza  il  com- 
positore s'intratteneva  di  più  a  sviluppare  i  temi.  Nel  ricercare  spe- 
cialmente lo  stile  fugato,  imitativo,  trovava  un'applicazione  ampia  e 
castigata  ad  un  tempo,  la  quale  presso  i  buoni  maestri  era  diventata 
abituale.  Fu  questo  stile,  furono  queste  forme  che  pervennero  in 
eredità  ai  clavicembalisti  del  settecento.  Il  bello  stile  del  Frescobaldi, 
serio,  ricco  d'armonia,   intessuto  di  eleganti   contrappunti,  insieme 
colla  severa  compostezza  e  cantabilità  delle  voci  nel  ricercare  di  Fa- 
brizio Fontana,  e  col  disegno  vivace,  col  movimento  fantasioso,  ricco 
di  passaggi  e  d'imitazioni  nei  ricercari  e  nelle  toccate  di  Bernardo 
Pasquini  e  di  Michelangelo  Rossi,  sono  le  qualità  che  noi  troviamo 
fuse  in  bell'armonia  nelle  suonate  di  clavicembalo  di   Giambattista 
LuUi.  È  collo  studio  di  queste  e  insieme  delle  opere  de'  cinque  or- 
ganisti or  ora  nominati,  che  noi  possiamo  agevolmente  spiegarci  lo 
stile  delle  sonate  per  organo  di  Domenico  Zipoli.  — Ciò  che  afferma 
il  signor  Ernst  von  Verrà,  in  una  sua  raccolta  intitolata  «  Orgelbuch  », 
pubblicata  nel  1887,  in  cui  egli  ha  fatto  entrare  una  fughetta  del 
Zipoli)  e  cioè  che  sulla  intavolatura  del  maestro  italiano  non  sia 
impresso  l'anno  della  stampa,  non  è  vero.  A  piede  della  prefazione, 
nell'eseniplare  che  mi  sta  innanzi,  io  leggo  chiaro:  il  primo  Gennaro 
1716.  Sono  dunque  le  dette  suonate  d'intavolatura  per  organo  e  ciofi- 
balo  del  1716.  Il  libro  è  diviso  in  due  parti:  La  prima  consta  di  una 
toccata,  di  versi,  di  canzoni,  etc.  Nella  seconda  si  contengono  preludi, 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTALB  IN  ITAUA  MSI  SKCOLI  XTI,  XTII  S  XVIH  Ó 

allemande,  correnti,  sarabande,  gighe,  gavotte  e  partite.  Le  compo- 
sizioni del  Zipoli  sono  stampate  facendo  uso  del  sistema  moderno  com- 
posto di  due  righi  di  cinque  linee  ognuno.  Però,  nella  prima  parte 
del  libro,  le  chiavi  occorrenti  nel  primo  rigo  sono  quelle  di  soprano 
e  di  mezzo  soprano,  le  quali  si  alternano  secondo  il  bisogno;  nel 
secondo  rigo  si  trova  quando  la  chiave  di  basso,  quando  quella  di 
tenore.  Nell'altra  parte,  il  primo  rigo  porta  sempre  la  chiave  di  vio- 
lino, il  secondo  alternativamente  quella  di  basso  e  di  tenore. 

Ed  ecco  la  taccata  di  Zipoli  che,  dopo  poche  battute  in  cui  una 
successione  di  determinati  accordi  tende  a  stabilire  la  tonalità,  si 
svolge  nella  maniera  che  sente  la  derivazione  dagli  organisti  italiani, 
da -Frescobaldi  a  Pasquini,  ringiovanita  dalla  fresca  vena  del  LuUi. 
Lo  stile  dei  versetti  è  vario  :  quando  è  fugato,  e  allora  è  una  piccola 
fuga  alla  Bach  che  si  svolge  con  temi  elegantemente  disegnati  e 
ritmati;  quando  invece  si  tratta  della  toccata,  e  noi  abbiamo  allora 
un  piccolo  preludio  svolto  nella  maniera  di  Bach.  Il  grande  Seba- 
stiano deve  aver  ben  conosciute  o  considerate  queste  composizioni  sì 
come  quelle  di  Frescobaldi,  di  Pasquini  e  di  Fontana,  che  sono  il 
latte  di  cui  egli  si  nutrì  per  certo.  La  canaone  è  assai  più  estesa 
del  verso;  è  ben  rimarchevole  in  essa  un  sagace  sviluppo  del  tema 
considerato  nelle  sue  intime  qualità  essenziali,  come  si  osserva  nei 
preludi  e  nelle  fughe  di  Bach  e  di  Hàndel.  Per  cui  gl'italiani  com- 
positori io  credo  che  non  abbiano  assolutamente  appreso  questo  tipo 
di  svolgimento  sostanziale  altro  che  da'  lor  propri  maestri,  nelle 
opere  dei  quali  essi  ne  trovavano  la  ragion  d'essere  ed  una  applica- 
zione prestantissima.  Io  voglio  presentare  alcuni  temi  di  questi  versi 
e  di  queste  canzoni:  il  lettore  musicista  si  formerà  facilmente  una 
idea  delle  composizioni  che  n'escono,  quando  li  immagini  svolti 
con  una  sicura  scienza  del  contrappunto  nelle  mani  di  un  uomo 
di  genio. 

Canzona. 


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MEMORIE 


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Canzona, 


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Verso, 


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LA  MUSICA   ISTRUMENTÀLE  IN  ITALIA  NEI  SECOLI  XYI,  XYII  E  XVIII  5 

ir. 


Cangona, 


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kWEleututùme. 


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La  prima  parte  della  raccolta  termina  con  una  pastorale  in  tre  tem^i: 
ne  riferisco  i  temi 


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MEMORIE 


Largo. 


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Largo. 


e  il  pedale  conclusivo  che  è  caratteristico: 


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LA  MUSICA  ISTRUMBNTALB  IN   ITALIA   NEI  SBCOU  XVI,  XVII  E  XYIII  7 


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La  seconda  parte  consta  di  composizioni  più  libere,  più  eleganti  e 
melodiche.  Sono  suonate  o  smtes  composte  di  preludio,  corrente,  aria, 
oppure  preludio,  corrente  e  sarabanda.  La  seconda  di  queste  suonate, 
pubblicata  per  intero  nella  raccolta  di  Litolff  <  Les  Maitres  du 
Clavecin  >,  Cahier  IX,  pag.  38,  è  bella  quanto  le  altre:  osservi  il 
lettore  i  temi  delle  quattro  parti,  di  cui  essa  consta:  Il  tema  della 
sarabanda  è  il  seguente: 


Largo. 


fe=È 


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8 


MEMORIE 


Vi  segue  la  giga  sul  tema  seguente: 


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vien  posdati  preludio  stupendo  sul  tema: 


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e  finalmente  la  ^ara&andla: 


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LA  MUSICA  ISTRUMBNTALE  IN  ITALIA  NEI  SECOLI  IVI,  XYII   E  XYIII 


Il  preludio  è  propriamente  trattato  in  quello  stile  che  noi  ricono- 
sciamo tipico  in  Sebastiano  Bach;  ma  la  sostanza  melodica  di  Zipoli 
supera  talora,  nella  vivacità  ed  espressione  della  linea,  quella  istessa 
del  massimo  Sebastiano,  mentre  poi  la  massima  parte  dei  costui  pro- 
cedimenti sono  noti  al  maestro  italiano.  Questi  n'è  anzi  il  precursore. 
La  seguente  gavotta  e  il  seguente  minuetto  rivelano  un'altra  appli- 
cazione della  tecnica  bachiana: 

GaooUa. 


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Minuetto, 


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10  MBMORIE 

Nelle  partite,  l'agilità  e  l'eleganza  dei  disegni  è  anche  maggiore  ;  ma 
sopra  tutto  fresca,  spontanea  e  originale  è  la  melodia.  Un  gruppo  di 
partite  comprende  ordinariamente  da  dieci  a  tredici  brevi  composi- 
zioni con  ritornello,  gruppo  che  noi  oggi  diremmo  propriamente  una 
partita.  Zipoli  rappresenta  la  suonata  d'organo  italiano  nella  sua  cor- 
rettezza e  nella  sua  libera  genialità  ed  è  uno  de'  migliori  maestri 
italiani  del  sec.  XVIII. 

Io  credo  che  a  quest'epoca  circa,  o  ad  un  perìodo  forse  di  poco 
anteriore,  appartenga  un  libretto  di  musica  d'organo  composta  da  un 
tale  Ferrocci.  Sono  piccoli  pezzi  scritti  per  l'uso  pratico  degli  uffici 
divini,  versetti  in  forma  di  canone,  in  cui  più  che  una  buona  dispo- 
sizione delle  parti  ed  uno  stile  piano  talvolta  e  composto,  tal'altra 
tutto  infiorato  e  triviale,  altro  non  si  trova.  Oran  parte  delle  com- 
posizioncelle  del  Ferrocci  illustrano  melodie  sacre:  se  non  altro  sì 
può  osservare  in  esse,  come  la  maniera  di  accompagnare  le  preghiere 
durante  gli  uffici  divini  fosse,  in  principio  del  1700,  molto  viziata; 
che,  in  quanto  al  merito  delle  composizioni  medesime,  toltine  i  ver-^ 
setti  più  brevi  in  forma  di  canone  o  di  imitazione  o  semplicemente 
tessuti  in  un'armonia  piana,  il  resto  è  piuttosto  cattivo. 

In  ben  diverso  stile  sono  scrìtte  le  suonate  e  le  fughe  per  organo 
di  Florìano  Aresti,  i  concerti  e  le  suonate  per  uno  o  due  clavicem- 
bali e  le  suonate  per  organo  di  Giovan  Battista  Predierì  del  1715. 
Tutte  queste  composizioni  constano  di  tre  tempi,  due  allegri  ed  un 
adagio  collocato  nel  centro.  La  linea  della  melodia  si  perde  tra  il 
folto  tessuto  dei  rìcami  ;  i  temi  non  hanno  quella  forza,  quella  con- 
sistenza, quell'individualità  che  si  avverte  in  Zij^oli;  tanto  il  clavi- 
cembalo come  l'organo  sono  poveri  d'armonia.  Con  ciò  ho  detto  a 
bastanza  intorno  alle  composizioni  dell'Àresti.  Quelle  del  Prodieri  sono 
concerti  grossi  per  violini,  viole,  violoncello  e  basso  con  cembalo;  ne 
conosco  uno  che,  oltre  ai  detti  istrumenti,  esige  anche  due  corni  da 
caccia.  La  forma  vi  è  rìgorosamente  bipartita  nel  modo  che  sap- 
piamo già.  Il  concerto  migliore  è  il  secondo,  in  do,  coWadagio  in 
do  minore^  una  buona  melodia,  la  quale  però  è  sviluppata  solo  in 
quanto  essa  ha  di  esteriore.  Il  musicista  non  istudia  le  sue  idee,  non 
ne  seconda  l'espressione  intima,  verso  la  quale  sembra  indifferente  e 
che  forse  non  sente;  egli  le  circonda  di  manierismi. 

Non  sono  migliori,  quanto  a  stile,  le  suonate  per  organo  di  Fran* 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTALB  IN  ITALIA   NEI  SECOLI  XYI,  XYII  E  XYIII  11 

Cesco  Modonesi,  della  medesima  epoca.  Per  quel  che  concerne  la 
forma,  esse  mostrano  chiaro  dei  difetti,  che  quelle  del  Predieri  non 
hanno. 

L'arte  vera  però  in  Italia  esiste  fortunatamente  ancora;  e  noi 
anzitutto  c'incontriamo  in  alcune  fughe  per  clavicembalo  a  tre  e 
quattro  parti  di  -Alessandro  Scarlatti,  che  ce  la  manifestano  ro- 
busta e.  geniale.  Eccetto  queste  fughe  ed  un'attraente  suonata  per 
flauto  ed  istrumenti  ad  arco,  io  deploro  di  non  conoscere  altra 
musica  istrumentale  di  questo  che  è  tra  i  sommi  nostri  maestri. 
—  Nella  citata  collezione  Litolflf  yì  è  una  fuga  di  A.  Scarlatti 
(Cahier  IX,  pag.  18).  —  Ora  egli  è  da  questa  eccellente  scuola  che 
origina  una  nuova  composizione:  lo  studio  e  il  divertimento  per 
cembalo,!  primi  saggi  della  quale  sono  di  Francesco  Durante.  La 
loro  forma  può  essere  considerata  sotto  due  diversi  aspetti  :  o  si  con- 
sidera lo  studio  come  più  tendente  a  sviluppare  il  tema  e  quindi 
più  esteso,  composto  nello  stile  della  toccata,  da  cui  deriva  il  pre- 
ludio  di  Zipoli  e  di  Bach,  o  in  quello  del  canone  e  della  fuga,  e 
allora  egli  segue  la  forma  che  è  prescrìtta  per  queste  composizioni; 
oppure  si  considera  il  divertimento  come  composizione  più  breve,  che 
segue  la  forma  bipartita;  in  quest'ultimo  caso,  in  essa  va  notato, 
come  dopo  il  rìtomello,  all'ingresso  degli  sviluppi  il  compositore  non 
inizi  questa  parte  con  la  mossa  dal  tema,  eccezione  fatta  per  uno 
solo  de'  divertimenti,  l'ultimo,  ma  preferìsca  servirsi  di  un  altro 
frammento  del  tema  medesimo.  Ciò  è  interessante,  perchè  ci  mostra 
come,  già  per  tempo,  nella  musica  di  clavicèmbalo  vi  fosse  la  ten- 
denza di  variare  almeno  uno  de'  tratti  scolastici  della  forma,  che  a 
lungo  s'era  mantenuto  inalterato  nella  musica  a  più  istrumenti.  Le 
suonate  dì  Durante  sono  una  prova  di  più  di  una  esagerata  applica- 
zione della  tecnica  tutta  intesa  esteriormente  e  per  sé  medesima, 
perchè,  come  in  questa  son  forti,  cosi  difettano  di  melodia,  e  ne'  lor 
temi  han  troppo  spesso  l'impronta  della  vuota  graziosita  settecen- 
tista. Questo  manierismo  seppe  evitare  il  Zipoli,  il  quale  —  per  me 
almeno  —  sotto  ogni  aspetto  rimane  molto  superiore  allo  stesso 
Durante. 

Ogni  cultore  di  musica  conosce  indubbiamente  le  suonate  per  cla- 
vicembalo di  Domenico  Scarlatti,  pubblicate  in  questi  ultimi  tempi 
da  Breitkopf  e  H^irtel  di  Lipsia;  per  cui  posso  dispensarmi  dal  ca- 


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12  .      HBMORIB 

ratterizzarne  lo  stile;  però  mi  sembra  non  faor  di  proposito  osservare 
l'analogia  che  esse  contraggono  con  quelle  di  Durante,  perciò  che 
esse  pure  sono  composte  nello  stile  dello  studio.  Più  che  alFespres- 
sione  della  melodia  esse  tengono  alla  forbitezza  e  alla  varietà  di 
figurazioni  caratteristiche  il  più  delle  volte  interessanti,  è  vero,  consi- 
derate anche  sotto  Taspetto  melodico.  Qui  parimente» la  materia  tecnica 
è  oggetto  di  quelle  cure  dilìgenti  e  sottili,  che  contraddistinguono  i 
claviccmbalisti  della  scuola  napoletana.  I  tempi  sono  tutti  vivaci, 
rapidi  {allegro^  allegrissimo,  presto),  ad  eccezione  di  uno  o  due,  di 
un  tempo  di  danza  e  della  fuga.  La  sonata  consta  di  un  sol  tempo, 
come  quella  di  Durante.  Anche  fuga  si  chiama  perciò  una  sonata  di 
Scarlatti.  La  forma  è  ordinariamente  bipartita;  ma  parecchie  varietà 
si  presentano  nell'attacco  della  seconda  parte,  ed  oltre  a  ciò  al- 
cune sonate,,  che  questa  seconda  parte  non  ha,  sono  composte  nella 
forma  della  toccata  o  della  fantasia,  di  cui  sappiamo  l'origine.  Non 
bisogna  dimenticare  però  che  anche  queste  forme  mostrano  esempi 
della  bipartizione. 

Dalle  proprietà  di  questo  stile,  per  quanto  egli  ora  passi  all'uno 
e  all'altro  maestro  alternandosi  di  poco,  è  facile  prevedere  quali  con- 
seguenze derivino  al  periodo  musicale,  al  tema,  considerato  nella  sua 
costruzione  materiale,  quando  in  processo  di  tempo,  da  una  scuola 
all'altra,  esse  abbian  costantemente  procurato  di  isolarsi  in  effetti 
sempre  più  esteriori.  Io  non  vorrei  essere  compreso  male  se  a  questo 
punto  faccio  menzione  delle  suonate  per  cembalo  di  Àzzolino  Ber- 
nardino della  Giaia  di  Siena,  stampate,  insieme  con  alcuni  saggi  di 
contrappunti  ed  alcuni  ricercari,  nel  1727.  Queste  suonate  sono  anzi- 
tutto un  po'  curiose  nella  forma.  Il  prim?)  tempo  è  una  toccata;  vi 
segue  l'altro  tempo  denominato  canzone;  l'uno  è  un  allegro,  l'altro 
un  moderato.  La  toccata  è  scritta  in  forma  libera,  in  forma  di  fan- 
tasia: più  che  di  altro,  essa  consta  di  un'aggregazione  di  formule 
clavicembalistiche  risolventi  in  effetti  esteriori.  Vi  abbondano  le  pro- 
gressioni, le  imitazioni,  i  passi  di  agilità  et  similia.  La  canzone  è 
in  forma  di  fuga  libera  o  di  fugato  nello  stile  di  Seb.  Bach:  i  temi 
SODO  abbastanza  interessanti;  l'insieme  è  molto  musicale;  questa  com- 
posizione è  altrettanto  sviluppata  e  difficile  come  una  fuga  di  Bach. 
Sopra  il  tema  seguente 


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LA   MUSICA  I8TRUMENTALB  IN  ITAUA  NEI  SECOLI^XYI,  XVII  E  XYIU  13 

Canzone,    Languente» 


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p.  6*9  il  Della  Giaia  svolge  una  composizione  veramente  bella.  Gli 
altri  due  tempi  seguono  la  forma  bipartita;  in  essi  predomina  lo  stile 
imitativo  sulla  base  di  una  eq^ressiva  robustezza  e  cantabilità  delle 
parti,  quali  si  notano  nelle  affini  composizioni  di  Bach.  E  anche 
qui  mi  permetto  di  citare  i  singoli  temi: 
Non  presto.  tr. 


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14 


MEMORIE 


Qaesti  componimenti  del  Della  Ciaia  sono,  a  quel  che  pare,  fra  i  mi- 
gliori del  suo  tempo  ed  a  lui  la  tecnica  del  clavicembalo  deve  certo 
un  sensibile  miglioramento  e  sviluppo.  Nessuno  dei  procedimenti,  che 
i  claviccmbalisti  del  settecento  usarono  con  tanto  successo,  gli  è  sco- 
nosciuto. Lo  stile  legato,  i  passi  d  accordi  realizzabili  in  arpeggi,  le 
agili  ed  amplissime  figurazioni  che  si  dispiegano  rapide  dall'una 
all'altra  delle  tessiture  estreme,  le  melodie  arpeggiate,  ecc.  Ma  non 
mancano  anche  qui  le  composizioni  deboli,  prolisse,  poco  musicali.  La 
canzone,  p.  e.,  che  si  svolge  sul  tema  seguente: 


n'è  un  esempio  e  in  verità  uno  de'  più  manierati.  Talora  la  fuga^ 
che  fra  tutte  sembra  la  composizione  più  importante,  è  fin  troppo 
sviluppata.  È  certo  però  che  in  questo  compositore  vi  ha  il  sentimento 
dello  sviluppo  tematico  secondo  s'intende  modernamente,  e  che  il 
sinfonismo  è  piuttosto  abbondante,  se  non  sempre  equilibrato.  Il  suo 
ricercare  è  composizione  di  stile  severo  molto  conveniente  all'organo. 
Perciò  le  qualità  d'istrumentalista  nel  Della  Ciaia  sono  di  tal  natura, 
che  raramente  si  rinvengono  fra  i  compositori  italiani,  ed  egli  prende 
giustamente  il  suo  posto  accanto  al  Zipoli. 

Ma,  per  verità,  a  quest'epoca  si  veggono  già  ì  segni  precursori  di 
uno  stile  di  composizione  per  organo  e  clavicembalo,  che  comprooiet- 
torà  in  avvenire  la  serietà  e  l'importanza  di  questa  specie.  Tali  segni 
sono  anzi  tutto  la  poca  cura  della  melodia,  l'uso  del  melisma  come 
tema  o  parte  sostanziale  del  tema,  il  poco  valore  musicale,  la  man- 
canza di  carattere  nel  tema  stesso,  il  disegno  che  tende  a  farsi  me- 
schino e  triviale.  Il  compositore  s'afiBda  troppo  esclusivamente  alle  forze 


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LA  MUSICA  ISTRUMBSTALC  IN  ITALIA  N£I  8BC0LI  STI,  XYII  E  ZVIII  15 

della  sua  immaginazione,  rivede  poco,  è  troppo  presto  e  facilmente 
contento  di  sé.  Il  lettore  si  recherà  forse  a  meraviglia  se  tra  i  com- 
positori, le  opere  dei  quali  mostrano  questi  contrassegni,  io  nomino 
Benedetto  Marcello.  Può  darsi  che  altre  suonate  di  lui  siano  mi- 
gliori; quelle  che  io  conosco  (poche  suonate  a  cembalo  ed  una  ciac- 
canoj  del  1701)  sono  sotto  ogni  rispetto,  composizioni  scadenti.  Cosi 
le  suonate  per  cembalo  di  Domenico  Àlbertis  e  quelle  di  Giovanni 
Battista,  le  quali  appart^gono  ad  una  medesima  epoca,  cioè  al  1739. 
Con  questi  due  autori  si  veggono  introdotti  nella  musica  di  cembalo 
non  solo  tutte  le  specie  di  artifici  barocchi  propri  del  secolo  XYIII, 
ma  anche  le  forme  di  melodia  e  di  accompagnamento  meno  musicali 
e  propriamente  puerili.  La  forma  è  la  solita  bipartita,  che  dalla  tonica 
conduce  alla  dominante  e  dalla  dominante  alla  tonica;  nei  tempi  in 
modo  minore  essa  o  segue  lo  stesso  procedimento  per  mezzo  della 
dominante  minore  (la  forma  j>iù  elementare)  o  per  mezzo  del  relativo 
tono  maggiore  (forma  un  poco  più  artistica). 

Esempi  dello  stile  più  debole,  in  questo  periodo,  il  quale  precede 
di  poco  e  ancora  si  confonde  coH'epoca  migliore  dì  Giambattista 
Martini  e  di  Baldassarre  Oaluppi,  si  troveranno  nelle  suonate  di 
Francesco  Campeggi,  del  1747,  di  Emanuele  Barbella,  del  1760,  di 
Giuseppe  Bencini,  di  Giov.  Fran?.  Beccatelli,  del  1730,  di  Paolo  Sa- 
lulini,  di  cui  conosco  anche  un  concerto  per  salterio  e  violino  com- 
posto l'anno  1751.  Costoro,  per  quanto  faticosamente  attaccati  alla 
forma  d'arte,  non  dispongono  di  un  materiale  di  musica  né  melodico 
né  proprio.  Al  contrario,  a  quest'epoca,  come  attorno  agli  astri  mag- 
giori, si  veggono  alcuni  organisti  di  minore  importanza,. i  quali  hanno 
purificato  il  loro  stile  ed  han  tratto  dalla  toccata,  dalla  canzone  e 
dal  ricercare  materia  e  forma  onde  riuscire  a  comporre  preludi  e 
fughe.  Lo  stile  di  queste  loro  composizioni  è  sostenuto;  i  temi  sono 
l'un  coU'altro  concatenati  da  conseguenti  sviluppi.  Perciocché  con- 
cerne la  forma,  essa  é  più  libera  :  là  dove  sarebbe  da  aspettarsi  l'uso 
della  bipartizione,  essa  è  invece  forma  di  fantasia.  Nomino  alcuni  di 
questi  compositori:  A.  Santelli,  P.  Giovagnoni,  D.  Consoni, G.B.  Gaiani, 
L.  Consolini;  e  costoro  non  furon  già  cattivi  istrumentalisti,  per  quanto 
alla  specie  della  musica  istrumentale  essi  non  dedicassero  la  lor  mag- 
giore attività. 

Nella  grande  quantità  di  composizioni  per  clavicembalo  e  per  or- 


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16 


MEMORIE 


gano  lasciateci  da  Giambattista  Martini  occorre  fare  una  distinzione. 
Le  dodici  suonate  per  cembalo  e  le  dodici  -suonate  per  organo,  del 
1738  e  del  1742,  e,  oltre  a  queste,  anche  i  concerti  per  clavicembalo 
obbligato,  sono  le  opere  sulle  quali  in  questo  momento  dobbiamo 
fissare  la  nostra  attenzione,  poiché,  senza  negare  che  in  molta  altra 
musica  d'organo  e  di  cembalo  dal  Martini,  composta  in  varie  occa- 
sioni, vi  abbia  certo  un  grado  rispettabile  di  interesse  artistico,  pure 
ella  è  tutta  da  considerarsi  di  importanza  secondaria.  Il  primo  con- 
certo, nella  collezione  autografa  che  ho  innanzi  a  me,  porta  la  data 
del  1746,  il  secondo  quella  del  1750,  il  terzo  non  ha  data,  il  quarto 
fu  composto  nel  1752,  il  quinto  nel  1754,—  è,con  violino  e  cembalo 
obbligati  —  il  sesto  ed  il  settimo  (concertino)  non  portano  data  al- 
cuna. Ognuno  di  questi  concerti  consta  di  tre  tempi,  due  allegri  ed 
un  adagio  nel  centro.  La  forma  dei  tempi  è  bipartita  anche  nell'a- 
dagio.  Un  tratto  caratteristico  si  avverte  all'entrata  dei  cembalo,  che 
ha  luogo  dopo  l'esposizione  del  tema  affidata,  in  principio,  ai  violini 
ed  ai  bassi;  quest'entrata,  questo  attaccò  del  cèmbalo  non  si  effettua 
sul  tema  dianzi  udito,  ma  con  un  tema  proprio,  con  un  arpeggio, 
una  figurazione,  ima  nuova  melodia,  un  passaggio  brillante.  Nel- 
Vandante  sostenuto  del  secondo  concerto  il  tema  è  attaccato  dal  cembalo 
solo,  ed  è  il  bello  ed  elegante  pensiero  che  qui  segue: 


Andante  sost"» 


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Nella  curiosa  apodosi  in  -g-  il  cembalo  entra  di  nuovo  solo,  e  l'or- 
cbestra  segue  soltanto  dopo  otto  battute.  Alle  volte  il  tema  è  soste- 
nuto dalla  piccola  orchestra  di  istrumenti  ad  arco,  mentre  il  cembalo 


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LA  MUSICA  I8TRUMBNTALB  IN  ITALU  NBI  8BC0U  STI,  XYII  B  ZYin 


17 


svolge  una  melodia  figurata  a  modo  di  variazione  sul  tema,  come 
avviene  nélVandante  del  primo  conceriio.  Questa  forma  si  trova  pure 
usata  nella  chiusa  del  terzo  concerto.  Così  nel  primo  tempo  del 
quinto  concerto  e  nel  finale  del  quarto  si  hanno  esempi,  secondo  ì 
quali  l'orchestra  non  comincia  propriamente  col  tema,  ma  con  qualche 
forma  d'introduzione,  e  fa  poi  sentire  il  tema  al  clavicembalo  poco 
prima  che  questo  entri  e  lo  raccolga,  come  anche  avviene  p.  e.  nel  fi- 
nale del  quinto  concerto.  Tutto  ciò  dimostra  quanta  sia  nel  compositore 
la  cura,  l'amore  della  varietà.  Martini  sa  imporre  al  suo  esecutore  delle 
difficoltà  tecniche  non  indifferenti  e  sa  riposarlo  ancora  con  opportuni 
intervalli,  nei  quali  l'orchestra  suona  sola.  Questo  per  la  parte  della 
fattura  estema.  In  quanto  al  valore  intrinseco  delle  composizioni  ed 
allo  stile,  è  certo  che  esse,  prese  singolarmente  non  sono  tutte  egual- 
mente forti  ed  importanti.  Anzi  tutto,  in  generale,  ^1  Martini  & 
difetto  la  melodia;  poscia  il  suo  tema  si  arricchisce  presto  e  troppo 
di  abbellimenti  afihtto  esteriori  o  estranei  alla  sua  linea  e  si  svi- 
luppa poco.  Più  che  l'espressione,  nel  disegno  della  melodia,  è  ve- 
duto, è  calcolato  il  buon  rapporto  dei  numeri,  la  buona  disposizione 
di  dissonanze  e  consonanze  alternate.  Tutto  ciò  ne  lascia  in  generale 
indifferenti  e  freddi.  Ma  a^uni  temi  interessanti  forniscono  conte- 
nuto e  forma  a  buoni  tempi  e  fra  essi  citerò  Vandante  del  primo 
concerto  col  tema  : 


Andante. 


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U  MUSICA  ISTRUMENTALI  IN  ITALU  NEI  SEGOLI  7iTl,  XVll  E  XVIII  19 


Wiostmuto  del  secondo  concerto: 


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20 


MEMORIE 


il  finale  di  questo  medesimo  concerto,  o  a  dir  meglio,  il  suo  ultimo 
brano: 


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il  /inafe  del  terzo  concerto: 
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LA  MCSIGA  ISraUMBNTALE  IN  ITALIA  NEI  SECOLI  XVI,  XVII  E  XVIII  21 

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il  primo  tempo  del  quarto  : 


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LA   mJSIGA.ISTRUMENTALB  IN  ITAUA  NEI  8BG0U  XTI,  XYII  B  ZYin  23 


Soli 


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24  MBMORIB 

il  primo  tempo  della  Sinfanta  con  Violino  e  Cembalo  obhUgo 


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Yandante  sostenuto  della  stessa: 


VioUmi 
U  e  B'i 


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Batti 


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LA  MUSICA  ISTBUMBNTALB  IN  ITALIA  NEI  SECOLI  XTI,  XYII  E  XTIII  25 


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ed  altri  che  per  brevità  ometto.  Anche  singolarmente  osservati,  questi 
tempi  SODO  di  una  singolare  bellezza  e  varietà.  Ma  non  è  sulle  sin- 
gole parti  che  io  vorrei  richiamare  Tattenzione  degl'intelligenti,  bensì 


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LA  BfUSICA  I8TRUMBNTALS  IN  ITALIA  NEI  SBCOU  XTI,  ZYII  B  XTni  27 

.ioTece  snirorgaDÌzzazìone  degrìnterì  concerti,  che  è  a  sperare  qual- 
cuno sappia  far  rivivere. 

In  quanto  alle  molte  suonate  per  organo  dallo  stesso  Martini  com- 
poste, riunito  insieme  a  suonato  per  clavicembalo  (alcune  belle,  altre 
bizzarre)  in  un  volume  di  miscellanea*  autografa,  basterà  che  io  ne 
faccia  menzione.  Egli  cominciò  con  una  raccolta  di  sei  suonato  per 
organo  che  sono  insignificanti.  La  scelte  possibile  delle  suonato  d'or- 
gano e  di  cembalo  noi  la  vediamo  nei  volumi  stompati.  Queste 
suonato  consistono  di  tre  e  di  quattro  tompi,  alcuni  dei  quali  trattene 
forme  di  danza.  Lo  stile  della  suonate  è  molto  cambiato  dall'epoca 
relativamento  non  lontena  del  Zipoli.  L'alterazione  si  dovette  a  Do- 
menico Scarlatti,  a  Durante  ed  a  Marcello  anzitutto.  Ma  la  suonate 
di  Martini,  piuttosto  che  il  prodotto  di  una  vera  genialità  e  di  buon 
gusto,  è  prova  di  forto  sapere  e  nello  stesso  tompo  anche  di  una 
invincibile  schiavitù  all'uso  ed  all'abuso  delle  forme  melismatiche 
favorito  nella  sua  epoca.  Lo  stile  della  toccata,  della  corrente  e  della 
giga  vi  si  alterna  con  la  forma  del  canone  e  della  fuga;  la  melodia  è 
piuttosto  arida,  angolosa,  punto  toccanto,  graziosa  teiera.  Tuttavia, 
rispetto  alla  tocnica,  son  queste  suonato  dei  veri  modelli  di  solida  e 
ben  fatte  musica  per  pianoforte.  La  forma  è  la  solite,  consacrate, 
della  bipartizione.  Pib  interessanti^  in  quanto  a  forza  di  composizione 
ed  a  ricchezza  di  contrappunti,  anzi  senza  confronto  preferibili,  sono 
le  dodici  suonato  per  organo  del  1742  ;  qui  la  forma  adottete  è  quella 
della  suite.  Ma  anche  in  questo,  più  che  altro,  è  mirabile  la  mano 
felice  e  sicura  dell'organiste  che  lo  fa  esperto  padrone  di  disporre 
con  tutte  un'agile  &cilità  le  parti  complicato  di  difiBcilissime  co- 
struzioni. Alla  mete  del  1700,  la  musica  per  clavicembalo  e  per 
organo  era  più  avanzate,  in  Itelia,  che  quella  per  più  istrumenti  ;  ci 
era  altra  cura,  altra  finezza.  Ma  queste  s'era  fatte  più  semplice  e 
geniale.  La  musica  di  clavicembalo,  in  genere  piuttosto  squilibrate, 
dopo  il  primo  periodo  del  sec.  XVIII,  in  cerca  di  un'eleganza  fittizia, 
artificiale,  chimerica,  alla  quale  uomini  come  Dom.  Scarlatti,  Giam- 
battiste Martini  e  Baldassarre  (Jaluppi  avevano  potuto  porre  un  freno 
rassodando  forma  e  stile  — ,  benché  anch'essi  avessero  elaborate  queste 
forma  nelle  sue  qualite  estome  —  almeno  questo  doveva  loro  di 
buono:  il  miglioramento  e  la  sedete  della  tocnica.  Chi  avesse  dato 
un'impronto  di  tele  seriete  alla  musica  a  più  istrumenti  non  c'era 


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28  MBMOBIB 

stato:  in  compenso  essa  si  era  rifatta  sulla  melodia:  io  intendo  par-, 
lare  di  un  movimento  d'arte  parallelo  a  questo,  il  quale  cioè  si  ve- 
rifica nella  medesima  epoca,  e  faccio  i  nomi  di  Tartini ,  Giardini  e 
Giambattista  Sammartini.  Ciò  che  questultimo  compose  per  clavi- 
cembalo è  cosa  mediocre.       • 

Anche  per  la  musica  di  pianoforte,  la  discesa  dopo  quest'epoca  è 
piuttosto  grave.  È  abbastanza  numeroso  il  gruppo  di  que'  maestri 
che  impiegano  i  procedimenti  più  deboli  di  Domenico  Scarlatti  e  di 
G.  B.  Martini:  non  potendoli  imitare  in  quel  che  in  essi  è  più  ele- 
vato e  più  forte,  si  giovano  di  ciò  che  più  vi  appare  brillante  ma  è 
poco  vitale,  di  quel  che  in  essi  è  più  facile,  più  superficiale  ed  ha 
meno  valore.  E  costoro  adottano,  p.  e.,  l'accompagnamento  della  me- 
lodia come  parte  distaccata  e  trascendentale,  come  se  si  tratt^iisse  di 
accompagnare  l'aria  vocale,  e  fanno  uso  propriamente  dell'arpeggio, 
del  tremolo,  della  cadenza,  del  vocalizzo,  ecc.,  portando  così  nella 
musica  di  clavicembalo,  in  una  parola,  gli  effetti  della  musica  d'or- 
chestra e  di  teatro.  Alla  voga  dell'opera  italiana  si  deve  la  decadenza 
della  nostra  musica  istrumentale,  che  non  seppe  conservare  il  suo 
stile  e  la  sua  forma  e  si  adattò,  in  complesso,  degli  effetti  presi  in 
prestito,  sui  quali  poteva  contare  sicuramente.  Nelle  suonate  di  F.  Ge- 
miniani,  del  1742,  basta  osservare  l'assoluta  ineleganza  e  nullità  della 
parte  composta  per  la  mano  sinistra.  Pur  mantenendosi  nella  forma, 
i  musicisti  che  seguono  riducono  la  suonata  di  cembalo  allo  stato 
di  passatempo  dilettantesco;  la  lor  melodia  è  viziata;  al  posto  del 
sinfonismo  mettono  forme  più  o  meno  contorte  del  tema,  frammezzo 
a  melisme  indipendenti  e  sopra  un  proprio  e  vero  accompagnamento 
stereotipo  ed  antimusicale,  sopra  un  arpeggio,  p.  e.,  di  terzine  o 
quartine  in  cui  sono  disciolti  gli  accordi  dell'armoiiia.  La  distribu- 
zione delle  note  dell'accordo,  nell'arpeggio  o  in  qualche  passo  d'ar- 
monia, diventa  anzi  cosa  di  rito.  Non  è  a  dire  come  ciò  indebolisca 
la  composizione  istrumentale.  E  voi  troverete  questa  decadenza  della 
tecnica,  sotto  varie  forme,  nelle  suonate  per  cembalo  di  Mario  Butini, 
del  1748,  nelle  altre  sue  suonate  per  cembalo  con  violino  obligato, 
del  1770,  nelle  sonate  di  Giuseppe  Antonio  Paganelli,  del  Palladini, 
di  Pompeo  Sales,  nelle  sei  sonate  per  cembalo  di  Giuseppe  Ferrerò, 
del  1750,  in  quelle  di  Fulgenzio  Pereti  e  di  Angiolo  Gagni,  del  1764, 
nei  divertimenti  per  organo,  appartenenti  circa  a  quest'epoca,  di  Sa- 


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LA  MUSICA  ISTaUMSNTALI  IN  ITAUA  NEI  SECOLI  EVI,  XYII  E  XVIII  29 

yerìo  Valeùti  e  in  parecchi,  se  non  in  tatti  i  ripieni  per  organo  di 
Angelo  Santelli,  del  1760,  nelle  sonate  di  Vincenzo  Panerai  dell'epoca 
stessa  circa,  in  quelle  del  De  Bossi,  del  1750,  nei  soggetti  per  organo 
del  Pascolini  (tra  il  1750  e  1760),  alcuni  dei  quali  però  non  sono 
cattivi,  nelle  sonate  per  organo  e  cembalo  di  Pier  Sandoni,  del  1760, 
in  quelle  di  Gaspare  Ghiotti,  del  1752,  nelle  sei  sonate  di  clayicem- 
balo  di  Vincenzo  Manfredini,  del  1765. 

—  La  tecnica  è  meno  volgare  nelle  sonate  di  Giovanni  Battista  Pe- 
scotti,  ma  insieme  ad  uno  stile  scolastico  vi  si  nota  anche  minore 
originalità.  Qualche  importanza  maggiore  hanno  invece  le  suonate  di 
Giovanni  Battista  Serini  e  di  Giovan  Marco  Butini  e,  meglio  ancora, 
quelle  di  Giovan  Placido  Butini  e  di  Ferdinando  Bertoni.  Quest'ul- 
timo, anzi,  non  deve  essere  compreso  fra  ì  decadenti  :  senza  esagerare 
il  valore  musicsde  e  clavicembalistico  delle  suonate  di  Bertoni, 
dirò  che  egli  è  molto  bene  compensato  dalla  genialità  e  dall'e- 
spressione del  suo  stìle^  quanto  ancora  dalla  nitida  e  fluente  sua 
forma.  — 

Nello  stile  generalmente  adottato  da  questi  compositori,  molto 
meno  musicale,  benché  più  melodioso  di  quello  dell'epoca  precedente, 
la  cui  forma  più  perfetta  noi  vediamo  in  Emanuele  Bach,  in  questo 
stile  che  fonde  l'indole  propria  della  musica  dei  tedeschi  con  quella 
degl'italiani,  ma  in  cui  quest'ultimi  conservano  la  preminenza,  sì 
distinguono  Mattia  Vento,  colle  sue*  sonate  di  cembalo  e  violino  già 
menzionate  in  altra  parte  di  questo  studio,  Pietro  Dom.  Paradisi,  con 
le  sue  suonate  di  clavicembalo  del  1780;  Nicolò  Porpora  e  Giuseppe 
Sartiy  con  le  loro  sonate  rispettivamente  del  1756  e  del  1784.  Ma 
a  quale  povertà  erasi,  in  generale,  ridotta  la  musica  di  clavicembalo, 
nella  seconda  metà  del  settecento  in  Italia,  lo  dimostra  una  raccolta 
di  sonate,  nella  quale  figurano  nomi  d'autQri  buoni  ed  eccellenti.  Esse 
sono  di  Bernardo  Sabadini,  Nicolò  Valenti,  Filippo  Gherardeschi,  Giam- 
battista Sammartini,  Giuseppe  Simoni,  Francesco  Gasparini,  Dome- 
nico Valle,  Ferdinando  Bertini,  Antonio  Gaetano  Pampani,  Agostino 
Tinazzoli,  Pietro  Giovagnoni.  La  nostra  musica  di  clavicembalo  si 
sforzava  di  essere  graziosa  alla  maniera  di  Haydn,  e  lo  era  nella 
linea  melodica;  ma  ad  essa  mancava  la  determinazione  di  un  buono 
e  robusto  colorito  armonico,  insieme  a  quell'animazione  delle  parti 
che  noi  abbiamo  osservato  alla  sua  epoca  d'oro;  la  quale  non  è  tanto 


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30  mBMoaiK 

quella  del  ìiartini,  come  invece  quella  che  discende  più  ?erso  il 
principio  del  secolo  XVIII  e  la  fine  del  XVII  e  che  più  precisa- 
mente dirò  l'epoca  dei  due  Scarlatti,  del  Durante,  del  Zipoli  e  dei 
successori  immediati  di  Girolamo  Frescobaldi,  fino  al  grande  orga- 
nista ferrarese,  che  è  anche  il  maggior  istrumentalista  italiano. 

Ma  in  codesto  stile  rinnovato  la  musica  di  cembalo  italiana  dà  a 
vedere  pur  tuttavia  dei  modelli,  che  non  solo  reggono  al  confronto 
con  le  opere  dei  clavicembalisti  francesi  e  tedeschi,  ma  spesso  le  su- 
perano. Io  alludo,  anzi  tutto,  a  parecchie  sonate  di  Baldassarre  Ga* 
luppi,  del  1770,  dinnanzi  alle  quali  l'artista  di  ogni  epoca  dovrà 
sempre  sentire  la  più  grande  ammirazione,  come  dinnanzi  alle  opere 
di  Bach  e  di  Beethoven.  La  loro  forma  più  completa  e  quella  che 
consta  di  quattro  tempi,  ma  se  ne  hanno  anche  in  tre  tempi,  in  due 
ed  in  un  tempo  solo,  come  quelle  di  Domenico  Scarlatti.  La  forma 
del  tempo  è  divisa  regolarmente  in  due  parti  :  il  contenuto  è  il  più 
geniale,  più  musicale,  più  animato  e  forte  di  tutta  quest'epoca.  Galuppi 
è  il  nostro  Emanuele  Bach.  Liberando  la  suonata  dalle  aridezze  della 
tecnica,  egli  rende  appunto  altamente  artistici  e  significanti  i  pro- 
cessi della  forma  e  dello  stile.  Egli  è  il  disegnatore  musicale  più 
geniale  dell'epoca.  Nelle  sue  sonate  i  temi  sentono  un  benessere 
armonico  delizioso,  o  sono  malinconicamente  espressivi  o  raggiungono 
una  incomparabile  vivacità,  una  strana  ed  energica  chiarezza,  in  cui 
tutto,  genio  e  sapere,  concorre  ad  esplicare  la  più  nobile  efficacia, 
presentando  i  temi  stessi  sotto  mille  forme  variate,  esaurendone  le 
qualità  melodiche  e  ritmiche  con  la  indifferente  fiicilità  di  un 
maestro.  Galuppi,  nello  stile  del  quale  tutto  sente  la  nobiltà  dell'ot- 
timo e  del  sublime,  è  una  delle  più  belle  personificazioni  del  genio 
italiano,  l'artista  italiano  nella  stessa  linea  di  Palestrina,  di  Fresco- 
baldi,  di  Zipoli  e  di  Alessandro  Scarlatti.  Qualche  suonata  di  lui 
presenta  notevoli  difficoltà  tecniche;  ma  esse  non  esistono  mai 
come  tali,  per  sé  stesse,  isolate,  sì  bene  comprese  nella  più  stretta 
correlazione  necessaria  con  lo  sviluppo  dei  temi.  Superiore  a  Giam- 
battista Martini  nella  genialità  del  concetto,  nella  originalità,  nello 
slancio  espressivo  del  disegno,  nello  stile  in  una  parola,  che  non  con- 
tiene mai  le  minuziose  e  barocche  forme  melismatiche  di  quegli, 
Baldassarre  Galuppi  è  la  più  bella  derivazione  dei  nostri  istrumen- 
talisti  classici,  ed  io,  considerando  il  prezioso  volume  di  sonate  che 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTALB  IN  ITALIA  NEI  SEGOLI  XVI,  XYII  E  XYIII 


31 


ho  innanzi  a  me,  non  sento  il  minimo  dabbio,  la  minima  osserva- 
zione della  ooscìenza  nello  indicare  Oaluppi  come  primo  fra  i  clavi- 
cembalisti  italiani  del  700  accanto  a  Domenico  Scarlatti.  Potrei 
riprodurre  parecchi  temi,  i  quali  poi  proverebbero  poco,  come  si  sa, 
perchè  la  suonata  di  Galuppi  è  un  tutto,  in  cui  le  parti  sono  strette 
le  une  alle  altre  da  analogia,  da  connessione,  da  rapporti  inestinguibili 
e  di  grande  efficacia,  che  è  necessario  conoscere  e  mettere  in  rilievo 
mediante  uno  studio  profondo.  Mi  limiterò  ad  accennare  a  una  qual- 
siasi fra  le  molte  suonate,  a  questa  in  Mi  ^,  la  prima  che  mi  cade 
sott'occhi,  una  suonata  in  un  sol  tempo,  allegro^  della  quale  presento 
il  tema  : 


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consta  di  tre  tempi.  Il  primo  è  un  grave  su  questo  tema: 


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Dalla  cadeDza,  che  è  la  seguente: 


Galuppì  forma  la  mossa,  e  si  può  dire  anzi,  la  battuta  tipica  del- 
VaUegro  successivo,  il  quale  comincia  così  : 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTH^E  IN  ITALIA  NEI  SBCOLI  XTI,  ZYII  E  XTIII  33 

L'ultimo  tempo,  che  è  an  andantino^  sì  stacca  da  questo  leggiadro 
tema,  in  cui  è  ancora  a  vedersi  Tunità  di  carattere  che  domina  nei 
due  tempi  prec^enti: 


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Io  non  aggiungo  altro;  ma  ai  giovani,  se  me  lo  permettono,  dò  un 
consiglio:  Fatevi  animo  e  studiate  Galuppi.. 

Le  composizioni  per  clavicembalo  di  F.  Geminiani,  del  1743,  sono 
tratte  da  diverse  sue  opere,  da  suonate  per  violino  e  basso  e  da 
concerti  grossi  e  ridotte  poscia  per  il  clavicembalo.  Poiché  già  sap- 
piamo intomo  allo  stile  ed  alla  forma  di  queste  composizioni,  non  è 
il  caso  di  ripeterci  qui.  Geminiani  non  ha  mai  il  disegno  melodico 
così  nitido,  così  unito,  così  uscito  da  una  sola  idea,  mai  lo  slancio  e 
Tanimazione  incomparabile,  mai  la  plasticità  e  la  robustezza  del  Ga- 
luppi, e  né  anche  la  semplice,  l'elegante  concezione,  la  felice  trovata 
del  Martini;  ma  nella  forma  melismatica,  con  la  quale  egli  tenta 
supplire  alla  mancanza  dell'idea,  egli  è  più  moderno  del  Martini  e 
più  morbido  ^el  Galuppi.  Egli  fa  uso  altresì  di  qualche  piccolo  effetto 
sulla  sensazione  momentanea,  o  pure  di  quel  colorismo  egli  si  dà 
spesso  gran  pena,  che  doveva,  in  processo  di  tempo,  diventare  di 
tanta  importanza  per  la  musica  tutta,  così  che  a'  dì  nostri  egli  è 
come  il  tocca  e  sana  di  ogni  composizione.  La  sonata  del  Geminiani 
è  molto  elegante;  nell'otZa^'o  e  nella  forma  di  danza  la  semplicità 
della  melodia  e  la  vaga  e  nutrita  armonia  si  confondono  e  ottengono 
effetti  «di  sonorità  così  sofiSci  e  belli,  quali  mancano  d'ordinario,  nel 
Martini  e  nel  Galuppi.  I  temi  di  alcune  di  queste  composizioni  che 

RMiiù  muneal*  iiaUana,  Vm.  8     ' 


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MEMORIE 


{MnuNftlo  duruBO  un^idea  sufficiente  dello  stile  q^iale  di  questo 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTALS  IN  ITALU  NII  SBCOLl  XTl,  ZTII  1  XTIII  35 


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Io  direi  che  nel  Geminìani  vi  ha,  relativamente  alla  disposizione 
dell'armonia,  qualche  cosa  di  più  pieno,  di  più  finito  artificial- 
mente per  mezzo  del  coordinamento,  della  revisione  e  dello  studio, 


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36  /  MXMORIE 

mentre  negli  altri  due  clavicembalisti,  ai  quali  ben  s'intendono,  con- 
ginnti  per  unità  o  analogia  d'indirizzo,  Durante,  Zipoli  e  Scarlatti, 
il  pensiero  si  finisce  e  colorisce  da  sé  con  tanta  arte  quanta  natu- 
ralezza. In  una  parola  nel  Oeminiani  molto  ed  acuto  lo  spirito  d'os- 
servazione, più  genialità  negli  altri.  Ma  anche  l'opera  del  Geminìani 
è  da  considerarsi  musicale  per  eccellenza,  nobile  ed  interessantissima 
per  lo  studio  pratico  della  musica  istrumentale  italiana,  e  dovrebbe 
anch'essa  formare  una  parte  integrante  della  educazione  musicale 
italiana. 

I  pe00i  moderni  per  il  clavicembalo  di  Carlo  Monza,  del  1788, 
sono  quelle  forme  di  danza  che  compongono  le  suite.  Essi  ^ono  co- 
struiti secondo  le  prescrizioni  della  forma  bipartita:  lo  stile  è  misera- 
bile, pieno  dei  difetti  dell'epoca»  senza  idee,  senza  individualità,  con 
melodie  corte,  represse,  senza  vita,  colla  ricorrenza  subitanea  del 
contro-periodo,  ciò  che  depone  di  un'assai  debole  e  meschina  facoltà 
d'inventiva.  La  tecnica  del  cembalo  si  serve  di  espedienti  che  pre- 
scindono dalla  natura  dell'istrumento,  e  di  effetti  esteriori  puramente 
sensazionali. 

Importanti  per  la  forma  e  lo  stile  sono  invece  le  sonate  per  cem- 
balo di  Ignazio  Cirri,  del  1780;  esse  sono  solidamente  costruite 
in  due  tempi,  il  primo  è  un  adagio  ^  il  secondo  è  un  allegro;  la 
forma  dei  singoli  tempi  è  bipartita.  Le  suonate  del  Cirri  si  distin- 
guono per  un  trattamento  molto  musicale  del  clavicembalo,  pel  quale 
il  compositore,  lungi  dall'adottare  procedimenti  vieti  ed  elementari 
onde  accompagnare  la  melodia,  come  talora  si  osserva  anche  ne'  buoni 
autori  di  quest'epoca,  si  attiene  ad  uno  stile  che  sta  fra  quello  di 
Bach  e  di  Clementi,  avendo  qualcosa  dell'uno  e  dell'altro.  Oltre  a  ciò, 
è  notevole  in  esse  la  esemplare  nettezza  del  contrappunto,  la  sobrietà 
del  disegno,  robusto,  deciso  e  caratteristico  e  per  questo  tratto  spe- 
ciale io  debbo  rimarcare  che  all'  inizio  del  tempo  il  tema  si  svolge 
nelU  forma  di  canone  libero  o  ritrae  la  sua  efficacia  da  una  imi- 
tazione naturale  delle  parti  ;  una  forma  dimenticata  questa,  ma  pre- 
feribile alle  vane  scorrerie  melodiche  così  fredde  dei  nostri  ultimi 
settecentisti.  In  questo  stile  il  Cirri  ha  composto  le  sue  dodici 
suonate. 

Oli  studi,  i  eafìoni,  le  fughe,  i  capricci  contenuti  nella  Musica 
universale  dì  Andrea  Basili,  del  1776,  a  mio  modo  di  vedere,  vanno 


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LA  MUSICA  ISTRUMENTALB  IN  ITALU  NEI  SEGOLI  XTI,  XYII  E  XTIII 


37 


considerati  dal  punto  di  vista  didattico  soltanto.  Lo  studio  per  cla- 
Ticembalo  è  scritto  nello  stile  della  toccata.  Talora  egli  non  è  altro 
che  un  giuoco  di  contrappunti  doppi  con  risposte,  aumentazioni,  di- 
mioimoni,  etc.  Nella  sanata,  una  denominazione  applicata,  in  questo 
caso,  anche  ad  un  semplice  andante  o  a  un  allegretto^  è  smarrito  il 
senso  della  melodia  e  quello  della  forma.  Nei  componimenti  liberi, 
il  claTicembalo  è  trattato  in  modo  scadentissimo;  la  fuga  quando  ad 
ano  quando  a  due  soggetti  è,  fra  tutte,  la  composizione  migliore,  pur 
restando  sempre  assai  debol  cosa;  e  ciò  per  la  ragione  principale  che 
i  soggetti  sono  poco  melodici  e  assolutamente  privi  di  qualsiasi  in- 
teresse. Tuttavia,  perchè  il  lettore  che  studia  abbia  ancor  di  questi 
nn*idea,  ne  citerò  qualcuno: 

Fuga, 


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Lo  svolgimento  è  fiacco;  il  tessuto  delle  partì  risulta  poco  armo- 
nioso; nei  divertimenti  il  compositore  si  attiene  poco  o  nulla  al 
soggetto,  lasciando  cosi  mancare  l'unità  che  è  il  primo  requisito 
di  simili  composizioni;  il  tutto  è  arido.  A  breve  distanza,  poco 
più  tardi,  noi  avevamo  già  in  questo  genere  i  modelli  di  Muzio 
Clementi. 

La  fine  del  secolo  è  realmente  fatale  per  la  musica  di  cembalo 
italiana.  Ciò  che  essa  aveva  in  sé  di  forza  e  di  stile,  i  maestri  lo  hanno 
completamente  abbandonato.  In  essa  ogni  risorsa  artistica  è  ormai 
ridotta  al  calcolo  della  formula,  in  cui  va  inquadrandosi  e  costringen- 
dosi una  melodia  innaturale,  artefatta,  non  sentita,  la  quale  vive  sulle 
condizioni  di  un  accompagnamento  che  le  lascia  esibire  le  sue  nudità 
avvizzite  e  cadenti,  senza  fascino,  né  forma,  né  sangue,  quasi  cada- 
veriche; una  melodia,  che,  servile  a  questi  patti  dettati  dall'armonia, 
s'illude  dì  far  effetto  scoprendo  i  suoi  magri  avanzi  con  la  spudoratezza 
e  lo  sforzo  di  voler  apparire  ancor  fresca  e  vivace.  È  un  impressione 
addirittura  ributtante.  Tutto,  ogni  interesse,  ogni  intento,  ogni  effetto 
converge  nella  melodia  e  nell'accompagnamento,  due  elementi  cal- 
colati, stereotipati,  che  non  si  appartengono  più  di  necessità.  I  mi- 
gliori maestri  ignorano  o  rifiutano  la  tradizione  di  Zipoli,  di  Domenico 
3carlatti,  di  Bach  e  di  Galuppi.  E  così  noi  abbiamo  una  vera  allu- 
vione di  suonate  per  cembalo  nel  tipo  iélV  Addio  di  Qiovanni  Paisiello, 
un  allegro  per  clavicembalo  con  accompagnamento  di  violino  scritto 
nella  forma  bipartita,  in  cui  alla  miseria  dell'invenzione  sfiancata, 
puerile,  banale,  s'accoppia  una  prolissità  ridicola  di  sviluppi  e  la 


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LA  MUSICA  ISTRUMBNTALE  IN  ITALIA  NBI  SEGOLI  XTI,  ITU  E  XTIII  39 

vera  insignìficarione,  la  nullità  del  basso.  Le  melodìe  sono  ì  più  stupidi 
trastalli,  le  forme  melismatiche  una  leziosità  continua,  né  anche 
buona  a  provocare  il  riso  come  una  grossa  buffonata  rossiniana. 

Più  forti  nel  concetto  e  più  importanti  nella  forma,  più  ricche 
d'armonia,  sono  le  sei  suonate  per  cembalo  e  violino  di  Antonio 
Sacchìni,  del  1790.  Ma  lo  stile  italiano  non  vi  è  più  riconoscibile. 
Esso  è  inquinato  in  ogni  modo,  e  dove  la  insufficienza  prettamente 
italiana  e  dove  lo  sforzo  di  assimilarsi  quel  che  italiano  non  sia. 
Ciò  che  in  Sacchini  vi  ha  ancor  di  sano  è  la  forma.  Ma,  anche  in 
questo  caso,  quel  che  più  decisamente  determinava  il  suo  carattere 
originale  italiano,  passando  ai  tedeschi  deirepoca  di  Haydn,  era  di- 
ventato una  formula  stereotipa  e  fiacca,  si  era  disciolto  neiraccom- 
pagnamento  e  nell'arpeggio.  Essi  vollero  sostenere  l'importanza  della 
composizione  facendola  gravitare  sullo  sviluppo  della  melodia,  ed  in 
ciò  rìescirono;  anzi  rìescirono  a  far  di  più:  compensarono  tanto  bene 
la  mancanza  del  solido  stile  de*  classici  nostri,  che  nessuno  s'accorse 
come  essi  non  ne  rappresentassero  che  un  guasto  enorme,  la  conse- 
guenza di  una  dispersione  della  forma  e  di  un  malinteso.  Per  ciò 
costoro,  di  fatto,  sminuzzarono  i  procedimenti  della  grande  scuola 
italica  e,  palliandosi  coll'idea  di  rinnovare  lo  stile  della  musica 
istrumentale,  misero  in  moda  quanto  essa  aveva  di  esteriore  e  di 
più  debole.  Gl'italiani,  sempre  pronti  ad  accorrere  là  dove  c'è 
qualche  cosa  da  imitare  e  da  copiare,  seguirono  la  corrente  che  fi- 
niva di  distruggere  la  loro  musica  istrumentale  e  giocondamente  si 
unirono  ai  tedeschi  in  questa  bell'opera  di  sanazione  del  gusto  ita- 
liano, la  quale,  infatti,  ci  ha  tanto  giovato.  È  molto  se,  in  questo 
nuovo  indirizzo,  l'opera  di  qualche  discreto  maestro  italiano  si 
distingue,  ad  intermittenze,  tra  le  forme  e  gli  stili  più  degenerati 
quali  si  notano  nelle  suonate  d'organo  di  Benedetto  Àrese  Lucini 
(1792),  nei  versetti  fugati  e  ideali  per  organo  di  Giandomenico 
Catenacci  (1794),  nelle  suonate  da  cembalo  di  Enrico  Gavard  des 
Pivets  (1790),  nelle  suonate  per  pianoforte  e  violino  di  P.  D.  Bon- 
tempo,  ne'  concerti  di  Gaetana  Pampani  e  nelle  suonate  di  Filippo 
Gherardeschi  e  di  Antonio  Calegari.  Questi  pochi  maestri,  che  si 
distinguono  in  qualche  guisa,  sono  Giovanni  Antonio  Matielli,  del 
quale  una  buona  suonata  di  cembalo,  composta  nel  1783,  trovasi 
nella  collezione  LitolfT,  Ferdinando  Turini  (in  Litolff  due  suonate), 


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40 


MEMORIE 


Giovanni  Battista  Grazioli  (in  Litolff  una  suonata)  e  Luigi  Gonso- 
linì,  di  cui  conosco  alcune  brevi  fughe  e  qualche  altfo  pezzo  discreto 
per  pianoforte. 
Ad  esempio,  una  sua  fuga  svolta  su  questo  tema: 


Fuga. 


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è  lavoro  a  bastanza  riuscito  e  ancor  robusto. 

A  quest'epoca  potrebbe  sembrare  a  taluno,  for^  a  molti,  che  Muzio 
Clementi  riassumesse  quel  po'  di  buono  che  vi  aveva  in  un  simile 
movimento  artistico  e  correggesse,  depurasse,  ricostruisse  una  parte  del 
grande  edificio  della  musica  istrumentale  italiana.  Ma,  anche  am- 
mettendo che  egli  fosse  l'artista  italiano  per  virtù  di  stile  e  di* forma, 
ciò  che  non  è,  poiché  egli,  nell'epoca  della  influenza  tedesca,  può 
esser  forse,  tutt'al  più,  considetato  uno  dfii  più  robusti  fra.i  nostri 
epigoni  e  musicisti  tecnici  bastardi,  egli  non  rappresenta  poi  l'arte 
italiana,  ma  solo  quel  che  la  tecnica  del  clavicembalo,  considerata 
astrattamente,  ha  di  ingegnoso  e  quanto  la  scolastica  ha  di  più  pie- 
ghevole nel  suo  materiale  ;  e  non  è  di  tecnica  e  di  scuola  ch*io  parlo, 
ma  di  arte. 


Il  prof.  Edward  Dickioson,  del  Conservatorio  musicale  di  Oberlin 
(America),  ha  avvisato  il  risveglio  degli  studi  classici  con  chiarezza 
e  serietà,  quando  nel  suo  studio  €  On  popularising  Bach  »,  pub- 
blicato nella  «  Mìasìc  »  di  Chicago,  nota:  Gli  studi  moderni  intomo 
alle  opere  del  passato  non  significano  una  semplice  reazione  prove- 
niente da  un  radicalismo  troppo  precipitato.  Si  studiano  gli  antichi 
maestri,  non  perchè  essi  siano  antichi  ma  perchè  essi  sono  nuovi.  Si 
trova  che  loro  opere  contengono  delle  rivelazioni,  le  quali  si  confanno 
coi  bisogni  della  mente  moderna,  e  così  quest'epoca,  nella  sua  ricerca 


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6  tradition 

aent  dans 

le  rÉglisé 

.t  au  con- 

7oqiier  en 

me  d'une 

'8  slaves. 

le  chau- 

tecteurs 

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rs  des 

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42  MSMoaiE 

a  &T8i  da  noi,  e  ogni  artista  d'Italia  dovrebbe  sentire  l'orgoglio,  il 
dovere  di  contribuirvi  colla  propria  opera.  Ma  date  le  condizioni  at- 
tuali della  cultara  artistica,  nel  nostro  paese,  dalla  cooperazione  degli 
artisti  c'è  poco  o  nulla  da  sperare.  Perciò  è  necessario  il  concorso 
dello  Stato,  il  quale  dovrebbe  capire  che  la  base  di  un  riordinamento 
degli  studi  musicali  è  la  classica  italianità  introdotta  una  buona 
volta  nei  nostri  Conservatori  di  musica,  che  son  pure  istituti  d'art» 
italiana.  E  se  anche  lo  Stato  nulla  farà,  ciò  vorrà  dire  che,  in  Italia, 
gli  uomini  di  governo  non  si  curano  di  un  problema  di  alto  inte- 
resse nazionale. 

L.  TOKCHI. 


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Leg  Cfeaiits 
de  TÉglige  Grecque- Orientale. 


ÉTTJ3DB   (1) 


XJa  musiqne  de  TÉglise  d'Orient  est-elle  une  source  de  tradition 
yìvante  de  la  musique  de  Tantiquìté? 

Si  toutes  les  traditions  se  sont  conservées  plus  purement  dans 
rOrìent,  il  serait  permis  de  sapposer  que  les  chants  sacrés  de  TÉglisé 
d^Orient  n'y  fassent  point  exception  dans  leur  essence;  tont  au  con- 
traire, c'est  avec  plus  de  force  encore  que  Ton  pourrait  ìnvoquer  en 
leur  faveur  l'argument  ethnologique  que  nous  voyous  confirmé  d'une 
manière  si  eclatante,  par  exemple,  dans  les  chants  populaìres  slaves. 
Ces  chants  traditionnels  n'avaient  en  effet  pour  abri  qu'une  chau- 
mière,  pour  sanctuaire  que  l'humble  coeur  du  paysan,  pour  protecteurs 
les  fenames  et  les  enfants;  tandis  que  les  chants  traditionnels  de 
rÉglise  d*Orient  trouvèrent  un  refuge  admirable  dans  le  sein  d'une 
imposante  congrégation  de  fidèles,  furent  protégés  par  les  murs  des 
couvents,  par  les  édits  des  conciles  et  rencontrèrent  pour  les  de- 
fendre  les  hommes  les  plus  éclairés  de  leur  temps  et  les  souverains 
les  plus  puissants  et  les  plus  zélés. 

Nulle  part  l'esprit  conservateur  de  TOrient  ne  trouve,  on  le  sait, 
d'expression  plus  entière  et  plus  haute  que  dans  l'Église  Grecque. 
Cet  esprit  conservateur  est  un  fait  universellement  reconnu  ;  TÉglise 
Grecque   a  un  caractère  d'immutabilité,  c'est  son  traìt  distinctif. 


(1)  Cette  Étnde  fait  parile  de  FoaTrage  (MS):  De  Vaffinité  des  Chants  Sìaves 
et  de  Taneienne  Musique  Qreeque. 


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44  MBMORIB 

«  Depuìs  les  glaces  da  pòlo  jusqu'aux  sables  de  TÉgypte,  partout 
«  les  mémes  formes  antiques,  la  mème  soumission  à  la  hìérarchie  et 
«  le  mSme  recueìllement.  St-Basile  reparaissant  au  milieu  d'eoi  ne 
€  saurait  les  méconnaitre.  Les  plages  chenues  de  Solovetzk  que  vi- 
€  sita  Pierre  le  Grand,  et  les  cimes  saperbes  d'Athos,  encore  em- 
€  preintes  des  traces  gigantesques  d'Alexandre,  sont  consacrées  aux 
«  mèmes  rites  religieux,  aux  mémes  pratiques  expiatoires.  Les  sou- 
«  venirs  de  l'antiquité  slavònne  reposent  dans  les  catacombes  de  Eief. 
«  Les  plus  belles  époques  de  Thistoire  de  Russie  se  perpétuent  dans 
«  rimmémorable  cloitre  de  la  Trinité  près  de  Moscou.  Le  Monastèro 

<  de  Niamtzo  depose  en  faveur  de  l'antique  energie  des  colonies  ro- 

<  maines.  Le  lac  de  Ladoga  renferme  dans  son  sein  une  ile  tonte 
«  peuplée  des  merveilles  de  la  pénitence. 

€  C'est  là  qué  des  formes  simples  mais  immuables,  racontent 
«  sans  cesse  le  passe,  absorbent  le  présent  et  j)roclament  un  avenir 
«  étemel!  »  (1). 

On  peut  dire  que  depuis  son  établissement  définitif,  c'est-à-dire 
depuis  les  constitutions  apostoliques  jusqu'au  septième  Concile  de 
Nicée,  l'Église  d'Orient  n'a  rien  changé  dans  les  rites  les  plus  essen- 
tiels,  qui  avaiènt  été  consacrés  par  les  premiers  àges  de  la  foi. 

Elle  a  pris  soin  de  coDserver  intactes  non  seulement  ses  dogmes 
et  ses  traditions  divines,  mais  encore  ses  traditions  ecclésiastiques, 
non  seulement  les  traditions  écrites,  mais  encore  les  traditions  orales. 

Gomme  le  prouve  le  Canon  suivant  de  l'acte  Vili  du  septième 
Concile:  «  Quiconque  transgresse  une  tradition  ecclésiastique  écrite 
€  ou  non  écrite j  soit  anathème  ». 

On  Yoit  combieD  les  Grecs  furent  toajours  jaloùx  de  tous  les  dogmes 
et  de  toutes  les  traditions  de  leur  Église,  estimant  qu'il  y  a  entre 
elles  et  ces  dogmes  un  lien  qui  sert  à  raffermir  l'unite  de  la  foi  et 
qu'en  altérant  les  traditions,  ou  en  les  négligeant  on  court  le  risque 
d'altérer  et  de  negliger  aussi  les  dogmes,  ou  du  moins  le  caractère 
essentiel  de  l'Église.  —  En  présence  de  maximes  aussi  absolues  et 
d'un  point  de  vue  si  élevé,  on  comprend  que  les  traditions  de  l'Église 
d'Orient  aient  pu   échapper  à  l'oubli  du  temps  et  survivre  aux  ré- 


fi) ALEXANDRE   DE   Stodrdza»  Comidérations  sur  la  doctrine  et  Vesprit  de 
VÈglise  orihodoxe,  p.  147.  Stuttgart,  1816,  chez  Cotta. 


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LXS  CBANTS  DB  L*éOLISB  ORECQUE -ORIENTA  LE  45 

Volutions  politiques,  aux  traDsformations  de  Tesprit  humain.  —  G'est 
ainsi  qne  les  penples,  qui  professent  la  religion  orthodoxe  ont  p)i  mé- 
riter  et  méritent-ils  en  effet  le  nom  de  peaples  liturgiqnes  par  ex- 
cellence. 

On  peut  constater  cette  fidélité  aux  anciennes  coutumes  dans  toutes 
les  parties  de  son  colte.  La  peinture  hiératique  conserve  jusqn'aujour- 
d'hui  le  caractère  ìdentiqne  des  temps  primitìfs  et  ce  style  sìmple, 
austère,  tout  de  componction  et  de  recueillement,  &it  pour  détoumer 
et  abstraìre  l'esprit  de  taute  préoccupation  terrestre. 

On  y  rencontre  les  mfimes  physionomies  du  Christ  et  de  la  Vierge 
et  certains  saints  et  docteurs  de  l'Église  se  présentent  aujonrdliui 
tels  qu'ils  sont  décrits  par  les  Pères  et  les  historiens  ecclésiastiques. 
Un  regard  suflBt  à  l'inìtié  pour  les  reconnaitre  lors  méme  qu'aucune 
legende  n'en  indiquerait  le  nom.-  L'Àbbé  Alex.  Stan.  Neyratj  dans 
son  livre  qui  rend  compte  de  son  voyage  aux  couvents  du  Moni  Athos^ 
dit  à  ce  sujet,  pag.  101  (1): 

«  Dans  rOccident  depuìs  la  Renaissance,  les  artistes  ont  donne 
«  libre  carrière  à  leur  imagination,  chacun  traitant  les  scènes  sacrées 
«  et  les  personnages  de  TAncìen  ou  du  Nouveau  Testament  suivant 
«  son  genie  personneL  Autrefois  il  n'en  était  pas  ainsi,  et  encore 
«  maintenant  chez  les  Byzantins,  l'ordonnance  de  chaque  sujet  est 
«  réglée  comme  les  attributs  de  chaque  Saint.  L'expression  de  la 
«  figure,  certains  détails  d'arrangement  sont  bien  laissés  à  la  dispo- 
«  sition  de  l'artiste,  mais  Tàge,  l'attitude  jusqu'àla  forme  des  cheveux 
<  et  de  la  barbe  sont  réglées  invariablement  ». 

On  peut  encore  observer  ce  méme  caractère  traditionnel  dans  les 
omements  sacerdotaux,  qui  sont  en  tous  points  pareils  à  ceux  dont 
l'imago  nous  est  conservée  dans  les  monuments  les  plus  anciens  de 
l'art  Byzantin. 

Le  méme  fait  se  produit  à  l'égard  de  l'architecture  et  de  la  dispo- 
sition  intérieure  des  temples  des  Orthodoxes.  Le  Saint  des  Saints, 
toujours  séparé  du  reste  des  fidèles  comme  le  lieù  où  se  célèbre  le 
mystère  du  divin  sacrifìce,  comme  le  tròno  du  Dieu  vivant,  dont 
ne  saurait  s'approchar  que  le  prétre;  toujours  à  l'Orient  trois  autels, 
symbole  de  la  Trìnité;  jamais  plus  d'une  messe  sur  le  méme  autel; 


(1)  JJAihM,  Notes  d*ane  excursion. 


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46  MBIfORIK 

tottjoars  la  croìx  exhaussóe  aa-dessas  du  Sanctum  Sanctoiuin  et  vi-  ' 
sible  411  peuple  poor  lai  indiqaer  qad  dans  ce  lieu  on  célèbre  le  non 
sanglant  sacrifiee  et  qae  cette  croix  est  l'étendard  trìomphal  de  notre 
rédemption  (1). 

Or,  si  noas  Toyons  eet  esprit  de  fldélité  aax  anciennes  traditions 
se  faire  joar  dans  l'ensemble  de  Tapplication  dea  arte  représentatifs 
aa  calte  di?in  de  TÉglise  d'Orienta  on  est  natarellement  porte  à  croire 
qae  le  méme  &it  doive  nécessairement  se  prodaire  relatiToment  à 
toates  les  autres  parties  de  ce  calte  et  notamment  dans  la  masiqae, 
qai  7  occape  une  place  si  importante. 

Ehaminons  donc  en  quoi  consistent  ces  traditions  masicales  litnr- 
giqaeSy  dont  Taatenticité  nons  semble  garantie  par  an  concoors  de 
circonstances  si  particalièrement  fEivorables  et  assurona-noas  jasqa'à 
qael  point  elles  en  ont  pu  beneficiar.  Mais  avant  de  procéder  à  l'ana- 
lyse  musicale  proprement  dite  des  mélodies  sacrées  qui  sont  Tobjet 
de  nos  études,  il  ne  sera  pas  inutile  pent-étre  de  jeter  un  coup  d'oeil 
sur  l'ensemble  de  l'édifice  liturgique  ^e  TÉglise  Grecque,  de  faire 
quelques  observations  générales  sur  la  part  de  la  musique,  sur  le 
ròle  des  choBurs  et  de  chantears,  interprètes  de  ces  cbants,  d'énu- 
mérer  rapidement  les  offices  les  plus  antiques  et  principaax,  les 
formes  princìpales  sous  lesquelles  ces  mélodies  se  présentent,  les  noms 
princìpaux  de  cotte  longue  et  glorieuse  liste  des  hymnographes  et 
mélodes  qui  à  travers  les  sìècles  ont  su  faire  aller  de  pair  la  liberté 
de  rinspiration  et  le  respect  de  la  tradition;  et  d'examiner  surtout  les 
sources  auxquelles  ils  ont  puisé  et  les  liens,  qui  relient  leurs  cbants 
à  ceux  de  la  Grece  antique. 

Notre  ambition  n*est  point  de  donner  un  tableau  complet  d'an 
aussi  vaste  sujet,  traité  déjà  par  main  de  maitre  ;  tout  ce  quo  noas 
Youlons  c'est  de  faire  une  courte  esquisse  historique  préliminaire 
avant  d'aborder  notre  tàche  principale  et  qui  nous  tient  à  cceur  avant 


(1)  «  La  forme  des  temples,  les  antels,  les  vases  sacrés,  les  ohants,  les  habits 
pontificanx,  les  rites  des  sacremeiits  et  des  fnnérailles,  les  offices  da  Caréme,  les 
pompes  noetarnes  de  la  Nati?ité  et  de  la  Bésarrection,  les  sens  emblématiqnes 
da  Yoile  qai  coayre  le  sanctaaire,  des  encensoirs  et  des  mjstiqaes  flambeaax, 
toat  y  porte  Tempreinte  de  Tantiquité  la  plas  recalée  et  la  plas  invarìable  > 
(Stourdza,  ihid.). 


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LE8  CHANT8  DE  L*éOLI8Ì  ORECQUB-ORIBNTALB  47 

tout,  notamment  celle  de  faìre  eonnaitre  dea  chante  aacrés  non  pnbliés 
jQsqa'à  présente  et  dont  la  perfectìon  musicale  fera  partager,  iions 
en  sommee  sdrs,  à  toas  ceni  qui  ne  c^Hmaissent  pmnt  eneore  oee 
trésors  mélodiques  de  l'Église  Qreoque,  la  conviction  dont  nous  sommeB 
pénétrés,  que  c*est  bien  dans  ces  chanta  tradìtionnels,  que  nous  Toyons 
se  refléter  le  plus  purement  l'image  sereine  (si  non  entière  mais  du 
moins*  eu  partìe)  dee  cbants  des  anciens,  que  ce  sont  bien  les  yoùtes 
sonoree  de  certaines  Églisee  et  de  certains  couvents  byzantins  qui 
nous  lenyerront  eneore,  si  nous  saTons  les  consulter,  les  échos  loin- 
taìns  de  ces  yoix  que  Ton  croyait  éteintes,  de  cet  art  que  Ton  croyait 
à  jamais  disparu  et,  qu'en  un  mot,  si  Ton  veut  retrouTor  le  secret 
musical  de  la  Qrèce  payenne,  que  c'est  surtout  à  la  Grece  chrétienne 
qu'il  &udra  le  demander. 


Le  rOle  de  la  Muslque  dans  la  Liturgie  Grecque. 

Lorsqu'on  entre  dans  une  église  grecque  au  moment  du  chant 
liturgìque  on  est  tout  d'abord  frappé  par  deux  choses:  l''  de  l'absence 
de  tout  accompagnement  instrumentai,  et  2^  de  la  dìsposition  des 
chantree,  qui  se  répondopt  l'un  à  Tautre  se  tenant  de  chaque  coté  du 
chcBur,'iffè8  du  sanctuaire. 

Nous  Toici  en  effet  en  présence  de  deux  coutumes  de  la  plus  haute 
antiquité  spécialement  propre  au  rito  grec: 
1®  Le  chani  purement  vacai; 
2"^  Le  chani  antiphone. 

Le  chant  purement  vocal  sans  accompagnement  instrumentai  (à 
capella)  fut  adopté  par  les  chrétiens  de  Téglise  primitive,  pour  obéir 
à  la  recommandation  speciale  des  apdtres  :  de  ne  pas  admettre  les 
instruments  —  considórés  comme  éléments  payens  —  au  service  diyin 
de  rÉglise  du  Ghrist.  Gotte  recommandation  nous  la  voyons  confirmée 
par  le  passage  de  la  lettre  de  St-Paul  aux  Éphésiens  et  aux  Colossiens, 
où  il  enjoint  aux  fidèles  de  s'enireienir  par  des  psaumes,  par  des 
hymnes  et  par  des  cantiques  spiriiuéls^  chantant  et  célébrant  de  tout 
ìeur  ccìur  les  louanges  du  Seigneui",  sous  Vinspiration  de  la  gràce  (1). 


^ — 


chap.  y,  ▼.  19;  et  Coloss.,  chap.  Ili,  ▼.  16. 


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48  MEMÓR» 

Quant  aa  chant  aniiphone  il  ^est  également  de  la  plus  haute  anti- 
quité.  Saint  AugusHn  le  mentioDne  déjà  comme  etani  d'un  usage 
general  dans  TÉglìse  d'Orìent  et  propre  à  ce  calte  ;  c'est  de  là  qu'il 
vìnt  dans  l'Église  d'Orìent.  Noiis  le  voyons  confirmé  par  divers  pas- 
sages  dea  écrìts  dea  docteurs  dea  deux  Églises. 

C'est  ainsi  qne  St-BasiU  dit:  «  qae  la  divine  psalmodie  de 
l'Église  est^istrìbaée  de  telle  manière,  que  lorsqne  les  chantie^  ont 
commencé  d'un  coté  (de  l'Église)  les  autres  continuentde  l'autre  »(1). 

Théodarite  (2)  affirme  que  Flavien  et  Théodare  (sous  l'Empereur 
Constance  —  IV*  siede)  furent  les  premiers  à  ìnstituer  à  Antioche 
les  deux  choeurs  pour  chanter  alternati vement:  et  que  cei  usage  étaii 
répandu  partout  jusqu'aux  canfins  du  monde. 

D'un  autre  coté  Iladulfu8{3)  dit:  «  Ambrosi us  ritum  antipho- 
«  narum  in  Ecclesia  canendarum  prìmus  a  Oraecis  transtulit  ad 
€  Latinos  »  (c'est-àdire:  Ambroise  introduisit  le  premier  dans  l'Église 
latine  le  rìte  au  chant  antiphone  quHl  prii  aux  Greca)  (4). 

Toutes  extérìeures  et  par  conséquent  en  apparence  d'ordre  secon- 
daire  que  puissent  paraìtre  au  premier  abord  ces  dispositions,  il  est 
impossible  de  calculer  l'influence  que  leur  stricte  observation  aura 
exercé  sur  le  maintìen  du  caractère  du  chant  de  l'Église.   . 

En  effet  chacun  de  cqs  instruments  en  y  apportant  un  élément 
nouyeau  devait  nécessaìrement  porter  ombrage  aux  éléments  anciens, 
eSacer  l'imago  primitive,  en  faire  dévier  les  contours  et  perdre  Tem- 
preinte  originale  ;  le  caractère  particulìer  de  chacun  d'eux  devait,  en 
se  faisant  place,  empiéter  sur  celle  qui  appartenait  au  chant  vocal, 
amoindrìr  son  rdle,  altérer  sa  nature,  et  s'il  avait  commencé  par 
en  Stre  l'humble  serviteur,  finir  par  lui  imposer  ses  lois,  qu'il  allait 
chercher  en  dehors  de  Venceinte  de  VÉglise.  —  L'Orgue  mème,  cet 
instrument  grave  au  caractère  éminemment  sacerdotal,  que  n'est- 
olle pas  devenue  sons  la  main  de  l'ignorance  et  de  la  légèreté  hu- 
maine,  livrèe  au  bon  vouloir  de  l'individu,  chacun  pouvant,  en  accom- 


(1)  EpUt  ad  clerieas  Eccìesiae  Neacauoriemis,  lxiii. 

(2)  Hist.  Eccl,  lib.  II,  cap.  19. 

(3)  De  ean.  observant,  propos.  XIL 

(4)  S^  Ambroise  et  S*  Basile  étaient  contemporàins  ;  ils  avaient  la  ntéme 
rousique  d'Église,  an  Beai  système  de  chant,  mais  un  mode  'd'exécation  propre, 
correspondant  à  la  diversité  des  nations. 


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LES  CHANT8  DE  L*ÉGLISB  ORECQUB-ORIENTALE  49 

pagnant  le  chant  liturgique,  y  mettre  dei  sien?  N'y  at-il  pas  en 
effot  plus  de  chance  à  maintenir  au  chant  sacre  ce  earactère  imper- 
sonnel  qai  lui  conyient  arant  tont,  qaand  riromixtion  ìndiyidaelle 
est  écartée  et  le  chant  confié  à  une  masse  cborale,  où  le  caprice  et 
la  fantaisie  personnelle  ne  sanraient  se  donner  anssi  libre  cours? 

On  ne  saurait  donc  se  réjouir  assez  dans  Tintérét  méme  des  tra- 
ditions  musicales  anciennes,  qne  dans  TÉglise  d'Orìent  les  portes 
aient  été  tonjours  closes  à  l'élément  instrnmental  et  Fon  peut  dire 
jasqa'à  un  certain  point  qne  c'est  à  la  stricte  obseryation  de  rinjonc- 
tion  des  apdtres  «  de  louer  Dien  avec  la  voix  >  que  l'Église  d'Orient 
doit  d'avoìr  conserve  ses  traditions  musicales  (1)  en  ce  qui  regarde 
leur  base  consti tutionnelle. 

Le  róle  de  la  musique  dans  le  service  liturgique  de  l'Église  d*Orient 
est  considérable.  En  outre  des  morceaux  de  chants  plus  ou  moins  déve- 
loppés,  qui,  comme  dans  l'Église  catholìque  Tlntroit,  l'Offertoire,  etc., 
yiennent  à  certains  moments  accompagner  et  entourer,  pour  ainsi  dire, 
un  encens  mystique,  les  saints  moments  du  sacrifico  —  en  dehors  de 
ces  morceaux, disonsnous,  le  chceur  est  chargé  de  la  réplique  et  par 
conséquent  sa  participation  est  partie  intégrante  de  la  messe. 

Il  en  resulto  aussi,  que  la  responsabilité  des  chantres  est  bien 
plus  grande  qne  dans  tonte  antro  Église.  Mais  si  la  charge  est  plus 
fatigante,  elle  est  plus  glorieuse.  Le  chantre  aussi  beneficio  de  cotte 
fidélité  aux  traditions  propres  à  l'Église  d'Ocient,  et  l'interprete  des 
hymnes  sacrés  ne  se  voit  pas  comme  dans  d'autres  pays  rélégué  aux 
derniers  rangs  des  serviteurs  de  l'Église  et  considéré  comme  accessoire. 

Rien.de  plus  beau  à  voir,  par  exemple,  que  cette  phalange  mu- 
sicale gardant  les  portes  du  Sanctuaire  dans  les  Églises  Russes, 
vètue  de  costumes  riches  et  pittoresques  en  harmonie  avec  l'ensemble, 
chantant  les  louanges  du  Seigneur  et  contribuant,  rien  que  par  leur 
aspect,  à  augmenter  la  majesté  et  la  dignité  du  eulte. 

Nous  aimons  aussi  à  retrouver  dans  la  figure  du  protopsalte,  le 
coryphée  des  anciens  Grecs,  prototype  en  méme  temps  de  ce  chan- 
tour  rural  slave   qui   entonne   les  strophes  des  choeurs  populaires. 


(1)  C*e8t  ainsi  qae  dans  l'Église  Latine  lorsqae  les  Prétres  cbantent  en  chcenr 
ils  oonserreot  mienz  l'ancìenne  tradition;  laqnelle  est  bien  plus  pare  dans  la  cha- 
pelle  Siztine  à  Rome,  où  les  orgaes  et  antres  instrnments  sont  ezclos. 

Ri9Uta  mm$icaU  Oahma,  Vili.  4 


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50  MEMORIE 

Ne  pourrait-OD  pas  voir  ici  encore  rannean  se  fermbr  entre  ces  trois 
éléments  en  apparence  si  disparates:  le  chant  de  TÉglise  Orecque, 
le  chant  populaire  Slave  et  la  musique  des^  anpiens  HeUènes? 

Les  offlces  prlnolpaux  de  l^Église  grecque. 

La  part  da  chceur  et  le  ròle  da  chantre  étant  établie  en  general, 
examinons  les  offices  prìncipaax  de  l'Église  grecque  auxqaels  ils 
prétent  leur  concoars.  Ces  offices. sont: 

L'office  de  minuit  (Mcctovuktikòv). 

Lt8  mattines  (*Op6poc). 

Les  Heures  CQpai). 

La  Messe  (AetToupYia). 

Les  Vépres  Ceanepivò?). 

Les  Complies  fATróòciirvov). 
Toas  ces  offices  sont  d'orìgine  très  ancienne  et  remontent  aa  temps 
des  apdtres.  Ils  consistaient  dès  le  prìncipe  en  psaumes  oa  en  versets, 
cfaantés  alternativement  d'après  le  système  antìphone,  comme  nous 
l'ayons  dit  plus  haat.  Ensuite  on  y  ajouta  des  hymnes,  qai  se  mal- 
tiplièrent  dans  le  coarant  des  siècles  et  allongèrent  le  service.  L'of- 
fice de  la  messe  les  joars  férìés  étant  plas  href,  plas  simple,  il  est 
à  croire  qa'il  est  aassi  le  plas  ancien.  Farmi  les  offices  solennels 
les  plas  antiqaes  il  faat  aassi  compter  ceax  des  deax  grandes  fétes 
religieases  de  la  Chrétienté,  qai  furent  le  mieux  observées  et  célé- 
brées  dans  TÉglise  prìmitive,  nous  voalons  dire  la  NoBl  et  la 
S^Pdque,  aaxquelles  il  faat  ajoater  encore  les  offices  commémoratifs 
de  la  Passion  comme  monuments  des  hymnes  les  plas  anciens  et 
les  plus  beaux.  Prenons  comme  exemple  Tordre  des  offices  prìncipaax, 
les  Tépre^,  les  Mattines  et  la  Messe,  Nous  y  '  troayerons  le  contine 
gent  musical  suivant: 

Les  Vépres  ('Eancpivèq) 

commencent  par  deax  psaumes  appelés  keJcragdrian  (K€KpaT<ipiov). 
Ils  sont  suivis  de  quatre,  six  oa  meme  hUit  chants  (toujoars  en 
nombre  pair) 

Prosomoeiqi^es  (TTpocóinoia).  A  la  fin  des  Vépres  on  chante 
VApoUftikion  ('AttoXutìkiov),  hymne  bref,  chant  da  congé,  qui  ter- 
mine l'office. 


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LBS  CHANT8  DE  l'ÈOLISB  ORBGQUB-ORIINTALB  51 

Les  MatHnes  COpOpo^ 

se  composent  dea  morceaox  siiivants:  d'abord  quelques  hymnes,  qui 
sont  divìsés  en  deux  sessions  (KaOiainaTa);  ensuite  le 

Canon  (Kavibv).  Le  canon  se  compose  d'une  sèrie  d'hymnes  en 
honneur  da  saìnt  on  de  la  feto  de  la  journée,  diyìsées  en  neof  0de8\ 
chaque  ode  est  composée  d'un 

Hirmos  (€lp^òc,  [tràctas]),  suivi  ordinaìrement  de  deux  ou 
quatre 

Trcpaires  (TpoTrdpia  [trqpos,  mode])  appelés  ainsi  parcequ'ìls 
suiyent  la  loì  rythmique  de  l'Hirmos. 

Après  la  sixième  ode  on  chante  le  Kontakion  (KovTdKiov)  qu'on 
peut  tradaìre  :  jaculatoire.  —  On  reprend  le  Canon,  et  après  la 
neuvième  Ode  qui  le  termine  viennent  les  Aeni  (Alvei)  ou  Laudes^ 
soivis  de  la  Doxoìogia  (AoEoXoT(a). 

La  Messe  (Aeiroupria) 

commence  par  deux  psaumes  de  David,  appelés  : 

Typica  (TuTTiKà),  parco  que  ce  sont  toujours  les  mdmes  (Ps.  103) 
chantés  d'après  le  mode  antiphone.  Us  sont  suivìs  du 

Qhria  Patri  (AóEa  TTarpt,  etc.),  après  lequel  on  procède  à 
chanter  la  troisième  et  la  sixième  Ode  (1)  extraite  du  Canon  des 
Mattines  de  la  journée.  Viennent  ensuite  VApolytikion  et  le  Kon- 
takion du  jour.  Le  prétre  étant  entré  dans  le  sanctuaire  pour  y  cé- 
lébrer  le  St  Holocauste,  après  l'Épìtre  et  l'Évangile,  le  chant  sublime 
et  mélodieux  des  Chérubins  (XepuPiKÒv)  se  fait  entendre  lentement; 
après  la  consécration  le  chceur  exécute  l'hymne  de  la  Vierge:  Axion 
esti  ('ASióv  é(TTi)  et  on  termine  par  le  Kinonikon  (KoivuivtKÓv)  sur 
un  verset  da  psalmiste,  que  l'on  chante  lentement  pendant  que  le 
prètre  se  communio. 

Voici  dono  le  contingent  musical  pour  les  trois  ofBces  principaux 
que  nous  ayons  choisis  comme  exemples. 

Nous  y  Yoyons  d'abord  dqs  chants  dont  les  paroles  sont  empruntées 
à  l'Écrìture  Sainte  :  P  Les  Psaumes  proprement  dits,  tirés  de  l'ancien 


(l)  Chaeiine  de  oes  odes  se  compose  de  qaatre  trcpaires  qui  sont  précédós  cbacan 
d*QDe  des  hiiit  béatitndes  (MaKapio^ói,  makaritmi),^ 


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MIMORIB 


Tdstament,   et  2®  d'autres  chants  comme  les  Béatitudes,  par  ex., 
tirés  de  TÉvangile,  etc. 

A  edté  d'eux  une  place  importante  est  réservée  ani  Hymnes 
plus  ou  moìns  développés,  rar  des  paroles  saerées,  composées  par  les 
hjmnographes  et  Pères  de  TÉglise.  Les  Hymnes  portent  des  déno- 
minations  diverses,  qui  fixent  leur  caractère  et  la  circonstance  dans 
laquelle  ils  doivent  6tre  exécutés,  tels  les  chants  dits  Kontakion^ 
Apoìytikion,  Axian  esti^  Ghéruvikan^  etc. 

Enfin  nous  voyons  figurer  sous  le  nom  coUectif  de  ffirmus  et  de 
trapcdres  tonte  nne  sèrie  de  chants  très  brels,  se  composant  d'une 
seule  periodo,  contenant  une  pensée  pieuse  qui  s'appuie  sur  quelque 
passage  des  Écritures,  des  apologues  souvent  ingénieux,  toujours  prò- 
fondément  sentis  et  qui,  se  trouvant  réunis  par  groupes  plus  ou  moins 
grands,  forment  des  chants  strophiques  qui  peuvent  Stre  chantés 
dans  les  circonstances  diyerses. 

G'est  une  réunion  de  deux  ou  de  quatre  de  ces  tropaires  qui  for- 
ment, comme  nous  avons  vu,  les  Odes,  dont  se  compose  le  Canon, 

Quant  aux  autres  dénominations,  comme  kathismaia  (KaBic^iam 
fseaaion]),  iio9  (ftÉO^*  stanco),  iatavasia  (KaTapaaia  [descente]),  sii- 
chos  ((Ttìxo^)  (hymne  qui  se  chante  préeédé  d'un  verset  des  psaumes), 
ce  ne  sont  que  des  épithètes  d'ordre  liturgique  dont  il  existe  un 
nambre  oonsidérable  et  dont  noos  n'avons  pas  à  nous  oceuper  i<n. 

De  toutee  ces  dÌTorses  formes  que  prend  le  chant  sacre  au  servioe 
liturgique,  ee  sont  les  hymnes  qui  sont  les  plus  importants  au  point 
de  Yue  de  leur  valeur  musicale,  et  comme  champ  de  recherches 
pottiant  servir  à  l'archeologie  musicale. 

Aussi  bien  e'est  en  ces  hymnes  que  nous  voyons  concentrés  les 
efforts  dtt  géme  des  mélodes  grecs  ;  c'est  sur  eux  qu'on  peut  étudier 
avant  tout  l'esprit  traditionnel  de  l'Église  d'Orient  se  faisant  jour 
dans  la  partie  musicale  de  l'edifico  liturgique. 

U'est  de  cotte  forme  speciale  du  chant  sacre  de  l'Église  d'Orì^t, 
qu'il  convient  maintenant  d'étudier  le  caractère  general  et  de  donner 
quelques  détails  sur  le  texte  de  ces  hymnes,  qui  par  l'étroite  union 
de  la  parole  et  de  la  melodie,  se  proclament  hautement  les  enfants 
de  cet  idéal  musical  que  révait  Platon. 


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LBS  CHANTS  DE  L*É6LI8B  GREGQUE -ORIENTALE  53 

Les  hymnes  de  rfiglise  d^Orlent. 

Les  hymnes  divers  de  TÉglise  d'Orìent  peuvent  ètre  classée  en 
deux  catégories  priooipales  :  les  hynmes  autaméles  et  les  hymnes 
idiaméles. 

Les  hymnes  autaméles  sont  des  hymnes  dont  la  melodie  sert  de 
modèle  à  d'autres.  Tels  les  hymnes  appelés  Kontakion  et  Apoly^ 
iikion,  qne  nous  avons  vu  figurer  ani  offices.  Lliymne  de  St-Bomain 
€  I  parthenos  symeran  >  ('H  TTapO^vd^  oifi^cpov)  (1),  cet  autre 
hymne:  Ta  ano  m/tón  (Td  fivuj  Ziituiv)  sont  tons  les  denx  auto- 
méles,  mais  Vun  est  un  hymne  de  Tespèce  des  kontakion  (kovt&- 
Kiov),  Tautre  de  Tespèce  des  apólyOkion  (diroXuTiKiov). 

Les  hymnes  automéles  sont  par  conséquent  les  chants  exemplaires 
et  traditionnels  par  excellence  de  TÉglise  d'Orient,  doublement  con- 
sacrés  par  le  choix  des  Pères  de  l'Église  et  par  la  pratique  des  siècles. 

Ils  forment  la  partie  la  plus  nombreuse  et  la  plus  importante  du 
système  hymnographique  de  TÉglise. 

Les  automéles  régissent  les  chants  appelés  ProsomceXques^  qui  se 
chantent  aux  Mattines  et  aux  Vépres,  comme  les  hirmus  (€lp^ò^) 
régissent  les  tropaires. 

Les  hymnes  idiaméles  sont  des  chants  qui  ont  une  melodie  propre, 
mais  qui  ne  sert  point  de  modèle  à  d'autres  ;  ils  n'ont  pas  des  hynmes 
subordonnés.  Tels,  p.  ex.,  les  hymnes  appelés  Eothin4  (*€uieivà)  de 
rBmpereur  Leon  le  Sago,  dont  nous  donnons  deux  exemples  (2). 

Ce  sont  généralement  des  morceanx  de  chants  d'une  melodie  plus 
compliquée,  plus  ou?ragée  si  l'on  peut  dire  ainsi,  et  d'une  exécution 
partant  plus  difficile  ;  souyent  on  y  trouve  une  expression  dramatique, 
une  illustration  plus  emphatique  des  paroles,  comme  p.  ex.  dans  le 
Tf|^  MaTbaXiivf)^  Mopia^  ou  dans  le  TTapàboSa  (Tn^cpov  (3). 

En  les  parcourant  on  voit  de  suite  que  ce  sont  des  chants  com- 
posés  expròs  pour  le  texte  et  pour  le  sujet  qu'ils  traitent  et  qui  ne 
sauraient  étre  adaptés  à  aucun  autre. 


(1)  N*"  9  de  notre  Recaeil. 

(2)  No*  17  et  18  de  notre  Becaùl. 

(3)  N*«  17  et  13  de  notre  Reeaeil. 


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54  MEMORIE 

Aassi  représententrils  pour  ainsi  dire  la  mosique  d'art  ou  concer- 
tante panni  les  chants  sacrés  et  étaient-ils  destinés  à  ètre  chantés 
la  musique  en  main  ;  c'est  pour  cela  que  dans  les  codes  manuscrits 
on  trouve  généralement  la  melodie  de  ces  hymnes  notée  au  dessas  da 
texte.  Ils  sont  de  beaacoup  moine  nombreux  que  les  hymnes  auto- 
méles  et  leur  origine  est  plus  recente. 

On  peut  encore  ranger  les  hymnes  de  TÉglise,  d'après  le  texte, 
en  hymnes  composés  d'une  seule  periodo,  et  en  hymnes  qui  ont  plu- 
sieurs  périodes. 

Au  genre  unipériodal  appartiennent  les  himios  et  les  tropaires^ 
les  mégalinaria  (Magnificat,  yersets  en  Thonneur  de  la  Vierge),  les 
Apoh/tikia  et  les  Koniakia.  —  La  catégorie  des  chants  de  plusieurs 
périodes  est  représentée  par  tous  les  chants  dits  stiehirariques  (1)  (ainsì 
appelés  parco  qu'ils  sont  précédés  par  un  yerset  (stichòs)  recite^  non 
chanté,  da  Psalmiste).  Enfin  on  distingue  entro  les  chants  vifs  (toatòv) 
et  les  chants  lents  (dpTÒv),  ou  chants  Qnciens  et  modemes;  et  entre 
les  chants  abrégés  ((Tùv9€Ta)  et  les  chants  amplesj  d'exécution  plus 
compliquée,  désignés  sous  le  nom  de  KaXoq)uiviKà  (kalophonicà)  et 
iranabiKà  (papadikà),  appartenant  à  la  catégorie  des  mélodies  con- 
tenues  dans  le  livre  de  chant,  dit:  kratimatdrion  (KpaTl^aTdplov)  (2). 

Pour  étudier  la  mélopée  des  hymnes  grecs  il  &ut  commencer  par 
étudier  les  paroles  ;  car  elles  réalisent,  nous  le  répétons,  l'idéal  an- 
tique de  l'union  du  texte  avec  la  melodie.  La  plupart  des  hymnes 
grecs  traditionnels  —  automéles  et  idiomdles  —  tient  le  juste  milieu 
entre  les  chants  syllabiques  et  les  chants  où  les  sillabes  re90iyent 
chacune  en  partage  plusieurs  notes,  et  méme  des  phrases  mélodiques 
entières,  comme  cela  a  lieu  p.  ex.  dans  les  chants  très  lents  dits 
kalophonicà  ou  papadikà. 

L'influence  des  mètres  poétiques  sur  le  rythme  musical  dans  les 
hymnes  sacrés  grecs,  serait  tonte  une  étude  à  faire  dont  nous  par- 
lerons  plus  loin  à  l'occasion  de  l'analyse  technique  de  ces  chants. 
lei  nous  dirons  seulement  quelques  mots  du  caractère  general  de  ces 
textes. 


(1)  Cf.  D.'  JoHÀKivBB  TzBTZBS,  Uebef  die  àltgr%eehi9e?ie  Mutile  m  der  grie- 
ehisehen  Kirehe,  pag.  107.  MUncben,  1874. 

(2)  Gf.  L.-À.  BouROAULT-DuoouDRAT,  Études  tur  la  Muaique  Eeeìé9ia8tiq^e 
Grecque,  p.  ii.  Parìe,  1877,  Hachette. 


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LB8  CBANTS  DE  L*éaLISE  aREGQUE- ORIENTALE  56 

Les  hymnes  de  l'Église  d'Orient  forment  ud  monument  des  plus 
grandioses  de  la  langue  grecque. 

ÉcoutODS  ce  que  dìt  au  snjet .  d'un  de  ces  hymnes  un  autenr 
étraDger  qui  ne  saurait  §tre  accuse  de  partialité.  Mr.  Henry  Stb- 
VBNSON,  dans  son  ouyri^e  sur  le  «  Rhythme  dans  rHymnographìe 
de  rÉglise  grecque  >  (1),  pag.  7,  dìt  :  «  Il  fetut  lire  cet  hymne  » 
(il  s*agit  de  rbymne  Aeaihistus  que  le  patriarche  de  Constantinople 
Sergius  composa  en  l'honneur  de  la  Mère  de  Dieu,  dont  Fintercession 
miraculeuse  yenait  de  mettre  en  fuite  les  Avares  et  de  sauver  la 
capitale  de  l'Empire  (a.  626).  Il  faut  le  lire  dans  le  texte  des  Ana- 
lecta^  pour  goùter  le  charme  de  ce  rhythme  rapide  et  pétillant,  de 
ces  rimes  entrelacées,  rayissantes  de  melodie,  de  ces  coupures  sou- 
ples,  aisées,  qui  font  toujours  image. 

«  Les  épithètes  poétiques  se  pressent,  se  multiplient,  se  précipitent, 
sans  se  heurter  jamais,  sans  étre  jamais  oisiyes,  chacune  reflétant 
une  des  gloires  de  la  Yierge,  un  de  ses  titres  nombreux  à  l'amour 
et  à  la  reconnaissance  du  chrétien. 

«  On  a  dit  que  ce  psean  fut  compose  d'un  seul  jet  par  Sergius 
le  jour  mème  ou  au  lendemain  du  triomphe.  Nous  avons  peine  à  le 
croire.  Il  y  a  trop  d'art  dans  ces  strophes,  elles  sont  trop  habilement 
ménagées,  les  contours  en  sont  trop  nets,  la  yersification  trop  sayante 
pour  y  yoir  une  improyìsation  >. 

Mais  si  un  art  exquis  se  fait  jour  dans  les  oeuyres  de  longue 
haleine  —  et  il  y  a  des  hymnes  qui  ont  plus  de  400  vers,  —  on 
peut  admirer  le  tour  classique  de  la  pensée  et  la  forme  graciSuse 
et  svelte  des  périodes  aussi  bien  dans  les  petites  formes  de  la  poesie 
hymnographique,  nous  n'en  voulons  pour  preuve  que  la  simple  strophe 
suivante  :  *Q  fXvKi  \io\)  ?op,  T^UKuraióv  jligu  t^kvov,  ttoO  (Tou  ftu 
Tè  KaXXo^  ;  0  mqn  doux  printemp^j  o  man  plus  dot$x  fUs^  où  est 
dispartie  (tramontò  —  litféralement  :  où  s'est  conche  U  soleil  de)  ta 
heauté? 

Souvent  ces  cantiques  adoptent  la  forme  dialoguée  et  forment  des 
petites  scènes,  qui  pourraient  bien  étre,  comme  l'observ^l'auteur  que 
nous  yenons  de  citer,  les  premières  origines  du  drame  hiératique. 


(1)  Parìf,  Palme  éditear,  1876. 


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56  MCMORIB 

t 

Et  comment  en  serait-il  autrement  ?  ajoatoDB-nons.  L'Orìent  n'est-il 
pas  le  pays  de  rimagination  ?  et  là  où  le  peuple  ne  parie  que  par 
images,  là  ou  la  chanson  popalaire  anime  ju8qa*aux  objets  inanimés, 
fait  chanter  les  arbres  et  parler  les  oiseaux  —  comment  ne  pas 
croire  que  la  poesie  sacrée  —  nourrìtare  spirituelle  que  lai  offirait 
sa  mère  TÉglise  —  n'ait  pas  Voulu  et  dù  se  revètir  de  cette  forme 
vivante  et  faire  agir  et  parler  les  saints  personnages  dont  elle  a  la 
mission  de  perpétuer  la  mémoire  anprès  da  peuple  ? 

L'élément  dramatique,  qui  est  Télément  vivant,  est  à  sa  place 
dans  les  chants  d'une  Église  vivifiée  par  un  esprit  essentiellement 
popalaire,  et  la  musique,  le  plus  vivant  des  arts,  devait  se  trouver 
à  Taise  devant  la  tàche  d'illustrer  des  chants  pareils,  où  le  senti- 
ment  prédominait  sur  la  pensée,  et  l'action  aux  raisonnements. 

Aussi  la  plupart  des  tropaires  après  avoir  exposé  quelque  fin  ape- 
logue,  quelque  comparaison,  —  dont  la  délicatesse  va  quelquefois 
jusqu'à  la  subtilité  —  se  terminent  généralement  par  quelque  cri 
du  coeur,  par  quelque  élan  aussi  imprévu  qu'il  est  naturel,  et  qui 
met  en  action  soit  la  personne  du  fidèle,  soit  un  personnage  de  la 
Bible  —  revanche  du  sentiment  sur  la  raison,  du  coBur  sur  l'esprit, 
comme  dans  celui-ci  par  exemple:  *Qpatoc  fiv  xal  xaXò^  (1).  <  II 
«  était  beau,  il  était  bon  au  goùt,  ce  fruit  qui  me  rendit  mortel. 
«  Christ  est  l'arbre  de  la  vie,  dont  en  en  goùtant  je  ne  mourrai 
<  point,  mais  avec  le  larron  m'écrierai:  —  Souvenez-vous  de  moi, 
«  ò  Seigneur,  quand  vous  viendrez  dans  votre  Boyaume  ». 

Ces  hymnes  tantdt  sublimes  tantOt  gracieux  et  charmants,  ont-ils 
un  mètre  poétique,  c'est-à-dire  :  Sont-ils  des  vers  proprement  dits  ou 
simplement,  comme  d'aucuns  Font  pensé,  4^  1&  pinose  cadencée? 

Divers  auteurs  se  concordent  à  relever  la  présence  d'un  rhythme 
poétique  dans  les  hymnes  de  l'Église.  C'est  ainsi  qu'Eusèbe  (XIII*- 
XIY*  siede),  le  premier  et  le  plus  ancien  des  historiens  de  l'Église, 
en  parlant  des  psaumes  et  des  odes  (2)  «  écrites  dans  le  prìncipe  par 
les  frères  et  fidèles,  qui  exaltent  le  Verbo  de  Dieu,  le  Christ  », 
s'exprime  ainsi  :  <  Ils  composent  des  chants  et  des  hymnes  en  l'hon- 
neur  du  Seigneur  en  les  écrivant  d'après  touies  sortes  de  mètres  et 
de  mélodies  avec  les  rhythmes  les  plus  convenabìes  ». 


(1}  N«  16  de  notre  Collection. 
(2)  Hist  Eccl,  lib.  II  et  V. 


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LE8  CHANTS  DE  L^ÉGLISK  GRECQUE -ORIENTALE  57 

St-Basile  anssi  parie  de  ce  rhyOme  harmonieux  (in  Psalm.XXIX) 
des  h^nes  de  TÉglise. 

«  Ceni  »  ditril  «  qui  sont  dévots  et  servent  la  jnstice  envers  Dieu, 
cenila  peuyent  chanter  à  Dieu  ayec  des  rhythmes  spirituels  qui  se 
saivent  convenablement  les  uns  aux  autres  ». 

StJean  Ghrysostdme  à  son  tour  fait  mention  du  chant  diyin  com- 
pose de  rhythmes. 

Cette  question  du  rhythme  était  restée  longtemps  une  énigme  pour 
rOccident  et  de  nombreux  auteurs  latins  ont  soutenu  que  les  hymnes 
greps  étaient  de  la  prose.  —  Ce  qui  a  pu  donner  lieu  à  cette  croyance, 
c'est  que  dans  quelques  codes  manuscrits  et  imprimés  on  avait  pris 
Thabitude  d'écrire  ces  hymnes  d'un  trait,  comme  de  la  prose,  peut-étre 
pour  économiser  Tespace,  au  lieu  de  les  diviser  vers  par  yers.  Mais 
ce  qu'on  avait  pris  pour  de  la  prose,  n'en  était  pas  et  cette  vérité 
a  été  établie  d'une  manière  péremptoire  par  le  savant  Pére  Cons- 
TANTiN  Oeconomos  daus  son  grand  ouvrage  :  TTcpl  rfj^  TvncTta?  wpo- 
9opci^  xn?  .éXXriviKf)^  T^uiaCTiq  :  'Gv  TTeipouTróXci,  1830,  in-8®,  et 
dans  les  derniers  temps  par  les  travaux  de  l'illustre  Bénédictin 
S.  E.  le  Cardinal  Pitba. 

•  On  peut  definir  la  poesie  sacrée  de  TÉglise  d'Orient  de  cette  ma- 
nière :  c'est  une  poesie  qui  s'est  affranchie  de  la  loi  de  la  quantité 
syllabique,  mais  qui  obéit  à  la  loi  des  accents  naturels,  et  dont  les 
vers  sont  divisés  en  membres  rhythmiques  plus  ou  moins  longs.  — 
C'est  à  cet  ordre  de  poesie  qu'appartiennent  les  tropaires  et  les  ca- 
nons  et  les  hymnes,  que  l'on  designo  par  les  noms  divers  de  Eonta- 
kion,  Apolytikion,  Prosomia,  Eothina,  Exapostilaria. 

Nous  ne  citerons  pour  exemple  que  l'hymne  célèbre  de  St-Romain, 
le  Eontakion  automéle  de  Noel  (I]  : 

*H  irape^vo?  af\\x€poy  (7  syllabes) 

Tòv  ÙTTcpcuaiov  t{kt€i  (8      *      ) 

Kal  f|  Tn  TÒ  anriXaiov  (7       »      ) 

Tip  àiTpo(TÌTi(i  TTpoadrei  •  (8       »      )    (2) 


(1)  N.  9  de  notre  Becneil. 

(2)  On  remarqaera  qae  les  rhythmes  s^accordent  al  ternati  vement;  on  rencontre 
sonyent  de  ces  rhythmes  entrelaoés,  on  entreroèlós. 


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58  MEMORIE 

« 

"AttcXoi  I  ^€Tà  iroiM^voiv  boEoXoroOaiv  (4  -i- 10  syllabe^) 
Mdroi  bk  I  ^€Tà  derapo?  óbomopoOai  •  (3  -f- 10  »  ) 
bi*  fififi?  TÒp  èT€vvrieii  "    .    (8  syllabes) 

TTatbCov  v^ov,  (5        »      ) 

•0  npò  olvùvujv  Geo?  •  (7        »      ) 

La  poesie  métrìqae  proprement  dite,  c-à-d.  obéissant  à  la  quan- 
tité  syllabique,  a  également  ses  représentants  dans  rhymnographie 
grecque,  mais  elle  se  réduit  à  quelques  rares  spécimens  et  presque 
aux  seuls  caDons  lambiques  de  St  Jean  Damascène,  qui  se  chantent 
à  Noél,  à  rÉpiphanie  et  à  la  Pentecdte.  A  Texception  de  ces  quel- 
ques exemples  isolés  de  poesie  métrique  on  pent  dono  affirmef,  que 
la  poesie  hymnographique  forme  un  type  special  de  poesie,  soumis 
à  des  lois  rhytbmiques,  basés  sur  le  retour  de  Taccent  naturel. 

Mais  si  ce  genre  de  poesie  est  caractéristique  à  rhymnographie 
grecque  et  si  elle  s*est  développée  tout  spécialement  dans  le  sein 
de  rÉglìse  d'Orient,  il  n'est  pas  moins  vrai  aussi  qu'elle  a  ses  atta- 
ches  dans  la  poesie  de  l'antiquité,  et  que  c*est  dans  les  vers  méme 
de  Sophoele^  à'Aeschyle  et  à'Aristophane  qu*il  faut  chercher  les 
modèles  qui  ont  servi  de  norme  aux  mélodes  byzantins  pour  la  com- 
position  des  tropaires,  des  kontakia,  etc.,  etc. 

Il  ne  manque  point  de  témoignagepour  affirmer  le  faitdel'imi- 
tation  des  anciens  par  les  mélodes  grecs,  et  nous  apprenons,  par 
exemple,  que  St-Ephrème  de  Caria,  dans  les  premiers  àges  chrétiens, 
ayait  compose  des  hymnes  selon  le  modèle  des  yers  de  Harmonius 
comme  Tassure  Nicephore,  Calisto  Xantopoulos  (1),  mais  le  meilleur 
témoignage,  la  preuve  la  plus  concluante  ressort  de  la  comparaison 
de  quelques  compositions  poétiques  des  auteurs  des  cantiques  de 
rÉglise  avec  les  compositions  poétiques  des  anciens. 

Voici  quelques  fragments  d'hymnes  auxquels  nous  appesone  d'autres 
fragments,  tirés  des  auteurs  classiques.  Il  suffit  de  les  comparer, 
pour  s'assurer  de  leur  identité,  au  point  de  yue  de  l'accent  rhyth- 
mique  et  de  la  forme  poétique. 


(1)  Liv.  IX,  cbap.  xYi,  mas.  cccl. 


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LKS  CHAI<(T8  OK  LÀGLISE  6RECQUB-0RIKNTALK  59 

La  1^  de$  24  Stancea  en  Vhonneur  de  la  S**  Vierge. 

ÉgUse.        —  "AttcXo?  irpuiToardTii^ 

OùpavóOev  èiré^qpOri 

eineiv  T^  QeoTÓKip  tò  x^'P^  ' 

Kaì  (Tùv  T^  à(Tuj^dT^l  qpiuvQ 

Zu)^aToup€vóv  he  6eujpu>v,  Kùpie, 

'KiaraTO  Ka\  TaraTo 

KpairrdZuiv  itpò^  aùifiv  roiaOia  • 
Eyripide^l) —  TTé^7t€T€  tuiv  b*  dit*  òikujv 

''H  TTVOiaiai  Jleqpiipou, 

6oàc  dKdTOu^  £fr*  olò/ia  X(^vac  (2) 

AeCpo  KaXeiv  vó^o^  el^  x^pòv 

^AaTrlai  kqI  Xótxokw  dxaiuùv,  fivaKia^  • 

'EXXdòoc  èvvoénicTiv. 

*AX{ou  TTpoaépaXev  fip^xa' 
ÉgUse.        —  XaTp€  bi'fi?  f|  xapà  èKXd|ii|i€i 
Hephesiian, —  ''Atct*,  ì&  ZirdpTa?  (vottXoi  KoOpoi* 
ÉgUse,        —  XaTpe  toO  irebóvto^  àbà\x  f)  dvdKXriCi^ 
Aikénée.      —  TTavTo(oK  KeqpoXfiv  dv6é|Lioi^  épéTrTO^al' 
ÉgUse.         —  Tòv  TTpoqpfjriiv  luivfiv  ♦ 

Phéréerate. —  "Avbpe^,  7tpó<TX€T€  tòv  voOv 

.  éEeupfjjiaTi  Kmvip' 
Éghse.        —  OIko^  toO  €àq)pa6fi 

f|  TtóXi^  f|  dtia 

Tiiiv  TTpocpiiTiBv  f|  bòga 

eÙTpémbov  TÒV  oIkov, 

èv   iji  TÒ   6€10V  T{KT€Tai  *  * 

J^ir^mfe.(3) —  ''Acibov  èv  /iu6|Liotc 
TÒV  neiÌKa  év  oòpeiqi 
EecTTÒv  Xóxov  dpTe(uiv, 
Kal  Aapbovia^  Atqv  * 

dp8€(llV  b*  luì  TTÓVTIOV  • 


(1)  Yen  qui  appartiennent  aaz  choeurs  de  diverses  de  ses  tragédies. 

(2)  EcBiP.,  Eeub.,  t.  443. 

(3)  Evaip.,  dao8  les  TrcHades. 


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60  *  MEMORn 

L'emprant  des  mètres  poétiqaes  &it  par  les  mélodes  aux  chefs- 
d'oeavres  des  anciens  est  un  Cut  de  la  plus  haute  importance  poar 
l'archeologie  musicale  ;  c*est  un  joint  remarquable  entro  Thannonie 
musicale  des  Grecs  anciens  et  lliarmonie  musicale  de  TÉglise  d*Orìent, 
car  n'est-il  pas  évìdent,  que  si  le  rhythme  poétique  des  Anciens  régit 
le  rhythme  poétique  des  hymnes  de  TÉglise  grecque,  la  ressemblance 
ne  doit  pas  s'arréter  là,  et  ne  semble-t  il  pas  naturel  de  croire,  que 
la  mélopée  adaptée  à  ses  rhythmes  poétiques  ne  soit  également  la 
reproduction  de  la  mélopée  des  Anciens? 

Il  ne  faut  pas  oublier  que  les  hymnes  ont  été  mis  en  musique 
par  ceux-là  méme  qui  en  composaient  le  texte  et  sous  le  titre  de 
mélodes  on  comprenaìt  à  la  fois  l'autenr  des  paroles  et  de  la  me- 
lodie. Quelques  fois  méme  ils  chantaient  à  TÉglise  leurs  propres 
ceuvres  et  réalisaient  ainsi,  dans  le  domaine  sacre,  ce  type  idéal  du 
poète,  dont  Tantiquité  avait  fourni  tant  d'éclatants  ezemples,  en  réu- 
nissant  à  la  fois  dans  leur  personne  la  triple  dignité  du  poète,  du 
musicien  et  du  chanteur. 

C'est  de  ces  poètes  musiciens  que  nous  allons  nous  occuper  main- 
tenant. 

Les  prlncipaux  mélodes  de  TÉglise  d*Orlent. 

Quel  a  été  le  premier  hymnographe  de  TÉglise  grecque  et  à  quelle 
année  de  l'ère  chrétienne  faut-il  remonter  pour  trouver  le  point  de 
départ  de  cotte  longue  et  glorieuse  phalange  de  chantres  ecclésias- 
tiques,  dont  quelques-uns  ont  égalé  la  splendeur  des  Hésiode  et  des 
Pindaro  ? 

II  ^erait  difficile  de  le  préciser  :  tels  hymnes  en  usage  aujourd'hui 
encore,  ^taient  déjà  populaires  avant  le  temps  de  St-Basìle  et  de 
St-Ambroise,  comme  par  exemple  l'hymne  du  soir;  Phós  hiìaràfi 
aghias  Doxis  (<l>uic  IXapòv  àflaq  ^àir\i)  (1),  dont  St-Basile  nous 
apprend  que  de  sou  temps  déjà  les  chrétiens  l'estimaient  d'une  tra- 
dition  fort  ancienne.  —  On  ne  se  tromperait  pas  en  le  supposant 
contemporain  des  apdtres. 


(1)  N«  2  de  notre  Becaeil. 


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LBS  CHANTS  DB  l'ÉGLISX  ORECQUE -ORIENTALE  01 

Tel  est  encore  le  chant  :  NOv  ai  Auvà^ei^  (Nyo  ai  dynàmis)  qui 
rempla9ait  antiqaement  le  chant  des  ChérubiDs  et  qui  se  chantait 
dans  la  messe  des  présanctifiés,  antériear  à  la  messe  de  StBasile. 

Noas  citerons  eneore  parmi  les  chants  les  plus  anciens  Thymne 
très  connue,  mais  dont  on  ignore  Taateur,  le  ZiTTiadriu  nàaa  aàpS 
(Sigisàto  p&sa  san)  que  Ton  chante  à  la  messe  de  St  Basile  le  Sa- 
medi  Saint,  et  qui  a  été  compose  probablement  aa  lY»*  siècle  ;  à 
ce  siècle  appartient  aussi  TAirmos  de  la  l'*  Ode  du  Canon  de  Noel 
XpMTTÒ^  T€vvfiTat  (Cbristòs  gennftte),  cité  par  St-Grégoire  de  Na- 
ziance  dans  aon  homélie  sur  TÉpiphanie  (1). 

L'histoire  de  lliymnographie  grecque  peut  se  diviser  en  deux  pé- 
riodes,  la  1**  celle  des  Mélodes  anciens,  qui  dura  jusqu'au  Vili»* 
siècle,  et  la  2*^*  perìodo,  celle  des  mélodes  recente,  qui  date  du 
VII!"*  siècle,  le  siècle  de  St-Jean  Damascène,  jasqu*au  XVII»*. 

C'est  en  Bitbynie,  que  selon  quelques-uns  il  faudrait  aller  chercher 
le  berceau  de  rhymnographie  grecque.  Parmi  les  mélodes  de  la 
!'•  epoque,  antérieurs  au  V»*  siècle  dont  le  souvenir  s'est  conserve, 
nous  devons  citer  principalement  Si-Auxence  et  St-Anthime. 

Le  V»*  siècle  vit  naitre  un  des  plus  glorìeux  représentants  de  la 
l'*  epoque  de  Thymnographie  grecque,  St-Romain  le  melode,  clero 
de  rÉglise  d'Émèse  et  diacre  de  Béryte,  qui  vécut  sur  la  fin  du 
V»*  siècle  sous  Tempereur  Anastase  I  (491-518),  et  composa  de 
nombreux  cantiques  sur  des  sujets  tirés  de  la  Bible  et  de  TÉvangile. 
Ils  affectent  souvent  la  forme  dialoguée  et  ont  un  caractère  drnma- 
tique  et  pathétique.  St-£omain  est  appelé  aussi  Tauteur  des  Eon- 
takion.  Son  premier  Eontakiou  est  le  célèbre  *H  ITapO^voc  ari^cpov 
(I  partbénos  simeron)  déjà  cité.  Au  VI»*  siècle  nona  voyons  Justi- 
nien  VEmpereur  composer  le  chant  des  Chérubins. 

Au  Vili»*  siècle  Andrej  évéque  de  Créte,  écrivit  le  plus  long 
Canon  (Méra^  Kavibv,  mégas  kanon)  de  componction  (ou  pénitentiel) 
qui  se  trouve  dans  le  Trioàùm^  et  se  chante  en  caréme.  —  Au 
méme  siècle  Serge^  patriarche  de  Constantinople,  écrivit  le  célèbre 
hymne  Acathistos^  dont  nous  avons  parie  plus  haut.  Pendant  cet 
hymne,  aucun  des  fidèles  ne  peut  s'asseoir  ;  d'où  le  mot  :  dKaOiaro^ 
(debout,  non  assis). 


(1)  K«  1  da  notn  R«caeil. 


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62  MBMORIE 

'  Le  YIII"'*  siècle  dot  la  sèrie  des  hymnogràphes  de  la  1^  epoque 
et  inaugure  une  phase  nouvelle  qui  date  de  la  reconstitution  du 
chant  liturgique  par  St-Jean  Damascène. 

St-Jean  Damascène  écrivit  le  célèbre  Octoèche^  c.-àr4.  recueil 
d'hymnes  de  la  résurrection  pour  les  Dimanches,  dans  les  huit  tons 
de  r£gli8e. 

Il  est  aussi  l'auteur  des  trois  canons  métrìques  (en  yers  lambi- 
ques)  qu'on  chante  dans  certaìnes  solennités. 

Le  couyent  de  St-Sabbas  en  Palestine,  sur  lequel  l'illustre  évSque 
de  Jérusalem  Dosiihéej  dans  son  histoire  des  Patrìarches,  jota  tant 
d'éclat,  yit  sa  renommée  s'accroitxe  par  un  autre  melode  remarquable, 
disciple  de  St-Jean  Damascène,  nous  voulons  parler  de /S^Ct^m^,  ou 
Cosme  (Koa^fi^)  que  Théodore  Prodromo  appello  «  TOrphée  du 
St-Esprit  >,  auquel  l'Église  grecque  doit  les  hymnes  d'une  beante 
suave  et  classique. 

Oermain,  patrìarche  de  Constantinople,  au  memo  siècle,  écrivit 
diSérents  idiomeles. 

Au  IX»*"  siècle  Leon  le  Saga,  Empereur,  composa  le  premier 
les  hymnes  de  la  Bésurrection  ('AvaartìiaiMa,  Anastàsima),  appelés 
*6u)eivà,  Eothinà,  par  ex.,  l'hymne  automéle  :  ToT?  MaOiiTai^  (Tu- 
véXOuijiev  (Tis  Mathitès  synélthomen). 

Dans  le  méme  siècle  une  femme,  du  fond  de  son  couyent,  illustra 
son  nom  parmi  les  mélodes  grecs  ;  c'est  la  vierge  Caste  (Kaaia)  ou 
Icasie,  qui  composa  quelques  hymnes  très  populaires,  parmi  lesquels 
il  faut  signaler  les  idiomgles  :  Kópie  f)  eùnoWai^  à|iapT(aic,  et  cet 
autre:  AÙToùaTou  ^ovapxncravTo^. 

Au  memo  siècle,  aussi,  Joseph^  hymnographe,  composa  une  grande 
quantité  de  canons,  que  l'on  trouve  dans  les  Ménées  et  qui  portoni 
dans  la  9"*®  ode  l'acrostiche  de  leur  auteur  :  luiafjq),  Joseph.  Il  est 
aussi  l'auteur  du  liyre  liturgique  intitulé  Paraclétique  (TTapaicXii- 
TiKf|)  qui  contieni  des  hymnes  pour  tous  les  jours  de  la  semaine, 
chaque  semaine  étant  consacrée  à  un  des  huit  tons. 

Nous  voyons  encore  les  Studites,  Théodore  et  Joseph^  qui  ócri- 
yirent  des  idiomgles  bien  connus,  et  Théophane,  auteur  tirès  élégant 
de  canons  et  d'idioineles. 

Au  X°®  siècle  un  autre  Empereur,  Constantin  Porphyrogenète^ 
comme  plusieurs  de  ses  prédécesseurs,  ajouta  la  gioire  de  melode  à 


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LE8  CHANTS  DB  L*ÉGLISB  ORECQUB-ORIENTALE  63 

sa  dìgnité  imperiale  et  créa  les  chants  dits  Exapostilaria  (*€EaiTO- 
<TT€iXd(pia),  qui  regardent  la  mission  sacrée  des  Apdtres,  et  qui  se 
chantent  les  Dimanches;  ils  appartienneot  à  la  classe  des  idiomèles. 

A  partir  du  X""*  siècle,  l'Église  d'Orient  compte  une  tonfile  sèrie 
de  mélodes,  lesqaels  en  composant  des  idiomèles,  des  tropaires,  des 
Kondakia,  des  Apolytikia,  ou  autre  sorte  d'hymnes,  saiyirent  scru- 
pnleusement  les  normes  dn  rbjthme  et  des  chants  primitifs. 

Jasqn'au  siècle  passe  leur  nombre  s'élève  à  près  de  trois  cents, 
qu'il  serait  impoesible  et  superflu  d'énumérer  tous;  ce  qui  importe 
de  constater,  c'^st  qu'ils  fcrment  une  chaine  inintérrompuè  de  tror 
ditionSy  qui  se  rattachent  intimemeni  à  la  grande  litiérature  des 
Andens,  dont  ils  ont  pris  les  normes  poétiqnes,  les  principes  me- 
triques  et  Tesprit  littén^ire,  comme  nous  Tayons  prouyé  dans  le  cha- 
pitre  sur  le  rhythme  poétique  des  hymnes. 

Comment  admettre  —  nons  le  répétons  —  qu'ils  se  soient  inspirés 
ponr  Taccent  de  leurs  paroles  de  l'esprit  d'un  Aeschyle,  d'un  Sophocle, 
d'un  Aristopbane  et  ne  pas  croire  aussi  que  lorsqu'il  s'agissait  de 
mettre  ces  vers  en  mnsique  ils  n'aient  inyoqué  la  Muse  de  Pindaro  et 
d'Alceo? 

Mais  ici  se  placent  deux  questions:  Les  mélodes  auront-ils  fait 
usage  de  l'ensemble  des  moyens  d'expression  que  l'art  musical  des 
Hellònes  mettait  à  leur  disposition  et  cet  ensemble  leur  était-il  connu 
dans  son  intégrité? 

A  cotte  dernièro  question  on  peut  hardiment  répondre  :  cui,  car  si 
quQlqu'un  deyait  étre  initié  à  cotto  partie  intégrante  de  la  ciyili- 
sation  hollénique,  co  sont  cortainemont  ces  hommos,  qui  étaient  à  la 
teto  du  mondo  intelligent  de  leur  tomps  et  qui  ayaiont  hérité  de 
toutes  les  disciplines*  grocques.  Quant  à  l'application  entière  de  la 
mélopée  antiquo  auz  chants  des  chrétions,  nous  croyons  qu'olle  ne 
pouyait  étre  complèto  et  on  yoici  les  motifs. 

Les  anciens  Grocs  possédaiont  au  plus  haut  degré  une  scionce, 
qui  semblo  s'étro  porduo  entièromont  depuis:  ceUe  de  distinguer 
mire  ce  qui  est  profane  en  mìisique  et  ce  qui  ne  Test  pas. 

L'étude  de  Y Ethos  musical  c.-à-d.  do  l'action  des  différonts 
tons  etc.  sur  nos  sontimonts,  était  uno  partie  fort  importante  de 
Finstruction  musicale  chez  les  anciens;  le  choix  conyenable  à  fairo 
en  chaque  circonstance  des  tons,  des  modes  des  rhythmos  et  de 


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64  MEMORIE 

toQt  ce  qui  constìtue  le  caractòre  dìstinctif  d'un  morceau  de  ma- 
sìqne,  était  robjet  de  leur  plus  sérieuse  attention. 

IIs  avaient  dassifié  ces  moyens  d'ezpression  et  il  n'est  point  de 
détail  assez  mìninie,  ni  de  nuance  assez  fine,  qui  leur  eùt  écfaappé 
et  dont  Temploi  ne  fftt  soumis  à  une  règie  fixe  et  raisonnée. 

Or  est-il  admissible  que  les  SS.  Pères  et  tonte  la  plus  haute 
Hiérarchie  de  TÉglise  grecque  qui  seuls  avaient  le  prìvilège  de  pouvoir 
s'occuper  d'hymnographie  et  de  mélopée  et  dont  l'esprit  était  forme 
aux  disciplines  de  la  Grece  ancienne,  eussent  ignoré  cotte  science 
subtileP 

Ne  faut-il  croire  plutdt,  que  leurs  sentiments  à  ce  sujet  eussent 
été  afiSnés  et  épurés  encore  par  le  principe  étbique  du  Chrìstianisme, 
et  qu'ils  se  seront  gardés  d'introduire  indifféremment  dans  le  sein 
de  l'Église  les  divers  genres  de  style,  usités  chez  les  anciens,  dont  ils 
ayaient  si  bien  appris  à  distinguer  TÉthos  particulier? 

Ce  n'est  pas  aux  mélodes  et  bymnograpbes  Byzantins,  dotés  de 
cotte  fine  perception,  propre  à  leur  nation,  entourés  d'ailleurs  de  la 
tradition  musicale  hellénique  comme  d'une  atmosphère  naturelle, 
auxquels  il  aurait  pu  venir  en  idée  de  mélanger  les  modes  légers 
aux  modes  sévères  et  les  rhytbmes  mondains  et  frivoles  aux  rhythmes 
solennels. 

Aujourd'bui  encore,  ces  nuances  flnes  entro  les  divers  modes  feont 
observées  dans  l'Église  Grecque  et  l'Église  Busse,  et  combien  plus  ne 
devons-nous  pas  nous  attendre  à  voir  ces  règles  en  vìgueur  dans  les 
àges  de  foi. 

Nous  croyons  donc  qu'on  pourrait  tirer  de  tout  ceci  la  conclusion 
suivante:  S'il  est  un  fait  certain  que  le  chant  sacre  de  l'Église 
d'Orient  ait  eu  pour  base  la  musique  antique,  et  que  grftce  à  l'esyrit 
conservateur  qu'elle  a  documenté  en  toutes  choses,  ces  éléments  bel- 
léniques  nous  aient  été  transmis  intacts  par  elle,  il  n'est  pas  moins 
certain  que  les  mélodes,  en  tant  que  nourris  de  l'enseignement  hel- 
lénique sur  les  principes  éthiques  de  la  musique,  n'aient  adopté 
que  celles  des  traditions  musicales  de  l'antiquité  qui  fussent  com- 
patibles  auec  V esprit  de  VÉglise  et  des  hymnes  qu'ils  avaient  mission 
d'interpréter  musicalement.  Par  conséquent  nous  devons  nous  attendre 
à  ce  que  les  CBuvres  des  mélodes  de  l'Église  d'Orient  ne  nous  éclairent 
que  sur  une  partie  seulement  de  l'art  musical  des  Hellènes:  mais 


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LB8  GBANTS  DB  L*ÉOLISE  6RBCQUB -ORIENTA LE  65 

il  est  permis  de  supposer  que  ce  sera  la  partie  la  plus  noble,  la 
plus  pure,  et  que  laissant  dehors  le  cdté  profane  —  que  d'autres 
motifs  encore,  que  nous  allons  aborder  dans  le  cfaapitre  suivant, 
leur  faisaient  un  devoir  de  negliger  entièrement, —  les  mélodes  nous 
auront  rappelé  dans  leurs  chants  la  musique  des  Anciens  dans  ce 
qa'elle  aura  de  plus  sublime. 

Le  caractòre  general  des  chants  de  TÉglise  d'Orient. 

«  La  musique  de  l'Église  chrétienne  »  —  dit  le  D'  Jean  TeeUes 
dans  son  ouvrage  sur  la  musique  des  anciens  Hellènes  dans  l'Église 
grecque  —  «ne  pouvait  pasiStre  une  autre  que  celle  de  son  temps  et 
ne  pouvait  en  différer  beaucoup,  car  si  elle  avait  pris  des  allures 
étrangères  et  inconnues,  elle  n'aurait  certainement  pas  pu  atteindre 
son  but,  et  ce  but  était,  comme  il  ressort  de  plusieurs  passages  des 
Saints  Pères,  un  moyen  d'éducation,  de  récréation  et  de  purification 
des  passions  »  (pag.  14). 

Les  chrétiens  primitifs,  dont  la  vie  était  tonte  simple  et  spiri- 
tuelle  et  qui  fuyaient  tout  ce  qui  était  mondain,  s'appliquaient  à 
observer  la  plus  grande  simplicité  dans  tous  les  actes  de  leur  vie  et 
méme  à  Toffice  divin.  Us  ont  sans  aucun  doute  suivi  en  matière  de 
musique  les  mémes  principes  qui  avaient  fait  adopter  en  peinture 
par  exemple  ce  style  d'une  extrème  sobriété  et  austérité,  qui 
étaient  à  leurs  yeux  aussi  un  moyen  d'action  pour  réveiller  des  sen- 
timents  pieux. 

C'est  ainsi  qu'ils  auront  exclu  de  leur  musique  d'Église  les  eia- 
meurs  excessives,  le  chant  théàtral,  ils  en  auront  prohibé  les  modes 
sensuels,  les  voix  tendres,  les  ornements  frivoles,  les  modulations 
excitantes,  et  au  lieu  de  cela  tout  dans  leur  musique,  ainsi  que  dans 
leur  peinture  hiératique,  aura  respiré  la  gravite  et  la  simplicité. 

Yoilà  quel  a  été,  n'en  doutons  pas,  le  caractère  des  premiers  cbants 
chrétiens  dans  les  temps  de  dévotion  et  de  repentance.  Au  courant 
des  siècles  suivants,  les  àmes  s'étant  refroidies  peu  à  peu  et  étant 
devenues  insensibles  aux  délicatesses  des  sentiments  et  indifférents  à 
ce  qui  pourrait  les  fìroisser,  on  a  tenté  d'introduire  dans  l'Église  cer- 
taines  manières  efféminées  de  chanter,  qui  donnèrent  lieu  plusieurs  fois 
aux  Pères  de  l'Église  d'imposer  un  frein  salutaire  comme  il  résulte 

RMmìol  mmneak  ìialkma,  Vm.  5 


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05  MKMORIE 

de  eertains  passages  de  St-Chryaoetome  et  d*ane  lettre  da  VII*  Concile 
ani  AlexandrìnSf  où  il  ert  dit: 

<  Qne  tont  ce  qui  joeqa'à  préeent  a  été  iimoyé  et  opere  et  tout 
«  ce  quo  Ton  ferait  dans  Favenir  contro  les  traditìons  ecclésiastiqaeB, 

<  la  doctrìne  et  la  formule  des  Saints  Pères,  soit  anathème  )►. 
Nieodème^  savant   moine  da  Mont  Athos,  dìt  éloqnemment  à  ce 

sajet  dfuis  son  PidàUan  (c-àd.  timon): 

€  Poor  cela  St-Jean  Chrysostome  (I,  Y,  p.  120)  défend  les  psal- 
«  modies  tendres  au  coBor,  les  monvements  dansants  de  ceox  qui 
^  battent  la  mesure,  et  les  crìs  prolongés  et  les  voli  désordonnées. 

«  Interprètant  le  psaume:  Servez  le  Seigneur  a?ec  crainte,  il  disap- 
«  proavo  sévèrement  ceax  qui  mélangent  ani  chants  spirituels  les 
«  manières  extérieores  des  théàtres  et  les  notes  et  paroles  insigni- 
«  fiantes  (telles  comme  on  ?oit  aajourd'hui  les  térérismes  et  nénanismes 

<  et  aatres  paroles  sans  signification)  et  dit  que  ces  chosee-là  ne 
«  sont  point  dignes  de  ceox  qai  glorifient  le  Seìgnear,  mais  plutftt 
«  de  ceax  qui  plaisantent  et  confondent  et  mèlent  les  jeux  des  démons 

<  à  la  doxologie  angélique.  Et  en  plus  il  enseigne  à  glorifier  Dieu 
«  avec  crainte  et  avec  un  coeur  contrìt,  afin  que  les  bymnes  soient 
«  àcceptés  comme  le  parfum  de  Tencens.  £n  effet  une  musique  im- 

<  modérée  et  qui  s'applique  à  divertir  outre  mesure,  ne  platt  autant 
«  qu'elle  enervo. 

<  Poor  cela  les  Saints  Pères  n'admettant  à  TÉglise  que  les  voix 

<  humaines  seulement  appartenant  à  la  seale  nature,  repoussent  les 
«  orgues  et  d'autres  instruments  non  convenables. 

«  Ce  sont  des  abus  pareils  qu'ont  tenté  d'introduire  dernièrement 
«  dans  rÉglise  quelques-uns  des  musiciens  modèmes,  car  les  com- 

<  positions  qui  s'attribnent  à  StJean  Damascène  et  à  d'autres  mu- 
«  siciens,  ne  contiennent  point  ces  voix  insignifiantes.  11  parait  qu'elles 
«  se  seraient  introduites  au  temps  de  Jean  Cucuzeli.  Mais  les  chants 
«  qui  s'exécutent  aujourd'hui  par  les  chantres  modemes  étant  le 
«  doublé  et  le  triple  da  texte,  paraissent  ennuyeax  et  fastidieux  à 

<  qui  les  entend. 

«  Pour  cela  nous  prions  les  chantres  réguliers  à  les  chanter  briè* 

<  vement,  afin  qu'ils  réussissent  mieux,  et  les  Canons  qui  doivent 

<  étre  chantés  eo  mesure  plus  lente,  car  en  ceci  consiste  le  fruit  de 


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LES  CHANTS  DB  L'ÈaLISK  GRECQUB-ORIENTALE  67 

<  rftme.  On  dit  que  les  iérérismea  farent  introduits  ponr  attìrer  le 

<  peuple  à  rÉglise  »  (l). 

Cea  écarts  regrettables,  ces  infractions  à  Tégard  dea  traditions  ne 
se  produisirent,  h&tons-nous  de  le  dire,  que  sar  la  surface  da  chant 
de  rÉglise,  et  en  laissant  inlactes  les  bases  mdmes. 

Le  soin  mème  que  les  Pères  de  l'Église  prireot  à  constater  ces 
infractions  ayec  la  plus  lonable  franchise,  nous  permet  de  préciser 
de  quelle  nature  elles  étaient. 

Yoicì  comment  le  VI  Concile  oBCuménìque  s'exprìma  à  ce  sujet  dans 
le  canon  N.  75  : 

«  Nous  voulons  que  ceux  qui  se  présentent  à  TÉglise  pour  chanter 
«n'usent  pas  de  clameurs  désordonnées  et  ne  forcent  pas  la  yoìx 
4  contre  nature,  ni  ajoutent  rien  qui  ne  soit  convenable  et  approprié 

<  à  rÉglise,  mais  qu'ils  ofirent  avec  beaucoup  d'attention  et  de  com- 

<  ponction  leur  psalmodie  à  Dieu,  qui  volt  les  choses  secrètes,  car 
«  la  parole  de  Dieu  enseigne,  que  les  fils  dlsraél  soient  dévots  >. 

En  constatant  quelle  était  la  manière  de  chanter  que  l'Église  ré- 
prouvait,  il  est  facile  d'en  déduire  celle  qu'elle  approuvait  et  de  con- 
naitre  son  idéal  en  matière  de  chants  sacrés. 

Il  devait  Stre,  nous  l'avons  déjà  dit,  en  tous  points  conforme  aux 
aspirations  générales  de  ces  premiers  temps  de  ferveur,  de  simplicité 
et  d'austérìté. 

Mais  si  quelques-uns  se  figurent  les  chants  dea  chrétiens  graves 
et  séyères  et  quelque  peu  empreints  d'une  monotonie  mélancolique, 
nous  aimons  au  contraire  à  nous  les  figurer  animés  de  ce  soufBe 
ardent  qui  donne  la  vie;  il  nous  semble  que  les  premiers  chrétiens 
dans  leur  sainte  exaltation  mettant  tonte  leur  &me  dans  les  paroles 
qu*ils  chantaient,  devaient  savoir  donner  aux  plus  simples  phrases 
musicales  cotte  perfection  d'expression  qui  ravit  et  satisfait  en  m6me 
temps  Toreille  et  le  codur  (2). 


(1)  TTiiòàXiov,  RecueH  dee  canon»  de  ioua  ìe»  ConeHea,  iUtutréa  et  annatés 
par  NicoDÈMi,  moine  du  Moni  Athos.  2*  édit.  in-4*,  p.  168.  Athènes,  1841. 

(2)  Uae  preafe  aisez  conolaante  de  Vhjpothòse  que  noas  nous  permettonB 
rar  la  maniòre  de  chanter  animée  de»  premiers  sièclee,  noas  est  fonrnie  par  ce 
&it:  les  chants  frife  sont  appelós  anjoard*hai  encore  les  chants  aneiens,  en  op- 
podtion  anz  chants  ìenia,  appelés  modemes  on  nouveauau 


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MEMORIE 


Cette  manière  de  chanter  existe-t-elle  encore  dans  TÉglise  d'Orìent? 
Oui,  elle  exìste. 

Elle  a  resistè  aux  attaques  les  plus  diverses,  elle  a  triomphé  des 
pièges  tendus,  elle  a  surrécu  heureusement,  disons-le,  à  la  corruption 
regrettable,  qui  fiit  la  suite  de  la  réforme  commencée  au  siècle 
demier,  et  qui  sous  prétexte  de  simplifier  rannotation  ancienne  et  de 
la  remplacer  par  un  autre  système,  bouleversa  en  méme  temps  le 
système  tonai  et  créa  une  confusion  où  il  est  presque  impossible  de 
se  reconnaitre,  et  où  les  Grecs  eux-m6mes  ne  se  reconnaissent  pas, 
mélant  les  principes  anciens  aux  principes  modemes,  le  système  tonai 
des  Grecs  au  système  tonai  des  Occidentaux,  modifiant,  amplifiant 
les  mélodies  anciennes,  les  couvrant  de  yocalises  d'un  goùt  plus  que 
douteux,  cbangeant  les  modulations  et  donnant  en  tout  le  tableau 
lamentable  de  chants  fusionnés  aux  éléments  étrangers  et  gàtés  par 
une  pratique  qui  s'est  faussée  entièrement  sous  des  infiuences  vraiment 
barbares  (1). 

Le  chant  actuel  grec,  en  un  mot,  est  comme  un  palimpseste  mu- 
sicalj  dont  les  caractères  superposés  laissent  à  peine  deviner  le  texte 
originai  et  traditionnel.  Mais  qu'importe,  si  ce  texte  existe,  ne  fùt-ce 
qu'en  un  seul  endroit,  si  le  courant  des  traditions  musicales,  si 
troublé  dans  son  parcours,  peut  encore  étre  remonté  jusqu'à  sa  source, 
si  Ton  peut  encore  se  désaltérer  à  ces  ondes  limpides  !  C'est  loin  des 
yilles,  loin  du  bruit  de  ce  monde  qu^il  convient  de  la  cbercber: 
c'est  dans  le  silence  harmonieux,  dans  les  solitudes  animées,  qui 
sont  le  refuge  de  tout  ce  qui  craint  le  contact  du  monde,  que  l'on 
pourra  surprendre  encore  ces  mélodies,  qui  y  sont  pour  ainsi  dire 
en  retraite,  en  attendant  le  jour  où  elles  pourrout  rentrer  dans 
le  monde. 

En  parlant  de  ces  couvents,  refuges  des  mélodies  traditionnelles, 
c'est  surtout  au  Mani-Athos,  à  la  sainte  montagne,  que  nous  avons 
Youlu  faire  allusion.  C'est  là  où  les  cbants  sacrés  de  l'Église  By- 
zantine  peuvent  étre  entendus  dans  leur  pureté,  leur  dignité  originaire; 
du  moìns  ils  pouvaient  Tetre  encore,  il  y  a  quelque  temps. 


(1)  L.-A.  Bouroault-Dlcoudrat,  pages  6  et  7  de  ses  Études  sur  la  Muiique 
Eccìéa.  Oreeque,  a  constate  cet  état  déplorable  du  chant  dans  la  pratiqae;  il 
ne  fait  exception  qae  poar  ano  église  de  Smyrne,  à  St-Dimitri. 


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LBS  CHANTS  DE  l'ÉGLISB  GREGQUB-ORIBNTALE  69 

Nous  les  avoDS  entendus  ces  chants  simples  et  profonds,  d'un  dessin 
mélodique  si  noble,  d'une  dignité  si  grande,  sans  aucun  artifice, 
mais  pleins  d'un  art  consommé;  il  nous  a  été  donne  de  les  entendre 
chanter  avec  cette  méme  ferveur,  cotte  méme  componction,  que  nous 
supposons  aux  chants  des  chrétiens  des  premiers  àges,  et  qui  en  font 
comprendre  le  sens  intime  et  sublime;  nous  avons  pu  admirer  ces 
beaux  élans,  rendant  avec  une  justesse  d'expression  presque  drama- 
tique,  non  surpassée  par  aucune  mélopée  moderne,  les  sentiments  les 
plus  divers,  la  douleur  et  Tallégresse  celeste,  Tangoisse  de  la  péni- 
tence,  la  joie  de  la  résurrection. 

Ces  chants  sont  presque  syllabiques,  de  rare  en  rare  un  ornement 
mélodique  fleurìt  au  milieu  de  cette  mélopée,  si  concise  dans  les 
formes  et  si  bien  proportionnée  dans  cette  concision  méme.  Bien 
de  trop,  ni  trop  peu;  chaque  syllabe  refoit  sa  valeur,  les  accents 
sont  d'une  justesse  irréprochable.  La  melodie  suit  le  texte,  non  pas 
en  esclaye,  mais  en  compagne  ideale,  réglant  son  pas  sur  le  sien. 
L'une  est  l'ombre  lumineuse  de  l'autre.  C'est  une  yéritable  école  de 
diction  musicale,  dont  les  règles,  pour  ne  pas  étre  formulées,  mais 
simplement  dictées  par  un  sentiment  juste^  n'en  sont  pas  moins  pré- 
cieuses  à  étudier. 

Nous  parlerons  plus  tard  de  la  nature  de  ce  rhythme,  qui  est  le 
grand  secret  de  la  beante  de  ces  chants;  nous  voulons  seulement  en 
&ire  ressortir  ici  le  caractère  general,  et  qui  n'est  ni  colui  de  l'ar- 
bitraire,  ni  colui  de  l'uniformité  conventionnelle.  Sa  démarche,  si  l'on 
peut  s'exprimer  ainsi,  a  quelque  chose  d'ailé,  on  pourraìt  presque 
dire  de  dansant;  leur  rhythme,  dans  ses  mouvements  libres  et  chastes 
à  la  fois,  nous  a  pam  approcher  celui  de  certaìns  pas  gracìeux  qu'exé 
entent  dans  les  pays  slaves  du  Midi  les  jeunes  fiUes,  tenant  à  la 
main  des  voiles  blancs. 

Et  pourquoi  ne  pas  admettre  que  les  chants  religieux  puissent  étre 
empreints  de  cette  gaieté  franche  et  honnéte,  qui,  selon  St-Thomas, 
est  une  des  dix  yertus  morales? 

On  ne  saurait  definir  si  ce  système  rhythmique  est  binaire  ou 
temaire  ;  il  est  tantdt  l'un  tantdt  l'autre,  et  c'est  ce  qui  constitue  son 
abandon  délicat  et  originai. 

L'absence  de  la  note  sensible,  les  inflexions  particulières  aux  tons 
d'Église,  les  repos  bien  distribués,  en  font  quelque  chose  de  très  à 
part  et  de  coroplet  et  achevé  en  soi. 


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70  MBMoan 

Impossible  d'y  ajonter  une  note,  un  seal  accent,  sans  troubler  l'en- 
semble. La  plus  légère  déviatìon  à  ce  sujet  cheque  l'oreille  des 
Orecs  comme  une  chose  contraire  au  bon  sena  et  à  leurs  sentiments 
les  plus  ìntìmes. 

Ce  chant-là  qui  porte  les  marques  de  la  plus  haute  antiquìté,  par 
cotte  nùson  meme,  quo  ce  qui  est  simple  précède  toujours  ce  qui 
est  compliqué,  se  trouve,  nous  TaTons  dit,  dans  les  couTents  da 
Mont-Athos  ;  du  moins,  il  devait  s'y  trouyer  enoore  il  y  a  quelques 
années. 

Il  nous  a  été  donne  d'en  recueillir  un  certain  nombre  en  les 
écriyant  sous  la  dictée  d'un  disciple  du  Bév.  P.  Barthélemy  Kout- 
lùumousyano8,  ce  moine  érudit  du  Mont-Athos,  qui  avait  fait  de  l'étude 
et  de  la  compulsion  des  textes  liturgiques  le  but  de  sa  vie,  et  dont 
les  travaux  ont  une  si  grande  portée  pour  Fart  sacre  et  un  retentis- 
sement  si  légitime. 

Qu'il  nous  soit  permis  d'eiprimer,  en  terminante  toute  notre  sin- 
cère reconnaissance  pour  les  précìeux  renseignements  que  nous  a?ons 
re(U8  dans  le  courant  de  notre  trayail. 

Nous  n'aurions  point  osé  méme  l'entreprendre  si  nous  ne  nous 
avions  pu  appuyer  sur  les  conseils  précieux  d'une  autorité  ausai  com- 
petente en  cotte  matière,  et  qui  réunissait  en  elle  une  érudition 
profonde  avec  la  plus  parfaite  bienveillance  et  une  patience  ine- 
puisable. 

Cotte  bienyeillance  et  cotte  patience  ne  nous  ont  point  fait  défaut 
un  Seul  instant,  aussi  bien  dans  la  partie  historique  de  notre  trayail, 
que  pendant  l'annotatìon  des  mélodies  sacrées,  travail  assez  délicat 
et  difficile,  parco  que  les  notions  usuelles  mélodiques  et  rhythmiques 
y  sont  mises  sou?ent  au  défi. 

Les  épreuYOs  et  contreépreuves  auxquelles  nous  avons  soumises  nos 
mélodies,  écrites  d'après  l'ouie,  nous  font  espérer  d'avoir  rénssi  dans 
notre  tftche:  d'inserire  fidèlement  et  avec  exactitude,  gr&ce  à  un  con- 
cours  favorable  de  circonstances,  des  chants  que  nous  considérons 
comme  une  des  plus  belles  expressions  du  genie  musical  d'un  peuple 
et  comme  un  moyen  admirable  d'instruction  et  d'édification. 

Nous  sommes  heureux  d'en  pouvoir  présenter  quelques-uns  aux 
lecteurs  de  la  Rivista  Musicale  en  commen9ant  par  l'antique  et  cé- 
lèbre Chant  de  Noel:  Chriat  est  né  —  glorifiejs  !  Xpiaiò^  rcvvclTai, 
boEà(TaT€  ! 


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LBS   GHANTS  DB  L*ÉOLI8E  GRECQUE-ORIBNTALB 


71 


N.  1. 

Christos  genn&tal. 

Du  Canon  de  Noil  omx  Matines  (Mattutino  nel  Canone  di  Natale). 

Antérìear  an  IV*  riècle. 

Ce  ehant  est  dté  par  St-Grégoire  de  Naiiance  (828-389)  dans  son  Oration  de 
J*Epiphaiiie.  •  '  . 

(Vertion  du  Moni  Athos), 


E\pix6q. 


fjxo?  o'. 

Prtmiar  Toh.    ÀiUgro, 


Xpi    -  OTÒ^  T€v  -  va-TOi,     bo     -     Ed-òd  -  T€  •  Xpi  - 

Cristo  nasce  glorificate  :  Cri  - 


J  J  f>  1  f^-^U-j  I  j  J  J  jTjTy^^ 


35 


7=é: 


arò^,  tt  Oò-po    -    vCbv    ....      d-irav-Tft-aa  -  T€  •      Xpi  -  atò^, 
sto,  dai  cieli  incontratelo  Cristo 


u  j  I J  r  I  r  ^^  I  ^  I J  ^  j  I  ^  =  j  I  in  j  ^ 


è  -  ir!     Tfl^  ò  -  i|fdj-aii    -     t€  •      <[  -  ao  -  t€     tip      Ko  -  pi    -      -    ip 
sopra  la  terra        innalzatevi  cantate        al  Sigtaore 


I  j  j  JN  ^  J  ji  J  J  ^  rr^^^ 


^ 


irA-aa    i\     'yfi, koì  iv  €Ò-q>po-aO    -    -    "  V13,  d-vu|Li 

tutta    la    terra  e  con  letizia  inneg  • 


Cid«aeM 


\  ^>t  ^  jìj  n  }  ji^^}  1^^ 


vf|-oa-T€    Xa  -   oi,  6    -    ti  Ò€  -  òó    -    Eoa    -    tqi. 
giate       ó  popoli,    perchè      è  glorificato. 


Analyse. 

Ce  chaDt  est  divise  en  deux  parties,  composées  Tune  de  trois, 
Tautre   de  deni^  membres  niélodiques.    Nous   avons   d'abord   trois 


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72 


MEMOR» 


phrases  qui  commenceiit  par  le  mot  «  Christos  »  accentué  chaque 
fois  d'une  manière  differente  et  qui  constitue  une  magnifique  progres- 
Sion  ascendante;  c'est  la  proclamatìon  de  la  naissance  du  Christ,  «  la 
benne  nouvelle  »  qui  fut  annoncée  d'abord  aux  bergers.  Il  y  a  du 
pathétique  le  plus  noble  dans  cette  phrase,  qui  revient  à  troia  fois 
sur  ce  nom,  comme  si  elle  ne  pouvait  se  lasser  de  répéter  la  vérité 
joyeuse. 

La  seconde  partie  est  composée  de  deux  phrases  plus  longues  que 
les  premières,  et  représentant  par  conséquent  la  contrepartie,  Téqui- 
valent  de  la  première  partie  comme  extension,  EUes  contiennent  l'appel 
à  tous  de  chanter  le  Seìgneur. 

Les  cadences  ont  lieu  sur  sol  et  ré  et  se  répartissent  de  la  ma- 
nière sui?ante: 

ISol 
Ré 
Sol. 

.  .     i    Sol 
2«  période   < 

L'architecture,  la  construction  des  périodes  se  présente  sous  cet 
aspect : 


sol      1       ré       1      sol 

Bol          1          ré 

Perìodo  tenain 

Periodo  bin&ire 

Architectare 

binaire 

La  tonaUté  est  celle  de  Yhypodarien  transposé  à  la  quinte  infé- 
rieure. 
Son  amhitus  est  d'une  septième  —  du  ré  inférieur  à  Yut  supérieur. 
Le  rythme  est  libre. 
La  mesure  initiale  commence  par  un  temps  leve  (anacrouse  simple). 


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LBS  CHANTS  DB  L*B0L18S  GRBCQUB -ORIENTALE 


73 


N.  2. 

PhOs  HUaròn. 

Hymne  chanié  aux  Vépres  (Inno  Vespertino). 

Siècles  antérìears  aa  lY^. 

Hymne  attrìbaé  à  Si-Athénogènea   martyr  (II*  siòcle),   et  dont   St-Basile 
(iy«  ùècle)  déclare  la  masiqae  d'ane  traditìon  dójà  très  ancienne. 

(Versùm  du  Moni  Aihoa). 
ffxo^  P'.  Deazième  ton. 

M.  M.  J  =  88.    AUttfro. 


r^  j  j  j  j  j  j  QjfìU^  Jj  JJJ]]^^ 


^C}^  l-Xa-pòv  &-T(-a^  W   -   2?i? 
Luce    ilare,    di  santa    gloria 


d-eo-vd    -    Tou 
Dell'immortal 


ITO   -    Tpó^ 
padre 


ù-pa-vC-ou  &-YÌ-OV  Md-KQ  -  poc    'In      -    -    -    -      oov  Xpi    -    -  are. 


Où-pa-vC-ou  d-fi-ov  Md-Ka-po^    *\i\ 
Celeste,      Santo,        Beato, 


Gesù 


aou  Xpi    - 
Cristo. 


^Ji  JftJ  Jj  jTTj  jjjJljjitJ  J'^^gìljjj 


"EX-eóv-T€^  é-irt  Tf|v 'H-X(-oo  &Ó  -  aiv,    l-òóv-rc;  qpOti^  éa-irc     -     pi  -  vóv. 
Venuti  del  sole  al  tramonto,  Vedendo  laoe  vespertina 


T>  J|^  JJJJJJJ  J>Jj)Jji^_jLr3:3JJj  fj 


^^voO•^€v  fTa-T^  -  pa,  Yl-òv    kqI  à  -  yt-ov  TTv€0    -    fia 
Lodiamo    il  Padre,  il  Figlio,  e  lo  Spirito        Santo, 


Gc  -  óv. 
Dio. 


i  Ili  i  i  i-^i  j.-ii^.  Jiij  j  j  j  ^m 


ft-Ei-dv  ac  èv  nà  -  a\  xai-pot^      6-jiv€t-oeai  cpui-vat^  ol-ffi      -     ok 
È  cosa  degna  in  tutti  i  tempi  Lodarti  con  voci  propizie, 


,  2uhf|v,    '  ó  bt-òoù^,  bx'ò  6  KÒa  '  |Lio^  bé 
0  Figlio  di  Dio,  che  vita  concedi,  Perciò  il  mondo    ti 


òo  -  léT^  rei. 
glorifica. 


4h2»^  CXapòv  dr^a^  h6ìci\<;  9 

'ABavdTOu,  TTarpó?  6 

Oitpaviov  ócfioy  MdKapo^,  10 

•InaoO  Xpiaté.  'exeóvTC?  8 

èirl  Tf|v  'HXiou  bOoiv,  8 

tbdvT€(  (p(b^  éoircpivòv,  8 

6|LivoO^€v  TTarépa,  Yiòv,  8 

Kal  (tx\ov  TTvcOMa,  G€Óv  8 

AEiòv  oc  èv  irdai  Kaipo!^  9 

UMvctaOat  qMUvatq  ataiaK  9 

Xxi  GcoO  tMii\y  6  biboù<;  9 

btò  ó  Kóafio^  bè  òoEd2:ei  9 


Lace  ilare,  di  santa  gloria 
Deiriromortal  Padre 
Celeste,  Santo,  Beato, 
Gesù  Cristo.  Venati 
Del  sole  al  tramonto. 
Vedendo  lace  vespertina 
Lodiamo  il  Padre,  il  Figlio, 
E  lo  Spirito  Santo,  Dio. 
È  cosa  degna  in  tatti  i  tempi 
Lodarti  con  voci  propizie, 
0  Figlio  di  Dio,  che  vita  concedi, 
Perciò  il  mondo  Di  glorifica. 


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74  MBUORIB 

Afudffse  du  «  Phós  HiJartm  ». 

Architeeture.  Au  point  de  vue  de  la  constructìnn  cette  melodie, 
si  sérieuse  et  profonde  dans  sa  simplicìté,  est  un  des  plus  beaur 
spécimens  du  distique  musical,  cette  forme  élémentaire  dans  la- 
quelle  le  genie  des  peuples  a  aimé,  depuis  lés  temps  les  plus  reculés, 
céuler  ses  chants  et  notamment  ses  chants  épìques,  comme  par  exemple 
chez  les  Slaves  la  Bylina  ou  Legende  héroique. 

lei  comme  là-bas,  Tunìque  periodo  nfusical  consiste  en  une  phrase 
et  contre-phrase,  de  proportions  variables  à  chaque  nouveau  verset, 
selon  les  exigences  du  texte,  librement  rhythmé,  espèce  de  varìationB 
vocales  sur  un  thème  (dessin)  mélodique  donne. 

Cette  frappante  analogie  avec  un  des  types  les  plus  anciens  que  la 
tradition  musicale  populaire  nous  ait  transmise,  confirme  en  mSme 
temps  et  les  parchemins  d'antique  noblesse  du  Phós  hiìaron^  et  le 
trait  d'union  qui  existe  entre  le  chant  de  l'Églìse  Grecque  avec 
r&me  du  peuple.  G'est  aussi  la  meilleure  explication,  en  dehors  de 
son  mèrito  musical,  de  la  grande  popularité  de  cet  hymne. 

La  tcnalité  du  Phós  hilaran  maìntient  le  ichos  deuteros  ou  se- 
cond  mode  de  TÉglise  Grecque,  son  mode  préféré. 

Les  cadences  sur  falli  et  réj  c'est-à-dire  une  cadence  impar£ùte 
au  centro  du  distique,  une  cadence  parfaite  sur  la  tonique  à  la  fin. 

L'ambitus  d'une  sixte  ne  descend  que  d'un  ton  au  dessous  de  la 
tonique  ré  et  quatre  tons  au  dessus  (la);  étendue  tonale  restreinte, 
autre  signe  d'antiquité. 

Le  rhythme  èst  libre,  non  mesuré,  avec  cependant  des  retours  ré- 
guliers  de  deux  accents  principaux  dans  chaque  phrase: 
phòs  hilar(te  agias  Ddxis 
athatuìtu  patrd5. 

Il  appartient  aux  rhythmes  avec  anacrouses  et  sa  mesure  initiale 
devrait  §tre  notée  —  dans  le  sens  moderne  —  avec  un  triple  temps 
leve,  pareil  à  colui,  plein  d'élan,  de  la  Marseillaise.  Il  ajoute  au 
caractère  anime  et  ardent  de  cette  hymne,  qui,  comme  nous  Tayons 
dit  plus  haut  (voir  l'annotation  n*'  2,  p.  67),  doit  étre  chanté  gorgon 
ou  vivement,  comme  tous  les  anciens  chants  de  l'Église  Grecque 
des  premières  ères. 

Venise,  1884-87. 
(A  suivre). 

Ella  AdaIewsky. 


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Saggio  cronologico 

delle  opere  teatrali  (1754-1794)  di  I^iccolò  Rccinni. 


JL^on  era,  invero,  troppo  facile  assunto  riunire  —  fissando  per 
ciascuna  in  modo  indubbio  il  luogo  e  la  data  della  prima  esecuzione 
—  tutte  le  opere  teatrali  di  quel  fecondissimo  compositore  pugliese 
che  fu  Niccolò  Piccinni.  Il  numero  ingente  dei  suoi  lavori  ;  le  scarse 
notizie  esistenti  su  quelli  di  minore  importanza;  le  affermazioni  non 
sempre  esatte  contenute  nelle  varie  biografie,  erano  difficoltà  che  osta- 
colavano in  modo  quasi  sconfortante  la  via  allo  scrupoloso  ricercatore. 

Chi  può  asserire,  infatti,  quante  opere  scrivesse  il  Piccinni?  <  Sac- 
chini  m'assicurò  —  dice  il  Bumey  —  che  nel  1776  il  Piccinni  era 
autore  di  almeno  300  opere,  tredici  delle  quali  scritte  in  sette  mesi  ». 
Ma  in  questa  cifra,  evidentemente,  come  osserva  anche  il  Gerber,  si 
comprendevano  del  pari  le  messe,  i  salmi,  i  mottetti,  le  cantate  ed 
altro.  <  Io  ho  avuto  tra  le  mani  la  lista  cronologica  delle  sue  opere 
italiane  composte  in  questo  spazio  di  tempo,  e  ne  ho  contate  133  tra 
serie  e  buffe  ». 

Ciò  affermava  il  Ginguené  (1),  riferendosi  al  tempo  che  il  suo  fe- 


(1)  GmeuiHÉ  P.  L.,  NoUee  sur  la  vie  et  ìea  ouvragee  de  Niccolò  Piccinni, 
Parii,  1801. 

Furono  oonraltati  altred: 
AUgemeine  MusUtaUaeke  Zeitung,  annata   1800-1801.   Leipzig.  Breitkopf  and 

Hftrtel. 
GiRTASOin^  ^ifooa  teoria  di  mu$ica,  eoe.  Parma,  1812. 
GntnR,  LexOum  der  TonkansOer.  Leipzig,  1818. 


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76  HBHORUB 

dele  amico  s'era  stabilito  a  Parigi:  onde  questa  cifra  va  aumentata 
coi  melodrammi  scrìtti  in  quella  metropoli.  Deploriamo  che  l'elenco 
esaminato  dal  Oinguené  siasi  smarrito  ;  ciò  avrebbe  risparmiato  a  noi 
lunghe  ricerche  e  arricchito  la  storia  musicale  di  un  sicuro  docu- 
mento. Ma  il  numero  di  139  opere  che  noi  presentiamo  in  questo 
saggio,  non  potrà,  crediamo,  esser  troppo  lungi  dal  vero:  e  siamo,  ad 
ogni  modo,  ben  più  innanzi  della  cifra  di  ottanta,  fissata  dal  Fétis, 
e  da  quella  di  centoquindici  circa,  del  Florimo. 

Quali  notizie  si  hanno  sui  lavori  di  minor  lena  o  che  poco  incon- 
trarono il  favore  del  pubblico?  Taciuti  nelle  biografie,  se  ne  trova 
traccia  soltanto  nelle  varie  collezioni  di  libretti,  e  nelle  cronache  dei 
teatri  :  ma  se  le  prime  non  sono  sempre  accessibili  a  tutti  (1),  sono 


OuYA  C,  Niccolò  Picdnni,  Estratto  dalla  Biografia  degli  uomini  tUustri  del 

regno  di  Napoli  (con  ritratto  inciso  dal  Morghen).  Napoli,  1820.  GenrasL 
Orloff  G.,  Essai  sur  Vhistoire,  ecc.  Paris,  1822. 
ViLLAROSA  (M.  di),  Mcmorie  dei  compositori  di  musica  del  regno  di  Napoli. 

NapoU,  1840. 
MiHURi-Riccio,  Memorie  storiche  sugli  scrittori  del  regno  di  NapoU,  Napoli, 

1844. 
D^Arcaib  F.,  I  maestri  italiani  di  musica  a  Parigi  (Lalli,  Piccinni,  Saechini). 

In  Nuova  Antologia,  1868,  fase.  VII. 
Desrgiresterrbs  G.,  La  musica  francese  ed  XVIII  secolo.  Niccolò  PiceinnL 

Torino,  1878.  Loescher. 
Florimo  F.,  La  scuola  musicale  di  NapoU  (toI.  II).  Napoli,  1881. 
€  Barinon  > .  Numero  unico  pel  monumento  a  Niccolò  Piccinni.   Bari,   agosto 

1881. 
Consacrandosi  aUa  riverensa  dei  posteri  la  casa  ove  ebbe  i  natali  Niccolò  Pic- 
dnni, questo  ricordo  pubblica  H  Comitato  promotore.  Bari,  1882.  Aloszio. 
A  N.  Piccinni.  Discorsi  ed  onoranse  (28  maggio  1882).  Bari,  1882.  Pansini. 
Masi  G.,  Inaugurandosi  la  statua  a  Niccolò  Piccinni  in  Bari  nelle  Puglie, 

sua  patria.  Bari,  1885.  Lessone. 
Panzacchi  B.,  Una  lotta  musicale.  —  Oluck  e  Piccmni.  In  Nuova  Antologia^ 

16  gennaio  1888. 
Mascagni  P.,  La  commemorazione  di  Niccolò  Piccinni.   Discorso   pronunciato 

nel  teatro  di  Bari  il  27  maggio  1900.  In  Cronaca  musicale,  a.  Y,  nn.  4-5. 
Si  debbono  aggiungere  inoltre  i  dizionari  del  Fétis,  del  Grove,  del  Biemann, 
del  Clément-Laronsse,  e  tatte  le  cronistorie  dei  teatri  italiani. 

(1)  Debbo  ringraziare  ancora  nna  volta,  per  le  loro  premurose  oomunicazioni, 
il  dott.  Wotquenne,  bibliotecario  del  Consenratorio  di  Bruxelles  ;  il  oomm.  Torchi, 
bibliotecario  del  Liceo  musicale  di  Bologna,  e  il  dott.  Bonamici,  di  Livorno. 


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SÀGGIO  CflONOLOGIOO  (1754-1704)  DELLE  OPERE  TEATRALI  DI  N.  PICCINNI     77 

poche  le  città  italiane  che  vantino  una  completa  storia  dei  propri 
teatri. 

Dicemmo  già  che  nelle  poche  biografie  del  Piccinni  si  lamentano 
spesso  —  in  fatto  di  date  —  contraddizioni  e  lacune  :  come  se  ciò 
non  bastasse,  si  aggiunga  che  il  nostro  compositore,  seguendo  l'uso 
comune  a  quei  tempi,  ha  musicato  due  ed  anche  tre  volte  il  mede- 
simo libretto  (1);  e  che  di  un'opera  in  tre  atti  a  sette  od  otto  per- 
sonaggi se  ne  faceva  spesso  la  riduzione  in  due  parti  a  quattro  voci 
0  viceversa  (2),  conservando  la  medesima  musica,  ma  modificando  il 
titolo  ! 

Se  tali  difficoltà  avevano  forse  impedito  che  un  lavoro  biografico 
completo  sul  Piccinni  fosse  stato  sin  qui  prodotto,  invogliavano  però 
a  colmare  la  lamentata  lacuna,  almeno  in  parte,  oggi  che  la  patria 
ha  celebrato  il  primo  centenario  dalla  morte  di  quel  grande;  perchè, 
dallo  specchio  fedele  della  doviziosa  produzione  di  lui,  ne  uscisse  la 
sua  figura  più  bella  e  più  ammirevole. 

Scorrendo  queste  pagine  —  le  quali,  per  quanto  accuratamente  com- 
pilate, non  cessano  di  essere,  ripeto,  che  un  modesto  saggio  —  non 
potrà  non  produrre  un  senso  di  orgogliosa  meraviglia  il  vedere  quanta 
mèsse  poteva  produrre,  nel  giro  di  quarantanni,  uno  solo  di  quella 
gloriosa  falange  di  musicisti  che,  nello  scorso  secolo,  sparsero  la  loro 
fama  per  ogni  dove.  Era  una  produzione  inaltemata  che  non  aveva 
mai  sosta;  in  ogni  città,  in  ogni  teatro,  in  ogni  stagione  era  un  con- 
tinuo avvicendarsi  di  opere  nuove,  di  drammi  seri,  di  giocosi  inter- 
mezzi, di  liete  farse,  di  ridicole  burlette.  Ventura  dei  tempi  ! 

Al  Piccinni  fu  altresì  riserbata  la  sorte  di  tener  alto  il  nome  ita- 
liano in  un'artistica  contesa  col  più  celebrato  fra  gli  operisti  alemanni 
del  suo  tempo.  Gloria  a  lui,  e  gloria  ai  suoi  numerosi  compagni 
d'arte  ;  la  musica  italiana  di  quel  secolo  fu  un  sole  fulgidissimo  di 
canto  e  d'armonia  che  irradiò  e  allietò  il  mondo  intero. 


(1)  €  Si  è  dianzi  accennato  che  non  era  raro  presso  gUtaliani  di  trattare  due 
0  più  Tolte  lo  stesso  soggetto.  Piccinni  ha  composto  dna  Olimpiadi,  dae  Arto- 
serse,  dne  Alessandro  neUe  Indie,  due  Bidone  •.  G.  Desnoirbsterres,  op.  cit., 
pag.  158   —  Cfr.  però  Alessandro  neUe  Indie,  Ariaserse,  Le  finte  gemelle, 

(2)  Cfr.  la  Direttrice  prudente,  Madama  Arrighetta,  gli  Stravaganti,  la 
Erede  riconosciuta 


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78  MXMORIB 

1.  Le  Donne  dispettose.  —  Napoli,  Fiorentini,  autunno  1754. 

Dramma  giocoso  a  8  voci.  Testo  di  Ant.  Palomba. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  La  scuola  mt/oieale  di  NapoUj  rol.  II  e  lY). 

2.  Le  Gelosie.  —  Napoli,  Fiorentini,  prim.  1755,  Dramma  giocoso. 

Spartito  aatogr.  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II,  pag.  246  e  259;  omessa  nel  voi.  lY). 
Uipetnta  al  medesimo  teatro  nel  1763  (con  nuova  rousioaPV, 
e  nel  carn.  1766,  col  titolo  Le  GMosie  o  le  NoMee  in  con- 
fusione, al  Marsigli-Bossi  di  Bologna. 
Cfr.  1770. 

3.  Il  Curioso  del  proprio  danno.  —  Napoli,  Nuovo,  carn.  1756, 

Dramma  giocoso  a  8  voci. 

Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bolo^a. 
Spartito  aatogr.  al  Coli.  miis.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II;  omessa  nel  lY). 

Riprodotto  al  medesimo  teatro  nel  carn.  1758  e  nel  1767 

4.  L'Astrologo.  —  Napoli,  1756.  Notizia  non  riscontrata. 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II,  pag.  260;  Riemann,  Glément- 
Larousse,  ecc.). 

5.  Zenobia.  —  Napoli,  San  Carlo,  dicembre  1756.  Opera   seria 

in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bologna. 
Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II;  omessa  nel  voi.  lY;  B.  Croce,  / 

teatri  di  Napoli,  pag.  480). 
Ripetuta  nel  med.  teatro  nel  die.  1767  e  nel  giugno  1769. 

6.  Gaio  Mario.  —  Napoli,  San  Carlo,  1757.  Opera  seria. 

Spartito  aotogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II,  258;  omessa  nel  lY). 
Ripetuta  nel  medesimo  teatro  nel  1765. 

Libretto  al  Liceo  mns.  di  Bologna. 

7.  La  Schiava  sirìa.  —  1757.  Dramma  giocoso  in  2  parti. 

*  Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II,  258,  la  registra  senz*alcuna  indi- 
cazione del  luogo  di  prima  rappresentazione). 


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SAGGIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)  DILLE  OPBRE  TEATRALI  DI  N.  PIGCINNI     79 

8.  L'Amante  ridicolo.  —  Napoli^  1757.    * 

(Flormo,  II,  260). 

Ripetuta  alla  Villa  Reale  di  Queluz  (Lisbona)  nel  1763,  se- 
condo la  Bibliografia  del  Salyioli. 

9.  Famace.  —  Napoli,  San  Carlo,  8  maggio  1757.  in.  collabora- 

zione con  Davide  Perez. 
(Florimo,  op.  cit,  IV  ;  Cbocb,  op.  cit). 

10.  Nitteti.  —  Napoli,  S.  Carlo,  novembre  1757.  Opera   seria  in 

3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio.  In  collaborazione  con  Qioac- 
chino  Cocchi. 

Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bologna. 
(B.  Ceoob,  op.  cit.,  486). 

11.  AleBsandro  nelle  Indie.  —  Uonta,  Argentina,  21  gennaio  1758, 

Opera  seria  a  6  voci  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Libretto  alla  Bibl.  di  8*  Cecilia. 
Spartito  aatogr.  al  Coli  mm.  di  Napoli. 

{Diario  di  Roma,  ad  ann.;  Florimo,  II). 
Cfr.  1774,  1792. 

12.  Oli  Uccellatori.  —  Napoli,  1758.  Dramma  giocoso.  Testo  di 

C.  Goldoni  (?). 
Notìzia  non  riscontrata.  Il  Clément  e  il  Fétis  asseriscono  che 
fri  data  in  Napoli;  il  Riemann  a  Venezia!  Il  Pavan  la  dice 
rappresentata  a  Roma.  Lo  Spinelli  nella  Bibliografia  gol- 
doniana cita  il  1759  come  Tanno  della  prima  edizione  co- 
nosciuta. Ninna  traccia  nel  'Fiorirne  (voi.  IV),  nel  Wiel, 
nel  Diario  di  Berna, 

13.  La  Morire  di  Abele.  —  Napoli,  quaresima  ?  1758,  Oratorio  in 

2  parti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
(Florimo,  op.  cit,  11,  260). 
Ripetuto  in   Roma,  neirOratorio  di  S.  Maria  in  Vallicella, 

nel  1762,  1763,  1768,  1773. 

14.  Madama  Arrìghetta.  —  Napoli,  Nuovo,  autunno  1758.  Dramma 

giocoso  a  7  voci. 

Spartito  aotogr.  («  Petiione  »)  e  libretto  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 

(Flormo,  op.  cit.,  II  e  IV). 


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80  MIMORIB 

Bipetuta  al  Formagliarì  di  Bologna  nel  gennaio  1761;  al 
Capranica  di  Boma  (ridotta  in  2  parti,  a  5  yoci)  nel  cam. 
1761;  al  Nuovo  di  Napoli  (in  3  atti  a  8  yoci  col  titolo 
€  Monsieur   Petitone  »)  nella  primayera  del  1763. 

15.  La  Scaltra  letterata.  —  Napoli,  Nuovo,  inv.  1758.  Dramma 

giocoso  a  8  voci  in  3  atti. 

Spartito  aatogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

Bipetuta  al  Marsigli-Bossi  di  Bologna  col  titolo  La  Scaltra 
spiritosa  nell'autunno  1760  e  al  Carignano  di  Torino  nel- 
l'autunno 1761;  col  titolo  originale  nel  cam.  1760-61  a 
Parma  e  nell'aut.  1762  al  Ducale  di  Milano. 

16.  Le  Trame  per  amore.  —  Napoli,  Nuovo,  carnevale,  1759. 

Dramma  giocoso. 

Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bologna. 
(Omessa  nel  Florimo,  voi.  IV). 

17.  Siroe.  —  Napoli,   1759.   Dramma  serio  in  3  atti.   Testo   di 

P.  Metastasio. 
(Florimo,  op.  cit.,  II,  pag.  260  ;  omessa  nel  voi.  IV). 

.18.  Ciro  riconosciuto.  —  Napoli,  San  Carlo,   novembre  1759. 
Dramma  serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Spartito  aotogr.  al  Coli.  inos.  di  Napoli. 
Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bologna. 

(Croce,  op.  cit.,  491  ;  Florimo,  II). 

19.  La  Buona  figliuola.  —  Roma,  Dame,  6  febbraio  (circa)  1760. 
Dramma  giocoso  a  8  voci  in  3  atti.  Testo  di  C.  Goldoni. 
Spartito  ros.  al  Coli.  mus.  di  Napoli. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S'  Cecilia. 
Partitura  col  testo  francese  edita  a  Parigi. 

(Diario  di  Roma,  ad  ann.). 

Ripetuta  nel  maggio  1760  al  Marsigli-Bossi  di  Bologna;  nel- 
Testate  1760  al  Falcone  di  Genova;  neirautunno  1760  al 
Ducale  di  Milano;  nel  carnevale  1762  al  Capranica  di  Roma 
(ridotta  in  2  atti),  e  al  Ducale  di  Parma;  nelFautunno 
1762  al  S.  Samuele  di  Venezia,  e  al  R.  Ducale  di  Milano; 


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8AOOIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)  DBLLS  OPERB  TEATRALI  DI  N.  PIGCINNI     81 

nel  carD6?ale  1763  a  Legnago;  nel  giugno  1768  al  teatro 
di  Corte  di  Modena  od  titolo  La  Baronessa  riconosciuta  ; 
con  lo  stesso  titolo  nel  1763  al  S*  Maria  di  Firenze;  al  Pri- 
vilegiato di  Vienna  nel  1764  ;  nell'autunno  1765  al  Falcone 
di  Genoya;  nel  carn.  1766  a  Pesaro;  a  Londra  nel  1768 
circa;  al  B.  Ducale  di  Milano  di  nuovo  deirautunno  1769; 
nel  carn.  1769  al  Pace  di  Roma;  a  Parigi  nel  1772;  alle 
Dame  di  Boma  nel  carn.  1774;  al  Nuovo  di  Napoli,  col 
titolo  Cocchina  nubile  nel  1778;  a  Parigi  nuovamente  nel 
1778  e  nel  1790. 

20.  L'Origlile.  —  Napoli,  Fiorentini,  primavera   1760.   Dramma 

giocoso  a  7  voci. 

Spartito  antogr.  e  libretto  al  Coli.  mna.  di  Napoli. 
(Flommo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

21.  La   Furba  burlata.  —  Napoli,  Fiorentini,  autunno  1760. 

Dramma  giocoso  a  7  voci.  In  collaborazione  con  iticela 
Logroscino. 

Libretto  al  CoU.  mi»,  di  Napoli. 
(Floiumo,  op.  cit.,  lY;  CaocBf  op.  cit.,  444.  Questo  autore  la 
chiama  la  Fante  burlata). 

22.  n  Be  Pastore.  —  Firenze,  Pergola,  ant.  1760,  Dramma  serio 

in  8  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Libretto  nella  Coli.  Bonamici  a  Li  Tomo. 
Spartito  aatogr.  al  Coli.  mna.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  II,  IV;  Grocb,  op.  cit.,  510). 
Bipetuta  nel  novembre  1765  al  San  Carlo  di  Napoli. 

23.  Le  Beffe  giovevoli.  —  Napoli,  Fiorentini,  inv.  1760.  Dramma 

giocoso  a  9  voci. 

Libretto  al  Coli.  miis.  di  Napoli. 
(Flobimo,  II,  IV). 
Nella  Bibliografia  del  Salvioli  è  citata  col  titolo  Le  JBeffe 

giovanili, 

24.  Le  Vicende  della  sorte.  —  Boma,  Valle,  3  gennaio  1761. 

Intermezzi  a  5  voci  in  2  parti.  Testo  di  0.  Petrosellini. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S*  Cecilia. 
Spartito  antogr.  al  Coli.  mus.  di  Napoli. 

{Diario  di  Roma  ;  Florimo,  op.  cit,  II). 

aétùia  wmakak  OaUtma,  VIU.  6 


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82  MEMORIE 

Bìprodotta  al  Bangoni  di  Modena  nel  maggio  1765  ;  al  Fé- 
licini  di  Bologna  nell'agosto  1769  ;  al  Capranica  di  Boma 
nel  carn.  1774 

25.  Tigrane.  —  Torino,  Begio,  carn.  1761.  Dramma  serio   in   3 

atti. 

Spartito  autogr.  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 
(Sacerdote,  Teatro  Begio  di  Torino^  pag.  66;  FLORmo,  op. 
cit.,  II).  . 

26.  La  Schiavitù  per  amore.  —  12oma,  Capranica,  carn.  1761, 

•  Farsetta  a  4  yoci  in  2  parti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S'  Cecilia. 
(Il  Diario  di  Boma  accenna,  in   quell'anno,  alle  commedie 
date  al  Capranica,  ma  non  cita  i  titoli  degli  intermezzi  in 
musica  rappresentativi). 

27.  Olimpiade.  —  Boma^  Dame?  carn.?  1761,  Dramma  serio  in 

3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Il  Fétis  e  il  Florimo  asseriscono  che  quest'opera  fu  data  a 
Boma  nel  1761.  Il  Florimo  nota  trovarsi  l'autografo  nel 
Coli.  mus.  di  Napoli.  Il  Diario  di  Boma  di  quell'anno  non 
vi  accenna;  potrebbe  però  esser  stata  data  al  teatro  delle 
Dame  nella  stagione  di  carnevale. 

Biprodotta  al  teatro  Argentina  di  Boma  nel   febbraio  1768 
(Libr.  alla  Bibl.  di  S.  Cecilia). 
Cfr.  1774. 

28.  La  Marchesa  spiritosa.  —  Napoli,  Nuovo,  1761.  Dramma 

giocoso  a  8  voci.  In  collaborazione  con  Ant.  Sacchini. 
Libretto  al  Coli.  mus.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  II,  IV,  ma  ne  omette  la  stagione). 

20.  La  Buona  figliuola  maritata.   —   Bologna^  Formagliarì, 
maggio  1761.  Dramma  giocoso  a  9  voci  in  3  atti. 
Libretto  al  Liceo  mos.  di  Bologna. 
Spartito  ms.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(C.  Bicci,  I  teatri  di  Bologna,  pag.  478;  Florimo,  op.  cit., 

II  e  IV). 
Biprodotta  nell'autunno  1761  al  Ducale  di  Milano  e  al  S.  Ago- 


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SAGGIO   CRONOLOGICO  (1751-1794)   DELLE  OPERE  TEATRALI  DI  N.  PICCWNI     83 

stillo  di  Genova;  nel  maggio  del  1763  ài  teatro  di  Seggio 
Emilia,  col  titolo  La  Baronessa  riconosciuta  e  maritata  \ 
nel  carn.  1764  al  S.  Moisè  di  Venezia;  nell'estate  1765  al 
Nuoto  di  Napoli  coltitelo  Cecchina i/haritata\  nell'aatanno 
1769  di  nuoYO  al  B.  Ducale  di  Milano;  all' Accademia 
B.  di  Musica  di  Parigi  nell'aprile  1770. 

30.  Demofoonte.  —  Seggio  Emilia,  fiera,  1761.  Dramma  serio  in 

8  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Spartito  autogr.  al  CoU.  moB.  di  Napoli 
(P.  Fantuzzi,  Catalogo  delle  rappr.  in  musica  croste  nei 
teatri  di  Seggio  dal  1701  al  1825,  ecc.;  Geryasoni,  op.  cit.). 

31.  Lo  Stravagante.  —  Napoli^  Fiorentini,  aut.  1761.  Dramma 

giocoso  a  8  Yoci. 

Libretto  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 
(Flormo,  II,  IV). 
Biprodotta,  modificata  con  altra  musica  dà  G.  Coppola,  al 

medesimo  teatro,  nel  1781. 

32.  n  CorioBO  imprudente.  —  Napoli,  Fiorentini,  autunno  1761. 

Dramma  giocoso  a  7  voci.  Testo  di  Ant.  Palomba.  In  col- 
laborazione con  A.  Sacchini. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  II,  IV). 

33.  L'Astuto  balordo.  —  Napoli^  Fiorentini,  inverno  1761.  Dramma 

giocoso  a  7  Toci. 

Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Flobimo,  op.  cit.,  II  e  IV;  Croce,  op.  cit.,  444). 

34.  Artaserse.  —  Boma^  Argentina,  3  febbraio  1762.  Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S»  CeciUa. 
(Diario  di  Soma,  ad  ann.). 
Cfr.  1768,  1772. 

35.  L'Astrologa.  —  Venesia^  S.  Moisè,  carn.  1762.  Dramma  gio- 

coso a  6  yoci  in  3  atti.  Testo  dell' Ab.  Pietro  Chiari. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S.  Marco. 
(T.  WiEL,  Catalogo,  ecc.  n.  649). 


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84  MSMORIB 

M.  Le  Arrentore  di  Bidolfo.  —  Bciogna,  Marsigli-Bossi,  cani. 
176JÌ..  Intermezzi  in  2  partii  a  5  Toci. 
Libretto  «1  Lioeo  nras.  dì  Bologna. 
(C.  Ri(jci,  op.*di,  479). 
Biprodotta  al  S.  Samuele  di  Venezia  nell'aat.  1762. 

37.  La  Bella  verità.  —  Bologna,  Marsigli-Bossì,  12  giugno  176JÌ. 

Dramma  giocoso  in  8  atti.  Testo  di  G.  Goldoni. 
Libretto  al  Liceo  mas.  di 'Bologna. 
Spartito  aptogr.  al  CoUegio  mas.  di  Napoli. 

(C.  BiCCit  op.  cit,  479). 

38.  Antigono.  —  NapoK,  San  Carlo,  novembre  176J».   Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
(B.  Crocb,  op.  cit.,  pag.  500;  omessa  dal  Florimo,  voi.  IV). 
Cfr.  1771. 

39.  n  Gavalier  parigino.  —  Napoli,  Nuovo,  inv.  1762.  Dramma 

giocoso  a  8  voci. 
(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II  e  IV). 

40.  Amor  senza  malizia.  —  Norimberga,  Tour  et  Taxis,  1762. 

Comunicazione  del  sig.  Pavan. 

(Florimo,  op.  cit.,  II). 

Biprodott»  al  Falcone  di  Genova  neir^tate  1770. 

41.  Le  Donne  vendicate.  —  Bama,  Valle,  carn,  1763.  Dramma 

giocoso  a  5  voci  in  3  atti.  Testo  di  C.  Goldoni. 
Libretto  al  Liceo  di  Bologna. 
Spartito  aotogr.  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 

(Il  Diano  di  Berna,  non  accenna,  in  quell'anno,  agli  spetta- 
coli dati  al  Valle). 

Biprodotta  al  S.  Samuele  di  Venezia  nel  carn.  1764;  e  al 
teatro  della  Begia  Fiera  (?)  nel  1767,  secondo  il  Florimo 
(op.  cit,  voi.  II). 

42.  Il  Cavaliere  per  amore.  —  Boma,  Valle,  carn.  1763.  Dramma 

giocoso  in  2  parti  a  4  voci. 

Libretto  al  Conserv.  mus.  di  Braxelles. 
Spartito  aotogr.  al  ColL-rous.  di  Napoli. 

Biprodotto  a  Cento  nel  1763  ;  al  Forroagliari  di  Bologna  nel 
gennaio  1766;  a  Pesaro  nel  carn.  1778. 


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SAGGIO  CRONOLOQIGO  (1754-1794)  DBLLB  OPERE  TEATRALI  DI  N.  PIGGINNI     66 

43.  Le  Goatadme  biszarre.  —  Vefmma,  8.  Samuela,  anL  1763. 

Dramma  giocoso  a  8  yoci  in  3  atti.  Testo  dell'ab*  G.  Pe- 
trosellini. 

Libretto  alla  Bìbl.  di  8.  Marco. 

(T.  WiBL,  òp.  cit.,  N.  678). 

Biprodotta  al  BaDgoni  di  Modena  nel  dicembre  1763;  nel 
cara.  1765  al  teatro  vecchio  di  Trieate;  nel  settembre  1765 
(col  titolo  La  Contadina  hiMMorra)  al  Formagliari  di  Bo- 
logna; a  Lucca  ed  al  Falcone  di  X^enova  nel  cam.  1766; 
al  B.  Ducale  di  Milano  nell'estate  1766;  a  Beggio  nel  car- 
nevale 1770. 
Cfr.  1774. 

44.  Berenice.  —  Napoli^  1764  circa.  Notìzia  non  riscontrata. 

(Fétis,  Florimo  la  citano  senza  indicazioni  di  luogo  né  di  data; 
Biemann,  Glément  e  Salvioli  le  fissano  soltanto  con  appros- 
simazione). 

45.  n  Perucchiere.  —  Sxnna^  Valle,  carnevale  1764.  Intermezzi  a 

4  voci  in  2  parti. 

Libretto  al  ConBenr.  mui.  di  Broxellef. 
(Il  Diario  di  Boma  ad  ann.^  non  indica  le  opere-date  al  Valle).  • 

46.  L'Incognita  perseguitata.  ~  Veneaia^  S.  Samuele»  carnevale 

1764.  Dramma  giocoso  a  8  voci  in  3  atti.  Testo  dell'abate 
G.  Petrosellivi  {Enisiìdo  Prosmdio  P.  A.). 
Libretto  alia  BibL  di  $.  Marco. 

(T.  WiEL,  op.  cit.,  N.  688), 

Biprodotta  a  Trieste  nel  cam.  1765;  al  Formagliari  di  Bo- 
logna nell'autunno  1769;  a  Lisbona  nel  medesimo  anno;  al 
teatro  de'  Pascolini  dt  Urbino  nel  cam.  1772. 

47.  Qiìì  Stravaganti.  —  Boma,  Valle,  7  gennai(T  1764,  Intermezzi 

a  4  voci  in  2  parti. 

Libretto  alla  Bibl.  di  S»  Cecilia. 
Spartito  antogr.  al  ColL  mas.  di  Napoli. 
(Diario  di  Boma,  ad  ann.). 

Biprodotta  al  Tordinona  di  Boma  nel  gennaio  del  1774  e. nello 
stesso  anno  a  Parigi  ridotta  in  un  atto  col  titolo:  L'Esdave 
ou  le  Marin  généreux  (Pari  d'orch.  edita  a  Parigi). 


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86  MEMORIE 

48.  La  Villeggiatura.  —  Bologna^  Formagliarì,  cara.  1764,  Dramma 

'  giocoso. 

Libretto  al  Liceo  miis.  di  Bologna. 
(C.  Ricci,  op.  cit,  484). 

Il  Florimo  lo  cita  come  dato  nel  1762  senz'altra  indicazione: 
op.  cit.,  II,  260. 

49.  L'Equivoco.  —  Napoli,  Fiorentini,  estate  1764.  Dramma  gio- 

coso a  8  Yoci.  Testo  di  Liviano  Lantino. 
Libretto  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

50.  La  Donna  vana.  —  Napoli,  Fiorentini,  1764.  Dramma  gio- 

coso a  9  YOci.  Testo  di  Antonio  Palomba. 
Libretto  al  ColL  mas.  di* Napoli. 
(Il  Florimo,  nel  yoI.  IV,  non  cita  la  stagione  in  cai  fa  rap- 
presentato). 

51.  n  Nuovo  Orlando.  —  Modena,  Bangoni,  26  die.  1764. 

Libretto  al  Liceo  miu.  di  Bologna. 
(A.  Qandini,  Cronistoria,  ecc.). 

52.  La  Schiava  riconosciuta.  —  Parma,  Dncale,  cara.  1764-65. 

Dramma  giocoso  a  4  yoci  in  2  parti. 

(Ferrari  P.  E.,  Spettacoli,  ecc.). 

Biprodotto  nell'estate  1765  al  Formagliarì  di  Bologna  (Li- 
bretto nel  Liceo  mas.  di  Bologna):  al  Piccolo  teatro  di 
Dresda  nel  1770. 

53.  n  Barone  di  Torreforte.  —  Roma,  Gapranica,  10  gennaio 

(circa)  1765. 
Intermezzi  a  4  voci  in  2  parti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S»  Cecilia. 
Spartito  antogr.  al  Coli.  miis.  di  NapolL 

(Diario  di  Roma,  ad  ann.;  Florimo,  op.  cit,  II). 
Biprodotto  a  Firenze,  Cocomero,  nella  prìmayera  1766. 
Citato  dal  Salvioli  col  titolo  II  Barone  di  Terraforte. 

54.  Le  Contadine  astute.  —  Roma,  Capranica,  7  febbraio  (circa) 

1765.  Intermezzi  a  4  voci  in  2  parti. 


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SAQOIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)  DBLLS  OPBRB  TBATRALI  DI  N.  PICGINNI      87 

Libretto  alla  Bibl.  di  S'  Cecilia. 
{Diario  di  Boma^  ad  ann.). 

Bipetuta,  col  titolo:  Le  Villanelle  astute^  nel  luglio  del  1769 
al  teatro  di  Sinigaglia  (Testo  di  G.  Goldoni?). 

r>5.  H  Finto  astrologo.  —  Boma,  Valle,  7  febbraio  (circa)  1765. 
Intermezzi  a  4  voci  in  2  partì. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S»  Cecilia. 
{Diario  di  Boma,  ad  ann.).  Cfr.  L'Astrologo^  1756. 

56.  L'Orfana  insidiata.  —  Napoli,  Fiorentini,   estate    1765. 

Dramma  giocoso  a  8  voci.  In  collaborazione  con  Gennaro 
Astarita. 

Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  II  e  IV). 

57.  La  Pescatrice,  ovvero  L'Erede  riconoscinta.  —  Roma, 

Gapranica,  9  gennaio  1766.  Intermezzi  a  4  voci  in  2  parti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S»  Cecilia. 
Spartito  antoj^.  al  Coli.  rous.  di  Napoli. 

{Diario  di  Boma^  ad  ann.;  FlorimOi  op.  cìt.,  II). 
Biprodotta  al  S.  Maria  di  Firenze  nel  1768;  al  B.  Ducale  di 
Milano  nell'autunno  1774. 
Cfr.  1771. 

58.  La  Baronessa  di  Montecnpo.  —  Uonta,  Gapranica,  27  gen- 

naio 1766.  Intermezzi  a  3  voci  in  2  parti. 
Libretto  al  Conserr.  mas.  di  Bruxelles. 
{Diario  di  Botna^  ad  ann.). 

59.  L'Lucostante.  —  Boma,  Gapranica,  febbraio  1766.  Intermezzi 

a  4  voci,  in  2  parti. 

Libretto  alla  Bibl.  di  S*  Cecilia. 
Spartito  ma.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II). 

Biprodetto  al  Nuovo  teatro  di  Bieti  nel  carn.  1768. 

60.  Il  Fnmo  villano.  —  Veneaia^  S.  Moisè,  aut.  1766.  Dramma 

giocoso  a  7  voci  in  3  atti.  Testo  di  Antonio  Palomba. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S.  Marco. 
(T.  WiEL,  op.  cit.,  n.  717). 


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88  MBMORIB 

61.  La  Molinarella.  —  Né^foK,  Naovo,  autunno  1766.  Dramma 

giocoso  a  8  Yoci. 

Spartita  antogr.  e  libretto  al  GoU.  mas.  di  NapoU. 

(Flordco,  op.  cit,  n  e  IV). 

62.  n  Qran  Cid.  —  Napoli^  S.  Carlo,  novembre  1766.  Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  0.  Pizzi. 
Libretto  al  Liceo  mot.  di  Bologna. 
Spartito  aotogr.  al  GoU.  mus.  di  Napoli. 

(Plorimo,  op.  cit.,*  II;  Croce,  op.  cit,  pag.  511). 

63.  Fiammetta  generosa.  —  Napoli^  Fiorentini,  1766.  Dramma 

giocoso  a  8  voci.  In  collaborazione  con  P.  Anfoasi. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(FcoRiMO,  voi.  IV,  senza  indicazione  di  stagione). 

64.  La  Francese  maligna.  —  Napoli?  1766? 

Il  Biemann  crede  sia  stata  data  nel  1766;  il  Clément  nel 
1767;  altri  nel  1769,  a  Roma.  Ma  per  ciò  che  riguarda 
quest*ultima  città,  tale  notizia  sembra  del  tutto  improbabile. 

65.  La  Finta  baronessa.   —  NapoU,  Fiorentini,  estate  1767. 

Dramma  giocoso  a  8  voci. 

Spartito  autogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  NapoU. 
(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

66.  La  Direttrice  prudente.  —  Napoli,  Fiorentinii  autunno  1767. 

Dramma  giocoso  a  10  voci. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli 
(FL9R1M0,  op.  cit.,  IV). 
Bipetuta  al  Pallacorda  di  Roma  (ridotta  a  4  voci  in  2  parti, 

col  titolo:  La  Prudente  ingegnosa)  nel  cam.  1769. 

67.  Mazzina;  Acetone  e  Dindimenio.  —  Napoli^  1767  circa. 

Il  Fétis  e  il  Florimo  (voi.  II)  la  citano  senza  alcuna  indica 
zione  di  luogo  e  di  tempo.  Il  Riemann  e  Clément  ne  indi- 
cano approssimativamente  la  prima  rappresentazione  a  Napoli 
nel  1767  circa. 

68.  La  Sciocchezza  in  amore.  —  Beggio  Emilia,  maggio  1768. 

Dramma  giocoso. 
(P.  Fantuzzi,  Catalogo,  ecc.). 


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SAGGIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)  DSLLB  OPERE  TEATRALI  01  N.  PIGGINNI     89 

69.  I  Napoletani  in  America. —  ^apo2»,  Fiorentini»  estate  Ì7ff0. 

Dramma  giocoso  ^  8  yoci  in  3  atti.  Testo  di  Fr.  Gerlone. 
Libretto  al  Liceo  mos.  di  Bologna. 
(Flosimo,  op.  cit,  II;  omessa  nei  lY). 

70.  La  Locandiera  di  spirito.  —  Napoli^  Nuovo,  aotnnno  1768, 

'  Dramma  giocoso  in  3  atti. 

Libretto  al  Liceo  miu .  di  Bologna. 
Spartito  me.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit..  voi.  II;  omessa  nel  lY). 

Biprodotta  al  Formagliari  di  Bologna  nell'autunno  del  1770. 

71.  Artaserse.  —  Napoli^  S.  Carlo,  4  noTombre  1768.  Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Spartito  antogr.  al  Coli.  inas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

Dato  a  Torino  nel  medesimo  anno  (?),  secondo  il  Florimo  e 

nel  1766  circa  secondo  il  Clément:  non  è  citato  però  dal. 

Sacerdote  nella  Cronistoria  del  Teatro  Begio. 
Cfr.  1762,  1772. 

72.  n  Volubile.  —  Boma^  Pace,  3  gennaio  1769.  Intermezzi  in  2 

parti  a  4  yoci. 

Libretto  al  Conaerv.  mas.  di  Bmzelles. 
{Diario  di  JSoma,  cui  ann.). 

73.  Lo  Sposo  burlato.  —  Boma^  Valle,  3  gennaio  1769.  Inter- 

mezzi a  4  voci  in  2  parti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S'  Cecilia. 
Spartilo  antogr.  al  Coli.  rane,  di  Napoli. 

(Diario  di  JSoiMa,  ad  ann.;  Flobimo,  op.  cit.,  voi.  11)^. 

74.  L'Innocenza  riconosciuta.  —  Sinigaglia^  11  gennaio  1769. 

Dramma  giocoso. 
(Comunicazione  del  dott.  Badiciotti)« 

75.  La  Finta  clarlatana,  ossia  il  Vecchio  credulo.  —  Napoli, 

Nuovo,  cam.  1769.  Dramma  giocoso  a  8  voci  in  3  atti. 
Libretto  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 
(Flobimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 


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90  MEMORIE 

76.  Sara.  —  Boma,  1769?  Oratoria. 

Citato  dal  Fétis,  dal  Florimo,  dal  Biemann,  ecc.  Ma  il  Diario 
di  Roma  non  accenna  affatto,  nell'anno  1769,  agli  Oratoli 
dati,  in  quaresima,  a  S.  Maria  in  Vallicella  e  a  San  Girolamo 
della  Carità. 

77.  Demetrio.  —  Napoli,  S.  Carlo,  30  maggio  1769.  Dramma  serio 

in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Spartito  autogr.  e  libretto  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV  ;  Croce,  op.  cit.,  543). 

78.  Gli  Sposi  perseguiiati.  —  Napoli^  Nuoto,  1769.  Dramma 

giocoso  in  3  atti. 

Spartito  autogr.  al  Coli.  mus.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  II;  omessa  nel  IV). 

79.  Didone  abbandonata.  —  Roma,  Argentina,  8  gennaio  1770. 

Dramma  serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S«  Cecilia. 
Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

{Diario  di  Roma,  Qd  ann.\  Florimo,  II). 
Cfr.  1783. 

80.  Cesare  in  Egitto.  —  Milano,  Regio  Ducale,   gennaio  1770. 

Opera  seria  a  6  voci  in  3  atti.  Testo  di  G.  F.  Bussani  (?). 
Libretto  alla  Bibl.  di  S*  Cecilia. 
Spartito  autogr.  al  Coli.  mus.  di  Napoli. 

(A.  PaquccI'Brozzi,  Il  R.  Ducal  teatro  di  Milano,  ecc.). 

81.  La  Donna  di  spirito.  —  Roma,  Capranica,  13  febbraio  1770. 

Il  Diario  di  Roma  annunzia  l'opera  senza  indicazione  d'au- 
tore: nelle  yarie  biografie  del  P.  si  cita  appunto  un'opera 
di  lui  con  questo  titolo. 

82.  Gelosia  per  geloaisL.— Napoli,  Fiorentini,  estate  i77(?.  Dramma 

giocoso  in  3  atti.  Testo  di  G.  B.  Lorenzi. 
Libretto  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 
Riprodotta  nel  medesimo  anno  al  Nuoto  di  Napoli. 
Cfr.  1755. 


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SAGGIO  GRONOLOOIGO  (1754-1794)   DILLE  OPERfi  TEATRALI  DI  N.  PICGINNI     91 

83.  n  Begno  della  luna.  —  Milano,  B.  Ducale,  primavera  1770. 

Dramma  giocoso  a  7  yoci  in  3  atti.  Testo  di  C.  Goldoni. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S»  Cecilia. 
Spartito  aotogr.  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 

(Pagucci-Brozzi,  op.  cit.,  ma  per  errore  la  pone  all'aatanno; 
registrata  dal  Florimo  e  da  altri  col  titolo:  «  Il  Mondo 
della  luna  »). 

84.  L'Olandese  in  Italia.  —  Milano,  B.  Ducale,  autunno  1770. 

Dramma  giocoso  a  7  voci  in  3  atti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S*  Cecilia. 

(Paqlicci-Bbozzi,  op.  cit.). 

85.  Catone  in  Utica.  —  Napoli,  San  Carlo,  1770.  Dramma  serio 

in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Spartito  ma.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Begistrata  dal  Florimo,  op.  cii,  li  senza  indie,  di  stagione; 
omessa  nel  voi.  lY). 

86.  Don  Chisciotte.  —  Napoli,  1770? 

(Citata  nelle  biografie  e  nei  dizionari  senz*a1tra  indicazione). 

87.  n  Finto  pazzo  per  amore.  —  Napoli?  1770? 

Così  il  Biemann  e  il  Clément-Larousse. 
11  Pavan  cita  una  riproduzione  BÌVHofburgtheater  di  Vienna 
nel  1771. 

88.  Le  Dne  finte  gemelle.  —  Boma,  Valle,  2  gennaio  1771.  In- 

termezzi a  4  voci  in  2  parti. 

Libretto  al  Consery.  mas.  di  Braxelles. 
Spartito  aotogr.  al  Coli.  mos.  di  Napoli. 

{Diario  di  Boma,  ad  arni.). 

Biprodotto  a  Foligno,  teatro  dell'Aquila,  nel  gennaio  1773; 
ad  Ancona,  teatro  della  Fenice,  nel  cam.  1774;  a  Parigi 
nel  giugno  1778;  a  Venezia,  S.  Cassiano,  nel  cam.  1783 
(Testo  di  Giuseppe  Fratini). 

Dopo  la  rappresentazione  di  Parigi  (1778)  la  critica  trovò  a 
ridire  sul  poema  €  che  per  essere  stato  ridotto  per  la  ca- 
restia degli  attori  da  tre  a  due  atti  e  da  sette  a  quattro 
personaggi,  parve  insignificante  ».  (Dbsnoiresterres,  op. 
cit,  pag.  76). 
Cfr.  1774. 


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va  MEMORIE 

80.  Antigono.  —  Boma,  Argentina?  cara.?  1771.  Opera  seria  ìd 
2  atti.  Testo  ridotto  del  Metastasio? 
Spartita  antogr.  al  ColL  mas.  di  Napoli 
(Registrato  dal  Florimo,  op.  cit,  yoI.  Il,  con  la  sola  indica- 
none «  Roma,  1771  »). 

90.  La  Donna  di  bell'umore.  —  J^opo/i,  Fiorentini,  cam.?  1771. 

Dramma  giocoso  a  8  voci  in  3  atti. 

Spartito  aotogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli 

(Plorimo,  op.  cit,  II  e  IV). 

91.  La  Corsala.  —  Napoli^  Fiorentini,  autunno,  1771.  Dramma 

giocoso  in  3  atti.  Testo  di  0.  B.  Lorenzi. 
Spartito  aatogr.  a  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

92.  L'Erodo  riconosciuta.  —  Venezia^  S.  Benedetto,  autunno  1771. 

Dramma  giocoso  a  7  voci  in  3  atti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S.  Marco. 
.     (WlBL,  op.  cit,  N.  766). 

È  la  «  Pescatrice  »  (Boma,  Valle,  1766),  ampliata  da  due 
a  tre  atti  e  da  4  a  7  personaggi. 

93.  Artaserse.  —  Napoli^   San  Carlo?,  carn. ?,  1773.   Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Spartito  aotospr.  al  ColL  mi»,  di  Napoli 
(Florimo,  .op.  cit.,  voi.  II,  pag.  269  ;  omesso  nel  voi.  IV). 

94.  L'Astratto,  ovvero  il  Oinocatore  fortunato.  —  Venema, 

S.  Samuele,  carn.  1772.  Dramma  giocoso  a  8  voci  in  3  atti. 

Testo  delFab.  G.  Petrosellini. 
Libretto  alla  Bibl  di  S.  Marco. 
(T.  WiEL,  op.  cit.,  N.  783). 
Riprodotta  al  teatro  di  Reggio  Emilia  nel  maggio  del  1772 

e  al  teatro  di  Corte  di  Parma  nel  carn.  1774-75: 

95.  L'Americano.  —  Roma,  Valle,  20  febbraio  (circa)  177J3.  In- 

termezzi a  4  Yoci  in  2  partL 
Libretto  alla  Bibl.  di  8*  Cecilia. 
(Diario  di  Roma,  ad  ann.). 


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SAGGIO  CRONOLOGICO  (1754-17)^4)  DSLLB  OPERE  TEATRALI  01   N.  PICCINNI     03 

Riprodotto  a  Matetica  nel  gennaio  1777  ;  al  S.  Oìo.  Griso- 
atomo  di  Venezia  nell'ant.  1779;  a  Batisbona  nel  1780 
(Salvioli). 

96.  Le  Trame  zingaresche.  —  Napoli,  Fiorentini,  estate,  177JS. 
Dramma  giocoso  a  8  voci.  Tasto  di  G.  B.  Lorenzi. 
Spartito  aato^.e  libretto  al  Coli,  iniis.  di  Napoli. 
(Flobimo,  op.  cit,  II  e  IV). 

97.  Ipermestra.  —  Napoli,  S.  Carlo,  4  nov.  177JS.  Dramma  serio 

in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Spartito  aatogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit,  li  e  IV;  E.  Croce,  op.  cit,  547). 

98.  Scipione  in  Cartagena.  —  Modena,  Teatro  di  Corte,  26  di- 

cembre (circa)  177JÌ.  Dramma  serio  in  8  atti. 
(A.  Gandini,  op.  cit). 

99.  La  Sposa  collerica.  —  Roma,  Valle,  9  gennaio  1773.  Inter- 

termezzi  a  4  voci  in  2  parti. 

Libretto  al  ComerT.  mus.  di  Broxellee. 
Spartito  antogr.  al  Coli.  miis.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  ;  Diario  di  Roma,  ad  ann.,  senza  indi- 
cazione del  nome  del  compositore). 
Biprodotta  all'Acc.  B.  di  Musica  di  Parigi  nel  1778. 

100.  I  Furbi  burlati.  —  Napoli,  Fiorentini,  prim.  1773.  Dramma 

giocoso  a  7  Tocì. 

Spartito  antogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  e  IV). 

101.  n  Vagabondo  fortunato.  —  Napoli,  Fiorentini,    autunno 

1773.  Dramma  giocoso  a  7  voci.  Testo  di  Pasquale  Mililotti. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  yoI.  II  e  IV). 
•  Biprodotto  a  Poggia  nel  1783. 

102.  Le  Finte  gemelle.  —  Reggio  Em.,  earn.  1774.  Dramma  gio- 

coso a  7  voci  in  3  atti.  Testo  di  G.  Petrosellini. 
Libretto  alla  Bibl.  oom.  di  Seggio. 
Spartito  ms.  al  I^iceo  mas.  di  Bologna. 


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94  MEMORIE 

Bìprodotta,  col  titolo  «  le  Germane  in  equivoco  »  al 
teatro  di  Sinigaglìa  nella  fiera  del  1774  ;  a  Pesaro  nel  car- 
nevale 1800,  col  titolo  originale. 
Cfr.  Le  due  finte  gemelle  (1771). 

103.  Alessandro  nelle  Indie.  —  NapoU,  S.  Carlo,  12  genn.  1774. 

Dramma  serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 
Spartito  autogr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Flobimo,  op.  cit.,  II,  IV;  Croce,  op.  cit.,  551). 
Riprodotto  alla  Pergola  di  Firenze  nel  1777. 
Cf.  1758,  1792. 

104.  Olimpiade.  —  Napoli,  San  Carlo,  novembre  1774.  Dramma 

serio  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasio. 

Libretto  al  Liceo  mas.  di  Bologna. 
Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  II  ;  omessa  nel  IV  ;  Croce,  op.  cii,  553). 

105.  La  Contadina  bizzarra.  —  1774.  Opera  buffa  in  3  atti. 

Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Flormo,  op.  cit.,  voi.  II). 

Cfr.  le  Contadine  bizzarre,  1763. 

106.  Oli  Amanti  mascherati,  —  Napoli,  1774.  Opera  giocosa  in 

2  atti. 

Spartito  aatogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II). 

Biprodotta  al  teatro  dei  Fiorentini  in  Napoli  nel  1776  (Libr. 
al  Coli.  mus.  di  Napoli). 

107.  L'Ignorante  astuto.  —  Napoli,  Fiorentini,  carnevale  1775. 

Dramma  giocoso  a  8  voci.  Testo  di  Pasq.  Mililotti. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  voi.  IV). 

108.  I  Viaggiatori.  —  Napoli^  Fiorentini,  autunno,  1775.  Dramma 

giocoso  a  7  voci.  Testo  di  Pasquale  Mililotti. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit.,  voi.  IV). 


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SAGGIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)   DELLE  OPERE  TEATRALI  DI  N.  PICGINNI     06 

109.  Enea  in  Coma.  —  Napoli,  Fiorentini,  1775,  Dramma  serio 

in  3  atti.  Testo  di  Pasq.  Milìlotti. 

Spartito  autogr.  e  libretto  al  Ck)ll.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo,  voi.  II  e  lY  ;  senza  indicazione  di  stagione). 

110.  n  Sordo.  —  Napoli,  1775.  Intermezzi  in  2  parti. 

Spartito  autogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Fétis,  Fiorirne  lo  citano  senz'alcuna  indicazione  di  luogo  e 
di  data  ;  il  Clément  lo  registra  come  dato  a  Napoli  nel  1775. 

111.  La  Capricciosa.  —  Roma,  Dame,  8  febbraio  i77ff.  Dramma 

giocoso  a  7  voci  in  3  atti. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S>  Cecilia. 
Spartito  antogr.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

{Diario  di  Roma,  ad  ann.;  Florimo^  op.  cit.,  voi.  II). 

112.  Badamisto.  -  Napoli?  1776? 

(Citato  nelle  biografie  e  nei  dizionari  senz'altro  indicazione). 
n  Plcclnni  giunge  a  Parigi  11  31  dicembre  1776. 

113.  Roland.   —   Parigi,  Acc.  R.  di   Musica,  27  gennaio  1778. 

Dramma  in  3  atti.  Testo  di  0.  Marmontel. 
Partitura  edita  a  Parigi. 
(Oinguené,  Fétis,  Florimo,  Desnoiresterres,  ecc.). 

114.  Fhaon.  —  Chaisy,  teatro  di  Corte,  1778.  Opera  in   2  atti. 

Testo  di  Watelet. 
(Clément-Laroasse,  Biemann,  ecc.). 

115.  n  Vago  disprezzato.  — -  Parigi,  B.  Àcc.  di  Musica,  16  mag- 

gio 1779. 

Libretto  al  Conserv.  mas.  di  Bruxelles. 
(Chiamato  anche  «  Le  Fai  méprisé  ».  -  Oinguené,  Fétis, 
FlorìmOi  Clément-Larousse,  ecc.). 

116.  Atys.  —  Parigi,  Acc.  B.  di  Musica,  22  febbraio  1780.  Tra- 

gedia lirica  in  3  atti.  Testo  di  0.  Marmontel. 
Partitura  d'orchestra  edita  a  Parigi. 
Spartito  ms.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

117.  Iphigénie  en  Tauride.  —  Parigi,  Àcc.  B.  di  Musica,  23  gen- 

naio 1781.  Opera  in  4  atti.  Testo  di  Dubreuil. 
Partitura  d'orchestra  edita  a  Parigi. 
Copia  ms.  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 


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06  MBMORIS 

118.  Adele  de  Ponthieu.  —  Parigi,  P.  Saint-Martin,  27  ottobre 

1781.  Opera  in  8  atti.  Testo  del  Marchese  di  Saint-Marc. 
Cfr.  1785. 

119.  Didon.  —  Foniainebkau,  16  ottobre  1783.  Opera  in  3  atti. 

Testo  di  G.  Marmontel. 

Partitura  dVchestra  edita  a  Parigi. 
Copia  ma.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

120.  Le  Donnear  éveillé.  —  Parigi,  Commedia  italiana,  14  no- 

vembre 1783.  Opera  comica  in  4  atti.  Testo  di  0.  Mar- 
montel. 
(Fétìs,  Glément-LaroQsse,  Grove,  ecc.).    . 

121.  Le  Fauz  lord.  —  Faniainehleau,  novembre  ?  1783.  Commedia 

in  2  atti  in  prosa  e  in  versi.  Testo  di  Giuseppe  Pìccìnni 
(primogenito  di  Nicola). 

Partitura  dVchestra  edita  a  Parigi. 

122.  Diane  et  Endymion.  —  Parigi,  Acc.  B.  di  Musica»  7  set- 

tembre 1784.  Opera  in  3  atti.  Testo  di  J.  F.  Espio  cav.  de 
Lirou. 

Partitura  d'orchestra  edita  a  Parigi. 
Copia  ixM.  al  Coli.  mm.  di  Napoli. 

123.  Lucette.  —  Parigi,  Commedia  italiana,  30  dicembre  1784. 

Testo  dì  Gius.  Piccinni. 
(Fétis,  Laroasse,  Greve,  ecc.). 

124.  Penèlope.   —  Fonlainébleau,   2  novembre  1765.  Opera  in 

3  atti.  Testo  di  G.  Marmontel. 

Partitura  d*orchestra  edita  a  Parigi. 
Spartito  me.  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 

125.  Adele  de  Ponthieu.  —  Scritta  in  Parigi  nel  1785,  con  nuova 

musica  (Cfr.  1781)  ma  non  rappresentata. 
(Fétis). 

126.  Le  Mensonge  officieuz.  —  Parigi,  Commedia  ital.,  17  marzo 

1787.  Testo  di  Giuseppe  Piccinni. 
(Fétis,  Larousse,  ecc). 


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6AOGIO  CRONOLOGICO  (1754-1794)  htLLt  OPBRB  TBATRALI  DI  N.  PICCINNI     W 

127.  L'ÉnlèYMdèttt  dèe  BabinM.  —  Opera  scrìtte  in  Parigi 

Bel  1787,  ma  non  rappiBdeiftatà. 

(Pótis). 

128.  CSljrtemnestre.  —  Opera  scrìtte  in  Parigi  nel  1787  ;  provate, 

ma  non  rappresentete. 
(Pétis), 

129.  Vittorina.  —  Per  Landra,  1790?  Opera  giocosa  in  8  atti. 

Testo  di  C.  Goldoni. 

Spartito  ms.  al  Coli.  mos.  di  Napoli.  • 

(Florimo,  op.  cit.,  voi.  II  ;  scrìtte  nel  1790,  ma  non  rappre- 
sentete, secondo  il  Clément).         • 

Il  Piccixml  toma  a  Ifapoli  il  6  settembre  1791. 

130.  La  Serva  onorata.  —  Napoli^  Fiorentini,  carne?.?  1792. 

Dramma  giocoso  a  6  voci. 
Libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Plorimo,  op.  cit.,  voi.  IV). 

131.  Alessandro  nelle  Indie.  —  Napoli^'SM  Carlo,  12  gennaio 

179J2.   Dramma  serìo  in  3  atti.  Testo  di  P.  Metastasip. 
Musica  in  gran  parte  nuovamente  composte.  Gfìr.  1758, 1774. 
Spartito  &nix>gr.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Florimo»  op.  cit.,  voi.  II  e  IT). 

132.  Oionata.  —  Napoli,  San  Cario,  4  marzo  179S.  Oratorio.  Tèsto 

di  Carlo  Semicola. 

Spartito  ms.  e  libretto  al  Coli.  mas.  di  N|ipoll. 
(Plobimo,  op.  cit,  II,  IV). 

1 33.  Ercole^  al  Termodonte.  —  Napoli,  San  Carlo,  12  geimio 

1793.  Dramma  serio  a  5  voci  in  2  atti. 
Spartito  mi.  e  libretto  al  Coli.  mns.  di  Napoli. 
(Florimo,  op.  cit,  II,  IV). 

1 34.  La  Qrìselda.  —  Veneaia,  S.  Samuele,  autunno  1793.  Dramma 

eroicomico,  a  8  voci,  in  2  atti.  Testo  di  Angelo  Anelli. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S.  Marco. 
(T.  WlBL,  op,  cit,  N.  1091). 

.  Vili.  7 


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98  MEMORIE 

135.  Il  Servo  padrone,  ossia  l'Amor  perfetto.  — *  Venejna, 

San  Samuele,  cani.  1794.   Dramma  giocoso  a  8  voci,  in 
2  atti.  Testo  dell'ab.  Mazzola. 
Libretto  alla  Bibl.  di  S.  Marco. 
(T.  WiEL,  op.  Cit.,  N.  1111). 

136.  Lo  Sposalizio  di  Don  Pomponio.  —  Opera  bufia  in  3  atti. 

Spartito  ms.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 
(Il  Florimo,  op.  cit,  voi.  II,  la  registra  senza  alcuna  indi- 
cazione; il  Clément  l'assegna  al  1795  circa). 


OPERE 

delle  quali  sono  ignoti  la  data  ed  il  luogo  di  prima  rappresentazione.. 

137.  I  Decemviri.  —  Opera  seria  in  3  atti. 

Spartito  ms.  al  Coli.  mas.  di  Napoli. 

138.  Il  Finto  turco.  —  Opera  buffa  in  3  atti. 

Spartito  antogr.  al  Coli.  rons.  di  Napoli. 

139.  Le  Quattro  Nazioni^  o  la  Vedova  scaltra.  —   Dramma 

giocoso  su  testo  di  C.  Goldoni. 
(Forse  rappresentato  in  Boma  verso  il  1773). 

Awertema,  —  Nelle  varie  biografie  si  citano»  come  scritte  dal  Nostro,  alcune 
opere  del  sao  secondogenito,  Lnigi  (ad  es.  la  Notte  critica),  o  di  altri  composi- 
tori del  tempo  (ad  es.  La  Finta  giardiniera  deirAnfossi,  e  il  Bitomo  di  2>.  Ca- 
landrino del  Cimarosa).  Il  Conclave  deWanno  177à,  poi,  non  è  che  nna  satira 
romana  sni  cardinali  d*alIora,  foggiata  a  guisa  di  melodramma  (non  vi  mancano 
nemmeno  i  nomi  degli  autori  in  yoga,  Metastasio  e  Piccinni);  satira  di  cai  si 
conservano  numerose  copie  ms.  e  varie  edizioni  stampate.  • 

Alberto  Cametti. 


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SAGGIO  CHONOLOGICO  (1754-1794)  DELLE  OPERE  TEATRALI  DI  N.  PICCINNI     99 

ELENCO  ALFABETICO 

(Il  numero  indica  l'opera  nelVelenco  cronologico). 


AdèU  de  Pmihieu,  L18,  125. 

Akimmdro  neUe  Indie,  11, 103,  131. 

Awumte  ridicolo,  8. 

Amanti  mascherati,  106. 

Awierieano,  95. 

Awu)r  senza  malizia,  40. 

Antigono,  38,  89. 

Artaserse,  34,  71,  93. 

Astratto  (Giuocatore  fortunato),  94. 

Astrologa,  35. 

Astrologo,  4. 

AsiMto  balordo,  33. 

Atys,  116. 

Avventure  di  Rodolfo,  86. 

Barone  di  Torreforte,  53. 

Baronessa  di  Montecupo,  58. 

Baronessa   riconosciuta   (V.  Buona 

figUuoia), 
Beffe  giovevoli,  23. 
Bella  verità,  37. 
Berenice,  44. 
Buona  figliuola,  19. 
Buona  figliuola  maritata,  29. 
Coto  Mario,  6. 
Capricciosa,  111. 
Goton^  m  C7<»oa,  85. 
Oaoa2t«re  parigino,  39. 

CSztHi2»^  |W  afnore,  42. 

Ceechina  nubile  (V.  Buomi  figliuola). 

Ceechina    maritata    (V.    Buona   fi- 
gliuola maritata). 

Cesare  in  Egitto,  80. 

Ciro  riconosciuto,  18. 

Chftemnestre,  128. 

Conclave  del  1774   (V.  Avvertenza 
finale). 

Contadina  bizzarra,  43,  105. 

Contadine  astute,  54. 

Contadine  bizzarre,  43. 

Corsala,  91. 


Curioso  del  proprio  danno,  3. 

Curioso  imprudente,  32. 

Decemviri,  137. 

Demetrio,  77. 

Demofoonte,  30. 

i>ian0  et  Endymion,  122. 

Di^io»,  119. 

Didone  abbandonata,  79. 

Direttrice  prudente,  66. 

Don  Chisciotte,  86. 

Dontia  rf»  belVumore,  90. 

Donna  (2t  spirito,  81. 

Donna  vana,  50. 

Donne  dispettose,  1. 

Donne  vendicate,  41. 

Dormeur  éveiUé,  120. 

Due  /ìnte  gemelle,  88,  102. 

^nea  in  Cuma,  109. 

Enlevement  des  Sabines,  127. 

fTguiVoco,  49. 

ercole  a/  rermo(2on/e,  133. 

J5>ede  riconosciuta,  92. 

Esclave  ou  le  Marin  généreux,  47. 

Fante  fturZato  (V.  Ft«ròa  6urlato>. 

Famace.  9. 

Foone  (V.  P^on),  114. 

Fai  méprisé  (V.   Fo^o  disprezzato). 

Faux  lord,  121. 

Ftamme^a  generosa,  63. 

Finto  baronessa,  65. 

Ftnto  ciarlatana  (Vecchio  credulo, 

75). 
PVnto  giardiniera  (V.  Avv.  finale). 
Fmte  gemelle  (V.  Due  /inte  gemelle). 
Finto  astrologo,  55. 
Ftnto  par<jo  per  amore,  87. 
Ftwto  iurco,  138. 
Francese  maligna,  64. 
Fumo  villano,  60. 
Furba  burlata,  21. 


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100 


BfEMOftIS 


Furbi  burlati,  100. 

Oèlona  per  gelosia,  82. 

Oeheie,  2. 

Germane  in  equiifoco  (V.  Due  finte 

gemette). 
Ownata,  182. 
Gran  Od,  62. 
Griselda,  134. 
Ignorante  astuto,  107. 
Incognita  perseguitata,  46. 
Incostante,  59. 
Innocenza  rfootiotcwrta»  74. 
Ipermestra,  97. 
Iphigénie  en  Tauride,  117. 
Looafuiiiera  ili  spirito,  70. 
Lf«celfe»  128. 
Madama  Arrighetta,  14. 
Marchesa  spiritOM<i,  28. 
Jfoffjrtiia,  Acetone  e  Dindimenio,  67. 
Mensonge  officieux,  126. 
iSfo/tnareOa,  61. 
Jfo9ulò  (20Ì7a  iiiNa  (V.  Bé^no  deOci 

Monsieur  Petiton  (V.  3fa(2ama  ^r- 

Jforto  cfi  ^fteJ^,  18. 

NapoUUmi  in  America,  69. 

NUUU,  10. 

^o^(e  cnMca  (Y.  Avvertensa  finale). 

Nuovo  Orlando,  51. 

Olandese  in  Italia,  84. 

OKmpiade,  27,  104. 

Orfana  insidiata,  56. 

On^Ofe,  20. 

Penèlope,  124. 

Ptfruccliiertf,  45. 

Peseatrice  (Erede  riconosciuta),  hi, 

92. 
PetOon  (Y.  Madama  Arrighetta). 
Phaon,  114. 
PriMl^te  ingegnosa  (Y.   Direttrice 

prùdente). 


Quattro  nasioni  (Vedova  scaMra), 

189. 
i2ddàf»iiMo,  112. 
Jiatto  de2fe  Sabine  (Y.  J^pOéMMMtt^ 

di»  iSbòttitf»). 
Segno  deOa  luna,  88. 
Be  PaOare,  22. 
litlofiid  db'  Z>.  (Mmàirino  (Y.  àt- 

vertensa  finale). 
BxìUmd,  118. 
iSara,  76. 

iS^»2fra  leticata,  15. 
jSea7<ra  spiritosa  (Y.  iS^ottm  fetfcr.). 
jSb^totNi  rtconoscmta,  52. 
Schiava  stria,  7. 
Schiaviti^  per  amore,  26. 
Sciocchesea  in  amore,  68. 
Scipione  m  Cartagine,  98. 
iSSsroa  onorata,  180. 
5tfrvo  pckirofttf  (^mor  perfetto),  135. 
iSiìroe,  17. 
5brdo,  110. 
<^XMa  collerica,  99. 
SposaUeio  di  D.  Pomponio^  186. 
5|)0M  pers^uttofi,  78. 
iSjposo  burlato,  78. 
Stravagante.  81. 
Stravaganti,  47. 
Tifile,  25. 
Trarne  |)«r  amore,  16. 
Trame  zingaresche,  96. 
Uccellatori,  12. 
Fo^aòofuio  /brlMiialo,  101. 
Fo^o  dispreseato,  115. 
FecioiMi  sM^era  (Y.  Quollro  ^ofiom*). 
Viaggiatori,  108. 
FtcetMle  (ielfo  sorte,  24. 
Villanelle  astute  (Y.  CtmtoA  osiwCe). 
Villeggiatura,  48. 
Fittortfta,  129. 
FoJuòiZe,  72. 
-Zenoòìa,  5. 


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La  iQusiqne   scandinave 
avant  le  XIX**  siede. 


GHÀPrrRE  I. 
Dea  orlglnes  au  XVULl»  siede. 


o. 


'n  peat  confondre  sons  le  nom  de  Scandìnaves  les  populations, 
ethnographìquement  si  caractérisées,  et  donées  d'une  origìnalité  in- 
tellectaelle  si  forte  et  si  distincte,  qui  occupent  les  trois  pays  septen- 
trìonaux  de  l'Europe,  le  •DaDemark,  la  Suède,  et  la  Norvège  —  unie 
maintenant  à  la  Suède  après  avoir  longtemps  partagé  les  destinées 
du  Danemark. 

Politiquement,  les  royaumes  scandinayes  ont  tenu,  dans  l'epoque 
moderne^  une  place  considérable.  Mais  nous  n'avons  pas  à  envisager 
ici  ces  aspects  de  l'histoire.  Ce  qui  nous  interesse,  c*est  le  rdle  in- 
tellectuel  de  ces  pays,  fort  lettrés,  où  la  science  est  depuis  longtemps 
en  bonneur,  et  qui  ont  produit  un  important  contingent  d'érudits,  de 
littérateurs  et  d'artistes.  Aujourd'hui,  en  particulier,  on  sait  quels 
succès  ont  obtenus  chez  nous  les  puissants  dramaturges  norvégiens. 
—  Ces  régions  possèdent  un  des  principaux  éléments  de  la  grande 
poesie  et  dn  grand  art;  un  fonds  très  ricbe  de  traditions  bérolques, 
d'épiques  souvenirs.  Parallèlement  à  ces  légendes  séculaires,  la  na- 
ture grandiose  et  sevère  de  ces  contrées,  en  favorisant  l'aptitude  à  la 
rSverie,  a  engendré  la  disposition  d'&me  mélancolique  et  sentimen- 


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102  MEMORIE 

tale,  d'où  sont  sortis  des  cbants  populaires  d'ane  rare  couleur,  d'un 
accent  pénétrant.  C'est  de  ce  chant  populaìre,  de  tant  de  relief,  que  * 
chercbent  aujourdliui,  avec  raison,  à  s*inspirer  les  mnsìciens  qui 
constituent  là-bas  une  école  originale  et  curieuse. 

Il  n'entre  point  dans  notre  pensée  de  méconnaitre  les  caractères 
par  lesquels  se  différencient  le  Danemark,  la  Norvège  et  la  Suède. 
Mais  en  considération  des  affinités  de  tout  genre  qui  les  relient, 
nous  avons  cru,  en  yue  d'obtenir  une  exposition  plus  complète  à  la 
fois  et  plus  brève,  pouvoir  tracer  ep  commun  l'histoire  des  trois 
royaumes,  pour  ce  qui  concerne  l'art  musical. 

Sur  la  question  des  origines,  nous  serons,  selon  notre  coutume, 
fort  concis,  les  études  telles  que  celle-ci  étant,  par  définition,  con- 
traintes  d'écarter  tout  ce  qui  est  obscur  ou  discutable.  Nous  ne  par- 
.  lerons  point  de  ces  époques  reculées,  antérieures  à  la  propagation  du 
cbristianisme,  où  régnait  en  Scandinavie  le  eulte  d'Odin  et  tonte  cette 
mythologie  imposante  que  Wagner  a  si  admirablement  mise  en 
oeuvre  dans  sa  Tetralogie.  Ce  qui  est  certain,  c'est  que  la  poesie, 
une  poesie  sans  doute  un  peu  fruste,  mais  remplie  d'éclat  et  d'arome, 
était  en  faveur  à  la  cour  des  vieux  rois  de  Norvège.  Cette  poesie, 
comme  il  est  arrivé  dans  la  plupart  des  littératures  primitives, 
était  chantée.  La  tradition  a  conserve  le  nom  d'un  scalde  islandais, 
Amor  Jarlaskald,  qui  vécut  au  XP  siede,  où  il  fut  le  contemporain 
des  deux  princes  Magnus  le  Bon  et  Harald,  fils  de  Sigurd.  La  mé- 
lopée,  fort  colorée,  d'une  de  ses  complaintes,  a  subsisté,  non  sans  des 
surcharges  et  des  variantes,  dans  le  folkslore  national.  Au  siècle  sui- 
vant,  nous  relevons  la  trace  d'un  autre  scalde,  également  natif 
d' Islande,  Amald,  loué  pour  ses  talents  poétiques  par  Saxon  le 
Grammairien,  et  qui  fut  attaché  au  roì  de  Danemark  Waldemar  le 
Grand.  Amald  soutenait  ses  cbants  à  l'aide  de  cette  harpe  élémen- 
taire  dont  nous  avons  eu  à  parler  dans  notre  Sistoire  de  la  Musique 
allemande. 

Nous  nous  bornons  à  indiquer  ces  souvenirs  qui  appartiennent,  en 
quelque  sorte,  à  la  préhistoire  de  la  musique.  Beaucoup  plus  tard, 
les  annales  de  cet  art  nous  présentent  le  nom  d'un  dominicain, 
Aquinus,  fixé  en  Suède,  mais  vraisemblablement  d'origine  helvétique 
ou  souabe,  et  qui,  travaillant  en  théoricien,  composa  un  traité,  en 
un  livre  unique,   le  De  numerorum  et  sonortim  proportionibus, 


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LA  MU8IQUB  8CANDINATE  AYANT  LE  XIX  SlÈCLS  103 

d'après  les  principes,  à  ce  moment  passablement  démodés  et  arriérés, 
de  Boèce. 

*  Àu  XVP  siècle,  en  Saède,  nous  tronvons  la  musique  très  en  faveur 
à  la  cour  de  Gastave  Vasa  (1523-1560).  Il  attira  dans  son  royaume 
plosieurs  musicìens  étrangers.  Au  temps  de  ses  fils,  signalons,  dans  la 
Ohapelle  Boyale,  la  présence  de  chanteurs  italìens.  À  la  tdte  de  cette 
Chapelle  fut  place,  sous  Charles  IX,  un  maitre  suédois,  Torstenius 
Johannis.  Sous  le  règne  de  Gustave  II  Adolphe,  au  commencement 
du  XYII^"  siècle,  nous  avons  à  noter  Texistence  d'un  cours  de  mu- 
sique à  rUniversité  d'Upsal,  destinée  à  acquérir  par  la  suite  une  si 
grande  notoriété  musicale.  D'autre  part,  nous  rencontrons,  en  1530, 
la  mention  d'un  premier  recueil  de  chants,  et  c'est  de  1567  que  date 
le  Psautier  Suédois. 

En  ce  qui  concerne  le  Danemark,  ce  fut  vers  1595  que  Christian  IV 
envoya  en  Italie,  pour  y  perfectionner  sèm  goùt  et  sa  capacité  tech- 
niqne,  Jean  Fontejo,  homme  de  quelque  valeur.  C'était  le  temps  du 
grand  rayonnement  de  l'école  vénitienne.  Fontejo  se  rendi t  à  Venise, 
et  y  re9ut  les  le9ons  de  Jean  Gabrieli,  alors  au  sommet  de  la  no- 
toriété comme  organiste  de  la  Serenissime.  A  Venise  m@me,  le  mu- 
sicien  du  Nord  publia  deux  livres  de  madrìgaux  correctement  écrits. 
Il  retouma  dans  s^  patrie/  et  s*y  trouvait,  comme  compositeur  de 
la  Cour,  en  1606. 

La  musique  régulière,  sous  la  forme  qui  était  à  la  mode  par  tonte 
l'Europe,  était  désormais  introduite  en  Danemark.  Un  compositeur 
de  réel  mérìte,  Melchior  Borchgrevinck,  qui  avait  atteint  sur  Torgue 
un  degré  considérable  de  virtuosité,  et  qui*  était,  lui  aussi,  attaché 
au  service  royal,  s'exer^a  non  sans  talent  dans  le  mSme  genre  ma- 
drigalesque.  Son  recueil,  en  deux  livres,  parut  à  Copenhague  méme 
(c'est  sans  doute  l'une  des  premières  publications  musicales  qui  portent 
l'indication  de  ce  lien  d'origine)  en  1605  et  1606.  A  coté  de  ses 
propres  compositions,  il  avait  fait,  dans  cette  coUection,  une  largo 
place  aux  oBuvres  des  maitres  les  plus  réputés  de  la  Péninsule,  tels 
que  Monteverde  et  Leo  Leoni.  Les  paroles  étaient  italiennes;  italien 
aussi  le  titre,  confu  dans  le  goùt  regnanti  Giardino  nuo/oo  bellis- 
simo di  vari  fiori  mtisicali  sceltissimi.  L'artiste  danois  avait  fait  choix 
de  pièces  à  cinq  voix,  disposition  alors  très  appréciée,  nonobstant 
sa  difficulté,  à  cause  de  la  plénitude  qu'elle  prète  à  l'harmonie. 


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104  MSMoniB 

Le  madrigal  et  le  motet  étaient  les  formes  artietiquea  eo  vogue. 
On  peut  citer  les  motets  de  Hunnius,  qui  était  né  en  TharìQge,  mais 
qui  pratiqua  Bon  art  en  Daneouurk.  ~  Dtns  Tordre  de  la  mueique 
religieuae,  il  connent  de  mentionner  le  H^mU  Eceìmae^  dooné  à 
$tockholm,  en  1619,  par  Nioolaa  Andrea  qui  ayait  rempli  dee  fonotions 
eooléeiastiquea  en  Imporne.  Un  suédois,  Baawart,  qui  fit  sa  carrière 
h  Tótranger,  écrivit  plusieurs  messes,  d'un  tour  assei  peu  remarquable. 
Il  a?aìt  toatefois  une  vóritable  babileté  dana  la  oombinaison  poly* 
pbQUÌque,  Une  de  see  messes,  &  trois  chcsurs,  eum  triplici  iaaso  ad 
arganum,  est,  sous  le  rapport  de  la  dispesition  coippliquée,  vraiment 
digoe  d'attention. 

La  culture  de  Torgue  marcbait  parallèleoient  à  celle  de  la  musique 
vocale.  Si  nous  trouvons  un  étranger,  l'italien  Siatini,  ìl  Torgue  de 
Téglise  Saìnte*Marie  de  Gopenbague,  nous  rencontrons  aussi,  dans 
la^  loSme  yiUe,  et  vera  la  wéme  date,  dea  organistea  nationaux,  par 
exemplcv  Laurent  Schr<Bder,  à  l'églisa  du  Saint-Esprit  U  est  l'au- 
teur  d'un  éloge  latin  de  la  musique,  Laus  musicae^  où  il  traite  la 
question,  còntroversée  Ih  comme  ailleurs,  de  la  oonvenànce  et  dea 
avantagea  de  l' introduction  de  la  musique  dans  le  seryice  divin. 
Sobattenberg  fut  attaché  à  l'église  Saint-Nicolas.  Gomme  compositeur 
on  lui  doit  les  Caniianes  saerae  quatuar  wcibus  decantando^  et  le 
JvbilìAS  8.  Bemhardi  de  nomine  Jesus  quaiuor  vocibus  decantaùis. 
Un  peu  postérieur,  le  fils'de  Laurent  Schroader,  Daniel,  atteignit  une 
brillante  réputation,  et,  doué  de  beaucoup  d'application  et  de  fecon- 
dile, remplit  asses  longtemps  l'emploi  d'organiate  k  Stralsund,  L'orgue 
nous  foumit  encore  le  nom  de  Bertholosius  qui  fit  tour  à  tour  partie 
de  la  maison  dea  rois  de  Pologne  et  de  Suède. 

La  seconde  partie  du  XVII«  aiècie  nous  présente  deux  bommes  qui 
cut  droit  à  une  mention  élogìeuse;  l'un  est  Saur  cu  Saurins»  né  & 
Eiel,  auteur  d'une  grande  cantate  pour  la  cérémonie  de  la  prestation 
du  serment  au  due  de  Holstein  ;  Taùtre  est  Fossius»  dont  le  livre 
manuserit  Jk  arte  musie<n  est  signalé  dans  la  Cimbria  Utterata  de 
Moller,  et  qui,  ayant  fait  ses  ótudes  à  l'Université  de  Gopenbague, 
longtemps  cantar^  puis  pasteur  dans  un  village,  publia  une  version 
du  Psautier  en  vers  danois,  sur  lesquela  il  avait  arrangé  dee  mélodies 
de  divers  compositeurs  allemands  connus,  comma  Erìeger  et  Ham- 
merscbmidt 


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UL  MU8XQUB  SCANDINAVS.  ATANT  LE  XO.  SI^CLB  106 

A  la  fiB  du  XVU*  siècle,  il  y  a  lieu  de  relever,  pour  la  Suède, 
le  Dom  de  Gustale  Daben,  présente,  dans  quelqttes  livrea,  comme 
€  l0  premier  compositeur  suédois  »,  —  le  premier,  da  moìns,  de 
ceux  qui  mériteut  réellement  ce  titre. 

D'autre  part,  en  Norvège,  c'est  à  ce  marne .  siede  que  remonte 
Texistenoe  des  <  musiciens  des  villes  »,  en  general  assez  médiocres, 
mais  dont  quelques-uns,  cependant,  ont  exercé  une  action  utile  sur 
le  déreloppement  d'un  art  musical  encore  dans  Tenfance.  Ce  fut  seu- 
lement  à  la  fin  du  siòcle  suivant  que  Fon  decida  d'attrìbuer  de  pré- 
férence  ces  postes,  comme  garantìe  d'instruction  et  de  ménte,  à  des 
membres  de  la  Chapelle  Royale  (de  Danemark). 

L'aptitude  à.  Térudition  et  à  la  crìtique  a  toujoura  été  Tun  des 
apanages  des  peuples  du  Nord.  Danois,  Norvégiens  et  Suédois  mon- 
trèrent  de  benne  heure,  à  cet  ^gard,  une  grande  puissance  de  trayail 
et  de  compréhension,  analogue  à  celle  que,  dans  un  précédent  ou- 
vrage,  nous  avons  eu  à  vanter  ches  les  adeptes  germanìques  de  Tart 
musical.  Ces  capacités  du  lettre  et  du  savant  appartenaient  au  plus 
haut  point  à  Sartorius,  bumaniste  et  poète,  qui  parait  Stre  l'autcur 
d'olì  £!neomum  firnsicae^  que  Mattheson  a  loué  pour  les  vastes  con-  » 
naissances  dont  il  témoigne,  aussi  bien  que  pour  l'élégance  sobre  et 
ch&tìée  de  la  forme  latine  aous  laquelle  il  est  traité.  Cet  ouvrage 
sert  en  quelque  sorte  de  préface  à  un  curieux  écrit,  destine  à  retracer, 
sous  le  voile  de  l'allégorie,  la  ìutte  entre  le  plain-chant  et  le  cbant 
figure.  L'armée  du  cbant  figure  est  censée  avoir  pour  conducteur  et 
poor  commandant  Orphée  en  personne,  ayant  sous  ses  ordres,  en 
guise  de  guerriers,  les  chan^urs,  les  joueurs  de  flfite,  les  organistes, 
le  violonistea.  —  Sartorius  n'était  pas  seulement  un  littérateur  et 
un  tbéorìcìen.  Pourvu,  ^mme  musicien  pratique,  d'une  solide  ins« 
tructìon,  il  avait  été,  à  dix  ans,  enfant  de  cboeur  dans  la  Cbapelle 
du  due  de  Qottorp.  Il  a  écrit  des  oanons  extrémement  bien  faits. 
*  Coniar  et  professeur,  il  obtenait  d'excellents  resultata  par  la  qualité 
rare  des  cbodurs  qu'il  dirigeait,  et  qu'il  avait  babilement  fafonnés. 

A  l'ordre  de  la  littérature  musicale  se  rapportent  quelques-uns  des 
travaux  du  jésuite  suédois  Biedermann,  qui  alla  enseigner  la  théo- 
logie  à  Bome,  où  il  mourut*  Il  est  l'auteur  de  l'ouvrage,  au  titre 
piquant,  appelé:  Utopia,  mu  Sahs  musici^  quibus  ladicra  mixtim 
e<  seria  dmarraniur. 


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106  '  MEMORIE 

Nous  avoDS  ailleurs  mentioDoé  Meibomius,  figure  originale,  yrai 
type  de  savant,  non  exempt  de  rudesse  et  de  pédantisme,  tei  que 
pouvait  le  concevoir  le  siècle  de  Vadius.  Meibomius  appartient  à 
Doke  sujet  actuel,  puìsqu'il  était  né  en  Sleswig  et  qu'il  fut  attaché 
à  la  reine  de  Suède,  puis  au  roi  de  Danemark  Frédérìc  IH.  La  rare 
valeur  de  pbilologue  de  Meibomius,  sa  compétence  archéologique 
ne  sauraient  étre  contestées.  Mais  11  portait  dans  la  polémique  des 
habitudes  fàcheuses  de  violence  et  de  grossièreté.  G*est  à  Faide  de 
ces  procédés  qu'il  soutint  la  discussion  engagée  au  sujet  du  seni  de 
ses  ouvrages  qui  ait  été  publié  à  Copenh^ue,  le  De  Proportionibus 
dialogus^  entretien  dont  les  itfterlocuteurs  imaginaires  ne  sont  pas 
moins  qu'Archimède,  Apollonius,  Théon  d'Alexandrie,  etc.  Un  des 
vérìtables  services  que  Meibomius  rendit  à  la  science  fut  la  publi- 
cation  du  texte  de  sept  auteurs  antiques  qui  ont  traité  de  la  mu- 
sique:  Aristoxène,  Euclide,  Nicomaque,  Alypius,  Gaudence,  Bacchius 
TAncien  et  Aristide  Quintilien.  —  Nous  aurons  Toccasion,  dans  notre 
Histoìre,  en  piféparation,  de  la  musique  italienne,  de  parler  du  Sa- 
tyricon  de  Martianus  Capella.  Le  neuvième  livre,  relatif  à  la  mu- 
*  sique,  de  cet  ouvrage,  est  joint  par  Meibomius  aux  sept  traités, 
complets  ou  fragmentaires,  qu'il  èdita  ou  restitua,  en  les  enrichis- 
sant  d'un  commentaire  où  la  conjecture  un  peu  libre  a  parfois  trop 
de  part.  Ce  travail  important,  imprimé  en  Hollande,  était  dédié  à  la 
reine  Christine,  qui  attira  l'auteur  et  le  pensionna.  Ce  fut  à  la  Cour 
de  cotte  princesse  que  lui  advint  une  mésarenture,  dont  Tinstigateur 
était  le  médecin  Bourdelot.  Celui-ci  suggéra  à  la  souveraine  l'idée 
de  faire  chanter  par  Meibomius  un  morceau  d'ancienne  musique 
grecque,  en  présence  des  courtisans.  On  peut  juger  du  succès  de 
cotte  tentativo,  rendue  plus  comique  par  la  lourdeur  et  le  défaut 
de  justesse  de  la  voix  de  l'helléniste.  Il  sut  d'où  partait  le  coup,  et 
se  vengea  en  soufBetant  le  malicieux  médecin. 

Nous  ne  quitterons  pas  Meibomius  sans  rappeler  les  notes  qu'il 
fournit  à  une  édition  de  Vitruve  donneo  par  un  autre  érudit.  Il  s'j 
rencontre  des  indications  excellentes  sur  la  musique  antique.  La  sa- 
gacité  de  notre  auteur,  en  particulier,  s'y  est  exercée  sur  la  fameuse 
description  de  l'orgue  hydrauliquoi  qui,  par  ses  obscurités  et  ses 
énigmes,  a  mis  à  la  torture  plusieurs  générations  d'exégètes. 

La  Finlande  était  encore  suédoise  lorsque  la  ville  d'Abo,  sa  ca- 


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LA  MUSIQUE  SCANDINAVE  AVANT   LE  XIX  SIÈCLE   '  107 

pitale  en  ce  temps-là,  eut  pour  évéque  Jean  Gezelius,  très  ?ersé  dans 
la  connaissance  de  Tantiquité,  et  qui  a  touché  à  la  musique  dans  son 
Encychpaedia  synopiica  ex  opiimis  et  accuratìssimis  Philosophis 
coUecta.  ~-  Scbiebel,  poète  et  musicien,  recteur  et  cantor  à  Batz- 
bonrg,  en  Danemark,  fot  liauteur  d'un  livre  d'allure  plus  légère,  les 
MerveilUs  curietises  que  la  nature  exerce  par  des  sons  harmonieux 
sur  Thomme,  les  animaux^  etc.  —  Nous  citerons,  toujours  dans  le 
méme  ordre  d'idées,  la  dissertatìon  du  suédois  Samuel  Lychor,  Dispu- 
tatto  de  intendendis  sonis.  —  Un  autre  suédois  soutint  à  TUniversité 
d'Àbo  une  thèse  De  tisu  arganorum  in  templis,  —  La  thèse  d*01aus 
Betzel  De  tactu  musico  est  un  peu  postérieure.  —  Un  excellent  livre, 
Orchestra,  seu  de  saltationibus  veterum^  plein  d'aper9us  judicieux 
sur  les  danses  des  anciens  et  la  rausique  dont  elles  étaient  accompa- 
gnées,  fut  Toeuvre  de  Bìllberg  qui,  après  avoir  professe  les  mathéma- 
tiques  à  Upsal,  se  fit  receyoir  docteur  en  théologie  et  devint  évéque 
de  Stroegnces  en  Suède.  —  L'ouvrage  du  danois  Gaspard  Bartholin, 
fils  de  Thomas  Bartholin,  illustre  médecin  du  roi  de  Danemark,  le 
De  tibiis  veterum  et  earum  usu,  ne  brille  point  par  la  méme  su- 
pérìorité  dans  le  sentiment  critique,  mais  il  témoigne  de  très  vastes 
lectures.  L'auteur  d'ailleurs  le  composa  à  vingt-deux  ans:  il  se  voua 
par  la  suite  à  des  recherches  d'anatomie  et  de  science  medicale.  — 
A  titre  de  curiosité  nous  ferons  une  petite  place  à  la  dissertation 
latine  d'un  antiquaire  norvégien,  Sperling,  sur  une  monnaìe  de  l'im- 
pératrice Tranquillina,  femme  de  Gordien  III.  La  descriptiob  du  revers 
de  cette  médaille  est  pour  cet  érudit  un  prétexte  à  donner  d'inté- 
ressants  détails  sur  la  lyre  des  anciens  et  sur  les  rivalìtés  qui  se 
produisirent,  dans  l'antiquité,  entro  les  virtuoses  sur  les  instruments 
à  cordes  et  les  joueurs  de  flùte. 

Yers  la  fin  du  XYIP  siede,  nous  rencontrons  un  savant  danois, 
Schacht,  dont  l'activité  fut  multiple,  et  qui  mena  une  vie  assez 
aventureuse.  Ses  études  l'avaient  conduit  à  Leipzig,  à  léna,  à  Franc- 
fort.  Il  babita  ensuite  ITpsal  et  Yiborg.  Il  séjourna  successivement 
à  Dantzick,  à  Eoenigsberg,  à  Copenhague,  dans  les  Pays-Bas,  avant 
de  se  fixer  en  Finlande,  où  il  remplit  les  fonctions  de  cantor  et  de 
professQur.  Quand  il  mourut,  en  1700,  il  était  recteur  à  Kierteminde, 
en  Danemark.  Farmi  ses  ouvrages,  demeurés  manuscrits,  figurent 
diverses  compositions  musicales,  et  un  lexique  de  musique,  suivi 
d'un  traité  de  cet  art,  en  langue  latine. 


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108  MEMORIE 

La  littérature  musicale  de  toos  les  pays  contient  quelque  disser- 
tation  snr  Tapplication  de  la  masique,  comme  procède  thérapeutique, 
aax  personnes  qui  ont  été  piquées  de  la  tarentule.  La  Scandinavie 
ne  fait  pas  exceptìon  à  cette  règie.  Un  médecin  de  Copenhague,  Jean 
MuUer,  publia  en  1679  un  in-quarto  sur  ce  sujeti  intitulé:  De  ta- 
renttila^  et  vi  musicae  in  ^us  curatione. 

.  Pour  compléter  ces  indications  sur  la  contribution  des  Scandinaves 
i,  TcBUvre  de  la  théorie  et  de  Térudìtion,  nous  n'avons  plus  à  signaler 
que  la  coUaboration  de  Bellmann  et  de  Oeorge  Wallerius,  suédoìs 
l'un  et  Tautre,  pour  Topuscule  imprimé  à  Upsal  sous  ce  titre:  De 
antiqua  et  medii  aevi  musica. 

En  dehors  de  ce  qui  se  rapporto  à  Torgue,  nous  n'avons  eu  jusqu'à 
préseut  rien  à  dire  de  la  musique  instrumentale.  Observons  que  ce 
fut  une  anglaise,  Arabella  Hunt,  morte  en  1705,  et  dont  Congrève 
a  célèbre  les  talents,  que  Ton  fit  venir  pour  enseigner  l'art  de  jouer 
du  lutb  à  la  princesse  Anne  de  Danemark. 


Chapitre  il  * 

Le  XVin<'  siede. 

Le  XVIII<»  siede  a  été  pour  la  musique,  un  peu  partout,  une 
epoque  de  croissance  rapide,  de  riche  développement*  poussé  dans  tous 
les  sens.  On  sait  notamment  ce  qu'il  produisit  en  Allemagne,  les 
changements  que  determina  dans  l'aspect  de  l'art  la  venne  d'bommes 
tels  que  Bach,  Haydn,  Mozart  et  Beethoven,  —  pour  tonte  une  paride 
de  sa  carrière.  Constitution  decisive  de  l'originalité  germanique  dans 
l'invention,  immenses  acquisitions  dans  le  domaine  de  la  tecbnique, 
téls  sont  les  deux  caractères  principaux  de  revolution  musicale  en 
Allemagne  au  XVIIP  siede.  —  Cependant  l'Italie  poursuivait,  sur- 
tout  dans  le  genre  dramatique,  l'eclatante  carrière  commencée  aux 
siècles  précédents,  et  la  Franco  prenait  peu  à  peu  un  rang  élevé 
parmi  les  nations  véritablement  musiciennes. 

Dans  Iqs  pays .  scandinaves,  ce  XYIII*  siede,  ailleurs  si^fécond, 
ne  fut  guère  encore  qu'une  ère  de  recueillement  et  d'étude,  où  8*ac- 
crut  le  dépOt  de  la  science,  où  se  répandit  et  se  fortifia  la  connais- 


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LA  MUSIQUX  SCANDINAVE  AVANT  LS  XIX  SINGLE  •  lOd 

sance  dn  métier,  où  se  prepara,  en  un  mot,  Tétat  de  choses  qui  de- 
yait,  dans  notre  sìècle,  condaire  les  compositenrs  dn  Nord,  ayani 
pris  enfin  conscìence  de  lenr  originalité  nationale,  à  donner  an  monde 
des  (Bnvres  d'nn  relief  distinct  et  d'nne  savenr  speciale.  Nons  n'al- 
lons,  pour  le  moment,  rencontrer  sur  notre  ronte  qne  les  noms  de 
travaillenrs  asses  obscnrs.  Ils  marqnent  dn  moins  les  étapes  d'nne 
ronte  ascensionnelle;  c'est  gr&ce  à  lenrs  efforts  prolongés  qne  ces  ré- 
gions,  sltnées  ani  extrémités  de  1*  Europe,  ont  été  progressivement 
mises  an  point  de  participer  avec  snccès  ani  manifestations  de  la 
vie  musicale. 

L'autonomie  artistiqne  n'étant  pas  jnsqne  là,  dans  ces  contrées, 
décidément  constitnéee,  Tétranger,  Italien  on  AUemand,  était  encore 
assez  firéqnemment  appelé  à  y  occuper  la  sitnation  de  maitre.  C'est 
ainsi  qne,  dans  le  premier  qnart  dn  siècle,  la  Chapelle  dn  roi,  en 
Danemark,  fnt  dirigée  par  un  habile  mnsicien,  Bernardi,  qui  arri- 
vait  dn  pays  des  Scarlatti  et  des  Marcello.  En  revanche,  la  muse 
nationale  apparaissait,  sinon  comme  fort  inspirée,  dn  moins  comme 
régulièrement  cnltivée  avec  des  compositeurs  tels  qne  Thilo.  Plus  tard, 
nous  tronvons  les  gracienses  pièces  de  clavecin,  conrtes,  mais  d'un 
tour  élégant  et  délicat,  de  Musaens,  anteur  dn  'Divertimento  musico 
(r  italien  prévalait  dans  les  titres,  comme  il  est  reste  usité  ponr  la  de- 
signation  mdme  dn  genre  des  morceanx,  allegro,  schermo  ou  andante)^ 
en  Térìtable  homme  dn  Nord,  consciencienx  et  réfléchi,  Mnsaeus  se 
croit  obligé  de  démontrer  dand  une  préface  les  inflnences  des  étndes 
mnsicales  sur  le  bon  equilibro  de  Vime,  D'antre  part,  Niels  Bredal, 
d'abord  investi  de  fonctìons  pnbliques  en  Norvège,  puis  établi  à 
Copenhague,  écrivait  des  pièces  vocales  assez  agréables  et  ingénieuses, 
sons  des  appellations  qui  sont  bien  caractéristiques  du  temps:  le 
Berger  irrésolu,  ìe  Solitaire,  le  Secruteur  heureux^  etc.  C'est  à 
peu  près  yers  la  mSme  date  qu*un  antro  danois,  Bein,  d'Altona, 
8'exer9ait  dans  le  genre  sevère  .dn  choral  à  quatre  parties. 

On  se  rappelle  encore  quel  snccès  obtinrent,  à  TExposition  de 
1889  (et  ce  snccès  s'est  renouvelé  à  celle  de  1900),  les  merveilleuses 
fafences,  d*nn  décor  tout  ensemble  si  riche  et  si  sobre,  de  la  manu- 
facture  royale  de  Gopenbagne.  Un  des  directenrs,  an  XYIII*  sìècle, 
de  cet  établissement  si  remarqnable  par  la  qualité  rare  et  fine, 
hauteroent  artistiqne,  de  ses  produits,  fnt  un  amateur  fort  distingue 


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110  MEMORIE 

de  musique.  Il  se  Dommait  GroeDland.  Aìmable  et  instruìt,  il  écrìvìt 
pour  le  piano,  et  mit  en  musique  des  poésies  allemandes.  Il  fut  aussi 
le  collaborateur,  au  moins  occasionnel,  de  Cramer  pour  la  rédaction 
de  son  Magasin  de  musique. 

Ed  Suède,  dès  la  première  moitié  du  siècle,  nous  avons  à  men- 
tionner  Johan  Agrell,  compositeur  très  estimé  en  Allemagne,  où 
Ton  fit  plusieurs  éditions  de  ses  ceuvres,  —  et  un  élève  de  Hàndel, 
Bohmann  cu  Roman  qui,  se  conformant  à  des  habitudes  alors  assez 
fréqifentes,  italianisa  son  nom  en  se  faisant  appeler  Romano,  et  qui 
fut  à  la  téte  de  la  Cbapelle  du  roi.  Il  est  assez  ìntéressant  de  noter 
qu'il  donna  des  concerts  publics  à  Stockholm.  A  ses  aptitudes  de 
cbef  d'orchestre  il  joignait  celles  de  compositeur.  Ses  sonates  pour 
deux  flùtes  avec  basse  continue  ont  de  la  valeur;  un  des  recueils 
qu'il  composa  dans  ce  genre,  imprimé  à  Amsterdam,  porte  la  marque 
de  cette  célèbre  maison  Roger  dont,  autre  part,  nous  avons  signalé 
rimportance.  Il  s'appliqua  également  à  la  musique  religieuse. 

Organistes  aussi  bien  qu'auteurs  d'ouvrages  théoriques,  les  suédois 
Zettrin  et  Zellbell  ont  aussi  le  droit  de  n'étre  point  passés  sous  si- 
lence.  Le  demier  fut  le  fondateur  de  la  Société  d'harmonie,  et  l'in- 
stigateur  des  concerts  publics  donnés  au  Palais  de  la  Noblesse.  Ce 
fut  là  que,  plus  tard,  on  exécuta,  un  vendredi  saint,  la  Création  de 
Haydn,  avec  tant  de  succès,  que  Touvrage  dut,  depuis,  étre  joué, 
à  la  méme  date,  chaque  année,  attirant  successivement  des  milliers 
d'auditeurs.  Zellbell  vécut  en  partie  sous  le  règne  d'Adolphe  Fré- 
dérìc,  grand  amateur  de  musique,  et  lui-m§me  violoncelliste  habile, 
tandis  que  la  reine  sa  femme  était  une  claveciniste  passionnée. 

Le  nom  de  Philippe-Emmanuel  Bach  se  rattache,  d'une  fafon  in- 
directe,  à  Thistoire  de  la  musique  danoise,  ce  maitre  ayant  donne 
des  conseils  à  Niels  Schioerring,  attaché  un  moment  au  personnel 
musical  de  la  Cour  de  Copenhague.  Ce  dernier  publia  un  choix  de 
cantiques,  avec  basse  continue,  en  langue  danoise.  Il  avait  projeté 
un  travail  analogue,  plus  general  et  plus  considérable,  pour  les  can- 
tiques en  langue  allemande.  Il  avait,  à  cet  effet,  rassemblé  tout  une 
bibliothèque  d'anciens  livres,  depuis  le  temps  de  la  Réforme.  Em- 
manuel Bach  eut  entre  les  mains  le  manuscrit  de  ce  volomineux 
recueil,  et  y  ajouta  la  basse  chiffrée  pour  Taccompagnement.  Cette 
entreprise  méritoire,  d'ailleurs,  n'aboutit  point,  car,  pour  prendre 


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LA  MUSIQUE  SCANDIIVAVE   ATA  NT  LB  XIX  SIÈGLE  111 

lexpression  de  Victor  Hugo,  «  la  fin  de  l'auteur  arriva  avant  la  fin 
da  lÌYre  ». 

Laborieox  et  ìntellìgent,  Schioerring  avait  forme  une  coUectìon 
iconographìque  curìeuse,  comprenant  les  portraits  de  1200  musiciens 
plns  ou  rooins  illustres.  Cette  sorte  de  petit  musée  a  subsisté.  Il  n'en 
fat  malheureusement  pas  de  mème  de  son  importante  bibliothèque, 
qui,  indépendamment  des  documenta  relatifs  à  Tbistoire  et  à  la  tra- 
dition  da  chant  choral  religieux,  présentait  un  ensemble  précieux 
d*ouvrages  musicaux  de  tout  ordre,  anxquels  étaient  jointes  beau- 
coup  d'oeuvres  se  rapportant  à  la  théorie  et  à  toutes  les  branches 
de  la  littérature  technique.  Schioerring  était  demeuré  usufruitier  du 
tout,  mais  en  en  cédant  la  propriété  au  rei  de  Danemark;  on  sait 
que  la  dynastie  nationale  a  toujours  été  très  soucieuse  d*accroìtre 
ainsì  le  trésor,  de  ses  richesses  scientifiques  et  artistiques,  mis  libé- 
ralement  à  la  disposition  du  public.  Un  incendio  anéantit  ce  dépdt 
d*une  yaleur  capitale,  grossi  pendant  la  vie  entière  d'un  homme  de 
grand  savoir  et  de  rare  compétence. 

La  deuxième  moitié  du  siècle  nous  présente,  en  Suède,  un  homme 
qui  n'est  mort  que  dans  le  ndtre,  Haeffner,  d'origine  allemande,  mais 
devenu  par  adoption  un  suédois  véritable,  et  qui,  à  toutes  sortes  de 
points  de  vue,  mèrito  Tattention  de  l'historien.  Lui  aussi  comprit 
tout  rintéret  de  Tancienne  musique  chorale  religieuse;  il  s'effor9a 
de  la  restituei;  dans  sa  pureté,  avec  tonte  sa  forte  physionomie,  en 
supprìmant  les  altérations  que  des  réformes  mal  comprìses  auraient 
pù  y  ìntroduire.  Gomme  il  arrivo  généralement  à  ceux  qui  se  livrent 
à  de  semblables  tentatives,  il  eut  à  lutter  contro  Topposition  inin- 
telligente des  simples  empiristes.  Organistes  et  chantres  se  soucièrent 
peu  de  rompre  avec  des  habitudes,  prises  à  tort  sans  doute,  mais  déjà 
couvertes  par  une  prescription  quasi-séculaire.  Peut-étre  Haefifner  ne 
déploya-t-il  point  tonte  la  patience  et  tonte  la  modération  désirables 
dans  les  discussions  quii  eut  à  soutenir  à  ce  propos.  On  doit,  en  tout 
cas,  lui  savoir  grò  d'avoir,  Tun  des  premiers  peut-étre,  senti  la  ne- 
cessitò de  {aire  ressortir,  en  musique,  le  cachet  national.  Ce  ne  fut 
pas  seulement  dans  le  genre  religieux  qu'il  porta  cette  préoccupa- 
tioii.  Il  s'occupa  aussi  à  recueillir  les  vieux  aìrs  transmis  par  la 
tradition,  et,  en  les  publiant,  il  consulta  avec  tact  et  respecta  avec 
goàt  la  tonalité  primitive  dans  laquelle  ils  étaient  con9us. 


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112  mxmoriIe 

San»  parler  de  ses  cotnpositions  d'église  —  son  office  snédois  à  qaatre 
Yoix  avec  orgue,  d'un  grand  caractère,  et  ses  préludes  d'orgtie  poar 
les  pièces  da  choral  —  Hsfiher  a  montré  la  vìgnenr  de  son  vìvention 
et  la  finesse  de  son  sentiment  artistique  dans  les  mélodies  qu'  il 
écrìyit  sur  des  textes  popniaires  en  langne  snédoise.  11  y  a  du  ine- 
rite dans  les  nombreux  morceanx  quMl  composa  ponr  les  cérémonies 
académiques  de  rUniversité  d'Upsal,  où  il  remplit  les  fonctions  de 
Direetùr  Musices.  Il  y  introduisit  Tusagta  da  chosar  à  qaatre  yoix 
d'hommes.  Lui-mème  composa  dans  cotte  forme  plusiears  pitees, 
sortes  de  €  marches  »  d'un  style  grandiose,  chantées  encore  aujour- 
d'hni  par  les  étadiants  dans  certaines  solennités.  Plasìears  mélodies 
nationales  farent  arrangées  par  Ini  en  qaatuors  vocaux.  —  A  I|i  ca- 
thédrale  d'Upsal  il  se  montra  organiste  des  plus  capables.  Ilavait, 
à  cet  égard,  lors  de  ses  études  poursuivies  en  pays  germanique,  re^u 
les  lejons-  de  Thabile  Vierling.  Correctear  d'épreuves,  à  Leipzig,  pour 
la  maison  Breitkopf,  il  arait,  dans  sa  jeunesse,  acquis,  en  tes  mo- 
destes  travaui,  une  peu  ordinaire  sdreté  de  coup  d*csil  et  de  main. 

Hseffner  fut  très  en  favear  auprès  de  Gustave  III,  le  prìnce  que 
les  historiens  suédois  ont  surnoromé  «  le  roi  charmeur  ».  Son  règne 
fut,  nous  dit-on,  une  '<  epoque  joyeuse  »,  un  temps  où  se  renouve- 
laient  sans  cesse  les  partìes  de  plaisìrs,  les  festins,  les  <  courses  en 
bateau  »,  les  bals.  Ami  des  arts,  Gustave  III  fonda  TAcadémie 
Boyale  de  Musique.  Il  s'intéressait  beaucoup  au  théMre,  et  particu- 
lièrement  au  théfttre  musical.  Il  fit  le  pian  d'un  opera,  Thétis  et 
Pélée^  dont  le  texte  fiit  écrit  par  Wellander,  ainsi  que  d'un  Qmtive 
Vasa^  qui,  avec  la  musique  de  Naumann,  fut  jòué  prfes  de  deux 
cents  fois. 

G'est  sur  Tordre  de  ce  mdme  souverain  que  fut  élevé  le  bfttlment 
de  ropéra,  inaugurò  en  1782  et  sur  la  scène  duquel  le  roi  lui*mème 
devait,  dix  ans  plus  tard,  tomber  sous  la  balle  d'Ankastroem.  Gotte 
salle,  avec  quelques  changements  peu  importants,  a  servi  jusqu'  à 
l'année  1891,  date  à  laquelle  a  été  livré  au  public  le  beau  monu- 
ment  nouveau  dont  nous  anrons  à  parler  plus  tard. 

Gustave  III  fit  de  H^ffner  son  maitre  de  chapelle.  Celuinsi,  que 
sa  carrière  d'abord  ambulante  d'accompagnateur  et  de  chef  d'orchestre 
avait  familiarìsé  avec  la  musique  dramatique,  s'est  adonné  aussi  à  ce 
genre.  Il  a  fait  représenter  à  Stockbolm  trois  opéras,  des  premiers 


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ì.\   MUSIQLE   SGANOINATK   ATANT    LE   XIX  SIÈCLE  113 

sansdoute  qai  aient  été  spécialement  écrits  poar  cette  destination, 
Electre^  Alcide,  Renaud.  Leur  musiqoe,  de  structnre  sérieuse  et  forte, 
trahiBsait  peut-Stre  trop  exclasiyement  la  préoccupation  de  se  régler 
sur  le  modèle  de  Oloek. 

Au  règne  de  Gustave  III  se  rattache  le  souvenir  d'un  artiste  qoe 
quelqaes  critìques  n'ont  pas  hésité  k  qualifier  de  génial,  Cari-Michael 
Bellmaii,  «  chanteur  ou  plutdt  improvisatenr  »,  poète  et  masicìen, 
mais  musicien  sMnspirant  pour  ses  mélodies  de  la  musique  en  son 
temps  courante  <  sur  la  scène,  à  Téglise,  au  foyer  ».  Entro  cette 
musique  et  les  paroles  de  ses  poèmes  il  y  a  une  adaptation  si  par- 
faite,  que  poesie  et  chant,  désormais  inséparables,  sont,  sous  la  forme 
qu  il  leur  avait  donneo,  demeurés  durablement  populaires. 

Pnisque  nous  parlions  à  Tinstant  de*  théàtre,  il  n'est  point  hors 
de  propos  de  signaler  les  artiste's  de  chant  que  produisit,  au  XYIII* 
-  siècle,  un  pays  qui  devait  plus  tard  étre  colui  des  Lind  et  des  Nilsson. 
À  Trai  dire,  nous  ne  pouvons  tirer  de  Toubli  que  deux  noms,  Tun 
et  Tautre  appartenant  à  la  dernière  partie  de  cette  periodo.  Le  pre- 
mier est  colui  de  rexcellent  ténor  Earsten  qui  remporta  de  vifs  succès 
en  Angleterre.  Très  complet,  il  ne  brillait  pas  moins  par  la  rare 
élégance  de  son  allure  en  scène  et  par  ses  talents  d'acteur  consommé 
que  par  son  éminent  mèrito  vocal.  Des  études  patientes  avaient  per- 
fectionné  son  organo,  très  sonore  et  très  souple.  II  a  laissé  une  fille, 
qui  a,^à  un  degré  moindre,  marqué  sa  trace  dans  les  annales  de 
Tari,  et  que  les  plus  àgés  de  nos  contemporains,  ceux  du  moins  qui 
ont  pu  visitor  rAUemagne  ib  y  a  une  cinquantaine  d'années,  auraient 
eu  encore  Toccasion  d'entendre. 

L'autre  nom  est  colui  d'une  cantatrice,  Elisabeth  Olin,  qui  fit 
quelque  temps  les  beaux  jours,  ou  plutdt  les  beaux  soirs,  de  l'Opera 
de  Stockbolm.  Elle  réussit  notamment  dans  un  gracieux  ouvrage, 
Cora,  du  maitre  allemand  Naumann,  compositeur  dont  les  réels  me- 
rites  furent  rejetés  dans  Tombre,  par  les  succès  du  répertoire,  plus 
vivace,  plus  robuste  et  généreux,  de  Mozart. 

Nous  avons,  en  de  précédents  cuvrages,  insistè  sur  V  importance 
des  progrès  de  la  lutherie,  envisagés  dans  leurs  rapports  avec  l'evo* 
lution  memo  de  l'ari  Pour  ce  qui  regarde  les  instruments  à  archet, 
les  trois  royaumes  du  Noitl  n'ont  pas  à  revendiquèr  la  gioire,  réservée 
à  d'autres  pays,   d'une  fabrication  caractérisée  et  originale.  Il  n'en 

R$9itta  mutieal»  italiana ^  Vili  <  8 


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114  '  MEMORIE 

est  pas  tout  à  fait  de  méme  en  ce  qui  concerne  les  instruments  à 
clavier.  Dans  ce  genre  Vhistoire  artistique  suédoise  nous  présente 
Nicolas  Brelin.  Il  avait  imaginé,  pour  le  clavecin,  des  améliorations 
notables,  mais  qui  se  trouvèrent  sans  objet  par  suite  de  Texpansion 
du  piano  au  détriment  de  V  instrument  rivai.  Les  idées  de  Brelin, 
exposées  par  lui  dans  un  mémoire,  ont  attiré  Vattention  d*un  homme 
aussi  avisé  et  aussi  pénétrant  que  Marpurg,  qui  méme  a  traduit  une 
partie  de  cet  essai.  Nicolas  Brelin  avait  cotte  étendue  d'esprit  que 
peut  donner  une  vie  incidentée  durant  laquelle  Tactivité  mentale 
prend  successivement  des  formes  multiples.  Il  est  assez  remarquable 
que  le  méme  personnage  ait  été  tour  à  tour  jurìsconsulte  et  luthier, 
soldat  prussien  et  théologien,  voyageur  par  aventure  et  artisan  par 
•  necessitò.  Cotte  diversité  d'eipériences,  funeste  pour  une  intelligence 
débile,  est  salutaire  à  un  cerveau  vigoureux  et  résistant  Admis  un 
peu  tardivement  dans  l'Académie  des  Sciences  de  Stockholm,  Brelin 
a  inséré  dans  les  Transactions  de  cette  institution  célèbre  des  pages 
qui  sont  aussi  remarquables  par  la  lucidité  des  aper9us  que  par  la 
rìgueur  de  la  méthode  et  de  Targumentation.  Ajoutons  que  chez  lui 
le  calcul  du  savant  se  doublait  d*un  très  sdr  instinct  de  praticien. 

L'inventeur  du  clavecin  royal  —  instrument  ^ingénieux  par  sa  ri- 
chesse  et  sa  variété  de  sonorité  —  Jungersen,  ne  doìt  pas  non  plus 
étre  omis.  Il  avait  d'abord  été  boulanger.  Il  arriva  à  entendre  son 
second  métier  non  d'après  les  règles  sommaires,  mais  en  théoricien 
éclairé,  comme  le  démontrèrent  les  articles  qu'il  fournit  à  la  Grtueiie 
musicale  de  Leipzig.  Clavecins  ou  pianos,  il  donna  des  modèles  d'une 
fabrication  très  soignée,  capable  de  soutenir  la  comparaison  avec  ce 
qui  se  produisait  ailleurs  de  plus  accompli. 

C'est  à  Thistoire,  malheureusement  trop  longue»  des  tentati ves  in- 
téressantes,  mais,  en  definitive,  avortées,  qu'appartient  Tessai  curieux 
de  Bieffelsen  pour  construire  un  instrument,  au  son  tout  ensemble 
très  plein  et  très  suave,  compose  d'un  système  de  diapasons,  mis  en 
vibration  par  un  archet,  mù  à  Faide  d'un  mécanisme  auquel  cor- 
respondaient  des  toucbes.  Ce  melodicon,  selon  le  nom  que  l'inventeur 
lui  donna,  ne  put,  en  dépit  de  perfectionnements  successifs,  étre  cor- 
rige de  défectuosités  inhérentes  à  sa  nature  méme  et  qui,  tout  compte 
fait,  le  rendaient,  pratiquement,  inutilisable. 

La  virtuosità  instrumentale  ne  fournit  point,  ici  comme  ailleurs, 


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LA   MliSIQUE  SCANDINAVE   ATANT   LB   XIX   SIÈCLB  115 

niatière  à  d' interminables  listes.  Elle  offre  néaninoins  roccasion  de 
réunir  certains  souvenìrs  et  de  grouper  quelques  noma.  Pour  Torgue, 
tout  d'abord,  nons  rencontrons  Berlin,  né  prussien,  mais  établi  long- 
temps  à  Copenhagae,  et  finalement  devenu,  pour  une  quarantaine 
d'années,  titulaire  du  grand  orgue  de  la  cathédrale  de  Drontheim, 
où  il  jouit  d'une  autorité  artistique  considérable.  De  ses  compositions, 
d*un  tour  solide  et  sérieux;  il  a  survécu  peu  de  chose.  On  lui  doit, 
dans  Vordre  didactique,  un  traité  élémentaire,  clair  et  bien  distribué, 
qu'il  rédigea  en  danois,  et  que  TAUemagne  apprécia  et  traduisit. 

Quant  à  Londicer,  il  avait  eu  dea  débuts  presque  prodigieux.  Ce 
fut  à  treize  ans  qu'il  devint,  à  Stockholm,  organiate  tout  à  la  foìs 
de  la  Cour  et  de  Téglise  Sainte -Marie  Madeleine.  Il  était,  à  cotte  ' 
date,  revenu  d'un  voyage  d'études  qu'on  Tavait,  en  le  subventionnant, 
envoyé  faire  à  Cassel.  Dès  Tàge  de  sept  ans,  il  avait  compose  et 
dédié  des  oeuvres  déjà  régulières  à  de  grands  personnages.  A  Téglìse 
S*-Jacques,  ses  improvisations  enfantines  avaient  été  quelque  temps 
l'objet  de  Tadmiration  generale.  Les  renseignements  font  défaut  sur 
la  suite  de  cotte  carrière  triomphalement  inaugur^e,  et  qui  ne  réa- 
lisa  pas  ce  qu'elle  annon9ait. 

En  passant  aux  instruments  à  cordes,  c'est  seulement  pour  mé- 
moire  que  nous  rappellerons  la  virtuosité  de  luthiste  que  déploya,  avec 
beaucoup  d'autres  aptitudes,  un  savant,  h  umaniste  et  musicien  suédois, 
Olaùs  Bergrot,  auteur  de  VExercitìum  academicum  insirumenta  mu- 
sica leniter  delineans,  titre  dont  le  latin,  comme  on  voit,  rappelle 
un  peu  colui  des  médecins  de  Molière,  —  Le  violon,  jusque  là,  dans 
ces  pays,  n'avait  pas  eu  de  destinées  particulièrement  brillantes.  Mais 
il  était  cultivé  avec  savoir  et  avec  gotìt  dans  les  orchestres.  Un  de 
ceux  qui  eurent,  à  cet  égard,  une  benne  influence  sur  le  maintien 
de  la  saine  tradition,  fut  le  danois  Lem,  qui  a  forme  beaucoup  d'élèves 
capables.  Le  concerto  de  lui  que  Ton  a  publié  à  Vienne  en  1785 
ne  révèle  pas  une  imagination  puissante,  mais  il  témoigne  d'une 
rare  connaissance  du  style  et  du  mécanisme  de  l'instrument,  et  des 
effets  que  l'on  en  peut  normalement  tirer.  Lem  avait  eu  pour  maitre 
un  allemand,  Hartmann,  établi  au  Danemark,  qui  a  beaucoup  com< 
pose  sur  des  paroles  danoises,  qui  a  méme  écrit  un  opera  sur  un 
sojet  de  mythologie  scandinave,  la  Mort  de  Balder,  et  à  qui  Meyer- 
beer»  comme  nous  l'avons  note  jadis,  a  emprunté  l'uno  des  mélodies 
de  son  Struensée. 


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116  ,  MEMORIE 

Si  Lem,  6D  tant  qoe  compositeury  ne  tira  point  un  profit  excep- 
tioDirel  des  enseignements  de  ce  Hartmann,  —  savant,  mais  peu  ori- 
ginai, et  simple  imitateur  de  Qlack,  ^  il  dnt  au  moins  au  coni- 
merce  avec  ce  musicien  solide,  imba  de  la  forte  culture  allemande, 
la  rectitude  de  son  sentiment  artistique,  le  caractère  sérieux  et  de- 
licat  de  son  exécution  qu'il  fit  apprécier  comme  violon  solo  des 
Concerts  de^  la  Cour.  Étant  donne  le  voisinage  immédiat  d'une  pe- 
pinière d*  instrumentistes  parfaits  telle  que  TAllemagne,  e*  était 
quelque  chose,  pour  un  pays  de  dimension,  jsorome  tonte,  exigué,  et 
de  population  peu  nombreuse,  de  pouvoir,  échappant  à  la  quasi  ine- 
yitable  infìltration  étrangère,  confier  de  pareilles  fonctions,  avec  une 
*  complète  convenance,  à  un  artiste  national. 

C'est  surtout  aussi  en  qualité  de  violoniste  qu*01aùs  Schall  ménte 
une  place  dans  la  nomenclature  des  musiciens  distingués  du  Dane* 
mark.  Gompositeur,  il  a,  vers  la  fin  du  siècle,  fait  représenter  des 
ballets  brìllants,  comme  Seyfried  et  ridale  de  Ceylan,  dont,  par 
une  exception  assez  rare,  la  partition  de  piano  existe.  Il  est  égale- 
ment  l'auteur  d'yn  opera  en  deux  actes,  la  Chanoine  de  MUan, 
Mais  ses  duos  de  violon  et  ses  concertos  pour  cet  instrument  peuvent 
peut-étre  passer  pour  ce  quii  a  écrit  de  meilleur.  Ses  Études  sont  d'un 
homme  qui  possédait  à'fond  la  technique.  11  forma  des  élèves  qui 
contribuèrent  h  maintenir  ou  à  élever  le  niveau  de  Texécution  dans 
la  Chapelle  Royale.  Sa  réputation  avait  dépassé  les  frontières  étroites 
de  sa  patrie.  On  le  connaissait  en  Allemagne,  où  il  s'était  fait  ap- 
plaudir dans  plusieurs  villes.  11  eut  d'ailleurs,  dans  ses  voyages, 
Toccasion  de  jouer  en  public,  non  sans  succès,  à  Paris  et  en  Italie. 
Le  roi,  en  lui  conférant  Tordre  national,  consacra  son  morite.  De 
tels  encouragements,  assez  peu  communs,  ailleurs,  avant  notre  epoque, 
n'ont  jamais  manqué  aux  artistes  danois,  selon  les  tendances  gène- 
reusement  libérales  d'un  gouvernement  porte,  en  tout,  à  favoriser 
les  talents. 

La  harpe  est  devenue,  de  notre  temps,  un  des  organes  intégr^nts 
de  Torchestre.  Jadìs  elle  n*apparaissait  guère  que  comme  instrument 
solo  de  concert  ou  de  salon.  Ce  que  sa  facture  dut,  dans  les  demières 
années  du  siècle,  aux  Krumpholz  et  aux  Sébastien  Erard,  nous  l'avons 
expliquó  dans  un  de  nos  précédente  livres.  Sur  la  harpe  antérleure- 
ment  en  usage,  d'un  maniement  plus  difficile  et  d'une  moindre  ri- 


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LA  MUSIQUE  SCANDINAVE  ATANT   LE   XIX  SIÌ:CLB  117 

chesse  de  ressourcee,  un  virtuose  allemand,  Eirchhoff,  avaìt  acquis 
une  extrème  habìleté.  Il  se  fixa  à  Gopenhague,  y  fut  attaché  à  la 
florissaute  Chapelle  da  Boi,  et  y  fit  un  fort  long  séjour,  coupé  seu- 
lement  par  une  excursion  artistique,  couronnée  de  succès,  en  Russie, 
où  Saint-Pétersbourg  commenfait  à  devenir  une  des^cités  les  plus 
musicales  de  l'Europe.^—  Kirchhoff  a  compose  pour  son  instrument 
des  roorceaux  non  dépourvus  de  mèrito. 

Plus  riche  encore  qu'au  siede  préeédent  est,  en  Suòde,  en  Dane- 
mark  et  en  Norvège,  la  littérature  speciale  se  rapportant  à  la  mu- 
sique,  à  son  bistoire,  à  sa  tbéorie  et  à  son  enseignement.  Farmi  les . 
ou^rages  ou  opuscules  purement  bistoriques,  nous  trouvons  tout  d'a- 
bord  le  livre  élémentaire,  en  suédois,  d' Orostander.  —  Niedt,  qui 
était  né  en  AUemagne  et  qui  avait  d'abord  rempli,  à  léna,  Us  fono- 
tions  de  notaire,  fit  ensnìte  à  Copenbague  une  vraie  carrière  de  coro- 
positeur  et  surtout  d*écrivain  didactique.  D'un  esprit  eajistique  et' 
agressif,  il  s'attira  d'ailleurs  plus  d'estimo  par  ses  connaissances  quo 
de  sympathie  par  son  caractère.  Il  y  a  de  l'adresse  et  du  talent  dans 
see  pièces  pour  hautbois  ou  violon,  mais  la  réputation  lui  vìnt  plutòt 
de  ses  écrìts,  bien  quo  ^n  A  B  0  mtisical,  à  Tusage  dei  instituteurs 
et  iies  étudiants,  denoto  une  certaìne  inoohérence.  Les  trois  parties 
de  son  traité  d' barmonie  et  de  composition  constituent  une  expo- 
sìtion  intégrale  de  la  science.  La  troisième  partie,  où  les  chapitres 
sur  le  contre-point  et  les  canons  sont  remarquables,  est  posthume, 
et  fut  mise  au  jour  par  Mattheson. 

Les  idées  de  Bameau  sur  la  basse  fondamentale  se  répandirent 
assez  vite  par  toute  l'Europe.  Un  suédois,  Lo&fgroen,  les  exposa  en 
latin  dans  une  thèse,  une  disputatio  academica^  soutenue  à  l'Uni- 
versité  d'Upsal  soos  ce  titre:  JDe  basso  fundamentali. 

C'est  un  peu  à  Tordre  des  amaieurs  qu'appartient  David  Eellner, 
qui  fut  ofQcier  daos  les  armées  suédoises,  qui  composa  un  traité  de 
droit  public,  et  qui  dirigea  la  partie  musicale  des  offices  à  l'église 
allemande  de  Stockbolm.  Ses  traités  de  basse  continue  et  d'harmonie 
ne  dépassent  guère  les  bornes  d'une  médiocrité  bonnéte. 

Il  en  est  tout  autrement  de  Chrétien  Frédérìc  Breitendicb,  qui, 
an  palaie  de  Christianborg,  fut  organiste  de  la  Chapelle  du  Boi,  et 
qui,  compositeur  laborieux  et  habile,  a  de  plus  laissé  deux  livres 
excellents,  VEssai  abrégé  pour  aequérir  soi-méme  en  peu  de  iemps 


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118  MEMORIE 

la  praiique  du  chant  choraly  etc.  et  Vlnstruction  sur  la  manière 
d'apprendre  soi-mème  Vharmonie  etc.  Od  volt  par  ces  intìtulés,  où 
il  est  question  de  s'assimiler  <  soi-méme  »  la  science,  que  ce  n'est 
pas  de  notre  temps  que  datent,  dans  les  titres,  les  promesses  ìlla- 
soìres  et  fallacieuses  sur  les  connaissances  à  acquérìr  <  avec  ou  sans 
maitre  ». 

Après  nous  étre  borné  à  citer  le  traité  du  cbant  de  Hansen,  nous 
passerons  à  une  autre  branche  d'écrits,  à  ceux  dans  lesquels  la  tbéorìe 
de  la  musique  est  envìsagée  par  les  points  où  elle  confine  à  celle 
de  Tacoustique,  à  la  physique  generale,  à  ce  que  les  Allemands  du 
temps  de  Schelling  et  de  Fichte  appelaient  la  philosophie  natureUe. 
En  cet  ordre  de  productions  les  travaux  d'Eric  Burman  valent  qu'on 
s'y  arréte  un  moment.  Sans  quitter  le  territoire  de  la  Suède,  il  y 
avait  fait,  en  diverses  localités  savantes,  des  études  fort  complètes, 
joignant  les  humanités  à  la  culture  des  sciences  exactes.  Les  beaux- 
arts  ne  lui  étaient  point  demeurés  étrangers.  Musicalement,  il  avait 
profité  des  excellents  enseignements  de  Zellinger,  maitre  de  chapelle 
distingue  de  la  cathédrale  d'Upsal.  Par  la  suite,  il  professa  les  ma- 
thématiques.  Ses  travaux  d'astronomie  lui  firent  un  nom  et  le  con- 
duisirent  à  la  Société  Royale  des  Sciences.  S'intéressant  à  la  musique 
dans  les  rapports  qu'elle  peut  offrir  avec  les  bautes  connaissances 
dont  il  s'était  fait  une  spécialité,  il  écrivit  en  latin  une  dissertation 
sur  la  Proportion  harmonique.  Mentionnons  également  son  De  laude 
musices.  Ce  fut  lui  qui  donna  le  sujet  et  determina  les  «  positions  » 
d'une  thèse  universitaire  soutenue  par  un  certain  Tobie  .Westenbladt 
et  publiée  sous  ce  titre  :  Specimen  academicum  de  Triade  harmonica, 
(Un  autre  De  triade  harmonica  fut  l'oeuvre  de  Westblad,  suédois, 
ou  plutòt,  issu  d'une  famille  israélite  fixée  en  Suède). 

Ce  qui  est  assez  remarquable  en  Barman,  et  ce  qui  prouve  une 
complexité  d'aptitudes  et  de  goùts  dont  il  serait  peu  aisé  de  trouver 
beaucoop  d'exemples,  c'est  que  ce  savant,  investi  de  dignités  péda- 
gogiques,  fut  en  méme  temps,  comme  directeur  de  la  musique  k  la 
cathédrale  d'Upsal,  le  successeur  de  son  maitre  Zellinger. 

Dans  la  serie  des  écrits  où  la  musique  est  plutdt  considérée  comme 
une  science  que  comme  un  art,  nous  avons  encore  à  citer  la  thèse 
latine  d'un  danois,  Jean  Hansen,  la  Disputatio  physica  de  sanorum 
quorumdam  in  chordis  conspiratìone  ad  principia  physicorum  expli- 


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LA   MUSIQUE   SCANDINAVE  AYANT    LE   XIX  SIÌSCLK  119 

caia.  On  voit  par  ce  titre  assez  pea  clair  qn'il  s'agissaìt  là  de  la 
questìoD,  si  mystérìeuse  jusqn'à  Helmboltz,  da  phénomèDe  des  har- 
moniques.  SìgnaloDS  eneore  le  De  horoìogiis  musieo-auiomatìs  du 
suédois  Asplind,  ainsi  que  la  thèse  de  sono  soutenue  par  un  étudiant 
d'Upsal,  Biberg,  sousla  présìdence  du  recteur  Samuel  Elingenstjerna. 
—  Un  académicien  de  Stockholm,  ScheSTer,  a  inséré  dans  les  mé- 
nioìres  de  la  compagnie  une  Gomparaison  tnathématiqfie  du  rapport 
des  sons  entre  eux,  —  Biese,  qui  eut  le  titre  de  valet  de  chambre 
du  roi  de  Danemark,  a  publié  un  traité  du  tempérament  musical, 
étudié  au  point  de  vue  de  Tacoustique  plutdt  que  de  la  masique 
proprement  dite.  —  Nordwall  s'est  occupé  de  la  vitesse  du  son,  dans 
rune  de  ces  nombreuses  thèses,  documentées  et  intéressantes,  que 
produisit  rUniversité  d'Opsal.  —  On  doit  quelques  savants  opuscules 
au  danois  Kratzenstein,  à  qui  une  invention  mécanique  assez  curieuse 
valut  un  prìx  de  TAcadémie  des  Sciences  de  Pétersbourg.  —  Tout 
à  la  fin  du  siècie,  nous  rencontrons  l'écrìt  plein  de  savoir,  la  Dis- 
sertano de  imagine  soni  seu  echo  que  coroposa  le  professeur  Nord- 
mark.  Nous  comprendrons  enfin  dans  cette  section  Tessai  de  Straeble 
sur  le  tempérament  et  Taccord  des  instruments  de  musique. 

A  Tordre  des  études  de  tour  historique  se  réfère  tonte  une  litté- 
rature  latine,  d'orìgine  universitaire,  dans  laquelle  nous  ferons  figurar 
la  Dissertano  de  primis  musicae  Inventoribus  d'un  professeur  pourvu 
lui-méme  d'un  nom  latin,  Arrhenius,  qui  occupa  la  chaire  d'hisfcoire 
à  Upsal.  Beaucoup  d'autres  travaux  se  rapportent  à  Texamen,  pour- 
suiyi  également  dans  la  docte  Allemagne  avec  tant  de  curiosité,  de 
diverses  questions  ayant  trait  à  la  musique  des  Hébreux  de  FAncien 
Testament.  G'est  ainsi  que  le  savant  orientaliste  des  TJniversités  d'Abo 
et  d'Upsal,  Daniel  Lund,  qui  finit  par  devenir  évèque  de  Strengnoes, 
écrivit  un  De  Musica  Hebraeorum  antiqua,  —  Bartholin,  mathé- 
maticien,  qui  fut  membro  du  Consistoire  de  Copenhague,  et  à  qui 
ses  Yoyages  chez  la  plupart  des  nations  cultivées  de  l'Europe  avaient 
contrìbué  à  ouvrir  l'esprit,  a  traité,  avec  une  érudition  qui  nous  parait 
quelque  peu  oìseuse,  des  effets  thérapeutiques  de  la  musique  sur  le 
roi  Saul.  —  Le  danois  Sonno  essaya  de  décrire  les  sonores  et  reten- 
tissantes  exécutions  musicales,  qui,  d'après  le  Livre  des  Bois  et  les 
Paralipomènes,  avaient  lieu  dans  le  tempie  de  Jérusalem.  —  Eilschow 
avait  entrepris  une  oeuvre  semblable,  qu'il  voulait  faire  très  complète. 


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120  MEMORIE 

Il  avait  annoDcé  une  sèrie  de  monograpbies  relati ves  aux  diversréié- 
-menta  de  la  muaique  religieuse,  vocale  et  instrumeotale,  dea  Juifs. 
Mais  il  ne  réalisa  pas  son  projet.  Il  s*eB  tint  à  un  essai  prélimi- 
naire  De  ehoro  antiquo  a  Davide  instiiuto  ut  tempio  inserviret. 
Des  sujets  d'un  intérét  plus  immédiat  et  plus  aisénient  perceptible 
occupaient  aussi  les  érudits  du  Nord.  Par  exemple,  toujours  avec 
Temploi  de  la  langue  latine,  nous  trouvons/  sur  les  destinées  de  la 
musique  religieuse  en  Suède,  la  trace  d*une  lecture  académìque  ini- 
portante,  dans  les  fastes  de  V  Université  de  Lunden.  Ce  travail  cons-' 
ciencieux  est  plein  de  curìeux  renseignements.  L'auteur  y  démontre 
que,  dans  Téglise  suédoise,  les  instruments  ont  été  de  tous  temps 
usités  pour  soutenir  les  voix,  méme  à  l'epoque  où  étaient  encore  en 
Jìonneur  les  hymnes  en  vieille  langue  gotbique.  —  Une  autre  dis- 
sertation  en  langue  yulgaire  et  ayant  pour  sujet  la  question,  si  fré- 
quemment  efBeuré  ou  approfondie,  de  Tintroduction  de  Torgué  dans 
l'office  ebrétien,  fut  l'oeuvre  du  tbéologien  Bbyzelius  qui,  après  avoir 
été  l'aumònier  de  Cbarles  XII,  devint  évéque  de  Lindkoeping.  — 
C'est  encore  l'orgue  qui  tient  la  place  principale  dans  le  livre  écrit 
en  suédois  par  Hulpbers,  de  Westeras,  qui  d'ailleurs  traite  sommai- 
rement  dans  cet  ouvrage  de  la  musique  en  general  et  des  différents 
instruments,  et  qui  termine  son  oeuvre  par  une  rapide  description 
des  orgues  les  plus  beaux  et  les  mieux  construits  de  la  Suède. 

Nous  avons,  dans  nos  études  antérieures,  rencontré  un  peu  partout, 
méme  en  Espagne,  des  ennemis  de  l'intervention  de  la  musique  dans 
l'église.  A  vrai  dire,  ce  que  les  adversaires  de  l'art  redoutaient,  c'était 
moins  son  empiei  que  ses  abus.  C'est  à  ce  point  de  vue,  non  exclusif, 
mais  sagement  restrictif,  que  se  place  l'évéque  de  (Jotbenburg,  Wallin, 
dans  son  écrit  :  De  Prudentia  in  caniionibus  ecclesiasticis  adhibenda. 
—  On  autre  membro  du  clergé,  de'rang  moins  éminent,  Lund,  qui 
avait  appris  la  tbéologie  à  Wittenberg,  la  ville  où  Hamlet  avait  fait 
ses  études,  et  qui  devint  diacre  à  Flensbourg,  s'est,  comme  le  pré- 
cédent,  servi  du  langage  des  bumanistes  pour  composer,  en  style 
cbàtié,  son  elegante  Oratio  de  requisitis  bonae  cantoria. 

Des  considórations  d'ordre  moins  étroit  étaient  aussi  parfois  TcBUvre 
des  latinistes.  En  ce  sens,  nous  citerons  la  dissertation  de  Waldner 
sur  les  arts  libéraux,  parmi  lesquels,  tout  naturellement,  la  musique 
est  comprise.  —  Mucbler  qui,  au  moins  comme  traducteur,  en  don- 


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LA  MUSIQUS  SCANDIKAVB  AYANT   LE  XIX  SIÈCLB  121 

nant  une  version  des  traitea  de  TaDglais  Harris,  s^ocoupa  également 
de  l'art  en  general,  était  suj^  soédois  par  sa  naissance  dans  la  partie 
de  la  Poméranie  alors  soumise  à  la  Suède.  Mais,  en  réalité,  il  était 
alleoiand  par  la  raoe,  par  son  long  séjour  k  Berlin,  et  par  la  langùe 
dont  il  se  seryait  en  éerivant 

Gerstenberg,  qui  fut  cdnsul  de  Danemark  à  Lnbeck,  peut  passer 
pour  ce  qu\>n  appelle  un  polygrapbe.  Il  fut  poète,  philosophe,  cri- 
tique  d*art.  Il  a  compose  une  sorte  de  tragèdie  moderne,  Minona 
au  les  AngìO'Saxom^  pour  laquelle  un  compositeur  allemand  a  écrit 
de  la  musique.  Gerstenberg  ayait  complète  è  léna  les  études  qu'  il 
avaìt  comipencées  à  Altona.  Il  fut  militaire,  et  fit  la  guerre  contro 
les  Busses.  Il  a  donne,  en  langue  allemande,  quelques  essais  de  cri- 
tique  musicale,  insérés  dans  dea  périodiques  germaniques  tels  quo  le 
Magasin  des  seimces  et  de  la  litiérature  de  Gosttingen,  et  le  Ma- 
gasin  de  muaique  de  Grajner.  Parfois  il  s'attaquait  à  des  sujets  arides 
et  tecbniques,  par  esemplo  en  exposant  une  nouvelle  manière  de 
cbififrer  les  accorda  dans  la  basse  donneo.  Parfois  il  abordait  des 
questione  moins  sévères,  notamment  en  se9  considérations  judicieuses 
sur  le  récitatif  et  Yslr  dans  l'opera  italien,  ou  en  son  ingénieux 
moreeau  sur  la  poesie  lyrique  italienne. 

L'art  du  midi  est  généralement  instinctif,  spentane.  L'art  du  nord 
est  volontiers  réfiéchi,  et  fonde  sur  une  esthétique  préalable.  Aux 
pays  septentrionaux,  dont  nous  nous  occupons,  Ton  a  toujours  beau- 
coup  aimé  raisonner,  d'une  fàfon  generale,  sur  resdence  de  la  mu- 
siqne«  sur  ses  applications,  sur  son  influence,  plus  ou  moins  salutaire, 
dans  revolution  de  l' individu  et  de  l'espèce.  A  ces  différents  objets, 
également  dignes  de  méditation,  se  rapportent  des  écrits  tels  que 
colui  du  suédois  Pape,  De  usu  musices,  ou  le  De  usu  miisices  mo- 
rali du  finlandais  Mecbelin,  ou  encore  l'opuacule  du  danois  Anchersen 
en  deux  parties  oonnexes,  le  De  medicatione  per  mtisieam  auquel 
répond  symétriquement  le  Quotnodo  musica  in  corporè  agii  et  vires 
exercei.  Le  théologien  Eosod,  qui  fut  chapelain  de  la^Cour,  à  Co- 
penhague,  et  qui  se  fit  une  réputation  de  prédicateur,  se  pla9a  au 
doublé  point  de  vue  du  pbilosophe  et  de  l'historien  en  développant 
des  considérations  relatives  à  V Influence  de  la  musique  sur  Tespèce 
humaine,  oh  sont  examinés  les  effets,  nobles  et  purifiants,  ou  trou. 
blants  et  lascifs,  des  modes,  des  mouvements,  des  rythmes  dans  Tap- 


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122  MKMORIB 

pareil  d'art  musical  des  anciens  et  des  modernes.  —  C'est  à  peu  près 
la  meme  question  qui  «e  trouve  traitée  avec  plus  d'ampleur,  avec 
une  finesse  supérieure  de  sentiment  crìtique  et  hìstorique,  dans  un 
ouvrage  de  Boye,  recteur  de  TUniversité  Fridericia,  qui  fut  Tau- 
teur  de  livres  intéressants  sur  des  sujets  fort  divers,  qui  se  mèla 
avec  compétence  de  science  politique  et  d'economie  sociale,  qui  donna, 
ni  plus  ni  moins  que  Lucien,  un  :  De  la  manière  éTécrire  Thisioire, 
et  qui,  contemporain  de  £^ant,  aiguìsa  contro  la  doctrine  du  maitre 
de  Koenigsberg  les  armes  de  la  polémique.  L'oeuvre  speciale,  à  la- 
quelle  nous  faisions  tout  à  Theure  allusion,  porte  ce  titre:  De  Tin- 
fluence  de  la  musique  et  du  chant  sur  Vamélioration  de  rhomme. 
Boye  s'y  mentre  à  la  fois  moderne,  puisqu'il  y  joint  la  traduction 
de  rode  de  Dryden  sur  le  pouvoir  et  les  prestiges  de  l'art  des  sons, 
—  et  classique,  puisqu'il  y  interprete  et  y  commente  le  passage  où 
Cicéron,  d'accord  avec  Platon,  soutient  <  nihil  tam  facile  in  animos 
ieneros  atque  molles  influere  quam  varios  canendi  sonos  »,  ajoutant 
que  la  musique,  par  sa  vertu  <  et  incitai  languentes  et  languefacit 
excitatoSj  et  tum  remittit  aninios^  tum  cantrahit  ».  Cicéron  insiste, 
dans  le  méme  passage,  sur  Timportance  qu'il  y  eut,  pour  plusieurs 
cités  de  la  Grece,  à  conserver  scrupuleusement,  dans  sa  pureté,  leur 
ancien  mode  national,  à  le  maintenir  exempt  d'altérations  qui  au- 
raion t  pu  le  rendre  apte  à  inspirer,  non  plus  la  vigueur  et  l'energie, 
mais  la  mollesse  et  la  sensualité.  —  Boye,  en  regard  des  effets  mer- 
veilleux  attribùés  par  la  tradition  à  la  musique  antique,  éyoque  les 
impressions,  selon  lui  peut  étre  non  moindres,  que  peut  causer  sur 
les  àmes  la  musique  de  certains  artistes  de  son  epoque.  —  Mais 
Tauteur,  si,  par  la  plus  grande  partie  de  sa  carrière,  par  ses  ori- 
gines  et  ses  analogies  intellectuelles,  il  appartient  à  Tàge  antérienr 
au  nòtre,  n'a  publié  l'ouvrage  dont  nous  parlons  qu'en  1824,  c'est-à- 
dire  dans  une  periodo  dont  l'ótude  ne  fait  pas  l'objet  du  présent 
travail.  Sans  doute,  d'ailleurs,  nous  aurons  plus  tard  l'occasion  d'ex- 
poser  ce  qu'au  XIX<^  siècle  ont  produit  de  saillant  et  de  caracté- 
rìstique,  par  rapport  à  la  musique,  la  pensée  et  l'art  des  trois  pays 
scandinaves. 

Albert  Soubibs. 


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L'evoluzione 
nella  scrittura  dei  suoni  njusicali. 


J-^o  già  esposto  la  formula  generale  deirevoluzione,  stabilita  da 
Herbert  Spencer  nell'opera  {I  primi  principi)  che  costituisce  Tintro- 
duzione  alla  sua  filosofia,  quando  delineai  in  modo  sommario  l'ap- 
plicazione  della  teorìa  alla  storia  della  musica  (1):  «  Integrazione 
«  di  materia,  accompagnata  da  dispersione  di  movimento,  durante  la 
«  quale  la  materia  passa  da  una  omogeneità  indefinita,  incoerente, 
«  ad  una  eterogeneità  definita,  coerente,  mentre  il  movimento  trat- 
te tenuto  subisce  una  trasformazione  analoga  ».  E,  dilucidando,  in 
riguardo  all'arte  musicale:  «  L'evoluzione  conduce  da  una  semplicità 
«  confusa  ad  una  complessità  distinta,  da  un  ordinamento  esteso, 
«  uniforme  ed  indeterminato  ad  un  ordinamento  concentrato,  molti- 
«  forme  e  preciso,  ogni  integrazione  parziale  divenendo  centro  di  mol* 
«  tiformità  sempre  crescenti  ». 

Nell'accennare  alla  notazione  rilevai  come  dapprima  vi  abbia  as- 
sunto carattere  speciale  Vintegraaione  della  materia,  mercè  la  quale 
sparirono  le  grafie  mnemoniche  ed  imprecise  del  medio-evo,  e  come 
più  tardi  spiccò  invece  una  continua  tendenza  della  notazione  ad  uni- 
ficarsi ed  a  semplificarsi  ;  —  ma  non  misi  in  evidenza  il  fatto  stra- 
nissimo che  la  legge  dell'evoluzione  agì  allora  quasi  direi  a  ritroso, 
col  ridurre  l'eterogeneità,  che  appariva  nelle  diverse  maniere  di  se- 
gnare i  suoni  musicali   pei  vari  strumenti  (secoli  XVI  e  XVII),  a 


(1)  Rivista  Muèicaìe  Italiana,  voi.  V,  fase.  ^^  1898. 


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124  MEMORIE 

quella  omogeneità  nettamente  definita  che  possediamo  oggidì.  In  altre 
parole,  l'eterogeneità  che  doveva  essere  il  risultato  finale  dell'evolu- 
zione sussisteva  all'epoca  del  rinascimento,  progredì  rigogliosa  e  durò 
evidentissima  finché  sorse  la  propensione  a  ridurre  ad  uno  solo  tutti 
i  sistemi  di  notazione;  con  ciò  si  fece  ritorno  all'omogeneità  bensì, 
ma  ad  una  omogeneità  ben  differeote  dall'iniziale,  siccome  quella 
che  si  aiferma  definita  e  coerente  nel  suo  ordinamento  concentrato  e 
preciso.  Tenterò  di  dimostrarlo,  prendendo  come  punto  di  partenza 
la  notazione  greca. 

.1  Greci  avevano  due  sorta  di  notazione  musicale:  l'una  e  l'altra, 
dal  nostro  punto  di  vista,  si  equivalgono.  La  prima,  più  antica,  e 
da  principio  solo  diatonica,  servì  poi  per  la  musica  stromentale  ;  la 
seconda,  più  recente,  adatta  a  segnare  le.  alterazioni  cromatiche  ed 
enarmoniche,  fu  assegnata  alle  voci.  Ambedue  si  giovavano  delle  let- 
tere dell'alfabeto,  intere  o  tronche,  diritte,  inclinate  o  rovesciate,  per 
fissare  i  suoni,  distinguendo  quelli  sotto  le  sillabe  per  il  canto  e 
quelli  al  di  sopra  per  l'accompagnamento.  Yincentio  Galilei  ne  pre- 
senta il  quadro  sinottico  per  gli  otto  modi  dell'arte  greca  nel  Dia- 
logo della  mtisica  antica^  et  della  moderna.  Sono  288  lettere,  regolari 
od  alterate,  che  in  opere  più  recenti  appariscono  riassunte  ed  inter- 
pretate con  dettagli  più  semplici,  come  ad  esempio  nel  Dictionnaire 
de  mtisiqìie  del  Biemaiui  (1899).  11  metro  della  poesia  stabiliva  il 
ritmo  del  canto  ;  nella  musica  stromentale  invece  i  valori  «si  succe- 
devano con  quest'ordine: 


L- 


due  tempi  tre  tempi  qoattro  tempi  dnqae  t^pl 

ossia  doppio,  triplo,  quadruplo,  quintuplo  valore  dell'unità  di  tempo, 
che  era  sòttointesa  nella  mancanza  di  qualunque  segno.  Per  le  pause 
bastava  mettere  un  A  sotto  i  valori. 

Nella  sua  omogeneità  indiscutibile  il  sistema  non  mancava  di  com- 
plicazione e  di  oscurità,  per  quanto  si  voglia  ammettere  perfetta  la 
prosodia,  regolatrice  della  musica,  come  era  intesa  nella  Grecia  an- 
tica. D'altronde  difettava  di  logica  il  principio  di  stabilire  figure 
diverse  per  uno  stesso  suono  secondochè  questo  si  riferiva  alle  voci 
od  agli  stromenti.  Al  giorno  d*oggi  la  interpretazione  dei  pochi  fram- 
menti dell'arte  greca  giunti  fino  a  noi  solleva  discussioni  mai  finite; 


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L  EVOLUZIONE   NELLA   SCRITTURA   DEI  SUONI   MUSICALI 


125 


De  fa  fede  Ylnno  alla  Musa^  che  dall^epoca  di  Vìncentio  Galilei^ 
primo  editore  del  testo  greco  nella  notazione  originale,  fu  trascritto 
in  dodici  maniere  differenti  nel  ritmo  e  spesso  apche  nei  suoni.  Bi- 
produco  come  curiosità  il  facsimile  del  Codice  Veneto  (secolo  XII, 
0  XIIIX  che  costituisce  Tarchetipo  da  cui  derivarono  le  varie  cita- 
zioni del  famoso  canto,  la  dilucidazione  che  ne  fece  V.  Galilei  nel 
Dialogo  citato,  e  l'ultima  traduzione  (1896)  di  esso,  dovuta  a  Théo- 
dore  Beinach,  competentissimo  neirargomento. 


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-^'  -^  **,      .  .4   r.  „f        /;      ^ 


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AeiÒ€ 


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MoXirn^ 

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AùpTi 

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KaXXiÓTTa 


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aoqpà 


qpiXri 

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Kardpxou, 

l^    l   x    i 
air'  àXaeuJV 


p  M  epa 
òoveiTUj. 


(P  NxJ  0  o     <5l 

^ouaa^v        7rpoÙKdTaT€Ti 


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T€pnviuv 


p 

KOI 


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ao(pè 


p  M  i  M 
^uqobÓTa 


M        i        Et 
Aaiou^         TÓv€ 


TMp  a    Mi 

Air|Xi€    '^'  diaidv 


èu^evei^        Trdpeqe         pòi 


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126 


MEMORIE 


Hymne  à  la  Muse. 


Trascrisione  di  Th.  Reinach. 
?         ?  ? 


p^^iq^3u  J' J  r.  I  pTr^^^ 


'A   -  €i-b€  MoO-aa  )lioi  <pì-Xti,  ^aoX  -  irn?  b'  è-^if^^  xa-rdpocou,  aO  ■ 


g^E^Rpf^^^g^-^^^az^Tl^-jrTy 


pT)  bè  adiv        dir'  dX-aé-uiv    é    -    \ià<;        <ppé-va(;        6o-v€(    -    tuj. 


^^=f=^=^iE^^ì^m^^^^^^^ 


KaX-Xi  -  ó-iT€i-a    ao-qpà  imou  -  ailiv       iTpo-Ka-6a-Yé  -  ti  T€pir-vd>v, 


ìM  '^'  r  ;  P  ^E^p^g^^  0  g  )-r 


Kal    ao-<pè  |uiu -aro-bó-Ta  Aa   -   to0^.y^-v€,    Ai^-Xi-€     irai-dv 


^^^^^m^ 


ai 


èu  -  |Li€-v€t(;       irdp-ca-Té  ^oi. 

Il  principio  che  informava  la  notazione  greca  passò  presso  i  latini 
colla  costituzione,  attribuita  per  errore  a  Boezio,  delle  lettere  da  À 
a  P  per  le  note  delle  due  ottave 


^^ 


e  più  tardi  delle  sette  prime  maiuscole  per  le  note 


e  delle  loro  minuscole  per  le  note 
con  2  per  il  la  acuto. 


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L  EVOLUZIONE   NELLA   S*CRITTUBA   DEI   SUONI    MUSICALI 


127 


Ne  trovo  esempio  nel  Dialogo  già  citato  di  Vincentio  Galilei,  il 
quale  dice  averne  presso  di  sé  un  libro j  scritto  qualche  decina  d'anni 
ava9Ui  che  Guido  d'Areaeo  nascesse: 

dchcdedchabcdaGFGG 
SU   no  -  men  Do      -      mi  •   ni    he  -  ne  -  di-^um  in    aae     -     cu  -  ìa 

PGaGFPGPPEPGFEDCDD 
A-diu~to    -     ri-um    nostrum  in    no  mi- ne    Do    -     mi-nù 


be  -  ne  -  die  -  tnm    in     sm      - 


A  .  din  -  to 


ri  .  mn    no-strnm  in      no 


.    mi  -  ne    Do 


mi  -  ni. 


La  notazione  alfabetica  fu  detta  impropriamente  gregoriana,  mentre 
Tantifonario,  ordinato  da  uno  dei  primi  papi  che  assunsero  il  nome 
dì  Gregorio,  era  segnato  con  neumi.  Questa  notazione  tachigrafica 
e  mnemonica,  la  cui  origine,  molto  discussa,  resta  ignota,  è  composta, 
come  si  sa,  da  punti,  virgole  e  tratti  torti  e  ritorti,  la  cui  lettura 
in  maniera  assolutamente  precisa  sarà  forse  sempre  un  problema  in- 
»>labile  (1),  perchè,  i  neumi,  anziché  fissare  rigorosamente  colla 
scrittura  l' espressione  della  musica,  si  prestavano  soltanto  per  ri- 
cordare una  melodia  già  nota. 

Quando  nel  decimo  secolo  sorse  una  certa  tendenza  a  mettere  in 
relazione  l'altezza  dei  suoni  coU'altezza  dei  neumi,  apparve  in  sulle 
prime  una  linea  a  secco  sopra  il  testo,  ed  in  seguito  una  e  poi  due 
linee  colorate  (in  rosso  pel  /a,  in  giallo  pel  rfo),  finché  bastò  una 
lettera  per  indicare  il  punto  di  partenza  dal  suono  fisso.  La  lettera 
divenne  chiave  nelle  trasformazioni: 


(1)  G.  Hoadard  con  ricerche  accaratissime  stabilì  Tanità  di  tempo  per  ogni 
grappo  di  saon!  nella  interpretazione  dei  neomi,  ciocché  rappresenta  la  soluzione 
pia  probabile  circa  il  ritmo,  che  taluno  Terrebbe  libero,  altri  oratorio. 


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12B  MEMORIE 


CHIAVE  DI     r^ 


»:  <:  q^.  q|  -o:  3):  gii:  :)ii:  (»=  9: 

CHIAVE  01  ^1)0 

r  e-  9  c  e  ^  p  ìt  \^^\^ 

i  M,  I  1^  K  Ile  |g=  |g: 


CHIAVE  DiiSol 

6  é  ^  è  ^  é» 


Col  mettere  linee  parallele  tra  quelle  già  immaginate  (Gaido 
d'Arezzo)  si  arrivò  al  rigo  ancora  in  uso  oggidì  pel  canto  fermo. 

Intanto  i  due  sistemi  di  notazione  si  fusero  dopoché  i  punti  Dea- 
matici, messi  ad  altezze  corrispondenti  ai  valori  acustici  che  rap- 
presentavano, suggerirono  l'idea  della  forma  quadrata  per  distinguere 
le  note.  Il  Biemanil  (Dictionnaire  de  mttsique)  ne  dimostra  il  pro- 
cesso di  filiazione  con  piena  chiarezza: 


•  ••  Auu^um,  iJtipiu%ùtum.  imlhpuMOitm  »Àp«Hrpphiv-9t  DitUropkAftf  T^if^^pJkM 
Ì(t^Vtym  fìAv^fJM  yrjH^&pj .»  'ScatuNni.t  .^  SaHitu  /•.  Ctufuum»  n/taaa.  fOim» 

I.  —  Tavola  generale  dei  nenmi. 


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L^EVOLUZIONE  NELLA  SCaiTTURA  DEI  SUONI  MUSICALI  129 


A 


n.  —  Estratto  A^W AnHfonario  di  8.  GàOo  (IX  sec.). 


III.  —  Dal  X  aU'XI  seo. 


VvtcratDr  me  us 


IV.  —  Dal  Xn  al  XIII  sec. 


M\/L^^ 


y.  —  Notazione  quadrata  (dal  XII  al  XYI  sec.). 

Allora  la  notazione  quadrata,  mancante  dei  valori  ritmici,  diede 
origine  alla  proporzionale,  le  cui  regole,  complicatissime  oltre  ogni 
dire,  dovevano  cadere  in  processo  di  tempo  per  stabilire  il  sistema 
odierno. 

Vediamo  ora  per  sommi  capi  come  avvennero  le  modificazioni  ed 
innovazioni  più  importanti. 

Oià  nel  secolo  XIV  cominciarono  a  comparire  le  indicazioni  di 
misura,  che  dovettero  moltiplicarsi  in  maniera  straordinaria  allo 
seopo  di  indicare  il  modo  (schema  ritmico),  il  tempo  e  la  prelazione, 
cioè  la  divisione  e  le  suddivisioni  ritmiche  delle  note  di  valore  diverso. 
Modo^  tempo  e  prolcusUme  potevano  essere  perfetti  od  imperfetti  se- 
condochè  assumevano  ritmo  ternario  o  binario.  Ma  tre  sorta  di  punti 
alteravano  diversamente  l'andamento  regolare  ritmico  ;  le  proparaioni 
entravano  ad  imbarazzarne  la  interpretazione,  mentre  VimperfeMione 

Bigùia  wmàieaU  UaUona,  VUI.  0 


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130  '     MBMORIE 

delle  note  e  Vaumentojsione  di  alcuni  seghi  rispetto  agli  altri  crea- 
vano difficoltà  di  ogni  genere  ad  ogni  passo. 
•  La  divisione  per  battuta  iniziata  verso  la  metà  del  secolo  XVI, 
e  il  riconoscimento  di  nuovi  valori  per  il  ritmo,  valsero  a  distrigare 
adagio  adagio  uno  stato  di  cose  così  imbarazzato  e  confuso,  avvian- 
dolo verso  quell'ordinamento  preciso  ed  omogeneo,  voluto  dalla  legge 
d'evoluzione. 

In  quell'epoca  altri  sistemi  di  notazione  erano  stati  inventati  per 
facilitare  l'esecuzione  della  musica  su  certi  stromenti.  Possiamo  anzi 
ammettere  cbe  allora  V  eterogeneità  della  materia  fosse  giunta  al 
grado  massimo. 

Il  liuto  in&tti  aveva  cinque  intavolature  speciali»  che  mettevano 
sott' occhio  al  suonatore,  con  principi  quasi  identici,  la  esecuzione 
stessa  della  musica  sulle  corde  dello  stromento.  La  intavolatura  ita- 
iiana  segnava  sulle  6  linee  orizzontali  e  parallele,  che  significavano 
le  corde  del  liuto,  i  numeri  che  corrispondevano  al  tasto  su  cui  si 
doveva  premere  per  ottenere  la  nota  della  composizione,  con  valori 
molto  chiari  al  di  sopra  per  marcare  il  ritmo.  Nelle  intavolature 
francesi  e  tedesche  si  usavano  invece  le  lettere  dei  rispettivi  alfabeti» 
però  colle  corde  acute  in  alto,  quando  invece  il  liuto  italiano  si  leg- 
geva come  se  le  corde  dello  stromento  tenuto  dal  sonatore  fossero 
riflesse  in  uno  specchio.  Ma  esisteva  pure  un  antico  sistema  d'inta- 
volatura tedesca,  ingegnosissimo,  mercè  il  quale  restava  soppresso  il 
rigo.'In  proposito  i  lettori  della  Rivista  Musicale  Italiana  ncorde- 
ranno  quanto  dissi  circa  il  Newsidler  (Voi.  P,  fase.  F,  1894);  ri- 
porto oggi  il  quadro  esplicativo  del  Virdung  (Musica  getutseht  und 
ausgeMogen,ecc..  1511)»  avvertendo  che  nella  corda  più  grave  (posta 
*in  basso)  si  succedono  le  lettere  maiuscole  in  linea  verticale,  e  nelle 
altre,  procedenti  verso  l'alto  a  misura  della  loro  elevazione,  le  mi- 
nuscole in  linea  trasversale,  raddoppiate  quando  l'al&beto  è  esaurito, 
in  modo  che  ogni  tasto  d'ogni  corda  resta  figurato  da  una  lettera 
speciale. 


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L  EVOLUZIONE  NELLA  SCRITTURA  DEI  SUONI  MUSICALI 


131 


L'ultima  intavolatura  di  liuto,  che  fu  in  aso  nella  seconda  metì  * 
del  secolo  XVU  e  che  fini  collo  stromento,  è  la  seguente,  di  cui 
parmi  non  si  occupassero  coloro  che  studiarono  la  storia  della  nota- 
zione musicale. 


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132 


MEMOBIl 


Corde  a  thoìo 


2i  j  nH^=f— r-<M^ 


Con  questa  intavolatura  è  scrìtta  Topera: 

PIECES  DE  LUTH 

Camposééa  $wr  diffèrens  Modea 

PAB  JACQUES  DE  GALLOT 

Avee  Lea  fohes  d'Eapagne  Ewrichiea  de  pluaieura  beaux  eoujpkt$ 

DEDIÉBS 

A  MONSEIGEUE  LE  COMTE  DESTRÉE  (1) 

vieeadmiral  de  franee 

A  Paris 

ek$M  E'BonmM  Bu*  aular4  audsaui  de  la  Haìk  mt» 
ewkrt  ur9  in  8i 


Ne  presento  saggio,  trascrìvendo  V  intavolatura  in  notazione  mo- 
derna. 


CoìUUHte 


I  1  \.r'\  \.n\    r  \r      1      11. ^ l^^l 


la  vt^effvme  9^ 
JanfCkantertilì^ 

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'ìz.'^-^y/i^U'^    <^r_y''"^^W 


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(1)  Jpan  eomte  d^Estróes  fa  fatto  Tioe-ammiraglio  nel  1670,  sicché  Teditione 
dei  Qallot,  dedicatagli  con  allnsione  alla  nomina,  deve  riferirai  a  qnest*  epoca. 


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L* BTOLUZIONl   NELLA  SCRITTURA  DBI  SUONI  MUSlGiAj  133 

Traaerùfùme, 


rf;¥iii|i|^Mi'|i   I  U^ii 


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Credo  che  il  grande  J.  S.  Bach  Don  abbia  disdegnato  di  scrivere 
per  questa  specie  di  liuto  il  preludio  che  sta  come  8^  nei  12  kleine 
Pràhtdkn  oder  Uebungen  fUr  Anfùnger  dell'edizione  Peters.  In&tti, 
quantunque  intitolato  Pou/r  le  Luth^  esso  non  è  trasportabile  sulle 
corde  del  liuto  ordinario. 


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134 


MKMORUB 


Ohiudendo  ì  dettagli  che  si  ri&rìflcono  alle  intavolature  di  liuto 
devo  mettere  in  rilievo  il  fatto  che  già  nella  prima  metà  del  cinque- 
cento la  musica  per  tale  stromento  era  spesso  divisa  per  battute 
(Cfr.  Newsidler,  1536). 

Per  la  chitarra  esistevano  intavolature  basate  sullo  stesso  principio 
che  regolava  quelle  per  il  liuto:  numeri  o  lettere  minuscule  sulle 
linee-corde,  colFaggìunta  di  maiuscole  che  indicavano  la  posizione 
per  la  sìrappata^  caratteristica-dello  stromento.  Tali  maiuscole  costi- 
tuivano pure  da  sole  certe  sonate,  o  per  meglio  dire  uno  strimpella- 
mento armonico  con  una  accentuazione  ritmica  molto  rudimentale,  per 
la  chitarriglia,  ed  erano  anche  segnate»  come  accompagnamento,  sopra 
la  poesia  di  canzoni  notissime,  oppure  come  abbellimento  della  de- 
clamazione poetica  (Ofr.  Biblioteca  di  rarità  mttóicali,  Voi.  3*). 

Circa  le  intavolature  d' organo  il  Biemann  {Dictùmnaire  de  mu- 
sique)  ne  cita  un  esempio  in  cui  sotto  le  note  superiori  della  com- 
posizione, segnate  nel  rigo  ordinario,  stanno  lettere  e  rispettivi  valori 
ritmici  per  le  altre  partL  Io  riproduco  poche  battute  di  un  Veni 
Sancte  Spiritus  di  Oiosquino  adattato  all'organo  in  un  libro  di  Jacob 
Paix  (Ein  Schòn  Nuta-  und  Qebrauchlich  Orgel  Tahulatur,  Lauingen, 
1583);  lettere  e  valori  di  questa  intavolatura  si  capiscono  con  tutta 
facilità. 


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L*KVOLUZIONB  NELLA  SCRITTURA   DRI  SUONI  MUSICALI  135 

La  musica  di  cembalo  (od  arpicordo)  si  distribuiva  su  due  righi, 
il  primo  di  cinque  linee  colle  chiavi  di  «o2'oppure  di  do,  e  il  secondo 
di  otto  linee  colle  chiavi  ài  do  e  ài  fa  che  fissavano  la  posizione 
delle  note. 

Ho  accennato  così,  molto  in  compiBudio,  ad  alcune  notazioni  usato 
nei  secoli  XVI  e  XYII  per  stabilire  quella  eterogeneità  che>  affer- 
matasi, come  già  dissi  nell'intraprendere  il  presente  studio,  in  grado 
considerevole  durante  l'evoluzione  della  scrittura  musicale,  s'arrestò 
non  solo  per  un  ulteriore  sviluppo,  ma  anzi  prese  indirizzo  verso  una 
omogeneità  ordinata  e  precisa,  quale  la  possiamo  riscontrare  o^- 
giorno. 

Il  cammino  fa  lungo,  e  a  determinarlo  contribuirono  varie  effuse. 
Menzionerò  in  primo  luogo  i  perfezionamenti  della  stampa,  che  per- 
misero di  collocare  le  note  molto  al  di  sopra  si  al  disotto  del  rigo, 
cosa  che  rìesciva  impossibile  coi  tipi  mobili  primitivi.  Con  ciò  il  rigo 
potè  fissarsi  pentalineo,  e  le  chiavi  si  ridussero  necessariamente  di 
numero  e  di  ufficio,  fiicendo  cessare  quelle  difficoltà  noiosissime  che 
derivavano  in  special  modo  dall'impiego  delle  chiavette  (chiavi  tras- 
portate) con  le  quali  era  spostato  il  tono. 

Anche  le  svariatissime  indicazioni  di  misura  si  ridussero  notevol- 
mente via  via  che  si  resero  evidenti  due  sole  forme  di  tempo,  la 
binaria  e  la  ternaria,  colle  finissime  varianti  dei  loro  raddoppi. 

In  secondo  luogo  il  pianoforte,  «mercè  opportune  innovazioni  che 
ne  resero  ognora  piti  eccellenti  il  meccanismo  ed  il  timbro,  determinò 
l' abbandono  degli  stroroenti  da  pizzico  piti  in  voga,  e  quindi  delle 
loro  intavolature;  fu  salva  solo  la  chitarra,  per  la  quale  si  comprese 
come  fosse  agevolissimo  scrivere  la  musica  nella  notazione  ordinaria.- 

Questa,  unificata  ad  esprimere  il  concetto  musicale,  colla  distru- 
zione di  tutti  i  sistemi  che  miravano  soltanto  alla  pratica  del  sona- 
tore, può  ormai  disegnare  la  finezza  più  decisa  per  l' esecuzione  su 
ogni  stromento,  le  sottigliezze  ed  accentuazioni  più  minute  del  ritmo, 
le  sfumature  più  delicate  per  l'espressione;  —  in  una  parola  oggi 
essa  arriva  a  dimostrare  scolpita  l' interpretazione  sicura  del  senti- 
mento stesso  che  ispirava  il  compositore,  a  cui  offre  ricchezza  ine- 
sauribile di  mezzi  per  fissare  ogni  sua  concezione. 

Omogeneità,  dunque,  definita  e  coerente  nel  suo  ordinamento  con- 
centrato e  preciso,  come  ultima  espressione  odierna  dell'evoluzione 
nella  scrittura  dei  suoni  musicali. 


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136  MKMORU 

Eppure  per  la  musica  si  tentò  sempre  di  creare  nuove  forme  di  grafie  ! 
Oli  autori  non  mancarono  di  magnificarne  i  meravigliosi  vantaggi 
in  confronto  della  notazione  attuale.  Dice  il  Weckerlin  (Demier 
mtisiciana)  che  la  Biblioteca  del  Conservatorio  di  Parigi  possiede 
piti  di  60  progetti  diversi  per  la  scrittura  musicale,  tutti  rimasti 
sconosciuti.  È  noto  invece  il  sistema  di  J.  J.  Bousseau  a  numeri 
(suoni)  e  lineette  (valori),  rimaneggiato  dopo  di  lui  da  Galin,  Paris 
e  Chevé.  Fu  anche  proposta  una  intavolatura  di  pianoforte,  molto 
ingegnosa,  e,  a  mio  vedere,  di  una  utilità  pratica  degnissima  d' at- 
tenzione (Cfr.  Fétis,  Biographie  universeUe  des  tnusiciens  al  nome 
Adomo).  Ma  la  grafia  attualmente  in  uso,  ordinata  da  una  legge 
naturale,  ha  tanto,  salde  radici  nel  passato  e  tanta  gagliardia  di  svi- 
luppo per  afiermarsi  esclusiva  su  qualunque  altra  che  si  possa  im- 
maginare, pur  perfettissima.  Né  credo  che  durerà  la  resurrezione  di 
quei  segni  convenzionali  {agréments)  coi  quali  si  pubblica  oggi  la 
musica  di  due  secoli  addietro  per  cembalo  (Bach,  Hàndel,  ecc.),  dal 
momento  che  la  notazione  può  ormai  dettagliare  fioriture  di  ogni 
genere  senza  giovarsi  di  quelle  figure  che  presterebbero  ancora  il 
servigio  dei  neumi  e  che  la  forza  ineluttabile  deirevoluzione  ha  già 
distrutto. 

BassEDO,  dicembre  1900. 

D'  Oscar  Chilesotti. 


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Arte  contemporanea 


LA  TECNICA  DEL  CANALE  D'ATTACCO 

Sagoio  pkr  lo  studio  txorigo-pbatico 
degù  blsmknti  fonxtigi  dilla  patella  italiana  nsll*kmi88ionb  vogale. 

Con  6  fignn  e  naiMitMl  o«p«dÌMitÌ  gmfld,  pfOfpetU,  eoe. 
(ConinmaM.  Y.  voi.  VII,  fase.  3%  pag.  501,  anno  1900). 

Capitolo  Secondo. 

Delle  vocali  primarie,  loro  stampi  consonantici 
e  del  suono  naturale  e  normale. 

in  quella  guisa  che  la  musica  possiede  soltanto  sette  note  diffe- 
renti tra  loro,  coel  la  favella  italiana  non  riconosce  neiremissione  che 
sette  vocali  differenti.  Fra  queste  sette  se  ne  distinguono  tre,  che 
per  le  loro  proprietà  spiccate  e  speciali  diconsi  vocali  primarie  ^  e 

sono: 

J,    A,     U. 

La  vocale  A  posa  nel  mezzo  del  sistema  vocale;  e  rappresenta  per 
se  stessa  il  vero  e  proprio  suono  vocale  dal  quale  è,  conseguentemente, 
scaturito  il  suono  musicale:  perciò  questa  vocale  vien  detta  pure 
suono  radicale  originario. 

La  vocale  I  Begna  il  limite  estremo  del  dominio  vocale  chiaro,  ed 
implicita  in  sé  tutte  le  prerogative  di  questo  dominio;  mentre  la  vo- 
cale U  segna  il  limite  estremo  del  dominio  vocale  oscuro  e  sta  a 
questo  nella  medesima  proporzione  della  1. 

Questi  due  domini  danno  origine  ai  cosidetti  timbri^  \  quali  per' 
la  diretta  relazione  con  quelli,  prendono  pure  i  loro  nomi,  cioè: 


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13B  ARTE  CONTEMPORANEA 

timbro  chiaro,  vocale  primaria  I;  timbro  oscuro,  vocale  primaria  U. 
Le  altre  quattro  vocali  non  sono  che  gradazioni  di  quelle  primarie 
e,  potremmo  dire,  ne  riempiono  gli  interstizi. 

Lo  studio  dunque  delFemissioue  vocale  dovrà  aver  principio  da 
queste  tre  vocali  primarie  si  differenti  e  distinte  fra  loro,  e  nelle 
quali  si  compendiano  non  solo  le  proprietà  speciali  dei  timbri^  ma 
pure  le  qualità,  difetti  e  fenomeni  acustico-musicali  del  suono  vocale. 
Esse  sono  Valfa  e  V omega  dell'emissione  vocale:  in  esse  si  rispec- 
chiano e  si  riflettono  tutti  i  processi  fisiologici,  fonetici  ed  acustici 
e  tutti  gli  effetti  artistico-tecnici  d'esso  suono,  in  relazione  all'emis- 
sione; in  una  parola,  queste  tre  vocali  sono  la  stessa  emissione. 

Ma  prima  di  procedere  a  questo  studio  è  indispensabile  di  riguar- 
dare più  dawìcino  queste  tre  vocali  primarie  e  separatamente  nella 
loro  posizione  e  formazione  nel  canale  d'attacco,  ed  in  rapporto  pure 
al  loro  significato  fisiologico  e  psichico;  per  quindi  ricercarne  la  loro 
provenienza  embrionale,  l'espirazione. 


È,  come  abbiamo  detto,  la  sorgente  del  snono  vocale  (comunemente 
voce),  appunto  perchè  trovasi  per  la  sua  posizione  sopra  la  laringe, 
presso  la  glottide  solo  e  fisiologico  punto  della  fonazione  (v.  Fig.  2*). 
Inoltre  è  vocale  radicale,  imperocché  da  essa  nascono,  si  ^  dipartono 
•tutte  le  altre;,  è  suono  originario  perchè  si  produce  nel  focolare  della 
voce:  Le  corde  vocali. 

A  causa  della  sua  formazione  viene  detta  pure  neutra^  poiché  si 
emette  senza  il  concorso  particolare  d'alcun  organo  movibile,  né  ne- 
cessita nessuna  speciale  azione  muscolare  del  canale  d'attacco.  La 
produzione  d'essa  succederà  mediante  una  semplice  apertura  dell'ori- 
fizio boccale,  in  quella  guisa  che  abbiamo  già  osservato  nell'esercizio 
gìnnastico-muto  comulativo,  tempo  primo.  Sembrerebbe  dunque  che, 
data  la  facilità  e  la  naturalezza  della  sua  formazione,  essa  debbasi 
trovare  perfetta  in  tutti  gli  individui  ;  invece  è  ftcile  d'osservare  il 
contrario:  il  come  ed  il  perchè  lo  vedremo  in  seguito.  In  noi  ita- 
liani stessi,  che  possediamo  la  formazione  di  questa  vocale  in  sommo 
grado  di  perfezione,  sia  per  la  sua  purezza,  leggerezza  e  franchezza, 
sia  per  la  sua  produzione  immediata,  pure  è  cagione  —  giusto  per 


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LA  TECNICA  DEL  CANALE  D*ATTACCO  .   139 

la  sua  fissilità  e  spontaneità,  che  degenera  spensieratezza  e  trascnranza 
—  dì  difetti  e  cattive  abitudini  vocali  (1). 

Per  evitare  tutto  ciò  è  necessario  porci  in  mente  sino  adesso  quanto 
segue.  Cioè:  che  lo  stesso  suono  vocale,  o  semplicemente  vocale,  il 
quale  chiameremo  dapprima  suono  naturak,  emesso  da  diversi  in- 
dividui, può  dare  dei  resultati  tra  loro  ben  differenti.  Di  qui  nasce 
la  necessità  di  stabilire  un  suono  che  chiameremo  notfnale,  il  quale 
corrisponda,  ed  il  più  esattamente  possibile,  alla  sua  posizione  e  for- 
mazione naturale  fisiologica;  che  è  quanto  dire:  tutti  gli  organi 
movibili  del  canale  d'attacco,  necessari  alla  sua  produzione,  si  tro- 
veranno corretti  e  posati  convenientemente,  ed  agiranno  consciamente 
secondo  i  sani  ed.  esperimentati  procedimenti,  anche  allorché  questi  si 
allontanino  un  po'  apparentemente  dal  fatto  fisiologico  del  suono  natu- 
rale. Ottenuto  nella  suddetta  maniera  il  suono  normale,  non  avremo 
che  continuamente  e  costantemente  ad  esercitarlo  in  unione  a  tutti  gli 
altri  suoni  vocali,  sino  u  tanto  che  non  abbia  raggiunto,  in  loro  rela- 
zione, un  certo  grado  di  perfezione  che  condurrà  al  suono  ideale. 
Questo  conterrà,  nella  sua  essenza,  tutto  ciò  che  intendiamo  dire  con 
le  espressioni:  belUaMa  di  emissione,  grande  temperamento,  grande 
sentimento,  ecc.;  ed  includerà,  non  soltanto  la  perfezione  dei  proce- 
dimenti fisiologici  fonetici  ed  acustici,  ma  pure  quella  dei  procedi- 
menti estetici  e  psicologici. 

Vediamo  adesso  la  formazione  fisiologica  della  vocale  A  nel  canale 
d'attacco. 

La' posizione  neutra  indifferente  degli  organi  movibili  nel  canale 
d'attacco  si  presuppóne  durante  l'inspirazione  nasale,  nella  quale  l'ori- 
fizio orale  trovasi  chiuso  leggermente.  Aprendo  questo  lentamente  e 
rialzando  nel  medesimo  tempo  un  po'  il  labbro  superiore,  senza  però 
fare  abbandonare  agli  altri  organi  movibili  la  loro  posizione  indiffe- 


(1)  Ecco  come  sì  esprìme  il  sig.  Mfiller-Bninow  intorno  a  questa  vocale:  e  Lo 
sTilnppo  della  vocale  A,  sino  ^lla  sna  produzione  rotonda  e  sonora,  abbisogna  di 
quattro  o  cinque  anni  di  stadio  assiduo,  onde  poterla  adoprare  scolasticamente  ed 
artisticamente,  e  secondo  il  suo  carattere  vero  e  proprio.  Èssa  necessita,  nella  sua 
significazione  fondamentale  di  canto  (snono  vocale)  completo  e  perfetto,  la  più 
grande  cura  nelFeducazione  e  puoasi  chiamare  a  ragione  la  più  difficile  tra  le 
vocali  ».  Non  dimenticare  che  fti  un  maestro  tedesco,  e  dei  più  giovani,  che 
oosL 


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140  ARTE  CONTEMPORANEA 

rente  e  senza  suscitare  nessuna  contrazione  muscolare,  si  comincerà 
il  movimento  dell'espirazione  per  la  bocca  —  un'espirazione  un  poco 
più  energica  che  d'abitudine,  e  che  avrà  tutto  il  carattere  della  for- 
mazione aspirata,  però  senza  strepito,  della  H  —  cercando  d^appor- 
tarla  insensibilmente  e  naturalmente  alla  fonazione,  cioè  alla  vibra- 
zione delle  corde  vocali,  col  congiungere  queste  insieme  il  più 
leggermente  possibile  e  su  d'una  nota  delle  più  centrali. 

Il  suono  così  prodotto  sarà  il  suono  naturale  fisiologico  e  proprio 
ad  una  pura  A. 

Una  formazione  difettosa  o  trascurata  di  questa  vocale  può  appor- 
tare alle  seguenti  cattive  abitudini:  la  voce  bianca  e  Idkvoce  guitur 
vale;  quest'ultima  un  difetto  de'  più  odiosi  nell'emissione  vocale  e 
ben  difficile  ad  estirparsi  totalmente.  Intorno  alle  cause  ed  ai  rimedi 
adatti  per  estirpare  od  almeno  mitigare  questi  difetti  vocali  parleremo 
più  innanzi. 

È  facile  assegnare  a  questa  vocale  la  sua  significazione  psichico- 
simbolica.  Essa  esprime  tutto  ciò  che  è  materia  prima,  la  natura,  la 
creazione,  il  rudimentale,  la  pace,  la  tranquillità,  la  soddisfazione,  la 
gioia,  ecc. 


Questa  vocale,  abbiamo  già  detto,  segna  il  limite  estremo  del  vo- 
calismo chiaro;  varcato  questo  limite  entriamo  immediatamente,  e 
naturalmente  nel  consonantismo.  Dunque  essa  contiene,  nella  sua 
produzione  sommaria,  la  più  grande  quantità  di  stoffa  consonantica 
sopra  tutte  le  altre  vocali:  la  quale  stoffa  proviene. dalla  stessa  sua 
espirazione  molto  più  energica  ed  assottigliata  che  di  quella  della 
vocale  A.  Quest'assottigliamento  della  espirazione  viene  prodotto  so- 
pratutto dalla  lingua,  la  quale  prende  la  sua  più  alta  curva  verso 
il  palato  duro,  mentre  la  sua  punta  non  abbandona  mai  le  radici 
dei  denti  incisivi  inferiori.  La  colonna  sonora,  passando  per  la  stretta 
fessura  tra  la  lingua  ed  il  palato  duro,  viene  spinta  verso  i  denti 
superiori  e  là  essa  produce  il  suono  caratteristico  a  questa  vocale, 
nel  tempo  stesso  che  la  corrente  dell'aria  esce  per  l'orifizio  boccale 
al  di  fuora.  Il  labbro  superiore  è  più  rialzato  che  in  qualunque  altra 
vocale  appartenente  al  dominio  chiaro.  Il  labbro  inferiore  vien  sti- 
rato leggermente  ed  appoggiato  ai  denti  inferiori,  coprendoli  intierar 


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LA  TECNICA  DEL  CANALE  D* ATTACCO  141 

mente.  L'orifizio  boccale  resta  per  tal  modo  aperto  soprattutto  late- 
ralmente. La  laringe  unitamente  airepiglottìde  si  porta  nella  più 
alta  sna  posizione,  mentre  la  mascella  inferiore  si  abbassa  pochis- 
simo. Questa  la  sua  formazione:  in  quanto  alla  sua  posizione  essa 
è  la  vocale  la  più  adatta  per  condurre  la  corrente  dell'aria,  divenuta 
colonna  sonora  nella  laringe,  verso  il  palìtto  duro  presso  i  denti  inci- 
sivi superiori  (vedi  fig.  2*),  cioè  in  quello  spazio  già  da  noi  ricor- 
dato e  detto  spazio  di  condensazione,  il  più  propizio  a  sviluppare  gli 
armonici  del  suono  o  della  colonna  sonora  divenuta  nota  musicale  e 
produrne  la  sua  risuonanza.  Perciò  vocale  di  grande  valore,  di  una 
importanza  sovrana  neiremissione  vocale,  di  prezioso  rimedio  per 
combattere  i  difetti  della  voce  gutturale  e  degli  altri  secondari  detti 
voci  filacciose,  scheggiate,  rotte,  ecc.  Neiristesso  tempo  però,  e  giusto 
per  le  sue  proprietà  spiccate  e  speciali,  può  apportare  al  difetto  della 
voce  dentale;  cioè  rendere  il  condensamento  della  colonna  sonora 
troppo  assottigliato  ed  affilato,  perciò  stridente;  in  una  parola,  troppo 
consonantico. 

Questa  vocale,  nella  sua  significazione  psicologica,  esprime  senza 
dubbio  il  penetrante,  Tistigante,  l'energico,  l'efficace,  il  piccante,  il 
sarcastico,  e  forse  pare  il  leggiadro,  il  lindo,  il  sottile,  ecc. 

U. 

Questa  vocale  è,  tanto  per  la  nostra  favella,  quanto  per  la  emis- 
sione, la  più  difficile  e  la  più  refrattaria  tra  le  vocali,  segnando, 
come  abbiamo  già  veduto,  il  limite  estremo  del  localismo  oscuro, 
che  è  quanto  dire  il  più  insonoro.  Perciò  essa  necessiterà  d'uno  studio 
più  paziente  ed  accurato  di  qualunque  altra  vocale,  onde  ottenerne 
il  suono  normale;  cioè  dare  ad  essa  quella  sonorità  che  si  addice  a 
tutte  le  vocali  nell'emissione,  senza  snaturarne  per  questo  il  suo 
proprio  carattere.  L'espirazione  che  la  produce  è  meno  energica  di 
quella  della  vocale  A  e,  come  vedremo  in  seguito,  essa  nell'emis- 
sione vocale  è  del  tutto  irrazionale  alla  formazione  fisiologica  di 
questa  vocale,  che  è  la  seguente:  la  mascella  inferiore  non  trovasi 
molto  lontana  dalla  superiore,  i  labbri  però  si  restringono,  spingen- 
dosi in  avanti  e  chiudendo  quasi  tutto  l'orifizio  boccale.  La  laringe 
e  con  essa  l'epiglottide,  si  trovano  nella  più  bassa  loro  posizione; 
ciò  che  obbliga  pure  la  massa  linguale  a  tirarsi  indietro,  col  rial- 


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142 


ARTI  GOMTXMPORAMBA 


zara  un  po'  il  dorso  posteriore,  abbassare  il  medio,  facendo  abban- 
dcmare  alla  sua  punta  l'appoggio  ai  denti  inferiori,  voltandola  un 
po'  in  alto. 

Figura  secooda  (1). 


PoilsioM  d«lle  Toc«U  primuit  e  dei  loro  sUmpi  oonaonantlci  nel  cuale  d*attMeo  (tuono  nalnnlo). 

(a)  Spuio  41  oondtnsMBonto  del  ioono  Tocale.         (()  (Hlindro  Tocele  del  sao&o  natnnle. 

(1)  Poiisìone  delle  lingue  e  del  Telo  peletino  neiremleeione  il. 

(1)         »  •  •  »  I. 

(8)         »  »  »  •  U. 

I,  Cerità  1)OCoele;  H,  fkneele;  UI,  neeele. 

La  sua  posizione,  qual  suono  naturale,  è  in  alto  nella  cavità  fa- 
ringea verso  le  narici  inteme  (vedi  fig.  2»). 


(ì)  In  questa  figura  ci  è  stato  impossibile  di  indicare  la  posizione  della  ma- 
scella, inferiore  nelle  tre  vocali  primarie  ;  e  la  posizione  che  si  osserva  deve  attìì- 
buirsi  soltanto  alla  vocale  A. 


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LA  TKGNICA  DBL  CANALE  D* ATTACCO  143 

Una  formazione  difettosa,  o  meglio,  troppo  naturale  di  questa  vo- 
cale primaria,  può  condurre  ai  difetti  così  detti  della  voce  muaie, 
faticale  o  velare. 

Come  cupo  ed  oscuro  è  il  timbro  caratteristico*  di  questa  vocale, 
così  fosco,  tenebroso  il  suo  carattere  simbolico.  Si  presta  soprattutto 
a  dipingere  situazioni  orride,  funebri,  fantastiche,  trucolenti,  ecc. 

Abbiamo  veduto  che  ogni  vocale  primaria  contiene  in  se  stessa 
una  maggior  o  minor  dose  di  stoffa  consonantica;  la  1  ne  contiene 
una  quantità  copiosa,  la  A  una  moderata  quantità,  e  la  CT  una 
quantità  minima.  Questo  in  relazione  colla  favella  italiana.  La  co- 
noscenza deUa  stoffii  consonantica  delle  singole  vocali  primarie  ci  per- 
metterà di  guardare  più  a  fondo  nella  natura  e  carattere  proprio  e 
speciale  di  quelle.  A  questa  stoffa  abbiamo  posto  il  nome  di  stampo 
consonantico;  il  quale  non  è  altro  adunque  che  quel  rumore  o  stre- 
pito leggerissimo  e  quasi  inapprezzabile  che  fa  Tespirazione  prima 
di  divenir  suono  vocale  nelle  tre  emissioni  principali  A^  J,  U.  Lo 
stampo  consonantico  per  la  vocale  A  è  V  H  (acca),  per  la  vocale  / 
r  J  (i  lungo),  per  la  vocale  i7  il  F  (vu). 

Questi  stampi  consonantici,  come  puossi  ben  vedere,  sono  vere  e 
proprie  consonanti  in  quasi  tutti  gli  idiomi.  L'italiano,  il  più  sem- 
plice, come  abbiamo  detto,  di  tutti,  riguarda  alfabeticamente  VH  e 
l'cT*,  come  consonanti;  ma  fonicamente  parlando  esse  non  hanno 
nessun  suono  proprio  e  dispariscono,  immedesimandosi  nelle  loro  vo- 
cali primarie.  In&tti  V  H  seguendo  in  italiano  fedelmente  la  legge 
fisiologica  e  non  presentandosi  che  come  formula  iniziale  avanti  alla 
sua  vocale,  ed  episodicamente  seguendo  alcune  consonanti  dentali 
onde  prestare  loro  il  carattere  gutturale,  non  ha  alcun  suono  per 
se  stessa.  La  J^  del  tutto  disparsa  nell'ortografia  moderna,  non 
ha  differenza  fonetica  alcuna  dalla  J.  Della  consonante  Fé  succeduto 
invece  il  contrario.  Anticamente,  nei  dialetti  italici  e  nel  latino,  si 
confondeva  foneticamente  con  la  V;  oggi  giorno  essa  è  nella  nostra 
favella  consonante  indipendente.  Da  ciò  concluderemo  prima  di  tutto 
che  tra  gli  stampi  consonantici  il  più  razionale  è  lo  stampo  della 
vocale  I;  poiché  pure  esistendo  foneticamente,  non  forma  con  quella 


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144  ARTE  CONTEMPORANEA 

che  una  medesima  e  stessa  produzione;  quindi  che  la  favella  ita- 
liana, oltre  essere  la  più  semplice,  la  più  para  e  la  più  fisiologica, 
possiede  anche  l'espirazione  la  più  naturale,  la  più  sana  e  la  più 
favorevole  all'emissione  vocale,  personificata  dalla  consonante  J?,  che, 
giusto  per  il  suo  valore  fonetico  nullo,  giustifica  l'assenza  in  essa  di 
qualunque  rumore  e  strepito  aspirativo,  tal  quale  viene  prescritta  ed 
usata  dai  buoni  sistemi  e  metodi  d'emissione  e  di  canto,  tanto  antichi 
che  moderni  ;  infine  che  la  più  irrazionale,  tra  gli  stampi  consonan- 
tici, è  la  F  a  cagione  della  sua  posizione  del  tutto  opposta  alla  sua 
vocale  primaria  (vedi  fig.  2*). 

Collo  stesso  criterio  che  ci  ha  condotti  a  chiamare  le  vocali  pri- 
marie A^  I,  {7,  emissioni  vocali,  potremo  perciò  chiamare  gli  stampi 
consonantici  H^  J^  F,  espirazioni  vocali,  distinguendole  così:  H 
espirazione  naturale^  J  espirazione  raaionale,  V  espirazione  irra- 
tfianale. 

La  consonante  n  non  è  che  un  soffio,  un  alito  leggerissimo  muto 
ed  impercettibile,  il  quale,  come  espirazione  naturale,  fisiologica,  pre- 
cede l'emissione  A,  Essa  serve  di  preparazione  all'atto  della  fona- 
zione in  generale,  e  compendia  in  se  stessa  tutte  le  qualità  indispen- 
sabili alla  buona  messa  del  suono  (1).  Come  sappiamo,  esistono  due 
specie  di  messa  del  suono:  P  la  messa  col  cosidetto  cólpo  di  glot- 
tide, che  è  da  considerarsi  come  nociva  nell'emissione  vocale,  e  da 
adoprarsi  soltanto  eccezionalmente  per  alcune  qualità  istrumentali 
appartenenti  alla  tecnica  delle  corde  vocali;  2<>  la  messa  espirato- 
muta,  che  è  quanto  dire  collo  stampo  consonantico  della  vocale  A^ 
la  buona  e  la  giusta  appunto,  perchè  è  la  fisiologica  messa  del  suono 
e  la  sola  da  adoprarsi  nell'emissione  vocale. 

La  sua  formazione  succede,  per  maniera  di  dire,  sul  punto  zero  di 
tutte  le  fonazioni  ed  articolazioni;  e  si  avvicina  molto  per  questo 
alla  formazione  della  vocale  A,  Abbiamo  detto  che  la  sua  produ- 
zione è  del  tutto  disparsa  nella  nostra  favella;  pertanto  essa  può  pre- 
sentarsi, come  elemento  finale,  nei  cosidetti:  «  sospiro  di  soddisfazione 


(1)  Questa  espressione  di  me$ia  del  suono  non   è   da  oonfondersi  coiraltra: 
messa  di  voce.  Come  pure  distingaere  suono  ed  emissione  vocale. 


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LK  TBCNIGA  DBL  CANALB  D*ATTACCO  145 

0  dì  affanno  »  (rinteriezione  ah!)  ed  ancor,  più  ripetutamente  accen- 
tuata, nello  «  scroscio  di  risa  »,  il  quale  non  è  altro  che  un  succe- 
dersi della  vocale  A  preceduta  o  seguita  da  una  leggera  espirazione 
(ah!  ah!  ah!  cA!  àh!^  ecc.).  In  tutti  i  c^si  la  sua  produzione  im- 
plicita un  movimento,  una  scossa  leggera  e  spigliata  del  diaframma. 
Questa  relazione  direttissima  fra  diaframma  ed  espirazione  è  già  una 
prova  della  necessità  nell'emissione  vocale  di  adoprare  la  respirazione 
diaframmatica. 

La  sua  posizione  è  ancora  più  bassa  e  prossima  alla  laringe  che 
non  la  vocale  A  (vedi  fig.  2^). 

In  riguardo  al  psi celiaco  significato -suo  è  certo  che  questo  stampo- 
consonantico,  allorché  si  manifesta  fonicamente,  ne  contiene  in  sommo 
grado.  Lo  provano  senz'altro  le  interiezioni,  che,  ben  sappiamo,  sono 
le  espressioni  più  usate  nei  momenti  esaltati  della  passione,  del  do- 
lore, della  gioia,  dell'affetto;  ed  alle  quali  questo  stampo  trovasi,  e 
sempre,  collegato. 

Questo  stampo  consonantico  della  vocale  1  non  è  altro  che  una 
espirazione  molto  condensata  ed  assottigliata  dalla  speciale  posizione 
degli  organi  movibili  nel  canale  d'attacco  e  dal  movimento  o  spinta 
più  energica  e  più  pronta  del  regolatore  dell'espirazione:  il  diaframma. 
La  sua  formazione  è,  nella  nostra  favella,  identica  a  quella  della  sua 
vocale;  la  sua  posizione  è  verso  il  palato  duro,,  appunto  nel  centro 
dello  spazio  di  condensamento  (vedi  fig.  2*). 

Esso  implicita  dunque  in  se  stesso  tutte  le  proprietà  e  preroga- 
tive dell'emissione  I;  anzi,  per  dato  e  fatto  della  sua  posizione  con- 
terrebbe quelle  prerogative  ancora  in  più  alto  grado  e  valore  nella 
emissione  vocale,  se  a  noi  fosse  possibile  ammetterle  un  qualunque 
suono  caratteristico.  Ma  allora  ci  troveremmo  già  nel  dominio  con- 
sonantico; e  più  precisamente  all' «/"  consonante  palatina  con  suono 
primario  ed  appartenente  alle  favelle  teutoniche  (1)  ;  ed  inoltrandosi 


(1)  Un  fatto  filologico  di  np^  certo  interesse  a  proposito  della  relazione  tra  la 
/  tedesca  ed  il  6^  italiano,  l*abbiamo  neirespressione  già^  che  noi  adopriamo 
nel  Hngaaggio  famigliare  in  segno  di  adesione  e  di  confennay  rimpiazzando  so- 
yente  U  nostro  m.  Essa  non  è  altro  ohe  Vja  tedesco  ancor  più  consonantizzato 
all'italiana. 

Rifitta  mmieoU  italiana,  Vm.  10 


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146  ARTE  GONTBMPORANBA 

sempre  più  in  quel  dominio,  al  g  francese  in  genie  ed  agli  elementi 
consonantici  italiani  fricativi  esplosivi  69^  e  C  Ma  di  questo  più  dav- 
vicino,  allorché  parleremo  delle  consonanti. 

Come  la  sua  produzione,  pure  la  sua  significazione  simbolica  sarà 
la  stessa  che  quella  della  vocale  L 


Uno  de'  fatti  fisiologici  de'  più  gravi  nella  fonologia  e  degno  di 
riflessione  per  gli  studiosi,  lo  dà  questo  stampo  consonantico  della 
emissione  oscura  27.  Egli  è  interessante,  non  solo  per  la  scienza,  ma 
pure  sorprendente  nel  nostro  caso  per  la  sua  efficacia  nell'emissione 
vocale.  Avremmo  dovuto  in  questa  abbandonare  forse  il  timbro  oscuro, 
pertanto  si  importante  per  la  ricchezza  e  varietà  dei  colori  fonetici 
e  pe'  suoi  caratteri  psichico-simbolici,  se  non  avessimo  potuto  ricorrere, 
nella  sua  produzione,  all'appoggio  del  suo  stampo  consonantico;  il 
,quale,  non  soltanto  lo  estrae  dalla  sua  posizione  naturale,  la  parte 
superiore  dellt  cavità  faringea,  ma  lo  obbliga  a  piegarsi  al  palato 
duro  verso  i  denti  incìsivi  superiori  ed  a  sfiorare,  nella  sua  uscita  al 
di  fuori,  il  labbro  superiore. 

Questo  stampo  consonantico  è  qualche  cosa  di  più  che  la  sola 
stoffa  consonantica  della  vocale  U,  che,  come  sappiamo,  ne  possiede 
pochissima;  esso  stampo  è  vera  e  propria  consonante,  e  non  solo  in 
italiano,  ma  in  tutti  gli  idiomi,  se  togliamo  la  liogua  inglese  —  la 
più  inconseguente  fonicamente  di  tutte  le  favelle  —  ove  essa  si  con- 
fonde quasi  del  tutto  colla  vocale  {7,  presentando  una  novella  prova 
in  nostro  favore,  e  giustificandone  la  denominazione  d'espirazione  irra- 
zionale dell'emissione  oscura  (1). 

Come  consonante  indipendente  essa  appartiene  al  gruppo  delle  so- 
nore (grammaticalmente:  liquide-semivocali),  ed  implicita  per  questo 
nella  sua  produzione  sommaria  la  vibrazione,  sia  pure  leggerissima, 
deUe  corde  vocali.  Si  forma  così:  la  lingua  posa  nella  sua  posizione 
ordinaria  ;  cioè  giace  in  avanti  con  la  punta  appoggiata  leggermente 


(1)  Nel  linguaggio  Bcien tifico  della  Fonologia  questa  oonaoiianta  viene  anche 
chiamata  appunto  <  appendice  labiale  irrazionale  » . 


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LA  TECNICA  DBt  CANALI  d'aTTACCO  ^^^^^ 

alla  radice  dei  denti  incisivi  inferiori.  Il  labbro  superiore  trovasi 
rialzato»  lasciando  scoperti  i  denti  superiori,  i  quali  leggermente 
vanno  appoggiandosi  sul  labbro  inferiore;  questo  si  stira  coprendo i» 
totalmente  i  denti  inferiori^  e  dando  all'orifizio  boccale  una  forma  , 
molto  prossima  a  quella  richiesta  per  l'emissione  chiara  L  Questa 
posizione  apporta  a  correggere  l'altra,  si  sfavorevole  per  l'emissione 
vocale,  delle  labbra  raggruppate  e  spinte  in  fuori  propria  della  vo- 
cale U.  La  sua  posizione  trovasi  tra  i  denti  superiori  ed  il  labbro 
inferiore  (vedi  fig.  2*).  Porre  bene  attenzione  di  non  confondere 
questa  consonante  con  la  sua  consorella  sorda,  la  labio-dentale  fri- 
cativa Fj  con  la  quale  ha  comune  la  posizione  e  la  formazione,  e  si 
distingue  solo  per  la  spinta  molto  meno  energica  della  corrente  del- 
l'aria- prodotta  dal  diaframma  e  per  il  concorso  delle  vibrazioni  delle 
corde  vocali. 

Questa  consonante  sonora  fricativa  possiede  al  sommo  grado  la  sin- 
golarità psicologica  di  esprimere  tutto  ciò  che  è  scorrevole,  cullante, 
ondulatorio  e  fluttuante. 


Esercizt  delle  vocali  primarie  precedute  e  sorrette 
dai  loro  rispettivi  stampi  consonantici  (suono  naturale). 

Serie  Prima, 

EmnIsIo  Olile.  Espedienti  gnid  del  snono  netiinJe. 

N.  1.  -  (H)  A,  I,  U. 


N.  2.  —  (F)  U,  I,  A. 


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148 


ARTI  GONTXBCPOBANSA 


N.  3.  -  (J)  I,  A,  U.     (j)  ^ 


N.  4.  -  (F)  U,  A,  L  I 

(Vi 


N.  5.  -  (JBT)  A,  U,  I.  I 


N.  6. -(/)!,  U,A.     (j)l 


V  V 


Eseremo  mtmeale, 

v/  V 


V 


jjj  luj-rttz4JJ  II  j^^J 


fH)  Ì^"&fF)  U  I  A  (J)I  A  U(V)U  A  I(H)A  U  I  (J 


La  formazione  del  suono  non  è  né  declamazione,   né   < 
bensì  stadio  dell'emissione  vocale,  onde  rendersi   padroni 
nismo  e  del  meccanismo  di  qnello. 


(1)  Pare  disoendeDdo  e  spostandone,  a  seconda  dei  casi  e  del  bisog 


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LA  TBCaaCA  DEL  CANALE  D*ATTAGCO  .       149 

L'esercìzio  orale  si  &rà  su  di  una  nota  la  più  comoda  e  la  più 
centrale  della  lingua  parlata. 

Ogni  misura  dell'esercizio  musicale  sarà  uno  studio  a  sé. 

I  primi  tentativi  vocali,  tutti  lo  sappiamo,  devono  venir  fatti  in 
una  moderata  estensione.  La  nostra  moderna  scala  è  già  troppo  estesa 
per  i  primi  passi  nello  studio  dell'emissione:  raramente  s'incontrano 
otto  suoni  di  ugual  forza  e  vastità  nella  voce  di  un  principiante. 
L'esaccordo  del  Medio  Evo  «  la  patria,  il  focolare  del  suono  »  come 
il  Crysander  ben  a  ragione  lo  chiama,  è  abbastanza  esteso  per  lo 
studio  delle  vocali  ed  è  da  raccomandarsi  almeno  per  imprimi  tempi 
di  questo. 

.  È  ben  sottinteso^  che  l'allievo,  prima  di  cominciare  questi  eser- 
cizi, abbia  già  per  un  periodo  di  tempo  più  o  meno  lungo,  praticato 
gli  esercizi  ginnastico-muti  presentati  più  indietro;  e  giunto  per 
mezzo  di  quelli  ad  un  certo  grado  di  abilità  nella  conoscenza  e  si- 
gnoreggiamento  tanto  degli  organi  movibili  del  canale,  d'attacco, 
quanto  nell'azione  della  respirazione  diaframmatica.  Raggiunto  questo 
grado  e  compresane  la  necessità  e  l'importanza  capitale,  non  avremo 
adesso  più  bisogno  di  lottare  contro  cavità  inesplorate  e  sbarrate, 
contro  organi  volubili  e  ricalcitranti  e  contro  sforzi  e  pressioni  mu- 
scolari. I  difetti  naturali  di  emissione,  se  soltanto  occasionali  e  noi^ 
organici,  le  cattive  abitudini  di  pronunzia  ecc.,  avranno  diminuito 
d'influenza,  se  non  del  tutto  disparsi.  Dunque  l'attacco  delle  emis- 
sioni vocali  A,  J,  Uj  non  creerà  all'allievo  nostro  nessuna  difficoltà; 
tanto  più  che,  oltre  lo  studio  teorico  sino  adesso  presentato,  avrà 
pure  in  suo  aiuto  il  continuo  controllo  degli  stampi  consonantici.  * 

Faremo  anche  osservare  che  questi  stampi,  considerati  come  punto 
d'appoggio  articolatorio  delle  vocali  primarie,  produrranno  una  tran- 
quilla e  regolare  espirazione,  servendo  nell'istesso  tempo,  a  condurre 
convenientemente  la  corrente  dall'aria  divenuta  suono  nello  spazio 
di  eondensamento,  per  quindi  poter  venir  gettata  al  di  fuora  ;  mentre 
l'attacco  delle  vocali  in  generale  studiato  senza  alcun  appoggio  con- 
soDUìtico,  oltre  sviluppare  una  espirazione  irrequieta  ed  incerta,  ob- 
bligherebbe la  colonna  sonora  a  dirigersi  e  condensarsi  nelle  loro 
rispettive  naturali  posizioni  (suono  naturale);  in  maniera  prevaricata, 
come  abbiamo  già  osservato,  nell'emissioni  A^  U  e  forse  esagera- 
taonente  giusta,  ciò  che  è  pure  da  evitarsi,  nell'emissione  i.  Invece 


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150  ARTB  CONTEMPORANEA 

gli  stampi  consonantici,  ripetiamo,  aiutano  il  suono  vocale,  nato  nella 
glottide  tra  le  corde  vocali,  a  portarsi  al  palato  duro  (appoggio)^ 
parete  la  più  solida  e  la  più  sonora  del  canale  d'attacco,  verso  i 
denti  incisivi  superiori,  nella  parte  anteriore  della  cavità  orale  o 
avambocca;  e  là  risuonare  nella  così  detta  maschera  del  viso  (im- 
posto). In  questo  pure  saniamo,  non  solo  il  fatto  fisiologicofonetico 
della  nostra  favella,  la  quale  consegna  che  sempre  ed  in  qualunque 
produzione  fonetica,  sia  essa  dentale,  labiale,  palatina,  nasale  o  gut- 
turale, la  corrente  dell'aria  o  colonna  sonora  deve  attraversare  la 
cavità  orale  ed  uscire  fuori  intieramente,  e  soltanto,  per  Torifizio 
della  bocca  —  ma  bensì  anco  i  precetti  sull'emissione  de'  nostri 
metodi  dell'antica  scuola  italiana. 

Sarà  bene  di  consigliare  all'allievo  di  dare  agli  stampi  consonan- 
tici H,  J  —  che,  come  abbiamo  già  detto,  sono  nella  nostra  &• 
velia  l'uno  scomparso  foneticamente,  l'altro  scomparso  nell'ortografia, 
ma  fonicamente  immedesimato  colla  vocale  I  —  un  valore  più  ar- 
ticolatorio;  cioè  esagerandone  le  loro  proprietà  consonantiche  in  re* 
lazione  alle  proprietà  vocali  delle  tre  emissioni;  che  è  quanto  dire: 
alla  H  un  carattere  consonantico  aspirativo  come  nella  nostra  &vella 
la  interiezione  (i)  Ah!  ed  alla  J  un  carattere  fricativo,  che  si  av- 
vicini ai  J  e  g  francese  ed  al  ^  italiano  come  formula  mediana 
(p.  es.  in  magia):  tutto  questo  però  col  solo  pensiero,  o  meglio,  più 
mentalmente  che  effettivamente. 

Gli  espedienti  grafici  del  suono  naturale  saranno  da  per  se  st^ 
ben  chiarì  e  non  necessiteranno  dì  una  dettagliata  spiegazione;  spe- 
cialmente allora  quando  avremo  osservato  attentamente  l'antecedente 
figura  seconda.  La  freccia  che  in  quegli  espedienti  forma  angolo 
acuto  significa  la  direzione  della  colonna  sonora  nel  canale  d'attacco 
del  suono  naturale  nelle  tre  emissioni. 

Questi  espedienti  manifesteranno  la  loro  intiera  importanza  più 
innanzi,  allorché  parleremo  del  suono  normale  o  neutralizzamento 
delle  vocali  primarie. 

Adesso  alcunché  sulla  posizione  dell'orifizio  boccale,  della  laringe, 
della  testa  ecc.,  nell'emissione  delle  note  dell'esercizio  musicale.  In 
generale,  ma  non  sempre  né  in  maniera  caricata,  la  posizione  del 
labbro  superiore  rialzato  in  modo  da  lasciare  scorgere  almeno  un  po' 
la  fila  dei  denti  incisivi  superiori,  e  del  labbro  inferiore  stirato  ed 


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LA  TfiCmCA   DSL  CANALK   D*ATTACGO  151 

appoggiato  leggermente  ai  denti  inferiori  coprendoli,  è  da  preferirsi 
nelFemissione  vocale  all'altra  posizione,  presa  come  principio  siste- 
matico, delle  labbra  spinte  in  avanti  e  rattrappite,  lasciando  soltanto 
una  piccola  nscita  ovale  alla  condotta  sonora.  La  prima  posizione, 
che  come  si  vede  e  si  vedrà  chiaramente  ad  ogni  passo  è  quella  che 
si  addice  al  dominio  vocale  chiaro  e  fisiologicamente  a  tutti  gli  ele- 
menti consonantici  della  nostra  favella,  favorirà  il  neutralizzamento 
del  vocalismo  oscuro,  permettendo  al  suono  pure  in  quello  di  portare 
e  presterà  alla  pronunzia  la  sua  proprietà  incisiva  e  distinta,  appor- 
tando alla  chiarezza  ed  alla  comprensibilità  immediata  della  i>aro2ei. 

Sulla  laringe  non  dovrà  essere  esercitata  nessuna  pressione;  perciò 
né  abbassamento  né  alzamento  volontario,  prescritto;  ma  sibbene 
lasciarla  libera  di  seguire ,  oltre  i  movimenti  fisiologico-fonetici 
osservati  nella  formazione  delle  tre  vocali  primarie,  pure  i  movi- 
menti fisiologico-acustici  dell'altezza  o  profondità  del  suono  musicale 
—  tutti  movimenti  che,  come  vedremo  più  innanzi,  si  trovano  tra 
essi  in  strettissima  relazione. 

La  testa  compresovi  il  collo  sino  alle  clavicole,  e  con  essa  tutti 
i  suoi  sistemi  muscolari,  deye  trovarsi  nella  posizione  la  più  tran- 
quilla e  naturale  in  compatibilità  coi  differenti  movimenti  degli  or- 
gani del  canale  d'attacco,  con  una  inclinazione  piuttosto  al  basso 
che  all'alto  ;  e  ciò  onde  liberare  il  più  possibile  la  laringe  da  qua- 
lunque contrazione  e  pressione,  e  permettere  alla  colonna  sonora  di 
arrivare  francamente  e  presto  nello  spazio  di  condensamento. 

Osservato  alla  posizione  delle  labbra,  l'apertura  dell'orifizio  orale 
succederà  col  semplice  abbassamento  della  mascella  inferiore;  un 
abbassamento  sempre  moderato  e  possìbilmente  uguale  per  le  tre 
vocali  primarie.  Quest'apertura  é  da  osservarsi  scrupolosamente  nel 
primo  tempo  degli  esercizi  d'emissione,  dovendo  più  tardi  subire 
alcune  modificazioni.  La  faccia,  l'espressione  del  viso,  deve  essere 
naturale,  un  po'  sorridente,  non  mai  esageratamente  seria  e  triste 
con  inarcamento  delle  ciglia  o  raggruppamento  d^Ue  rughe  frontali: 
questo  sarebbe  un  segno  di  sforzo  di  emissione  o  contrazione  mu- 
scolare. 

È  pure  da  raccomandarsi  di  studiare  in  piedi,  od  almeno  seduti 
comodamente;  in  maniera  che  tutti  gli  organi  partecipanti  sieno 
liberi  e  pronti  a  qualunque  richiesta  partecipazione.  Il  migliore  ac- 


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152  ARTE  GONTSBfPOaANBA 

compagnamento  della  voce  è  un  altra  voce  e  non  un  istrumento  tem- 
perato come  il  pianoforte:  nel  nostro  caso  gli  esercizi  di  emissione 
verranno  praticati  tutt'affieitto  a  solo.  Un  diapason,  nn  violino,  un 
tasto  del  pianoforte  basteranno  per  dare  l'intonazione  del  primo 
suono. 

La  durata  di  ciascuna  misura  deve  essere  di  circa  10  secondi,  e 
coU'esercizio,  procurare  di  portarla  sino  a  15  o  20  secondi.  Nell'ab- 
bandonare  il  suono  evitare  di  ^diminuirlo  esageratamente,  ma  la- 
sciarlo con  natural^za,  appoggiando  insieme  le  labbra.  Prima  di 
attaccare  l'altro  suono  è  necessario  fare  una  pausa  di  4  o  5  secondi, 
onde  prendere  nel  modo  già  indicato,  il  respiro  intiero,  osservando 
attentamente  e  coscenziosamente  a  tutto  quello  che  Z  stato  detto  ri- 
guardo alla  posizione  e  formazione  delle  vocali  primarie  e  loro  stampi 
consonantici,  alla  respirazione,  alla  posizione  della  testa,  del  corpo  ecc. 

Il  grado  dinamico  di  questi  esercizi  musicali  sarà  il  mf^  sino  a 
tanto  che  non  vi  saranno  indicazioni  speciali. 

♦ 

L'esercitare  l'allievo  nello  studio  dell'emissione  su  di  una  sola 
delle  vocali  primarie  è  riconosciuto  oramai  come  un  procedimento 
difettoso,  da  evitarsi  perciò  il  più  possibile.  Da  qui  la  necessità  di 
esercitarle  vicendevolmente  ;  e  non  soltanto  per  cagione  dei  movi- 
menti fisiologici  sì  caratteristici,  sì  differenti  assolutamente  tra  loro 
e  perciò  molto  più  facili  a  discernerli  e  stabilirli  nel  confrontarli 
simultaneamente,  ma  anche  per  giungere,  in  un  tempo  relativa- 
'  mente  breve,  e  quasi  insensibilmente,  all'acquisto  del  suono  normale, 
che  è  quanto  dire  alla  NetdrcUigBaBione  delle  tre  emissioni  primarie 
e  dei  loro  timbri. 

È  questa  neutralizzazione  lo  scopo  principale  di  questo  studio; 
non  essendo  nostra  intenzione,  né  entrando  nel  nostro  compito,  il 
raggiungere  il  suone  ideale;  poiché  ciò  ci  condurrebbe  nel  campo 
vero  e  proprio  della  declamazione  vocale  (o  canto,  come  chiamar  *si 
voglia).  La  buona  emissione  vocale  si  ottiene  sopratutto  per  mezzo 
di  detta  neutralizzazione  —  da  non  confondersi  col  suono  vocale 
neutro  A  —  che  si  ottiene  dapprima  coU'aiuto  scambievole  delle 
vocali  primarie  tra  loro,  quindi  coU'aiuto  delle  vocali  secondarie,  ed 


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LA  TECNICA  DEL  CANALE  D* ATTACCO  .  153 

in  ultimo  per  mezzo  delle  consonantiche  articolazioni,  che  con  quelle 
troyansi  in  istretta  parentela. 

La  neutralizzazione,  s!intende,  riguarda  intimamente  e  principal- 
mente il  suono  Tocale  musicale;  e  secondariamente  il  suono  orale; 
ed  è  quel  procedimento  che,  senza  togliere  alle  tre  principali  emis- 
sioni nessuna  delle  loro  proprietà  essenziali,  serve  a  noi  per  salva- 
guardarci di  cadere  in  quei  difetti  e  cattive  abitudini  che  da  esse, 
come  abbiamo  veduto,  si  dipartono.  Un  riepilogo  di  essi  difetti  non 
ci  sembra  qui  ovvio  del  tutto. 

Sappiamo  già  che  dalle  vocali  primarie  scaturiscono  le  differenti 
qualità  metalliche  del  suono  vocale. 

Dalla  vocale  I  scaturisce  la  voce  dentale,  dalla  vocale  17  la  voce 
nasale,  velare  e  faucale  a  seconda  della  più  o  meno  elasticità  ed 
ubbidienza  del  velo  palatino.  Qui  incontriamo  pure  una  prova  delle 
copseguenze  prevaricanti,  alle  quali  apporterebbe  lo  studio  dell'emis- 
sione  con  una  sola  di  queste  vocali.  E  noi  italiani  specialmente  ne 
sappiamo  già  qualche  cosa  di  queste  conseguenze  nell'abuso  che  la 
nostra  vecchia  scuola  faceva  nell'emissione  della  vocale  A  ;  la  quale 
è  vero  ci  apportava  ad  una  tecnica  perfetta  delle  corde  vocali  a  dis- 
capito però  della  varietà  dei  timbri  e  loro  neutralizzamento,  della 
facilità  di  emissione,  ed  alla  mancanza,  il  più  delle  volte,  di  forza 
espressiva  declamatoria. 

Pur  troppo  bisogna  riconoscere  che  giusto  la  vocale  A  è'  quella 
che  più  delle  altre  vocali  primarie  ha  bisogno  del  procedimento 
della  neutralizzazione  e  di  uno  studio  prolungato  e  prudente  di  os- 
servazione. Oli  stessi  fatti  fisiologici,  che  provengono  dalla  natura 
della  nostra  favella,  ci  apportano  a  dei  resultati  inconseguenti,  irra- 
zionali intomo  a  questa  vocale,  mettendoci  in  imbarazzò  onde  darle 
un  carattere  reciso  ed  assegnarle  un  compito  nell'emissione  vocale. 
La  volubilità  e  la  malleabilità  di  questa  vocale,  che  si  riscontrano 
in  quei  fatti,  ci  consolidano  sempre  più  della  sua  difficoltà  nell'emet- 
terla  giustamente.  Le  vocali  J  ed  17  sono  è  vero,-  quali  suoni  natu- 
rali, confini  angolosi  e  difettosi  del  vocalismo;  ma  hanno, .oltre 
l'aiuto  dei  loro  stampi  consonantici  più  &vorevoli  alla  buona  emis- 
sione che  lo  stampo  della  vocale  j.,  pure  una  posizione  più  costante, 
stabile,  mentre  la  vocale  J.,  sorgente  del  suono  e  della  vita  vocale, 
nella  sua  stessa  bellezza  non  si  spoglia  delle  debolezze  a  questa  ine- 
renti: l'incostanza  e  l'instabilità. 


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154 


ARTE  CONTEMPORANEA 


Ma  lasciamo  l'iperbole  e  torniamo  al  pratico.  Per  meglio  com- 
prendere il  processo  della  neutralizzazione  delle  vocali  primarie  ab- 
biamo pensato  primieramente  e  teoricamente  di  servirci  degli  stessi 
espedienti  grafici  già  presentati  e  che  indicano  il  suono  naturale, 
contrapponendovene  altri,  da  quelli  derivati,  che  indicheranno  il 
suono  normale  o  suono  neutralizzato.  Appresso,  ed  in  maniera  pratica, 
presenteremo  le  vocali  secondarie  e  ne  dimostreremo  l'importanza 
qnale  mezzo  di  neutralizzazione  di  tatto  il  vocalismo. 

Ciome  puossi  ben  vedere  in  quegli  espedienti  la  colonna  sonora, 
qoal  suono  naturale,  percorre  il  canale  d'attacco,  formando  un  an- 
golo acuto.  Questo  angolo  acuto,  nel  nostro  caso,  esprime  grafica- 
mente i  difetti  inerenti  alle  tre  vocali  primarie.  Esso  sarà  perciò 
da  evitarsi  il  più  possibile,  dando  per  così  dire  a  quella  colonna  una 
forma  più  arrotondata,  amalgamando  il  suono  naturale,  rendendolo 
più  omogeneo,  più  normale.  Ciò  potrà  esprìmersi  graficamente  cos). 
Prendasi,  per  esempio,  l'espediente  grafico  del  suono  naturale  N.  3  (1). 


Oi 


('>--~^>-- 


(A) 


Suono  natnnJo. 


Suono  nonnalo. 


Riducendolo  a  quest'altra  forma  avremo  il  suono  normale  o  neu- 
tralizzamento  delle  tre  vocali  primarie,  che  è  quanto  dire:  cerche- 
remo di  allontanare  remissione  chiara  I  dai  denti,  portandola  un 
po'  indietro  nella  cavità  orale;  avvicineremo  il  più  possibile  l'emis- 
sione oscura  U  verso  l'orifizio  boccale  ed  alzeremo  la  posizione  del- 
l'emissione primitiva  A,  portandola  dalla  cavità  faringea  nella  ca- 
vità orale.  Per  il  neutralizzamento  dell'emissione  oscura  abbiamo 
già,  come  fu  detto,  un  possente  ausiliare  giusto  nella  sua  espirazione 
irrazionale  o  stampo  consonantico;  per  le  altre  due  emissioni   però 


(1)  Tatti  gli  altri  namerì  neiristesM  guisa  ridotti. 


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LA  TECNICA  DBL  CANALE  D  ATTACCO  155 

le  loro  espirazioni  o  stampi  saranno  di  aiuto  ed  appoggio  per  il  loro 
Ddutralizzam^to  sino  ad  un  certo  punto:  per  ottener  ciò  completa- 
mente sarà  forse  necessario  aftcora  di  attendere  e  di  trovare  più  in- 
nanzi i  loro  definitivi  ausiliari  nello  studio  delle  vocali  secondarie. 
Intanto  sia  qui  ancora  dimostrata  la  necessità,  onde  ottenere  il  suono 
normale,  di  conoscere  la  posizione  e  la  formazione  delle  vocali  pri- 
marie e  sopratutto  le  posizioni  sì  differenti  in  cui'trovansi  gli  organi 
movibili  del  canale  d'attacco.  Nella  U  ci  ricorderemo  di  portare  la 
lingua  un  po'  al  basso  senza  gravare  però  Tosso  di  essa  sulla  la- 
ringe: in  quanto  alla  posizione  delle  labbra  basterà  pensare,  pure 
allorché  1'  V  non  servirà  d'attacco,  al  suo  stampo  consonantico.  La 
vocale  /  presenterà  alcune  difficoltà  per  portarla  un  po'  indietro, 
onde  dare  a  questa  emissione  l'apertura  necessaria  della  -cavità  orale 
per  la  condensazione  del  suo  suono.  Infatti  la  cavità  orale  è  imba- 
razzata quasi  intieramente  dalla  massa  linguale,  la  quale  trovasi 
nella  sua  più  alta  curva  verso  il  palato  duro.  Rimedieremo  in  parte 
a  questo  impedimento  ricordandoci  di  tener  appoggiata  sempre  la 
punta  della  lingua  alla  radice  dei  denti  incisivi  inferiori  e  nell'i- 
stesso  tempo  tentare  di  abassare  il  più  possibile  la  mascella  inferiore, 
venendo  cosi  ad  ottenere  un  allargamento,  non  solo  dell'orifizio  boc- 
cale, ma  pure  della  cavità  orale. 

Le  difficoltà  della  vocale  A  saranno  molto  maggiori.  Abbiamo  già 
accennato  alle  conclusioni,  la  maggipr  parte  irrazionali  ed  inconse- 
guenti, alle  quali  apportano  in  questa  emissione  i  fatti  fonologici. 
Noi  crediamo  bene  di  tenerci  al  più  importante  di  questi,  quello 
delle  Permutcuioni^  che,  come  sappiamo,  consiste  nel  prestare  ad 
alcune  articolazioni  consonantiche  palatine  la  caratteristica  del  suono 
gutturale.  E  ragioniamo:  se  A  appartenesse,  come  suono  naturale, 
al  dominio  del  vocalismo  chiaro,  essa  pure  dovrebbe  far  ritenere  a 
quelle  consonanti  viandanti  il  suono  dolce  che  esse  hanno  accom- 
pagnate dalle  vocali  appartenenti  a  quel  dominio.  Invece  essa  le 
permuta  completamente,  prestandole  già  un  suono  di  carattere  gut- 
. turale  e  quello  stesso  che  esse  hanno  accompagnate  dalle  vocali  ap- 
partenenti al  dominio  oscuro.  Incorderemo  pure  il  fatto  filologico 
comparativo  che  questa  vocale  in  quasi  tutti  gli  idiomi  tende  più 
che  altro  al  dominio  vocale  oscuro;  dunque  dedurremo  che,  onde 
ottenerne  la  sua  neutralizzazione  o  suono  normale,  sarà  prudente. 


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156  ARTB  CONTEMPORANEA 

almeno  nella  maggior  parte  dei  casi  ed  allorché  sopratatto  non  avremo 
a  combattere  il  difetto  della  voce  gatturale,  di  dare  ad  essa  una 
lieve  assonanza  di  carattere  oscuro  ;  dtò  alzando  convenientemente  il 
velo  palatino  in  forma  rotonda,  come  abbiamo  già  indicato  negli 
esercizi  ginnastico-muti  di  quell'organo,  e  tenere  il  dorso  medio  e 
posteriore  della  lingua  un  po'  rivolti  verso  il  basso. 
Sarà  pure  osservato  in  tutti  gli  esercizi  musicali: 

lo  I  colori  differenti  e  caratteristici  che  produrrà  ogni  nofa 
dell'esaccordo  «u  ciascuna  delle  tre  vocali  primarie;  cioè:  la  sonorità 
metallica  e  piena  della  vocale  A^  la  risuonanza  energica  e  pungente 
della  vocale  J,  ed  il  rimbombo  opaco,  molle  e  rinchiuso  della  vocale  U: 

2^  La  differenza  fisiologica  della  forza  dinamica  di  queste  vo- 
cali, che  potrà  riassumersi  cosi: 


S^  La  difficoltà  per  inviare  il  suono  della  A  alla  U  soprattutto 
nelle  note  superiori  dell'esaccordo,  senza  far  nascere  un  piccolo  stacco 
0  scheggiamento.  Qui  si  convergono  e  s'incrociano  altre  cagioni  ed 
altri  fotti  di  ordine  fisico-acustico,  i  quali  provengono  dalla  rela- 
zione intima  fra  suono  e  vocaT8  e  che  ci  riserberemo  di  esporre,  e 
chiarire  del  nostro  meglio,  più  innanzi.  Per  adesso,  passiamo  senza 
altro  allo  stadio  delle  vocali  secondarie. 

{Continua). 

€.  Somigli. 


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INTORNO  ALLA  MISURA.   • 
DEGLI   INTERVALLI   MELODICI 


Ssperlsiaxe  ed  OsBervmzlonl. 


1.  —  Dìcesi  melodico  rintervallo  che  passa  tra  due  suoni  mu- 
sicali .prodotti  successivamente,  per  distinguerlo  i^AVintervaUo  ar- 
monico che  è  tra  due  suoni  prodotti  simultaneamente,  o  formanti 
accordo  musicale. 

Questa  distinzione  ha  ragione  di  essere,  sia  per  l'arte  che  per  la 
scienza.  In  ogni  fase  della  progressiva  evoluzione  dell'arte,  la  que- 
stione  dell'intervallo  ebbe  grandissima  importanza,  perchè  esso  va 
riguardato  come  fattore  principale  del  sistema;  ma  nell'ultima  fase 
(la  moderna)  ne  acquistò  ancor  più.  Infatti  nella  nostra  musica  l'in- 
tervallo (per  la  sua  ampiezza  e  distribuzione)  divenne  elemento  costi- 
tutivo, non  solo  del  disegno  melodico^  come  in  ogni  tempo;  ma  anche 
del  disegno  armonico  che  è  caratteristico  del  nostro  sistema. 

Quante  discussioni  scientifiche  siensi  fatte  in  ogni  periodo  della 
storia  musicale,  da  Pitagora,  Aristosseno,  Euclide,  ecc.  fino  a  Dele- 
renne  e  Mùhrìng  e  Bitter  in  favore  e  contro  l'intervallo  pitagorico 
e  sinfonico,  si  può  leggere  nel  Journal  de  Physique^  del  1872, 1. 1, 
pag.  109,  Sur  Thistoire  de  TAcousiique  musicale,  par  E.  Mebcadier. 

Io  mi  limito  a  rilevare  che  oggi  pure  la  questione  degli  intervalli 
è  viva  più  che  mai:  essa  ha  per  oggetto  precisamente  il  confronto  tra 
gli  intervalli  melodici  e  gli  armonici. 


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158  ARTE  CONTEMPORANEA 

Helmholfjs  con  una  analisi  profonda  dei  suoni  isolati  e  in  òbmbi- 
nazione,  avea  dato  una  dimostrazione  sperimentale  (non  soltanto  psi- 
cologica come  per  lo  passato)  degli  accordi  musicali  addirittura 
incontestata.  Il  risultato  fu  questo,  che  siccome  le  scale  si  considerano 
come  formole  rappresentative  dei  sistemi  musicali,  così  la  scala  acu- 
stica 0  naturale 

1    A    A     Jl    A     A     i5.    9 

è  quella  che  rappresenta  il  ^stema  moderno;  perchè  da  essa  si  può 
riconoscere  il  numero,  l'ampiezza,  i  caratteri  degli  intervalli  de*  suoni 
che  la  costituiscono  e  la  loro  mutua  dipendenza» 

Blasema  coi  suoi  lavori  pubblicati  nei  Bendiconti  della  B.  Acca- 
demia dei  Lincei  (2  e  16  maggio  1886)  fece  fare  un  vero  passo  alle 
teorie  di  Helmholtz  che  egli  aveva  già  propugnato  nel  suo  libro: 
Le  san  et  la  musique;  infatti  ci  ha  dato  la  chiave  per  isciogliere 
queste  e  molte  altre  questioni,  dimostrando,  in  una  sintesi  sistematica 
dei  rapporti  acustici,  la  mirabile  struttura  e  ricchezza  del  sistema 
musicale  armonico  specialmente  nelle  modulazioni  che  gli  sono  ca- 
ratteristiche (1). 

Ciò  non  ostante  in  molti  scrittori  di  cose  musicali  è  entrata  la 
convinzione  che  alcuni  intervalli  omonimi  de'  suoni  abbiano  diversa 
grandezza,  secondochè  si  producono  successivamente  o  simultanear 
mente.  I  buoni  artisti,  specialmente  i  suonatori  d'istrumenti  ad  arco, 
che  nelle  esecuzioni  seguono  l'ispirazione  del  genio,  sanno  che  il  loro 
orecchio  esige  certi  spostamenti  de'  suoni  e  una  conseguente  disten- 
sione 0  contrazione  d'intervalli  ai  quali  non  corrisponde  alcuna  com- 
binazione armonica  sopportabile.  D'altra  parte  è  innegabile  che  il 
predominio,  in  pratica,  della  scala  temperata,  posta  tra  la  acustica  e 
la  pitagorica,  ha  reso  oltremodo  difficile  l'apprezzamento  degli  inter- 
valli. Ne  seguì  che  i  teorici,  pur  riconoscendo  i  pregi  in  teorìa  della 
scala  naturale,  si  schierano  contro;  giudicandola,  come  fa  D'  Oscar 


(1)  Nel  mìo  lavoro,  la  Enarmonia  (Oiomale  Arcadico,  serie  III,  n.  H),  ho 
tentato  di  dare  una  interpretazione  artistica  a  quelle  relarioni  numeriche. 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DBG  LI  INTERVALLI  MELODICI  159 

Chilesottì,  insufficiente  alla  evoluzione  compinta  dell'arte  moderna, 
perchè  è  m  aperto  contrasto  colFessenaa  della  modulcurione  (!)  che 
è  la  sua  grande  risorsa  (1);  ovvero,  rigettandola  come  impraticabile, 
non  solo  per  le  difficoltà  tecniche  eccessive,  ma  per  ragioni  arti- 
stiche consistenti  principalmente^  neUa  preponderanaa  della  melodia 
sMa  armonia  (2). 

L'unico  argomento  che  abbia  vero  valore  scientifico  sono  ancora 
le  esperienze  dì  Cornu  e  Mercadier  del  1869-71  (3),  perchè  furono 
dirette  alla  misura  degli  intervalli  melodici,  e  gli  autori  hanno  for- 
mulato le  loro  conclusioni  in  forma  determinata. 

Esse  suonano  così: 
I.  Gli  intervalli  musicali  de'  swmi  sueeessivi  d'una  melodia 
senM  modukufiom  appartengono  alla  gamma  pitagorica: 

^    ^      3*       2^     A     ^     Z.     9 

IL  Gli  intervalli  de'  suoni  simultanei  degli  accordi,  base  del- 
V armonia^  appartengono  a  sistemi  diversi  dipendenti  dalla  comples- 
sità degli  accordi.  Ma  quelli  degli  intervalli  più,  semplici,  terze, 
seste,  accordi  perfetti,  ecc.  possono  considerarsi  come  appartenenti 
alla  sceda  de'  fisici. 

Nel  presente  lavoro  io  mi  sono  proposto  di  riprodurre  le  esperienze 
di  Cornu  e  Mercadier  in  forma  più  sistematica  e  determinata  e  spe- 
cialmente di  dare  ai  risultati  una  interpretazione  artistica  più  logica 
.  e  precisa.  Inoltre  essendo  nata  tra  i  musici  una  certa  diffidenza  per 
le  teorie  di  Helmholtz(4)  che  si  basano  essenzialmente  sulla  scala 
acustica  e  naturale,  mentre  la  melodia  sembra  preferire  la  scala 
pitagorica,  mi  propongo  di  richiamare  al  giusto  prestigio  le  teorie 
acustiche.  Invero,  a  torto  si  contrappone,  come  contradittoria,  Tespe- 


(1)  Bivista  Musicale  Itahana,  voi.  VII,  fase.  2«,  pag.  871,  anno  1900. 

(2)  If.  LftOH  BouTROux,  Bevue  adeniifique,  10,  17,  24  mano  1900. 
(«S)  Comptea  Bendns  de  FAcadémie  dea  Sciences. 

(4)  A.  Layignac  pensa  che  la  teorìa  di  Helmholtz  ne  satisfaU  paa  ahtolument 
Zet  eens  artUHques  (La  musiqùe  et  tee  musieiens,  Pftrìs,  1896). 


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160  ARTB  CONTEMPORANEA 

rienza  di  Comn  e  Mercadier,  alla  teoria  di  HelmholtZ)  pel  fatto  che 
la  melodia  ammette  degli  intervalli  che  non  esistono  nell'armonia; 
mentre  si  può  dimostrare  l'esistenza  dell'interyallo  pitagorico  nella 
melodia,  come  un  corollario  delle  dottrine  di  Helmholtz  intorno  agli 
accordi  musicali;  anzi  se  ne  può  ricavare  perfino  l'uso  sistema- 
tico dello  stesso.  Tutt'al  più  può  considerarsi  come  una  lacuna,  in 
Helmholtz,  il  non  aver  riconosciuto  il  vero  intervallo  melodico,  come 
riconobbe  l'armonico. 

Egli,  a  questo  proposito,  non  ha  che  un  parere  congetturale:  in- 
fatti dice:  «  In  una  successione  melodica  di  suoni  la  terza  non  è  un 
«  intervallo  caratterizzato  in  maniera  certa.  I  musici  sono  abituati 
«  alle  terze  del  -  piano-forte  troppo  alte.  Nella  successione  isolata 
—  (fo,  m>,  sol  —  io  non  saprei  scegliere  tra  le  due  terze  (armonica 
«  e  pitagorica  che  differiscono  d'un  comma  -^)  ma  nell'accordo  sul- 
€Yharmonium  la  pitagorica  è  insopportabile.  Può  essere  che  come 
«  sensibile  la  terza  pitagorica  sia  più  espressiva  ». 

2.  Esperienze.  —  È  noto  che  l'intervallo  di  due  suoni  si  misura 
dal  rapporto  dei  numeri  delle  vibrazioni  che  si  richiedono,  in  uno 
stesso  tempo,  per  produrre  quei  suoni  :  così  se  uno  è  prodotto  da  due 
vibrazioni,  mentre  l'altro  ne  vuole  tre,  il  rapporto -2-  sarà  la  mi- 
sura dell'intervallo  de'  due  suoni.  Con  questa  regola  è  fìicilissimo 
calcolare  gli  intervalli  de'  suoni  d'una  melodia,  quando  si  sappia 
quante  vibrazioni  in  uno  stesso  tempo  corrispondano  a  ciascun  suono 
di  ossia.  Per  contare  queste  vibrazioni,  ecco  come  ho  condotto  l'espe- 
rienza. Ho  accoppiato  un  corista  magnete-elettrico  registratore  (cioè 
munito  di  setola  di  cignale  all'estremità  d'un  rebbio  che  serve  di 
stile)  al  fonautografo  di  Scott,  in  tal  guisa  che  le  due  punte  degli 
stili  fossero  distanti  incirca  due  millimetri  e  poste  sulla  retta  paral- 
lela alle  generatrici  del  cilindro  ricoperto  di  carta  annerita  con  nero 
fumo.  Il  cilindro  ruota  automaticamente  per  un  congegno  di  orolo- 
geria: il  corista  che  serve  da  cronometro,  oscilla  costantemente  ani- 
mato dalla  corrente  d'una  pila  Grenet,  descrivendo  collo  stile  sulla 
carta  una  sinusoide  più  0  meno  distesa  secondo  la  velocità  di  rota- 


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INTORNO  ALLA   MISURA   DB6LI  INTERVALLI  MILODICI  161 

zione  del  cilindro,  ma  sempre  con  egual  numero  di  vibrazioni  nello 
stesso  tempo.  Se  nn  cantore  o  nn  sonatore  eseguisce  una  melodia 
dinanzi  al  paraboloide,  lo  stile  del  fonautografo  traccierà  simultanea- 
mente la  curva  melodica  accanto  alla  curva  del  corista.  Ogni  suono 
secondo  la  sua  altezza  sarà  rappresentato  da  una  porzione  di  sinu- 
soide caratteristica.  Affinchè  ognuno  possa  farsi  Tidea  del  risultato 
di  questa  operazione  e  del  modo  di  numerare  le  vibrazioni  corrispon- 
denti a  tempi  uguali,  riporto  qui  una  porzione  di  disegno  grafico 
della  prima  melodia  sulla  quale  ho  fatto  le  prove.  Questo  disegno 
serve  pure  di  conti^llo  ai  numeri  da  me  ricavati,  potendo  ognuno 
da  sé  numerare  le  vibrazioni  di  parecchi  suoni,  dei  quali  ho  segnata 
la  nota  in  margine  al  disegno  sulla  propria  sinusoide.  Avverto  che 
col  La  tottolineato  si  suol  indicare  il  La  della  scala  acustica,  per 
distinguerlo  dal  Ira  pitagorico  che  è  più  alto  d'un  comma. 

La  curva  del  corista  serve  di  cronometro.  Basta  numerare  quante 
vibrazioni  rispondono  in  ciascun  suono  per  un  egual  numero  di  vi- 
brazioni del  corista  (io  le  ho  calcolate  per  mille)  e  sapremo  quante 
vibrazioni  rispondono  ad  ogni  nota  della  melodia  nello  stesso  tempo. 

Ad  esempio  la  sinusoide  del  La  contiene  35  vibrazioni  per  41  della 

—  35 

sinusoide  sovrapposta  del  corista,  quindi  saranno  -^  =  853,6  vibra- 
zioni del  La  per  ogni  mille  del  corista:  il  La  ne  conta  40  per  46 
del  corista  cioè  ^  =  869,  per  mille.  Facendo  ora  il  rapporto 
Za  :  La  =  1,0179,  si  ottiene  una  frazione  approssimativamente  eguale 

,  8i~ 
adgg.. 

Nel  diagramma  si  potrà  osservare  che  nel  La  figura  soltanto 
mezza  vibrazione  più  che  nel  La,  su  quaranta  del  corista;  sembra 
poco;  ma  tanto  basta  perchè  il  La  sia  pittorico,  e  il  La  sia  natu- 
rale. Infatti  si  richiedono  80  vibrazioni  nel  secondo,  perchè  il  primo 
ne  contenga  un'intera  in  più,  cioè  81.  Nelle  seguenti  tabelle  non  ho 
riportate  le  letture  dirette,  sibbene  i  numeri  ottenuti  dividendo  tutti 
'  pel  numero  delle  vibrazioni  della  tonica  Bo.  In  questo  modo  sono 
riportati  tutti  i  valori  nei  limiti  della  scala,  e  i  miei  risultati  sono 
comparabili  con  quelli  di  Gornu  e  Mercadier. 
Intorno  al  diagramma  devo  far  notare  che  non  essendo  che  l'ottava 

Rétiàla  muaicaU  iialiama.  Vili.  II 


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162 


ARTE  CONTBMPORANBA 


parte  incirca  di  quei  diagrammi  sui  quali  Lo  preso  la  .medi 


4^1  §<S 


g  <2    i^  ^    t  O    ^ 


I   ^   -51    D,  ^  ^  -^  ^ 


non  può  essere  sufficiente  per  calcolare  i  numeri  delle  Tibrazioni 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DKGLI  LNTKRVALLI  MELODICI 


163 


relativi  di  ciascuna  nota  segnata  in  margine.  Io  ho  scelto  qaella 
porzione  che  conteneva  le  sinusoidi  dei  quattro  La  contenuti  nella  me- 
lodia della  prima  tabella,  che  si  leggono  dal  basso  in  alto  come  tutte 
le  note  della  melodia.  Di  alcune  altre  note,  come  dei  terzo  Sol  e 
delle  ultime  8ol^  La,  appare  nel  diagramma  l'estremità  della  propria 
curva  e  il  principio  della  curva  della  nota  che  segue;  quindi  sarebbe 
errore  prendere  la  media  di  quelle  vibrazioni  per  controllare  i  nu- 
meri della  tabella  corrispondente  che  furono  ricavati  dall'intero  dia- 
granàma.  Mio  scopo  era  di  dare  un&  garanzia  per  le  note  controverse 
della  Beala,  che  sona:  il  jSft,  il  La  e  il  iSf>;  ed  a  ciò  è  sufficiente  il 
diagramma.  Ecco  i  risultati  di  otto  prove  : 

1»  Tabella.  —  Melodia  del  M*  GuALTmi. 


^^Mi — 

w — rr- 

w  -s 

r-H^^ 

=P=^ 

I 

r  1 

— ^j    ■ .- 

:-^-S 

SOALB 

B/ 

-4 — 

— -J — 

acustica 

•  1.000 

1,250 

1,500 

2,000 

1,875 

1.666 

1,500 

pitagorica 

•• 

1,266 

» 

t 

1,898 

1,687 

» 

Mirar* 

• 

I 

1.000 

1,247 

1,498 

2,000 

1,877 

1,666 

1,498 

li 

II 

1.247 

Ì,600 

1,8752 

1,668 

1,600 

m 

1,255 

1,497 

1,860 

1,657 

1,497 

IV 

1.259 

1,500 

1,875 

1,680 

1,500 

V 

1,2496 

1,500 

1,900 

1.6606 

1,520 

VI 

1,242 

1,499 

1,844 

1,651 

1,499 

VII 

1,248 

1,500 

2,001 

1,876 

1.670 

1,500 

vin 

1,252 

1,499 

2,002 

1,8754 

1,670 

1,501 

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164 


▲RTB  CONTBICPORANBA 


jb^ 

r^ 

11 

""    ^      1 

,CL 

=^ 

, — <o 

IH 

SOAU 

— %■ — 

— l^ — 

aettstica 

1,4059 

1,500 

1,666 

2,25 

2,000 

1,875 

1,666 

1,500 

pUagoriea 

1.4288 

9 

1,687 

2,278 

• 

1,898 

1,687 

t 

Min» 

I 

1,408 

1,500 

1,680 

2,256 

2,000 

1.888 

1,682 

1,4988 

li 

1,420 

1,500 

1,690 

2,262 

s 

1,898 

1,690 

1,500 

IH 

1,480 

1,499 

1,686 

2,256 

1,92 

1,686 

1,501 

IV 

1,426 

1,501 

1,687 

2,254 

1,875 

1,687 

1,500 

V 

1,410 

1,508 

1,695 

2,264 

\  ■ 

1,892 

1,700 

1,500 

VI 

1,411 

1,499 

1,678 

2,256 

1,876 

1,661 

1,499 

vn 

1,401 

1,500 

1,702 

2,252 

1,875 

1,700 

1,502 

vni 

1,408 

1,500 

1,695 

2,260 

1,877 

1,694 

1,499 

=B^ 

=p^ 

^ 

—f— 

«  ■ 

-^- 

SOALB 

-  T 

=^ 

acustica 

1,888 

1,500 

1,666 

1,125 

1,875 

1,666 

1,500 

2,000 

1.250 

pitagorica 

» 

• 

1,687 

* 

1,898 

1,687 

« 

s 

1,266 

Mirar* 

I 

1,833 

1,500 

1,666 

1,124 

1,875 

1,666 

1,503 

2,000 

— 

u 

1,SS6 

1,500 

1,664 

1.126 

1,875 

— 

— 

— 

— 

III 

1,S88 

1,508 

1,665 

1,127 

1,8925 

1,650 

1,501 

— 

— 

IV 

1,385 

1,500 

1,666 

1,130 

1,876 

1,665 

1,500 

1.999    1.250 

V 

1,840 

1,500 

1,666 

1,180 

1,896 

— 

— 

—         — 

VI 

1,383 

1,499 

1,650 

1,126 

— 

— 

— 

1 

VII 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

VUl 

1,840 

1,501 

1.665 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

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INTORNO  ALLA  MISURA  DIGLI  INTERVALLI  MELODICI  165 

I  nameri  della  tabella  scritti  sotto  ciascuna  nota  della  melodia, 
indicano  l'altezza  relativa  di  ciascun  suono  rispetto  alla  nota: 


m 


perciò  il  Do  =  l  basso  fu  preso  come  tonica,  alla  cui  scala  sono 
riferiti  gli  altri  suoni.  Perchè  ognuno  possa  conoscere  a  quale  scala 
appartengano  ho  posto  in  testa  ad  ogni  colonna  de'  numeri,  i  rap- 
porti della  scala  acustica  e  della  pitagorica. 

Affinchè  si  dia  giusto  peso  alla  interpretazione  artistica  di  queste 
misure  premetto  alcune  osservazioni.  Le  piccole  divergenze  oscillanti 
de' numeri  letti,  dai  valori  teorici,  si  devono  a  cause  d*errore  ine- 
renti, sia  al  modo  di  sperimentare,  sia  alle  letture  e  ai  calcoli. 

Ho  fatto  eseguire  le  melodie  a  tre  distinti  artisti  (due  cantori  e 
un  violinista)  lasciando  loro  ignorare  lo  scopo  di  queste  esperienze, 
e  raccomandando  loro  di  eseguirle  il  meglio  che  potevano  special- 
mente rispetto  all'intonazione.  La  prima  e  la  seconda  melodia  erano 
affatto  sconosciute  agli  artisti,  epperciò  le  lasciai  alla  loro  libera  in- 
terpretazione senza  far  presentire  alcun  accompagnamento.  L'osser- 
vazione dei  diagrammi  dimostra  che  l'attacco  della  nota  non  è  quasi 
mai  preciso,  specialmente  quando  il  canto  non  procede  per  gradi 
congiunti.  Lo  stesso  dicasi,  ma  in  grado  minore,  del  terminare  del 
suono  che  di  rado  conserva  la  stessa  altezza.  Le  letture  quindi  vanno 
fatte  nelle  parti  centrali  della  sinusoide  di  cis^scun  suono,  che  corri- 
spondono all'istante  in  cui  l'artista  non  ha  preoccupazioni.  Aggiungasi 
che  non  è  facile  l'apprezzamento  delle  frazioni  di  vibrazione,  benché 
si  possano  stabilire  due  punti  di  coincidenza  di  fose  (due  massimi  o 
minimi  nelle  sinusoidi  del  suono  e  del  corista  che  giaciano  sulla 
stessa  verticale)  che  permettono  di  prendere  numeri  interi  di  vibra- 
zioni. Il  mio  corista  cronometro  ne  dà  500  Y.S.  al  secondo,  e  la 
maggior  parte  delle  note  sono  più  basse,  e  quindi  hanno  vibrazioni 
più  ampie  di  quella  che  è  assunta  come  unità  di  misura.  Nel  fare  i 
rapporti  colla  tonica  poi  basta  un  piccolo  errore  nella  misura  di 
questo  suono  per  impostare  tutti  gli  altri. 


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166 


ARTS  COr<TEMPORANEA 


FiBalmente  noto  che  sarebbe  errore  prendere  la  media  dei  yalori 
delle  note  omonime  che  s'incontrano  in  tutta  la  melodia.  Il  Za,  a 
mo'  d'esempio,  nella  melodia  riportata,  appare  quattro  Tolte;  ma  a 
prima  vista  si  capisce  che  i  valori  del  secondo  e  del  terzo  La  sono 
costantemente  superiori  ai  valori  degli  altri  La\  epperciò  si  debbono 
ritenere  per  valori  diversi  e  non  attribuire  la  divergenza  a  cause  di 
errore  come  se  oscillassero  intomo  ad  un  valore  medio.  Ricostruendo 
la  scala  sui  valori  ricavati  dalla  melodia,  si  ottiene,  prese  le  medie 
di  ciascun  suono: 


Do 

Bé 

Mi 

Fa 

Sol 

La 

^' 

1,000 

1,12575 

1,4998 

1,8864 

1,4998 

1,66582 

1,8728 

1,1270 

1,260 

1,5002 

1,6885 

1,878  • 

• 

1,50002 

1,6878 

1,882 

1,500 
1.50008 

1,6680 
1,6608 

• 

1,5013 

• 

n  valore  del  Bt  supera  il  teorico  di  2  vibrazioni,  errore  trascura- 
bile, considerato  che  si  richiederebbero  14  vibrazioni  per  innalzarlo 
d'un  comma:  può  attribuirsi  all'esecutore  della  lY*  e  Y^  prova  che 
tende  a  contrarre  l'inteiryallo  di  quinta,  Za  :  £«  e  ad  estendere  quello 
di  sesta  maggiore  Be\Si,  Il  valore  del  Mi  è  evidentemente  quello 
della  scala  acustica.  Analoghe  considerazioni  valgono  per  il  Fa  e 
per  il  Sol.  Il  Si  ha  due  o  tre  valori  esageratamente  alti,  che  inai* 
zane  la  seconda  e  la  terza  media;  ma  considerando  che  per  la  pre- 
valenza degli  altri  valori,  si  possono  considerare  come  errore  di  ese- 
cuzioQO  0  di  lettura;  e  d'altra  parte  diiFeriscono  dal  valore  pitagorico 
non  n^eno  di  18  vibrazioni,  è  da  ritenersi  ohe  anche  Si  appartiene 
alla  scala  naturale.  Besta  il  La  che  evidentemente  ha  due  valoò 
diversi;'  la  I\  la  lY»,  e  la  Y*  media  rappresentano  tre  valori  del  La 
acustici,  la  II*  e  la  III*  due  valori  pitagorici.  Ciò  si  può  rendere 
evidente  in  altro  modo: 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DEGLI  INTBaVALLI  MELODICI  167 

È  noto  the  nella  scala  aeustica  i  tre  nomi  : 

&?  :ZrO  :  iSi  :  =  -2- :  -g- :  -g- 

10  9 

distano  d*un  tono  minore  -g-?=  1,1111  e  d*un  tono  maggiore  -^  ; 

laddove  nella  scala  pitagorica  formano  due  toni  maggiori  -^  =  1,125. 

Fatti  i  rapporti  tra  i  yalori  del  La  e  del  Sol  che  lo  precede  risolla: 

!•  Za:  iS(0l=  1,1109  —  tono  minore 
.^  ll«  La\8ól=  1,1255  —  tono  maggiore 

IIP  Ira  :ìS(0Z=  1,1251  —  tono  maggiore 
IV»  Zro:/SÌ9Ì=  1,1086  —  tono  minore 
V»  La  :/SÌ9Ì=  1,1068  —  tono  minore. 

Babta  questo  fatto  per  conchiudere  che  la  melodia,  almeno  in  parte^ 
s*è  svolta  snlla  scala  pitagorica?  Dico  di  no!  per  due  ragioni  !  la 
prima  perchè  il  Si  che  segue  i  due  La  pitagorici  conserva  il  valore 
della  scala  aeustica,  epperciò  l'intervallo  decresce  divenendo  tono 
minore: 

IP  Si: Ira  =  1,112  —  tono  minore 
IIP  &':  Za  :=  1,115  —  tono  minore. 

Il  fatto  quindi  non  indica  altro  che  uno  scambio  d'intervalli,  sicché 
si  avrà: 

Od» .  XX» .  DI  —  2   •    3      80  •    8 
e  fiicendo  le  debite  riduzioni  risulta: 

8ol:La:8i  =  lx^:^.  (a) 

Questa  nuova  relazione  ha  una  importanza  capitale,  perchè  ci  scopre 
la  seconda  ragione  d'ordine  puramente  artistico:  infatti  i  tre  rap- 
porti (a)  sono  caratteristici  dei  primi  tre  gradi  della  scala  acustica  : 

2)o:ite:-aft  =  l:-|-:-|-. 

Dunque  l'apparizione  di  quei  due  valori  pitagorici  del  Za  ci  ft 
sapere  che  s'è  fatta  una  modulazione  alla  quinta  del  tono,  e  che  il 
Sol  deve  riguardarsi  come  tonica  o  primo  grado  della  scala,  per  tutto 
il  tratto  della  melodia  che  si  svolge  nel  nuovo  tono.  Notisi  bene  che 


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It» 


ARTE  CONTEMPORANEA 


qui  s'è  riconosciuto  resistenza  della  modulazione,  non  dal 
precede  il  8ol^  che  dà  un  buon  indizio  della  modulazione 
non  assolutamente,  potendo  ammettere  la  melodia  una  ar 
zione  monotonale-cromatica),  ma  dal  Za  che  da  tutti  i  mi 
musica  si  suppone  inalterato  e  identico  al  La  della  scala 
hi  Do. 

Per  togliere  ogni  dubbio  ho  scelto  un'altra  melodia  che 
tiene  alcun  suono  o  nota  modulata,  ma  che  si  presta  ad 
zazione  con  o  senza  modulazione.  Ecco  la  tabella: 


2*  Tabella.  —  Corale  di  Graun. 


Af-p— 

a 

^      1 

1 j— 

— f— 

rTT] 

Qu'U 

est 

-i^ 

al 

di    - 

1 

de  et 

glo-ri  . 

Scali 

acustica 

1,000 

1,500 

1,250 

1,000 

1,500 

1.666 

pitagorica 



1,266 

1,693 

Misare 

I 

1,000 

1,500 

1,249 

1,000 

1,498 

1,659 

II 

1,500 

1,250 

1,000 

1,503 

1,666 

^ 


Scale 

actistica 

pitagorica 


cet        I        im 


Mirare 

I 

II 


tei 


1,666 
1,693 

1,683 
1,678 


1,875 
1,898 

1,876 
1.875 


2,000 


I 
1,878   I    1,685 

1,880        1,675 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DBGLI  INTERVALLI  MELODICI 


169 


U 

— =—73 

1    r 

•      P 

p 

^ 

ì- 

r 

iiii 

1 

C 

Dle« 

==H 

«       ej    j 
iii«*aM 

Scale 

actisHea 
pitagorica 

1,250 

4*' 

1,666 

1,500 

1,888 

Wirara 
I 

1,250 

'  1,665 

1,499 

1,884 

1,252 

1,126 

II 

1,258 

1,663 

1,500 

1,8268 

1,250 

1,124 

Anche  questo  corale  di  Graun  era  sconosciuto  agli  artisti  ;  quindi 
nella  tabella  non  è  espresso  se  non  il  risultato  della  loro  libera  in- 
terpretazione. Benché  sembri  diatonico  e  monotale,  non  contenendo 
né  suoni  cromatici  né  note  modulanti;  pure  al  periodo  centrale  hanno 
attribuito  due  La  pitagorici;  donde  si  capisce  che  il  loro  senso  ar- 
tistico vi  preferiva  una  modulazione  alla  quinti  'del  tono,  come  quella 
che  conferisce  alla  melodia  maggior  varietà  e  novità.  In&tti  facendo 
i  rapporti: 

1 683 
La: Sol  =  ^'^g^   =  1,125  =  tono  intero  maggiore 

=  1,111  =s  tono  intero  minore 


j^g-  =  1,109= tono  intero  minore 


1685 


La  :  801=  -jQQQ-  =  1,12333  =  tono  intero  maggiore 

un  po'  calante,  perchè  in  discesa;  é  chiaro  che  anche  qui  s'è  fatto 
un  puro  scambio  d'intervalli,  e  quindi  è  applicabile  la  relazione  (a) 
che  stabilisce  l'eguaglianza 

Sol:  La:  Si  =  Do:  Be:  Mi 

che  significa  modulazione  alla  quinta  del  tono.  Dunque  anche  in 
questo  caso  come  nel  primo  sarebbe  erroneo  il  dire  che  la  melodia 
si  svolge  sulla  scala  pitagorica  per  l'apparire  del  La  pitagorico. 


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m 


àrtb  qontbmporamka 


Entrambe  le  melodie  vamio  divide  Ita  tre  parti,  delle  quali  la  pdma 
e  l'aHima  si  srolgono  sulla  scala  acustica  che  ha  per  tonica  il  Do: 

la  seconda  parte  pure  si  svolge  sulla  scala  acustica  e  non  sulla  pi- 
tagorica; ma  deve  riferirsi  alla  nuova  tonica  Sol: 


w 


Finalmente  ho  esperìmentato  sopra  una  melodia  assai  nota,  che  ha 
tutti  i  caratteri  della  dìatonicità,  ma  che  si  presta  assai  bene  sia 
all'armonizzazione  monotale,  sia  alla  politonale.  È  però  d'avvertire 
che  l'esecutore  non  può  considerarsi  esente  dall'influenza  dell'armo- 
nizzazioné  politonale  preferita  dall'autore.  È  il  seguente  brano  dello 
Stabat  del  Bossini. 


8*  Tabblla.  '—  DallQ  Stabai  del  Rossini. 


9^ 


M  -J-  J    r  g: 


■  #< 


0  I   f   g 


Qdmi  -  do 

eor  -  pus 

mo  .   ri  - 

•    .    tur 

fte        «t 

SOALS 

acustica 

1,25 

1.126 

1,500 

1.000      . 

1,838... 

pitagorica 

1,2666 

V 

Mirara 

. 

I 

1,250 

1,130 

1,500 

1,000 

1,833 

n 

1,251 

1,119 

1,499 

» 

1,385 

m 

1,258 

1,128 

1,498 

» 

1,829 

IV 

1,250 

1,128 

1,5003 

» 

1,319 

Medie 

1^51 

1,1Ì5 

1,4993 

• 

1,329 

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INTORNO  ALLA  BIISDRA  BEGLI  INTERVALLI  MELODICI 


ni 


XJLr     pi  J.    J'    >■    J'I  J  i 


ft    -    ni  - 

DM   .    do  • 

SCALB 

acustica 

1,875 

1,250 

pUagoriea 

l,898i 

• 

1,2656 

Minre 

I 

1,900 

1,265 

n 

1,900 

1,270 

m 

1,910 

1.260 

IV 

1,907 

1,257 

Medie 

1,904 

1^163 

1,682 
1,679 
1,676 
1,700 
1,684 


Qaesto  è  il  caso  che  più  davvicino  s'accorda  ai  risaltati  di  Coma 
e  Hercadier  e  che  pare  favorevole  -alle  loro  conclusioni. 

Per  rendercene  ragione  ricostruisco  la  scala  coi  rispettivi  rapporti 
caratteristici  :      -  * 


p.  -  f». 

di  -  ri 

1.125 

1,000 

1,189 

• 

1,1265 

1,000* 

1,1240 

« 

1,1287 

» 

1,1850 

1,008 

J,1273 

11 

Do 

Re 

Mi 

Fa 

Sol 

La 

Si 

1.000 

1,125 
1,1278 

1,251 
1,268 

1,829 

1,4998 

1,684 

1,904 

re  :  do 

fw  :  re 

la  : 

sol 

si  :  la 

1.125  tono  Biagg. 

1,112    minore 

1,1231  maggiore 

1,180  maggiore 

1,1273  maggiore 

1,1208  maggiore 

(?) 

In  questo  prospetto  si  potrebbe  forse  riconoscere  la  scala  pitagorica 
composta  tutta  di  toni  interi  maggiori  =  1,125  e  di  due  piccoli  semi- 
toni fa  :  mi  =  1052,  e  do:  si  =  1046. 

Ila  anche  nell'ipotesi  più  favorevole  non  si  potrebbe  concbiudere 
che  la  melodia  Rossiniana  sia  stata  eseguita  su  detta  scala. 

Gli:  esempi  antecedenti  c'insegnano  che  l'inganno  dipende  dall'aver 


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172 


ARTK  CONTEMPORANEA 


riferito  tatti  i  suoni  al  primo  do^  considerato  come  tonica  in  tatto 
il  corso  della  melodia.  Ora  ciò  non  6  possibile,  poiché  la  tavola  III 
fa  sapporre  che  gli  esecatori  hanno  dato  certamente  alla  melodia 
Rossiniana  una  interpretazione  politonale,  che  si  accosta  qnal  più 
qaal  meno  a  quella  del  suo  autore. 

Siccome  si  trattava  d'una  esperienza  decisiva  per  la  tesi  ch'io  voglio 
dimostrare  mi  sono  premanito  d'una  prova  dì  fatto  evidentissima. 
Prima  della  melodia  ho  fatto  eseguire  il  seguente  solfeggio  : 


^V^ 

■■■w  ■■ 

— ^ — 



h 

mi 
1,245 

re 
1.13 

sol 
1,503 

do 
1,000 



1,334 

— 9 — 

si 
1,8758 

mi 
1,247 

a 

la 

1,700 

re 
1,13 

a» 

do 
1,004 

Qui  certamente  non  sono  gli  intervalli  Pitagorici  che  dominano, 
benché  l'intonazione  non  sia  la  più  perfetta.  Ognuno  riconosce  in  questo 
solfeggio  il  disegno  melodico  del  canto  Rossiniano  che  fu  eseguito 
senza  alcuna  prevenzione  e  senza  influsso  di  tutti  gli  altri  fattori 
della  melodia  specialmente  del  disegno  armonico  e  del  disegno  ritmico. 
Dunque  si  può  conchiudere  che  a  modificare  il  disegno  melodico  nel 
testo  sono  concorse  queste  cause  che  esaltavano  l'artista  a  dargli  vita 
ed  espressione. 

Infatti  si  vede  che  le  prime  tre  misure  appartengono  senza  dubbio 
alla  scala  acustica  che  ha  per  tonica  do^  e  le  tre  seguenti  rispon- 
dono appunto  ai  rapporti  della  scala  acustica  minore  che  ha  per 
tonica  il  mi  o  il  la.  La  cosa,  veramente  curiosa,  è  raccordo  di  tutte 
le  prove,  nell'accorciare  l'intervallo  di  quinta  minore  :  fa:  si=s  1,39, 
che  è  caratteristico  della  scala  pitagorica  e  non  esiste  nella  scala 
acustica  [fa: si  =  1,404  pitagorico,  fa  :  si=i  1,4222  acustico]. 

Considerata  la  melodia  nostra  come  una  progressione  politonale  il 
cui  andamento  fu  assegnato  alla  parte  di  soprano,  vedremo  che  questo 
intervallo  pitagorico  tra  la  terza  e  quarta  misura  segna  un  difetto 
di  continuità  nei  legami  tonali  ;  ma  d'altra  parte  è  una  delle  più 
belle  dimostrazioni  delle  teorie  acustiche.  Questo  esempio  intanto 


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INTORNO  ALLA   MISURA  DEGLI  INTERVALLI  MELODICI  173 

prova  che  in  certi  casi  la  melodia  ammette  veramente  rintermUo 
caratteristico  della  scala  pitagorica. 

3.  —  Siamo  in  grado  ora  di  giudicare  i  risaltati  delle  esperienze 
di  Comn  e  Mercadier,  benché  sieno  scarsi  i  dati  che  ci  hanno  lasciato. 
Ammesso  che  sieno  state  condotte  colla  massima  esattezza,  hanno  il 
grave  difetto  di  esprimere  la  media  complessiva  di  tutti  i  suoni  omo- 
nimi che  si  trovavano  nella  melodia;  senza  distinguere  e  separare 
quelle  note  che  potevano  avere  diversa  funzione  tonale.  Anche  nelle 
mie  misure  presa  la  media  dei  La^  otterrei  un  risultato  poco  diverso 
dal  loro:  Za  =  1,6758  valore  vicino  al  pitagorico;  ma  resta  violata 
la  più  elementare  regola  di  misura  che  vuole  identità  di  condizione. 
Tutt'al  più  quindi  quelle  esperienze,  come  le  mìe,  provano  la  pos- 
sibile esistenza  dell'intervallo  pitagorico  nella  melodia. 

Anche  il  modo  di  proporre  i  risultati  (che  io  ho  seguito  per  ren- 
derli comparabili)  è  causa  d'errore,  nelFapprezzare  gli  intervalli 
musicali  i  quali  si  devono  misurare  per  rapporti  e  non  per  differenze. 

Ammessi  come   perfetti  i  loro  numeri  : 

Re  =  1,127,  Mi  =  1,265,  Fa  =  1,329,  La  —  1,687,  Si  =  1,917, 

prendo  la  quinta: 

ia:  2^  =  1^=1,496 


e  la  confronto  con  la  quinta 
facendo  il  rapporto  : 


5i:aft  =  5g^=  1,515 


ig§=  1,0129. 
Le  due  quinte  non  sono  eguali,  ma  la  seconda  supera  la  prima  d*un 

81 

comma  g^  =  1,0125.  Ciò  significa  che  nelle  loro  esperienze  è  com- 
presa un  intervallo  che  è  caratteristico  della  scala  acustica  nella  quale 
la  quinta  del  IP  grado  cala  d'un  comma  sulle  altre;  mentre  nella 
pitagorica  tutte  le  quinte  sono  eguali. 

Più  grave  è  ancora  la  conseguente  interpretazione  artistica  quando, 
conchiudono  che  gli  intervalli  d'una  melodia  sensa  modulagioni  ap- 


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174  'ARTB  CONTEMPOBANSA 

partengono  alla  scala  pitagorica;  mentre  dalle  mie  risulta  chiaro: 
che  Xinteirvallo  pitagorico  è  indizio  di  modulazione  o  esplicita  o  sot- 
tintesa cioè  intenzionale  dell'artista  ;  e  che  i  tratti  di  melodia  diato- 
nica decisamente  monotonali  appartengono  alla  scala  acustica.  Anche 
di  quella  interpretazione  possiamo  farci  una  ragione  supponendo  che 
quegli  artisti  abbiano  attribuito  una  tendenza  politonale  ad  una  me- 
lodia diatonica,  come  è  avvenuto  nella  II*  e  III^  delle  mie  esperienze. 
Tutti  i  musici  sanno  che  è  ben  difficile  trovare  una  melodia  tale  che 
non  possa  ammettere  se  non  armonizzazioni  monotonali.  Rossini,  il 
più  fecondo  creatore  di  melodie,  per  elevare  all'altezza  del  suo  genio 
la  melodia  del  Quando  corpus^  che  ha  un  disegno  diatonico  affatto 
ordinario,  la  rivestì  di  esuberanti  e  ardite  armonizzazioni  politonali, 
benché  possa  ammettere  una  ovvia  e  rigorosa  armonizzazione  mono- 
tonale. Non  potrebbe  conchiudersi  piuttosto  dalle  comuni  esperienze 
che  i  nostri  artisti  hanno  dimostrato  uno  dei  caratteri  della  musica 
moderna,  che  è  appunto  la  tendenza  alla  politonalità,  come- quella 
che  dona  alla  melodia  povera,  vita,  rilievo,  novità  e  varietà?  Chi 
non  sa  il  notevole  sforzo  di  reazione  degli  stilisti  in  musica  per  ri- 
dare le  proprie  armonizzazioni  e  cadenze  puramente  diatoniche  e  mo- 
dali, alle  melodie  gregoriane  che  dai  moderni  furono  rivestite  del- 
Tabito  polinito  della  tonalità  e  politonalità? 

'Avrei  potuto  spingere  oltre  le  mie  esperienze  estendendole  alle 
melodie  fiorite  ai  recitativi,  al  canto  fermo...  ma  olfrecchè  sarei  uscito 
dai  limiti  impostimi,  per  ora,  del  campo  della  tonalità;  penso  che 
ciò  che  ho  esposto,  sia  per  la  scelta  metodica  dei  canti  sia  per  la 
esauriente  interpretazione  artistica,  basti  per  poterne  ricavare  logica- 
mente le  seguenti  conclusioni  : 

1^  Gli  intervalli  dei  suoni  d'una  melodia  diatonica  e  monoto- 
naie  appartengono  alla  scala  acustica. 

2^  ,Una  melodia  diatonica  quando  modula  può  ammettere  inter* 
valli  che  appartengono  esclusivamente  atta  scala  pitagorica;  ma  sol- 
tanto tra  due  suoni  (xppartenenti  a  diversa  tonalità. 

Ne  vedremo  in  seguito  il  significato  e  la  portata;  ora  &ccio  os- 
servare che   non   sono  in  contradizione  colle  esperienze  di  Comu  e 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DEGLI  INTKRYALU  MELODICI 


47S 


Mercadier  ;  ma  colle  loro  conclusioni  che  io  ho  ridotto  entro  termini 
compatìbili  coi  principi  della  scienza  e  delFarte.  Quella  espressione 
«nfiitica:  La  gamme  pythagaridenne  est  lar gamme  de  la  melodie  sane 
wioAUatìans^  ha  un  aspetto  di  verità  nella  prima  parte»  ma  non  fu 
dimostrata  la  seconda  parte. 

Io  dimando  venia  ai  grandi  maestri  Bossini  e  Beethoven  se  oso 
irmonizzare  diversamente  le  loro  melodie,  sulle  quali  hanno  sperimene 
tato  quei  fisici  :  d'altronde  ogni  buon  musico  sa  dire  che  nélV Anébinte 
della  sin  fama  in  do  mmore  Vi  sono  modulazioni  esplicite;  e  che  il 
coro  del  tramonto*  nel  IP  atto  del  Chtglielmo  Téli  fui  am<mi2zato 
wù  e  senza  modulazioni  dallo  stesso  Bossini. 


BnTHOTKM. 


^^ 


i 


■^  I  hi^ 


n 


P 


m. 


^m 


Roseuii. 


'^^W Andante  è  la  terza  che  diviene  pitagorica,  nel  coro  Rossiniano 
U  terza,  la  sesta  e  la  settima,  come  vedremo;  intanto  è  evidente 
che  le  melodie  scelte  da  quelli  sperimentatori  sono  tutt'altro  che 
tms  modulations^  contenendo  esse  modulazioni  neiraccompagnamento 
fitto  dagli  stessi  autori  ;  e  prestandosi  inoltre  ad  altre  armonizzazioni 
politonali  svarìatissime. 

Tutto  dipende  da  un  troppo  rigido  e  matematico  concepimento  della 
melodia.  La  curva  melodica  è  dotata  d'una  plasticità  meravigliosa 
DeQe  mani  del  genio  artistico*,  che  consiste  in  ciò  che  i  suoi  suoni 
poesoDo  quasi  sempre  assumere  diverse  funzioni  tonali,  alle  quali 


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'*• 


176  ARTS  CONTEMPORANEA 

soddisfano  assumendo  una  certa  altezza,  determinata  *in  ultima  ana- 
lisi dall'armonia  esplicita  o  sottintesa  che  accompagna  ciascun  suono. 
Ogni  mutamento  di  funrione  tonale  è  una  modulagione,  che  può 
*  avvenire  non  solo  nel  passaggio  da  nota  a  nota,  ma  anche  durante 
lo  stesso  suono  (1). 

Ora  la  tendenza  delFartista  di  genio  è  di  dare  rilievo  e  varietà 
alla  curva  melodica  scegliendo  per  ogni  suono  quelle  (funzioni  che 
sono  meno  uniformi  e  vicine, 

Kcco  in  qual  senso  può  dirsi  che  la  melodia  ami  piuttosto  la  scala 
pitagorica;  perchè  la  frequenza  dell'intervallo  pitagorico  è  Tespres- 
sione  della  politonalità  o  del  continuo  mutamento  di  funzioni  tonali 
che  deve  riguardarsi  non  come  elemento  essenziale  alla  melodia,  ma 
come  rafiBnatezza  d'arte;  laddove  la  scala  (acustica,  la  scala  della 
tonalità,  essa  sola  ammette  la  monotonalità,  la  quale  esclude  per  le 
note  omonime  qualunque  mutamento  di  funzione  pel  legame  costante 
ed  identico  che  i  suoni  devono  mantenere  colla  tonica  o  suono  .fon- 
damentale. 

Ognun  vede  che  da  questo  che  ho  detto,  all'escludere  la  melodia 
della  scala  acustica,  troppo  ci  corre  ;  mentre  risulta  che  la  ordinaria 
scala  della  melodia  tonale  è  appunto  la  acustica;  e  che  la  pitago- 
rica, non  entra  come  scala  (perchè  non  esprìme  ma  esclude  la  tona- 
lità) sibbene  i  suoi  intervalli  caratteristici  concorrano  sistematicamente 
per  certe  funzioni  intertonali. 

Siccome  poi  Gomu  e  Mercadier  non  s'arrestano  alle  conclusioni  ora 
discusse,  ma  ne  ricavano,  come  legge,  una  conseguenza  logica  d'una 
gravità  eccezionale,  così  generalizzerò  anch'io  il  mio  concetto  (nella 
seconda  parte  di  questo  lavoro)  esponendo  le  linee  generali  per  una 
teoria  dei  disegni  melodici,  facendola  sgorgare  appunto  dai  principi 
d'armonia.  Quei  signori  hanno  separato  la  melodia  dall'armonia,  non 
senza  urtare  contro  il  senso  comune,  che  non  concederà  mai  che  vi 
possa  essere  tanto  e  sì  dolce  connubio  tra  quei  due  elementi  costi- 
tutivi dell'arte  nostra  musicale,  senza  che  essi  abbiano  alcun  legame 


(1)  Cfr.  Enarmonia  (in  CHomàle  Arcadico,  serie  3%  n.  14). 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DEGLI  INTERVALLI   MELODICI  177 

di  mutua  dipendenza.  Ecco  come  si  esprimono:  «Une  consóquence 
«  immediate  de  la  distìnction  de  deux  systèmes  dMntervalles  musi- 
«  caox  (in  melodici  e  armonici)  c'est  que  les  lois  de  formation  des 
«  intervaUes  des  deux  systèmes  reposant  sur  des  principes  di/fé- 
€  rentes,  on  ne  doit  accepter,  pour  en  tirer  une  conséquence  relative 
€  à  Tharmonie^  aucun  raisonnement  fonde  sur  des  propriétés  mèlo- 
<  diques^  et  réeiproquement  »  (1). 

A  questa  proposizione  io  contrappongo  la  seguente,  che  logicamente 
soddisfa  assai  più  e  ai  risultati  delle  comuni  esperienze  equamente 
apprezzati,  e  alle  nozioni  fondamentali  dell'arte  musicale: 

L'esistenaa  di  qualche  intervallo  pitagorico  nella  melodia  non  solo 
è  una  necessaria  conseguenza  della  teoria  degli  accordi  musicali  di 
Relmholta^  ma  da  questa  si  può  inoltre  dimostra/re  la  legge  secondo 
la  quale  quelT intervallo  entra  a  formare  il  disegno  melodico. 


(1)  Comptes  Bendas  de  l'Acadómie  des  Sciences,  fóvrier  1869. 

(Continua). 
Boma,  R.  Isti  tato  Fisico^  dicembre  1900. 

Dr.  Oiuuo  Zambiasi 
Assistente  nell'Ufficio  centrale  del  Corista  normale. 


H99itta  muticaU  italiana,  Vm.  12 


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"  LE  MASCHERE  „ 


Commedia  lirica  b  giocosa  in  un  prologo  e  tre  atti. 
Soggetto  di  Luigi  Illiga  —  Musica  di  Pietro  Mascagni. 


J\  parte  il  successo  o  Tinsuccesso,  per  me  l'idea  più  originale, 
anzi  assolutamente  bizzarra,  in  questa  molto  giocosa  commedia  de 
Le  Maschere,  è  che  la  maschera  italiana  sisC  destinata  a  rifecotidare 
nel  nostro  teatro  lirico.  Quasi  che  ciò  possa  dipendere  dall'umore  di 
un  poeta  e  dal  beneplacito  incosciente  di  un  maestro  di  musica.  La 
maschera,  nel  teatro  italiano  del  cinque  -  sei  -  e  settecento,  è  la  con- 
seguenza naturale  della  convenzionalità  in  cui  l'arte  della  scena  è 
generalmente  compresa.  In  questo  circolo  della  convenzione,  quando 
il  grado  d'eccitabilità  del  pubblico  spettatore  è  così  modesto,  e  così 
yiva  invece  la  sua  forza  d'illusione,  ch'egli  non  si  turba  coirassistere 
airinfingimento  ed  anche  col  saperne  le  ragioni,  si  comprende  il  fondo 
tipico  della  maschera.  Essa  è  u!|a  convenzione  nella  convenzione. 
Essa  è  una  comodità  per  il  poeta  che  non  vuol  troppo  dire,  e  per 
il  pubblico  che  non  vuol  troppo  pensare.  È  un  carattere  fisso,  in  cui 
quattro  sottolineazioni  bastano  perchè  tutto  il  resto  sia  subito  com- 
preso e  facilmente  gustato.  Ma  la  fecondazione  della  maschera  ita- 
liana è  già  cosa  del  passato:  il  teatro  di  Goldoni;  per  noi  d'oggidì 
essa  è  un  dato  inutile. 

E  però  nel  librettista  de  Le  Maschere  ha  prevalso  il  concetto  di 
un  completo  ritorno  alla  commedia  armonica  del  1600,  mentre  il 
maestro  si  è  preso  il  libretto  musicandolo  da  vero  ignorante,  senza 
un  indirizzo  qualsiasi.  E  mentre  il  primo  carpiva  brutalmente  ad- 
dirittura la  sostanza  e  la  forma  del  vecchio  soggetto  alle  sue  origini, 
l'altro  ancor  più  brutalmente  glielo  sciupava.  0  Gaspare  Torelli,  o 
Orazio  Vecchi,  o  Adriano   Banchieri,  la  vostra  gloria  postuma  non 


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€  LB  MASGHBRE  »  179 

potrebbe  essere  maggiore.  0  perchè,  nuovi  Illica  e  nuovi  Mascagni, 
non  canterete  ancora  un  qualche  vecchio  Àminta  o  una  frolla  Ama- 
rìlli,  e  un  Pantalone  o  un  Graziano  qualsiasi  non  sarà  ancora  Io 
sfondo  del  vostro  quadro?  E  con  i  vecchi  tipi  e  le  vecchie  scene 
saranno  rievocati,  anzi  rimessi  in  moda  i  vecchi  espedienti:  il  tar- 
tagliare, l'eco,  le  bravate  di  un  capitano  Garden,  le  serenate  a  base 
di  spropositi,  ecc.,  ecc.  Ecco  i  ferri  vecchi  non  pur  dell'opera  ita- 
liana^ ma  dell'ultima  forma  alquanto  decadente  del  madrigale  dram- 
matico, destinati  a  rattizzare  il  successo  dell'opera  italiana  nel  se- 
colo XX.  Proprio  cose  da  carnevale.  Forse  di  qui  vedesi  tutta  la 
grossa  burla  che  il  librettista  ed  il  maestrp  de  Le  Maschere  hanno 
giocato  al  pubblico. 

Giacché  non  la  maschera  come  tipo,  come  fondo  umano,  impres- 
sionò il  poeta,  ma  le  maschere   tutte   gli  si   fecero   incontro  come 
curiosità  umoristica,  creandogli  un  colpo  d'effetto  in  contrasto  con  le 
pih  note  e   radicate  convenienze   dell'opera.  E  al  compositore,   per 
darla  ad  intendere,  bastò  di  tanto  in  tanto  una  capatina,  un  tuffo 
leggiero  nella  musica  del  settecento.  —  Gli  è  del  Barnum  autentico, 
0  Signori.  —  Mettersi  nella  disposizione  necessaria  per  riprodurre  alla 
meglio  —  così  ad  occhio  e  croce  come  ha  fatto  Mascagni  —  una  ma- 
niera musicale  settecentista  non  è  già  cosa  difficile;  ma  è  certo  senza 
importanza;  né  la  musica  s'avvantaggia  con  maniere  ed  espressioni 
antiche  rimaste  tali  e  quali  erano  un  dì.  Il  vecchio  tipo  del  Dottor 
Graziano  è  modernamente  riuscito  un  Beckmesser,  e  Pantalone   un 
Vito  Pogner:  guardate  per  combinazione,  o  Italiani,  il  prodotto  eso- 
peo e  fatale  e  fate  un  confronto  con  il  prodotto  legittimo  di  Mascagni. 
La  riproduzione  del  vecchio  tipo  nell'opera  d'arte  moderna,  per  quanto 
d'antico  ambiente,  vuol  essere  sempre  determinata,  accompagnata  da 
nuovi  aliti  di  vita.  Nelle  Maschere  questa  vita  non   c'è.  Vi  è  solo 
la  riproduzione  convenzionale  e  balorda  del  vecchio  che  non  c'inte- 
ressa più,  commisto  con  quel  moderno  vuoto  e  deforme  di  cui  siamo 
nauseati  da  un  pezzo.  Di  qui  s'intravvede   chiaro  tutta  la  rozzezza 
e  la  vacuità  del  metodo  mascagnano  inaugurato  per  la  musica  de  Le 
Maschere;  un  metodo  che  permette  di  porre  insieme,  come  Dio  vuole, 
la  sinfonia,  la  scena  Vili  (famosa  ormai  per  merito  di  Puccini),  il 
finale  del  primo  atto,  una  rifrittura  in  concertato  della  serenata  d'Jor, 
il  coro  in  cui  le  maschere  dicono  i  lor  complimenti  a  Rosaura,  ecc.  ecc.  ; 


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180  ARTB  CONTEMPORANBA 

che  le  citazioni  son  superflue.  È  una  specie  di  labirinto  in  cui  non 
c'è  modo  di  orientarsi  ;  è  un  tormento  continuo  fatto  al  più  elemen- 
tare senso  d'arte.  Una  Belle  Hélène  o  una  Périchole  sono  capolavori 
di  stile  in  confronto,  con  Taltro  vantaggio,  per  giunta,  che  essi  riescono 
nel  loro  scopo,  cioè  quello  di  divertire,  mentre  Le  Maschere  sono 
lavoro  di  una  pesantezza  unica,  un  monumento  di  noia  mortale. 

Ad  onta  che  si  avessero  realmente  buoni  esecutori  (parlo  della 
Scala  di  Milano),  questi  non  riuscirono  mai  a  vincolare  durevolmente 
l'interesse  del  pubblico:  anzi  la  soluzione  di  continuità  parve  all'or- 
dine del  giorno.  In  fatti  né  gli  episodi  né  i  personaggi  dell'azione 
hanno  svegliato  nella  fantasia  del  maestro  alcun  che  di  caratteristico  ; 
la  musica  non  li  dipinge,  non  li  sottolinea  mai  con  immagini  proprie 
e  adeguate.  Le  frasi  musicali  vengono  ancor  tutte  e  sempre  da  un 
vecchio  troncone;  sempre  l'identiche  mosse,  sempre  le  stesse  risolu- 
zioni. Non  dirò  quindi  che  il  maestro  si  sia  ingegnato  di  arricchirsi 
di  melodia  e  d'armonia  vecchia  o  nuova,  ma  solo  che  egli  si  è  ben 
guardato  di  uscire  dal  solito  circolo,  in  cui  si  trovano  riunite  a  sua 
disposizione,  come  in  un  distributore  automatico,  le  più  plebee  e 
le  più  usate  combinazioni  dell'una  e  dell'altra.  Egli  ha  seguitato 
a  comporre  improvvisando,  cantando  sempre  secondo  che  gli  crebbe 
il  becco  0  secondo  detta  dentro.  —  Ma  dei   Rossini  non  è  più  il 

tempo,  e  se  anche  lo  fosse.  Mascagni  ne  possiede  il  talento al 

rovescio.  Mai  come  ora,  dopo  sei  o  sette  fra  opere,  operette  ed  ope- 
rine, la  sua  immaginazione  musicale  apparve  più  povera  e  sfinita. 

Abbiamo  avuto  recentemente,  a  poca  distanza  l'una  dall'altra,  due 
opere  nuove,  2!aBà  e  Le  Maschere.  Due  begli  esempi  ai  giovani  !  — 
Se  l'opera,  come  genere  d'arte,  s'agita  in  mezzo  ai  deliri  che  pre- 
cedono l'agonia  della  morte,  a  peggio  andare  ora  abbiamo  un  dottor 
Balanzone  o  un  Graziano  qualsiasi  che  potrà  fare  da  becchino.  Sarà 
almeno  una  maschera  utile  a  qualche  cosa.  In  quanto  ai  compositori, 
ci  sono,  per  fortuna,  delle  case  di  salute  nelle  quali  si  può  fare  una 
cura  perfetta.  Ma  per  il  Comitato  della  Scala,  che  non  ha  avuto 
il  coraggio  di  rifiutare  una  cosa  come  Le  Maschere^  non  saprei  che 
suggerire:  forse  la  lanterna. 

L.  Torchi. 


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LA  -^  QUESTIONE  DELLA  SCALA  ^ 
DAL  PUNTO  DI  VISTA  STORICO  E  GIURIDICO 


Due  parole  di  proemio. 

Le  condizioni  particolari  dei  teatri  italiani,  i  quali  rispecchiano 
ancora  dal  punto  di  vista  delle  loro  proprietà  il  modo  onde  sono 
sorti,  la  loro  divisione  cioè  in  palchetti  di  cui  l'uso  esclusivo  appar- 
tiene a  dei  privati,  mentre  l'ente  Comune,  una  società,  od  altro 
privato  è  il  proprietario  delle  restanti  parti  dell'edificio;  l'ibrida  na- 
tura giuridica  del  diritto  di  palco,  e  la  conseguente  indeterminatezza 
dei  rapporti  che  da  esso  scaturiscono,  dovevano  naturalmente  nelle 
varie  vicende  cui  sono  soggetti  gli  spettacoli  scenici,  vuoi  per  la 
tirannia  politica,  vuoi  per  quella  economica,  provocare  non  infrequen- 
temente delle  contestazioni,  e  dare  luogo  a  dei  dibattiti  giudiziari  di 
non  breve  durata  e  di  grande  interesse  cittadino. 

Il  Begio  di  Torino,  il  Carlo  Felice  di  Genova,  la  Pergola  e  il 
Pagliano  di  Firenze,  i  teatri  comunali  di  Reggio  Emilia,  Bologna, 
Casale,  il  Begio  di  Parma,  il  Nuovo  di  Pisa,  V Avvalorati  di  Livorno, 
e  per  tacere  di  altri  meno  importanti,  recentemente  il  Teatro  delle 
Muse  di  Ancona  ed  il  Municipale  di  Modena,  tutti  hanno  avuto  la 
loro  questione^  perchè  tutti  si  trovano  appunto  nelle  condizioni  di 
competenza  patrimoniale  cui  dianzi  accennammo. 

La  Scala,  che  è  il  massimo  dei  teatri  italiani,  non  tanto  per  la 
sua  grandiosità,  quanto  per  la  sua  importanza  artistica,  doveva  quindi 
essa  pure  avere  una  questione^  ed  è  appunto  quella  che  comune- 
mente va  sotto  il  nome  di  «  questione  della  Scala  >,  termine  molto 


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182  ARTE  GONTEBfPORANEA 

generico  ed  elastico,  che  da  piti  di  trm^ta  anni  è  adoperato  tra  i  mi- 
lanesi per  indicare  le  vicende  più  svariate  di  quel  teatro.  Senonchè 
la  «  questione  della  Scala  »  dalle  altre  si  differenzia,  non  solo  per 
•il  numero  delle  cause  cui  essa  ha  dato  luogo,  quanto  per  la  loro 
singolare. importanza,  e  dal  punto  di  vista  giuridico,  e 'da  quello 
artistico,  dimodoché  si  può  bene  asserire  che  essa  riveste  una  tale 
gravità  da  oltrepassare  le  barriere  cittadine,  per  diventare  questione 
di  interesse  nazionale. 

E  ciò  è  vero  oggi  più  che  mai,  oggi  che  la  <  questione  della 
Scala  »  è  entrata  in  una  fase  che  diremmo  decisiva,  che  supera  di 
gravità  tutte  le  precedenti,  perchè  si  tratta  di  chiaramente  definire 
che  veste  e  che  titolo  di  ingerenze  abbia  il  Comune  di  Milano  nelle 
cose  del  Teatro  alla  Scala,  e  quali  diritti  ed  obblighi  competano  ad 
esso  di  fronte  ai  palchettisti  del  teatro  medesimo  :-è  la  que3tione  fon- 
damentale che  si  tratta  di  decidere,  e  dalla  sua  risoluzione  può 
dipendere  forse  addirittura  la  ragione  di  essere  del  più  grande  fira  i 
teatri  italiani. 

Queste  considerazioni  giustificano  lo  sviluppo  che  noi  abbiamo  dato 
al  presente  lavoro.  —  Dal  momento  che  la.  causa  recentemente  dibat- 
tutasi e  non  per  anco  definita  tra  i  palchettisti  ed  il  Comune  di 
Milano,  non  è  che  una  fase  della  grande  questione  della  Scala,  era 
necessario  onde  comprenderne  la  gravità  non  solo,  ma  anche  la  genesi 
storica,  ricercarne  negli  atti  di  fondazione  di  quel  teatro  le  origini, 
nelle  varie  vicende  politico-economiche  la  ragione,  nelle  precedenti 
cause  tra  Comune  e  palchettisti  Taddentellato. 

Ed  è  questo  appunto  che  ci  accingiamo  a  fare,  colla  certezza  che 
se  l'opera  nostra  non  corrisponde  del  tutto  al  bisogno,  sentito  special- 
mente nel  mondo  artistico,  di  una  monografia  che  metta  alla  portata 
di  tutti  il  conoscere  di  questa  questione^  non  si  potrà  però  non  lo- 
dare la  bontà  degli  intendimenti  che  ci  spinsero  a  questo  lavoro. 

I. 

Le  origini  del  Teatro  della  Scala, 
e  il  suo  funzionamento  fino  all'anno  1867. 

Erettosi  nell'anno  1598  nel  palazzo  ducale  di  Milano  un  teatro 
a  tutte  spese  del   Governo,  il  Collegio  delle  Vergini  spagnuole, 


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LA  CQUESTIONB  DELLA  SCALA»  183 

le  cui  rendite  consistevano  nella  maggior  parte  in  fondi  della  Ca- 
mera, si  trovò  investito  dello  speciale  privilegio  di  fare  suoi  anche 
i  proventi  derivanti  dal  detto  teatro»  al  qaale  efifétto  era  autorizzato 
a  concedere,  contro  determinati  compensi  speciali,  licenze  per  l'uso 
dì  pubblici  giuochi,  e  per  l'esercizio  di  pubblici  spettacoli  e  diver- 
timenti, tanto  in  quel  teatro  che  in  altri  luoghi  della  città,  ciò  che 
costituiva  una  privativa  dello  Stato,  una  vera  regalla. 

don  istrumento  a  rogito  Gredario,  24  febbraio  1665,  l'Amministra- 
zione di  quel  Collegio  investiva  a  titolo  di  locazione  ed  affitto  sem- 
plice per  anni  tre  e  contro  un  determinato  corrispettivo,  certo  Antonio 
Laudi,  concedendogli  di  far  venire  a  suo  beneplacito  comici  nella 
città  di  Milano,  far  recitare  commedie  nel  solito  luogo  od  in  un 
altro  da  segnarsi  nella  Corte  ducale,  ed  a  tenere  lotti  grandi  e  pic- 
coli d'argento  ed  altri  giuochi  di  ventura,  e  tutto  ciò  con  facoltà 
di  proibire  ad  altri  di  intromettersi  nelle  ragioni  affittate  con  la 
volontà  di  detto  Lonati,  e  senza  suo  permesso,  salvo  però  il  fatto 
del  principe:  in  questo  istrumento  poi  si  legge  tra  i  vari  patti» 
che  si  abbia  a  rifondere  al  Lonati  di  ogni  danno,  nel  caso  che  non 
si  potesse  mantenere  il  lotto  d'argento  sopra  specificato. 

Nell'anno  1708  quel  teatro  venne  distrutto  dal  fuoco,  ed  i  nobili 
di  Milano  ottennero  nell'anno  1717  dall'imperatore  Carlo  VI  di  rie- 
dificarlo a  loro  spese,  come  infatti  lo  riedificarono,  segnandosi  ognuno 
per  il  rispettivo  palchetto  da  acquistarsi  nel  medesimo. 

Come  risulta  da  dispaccio  9  aprile  di  quell'anno,  Carlo  VI  accet- 
tava l'offerta  della  nobiltà  di  Milano,  mosso  specialmente  dal  riflesso 
di  salvare  i  muri  superstiti  che  minacciavano  rovina,  e  in  vista 
anche  che  la  nuova  opera  si  faceva  senza  aggravio  e  spesa  del  suo 
reale  patrimonio. 

Dal  canto  suo  l'imperatore  prometteva  alla  nobiltà  di  Milano  che 
in  ogni  tempo  il  teatro  sarebbe  stato  conservato  all'uso  cui  era  de- 
stinato, e  dichiarava  essere  per  reale  volontà  che  dei  redditi  del 
medesimo  continuasse  a  fruire  il  Collegio  delle  Vergini  Spagnuole. 

Nell'anno  1755,  come  emerge  dallMnstrumento  Gentorio  27  feb- 
braio 1756,  il  Oovemo  avocò  a  sé  la  regalla  dell'esercizio  dei  pub- 
blici spettacoli  e  dei  giuochi,  e  passò  ad  appaltare  l'esercizio  del 
ducale  teatro  a  Gaetano  Crivelli  per  anni  18,  verso  il  corrispettivo 
di  imperiali  L.  24.000  all'anno,  e  contro  la  sovvenzione  di  fiorini 


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Id4  AETB  GONTEMPORAinEA 

100.000  che  occorrevano  per  la  riparazione  delle  piazze  forti  di 
Stato.  Si  legge  nel  capitolato  d'appalto  approvato  da  S.  M.  Maria 
Teresa  con  dispaccio  17  novembre  1755,  che  le  prime  parti  dove- 
vano essere  tali  da  meritare  il  pubblico  aggradimento,  e  che  avessero 
già  esercitato  nello  stesso  teatro  di  Milano,  od  in  quelli  di  Napoli, 
Venezia,  Torino  e  Reggio;  ed  inoltre  che,  siccome  il  contratto  era 
stato  concordato  presupposta  la  permissione  non  solamente  dei  giuochi 
nel  teatro,  senza  dei  quali  non  si  potevano  coprire  le  spese  delle 
opere,  ma  anche  delle  feste  da  ballo  e  delle  maschere,  cosi  qualora 
per  qualsiasi  anche  pubblico  motivo  venissero  sospesi  i  giuochi  o 
proibite  le  maschere,  Tappaltatore  sarebbe  stato  reint^rato  di  ogni 
danno. 

Nell'anno  1773,  come  si  ha  dall' instrumento  3  ottobre,  rogito 
Negri,  la  Camera  appaltava  a  Felice  Stagnoli,  cui  successe  poi  una 
associazione  di  signori  nobili  milanesi,  il  ducale  teatro  per  anni  12, 
col  diritto  esclusivo  dell'esercizio  dei  giuochi  di  azzardo  da  per- 
sone nobili  nel  ridotto  nobile,  e  da  persone  civili  nel  mercantile, 
senza  che  non  avrebbe  potuto  essere  obbligato  a  continuare  nell'ap- 
palto: riservata  però  la  licenza  dei  giuochi  al  solo  Governo,  e  con 
patto  che  in  compenso  di  tutti  i  profitti  accordati  nel  contratto,  do- 
vesse l'appaltatore  dare  nella  stagióne  di  carnevale  due  opere  serie 
e  sei  balli,  scegliendo  per  le  prime  parti  attori  che  si  fossero  già 
distinti  nei  primari  teatri  di  Vienna  e  d'Italia,  e  anche  dodici  feste 
da  ballo,  e  nelle  altre  stagioni  altre  opere  buffe,  e  delle  commedie 
italiane  o  francesi,  salvo  ogni  diritto  a  compenso  nel  caso  che  per 
fatto  di  principe  o  per  qualsiasi  altro  infortunio,  fossero  impedite  le 
rappresentazioni  per  oltre  tre  giorni. 

Due  anni  dopo  il  contratto  Stagnoli,  e  precisamente  nel  25  feb- 
braio 1776,  il  teatro  ducale  veniva  una  seconda  volta  consumato  dal 
fuoco. 

In  seguito  a  tale  evento,  e  per  la  intercessione  dell'arciduca  Fer- 
dinando in  allora  luogotenente  e  governatore  della  Lombardia,  l'im- 
peratrice Maria  Teresa,  coi  dispacci  18  marzo  e  16  aprile  1776, 
riconosceva  la  convenienza  che  venisse  eretto  un  altro  teatro,  purché 
fosse  collocato  in  altro  sito  più  libero  e  fuori  recinto  del  palazzo  di 
Corte,  e  dichiarava  che,  pure  consultando  essa  la  sua  connaturale 
generosità,  voleva  che  questa  prevalesse  per  quella  volta  alle  dispo- 


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LA   4QUS8TI0NB  DELLA  SGALA»  185 

sìzionì  assai  limitate  con  cui  neiranno  1717  era  stato  permesso  dal- 
Taugusto  suo  genitore  Carlo  VI  alla  nobiltà  milanese  di  costruire  il 
teatro  nel  sito,  ove  era  stato  recentemente  consunto  dal  fuoco,  per 
cui  per  atto  di  sua  benigna  condiscendenza  acconsentiva  che  venisse 
all'uopo  assegnato  gratuitamente  un  luogo  più  opportuno,  e  che  ne 
venissero  dalla  B.  Camera  costrutti  i  muri  di  cinta  ed  il  tetto,  come 
pure  i  comodi  per  il  ridotto,  pasticcierie,  bottiglierie,  ed  altri  che 
già  servivano  al  teatro  distrutto,  accettando  Tofferta  di  24.000  gi- 
gliati fatta  dai  palchettisti  del  vecchio  teatro,  i  quali  avrebbero  servito 
per  la  detta  nuova  costruzione,  bene  inteso  che  tutto  il  resto  dovesse 
stare  a  carico  dei  detti  palchettisti. 

Ma  avevano  appena  ottenuto  una  siffatta  concessione,  che  i  pro- 
prietari dei  palchi  cambiarono  di  avviso,  e  presentarono  al  Governo 
nel  27  aprile  1776  un  grandioso  progetto  di  contratto,  consistente 
nella  costruzione  di  due  nuovi  teatri,  l'uno  grande,  che  è  l'attuale 
della  Scala,  l'altro  piccolo  che  è  quello  della  Canobbiana.  Un  tale 
progetto  incontrava  l'aggradimento  della  sovrana,  la  quale  v'impar- 
tiva la  sua  approvazione  coi  reali  dispacci  19  marzo  e  15  luglio 
1770,  autorizzando  la  costruzione  dei  detti  due  teatri  a  tutto  ca- 
rico dei  proprietari  palchettisti  del  vecchio  teatro;  al  quale  effetto 
concedeva  facoltà  all'asse  ex-gesuitico  di  vendere,  e  al  Corpo  dei 
detti  proprietari  di  comperare  pel  prezzo  già  stabilito  di  L.  120.000 
il  sito  della  Scala,  per  fabbricare  il  teatro  grande  coi  suoi  annessi 
corrispondenti  al  disegno  dell'architetto  Piermarini,  e  permetteva 
inoltre  al  Corpo  medesimo  di  prendersi  per  la  costruzione  del  teatro 
piccolo  il  sito  tra  la  contrada  Larga  e  quella  delle  Ore,  occupato 
in  allora  della  Scuola  Canobbiana  e  da  altri  luoghi  della  B.  Camera. 

E  siccome  nel  primo  dei  suaccennati  dispacci  erasi  la  imperatrice 
riservata  di  fare  conoscere  le  sue  disposizioni  in  quanto  al  concorso 
della  Camera  in  detta  nuova  costruzione,  cosi  nel  dispaccio  15  luglio 
dichiarava  di  accordare  gratuitamente  il  detto  corpo  della  Canobbiana 
insieme  ai  suoi  fabbricati  e  materiali  di  ragione  della  Camera,  e 
l'acquisto  a  carico  di  questa  dei  caseggiati  attigui  di  ragione  pri- 
vata, perchè  colla  loro  demolizione  il  teatro  avesse  a  riuscire  suffi- 
cientemente capace  dietro  il  piano  dello  stesso  architetto  Piermarini. 
Concedeva  inoltre  la  esenzione  delle  regie  e  civiche  tasse  di  dazio 
per  i  materiali  nuevi  occorrenti  alla  fabbrica  dei  due  teatri,  e  con- 


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186  ARTE  CONTEMPORANEA 

eludeva  manifestando  il  desiderio  che  fosse  fatto  conoscere  il  suo  reale 
gradimento  al  corpo  dei  palchettisti  per  quanto  avevano  fatto  e  com- 
binato/e  la  sua  risoluzione  di  avere  voluto  facilitare  col  concorso  dei 
Olezzi  sopra  citati  la  esecuzione  del  progetto  al  fine  ben  anche  di 
procurare  al  pubblico  ogni  maggior  comodo,  decoro  e  divertimento. 

In  seguito  a  questi  accordi  avvenne  che,  nel  dare  mano  ai  lavori 
per  la  costruzione  del  piccolo  teatro,  si  rilevò  la  impossibilità  di 
procurare  in  esso  a  tutti  i  palchettisti  del  teatro  grande  il  corrispon- 
dente numero  di  palchetti  senza  un  aumento  sul  già  fissato  numero 
dei  medesimi,  e  senza  poter  disporre  di  un'area  maggiore. 

Furono  quindi  fatte  suppliche  e  domande  dal  corpo  dei  palchettisti 
all'arciduca  governatore  perchè  in  via  di  grazia  fosse  provveduto  per 
la  assegnazione  di  un  piti  ampio  spaziò  corrispondente  al  bisogno, 
ed  in  pari  tempo  domandò  lo  stesso  corpo  a  vantaggio  dei  palchet- 
tisti il  dono  di  L.  19.600,  che  essi  avrebbero  dovuto  sborsare  per 
l'acquisto  di  tre  palchetti  dalla  B.  Camera,  atteso  il  progettato  aumento 
dei  palchetti. 

Le  quali  suppliche  e  domande  del  23  giugno  e  7  luglio  1777,  in 
seguito  a  vari  studi,  furono  accolte  da  S.  M.,  e  l'accoglimento  venne 
comunicato  alla  nobile  delegazione  del  corpo  dei  palchettisti  con 
dispaccio  del  Ministro  plenipotenziario  conte  di  Firmian,  24  agosto 
dello  stesso  anno,  dove  si  legge  che  era  data  facoltà  all'arciduca  go- 
vernatore di  fare  a  carico  della  B.  Camera  il  richiesto  nuovo  acquisto 
di  maggior  numero  di  case,  allo  scopo  di  avere  disponibile  un'area 
sufficientemente  estesa  su  cui  fabbricare  un  più  vasto  teatro,  e  che 
si  cedevano  gratuitamente  i  palchetti  sopraccennati  mettendoli  a  piena 
e  libera  disposizione  e  pertinenza  del  corpo  dei  palchettisti. 

Tolte  così  di  mezzo  tutte  le  difficoltà,  la  costruzione  dei  due  teatri 
procedette  per  modo  che  nel  giorno  3  agosto  1778  si  fece  la  so- 
lenne apertura  del  Teatro  alla  Scala,  e  l'altro  venne  compito  non 
molto  tempo  dopo,  con  dispendio  a  carico  del  corpo  dei  palchettisti 
in  complesso  di  un  milione  e  quattrocento  mila  lire  circa,  come  dalla 
relazione  17  febbraio  1791  dei  delegati  del  detto  corpo. 

Nello  stesso  giorno  3  agosto  1778,  tra  il  Governo  e  la  Delegazione 
del  corpo  dei  palchettisti  debitamente  autorizzata,  si  procedette  alla 
celebrazione  dell'i nstrumento  che  valesse  a  fare  prova  dei  reciproci 
diritti  delle  parti,  ed   anche   del   pagamento   delle  L.  120.000  per 


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LA   «QUESTIONE  DELLA  SCALA»  187 

l'acquisto  del  fondo  detto  della  Scala:  in  questo  instrumento  a  ro- 
gito Negri,  contenente  tanto  il  progetto  primitivo,  quanto  gli  atti 
comprovanti  le  modificazioni  portate  in  seguito  al  medesimo,  si 
leggono  i  seguenti  patti: 

*V  Che  accadendo  un  incendio  od  altro  infortunio  per  cui  rovi- 
nassero i  detti  due  teatri,  o  altro  di  essi,  devono  essere  a  carico  dei 
palchettisti  per  i  singoli  palchi  e  rispettivi  camerini,  quanto  della 
B.  Cantera,  di  cui  si  intende  essere  tutto  il  rimanente  (fuorché  il 
fondo  dei  due  teatri,  venduto  al  corpo  dei  palchettisti,  per  quanto  al 
grande,  e  per  il  pìccolo  conceduto  gratuitamente  in  compenso  delle 
opere  fatte  dai  palchettisti),  debba  essere,  dicesi,  a  rispettivo  carico 
come  sopra,  di  rifabbricsare  nei  medesimi  siti  e  non  altrove,  sotto  qua- 
lunque pretesto,  i  detti  due  teatri,  o  teatro  rispettivamente; 

2^  Che  tutte  le  spese  delle  fabbriche  dei  due  teatri  siano  a  ca- 
rico del  detto  corpo  dei  palchettisti,  senza  che  la  Camera  sia  tenuta 
ad  alcuno  benché  menomo  concorso  a  norma  del  dispaccio  reale 
15  luglio  1776,  e  relativo  progetto; 

3^  Che  sarà  tenuto  il  corpo  dei  palchettisti  all'intiera  manuten- 
zione dei  detti  due  teatri  per  anni  23; 

4<>  Che  terminati  i  detti  23  anni,  sarebbe  cessato  nel  corpo  dei 
palchettisti  il  peso,  della  completa  manutenzione  per  passare  alla 
B.  Camera,  ad  eccezione  dei  palchi  e  dei  camerini,  che  restavano  a 
carico  dei  singoli  proprietari; 

5**  Che  correlativamente  a  questa  rispettiva  ragione  di  dominio 
era  a  farsi  il  riparto  dei  pubblici  carichi; 

6"*  Che  sarà  nella  sola  B.  Camera  la  piena  facoltà  e  libero  di- 
ritto di  appaltare  l' esercizio  delle  pubbliche  rappresentazioni  in 
entrambi  i  due  teatri  sotto  quei  capitoli  che  stimerà  Essa  di  con- 
venire coi  futuri  appaltatori,  dai  quali  però  non  venga  fatto  alcun 
pregiudizio  alle  ragioni  dei  palchettisti  procedenti  del  presente 
contratto  ; 

7"*  Che  tutte  le  rappresentazioni  serie  da  farsi  in  tempo  di  car- 
nevale dovranno  eseguirsi  soltanto  nel  teatro  grande; 

8"*  Che  il  canone  nella  qualità  rispettivamente  in  addietro  pa- 
gata dai  palchettisti,  e  che  dovranno  rispettivamente  pagare  giusta 
il  praticato  di  addietro,  la  quinta  fila  dei  palchetti,  ed  il  loggione 
nel  teatro  grande,  la  quarta  fila  ed  il  loggione  nel  teatro  piccolo, 


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188  ARTE  CONTEMPORANEA 

tutti  i  proventi  di  pasticcieria,  bottiglieria,  tutte  le  botteghe  ed  ogni 
altro  e  qualunque  altro  prodotto  vi  potrà  essere  in  conformità  del 
vegliante  contratto  colla  nobile  associazione  dei  teatrali  spettacoli 
(appalto  Stagnoli),  saranno  della  B.  Camera,  e  formeranno  la  dote 
di  ambedue  i  teatri,  e  ciò  oltre  la  privativa  dei  giuochi,  che  vi  si 
intenderà  annessa,  salvo  il  caso  di  una  generale  proibizione; 

9^  Che  tutti  i  palchi  della  !•,  2»  e  3»  fila  del  teatro  piccolo, 
tutta  la  4*  fila  del  teatro  grande,  ed  anche  i  due  della  terza  fila  di 
questo,  accresciuti  al  di  più  di  quelli  che  erano  nel  teatro  incen- 
diato, sarebbero  di  proprietà  dei  palchettisti  o  di  chi  li  avesse  ac- 
quistati, senza  che  mai  potessero  essere  obbligati  al  pagamento  di 
alcuno  ben  che*  menomo  canone  in  qualunque  futuro  tempo. 

Il  provento  dei  giuochi  di  azzardo  continuò  a  far  parte  della  dote 
dei  due  teatri  fino  all'anno  1788,  epoca  in  cui  colle  grida  6  no- 
vembre di  quell'anno  fu  ordinato  che  col  giorno  26  del  prossimo 
dicembre  dovesse  cessare  tanto  nei  teatri  di  Milano,  quanto  in  tutti 
gli  altri  teatri  dello  Stato,  la  riserva  e  privilegio  accordato  in  fa- 
vore di  tali  pubblici  luoghi  dall'editto  14  gennaio  1786,  di  tenere  i 
giuochi  di  azzardo. 

Risulta  dal  rapporto  a  S.  M.  in  data  2  settembre  1788,  firmato 
Eannitz,  e  dal  decreto  del  Consiglio  governativo  diretto  alla  Camera 
dei  conti  in  data  del  7  successivo  ottobre,  che  erano  stati  fatti  dei 
reclami  dai  palchettisti  prima  ancora  della  pubblicazione  di  dette 
grida  per  ottenere  una  indennità,  e  che  avendo  essi  portato  tali  re- 
clami al  trono,  l'imperatore  Giuseppe  II,  aveva  dichiarato  di  non 
competere  ai  proprietari  dei  palchi  di  detti  teatri  alcun  compenso 
del  pregiudizio  che  potessero  soffrire  andando  a  cessare  i  giuochi  — 
non  dovere  la  Camera  entrare  né  avere  interesse  negli  spettacoli  di 
Milano  ed  altri  teatri  —  e  doversi  nominare  una  commissione  peSr  re- 
golare le  spese  dei  teatri  sul  prezzo  sicuro  dei  loro  introiti  qualora 
non  si  fossero  trovati  appaltatori. 

Emerge  del  pari  dal  su  citato  decreto  7  ottobre,  e  più  precisa- 
mente dall'estratto  del  rogito  Negri  30  marzo  1791,  come  l'appalto 
Stagnoli  venisse  prorogato  al  marchese  Calderari  per  un  anno,  e  cioè 
fino  al  1789,  senza  ver  un  aggravio  e  peso  a  carico  del  B.  Erario,  e 
senza  compenso  ai  palchettisti  :  i  RB.  teatri  vennero  poi  successi- 
vamente appaltati  per  anni   nove   a  certo   Gaetano   Maldonati  con 


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LA   «QUESTIONE  DELLA   SCALA»  189 

tutti  gli  obblighi  e  diritti  apparenti  dal  rogito  relativo,  esclasi  tutti 
i  giuochi  proibiti  dalle  sovrane  risoluzioni. 

Avvenuto  in  seguito  in  queste  provincie  il  noto  mutamento  poli- 
tico, «l'appalto  dei  mentovati  teatri  venne  sotto  la  repubblica  Cisal- 
pina, mediante  istrumento  27  vendemmiale,  anno  settimo  repubblicano 
(18  ottobre  1798)  rogito  Lonati,  concesso  a  certo  Benedetto  Ricci  e 
•  Oiov.  Batt.  Gherardi  colla  solita  dotazione,  esclusi  i  giuochi  d'azzardo 
e  le  lotterie,  e  coU'obbligo  di  dare  nel  Teatro  della  Scala  tre  opere 
serie  e  quattro  giocose,  due  almeno  delle  quali  nuove,  e  dei  balli, 
scritturando  all'uopo  def  primari  soggetti,  e  cosi  nella  Canobbiana 
tre  opere  in  musica,  coU'obbligo  di  essere  aperti  tali  teatri  per  tutto 
l'anno,  meno  l'autunno,  e  ciò  per  anni  nove  continui,  e  con  patto 
che  qualora  gli  appaltatori  avessero  ottenuto  licenza  di  nuovamente 
introdurre  nei  teatri  appaltati  i  giuochi  di  azzardo,  dovessero  pagare 
alla  nazione  un  particolare  corrispettivo  da  determinarsi. 

Una  tale  licenza  venne  poi  in  fatto  concessa  con  favore  di  esclu- 
siva in  Milano  per  i  detti  due  teatri,  con  atto  26  febbraio  1802, 
anno  primo  della  repubblica  italiana,  col  quale  in  corrispettivo  all'e- 
sercizio di  privativa  dei  giuochi  di  azzardo,  gli  appaltatori  Bicci  e  * 
Gherardi  si  obbligano  di  pagare  al  Governo  L.  75.000  in  quell'anno, 
e  L.  100.000  per  ciascuno  degli  anni  successivi  fino  al  termine  del 
loro  appalto. 

Dall'anno  1802  fino  al  1815  i  giuochi  di  azzardo  continuarono  ad 
essere  permessi,  e  come  si  rileva  dal  contratto  d'appalto  28  ottobre 
1811  rogito  Lonati,  il  nuovo  appaltatore  Francesco  Benedetto  Bicci 
in  corrispettivo  all'appalto  dei  due  teatri  suddetti,  e  di  quello  nuovo 
di  Monza,  non  che  dell'esercizio  dei  giuochi  ristretti  ai  ridotti  della 
Scala  e  della  Canobbiana,  si  obbligava  di  pagare  al  Governo  L.  150.000, 
oltre  l'impegno  da  lui  assunto  di  dare  grandiosi  spettacoli,  e  di  isti- 
tuire un'accademia  di  ballo. 

*Caduto  il  primo  regno  d'Italia,  la  reggenza  cesarea  con  avviso 
2  maggio  1815  notificava  al  pubblico  di  volere  appaltare  per  anni  3 
gli  spettacoli  nei  teatri  della  Scala  e  della  Canobbiana  coU'esclusione 
dei  giuochi  e  di  qualsiasi  assegno  per  parte  del  Governo,  ma  attesa 
la  mancanza  di  oblatori,  e  ritenuto  la  impossibilità  di  conciliare  un 
appalto,  senza  supplire  al  mancato  provento  dei  giuochi,  sopra  rap- 
presentanza del  Governo  l'imperatore  Francesco  I,  in  allora  regnante. 


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190  ARTE  CONTBMPORANBA 

ebbe  a  stanziare  un  sussidio  annuo  dì  L.  200.000  a  carico  erariale, 
mercè  il  quale  sussìdio  si  potè  provvedere  all'appalto. 

Venuto  Tanno  1819,  ed  essendo  prossima  la  scadenza  dell'appalto, 
sopra  nuova  rappresentanza  del  Governo  21  agosto  1818,  in  cmì  sì 
riscontrava  la  convenienza  di  tenere  aperti  i  detti  due  teatri,  lo  stesso 
imperatore  Francesco  I,  con  risoluzione  23  maggio  1819,  dichiarava 
che  per  dare  ancora  in  tale  occasione  una  prova  della  sua  munificenza  f 
e  del  parziale  suo  favore  per  la  città  di  Milano,  ed  al  fine'  di  age- 
volare la  riuscita  dell'appalto,  assegnava  altre  200.000  lire  all'anno, 
le  quali  sarebbero  state  poste  a  carico  delle  provìnce  lombarde. 

Ma  aperta  l'asta  non  si  presentarono  spiranti,  per  cui  il  Qoverno 
locale  credette,  coi  suoi  dispacci  1  e«  6  febbraio  1820  d'invitare  la 
Direzione  dei  BB.  teatri  a  convocare  tutti  ì  palchettisti  onde  av- 
visare al  modo  dì  provvedere  all'amministrazione  di  detti  teatri,  ed 
affinchè,  tenuto  calcolo  del  sussidiò  accordato  da  S.  M.,  quei  due 
principali  teatri  della  città  di  Milano  non  rimanessero  chiusi  con 
detrimento  degli  interessi  privati  d'ogni  proprietario  di  palchi,  e  a 
danno  del  lustro  e  decoro  della  capitale  lombarda. 

Quale  sia  stato  l'esito  dì  tale  convocazione,  ed  anche  soltanto  se 
abbia  avuto  luogo  non  si  sa  precisamente;  fatto  sta  però  che  laj^e- 
stìone  dei  teatri  continuò  nella  pubblica  amministrazione,  e,  come  sì 
rileva  dall'avviso  governativo  5  giugno  1829,  e  dal  dispaccio  31  maggio 
dello  stesso  anno,  furono  sempre  mantenuti  ed  anzi  accresciuti  gli 
stipendi  governativi  dietro  sovrane  risoluzioni. 

Successo  all'austriaco  il  governo  nazionale,  fu  continuato  l'assegno 
annuale  a  carico  erariale  tanto  per  gli  spettacoli,  quanto  per  la  scuola 
di  ballo  nella  misura  superiormente  enunciata,  e  ciò  fino  al  1867. 


II. 

La  causa  dei  palchettisti  della  Scala  contro  il  Go- 
verno, per  obbligarlo  a  continuare  la  sovven- 
zione al  teatro. 

In  quest'anno  il  potere  esecutivo  dello  Stato,  avendo  eliminato  dal 
bilancio  dell'Interno  le  somme  che  vi  sì  stanziavano  per  ì  pubblici 
spettacoli   da  darsi  nei  teatri  demaniali,  il  Begìo  Governo  si  trovò 


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LA   «  QUESTIONE   DELLA  SCALA  »  101 

neirimpossiblità  di  continuare  ai  RB.  teatri  della  Scala  e  della  Ca- 
nobbiana*  l'assegno  annuo  erariale,  che  negli  ultimi  tempi  d^l  regime 
austriaco  era  di  L.  300.000  e  sotto  V  attuale  era  stato  ridotto  a 
L.  239.000,  oltre  il  mantenimento  della  Scuola  da  ballo  per  circa 
L.  44.000,  e  di  provvedere  per  gli  anni  successivi  all'esercizio  e  fun- 
zionamento dei  detti  «due  teatri  giusta  la  pratica  in  corso,  in  quanto 
che  i  redditi  e  la  dote  di  cui  si  poteva  disporre  non  erano  sufficienti 
per  dare  spettacoli  coadeguati  alla  rinomanza  di  quei  due  teatri. 

Parecchi  proprietari  dei  palchi  in  essi  teatri  esistenti,  ritenendo 
di  avere  verso  il  Ooverno  un  diritto  acquisito  agli  spettacoli  che 
esso  da  tanto  tèmpo  apprestava  ad  esclusiva  sua  cura  ed  a  sue  prin- 
cipali spese,  e  ritenendo  ancora  che  il  Governo  colla  soppressione 
del  sussidio  fino  allora  corrisposto,  e  col  non  provvedere  altrimenti 
agli  spettacoli  cofasueti,  avesse  disconosciuto  formali  impegni  con 
essi  contrattualmente  incontrati,  pensarono,  a  tutela  del  propriojn- 
teresse,  di  costituirsi  in  consorzio,  nominando  all'uopo  una  Commis- 
sione esecutiva  con  incarico  di  trattare  per  un  amichevole  componi- 
mento della  vertenza,  ed  anche  di  procedere  giudizialmente  contro 
il  Governo  per  costringerlo  alla  esecuzione  delle  sopraccennate  sue 
obbligazioni.  Ma  non  essendo  riuscite  a  buon  risultato  le  rimostranze 
ed  istanze  premesse  in  via  officiosa,  furono  le  pretese  dei  palchettisti, 
portate  in  giudizio  dinanzi  al  Tribunale  civile  di  Milano  perchè 
dichiarasse  : 

V  A)  Competere  ai  palchettisti  del  teatro  alla  Scala  in  Milano 
la  proprietà  del  fondo  sopra  cui  è  eretto  il  teatro  medesimo;  e  così 
pure  rispettivamente  la  proprietà  di  tutti  i  palchi  del  teatro  sud- 
detto, con  tutti  gli  accessori,  menci  palchi:  proscenio  I  fila  destra 
entrando;  nn.  1  e  2  II  fila  sinistra  entrando;  il  palchettone,  tutti  i 
palchi  di  y  fila  e  quelli  del  loggione  ; 

B)  Competere  al  Demanio  jpro  indiviso  coi  predetti  palchettisti 
della  Scala,  la  porzione  rimanente  dell'edificio  costituente  il  detto 
teatro  della  Scala. 

C)  Competere  ai  palchettisti  del  teatro  della  Canobbiana  di 
Milano,  la  proprietà  di  tutto  quel  teatro,  meno  i  palchi  erariali,  e 
cioè:  proscenio  e  nn.  1  e  2,  II  fila  entrando;  n.  6,  HI  fila  sinistra  en- 
trando, n.  8,  IH  fila  destra  entrando,  e  come  trovavasi  intestato  anche 
nelle  mappe  censuarie,  ecc. 


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1^2  ARTE  GONTEMPOBANBA 

2""  Spettare  ed  incombere  in  ogni  futuro  tempo  al  corpo  dei 
proprietari  palchettisti  e  dal  B.  Governo  tutti  i  rispettivi  diritti,  fa- 
coltà, ragioni,  oneri,  impegni  ed  obblighi  pattuiti  neiristrumento  3 
agosto  1778  a  rogito  Negri,  ed  inserta  scrittura  27  aprile  1776  di 
progetto,  per  la  manutenzione  ed  esercizio  di  detti  teatri  ; 

3"^  Spettare  conseguentemente  in  ogni  futuro  tempo  al  R.  Go- 
verno la  esclusiva  disponibilità  dei  canoni,  dei  proventi  di  V  fila  e 
del  loggione  del  teatro  la  Scala,  della  Y  fila  e  del  loggione  del 
teatro  la  Canobbiana,  della  tassa  d'ingresso  alla  platea  e  palchi  come 
attualmente  si  pratica,  delle  mercedi  locatizie  che  si  percepiscono 
dai  locali  annessi  ai  detti  teatri,  e  di  ogni  altro  qualunque  prodotto; 
e  spettare  al  Governo  il  diritto  di  appaltare  Tesercizio  delle  pub- 
bliche rappresentazioni  pei  detti  due  teatri  ; 

4**  Incombere  relativamente  al  Governo  Tobbligo  in  ogni  futuro 
tempo  di  mantenere  aperti  ed  in  attività  di  esercizio  i  detti  due 
teatri  coi  consueti  spettacoli  di  opera  e  ballo,  feste  e  commedie, 
nelle  stagioni  di  carnevale,  quaresima,  primavera  ed  autunno;  nei 
modi,  forme  termini  e  discipline,  e  col  personale,  e  annessi  q  con- 
nessi corrispondenti  al  rango  ed  alla  rinomanza  di  detti  due  teatri, 
come  era  stato  fin  allora  praticato. 

5"*  Avere  conseguentemente  dovuto  il  B.  Governo  provvedere  fin 
dai  primi  del  1867,  mediante  i  consueti  inviti  di  concorso,  all'ap- 
palto degli  spettacoli  dei  BB.  teatri  in  base  ed  ai  termini  di  detto 
capitolato,  corrispondendo  all'appaltatore  deliberatario  i  corrispettivi 
stabiliti  nel  detto  capitolato,  o  quegli  altri  minori  in  base  a  cui  si 
fosse  potuto  deliberare  l'appalto  ad  idoneo  impresario,  colle  prescritte 
cauzioni,  e  cogli  obblighi  portati  dal  capitolato  medesimo; 

6<'  Doversi  ciò  dal  B.  Governo  immediatamente  praticare  e  con- 
tinuare, mantenendo  nel  regolare  e  completo  esercizio  i  detti  teatri  ; 

7^  Doversi  in  difetto  nominare  dall'autorità,  giudiziaria  a  sensi 
dell'art.  678  Cod.  civ.  ital.,  un  amministratore  che  adempia  ed  ese- 
guisca quanto  dovrebbe  il  B.  Governo  giusta  le  domande  sopra  for- 
mulate; e  dovere  il  B.  Governo  versare  annualmente  e  nelle  con- 
suete rate  all'amministratore  medesimo  la  somma  di  L.  300.000  per 
essere  erogata  nei  detti  esercizi  nei  modi  e  termini  del  ripetuto  ca- 
pitolato, salvo  resoconto  come  di  ragione; 

8®  Dovere  il  B.  Governo  prestare  al  corpo  dei  palchettisti  e  loro 


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LA  4QUBSTI0NB  DILLA  SCALA»  193 

saccessorì  e  aventi  causa,  piena  reintegrazione  di  tutte  le  spese  so- 
stenute e  sostenibili  per  l'esercizio  interinale  di  detti  teatri,  e  pre- 
stare piena  ammenda  di  tutti  i  pregiudizi  derivati  e  derivabili  dal 
mancato  adempimento  per  parte  del  B.  Governo  a  quanto  sopra,  da 
liquidarsi  in  altra  sede,  rifuse  le  spese. 

L'ufficio  del  Contenzioso  finanziario,  per  i  convenuti  da  esso  rap- 
presentati, conchiuse  in  via  principale  per  l'assoluzione  del  Governo 
ed  Amministrazione  dello  Stato  dalle  domande  attrici,  in  via  sub- 
ordinata, quando  si  fosse  ritenuto  che  lo  Stato  non  era  completa- 
mente libero  dall'obbligo  di  provvedere  agli  spettacoli  dei  teatri  della 
Scala  e  della  Canobbiana,  si  dichiarasse  però  che  esso  aveva  facoltà 
di  appaltare  l'esercizio  delle  pubbliche  rappresentazioni  in  entrambi 
i  teatri,  sotto  quei  capitoli  che  avesse  ritenuti  convenienti  coi  futuri 
appaltatori,  regolando  in  conformità  al  dichiarato  nel  sovrano  decreto 
settembre  1788,  la  misura,  varietà  e  magnificenza  degli  spettacoli, 
unicamente  sul  prezzo  degli  introiti  di  cui  essi  teatri  sono  suscet- 
tibili. 

Pretendevano  i  palchettisti  che  dal  carattere  del  progetto  o  con- 
venzione 27  aprile  1776  e  relativo  rogito  3  agosto  1778,  si  dovesse 
dedurre  che  siccome  i  proprietari  dei  palchetti  del  vecchio  teatro 
avevano  avuto  di  mira  di  assicurarsi  in  ogni  futuro  tempo  il  godi- 
mento di  quegli  spettacoli  che  a  cura  della  B.  Camera  si  erano  dati 
fino  in  allora,  non  meno  che  il  vantaggio  dell'incremento  dei  mede- 
simi, cosi  i  corrispettivi  delle  ingenti  spese  sostenute  nella  erezione 
di  quei  due  teatri  non  altrimenti  si  dovevano  ravvisare  che  nella 
avocazione  fatta  a  sé  dalla  Camera  del  diritto  di  provvedere  per 
sempre  all'appalto  dei  pubblici  spettacoli  con  quella  splendidezza  e 
quel  decoro  che  fossero  stati  reclamati  dalle  esigenze  del  tempo  e 
del  progresso  delle  arti  per  ogni  tempo  avvenire,  supplendo  del  pro- 
prio alla  deficienza  della  dote  costituita,  e  nelle  garanzie  assunte 
dalla  stessa  Camera  che  con  tale  appalto  non  sarebbe  mai  stato  re- 
cato alcun  pregiudizio  alle  ragioni  dei  palchettisti  procedenti  dal 
contratto,  ritenendosi  compresa  nella  dote  la  privativa  dei  giuochi^ 
siccome  annessa  al  canone  da  pagarsi  dai  palchettisti  e  ad  ogni  altro 
prodotto  derivabile  dal  contratto  in  allora  vegliante  colla  nobile  as- 
sociazione appaltatrice  dei  teatrali  spettacoli ,  successa  nel  contratto 
Stagnoli. 

Riaùia  mntikaU  italiana,  VIU.  18 


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194  ARTE  CONTBlfPORANBA 

Sostenevano  poi  che  anche  allora  che  Tobbligo  di  costituire  una 
congrua  dote  al  teatro  non  risultasse  dal  rogito  Negri,  la  diuturna 
osservanza*  di  esso  lo  avrebbe  in  ogni  modo  giuridicamente  posto 
in  vita. 

Il  Tribunale  di  Milano  con  sentenza  in  data  4  settembre  1868 
accogliendo  pienamente  le  domande  dei  palchettisti,  dichiarava  in- 
combere al  B.  Governo,  in  attinenza  alla  prerogativa  assunta  in  via 
contrattuale  ed  in  perpetuo  coll'art.  3  agosto  1778  rogito  Negri,  e  suc- 
cessivamente sempre  conservata  e  nel  fatto  osservata  dall'appalto  dei 
pubblici  spettacoli  nei  BB.  teatri  della  Scala  e  della  Canobbiana  di 
Milano,  l'obbligo  in  ogni  futuro  tempo  di  mantenere  aperti  ed  in 
attività  ed  esercizio  gli  stessi  due  teatri  coi  consueti  spettacoli  d'o- 
pera e  ballo,  feste  e  commedie,  nella  stagione  di  carnevale,  quare- 
sima, primavera  ed  autunno,  nei  modi,  forme,  termini,  discipline,  e 
col  personale,  annessi  e  connessi  corrispondenti  al  rango  e  rinomanza 
dei  teatri  medesimi,  secondo  la  pratica  e  coll'incremento  motivato 
dall'uso  dei  tempi  e  progresso  delle  arti;  e  dovere  di  conseguenza  il 
Governo  stesso,  stante  l'impossibilità  pienamente  constatata  di  adem- 
piere a  quanto  sopra  coi  soli  proventi  diretti  di  quel  teatro  e  del 
loro  esercizio,  sottostare  a  quelle  maggiori  spese  il  cui  bisogno  era 
dimostrato  dall'esperienza  degli  anni  antecedenti,  e  dalle  risultanze 
degli  anteriori  e  recenti  appalti. 

Dalla  sentenza  del  Tribunale  di  Milano,  appellò  il  Demanio,  con- 
cludendo come  già.  in  primo  grado,  e  questa  volta  con  miglior 
fortuna. 

Considerò  la  Corte  che  dal  momento  che  all'epoca  del  contratto 
Negri  il  diritto  di  appaltare  i  teatri  ed  i  pubblici  giuochi,  compresi 
quelli  di  azzardo,  costituiva  una  regalia,  una  prerogativa  quindi  della 
sovranità  di  sua  natura  inalienabile,  non  si  poteva  comprendere  come 
nell'animo  dei  contraenti  di  allora  fosse  potuta  sorgere  l'idea  di  ren- 
dere obbligatorio  nella  Camera,  e  per  ogni  futuro  tempo,  l'abdica- 
zione e  la  rinuncia  all'esercizio  del  diritto  competente  alla  sovranità 
di  disporre  a  piacimento  di  una  tale  prerogativa,  e  di  sopprimere 
anche  totalmente,  come  infatti  avvenne  alcuni  anni  dopo,  l'uso  dei 
giuochi  d'azzardo.  I  contraenti,  in  altri  termini,  non  potevano  avere 
ritenuto  il  prodotto  dei  giuochi  come  un  correspettivo  del  contratto, 
per  modo  che  mancando  un  tale  prodotto  o  per  fatto  di  principe,  o 


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LA  4  QUESTIONE  DELLA  SCALA  >  195 

per  qualsiasi  altra  causa,  lo  Stato  avesse  dovuto  supplire  con  uno 
assegno  proporaionale. 

La  concessione  dell'esercizio  dei  giuochi  rivestiva  quindi  piuttosto 
il  carattere  di  una  concessione  temporanea  della  regalia,  da  aggiun- 
gersi agli  altri  enti  costitutivi  della  dote,  ma  però  senza  garanzia, 
e  subordinata  al  fatto  della  continuazione  dei  giuochi,  come  era  pro- 
vato anche  dalla  modificazione  portata  al  progetto,  contenuta  nella 
riserva  fatta  nel  contratto  della  esclusione  dei  giuechi  nel  caso  di 
una  generale  proibizione,  senza  che  peraltro  i  delegati  dei  palchet- 
tisti si  fossero  curati  di  stabilire  per  tale  caso,  anche  soltanto  in  via 
di  massima,  alcun  compenso  a  carico  della  Camera,  come  sarebbe 
statò  ben  naturale  se  avessero  inteso  che  esclusivamente  ad  essa  Ca- 
mera dovesse  incorrere  Tobbligo  di  concorrere  alle  spese  necessarie 
per  gli  spettacoli,  qualora  i  canoni  dei  palchi  e  gli  altri  proventi 
teatrali  non  fossero  stati  sufficienti. 

D'altra  parte  non  sussisteva  in  fatto  che  la  Camera  avesse  assunto 
alcun  impegno  formale  intorno  al  numero  ed  alla  qualità  degli  spet- 
tacoli, che  ciò  invero  non.potea  desumersi  dal  contratto  dell'appalto 
Stagnoli,  in  quanto  dal  patto  ottavo  di  questo  chiaramente  potea  de- 
sumersi che  veniva  fatto  riferimento  al  detto  appalto,  non  già  ri- 
guardo alla  quantità  e  qualità  delle  rappresentazioni  da  darsi,  ma 
unicamente  allo  scopo  di  precisare  in  che  consistesse  la  dote  dei 
teatri,  non  mai  per  costituire  alla  Camera  obblighi  precisi. 

Né  migliore  accoglienza  fece  la  Corte  all'argomento  che  i  palchet- 
tisti deducevano  in  favore  della  tesi  da  essi  sostenuta,  dal  modo  con 
cui  il  contratto  era  stato  fino  a  quei  tempi  eseguito,  dalla  diuturna 
osservanza  cioè  da  parte  del  Governo  dell'obbligo  di  sopportare  le 
spese  necessarie  per  l'esercizio  dei  due  teatri;  in  quanto  gli  assegni 
fatti  al  riguardo  avevano  sempre  rivestito  un  carattere  precario  non 
solo,  ma  ben  anche  di  graziose  concessioni,  poiché  si  accordavano  di 
volta  in  volta  per  ogni  appalto,  e  si  facevano  poi  sempre  dipendere 
dalla  suprema  volontà  del  sovrano,  il  quale,  sia  per  generosità,  o 
per  amore  ai  suoi  sudditi,  o  per  viste  politiche,  accompagnava  quelle 
concessioni  con  le  espressioni  più  atte  a  dimostrare  come  non  fos- 
sero che  l'effetto  della  sua  munificenza  e  del  parziale  suo  favore  per 
la  città  di  Milano. 

Ma  trattandosi  non  già  di  obbligo^  ma  di  facoltà^  questa  non  potea 


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196  ARTI  GONTKMPQBAMXA 

Msere  oggetto  di  prescrizione  io  loro  &Tore  da  parte  dei  palchettirti. 
In  base  alle  suesposte  considerazioni,  la  Corte  di  Milano,  con  sc- 
ienza in  data  10  agosto  1870,  riformando  la  sentenza  del  Tribunale, 
giudicò: 

1<»  Essere  in  conformità  al  convenuto  fra  la  ducale  Camera  ed 
il  corpo  dei  palchettisti  nell'  instnimento  8  agosto  1778,  a  rogito 
Negri: 

A)  Di  proprietà  del  corpo  dei  palchettisti  dei  teatri  la  Scala 
e  la  Cknobbiana  i  fondi  su  cui  sono  eretti  i  detti  teatri,  e  così  pure 
tutti  i  loro  palchi  e  corrispondenti  camerini,  meno  quelli  già  accen- 
nati nelle  conclusioni  dei  palchettisti; 

B)  Competere  prò  indiviso  alla  pubblica  amministradone  ed 
al  corpo  dei  palchettisti  la  quinta  fila  di  palchi  ed  il  loggione  deU^ 
Scala  e  la  quarta  fila  di  palchi  ed  il  loggione  della  Canobbiana,  i 
quali  palchi  debbono  intendersi  formare  parte  della  dote  di  ambidue 
i  suddetti  teatri  in  uno  agli  altri  prorenti  di  cui  al  mentovato  ro- 
gito Negri. 

2^  Spettare  al  corpo  dei  palchettisti  nei  detti  due  teatri  e  loro 
successori,  e  al  Regio  Qoyemo  di  cui  i  rispettivi  diritti,  facoltà, 
ragioni  al  noto  rogito,  semprechò  però  tali  diritti,  obblighi,  facoltà, 
ragioni,  non  abbiano  attinenza  o  riferimento  agli  obblighi  ed  oneri 
che  si  vogliono  imporre  dai  palchettisti  al  B.  Gtovemo  colle  loro  con- 
clusioni 3,  4,  5,  6,  7,  non  esclusala  subordinata;  assolta  di  conse- 
guenza la  pubblica  Amministrazione  da  tutte  e  singole  le  altre  con- 
clusioni, come  pure  da  ogni  pretesa  e  titolo  di  indennità  di  cui  erasi 
fatta  riserva. 

Contro  questa  sentenza  ricorsero  i  palchettisti  alla  Corte  di  Cas- 
sazione di  Torino,  la  quale  però  con  decisione  14  giugno  1872  con- 
fermò la  sentenza  della  Corte  milanese. 


III. 

La  causa  tra  la  delegazione  del  palohettiLstl 
e  1  palchettisti  dissidenti  per  obbligarli  al  contributo. 

La  controversia  tra  i  palchettisti  e  il  Demanio  era  ancora  pen- 
dente, quando  T  Amministrazione  dello  Stato  con  atto  14  febbraio  1870 


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LA   «QUISTIONB  DELLA  SCALA»  197 

a  rogito  Bellingeri,  cedette  senza  alcun  compenso  al  comune  di  Mi- 
lano i  diritti  ad  essa  spettanti  sui  due  teatri  e  più  precisamente 
«  quella  parte  di  proprietà  che  in  forza  dello  {strumento  3  agosto 
a  rogito  N^rì  compete  alla  stessa  Amministrazione  dello  Stato  sui 
fabbricati  siti  in  questa  città  denominati  V  uno  teatro  della  Scala, 
Valtro  teatro  della  Ganobbiana,  descritti  nel  censo,  coi  mobili,  attrezzi, 
macchine,  cordami  e  quant*altro  serve  ad  essi  di  scorta,  ecc.  »,  e  ciò 
sotto  la  osservanza  dei  patti  ivi  specificati  tra  cui  notevoli  i  seguenti  : 
1^  Il  Comune  si  obbliga,  relativamente  ai  teatri  della  Scala  e 
della  €anobbiana,  a  non  cambiare  la  destinazione  conservandoli 
sempre  a  solo  uso  di  teatro.  Non  assume  però  obbligo  cdcuno  per  gli 
spettacoli. 

2*  Vertendo  tra  TÀmministrazione  dello  Stato  e  ì  signori  pal- 
chettisti il  giudizio  iniziato  con  atto  27  novembre  1867  sul  punto 
se  il  Governo  debba  o  meno  mantenere  ora  ed  in  ogni  futuro  tempo 

aperti  ed  in  attività  di  esercizio  i  detti  due  teatri ,  si  dichiara  e 

conviene  a  garatma  del  cessionario  che,  salvi  i  reciproci  diritti  delle 
parti  contendenti,  esso  Municipio  rimane  estraneo  all'esito  della  con- 
troversia, assumendo  la  proprietà  erariale  degli  edifizi  di  cui  alla 
consegna  sopra  allegata,  ^enz'  altro  onere  all'  infuori  delle  pubbliche 
imposte,  deir  ordinaria  e  straordinaria  manutenzione,  e  con  espresso 
esonero  da  ogni  ohbUgo  spedale  sia  verso  i  palchettisti^  sia  verso 
chiunque. 

Di  fronte  ai  patti  surriferiti  e  a  quanto  era  stato  deciso  dalla 
Cassazione  di  Torino,  non  potendo  i  palchettisti  della  Scala  tenere 
obbligato  uè  il  Demanio,  nò  il  cessionario  municipio,  a  sostenere  le 
spese  per  V  esercizio  dei  teatri,  pensarono  di  provvedersi  essi  mede- 
simi, nominando  per  il  triennio  18731876  una  commissione  la  quale, 
presi  gli  opportuni  accordi  col  municipio,  assicurò  un  soddis&cente 
esercizio  dei  teatri,  dietro  un  concorso  dei  palchettisti  per  la  somma 
di  L.  50.000. 

In  confronto  dei  pochi  renitenti  si  agì  giudizialmente,  e  con  sen- 
tenza 7  luglio  1876  del  Tribunale  di  Milano  fu  sancito  l'obbligo 
dei  dissidenti,  colla  condanna  loro  al  pagamento  del  contributo.  A 
fuel  primo  accordo  tenne  dietro  un  regolamento  votato  e  deliberato 
in  apposita  adunanza  dei  palchettisti  nel  giorno  16  marzo  1879,  ed 
una  nuova  convenzione  stipulata  dalla  Commissione  col   Municipio 


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198  ARTE  CONTEMPORANEA 

per  la  durata  di  anni  nove,  colla  quale  fu  fissato  in  L.  200  mila 
Tannuo  contributo  del  Municipio  e  in  L.  58  mila  quello  dei  pal- 
chettisti. Tale  convenzione  fu  pure  approvata  dal  corpo  dei  palchet- 
tisti in  adunanza  4  maggio  1879,  colla  quale  fu  anche  nominata 
la  Delegazione. 

In  altra  adunanza  13  luglio  1879  il  corpo  dei  palchettisti  approvò 
il  riparto  del  contributo  tra  i  singoli  titolari  di  diritto  di  palco, 
tenuto  conto  sia  dell'ordine  dei  palchi,  sia  della  rispettiva  posizione 
nella  medesima  fila. 

Venuta  l'epoca  dell'esazione  del  contributo,  6  dei  154  palchettisti 
si  rifiutarono  al  pagamento;  e  allora  la  Delegazione  li  convenne  in 
giudizio  con  citazione  12,  20  e  21  ottobre  1887  chiedendo  che  si  di- 
chiarasse obbligatorio  anche  per  loro,  come  palchettisti  della  Scala,  il 
pagamento  dell'  annuo  contributo  pei  rispettivi  palchi  e  per  il  no- 
vennio a  partire  dalla  stagione  di  carnevale-quaresima  1879-80, 
questo  compreso,  fino  a  tutta  la  stagione  carnevale-quaresima  1887- 
1888,  nella  misura  deliberata  nell'adunanza  13  luglio  1879  dal  corpo 
dei  palchettisti. 

Il  Tribunale  di  Milano,  con  sentenza  19  maggio  1882,  accoglieva 
pienamente  le  domande  della  Delegazione.  « 

Da  questa  sentenza  appellò  l'avv.  Antona-Traversi,  l'unico  dei  con- 
venuti comparso  nel  primo  giudizio,  ed  appellò  pure  il  duca  Scotti 
dichiarando  dì  contestare  la  legalità  del  consorzio  quale  era  stato 
costituito  e  quindi  della  relativa  rappresentanza,  la  legalità  della 
adunanza  dei  palchettisti  e  dei  provvedimenti  in  essa  presi  e  l'ap- 
plicabilità delle  disposizioni  di  legge  a  cui  l'appellata  sentenza  si 
appoggiava. 

«  Ma  la  Corte  d'Appellp   di   Milano  confermò  in  tutto  la  sentenza 
del  Tribunale. 

liicorsero  i  palchettisti  dissenzienti  in  Cassazione,  sostenendo  che 
male  a  proposito  la  Corte  di  Milano  aveva  invocato  la  figura  giuri- 
dica del  condominio  per  tenerli  obbligati  al  concorso;  mentre  invece 
trattavasi  di  proprietà  distinte  e  separate  dei  palchi,  dalle  quali  non 
derivava  alcun  diritto  sul  resto  del  teatro. 

Qaesti  concetti  però  non  furono  favorevolmente  accolti  dalla  Ca%- 
sazione  Torinese,  la  quale  avvertì  anzitutto  come  né  il  rogito  Negri 
del  1778,  né  la  sentenza  del  1870,  potevano  esercitare  una  decisiva 


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LA  €  QUESTIONE  DELLA  SGALA  <  199 

influenza  in  quella  controyersia;  poiché  col  primo  erano  stati  bensì 
stabiliti  gli  accordi  tra  il  corpo  generale  dei  proprietari  dei  palchi 
e  la  Begia  Camera,  ma  nulla  erasi  «detto  circa  la  costituzione  di 
detto  corpo,  e  i  rapporti  intercedenti  tra  i  consociati. 

Passando  poi  a  considerare  la  questione  dal  punto  di  vista  pret- 
tamente giuridico,  la  sentenza,  pure  accettando  il  concetto  della  pro- 
prietà distinta  ed  esclusiva  dei  palchi,  osservò  come  del  resto  un  di- 
ritto di  palco  limitato  all'  angusto  ambiente  del  palco  stesso  non 
avrebbe  ragione  di  essere,  e  che  la  vantata  proprietà  si  ridurrebbe 
ad  una  parola  priva  di  senso,  ove  alla  medesima  non  si  intendesse 
congiunto  un  diritto  che  si  estrinseca  al  di  fuori  delle  pareti  del 
palco,  il  diritto  cioè  di  godere  degli  spettacoli  teatrali,  diritto  che 
giuridicamente  può  definirsi  come  una  servitù  attiva,  e  più  propria- 
mente come  una  servitù  di  prospetto. 

Ma  questa  servitù  esercitandosi,  se  anche  in  disuguale  misura,  at- 
tesa la  più  0  meno  favorevole  posizione  dei  palchi,  sempre  però  da 
tutti  i  palchettisti  sulla  medesima  cosa  ed  indivisamente,  ne  sorge 
spontaneo  il  concetto  di  una  communio  iuris,  la  quale  non  meno  del 
condominio  è  sorgente  di  rapporti  obbligatorii  tra  i  compartecipi. 

Tra  questi  rapporti  obbligatori,  rientra  indubbiamente  quello  san- 
zionato nell'art.  671  del  Codice  civile,  secondo  cui  le  deliberazioni 
prese  dalla  maggioranza  dei  partecipanti  per  l'amministrazione  e  per 
il  migliore  godimento  della  cosa  comune,  sono  obbligatorie  anche  per 
la  minoranza  dissenziente. 

Ma,  dicevano  i  palchettisti  dissenzienti,  ammessa  pure  la  teoria 
della  communio  iuris,  non  si  può  poi  sostenere  che  V  annuo  contri- 
buto votato  dalla  maggioranza  dei  palchettisti  per  dare  degli  splen- 
didi spettacoli  all'intera  cittadinanza,  sia  necessario  alla  cosa  comune 
e  riflettente  l' amministrazione  e  il  migliore  godimento  della  cosa 
stessa:  il  teatro  alla  Scala  è  in  ottimo  statole  non  abbisogna  di  ri- 
parazione 0  di  abbellimenti  j  e  perciò  colla  detta  deliberazioiie  si  ob- 
bligano i  soci  ad  un  nuovo  concorso,  ad  un  nuovo  rapporto  di  comu- 
nione, cosa  sempre  interdetta  alla  maggioranza  dei  condomini,  e  con- 
traria alla  ragione  stessa  della  comunione. 

Bispose  la  Cassazione  Torinese  che  la  deliberazione  presa  dalla 
maggioranza  rifletteva  veramente  il  migliore  godimento  della  cosa 
comune,  anzi,  più  che  il  migliore  godimento,  l'esistenza  e  la  condì - 


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200  ARTE  CONTEMPORANEA 

zione  stessa  al  godimento,  essendo  manifesto  che,  chiuso  il  teatro,  la 
proprietà  dei  palchi  si  risolve  in  una  proprietà  insuscettibile  di  go- 
dimento. 
Il  ricorso  dei  palchettisti  fu  quindi  respinto. 


IV. 


La  causa  del  palchettisti  della  Canobblana  contro  il 
Comune  di  Milano  per  obbligarlo  a  sostenere  le 
spese  di  riparazione  del  teatro. 

Era  appena  finita  la  lite  tra  i  palchettisti  della  Scala,  che  un'altra 
gravissima  ne  sorgeva  tra  essi  e  il  Comune  di  Milano. 

Con  decreto  24  dicembre  1881  il  prefetto  di  quella  città,  in  se- 
guito al  disastri  avvenuti  in  quell'anno  nei  teatri  esteri,  ordinava 
alcune  opere  e  cautele  per  tutti  i  teatri,  senza  delle  quali  non  si 
potessero  aprire  al  pubblico. 

Tali  opere  vennero  dal  Municipio  eseguite  in  tutto  quanto  il  teatro 
alla  Scala,  e  si  incominciarono  pure  in  quello  della  Canobbiana, 
giusta  il  preventivo  fattone  dagli  uffici  municipali,  ma  vennero  poi 
sospese.  Protestarono  per  questo  fatto  i  palchettisti,  cosicché  il  sin- 
daco o&l  loro  la  cessione  gratuita  della  parte  di  proprietà  spettante 
al  Comune  se  avessero  desistito  dalle  loro  pretese. 

Ma,  cambiata  la  rappresentanza  comunale,  la  nuova  Giunta  non 
solo  non  proseguì  i  lavori,  ma  neanche  diede  seguito  alla  proposta 
della  precedente  amministrazione.  Allora  i  palchettisti  della  Ca- 
nobbiana  fecero  notificare  alla  rappresentanza  medesima  un  atto 
di  protesta  in  data  23  dicembre  1884,  diffidandola  che  non  eseguen- 
dosi tosto  le  prescritte  riparazioni,  sarebbe  tenuta  ai  danni  presenti 
®  futuri  per  il  mancato  uso  dei  teatri.  Bispose  il  Comune  che  non 
aveva  altri  obblighi  airinfuorì  di  quello  di  mantenere  la  destinazione 
del  locale ,  conservandolo  sempre  a  solo  uso  di  teatro ,  ma  senza 
alcun  impegno  per  gli  spettacoli,  e  quello  dell'ordinaria  e  straordi- 
naria manutenzione,  con  esonero  da  ogni  diverso  obbligo  verso  i  pal- 
chettisti 0  chichessia;  e  che  le  opere  ordinate  dal  prefetto  non  po- 
tevansi  comprendere  nella  manatenzione  né  ordinaria,  né  straordinaria^ 


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LA   «QUISTIONB  DELLA  SCALA  »  201 

e  Tayerle  incominciate  non  significava  obbligazione,  essendo  anzi  la 
sospensione  dovuta  al  negato  concorso  nelle  spese  da  parte  dei  pal- 
chettisti. 

Il  Tribunale  di  Milano  però,  dinanzi  al  quale  fu  portata  la  ver- 
tenza, respinse  questi  argomenti,  notando  come  dal  momento  che,  e 
questo  risultava  anche  dal  preventivo  dei  lavori  redatto  dallo  stesso 
ufficio  municipale,  nessuna  partita  riguardava  punto  1  palchi  o  an- 
nessi camerini,  ma  bensì  invece  tutte  si  riferivano  al  teatro,  il  dovere 
esclusivo  di  provvedere  ai  lavori  stessi  incombeva  al  Comune  come 
proprietario,  e  non  poteasi  quindi  in  nessun  modo  sostenere  l'obbligo 
di  concorso  nei  palchettisti. 

Né  a  costituire  quest'obbligo  ritenne  il  Tribunale  potesse  bastare 
il  fatto  che  il  godimento  del  teatro  era  comune  tra  palchettisti  e 
Municipio,  in  quanto  se  non  potea  non  ammettersi  che  i  diritti  degli 
uni  e  delFaltro  fossero  tra  loro  connessi;  sussisteva  pur  sempre  di 
fatto  che  le  rispettive  proprietà  erano  distinte,  dalla  quale  distinzione 
obblighi  particolari,  individuali  scaturivano,  e  primo  tra  essi  quello 
della  manutenzione  della  rispettiva  proprietà. 

Notò  poi  la  sentenza  che  del  resto  l'obbligo  del  Comune  di  ripa- 
rare a  sue  spese  il  teatro  trovava  fondamento,  oltreché  sui  prìncipii 
di  diritto  e  di  ragione,  anche  sui  documenti,  e  cioè  nel  rogito  Negri 
del  1778  e  neiratto  del  1870,  col  quale  il  Comune  si  era  obbligato 
a  non  cambiare  la  destinazione  dei  due  teatri,  conservandoli  sempre 
a  solo  T)80  di  teatro,  ed  assumendosi  inoltre  l'onere  della  ordinaria 
e  straordinaria  manutenzione. 

B  siccome  le  op^re  ordinate  dalla  prefettura  rientravano  indub- 
biamente nelFobbligo  della  manutenzione,  in  quanto  invece  costi- 
tuivano una  condizione  sine  qua  non  perchè  la  Canobbiana  fosse  an- 
cora teatro  o  no,  così  il  Tribunale  con  sentenza  in  data  25  luglio 
1885,  accogliendo  pienamente  le  domande  dei  palchettisti,  giudicò 
avere  dovuto  e  dovere  il  Comune  di  Milano,  quale  proprietario  della 
parte  a  lui  ceduta  dal  B.  Governo  della  proprietà  stabile  del  teatro 
della  Canobbiana,  eseguire  tutte  le  riparazioni  e  prescrizioni  in- 
giunte dal  prefetto,  e 'perciò  fu  condannato  a  rifondere  ai  palchettisti 
il  danno  patito  per  il  mancato  uso  del  teatro  e  le  spese  di  lite. 


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ARTE  CONTEMPORANEA 


La  fase  odierna  della  questione  della  ^ Scala*. 

Catisa  tra  palchettisti  della  Scala  contro  il  Comune  di  Milano  per 
obbligarlo  a  costituire  una  dote  come  concorso  nelle  spese  di 
funeUmamento  del  teatro. 

Vedemmo  come  l'accordo  tra  palchettisti  e  ComuDe  abbia  provve- 
duto all'esercizio  dei  teatri  della  Scala  e  della  Ganobbiana  dal  1872 
al  1885.  Tale  condizione  di  cose  non  fu  interrotta  dalla  lite  della 
Ganobbiana,  ma  i  palchettisti  continuarono  di  anno  in  anno  a  pagare 
il  loro  contributo  e  il  Gomune  accordò  volta  per  volta  un  vistoso 
s\iS8Ìdio  e  cosi  si  venne  fino  al  1897.  Quando  nel  2  maggio  di  quel- 
l'anno, avendo  il  Corpo  dei  palchettisti  presentata  una  domanda  perchè 
il  Municipio  si  volesse  accordare  con  esso  per  un  contributo  a  tìtolo 
di  dote  onde  allestire  i  soliti  spettacoli  nel  teatro  alla  Scala,  il  Consi- 
glio Comunale,  ritenendo  che  il  Municipio  neppure  per  ragione  di  co- 
munione potesse  essere  obbligato  a  concorrere  nella  spesa  per  l'eser- 
cizio del  teatro,  a  voti  unanimi  deliberava,  in  vista  dell'importanza 
di  questo  punto  di  diritto,  di  astenersi  dall'esame  della  convenienza 
di  accordare  o  meno  la  dote  sotto  l'aspetto  amministrativo,  fino  a  che 
0  il  Consorzio  dei  palchettisti  avesse  formalmente  riconosciuto  che 
qìiesto  obbligo  non  incombeva  al  Comune,  o  sulla  sua  esistenza  o 
meno  non  fosse  stato  deciso  dall'autorità  giudiziaria. 

A  questa  deliberazione  il  Corpo  dei  palchettisti  rispose  citando  il 
Comune  dinanzi  al  Tribunale  di  Milano  con  atto  16  giugno  1897. 

Alla  sua  volta  il  Comune  citava  dinanzi  allo  stesso  foro  i  BB.  Mi- 
nisteri delle  Finanze  e  dell'Interno  per  essere  rilevato  dalle  domande 
dei  palchettisti,  e  ciò»in  base  all'istrumento  di  cessione  del  14  feb- 
braio 1870,  col  quale  il  Comune  era  stato  esonerato  da  qualsiasi 
spesa  verso  i  palchettisti  e  verso  chichessia  per  gli  spettacoli. 

Le  due  cause  vennero  cumulativamente  discusse  il  10  ottobre  1900. 
Sostenevano  le  ragioni  dei  palchettisti  l'illustre  prof.  E.  A.  Porro,  e 
gli  avvocati  Calzini  e  Crespi  ;  quelle  del  Municipio  l'avv.  Casanova. 

Conclusero  i  palchettisti  che  il  Tribunale  dichiarasse: 


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LA    «QUESTIONE   DELLA  SGALA»  203 

I.  Essere  il  Comune  di  Milano,  nella  sua  qualità  di  compro- 
prietario del  teatro  alla  Scala,  tenuto  a  contribuire  in  unione  all'altro 
comproprietario  Corpo  dei  palchettisti,  alle  spese  necessarie  per  la 
conservazione  ed  il  migliore  godimento  dell'ente  comune  teatro  della 
Scala,  secondo  la  destinazione,  il  grado,  e  l'importanza  rispondenti 
alla  struttura  di  esso  teatro,  ed  alle  convenzioni  delle  parti. 

II.  Dovere  conseguentemente  esso  Comune  di  Milano,  sempre 
nella  qualità  e  pel  titolo  suaccennati,  versare  in  ogni  futuro  tempo 
alla  rappresentanza  della  comunione  —  rappresentanza  da  costituirsi 
d'accordo  e  in  difetto  ai  termini  dell'art.  678  —  quella  somma  annua 
che  in  unione  al  contributo  del  Corpo  dei  Palchettisti  sia  necessaria 
e  sufficiente  a  mantenere,  per  l'avvenire  come  per  lo  passato,  in  istato 
di  lodevole  attività  ed  esercizio  il  teatro  stesso. 

III.  Rimettersi  in  ulteriore  corso  di  causa  la  determinazione  della 
cifra  del  contributo  complessivo  e  di  quello  di  ciascuno  dei  comu- 
nisti, da  calcolarsi  questo  in  ragione  delle  rispettive  interessenze  di 
proprietà  e  vantaggi. 

lY.  Protestati  fin  d'ora*  i  danni  immancabilmente  derivanti  sia 
ajl'ente  Comune,  sia  ai  singoli  comiproprìetari  perula  soppressione, 
anche  temporanea,  del  contributo  da  parte  del  comproprietario  Comune 
di  Milano,  e  rifuse  le  spese  e  tasse  tutte  di  cause  e  sentenze. 

Tali  domande  poggiavano  evidentemente  tutte  su  un  unico  pre- 
supposto, l'esistenza  cioè  tra  le  parti  contendenti.  Palchettisti  e  Co- 
mune, di  un  vincolo  di  comunione,  e  fu  su  questo  campo  appunto 
che  più  brillante  cadde  la  discussione  la  quale,  per  essere  stata  sola- 
mente giuridica,  assume  un  aspetto  più  generale,  più  nuovo  e  più 
elegante. 

E  invero,  in  linea  di  &tto*,  sulla  posizione  giuridica  del  teatro 
alla  Scala,  analizzato  dal  'punto  di  vista  della  competenza  patrimo- 
niale, non  fuvvi,  né  p9tea  esservi  contesa,  in  quanto  la  sentenza 
dell'Appello  milanese  del  1870  l'aveva  ben  definita  dividendo  il  teatro 
in  quattro  parti  distinte,  e  cioè: 

a)  Varea  che  è  tutta  di  proprietà  indivisa  dei  palchettisti  ; 

6)  •  palchi  delle  prime  quattro  file  coi  rispettivi  camerini  che 
sono  tutti  di  proprietà  indivìsa  dei  Palchettisti  e  del  Comune  ; 

*  e)  i  palchi  di  V  fila  e  di  loggione  che  sono  di  proprietà  indi- 
vìsa dei  palchettisti  e  del  Comune; 


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204  ARTS  GONTEMPORANSA 

d)  tutti  i  fabbricati  annessi  (meno  Tarea),  e  cioò  vestibolo,  cor- 
ridoi, scale,  platea,  palcoscenico,  ridotti,  rampa-caralli,  ecc.  di  pro- 
prietà del  Comune. 

La  questione  invece  nasceva  quando  si  trattava  di  determinare  la 
natura  dei  rapporti  che  la  situazione  in  cui  si  trova  il  teatro  della 
Scala  rispetto  al  Comune  e  ai  palchettisti,  fa  nascere  tra  di  essi. 

Questione  ardua  quanto  altra  mai,  in  quanto  presuppone  una  in- 
dagine sulla  natura  giurìdica  del  diritto  di  palco,  forma  ibrida,  par- 
ticolare di  proprietà,  non  ancora  bene  determinata  né  nella  giuris- 
prudenza né  nella  dottrina,  questione  resa  ancor  più  difficile  nel  caso 
della  Scala,  in  quanto  il  proprietario  del  teatro  è  allo  stesso  tempo 
comproprietario  di  due  ordini  di  palchi. 

Sostenevano  in  sostanza  1  palchettisti  che  la  materiale  conforma- 
zione delle  varie  parti  di  un  teatro,  la  loro  armonica  e  necessaria 
coordinazione  ad  un  unico  fine,  bastava  di  per  si  a  dimostrare  che 
accanto  al  rapporto  fisico  ed  economico  insito  nella  destinazione,  esiste 
un  rapporto  giuridico  tra  i  proprietari  delle  varie  parti  divise,  in- 
sito esso  pure  nella  destinazione  medesima,  che  va  qualificato  appunto 
di  comunione.    ^ 

Ma  non  è  solo  alla  conformazione  architettonica  del  teatro,  al  puro 
e  semplice  fabbricato  che  si  deve  avere  riguardo:  quell'ente  che  si 
chiama  teatro,  non  è  solo  una  costruzione  caratteristica  destinata- ad 
UDO  scopo  determinato,  ma  rappresenta  anche  un  esejcizio,  una  azienda, 
il  cui  funzionamento  ne  crea  la  estimazione,  il  cui  valore  si  accresce 
per  la  notorietà  che  va  man  mano  acquistando,  o  che,  acquistato, 
si  mantiene ,  per  l'avviamento  raggiunto  e  su  cui  si  può  S&re  pre- 
sumibile conto  in  avvenire.  Ed  ecco  come  allora  la  destinazione,  che 
prima  era  qualità  dettata  unicamente  dalla  struttura  dell'edificio, 
diventa  in  seguito  un  elemento  economico  che  si  immedesima  con 
esso,  che  lo  integra,  che  serve  ad  accrescerne  il  valore  a  tutti  gli 
effetti,  anche  fiscali;  ed  ecco  pure  come  lo  stesso  diuturno  esercizio 
di  quell'ente  può  rappresentare  un  notevole  coefficiente  del  progresso 
delle  arti,  segnarne  le  più  alte  e  varie  manifestazioni  e  diventare, 
con  nobile  tradizione,  addirittura  una  istituzione  di  coltura  e  di  edu- 
cazione nazionale. 

E  un  altro  argomento  in  conforto  della  loro  tesi,  desumevano  i 
difensori  dei  palchettisti  dall'atto  di  fondazione  del  teatro,  in  quanto 


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LA   «QUESTIONE  DELLA  SGALA»  205 

questo  contribniTa  a  dimostrare  il  coordinato  proposito  dei  palchet- 
tisti e  della  B.  Camera  Ducale,  di  dotare  la  città  di  Milano  dì  un 
teatro  che  fosse  rÌ8er?ato  alle  rappresentazioni  serie  ed  agli  spetta- 
coli più  alti  e  dignitosi,  e  di  creare  a  tal  fine  un  ente  a  cui  fossero 
assieonti  i  mezzi  di  furunanare,  mediante  un  concorso  pecuniario 
rappiesentato  dai  frutti  del  teatro,  dai  proventi  delle  botteghe  e  dai 
locali  appigionati  alla  nobile  Associazione  degli  spettacoli  teatrali, 
e  dal  canone  dei  palchettisti. 

Posto  in  tale  modo  il  principio  della  communio  iwHs,  i  palchet- 
tisti sostenevano  che  dal  momento  che  il  Ciodice  civile  (art.  676)  fa 
obbligo  a  ciascun  partecipante  di  obbligare  gli  altri  a  contribuire 
em  esso  alle  spese  necessarie  per  la  conservazione  della  cosa  comune, 
rientrando  nel  caso  indubbiamente  tra  queste  spese  quelle  che  ri- 
guardatio  il  mantenimento  della  desUncunone  all' edifido-teatro,  il 
Munidpio,  come  comunista,  non  poteva  esimersi  dairobbligo  di  contri- 
buire insieme  ai  palchettisti  a  che  il  teatro  alla  Scala  fosse  aperto 
agli  q>ettacoli,  a  che  cioè  fosse  conservato  iv!  modo  corrispondente 
alla  sua  destinazione,  alla  sua  struttura,  alla  sua  importanza  ed  alla 
sua  tradìziime. 

Ma  non  era  solo  sulla  teorica  della  communio  iuris  che  verteva 
la  questione;  die  dal  canto  suo  il  Munidpio  di  Milano,  pure  ten- 
tando di  confutare  gli  argomenti  surriportati,  f&ceva  però  il  masdmo 
assegnamento  sull'atto  di  cessione  del  teatro  fatto  dal  Demanio  al 
Comune  con  istrumento  14  febbraio  1870,  in  quanto  con  esso  al 
patto  iffìmo  erasi  bensì  stabilito  che  il  Comune  si  obbligava  a  non 
cambiare  la  destinazione  dei  teatri  alla  Scala  e  della  Canobbiana,  ma 
sobito  poi  si  era  soggiunto:  «  Non  assume  (il  Comune)  però  obbligo 
alemio  per  gli  speUacdi  >;  e  nel  patto  secondo  poi  tale  concetto  erasi 
ribadito»  pattuendosi  dal  Comune  Yespresso  esonero  da  ogni  diverso 
obbUgo  (all'infoori  delle  pubbliche  imposte,  dell'ordinaria  e  straor- 
dinaria manutenzione)^  speeiaHe  sia  verso  i  pakheitìsti^  sia  verso 
ekkmqwe. 

P&r  dò  che  riguarda  questo  secondo  punto  della  discussione,  i  pal- 
chettisti obbiettavano  che  il  rogito  di  cessione  non  aveva  avuto  altro 
scopo  se  noi  di  costituire  delle  cautele  contro  il  perìc(do  che  le  obbli- 
gazioni contrattuali  del  cedente  si  ritenessero  passate  nel  cessionario, 
e  non  aver  avuto  riguardo  a  quegli  oneri  che  incombevano  sul  De- 


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206  ARTE  COP^EMPORANEA 

manió  cedente^  non  come  Governo,  ma  come   comproprietario  del 
teatro,  o  per  lo  meno  come  proprietario  di  una  parte  del  teatro. 

Se  il  contratto  di  cessione  avesse  detto  che  il  Comune,  subentrando 
al  Demanio,  era  esonerato  da  ogni  obbligo  incombentegli  come  par 
tecipante  della  comunione  creata  del  teatro,  una  tale  clausola  sa- 
rebbe stata,  evidentemente  nulla,  perchè  neppure  il  Demanio  può 
arbitrarsi  di  trasferire  maggiori  diritti  di  quelli  che  possiede. 

ì\  Tribunale  di  Milano  però,  nella  sua  recente  sentenza  in  data 
25  ottobre  1900,  ha  accolto  pienamente  le  ragioni  del  Comune,  me- 
ravigliandosi ,come  i  suoi  patrocinatori  si  siano  lasciati  trascinare 
dalla  parte  contraria  sull'incerto  terrepo  della  communio  iuris^  mentre 
la  questione  poteva  risolversi  di  fronte  alle  private  statuizioni  del 
contratto. 

In  sostanza,  ha  detto  la  sentenza,  la  questione  attuale  è  identica 
a  quella  già  agitatasi  nel  1820:  solo  le  parti  si  sono  scambiata  la 
tesi.  Allora  era  la  Camera  che  pretendeva  dai  palchettisti  uà  au- 
mento di  canone  in  proporzione  ai  maggiori  oneri  che  l'appalto  del 
teatro  rendeva  necessari,  dopo  l'abolizione  dei  giuochi,  e  per  il  cre- 
scente costo  degli  spettacoli,  ed  1  palchettisti  resistevano  invocando 
il  contratto  che  ad  altro  non  li  obbligava  se  non  che  al  canone 
giusta  il  praticato  di  addietro.  *. 

La  B.  Camera  si  persuase,  sopra  un  semplice  parere  del  proprio 
legale,  di  essere  nel  torto  e  più  non  insistette,  ma  generosamente 
supplì  per  mezzo  secolo  del  proprio,  a  ciò  mossa,,  sia  pare  in  realtà 
da  fini  ben  diversi  da  quelli  apparenti  della  protezione  delle  arti  e 
del  progresso  culturale  del  paese. 

Nel  1868,  come  oggidì,  sono  i  palchettisti  che,  avendo  prima  il 
Governo  nazionale,  ed  ora  il  Comune  cessate  le  straordinarie  e  apon- 
tanee  oblazioni,  si  sono  inalberati:  nel  1868,  senza  contraddirsi  aper- 
tamente colla  tesi  felicemente  sostenuta  dai  loro  maggiori,  preten- 
devano che  le  sovvenzioni  da  straordinarie  e  facoltative  avessero  a 
diventare  stabili  ed  obbligatorie  in  perpetuo;  questa  volta,  in  appa- 
renza più  modesti,  andarono  a  disotterare  le  armi  che  V  avversario, 
dopo  essersele  foggiate,  aveva  gettato  da  un  canto  come  inservibili, 
per  puntarle  contro  di  lui,  pretendendo  dal  Comune  quanto  la  B.  Ca- 
mera aveva  chiesto  invano  dai  loro  autori. 

Passando  poi  ad  esaminare  la  tesi  della  communio  ifim,  il  Tribu- 


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LA   «QUESTIONE  DELLA  SGALA»  207 

naie  ha  dichiarato  che,  per  quanto  abilmente  presentata,  non  po- 
trebbe essere  più  infondata,  in  quanto  la  comproprietà  indivisa  dei 
palchi  di  quinta  fila  e  del  loggione  non  ha  nello  insieme  tale  im- 
portanza da  potere  dare  norma  e  carattere  alle  altre  parti,  ma  va 
piuttosto  considerata  come  un  accessorio  ad  altre  proprietà  indivi- 
duali e  distinte.  In  tutto  il  resto  si  è  di  fronte  ad  altrettante  pro- 
prietà particolari,  collegate  è  vero  in  un  medesimo  rapporto,  in 
causa  della  destinazione  che  è  data  a  ciascuna  di  esse  per  servire 
ai  pubblici  spettacoli,  rapporto  però  che  non  è  di  comunione  ap- 
punto perchè  vi  manca  l'identità  della  cosa  o  di  un  diritto,  su  cui 
dovrebbe  applicarsi.  Non  è  comunione  di  cose,  perchè  queste,*  meno 
le  due  ultime  dei  palchi  o  loggione,  sono  distinte  individualmente; 
neppure  comunione  di  diritti,  perchè  questi,  del  pari  che  gli  ob- 
blighi corrispondenti,  furono  nelle  statuizioni  delFistrumento  tenuti 
distinti,  per  modo  che  ognuno  dei  contraenti  ha  propri  diritti  ed  ob- 
blighi che  non  sono  quelli  dell'altra  parte,  e  se  ci  sono  pure  alcuni 
diritti  ed  alcuni  obblighi  comuni,  di  questi  tassativamente  e  non 
d'altro,  è  a  parlarsi,  ma  non  certamente  anche  di  comunione  dell'in- 
tero teatro.  Vi  è  bensì  un  elemento  che  tutto  lega  ed  unisce  di 
quanto  —  cose,  diritti  e  doveri  —  costituisce  l'ente  teatro,  o  ha  ra-. 
gione  di  essere  dal  medesimo,  ed  è  la  destinazione,  la  quale  è,  e 
non  può  essere  che  unica,  quella  di  servire  ai  pubblici  spettacoli. 
Ma  questa  destinazione  non  è  né  cosa,  né  diritto,  ma  solo  modalità 
dell'uno  e  dell'altro,  ragione  d'essere  del  tutto,  non  l'essere  stesso; 
come  tale  non  può  da  sola,  senza  altri  elementi  oggettivi,  servire  di 
substrato  ad  un  diritto  qualsiasi,  molto  meno  ad  un  diritto  che  rap- 
presentare dovrebbe  nella  sua  entità,  un  principio  diametralmente 
opposto  a  quello  delle  singole  cose  e  diritti,  onde  lo  si  pretende 
costituito,  la  comunione  di  fronte  alla  individualizzazione  delle  cose 
e  dei  diritti. 

Questa  destinazione  male  si  è  voluta  assurgere  a  dignità  di  diritto 
per  sé  stante,  e  quasi  immanente  fino  dall'origine  del  teatro  ;  molto 
più  dinanzi  al  contratto  che  dava  facoltà  alla  B.  Camera  di  prov- 
vedere agli  spettacoli,  ma  non  gliene  faceva  alcun  obbligo,  ed  avendo 
determinato  tassativamente  gli  oneri  dei  contraenti  in  ordine  alla 
dotazione  degli  spettacoli,  non  consentiva  che,  sotto  alcun  riguardo, 
gli  oneri  medesimi  fossero  aumentati,  e  per  tale  modo,  qualora  i  pro- 


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208  ARTE  CONTBMPORANBA 

¥6Dti  ordinari  si  fossero  mostrati  inadeguati,  lasciava  all'insindaca- 
bile arbitrio  delle  parti  di  disinteressarsi  degli  spettacoli,  se  non  si 
intendeva  da  una  di  esse  di  provvedervi  direttamente  sobbarcandosi 
a  tutte  le  maggiori  spese  occorrenti,  senza,  in  questo  caso,  potere  ob- 
bligare l'altra  parte  a  concorrervi. 

La  sentenza  ha  quindi  concluso  col  respingere  le  domande  dei  pal- 
chettisti, attenuando  in  parte  la  loro  sconfitta  coU'accordare  la  com- 
pensazione delle  spese  del  giudizio. 

Appelleranno  i  palchettisti  P 

Non  sembra  dubbio,  se  prima  non  intervenga  un  amichevole  ac- 
cordo col  Comune,  cosa  che  di  tutto  cuore  desideriamo. 

Che  se  tale  accordo  dovesse  fallire,  non  è  facile  prevedere  fino  da 
ora  se  in  appello  la  sentenza  del.  tribunale  verrà  confermata. 

La  questione  della  Scala,  pure  non  occupandoci  del  suo  lato  arti- 
stico, è  dal  punto  di  vista  giurìdico  di  una  singolare  importanza,  in 
quanto  è  questa  la  prima  volta  che  è  presentata  ai  magistrati  la 
tesi  della  comnmmo  iuris^  per  fame  fondamento  all'obbligo  del  pro- 
prietario di  contribuire  coi  palchettisti  alle  sqpese  di  funzionamento 
del  teatro. 

Si  è  tentato  in  altri  tempi  di  desumere  queet' obbligo  da  un  rap- 
porto di  condominio  o  comproprietà  del  teatro  che  si  sosteneva  esi- 
stere tra  proprietario  e  palchettisti,  ma  giustamente  né  la  dottrina  (1) 
né  la  giurisprudenza  accettarono  questo  concetto,  come  quello  che 
era  in  stridente  contrasto  colla  esistenza  di  singole  proprietà  distìnte, 
coordinate,  sia  pure,  in  un  medesimo  edificio,  e  con  un  unito  criterio 
architettonico. 

Più  tardi,  nella  lite  insorta  tra  i  palchettisti  della  Scala,  la  teo- 
rica della  comtnmno  iuris  fu  accettata  per  dedurne  l'obbligo  dei  pal- 
chettisti dissidenti  a  contribuire  alle  spese  di  esercizio  del  teatro 
votate  dalla  maggioranza,  notandosi  a  buon  diritto  che  il  godimento 
degli  spettacoli  che  forma  il  sostrato  economico  essenziale  del  diritto 
di  palco,  non  poteva  aver  luogo  prò  diviso^  ma  per  opera  di  tutti  i 
titolari  congiuntamente  e  indivisamente. 


(1)  Se  te  ne  eoeettù  T Ascoli,  Studi  di  OiuriiprméUnMa  teatrak.  Fireme^  1871. 


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LA   €  QmsnONB.  OBLLA  SGALA  »  200 

Neirodìerna  questione  della  Scala  il  campo  di  pratica  applicazione 
della  teorìa  in  parola,  si  vorrebbe  estendere  fino  al  punto  di  fame 
il  fondamento  di  rapporti  intercedenti  tra  proprietari  di  teatri  e  pal- 
chettisti, cosicché  quelli  sarebbero  tenuti  con  quésti  a  sopperire  in 
ragione  dell'entità  dei  rispettivi  interessi  alle  spese  di  esercizio  del 
teatro. 

Se  questa  nuova  applicazione  sia  giuridica,  non  é  facile  indagare, 
senza  dire  poi  che  nel  caso  della  Scala,  a  dire  il  vero,  a  questa,  che 
é  la  principale,  va  unita  un'altra  questione  accessoria,  dipendente 
dalle  condizioni  speciali  di  quel  teatro,  in  quanto  é  per  due  ordini 
di  palchi  di  comproprietà  dei  palchettisti  e  del  Comune.  È  facile 
comprendere  quanto  questa  particolarità  di  fatto,  della  quale  nel 
primo  giudizio  non  si  é  tenuto  conto,  può  pesare  in  quello  di  appello. 

Ha  un  bel  dire  la  sentenza  che  commentiamo,  che  cioè  la  proprietà 
indivisa  dei  palchi  di  quinta  fila  e  del  loggione  non  ha  nello  insieme 
tale  importanza  da  potere  dare  norma  e  carattere  alle  altre  parti,  e 
che  deve  quindi  più  che  altro  considerarsi  come  un  accessorio  alle 
altre  proprietà  individuali  o  distinte;  ed  hanno  pure  un  bel  soste- 
nere i  patrocinatori  del  Comune,  che  sarebbe  assurdo  che  i  parteci- 
panti della  quinta  fila  e  del  loggione  debbano  sostenere  le  spese 
di  esercizio  dell'intero  teatro,  mentre  questo  è  composto  di  altre 
proprietà  private  bene  importanti,  che  non  si  possono  costringere  a 
contribuire  a  dette  spese. 

Una  comunione  tra  palchettisti  ed  il  Comune  di  Milano  esiste  in- 
dubbiamente, ed  é  comunione  di  beni  :  sia  pure  limitata  ad  una  parte 
sola  del  teatro,  ma  in  ogni  modo  non  può  a  meno  di  indurre  dei 
rapporti  vicendevoli  tra  i  partecipanti  per  ciò  che  si  riferisce  al  fun- 
zionamento di  questa  parie,  alla  sua  destinazione,  che  é  appunto 
quella  di  servire  al  godimento  degli  spettacoli. 

Non  si  può  confondere  nel  Comune  di  Milano  la  qualità  di  pro- 
prietario del  teatro  con  quella  di  comproprietario  di  due  ordini  di 
palchi,  per  desumerne  che,  questo  ente,  non  potendo  sotto  il  primo 
aspetto  essere  tenuto  a  contribuire  alle  spese  di  esercizio  del  teatro^ 
neanche  vi  si  può  costringere  dal  secondo  punto  di  vista. 

I  rapporti  che  dalle  due  su  descritte  qualità  si  originano  sono  di- 
stinti per  il  contenuto  diverso  che  é  in  ognuno  di  essi,  per  il  potere 

RMtta  muiieaU  italiana,  VDl.  14 


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210  ARTE  CONTEMPORANEA 

che  tionferiscono  e  per  le  obbligazioni  diverse  che  impongono  ;  il  fatto 
di  trovarsi  riuniti  non  può  alterare  la  loro  essenza  giuridica. 

Questa  considerazione,  che  meriterebbe  uno  sviluppo  maggiore  se 
la  tirannia  dello  spazio  ce  lo  consentisse,  ci  apre  la  via  per  porre  la 
questione  sotto  un  aspetto  tale  da  darle  una  soluzione. 

Altra  cosa  è  pretendere  che  il  Comune  di  Milano  sia  tenuto  come 
proprietario  del  Teatro  della  Scala  a  contribuire  in  ragione  del  suo 
interesse  alle  spese  di  esercizio  di  quel  tempio  dell'arte,  altro  che 
come  palchettista  debba  cogli  altri  concorrere  nelle  spese  medesime. 

Nella  seconda  ipotesi  la  risposta  affermativa  non  è  dubbia  di  fronte 
alla  sentenza  della  Corte  di  Cassazione  torinese  del  30  dicembre  1885 
che  dichiarava  esistere  tra  i  palchettisti  della  Scala  una  communio 
iuris:  da  un  concorso  nelle  spese  di  funzionamento,  sia  pur  tenue, 
il  Comune  di  Milano  non  può  quindi  in  alcun  modo  esimersi  a 
meno  che  non  preferisca  l'abbandono  della  sua  parte  di  compro- 
prietà ai  palchettisti  ;  e  sotto  questo  aspetto  perciò  non  può  accettarsi 
la  sentenza  recente  dèi  Tribunale  di  Milano  che  dichiara  non  sussi- 
stere in  alcun  modo  l'obbligo  del  Coibune  di  sopperire  alle  spese  per 
gli  spettacoli. 

Certo  è  però  che  quando  anche  nel  giudizio  di  appello,  se  pure 
non  ostapo  eccezioni  di  ordine,  tale  obbligo  venisse  riconosciuto,  la 
questione  della  Scala,  non  verrebbe  tuttavia  risolta  in  favore  dei 
palchettisti,  perchè  il  contributo  che  il  Comune  dovrebbe  pagare  come 
comjprqprieiario  dei  palchi,  sarebbe  troppo  esiguo  di  fronte  alle  in- 
gentissime  spese  che  un  decoroso  esercizio  del  massimo  dei  teatri 
italiani  richiede.  E  t}ui  nasce  un'altra  questione,  che  ò  di  capitale 
importanza. 

Il  contributo  del  Comune  avrà  a  determinarsi  solo  in  relazione 
degli  interessi  che  esso  ha  nella  Scala  come  comproprietario  di  palchi, 
0  anche  come  proprietario  del  parterre  dove  si  trovano  le  poltrone, 
scanni,  ecc.? 

A  noi  sembra  che  la  risposta  affermativa  si  imponga,  e  appunto 
per  le  ragioni  fin  qui  espresse  in  ordine  all'obbligo  del  contributo 
che  incombe  al  Comune  come  palchettista.  Una  sostanziale  diversità 
tra  le  due  questioni  infatti  non  esiste. 

La  Cassazione  torinese  decise  che  tra  i  vari  titolari  di  diritto  di 
palco  di  un  teatro  esiste  una  communio  iuris,  in  quanto  tutti  e  in- 


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LA   €  QUESTIONE  DELLA  SGALA»  211 

divisamente  godono  deiredificio  teatro  secondo  la  destinazione  sua  e 
sia  pure  da  luoghi  distinti  e  in  diverso  modo:  Tidentità  del  diritto 
e  del  suo  oggetto  e  la  simultaneità  deiresercizio  da  parte  dei  titolari 
fornì  quindi  il  fondamento,  di  questa  teorica,  che  perciò  non  può 
ritenersi  limitata  nella  sua  applicazione  ai  soli  palchettisti,  mi  a 
tutti  i  titolari  di  posti  di  teatro  analoghi  sAVius  di  palco,  essendo  la 
stessa  la  ragione  del  decidere.  Così,  a  nostro  parere,'  dovrebbe  agli 
effetti  del  contributo,  parificarsi  al  palchettista  il  titolare  di  diritto 
di  sedia,  salva  una  diversa  determinazione  del  contributo  stesso,  in 
base  al  diverso  interesse  che  un  tale  diritto  racchiude. 

E  come  uno,  così  tutti  i  titolari  di  diritto  di  sedia  dovrebbero 
essere  chiamati  a  contribuire  prò  parte  insieme  ai  palchettisti.  Tale 
obbligo  evidentemente  sussiste  anche  allora  che  uno  solo  sia  il  tito- 
lare di  tutti  i  diritti  di  sedia,  uno  solo  il  proprietario  del  parterre  : 
egli  dovrà  in  ragione  del  suo  interesse  contribuire  alle  spese  di  eser-- 
cizio  del  teatro,  né  da  tale  obbligo  varrà  ad  esimerlo  la  condizione 
particolare  in  cui  egli  si  trovi,  di  essere  cioè  allo  stesso  tempo  pro- 
prietario del  teatro. 

Applicando  i  principi  suesposti  alla  questione  della  Scala,  è  ovvio 
il  notare  che  fissati  in  tale  modo  i  metodi  di  determinazione  della 
quota  per  la  quale  il  Comune  è  tenuto  a  contribuire  alle  spese 
per  gli  spettacoli,  la  quota  stessa  viene  ad  assumere  una  tale  entità 
da  permettere  indubbiamente  il  funzionamento  del  Teatro  della 
Scala,  e  la  tanta  famosa  questione  della  Scala,  verrebbe  una  buona 
volta  per  il  bene  dell'arte,  ed  anche  con  rispetto  della  legge,  risolta. 

Non  nascondiamo  però  che  contro  la  costruzione  giuridica  or  ora 
proposta,  molte  ed  anche  gravi  obbiezioni  si  potrebbero  sollevare.  Ci . 
sembra  in  ogni  modo  che  questo  sia  T  unico  aspetto  sotto  cui  la 
questione  della  Scala  dal  punto  di  vista  giuridico  deve  considerarsi, 
se  si  vuole  in  qualche  modo  risolverla  in  favore  dei  palchettisti,  am- 
messo che  alla  discussione  sulla  esistenza  o  meno  della  communio 
iuris,  0  per  meglio  dire  sulle  conseguenze  che  dall'applicazione  di 
questa  teorica  derivano,  non  faccia  ostacolo  e  il  rogito  Negri,  e  l'atto 
di  cessione,  e  la  sentenza  della  Corte  milanese  del  20  agosto  1870. 

Ma  a  questa  che  è  pure  questione  importantissima  e  pregiudiziale, 
non  potremmo  ora  rivolgere  la  nostra  attenzione  senza  peccare  di  in- 
delicatezza verso  le  parti  contendenti. 


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212  ARTIS  GONTKMPORANBA 

Non  sapremmo  in  ogni  modo  meglio  por  termine  al  presente  laToro, 
se  non  colle  assennate  parole  della  Sentenza  dei  giudici  di  Milano, 
augurandoci  cioè  che  qualunque  esito  negli  ulteriori  gradi  di  giurìs- 
diiione  sia  destinata  ad  avere  la  presente  controyersia,  nel  più  im- 
portante centro  della  coltura  italiana  non  si  lascierà  perire  quella 
ormai  secolare  istituzione  il  cui  nome  fu,  è,  e  potrebbe  essere  ancora 
in  avvenire  segnacolo  e  vessillo  allo  storico  primato  dell'Italia  nostra 
nella  divina  arte  dei  suoni. 

Nicola  Tabanelu. 


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ilECEIìSIOIlI 


Storia. 

A.  CAMBITI,  BtiUni  •  Bama.  Bravi  appasti  ttorid.  —  Bom*,  1900.  Tip.  dtiU  Ptod. 

<  L'Accademia  di  Santa  Cecilia  — -  solennemente  festeggiando  — 
«  la  custodia  degli  autografi  —  della  Norma  e  della  Beatrice  di 
«  Tenda  —  affidatale  —  dal  Ministero  della  Istruzione  —  degno 
«  preludio  —  alle  centenarie  onoranze  —  a  -  Vincenzo  Bellini  — - 
€  questi  cenni  storici  —  Alberto  Gametti  —  offre  ». 

Ck>sl  dice  Tepigrafe.  L'opuscolo  dà  —  raccolte  dai  documenti  con- 
temporanei —  compendiose  notizie  intomo  alle  prime  rappresenta- 
zioni delle  opere  belliniane  ne'  teatri  di  Roma,  in  quest'ordine  :  H 
Pirata  —  gennaio  1829  (all'*  Argentina  >);  La  Straniera  —  feb- 
braio 1832  (all' <  Apollo  >);  I  Caputeti  e  i  Montecchi  —  febbraio  1833 
(all' <  Apollo»);  La  Sonnanibuta  —ottobre  1833  (al  <  Valle»); 
Norma  —  gennaio  1834  (all' «Apollo»);  1  Puritani  —  febbraio 
1830  (all'  «  Apollo  »)  ;  Beatrice  di  Tenda  —  gennaio  1837  (all'  «  A- 
pollo  »). 

«  Nel  breve  giro  di  otto  anni  »  —  conchiude  l'autore  —  «  tutte 
«le  opere  di  Bellini  furono  rappresentate  su  i  teatri  romani,  ec- 
«  catto  due  :  Y Adelson  e  Salvini  e  la  Zaira.  Ma  V Adelson  e  Sai- 
4.  vini  non  si  poteva  considerare  come  lavoro  destinato  a  valicare 
«  le  porte  dei  Conservatorio  napoletano.  La  Zaira,  male  accolta  — 
«  e  forse  a  torto  —  sul  teatro  di  Parma,  fini  i  suoi  giorni  innanzi 

<  sera,  e  la  musica  di  questo  spartito  passò,  in  parte,  nei  Capuleti 

<  e  Montecchi,  Delle  nove  opere  di  quel  grande  è  meraviglioso  con- 
«  statare  come  pei  Puritani,  per  la  Norma,  per  la  Sonnambula, 
«  tuttora  accolte  con  sincero  gradimento,  non  sia  prossima  l'ora  in 
«  cui  saranno  escluse  dal  repertorio  dei  nostri  teatri  :  è  un  terzo, 

<  appunto,  delia  produzione  del  Bellini  :  di  quanti  compositori  del 
«  suo  tempo  si  può  dire  che  altrettanta  parte  sia  sopravvissuta  delle 
«  opere  loro?  ».  R.  G. 


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214  RBGBNSIONI 

BIOVANKI  OAKEVAZZI,  Papa  demente  IX  poeta  (OiaUo  SotpIgUod.  -  Sec.  XYII). 
—  Ifo^en»,  1900.  Porghleri  e  Pellequì. 

Del  nostro  stupendo  seicento*  musicale  italico  rimane  tanta  e  ^ 
viva  e  si  geniale  traccia,  che  ogni  guai  volta  io  veggo  il  ricerca- 
tore studioso  occuparsene  con  amore,  sento  più  forte  la  fede  nel 
rinascimento,  nella  riscossa  a  cui  s*avvia  Tarte  dei  suoni  nel  nostro 
paese.  Cosi,  leggendo  1*  interessante  volume  del  D'  Giovanni  Cane- 
vazzi,  penso  quale  prezioso  contributo  potrebbe  attendersi  agli  studi 
nostri  dalla  operosità  unita  de*  letterati  e  de*  musicisti,  quando  fra 
\ojro  potesse  esservi  un  punto  di  intesa  e  gli  uni  non  isdegnassero, 
come  oggi  succede,  occuparsi  di  ciò  di  cui  si  occupan  gli  altri. 

Ben  venga  dunque,  come  segno  di  futura  alleanza,  questa  pub- 
blicazione. Essa  ci  fa  conoscere  intimamente  la  natura  del  dramma 
per  musica  del  secolo  XVII,  mediante  una  serie  di  componimenti 
drammatici  di  Giulio  Rospigliosi,  che  fu  poi  Papa  Clemente  IX,  ce 
ne  descrive  le  scene  e  ce  ne  commenta,  riproducendoli,  degli  squarci 
importanti.  —  Quanti  dei  libretti  d*opera  che  veggon  la  luce  oggidì 
potranno  essere  ricordati  con  onore,  dopo  duecentocinquant*anni, 
ancor  come  semplice  lavoro  letterario?  —  E  poiché  non  furono 
mica  musicisti  da  strapazzo,  ma  valenti  maestri,  coloro  che  quegli 
antichi  drammi  vestirono  di  note,  quali  un  Landi,'  un  Mazzòcchi 
(Virgilio),  un  Marazzoli,  un  Rossi,  un  Abbatini,  e  qualcuna  delle 
loro  partiture  ancora  ci  rimane,  cosi  può  lo  studio  del  Canevazzì 
essere  un  prezioso  ausilio  anche  al  musicista,  affinchè  egli  completi 
i  suoi  studi  ani  melodrammi  del  '600,  i  quali  gli  riveleranno  modi, 
forme,  idee  affini  coU'arte  nuova.  Che  da  quel  secolo  di  entusiasmi 
fecondi  e  durevoli  per  una  forma  d'arte  —  V  opera,  che  ebbe  ad 
affascinare  ed  afTascina  tuttavia  più  di  qualunque  altra,  il  pubblico 
d'Italia,  parti  l'impulso  il  più  energico  verso  nuovi  fatti.  Che  la 
musica  nel  '600  entra  un  secolo  più  tardi  delle  altre  arti  nel  mo- 
vimento della  Rinascenza,  ma  vi  entra  con  una  forza  ben  superiore 
di  molto,  con  islancio  e  con  profusione  di  genio  incomparabilmente 
maggiore.  Che  non  sapremmo  come  meglio  dichiarare  la  fortuna 
delle  nuove  idee  e^  spiegarne  il  successo,  se  non  riferendo  l' una  e 
l'altro  alla  mossa,  alla  forte  spinta  di  verità  e  sublimità  artistica  che 
Qbbero  nel  secolo  del  Monteverdi  e  del  Caccini,  senza  l'opera  dei 
quali  noi  non  potremmo  opporre  al  Gluck  e  al  Wagner  la  paternità 
delle  loro  potenti  riforme. 

n  Canevazzi  ha  composto  un  libro  facile  e  dilettevole.  L'epoca 
che  precede  Vopera  ha  in  lui  un  conoscitore  diligente.  Se  egli  avesse 
dato  maggior  vita  specialmente  a  questa  parte  preparatoria  del  sog- 
getto che  aveva  tra  le  mani,  anche  il  musicista   ardente  potrebbe 


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RBGSNSIONI  215 

inspirarvisi.  Cosi  egli  vi  troverà  la  sintesi  di  un  movimento  mira- 
bile nella  storia  del  melodramma  e  degli  ammaestramenti  per  l'av- 
venire. Questo  ò  certo,  ed  è  sincero  Taugurio.  L.  Th. 

MABIjÉ.  arOBNl  TREVISAN,  Nei  pHmo  MtifMorlo  di  nometUeo  Cimmrota.  — 
YmMU,  1001.  SiMC.  M.  FonUna. 

Il  centenario  della  morte  di  Gimarosa  ha  offerto  occasione  a  vari 
scrittori  di  ricordare  il  grande  maestro  che  profuse  Tinesauribile 
originalità  del  suo  estro  comico  in  tanti  capolavori.  Siamo  lieti  di 
mettere  in  rilievo  il  fatto,  colFaugurio  che  i  musicisti  italiani,  nella 
desolante  incertezza  del  momento,  vorranno  fissare  la  loro  atten- 
zione sul  geniale  compositore,  in  cui  rifulsero  in  tutto  il  loro  splen- 
dore le  tradizioni  della  nostra  scuola. 

Tra  le  pubblicazioni  in  argomento,  abbiamo  letto  con  piacere 
anche  Topuscolo  della  signora  Storni  Trevisan.  Vi  è  riferito,  dalle 
migliori  fonti,  ciò  che  si  conosce  circa  la  vita  del  Gimarosa  ed  il 
brillante  successo  che  ottennero  le  *opere  di  lui  sulle  scene  d'Italia 
e  di  oltre  alpe,  con  qualche  rettifica  delle  inesattezze  in  cui  cad- 
dero alcuni  autori  prima  che  apparisse  la  nuova  edizione  del  Fio- 
rimo  sulla  scuola  napoletana  (1882). 

Troviamo  però  deficiente  la  parte  critica,  sicché  la  figura  del 
musicista  non  spicca  in  quella  grandezza  che  gli  riconobbero  anche 
gli  stranieri,  meno  propensi  a  gradire  le  produzioni  dell'arte  ita- 
liana. O.  G. 

B.  GIOVANNI  SEMBm A,  La  mu^Ua  degli  Ebrei,   Coaferansa  oon  introdasìone  dtl 
P.  Al6«andro  Ohignoni.  —  Pnto,  1900.  TipognlU  inecesaorì  Vettri. 

L'introduzione,  piuttosto  che  disporre  all'argomento,  è  rivolta  a 
ricordare  le  vicende  fortunose  e  Tinsuccesso  finale  di  una  Società 
istituita  a  Genova  allo  scopo  di  aiutare  la  riforma  della  musica 
sacra.  Vi  si  ammira  il  tono  gaio  dello  scrittore. 

Nella  conferenza  il  P.  Giovanni  Semeria  ha  raccolto  le  scarse  ed 
incomplete  notizie  giunte  fino  a  noi  sulla  musica  degli  Ebrei,  per 
trarne  qualche  induzione  sul  carattere  che  Tarte  dei  suoni  aveva 
assunto  presso  questo  popolo  sotto  Pinfiuenza  di  un  sentimento  re- 
ligioso predominante. 

Elgli  dice  che  è  difficile  formarci  oggi  un  concetto  di  quello  che 
fosse  presso  gli  Ebrei  la  musica  vocale;  ma  che  ce  ne  può  dare 
un'idea  Todierno  canto  orientale.  €  Questo  è  povero  ;  non  solo  manca 
«  dì  armonici  accordi,  ma  s'intreccia  dei  motivi  melodici  i  più  sem- 
«  plici  e  monotoni  che  si  possa  immaginare.  Ma  nella  semplicità 
4L  e  povertà  sua  mantiene  qualche  cosa  di  grave,  di  patetico,  si  di- 
<  rebbe  Tespressione  di  una  sofierta  tristezza:   almeno  a   noi  nel 


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216  RBGBNaiONI 

€  sentirla  vien  voglia  di  piangere.  Con  ciò  esso  riesce  nataralmente 
<  sacro  ». 

Più  esauriente  è  la  illustrazione  che  Fautore»  colia  scorta  dei 
Padri  della  Chiesa  e  di  Giuseppe  Flavio,  presenta  degli  stromenti 
in  uso  presso  gli  Ebrei.  Si  riferisce  dunque  ad  un*epoca  abbastanza 
recente,  mentre  per  i  tempi  antichi  restiamo  sempre  alle  supposi- 
zioni. 

L*autore  conclude  bene  augurando  per  la  riforma  della  nostra 
musica  sacra,  a  cui  dobbiamo  arrivare  per  vigore  di  riflessione  e 
di  buona  volontà,  quando  invece  gli  Ebrei  non  traviarono  nella 
espressione  deirarte  loro,  essendo  guidati  dalla  spontaneità  del- 
Tistinto  e  della  devozione  religiosa.  '     0.  G. 

MIOHXL  BBENBT,  JLes  dmù^rU  en  Bramoe  •oub  VanHtim  regime.  —  Pftris,  1900. 
LlbniiM  Fifl^lMtlier. 

L*origine  dei  concerti  si  scorge  in  Francia  nel  secolo  XVI  quando 
per  colmare  il  vuoto  fra  le  esecuzioni  religiose  o  profane  delle 
corti  cui  conveniva  un  pubblico  limitato  e  i  concerti  alPaperto, 
divenne  necessaria  un'istituzione  nuova  che  avvicinasse  direttamente 
gli  artisti  e  i  filarmonici.  Celebre  fu  il  Concorso  o  Puy  d*Bvreux, 
una  festa  annua  con  due  concerti,  cui  partecipavano  i  fanciulli  del 
coro  della  cattedrale  di  Evreux  e  gli  artisti  chiamativi  come  giu- 
dici 0  concorrenti;  s*ebbero  pure  puys  a  Lione,  a  Rouen,  a  Caen  ; 
vi  si  eseguivano  composizioni  sacre  e  profane. 

A  Parigi,  verso  Tultimo  quarto  del  secolo  le  sedute  dell* Accademia 
di  Baif  si  possono  considerare  come  la  culla  della  futura  Académie 
franQaise  e  dei  concerti  a  Parigi.  Il  momento  storico  più  impor- 
tante è  la  creazione  del  Conceri  spiriiuel  nel  1725  dovuta  ad 
Anne-Danican  Philidor.  M.  Brenet  ci  dà  del  Concert  spiriiuel  una 
storia  diligente:  nel  1758  Mondoville  introduce  il  genere  deirora- 
torio  ;  e  pure  intorno  a  quel  tempo  s'aggiunse  il  concerto  d'organo; 
nel  1768  fa  la  sua  apparizione  il  clavicembalo  forte-piano,  senza 
però  che  il  pubblico  vi  dia  importanza.  L'arte  italiana  ed  i  virtuosi 
italiani  ebbero  parte  rilevante  nella  vita  musicale  di  Parigi. 

I  lettori  della  Rivista  han  già  apprezzato  la  cura  e  l'erudizione 
che  l'egregio  scrlttor  francese  dimostra  nelle  sue  ricerche  storiche; 
dirò  solo  che  il  libro  riesce  non  solo  istruttivo  ma  anche  dilettevole. 

A.  E. 

BVaTAY  HÒ€KEB,  Dos  grasse  J>reÌge9Hm  JTay*»,  Motmrt,  Beethoven.  —  OlogAS. 

Cari  Fltmmiiif ,  V«rl«g. 

Sviluppare  la  cronaca  che  riflette  l'esistenza  dei  grandi  artisti 
ha,  se  non  altro,  il  merito  di  renderli  sempre  più  popolari.  L'au- 


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RBCSNSXONI  217 

tore  di  questo  libro  ha  impreso  un  simile  compito,  e  sulla  vita  dei 
tre  grandi  musicisti  tedeschi  ha  steso  narrazioni  intessute  di  aned- 
doti e  circostanze,  che  li  fanno  meglio  conoscere  come  uomini  e  pur 
li  lasciano  comprendere  come  artisti,  ma  al  circolo  dei  profani, 
però,  e  degli  amatori  di  novelle.  Il  fine  dello  scrittore  è,  come  si 
vede,  molto  modesto.  Egli  vi  si  adopera  con  ogni  buona  volontà  e 
racconta  bene.  Sul  soggetto  de*  suoi  racconti  egli  ricama  sa  Dio 
quali  aggiunte,  quali  brillanti  fioriture,  forse  tutto  un  firmamento 
dì  stelle  minori  intorno  ai  tre  massimi  corpi  celesti.  Però,  se  nulla 
è  fuor  di  posto  e  i  calcoli  astronomici  sono  esatti  —  come  per  lo 
meno  saranno  per  certi  lettori  cortesi  —  il  libro  avrà  raggiunto  il 
suo  scopo.  Ed  io  mi  confesso  soggiogato  da  questa  semplicità  e  spon- 
taneità del  narrare.  Fa  tanto  piacere  nella  vita  dimenticare  di  es- 
sere un  uomo  d*arte  e  di  scuola  per  passare  al  posto  di  chi  può. 
ancora  trarre  qualche  diletto  dalla  lettura  di  un  libro  scritto  con 
passione  e  vocazione.  Tale  è  il  volume  deirHòcker  e  tali  le  mie 
brevi  ore  di  vita  come  profano.  Ritorniamo  fra  i  dotti.         L.  Th. 

CABL  KBBBS,  JHtt0r»dorfiana.  —  Berlin,  1900.  Verlag  tod  Gebrttder  Paetel. 

Se  questo  libro  non  contenesse  altro  che  la  parte  che  ora  è  di- 
ventata centrale,  cioè  un  catalogo,  oggi  il  più  completo,  delle  opere 
di  Carlo* Di tters  von  Dittersdorf,  egli  sarebbe  già  per  questo  una 
pubblicazione  utilissima,  perchè  atta  a  porre  la  figura  di  un  famoso 
compositore  tedesco  del  sec.  XVIII  in  ben  più  nitida  luce  di  quel 
che  sia  avvenuto  fin  qui.  Ma  TA.  ha  voluto  far  precedere  11  cata- 
logo, che  è  illustrato  da  esempi  musicali  e  commentato  con  pas- 
sione ed  interesse,  da  una  biografia  del  Ditters  e  da  un  breve  studio 
intorno  alle  sue  opere,  e  ciò  fa  del  presente  volume  una  mopo- 
grafla  veramente  commendevole  sotto  il  doppio  aspetto  storico  e 
bibliografico.  Noi  conosciamo  per  essa  il  titolo  e,  in  certo  modo, 
rimportanza  del  contenuto  di  parecchie  opere,  specialmente  sinfo- 
niche e  istrumentali  del  Dìtters  che  non  ci  erano  note,  e  pur  da 
qualche  suo  scritto  e  da  talune  memorie  apprendiamo  nuove  par- 
ticolarità del  suo  talento,  nuovi  dati  della  sua  vita. 

Il  volume  si  chiude  con  una  rimarchevole  analisi  delle  dodici 
sinfonie  sulle  Metamorfosi  di  Ovidio,  scritta  in  francese  dal  pre- 
vosto J.  T.  Hermes  di  Breslavia  nel  1786.  L.  Th. 

SUJfOLFJB  eBNÉB,  MiUh9Uung«n  fftr  die  Magari- €femeinde  in  Berlin,  ZehotM 
B«ft.  Oktober  1900.  -~  Berlin,  1900.  E.  S.  Mittler  nnd  Solui. 

Questo  fascicolo,  il  decimo  deiranno  1900,  specialmente  si  di- 
stingue per  un  interessante  studio  sopra  un  quartetto  ed  un  terzetto 
scritti  dal  Mozart  per  T  opera  La  Villanella  rapila  del  Bianchi 


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218  .  .         RECENSIONI 

(1785).  Seguono  uno  schizzo  biografico  di  Emanuele  Schikaneder, 
il  librettista  del  Flauto  màgico,  ed  alcune  nuove  notizie  del  prof.  Bi- 
schoflT  di  Graz  sul  suicidio  del  cancelliere  Franz  Hofderael,  che  si 
diceva  avesse  tentato  di  uccidere  sua  moglie  per  gelosia  di  Mozart, 
del  quale  essa  era  scolara.  L.  Th. 

J>r.  BICHABD  VOK  KMAJLIK,  AJUgrieehiBCh^  3fu9Ìk.  Theorie,  0«Mhiehte  imd  stmm- 
tUche  D«BkiDiIer.  —  Stattgurt  and  Wien.  J.  Both^sehe  YerUgebuidloiig. 

In  linea  teorica,  quel  che  TA.  ci  dice  intorno  alla  musica  degli 
antichi  Greci  è  cosa  nota.  Egli  ha  ordinato  in  guisa  sintetica  delle 
nozioni  storiche  ed  elementari  sulla  teoria  musicale  antica,  chiudendo 
Qon  un  prospetto  cronologico  che  ne  dimostra  lo  sviluppo  pratico. 
È  la  miglior  parte  dello  scritto.  Ma  per  ciò  che  riguarda  Tesposi- 
zione  grafica  degli  inni  greci,  TA.  ha  voluto,  ha  creduto  di  espli- 
carne il  senso  musicale  con  un'armonizzazione  poco  o  nulla  con- 
sentanea col  concetto  delKantica  pratica.  Io  non  so  perchè  questi 
volgarizzatori^  questi  rcspigoiatori  deirinnica  antica  vogliono  co- 
stringere il  senso  delle  melodie  tramandate,  in  modo  che  esse  acqui- 
stino un  valore  relativamente  a  noi  moderni,  e  piuttosto  non  le 
lascino  nello  stato  della  loro  assoluta  semplicità  tipica.  Come  una 
armonia  ed  un-istrumentazione,  nel  senso  nostro,  fu  sconosciuta  ai 
Greci,  così  la  sovrapposizione  della  pratica  moderna  al  concetto, 
alla  teoria  antica,  diventa  arbitraria,  un  mero  non  senso.  Nessuno 
conosce  il  sentimento  recondito  primitivo  insito  in  una  linea  di  me- 
lodia greca  ;  se  noi  vi  applichiamo  il  risultato  di  cognizioni  che  né 
anche  il  medio  evo,  né  anche  la  Rinascenza  praticavano,  possiamo 
star  sicuri  che  la  nostra  opera  é  caratterizzata  collo  stigmate  del 
più  crasso  dilettantismo.  L.  Th. 

ARNOLD  aCHEBING,  Baeh's  TextbehantUung.  Ein  Beitrag  som  VerattndniM  Joh.  Seb. 
Bach'scher  Yokal-SchOpAingen.  —  Leipzig,  1900.  C.  F.  K&nt  Naclifoigtr. 

Uno  studio  critico  ben  fatto  e  piacevolissimo.  Un  po'  troppo  as- 
soluto parmi  il  giudizio  dell' A.  suir  eliminazione  della  personalità 
nella  musica  polifonica  del  *500.  Ma  che  non  porta  forse  il  sigillo 
d^l  sentimento  personale  e  della  libertà  di  concetto  un  madrigale 
del  Marenzio,  una  canzone  di  Orazio  Vecchi  o  un  mottetto  del  Pa- 
lestrina?  Del  resto  Telémento  della  personalità  drammatica  è  tanto 
più  sensibile  nella  musica  polifonica  se  sì  vegga  ciò  che  appare 
sulla  soglia  del  sec.  XVII  in  fatto  di  commedie,  pastorali,  giuochi, 
rappresentazioni  a  più  voci,  o  in  fatto  di  madrigali  e  di  canzoni,  in 
cui  le  voci  si  alternano,  riposano  più  spesso,  si  rispondono  o  cedono 
runa  all'altra  la  melodia,  e  fino  interi  brani  a  due  voci  si  insinuano 
ripetuta rQen te  in  composizioni  a  cinque  e  più  voci. 


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REGBNSIONI  219 

Ma  tralasciamo  ciò  :  il  sig.  Schering  aveva  forse  bisogno  dì  un 
argomento  di  eflTetto  da  contrapporre  all'opera  del  Bach,  e  per  get- 
tarvi sopra  maggior  luce  ha  sacrificato  un  pò*  la  verità  della  storia. 
Dopo  tutto,  considerando  il  Bach  come  compositore  di  musica  sacra, 
la.  maggior  forza  della  personalità  drammatica  al  posto  dell'elemento 
collettivo  entra,  è  giusto,  per  moltissimo  nella  sua  opera  nuova  di 
vita  e  di  forme. 

É  dunque  precisamente  in  questo  campo 'della  musica  vocale  che 
81  svolgono  le  considerazioni  del  Schering.  Bach  vi  porta,  vi  crea 
la  vera,  la  perfetta  espressione.  E  TA.  lo  prova  identificando  l'opera 
del  Bach  con  la  essenza,  con  la  parola  del  Protestantesimo.  E  vede 
il  titano  della  nuova  musica  in  mezzo  alla  sua  epoca,  chiuso  quasi 
Della  contemplazione  dei  fatti  biblici,  coi  quali  la  sua  arte  ò  indi- 
visìbilmente congiunta;  lo  vede  assorbire  tutta  la  loro  verità  di 
espressione,  e  nell'arte  dei  suoni  tutta  trasfonderla  e  colla  soggettiva 
espansione  dell' ar/ia  o  coir  oggettiva  riflessione  del  corale,  E  qui 
come  anche,  nella  parte  simbolica  assegnata  dal  Bach  alla  specie 
delle  voci,  il  Schering  ha  campo  di  difibndersi  in  molte  e  giuste 
osservaziopi,  cui  non  manca  la  scorta  di  qualche  esempio  musicale 
persuasivo.  L.  Th. 

Critica. 

A.  JPXDOF^jr,  I  figli  delia  gloria.  —  Milano.  1901.  U.  HoepU  editora.  —  L.  4. 

I  figli  della  gloria  sono  «  le  creature  sovrane  »  di  cui  il  Padovan 
discorse  altra  volta  (1):  il  poeta,  il  musicista,  l'artista,  il  filosofo, 
lo  scienziato,  l'esploratore,  il  guerriero,  .il  profeta.  Del  musicista 
Fautore  parla  nel  capitolo  secondo.  «  Chi  coltiva  musica  »  —  cosi 
egli  —  «  non  può  essere  un'anima  volgare,  chi  compone  musica  non 
«  può  essere  malvagio.  Quando  l'onda  della  melodia  c'investe  flut- 
<  tuando,  essa  dissipa  ogni  pensiero  volgale  e  ci  conforta  e  ci 
«  esalta  finché  ci  abbandoniamo  fiduciosi  al  suo  invito  come  a  una 
«  lusinga  d'amore  ».  V'è  qualche  cosa,  in  queste  parole,  del  lirico 
entusiasmo  del  dolce  stil  novo: 

<  Faggon  dinanzi  a  lei  snperbìa  ed  ira. 
«  Ogni  dolcezza,  ogni  pensiero  nmìle 

<  nasce  nel  core  a  chi  parlar  la  sente...  » 


(1)  U.  Hoepli,  Milano  1898:  Le  creature  sovrane.  Ne  fa  fatta  la  recensione 
nel  £udcolo  1«  dell'anno  Y  di  qnesta  Bivista, 


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220  aECXNSiONi 

con  quel  che  segue.  «  Coltiviamo  musica  »  —  soggiunge  il  Padovan 

—  «  se  vogliamo  esser  buoni,  coltiviamo  musica  se  vogliamo  nutrire 
«  la  nostra  mente  di  alti  pensieri,  lo  ti  invito  a  coltivar  musica,  o 
€  lettore,  se  vuoi  formarti  una  convinzione  salda  e  non  remo- 
«  vibile  suUa  tua  vita  futura.  Ascolta  musica,  abbandonati  senza 
€  perplessità  ma  con  grande  fiducia  alle  malie  di  questa  sirena  : 
€  essa  non  ti  condurrà  a  perdizione,  ma  simile  ad  un  faro  ti  in- 
<  dicherà  la  via  per  giungere  al  porto  ».  E  questo  è  del  petrar- 
chismo : 

e  Tale  è  la  vista  che  a  ben  far  tlndace 
<  e  che  ti  scorge  al  glorioso  fine  ;  » 

ma  d*un  petrarchismo  —  come  dire?  — stemperato  nelFacqua  santa 
della  Scrittura  :  €  laudate  Dominum  in  cymbalis  bene  sonantibus...  ». 
Fuor  di  scherzo,  Adolfo  Padovan  à  intorno  alla  musica  nobilis^ 
simi  pensieri;  e  dell'opera  in  ispecie  di  Ludovico  van  Beethoven 
discorre  con  intelletto  di  critico  dotto  e  sagace.  Se  bene  non  tutti, 
credo,  gli  consentiranno  in  certe  interpretazioni.  Quella,  segnata- 
mente, ch*ei  propone  della  nona  sinfonia  è  tale  —  a  mio  parere 

—  da  lasciar  perplessi  anche  i  più  creduli.  Che  in  fatti  il  secondo 
tempo  —  lo  scherzo  —  di  questa  grandissima  tra  le  opere  beetho- 
veniane  ricordi  propriamente  €  quella  parte  della  specie  umana 
«  che  si  contenta  di  ciò  che  ha  e  gode  senza  pensare  al  poi  »  mi 
par  dubbio;  che  il  terzo  tempo  —  Vadagio  —  rappresenti  a  dirit- 
tura «  il  mistico  nirvana  di  Budda  »  mi  sembra,  a  dir  poco,  di- 
scutibile; che  il  finale  poi  sia  €  la  pagina  più  potente  di  tutta  la 
«sinfonia»,  anzi  meglio  «  lo  sforzo  più  prodigioso  di  quel  genio 
€  sovrano  »  giurerei  ch'ò  falso. 

Ma  forse  io  ò  torto.  Anzi  ò  torto  di  certo;  perchè,  non  avendo 
nella  vita  futura  una  fede  né  «  salda  »  né  «  irt^emovibile  »  (tut- 
t*altro,  anzi),  è  da  inferirsene,  secondo  i  principi  della  nova  etica 
padovaniana,  che  io  non  ò  coltivato  musica  a  bastanza.  Non  è  vero? 

R.  G. 

J^.  J>B  SIMONE  BROITWBR,  Uon  Saverio,  —  NapoU,  1900.   Libreria  Detken  •  Bochol. 
—  L.  0,60. 

Son  noti  i  riscontri  e  le  attinenze  che  la  commedia  napolitana 
offre  al  melodramma  giocoso.  Il  De  Simone  Brouwer  studia  un  dei 
tipi  più  singolari  di  questa  commedia  —  don  Saverio  —  che  Fran- 
cesco Cerlone,  il  Goldoni  del  mezzogiorno,  introdusse  in  alcuni  dei 
suoi  più  celebrati  lavori.  Diligente  ricerca,  e  allettevole  semplicità 
di  stile.  R.  G. 


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RECSHBIONI  221 

ATMAn  JOB  NE88IBT,  Bobmré  Sehutnanm,  -~  Fwrit,  1900.  Ubniria  FiiekfaMher. 

L*autore  stesso  confessa  d'aver  scritto  un  panegirico  anziché  uno 
studio  critico.  In  realtà  li  panegirico  giunge  un  pò*  tardi,  poichò  da 
nessuno  si  mette  in  dubbio  la  genialità  di  Scbumann;  quando  TA. 
studia  il  grande  musicista  nel  movimento  musicale  del  secolo  si 
lascia  sfuggire  giudizi  troppo  alla  lesta  e  che  credo  inutile  presen- 
tare al  lettore.  Nulla  di  più  nocivo  al  pubblico  dei  dilettanti  quanto 
il  dilettantismo  della  critica. 

Il  volume  contiene  pure  i  Con^^^// a/ ^iòi;an/ mu^/cte^  nella  tra- 
duzione francese  di  Fr.  Liszt.  A.  B. 

I/au»rtu*e  du  eirgue  dfétè.  Gatyon,  i'audMonf  —  Paris,  1001.  H.  Slmonli  Enpis  édltear. 
-  L.  8,50. 

È  una  cronaca  delle  rappresentazioni  musicali  in  Parigi  dal  gen- 
naio del  1899  al  febbraio  del  1900:  per  lo  più  arida,  tutta  ingombra 
di  nomi  e  di  date,  a  pena  qua  e  colà  interzata  di  giudizi  rapidi 
risentiti  recisi.  Pure,  nella  ricercata  brevità  sentenziosa,  certa  acu- 
tezza di  critica  non  manca.  Eccone  qualche  esempio,  intorno  a 
cose  dell'arte  nostra.  Su  la  <  Bohème  »  di  Giacomo  Puccini:  «  Juxta- 
€  position  de  motifs  parcellaires  dénués  de  tonte  cohésion  ;  parti 
€  pris  de  bel  canto  naivement  insoucieux  des  exigences  de  la  si- 
€  tuation;  orchestration  tape-à  roeil  brutalement  cuivrée  avec  des 
€  encombrements  de  harpes  prétentieuses;  absence  de  tout  pian 
€  tonai;  tohu-bohu  des  personnages,  des  instruments,  des  thèmes  ». 
Su  Lorenzo  Perosi:  «  Il  a  étudié  Palestrina,  Gabrieli,  Vittoria, 
cLassus;  il  vènere  Carissimi;  il  porte  au  chant  grégorien  uneaf- 
«  fection  qui  lui  vaut  la  reconnaissance  de  la  «  Schola  cantorum  »  ; 
€  il  ne  se  poisse  jamais  aux  fausses  religiosités  sirupeuses  où 
«s*englue  Massenet;  Il  ne  s'abandonne  pas  non  plus  aux  fougues 
4L  inconvenantes  d*un  Rossini,  dont  les  prétendus  airs  sacrés  semblent 
«  toujours  danser  le  cancan  devant  Tautel.  De  son  tempérament 
«  italien,  sévèrement  mate,  il  conserve  la  vitallté  nécessaire  pour 
<  animer  son  inspira tion  qui  s*appuie  sur  les  textes  saints:  ce 
«  n*est  point  le  Mascagni  de  bénitier  que  j*aurais  sifSé  de  si  bon 
«  coBur,  mais  plutdt  un  Boito  qui  aurait  beaucoup  travaillé  Bach  ». 
Su  la  musica  di  Ruggero  Leonca vallo:  cChez  lui  c*est  —  au  lieu 
41  de  Tatmosphère  musicale  que  le  Tondichter  du  Ring  s'entendait 
«  merveilleusement  à  créer  autour  de  son  drame  —  c*est  un  per- 
«  pétuel  papillotage  instrumentai  procédant  par  petites  touches  ré- 
«  pétées,  avec  une  fatigante  multiplicité  de  menus  soulignements 
«  orchestraux  qui,  loin  de  flxer  Tattention  de  Tauditeur,  la  dis- 
«  persent  le  plus  souvent.  Apparemment  le  compositeur  semble  ré- 
«  pudier  les  antiques  divisions  en  airs  distincts  et  renoncer  à  Tusage 


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232  RBCBNSIONT 

«  du  catalogue  des  morceaux  séparés  si  apprécié  de  Téditeur:  en 
«  fait,  à  suivre  l'oeuvre  attenti vement,  on  constate  vite  que  le  mode 
«  traditionnel  des  numéros  à  effet  reparaìt  à  chaque  acte,  pour  la 
«  plus  grande  joie  du  public.  Illusoire  aussi,  la  prétendue  utilisation 
«des  thèmes  signiflcatifs;  leur  juxtaposition  n'a  rien  de  commùn 
«  avec  le  système  logique,  et  si  fécond  en  resultata,  du  leitmotif 
€  wagnérien  : . . .  opera  vieux-jeu  avec  cabalettes  surannées,  chanson 
€  à  boire,  marche  militaire,  etc.  >.  R.  G. 

FBnj}iNANJ>  TFOELLn  Arthur  Niàki9ch  ab  ManBch  nnd  KfliiflUtr.  —  Leipsif .  Hamuuia 
Seemann  Naohfolger. 

Difficilmente,  in  un  rapido  schizzo  biografico,  si  poteva  meglio  de- 
lineare la  simpatica  figura  del  grande  direttore  d'orchestra.  Arturo 
Nickisch  è  una  tempra  d'artista  favorita  coi  doni  più  eccezionali. 
Nel  suo  squisito  ecclettismo  egli  conserva  una  distinzione  e  un  sen- 
timento personale  cHe  conquidono.  Chi  ricorda  il  Nickisch  giova- 
nissimo ancora,  quand'era  uno  dei  direttori  d'orchestra  al  teatro  di 
Lipsia  e  sostituiva  di  solito  il  Reinecke  ai  concerti  del  Oewandhaics; 
chi  ha  discusso  d'arte  con  lui  tra  una  partita  e  l'altra  alle  carte 
0  a  biliardo  nel  Wiener  Cafè  dove  ci  trovavamo  la  sera,  riconosce 
nei  cenni  del  Pfohl  un  ritratto  verissimo  dell'artista  e  dell'uomo. 
Lo  scrittore  lo  segue  nella  sua  vita  movimentata,  attraverso  le  città 
dell'Europa  e  dell'America  del  Nord,  dove  egli  lasciò  di  sé  un  nome 
che  non  sarà  si  presto  dimenticato.  Noi  che  del  plauso  portato  al 
Nickisch  sempre  ci  rallegrammo,  ci  compiacciiamo  ancora  che  una 
penna  facile  ed  attraente,  come  quella  del  Pfohl,  ci  abbia  ricordato 
l'uomo  e  l'artista  buoni  e  geniali  entrambi.  L.  Th. 

Estetica. 

JP.  2>J7  BOBBBTO,  I/Arte.  —  Torino,  1901.  FratoUi  Bocca  editori.  —  L.  2*50. 

Non  SO  se  l'imagine  risponda  al  vero  esattam*ente;  ma  cosi  è; 
tutte  le  volte  che  m'avvien  di  pensare  alla  collaborazione  del  mu- 
sicista e  del  poeta  nel  melodramma,  mi  ritornano  alla  memoria  i 
versi  notissimi: 

Or  dentro  ad  ona  gabbia 

fere  selvaggie  e  mansaete  greggie 

8*aDDÌdan  sì  che  sempre  il  miglior  geme. 

Il  migliore  —  colui  che  geme  —  ò,  naturalmente,  il  poeta.  Da 
ciò,  forse,  i  superbi  bstidi  e  le  bizze  dei  letterati  contro  «  l'arte 
sorella  ».  «  Quanto  alla  musica  »  —  scappò  detto  una  volta  al  Gar- 


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RECENSIONI  223 

dacci  (e  ai  versajoli  d'Italia  parve  arguzia)  —  «  la  lascio  sonare, 
€  non  mo  ne  intendo;  e,  piùsonan  forte/ più  mi  piace;  sono  te- 
«  desco  ».  Ed  ecco  qua  ora  un  dilicato  lirico  di  Francia,  il  sig.  Vii- 
torio  de  Laprade,  il  quale  vorrebbe  a  dirittura  che  non  sonassero, 
né  forte  nò  piano  ;  e,  poi  che  altro  non  può,  si  diletta  per  intanto  a 
dir  corna  della  musica  e  de*  musicisti  profondendo  in  due  volumi  le 
accuse  (1).  Metteva  proprio  conto  che  Federigo  de  Roberto  si  pro- 
ponesse il  compito  della  difesa  ?  Quella  ch'ei  fa,  in  ogni  modo,  nel 
capitolo  sesto  del  suo  recente  volume  su  Tarte,  ò  signorilmente 
spbrìa  e  acuta. 

<  I  cultori  di  musica  >  —  scrive  il  Laprade  —  «  sono  spesso  igno- 
«  rantl  di  ciò  che  non  riguarda  l'arte  loro:  anche  i  più  insigni  non 
€  possono  menomamente  paragonarsi,  per  la  potenza  intellettiva, 
4  per  l'estensione  dello  spirito,  per  Tuniversalità  delle  attitudini,  a 
«  un  Leonardo  o  a  u.n  Michelangelo  ».  E  il  de  Roberto  oppone  ì 
nomi  e  gli  esempi  di  Sant'Agostino  e  di  Boezio,  di  Ouido  d'Arezzo, 
di  Pier  Luigi  Sante  da  Palestriti,  di  Benedetto  Marcello,  e  —  se- 
gnatamente —  di  Riccardo  Wagner,  la  cui  opera  —  non  inferiore 
per  la  vastità  del  disegno  e  per  la  potenza  dell'espressione  alle 
grandissime  di  tutti  i  tempi  —  tradusse  in  sensibili  forme  le  più 
orìginali  concezioni  del  genio  fllosoflcp  tedesco  intorno  ai  destini 
dell'arte. 

La  musica  —  soggiunge  il  poeta  —  non  à  che  un'espressione  am- 
bigua, con  due  soli  caratteri  ben  definiti  :  la  gaiezza  e  la  tristezza. 
E  ribatte  il  critico:  Certo,  il  linguaggio  musicale  non  può  signifi- 
care le  idee,  i  pensieri,  i  ragionamenti,  le  operazioni  in  somma  del- 
l'intelletto: anzi  né  pur  può  significare,  in  ciò  ch'asse  anno  di 
proprio  e  distinto,  le  passioni.  Ma,  in  compenso,  i  profondi  turba- 
menti, le  secrete  agitazioni,  gli  intimi  fremiti  della  nostra  fibra  sen- 
sitiva, e  l'eccitazione  e  la  depressione  e  la  trepidazione  e  l'abban- 
dono e  lo  slancio,  che  la  parola  è  incapace  a  manifestare,  non  si 
rivelano  che  nella  musica;  la  quale,  sola  tra  tutte  le  arti,  esprime 
le  commozioni  direttamente,  e  con  una  potenza  a  cui  non  giunge 
alcon'altra. 

«  Il  suono  »  —  dice  ancora,  insistendo,  l'accusatore  —  «  parla  sol- 
«  tanto  al  senso,  non  alla  ragione:  la  musica  esercita  la  sua  azione 
«nel  campo  della  sensibilità  organica,  sul  sistema  nervoso:  questa 
«  azione  à  un  carattere  dt  necessità,  di  fatalità;  l'uditore  deve  sop- 


(1)  jSmow  de  eritique  idéaliste  —  e  OorUre  la  muBique.  Paris.  Didier. 


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224  RIGSNSIONI 

«  portarla  senza  poterla  discutere;  quindi  Tarte  che  produce  simili 
«  effetti  è  arte  inferiore  ».  E  di  rimando  il  de  Roberto:  Fosse  pure: 
che  valore  avrà  contro  la  musica  l'addurre  che  quesfarte  ha  un 
effetto  estetico  soltanto?  «  Non  si  potranno  rovesciare  i  termini  del- 
«  Targomentazìone  e  affermare  che  questa  è  Tarte  più  pura,  Tarte 
«  più  arte,  Tarte  per  eccellenza  ?  ».  Ed  è  anche  Tarte  più  moderna, 
la  più  veramente  nostra.  €  L'avvenimento  della  musica  ò  contem- 
€  poraneo  a  quello  delia  scienza;  quest'arte  non  che  decadere  con 
«  la  presente  civiltà,  è  oggi  al  culmine  della  potenza  ;  è,  per  anto- 
cnomasia,  l'arte  del  nostro  tempo.  Se  pure  in  tutte  le  altre  arti 
€  vi  fosse  vera  e  propria  decadenza,  e  non  già  trasformazione,  essa 
«  ci  resterebbe,  e  per  essa  potremmo  dire  che  l'arte  non  è  morta  ». 
Ed  ora,  che  replicheranno  i  poeti?  R.  G. 

G.  Jr.  aCALIireEB,  I»*99teHea  di  RnàMn.  —  NapoU,  1900.  Libnrift  Detken  •  BoclioU.  - 
L.  8. 

M' incresce  che  l'indole  della  nostra  Rivista  non  mi  conceda 
l'esame  di  questo  libro.  Debbo  contentarmi  a  consigliarne  la  let^ 
tura  agli  studiosi  d'estetica,  i  quali  vorranno  consentir  con  me  nel- 
l'ammirazione per  la  perspicuità  e  l'acutezza  con  cui  sono  dallo 
Scalinger  esposte  commentate  discusse  le  teoriche  d'arte  del  genial 
critico  inglese.  R.  G. 

A,  SCHVTZ,  Zur  AeHhetih  dér  Musih.  Du  W«mii  der  Muik  and  ihre  Betiehangen  cor 
gesfeinUm  Oelstesleben.  Fnr  Jflngw  and  Pnand*  der  Tookanik.  —  Stottgirt,  1900.  I.  B.  Meti- 
lanchsr  VerUg. 

Un  libro  sull'estetica  della  musica,  sia  pure  a  titolo  di  semplice 
contribuzione  generale,  non  può  esimersi  dallo  stabilire  dei  prin- 
cipi provati  sulla  natura  di  quest'arte,  dal  giudicare  in  modo  pro- 
prio e  razionale  i  rapporti  che  essa  contrae  colle  arti  sorelle  e  dal 
dimostrare  come  questi  principi  si  verifichino^  nel  caso  speciale  e 
insieme  ad  altre  circostanze  culturali  e  storiche,  generatori  di  con- 
tenuto e  forma  nell'opera  d'arte.  Il  raccogliere  delle  informazioni 
sull'uno  o  sull'altro  punto  questionabile  della  indagine  estetica  può 
essere  un'esperienza  utile  per  i  profani,  ma  difficilmente  avrà  forza 
persuasiva  né  altro  riescirà  che  un  insieme  slegato,  incapace  di 
segnare  una  qualsiasi  traccia  a  chi  studia.  Ora  io  non  nego  che 
nel  libro  dello  Schiìtz  siano  esposte  in  forma  comprensiva  e  &cile 
molte  nozioni  sull'estetica  della  musica.  Solo  io  non  le  veggo  de* 
sunte  da  un  principio  unitario  e  non  le  veggo  espandersi  e  rami- 
ficarsi e  raggiungere  la  pratica  del  fenomeno  dell'arte.  Non  vi  è  la 
spola  del  sistema  che  va  e  viene  riducendo  le  fila  del  pensiero 
scientifico  nella  trama  dell'opera  d'arte  finita  ;  ma  sono  osservazioni 
che  si  sbandano  e  talora  si  elidono.  Se  ciò  era  la  mente  istessa 


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EEGBNSIONI  225 

deiraatore,  io  non  gli  rinfaccerò  di  aver  fatto  opera  inutile,  ma 
casuale  certo  e  poco  feconda  di  bene. 

Che  a  formulare  il  piano  dello  Schùtz  abbia  presieduto  un  certo 
ordine,  non  è  dubbio.  In  alcune  questioni  principalissime  egli  anche 
vede  con  occhio  sicuro.  Per  es.,  che  nella  musica  modernissima,  nel 
movimento  attuale,  noi  assistiamo  al  fenomeno  contrario  della  spiri- 
tualizzazione, che  fu  la  grandezza  delKarte  nel  periodo  Mozart-Bee- 
thoven, è  vero.  Che  secondo  il  principio  del  puro  progresso  musicale, 
lo  stesso  Wagner  rimane  inferiore  al  Brahms  è  pure  vero:  cosi  in 
molte  deduzioni  sulla  natura  del  genio  musicale,  suir importanza 
del  bello  assoluto  nella  forma  e  su  molti  rapporti  della  musica  con 
fenomeni  affini  della  coltura  secolare,  le  osservazioni  dello  Schiitz 
sono  momentaneamente  giuste.  —  Ma  dove  ha  egli  stabilito  il  prin- 
cipio della  spiritualizzazione,  tanto  relativamente  al  fenomeno  as- 
soluto, isolato  deirarte,  quanto  alla  sua  manifestazione  storica?  Egli 
errerà  nell'uno  e  nel  fa  Uro  caso.  Poiché  egli  lascierà  mancare  to- 
talmente la  prova  del  primo,  e  pel  secondo  si  contenterà  di  addi- 
tare, come  punto  di  partenza  della  nuova  evoluzione,  il  periodo  di 
Beethoven,  dimenticando  che  l'arte  di  due  secoli  precedenti  era, 
colla  sua  lirica  e  col  suo  dramma  in  musica,  la  forma  più  potente 
nella  vita  dell'anima  italiana  e  che,  pur  nel  medesimo  tempo,  fin 
la  musica  istrumentale  di  questa  spiritualizzazione  era  piena.  — 
Ma  dove  ha  stabilito  egli  11  principio  della  forza  e  della  grandezza 
dell'arte  vista  nell'assolutismo  della  sua  indipendenza?  Il  concetto 
antico  non  è  questo.  Non  è  il  concetto  dell'età  di  mezzo,  né  quello 
della  moderna.  Ad  ogni  modo  egli  non  ha  provato  né  che  ciò  sia 
un  errore,  né  che  sia  una  verità:  il  resto  è  una  curiosità  storica 
tra  le  mani  dello  Schùtz,  mentre  potrebbe  essere  un  fenomeno  in- 
controvertibile di  un'evoluzione  necessaria,  cui  é  soggetto  lo  stesso 
principio  antico.  —  Ma  dove  ha  stabilito  egli  che  il  bello  formale 
offra  troppo  poco  allo  spirito  e  lo  possa  calmare  ma  non  interessare 
durevolmente?  Goethe,  Schiller  e  Wagner  provano  il  contrario.  Fu 
una  perfezione  dell'individuo,  una  perfezione  del  suo  senso  artistico 
che  spinse  questi  uomini  a  cercare  nel  bello  formale  il  modo  di 
estìnguere  la  sete  di  bellezza  che  era  stata  l'anima  della  loro  vita, 
e  nella  loro  opera  finale  é  alla  forma  che  essi  ritornano;  é  all'i- 
deale della  greca  classicità  che  essi  si  rivolgono  fidenti  come  in  una 
rigenerazione. 

Cori  io  dovrei  dire  di  parecchi  altri  punti  o  essenziali  o  di  det- 
taglio, che  nel  libro  dello  Schiitz  appariscono  annotati  come  cose 
risapute;  potavano  alcuni  essere  trascurati  appunto  per  ciò  ed  altri 
ricevere  ben  diversa  luce.  Che  il  libro  dello  Schiitz  serva,  in  guisa 

Ri9iiia  muticait  italiama,  Vm.  15 


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226  RECENSIONI 

informativa,  a  giovani  cultori  di  musica,  i  quali  dell'estetica  non 
facciano  uno  studio  speciale,  può  essere.  Ma  non  chiarirà  le  idee 
dominanti  oggidì  e  non  ne  arrecherà  di  nuove  e  molto  meno  di 
originali.  L.  Th. 

Opere  teoriche. 

MAX  IA>EWBNGABD,  Lehrbuch  der  Harmanie,  fUr  den  UfUerrUht  und  86Ìb§t' 
unterrieht.  -  Berlin,  1900.  Albert  Stahl. 

Ciò  che  Fautore  di  questo  trattato  si  è  proposto,  vale  a  dire  che 
nella  regola  antica  dell*  armonia  sia  compreso .  anche  il  risultato 
della  nuova  pratica,  e  che  ogni  innovazione  di  questa  non  debba 
intendersi  che  come  uno  sviluppo,  un  ampliamento  di  quella,  è  stata 
pur  Taspirazione  di  molti  teorici  moderni,  e  fra  quelli  che  più  riu- 
scirono in  questo  compito  difficile  e  delicato  io  nomino  Bvaristo 
Habert.  Ma  mi  è  grato  di  aggfunger  subito  che  pur  nel  presente 
modesto  trattatela  VA,  ha  con  ogni  diligenza  fissata  la  base  armo- 
nica generale  al  caso  isolato,  che  nella  musica  moderna  ha  rice- 
vuto tante  e  cosi  svariate  applicazioni  pratiche.  Queste  sono  con 
affetto  particolare  tenute  presenti  dairA.,  e  specialmente  nella  parte 
in  cui  egli  tratta  dei  cambiamenti  ornamentali  e  delle  alterazioni 
degli  accordi  moderni,  esse  ricevono  una  chiara  sanzione;  ciò  pre- 
cisamente che  è  oggetto  della  inquieta  domanda  di  chi  studia  e  si 
esercita  nel  vasto  campo  della  modulazione.         ^  L.  Th. 

Stramentasione. 

aAGLIA  ACHILLE,  Manuale  del  pianista.  —  Verona.  B.  CabUnea. 

È  un  volumetto  d*un  centinaio  di  pagine.  Non  ha  la  pretesa  d\ 
essere  una  storia  del  pianoforte;  è  però  una  compilazione  conte- 
nente le  notizie  principali  suirorigine  e  lo  sviluppo  del  nostro  istru- 
mento,  ed  i  cenni  più  importanti  dei  più  noti  clavicembalisti  e 
pianisti  dal  1500  ai  nostri  giorni. 

Data  la  piccola  mole  del  manuale,  Fautore  non  può  fare  troppi 
commenti  sugli  artisti  e  i  libri  menzionati  ;  e,  nel  dare  giudìzi  su 
di  essi,  cita  quasi  sempre  critiche  tolte  dà  altri  autori,  cosicché  il 
suo  Javoro  ha  carattere  di  compilazione. 

In  complesso  questo  manuale  merita  d*essere  consigliato  agli  stu- 
denti di  pianoforte  pei  quali  esso  fu  scritto,  ed  ai  quali  certamente 
riusciranno  utili  le  notizie  e  cognizioni  in  esso  contenute  ed  esposte 
con  ordine  e  chiarezza.  B.  M. 


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RECEN8IOM  227 

C  WITTING,  Oeschichte  de»  VioUntpMs.  —  Kóìn  a/&h.-Leipzig.  H.  vom  Ende's  Yerlag. 

La  letteratura  del  violino  essendosi  oggi  enormemente  arricchita 
e  fotta  varia  e  complessa,  esige  che  anche -lo  studio  di  questo  istru- 
mento  venga  trattato  in  modo  diverso  da  quel  che  è  seguito  fin  qui, 
e  airerapirismò  de'  soliti  maestri  bisogna  che  si  sostituisca  un  pro- 
cedimento» che  ha  le  sue  basi  sulla  storia  della  tecnica  e  de*  diffe- 
renti stili.  Solo  allora  si  avrà  il  vero  artista,  mentre  oggi,  fatte  due 
0  tre  rarissime  eccezioni,  si  ha  appena  V  esecutore.  É  dunque  un 
buon  segno  che  il  criterio,  al  quale  ho  accennato,  sì  faccia  strada: 
esso  è  chiamatola  invadere  ogni  campo  della  cultura  musicale  e  ad 
instaurare  la  coscienza,  il  valore  dell'opera  d'arte  di  tutte  le  epoche. 

A  questo  concetto  risponde  il  libro  del  Wittin?,  nel  quale  il  let- 
tore troverà,  oltre  T  esplicazione  delle  forme  da  Gorelli  a  Spohr  e 
Paganini,  un'infinità  di  dettagli  sui  modi  di  esecuzione  e  sulla  tecnica 
dell'arco.  Dettagli  di  tecnica  superiore,  s'intende,  poiché  qui  si  è 
nel  campo  dell'interpretazione  di  stile. 

Questo  libro  ha  la  sua  base  nelVapprofondito  studio  dei  nostri 
classici  italiani,  e,  mediante  una  quantità  di  buoni  esempi,  esso  di- 
mostra da  che  dipenda,  nelle  diverse  epoche  e  scuole,  l'impiego 
dei  mezzi  di  -espressione  e  dove  mirino  la  tecnica  e  la  dinamica 
quando  siano  basate  su  principii  estetici,  non  come  volgarmente 
s'intendono  oggi  da  un  pedagogo  ammuffito  tra  i  programmi  ba- 
stardi di  una  scuola  italiana,  ma  come  li  insegna  la  coscienza  della 
cultura  storica  e  l'esperienza  dei  fatti.  L.  Th. 

Rieerche   scientifiche. 

LEON  BOUTBOVX,  Im  generation  de  la  gamme  ditUonique,  —  Paris,  1900.  Baretnx 
àé  la  lU9Ué  Scùntijlqm, 

Scopo  dell'autore  è  di  conciliare  le  divergenze  tra  i  fisici  e  i 
musicisti  sulla  costituzione  della  gamma.  L'intenzione  non  può  che 
meritare  amplissima  lode,  perchè  i  maestri  compositori,  ignorando 
le  finezze  della  ^cala  naturale,  le  relazioni  degli  armonici  negli 
accordi,  e  i  suoni  differenziali  (risultanti)  che  ne  derivano,  non 
sanno  rendersi  ragione  di  certo  regole  che  il  genio  ha  indovinato 
da  gran  tempo,  ma  che  trovano  fondamento  In  dati  ormai  stabiliti 
dalla  scienza. 

L'autore  svolge  con  larga  erudizione  il  tema  impostosi;  egli  rac- 
coglie ed  ordina  il  risultato  di  studi  apparsi  in  diverse  opere,  gio- 
vandosi specialmente  dell'Helmboltz,  e  con  bell'arte  espone  quanto 
si  riferisce  all'argomento.  Non  dice  però  cose  nuove,  tutt'altro  anzi! 
egli  ha  piuttosto  cercato  strade  lunghe  e  difficili  per  giungere  a  ri- 


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228  RECENSIONI 

sultati  ottenibili  anche  con  mezzi  assai  semplici;  ^  in  ciò  sta  tutta 
roriginaiità  del  suo  lavoro.  La  gamma  naturale  (diatonica  e  croma- 
tica) è  disegnata  dagii  armonici  del  suono  fondamentale,  —  le  alte- 
razioni cromatiche  per  la  modulazione  s'imponsrono  nella  ripetizione 
degli  intervalli  della  gamma  su  altri  punti  di  partenza;  —  ciò  è 
chiaro  e  facile,  ma  il  signor  Boutroux  si  ò  servito  di  altro  processo 
d*iuduzione  nelPopuscolo  che  ora  tenterò  di  compendiare. 

Dal  S""  armonico,  abbassato  di  un*ottava,  abbiamo  Tintervallo  di  5* 
giusta  dO'SOl;  portiamo  questo  intervallo  al  di  sotto  del  fondamen- 
tale, ed  avremo  il  fa;  replichiamolo  al  di  sopra  quattro  volte  e 
troveremo  i  suoni  re,  la,  mi  e  st  Evidentemente  l'autore  arriva 
cosi  a  costruire  Tantica  gamma  dei  Greci  {pitagorica),  da  lui  detta 
melodica.  Ma  qui  egli  si  perde  per  ottenere  con  successive  quinte 
sopra  il  si  e  sotto  il  fa  alterazioni  <;romatiche  che  non  hanno  a  che 
fare  colla  scala  pitagorica  nò  colla  naturale. 

Prende  allora  gli  armonici  3*  e  5%  e,  rilevando  che  quest'ultimo 

«  81 

è  più  basso  -^^r-  (comma)  del  suo  corrispondente  nella  scala  melo- 
dica,  porta  i  loro  intervalli  col  fondamentale  (-ò"^  t)  ^^^^  '^  ^^^ 
per  avere  il  re  e  il  si,  e  sotto  il  do  per  avere  il  fa  e  il  la.  Cosi 
facendo  al  m^  al  la  ed  al  si  manca  necessariamente  un  comma  in 
confronto  dei  suoni  delia  scala  melodica,  e  per  conseguenza  è  tro- 
vata la  scala  naturale  {tolemaica)  che  il  Boutroux  chiama  armo- 
nica e  qualifica  non  naturale. 

Quindi,  per  definire  la  consonanza,  Fautore  passa  a  dettagliare 
i  suoni  differenziali  che  nascono  dall' associazione  degli  armonici 
i-2-3,  1-2-3-4-5,  1-2-3-4-5-6-7;  e  studia  poi  nella  stessa  guisa  il  tono 
minore  per  dimostrarne  la  dissonanza  per  uno,  due  o  tre  suoni 
differenziali,  estranei  all'accordo,  che  sono  prodotti  secondo  la  di- 
versa distribuzione,  i  diversi  rivolti  e  i  diversi  raddoppi  dei  suoni 
che  lo  compongono. 

Segue  un  breve  accenno  alle  relazioni  {battimenti)  che  succedono 
fra  gli  armonici  di  due  o  più  suoni,  questione  trattata  con  larghis- 
simo sviluppo  dall'Helrnholtz  nel  cap.  X  della  Thèorie  physiologique 
de  la  musique. 

Il  confronto  delle  gamme  di  Pitagora  e  di  Tolomeo  dal  punto  di 
vista  artistico  conduce  l'autore  ad  accettare  la  prima  (melodica)^ 
come  quella  che  corrisponderebbe  meglio  all'arte  odierna,  sebbene 
la  seconda  (per  lui  non  naturale)  si  presti  in  modo  perfetto  per 
l'armonia.  Ma  io  non  arrivo  a  comprendere  come  da  tali  premesse 
il  signor  Boutroux  possa  giungere  a  questa  conclusione;  —  la  ben 

5  27 

nota  difl3coltà  del  la  -^  (scala  naturale)  invece  del  la  -^^  (scala 

o  lo 


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RSCENSIONI  229 

pitagorica),  con  tulli  gli  accessori  che  ne  derivano,  si  converte  nel 
disastro  assolutamente  gravissimo  delle  terze  false  negli  intervalli 
della  gamma  greca.  C!onseguenza  logica  sarebbe  piuttosto  d*  adat- 
tarsi alle  lievissime  imperfezioni  della  scala  temperata,  che  Tautore 
non  prende  In  esame  se  non  di  sfuggita  nella  conclusione  del  suo 
lavoro. 

Egli  invece  ritorna  agli  armonici,  e,  constatata  l'impossibilità  di 
formare  una  gamma,  adatta  alle  esigenze  delParte,  sulla  base  del 
?•  armonico,  oserebbe  ammettere  l'impiego  degli  armonici  7*»  ed  li*» 
nella  scala  diatonica.  Su  questo  punto  parmi  non  vi  sia  audacia, 
perchè  gli  armonici  7*,  11®,  13s  17%  19*,  ecc.,  devono  proprio  es- 
sere considerati  quali  alterazioni  cromatiche  naturali  dei  gradi  della 
scala  diatonica  naturale,  bene  inteso  che  gi*  intervalli  di  questa 
fisseranno,  calcolati  su  altro  punto  di  partenza,  le  alterazioni  cro- 
matiche necessarie  per  la  modulazione. 

Circa  la  scala  minore  la  definizione  che  il  signor  Boutroux  no 
cerca  è  negativa,  ossia  egli  dice  che  non  esiste  tono  di  la  minore, 
ma  che  le  note  di  una  melodia  in  la  minore  appartengono  al  tono 
di  do,  modo  di  la.  É  un  giuoco  di  parole.  Ammettiamo  pure  che 

<  ce  qui  constitue  la  base  de  la  musique  ce  n'est  pas  la  gamme 

<  considérée  comme  melodie,  c*est  la  collection  des  notes  diatoniques  ' 
€  envisagées  avec  leur  tendance  résolutive  plus  ou  moins  marquée  » 
(pag.  56);  ma  la  collection  des  notes  diatoniques,  a  comune  avviso, 
forma  kc  scala,  e  leur  tendance  résolutive  ne  dirige  Tandaroento 
melodico  —  glissons;  Tautore,  a  quanto  pare,  fa  consistere  il  nodo 
della  questione  nel  riconoscere,  o  meno,  per  diatonici  I  gradi  della 
scala  minore.  Noi,  al  contrario  di  lui,  li  riconosciamo  diatonici  a 
colpo  d'occhio;  il  settimo  s'impone,  considerato  tanto  in  riguardo 
air  armonia  quanto  alla  melodia;  il  terzo  costituisce  il  modo;  il 
sesto  colle  sue  varianti  si  specifica  caratteristico  della  tonalità;  gli 
altri  sono  comuni  colla  scala  maggiore:  perchè  non  dovrebbero  es- 
sere tenuti  diatonici?  Ed  anche,  ammesso  e  non  concesso,  se  non 
lo  fossero,  le  alterazioni  cromatiche  non  determinerebbero  ten- 
dances  rèsolutrces  assai  marcate?  In  ogni  caso  il  primo  grado  della 
scala  stabilirà  il  tono  e  il  terzo  il  modo,  secondo  il  vecchio  stile. 

Nella  conclusione  l'autore  tratta  ancora  della  consonanza,  detta- 
gliando le  ricerche  importantissime  dell' Helmholtz  sulla  influenza 
che  i  rivolti  degli  accordi,  rattezza  dei  suoni  e  il  timbro  esercitano 
per  determinarla.  Giustamente  deplora  che  i  musicisti  partano  da 
altri  princìpi  per  stabilire  la  definizione  estetica  della  consonanza; 
essi  hanno  finora  trascurato  di  applicare  la  teoria  dcirillustre  pro- 
fessore, teoria  che  non  deriva  da  speculazioni  astratte,  ma  riflette 
fatti  incontrastabili. 


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230  RECENSIONI 

Come  risultato  pratico  dell' argomento  svolto,  il  Boutroux  rico- 
nosce i  servigi  immensi  prestati  dalla  scala  temperata,  che  non 
respinge,  e  suggerisce  di  attenuare,  quando  è  possibile,  colUmpiego 
dei  gradi  più  convenienti,  le  imperfezioni  che  una  gamma  rigida- 
mente fissa  produce  nella  musica  moderna. 

In  ultima  analisi,  dopo  uno  studio  cosi  diligente,  un  tempera- 
mento, per  quanto  larvato,  finisce  dunque  colFimporsi  ;  il  Boutroux 
lo  afiSda  airorecchio  in  ogni  occasione  propizia,  ed  io  credo  che 
precisamente  cosi  si  sia  sempre  risolto  in  pratica  un  problema  in- 
solubile, a  stretto  rigore,  dal  lato  scientifico.  O.  C. 

Waf^neriana. 

EXfJj  ESGBLMANN,  M^arzival  und  Lohengrin.   Zwei  Sagen   ans   dem   Mitt«Ulter  far 
du  Hani  bearMtet.  —  Ologan.  Cari  Flemming  Verìag. 

La  lettura  di  questo  libro  riescirà  notevolmente  interessante  per 
coloro  che  sentono  la  vivacità  dMmmagini  commista  all'ingenua 
espressione  degli  antichi  raccontatori  di  leggende.  Pochi  hanno  sa- 
pulo risuscitare  con  mezzi  acconci  le  sensazioni  de'  primitivi  tempi 
della  poesia.  Al  Wagner  ciò  riesci  in  modo  meraviglioso  mediante 
l'unione  della  favella  e  della  musica.  E  noi  sapemmo  i  destini  e  le 
avventure  degli  eroi  leggendari  nell'alta  forma  del  dramma.  L'En- 
gelmann,  in  quella  di  una  narrazione  piana,  ci  descrive  ampiamente 
6  fedelmente  i  fatti  connessi  colle  saghe  di  Parzival  e  Lohengrin, 
quali  appariscono  detratti  alla  fonte,  cioè  dal  poema  di  Volframo  di 
Eschembach  e  da  quello  intitolato  Schwanritter  (il  cavaliere  del 
cigno)  di  Corrado  di  Vurzburgo  (1270).  Una  quantità  rilevante  di 
aneddoti  vengono  ad  aggiungersi  ai  motivi  principali  dell'azione 
drammatica  quale  noi  la  vediamo  in  Wagner.  Il  poeta-musicista 
mantenne  soltanto  ciò  che  serviva  al  suo  fine.  Ogni  colto  lettore 
penetra  volentieri  nel  mistero  di  queste  saghe  del  XII  e  XIII  se- 
colo, quando  esse  vengono  esposte  nello  stile  e  nella  forma  attra- 
ente di  un  conoscitore  profondo  qual  è  l'Engelmann.  Si  rinnovano, 
alla  lettura  di  questi  fatti  poetici,  si  rinnovano  con  intenso  piacere 
ed  efficacia  stranamente  accresciuta,  le  impressioni  sublimi  di  quelle 
opere  d  arte,  che  sono  il  più  sereno  vanto  di  questo  secolo  che 
muore.  *         L.  Th. 

Varia. 

StoHstiaeher  BUckbliek  auf  die  KOniglichen  Theater  tu  Berlin,  HotMiotfer,  Kaeeei 
und  Wieabaden.  -  Berlin,  1900.  E.  S.  Mittler  and  Sobn. 

È  una  statistica  degli  spettacoli  e  del  personale  nei  quattro  teatri 
di  corte  tedeschi  menzionati  nel  titolo.  Sappiamo  quanto  sia  impor- 


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RBGINSIONI  231 

tante  il  movimento  artistico  in  queste  scene  ;  ed  ora  abbiamo  anche 
una  idea  più  esatta  delle  mansioni  dei  singoli  cooperatori,  ciò  che 
per  la  cronaca,  generalmente  mal  saputa  in  ItaHa,  giova  senza 
dubbio.  Omettiamo  le  considerazioni  malinconiche  per  noi,  alle  quali 
darebbero  luogo  questi  prospetti  statistici.  Il  teatro  lirico  in  Gìar- 
mania  dà  prova  di  un  bene  inteso  ecclettismo  e  di  una  organizza- 
zione; che  risponde  ai' bisogni  di  un  pubblico  colto  e  amantissimo 
della  scena  lirica.  La  stabilità  della  direzione  per  buon  numero  di 
anni,  la  durata  dei  contratti  cogli  artisti,  la  possibilità  dei  loro  Gast- 
spiele,  Taltemazione  delle  serate  d^abbonamento,  la  maggior  proba- 
bilità di  appoggio  airopera  dei  giovani  compositori,  son  cose  tutte 
sconosciute  nel  bel  paese  che  fu  la  culla  delle  arti  ed  oggi  mostra 
la  decrepitezza  di  ogni  senso  estetico.  L.  Th. 


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SPOSIiIO  DEI  PBI(I0DI6I 


ITALIANI 

Gazzetta  Masieale  (Milano). 

N.  41.  —  Farina,  Amilcare  PonehiélU,  —  Untersteineb,  Per  il  150°  anni- 
versario della  nascita  di  A,  Sàlieri,  —  CorrierIi  Le  vite  di  Haydn,  Mosar^, 
Metastaeio  scritte  da  Stendhal 

N.  42.  —  Farina,  A.  PonehieUL  —  Corrieri,  Le  vite  ecc.  (coni.).  —  Un- 
TERSTEiNERy  PcT  il  150°  annivcrsario  ecc„ 

N.  43^  —  Seneb,  Arte  e  natura.  Due  parole  a  G,  Tébaìldini. 

N.  44.  —  Lucchesi,  Opera  italiana  errante.  Tabanelli,  Giurisprudenza  tea" 
trak.  —  Senes,  Arte  e  natura  ecc., 

N.  45.  —  Tebaldinj,  Vorchestra  del  B.  Conservatorio  di  Parma  a  Busseto. 
—  Tabanelli,  Giurisprudenza  teatrale.  —  I.  S.,  Biforme  ai  ConservatorU  di 
musica? 

N.  46.  —  Paladini,  Il  siumo  degli  strumenU  e  delle  vocali  e  il  loro  timbro 
secondo  la  teoria  di  HelmhoUe. 

N.  47.  —  Paladini,  Il  suono  ecc..   —  Tabanelli,  GHurisprudensa  teatrale, 

N.  48.  —  Cametti,  AU Accademia  di  S.  Cecilia, 

N.  49.  —  Centenario  Cimarosiano. 

N.  50.  —  Checchi,  I  capricci  della  cronaca.  —  Centenario  Cimarosiano, 

N.  51.  —  Centenario  Cimarosiano,  —  Tabanblli,  Cronaca  giudiziaria  (La 
claque). 

If,  52.  —  Amore,  17  coro  «  guerra!  gaerra!  »  neUa  «  N'orma  >.  —  Cente- 
nario Cimarosiano, 

1901.  N.  1.  —  Farina,  Leopoldo  Marenco,  —  Centenario  Cimarosiano.  —  Al- 
binati,  Prospetto  déUe  opere  nuove,  rappresentate  nel  1900. 

N.  2.  —  Farina,  Leopoldo  Marenco  (cont.).  —  Centenario  Cimarosiano.  — 
Tabanelli,  C^wrisprudenza  teatrale  [Diritto  di  scelta  del  direttore  d*orche8tra]. 


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SPOGLIO  DKI  PKUODIGI  233 

n  B«OTO  PalestriBft.  Rivista  mensile  di  Mosica  Sacra  (Fireoie). 

N.  3,  4.  —  ArwMmomjk  grommoiìca.  —  Il  2^  Gongreiso  di  Archeologia  eri- 
ttiana  e  la  mutiea  saera.  —  Marc' Antonio  Ingegneri,  —  Haydn  e  U  sentimento 
religioso. 

N.  5.  —  Armoniosa  grctmmaOca.  —  La  cappella  Marciana  e  la  riforma  a 
VenesieL  —  Protestanti  e  cattoHei,  —  Il  ^  Congresso  ecc. 

La  Cronaca  Matleale  (Pesaro). 

N.  8-9.  —  Lozzi,  Ancora  di  Pasgwde  Bini,  violinista  pescarese.  —  Campana, 
Uarte  del  canto  (cont.). 

N.  10-11.  —  Badiciotti,  Pro  domo  nostra  e  per  H  violmista  Bini  —  Cam- 
pava, Varie  del  canto  (coni.). 

La  Haora  Magiea  (Firenze). 

N.  57.  —  Abate,  Il  teatro  lirico  esperimentale.  —  Quidam,  La  Messa  da 
€  Be^uiem  »  di  8.  GaUotti. 

N.  58.  —  Gaspkumi,  La  via  unica.  —  Bonaybmtura,  La  bctnda  e  Vesercito, 
—  Lgsst,  Une  nouveUe  biographie  de  MosarL 

N.  59.  —  BojfATEincBA,  JuUen  Piot  e  il  suo  metodo  per  violino. 

N.  60.  —  Abatk,  Nuovo  secolo,  vita  nuova.  —  Elia,  Veritas  ante  omnia.  — 
Zara,  Opera  o  operetta?  [A  proposito  di  Zaza). 

La  Bassegrna  Nazionale  (Firenze). 
16,  gennaio.  —  M.  Akzolktti,  In  occasione  del  centenario  di  D.  Gimarosa. 

Le  Cronache  mosleall.  Bivista  mostrata  (Roma). 

N.  25.  —  Faustini-F ASINI,  La  «  Cenerentola  »  da  Laureile  a  Massenet. 

N.  26.  —  Lauria,  Canto  moderno.  La  scuola  di  domani.  —  Parodi,  Pen- 
KMulo  a  Biset. 

N.  27.  —  Falioar,  Parigi  a  Chopin.  —  Cbecohi,  Melodie  viaggiatrici. 

N.  28.  —  Di  San  Martino,  Una  visita  a  Paderemky.  —  Chilesotti,  Deca- 
denta  o  traviamento? 

N.  29.  Incagliati,  «  Zaza  ^  di  LeoncavaUo.  —  Faustiki-Fasini,  A  proposito 
dello  «  Stabat  »  di  PergdlesL 

N.  30.  —  Falbo,  Fra  un  melodramma  e  V altro.  —  Montepiorb,  I  concerti 
romani  e  U  Governo. 

N.  31.  —  Sur  Arturo  SuUivan  [Necrologia].  —  Montbpiore,  «  Le  Vergini  9 
di  A.  LoMsi.  —  Fausini-Fasini,  A  proposito  della  «  Beatrice  di  Tenda  » . 

N.  32.  —  Montbpiore,  Vopera  di  Henry  Expert.  —  Lauria,  Ancora  della 
scuola  di  canto. 

N.  88.  —  Beniamino  Cesi. 

Le  Cronaehe  Teatrali  (Roma). 

N.  20.  —  A  proposito  di  «  Cenerentola  »  di  Massenet. 


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234  SPOGLIO  DBI  PERIODICI 

N.  21.  —  Cantanti-AUoì-i, 

N.  25.  —  Beniamino  Cesi.  —  La  festa  aW  Accademia  di  S,  CeciUa;  Y Amico 
di  Bellini, 

Masica  sacra  (Milano). 
N.  10.  —  I  decreti  deUa  Sacra  Congregasione  dei  Bili.  —  I  presti  degU 
organi,  —  Sttxtuti  ddC Associaeione  generale  Ceciliana  per  le  diocesi  di  Ger-' 
manùi,  A\MMa  e  Svizzera.  —  Schizzi  sulTarte  organistica  in  Italia, 
*N.  11.  —  I  decreti  della  S.  C.  —  Un'associazione  fra  gU  organisti. 
N.  12.  ^  I  decreti  della  S.  C.  —  Il  Congresso  di  Storia  della  Munca  a 
Parigi.  —  La  musica  sacra  a  Costantinopoli,  —  Organisti  e  Organari. 

Nuova  Antologia  (Roma), 
lo  gennaio.  —  Valetta,  Cimarosa  (con  ritratto). 

Blrista  Teatrale  Italiana  (Napoli). 
N.  1.  —  Pagliara  R.,  Cimarosa.  —  Barimi  G.,  Vita  musicale  romana. 
N.'2.  —  Bracco  R.,  Del  teatro  lirico  italiano.   Sintomi  di  decadenza.  — 
ViLLANis  L.  A.,  Echi  Cimarosiani.  —  Samoogia  6.,  Il  recHismo  nel  melodramma, 
—  Gì  ROTTO  N.,  L'arte  mtmcale  alla  fine  del  secolo  XIX.     . 

Santa  Ceeilia.  Rivista  mensile  di  Masica  sacra  e  liturgica  (Torino). 

N.  5.  —  Dupoox,  Santa  Cecilia  patrona  della  musica  sacra.  —  Capra,  La 
musica  sacra  alla  metropolitana  di  Torino.  —  Gametti,  Bollettino  Musicale 
Romano.  —  Masica:  A.  Cioognani,  «  Cantantibus  organis  *. 

N.  7.  —  Sincero,  •Veni  Sancte  Spiritus  ^.  —  Una  proposta.  —  Camstti, 
Bollettino  Romano.  —  Musica:  A.  Quartbro,  •  Sabe  Regina  >. 

FRANCESI 

La  Tribune  de  Saint-Gerrais  (Paris). 

N.  9-10.  —  QoiTTARD,  G,  Carissimi  (suite  et  fin).  — ;Qa8toué,  L'art  grégo- 
rien.  —  Villetard,  Recherche  et  étude  de  fragments  de  manuscrita  de  plain- 
chant.  —  AuBRT,  Les  raisons  historiques  du  rythme  oratoire.  —  Parisòt,  Essai 
d'application  de  mélodies  orientales  à  des  chants  é^église. 

N.  11.  —  D'Indt,  Une  École  de  musique  répondant  aux  besoins  tnodtmes. 
— •  Pirro,  Les  formes  d'expression  dans  la  musique  de  H.  SchUts.  —  Aubbt, 
Les  Jongleurs  dans  Vhistoire, 

La  Yolx  parlée  et  eliantée  (Paris). 

Novembre.  —  Talbert  F.,  Des  liaisons  ou  dela  pronondation  des  eonsonnes 
finales.  —  Congrès  Medicai  de  Paris.  —  Communications  diverses. 

Décembre.  —  Labus,  Hygiène  vocale.  Aphorismés  éìémentaires.  —  Congrès 
Medicai  de  Paris. 

Janvier  1901.  —  Brisson,  L'art  de  parler.  —  Labus,  Hygiène  vocale.  — 
QuiLLEMiN,  Contre  le  préjugé  des  cordes  sonores. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI  «235 

Le  Guide  Musical  (Bruxelles). 

N.  41,  42,  43,  44,  45.  —  A.  Soubibs,  La  musique  beige  au  XlX^siècHe, — 
E.  E.,  Le  vamqueur  du  prix  Bubinstein:  Émiìe  Bosquet, 

N.  42.  —  P.  DI  Mékil,  Le  monument  de  Chopin.  —  G.  Skrvières,  Vexo- 
Urne  mtmcal  à  VExposiHon  1900.  ** 

N.  42,  43.  —  J.  G.  Fréson,  Lea  représentationa  Mozart  à  Munich, 

N.  43.  —  H.  Imbert,  Lea  Maìtrea  muaiciena  de  la  Benaiaaance  frangaiae, 

N.  44.  —  H.  Imbbrt,  Lea  inatrumenta  anciena  à  VExpoaition  Univeraelle 
de  1900,  —  J.  G.  Fréson,  Lea  repréaenlationa  Wagner  à  Munich. 

N.  45.  —  F.  DE  Mémil,  L^Expoaition  dea  portraita  d'artiatea  dramaUquea  et 
hfriq'ues  du  aiècìe.  —  H.  Imbert,  La  «  Schola  cantorum  >. 

N.  46,  47,  48,  49,  50.  —  Marnold,  BicJiard  Strauaa  [Stadio  importante]. 

N.  48.  —  G.  Seryières,  La  Legende  dela  •  Beine  de  Saba  >  et  Topéra  de 
(XOounod. 

N.  51.  —  G.  Sertiìreb,  Sur  une  -traduction  ìyrique  de  «  Fauat  >.  — 
E.  G.,  Lea  ehanaonar  poptilairea  reìigieuaea  de  E,  Jaquea-Dalcroee  [Critica 
&ToreTole  ]. 

N.  52.  —  H.  Imbert,  Audition  dea  envois  de  Bome:  deux  ceuvrea  de 
M.  Henri  Babaud,  —  J.  Br.,  U^Armide  »  de  Gluch  au  Conaervatoire  de 
BruxeUea.  —  J.  Robot,  Nouveaux  déeoréa:  J.Maaaenet;  Ch.Denepveu;  Patd 
Tuffanti 

Addo  1901.  N.  1.  —  M.  Eufferatb,  Interprétation  et  tradition  [Lamenta 
che  nella  nnova  generazione  venga  meno  il  culto  per  Beethoven,  e  fra  le  cause 
TA.  prende  ad  esaminare  questa:  P«  indebolimento  >  progressivo  delle  tradizioni 
d*interpretazione].  —  J.  d'Offoél,  A  ptopoa  du  «  Fauai  ^  de  Schumann  [Con- 
dode  che  «  la  masique  du  Fauat  est  un  chef-d*OBQvre,  mais  que  le  Fauat,  pris 
daos  Bon  entier,  nVn  est  pas  un  »]. 

Le  Ménestrel  (Paris). 

N.  40-44.  —  La  vraie  Marguerite  et  V interprétation  muaicale  de  Vàme  fé- 
wmUne  d'aprèa  ìe  •  Fauat  »  de  Goethe  (cont.  e  fine). 

N.  40-48,  50-52.  —  Ethnographie  muaicale,  notea  priaea  à  VExposition  [Con 
questo  titolo  Jalien  Tiersot  inizia  una  serie  d'articoli  intesi  ad  illustrare  le  ma- 
niliestazioDi  musicali  dei  Vàri,  popoli,  come  vennero  rappresentate  alla  recente 
Efposiiione  mondiale  di  Parigi:  e  finora  si  è  occupato  della  musica  di  danza  e 
da  teatro  del  Giappone]. 

N.  40-45,  47,  49,  50.  —  Le  théàtre  et  lea  apectaclea  à  VExpoaition,  per 
A.  Pougìn  (cont). 

N.  45-50.  —  Peintrea  méhmanea,  p.  Raymond  Booyer  [Serie  d'articoli  a  base 
di  erudizione  aneddotica,  ed  in  cui,  senza  che  vi  si  possa  scorgere  uno  scopo  ben 
determinato,  si  parla  di  pittori  musicisti  o  musicomani,  di  musicisti  più  o  meno 
pittori,  di  musica  pittorica,  di  audizione  colorata,  di  dilettantismo  pittorico- 
■wieale,  eoe,  ecc.].    *  *  •- 


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236  .  SPOGUO  DEI  PERIODIOI 

Berve  des  Deax  Mondes  (Parìa), 
ler  novembre  1900.  —  C.  Bellaigue,  Les  époques  de  ìa  musique.  La  soncUe 
pour  piano. 

l«r  décerobre.  —  Les  époqtieè  de  la  musiqtte.  Vopéra  récitatif. 

Le  Théàtre  (Parìe). 
Octobre.  I.  —  Jullien  A.,  MademoiaeUe  Aino  Ackté, 
>        II.  —  Aderer  a.,  «  VArlésierme  »  à  V Odèon. 

Novembre.  I.  — 

»         II.  Nomerò  special.  —  ^  La  Chterre  en  denteUes  ». 
Décembre.  I.  Numero  spedai.  ~  «  VAasommoir  ». 

»         IL  —  «  La  Ba80che  »  de  M.  Measager, 


TEDESCHI 

Maslkalisehes  Wochenblatt  (Leipzig). 

N.  41,  42.  —  Per  la  storia  delVOpera,  di  Alberto  Fucbs. 

N.  44.  —  Dite  metodi  di  canto,  di  E.  Senger  [Una  differensiazione  iute* 
ressante]. 

N.  45,  46.  —  Lettere  di  Hans  von  BUlow.  Appunti  di  E.  Sternfeld.  — 
Lothar  Kempter:  schizzo  biografico  di  A.  Nìggli. 

N.  47,  48.  —  Monumenti  delta  musica  in  Baviera  :  piccole  note.  —  Lothar 
Hempter. 

N.  49.  —  La  babilonia  anti-Bayreuthiana,  di  0.  G.  Somreck. 

N.  50.  —  Antico  e  nuovo  nella  musica,  di  Otto  Waidapfel. 

N.  51,  52.  —  Istrumenti  e  rappresentazioni  chinesi,  di  J.  Gebeschas. 

1901.  N.  1,  2.  —  L'importanza  e  T evoluzione  storica  delTuffieio  di  direttore 
d'orchestra,  con  una  piccola  considerazione  siHTefficacia  delParte  in  generale, 
di  Gesh.  V.  Kenssler. 

Neve  Mnsikalische  Presse  (Wien). 
N.  40.  —  Nuove  biografie  musicaU,  di  A.  Seidl. 
N.  41.  —  Friedrich  Nietzsche.     ' 

N.  42.  —  Della  Unione  de*  Concerti  in  Vienna,  di  R.  Geisler. 
N.  43.  —  Nuove  biografie  musicali,  di  A.  Seidl. 
N.  44.  —  Friedrich  Nietzsche. 

N.  45.  —  Di  sei  conferenze  popolari  di  B.  Walìaschek  suUa  vita  e  ìe  opere 
di  B.  Wagner. 

N.  47.  —  La  nuova  «  Carmen  »  ali  Opera  di  Vienna. 

N.  48.  —  Musica  mensurdU. 

N.  49.  —  Jan  Kubelik.'—  Unioni  di  Canto  Corale. 


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BPOOLIO  DBI  PERIODICI  237 

N.  50,  52.  —  I  eatechiami  iBustrati  di  soatanaa  musicale,  composti  da  Max 
Hesse,  di  A.  Erstmàry. 

1901.  N.  1.  —  Per  VesUHca  deUa  musica,  di  A.  Seidl. 

Nene  Masik-Zeitvnfir  (Stuttgart-Leipzig). 

N.  18,  20,  21,  22.  —  Vor  hundert  Jahren,  v.  A.  Baumgàrtner  [Uno  studio 
istorìco  sul  teatro  di  Monaco  di  Baviera  dì  un  perìodo  molto  oscuro]. 

N.  19,  20,  21.  —  Die  Musik  ah  Lebensbemf,  ▼.  Dr.  A.  Schtlz  [Articolo 
sentimentale  sulVarduo  cammino  che  deve  percorrere  il  musico  professionista]. 

N.  19.  —  Vom  intemaiionalen  mmikhistorischen  Kongress  in  Paris,  ▼.  Dr. 
Karl  Grunskj  [Resoconto  agro-dolce  del  famoso  Congresso].  —  Moltke  und  die 
Musik,  y.  Theo.  Seelmann  [In  occasione  del  100^  anniversario  della  nascita  del  M.]. 

N.  20,  22.  —  Von  den  SommerauffUhrungen  der  Munchener  Oper,  t.  A.  H. 
[Soliti  articoli  critici]. 

N.  21,  22,  24.  —  Aus  dem  Leben  Peter,  Tsehaikowskys  [Sunto  illustrato 
dei  volume  XI  della  collezione  «  BerUhmte  Musiker  »  edita  da  r«Harmonie  », 
Berlino]. 

N.  21.  —  Der  Verismus  in  der  Oper,  v.  n.  n.  [Si  parla  della  nuova  prima- 
donna del  teatro  di  Corte  in  Vienna,  la  quale  «  senza  voce,  senza  gioventù  e 
senza  bellezza  (sic)  e  mediante  soltanto  un  nuovo  ed  attraente  stile  di  verismo 
rappresentativo  è  divenuta  l'idolo  del  pubblico  e  la  calamita  della  cassa  »]. 

N.  22.  —  Max  Beger,  v.  Karl  Straube  [Cenno  biografico  e  bibliografico  di 
nn  giovane  compositore  il  quale  dà  molto  a  sperare  di  sé].  —  Dos  Liszt-Museum 
in  Weimar,  v.  Prof.  Bachmann  [Descrizione  dell'abitazione  del  L.  in  Weimar, 
tramutata  in  museo]. 

N.  22,  24.  —  Von  der  fransosiscken  Oper,  v.  K.  Grunsky  [Articoli  sani  e 
ben  fatti,  frutto  benefico  delle  relazioni  e  conoscenze  scambievoli  durante  Tultima 
grande  Esposizione]. 

N.  23,  24.  —  Ueber  Musik  in  China,  v.  Prof.  Hermann  Bitter  [Dice  poco 
d'importante  sulla  musica  delPestremo  oriente].  —  Cari  Maria  von  Weber, 
V.  Edwìn  Plasnick  [In  ricordo  della  rappresentazione  della  prima  opera  del  W. 
«  Das  Waldmàdchen  >  in  Freiberg  il  24  novembre  1800]. 

N.  24.  —  Heinrich  Porges  (Cenno  necrologico).  —  e  Zaza  *  von  LeoncavaUo, 
V.  Erwin  [Se  ne  constata  il  successo  specialmente  delFultimo  atto]. 

Keae  Zeitsehrift  fiir  Masik  (Leipzig). 

M.  41.  —  Edmund  Singer,  —  A.  Tottmanm,  Neue  Litteratur  fiir  Streich- 
instrumenU, 

N.  42,  43.  ~  W.  RiscHBiBTER,  Ueber  Modulation  im  Voeàlsatz, 

K.  44,  45,  46.  —  Arnold  Screking,  BacKs  Textbehandìung. 

N.  44.  —  E.  von  Pirani  fa  una  recensione  favorevole  delFopera  Estetica  della 
Musica  di  A.  Galli.  —  A.  Tottmann  fa  la  rassegna  dì  nuove  opere  di  musica 
da  camera. 

N.  47.  —  Edm.  Bocblich  parla  del  i°  volume  di  lettere  e  scritti  di  Hans  Bùlow. 


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238  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

N.  48.  —  E.  von  Pirani  fa  uno  schizio  di  N.  Paganini.  —  Pania  Keber  parla 
del  compianto  maestro  e  critico  H.  Porges. 

N.  51.  —  lì  giubileo  del  *  LóJiengrin  »  ti»  Weimar  —  Guida  aUa  lettera- 
tura violinistica, 

N.  52.  —  S.  K.  KoRDES,  8ir  Arthur  Suìlivan, 

N.  1.  Anno  1901.  —  Bruno  und  Max  Steindel  [Due  ragazzi  precoci  d'in- 
gegno: pianista  il  primo,  il  secondo  violoncellista]. 


INGLESI 

Monthljr  Masieal  Record  (Londra).  * 

Novembre.  —  Quotation  in  Music:  continua  uno  studio  interessante  di 
Franklin  Peterson.  —  Old-fashUmed  music,  by  E.  Baughan.  —  The  musical 
mountebank  [Una  novella  di  G.  Kuhnau  che  mette  in  ridicolo  Caraffa].  — 
Correspondence,  —  Reviews  of  New  Music  and  New  Editions,  —  Operas 
and  Concerts,  —  Musical  Notes.  —  Musica. 

Dicembre.  —  Quotation  in  Music;  e.  s.  —  Sham  Ideals:  E.  Baaghan  fa  un 
inutile  giuoco  di  parole  sul  verismo.  —  The  Schola  Cantorum,  —  Sir  Arthur 
Suìlivan.  —  Le  solite  rubriche. 

Gennaio  1901.  —  The  Year  190Q:  rassegna.  —  The  phiìosophical  side  of 
some  laws  of  harmony,  by  L.  B.  Prouth.  —  Some  futiUties  in  propheus,  by 
E.  Baughan.  —  Music  in  Scotland,  by  Fr.  Peterson.  —  Solite  rubriche.     • 

Masic^  a  Monthly  Magazine*  (Chicago). 

Ottobre.  —  Women  and  Music:  si  persuada  Amy  Fay  che  le  donne  studiano 
musica  altrettanto  seriamente  che  gli  uomini:  la  ragione  del  loro  insuccesso 
deve  ricercarsi  altrove.  —  Scientific  Voice  teacting  :  Earleton  Hackett  satireggia 
il  Laringoscopio.  —  Qiannandrea  Maseucato.  -^  Saint-Saèns  upon  thee  outlook 
of  art:  Saint- Safins  crede  con  Wagner  e  contro  Wagner.  È  curioso.  —  Oott- 
scTmUc:  the  first  American  pianista  by  E.  Swayne.  —  Around  Kitchi  Grami, 
by  E.  Cumingd.  —  A  Time  honored  prejudice,  by  G.  Mazzucato.  —  Compa- 
rative Piano  methods,  by  W.  L.  Calhoun.  —  Editoriàl  Bric-a-Brac.  —  TJùngs 
here  and  there. 

Novembre.  —  Benjamin  Franklin^s  relation  io  music,  .by  0.  G.  Sonneck.  — 
Nordica:  A  Study,  by  W.  Armstrong.  —  Jenny  Lindin  St.  Louis,  by  Th.  Papin. 
Memorizing  and  competent  musical  inierpretation,  by  S.  B.  Mathews.  —  Joseph 
Joachim,  by  Edith  L.  Winn.  —  Symphony  since  Beethoven,  by  H.  Imbert:  os- 
servazioni a  Weingartner.  —  Editoriàl  Bric-a-Brac.  —  Things  here  and  there. 

Dicembre.  —  Symphotiy  since  Beethoven,  e.  s.  —  Tschaikowshi  in  Leipsic 
in  1S88:  ricordi  interessanti  scritti  dal  Tschaikowski  stesso.  —  School  music 
in  the  primary  grades,  by  Ch.  Rice.  —  TJie  time  marking  system  in  music, 
by  T.  Cari  Whitmer.  —  Hope  is  green  (dal  tedesco  di  A.  Kielland).  —  Music 
in  a  liberal  education.  —  Editoriàl  Bric-a-Brac,  —  Things  here  and  there. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI  239 

Musical  Beeord  (Boston). 

Dicembre.  —  Ph.  Halei  II  concerto  del  pianista  Donhanyi.  ~  Programmi 
ooDTenzionali  :  santo  della  interessante  rassegna  editoriale  che  si  estende  anche 
sa  parecchi  altri  argomenti.  —  3fr.  Edward  Elgar's  •  Dream  of  Geroniiua  >  : 
il  competente  Vemon  Blackbam  è  ammirato  della  nnova  cantata  di  Elgar.  — 
Mutie  in  New  York,  by  Henderson.  —  Music  and  Matrimony,  by  Edith  Ljn- 
wood  Winn:  il  tema  trattato  è  molto  complesso,  ma  artisticamente  non  ha  nulla 
di  serio.  —  An  American  View  of  Chopin;  and  an  Engìish  View  of  musical 
Criiieism,  hj  John  F.  Rnnciman.  —  A  Plea  for  Imitative  Music;  sì;  nella 
musica  descrittiva  c*ò  pare  del  bello  e  del  bnono:  tante  grazie  per  Bach  e  per 
H&ndel:  mi  contento  di  Riccardo  Stranss.  —  The  National  Music  Commission: 
una  bella  satira  che  fa  smascellare  -dalle  risa:  è  Timmagine  di  an  Congresso 
musicale  in  America.  Si  dice  che  Tantore  F.  B.  Bnrton  verrà  qnanto  prima  in 
Italia:  già  come  Mark  Twain.  —  Music  in  Berlin,  by  À.  Bird.  —  Corrispon- 
denxc.  —  Note  critiche,  ecc.  ecc.  —  Musica. 

Gennaio  1901.  —  The  ast  one  bams,  by  Th.  Tapper.  —  Form  in  Music, 
by  Percy  Goetschins.  —  Varie  altre  rubriche.  —  Musica. 

The  Mnsteal  Times  (Londra). 

Novembre.  —  A  visit  to  Tenbury:  molto  interessante  rassegna.  —  Snippets, 
hy  Joseph  Bennet:  sicuro,  oggi  noi  vogliamo  il  foglio  d'album;  peggio  per  co- 
loro che  scrìvono  delle  tremende  e  coinvolte  sonate  e  sinfonie.  —  A  Humorous 
deteh  by  Mendelssohn.  —  Pianoforte  Teaching,  —  Occasionai  Notes,  —  A 
new  English  Composer:  Dr.  H.  Walford  Davies.  —  Beviews.  —  Foreign  Notes. 
—  Musica. 

Dicembre.  ~  Arthur  SulUvan,  —  Thomas  Attwood  (1765-1838),  Schizzo 
biografico.  —  Father  Smith's  Organ  in  St,  PauVs  CathedraL  —  Future  Music, 
by  Joseph  Bennet.  —  A  new  English  Composer  (interessante).  —  Solite  ru- 
briche. —  Musica. 

(lennaio.  —  Music  in  England  in  (he  NinetketUh  Century.  —  Dumps,'  by 
Joseph  Bennet  —  8ir  Arthur  SuUivan  as  a  Church  Musician,  —  Solite  altre 
rubriche.  —  Musica. 


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QOTIZIB 


Opere  nuove  e  Concerti» 

,%  A  Monaco  di  Baviera  si  rappresenterà,  verso  la  fine  di  febbraio,  «  Herzog 
Wmdfang  »,  la  nuova  opera  in  tre  atti  di  Siegfried  Wagner;  l'azione  si  svolge  in 
Germania  nel  XVIII  secolo.  Più  tardi,  al  Hoftheaier  di  Monaco  si  avrà  la  prima 
rappresentazione  in  Grermania  dell'opera  Messidor  di  Brunean;  vi  assisteranno  il 
compositore  ed  E.  Zola. 

«*«  Al  Hoftheater  di  Monaco  di  Baviera  si  rappresentò  l'opera  in  un  atto, 
«  Natale  » ,  del  maestro  italiano  Alberto  Gentili,  che  fa  allievo  di  Martacci  ;  se  la 
musica  non  fu  giudicata  personale,  tuttavia  Topera  ebbe  esito  favorevole  grazie 
al  soggetto. 

«%  La  Cantata  di  Eward  Elgar,  intitolata  *  Dream  of  G^erontius  »,  ò  gin. 
dicata  un  lavoro  musicale  nobilissimo,  di  grande  importanza  e  di  squisita  poesia. 

«%  Il  concerto  per  pianoforte,  Op.  I,  di  Bachmaninoff  fu  eseguito  a  Londra 
con  ottimo  successo. 

«*«  La  sinfonia  in  Mi  maggiore,  di  Josef  Suk,  piacque  a  Utrecht. 

«%  La  sinfonia  N.  2  (Do  minore),  in  cinque  tempi,  per  orchestra,  organo» 
voci  sole  e  coro,  di  Gustavo  Mahler,  direttore  del  Teatro  dell'Opera  Imperiale  a 
Vienna,  ebbe  a  Monaco  un  successo  brillante  sotto  la  direzione  dell'autore. 

«%  «  Alessandro  » ,  opera  in  un  atto  di  Corrado  Bamrath,  fu  rappresentata 
con  buon  esito  a  Colonia. 

«*«  Con  successo  si  ò  data  a  Posen  Popera  <  Der  Bichter  von  Zaìamea  >, 
di  Giorgio  Jarno. 

/»  «  The  Wonder-Worker  * ,  opera  di  A.  W.  Katelby,  ebbe  lieta  accoglienza 
al  Gran  Teatro  di  Fulbam. 

»%  «  Jobin  et  Nanctte  »,  opera  di  J.  B.  Weckerlin,  ebbe  una  brillante  pre- 
mière al  Casino  di  Etretat. 

«\  «  Don  Juan  de  Garay  »,  opera  di  Boniccioli,  fu  accolta  freddamente  a 
Buonos-Ayres. 

<j%  A  Brema  ebbe  buon  esito  la  nuova  opera  «  Das  stille  Dorf*,  di  A.  v.  Fieli ts. 


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NOTIZIE  241 

,%  Àll*Opera  dì  Vienna  <  Ber  Bundschuch  »,  un  atto  di  Jos.  Beiter,  ebbe 
fortuna. 

«%  Dos  Màrehen  vom  Kònig  SoHan  »,  naova  opera  di  Rimsky-Eorsakow, 
fo  eseguita  per  la  prima  volta  a  Mosca  con  gran  plauso. 

«%  «  Mandanika  »,  di  G.  Lazaras,  buon  esito  ad  Amburgo. 

«%  €  Kom'g  Droaselbari  »,  di  Enlenkampf,  piacque  ad  Halle  a.  S. 

/«  «  ^uggeUne  »,  nuova  opera  di  Ludovico  ThuiUe,  fu  accettata  all'Opera 
di  Berlino. 

/«  Il  compositore  spagnuolo  Amedeo  Vives  fu  soggetto  di  grande  entusiasmo 
a  Bercellona,  dove  si  eseguì  la  sua  opera  <  Enda  éTUriach  »  per  la  prima  volta. 

/«  Nel  ThécUre  des  Gaìeries,  a  BrusseDe,  ebbe  lieta  accoglienza  la  nuova 
open  comica  «  Tambaur  bttttant  »,  della  signorina  E.  DeirAcqua. 

«%  A  Laìbach  piacque  la  prima  opera  slovena,  intitolata  e  Nicola$  Subic- 
Zrmski  »,  del  compositore  De  Zaic. 

«%  «  Der  Eìephant  »,  un  atto  di  Bruno  Oelsner,  fu  calorosamente  applaudito 
al  teatro  di  Darmstadt. 

«\  Ad  Ulm,  l'oratorio  «  Jephta  »,  di  Jos.  Ant.  Mayer,  ebbe  pieno  successo. 

«%  L^opera  nazionale  di  Moniusko,  intitolata  e  Halka  » ,  fu  data  nel  dicembre 
per  la  500*  volta  al  Teatro  di  Varsavia. 

/«  «  Dos  Bahrgeriehi  »,  un  atto  di  E.  Farkas,  Budapest. 

/»  €  A  Whiteehapeì  Girl  »  con  musica  incidentale  di  P.  Vernon,  Norwich. 

,%  «  Herod  »,  con  musica  incidentale  di  S.  Coleridge-Zaylor,  Londra. 

»%  €  Florodora  »,  di  Lesile  Stuart,  New  Haven,  Conn. 

«%  «  Bohette  »,  un  atto  di  Missa,  Coronet  Theatre,  Londra. 

«%  «  Madame  Bonaparte  »,  ballo,  musica  di  G.  Pfeiffer,  Parigi. 

.%  €  Watteau  »,  di  Diet-Pujet,  Parigi. 

«%  «  Maitre  Roland  »,  del  conte  Zichy,  Anversa. 

«%  <  Clodvrigen  ChtUdis  »,  di  Oscar  Roels,  Ghent. 

WctQneriana. 

«%  n  D.'  Muck  di  Berlino  sarà  il  direttore  per  Topera  Parsifaì  nella  pros- 
sima stagione  di  Bayreuth. 

Nuove  JPiMUcazionL 

«%  Ernest  Chausson,  «  Vwiane  »,  Foème  gymphonique  pouf  orchestre.  Le 
Bailly,  0.  Bomemann  succ.,  Paris. 

«%  Moritz  Moezkowski,  Tre  MoMurke  per  pianoforte,  Op.  60. 

«\  Albert  Zabel  (professore  al  Conservatorio  di  Pietroburgo),  JBar/èn-iSb^iffo. 
Leipzig,  Zimmermann. 

AMfia  mmtieaU  Oalùma,  Ylll.  10 


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242  NonziB 

«*«  N.  von  Wilm,  Trio  {E  moli)  fOr  Pianoforte,  Violine  une  ViohncélL 
Leipzig,  Eistner. 

«\  Siegfried  Fall,  Trio  (A  moU)  fUr  Pianoforte,  VioUne  und  ViokmceU. 

«%  Mili  Balakoiew,  Symphonie  in  C  dur.  Zimmermann,  Leipzig. 

«\  Siegmand  von  Haassegger,  «  Barbaroesa  *,  Symphonische  Dictung,  Bies 
und  Erler,  Berlin. 

«%  Emil  Saaer,  Clamer  Concert  (E  moli).  Schott^s  Sòhne,  Mainz. 

/»  Bich.  Stranss,  Ztoei  gròssere  Oesànge  fiir  eme  tiefe  Stimme  mit  Orehestor- 
beg1eit%mg,  Leipzig,  Forberg. 

«*«  E.  Hamperdinck,  Maurisehe  Rapsodie  fUr  Orcheeter.  Max  Brockans, 
Leipzig. 

«%  Una  nnoTa  Rivista  Musicale. 

Bi?eTÌamo  questa  circolare: 

Paris,  le  l*'  Janvier  1901. 
Monsieur, 

J*ai  rhonneur  d^appeler  votre  attention  sar  le  projet  suivant:  n  est  de  nature 
à  intéresser  tons  ceni  qai  s'occnpent  d'histoire,  de  philologie  et  d'eethétiqne. 

Après  entente  commune,  MM.  Bomain  BoUand,  professeur  d^histoire  de  l'art  à 
rÉcole  normale  snpérieore:  EmmaDuel,  docteur  èslettres,  laoréat  da  Conserva* 
toire  de  Paris;  Laloy,  ancien  élève  de  TÉcole  normale,  aggrégé,  des  lettres,  et 
élè?e,  pour  le  contre-point,  de  Vincent  dlndy;  Aubry,  archiviste-palóographe, 
ancien  élève  de  TÉcole  dea  Cbartes;  le  sonssigné  enfin,  ont  era  le  moment  vena 
de  fonder  nne  Bevtte  d'histoire  et  de  critique  m%meaìes  qai  anra  poar  objet 
prìncipal  d  appliqaer  à  Tétade  dea  oeavres  masicales  fran9ai8e8  et  anciennee,  les 
métbodes  en  asage  dans  les  sciences  aaxiliaires  de  rhistoire;  elle  compenserà  noe 
lacane  de  notre  Enseignement  supériear  en  rattacbant  à  la  pbilologie  nn  art 
sana  leqael  on  ne  peut  avoir  ane  connaissance  complète  ni  de  la  civilisation  et 
de  la  poesie  antiqaes,  ni  de  révolation  qai  s'est  faite,  depuis  la  Benaiasance, 
dans  la  civilisation  et  dans  la  pensée  moderoes.  Elle  fera  noe  large  place  anssi 
à  Texamen  des  OBavres  contemporaines.  En  groapant  de  noaveaax  concoors,  elle 
aboatira,  je  Tespère,  à  ane  Uistoire  generale  de  la  masiqae. 

Voici  qaelqaes  faits  qui  nous  paraissent  jastifier  notre  dessein. 

Dans  la  plapart  des  pays  où  la  scienoe  historiqae  est  en  honnear,  il  existe 
des  sociétés  qai  recbercbent  et  pablient  les  anciens  textes  musicaax.  En  Angle- 
terre,  la  Pìaimong  and  Mediami  mnsic  Society,  soatenae  par  Sir  Jobn  Stainer 
et  par  treize  vice-présidents ,  a  reprodait  en  pbototypie,  panni  plasiears  antres 
-oavrages,  le  monament  le  plas  important  de  la  masiqae  aa  mojen  àge  (le  G^rtt- 
ditale  Sarisburiensé).  En  Belgiqae,  nne  Socie  té  fondée  en  1879  et  prósidóe  par 
M.  Gevaert,  s'est  propose  de  faire  <  an  ìnventaire  general  de  toates  les  cenvres 
belges  anciennes  > .  En  AUemagne,  P Académie  royale  des  Beaox-Arts  de  Berlin 
a  provoqaé  et  dirìge  ane  pablication  analogae  {Urtext  classischen  Musiktoerke). 
En  Aatrìche,  depais  1894,  il  y  a  ane  Sociótó  de  méme  natare,  protégée  par  le 
Ministre  de  Tlnstraction  pabliqae,  aux  travaax  de  laqaelle  ont  prìs  part  dee 
savants  et  des  artistes  tels  qae  Gaido  Adler,  Brabms,  Hanslick,  Habert^  etc. 
En  France,  rìen  de  semblable.  L'étade  des  anciens  textes  littéraires  et  des  mo- 


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,    NOTiai  843 

Bpments  plastìqaes  est  seale  organitée,  Cenx  gai  vealent  conoaitre  not  vieox 
eompotiteors  natìonanz  d^^près  let  manoacrìts,  ne  tronrent  mdme  pas  cbes  noos 
IflB  iDstpiineDts  de  travail  qui,  aìlleara,  aont  à  lear  dìspoaitioD  ;  les  notnbrenx 
manoacrits  épars  dana  nos  Bibliotbòqaes  et  dans  eellea  de  Tétranger  qoi  con- 
tìeDoent  tant  de  rìeheases  fran^ses,  n'oift  pas  étó  l*objet  d'nn  catalogue  apécial. 

Loreqoe  Guizot  créa  le  Cornile  dea  travoMx  hÌ8toriq%u$  et  scientifiqìies  (janVìer 
1835)  qnì,  aree  dea  transformations  diveraes,  est  reste  le  cantre  de  toatea  los 
graadea  étndes  d^histoire  fiutes  en  debora  de  Tlnstitut  el  de  TUnifersitó,  Goizot 
n^oablia  pas  la  masiqne:  par  l'organa  de  trois  membres  da  Comité  (MM.  Bottée 
de  Toolmont,  Vincent  et  de  la  VillegilleX  il  fit  donner  am  €  Correspondants  da 
Miniatère  >  dea  instractions  pródses  ponr  la  recbercbe  et  la  reprodacUon  rigon- 
renaement  ezacte  de  tons  les  apécimena  de  Tart  mosioal  ancien.  Ponrquoi  cette 
idée  eat-elle  restée  à  pen  près  aans  effet? 

Dana  le  domaine  de  la  mosiqae  fran9ai8e,  combien  de  parties  reeiant  encore  à 
eiplorerl  Ponr  le  niojen  àge,  il  conviendrait  d'ótadier  {et  d*éditer)  tons  ces 
poètes  Ijrìqnes  dont  la  liste  est  donnée  en  téte  de  oertains  nuuinscrìts  et  dont 
fes  CBovrea  sont  dìspersóea  dans  les  bibliotbèqnes  de  TEnrope.  —  Ponr  l'ópoqae 
de  U  Renaissance,  qaelle  disproportion  entro  le  nombre  et  Timportance  des  étades 
qui  ont  été  consaerées  aox  arte  plastiqoea  (ilar  des  noaltres  tels  qne  Delaborde, 
Oarajod,  111  finta,  Lafenestre,  P.  Mantz,  Gebbat,  Andrò  M icbel,  Lemonnier,  Baudot, 

Goiffrej,  Palustre,  Magne,  Dimier )  et  Toubli  presque  oomplet  où  Ton  a  laissé 

la  mosiqae  des  XV*  et  XVI«  siècles  !  Une  belle  publìcatioo  de  M.  Henry.  Export  • 
répare  cet  oobli;  mais  elle  est  loin  d'avoir  ópaisó  lo  sujet  et  elle  appello  nn 
«ocnplément  crìtique  indieponsable.  Au  XVII«  tiècle,  les  cbeOs-d'oeavre  de  Técole 
fran^atise  Ijriqne  n'ont  encore  étó  lobjet  d'ancnn  travail  sérieax,  les  éditions 
entrepriaea  il  y  a  quelques  annóea  par  la  maison  Micbaélis  étant  trèe  inexactea 
et  ittsafBsantea.  —  Au  XVIII*  siècle,  ponr  ne  citer  quo  ce  seni  fait,  n*est-il  paa 
étrange  quo  notre  grand  Rameau,  cróatenr  de  la  ^cience  barmonique  moderne, 
n*aìt  pas  donne  lieu  à  ano  seule  monograpbie  importante,  et  quo  son  principal 
coromentateur  soit  M.  Hugo  Riemann? 

Nona  ne  nous  engageons  pas  à  oombler  toutes  ces  lacunes  à  bref  délai.  I^es 
rósoltats  de  notre  bonne  yolonté  dépendront  da  ooncours  moral  et  efiectif  qne  nous 
troaverons  antoor  de  nous. 

Tont  en  nous  effor9ant  d'intéresser  les  artiates  et  lea  amateurs  éclairós,  noos 
▼oolions  Yoir  notre  idée  approuvée  par  les  Maitres  de  Tenseigneroent  (ponr  bien 
marquer  notre  inteotion  de  faire  OBu?re  de  vraie  crìtique)  comme  par  ceux  qai 
ont  qoalité  ponr  enconrager,  en  Frante,  les  étudecr  d'art,  et  pour  les  diriger  au 
beauin;  enfin,  par  tona  les  amis  de  la  musique. 

Notre  premier  appel  a  été  en  tendo  et  des  maitrea  éminents  nous  ont  promis 
lear  concoars.  Bien  qoe  la  li»te  de  nos  adbérenta  ne  soit  pas  dose,  je  citerai: 

MM. 
SiTLLT  pR(n>H0MMK,  de  TAcadémie  Fran^aise. 

Eco.  GuiLLACME,  do  TAcadémio  Fran9aise,   professeur  d'estbétique  et  d*bistoire 
de  Tart  au  Collège  de  Franco,  Direeteur  de  PAcadémie  do  Franco  à  Rome. 

—  HoMOLLfi,  membro  de  Tlnstitat,  direeteur  de  TÉcule  fran9aÌ8e  d'Atbènes. 

—  RsTHR,   Massbiìkt»  pALADiLBS,   Lenepveu,   meuibres   de   V  Institat.  *- 


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244  Nonzn    , 

• 
BouTOif,  Membre  de  rinstitni,  Directeur  dea  Beaaz-Arts.  —  Th.  DnBOis, 
Menibre  de  Tlnstitot,  Directenr  da  Conservatoire  de  inasiqae.  —  G.  Lar- 
ROUifET,  Secrétaire  perpétue!  de  rAcadémìe  dea  Beaoz-Arts.  — *Perrot, 
Membre  de  rinstitot,  Directenr  de  l*École  normale  snpérìeare.  —  E.  Mckts, 
Membre  de  l'iDstitnt,  Conservatenr  des  collections  de  TÉcole  des  Beanz-Arts. 

—  Em.  Michel,  Membre  de  rinstitot. 

Latisbr,  de  TAcadémie  Fran^aise.  —  Mokod,  Membre  de  l'Iostitat,  professeor 
d*hÌ8toire  à  TÉcole  normale  sapérìenre.  —  Chcquet,  Professenr  de  langne  et 
littératore  germaniqaes  aa  Collège  de  France. 

BouROAULT-DucouDRAT,  Professcnr  d'histoire  de  la  mosiqiie  ao  Conservatoire.  — 
G.  Facré,  Widor,  Profe^seors  de  composi tion,  contre-point  et  fogne  aa  Con. 
serratoire.  —  S.  Rousseau,  Professenr  d*harmonie  an  Conservatoire. 

Alfred  Croiset,  Membre  de  Tlnstitat,  Doyen  de  la  Facolté  des  Lettres  de 
rUniversité  de  Paris.  —  Maurice  Croibet,  Profeesenr  de  langne  et  litté- 
ratare  grecqnes  an  Collège  de  France.  —  Julbs  Girard,  Membre  de  llnstìtat 

—  Desroubseaux,  Directenr-Adjoint  à  PÉcoIe  des  Ilantes  Étndes. 

Louis  Haybt,  Membre  de  Tlnstitat,  professear  de  pbilologie  latine  aa  Collège 
de  France. 

Thomas,  Professear  de  pbilologie  romane  à  la  Sorbonne.  —  Saolio,  Membre  de 
rinstitnt,  Administratear  des  mnsées  (antiqaités  nationales).  —  Prou,  Pro» 
fessear  de  paléograpbie  à  TÉcole  des  Chartes.  —  P.  Laoombb,  Inspeotear 
general  des  Arcbives. 

Gebhart,  Membre  de  Tlnstitat,  professear  de  littératares  méridionales  de  PEarope 
à  la  Sorbonne.  —  Dejob,  Professear  de  littératare  fran^aise  à  TUniversité 
de  Paris.  —  Meillet,  Directear  Adjoint  à  TÉcole  des  Haates  Étades.  — 
Basch,  Professear  à  TUniversité  de  Rennes. 

YivcBNT  D'Indt,  Professear  de  composition  mnsicale  à  TÉcoIe  de  masiqae 
religiease. 

Mbrcadié,  Directear  des  étades  à  l'École  polytecbniqae.  —  L.  Boutroux,  Doyen 
de  la  Facalté  des  sciences  de  Besan^on. 

Th.  Ribot,  Membre  de  Tlnstitat,  professear  de  psychologie  ezpérimentale  aa 
Collège  de  France.  —  Izoulet,  Professear  de  pbilosopbie  sociale  aa  Collège 
de  France.  —  Tarde,  Professear  de  pbilosopbie  aa  Collège  de  France.  — 
Mabilleau,  Directear  da  Masée  social.  —  Séailles,  Professear  de  pbilosopbie 
à  la  Sorbonne.  —  Espinas,  Professear  d'histoìre  de  Téconomie  sociale  à  la 
Sorbonna.  —  Durkheim,  Professear  à  rUniversité  de  Bordeanz. 

L.  BouRGEOis,  Dépaté,  Ancien  Président  da  Conseil.  —  R.  Poincaré,  Dépnté, 
ancien  ministre,  Président  de  TAssociation  pbilotecbniqne.  —  Liard,  Membre 
de  rinstitat,  Directear  de  TEnseignement  sapériear.  —  Rabibr,  Directear 
de  TEnseignement  secondaire.  —  Batbt,  Directear  de  l'Enseignement  pri- 
maire.  —  P.  FoNcm,  Inspectenr  general  de  TEnseignement  —  E.  Maihjel, 
Inspectear  géoéral  bonoraire.  —  Belot,  Membre  da  Conseil  Sapériear  de 
rinstrnction  publiqne. 

Cahen,  Hutot,  Victor  et  Paul  Glachamt,  Jourdan,  etc  etc.  Professeors. 
J'ai  rbonnear  de  youb  demander,  Monsienr,  si  yoas  étes  dispose  à  encoarager 

notre  projet:  en  noas  permettant  d'inserire  votre  nom,  avecies  précédentB,  panni 


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f 

NOTIZIE  245 

noe  <  adhérents  »  ou  <  collaborateors  >  et  en  vous  engageant  à  prendre  un 
abonn^ent,  dèa  la  reception  da  premier  numero  (Paris,  20  fr.  ;  Departements, 
22  fìr.;  Étranger,  25  fr.).  —  La  Bevue  adresse  nn  appel  general  à  tona  les 
amis  dea  Àrts,  firan9aÌ8  et  étrangers,  en  les  priant  de  lai  en?oyer  des  comma- 
nieationa  (étades,  spéci raens,  indications  bibliographiqnesy  etc)  sar  toas  les  mo- 
numenta, inédits  oa  rares,  d*ancienne  masiqae  fran9aÌ8e  dont  ila  aaraient  con- 
nairaance. 
Veoillez  agréer  rassnrance  de  ma  hante  considératìon. 

JOLBS   COMBABISU 

^^,  rtte  de  Tocqueville,  Paris. 


MonutnenH» 

«%  Vienna  si  è  arricchita  di  dae  monameftiti  :  qaello  a  Goethe  inaagarato  il 
15  dicembre;  laltro  al  Gatenberg  inaagarato  il  17  dello  stesso  mese. 

/«  Per  l'inaagarazione  del  monomento  a  Schamann  in  Zwickaa,  saranno 
direttori  dei  concerti  il  D.'  Reinecke  di  Lipsia  e  il  D/  Joachim*  di  Berlino. 


Varie. 

^^  Riceviamo  e  pubblichiamo:  « 

Vienna,  Gennaio  1901. 

YOSSIOKORIA  ! 

Nel  luglio  1900  m'onorai  di  farvi  pervenire  una  circolare,  nella  quale  pregavo 
di  voler  gentilmente  collaborare  al  secondo  volame  della  mia  inchiesta  wagne- 
riana, rispondendo  alla  tesi  :  ' 

<  Da  quale  opera  di  Biccardo  Wagner  vi  sentite  maggiormente  attratto?  > 
domanda,  a  cui  desideravo  una  risposta  del  tutto  soggettiva  e  possibilmente  con 
una  piccola  motivazione.  Nella  speranza  quindi  che  V.  S.  vorrà  pure  contribuire 
alla  buona  riuscita  della  mia  collezione,  che  già  tanto  entusiasmo  ha  destato 
nella  stampa  europea,  mi  permetto  di  farvi  noto  il  mio  nuovo  indirizzo: 

VlENHA   IV.    SCBIKANEDERGASSE,   3, 

al  qaale  prego  caldamente  di  voler  inviare  il  Vostro  pregiatissimo  scritto,  non 
più  tardi  del  1^  luglio  a.  e. 

Pel  secondo  volume  hanno  già  risposto  circa  50  personalità  delParte,  fra  cui  : 
0  prìncipe  di  Schoenaich-Carolath,  Stockausen,  Hamperdinck,  il  M.*  Castelli, 
Measchaert,  Nicholl,  Cesare  Cui,  il  M.''  Frontali,  Blflthgen,  Echstein,  il  direttore 
di  orchestra  Campanini,  il  violinista  svedese  Tor  Aulin,  la  e  diva  >  Bellincioni, 
il  baritono  Arcangeli,  il  Dr.  Obrìst,  il  compositore  Erìk  Meyer-Helmund,  il 
ÌL^  Gialdini,  e  così  via.  Questi  nomi  illu^rì  addimostrano  chiaramente  con 
quale  interesse  artistico  sia  stata  accolta  la  mia  inchiesta. 


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246  NOTIZUB 

Natro  perciò  certa  speranza  che  anche  Y.  S.  vorrà  degnarsi  d*appoggiare  la 
mia  inchiesta  masico-storica  con  un  paio  di  righe,  ed  esprimendo  anticipata- 
mente i  miei  più  sentiti  ringraziamenti,  mi  segno  con  tatta  stima  ohbligatissimo 

tJeo  ToMicicH 
Musicista. 

«*«  Grande  saccesso  hanno  avuto  i  giovani  pianisti  Von  Dohnànyi  e  Ossip 
Chibrilowitsch.  ' 

«*«  Siegfried  Wagner  ha  finito  la  sua  nuova  opera,  <  Hereog  WUdfang  *, 
della  quale  ha  pare  scritto  il  libretto. 

^*«  Emilio  Bosqaet,  premio  di  Pianoforte  al  Concorso  Rabinstein,  ha  suonato 
tre  concerti  di  pianoforte  a  Berlino  coirassistenza  deirOrchestra  Filarmonica. 

,*^  Moritz  Rosenthal  ha  avuto  ano  sbalorditivo  saccesso  a  Budapest. 

^*^  Busoni,  dopo  aver  brillantemente  trionfato  a  Londra  e  in  varie  città  della 
Germania,  ha  avato  an  soccesso  immenso  a  Magonza. 

^%  Parigi  avrà  presto  un  nuovo  Conservatorio  di  Musica,  che  sarà  eretto  a 
spese  dello  Stato.  La  spesa  preventivata  è  di  cinque  milioni.  Vada  per  l'Italia, 
dove  il  Ministra  per  T Istruzione  domanda  di  abolire  i  Conservatori  bistenti. 

^*^  La  Francia  produce  annualmente  circa  15.000  pianoforti  ;  la  Germania 
circa  60.000;  mentre  gli  Stati  Uniti  dell* America  del  Nord  producono  150.000   « 
pianoforti  airanno.   Due  case  di  Chicago  fabbricano  da  sole  più  istramenti  che 
tatta  la  Francia. 

^^  La  città  di  Stoccolma  htv  recentemente  fondato  un  Museo  musicale  storico. 
Istrumenti,  manoscritti,  qaadri  e  ritratti  vi  sono  raccolti. 

«*«  Dei  78.954.742  abitanti  degli  Stati  Uniti  d*Àuierica,  secondo  una  nuova 
statistica,  solo  il  2  %  possiede  un  pianoforte.  Se  fosse  vero,  che  felicità  ! 


Necrologie. 

^^  Il  D.'  Max  Abraham,  capo  della  casa  editrice  Peters  di  Lipsia  a  fondatore 
di  una  pubblica  Biblioteca  musicale. 

^^  Enrico  Porges,  distinto  musicista  e  critico  di  Monaco. 

^^  Ernest  Thomas,  critico  :  fondò  nel  1887,  a  Parigi,  Ulndépendanèe  Mu9ieaìe, 

^*«  Dimitrì  Slaviansky  d*Agreneff,  fondatore  del  Coro  slavo-russo. 

^*«  Zdenko  Fibich,  direttore  d*orchestra  a  Praga  e  del  Coro  russo  di  manca 
sacra,  compositore  di  numerose  opere,  sinfonie,  di  lavori  corali  ed  istrumentali. 

^*^  Enrico  von  Henogenberg,  direttore  di  Composizione  alla  Hachschuìe  di 
Berlino. 

^*^  Sir  Arthur  Sullivan,  il  più  geniale  fra  i  compositori  inglesi  odierni. 


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L'agonia,  che  tenne  più  giorni  sospesi  gli  animi  nostri  in  una  vi- 
cenda di  voti  e  di  ansie  e  di  trepidazioni  e  di  sgomenti,  s'è  quetata 
nella  morte.  Oggi,  alle  ore  2,55,  nella  città  ch'egli  prediligeva,  Giu- 
seppe Verdi  à  chiuso  gli  occhi  per  sempre. 

Nell'ora  tristissima  ci  riecheggiano  alla  memoria  —  e  vi  persistono 
higubrì  e  implacabili  come  rintocchi  —  i  v^rsi  in  cui  dolorò  il  com- 
pianto pel  dissolversi  d'un  altro  de'  più  eletti  spiriti  di  nostra  gente: 

Ora  è  mancata  ogni  poesia. 

Sonati  sono  i  comi 

d'ogni  parte  a  raccolta; 

la  stagione  è  rivolta: 

se  tornerà  non  so,  ma  temo  tardi. 

Tardi;  fors'anco  non  ^iù  mai.  Come  col  cantore  d'Ameto  tutta 
un'età  letteraria,  cosi  con  Giuseppe  Verdi  tutto  un  ciclo  musicale  ful- 
gidissimo si  chiude.  Egli  era. l'ultimo  dei  nostri  grandi:  gigante  ormai 
^li  solo  tra*  un  popolo  di  gnomi.  La  perenne  giovanezza  del  suo  genio^ 
agile  insieme  e  possente,  pareva  doverlo  privilegiare  —  per  qualche 
misterioso  prestigio  —  dalla  sorte  comune.  Egli  aveva  veramente,  per 
tutte  guise,  trionfato  del  tempo.  Vivo  lui  —  e  per  lui  solo  —  la  patria 
nostra  poteva  non  anche  disperare  della  gloria.  Non  v'era  sventura  ita- 
liana che  un  prodigio  del  suo  canto  non  avesse  consolata,  o  non  pò* 
tesse  ancor  consolare.  Non  v'era  miracolo  nuovo  che  dalla  sua  fantasia 
creatrice  non  fosse  lecito  attendere. 

Dire  dell'opera  di  Giuseppe  Verdi  in  questo  momento  non  pos- 
aiajno,  e  non  vorremmo.  Un  cenno  afl^ttato  parrebbe  —  e  sarebbe  — 
pro&nazione.  Nò  quest'ora  di  pianto  può  consentire  la  critica. 

Ma  per  due  caratteri  —  possiamo  fin  d'oggi  testimoniarne  su  la 
sua  tomba  —  l'arte  di  lui,  quali  che  siano  i  rivolgimenti  che  l'avve- 
nire prepara  alla  musica,  parrà  mirabile  anche  ai  più  lontani:  per  aver 


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248*  NÓTIZUE 

proceduto,  senza  mai  esitanze,  senza  mai  pentimenti,  senza  mai  ritorni, 
in  un  perenne  ritrovamento  di  inspirazioni  più  elevate,  di  più  vividi 
modi,  di  più  armoniose  espressioni;  e  per  avere,  se  pur  non  precorsa, 
interpretata  ogni  aspirazione  nuova,  tuttavia  contemperando  la  moder- 
nità alla  tradizione,  e  serbando,  pur  nelle  forme  mutate^  schietta  da 
ogni  imitazione  o  contaminazione  straniera  l'impronta  purissima  del  pen- 
siero latino.  La  maniera  di  Giuseppe  Verdi  non  seppe  stanchezza  né 
decadenza.  In  ogni  nuovo  lavoro  Egli  non  à  soltanto  rivelato  a'  suoi 
contemporanei  qualche  aspetto  non  ancora  interamente  noto  del  suo 
genio  multiforme,  ma  conquistata  anche  all'arte  nostra  Tespressione  e 
la  significazione  che  Fanima  italiana  presentiva  in  confuso  e  cercava.  E 
l'opera  dei  suoi  anni  estremi  —  esempio  forse  unico  nella  storia  mu- 
sicale della  patria  —  è  anche  di  tutte  la  più  armoniosa  e  la  più  salda 
nella  concezione,  la  più  nobile  e  la  più  vivida  nello  stile. 

Per  questo,  la  vecchiezza  del  Maestro  richiama  alla  mente  quella 
gloriosissima  di  Tiziano  Vecellio,  che  la  Morte  coglie  intento  neUa  me- 
ditazione di  nuovi  meravigliosi  accordi  di  colori  e  di  forme.  Ma  per 
questo  soltanto.  Che  al  pittor  di  Cadore,  mentre  il  raggio  del  giorno 
fuggiva,  potè  arridere  in  pensiero  la  visione  d'un'altra  luce,  suscitata 
dal  suo  genio  :  quella  che  prorompeva  sfolgorando  dall'arte,  tutta  impeti 
e  audacie,  di  Jacopo  Robusti  ;  quella  che  si  diffondeva  serena  su  le  ima- 
gini  voluttuose  e  rìdenti  moltiplicate  dalla  fantasia  del  Veronese.  A 
tomo  al  cadavere  di  Giuseppe  Verdi  s'addensa  in  vece  d'ogni  parte  la 
tenebra.  E  la  canzon  del  poeta  disperatamente  riprende: 

Ma  quel  duol  che  più  punge 

È  che  nessun  rimane,  e  nessun  viene. 

Nessuno^  pur  troppo:  nò  d'Italia,  nò  di  fuori. 
Torino,  27  gennaio  1901. 

LA  DIREZIONE 


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BliBI^CO  DEI  lilBKI 


ITALIANI 

BaraUi  B.^  Destiamoci!  [À  proposito  della  riforma  del  canlo  gregoriano]. 
Id-S*".  —  Lacca.  Tip.  Landi,  1900. 

Mastroti   K.,  Musica  e  Sacerdozio.  Jn-S'».   —   Napoli.   Tip.   Fr.  Giannini. 

—  L.  1. 

Mielietti  A«,  Spadoni  A.,  Pompacei  B.^  Belasione  sulla  amministrasione 
del  Liceo  musicale  Bossini  in  Pesaro,  settembre  1895,  aprile  1900,  In-4<>. 

—  Pesaro.  Annerìo  Nobili. 

FRANCESI 

Bedier  J.^  Le  roman  de  Tristan  et  Iseult  traduit  et  restauré,  Tiét  de  Gaston 

Paris.  In-18<».  —  Paris.  Piazza  et  C.  —  Prs.  8,50. 
Bedier  J.^  La  legende  de  Tristan  et  IseulL  1  voi.  in-4<*  illustre  de  150  com- 

positions  en  coaleor  par  R.  Engels.—  Paris.  L*Édition  d*Art.  —  Frs.  200. 
De  Nessiry  A«,  Bohert  t^humann.  Étade.  Avec  ìes  conseils  aux  Jeunes  mu- 

sicien».  In-12«  —  Paris.  Pischbacher.  —  Frs.  3,50. 
D'Udine  J.^  Lettres  paradooccUes  sur  la  musique,  In-16*>.  —  Paris.  Fischbacher. 

—  Fra.  2. 

Ganthier  J.,  Les  musiques  higarres  à  VExposiUon  de  1900,  In-8".  —  Paris. 

Ollendorf.  —  Frs.  6. 
Grillet  L.f  Les  ancétres  du  Viohn  et  du  ViohncelJe.  Les  ìuthiers  et  les  fabri- 

cants  éParchets,  Préfaee  de  Th.  Dubois.  Voi.  I  (L*oavrage  formerà  2  gros 

▼ols.  in-8«).  —  Prix  de  souscription:  Frs.  27.  —  (Ansdtòt  le  tome  II  pam, 

le  prix  sera  porte  à  30  frs.). 
Gnex  J.,  Le  Théàtre  et  la  Soeiété  frangaise  de  1815  à  1848,  1  voi.  in-8'.  — 

Paris.  Fischbacher.  —  Frs.  4. 

Imbert  H.,  La  Symphonie  après  Beethoven.  Béponse  à  M.  F.  Weingartner. 
In-16».  —  Paris.  Fischbacher.  —  Frs.  1,50. 


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250  SLBNGO  DBI  LIBRI 

Lisit  F.,  LeWres.  RaBseroblées  et  éditóes  par  La  Mara.  Voi.  lY:  LeUrea  à  ìa 
Princesse  Caroline  Sayn-WiUgenstein,  Gr.  8*.  —  Leipzig.  Breitkopf  q. 
Hàrtel.  —  Fra.  10. 

Parent  H«,  Bépertoire  eneyeìqpédique  du  pianiste.  2  vols.  in-16^  —  Paris. 

Haehette.  —  (En  venie  le  tome  I*',  fre.  d»50). 
Stoulligr  E.,   Lea  annàlea  du  Théàtre  et  de  la  Muaique.  1899.   Préfitoe  de 

M.  A.  Carré.  Li-18«.  ^  Paris.  Ollendorf.  —  Vnu  8,50. 
Ifagner  B.  et  Fr;  Llizt^  Correspondanoe.  Trad.  fr.  par  le  prof.  L.  Schmitt 

2  ToU.  in-8*.  —  Leipzig.  Breitkopf  q.  H&rtel.  ~  Frs.  10. 

TEDESCHI 

Eie  0.;  Das  Klavier  u.  seine  Meister,  2  Àofl.  Gr.  8«.  —  Mtinchen.  F.  Brackmann. 
BolPs   mtuikaìischer  Haìu-  w.  Familienkàlender  1901.  13  Jahrg.  Gr.  4«.  — 

Berlin.  Boll.  n.  Pickardt. 
Gliallier  E.^  Mànnergesang'-Kaiàiog.  Eik  Alphaòeiiióh  jfeotdnttes  YerÉeickmtà 

Sàmmtì.  Mannerchore  m.  u.  ohne  BegUigi.  Itt-4^.  -^  Gienen.  E.  Challier. 

—  Oroseer  Liedtr-Kaiahg.   8   Nachtrag,   enth.  die  nenen  Erschiengn.    yom 

Jali  1898  bis  Jnli  1900  etc.  In-4o.  —  Giessen.  E.  Cballier. 

Eeoarias-Sieber  A.,  Hanca>ueh  dar  Klamar-iinterriekaere.  Gr.  8*.  ^  Qued* 
linbarg.  C.  F.  Wieweg. 

Hansegger  F.,  Ungere  deutaehen  Meiater  Bach^  Moaari,  Baathavan,  Wagner^ 
Gr.  8*.  —  Mtinchen.  F.  Brnckmann. 

Helm  J.,  Aìlgemeine  Muaik-  u.  Hanmmiaiahra,  Gr.  8*.  —  Gùtersloh.  C.  Ber- 
telsmann. ^ 

Hofìnéister  f  •,  Handbach  dar  muaikahsehen  LUeraiur  od.  Varaeiehniaa  dar 
im  deutechen  Reiche^  in  den  àndem  deutaehen.  SpraehgehiateB^  aawia  dar 
f.  den  Vertrieb  in  deutaehen  Baiehe  wid^.,  im  Amlanda  arschienanen  Mu* 
aikaìien,  auch  muM%al  Schrifìtan,  Abbildgn.  u.  plaat  DaretaQgn.  m.  Anaaige 
dar  Verìeger  u.  Preiae.  In  alphabet  Ordng.  m.  systematiach  geordneter 
Uebersicbt.  11  Bd.  od  8  Erg&nzangsbd.  Die  von  Anfang  1892  bis  Ende 
1897  neu  erscbieneuen  n.  neu  aafgelegten  mosikal  Werke  enth.  Gr.  4°.  — 
Leipzig.  F.  Hofmeister. 

KaTeraa  H,,  Choral-Buch  au  den  Melodieen  f.  daa  evangeUacha  Oaaangbueh 
dar  Prov.  Brandeburg.  Gr.  4*.  —  Berlin.  Wiegand  i.  Grìeben. 

Kralik  R»,  AUgriechische  Muaik,  Theorve^  Gesehiehta  u.  admmtì.  Denkmàìar. 
Gr.  8-.  —  Stuttgart  J.  Roth. 

Kraase  L.,  Popuiàre  Harmonielehre.  Gr.  8^  —  Leipzig.  0.  Jnne. 

—  Systematischea  Notanachreibheft  m.  Vorgeaohriabanen  Beiapiakn  efo*  G.  8*. 

—  Leipzig.  0.  Jane. 

Krebs  C.^  Dittersdorfiana.  In-8».  ^  Berlin.  PaeteL 

Lohe  J.  C,  Lehrbruch  der  muaihakaohan  KompoaiOon.  1  Bd.  6  Anfl.  Gr.  8*. 

—  Breitkopf  u.  Hàrtel. 


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BLXMCO  DEI  LIBRI  251 

L^tlitp  R.  Q.  Stein  J.,  60  Jahre  HoftììMter,  OtBMchU  der  heidm  Wùher 
Hofiheater  unter  der  Begierungsteii  de$  Kaken  FVùnM  Joteph  L  Fol.  ili. 

—  Wien  a.  Magdebarg.  Schallehn  n.  WoUbrflck. 

LcBwengard  M.,  Lehrbuch  der  Harmanie  f,  den  UnterrtÒkt  h,  SeìbitimterrieìU. 

2  Anfl.  Gn  8*.  —  Berlin.  À.  Stabl. 

Marquardt  B«,  Winke  eur  ModtikUùm,  Id12<'  —  Berlin.  A.  Parrhjsius. 
Herlan  H.,  lUustrierie  Geschichte  (der  Mueik)  im  19  Jahrh.  (in  10  Lfgn.) 

1  Lfg.  Gr.  8».  —  Leipzig.  W.  Friedrich. 
May  C,   Der  Meistergesang  in  Oetchiehte  u.  Kunei.   Gr.  8*.  —   Leipzig. 

H.  W.  Th.  Dieter. 
Moser  A.,  Joseph  Joachim.  Ein  Lebembiìd.  2  Anfl.  Gr.  8*.  —  Berlin.  Behr. 
M Hhlenbeln  J«^  Ueber  Choràlgesang.  Gr.  B\  —  Trier.  Patilinas. 
Mflnzer  G.,  Zur  EinfUhrung  in  B.  Wagnera  «  Bing  der  Nibehtngen  >.  Gr.  8'. 

—  berlin.  Harmonie. 

Petrl  B,,  MusihaUeches  Spruch-SehaUkàstlein,  Musilaìische  Haue-  u.  Lébens- 

Begeln,  verf.  ▼.  R.  ScÀiamann  eie.  Gr.  8«.  —  Halle.  Petri. 
Plnmati   D.»  C,   Musikaìisehes   Fremd-wùrterbuch.   In-16«.«  ^  Stuttgart. 

C.  Grflninger. 
Pphohl  F.,  Arthur  Ntkisch  ah  Mensch  und  KUnetler.  Gr.  8".  —  Leipzig. 

H.  Seemann. 
Prosniz  k.,  Compendium  der  MueUcgeàchichte.  2  Bd.  1600-1750.  Gr.  8^  — 

Wien.  A.  HOlder. 
Blehter  E.  F.^  Die  praktiachen  St^dien  eur  Theorie  der  Mueik.  Im  3  Lebr- 

bflcbem  bearb.  Gr.  8°.  —  Leipzig.  *Breitkopf  a.  Hàrtel. 
Blemann  H.^  KaUchimnus  der  Harmonie-  u,  Modulationslehre.  Vademecum 

der  Phraeierung,  —  Leipzig.  M.  Hesse. 
BUckbhck^  8tati8ti$cher,  auf  die  Kònigl  Theater  zu  Berlin,  Hannover,  Kasaeì 

tt.  Wieehaden  f.  d.  J,  1899/ Gt.  8«.  —  Berlin.  C.  G.  Mittler  n.  Sobn. 
Schlldkneeht  J»,  Orgehchule  f,  Prdparandensehuien,  eie.  In-4<>.-=-Begensbtirg. 

A.  Cpppenrath. 
SchrcBder  M»,  Ka/techìsmue  de»  Dirigierens  u.  Taktierens.  —  Leipzig.  M.  Heese. 
^cliliz  A.,  Zur  AeetheUk  der  Mueik.  2  Aufl.  der  <  Gebeimnisae  der  Tonkanst 

1891  ».  Gr.  8».  —  Stuttgart.  J.  B.  Metzler. 
Thayer  A.  W.,  L.  van  Beethovens  Leben,  2  Anfl.  Gr.  8^  —  Berlin.  W.  Weber. 

Trost  A.^  Morite  v,  Sehwind  u,  das  Wiener  Opemhaua   (Wien).   Fol.  — 

Leipzig.  G.  Freytag. 
Urban  E.,  TabéUen  der  Mueikgeschiehte.   Far  Hocbschnlen   a.  Universit&ten 

bearb.  Gr.  8«.  —  Berlin.  C,  Habel. 
Togeì  M.,  Geschichte  der  Mueik  von  der  ersten  Anfdngen  chrieUicher  Mueik 

herab  bie  auf  die  Gegenwari,  Gr.  8».  —  Leipzig.  Gebr.  Hug. 
Weber  C.  M.  Y»,  Briefe  an  Hinrich  Lichienstein.   Hrsg.  ▼.  E.  Badorff.  Hit 

3  Portr.  Gr.  8^  -^  Braanechweig.  G.  Westermann. 


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252  KLBNCO  DEI  LIBRI  , 

Wlltbergrer  H*^  OrgeUbegìeitung  bu  den  Liedem  dea  Strassburger  Dìòsesmh 

geaanbuches  PaàUite.  In4*».  —  Strassborg.  Herder. 
Wlttingr  C,  Geschichte  des  VioUnspieh.  Or.  8«.  —  EOln.  H.  ?om  Ende. 
Wohlfahrt  H»,  Vorsehule  der  HarmonieUhre.  10  Anfl.   Gr.  8*.  —  Leipzig^. 

Breitkopf  a.  H&rtel. 

INGLESI 

Ble  0.,  History  ofthe  Pianoforte  and  pianofòrte  players.  In-8».  —  New  York. 

Dutton.  —  Prs.  6. 
Boise  0.  B.j  Harmony  mode  pracOcaì:  a  comprehensive  treaUse,  In-12<>.  — 

New  York.  G.  Schirmer.  —  Prs.  1,25. 
Chapin  A.  A.,  Wotan,  Siegfried  and  BrUnhiìde.  Id12^.  —  New  York.  Harper. 

~  Frs.  1,15. 
Carrodus  J«  T.,  Chai9  io  Vioìm  studente  on  how  to  study  the  vioìin,  Iii-12<*. 

—  New  York,  Scribner.  —  Fr.  1. 

Elterlein  E.^  Beethoven's  eymphonies  in  their  ideal  significance  expìained, 
Inl2<».  —  New  York.  Scribner.  —  Prs.  1,50. 

Goodrich  A.  J.^  Theory  of  interpretation  appìied  to  àrOetie  mueieaì  perfor- 
mance, ln-12«.  —  New  York.  Presser.  —  Prs.  2. 

Gcetsohias  P.^  Theory  and  praetice  of  tone-^elations,  In-S'».  —  New  York. 
G.  Schirmer.  —  Prs.  1,50. 

Hnnoker  J.^  Chopin,  the  man  and  hie  music.  In-12*.  —  New  York.  Scribner. 

—  Prs.  2. 

Lahree  H.  C.^  Famoue  violinists  of  to-day  and  yesterday.  In -12®.  —  New 

York.  Page.  —  Prs.  1,50. 
Lidgrey  A.  C,  Wagner,  In-12».  —  New  York.  Dutton.  —  Prs.  1,25. 
LIszt  F.,  Life  of  Chopin.  ln-12«».  —  New  York.  Scribner.  —  Prs.  2,25. 
Smith  E,,  Primer  of  vocal  music.  In- 12».  —  New  York.  Scott,  Poresmann.  — 

Fr.  0,25. 
Wagnalls  M.,  Stare  of  the  Opera.  In-12».  ~  New  York.  Ponk  and  WagoaUs. 

—  Prs.  1,50. 

Williams  C.  I.  Abdy,  Bach.  In.J2o.  —  New  York.  Dutton.  —  Prs.  1,25. 


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ELBI^CO  DBIxL^  11^(1816^ 


Autori  moderni. 

DSringr  C.  M.  —  Op.  166.  24  Kìavier-EtUden.  —  J.  Sehoberth.  Leipzig. 

Il  professore  DOring,  di  Dresda,  al  quale  dobbiamo  ana  bella  edizione  della 
Scuola  della  Velocità  di  Czernj,  scrìsse  questi  stadi  allo  seopo  di  preparare 
Pallievo  alFopera  di  CzerDj.  Utili  in  quanto  a  tecnica  e  dilettevoli,  si  raccoman- 
dano anche  per  la  cura  che  TA.  rivolge  all'educazione  della  mano  sinistra;  essi 
otterranno  favore  presso  gì* insegnanti. 

Mugellini  Bruno.  —  BaOata  per  P.forte,  —  J.  Rieter-Biedermann.  Leipzig. 
Il  pensiero  forse  non  si  presenta  da  principio  cosi  netto,  e  il  secondo  motivo 
in  Si  bemolle  minore  non  si  distacca  abbastanza  dal  primo;  del  resto  composi- 
zione elegante  e  di, effetto  nella  chiusa. 

MtUler  Cari  C.  —  Op.  57.  BriUe  Sonate  fìir  Orgel  —  Breitkopf  e  H&rtel. 
D*nna  correttezza  piacevole,  senza  dinotare  il  desiderio  d*uno  stile  originale  e 
moderno. 

Sonneek  0*  0.  —  Op.  12.  Vermiachte  Lieder.  —  Breitkopf  e  H&rtel. 

Di  carattere  non  ancora  ben  definito  perchè  possiamo  scorgere  le  tendenze  del 
compositore. 

Straoss  Biohard.  —  Op.  45.  Drei  Mànnerch&re,  —  Adolf  Fflrstner.  Berìin. 

I  tre  cori  hanno  per  titolo:  Sehiaehigeeang,  Lied  der  Freundechaft,  Ber 
Brattang. 

Tifi  caratteristici  sono  i  due  primi,  con  momenti  felici  e  qua  e  là  i  tratti 
stilistici  di  Strauss.  Libera  la  condotta  delle  voci,  né  il  coro  si  svolge  a  quattro 
parti  reali:  le  voci  procedono  talora  per  ottava.  Pagine  piacevoli,  non  tengono 
però  nella  produzione  di  Strauss  che  un  posto  secondario. 


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254  ELENCO  DELLA  MUSICA 

Stradai  Aagast.  —  Im  Sturm.  Biade  ^r  P.forte.  ~  Breitkopf  e  H&riel. 

Bravour.  Stadie  fùr  P.forte  (da  un  Capriccio  di  N.  Paganini).  —  J.  Scha- 
berth.  Leipzig. 
Trascrizioni  per  P.forte: 

G.  Frescobaldi,  Passacaglia  per  Organo.  —  J.  Scbabert. 
'  Anton  Brcokner,  Ottava  Sinfonia.  —  Cari  Haslinger  quondam  Tpbias.  Wien. 
Im  Sturm  è  ano  stadio  di  gran  forza  ed  effetto,  secondo  Io  stile  degli  stadi 
di  Liszt:  il  pensiero  mosicale  si  mantiene  continao,  né  viene  travolto  sotto  i 
passaggi  pianistici.  D*altro  carattere  e  di  piacevole  eleganza  si  presenta  lo  stadio 
imitato  da  Paganini.  Lo  Stradai,  ano  degli  aitimi  allievi  di  Liszt,  conosce  a 
fondo  le  risorse  della  tecnica  pianistica  odierna  e  si  compiace  di  metterle  in 
mostra.  Un  vero  regolo  ai  musicisti  è  la  splehdida  trascrizione  della  Sinfonia 
di  Brackner,  il  forte  sinfonista  che  solo  dopo  morte  ottenne  giustizia  presso  il 
pubblico  tedesco.  Delle  Sinfonie  di  Brackner  più  di  frequente  eseguite  in  Ger- 
mania sono  la  qaarta  —  lavoro  an  pò*  accademico  — ,  la  quinta,  il  cui  finale 
sta  fra  le  più  grandiose  pagine  della  prodazione  odierna,  la  settima  e  Fotta  va; 
le  due  altime  si  raccomandano  per  la  correttezza  delle  proporzioni.  In  Atalia,  in 
Francia  e  nel  Belgio  il  Brackner  è  ancora  sconosciuto,  e  dobbiamo  essere  grati 
allo  Stradai  di  contribuire  alla  diffusione  di  queste  sinfonie,  che  sarebbe  vergo- 
gnoso lasciare  in  dimenticanza;  speriamo  che  A.  Stradai  vorrà  continuare  nella 

sua  bella  iniziativa. 

'  • 

Wtelimayer  Tkeodor.  —  Schule  der  Finger- Technik,  5  Spedal-Ettiden  fttr 
P.forte..  —  J.  Schubert  Leipzig. 

Raccomandiamo  agìi  insegnanti  la  Schule  der  Finger- Technik  :  non  è  la  ri- 
petizione di  cento  altre  raccolte  d'esercizi,  bensì  un  lavoro  originale  condotto 
razionalmente  su  nuovi  principi.  Facciamo  nostre  le  osservazioni  premesse  dal- 
Tautore:  dato  che  il  grado  di  forza  e  d'indipendenza  d'ogni  dito  è  in  ragion 
diretta  del  numero  di  volte  che  il  dito  agisce,  sorprende  che  nei  soliti  esercizi 
le  dita  lasciate  oziose  sono  appunto  quelle  più  deboli,  cos\  il  quarto  e  qainto 
dito.  L*A.  accenna  a  tre  manaali  in  uso:  in  uno,  sa  75  esercizi,  il  terzo  dito 
agisce  300  volte,  il  quinto  124;  io  un  altro,  su  23  esercizi  pel  qointo  dito, 
questo  agisce  81  volte,  invece  il  secondo  e  il  terzo  197.248  volte. 

L*uguaglianza  di  lavoro  non  si  ottiene  nello  studio  delle  scuole,  non  nel  co* 
mune  esercizio  ascendente  e  discendente  di  cinque  note»  non  negli  arpeggi,  oc- 
corre dunque  una  serie  graduata  e  classificata  di  esercizi  spedali  per  oti«oere 
ana  perfetta  indipendenza  ed  uguaglianza  delle  dita;  a  ciò  mira  il  presente  ma- 
nuale, che  ha  diritto  ad  ogni  lode. 

I  cinque  Studi  speciali  sono  trasformazioni  di  studi  di  Ealkbrenner,  Craroer 
e  Ries,  e  servon  d'esempio  allallievo,  che  potrà  applicare  lo  stesso  noetodo  ad 
altri  studi;  è  il  mezzo  più  rapido  di  progresso  per  chi  dispone  di  poco  tempo 
ed  è  costretto  a  limitare  la  materia  di  studio. 

Giuseppe  Maqrini,  Gerente  responsabile. 


Torino  —  Vincenzo  Bona,  Tip.  di  S.  M.  e  de'  RR.  Prìncipi 


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-t-memoi^ie-i- 


La   niusique   scandinave 
au  XIX^  siede. 

Danemark  et  Suède. 

V>.  est  surtout  au  dix-neuvième  siècle  que  la  musique  scandinave, 
s'émancipant  peu  à  peu  des  influences  étrangères,  a  acquìs  une  ori- 
ginalité  propre,  un  accent  distìnct.  Le  présent  travail  sera  consacré 
à  examiner  tour  à  tour  ce  qu'a  produit  ce  mouvement  dans  les  trois 
royaumes. 

En  ce  qui  concerne  le  Danemark,  nous  rencontrons  tout  d'abord 
Weyse  (1774-1842),  à  qui  l'on  doit  des  opéras,  des  coropositions  re- 
ligìeuses,  une  symphonie,  d'autres  pièces  d'orchestre,  de  la  musique 
pour  piano,  etc.  Un  nom  plus  considérable  est  colui  de  Johann-Peter- 
Emile  Hartmann,  né  en  1805,  et  qui,  par  la  suite,  devint  le  beau- 
pére  de  Gade.  Son  grand-pére,  allemand  (son  nom  a  été  mentionné 
dans  notre  précédente  étude),  fdt,  en  1763,  musicien  de  la  Chambre 
du  Boi,  à  Copenhague.  Dans  la  mSme  ville,  son  pére  fut,  pendant 
de  longues  années,  organiste  de  Téglise  de  la  Qarnison.  Quant  à  lai, 
nous  le  voyons  aborder  la  scéne,  dés  1832,  avec  k  Carbeau,  puis, 
en  1834,  avec  les  Comes  éPor,  et,  en  1835,  les  Corses.  En  1840, 
on  le  nomma  directeur  du  Conservatoire  de  Copenhague.  En  1874, 
le  cinquantiéme  anniversaire  de  son  entrée  dans  la  carrière  artistique 
fut  célèbre  par  un  grand  concert,  dont  le  benèfico  servit  à  créer  une 
fondation  portant  son  nom.  L' Université  de  la  capitale  lui  conferà 
letitre  de  docteur  honoris  causa.  On  Ta  regardé  comme  ayant  été, 
dans  ses  oeuvres,  le  premier  représentant  de  l'école  romantique  à 

ai9iita  mtuieaU  italiana,  Vm.  11 


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256  MSMORIE 

tendances  scandinaves.  En  ce  seiis  il  a  précède  son  illastre  gendre. 
A  ses  (Buvres  déjà  énumérées  joignons  son  opera  Liden  Krisien 
(1846),  la  musique  de  scène  qu'  il  composa  pour  plusieurs  drames, 
des  ouyertures,  des  symphonies,  des  cantates  (une,  entre  autres,  en 
1848,  pour  les  funérailles  de  Thoryaldsen),  un  concerto  pour  violon, 
des  cycles  de  Lieder  {Salomon  et  la  Stdamiie^  Hjortens  Flugi),  et 
de  jolis  morceaux  de  piano  {Novelettes). 

Son  contemporain  H.Hung,  né  en  1807,  a  été  directeur  des  choBurs 
à  rOpéra,  et  fondateur  de  la  Société  Sainte-Cécile,  sur  laquelle  nous 
aurons  à  reyenir  plus  loin.  Il  fut  l'auteur  de  la  musique  de  scène 
d'un  grand  nombre  de  drames. 

Non  moins  populaires  sont  les  mélodies  de  Joban-Ole-Emil  Hor- 
nemann  (1809-1870).  —  Quant  à  Hans  Matthison-Hansen  (1807- 
1890),  qui  d'abord  étudia  le  droit,  ce  fut  d'après  les  conseils  de 
Weyse  qu'il  se  voua  à  l'art  musical.  Excellent  virtuose  sur  l'orgue, 
il  fut,  dès  1882,  choisi  comme  organiste  du  Dòme  de  Boeskilde, 
un  des'postes  les  plus  en  vue  du  royaume.  Pendant  de  longues  an- 
nées  il  occupa  cotte  position.  Gompositeur,  il  n'a  produit  que  de 
la  musique  religieuse,  un  oratorio,  Johannes,  des  psaumes  avec  or- 
cliestre,  des  cantates  d' église,  des  sonates,  préludes  et  postludes 
pour  orgue,  etc.  Ne  le  séparons  point  de  son  fils,  Oot&ed,  qui  fut 
quelque  temps  son  suppléant,  et  qui  depuis  passa  à  Téglise  allemande 
Friedrichskirche,  à  Copenhague,  puis  à  Téglise  St-Jean,  et  enfin  à 
la  Trinité.  Une  bourse  de  la  fondation  Ancker  lui  permit  d'étudier 
à  Leipzig.  Il  a  contribué  à  la  création,  à  Copenhague,  d'une  insti- 
tution  de  concerts,  Euterpe,  qui  subsista  trois  ans.  Les  concerts  qu'il 
a  donnés  en  Danemark'et  en  Allemagne  ont  été  très  sui  vis.  Il  y  a 
lieu  de  mentionner  favorablement  ses  productions  fort  distinguées 
(trio  avec  piano,  sonate  pour  violon,  sonate  pour  violoncello,  mor- 
ceaux pour  orgue  et  pour  piano,  etc.). 

Comme  organiste,  également,  Berggreen  avait  acquis  de  la  répu- 
tation.  On  doit  citer  ses  mélodies,  où  il  s'est  préoccupé  du  coloris 
national.  Au  théàtre,  à  Copenhague,  il  fit  jouer  un  ouvrage  de  demi- 
caractère,  le  Portrait  et  le  Buste.  Son  journal  musical,  Heimdal, 
n'eut  qu'une  existence  assez  brève. 

C'est,  comme  producteur,  parmi  les  artistes  «  de  transition  »  que 
l'on  peut  classer  Siegfried  Saloman;  son  opera,  Orage  en  BalécarUe, 


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LA  HUSIQUB  SGANDINAVB  AU  XIX*  SIÈGLS  257 

snr  un  livret  de  Lyser,  fut  joué  en  1844  au  Théàtre  Royal  de  Co- 
penhague.  La  réassite,  déjà  brillante,  fut  encore  surpassée  par  celle 
de  la  Croix  de  diamantSj  donnée  troìs  ans  après,  et  montée  presque 
immédiatement  à  Berlin.  Ces  deux  ouyrages  étaient  en  troìs  actes. 
Le  repertoìre  de  Saloman  se  complète  par  un  acte,  les  Épreuves  du 
cceur^  représenté  à  Copenhague,  et  par  une  autre  petite  oeuvre,  sur 
un  poème  allemand,  qui  fut  assez  vivement  goùtée  à  Darmstadt  et 
à  Francfort. 

Gomme  violoniste,  Saloman  avait  été  élève  de  Christian  Selmer, 
et  avait  re^u,  à  Dresde,  les  conseils  de  Lipinski.  Ses  études  d'har-' 
monie,  commencées  avec  Weyse,  avaient  été  continuées  auprès  de 
Frédéric  Schneider.  Esprit  ouvert  et  omé,  il  sut  intéresser  le  public 
danois  par  des  lectures  publiques  et  des  conférences.  Après  son  ma- 
riage  aree  la  cantatrice  suédoise  Henrìette  Nissen,  il  eut  une  existence 
assez  errante,  qui,  après  Tavoir  mene  en  AUemagne,  en  Suisse,  en 
Belgique,  etc,  le  conduisit,  finalement,  en  Russie. 

À  l'histoire  du  théàtre  à  Copenhague  appartiennent  les  succès 
remportés  par  Loewenskiold  avec  Sara,  opera  plusieurs  fois  repris, 
et  avec  le  ballet  intitulé  le  Printemps  à  Athènes.  —  Quelques  années 
auparavant,  Bredal,  chef  d'orchestre  de  ce  théàtre,  j  avait  fait  re- 
présenter,  et,  ce  semble,  sans  grand  éclat,  une  Fiancée  de  Lammer- 
moor  et  un  autre  ouvrage  intitulé  les  Ghierillas. 

Nous  ferons  ici  une  place  à.Édouard  Lassen,  qui  était  né  à  Co- 
penhague en  1830,  et  qui  fut,  à  Bruxelles,  un  des  élèves  les  plus 
distingués  de  Fétis.  Il  obtint,  en  1851,  le  grand  prix  de  composition 
institué  par  le  Gouvernement  belge.  Dans  ses  excursions  artistiques 
en  Àllemagne,  il  fixa  Tattention  de  Spohr  et  de  Liszt,  toujours  si 
généreusement  sympathique  aux  talents  jeunes,  et  par  Y  influence 
duquel,  à  Weimar,  on  monta  le  Boi  Edgard,  opera  en  trois  actes. 
La  musique  fut  très  goùtée  dans  le  milieu  si  artiste  de  la  cour 
grand-ducale,  à  laquelle  Lassen  fut  peu  de  temps  après  attaché  comme 
chef  d'orchestre,  fonction  qu'il  remplit  avec  activité  et  compétence. 
Sur  la  scène  de  Weimar,  il  fut  de  nouveau  fort  applaudi  en  1860,- 
quand  il  donna  son  Frauenloh^  dont  le  poème,  dtì  à  M.  Pasque, 
ayàit  pour  héros,  comme  colui  de  Tannhàuser,  un  célèbre  «  min- 
nesìnger  ». 

Il  y  avait  égaleraent  du   savoir,  du  calcul,  de   la  maturité  et 


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258  MSJfORis 

da  talent  dans  la  grande  marche  pour  orchestre  composée  par  le  mème 
à  l'occasion  d*uDe  visite  royale  prussienDe  dans  le  Grand-Daché.  Une 
belle  symphonie,  des  lieder  concis  et  expressife  montrent  aussi  tout 
ce  qu'il  y  avait  de  sérieuse  valeur  en  Lassen,  qui,  n'oubliant  pas 
ce  qu*  il  devait  de  reconnaissance  à  Bruxelles,  écrivit,  pour  étre  exé- 
cuté  à  Sainte-Gudule,  un  retentissant  Te  Deum^  lors  de  Taaniver- 
saire  du  fondateur  de  la  monarchie  belgd  Léopold  I*'. 

De  Taveu  general,  un  rang  tout  à  fait  à  part  appartient  à  Niels- 
Wilhelm  Gadei  unanimement  envisagé  par  la  critique  comme  «  le  plus 
éminent  compositeur  danois  ».  Fils  d'un  luthier,  il  se  forma  d'abord 
lui-méme,  et  subit  ensuite  l'influence  de  deux  hommes  nommés  ci- 
dessus,  Weyse  et  Berggreen.  Ajoutons  que,  pour  le  violon,  il  fut 
Télève  de  Wexschall,  dont  nous  parlerons  plus  loin.  Gade  fit  partie 
de  la  Chapelle  Boyale,  et  acquit,  gràce  à  cotte  circonstance,  une 
remarquable  expérience  pratique.  A  un  concours  ouvert  en  1841  par 
la  Socìété  de  Musique  de  Copenhague,  concours  jugé  par  Fr.  Schneider 
et  Spohr,  il  obtint  le  prix  pour  son  ouverture  intitulée:  Échos  d'Ossian. 
Avec  une  subvention  de  l'État,  il  séjouma  à  Leipzig,  où  il  fut  bien 
accueilli  par  Schumann  et  Mendelssohn.  Ce  demier  fit  jouer  sa  pre- 
mière symphonie,  en  ut  mineur.  A  la  suite  d'un  voyage  en  Italie, 
Gade  suppléa  quelque  temps  Mendelssohn  à  la  téte  de  l'orchestre 
du  Gewendhaus,  où  il  resta  ensuite  comme  second,  puis,  après  la 
mort  de  l'auteur  de  Paulus^  comme  premier  chef.  De  retour  dans 
sa  patrie,  il  y  òbtint  un  poste  d'organiste.  Directeur  des  concerts 
de  la  Société  de  Musique,  il  donna  à  ces  exécutions  un  grand  dé- 
veloppement;  le  succès  fut  tei  que  l'on  dut  désormais,  comme  cela 
se  pratique  à  la  Société  des  Concerts  de  Paris,  donner  deux  fois 
chaque  programmo.  Honoré  des  titres  de  Docteur  et  de  Professeur 
par  r  Université  de  Copenhague,  il  remplit  quelque  temps  par  interim 
les  fonctions  de  maitre  de  chapelle  à  la  cour. 

Gade,  a  écrìt  Biemann,  «  fut  le  principal  représentant  du  roman- 
tisme  parmi  les  compositeurs  scandinaves,  mais  son  scandinavisme  ne 
consiste  qu'en  un  colorìs  intéressant,  en  un  soufBe  poétique  étrange; 
les  particularités  harmoniques,  mélodiques  et  rythmiques  de  la  mu- 
sique populaire  du  Nord  ne  s'étalent  point  en  ses  oeuvres  d'une  fa9on 
criarde  ». 

Très  actif  comme  professeur  et  chef  d'orchestre,  Gade  a,  comme 


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LA  MUSIQUE  SCANDINAVI  AU  XIX*  SIÈGLS  250 

compoBiteur,  beancoap  prodait.  Signalons  ses  huit  symphonies,  ses 
cÌDq  ou?ertares  (en  particulier  celles  à' Hamlet  et  de  Mtehel-Angé); 
ses  Noveìettes  pour  orchestre;  sa  masiqne  de  chambre  (quintette, 
sextuor,  octaor  pour  instruments  à  archet,  trio  avec  piano  en  fa 
majeur^  etc.);  ses  morceaux  pour  violon,  piano;  ses  huit  cantates 
(surtout  Cimala^  la  Fiìie  du  Boi  des  Aulnes,  Calanus,  Psyehé); 
ses  Ueder  allemands  ou  scandinaves;  ses  chosars  avec  orchestre;  ses 
choeurs  pour  yoix  d'hommes,  ses  chcBurs  mixtes,  sa  musique  reli- 
gìeuse.  —  Indiquons  en  terminant  la  publication  relative  à  ce  maitre, 
qui  porte  la  signature  de  Dagmar  Ghide  (Bàie,  1893). 

Nou8  ne  pouvons  guère  que  nommer:  Gerson,  pianiste  et  compo- 
siteur,  dont  Fon  cite  un  Pater  Noster  pour  quatre  voix  seules,  avec 
un  choBur  d'hommes  sans  accompagnement;  —  Helsted,  auteur  d*une 
Symphùnie^ldyìle  accuerllie  favorablement  à  Leipzig  en  1847;  — 
Comelius  Gurlitt,  qui  a  mentre  quelque  talent  dans  ses  sonates,  soit 
pour  piano  et  violoncelle,  soit  pour  piano  et  violon. 

Compositeur  d'oBUvres  pour  sóli^  cboeurs  et  orchestre,  et  de  chants 
pour  une  ou  plusieurs  voix  très  estimés  de  ses  compatriotes,  Heise, 
né  en  1830,  a  fait  jouer  avec  succès  à  Copenhague,  en  1869,  la 
FiUe  du  Pacha.  —  Plus  jeune  de  treize  ans,  Hamerik,  élève  de 
Mattbison-Hansen  et  de  Gade,  puis,  à  Berlin,  de  Bulow,  fut,  gràce 
à  Berlioz,  qu'il  avait  accompagné  dans  son  voyage  à  Vienne,  nommé 
membro  du  jury  musical  de  l'Exposition  de  Paris,  en  1867.  Il  obtint 
alors  une  médaille  d'or  pour  son  Hymne  à  la  Paix^  exécuté  par  des 
choeurs  nombreux,  un  orchestre,  deux  orgues,  quatorze  harpes  et 
quatre  oloches.  Sur  la  liste  de  ses  ouvrages  figurent  trois  opéras: 
Tovelille^  Hjalmar  et  Ingébùrg^  le  Voyagewr  (1872),  un  autre  opera 
sur  un  texte  italien,  la  Vendetta,  représenté  à  Milan  en  1870;  la 
Trilogie  juive  et  la  Trilogie  chrétienne,  oeuvres  chorales,  cinq  Suites 
du  Nord  pour  orchestre,  cinq  symphonies  {Poétique,  Tragique,  Ly- 
rique,  Majestueuse,  Sérieusé),  un  quatuor  avec  piano,  une  fantaisie 
pour  violoncello  et  orchestre,  des  cantates,  des  morceaux  de  chant,  et 
une  composition  que  nous  ne  savons  comment  classer,  parco  qu'elle 
porte  ce  titre  singulier:  Opera  sans  paroles  (1883). 

Depuis  1871,  ce  musicien  dirige  la  section  musicale  de  V  Institut 
Peabody,  à  Baltimore,  où  il  a  beaucoup  développé  Tactivité  de  la  vie 


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musicale.  Les  concerts  Peabody,  sous  sa  direction,  exécutent  des  prò- 
grammes  d'une  grande  variété  et  d'une  grande  richesse. 

C'est  à  la  m§me  generation  qu'appartient  Emil  Christian  Home- 
mann,  fils  d'un  artiste  précédemment  nommé,  et  compositeur  distingue 
•de  mélodies.  Il  dirige  à  Gopenhague  une  école  de  musique. 

Nous  rencontrons  maintenant  tout  un  groupe  d'élèves  de  Gade: 
tout  d'abord,  Émile  Hartmann,  fils  du  musicien  de  grande  valeur, 
dont  il  a  été  question  plus  haui  D'abord  organiste  d'une  église  de 
Gopenhague,  puis,  en  1871,  du  Ch&teau,  il  a  été  ensuite  obligé,  par 
raisons  de  sante,  de  se  retìrer  à  SOlleròd^  dans  les  environs  de  la 
capitale.  Farmi  ses  oeuvres,  nombreuses  et  diverses,  nous  indiquerons 
les  Danses  populaires  du  Nord,  pour  orchestre,  des  Lieder,  une 
ouverture,  trois  symphonies,  une  suite  d'orchestre,  un  choBur,  Hiver 
et  Priniemps,  plusieurs  opéras:  Die  ErìendmOdchen  (1867)/ Die 
Niooej  Die  Korsikauer;  un  ballet,  un  concerto  pour  violon,  un  autre 
pour  violoncello,  un  trio  avec  piano,  une  sérénade  pour  piano,  vio- 
loncello et  clarinetto,  etc.  —  Plus  jeune  d'une  dizaine  d'années,  Karl 
Attrup  a  succède  à  son  maitre  Gade  comme  professeur  d'orgue  au 
Conservatoire.  Organiste  tour  à  tour  aux  églises  St-Frédéric  et  du 
St-Sauveur,  professeur  d'orgue  à  l' Institut  des  Aveugles,  il  a  fait 
preuve  de  talent  dans  ses  Lieder  et  dans  ses  ouvrages  pédagogiques. 
—  Schytte,  qui  a  refu  les  lefons  de  Liszt  après  celles  de  Gade,  et 
qui,  depuis  1886,  est,  à  Vienne,  professeur  de  piano  à  l' Institut 
Horak,  s'est  également  fait  remarquer  par  ses  ouvrages  d'enseigne- 
ment.  En  tant  quo  compositeur,  on  lui  doit  un  concerto,  une  oeuvre 
intitulée  Pantommes^  une  sonate,  des  fantaisies,  des  Études  spécicdes, 
des  scènes  de  ballet,  une  Symphanie  enfantine,  des  lieder,  et  une 
scène  dramatique,  Hero,  exécutée  au  Thé&tre  Boyal,  à  Gopenhague, 
en  1898. 

Nous  avons  encore  à  appeler  l'attention  sur  Lange-MAller,  né  en 
1850,  dont,  au  concert  danois  de  l'année  demière,  à  l'Exposition  de 
Paris,  on  a  exécuté  deux  compositions  vocales:  Nous  te  saluons, 
Étoile  de  la  mer  et  La  Vierge  sur  les  vagues;  —  et  Frédéric  Bung, 
fils  d'un  des  maìtres  antérieurement  énumérés,  de  qui,  au  méme 
concert,  le  choeur  a  &it  entendre:  A  ma  Muse,  et  qui  est  actuel- 
lement  place  à  la  téte  de  l'orchestre  du  Thé&tre  Boyal. 

Les  journaux  musicaux  ont  récemment  publié  l'information  sui- 


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LA  MU8IQUE  SCANDINAVE  AU  XIX*  SIEGLB  261 

yante  :  «  La  ville  d'Aarhus,  chef-lieu  de  la  province  de  Jutland, 
vien  d'inaugurer  son  nouveau  théàtre  avec  une  oeuvre  également 
nouvelle  du  compositeur  danois  le  plus  en  vue  à  l'heure  actuelle, 
Anguste  Enna.  L'opera  en  question  est  un  conte  musical:  la  Prin- 
cesse et  le  Petit  pois^  d'après  Andersen.  Un  peu  dans  le  mème  gonre, 
Enna  vient  de  terminer  un  acte  humoristìque:  la  Petite  fUle  et  les 
Allumettes,  qui  sera  représenté  prochainement  à  Bréme  ».  Enna  est 
né  en  1860.  Son  grand-pére  était  d'origine  italienne.  Il  a  appris  la 
musique  à  peu  près  seul.  D'abord  auteur  d'une  operette,  une  Histoire 
de  viUage,  représentée  dans  les  petites  villes  de  province,  il  a  été 
pianiste  de  bals,  puis,  en  1883,  chef  d'orchestre  d'une  troupe  de 
'  théàtre  faisant  des  «  tournées  ».  Il  composa  pour  son  orchestre  une 
dizaine  d'ouverture»,  puis  publia  des  lieder^  des  pièces  pour  piano, 
une  suite  d'orchestre,  une  symphonie,  etc.  Boursier  de  la  fondation 
Ancker,  il  séjourna  en  AUemagne.  Il  a  ensuite  donne  Die  Hexe 
(Copenhague,  1892,  en  allemand,  à  Berlin,  1893);  Cleopatra  (Gopen- 
hague,  \9Q^)\Ancas8ÌnetNicólette  (1896).  Un  autre  ouvrage,  Lamico^ 
est,,  nous  dit-on,  refu  aux  thé&tres  de  Copenhague  et  d'Anvers. 

Après  avoir  parie,  dans  les  limites  assez  étroites  que  notre  cadre 
nous  impose,  de  la  eomposition,  nous  ferons  une  petite  part  à  l' his- 
toire résumée  de  la  virtuosité.  A  cet  égard,  pour  ce  qui  concerne 
le  violon,  nous  rencontrons,  dans  la  première  moitié  du  siècle,  Jansen, 
né  en  Allémagne  de  parents  danois,  artiste  de  ménte,  mais  qui  eut 
une  carrière  malheureuse,  et  mourut  niisérable  en  Italie  ;  —  et  Wex- 
schall  (1798-1845),  excellent  élève  de  Spohr,  professeur  très  distingue, 
maitre  de  Gade,  comme  nous  l'avons  note  en  passant,  et,  à  partir 
de  1835,  violon  sólo  de  la  Chapelle  Boyale'à  Copenhague.  —  Un 
autre  habile  instrumentiste,  Eellermann,  un  peu  postérieur,  se  fit 
avantageusement  connaitre  par  de  nombreuses  tournées  de  concerts, 
et  devint  titulaire  d'un  des  premiers  pupitres  de  l'Orchestre  Koyal. 
Nous  croyons  pouvoir  classer  parmi  les  Danois  les  frères  Boie,  vib- 
lonistes  particulièrement  appréciés  dans  les  concerts  de  musique  de 
chambre;  Tun  d'eux,  Heinrich,  a  compose  pour  le  théàtre.  —  Comme 
pianiate,  nous  mentionnerons  Hartvigson,  qui  a  compté  parmi  ses 
maitres  Gade  et  Bulow.  Il  s'est  fait  une  situation  enviable  dans  le 
monde  artiste  de  Londres,  et  il  a  été,  en  1873,  nommé  pianiste  de 
la  Princesse  de  Galles.    Son  frère,  Anton,  un  peu  plus  jeune,  est 


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MEMORIE 


également,  en  tant  qu'exécutant  et  professear,  fort  bien  yu  du  public 
londonien.  —  Un  Autiste,  Jensen,  attaché  à  la  Chapelle  Boyale,  écrivit 
pour  son  instrument  une  assez  grande  quantité  de  pièces  dénotant 
beancoup  d'expérìence  technique.  —  Signalons  aussi  l'organiate  Kat- 
terfeldt,  homme  d'une  réelle  capacitò,  qui  finit  par  tenir,  à  Hambourg, 
le  grand  orgue  de  Téglise  St-Michel. 

Nous  avons,  au  passage,  fait  remarquer  qu'un  certain  nombre  de 
composit-eurs  danois  ont  été  de  bons  chefs  d'orchestre.  A  ce  demier 
point  de  yue,  et  pour  ne  rien  omettre,  qu'il  nous  soit  permis,  en  ce 
qui  concerne  la  simple  musique  de  danse,  d'évoquer  le  souvenir  un 
peu  ancien  de  Lumbye,  que  l'on  a  sumommé  «  le  Strauss  du  Nord  ». 
Il  se  rapproche  en  effet  de  Strauss  ainsi  que  de  Lannen  Excellent 
«  conducteur  »  en  son  genre,  il  a  dirige  à  Paris  une  entreprise  qui 
tout  d'abord  obtint  une  réussite  brillante,  mais  que  des  frais  énormes 
rendirent  à  la  longue  trop  onéreuse.  Il  s'est  produit  aussi  dans  di- 
verses  grandes  villes  d'AUemagne,  oii  l'on  appréciait  ses  «  dons 
d' invention  »,  son  aisance  à  créer  des  rythmes,  son  instrumentation 
relativement  soignée.  Environ  trois  cents  danses  diverses  sont  sorties 
de  cette  piume  feconde. 

En  revenant  quelque  peu  en  arrière,  nous  grouperons  ici  certaines 
indications  se  rapportant  à  la  littérature  musicale.  Nous  mentionne- 
rons,  par  exemple,  Mutzenbucher,  mort  en  1838,  auteur  de  quelques 
opuscules.  Il  avait  forme  une  bibliothèque  considérable  et  intéres- 
sante. Amateur  distingue,  il  jouait  de  plusieurs  instruments  et  com- 
posait  avec  goùt  et  savoir.  —  Dans  une  dissertation  philosophiqne, 
le  théologien  Roford,  prédicateur  écouté,  exposa  les  effets  de  la  mu- 
sique «  sur  Torganisation  humaine  ».  —  Osted,  qui  occupa  une 
chaire  à  Copenhague,  a  touché  à  quelques-uns  des  plus  complexes  et 
des  plus  délicats  problèmes  de  l'acoustique  dans  sa  Lettre,  au  cé- 
lèbre professeur  Pictet,  sur  les  vibrations  sonores.  —  Stieler  fut 
Tauteur  d'un  bon  manuel  didactique.  —  Dans  cette  sèrie  nous  ferons 
encore  entrer  deux  noms,  ceux  de  Nìssen  et  de  Gelbke.  Nissen,  con- 
seiller  d'État,  attaché  au  Boi  de  Danemark,  avait  épousé  la  veuve 
de  Mozart.  Cela  le  conduisit  à  s'occuper,  pendant  un  quart  de  siècle, 
d'étudier  toutes  sortes  de  matériaux  et  de  documents  concernant  l'il- 
lustre artiste.  Il  en  resulta  un  livre  plein  de  détails  inédits,  abon- 
dant  en  lettres  originales  et  en  pièces  authentiques.  Ce  qui  est  assez 


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LA  MUSIQUE  SCANDINATE  AU  XIZ*  SIEGLB  263 

sìngttlier,  c*est  qne  ce  fut  madame  Nissen,  deux  fois  veuve,  survivant 
à  son  second  comme  à  son  premier  mari,  qui  tlut  faire  paraitre  l'ou- 
vrage  consacré  par  les  soins  de  l'an  à  la  gioire  de  l'autre. 

Quant  à  Qelbke,  qui  étudia  à  Leipzig  et  vécut  à  Hambourg,  qui, 
compositeur  peu  fécond  et  médiocrement  correct,  a  tontefois,  dans 
un  petit  nombre  de  lieder,  fait  preuve  d*originalité,  nous  en  avons 
dit  quelque  chose  dane  notre  Histoire  de  ìa  musique  allemande,  Nous 
venons  de  voir  un  Danois  travailler  à  consolider  la  gioire  de  Mozart; 
nous  avons  maintenant  affaire  à  un  autre  Danois  s'efibr9ant  de  de- 
molir ou  du  moins  d*entamer  la  renommée  de  Mendelssohn.  Contre 
lui  en  efiet  Gelbke  écrivit  un  assezlong  poème  satirique;  il  le  publia 
chez  Campo,  le  grand  éditeur  hambourgeois. 

Selon  notre  coutume,  nous  ne  devons  pas  oublier  ce  qui  regarde 
la  presse  musicale;  aussi  n'omettron&-nous  pas  de  mentionner  une 
publication  fort  répandue,  Musikbladet,  qui  parait  à  Copenbague. 

Cotte  ville  possedè  un  Conservatoire,  avec  un  corps  enseignant  de 
quatorze  professeurs.  D'après  les  intentions  du  «  donateur  »,  à  la 
libéralité  duquel  est  due  la  fondation  de  cet  établissement,  le  nombref 
des  élèves  ne  doit  point  dépasser  cinquante. 

Une  autre  institution  intéressante  est,  à  Copenbague,  la  Société 
Sainte-Cécile,  créée,  nous  l'avons  dit,  par  H.  Bung.  Tout  d*abord, 
l'unique  but  de  cette  association  était  le  cbant  des  cboeurs  a  capeUa 
des  XVI  et  XYII  siècles,  principalement  italiens.  Par  la  suite,  on 
comprit  dans  le  répertoire  des  oratorios  de  Bacb  et  de  Hàndel,  puis 
des  oeuvres  plus  modemes.  C'est  ainsi  que,  pour  cet  hiver,  est  an- 
noncée  Tezécution  des  BéaHtudes,  de  Cesar  Franck.  La  Société  Sainte- 
Cécile  se  compose  de  deux  cents  membres,  dont  cinquante  forment 
le  choBur  mixte  «  des  Madrigaux  ».  Le  directeur  actuel  est,  depuis 
1877,  le  fils  du  fondateur,  Frédéric  Bung,  dont  nous  avons  parie 
plus  baut. 

En  terminant  ce  qui  se  rapporto  au  Danemark,  —  et  non  sans 
avoir  signalé  le  nom  du  savant  critique  musical,  M.  William  Beb- 
rend,  à  Tobligeànce  duquel  nous  avons  dù  plusieurs  indications 
précieuses,  —  nous  appellerons  l'attention  sur  l' importance  de  la 
chanson  populaire  danoise,  dont,  au  reste,  nous  avons  eu  l'occasion 
de  parler  dans  un  précédent  travail.  Les  dilettantes  de  Paris  ont  pu 
en  prendre  une  idée,  lors  des  concerts  déjà  cités  de  Y  Exposition  de 


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264  MSMORIX 


1900,  en  écoatant  quelques  mélodìes  qui  comptent  parmi  les  meil- 
lears  spécimens  de  cét  ordre:  BoselUz,  Aage  et  Else^  Bamand  U 
jeunCj  etc. 


Nous  passonsà  la  Suède,  où,  nousTavons  vu,  à  la  fin  da  XVIII®  siècle, 
r  influence  des  Haydn  et  des  Mozart  s'était,  pour  ce  qui  regarde  la 
symphonie  et  la  musique  de  chambre,  beaucoup  répandue.  Sur  le 
théàtre  c'était  Mozart  encore  qui,  avec  Gluck,  s'imposait  à  l'attentìoD. 
Pèu  à  peu  s'introduisit  et  se  communiqua  le  goùt  de  Beethoven  et 
de  Weber. 

La  musique  recevait  de  précieux  encouragements  par  l'intéret 
qu'y  prenaient  les  hautes  personnalités  de  la  famille  royale.  Le  roi 
Charles  XIV  Jean  fit  apprendre  cet  art  au  prince  qui  devait  étre 
Oscar  P^  Peintre  et  poète,  le  roi  Charles  XV  fut,  par  surcroit,  mu- 
sicien,  et  le  prince  Gustave,  plus  tard,  composa  des  choeurs  pour 
hommes,  qui  aujourd'  hui  font  partie  du  répertoire  permanent  de 
toutes  les  sociétés  de  chant. 

C'est  rinfluence  allemande  que,  comme  compositeur,  subit  0.  Ahl- 
str5m,  mort  en  1835,  qui  fut  organiste  de  St-Jacob  à  Stockholm  et 
accompagnateur  de  la  cour.  On  lui  doit  de  la  musique  de  chambre. 
Notons  aussi  que,  cédant  à  une  préoccupatioa  alors  assez  nouvelle, 
il  èdita  un  recueil  de  danses  et  chansons  populaires  suédoises.  Il 
convient  de  mentionner  également  le  journal  musical  qu'il  rédigea: 
Musikalisk  Tidsfoerdrife.  N'omettens  point  de  signaler,  par  la  m§me 
occasion,  J.  N.  Àhlstròm,  auteur  d'opéras  et  de  lieder^  que  Riemann 
.  croit  fils  du  précédent. 

Un  peu  postérieur  à  0.  Àhlstrdm,  Arrhen  von  Eapfelman,  profes- 
seur  de  musique  à  TAcadémie  militaire  de  Garlsberg  et  membro  de 
l'Académie  Royale  de  Musique,  écrivit  de  préférehce  sur  des  mélodies 
suédoises.  Les  chants  à  plusieurs  voix  furent  le  genre  qu'il  cultiva 
le  plus  volontiers.  Il  est  l'auteur  du  Priniéfnps^  joli  quatuor  chanté 
tous  les  ans,  le  30  avrii,  par  l'Union  Chorale  «  alors  que,  sur  une 
colline  voisine  de  la  ville,  elle  célèbre  par  ses  hymnes  le  retour  du 
printemps  dans  le  Nord  ».  Arrhen  von  Kapplman  est  mort  en  1851. 

C'est  r  influence  allemande  qui  se  fait  sentir  dans  les  compositions 


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LA  MUSIQUE  SCANOÌNAYS  AU   XIX*  SQEGLB  «  265 

de  J.  E.  Nordblom  (1788.1848).  Quant  à  Franz  Berwald  (1796-1868) 
(son  OQcIe  Johann  a  été  un  ?ioloniste  remarqaable),  il  peat,  dans 
une  certaine  mesure,  étre  envisagé  comme  un  précurseur.  Son  oduvre, 
appréciée  surtout  depais  sa  mort,  a  exercé  une  action  incontestable 
sur  les  compositeurs  plus  modernes  de  la  Suède.  Ses  ouvrages,  estimés 
de  Liszt,  loués  par  Hans  de  Bulow,  ont  eu  du  retentissement  en 
Àllemagne  et  en  Angleterre.  Il  est,  nous  dit-on,  «  un  grand  nom  » 
sur  le  terrain  de  la  mnsique  instrumentale.  Il  faùt  citer  sa  musique 
pour  orchestre  (notamment  sa  Symphanie  sérieuse)  et  sa  musique  de 
chambre  (quintetto,  quatuor,  trio),  son  concerto  de  yiolon,  sa  «  com- 
position  avec  texte  tire  du  mythe  d'Odin  »,  pour  solo^  choeurs,  orgiie, 
et  deux  fanfares  placées  Fune  en  face  de  Fautre,  ses  six  opéras,  dont 
le  meilleur  est  peut-étre  Estreìla  di  Soria^  etc.  Berwald,  qui  s'était 
surtout  forme  lui-mgme,  fut,  à  la  fin  de  ^  vie,  professeur  de  com- 
position  et  d' instrumentation  au  Gonservatoire. 

Né  en  1809,  docteur  en  philosophie  en  1844,  précédemment  fon- 
dateur  de  l'Union  Chorale  Universitaire  de  Lund,  Otto  Lindblad  a 
rendn,  dans  cette  ville,  de  grande  services  au  chant  d'étudiants.  Ses 
mélodies  sont  remàrquables,  et  Fon  n'a  pas  ménage  les  témoignages 
d'admiration  à  ses  quatuors  et  choeurs  pour  voix  d'hommes.  L'un 
d*eux  est  devenu  le  chant  national  de  la  Suède.  SignaloDS  aussi  les 
Adieux  au  départ  du  hateau  à  vapeur,  morceau  très  fréquemment 
chanté  en  Scandinavie  et  en  Àllemagne.  Mais  «  la  place  d'honnenr  », 
selon  les  écrivains  suédois,  appartient,  en  ce  genre,  à  6.  Wennerberg 
(né  en  1817),  «  dont  les  hymnes  patriotiques,  depuis  deux  genera- 
tions,  électrisent  le  public  ».  D'autre  part,  il  a  «  par  des  tons  im- 
mortels,  peint  la  joyeuse  vie  des  étudiants  dans  le  recueil  de  duos 
les  Giuntarne  ».  Ce  recueil  se  compose  de  duos  pour  baryton  et 
basse  avec.accompagnement  de  piano,  où  est  décrite  avec  humour 
et  «  de  main  de  maitre  »  Fexistence  universitaire  à  Upsal.  On  lui 
doit  quelques  morceaux  de  style  religieux,  plusieurs  coUections  de 
chants  pour  solo^  duo  et  trio.  Les  hymnes^  dont  nous  nous  parlions 
tout  à  Fheure,  sont  souvent  confus  en  forme  de  marche.  Il  en  a 
parfois  écrit,  non  seulement  la  musique,  mais  aussi  le  texte.  C'est 
avec  sa  Marche  que  F  Union  Chorale  remporta  le  Grand  Prix  au 
concours  de  Paris  en  1867.  Get  homme  distingue,  tour  à  tour  poète, 
musicien,  critique,  homme  politique,  qui  a  occupé  quelque  temps  une 


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266  •  MBMORIB 

chaire  d' histoire  de  l'art,  a  été  tour  à  tour  conseiller  d' État,  mi- 
nistre de  r  InstructioD  publìque  et  des  Gultes,  et  gouvemeur  à  Vexìd. 

Il  est  juste  de  faìre  ici  une  place  à  certains  crìtiques  de  la  pre- 
mière partie  da  siècle,  dont  quelques-uns  ont  utilement  contribué 
au  développement  de  l'art  musical.  Nous  ne  pouvons  guère  que  nom- 
mer  l'académicien  Envalson,  auteur  du  premier  dictionnaire  musical 
qui  ait  para  en  langue  suédoise.  Il  avait,  pour  cette  entreprìse,  beau- 
coup  profité  des  ouvrages  antérieurs  de  Bousseau,  de  Brossard,  ainsi 
que  de  la  Théorie  des  Beaux-Arts  de  Sulzer.  —  Professeur,  archéo- 
logue,  historien,  poète,  plusieurs  fois  élu  recteur  de  TUniversité 
d' Upsal,  deux  fois  membre  de  la  Diète,  en  position  de  se  voir  con- 
férer  la  dignité  episcopale,  qu'il  ne  refusa  que  pour  pouvoir  se  livrer 
plus  librement  à  ses  travaux,  Erik-Gustave  Geijer  est,  dans  ce  siècle, 
une  des  figures  considérables  de  l' histoire  intellectuelle  et  artistique 
de  la  Suède.  Ses  lefons  très  suivies  avaient  fait  de  lui  l'un  des  fa- 
vorìs  de  la  jeunesse.  Ses  rares  facultés,  dans  l'ordre  de  la  crìtique 
historique,  se  déployèrent  sur  le  terrain  des  antiquités  scandinaves. 
Compositeur,  il  a  produit  des  oeuvres  d'une  valeur  vérìtable.  Pour 
son  importante  coUection,  en  trois  volumes,  de  Ghants  populaires 
suédois,  il  avait  eu  comme  coUaborateur  Afzelius,  spécialement  verse, 
comme  lui,  dans  Tarchéologie  nationale,  et  qui  enrìchit  Touvrage  de 
notes  da  plus  haut  intérèt.  Un  troisième  coopérateur,  Groenland, 
avait  été  chargé  d'écrire  les  accompagnements  de  piano  des  chants 
patiemment  et  intelligemment  recueillis.  —  Beaucoup  plus  tard, 
lorsqu'Erìk  Drake  donna  une  autre  sène  d'anciennes  mélodies  da 
méme  genre,  ce  fut  encore  Afzelius  qui,  par  un  commentaire  aussi 
ingénieux  que  savant,  se  chargea  de  déterminer  le  caractère  de  chaque 
fragment,  envisageant  surtout  le  point  de  vue  poétiqae,  et  notant 
les  rapports  du  sujet  avec  telle  ou  telle  tradition  populaire. 

Un  complément  des  plus  importants  fut  apporté  aux  rechercbes 
des  Afzelius  et  des  Geijer  par  Arwidson,  à  pen  près  leur  contempo- 
rain,  né  finlandais,  tout  d'abord  titulaire  d'une  chaire  historique  à 
r  Université  d'Abo,  rédacteur  de  la  Mnémosyne^  et  qui,  à  la  suite 
de  difficttltés  avec  le  Gouvemement  Busse,  paraa  en  Suède.  Il  s'y 
livra  à  de  vastes  travaux  de  littérature  savante,  soit  avant,  soit 
après  sa  nomination  comme  conservateur  de  la  Bibliothèque  Boyale 
à  Stockholm.  Ses  rechercbes  dans  le  Tiépartement  des  manuscrits,  tant 


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LA  MU8IQUE  8CANDUIAYB  AU  UX*  SIÈGLE  267 

à  Upsal  que  dans  la  capitale,  lui  fournirent  les  éléments  des  troia 
volames  où  il  recueillit  des  chants  anciens  en  les  ramenant  à  diffé- 
rents  types,  la  chanson  de  guerre,  la  chanson  légère,  la  chanson  de 
danse,  etc.,  etc.  Qaelques-uns  de  ces  chants,  notamment  dans  la  partie 
pabliée  en  demier,  sont  notes  avec  un  remarquable  scrupale,  un 
louable  scuci  de  respecter  la  forme  originale,  en  ce  qu'elle  offre 
méme  de  fruste  et  de  primitif.  —  Pour  les  deux  premiers  volumes, 
édités  en  1834  et  1737,  un  maitre  de  chapelle,  Eggert,  avait  foumi 
des  harmonisations,  qui  ne  sont  pas  à  Tabrì  de  toute  critique. 

Nous  revenons  à  la  composition  avec  J.  A.  Josephson  (1818-1880), 
qui  étudia  la  musique  à  Leipzig  et  à  Dresde,  et  fit  un  séjour  à  Bome. 
Directeur  de  musiqae  à  Upsal,  fondateur  d'une  Société  philharmo- 
nique,  il  put,  gràce  à  elle  ainsi  qu'à  l'Union  centrale  des  Étudiants 
et  à  l'Orchestre  académique,  donner  presque  tous  les  ans  de  grands 
coDcerts  soit  à  Upsal  soit  à  Stockholm  (il  fit,  dans  ces  séances, 
entendre  des  oratorios  de  H&ndel).  Organiste,  en  1864,  de  la  cathé- 
drale  d' Upsal,  revétu,  en  1874,  de  dignités  universitaires,  il  a  com- 
pose d'exquises  mélodies,  une  grande  oeuvre  pour  soli,  choeurs  et 
orchestre,  et  des  chants  à  plusieurs  ?oix  d'un  style  élevé,  notamment 
Notre  Paya. 

C'est  de  méme  en  AUemagne,  à  Leipzig,  que  s'effectuèrent  les 
études  d'Albert  Bubenson,  élève,  pour  le  vìolon,  de  Ferdinand  David, 
et,  pour  la  composition,  de  Hauptmann  (il  refut  aussi  les  le9ons  de 
Cade).  Yioloniste  à  l'orchestre  de  l'Opera  Boyal  de  Stockholm,  il  s'at- 
tacha,  comme  critique,  à  faire  connaìtre  les  oBuvres  de  Schumann. 
Il  a  été,  en  1872,  nommé  directeur  du  Conseryatoiìre,  fonction  où 
il  a  déployé  un  grand  zèlo.  Nous  indiquerons,  parmi  ses  oeuvres, 
une  symphonie  en  ut  majeur,  des  suites  d'orchestre,  des  ouvertures, 
des  quatuors  pour  instruments  à  cordes,  une  musique  de  scène  pour 
le  JtUes  Cesar  de  Shakespeare,  et  une  autre  pour  un  drame  de 
Bjdmson,  une  marche  triomphale  pour  l' inauguration  du  nouveau 
Conservatoire,  des  chants,  etc.  —  Un  de  ses  choeurs  d'hommes,  les 
Croisés,  est  devenu  très  populaire.  Trois  pièces  symphoniques  inté- 
ressantes  de  lui  ont  été  exécutées  au  concert  suédois  du  Trocadéro, 
le  2  juin  de  l'année  dernière. 

Pour  ce  qui  se  rapporto  au  théàtre,  il  importe  de  donner  un  sou- 
venir à  Brendler,  disparu  prématurément  en  1845;   il  y  avait  du 


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268  MEMORIE 

talent,  de  rìnspiration,  dans  la  musiqne  dont  il  avait  accompagné 
les  drames  intitniés  la  Mori  de  Spatara  et  Edmond  et  Clara,  Ces 
qualités  se  réalisaient  encore  avec  plus  d'amplear  et  de  puissance 
dans  la  partition  d'un  opera,  Ryno,  que  la  mort  Telnpécha  de  maitre 
en  scène. 

A.  Lindblad  (1801-1878)  s'est  place  à  un  rang  faonorable  avec 
son  opera  intitulé  les  Fraudeurs.  —  Nous  insisterons  un  peu  plus 
sur  Hallstròm,  né  en  1826,  et  qui,  se  destinant  à  la  magistrature, 
passa  ses  examens  de  droit  en  1849.  11  fut  l'ami  du  prince  Gustave, 
fils  du  rei  Oscar  II,  et  cité  plus  haut  pour  son  talent  musical.  A  la 
mort  du  prince,  le  roi  s'attacha  Hallstrdm  comme  bibliothécaire.  Il 
a  publié  des  chants  à  plusieurs  voix  et  des  mélodies,  et,  pendant 
cinq  ans,  a  dirige,  dans  la  capitale,  un  institut  renommé,  d'où  sont 
sortis  plusieurs  excellents  pianistes.  Il  a  compose  des  idylles  et  des 
ballades  charmantes,  et  des  chceurs  d'hommes  remarquables,  parti- 
culièrement  VBymne  à  la  Patrie^  tire  de  l'opera  Vickingame' (1877), 
où  il  a  traité  un  sujet  des  anciens  temps  scandinaves.  Les  critiques 
de  son  pays  l'applaudirent  d'avoir  introduit  des  mélodies  populaires 
dans  certaines  de  ses  oeuvres  (par  exemple,  dans  la  Jeune  Fille  en- 
Uvee  par  le  Gnome  :  1875).  «  Il  occupo  —  disent-ils  —  la  memo 
place  dans  l'histoire  de  notre  opera  que  Glinka  en  Bussie  et  Sme- 
tana  en  Bohème  ».  Ils  signalent  néanmoins,  à  d'autres  pages  de  ses 
oeuvres,  l'imitation  de  Meyerbeer  et  de  Gounod.  Aux  ouvrages  de 
théàtre  que  nous  avons  cités  nous  joindrons  Hertig  Magnus  (1867), 
et  la  Mqniagnarde  enlevée. 

Ce  n'est,  cfoyons-nous,  que  ,sous  la  forme  de  musique  de  scène 
(pour  Richard  111^  pour  Jeanne  d'Are  et  beaucoup  d'autres  drames) 
que  le  théàtre  a  été  abordé  par  Auguste  Sdderman  (1832-1876),  com- 
posi tour  d'un  ordre  élevé,  qui'n'avait  pas  révélé  de  dispositions  mu- 
sicales  dans  son  enfance,  mais  qui  depuis  manifesta  un  talent  rare 
dans  plusieurs  genres,  et  qui  a  été,  nous  dit-on,  «  place  au  premier 
rang  par  la  voix  populaire  ».  Chef  des  choeurs  à  l'Opera  Boyal  en 
1860,  et,  en  1861,  sous-chef  d'orchestre  de  la  Chapelle  de  la  Cour, 
il  fit,  en  1869  ej:  1870,  un  voyage  d'étude  à  l'étranger,  gr&ce  à  la 
subvention  Jenny  Lind.  On  lui  reconnait  «  un  style  vraiment  sue- 
dois  ».  C'est,  dit-on,  dans  ses  ballades  qu'  il  a  atteint  le  point  cui- 
minant  de  son  art.    Il  en  a  écrit  une  dizaine  pour  choeur  ou  sólo 


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LA  MUSIQUE  SCANDINAYK  AU  XIX*  SlfeCLE  269 

avec  orchestre  {le  Pèlerinage  à  Kevlaar^  Tannhduser^  etc.)t  doni 
les  écrivains  du  pays  disent  qu'  4^  elles  sont  ce  qu'on  possedè  de 
meìlleur  et  de  plus  caractéristique  ».  Il  ne  faut  oublier  ni  ses  choeurs 
d'hommes  qui  jouissent  d'une  grande  popularité,  ni  sa  messe  pour 
soli^  chceur  et  orchestre,  ni  ses  ouvertares  de  concert,  ni  ses  can- 
tates.  Il  y  a  de  l'originalité  dans  ses  mélodies,  où  il  se  mentre  tour 
à  tour  sentimental  ou  humoristique.  Son  harmonie  est  individuelle, 
son  orchestre  d*ane  ampleur  et  d'une  solidité  toutes  modemes.  — 
La  renommée  de  certaines  de  ses  compositions  {Noces  de  paysans^ 
suédois,  Marche  d' Ulfàsa)  s'est  répandue  fort  au  delà  des  limites 
de  la  Suède. 

On  nous  présente  également  comme  un  artiste  de  véritable  impor- 
tance  Ludvig  Norman  (1831-1885),  qui  publia  ses  premiers  essais 
musicaux  à  V  ftge  de  onze  ans,  qui  étudia  à  Leipzig,  fut  lié  avec 
Gade  et  avec  Schumann  dont  il  obtint  les  éloges,  et  qui  se  fit  une 
belle  réputation  de  pianiste.  Il  a  été,  à  partir  de  1858,  professeur 
de  composition  au  Conservatoire,  et,  à  dater  de  1861,  premier  chef 
d'orchestre  (et  chef  d'orchestre  excellent)  à  l'Opera.  Comme  critique, 
il  écrivit,  d'une  piume  elegante,  des  articles  très  remarqués.  Son 
activité  multiple  contribua  à  donner,  en  son  pays,  une  impulsion 
nouvelle  à  la  vie  artistique.  Cet  artiste  laborieux  et  modeste  avait 
épousé  la  célèbre  violoniste  Vilma  Neruda,  devenue  plus  tard  lady 
Halle.  Il  y  a  de  la  science  et  de  l'invention  dans  ses  trois  sym- 
phonies,  ses  onvertures  (notamment  celle  à'Antoine  et  Cléopdtre\ 
son  octuor,  son  sextuor,  son  quintetto,  ses  quatuors,  ses  cantates, 
chcBurs,  morceaux  de  piano,  mélodies  vocales,  etc. 

Nous  mentionnerons,  en  passant,  comme  intéressant  V  histoire  de 
la  musique  en  Suède,  la  présence  d'Ignaz  Lachner  (le  frère  de  Franz) 
comme  chef  d'orchestre  de  la  Cour,  à  Stockholm,  en  1858,  et  nous 
signalerons,  dans  la  composition  pour  orgue,  les  pièces  dues  à  Q.  Man- 
kell,  mort  en  1880,  et  à  O.  W.  Heintze,  sensiblement  postérieur,  et 
disparu  seulement  en  1895.  —  Avec  ce  dernier  nous  sommes  arrivés 
aux  musiciens  nés  vers  la  fin  de  la  première  moitié  du  siede,  tels 
que  Conrad 'Nordqvist  (1840),  fils  d'un  musicien  de  régiment,  et  qui 
est  devenu  premier  chef  d'orchestre  à  l'Opera  et  à  la  Chapelle  Boyale, 
professeur  au  Conservatoire,  organiste  de  la  plus  grande  église  de  la 
capitale.  Il  a  été  plusieurs  années  directeur  de  l'Opera,  et  a  dirige 


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270  MEMORIE 

les  concerta  de  rUnion  Musicale.  Ses  études  s'étaient  poursuivies  à 
Fétranger.  Instrumentiste  habile,  on  lui  doit  une  marche  funebre 
pour  Charles  XY,  devenue  populaire.  II  est  un  des  hommes  dont 
r  influence  s*est  fait  sérieusement  sentir  dans  le  développement  de 
Tart  musical  en  Suède. 

Nous  nous  trouvons  en  présence  d'une  attrayante  nature  artistique 
en  la  persònne  d'Andreas  Hallén,  né  en  1846,  qui  a  fait  ses  études 
à  Leipzig  et  à  Munich,  qui  a  dirige  les  concerts  symphoniques  et 
le  choeur  mixte  à  Gothembourg,  sa  ville  natale,  et  qui,  en  1884,  a 
forme,  dans  la  capitale,  la  Société  Philharmonique.  Il  a  prèside  à 
des  séances  de  musique  vocale  et  instrumentale  qui  pendant  dix  ans 
ont  constitué  un  facteur  essentiel  de  la  vie  musicale  à  Stockholm. 
De  1892  à  1897  il  a  été  chef  d'orchestre  à  l'Opera.  Critique  et 
compositeur,  il  a  été  Tun  des  premiers  apdtres  de  Wagner  en  Suède, 
non  sans  rencontrer  ^à  et  là  une  opposition  assez  vive.  Sur  la  liste 
de  ses  oeuvres  figurent  des  suites,  des  ballades,  des  mélodies,  des 
choeurs  et  autres  ouvrages  publiés  en  Suède  et  en  Allemagne,  et 
dont  plusieurs  ont  été  exécutés  à  l'étranger.  Il  a  cultivé  avec  succès 
le  genre  du  poème  symphonique  con^u  à  la  manière  de  Liszt.  Au 
concert  du  2  juin  de  l'année  demière,  au  Trocadéro,  l'on  a  exécuté 
une  charmante  composition  de  lui,  la  Fée  des  Bois.  Il  y  a  un  ca- 
ractère  personnel  et,  au  gre  de  quelques-uns,  vraiment  suédois  dans 
ses  opéras  HarcUd  Viking  (qui  a  été  joué  à  Leipzig),  le  Piège  à 
sarcières^  le  Trésor  de  Valdemar  (que  le  Théàtre  Boyal  a  représenté 
quarante  fois). 

La  méme  année  (1853)  a  vu  nattre  B.  Henneberg,  dont  la  mu- 
sique instrumentale  a  une  haute  valeur,  —  et  E.  SjOgren,  qui  s'est 
produit  avec  succès  dans  le  méme  genre,  et  qui,  de  plus,  est  regardé 
par  ses  concitoyens  comme  le  meilleur  de  leurs  compositeurs  actuels 
de  mélodies.  —  C'est  dans  la  catégorie  de  la  musique  instrumentale 
que  s'est  distingue  T.  Aulin  (né  en  1866).  —  Quant  à  0.  V.  Peterson- 
Berger,  né  en  1867,  on  lui  doit  des  opéras  sur  des  sujets  pris  à  la 
legende  cu  à  l'ancienne  histoire  des  contrées  du  Nord,  et  traités  dans 
un  style  empreint  de  l' influence  wagnérienne. 

Plus  jeune  encore,  Wilhelm  Stenhammar  (àgé  d' à  peine  trente 
ans)  a  écrit  deux  drames  lyriques,  montés  l'un  à  Stuttgart,  Tautre 
à  Stockholm.   La  première   exécution  de  ce  dernier,  Tirfing^  a  été 


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LA  MU8IQUB  SCANDINAVE  AU  XIZ*  SIÈGLE  271 

0 

conduite  par  lai  au  Théàtre  Boyal,  où  il  a  été  appelé  depuis  à  di- 
riger des  opéras  aussi  bien  que  des  concerts  symphoniques.  Il  est 
depuis  trois'ans  à  la  téte  de  la  Société  Philharmonique  de  Stock 
bolm.  On  lui  doit  des  ouvertures,  des  choeuis  et  ballades,  un  con- 
certo pour  piano  (il  est  lui-méme  excellent  pianiste),  trois  quatuors 
pour  instruments  à  cordes,  etc.  Une  gracìeuse  composition  de  luì, 
Flore»  et  BUmaeflor,  a  été  exécutée  cotte  année  à  Paris.  Avec  sa 
maitrise  déjà  réelle,  il  parait  appelé  à  un  bel  avenir. 

Son  contemporain,  Hugo  Alfvén  (1872),  élève,  pour  le  violon,  de 
Thompson  à  Bruxelles,  et  devenu  violoniste  à  la  Chapelle  de  la  Cour, 
a  séjoumé  en  Franco  et  en  AUemagne.  On  a  donne,  de  lui,  à  Paris, 
au  concert,  déjà  mentionné,  da  2  juin,  un  morceau  intéressant:  Pre- 
lude et  fugue.  Il  a  écrit  une  sonate  pour  violon,  une  romance  pour 
ce  m§me  instrument,  deux  symphonies  appréciées,  une  cantate,  une 
vingtaine  de  mélodies. 

D'après  une  excellente  étude  de  M.  Lindgren  déjà  cité  par  nous 
dans  le  travail  précédent,  nous  grouperons  ici  les  noms  de  quelques 
autres  compositears  suédois  du  dix-neuvième  siècle.  Mentionnons,  par 
exemple,  comnie  ayant  écrit  pour  le  théàtre,  sous  la  forme  de  TOpéra 
de  genre  ou  opéra-comique:  Struve  (mort  en  1826);  Dannstrdm  1812- 
1897);  Heland  (néen  1843)  ;  Kjellander  (né  en  1859);  Lewerth  (1818- 
1888);  Olànder  (1824-1886);  Jacobsson  (né  en  1835).  —  Gomme 
auteurs  de  symphonies  citons  Dente  (né  en  1838);  Bystrdm  (néen 
1821);  Andersen  (né  en  1845).  Signalons  aussi  comme  compositeurs 
pour  le  ?iolon:  Beckman  (né  en  1866);  Valentin  (né  en  1853);  Li- 
Ijefors  (né  en  1871).  —  Comme  compositears  pour  le  piano:  J.  A. 
Hàgg  (né  en  1850);  Dahl  (né  en  1864);  Back  (né  en  1868);  Lund- 
berg  (né  en  1863);  SedstrOm  (né  en  1862);  Brink  (né  en  1858); 
B.  Andersson  (né  en  1851);  Lindegren  (né  en  1842);  Bendahl  (né 
en  1847),  etc.  —  Comme  compositeurs  pour  Torgue:  G.  Hagg  (né 
en  1867). 

Indiquons  aussi  les  noms  de  quelques  dames  compositeurs:  Elfrida 
Andrée,  Armanda  Maier-Bdntgen,  Laura  Netzel,  Valborg-Aulin,  He- 
lène  Munktell  et  Ingeborg  Stark  von  Bronsart,  qui  appartient  main- 
tenant  à  TAUemagne,  mais  qui  est  née  suédoise. 

Pour  ce  qui  se  rapporto  non  plus  à  la  composition,  mais  à  Texé- 
cution  vocale,  on  peut  dire  de  la  Suède  qu'  il  est  un  pays  riche  en 

IU9ùia  mmicak  iiaUama,  Vili.  18 


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272  MEMORIE 

voix  pures,  sonores;  elle  a  produit,  à  cet  égard,  de  grands  artistes. 
En  ce  sena,  nous  évoquerons  tout  d'abord  le  souvenir  de  trois  illustres 
cantatrices,  Henriette  Nissen,  Jenny  Lind,  Christine  Nilsson. 

Henriette  Nissen  a  chanté  un  peu  partout,  et  méme  dans  sa  patrie. 
Elle  a  été  notamment  attachée  au  théàtre  de  Stockholm  en  1842  et 
en  1849.  Mais  c'est  ailleurs  qu'elle  a  remporté  ses  succès  les  plus 
décisifs,  obtenus  dans  le  répertoire  italien.  Toute  jeune,  àgée  d'en- 
viron  seize  ans,  elle  avait,  à  Paris,  re^u  les  le9ons  de  Manuel  Garcia, 
qui,  dans  sa  propre  famille,  a  forme  les  deux  élèves  admirables  dont 
tout  le  monde  sait  les  noms.  Les  débuts  de  la  Nissen,  aux  Italiens, 
dans  le  ròle  d'Adalgiso,  n'avaient  pas  produit  une  sensation  extraordi- 
naire.  Mais  elle  fut  mise  en  pleine  lumière  par  une  de  ces  occasions 
qui  manquent  rarement  au  talent.  A  Timproviste  elle  dut  remplacer 
un  soir,  dans  la  Rosine  du  Barbier,  M°*  Persiani.  Elle  y  fiit  de 
tous  points  cbarmante,  et  rendit  avec  un  art  délicat  et  simple  la 
brillante  et  légère  musique  de  Rossini.  Elle  dut  plus  tard,  en  Italie, 
un  triompbe  à  Bellini,  avec  la  Samnambule.  Elle  ne  réussit  pas  moins 
complètement  dans  les  opéras,  de  style  plus  heurté,  de  la  première 
manière  de  Verdi,  particulièrement  Aitila,  les  Beux  Foscari^  et  ces 
Lombardi  qui  devinrent,  à  TOpéra,  Jérmaiem,  avec  son  trio  equestre. 

Très  vivement  goùtée  en  Italie,  M^®  Nissen  se  fit  aussi  un  grand 
nom  en  Angleterre.  Intelligente  et  cultivée,  elle  arriva  rapidement 
à  parler  l'anglais  sans  accent,  et  put,  sans  désavantage,  se  faire  en- 
tendre  dans  cotte  langue.  —  Elle  fut  fort  appréciée  en  Allemagne,  où 
elle  parut  tour  à  tour  sur  plusieurs  tbéàtres  importants.  Après  son 
mariage  avec  Saloman,  elle  fit  une  grande  excursion  artistique  dans 
l'empire  russe,  où  les  voyages,  à  cette  epoque,  étaient  longs  et  malaisés. 
Elle  alla  jusqu'aux  confins  orientaux  de  la  Russie  d'Europe. 

En  écrivant  Thistoire  de  la  musique  italienne,  nous  aurons  souvent 
Toccasion  de  dire  quelles  formes  singulières  prit  parfois,  dans  les 
différents  pays  d' Europe,  Tentbousiasme  provoqué  par  tei  ou  tei 
€  sopraniste  »,  par  telle  ou  telle  prima  donna  venne  d'Italfe.  Mais 
nul  engouement,  dans  le  passe,  ne  fut  plus  fort  que  colui  quo,  dans 
le  dix-neuvième  siede,  on  a  témoigné,  d'une  fa^on  bruyante  et  par- 
fois bizarre,  à  l'égard  de  Jenny  Lind.  L'artiste  que  l'on  a  sumommée, 
selon  le  goùt  un  peu  prétentieux  qui  prédominait  alors,  «  le  rossignol 
suédois  »,  n'était  pas  d'ailleurs  indigno  de  causer  de  pareils  transports. 


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LA  MU8IQUE  SCANDINAVE  AU  XIX*  SIÈCLB  273 

Chose  étrange!  Garcìa,  qui  Tavait  pour  élève  en  méme  temps  que 
sa  compatriote  'Nissen,  préférait  cette  dernière,  et,  malgré  sa  rare 
expérìeDce  et  sa  finesse  de  tact,  n'avait  pas  discerné  ce  qu'il  y  avait 
de  réellenaent  exceptionnel  dans  les  dons  de  Jenny  Lind.  Mais  elle 
fut  encouragée  par  Meyerbeer,  et  Fon  sait  quel  service  elle  rendit  plus 
tard  au  maitre  en  créant,  à  Berlin,  avec  infiniment  de  distinction  et 
de  relief,  le  ròle  principal  du  Camp  de  SiUsie^  qui  dut  à  cette  ìn- 
terprétation  transcendante  une  part  de  son  succès.  Ce  fat  l'influence 
de  Meyerbeer  qui  contribua  à  faire  de  Jenny  Lind  la  cantatrice 
favorite  de  la  cour  de  Prusse. 

Les  étrangers  n'ont  pas  été  les  seuis  à  rendre  justice  aux  quali tés 
aupérieures  de  cette  grande  cantatrice.  Elle  eut  des  succès  signalés 
en  Suède,  où  elle  fut  mandée  spécialement  lors  du  couronnement  da 
roi  Oscar.  A  Stockholm,.où  de  benne  heure  elle  avait  été  remarquée 
par  le  surintendant  da  théàtre  de  la  cour,  le  comte  Pùcke,  elle  avait, 
antérieurement  méme  aux  le^ons  de  Garcia,  été  frénétiquement  ap- 
plaudie  dans  la  Vestale^  ainsi  que  dans  deax  rdles  du  répertoire  si 
caractérisé  de  Weber,  Agathe  et  Euryanthe.  On  peut  jager  de  Tac- 
cueil  qui  lui  fat  fait  dans  sa  patrie,  quand  elle  y  revint  après  la 
gioire.  Mais  c'est  surtout  en  Angleterre  et  en  Amérique  qu'elle  fit 
fiinatisme.  A  Londres,  on  encaissait  avec  elle  des  recettes  de  cin- 
quadte  mille  francs,  et  à  toutes  ses  représentations  assistaient  la 
reine  Victoria  et  le  prince  Albert.  On  se  formait  en  baie  pour  la  < 
voir  sortir  du  théàtre;  dans  ces  circonstances,  les  places  au  premier 
rang  étaient  Tobjet  d'un  trafic,  et  se  louaient  à  un  prix  très  élevé. 
—  En  Amérique,  elle  eut  d'abord  pour  impresario  Thomme  dont 
le  Bom  légendaire  est  demeuré,  à  l'état  de  vocable  usuel,  dans  plu- 
sieurs  langues,  Barnum  lui-méme,  avec  lequel,  d'ailleurs,  elle  cessa 
de  s'entendre.  Elle  comprit  que,  profitant  de  la  vogue,  elle  pouvait 
se  passer  de  manager.  A  cette  epoque,  déjà  lointaine,  les  mceurs 
dans  le  Nouveau  Continent,  étaient  encore  prìmitives.  Avec  le  com- 
positeur  Benedict,  qui  lui  servait  d'accompagnateur,  Jenny  Lind, 
dans  un  bateau,  suivait  le  cours  des  fleuves.  A  toutes  les  localités 
de  quelque  importance,  on  faisait  escale,  on  débarquait  le  piano, 
des  'commissionnaires  plus  ou  moins  nègres  colportaient  des  affiches 
imprimées  en  lettres  colossales,  on  organisait  instantanément  un 
concert.  Les  places  étaient  mises  à  Tenchère.  En  en  payant  ane  au 


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274  MEMORIE 

prìx  enorme  et  raineux  de  deux  cents  dollars,  un  tailleur  fit  sa  for- 
tune, parco  quo  nulle  personne  de  Tendroit  ne  voulùt  plus  dès  lors 
étre  habillée  quo  par  le  fournisseur  capable  d'un  tei  élan  de  prodi- 
gante artistique.  —  A  Faide  de  ces  procédés  élémentaires,  donner  un 
concert  et  réaliser  une  grosse  somme  était  l'affaire  de  deux  ou  trois 
heures^  après  lesquelles  rien  n'empéchait  d'aller  recommencer  un  peu 
plus  loin.  A  ce  métier,  en  moins  d'un  an,  Jenny  Lind  gagna  plus 
de  trois  millions. 

La  voix  de  Jenny  Lind  était  d'une  pureté,  d'une  fraicheur,  d'une 
légèreté  extraordinaires.  Son  mécanisme  vocal  était  très  flexible  et 
très  fin.  A  considérer  l'expression  dramatique,  elle  avait  beaucoup 
d'energie,  d'ampleur,  de  la  puissance,  une  constante  tendance  à  la 
noblesse  et  au  pathétique.  Mais  un  goftt  'sevère  aurait  pu  critìquer 
en  elle  un  peu  d'emphase,  l'afifectation,  T^cès  de  véhémence,  une 
certaine  habitude  de  rechercher  Teffet  au  détriment  du  naturel. 

Une  belle  destinée  de  cantatrice  a  été  également  dévolue  —  nous 
Tavons  déjà  rappelé  dans  notre  Risloire  du  Thédtre-Lyrique  —  à 
Christine  Nilsson,  qui,  comme  la  précédente,  a  obtenu  les  plus  écla* 
tants  succòs  dans  les  deux  mondes^  Il  nous  est  agréable  de  constater 
que  c'est  dans  une  OBUvre  firan^aise,  dans  V Hamlet  d'Arobroise  Thomas, 
que  le  talent  de  M."*  Nilsson  s'est  peut-étre  afi&rmé  avec  le  plus 
d'éclat.  Elle  était  alors  en  parfaite  possession  d'une  voix  du  timbre 
I  le  plus  clair  et  le  plus  riche,  sonore  et  colorée  dans  toutes  les  parties 
du  registro,  résonnant,  à  l'aigu,  avec  la  vigueur,  la  netteté,  le  charme 
d'une  sorte  d'imrmonica  magique.  La  manière  de  l'artiste  était  hanlie 
et  aisée,  sobre,  pleine  de  goùt.  Elle  se.  jouait  des  plus  àpres  diffi- 
cultés  du  mécanisme,  et,  musicienne  accomplie,  elle  présentait  en 
elle  l'union  toujours  rare  de  facultés  exceptionnelles  et  d'une  cul- 
ture très  forte  et  très  étendue. 

La  beante  de  M."*«  Nilsson  avait  d'ailleurs  contrìbué  presque  autant 
que  ses  autres  mérites  à  la  mettre  en  lumière,  dès  1864,  lorsque 
debutante  encore  obscure,  à  la  vingtième  année,  engagée  par  M.  Car- 
valho,  elle  aborda  au  Théàtre-Lyrique  le  ròle  de  Violetta.  Peu  après, 
dans  la  Flùte  enchantée^  elle  s'attaqua  avec  une  indicible  bravoure 
aux  vocalises  suraigues  de  la  Beine  de  la  Nuit. 

Si  c'est  à  t^aris  que  M.°'<'  Nilsson  édifia  sa  réputation,  d'assez 
benne  heure  elle  ces^  de  s'y  faire  entendre.  Ce  fut  dans  d'autres 


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LA  MUSIQUB  SCANDINAYB  AU  XII*  SIÈCLE  275 

pays,  en  Angleterre,  en  Bassie,  en  Amérique,  qu'elle  alla  continner  de 
recueillir  les  plus  chaleiireases  ovations.  En  passant,  notons  ce  point, 
qa'en  Angleterre  son  ìrréprochable  sentiment  musical,  la  souplesse 
de  sa  technlque  lui  permirent  de  se  mesurer  avantageusement,  dans 
les  festivals,  avec  le  style  à  la  fois  sevère  et  orné  de  Hànd^l. 

D'antres  noms  sont  à  joindre  à  ces  trois  noms  célèbres;  ceux  des 
trois  filles  de  Berwald,  de  Louise  Michaeli  (1830-1875),  de  Carolina 
Òstberg  (1853),  de  J.  Elmblad  (1853),  douée  d'un  beau  talent  dra- 
matiqae,  de  Mathilde  Jungstedt,  de  Sigrid  Amoldson  (1861),  fille 
de  Fexcellent  ténor  0.  Amoldson  (1830-81),  d'Ellen  Gulbranson  (1863), 
de  la  comtesse  Taube,  née  Grabow,  de  Frederika  Stenhamtnar.  Des 
noros  comme  ceux-ci,  Arlberg,  Willman,'  méritent  aussi  de  iìgurer 
dans  les  fiistes  de  l'art  Yocal  en  Suède,  aussi  bien  que  ceux  de 
MM.  A.  Odmann  (1850)  et  C.  F.  Lundqvist  (1841).  Le  fort  ténor 
Labatt  (1838-1897),  élève  de  TAcadémie  de  musique  de  sa  ville  na- 
tale, Stockbolm,  puis  de  Masset  à.  Paris,  debuta  à  Stockholm  en  1^ 
dans  le  rdle  de  Tamino,  et  ensuite,  de  1868  à  1882,  fit  partie,  à 
Venise,  du  personnel  de  l'Opera  de  la  Cour.  Nous  avons  entendu 
récemment  à  Paris  le  très  distingue  baryton  John  Porseli,  né  en 
1868,  qui  a  fait  des  études  chez  nous  en  1894-95,  au  Conservatoire 
et  80U8  la  direction  particulière  de  Saint  Tves  Bax.  Il  a  joué  à  Stock- 
bolm un  grand  nombre  de  rdles:  Don  Juan,  le  Hollandais  du  Vaisseau 
Fcmtàme^  Guillaume  Teli,  tout  récemment  Beckmesser. 

Pour  ne  rien  laisser  de  còte  dans  Tbistoire  de  Tart  da  chant  en 
Suède,  nous  nommerons  encore  les  cbanteurs  Stenborg,  Earsten,  Du 
Puy,  Sallstròm,  Gùnther,  Strandberg;  —  les  cantatrices  Olin,  Sta- 
ding,  Fròsslind,  Widerberg,  Hebbe,  etc^v  etc. 

Le  Nouvel  Opera,  à  Stockholm,  a  coùté  sept  millions.  A  la  sub- 
vention  d'État  de  quatre-vingt-dix  mille  francs,  le  roi,  sur  sa  cassette, 
ajouta  une  subvention  annuelle  equivalente.  Le  programmo  d'inau- 
guratìon,  en  1898,  fut  compose  de  deux  ouvrages  dùs  à  des  compo- 
siteurs  nationaux:  les  Fraudeurs  de  A.  Lindblad,  et  Estrélla  di 
Scria  de  Berwald.  La  direction  est  actuellement  exercée  par  M.  le 
chambellan  A.  Burén,  qui  à  un  répertoire  étranger  très  étendu  a 
joint  des  opéras  suédois  de  Berwald,  Brendler,  Hallén,  Hallstrom, 
Stenhammar,  Òlander. 

L'Opera  de  Stockholm  a  compté  tour  à  tour,  parmi  ses  chefs  d'or- 


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276  MBMORIB 

cbestre,  Norman,  Dente,  Nordqvist  (sous  la  direction  duquel  s'est 
trouvé  place,  au  Trocadéro,  pendant  TExpoBition,  l'orchestre  da  Con- 
servatoire),  Henneberg  et  Hallén. 

Rappelons  brìèvement  Thistoire  de  l'ancieone  Société  d'Harmonie, 
à  laquelle,  en  1860,  a  snccédé  une  association  portant  la  méme  ap- 
pellation,  à  laquelle  de  grands  senrices  artistiques  furent  rendus  par 
le  chanteur  Isaac  Berg,  et  qui  exécuta  des  oratorios  de  H&ndel,  Haydn, 
Mendelssohn,  sous  la  direction  de  J.  Berwald.  En  1860,  Ludwig 
Norman  et  Julius  Gunther  fondèrent  la  «  Nouvelle  Société  barino- 
nique  »,  à  laquelle  succèda  V  «  Union  musicale  »  sous  la  direction  de 
Ludwig  Norman  et  de  Wilhelm  Svedbòm,  —  puis  de  Franz  Neruda. 
—  Nous  avons  dit  que  la  «  Société  philharmonique  »  avait  été  fondée 
par  Andreas  Hallén.  Elle  est  dirigée  actuellement  par  Wilhelm  Sten- 
hammar,  et  donne  chaque  année  des  concerts  oli  sont  exécutées  les 
principales  ceuvres  pour  choeur  mixte  et  orchestre  des  maitres  clas- 
siques  anciens  ou  modernes. 

Au  Conservatoire,  auquel  se  rattacbe  une  école  d*art  lyrique,  sont 
cnltivées  toutes  les  branches  de  Tart  musical.  Cet  établissement  ne 
cesse  de  ce  développer.  La  moyenne  du  nombre  des  élèves  est  d'en- 
viron  cent  soixante-dix. 

Dans  ce  qui  se  réfère  à  la  presse  musicale,  nous  indiquons  le  journal 
Svensk  Musiktidning  (Stockholm),  publié  et  redige  par  F.  Huss.  — 
La  fabrication  des  instruments  s'est  beaucoup  perfectionnée  depuis 
quelques  années.  On  peut  citer  en  particulier  les  pianos  à  queue  de 
la  maison  Malmsjò,  et  les  orgues  d*Akerman  et  Lund. 

Le  chant  choral  d'hommes  est  activement  cultivé  dans  la  plupart 
des  villes  de  Suède.  Le  chaat  des  étudiants,  en  particulier,  y  cons- 
titue  «  im  art  vocal  à  part  »,  que  Ton  a  Toccasion  de  goùter  dans 
les  solennités  académiques  ou  patriotiques,  dans  des  concerts  nom- 
breux,  sérénades,  etc.  Nous  le  trouvons  à  Lund  et  surtout  à  Upsal. 
A  son  histoire  se  rattachent,  indépendamment  des  noms  cités  plus 
haut,  ceux  de  TuUberg  et  d'Oscar  Meijerberg.  L'Union  chorale 
des  étudiants  d'Upsal  a  été  définitivement  organisée  en  1842.  Le 
répertoire  se  compose  principalement  des  choeurs  issus  de  la  chanson 
populaire,  avec  ses  notes  caractéristiques  de  mélancolie  penetrante 
ou  de  verve  joyeuse.  L'amour  de  la  patrie  éclate  dans  nombre  de 
ces  chants  qui,  partout  répétés,  sont  devenus  en  quelque  sorte  des 


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LA   HUSIQUE  SCANDINAVI   AU   XIX<^  SlÈGLB  277 

chants  natiODaax.  Il  ne  faut  pas  oublier  non  plus  la  chanson  à 
boire,  dont  un  poète  populaire  de  la  Suède,  Bellmann,  a  écrit  maintes 
fois  les  paroles.  Los  voix  admirablement  disciplinées  sont  bonnes, 
singalìèrement  fratches  et  souples.  Les  meilleurs  juges  se  sont  trouvés 
d'accord  pour  vanter,  en  ces  choeurs,  la  perfection  des  nuances  et  la 
viguear  de  Tattaque,  la  sùreté  de  Tensemble,  la  délicatesse  de  sen- 
tìment,  les  effets  variés  obtenus  par  ces  voix  sans  accompagnement. 
On  se  rappelle  le  triomphe  des  cbanteurs  d'Upsal  à  Paris  en  1867, 
epoque  où,  sous  la  direction  du  D.'  Oscar  Arpi,  ils  obtinrent  une 
médaille  d'or,  et  exécutèrent  à  l'Opera  plusieurs  morceàux  pendant 
les  entr'actes.  La  sensation  n'a  pas  été  moins  vive,  sous  la  direction 
de  M.  Hedenblad,  à  Paris  lors  des  expositions  ultérieures,  et  à 
St-Pétersbourg,  à  Berlin,  à  Dresde.  Le  choral  se  compose  de  deux 
à  trois  cents  chanteurs,  répartis  en  quatre  voix,  parmi  lesquelles 
celles  des  basses  sont  les  plus  remarquables.  De  ce  milieu  sont  fré- 
quemment  sortìs  des  artistes  de  premier  ordre,  qui,  dans  les  grandes 
circonstances,  viennent  mSler  leurs  voix  à  celles  de  leurs  anciens 
camarades. 

L*organisation  musicale  de  l'Uni versité  d'Upsal  est  complétée  par 
une  société  de  musique  instrumentale,  dont  l'orchestre  est  dirige  par 
un  professeur  special  qui  fait  aussi  des  cours  sur  la  théorìe  et  sur 
rhistoire  de  la  musique.  De  là  résultent  des  concerts,  d'un  vif  in- 
térét,  de  symphonie  et  de  musique  de  chambre.  —  Il  serait  injuste 
à  ce  propos,  de  ne  pas  éyoquer  de  nouveau  un  nom  déjà  inscrit  dans 
ces  pages,  celui  de  J.  A.  Josephson,  qui  a  travaillé  avec  science, 
abnégatìon,  persévérance,  à  l'éducation  musicale  des  étudiants. 

Notons  encore  ce  qu'est  devenue,  à  Gothembourg,'  la  vie  musicale, 
par  les  concerts  symphoniques,  vocaux,  et  de  musique  de  chambre, 
—  sartout  à  partir  de  1860,  et  sous  l'impulsion  de  deux  musiciens 
venus  de  Bohème,  Jos.  Czapek  et  Fr.  Smetana,  l'auteur  de  ce  déli- 
cienx  opera,  encore  ignoré  chez  nous,  la  Fiancée  vendue. 

En  1897,  à  Stockholm,  les  forces  musicales  disséminées  en  diflférentes 
villes  se  sont  réunies  pour  un  grand  festival  scandinave,  rassemblant 
sixcent cinquante  chanteurs  des  deux  sexes,  qui  représentaient  vingt- 
deux  sociétés  chorales  de  Suède,  Norvège,  Danemark,  appuyées  par 
le  concours  de  la  Chapelle  Boyale,  renforcée  de  cent  vingt  instru- 
mentistes.   La  sèrie  des  concerts  alors  donnés  roula  sur  des  pro- 


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•278  MBMORIK 

grammes  exclusivement  scandinaves.  Ils  eurent  lieu  dans  ane  salle  de 
fetes  spécialement  constraite  à  cet  effet,  à  Taide  de  contribations 
particulières.  Peu  après,  qninze  cents  chanteurs  venus  de  toutes  les 
partìe  da  pays  donnèrent  dans  ce  locai  un  concert  monstre,  poar  le 
25®  anniversaire  de  l'ayènement  du  roi. 

Nous  avons  encore  à  registrer  les  succès  obtenus  partoat  par  les 
cantatrìces  de  quatuors,  ainsi  que  celai  des  concerts  symphoniques 
organisés  annaellement  à  l'Opera  de  Stockholm  et  de  ceax  qu'a  di- 
rigés  Augaste  Meissner.  N'omettons  point  les  séances  de  masiqae  de 
chambre  données  par  D'Aubert,  violoniste  distingue,  Book,  et  depois 
ane  dizaine  d'années,  Tor  Aulin.  —  L'an  passe,  une  association  par 
ticulière,  le  «  Quatuor  Mazer  »  a  célèbre  soii  cinquantenaire. 

Le  chant  et  la  masiqae  en  general  sont  enseignés  dans  toates  les 
écoles  de  la  Suède.  De  ce  cdté  se  tour  ne  tonte  la  vigilance  de  la 
Famille  Boyale  et  des  pouToirs  publics.  Le  prince  royal  Gustave  est 
président  de  l'Académie  de  Masiqae,  dont  il  dirige  en  personne  les 
séances.  Il  a  été  le  protectear  effectif  da  festival  scandinave  de  1897, 
dont  il  vient  d'étre  qaestion.  Le  roi  Oscar  II  poète,  écrivain,  chan- 
teur,  passìonné  poar  la  masiqae,  et  s'y  adonnant  d'une  fa9on  pratique, 
a,  jusqu'à  son  avènement,  prèside  l'Académie  de  Musique,  où  il  a 
fait,  dans  les  discours  qu'il  eut  Toccasion  d'y  prononcer,  admirer 
son  talent  d'orateur,  et  Tétendue  de  ses  connaissances  artistiques. 
D'autre  part,  le  Biksdag,  à  plus  d'une  reprise,  a  accordé  des  sub- 
ventions  et  des  récompenses  à  des  musiciens,  —  notamment  à  Hall- 
stròm,  Hallèn,  Hftgg,  Sjògren. 

En  terminant  ce  qui  est  relatif  à  la  Suède,  nous  signalerons  ce 
fait  que  Wagner  semble  de  plus  en  plus  y  gagner  du  terrain,  et 
nous  insérerons  ici  les  noms  d'un  certain  nombre  de  compositeurs 
sur  lesquels  les  détails  nous  manquent:  Wikmausson,  Stenhammar 
pére  et  Akerberg,  ainsi  que  les  noms  de  musiciens  ayant  écrit  pour 
les  voix,  en  solo,  en  quatuor  ou  en  chceur:  Orusell  (17754838); 
Kandel  (1806-1864);  Laurin  (1813-1853);  Frieberg  (né  en  1822); 
Uddén  (1799-1868);  Cronhamm  (1803-1875);  Frigel  (mort  en  1812); 
Gillo  (1814-1880);  Kòriing  (né  en  1842);  Svedbom  (né  en  1843); 
Hedenblad  (né  en  1851),  et  Gdsta  Geijer  (né  en  1857). 

Albert  Soubies. 


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Arte  contemporanea 


L'OPERA  DI  GIUSEPPE. VERDI 
E  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI 


v^on  criteri  positivi  l'opera  artistica  del  Verdi  non  è  stata  an- 
cora, cfa'io  sappia,  osservata  nella  sua  totalità,  né  giudicata,  a  cagion 
forse  delle  difficoltà  che,  per  questa  specie  di'  fatti  «  sorgono  quando 
si  dia  alla  critica  un  indirizzo  che  è  fuori  delle  sue  linee  solite 
0  del  veccfaio  costume.  Per  pochi  fenomeni  apparsi  suirorizzonte  del- 
l'arte bisogna  essere  così  circospetti.  Le  cause  ed  i  coefficienti  che 
Topera  del  Verdi  spiegano  e  talora  veramente  precisano,  non  sono 
sempre  palesi.  Sono  in  parte  cause  storiche,  atavistiche,  insite  nel 
processo  evolutivo  dell'arte  stessa;  talvolta  sono  cause  esteriori,  dis- 
giunte dal  concetto  iniziale,  ma  non  dal  successivo  fenomeno  con- 
creto; tal' altra  sono  cause  individuali,  intime,  profonde,  ed  ancora, 
in  fine,  sono  dipendenti  da  ^predilezioni  momentanee  dell'intelletto  e 
dell'animo ,  talché  sembrano  perfino  arbitrarie.  Tra  queste ,  coeffi- 
cienti di  secondaria  importanza  si  mischiano,  creano  pur  essi,  dàn 
forma  e  stile,  e  modificano  il  modo  di  sentire  dell'artista,  il  modo 
di  intuire  e  di  dar  effetto  a'  suoi  ideali.  Sono  cause  oggettive  in 
parte  ed  in  parte  soggettive  ;  si  trovano  le  une  in  mezzo  a  un  gran 
complesso  di  fatti  culturali ,  nazionali,  politici  ;  sono  predisposte  le 
altre  e  messe  in  luce  dalla  natura  dell'ingegno  e  dallo  stimolo  del- 
l'ambizione.  Certo  tutta  una  evoluzione  si  nota  nel  denso  tessuto 
dell'opera  Verdiana,  una  evoluzione  ed  un  progresso  mirabili,  per 
quanto  l' unità  del   concetto   informativo   si  smarrisca  nelle  grandi 

Aitiita  tnuiieaté  italiana.  Vili.  19 


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2S0  ARTE  CONTEMPORANBA 

lìnee  e  nei  dettagli;  anzi  è  ciò  precisamente  che  ne  rende  difficile 
una  spiegazione  persuasiva  e  completa. 

Per  Verdi  non  succede,  come  per  altri  grandi  artisti,  che  la  loro 
produzione  si  coordini  sotto  un  principio  di  cui  si  vede  l'inizio,  lo 
svolgimento  e  il  risultato  finale.  Qui  invece  Tesperimentazione  segfue 
un  periodo  più  o  meno  lungo,  al  quale  succedono  nuovi  saggi  che 
pure  avvengono  a  sbalzi  e  non  sono  riducibili  sotto  il  dominio  di  un'idea 
principale.  La  libera  effusione  del  sentimento  d'arte  corona  in  fine 
trionfalmente  questo  sviluppo;  ma  questa  fine,  così  sincera  ed  eletta, 
non  ha  che  poca  o  nessuna  relazione  colle  £eisì  mediane  e  coli'  ori- 
gine. Io  non  dico,  si  noti  bene,  che  le  qualità  specifiche  del  genio 
latino,  le  qualità  personali,  si  come  i  difetti  dell'artista,  non  siano 
riconoscibili  in  fondo,  ma  solo  che  la  superficie  non  è  precisamente 
lo  specchio  di  questo  fondo. 

Anche  l'opera  del  Verdi  è  legata  alla  storia  culturale  del  suo  tempo, 
all'ambiente  della  contemporaneità ,  con  cui  egli  ha  quel  debito  al 
quale  nessun  artista,  nessun  uomo  si  sottrae.  Egli  è  stretto  ad  un 
complesso  di  fatti,  che  nell'attività  generale  lasciano  più  facilmente 
comprendere  la  sua  particolare.  Le  'acquisizioni  della  sua  epoca  de- 
rivate dall'opera  de'  predecessori,  e  la  loro  infiuenza,  sono  altrettante 
energie  nuove  per  lui.  Anch'egli  si  affidò  alla  face  de'  maestri  ;  anch'egli 
sentì  la  forza  della  maniera  popolare  italica,  la  salute  e  fierezza  della 
terra  natia  che  lo  fecero  balzare  in  faccia  al  mondo  come  un  tipo,  un 
carattere,  un  individuo;  e  tutto  ciò  in  tempi  di  fermenti  politici,  di 
lotte  contro  oppressioni  straniere,  fra  cambiamenti  repentini  nella  si- 
tuazione generale  d'Italia,  rivolte  e  guerre.  L'onda  incalzante  dei  fatti 
lo  costringe  a  gettarvisi  in  mezzo ,  egli  ne  è  parte  ;  egli  sente  che  in 
essi  è  tanta  vita  di  sé  e  dell'arte  sua. 

Della  qual  vita  però,  nel  rapporto  degl'  incidenti  personali,  io  non 
mi  occupo.  Ciò  è  per  me  superfiuo.  Sono  pochi  punti  di  vista,  ma 
essenziali,  che  io  rilevo,  intorno  ai  quali  vengono  a  raggrupparsi 
molte  considerazioni  di  fatto  e  qualche  inevitabile  giudizio.  Il  Verdi 
non  fu  un  fantasista  romantico ,  non  un  pensatore  né  un  filosofo  con 
un  indirizzo  e  sistema  proprio;  non  s'arrischiò  nelle  altezze  sublimi 
e  nelle  profondità  recondite  della  contemplazione  ;  nò  anche  fu  un 
tecnico  bisognevole  di  chiamar  1'  attenzione  altrui  sui  mezzi  mate- 
riali del  proprio  successo;  egli  non  teorizzò;  non  discusse  la  unilatera- 


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L*OPERA  DI  GIU8IPPE  VERDI  E  I  BUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  281 

lità  del  SUO  gasto ,  la  piccina  e  pedante  faccenda  delle  cognizioni  sue. 
Egli  fu  un  artista.  Il  compito  mio  è  quindi,  a  tal  proposito,  sempli- 
ficato assai  per  la  nattfra  stessa  e  l'andamento  pratico  dell'arte  Ver- 
diana, arte  vera,  che  non  va  misurata  dairabilità  tecnica  dell'uomo 
che  la  fa,  ma  dalla  capacità  del  suo  cuore.  La  mente  dell'  artista, 
senza  fermarsi  alla  superficie  dei  fenomeni  sensitivi,  s'inoltra  fin 
dove  la  face  del  dramma  rischiara  dall'alto,  ma  evita  la  regione  delle 
nebbie  e  delle  follie  sensuali.  È  impossibile  esprimere  per  mezzo  di 
parole  l'essenza  del  genio;  ma  il  risultato  del  sao  lavoro  è  espri- 
mibile. Ecco  ciò  di  cui  si  tratta. 

Nella  sua  attività  di  musicista  e  d'uom  di  teatro  non  tutto  è  pa* 
lese;  l'ammirevole  è  spesso  in  alcune  relazioni  recondite.  Prima  di 
tutto  nelle  relazioni  coli'  opera  non  sempre  laudabile  di  chi  gli  forni 
i  libretti ,  opera  che  egli  diresse  e  drizzò  in  più  d' un  caso.  Poi 
nei  rapporti  di  somiglianze  incidentali ,  nel  mutamento  e  nell'ado- 
zione di  un  estraneo  indirizzo  artistico,  a  cui,  come  alla  luce  de'  suoi 
dioscuri,  egli  non  potè,  non  volle,  non  intese  di  sottrarsi.  Sono  tali 
circostanze,  pel  critico,  come  la  parte  che  sta  innanzi  a  un  tutto  ar- 
tistico, il  porticus  dell'edificio  Verdiano;  ciò  che  ne  risulta  è  spesso 
un'estetica  che  il  compositore  non  scrisse  e  pur  le  sue  note  non  men- 
tiscono mai.  Qual  sia  questa  estetica  vedremo  senza  pregiudizi  e 
reticenze;  a  noi  basta  ch'ella  sia  il  risultato  di  un  giudizio  d'arte 
pratico  e  sicuro. 

L'arte  del  Verdi  non  è  che  una  riconferma  di  quelle  concezioni 
universali,  ricorrenti  a  periodi ,  che  sono  Vunde  e  il  qtAo  dell'opera 
in  musica:  dalla  lirica  del  coro  tragico  alla  commedia  d'intrighi, 
dal  sentire  istintivo  all'  intellettualità.  Chi  conosce  il  processo  di 
quelle  idee  ordinatrici  supreme  nell'evoluzione  dell'arte,  trova  tutto 
storicamente  e  logicamente  fondato,  nulla* di  casuale,  nessuna  sor- 
presa, nessuna  contrarietà.  La  critica  non  ha  altro  che  da  assegnare 
al  fatte  speciale  il  posto,  che  gli  compete  nella  scala  di  questo  pro- 
cesso evolutivo,  e  da  riempire  lo  spazio  che  intercede  fra  le  due  di- 
stanze —  l'origine  e  la  fine  —  con  i  risultati  delle  sue  ricerche;  a 
patto  però  che  essa  sia  in  grado  di  ridurre  i  f&tti  specifici  sotto  il 
dominio  di  leggi  generali,  non  valendosi  di  giudizi  che  mirino  all'as- 
sloluto  tecnicismo  materiale  o  ne  derivino,  o  si  risolvano  in  teoria  e 
scienza  musicale,  ma  solo  intenda  a  rivelare  il  contenuto  spirituale 
e  la  significazione  estetica  di  opere  d'arte  singole  e  raggruppate. 


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282  ARTE  CONTEMPORANEA 

Altrimenti  intesa,  una  critìea  non  è  possibile  o  è  cosa  vana  e  di 
niun  conto.  L'arte,  e  specialmente  la  masica,  è  cosa  talmente  ela- 
stica, è  così  estesa  e  comune  la  sua  pratica,  di  natura  cosi  diversa 
son  gli  nomini  che  se  ne  occupano  e  di  essa  giudicano  col  solo  sen- 
timento, che,  stando  ai  pareri  individuali,  non  ci  si  capirebbe  pro- 
priamente mai  nulla. 

Quando  l'artista  è  vero,  il  giudizio  della  critica  comune  non  lo 
riguarda;  le  frasi  —  il  più  delle  volte  stimolo  interessato  alla  sua 
vanità  —  o  son  cose  vili  come  l'animo  che  le  detta  e  quello  che  le 
accoglie,  0  sono  una  inconscia  dilettanza  da  bimbi  e  per  i  bimbi  ; 
certo  tutte  materialità  misere  ed  inutili.  Pel  critico ,  com'  io  lo  in- 
tendo, non  si  tratta  di  vedere,  neiropera  del  Verdi,  ciò  che  sia  bello 
0  brutto,  ma  solo  di  scoprirvi  i  caratteri  che  la  distinguono  e  fanno 
dell'artista,  buono  o  cattivo,  un  tipo  a  sé.  Al  gusto,  al  sentimento 
personale,  all'immaginazione,  al  feticismo  conceda  chi  vuole  :  il  cri- 
tico nulla  può  concedere.  Egli  va  diritto  per  la  sua  strada,  serena- 
mente, in  cerca  di  verità.  Egli  sa  che  essa  è  fiancheggiata  di  spini,  e  che 
gli  basterebbe  abbassare  la  propria  individualità  per  evitarli  ad  aver 
successo  ;  ma  egli  non  s'inchina  dinanzi  a  idoli  grandi  o  piccoli,  non  è 
una  creatura  pieghevole  e  neanche  compiacente,  perchè  in  compenso 
di  certe  approvazioni ,  non  ama  distruggersi  ;  perchè  egli  conosce  che 
siano  l'abnegazione  e  il  proprio  dovere.  Egli  vive  come  l'artista  e 
con  l'artista,  compagno  di  lui  nella  prospera  e  nell'avversa  fortuna; 
osserva,  trae  le  proprie  conclusioni  ed  ha  il  coraggio  dei  proprìi  con- 
vincimenti. 

È  dunque  con  la  massima  energia  che  io  insisto  su  questo  punto, 
usando  pel  Verdi  e^  la  sua  opera  di  una  critica,  la  quale  non  per- 
mette strappo  alcuno  a  indipendenza,  chiarezza  e  determinatezza. 
Quando  vi  sia  un  intelligibile  tratto  da  rilevare,  positivo  o  negativo, 
non  io  l'ometterò  ;  ma  non  per  questo,  o  esaltazione  iperbolica,  o  esa- 
gerata meraviglia,  o  lode  o  biasimo  interverranno  a  squilibrarne  il 
merito  o  il  demerito.  La  venerazione  per  l'uomo  esiste  dal  momento 
che  esiste  la  serietà  del  suo  proposito  come  artista,  quella  serietà 
che  è  il  motivo  emozionale  di  tutta  l'arte.  Ma  nella  critica  tutto  ciò 
non  entra.  Io  so  bene  quel  che  la  violenza  dei  fanatici  permette  e 
non  permette  di  dire.  Essa  scoraggia  la  gente  moderata  e  la  distoglie 
da  una  critica  di  qualunque  specie.  Ma,  per  quanto  siano  rozzi  e  vii- 


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L*OPERA  DI  OIUSBPPK   VERDI  E  I  SUOI  CARATTBBI  PRINCIPALI  283 

lanì  gli  attacchi,  io  non  consentirò  a  quella  violenza  un  influsso  qual- 
siasi. Lungi  dalle  dispute  appassionate,  non  è  pei  fanatici  che  io 
scrivo  queste  modeste  note.  Io  mi  rivolgo  a  coloro  che  nell'arte,  sì 
come  nella  vita,  veggono  le  cose  secondo  il  peso  loro  proprio  e  così 
le  stimano,  e  sdegnano  di  mettere  insieme  le  congruenti  con  le  in- 
congruenti, tanto  da  cavarne  l'alterazione  della  verità  e  la  con- 
fusione. 

Regolata  a  questo  modo,  una  concezione  dell'opera  Verdiana  come 
io  la  intendo,  non  piacerà  forse  a  molti,  anzi  alla  maggioranza; 
qualche  inevitabile  giudizio  forse  ripugnerà  o  parrà  strano.  A  nes- 
suno io  contesto  il  dritto  di  pensare  e  sentire  a  modo  proprio,  purché, 
quanto  a'  principii  d'arte,  non  si  pretenda  di  derivarne  a  base  di  pa- 
negirici e  di  scienza  speciale.  L'arte  del  Verdi  parve  a  certuni  una 
fortuna,  ad  altri  una  catastrofe.  La  fretta  nel  decidere  :  ecco  la  grande 
colpevole.  Nella  contesa  ognuna  delle  parti  esagerò,  al  solito,  la  pro- 
pria importanza,  come  fanno  i  musici  che  si  rispettano,  finché  molte 
opere  d'arte  ebbero  il  tempo  di  coprirsi  d'oblio  innanzi  che  venisse 
la  mente  serena  e  mettesse  a  posto  qualche  principio  visto  imperfet- 
tamente 0  dimenticato  nel  calore  dell'entusiasmo  che  vede  sorgere 
Tedificio  artistico,  e  per  la  passione  di  ammirarlo  fuor  di  misura 
0  di  abbatterlo.  Ecco;  io  suppongo  di  osservare  l'opera  del  Verdi  a 
una  certa  distanza  e  colla  serenità  e  la  calma  necessaria  perchè  essa, 
rivelandosi  nella  sua  interezza,  lasci  scorgere  in  ogni  singola  opera 
le  linee  di  contomo  e  i  caratteri  fondamentali  suoi,  primitivi  ed  ul- 
teriori. Al  resto  ha  pensato  e  pensa  il  pubblico  che,  per  sua  bontà 
e  piacere,  biasima  domani  ciò  che  oggi  ha  approvato.  E  di  ciò  proprio 
non  mi  cale. 

L'arte  delle  pure  e  sublimi  manifestazioni  musicali ,  al  principio 
del  secolo  XIX,  non  aveva  lasciato  traccia  di  sé  nella  corrente  della 
musica  teatrale  italiana.  Tutto  aveva  bensì  proceduto  sui  fragili  fon- 
damenti dell'opera  napoletana,  assolutamente  melodica  di  carattere, 
una  folle  esaltazione,  una  manipolazione  in  tutte  forme,  del  così  detto 
bel  canto.  L' egoistico  sentimento  dei  maestri  italiani ,  •  giustificato 
dalla  colossale  fortuna  della  loro  opera,  non  aveva  loro  permesso  che 


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284  ARTB  CONTEMPORANEA 

di  produrre  nell'ambito  delle  forme  tradizionali,  senza  accorgersi, 
senza  occuparsi  d'altro.  La  musica  istrnmentale  italiana  era  caduta  ; 
unico  e  solo  imperava  il  teatro  lirico.  La  voce  dei  nuovi  grandi  ar- 
tisti al  di  là  dell'Alpi  non  era  giunta  agl'italici  maestri  che  quale 
un'eco  vaga  e  confusa.  Se  questi  tendevan  loro  l'orecchio,  era  sol  per 
udire  dolci  melodie;  se  eccezionalmente  sfogliavano  qualche  lor  par- 
titura, era  ancor  sempre  per  cercarvi  la  cantabilità  dolce  ;  tutto  essi 
sentivano  e  vedevano  sotto  quest'unico  aspetto.  Bossini  per  questo 
aveva  amato  Haydn  e  Mozart,  e  Bellini  per  questo  aveva  amato  Bee- 
thoven. Ma  le  tre  grandi  anime  non  s'erano  ancor  fotte  palesi.  Non 
Haydn  rivelato  aveva  la  grazia  e  la  purezza  sua  nella  sinfonica  e 
sublimata  forma  del  canto  popolare  o  nell'  impressionante  carattere 
de'  suoi  Oratorii  ;  non  Mozart  la  linea  raffaellesca  &tta  melodia;  non 
Beethoven  l'universale  e  profondo  suo  spirito.  La  vita  del  musicista 
italiano,  il  suo  ambiente,  il  suo  pubblico,  la  sua  arte  era  una  ingenua 
distrazione.  L'anima  di  un  uomo  come  Beethoven,  che  è  tutta  l'anima 
antera  dell'umanità  coi  dolori  e  le  gioie  de'  suoi  destini,  era  ignota 
e  ignota  la  sua  arte.  La  società  italiana  che  vide  sorgere  e  circondò 
Rossini,  sferzata  dall'oppressione,  non  gli  domandò  che  di  distrarsi, 
e  ai  suoi  successori  immediati  ancora  domandò  di  distrarsi.  L'opera 
teatrale  perciò  non  è  scopo,  ma  semplice  mezzo.  Bellini  e  Donizetti 
non  interessarono  nell'istesso  modo  di  Bossini,  ma  della  musica  die- 
dero quel  ch'egli  stesso  vi  aveva  riconosciuto  e  forse  meno.  Nella 
cosmopolita  Binascenza  del  secolo  XVIII,  là  dove  la  musica  con  mi- 
rabili e  nuove  posse  parve  rinnovare  le  creazioni  dell'  epoca  eroica, 
raccogliendo  gli  uomini  stanchi  innanzi  ad  opere  immortali,  innanzi 
a'  nuovi  templi  d*Egina,  alle  statue  di  Fidia  e  di  Michelangelo,  là  i 
maestri  e  il  popolo  d'Italia  non  avevano  ancora  guardato.  A  Bossini 
tuttavia  il  capolavoro  riuscì.  Guglielmo  Teli  è  il  capolavoro  italiano 
del  secolo  XIX. 

Il  successo  dell'opera  resta  d'ora  innanzi  determinato  da  due  cor- 
renti :  l'una  fa  capo  a  Bossini  e  l'altra  a  Weber.  Ma,  accecati  dallo 
splendore  della  nuova  arte,  Bossiniani  furono  tutti  coloro  che  vollero 
ottenervi  successo.  Bossini  non  era  tenuto  allora  per  un  rivoluzio- 
nario né,  come  più  tardi  avvenne,  per  un  classico;  egli  restò  piace- 
vole e  grandioso,  e  vide  nella  sua  stessa  linea  pur  Bellini  e  Donizetti. 
È  solo  nel  periodo  dei   rivolgimenti  politici  italiani,  che  la  pompa 


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L*OPBRA  DI  GIUSEPPE  VERDI  E   I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  285 

Itossiniana,  il  suo  tratto  romantico  e  il  suo  difetto,  diventa  il  carat- 
tere essenziale  del  suo  ultimo  successore ,  il  Verdi ,  mentre  alcuni 
altri  infelici  pedissequi  stavano  a  rappresentare  quell'indirizzo  dotto 
e  patriarcale  della  musica,  che  al  loro  scarso  talento  rispondeva. 

n  principio  del  secolo  XIX ,  in  Italia  e  in  Francia ,  ebbe  nella 
musica,  come  nell'arte  in  genere,  nelle  idee  e  nella  vita,  un  riflesso 
di  classicismo  greco;  si  vogliono  i  contorni  e  i  fluttuamenti  morbidi 
della  forma,  le  meravigliose  gioie  bizantine  di  Rossini  e  Cherubini, 
di  Méhul  e  Bojeldieu.  Nessun  miglior  modello  dopo  il  Terrore. 
L'opera  è  fatta  di  arie  ricercate;  sono  adornamenti  e  vesti  circasse, 
collane  di  perle  musicali,  amabili  intrecciature  di  merletti,  monili  di 
Atene  e  di  Boma.  Ecco  gli  anni  classici  di  Cherubini  e  di  Bossinì. 
A  grado  a  grado  aumenta  il  furore  degli  ornamenti,  la  musica  di- 
venta una  pletora  di  ricci,  di  fiorì,  di  nastri.  È  il  furore  di  Bossini 
e  Donizetti,  Auber  e  Bellini.  Poi  succedono  gli  artisti  della  moda 
più  liscia  e  fino  penosamente  candida,  mostrantisi  in  tutta  la  lor  cruda 
distorsione;  ecco  Spontini,  il  nuovo  Bellini  e  Mercadante,  ed  ecco  poco 
ào^VOberto  del  Verdi.  Poi  le  bizzarrie  scompariscono  in  tutto  nel 
1850;  è  l'epoca  del  Verdi  rinnovato  dal  romanticismo  francese.  E 
d'ora  innanzi  tutto  si  semplifica  sino  al  grande  agio  e  alla  grazia 
della  nuova  estetica,  al  movimento  sentimentale  del  1870  e  alla  prosa 
sentimentale  del  1880. 

Bellini,  tentato  dal  nobile  pensiero  che  l'opera  fosse  riformabile 
nella  linea  della  semplicità  e  verità  drammatica,  aveva  pur  egli 
esperimentata  una  prima  applicazione  di  quel  carattere  Bossiniano 
dianzi  accennato,  e  precisamente  ne'  Puritani;  egli  era  riuscito  a  con- 
ferir nuova  firescbezza  alla  melodia  col  ricorso  a'  canti  popolari  della 
sua  natia  terra.  Ma  ciò  riguardava  ancor  troppo  la  cosa  in  sé  ;  non 
aveva  eco,  non  trovava  riverbero  nell'ambiente;  non  si  scaldava  al 
fuoco  d'impressioni,  d'idee  e  stimoli  sociali.  Arie  potenti  a  doppia 
monodia  di  voci  colossali,  duetti,  cori  all'unissono  o  all'ottava:  no, 
non  era  ancor  il  momento.  D'altra  parte  Bossini,  che  aveva  divertito, 
cominciava  a  stancare;  la  sua  musica  invecchiava  ed  era  messa  in 
disparte.  A  Bellini  non  eran  bastate  le  forze  per  farsi  guida  alle 
nuove  idee  ;  egli  si  perdette  mal  pratico  della  strada  ;  per  proseguire 
nella  linea  di  Gluck,  Weber  e  Spontini,  occorreva  un'altra  natura  e 
una  testa  che  egli  non  aveva.  Donizetti,  più  fortunato  imitatore  di 


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286  ARTE  CONTEMPORANEA 

Rossini ,  volse  lo  sguardo  alle  tinte  vivaci ,  ai  colori  deireffetto ,  e 
sulle  orme  del  maestro  egli  ricalcò,  rifece  in  fretta,  aiutato  da  una 
vena  facile  e  meravigliosa.  Egli  potè  ridestare  il  &scino  proprio  di 
questa  vena  italiana,  che  a  Verdi  in  fine  recò  tanta  seduzione  di  me- 
lodia, quanta  Rossini  le  aveva  accresciuta  novità  ed  imponenza.  Il 
seme  era  finalmente  caduto  su  buon  terreno. 

Ma  ora  i  tempi  erano  alquanto  cambiati.  Nella  vita  politica  ita- 
liana, al  perìodo  delle  proteste  platoniche  era  succeduto  quello  di  un 
importante  movimento  patriottico.  L'Italia  aspirava  ad  essere  una  na- 
zione. Una  specie  delFarte  teatrale,  tanto  più  efficace  per  la  forma 
indefinita  con  cui  essa  esprime  idee  e  sentimenti,  non  poteva  rima- 
nere indifferente  o  estranea  a  questo  moto.  E  per  Io  stimolo  mag- 
giore di  questa  aspirazione,  nell'epoca  del  risorgimento  nazionale, 
l'opera  artistica  di  Verdi,  come  esagerazione  sentimentale  della  ori- 
ginai pompa  Rossiniana,  trova  il  carattere  e  l'ambiente  suo  proprio. 
Gl'inni  dell'Italia  che  anela  libertà  sono  la  gran  voce  del  nostro  po- 
polo, che  l'artista  ascolta  e  fa  sua  voce.  È  questa  proprio  la  musica 
stessa,  non  lo  scopo,  non  l'intendimento  in  chi  la  scrive;  energie  spon- 
tanee coteste,  che  le  si  associano  e  la  fanno  più  bella.  Ecco  il  puro 
italianismo  di  Verdi  ;  un  periodo  in  cui,  nell'opera  sua,  il  sentimento 
patriottico  nella  forma  del  canto,  rude  ma  conquidente,  prevale 
sulla  tradizione  musicale  italiana  in  sé.  A  chi  bene  osservi  non  riu- 
scirà difficile  scoprire  che  l'artista  quella  tradizione  aveva  ripudiata 
e  sfatta.  Il  genio  della  natura  popolare  s'agitava  nei  figli  d'Italia; 
egli  trascinava  con  sé  l'artista  e  questi, senza  bisogno  di  modelli,  ri- 
faceva da  capo.  Il  bel  canto  comincia  a  cedere.  La  perleggiante  or- 
chestrazione di  Rossini  si  muta  in  una  serie  di  effetti  massivi  e  gran- 
diosi —  per  Verdi  canto  e  suono,  in  principio,  sono  una  cosa  sola  —  ; 
lo  sfratto  a  tutto  che  non  sia  musica  italiana  si  comincia  a  conside- 
rare ingiusto,  e  il  nuovo  venuto  si  trova  solo  a  regger  le  sorti  del 
teatro  lirico.  Varia^  la  base  dell'opera,  si  snatura,  non  è  piii  ricono- 
scibile ;  essa  ha  spostato  il  suo  corpo  artistico  un'altra  volta.  Di  mon- 
dana,  elegante  e  frivola  ch'eli' era,  carica  di  note,  splendida  in  vir- 
tuosità, e  nell'oblio  di  sé,  e  nella  franchezza  spudorata  della  sua 
degenerazione,  or  drammatica,  or  cantabile,  ma  sempre  leziosa,  essa 
é  diventata,  col  Verdi,  una  forza  drammatica  unita  e  massiva,  rozza 
in  confronto  coi  tipi  precedenti,  ma  più  varia  di  ritmo  e  d'armoDia, 
più  naturale,  virile,  sentita. 


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L*OPSaA  DI  Giuseppi  VERDI  I  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  287 

Questa  evoluzione  del  canto  drammatico  consistette  in  ciò,  che  il 
principio  melodico  penetrò  più  energicamente  nella  sfera  del  dramma» 
Fa  esteticamente  ana  degenerazione,  perchè  Varia  non  fu  più  così 
bella  come  prima,  crebbe  sino  a  deturpare  il  bel  canto  italiano,  forzò 
Tergano  della  voce  e  fece  più  urlare  che  cantare  ;  mentre  poi,  col  suo 
sovrappeso  nell'opera,  seguitò  constringendo  a  sé  quanti  altri  effetti 
vi  avevano  con  violenza  palese;  ma  corrispose  a  un'effusione  più  di- 
retta dei  sentimenti,  fu  più  eccitante  e  seppe  entusiasmi  nuovi.  A 
questo  possesso  dell'  aria  italiana  il  Verdi  era  solo  spiritualmente 
cresciuto,  non  tecnicamente.  Lungi  dall'essere  un  male,  ciò  fu  un  bene; 
fu  l'impulso  incosciente  verso  una  riforma. 

Ed  ecco  il  Verdi  del  periodo  epico,  il  Verdi  della  pura  italianità: 
forte,  fiero,  audace,  costringente  come  i  fatti  dell'epoca.  La  sua  arte 
ha  del  furore;  egli  è  rozzo  e  violento,  talora  brutale.  Una  delle  sue 
partiture  —  Emonia  Aitila,  H  Corsaro  — •  riassume  le  più  notevoli 
peculiarità  del  suo  stile  :  melodia  abbacinante,  a  ritmo  irregolare,  in- 
cisa a  fondo,  una  cornice  pesante  di  istrumentazione,  incidenti  orche- 
strali rumorosi  e  violenti.  L'effusione  dell'artista  è  giovenilmente 
incauta,  non  conosce  impedimenti  e  pericoli  ;  è  l'effusione  dell'arta 
passata  da  un  artista  classico  dell'Impero  a  un  uomo  della  Rivolu- 
zione ;  è  l'effusione  di  quella  vita  esuberante  che  non  modera  i  suoi 
trasporti,  non  ritoma  sul  già  fatto,  non  controlla,  non  critica  e  va 
dritto  all'effetto  senza  curarsi  dei  mezzi.  È  violenta  passionalità;  la 
passionalità  della  vita  e  dell'arte  italiana. 

» 
*  * 

Il  periodo  che  segna  la  prima .  trasformazione  delFarte  Verdiana 
non  è  così  facile  da  caratterizzare.  Anzi  tutto  questa  trasformazione 
non  è  decisiva  né  stabile  ;  per  cui,  se  il  criterio  dei  tre  stili,  gene- 
ralmente adottato  dai  critici  e  dai  biografi,  può  accettarsi  come  sem- 
plice congegno  e  concessione  indulgente  ai  profani,  come  criterio  ar- 
tistico-musicale  manca  di  serietà  ed  è  soggetto  a  riserve,  visto  che 
non  è  possibile  applicarlo  rigorosamente  alle  opere  dell'artista  nel- 
l'ordine della  lor  successione.  Anche  ora,  nel  periodo  del  primo  rin- 
novamento, l'aria  italiana  si  può  ritenere  la  base  formale  dell'opera; 
anche  ora  la  fantasia  del  Maestro  pur  sempre  si  compiace  delle  orgie 

HinMifi  muiìeaU  ttaiiana,  VIU.  20 


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288  ARTE  CONTBMPOBANBA 

e  degli  orrori  del  romanticismo,  degli  eccessi  della  passione,  de'  suoi 
accecamenti,  delle  sue  più  funeste  tristizie,  di  nn  feroce  realismo, 
in  cai  il  talento  ebbe  a  mettersi  talvolta  a  servizio  del  bratto,  del 
triviale  e  del  ripugnante.  E^li  accentuò  anzi  la  forza  del  carattere 
drammatico  e  con  più  vigore  di  prima  e  pensatamente  vi  insistette. 
Anche  ora  gli  effetti  ruvidi,  violenti  e  rumorosi  lo  ebbero  a  seguace 
pieno  di  fuoco  e  temperamento,  entusiastico  dispensatore  di  tutto  il 
meglio  di  sé  stesso,  senza  restrizione  e  senza  cautela.  Anche  ora  egli 
ignorò  la  importanza  della  totalità  neiropera  e  ne  osservò  l'esistenza 
nei  singoli  frammenti,  diretti  ognuno  dalle  proprietà  dell'aria  can- 
tabile per  le  voci  e  per  gli  istrumenti.  Il  mo  pathos  fu,  come  prima, 
natiunlismo  liscio  e  tutto  forma  di  sentir  forte  e  melodico.  Nella 
composizione  prevalse  la  pratica  all'arte;  egli  modulò  i  suoi  canti 
secondo  l'uso  popolare.  Considerò  la  melodia  principio  cardinale;  gli 
piacque  sceglierla  dalla  bocca  dei  popolo  incolto  e  ridonargliela  non 
meno  semplice  e  popolare,  anche  se  l'artista  che  la  ricantava  era  un 
cavaliere  medievale,  un  cortigiano  del  Rinascimento,  una  dama  della 
borghesia.  .Anche  ora  il  sentimento  per  lui  esistette  in  quanto  avesse 
una  sostanza  nitida  e  precisa,  un'efficacia  immediata,  o  non  esistette 
affatto;  e  l'espressione  sua  fu  la  più  aperta,  plastica  e  tagliente,  o 
non  fu  affatto.  Anche  ora  la  peculiare  sua  bombastica  gli  valse  qualche 
trionfo  memorabile  —  né  forse  mai  disparve  totalmente  ;  fu  una  pre- 
dilezione d'artista  •—  il  coro  rumoreggiò,  isolato  o  forte  della  sua 
parte  negli  avvenimenti,  e  s'introdusse  dovunque  gli  piacque,  falla- 
cemente, come  effetto  senza  causa.  La  sua  melodia  fu  di  preferenza 
una  melodia  sublimata  all'esterno,  quale  comportava  una  cultura  di 
mente  più  rettorìca  che  fina.  Anche  ora  gli  strisciamenti  del  canto  e 
l'uso  della  ripercussione  fotografica  della  melodia  orchestrale  non  ces- 
sarono di  essere  diuturne  invocazioni  al  successo  lirico  e  patetico, 
poiché  il  suo  senso  naturale  prevalse  facile  ognor  più  nel  colpire  ciò 
che  impressionava  l'animo  del  suo  pubblico. 

Ma  il  cambiamento  c'è,  ed  eccone  le  linee  generali. 

Anzi  tutto  il  compositore  ha  esperimentato,  forse  a  sua  stessa  sa- 
zietà, un  genere  di  opera  troppo  strettamente  legata  all'italianismo 
epico,  al  periodo  dell'inno  di  Mameli,  dell'assedio  di  Roma  e  de'  com- 
battimenti. A  questo  periodo  uno  nuovo  ne  é  succeduto  e  di  relativa 
calma;  siamo  al  1851 , l'epoca  dell' Aleardi.  Anche  il  Maestro  si  concentra. 


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L  OPERA  DI  OIUSBPPS  TEROI  K  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  ZS» 

I  suoi  sfoghi  sono  meno  impetuosi  ;  egli  discerne,  e  raccoglie  il  suo 
pensiero.  D'altra  parte  diversi  uomini  inetti  egli  ha  visto  porsi  nella 
soa  ste^a  via,  confidenti  nelle  arie,  nelle  marcie,  nei  cori  dellltalia 
liberata  e  della  loro  povertà  intellettuale  perfettamente  compresi.  Verdi 
vuole,  Verdi  sa  scegliersi  un'altra  via.  Egli  rende  così  più  libera  la 
sua  attività  nella  stessa  misura  delle  fatte  esperienze.  L'antica  tra^ 
dizione  italiana,  che  egli  ha  gettato  come  un  fascio  d'arnesi  inutili, 
gli  si  riaffaccia  alla  mente.  Egli  non  va  d'accordo  colla  reazione, 
vuol  camminare  coi  tempi,  ma  non  intende  ripudiare  del  tutto  il 
passato.  La  doviziosa  trivialità  di  gran  parte  della  sua  musica,  scritta 
in  fretta  negli  anni  della  sua  vena  migliore,  gli  discorre  solo  di  istinto 
e  di  inesperienza,  lo  anima  quasi  a  prove  diverse.  D'altronde,  il  fiato 
puzzolente  degli  spudorati  che  ha  di  fronte  lo  costringe  a  volger  loro 
le  spalle  tanto  più  presto,  E  così  cadono  i  suoi  vecchi  ideali.  Dopo 
Qo  brusco  movimento,  il  Maestro  sorride  pensando  M'Atiila, 

E  però  Verdi,  con  un'alterazione  apparentemente  piccola  nel  suo 
metodo  di  comporre,  non  resta  Verdi.  La  sua  fisonomia  sì,  è  intatta. 
Varia  ne  è  lo  stimate  di  necessità^  l'aria  cui  tutto  egli  sacrifica; 
ma  la  sua  condizion  di  spirito  è  mutata,  ma  il  lavoro  della  mente 
è  diverso. 

V'è  chi  pensa  che  Verdi  abbia  detto  l'ultima  parola  nella  storia 
dell'aria  italiana.  Io  non  lo  credo.  Come  riadattando  questa  forma 
tolta  a*  predecessori,  ma  ritoccata  nel  ritmo  e  drammatizzata,  nulla 
impedì  al  Verdi  d^imprimer  sé  con  immagini  nuove,  e  come  questa 
forma  è  in  perfetta  antitesi  con  quella  della  drammatica  classicità 
del  '600,  così  nulla  impedisce  che  una  novella  vivificazione  dell'aria 
italiana  del  secolo  XVII  non  possa  rifecondare  il  dramma  musicale. 
Verdi  restò,  pur  nel  nuovo  periodo,  compreso  del  compito  che  pel 
musicista  emerge  dall'aria,  ma  non  per  questo  trascurò,  come  prima, 
0  sviò  i  più  minuti  effetti  del  dramma  ;  non  per  questo  egli  li  cre- 
dette accessorii.  L'aria  rimase  il  suo  culto;  egli  la  volle  ad  ogni 
costo,  le  riconobbe  un  dominio  assoluto;  la  sua  grande  facilità  e  la 
ricchezza  della  propria  vena  melodica  gli  permettevano  ogni  sorta  di 
nuove  esperienze;  ma  la  spiegò  e  la  ridusse  ancora  ad  una  forma 
meno  trascendentale,  pur  avendola  buona  per  esprimere,  secondo  ve- 
rità, situazioni  ed  intere  scene  drammatiche. 

Qui  è  il  concetto  fondamentale  e  positivo  che  trasforma  l'arte  Ver- 
diana. 


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290  ARTE  CONTBMPORANKA 

Ma  Taitista  trae  partito  anche  da  an'altra  fonte  di  esperienze.  Forse 
fo  un'eccezione,  fa  un  tentativo.  Per  la  prima  volta  la  sua  erudi- 
zione musicale  appare  intaccata  di  Qermanismo  nel  1850  (Stiffelio); 
un  sintomo  oscuro,  un  rimprovero  fuor  di  luogo  e  apparentemente 
stolto  per  l'osservatore  d'oggidì,  ma  non  co^  per  il  pubblico  e  i  giu- 
dici dell'epoca: 

n  latto  è  che  la  passionalità  e  il  carattere  tengono  più  spesso  e 
meglio  il  posto  della  sciolta  melodia  primitiva.  Bando  agli  effetti 
aspri  e  al  fare  stereotipo  egli  non  diede  —  guardate  i  Vespri  Sici- 
Uani  —  ma  ^li  tempera  gli  eccessi  dell'isolato  cantabile  e  talora, 
meglio  riassumendo  la  condizione  di  spirito  della  situazione,  lo  con- 
verte in  recitazione  melopeica  —  guardate  la  Faraa  del  Destino^  il 
B<Mo  in  Maschera,  la  Traviata  —  ed  ha  il  concetto  dell'efficacia 
totale  dell'opera  —  osservate  il  BaUo  in  Maschera  e  il  BigoleUo. 
La  ricchezza  barocca  del  sentimento  pieno  e  volgare  si  mitiga;  l'uso, 
l'effetto  delle  masse,  moderato  in  prima,  abbacina  e  appesantisce 
di  nuovo  ne'  Vespri  e  nel  Don  Carlo.  A  più  artistica  forma  era  de- 
stinato forse  a  non  ceder  mai.  Una  modesta  intellettualità  non  di  meno 
subentra  alla  sbrigliata  sensazione  dell'effetto  istantaneo,  mentre  nella 
melodia  sempre  domina  quella  temperamentale  plasticità,  che  è  la 
molla  impulsiva  di  tutto.  Non  è  più  uno  spreco,  informativo  e  ma- 
teriante  prima,  di  forze  musicali  e  nazionali  insieme,  di  cui  la  cul- 
tura nulla  profittò  e  il  pubblico  si  stancò  si  presto  ;  ma  sibbene  una 
più  savia  direzione  dei  mezzi,  che  al  fine  guidano  in  consentimento 
collo  spirito  pubblico. 

Ciò  che  si  osserva  nella  lìnea  generica  dell'opera  dal  lato  della 
musica  vocale  non  è  meno  vero  se  si  considera  l'attitudine  dell'or- 
chestra. Essa  precisamente  interviene  ora  con  una  caratteristica  dram- 
matica più  unita  e  continua  e,  maneggiata  con  maggiore  abilità, 
non  individua  più  soltanto  l'incidente  isolato,  ma,  come  espression  di 
questo  e  come  accompagnamento,  acquista  un  colorito  tragico  di  cui 
il  Verdi  prima  non  ebbe  idea. 

E  però  è  ancora  la  melodia,  in  fondo,  che  ambisce  ad  esprimere  la 
situazione.  Pur  quando  il  caso  voglia  che  il  musicista  occhieggi  il 
melodramma  di  Francia,  la  vera  sua  prima  vaghezza  esotica,  egli  non 
cede  il  proprio,  ma  rifa  a  suo  modo  l'altrui.  Così  egli  dà  carattere 
proprio  a  una  maggior  ricchezza  armonica  e  a  una  più  varia  istru- 


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L*OPBRA  DI  aiU8H»Pa  TUU)I  ■  I  SUOI  GARATTKRI  PRINCIPALI  291 

mentazione,  entrambe  importate.  Ma  egli  non  fa  comicamente  l'eru- 
dito e  ii  tedesco  come  il  senile  &nciaIlo  partenopeo.  Egli  vi?ifica  la 
melodia  italiana,  la  melodia  del  sentimento  e  del  caore.  Il  colore 
forestiero,  che  la  copre  talvolta,  non  basta  a  nasconderla;  un  difetto 
questo  pel  dramma  di  carattere,  che  diventa  un  tratto  interessante 
neiroggettivazione  del  musicista.  Sì,  gli  elementi  di  arte  forestiera 
a  quest'epoca  —  dal  Bigoìeiio  al  Don  Carlo  —  passati  pel  crogiuolo 
del  Verdi  di?engono  bizzarrie  e  artifici  che  sì  scoprono  subito,  tanto 
poco  ai  assimilano  col  suo  sentimento  personale  e  sincero.  L'artista 
non  è  ancora  riuscito  a  una  fusione  perfetta.  Or  questa  maggior  cura 
di  assimilarsi  elementi  eterogenei  di  sostanza  e  forma  una  volta  lo 
tradiscono  completamente:  nel  Dan  Carìo^  l'opera  di  un'ambizione 
rispettabile  risolta  nell'aridità. 

Lo  stile  polifonico  ora  annuncia  il  suo  dominio;  nessun  artificio 
turba  più  l'accordo  fra  suono  e  parola,  la  piacevolezza  non  istà  pel 
carattere.  Verdi,  con  nuova  serietà  di  proposito,  è  l'artista  del  grande 
motivo  emozionale,  arbitro  del  dramma,  che  egli  domina  con  un'arte 
tecnicamente  assimilata  e  idealmente  sua.  La  melodia  n'ò  pur  sempre 
il  sigillo  impresso  con  forza,  ma  non  con  violenza.  11  canto  italiano 
fiammeggia  ancora,  ma  non  è  più  il  canto  che  sarà  domani  prover- 
biale, non  è  più  la  lingua  pura  della  nazione. 

Il  vero  stimate,  il  vero  vincolo  nazionale  nell'arte  di  Verdi  è  l'ele- 
mento melodico-epico  della  prima  maniera.  Il  cosmopolitismo  dell'ul* 
tima  segue  dopo  l'epoca  dei  Vespri  e  del  Don  Carlo^  che  contrasse- 
gnano la  frase  intermedia.  Si  tratta  di  un  passaggio.  Basta  osservare, 
nel  caso  pratico,  come  egli  intenda  ancora  l'accomodamento  degli 
elementi  sonori,  l'uso  dei  pezzi  e  dei  numeri  o  nel  centro  o  negli 
estremi  dell'opera,  la  scelta  dell'orchestrazione.  Tutto  è  ancor  sulla 
linea  di  passaggio  da  un'esperienza  all'altra,  tutto  sta  novellamente 
riformandosi.  L'artista  ha  sentito,  ha  ascoltato;  le  catastrofi,  i  suc- 
cessi dell'opera  gli  si  manifestano  in  una  vasta  serie  di  fatti  non 
pure  speciali  ma  della  musica  in  genere.  Ora  gli  scambi  tra  popolo 
e  popolo,  le  comunicazioni  facilitate,  il  contatto  divenuto  maggiore, 
il  nuovo  assetto  della  politica  Europea  e  la  miseria  della  produzione 
artistica  paesana  avevan  fatto  sì  che  gl'italiani  volgesser  gli  occhi 
all'estero:  Verdi  li  volse  con  essi.  Ma  egli,  il  vessillifero  della  mu- 
sica italiana,  non  smarrì  se  stesso  per  ciò  ;  egli  aveva  troppo  senso 


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E08  ARTS  CONTEMPORANEA 

pratico.  Fu  grande  e  modesto  aoehe  Dell'annegare  la  sua  stessa  per- 
sonalità, quando  la  voce  dell'arte  nera  giunse  al  suo  vigilante  orecchio. 
Egli  riconobbe  il  mutamento  dei  fatti  artistici  e  culturali  e  prese 
la  corsa  verso  le  aspirazioni  nuove  coll'anima  di  un  giovine  entu- 
siasta. Orando  e  modesto  veramente,  egli  ebbe  ora  la  piena  coscienza 
della  sua  missione  storica. 

Ed  ecco  l'ultimo  Verdi. 

Sul  cambiamento  del  pubblico  gusto  in  arte  premette,  oltre  il  resto, 
l'opera  forestiera.  Le  brillanti  opere  di  Meyerbeer  segnavano  ogni  dì 
nuovi  trionfi.  Meyerbeer,  allo  aenit  della  sua  carriera,  era  l'uomo 
del  giorno.  Egli  aveva  perfezionato  la  musica  drammatica.  Al  con- 
tatto del  pubblico  francese,  la  ruvidezza  nativa  si  era  temperata;  la 
sua  virtù  propria  e  spontanea  raffinata,  modellata  mediante  una  grazia 
e  finezza  artistica  invano  cercate  nello  spirito  e  nella  cultura  della 
razza  teutonica,  ne  aveva  fatto  il  musicista  cosmopolita.  Egli  ci  af- 
faticava un  poco,  è  vero;  il  suo  sapere  sinfonico  aveva  dello  strano 
e  dell'affettato;  però  la  sua  forza  ti*agica  c'imponeva,  la  sua  poesia 
era  allettevole  e,  tutti  d'accordo  in  Europa,  noi  ammirammo  e  gri* 
damme  al  capolavoro.  Come  Guglielmo  Teli  e  La  muta  di  Portici  erano 
state  un  avvertimento  per  Meyerbeer,  così  lo  furono  gli  Ugonotti  per 
Verdi;  anzi  la  stessa  personalità  del  maestro  tedesco  fu  pel  Verdi 
un  avvertimento  e  un  esempio.  Collo  stile  precedente,  forse  egli  stesso 
inconsapevole,  avvenne  una  rottura  completa.  La  sua  vena,  il  suo 
temperamento  sj  piegarono,  senz'avvedersene  e  senza  scomporsi,  anzi 
ringiovanepdosi,  alle  acquisizioni  dell'arte  cosmopolita  Meyerbeerìana. 
Il  lavoro  della  italica  fantasia  aggraziò,  abbellì;  il  canto  italiano 
restò  0  parve  restare,  ma  la  forma  n'esci  infranta.  In  compenso,  il 
carattere  e  l'intensità  del  sentimento,  il  maggior  colorito  e  il  nuovo 
indirizzo  dell'orchestrazione  soddisfecero  meglio.  Guardate  il  dramma 
di  Schiller  o  di  Shakespeare  musicato  dal  Verdi  del  Maebeth,  dei 
Masnadieri  o  della  Luisa  MiUer,  e  confrontatelo  col  Simon  Bocca- 
negray  col  Don  Carlo^  cclìV  Otello.  Le  cavatine  e  le  melodie  da  reg- 
gimento, i  larghi  finali  rumorosi  sono  diventati  pezzi  di  espressione 
intima,  pitture  trag^iche,  scene  di  carattere.  L'artista  non  si  fa  più 
a  raccontare  una  storia  orribile  in  tempo  di  mazurka,  non  dà  a  una 
scena  funerea  la  sua  inevitabile  soluzione  allegra,  non  più  insomma 
le  incongruenze  e  gli  stridenti  contrasti  del  periodo  precedente.  La 


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l'opera  di  01U8BPPB  ViaOI  ■  1  SUOI  CABATTERI  PRINCIPALI  293 

stessa  maestrìa  orchestrale  Heyerbeerìana,  la  stessa  finena,  facilità 
e  leg^gerezza  francese,  accostate  prima,  ma  non  raggiunte,  sono  ora  di 
fatto  sorpassate.  Dopo  il  Don  Carlo  Verdi  ha  ritrovato  uno  stile. 
L*arìdezza»  il  tormento,  la  confasione  sono  sparite.  La  fiintasia  e  la 
mano  del  maestro,  libere  o  rinfrancate  dopo  un'esperienza  salutare, 
dopo  un  incidente  estetico  non  propizio  alla  sua  natura  impreparata, 
gli  permettono  di  gettare  la  maschera;  il  nuovo  equilibrio  è  lo  stesso 
prevalere  nuovo,  se  non  completo,  della  sua  natura.  Per  lo  meno  quel 
che  le  si  era  attaccato  di  velenoso  ò  reciso.  Nella  ferma  natura  di 
quest'uomo  il  pathos  ricorda  ancora  l'antica  energia.  Egli  non  ha  pib 
bisogno  di  ricordare  con  un  paio  di  pezzi  incidentali,  che  i  Vespri 
son  opera  italiana,  uè  di  uccidere  il  BaUo  in  Maschera  d'Auber 
con  Tarmi  affilate  alla  grazia  francese,  perchè  VAida  e  il  Falstaff 
sorpassano  qualunque  confronto;  ciò  che  pur  sia  frammentario  e  for- 
zato nel  Don  Carlo,  cede  alla  totalità  d'impressione  e  alla  densità 
dell' Ofeflo;  nei  dettagli  l'interesse  assoluto  della  melodia  è  passato 
nell'armonia;  lo  stile  polifonico  sostituisce  l'omofonico;  la  voluttà 
dell'assoluto  canto  non  ha  più  nessun  potere  su  lui  ;  Verdi  è  diven- 
tato sapiente. 

E  dopo  ciò,  Verdi  —  tutti  declamano  —  resta  Verdi.  Ma  Verdi  è 
la  personificazione,  l'evoluzione  drammatica  dell'aria  italiana.  Ora 
lopera italiana  considera  il  canto  nella  sua  proprietà  musicale,  così 
che  la  declamazione  poetica,  rinchiusa  nella  forma,  rimane  pura  mu- 
sica, aria  teatrale.  Ora  Verdi  passa  al  concetto  opposto.  Per  lui  la 
declamazione  poetica,  altrimenti  basata  sull'accentuazione  del  discorso 
musicale,  ossia  il  canto,  si  spoeta  e  invece  di  dirimere  le  sue  parti, 
diventa,  unita,  il  criterio  direttivo  dell'espressione  e  del  canto;  il 
Maestro  dà  di  piglio  al  recitativo  a  preferenza  della  melodia,  anzi 
ci  vede  chiaro  per  la  prima  volta  il  rapporto  che  l'accompagnamento 
ha  col  canto;  egli  si  accorge  e  insiste  sul  gran  vantaggio  di  una  buona 
e  forte  declamazione  ;  prova  col  &tto  che  i  suoni  devono  acconciarsi 
alle  parole,  non  le  parole  ai  suoni  ;  rifiuta  il  dominio  assoluto  della 
melodia,  la  piacevolezza  e  l'effetto;  vuole  quel  naturalismo  che  risiede 
nell'accordo  perfetto  fra  musica  e  parola,  rinnega  il  suo  passato. 
—  Ma  tutti  declamano  ancora  :  Verdi  è  sempre  Verdi.  —  E  si  rift 
la  lunga  palinodia  e  si  concede  che  il  metodo  di  composizione,  coi 
relativi  elementi  di  progresso  drammatico  e  musicale,  sia  cambiato 


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204  ARTI  GONTBMPOaANBA 

dal  BigoUtto  in  poi  (cosa  non  vera),  e  a  poco  per  yoIìa,  ftcendo  ce- 
dere lo  slancio  in?entiyo  nazionale  e  la  sensibilità  fn?ola  a  una  pe- 
netrazione maggiore,  e  allegando  poscia  quando  l'eradizione  indecisa, 
quando  lo  sforzo  palese,  si  arriva  ad  accostare,  come  in  un  processo 
d'autogenesia  continua,  Topera  italiana  alla  straniera,  si  arriva  alla 
confusione  d'entrambe  suggestionata  dalla  melodia  infinita,  che  non 
nasconde  le  sue  traccio  nell' J^ìAi,  per  concludere  ancora  tutti  decla- 
mando: Verdi  è  sempre  Verdi. 

Sì,  come  l'arte  è  natura  e  la  natura  è  arte.  Vero  sotto  forma  di 
sillogismo.  Ora,  al  punto  in  cui  siamo,  è  indiscutibilmente  più  arte  che 
natura:  tale  è  la  maniera  di  essere  dell'artista.  Ciò  che  avvicina  il 
nuovo  al  vecchio  Verdi  resta  pur  sempre  il  senso  plastico  specifica- 
mente italiano  della  melodia  e  la  temperata  intellettualità  che  nel 
fette  artistico  si  equilibra,  ma  non  soverchia  come  nell'opera  tedesca. 
Questo  nuovo  elemento,  tradotto  nella  risoluzione  polifonica  delle  parti 
melodiche,  è  l'anello  di  congiunzione  fra  la  natura  del  compositore 
ed  il  sentimento  della  modernità.  Meyerbeer  e  Halévy  prepararono 
la  trasformazione  del  Verdi,  Wagner  la  completò. 

Stette  Verdi  sotto  l'influenza  di  Wagner?  È  una  questione  ancora 
aperta  perchè  non  si  è  mai  discussa  serenamente.  I  panegirici,  le 
iperboli  e  la  miglior  pagina  di  contrappunto  non  hanno  mai  risolto 
nessun  problema  in  arte,  mentre  i  successi  reali  portano  avanti  gli 
uomini  e  le  nazioni,  tanto  che  essi  possono  diventare  successi  e  tirannie 
della  moda.  La  Francia  e  la  Qermania  non  ebbero  meno  successi 
dell'Italia  nell'opera  de'  nostri  tempi.  La  musica  italiana  fece  come 
la  politica  italiana:  prima  risenti  l'influenza  di  quelli,  poscia  l'in- 
fluenza di  questi.  L'ultima  maniera  di  Verdi  è  un  composito  dell'una 
di  queste  influenze,  nelle  peculiarità  del  singolo  pezzo  di  musica,  e 
dell'una  d'altra  insieme  nella  totalità  dell'opera,  con  un  amalgama 
in  cui  è  precisamente  il  suo  carattere  anfibologico  a  doppia  veste  : 
l'una  cosmopolita  sovrapposta;  l'altra  nazionale  sottoposta,  cioè  il 
temperamento.  Nella  misura  con  cui  Verdi  accoglie  nell'opera  sua 
elementi  francesi  ed  elementi  tedeschi,  oliasi  raffina  e  si  perfeziona: 
dal  Meyerbeer  al  Wagner  il  progresso  è  immenso,  come  dal  Don  Cario 
aU'OfeSo,  tanto  che  l'una  di  queste  opere  non  lascia  sospettare  l'altra. 

Ciò  che  lascia  al  Verdi  la  italianità  del  sentimento  è  l'idea  im- 
perfetta ed  oscura  che  egli  ha,  come  gli  stessi  suoi  connazionali. 


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L^OPERA  DI  GIUSEPPE  VERDI  E  I  BUOI  CA.RATTBRI  PRINCIPALI  295 

della  musica  francese  e  specialmente  della  tedesca.  Come  artista  ita- 
liano, egli  attinge  dove  è  più  viva  cantabilità.  Quando  la  fonte  fran- 
cese s'intorbida  egli  attinge  alla  tedesca.  La  vivacità  e  la  pieghevo- 
lezza dell'ingegno  italiano  operano  veri  miracoli;  egli  percepisce, 
accomoda,  modifica,  si  assimila  in  modo  meraviglioso  le  proprietà 
superficiali  dell'una  e  dell'altra.  Occorre  solo  che  l'età  tolga  all'ar- 
tista la  freschezza  della  melodia,  in  cui  ^li  più  non  ardisce  di 
essere  semplice  e  spontaneo,  ed  egli  vi  dirà  un'ultima  parola:  è  forse 
la  parola  dell'arte  intellettuale.  Data  la  linea  rappresentativa  in  cui 
procedeva  la  musa  del  Verdi,  dopo  aver  rinunciato  all'elemento  po- 
polare nazionale,  dopo  aver  gettato  il  vecchio  tronco  dell'aria,  l'in- 
contro col  Wagner  del  Tannhàuser  era  inevitabile.  11  suo  detto:  «la 
musica  dell'avvenire  non  mi  &  paura  »  è  la  convinzione  solida  di 
un  uomo  che  considera  inattaccabile  la  sua  natura  d'artista  e  sa  di 
arrivare,  ma  è  insciente  della  sua  graduale  evoluzione.  Si  vedrà  in 
che  egli  doveva  rimaner  ben  lungi  dai  caratteri  e  dalle  proprietà  di 
stile  che  distinguono  il  principio  artistico  germanico  dal  principio 
romano,  specialmente  quando  esse  vengano  considerate  nelle  loro  con- 
seguenze estreme. 

Per  la  caratterizzazione  dell'arte  di  Verdi  importante  è  l'elemento 
epico  nazionale.  Verdi  confuse  questo  elemento  con  l'elemento  arti- 
stico :  credette  all'inattaccabilità  vicendevole  di  queste  due  forze,  ma 
s'illuse;  e  il  fatto  che  egli  alle  germaniche  forme  d'arte  non  era 
cresciuto,  doveva  ritardare  la  fusione  perfetta,  se  non  forse  impedirla; 
così  l'opera  del  Verdi,  nell'ultimo  suo  stadio,  è  italiana  di  sentimento 
0  più  italiana  delle  altre. 

In  ogni  modo.  Verdi  che  era  stato  posto,  dopo  il  Bigoletto^  alla 
testa  di  una  riforma  dell'opera  italiana,  l'ha  realmente  compiuta. 

Accostiamo  questi  caratteri,  scoperti  nel  progresso  generale  dell'arte 
Verdiana,  al  fatto  concreto  dell'opera  d'arte,  e  vedremo  quali  ne  siano 
le  risultanze  specìfiche  ;  queste  compensano  della  non  poca  fatica  che 
costa  una  simile  indagine. 

Rifiutata  la  divisione  dell'opera  di  Verdi  nei  tre  soliti  periodi,  che 
abbiamo  non  di  meno  attraversati  rapidamente,  accentuandoli  ancora 


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296  AETB  CONTKMPOHAMEA 

per  noD  contrariare  d'un  colpo  la  consuetudine  dei  lettori,  io  la  con- 
cepirei come  una  serie  ininterrotta  e  grandemente  modulata  di  fatti,  in 
una  scala  che  si  estende  dalla  tragedia  corale  alla  commedia  giocosa. 
Tra  questi  due  estremi  si  eleva,  svolgendosi  lenta  col  suo  tempo, 
l'arte  Verdiana  e  signoreggia  senza  forti  scosse,  senza  rivalità  e  tur- 
bamenti. 

L'epoca  di  Verdi  è  epoca  di  entusiasmi  per  l'arte  e  gli  artisti,  che 
noi  non  conosciamo.  Li  aveva  rievocati  la  società  al  principio  del 
secolo.  L'arte  subiva  rivolgimenti  strani,  cui  l'uomo  colto  ed  elegante 
attendeva  con  interesse  ardente,  ammirazione  e  sorpresa.  Il  teatro  li- 
rico appassionava  in  modo  speciale.  La  scuola  classica,  che  abbatte 
le  opere  dei  musicisti  galanti  del  secolo  XVIII,  è  un  avvenimento 
europeo.  Rossini  che  ritoma  allo  studio  del  vero  giocoso,  Spontini 
che  traveste  il  nudo  con  un  drappo  di  arte  greca  e  romana  e  che,  rea- 
gendo, sostituisce,  come  Cherubini,  il  convenzionalismo  alla  vita  reale, 
assumono,  come  personalità  eminenti  mediante  i  lor  fatti  dell'arte, 
un'importanza  generale;  sollevano  discussioni,  lotte,  eccitano  l'ammi- 
razione e  le  proteste  dei  fanatici.  Il  teatro  lirico  ha  una  viva  letteratura 
sua,  per  cui  tutti  si  appassionano.  La  vista  del  compositore  era  un'emo- 
zione ;  egli  era  segnato  a  dito  come  un  immortale.  E  così  avvenne  ai 
fortunati  che  succedettero.  La  nuova  scuola,  che  con  Bellini  e  Doni* 
zetti  combatte  per  trent'anni  e  finalmente  trionfa  al  momento  della 
Bivoluzione  del  1848,  preludia  all'ultima  fase  di  questi  entusiasmi. 
Verdi  rappresenta  l'alba  del  romanticismo. 

Quando  il  nuovo  maestro  cominciò  a  scrivere,  la  scena  lirica  in  Italia 
era  un  semplice  podio  da  cantanti.  Spesso  il  soggetto  era  un  pretesto 
per  far  sentire  dei  concerti  vocali.  Le  opere  venivano  composte  in  fretta 
e  senza  pretesa,  destinate  a  questo  o  a  quel  teatro  come  novità  di 
stagione.  Esse  erano  commissionate  da  un  impresario  che  se  ne  gio- 
vava, se  aveva  fortuna,  in  un  determinato  periodo,  passato  il  quale 
non  se  ne  parlava  più.  Le  opere  subivano  una  specie  di  influenza 
regolativa  dal  pubblico  cui  erano  destinate  in  prima.  Spostato  così 
il  principio  direttivo  dell'opera,  come  prodotto  artistico,  questa,  nel 
caso  migliore,  dovea  soffrirne,  quando  non  era  il  risultato  di  un  rozzo 
mestiere.  Il  pubblico  si  era  creato  l'operista  a  suo  modo  e  lo  ado- 
perava come  un  giocattolo.  Il  libretto  non  aveva  che  un'importanza 
sensazionale  generica;  tutto  vi  era  tollerabile,  purché  servisse  alla 


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L*OP£BA  D[  GIUSSPPK  T|ROI  I  1  SUOI  CAnATTERI  PRINCIPALI  207 

composizione  di  qualche  buon  pezzo  di  masica  facile  e  popolare.  In 
una  più  recente  rappresentazione  dell*  OteUo  di  Rossini  al  teatro 
S.  Carlo  di  Napoli,  per  causa  di  una  cattiva  cantante  della  parte  di 
Emilia,  si  ommette?a  il  duetto  «  Vorrei  che  il  tuo  pensiero  »  e  si 
sostituiva  con  un*aria  di  Verdi  caniÀta  da  Desdemona.  U  fatto  delinea 
la  situazione  più  o  meno  uguale  in  tutta  Italia.  11  Verdi  non  potò 
cambiarla;  ^li  da  principio  si  contenne'  con  l'afte  e  col  pubblico 
come  i  suoi  predecessori.  La  cultura  di  questo  pubblico  era  barbara, 
ed  egli  le  scelse  ciò  che  le  conveniva  ;  l'opera  sua  ha  quasi  sempre 
i  caratteri  di  un  prodotto  riflesso.  Fra  le  prime  opere  ve  ne  sono 
alcune  di  cui  non  metto  conto  parlare;  altre  che  riescono  ancora  ad 
attrarre,  storicamente,  qualche  attenzione  indiretta,  mostrano  la  in- 
capacità dell'  arte  italiana  dell'epoca  a  intendere  l' opera  in  musica 
come  opera  d'arte. 

Anzi  tutto,  per  liberare  la  forte  passionalità  del  suo  temperamento 
e  accondiscendere  alle  tendenze  del  pubblico,  il  Verdi  ricorse  subito 
a  soggetti  tragici.  Egli  rappresenta  l'alba  del  romanticismo,  ho  detto, 
e  i  soggetti  li  prende  da  Shakespeare,  Schiller,  Hugo,  Byron,  dal 
teatro  francese  e  spagnuolo:  linee  forti,  grandi  contrasti,  effetti  a  sen- 
sazione e  sulle  masse.  Il  soggetto  assisteva  la  musica,  che  aveva  esito 
a  sé:  cori,  inni  di  libertà,  processioni,  marcie,  arie  tragiche  con  pi- 
stolotto di  finale  allegria,  scene  di  congiure  irrompenti,  di  ven- 
dette ed  eccidii,  catapulte  di  violenze  e  sterminio,  ombre  di  cimi- 
teri, apparizioni  di  diavoli  e  di  santi.  Ma  le  forti  figure  egli  le 
cercò  in  Shakespeare  e  Schiller.  E  i  sentimenti  estremi,  gli  eccessi 
di  Shakespeare,  i  deliri,  le  bassezze  e  le  turpitudini  sue,  le  inquie- 
tudini di  questa  grand'anima,  i  dubbi,  i  turbamenti  diventarono  po- 
polari, triviali  scene  d'opera;  esse  sembrano  in  musica  le  cose  più 
comuni,  si  direbbero  distrazioni,  debolezze  del  genio.  Al  coro  manca 
il  carattere  considerativo  ;  esso  è  tutto  un  seguito  di  asperità  e  di 
effetti  superficiali.  La  cultura  necessaria  a  tentare  i  soggetti  scelti 
non  sempre  aiutava  il  maestro:  egli  poco  vede  oltre  le  loro  esterio- 
rità. Perciò  i  soggetti  germanici,  scelti  senza  un'idea  chiara  del  prin- 
cipio d'arte  germanico,  mancarono  tutti  il  loro  effetto.  Le  opere  create 
pel  momento  scomparvero  senza  lasciar  traccia,  poiché  anche  lo  stesso 
carattere  nazionale  della  musica  molte  volte  si  trovò  fuor  di  luogo 
e  disperso  dalle  qualità  del  soggetto  poetico.  L'opera,  nella  mente 


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296  ARTE  CONTBMPORAMEA 

di  Schiller  destinata  a  sorgere  dalla  tragedia  in  una  forma  ideale, 
fu  anzi  tatto,  come  libretto^  una  brutalità  o  un'azione  puerile.  Nella 
decadenza  del  tatto  degenerarono  le  parti.  Ogni  più  ardita  finzione  del 
dramma  divenne  un  effetto  materiale,  un  coro,  una  cavatina,  un  rondò. 
E  mentre,  per  quanto  dozzinalmente  manipolati  dal  poeta,  i  soggetti 
erano  in  parte  dignitosi  e  virili,  non  molto  passò  che  la  degenera- 
zione si  spinse  nel  vero  disagio  morale,  nella  morbosità,  nelle  pa- 
rodie, e  si  passò  al  ditirambo,  alla  fantasmagorìa»  alla  coreografia, 
alle  orrìbili  storpiature  del  teatro  francese  e  spagnuolo,  componendo 
così  per  una  specie  di  Porte  Saint  Martin  italiana,  proprìo  come  nella 
decadenza  del  secolo  XVII.  L'esempio  di  Meyerbeer  aumentò  il  guasto. 
Si  attenua  la  pompa  dell'  ambiente,  ma  si  cerca  medesimamente  la 
storia  orrìbile  colla  varietà  del  contorno  borghese  e  popolare.  Gilda, 
Azucena,  Manrìco  sono  spostamenti  che  hanno  della  favola.  Il  vizio, 
la  malattia,  le  fogne  brìllantì  di  leggerezza  e  di  turpitudine,  sentieri 
sdrucciolevoli  ed  espressione  pesante,  vergini  tramutate  in  coqueties, 
maggiordomi  e  castellani  educati  alle  bettole,  vecchie  zingare  e  storie 
terrìbili,  comicità  e  crudezze  puerìli  attorno  a  fatti  tragici,  a  tombe 
aperte,  tutto  il  sacco  del  piii  crudo  romanticismo  fu  vuotato  addosso 
a'  più  ripugnanti  soggetti,  e  il  Verdi  spiegò  nuove  rìsorse  della  sua  vena 
tragica  e  inventò  nuove  melodie.  In  complesso,  da  del  Bernini  si  passò 
a  del  Balzac  diluito.  L'epoca  era  decisamente  cattiva.  Che  facessero 
gli  imitatori  è  inutile  dire.  Meyerbeer  finì  col  cedere  tutto  il  suo  ba- 
gaglio poeticomusicale;  Verdi  volle  esser  l'uomo  del  giorno  come  e  più 
di  lui  ;  egli  guardò  nel  caleidoscopio  meraviglioso  dell'accorto  e  ladro 
giudeo:  fatalmente  egli  trovò  da  eccitarsi  nel  barocco,  quando  il  sno 
ricco  sentimento  vi  si  affondò,  lasciando  sulle  acque  calme  della  su- 
perficie soltanto  la  schiuma  della  sua  melodia.  Ogni  tanto  l'esistenza 
di  qualche  brano,  in  cui  egli  era  all'altezza  sua  di  compositore  ori- 
ginale, gli  bastò  per  far  passare  il  resto. 

Le  regioni  della  fantasia  non  seducono  il  Verdi  ;  egli  ama  l'opera 
tradizionale  e  borghese  secondo  gli  permette  la  sua  intuizione.  Fra 
non  molta  varietà  di  tipi,  egli  riesce  nel  secondo  tentativo  della  com- 
media d'intrighi,  dopo  averci  data  Topera  tragica  della  gelosia.  I  so- 
liti personaggi  caratteristici  della  scena  lirica  ne  fanno  le  spese,  ma 
il  musicista  vi  infonde  una  vita  nuova.  La  fortuna  deiropera  giocosa 
lo  trasse  al  Falstaff;  dopo  gli  eccessi  d'Otello,  lo  sedussero  le  bas- 


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L*OPXRA  DI  OIU8IPPB  TXROI  K  I  SUOI  GARATTXRI  PRINCIPALI  299 

sezze,  le  trivialità  deirinsopportabile  e  perpetuo  Falstaff;  avrebbe 
potato  finire  col  cane  Crabb.  Fa  T  ironia  stessa,  T  ironia  4lella  vita 
che  lo  allettò?  Può  darsi.  Fu  la  visione  sicura  della  decadenza  del 
dramma  lirico,  che  indusse  il  buon  vecchio  a  cercare  un  po'  di 
umorismo  come  per  mitigare  una  afflizione  cronica  ?  Può  darsi.  Che 
la  fine  sua  musica,  impressionante  —  e  per  intellettualità  e  per  sen- 
timento —  ci  compensasse  della  calda  melodia  che  avevamo  perduta 
nessuno  penserà:  le  scintille  del  Falstaff  non  incendono,  e  noi  do- 
mandavamo l'incendio.  Mentre  l'OfeSo  offriva  realmente  un'ebbrezza 
di  rappresentazione,  il  Falstaff  era  la  cenere  dell'ultimo  grande  in- 
cendio. E  Verdi  finì  con  un  soggetto  che  toccava  ancora  la  corda 
istintiva  del  realismo  volgare  in  quel  grottesco  ambiente  di  comicità, 
in  cui  la  stessa  sua  giovinezza  gli  si  era  mostrata  sfavorevole;  egli 
finì  dove  l'arte  soverchia  la  natura,  finì  tra  l'ironia  della  vita  e  del- 
l'arte. 

Il  libretto  di  Verdi  è  pel  critico  una  pillola  amara.  Tralasciando 
quella  ingenua  rassegna  Don  Chisciottesca,  che  è  VOberto  conte  di  San 
Bonifacio^  chi  guarderà  ancora  da  vicino  gl'indovinelli  interminabili 
dei  Lombardi^  gli  espedienti  e  la  coreografia  della  Giovanna  d'Arco^  i 
comodini  lirico-fiintastici  del  Macbeth,  le  falsificazioni  dei  Masnadieri 
e  della  Luisa  Miller,  le  melensaggini  dello  Siiffelio,  solo  peggiorate 
nella  seconda  edizione  come  Aroldo?  Gli  è  proprio  un  correre  al  ga- 
loppo dissipando  la  propria  attività  nella  corruzione  del  bello  e  sco- 
prendo con  istinto  bestiale  tutte  le  più  mostruose  faccio  del  brutto. 
Quale  penosa  situazione  quella  del  musicista,  costretto  a  consumare 
il  meglio  delle  sue  forze  giovanili  in  servizio  di  così  ignobili  arruf- 
famenti e  di  così  villano  mestiere. 

In  fondo,  Parte  e  il  phatos  di  Shakespeare  e  di  Schiller  recavano 
alla  musica  di  Verdi  il  beneficio  di  quell'elevata  sensazione,  che  i 
librettisti  si  sforzavano  a  distruggere.  Anche  nella  successiva  fase  del- 
l'arte Verdiana  il  libretto  fu  trascurato,  poche  eccezioni  fatte.  Le 
simpatie  del  maestro  si  volsero  altrove.  Alle  stoffe  dalla  forza  tragica 
esuberante,  dalla  rettorìca  impettita  e  gonfia,  dal  phatos  drammatico 
pesante,  impetuoso,  alle  scene  dai  tremendi  contrasti  e  dal  senti- 
mento inesorabile  e  feroce,  educato  alle  conquise  acclamazioni  del 
gusto  popolare,  agli  applausi  delle  arene,  succedono  le  riviste  di  un 
nuovo  cpmanticismo  più  affettato  e  più  lirico,  le  orribili  scene  acca- 


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300  ARTI  GONTBMPORANBA 

tastate  del  teatro  spagnuolo,  gli  eccitamenti  e  la  patologia  del  ro* 
manzo  nuovo.  Il  cambiamento  è  notevole.  La  corrente  romantica  fran- 
cese invade  V  opera  italiana  con  nuova  violenza,  e  questa  assorbe, 
assimila  avidamente.  L'opera  di  Verdi  conquista  i  pubblici  stranieri. 
La  favella  musicale,  con  nuova  efficacia  e  ardimento,  si  universalin», 
lo  stile  si  altera.  Il  primo  a  sentire  la  necessità  di  una  simile  ttsB- 
formazione  è  il  musicista,  che  neirambito  de'  vecchi  soggetti  ha  im- 
poverita la  sua  vena  e  si  è  ripetuto  fra  non  dubbi  insuccessi.  Anche 
la  vita  popolare  italiana,  rinnovata  dalle  rivoluzioni  e  dalle  guerre, 
domanda  nuovi  eccitamenti  e  Tarte  una  nuova  favella;  ciò  che  l'Italia 
sfinita  non  trova  può  ben  trovarlo  la  Francia.  L'influenza  della  let- 
teratura e  del  teatro  francese  è  la  più  caratteristica.  Parigi  è  il 
focus  e  Scribe  fece  tre  volte  la  parte  di  Fenice.  Questo  fuoco  arro- 
venta già  col  Bigoletio^  il  dramma  più  turpe  che  abbia  sorretto  ma* 
sica  fluida  e  inspirata,  col  Trovatore  e  con  la  Forza  del  Destino, 
soggetti  terribili  e  ripugnanti  fino  al  gusto  esotico,  cui  l'opera  s'ac- 
costava ognor  più.  Nuovo  campo  all'intento  del  realismo  del  libretto 
d'opera  fu  la  Traviata  —  la  corruzione,  la  tisi,  il  tanfo  di  cadavere; 
e  venne  un  nuovo  successo  di  Schiller  déguisé,  Simon  Boccanegra, 
e  vennero  i  libretti  dello  Scribe,  dai  Vespri  al  Don  Carlo,  che  eb- 
bero al  loro  attivo  qualche  bella  scena  di  lirico  e  drammatico  effetto, 
per  merito  del  compositore,  a  compenso  dei  trucchi  che  l'arsenale 
francese  aveva  ceduto  a  tonnellate.  Apparentemente  il  dramma  di 
Schiller  {Don  Carlo)  si  prestava  alla  musica;  in  fondo  le  figure  del 
dramma  perdettero  la  Jor  fisonoroia  ;  gli  episodi  religiosi  e  politici, 
che  ne  son  tanta  parte,  restarono  irriflessi.  Ma  i  concertati,  i  cori 
giubilanti  e  le  nenie,  i  cortei,  i  balli,  le  allegorie,  le  apparizioni  de- 
ponevano, meglio  che  qualunque  altro  testimonio,  della  inferiorità 
estetica  di  questa  colossale  pièce  coupée. 

Nei  drammi  di  poi,  VAida  eccettuata,  l'opera  rivive  con  arte  assai 
migliore.  Ma  neWAida  del  Du  Lode  il  senso  della  totalità  impres- 
siva  è  rappresentato  da  due  elementi  musicali  :  il  tono  elegiaco  per- 
petuo ;  il  colore  locale.  11  poeta  rimane  responsabile,  come  si  direbbe, 
di  un  corso  completo  d'egittologia. 

La  tragedia  e  la  commedia  Shakesperiana  ricordano  ancora  al  Verdi 
l'alleanza  antica,  e  il  poeta  risponde  a'  suoi  nuovi  bisogni.  Egli  è 
eccessivo.  11  falso  Jago,  il  destino  tragico  che  agl'innocenti  è  verti- 


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L*OPEBA  DI  Giuseppi  VERDI  X  I  SUOI  CARATTBRI  PRINCIPAU  301 

gine,  r  erotismo  e  la  fiamma  della  gelosia  ritornano  al  Verdi  sotto 
la  forma  di  predHezioni.  Il  poeta  cioè  gliele  ritorna  nella  questio- 
nabile rapidità  detrazione,  nella  mancanza  di  equilibrio  morale,  nella 
negazione  di  ogni  sentimento  umano,  nella  mostruosità  dell'abisso  in 
cui  getta  l'innocenza,  negli  errori  dellMstinto,  nella  stupidità  che  è 
colpa.  Ma  il  sentimento  è  profondo  e  il  dramma  è  solido. 

Falstaff:  ecco  il  contrasto  più  completo  che  si  possa  immaginare. 
OteUo'Falstaff:  vale  a  dire  di  eccesso  in  eccesso  sul  tema  della  ge- 
losia. La  più  crudele  delle  tragedie:  la  più  pantagruelica  farsa.  La 
gelosia,  occhio  di  tutta  la  più  orrenda  mostruosità  del  male  :  la  ge- 
losia, occhio  di  tutto  il  superlativo  ridicolo  della  goffaggine.  L'unità 
dei  due  soggetti  è  evidente. 

Tali  i  caratteri  fondamentali  del  libretto  d'ideale  Verdiano  :  crudo 
e  forte  contrasto,  luce  piena  o  tenebre  dense,  porte  spalancate  del- 
l'anima, rade  energia.  Verdi  con  arte  incomparabilmente  maggiore, 
in  fine,  punge  quella  sua  vena,  che  gli  ha  creato  un  ideale  a  suo 
modo.  Anche  con  questi  ultimi  sviluppi  è  sempre  all't^pera,  alla  sua 
falsariga  che  noi  siamo  richiamati.  I  progressi  del  Verdi  sono  gra- 
duali nell'ambito  di  una  forma  che  egli  ha  fatto  a  se  stesso  tradi- 
zione. I  soggetti  0  i  canevacci  hanno  compiuto  il  loro  viaggio  intomo 
alla  modalità  dell'una  o  dell'altra  scuola,  senza  uscire  dall'itinerario 
prescritto  dal  genere  d'arte  in  credito.  Poiché  sulle  traccio  del  RU 
goletto  e  del  Ballo  in  Maschera  si  coordinarono  le  sublimate  opere 
di  destinazione  francese,  anfibie  come  la  personalità  di  chi  le  mise 
in  moda,  e  su  quelle  dell'  Aida  non  eran  possibili  che  ripetizioni. 
Un  incontro  coll'opera  leggendaria  allemanna  fu  evitato  di  proposito, 
fors'anche  perchè  nel  temperamento  del  Verdi  essa  non  capiva.  Tutto 
ciò  che  ebbe  più  sentor  moderno  fu  come  cristallizzato  nella  com- 
media giocosa.  —  Il  libretto  di  Verdi  è  pel  critico  una  pillola  amara. 

Gl'italici  scrittori  di  cavatine  non  si  rallegrarono  per  certo  che 
maestro  Verdi  si  ponesse  con  loro  in  sì  viva  concorrenza;  la  così 
detta  dottrina  del  Beai  Collegio  di  Napoli  scosse  le  spalle,  e  il  bel  canto 
si  mise  a  rìdere.  Verdi  proseguì  tranquillo  per  la  sua  strada  e  trasse 
a  sé  più  di  un  vecchio  camaleonte.  Biassumere  i  caratteri  dei  primi 


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902  ARTI  GONTEMPORANKA 

layorì  del  Verdi  può  essere  un  fuor  d'opera  per  Testetica,  ma  come 
punto  di  partenza  di  uno  sviluppo  artistico  intelligente,  la  critica, 
anzi  che  sdegnarli,  li  considera  importanti.  Dopo  VOberio  e  il  Finto 
Siamaìao^  gli  è  un  crescendo  di  schietto  naturalismo  e  violenza 
drammatica,  n  canto  drammatico,  in  quanto  può  avere  di  questa 
violenza,  è  il  successo  di  Verdi.  Melodia  fortemente  impressa  sopra 
un  blocco  massivo  di  sonorità,  ritmica  nuova  e  audace,  istrumen- 
tazione  sferzante  e  rumorosa:  ecco  gli  elementi  di  originalità  del 
Nabucco;  la  linea  è  dura,  il  disegno  è  greve,  ma  hanno  entrambi 
carattere  e  personalità,  non  piti  solo  la  trascendentale  pianezza  del- 
l'assoluta melodia;  il  sentimento  vi  è  vero,  profondo  e  commovente; 
e  ognun  vede  com'esso  abbia,  e  di  quanto,  varcato  i  limiti  delle  pa- 
rafemalie  napoletane,  per  passare,  .sia  pure  aspramente,  sul  terreno 
della  poesia  e  dell'arte  reale.  Questa,  a  mio  avviso,  è  la  genesi  del 
successo  dì  Verdi.  Si  tratta  per  lui  di  trovare  un  punto  intermedio 
fra  la  mollezza  di  Bellini,  i  giuocattoli  di  Rossini  e  l'ecclettismo  di 
Donizetti.  Questi,  coirintenzione  di  raffinare  l'opera,  l'aveva  messa 
sulla  via  della  trivialità:  nel  dominio  dolce  della  melodia  è  tutta 
l'arte  dell'operista.  Il  naturalismo  di  Verdi  non  poteva  riuscire 
fuorché  accentuando  fino  alla  violenza  la  passionalità  della  musica 
Donizettiana  e  sopprìmendo  il  bel  {canto.  Verdi,  con  minor  arte, 
parla  più  direttamente  al  cuore  degli  uditori  suoi.  Quest'uomo  segue, 
libero  affatto,  il  moto  de'  propri  sentimenti,  i  quali,  anche  se  poco 
investiti  dell'oggetto,  diventano  le  passioni  de'  suoi  personaggi  e  sono 
rudi  e  forti,  tutto  fuoco  nella  voluttà  e  nel  dolore,  o  non  sono  affotto. 
Ciò  non  dà  ancora  stile,  ma  sì  un  tratto  marcato  specialmente  nei 
Lombardi  e  nell'imam;  arie  a  tutto  pasto,  allegri  agitati  e  galop- 
panti, non  importa  se  nella  bocca  dì  pie  suore  o  di  focosi  amatori, 
di  padri  sdegnati  o  dì  eroi  insolenti.  La  musica  per  lui  dev'essere 
tutta  anima  e  vita  come  la  giovinezza.  Questa  indifferenza  per  la 
cosa  e  la  proprietà  dell'espressione  e  questo  zelo  per  la  musica  ta- 
gliente è  il  fondamentale  carattere  della  prima  maniera  Verdiana.  Pezzi 
interessanti,  di  espressione  tenera  e  misurata,  come  nei  Lombardi  il 
famoso  terzetto,  non  distruggono  il  principio.  Questo  carattere  è  ac- 
centuato assai  neirj^mant  e  nei  Bue  Foscari,  scema  d'intensità 
nella  prolissa  e  fredda  Giovanna  d'Arco  ed  è  fortemente  visibile 
nel   Macbeth,   nei  Masnadieri,  neW Aitila.  Si  pensi  al  brindisi  di 


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L*OPBaA  DI  GIUSEPPI  VERDI  E  I  SUOI  CARATTERI  PRINQPALI  303 

Lady  Macbeth,  al  coro  degli  assassini  co'  suoi  pianissimi  misteriosi 
e  staccati»  alle  arie  di  Moor  e  di  Amalia.  Quali  strane  incongraense  I 
Le  aggiunte  poste  a  ricamo  di  effetti  sono  tediose,  la  scena  drammatica 
è  sempre  la  melodia  stessa  portata  innanzi  dall'impenitente  galoppo 
dell'orchestra.  Ma  il  canto  affettato  e  rozzo  non  ha  riflesso  nel  dramma, 
l'accento  patetico  è  esagerato  e  nnicolore.  Franz  Moor  canta  come 
Lady  Macbeth,  il  segretario  Wnrm  come  Emani,  Luisa  Miller  come 
Giovanna  d'Arco,  il  vecchio  Miller  come  Nabucco,  gli  assassini  come 
i  cavalieri,  le  ancelle  come  i  crociati,  i  pellegrini  come  le  streghe. 
D  pubblico  del  teatro,  del  resto,  ama  il  barocco,  sia  egli  ricchezza,  sia 
&lsità  di  sentimento,  vuol  frasi  analoghe  e  poco  s'interessa  di  esatta 
pittura  musicale. 

Verdi  riesce  da  per  tutto  con  la  sola  forma  melodica.  H  recitativo  è 
forma  a  sé,  relegato  e  disteso  in  formule  altrettanto  convenzionali.  Non 
è  che  molto  più  tardi  che  il  recitativo  assurge  anche  per  lui  a  vera  po- 
tenza drammatica.  Verdi  è  patetico  sempre,  ponderoso  nella  tenerezza 
e  nell'odio,  nel  semplice  e  nel  drammatico.  Così  egli  restò,  ad  esempio, 
nel  Bigóktto.  L'aria  di  Oilda  è  un  pezzo  di  bravura  a  la  Dame 
aux  CaméKas  o  a  la  Eboli:  Oilda  è  una  coquette.  II  Duca  di  Man- 
tova e  i  suoi  cortigiani  sentono  della  taverna,  e  il  delitto  sopra  un 
fiore  di  verginità,  quando  negli  orecchi  tintinna  ancora  la  donna  è 
mobiìej  paga  molti  diritti  che  il  poeta  Hugo  non  aveva  sulla  deli- 
catezza del  sentimento  italiano.  Questo  predominio  della  natura  me- 
lodica in  sé  e  per  sé,  non  importa  quali  i  caratteri  e  gli  episodi,  é 
l'essenza  medesima  del  Trovatore^  certamente  nobile  e  bella  nella 
maggior  parte  del  quarto  atto.  Ma  il  pensiero  e  il  colorito,  vero  e 
patetico  per  Azucena,  non  si  stende  sull'opera,  come  la  bombastica 
generale  pesante,  che  pareva  abbandonata  nel  BigokUo,  e  ritorna 
quivi  riaccendendo  le  incongruenze.  Essa  guasta  ancora  parecchi 
punti  della  Traviata,  l'opera  della  naturai  pittura  d'ambiente  e  del 
miglior  tono  di  conversazione,  in  cui,  col  predominio  della  passione 
risolta  in  melodia  intensiva,  gli  venne  meno  la  brillante  mobilità 
del  genio  francese.  La  realistica  pianezza  dell'ultimo  atto  assume,  a 
un  tratto,  la  forza  espressiva  della  compassione  e  del  presentimento 
nell'arioso  di  Violetta,  che  parmi  si  stenda  come  un  grand'arco  «fra 
gli  estremi  della  natura  umana,  fra  la  gioia  e  il  dolore,  la  vita  e 
la  morte.  Qui  il  Verdi  é  realmente  un  grande  compositore  dramma- 
Astuta  wtuaicait  OaliafM,  Vili.  21 


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904  ARTB  GQNTBMPORANBA 

tico  sulla  base  della  melodia.  E  cosi  gli  successe  nei  Veipri  Sia- 
Uani^  con  minor  frescfaezsca  della  sua  yeoa  e  col  preconcetto  di  tem- 
pecare  le  nionotonie  della  forma  italica  mediante  i  crudi  colori,  le 
bizzarrie,  la  pompa  di  effetti,  che  colla  materia  poetica  gli  fwiTa&o 
di  Francia.  Le  arie  e  ì  concertati  principali  di  quest'opera  lo  pro- 
vano. E  ripensò  le  veodiie  forme,  e  ritoccò  reminiscenze  corali  Macbe- 
tbiane,  danze  e  canzoni  di  popolo  ripensò  e  la  originale  freschezEa  e 
sensibilità;  si  attenne  pur  sempre  alla  terra  ferma  della  melodia,  ma 
pagò  non  di  meno  li  noriziato  alla  moda  ultramontana.  E  il  tratto 
dei  Veym  è  in  sostanza  comune  al  Bigóktto^  alla  Tramata  e  ai 
Ballo  in  Maschera.  La  grazia  e  il  profumo  gentile  del  sentimanto, 
cui  la  musica  della  Tramata  non  cede,  né  quella  del  Bigotetto^ 
segue,  nel  Bàlio  in  Maschera,  lieve  e  tragica  la  rotta  del  dramma; 
è  Jiel  suo  cuore,  nella  sua  fine.  La  Formi  del  Destimo  non  ha  tali 
pagine  nervose,  ma  ne  ha  di  superiori  per  altra  spedo,  non  con  le  giunte 
intese  a  mitigare  l'crror  del  dramma,  si  bene  nella  vis  rappresoita- 
tiva  che  ci  trae  dalla  melodia  alla  declamazione.  Il  principio  del 
canto  si  sposta  più  ancora  nel  Don  Cario.  Se  non  che  qui  il  tratto 
naturale  della  vena  Verdiana  non  piii  poro,  il  viocob  colla  tradi- 
zione italiana  che  si  sp^za,  rerudizione  che  sente  la  difficoltà  e  lo 
sforzo,  influiscono  negativamente  e  dissolvono.  ìiéiVAida  l'equilibrio 
si  ristabilì,  né  si  turbò  piìl  di  molto.  È  la  prova  positiva  che  se- 
guirà tra  breve. 

n  pathos  di  Verdi,  vibrante  nello  scolpire  i  sentimenti  aperti  e 
decisi,  non  si  eccita  cosi  nell'espressione  di  sentimenti  misti,  come 
rassegnazione,  raccoglimento  dello  spirito,  sommessione,  vergogna, 
contemplazione,  riposo  della  mente,  meraviglia.  Nelle  regioni  delle 
penembre  sentimentali  il  compositore  non  penetra;  il  lor  carattere 
complesso,  a  base  di  mezze  tinte  e  di  accenni  indeterminati  e  con* 
fusi,  gli  è  ignoto  anche  quando  la  sua  tavolozza  è  una  dovizia  splen- 
dida e  l'armonia  una  variegata  altermizione  di  parti  polifoniche.  Verdi 
anche  in  questo  caso  non  sa  mentire.  Egli  si  esprime,  come  vuole  la 
sua  natura,  d'un  colpo,  con  un  vivo,  unito  e  solitario  effetto  sull'animo. 
Egli  non  sente  le  strane  miscele  de'  turbamenti  che  vi  si  agitano  e  le 
loro  multiple  oscillazioni  nervose.  Cosi,  nel  canto  e  nell'orchestra  gli 
risponde  la  forza  dell'accento  positivo  unitario  ed  unicolore.  Le  proTe 
che  tali   quadri,  sul  fondo  di  eccitazioni  miste,  non  gli  eran  pos- 


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L*OPBRA  DI  OlUSIPPa  YftRDI  I  I  SUOI  CARATTiai  PRINGIPAU  SOp 

àbili  misa  toocar«  reitr9mo  d'una  di  emt  woa  o»derQ  peU>v- 
verrione  deireooMOQ,  90uo  costìoue  n^l  eorao  ddlU  9m  op^r^  artiatm, 
le  stralli  vioende  di  Giselda  ne'  LamtatH^  e  d'Amalia  nei  M^mt^ 
éimri,  la  soena  dei  dempni  e  dogli  angeli  nella  Otowamok  éCAfCQy 
la  profezia  del  JUa^ucco^  la  aiera?iglia  e  la  re^^one  delle  spavento 
nel  Ifoc&eA,  nei  Jébimadmi  e  nell'iK^,  le  fiintaaie  orientali  dai 
I/mAardi^  il  quartetto  e  la  fiolazioae  tragica  del  BigQhtif^^  il  t^rzQ 
atto  del  Bàlio  t»  Ma9ehera^  la  scena  finale  della  Trmiata^  il  tana 
atto  deir^ùfa,  le  allueinaziom  d'Otolb  ne'  primi  inocatri  della  fUi» 
citi  ineonsolata,  u^e  prime  festite  &Uacie,  ne'  prinù  morsi  della 
gelosia,  la  scena  dell'adaltera  perdonata  nelle  SUfféUo,  Tultii^o  atte 
del  Simon  JBocootuyra,  non  tanto  aoArono  de'  contrapposti  alfotfaiti 
e  rozzi,  qaanto  della  pre?alenza  dei  loro  eccessi  isolati;  ciò  che  ha 
£stto  dire  a  taluni,  i  quali  forse  giudicano  le  cose  dalla  loro  saper* 
ficie,  che  pel  Verdi,  la  volgarità  anche  dopo  momenti  di  espressione 
vera  ed  eletta,  è  inevitabile. 

Ma  quando  il  suo  sentimento  si  appoggi  a  un  moto  dell'animo 
espresso  ardentemente  nella  poesia,  come  negli  inni  della  speranza  e 
della  vittoria,  nelle  frasi  di  odio  e  protesta,  nel  Nabucco^  nei  Xom* 
hatrdi,  w\Y Attila,  nella  Battaglia  di  Legnano  e  nei  Vetjfri,  nel  Bi^ 
gcietio  e  neir^ùfo,  allora  nella  sua  anima,  che  ò  la  sua  musica,  ò 
tutta  la  forza  del  natìo  entusiasmo,  è  slancio  eloquente,  è  fascino  ir- 
resistibile. 

Il  potere  suo  proprio  di  risolvere  il  disarmonico  in  armonia  con  mezzi 
ideali  e  tecnici  è  cosa  degli  ultimi  tempi.  Da  prima  egli  non  armonizza, 
non  collega,  ma  disgiunge  (e  allora  abbiamo  la  scena^tipo  d'Amalia 
pregante  sulla  tomba  di  Massimiliano  Moor  a  doppio  e  successivo  effetto 
fuoebre-allegro),  o  accoppia  ruvidamente  i  pih  forti  contrasti,  come  nel 
BMo  in  Maschera,  nel  Bigoktto,  nella  Foraa  del  Destino,  nella 
l)ramata  e  nel  Don  Carlo;  poscia,  aumentata  la  sua  capacita  rap- 
pres^tativa,  abolito  il  passaggio  improvviso  al  più  rude  contrasto, 
scomparsa  la  mania  del  quadro  raccapricciante  a  doppio  effetto,  egli 
concilia  e  raccoglie  sempre  più  le  sue  forme  immaginose,  e  a  quelle 
aspirazioni,  per  le  quali  egli  non  aveva  trovata  la  nota  acconcia  nei 
Lombardi,  nel  Nabucco,  nella  Giovanna  d'Arco  e  nel  Macbeth,  egli 
dà  corpo  artistico  nella  Forsfa  del  Destino,  nel  Trovatore  e  nella 
Traviata. 


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306  ARTB  GONTSMPORANIA 

La  scala  dei  sentimenti  si  estende  dal  Bigoletto  in  poi.  Certe  dub- 
biezze, certi  turbamenti,  o  silenzi  della  notte,  o  magnificenze  di  sole, 
vertigini  del  senso  o  beatitudini,  tenerezze  blande  e  smarrimenti  col- 
pevoli, gioie  e  catastrofi  presentite,  avvilimenti,  entusiasmi,   con 
tutti  i  loro  svariati  modi  di  essere,  ricevono  un'espressione  sempre 
più  armonica  e  viva.  Si  pensino  i  preludi  orchestrali  della  Tramata 
e  del  Dan  Carlo,  il  secondo  atto  e  l'ultima  scena  d'OfeSo,  la  prima 
scena  del  terzo  atto  i'Aida^  queir  ^ùfo  che  è  tutta  una  el^a 
nella  stessa  gioia  trionMe  e  chiassosa.  Si  pensino  le  crudezze  fiinta- 
sìose  del  Macbeth^  dei  Lombardi  e  dei  Masnadieri,  la  chiusa  dei 
Lue  Foscari^  le  strane  allucinazioni  del  ^mon  Boccanegra,  e  si 
confrontino  con  le  finezze  terribili  del  BaUo  in  Maschera^  l'incontro 
di  Kodrigo  e  Don  Carlo,  la  scena  dell'auto-da-fè,  il  contrasto  fra  la 
immane  tragedia  e  le  innocenti  vaghezze  popolari  dei  Fe^prt,  i  tur- 
bamenti affannosi,  misteriosi  d'Otello,  la  nota  incosciente,  errante  di 
Desdemona  ed  Emilia,  i  silenzi  delittuosi  di  Jago,  la  petulante  far- 
sicità  di  Falstaff.   Quale  trionfo,  qual  vita,  quale  cammino  e  quali 
ignorate  proprietà  in  questa  elevazione  costante  del  sentimento!  E 
si  noti  che  qui,  per  ultimo,  in  questo  etemo,  vaniloquente  ed  inutile 
Falstaff,  sono  pur  sempre  giuochi  dell'umorismo  che  alla  musica  de- 
rivano più  dall'anima  e  dalla  fantasia  anzi  che  dalla  testa,  e  che 
questo  è  pur  sempre  il  successo  del  Verdi  storico  e  proverbiale,  il 
successo  del  suo  carattere  e  della  sua  musica.  L'espression  comica  è 
per  lui  moto  dell'anima,  che  combina  col  moto  della  melodia,  come 
in  Bossini.  Guardate  il  Finto  Stanislao.  L'Anacreonte  di  Passy  non 
s'è  ancora  rivelato  al  cigno  di  Busseto.  Ma  Falstaff  è  pretto  studio 
di  Bossini.  La  stessa  beffa,  l'ironia,  il  giuoco  musicale  dei  gesti,  non 
è  mai  di  testa  nel  Falstaff  o  raramente;  nella  musica  è  la  stessa 
impressione  fotografica,  ma  è  cuore  di  melodia.  FeUstaff  è  il  mira- 
colo della   vecchiezza  di    Verdi.   Sembrava  che  la  lirica  escludente 
azione  o  passione  tragica  fosse  negata  al  compositore.   Il  suo  Finto 
Stanislao  era  la  pietra  del  paragone.  Ma  per  chi  ?  Per  quegli  che 
non   aveva  considerato  la  facilità  della  declamazione  sul  lieve  com- 
mento della  musica,  quale  rilevasi  nella  Traviata,  nella  Foraa  del 
Bestino  e  nel  Don  Carlo.   Chi  ben  consideri  queste  opere  vi  trova 
quasi  finiti  i  materiali  del  Falstaff.  La  stessa  sensazione  indetermi- 
nata nel  dominio  di  rimembranze  e  presentimenti  sembrava  inconci* 


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L*OPBRA  DI  OIU8KPPI  TIROI  ■  I  SUOI  GARATTKRI  PBINGIPALI  307 

liabile  col  suo  temperamento,  non  possibili  per  lui  le  porte  semi- 
aperte dell'anima  ;  e  noi  avemmo  il  realismo  piano  delle  fantasie 
roniantiche  dell'epoca  riyolazionaria,  le  nenie  memoranti  i  paesi  lon- 
tani, le  età  passate  e  cadenti,  i  dolci  e  capi  firasporti  degli  tzigani 
del  Trovatore  e  del  BaUo  in  Maschera^  le  bizzarrie  e  gli  echi  po- 
polari dei  Vespri  e  tatto  questo  merayiglioso  Falstaff.  Ogni  cosa 
parla  dell'immenso  viaggio  compito  dall'arte  del  Verdi  nelle  stermi- 
nato regioni  della  melodia  per  riposare,  in  fine,  sa  questo  lembo  di 
natara  sana,  l'arte  più  vera  e  più  bella. 

Qaesto  ritomo  alla  natara  si  realizza  nella  specie  lieta  del  sog- 
getto, nella  miglior  disposizione,  nell'alleggerimento  ed  equilibrio  dei 
caratteri,  nella  più  composta  e  più  varia  dinamica  deirespressione, 
nella  sua  involontaria  semplicità,  per  cui  tutto,  il  tratto  di  spirito, 
la  comicità,  il  gesto  grottesco,  il  contrasto,  passa  di  sorpresa  nella 
fuggevole  farsicità  della  melodia  e  del  ritmo,  con  temi  scherzevoli  e 
piccanti,  con  suoni  strani  di  strumenti  e  strana  designazione  di  tempi. 
È  tutta  un'accentuistica  a  mezze  tinte,  che  nell'evoluzione  del  Verdi 
resta  un  punto  degno  di  studio,  quasi  che  egli,  messa  da  parte  la 
sostanza  musicale  tragica,  avesse  riassunto  in  un  tutto  omogeneo  i 
segni  caratteristici  disuguali  sparsi  nella  sua  opera  passata. 

E  così  la  verità  del  sentimento  corona  l'opera  di  formale  bellezza,  a 
cui  pure  il  Verdi  ritorna,  come  ogni  grande  artista,  dopo  i  suoi  lunghi 
viaggi  nelle  regioni  del  romanticismo.  L'arte  della  pittura  musicale, 
così  disugualmente  sentita  in  confronto  colla  forza  tragica,  è  per  tal 
modo  riassunta  nell'Aida,  nélV  OteUo  e  nel  Falstaff^  altrettanto  come 
nelle  similitudini,  negli  accenni,  nelle  descrizioni  personali  dei  primi 
libretti  gli  era  spesso  sfuggita.  Cominciando  dal  RigoìettOj  egli  com- 
prende sempre  più  questa  pittura  nell'unione  dell'impressione  visiva 
e  auditiva.  È  qui  l'origine  del  nuovo  gusto  di  Verdi.  Il  realismo  di 
Shakespeare  è  un'inanità  nell'opera  Macbeth;  il  terrore  romantico  e  la 
fantasiosa  indeterminatezza  di  Schiller  e  di  Byron  son  vuoti  elementi 
alla  musica  del  Corsaro^  dei  Masnadieri  e  della  Luisa  MiUer;  ma 
nel  BaUo  in  Maschera,  nel  Simon  Boccanegra  e  nel  Don  Carlo  il 
ditirambo  Verdiano  scorge  le  nuove  faccio  dell'  espressione,  penetra 
nella  sua  natura  con  ben  altre  forze  e  vi  si  stende  su  ben  più  vasta 
scala.  Lo  stadio  della  esperìmentazione  cieca  o  semiveggente  cede 
all'  indirizzo  che,  oltre  le  principali,  illumina  le  sensazioni  subordi- 


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30B  ARTB  OONTtMHmANlA 

ttttte;  nuoto  campo  a  ciò  dono  i  Vè^  é  il  Dùn  Oarlo;  nell'^tdb  m 
sentono  esM,  con  minor  varietà  di  colorito,  sol  fondò  elegiaco  generale  ; 
neirOfeOo  si  rivelano  in  fbrme  diflérenti  e  più  intense,  e  divengono  più 
fine  e  complete  nel  TaUtaff.  V  espressione  s' è  acnita  mediante  il 
maggior  significato  dell'orchestra,  una  capacità  venuta  col  tempo  e 
con  lo  studio.  Vi  Contribuì  l'acquisito  sentimento  che  regge  non  più 
le  scene  isolate  soltanto,  ma  il  lavoro  intero.  L'arte  è  coltivata  meno 
come  pratica,  le  opere  non  sono  più  imposte,  Vartista  &  per  sé  e  non 
pel  pubblico.  Vi  contribuì  il  gusto  del  romanticismo  francese  nel 
teatro,  nella  letteratura  e  nella  musica,  che  rese  insostenibile  la  me- 
lodia sulle  traccio  cadenti  dell'aria  italiana  :  si  portò  la  passione  aU 
l'estremo^  la  sensazione  fu  grido  estremo,  il  contrastò  piacque  perchè 
estremo.  Vi  contribuì  la  moda  in  cui  vennero  la  bizzarrìa  e  il  tratto 
scultorio  sensazionale,  fantasioso  ma  reale,  parlante,  costringente,  che 
r  assimilazione  italiana ,  volgarizzante  per  natura ,  temperativa  del 
crudo  e  del  brutto,  ridusse  a  sensazioni  più  miti  e  più  piacevoli.  Vi 
contribuì  la  conoscenza  delle  partiture  di  Meyerbeer  e  Oounod,  di 
Berlioz  e  Wagner,  che  le  ultime  opere  di  Verdi  rivelano  completa- 
mento. L'artista  per  vivere  doveva  modificarsi  e  si  modificò. 

Dell'efficacia  straordinaria  di  un  elemento  della  tragedia  musioale 
il  Verdi  si  accorse  solo  tardi  :  il  recitativo.  Un'espressione  giusta  egli 
la  raggiunse  quando  nel  canto  infiuì,  con  la  musica  sua,  la  recitazione 
drammatica.  Da  principio  egli  si  atteneva  ad  alcune  formule  stereo* 
tipe  provenute  da  Rossini  in  gran  parte,  e  ripetute  di  quando  in  quando. 
La  monodia  aveva  una  linea  plastica  indipendente,  talora  accompa- 
gnata soltento  nel  senso  del  ritmo  o  ripercossa  simultaneamente  da 
uno  0  più  istrumenti.  II  coro  armonico  si  risolveva  di  frequente  nel 
canto  all'ottava  per  rinforzo  di  espressione  ;  l'unissono  era  adoperato 
per  esprimere  maggior  dignità  e  solennità.  Per  la  passione  vibrante 
la  formula  acconcia  era  il  tremolo  dell'orchestra.  Ma  di  una  giusta 
espressione  il  Verdi  tenne,  in  principio,  poco  calcolo;  anzi  nello  sfogo 
della  melodia  spesso  la  smarrì.  Così,^.tanto  la  lirica  come  il  recitativo 
seguono  delle  forme  senza  fisonomia.  Il  cantante  s'imponeva  al  com* 
positore  tiranneggiandolo  e  lo  trascinava  dietro  a'  suoi  abusi  per  bril- 


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l'opera  di  GIUSIPPB  TKRDI  M  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  909 

Isre  ad  ogni  oosto.  Occorre  tempo  prima  ehe  le  parti  siano  invertite. 
Il  compositore  d'altronde  fiTOva  pel  sno  motifo  musicale,  la  cui 
adattabilità  era  questione  acceasoria.  La  primiti?a  operoótft  del  Yeidi 
è  caratterizzata  dalla  energia  e  dalla  salute  cbe  egli  infonde  nel  mo- 
tifo  si  da  &rlo  parer  naovo  ;  la  stessa  mvidessa  piacque,  dopo  Bos- 
sini  e  Bellini.  Ma  ò  strano  che  un  così  fine  sentimento,  com'  è  nel 
terzetto  del  Conte  Orfj  non  avesse  per  nulla  a  fecondare  in  Italia. 
Grina^amenti  di  questa  pagina,  una  delle  pib  geniali  che  penna 
italiana  abbia  scritta,  rimasero  senza  effetto  pel  giovine  Verdi.  Bgli 
misurò  se  stesso  noli'  impressione  della  melodia  popolare  a  forti  sus- 
sulti, abbellendola  di  qualche  fioritura  e  cadenza,  e  così  rese  tipici 
e  popolari  il  Nabucco^  YErf$am^  e  il  MacbeO^. 

Baramente  egli  riposò  re&fpressione  sua.  Una  prima  volta  e  magni- 
ficamente ciò  gli  riuscì  nella  preghiera  del  quarto  atto  del  Nabucco. 
Negli  effetti  passionali  tipici  Verdiani,  la  yendetta,  la  difesa  dell'o- 
nore, la  punizione  della  colpa,  lo  scongiuro,  la  disperazione,  l'amore 
sofferente  e  contrastato,  sentimenti  molte  volte  aggiustati  agli  allegri 
triviali  delle  arie,  meno  qualche  eccezione,  si  potrà  appena  rinvenire 
una  corrispondenza  qualsiasi  coirespressione  della  parola.  VAttUa  e 
la  Lmsa  Miller  sono  di  queste  eccezioni.  Le  specialità  dei  brindisi 
del  Maeheth  e  àAVAUrira  venivano  in  moda;  le  melodie  spesso  stac- 
cate in  levare  colla  risposta  subitanea  del  controperiodo,  le  introdu- 
zioni, i  sóli  istrumentali  coi  passi  d'agilità,  ecc.,  son  tratti  che  van 
oltre  il  Trovatore^  ì  Vespri  e  il  Ballo  in  Maschera.  La  melodia 
assoluta  detta  pur  sempre  legge.  Ma  che  dire  del  Finto  Stanislao, 
una  Rossiniana  reminiscenza,  come  VOberto  n'è  una  Belliniana,  tutto 
a  base  di  perfidie  nelle  arie  a  svolazzi  e  ne'  pesanti  cori  ?  Ma  come 
ascoltare  CHovanna  cTAreo  che  canta  arie  di  bravura,  cadenze  elsr 
borato  in  tessiture  da  urli,  con  accompagnamenti  galoppanti?  Che 
dire  dei  finali,  degli  inni  e  delle  marcie?  Con  la  musica  dei  demoni 
e  degli  angioli  si  potrebbe  fara  un  buon  pezzo  per  una  festa  da  ballo. 
ìiAYEmani,  nei  Lombardi,  nel  Macbeth,  nei  Masnadieri^  nei  Fo- 
scari,  la  formula  è  pressoché  uguale:  introduzione,  pezzo  forte  e  passo 
doppio.  E  però  il  compositore  penetrava  incidentalmente  il  significato 
dej  dramma.  "SelV Attila^  nell'^lnVa  e  nei  Masnadieri  si  riscontrano 
gli  elementi  musicali  drammatici  del  Trovatore:  la  tragedia  brutale 
scalda  la  sua  vena;  in  mezzo  alle  situazioni  più  tese  egli  si  accosta 


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310  ARTS  CONTBMPORANIA  ^ 

involontarìamente  a  maggior  novità.  Anche  le  introduzioni  istrumen- 
tali  sempre  più  se  ne  coloriscono.  Qui  e  là  è  Meyerbeer  che  influisce. 
Nella  Battaglia  di  Legnano  V  orchestra  assurge  a  potenza  descrit- 
tiva; il  quarto  atto  è  nuovamente  inspirato  alla  maniera  del  maestro 
tedesco,  n  pubblico  che  voleva  melodia  e  melodia,  non  capiva  l'am- 
bizione del  compositore  e  la  portata  della  sua  arte;  coA  nelVAlrira. 
L'intimità  meglio  espressa  è  già  nella  Luisa  Miller  e  nello  StiffeUo^ 
quantunque  più  in  pezzi  isolati  che  in  interi  quadri.  Nessun'anima 
d'artista  potrà  dimenticare  il  quintetto  della  Luisa  Miller^  il  setti- 
mino  del  primo  finale  e  la  preghiera  dell'ultimo  atto  nello  SUfféUo^ 
e  il  quadro  susseguente,  l'ultimo  dell'opera,  dov'è  il  sigillo  dell'in- 
gegno Verdiano,  n  quale  però  ci  stoglie  ancora  sovente  dall'idea  del 
suo  progresso  con  quei  tratti  volgari,  nei  quali  è  fisM^ile  a  cadere. 

Ma  la  forza  dell'accento  sensitivo  rimase  in  genere  esecrata;  canto 
e  musica  si  portarono  dietro  mediocremente  la  eloquenza  della  favella, 
e  se  non  la  sciuparono,  certo  non  l'accrebbero  come  doveano.  D'altra 
parte,  a  qual  potente  verità  e  bellezza  presto  giungesse  l'espressione 
drammatica  del  Verdi,  lo  dice  il  terzo  atto  del  Rigoletto^  il  racconto 
di  Azucena  e  la  scena  del  Miserere  nel  Trovatore.  —  La  romanza 
del  prigioniero  e  il  pianto  di  Leonora  sono  ispirazioni  che  non  mor- 
ranno. —  La  scelta  dei  pezzi  si  accentua  e  si  affina  ancora  nei  Vespri 
SiciUani,  nel  Ballo  in  Maschera  e  nella  Forga  del  Destino,  lì  tre- 
mito convulso  della  creatura  agitata,  espresso  cosi  elementarmente 
neìVEmani,  nell'Attila  e  neWAlBira  —  in  genere  con  una  formula 
trascendentale,  un  fortissimo  a  crome  e  semicrome  alternate  —  ora 
s'impernia  su  vere  idee  musicali  e  abbandona  la  dinamica  astratta. 
A  questo  proposito ,  le  figurazioni  orchestrali  del  Don  Carlo  ^  ^er 
quanto  nuove  (solo  troppo  varie  ed  ammucchiate)  ci  richiamano  stre- 
nuamente all'esagerazione  di  que'  primi  impulsi  descrittivi.  La  varietà 
ritmica,  che  aveva  distinto  lo  stile  di  Verdi  da  quello  de'  predeces- 
sori, meglio  fecondava  nel  canto  incamminato  di  già  verso  la  recita- 
zione melopeica,  ma  degenerava  neirorchestra. 

Eccoci  al  punto.  Per  la  stessa  evoluzione  delle  cose  e  per  sua  na- 
tura, il  compositore  dal  dominio  della  melodia  passava  in  quello  del 
canto  declamato  e  del  recitativo  melopeico.  Anche  nei  primordi  della 
sua  carriera,  il  vantaggio  dell'accentuazione  giusta  e  naturale  si  av- 
verte quando  il  testo  sia  favorevole,  per  esempio,  ne'  recitativi  del- 


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l'oPSRA  di  OIU8BPPB  YBRDI  E  I  SUOI  CARATTBRI  PRINCIPALI  311 

V^ÌMÙra  intrammezzati  con  qualche  brano  di  melodìa,  ed  accoppiati 
a  framnaenti  orchestrali  descrittivi.  Nello  stesso  Finto  Stanislao^  a 
parte  il  recitativo  secco,  la  declamazione  ò  spesso  naturale  e  di  stile, 
quantunque  poveramente  colorita.  Il  predetto  vantaggio  si  nota  pure 
ne'  recitativi  de'  Masnadieri^  e  specialmente  nelle  tirate  iéìV Attila 
e  della  Baiiaglia  di  Legnano  :  in  alcuni  sono  propriamente  commiste 
delle  frasi  di  alto  significato  drammatico,  di  entusiastico  slancio  de- 
clamatorio ,  sentite  nelF  armonia  che  forma  discorso  a  sé,  e  nell'or- 
chestrazione elaborata.  Cosi  nello  Stiffelio^  col  vantaggio  di  un  mi- 
gliore e  più  vivo  colorito  armonico.  A  parte  le  altre  prime  opere, 
poco  notevoli  al  riguardo ,  io  credo  siano  V Attila,  la  Battaglia  di 
Legnano  e  la  Luisa  MiUer  quelle  da  preferirsi  per  la  qualità  di  una 
giusta  e  bella  arte  del  recitativo.  Talora  vi  si  direbbe  vinta  l'insi- 
stenza di  quella  monotona  e  alquanto  uniforme  plasticità,  che  trae 
naturalmente  verso  la  melodia,  vinta,  dico,  mediante  il  senso  affatto 
moderno  di  quella  scultorietà  musicale,  che  è  tanto  appariscente  nel 
Don  Carlo. 

Il  fatto  è  che  più  si  procede,  l'istinto  melodico  ha  come  succedaneo 
e  come  correttivo  la  declamazione  musicale,  senza  che  però  si  tratti 
di  un  vero  e  proprio  passaggio  a  un  indirizzo  d'arte  germanico.  Al 
contatto  colla  natura  meridionale,  le  maniere  esotiche  non  preval- 
sero ma  cedettero.  E  ciò  comincia  a  verificarsi  quando  alla  vieta 
forma  del  recitativo  succede  il  discorso  musicale  affinato  al  tono  con- 
versivo,  di  cui  è  cenno  nel  Bigóletto  di  già,  e  più  o  meno  sviluppo 
nella  Traviata  e  nella  Fovea  del  Destino.  Qui  il  Verdi,  per  questo 
singoiar  suo  tratto  della  recitazione  musicale,  è  tipico.  E  quando  il 
più  libero  alternarsi  delle  tonalità  e  il  cromatismo  lo  permisero,  fu- 
rono le  forme  oraziane,  di  cui  la  declamazione  del  Don  Carlo,  del- 
VAida  e  à^òW  Otello  recano  spesso  l'esempio.  Verdi  non  sacrificò  più, 
come  prima,  all'una  o  all'altra  corrente,  al  recitativo  o  al  cantabile 
Tun  dall'  altro  disgiunto ,  ma  fuse  i  due  elementi ,  ma  sostenne  il 
ritmo  e  sovr'esso  spiegò  ed  incise  il  canto  sillabico  con  precisione, 
raggiungendo  l'altezza  del  recitativo  moderno. 

Con  ciò  la  freschezza  nazionale  e  la  sensibilità  della  musica  di 
Verdi  non  restò  propriamente  intatta.  Lo  dicano  i  Vespri  Siciliani 
e  il  Don  Carlo.  Egli  non  è  libero,  egli  fa  una  certa  violenza  a  sé 
stesso.   La  tragedia  i' Otello  agi  con  nuova  compressione  sulla  sua 


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312  ARTK  CONTEMPORANEA 

fantasia.  La  melopea  del  recitativo  gli  si  addimostrò  più  &migliare, 
ma  il  dramma  vivente  neirorchestra,  la  costei  missione  rappresenta- 
tiva lo  distrassero  dalla  pianezza  della  melodia  italiana,  di  che  in- 
vece è  ricolma  la  drammatica  Aida.  Poteva  egli ,  dato  il  crescente 
interesse  non  cai  rivelavanglisi  questi  due  elementi,  far  rifalgere  an- 
cora il  principio  della  melodia  assoluta?  Non  è  detto  che  ciò  sia  im- 
possibile. Per  Verdi  questo  non  avvenne.  La  melodia  lo  abbandonò  e 
lo  stile  generale  dell'opera  non  fu  più  soltanto  suo.  Poiché  non  si 
lascia  la  maniera  del  RigolettOj  senza  doversi  in  qualche  guisa  com- 
pensare di  ciò  che  si  perde.  Verdi  aspira  a  raggiungere  nuove  altezze 
d'espressione;  è  ammirabile  vederlo  uscire  trionfalmente  da  situazioni 
cosi  ardite  e  avventurose,  vederlo  vincere  da  vero  artista.  L'arte  è 
audacia,  o  non  è.  Oli  elementi  popolari  del  suo  genio  egli  non  li  può 
rinnegare,  né  li  rinnega  di  fatto  ne'  luoghi  più  tesi  e  vibranti  della 
vita  drammatica,  nello  SHffeUoj  nel  Tromtore,  nel  Boecanegra^  nel 
Dan  Carìo^  neWAida.  Ma  quand'egli  abbia  fatta  base  dell'opera  la 
musicale  recitazione,  come  neìV Otello  e  nel  Falstaff^  ed  abbia  risolto 
gli  accenti  sensibili  della  melodia  in  altrettanti  postulati  armonici 
pieni  di  senso,  egli  ha  di  tanto  spezzata  la  forma,  che  essa  agli  ele- 
menti popolari  nazionali  più  nulla  deve  e  neppur  più  al  compositore 
appartiene.  Che  il  contenuto  melodico  resti  molte  volte  ineffettivo, 
nulla  di  strano  dunque;  la  nuova  veste  non  gli  si  accomoda  :  è  una  ma- 
schera. Solo  che  in  Verdi  essa  paralizza,  mentre  negli  altri  uccide. 

La  convenzione  del  teatro  lirico  ammette  quella  decorazione  mo- 
bile della  scena  che  si  dice  il  coro.  Neil'  opera  italiana  egli  non 
assunse  veramente  mai  un'importanza  reale;  piacque  in  sé  tanto 
più  quanto  meno  conferì  vita  al  dramma.  Noi  non  abbiamo  più*  il 
sentimento  del  coro  antico  della  tragedia  e  delle  corodie  classiche 
del  seicento.  Il  coro  è  un  volgare  strumento  di  sonorità,  un  apparato 
di  effetto  e,  come  tale,  interviene  nell'opera  per  il  bisogno  di  alter- 
nare effetti.  Così,  anche  nell'opera  di  Verdi,  esso  mantiene  per  molto 
tempo,  quasi  per  sempre,  la  posizione  ereditata.  Non  il  coro  per  il 
dramma,  ma  il  dramma  per  il  coro.  Da  ultimo  tuttavia  egli  si  fonde 
meglio  coU'azione.  Ma,  eccettuati  pochi  cori  della  scena  intema,  i 


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L*OPERA  DI  GIUSEPPE  VERDI  E  I  SOOI  CARATTERI  PRINCIPALI  313 

qnali  indinttametite  caratterizzano  rambiente  o  i  suoi  contrasti  ed 
Rintano,  in  eflétto,  Io  svolgersi  del  dramma,  il  coro  delle  opere  di 
Verdi  è  in  generale  nn  riempitivo.  Quando  colla  sua  efficaeia  sosti* 
tnisee  la  pittura  del  eentimento  personale,  come  nella  Oiovanna 
éPAreù,  egli  è  freddo  e  melenso.  LMnteresse  dell' individao  riflesso 
dal  coro  è  un'anomalia  comune  a  molte  opere  moderne,  è  la  insop- 
portabilità delle  loro  sonnolenti  pagine  di  musica. 

Anche  nell'opera  di  Verdi  il  coro  decresce  nella  proporzione  invei*sa 
dell'interesse  svegliato  dalle  personalità  agenti.  L'uso  che  egli  ne  fa, 
come  introduzione  e  chiusa  agli  atti,  non  sorprende.  È  per  lo  stesso  bene 
direi  quasi  dispositivo,  acustico,  che  giustifica  la  così  detta  sinfonia; 
è  per  la  contemperanza  degli  effetti  sul  timpano  deiruditore.  L'O- 
&erfo,  i  Lombardi,  il  Ifac&e/A,  la  Battaglia  di  Legnano,  V Attila 
hanno  come  d'obbligo  la  preparazione  corale  dell'ambiente,  e  di  cori 
queste  opere  son  piene.  Ma  una  cotal  lirica  massiva  è  più  forzata  e 
a  capriccio  disposta  nel  Finto  Stanislao  e  nella  GHovanna  d'Arco, 
tutta  introduzioni  e  descrizioni  corali,  inni,  marcie,  finali.  Nell'^- 
na$H,  nei  Vespri  e  nella  Forsa  del  Destino  il  coro  è  un'ossessione. 
Non  solo  è  grave  e  nullo,  come  spediente  per  l'azione,  ma  l'impe- 
disce, la  esclude.  Il  coro  ha  effetto  quando  ha  causa.  V Attila  è  opera 
d'azione  di  masse,  e  il  cot*o  che  vi  abbonda  non  è  soverchio.  UAroldo 
lascia  meglio  comprendere  la  sua  maggior  parte  di  coro  che  lo  SUf- 
felio  la  sua  minore.  Il  decrescere  della  parte  corale  si  avverte  già 
nei  Due  Foscari  (abbondante  solo  nell'ultimo  atto),  nei  Masnadieriy 
neWAlaira,  nella  Luisa  Miller,  nel  Bigoletto.  La  IVaviata  n*è  piti 
notevolmente  diminuita,  come  il  limoli  Bocoanegra,  un*opera  meglio 
equilibrata  in  tutto. 

Nel  Don  Carlo  e  wWAida  prevalse  egualmente  un  concetto  del 
coro  molto  discutibile ,  vista  la  sua  parte  e  causalità  nel  dramma  ; 
né  il  Yetdi  ha  saputx)  mai  scordarsi  di  questa  sua  affezione  antica.  Che 
se  il  coro,  in  piti  d'una  sua  opera,  fu  bello,  grandioso,  non  è  raro 
tuttavia  che  egli,  senza  poterla  salvare,  isolandosi  si  distrugga. 

E  però  anche  il  coro  di  Verdi  s'è  modificato  assai.  Quelle  intro- 
duzioni con  le  insopportabili  e  perpetue  ancelle  disposte  in  semicer- 
chio attorno  alla  prima  donna,  i  guerrieri,  le  vergini,  i  duci,  i  frati, 
le  Odalische,  gli  schiavi,  egli  seppe  lentamente  ridurre  sotto  forma 
di  quadri  un  po'  meno  nemici  del  senso  comune  ;  ma  non  se  ne  sba- 


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314  ARTB  CONTEMPORANEA 

razzò  mai  affatto.  Il  ditirambografo  del  Don  Carlo  passò  agli  iden- 
tici effetti  mWAida  e  nAVOieUo.  I  cori  del  Nabucco  e  del  Cor- 
saro^ i  pellegrini  e  le  odalische  dei  Lombardi^  le  processioni  del- 
V Attila  e  della  Battaglia  di  Legnano^  i  banditi  dei  Masnadieri^ 
gli  assassini  e  le  streghe  del  Macbeth^  le  ancelle  deir^rmuit,  i  ca- 
valieri del  Trovatore  e  tatta  la  passamanterìa  dogale  dei  Foseari^ 
omettendo  altre  non  meno  felici  combinazioni,  sono  masse  di  statisti 
pettegoli,  poche  eccezioni  fatte.  Essi  non  vivono  realmente  che  pel 
riflesso  che  hanno  come  contomo  della  scena.  La  loro  espressione   è 
concordata,  è  racchiusa  in  formale  trascendentali.  Ma  non  è  coA  as- 
solatamente del  coro  della  Luisa  Miller^  e,  se  non  si  può  dire  no- 
bilitato nel  Rigoletto  e  nel  Trovatore,   egli  ha  certo  più  carattere, 
più  compostezza  e  relazione  coi  fatti  nella  Traviata  e  nel  Ballo  in 
Maschera.  Il  coro,  di  riempitivo  oneroso  e  di  spediente  ha  perduto 
la  bombastica  rude  e  superba,  per  acquistare  una  maggior  roovibilità 
ritmica  e  un  significato  più  naturale.  Entra  impreparato  nell'azione, 
nella  situazione,  s'immedesima,  s'identifica  cogli  episodi  e  agisce  come 
u n'indi vidnalità.  La  sua  posa  statuesca  non  è  più  tale  assolutamente 
nel  Simon  Boccanegra.  Anche  pel  coro  il  principio  della  melodia 
indipendente,  del  canto  portato,  ha  ceduto,  se  non  in  favore  di  quello 
che  regge  il  coro  tragico  nell'opera  della  Rinascenza,  almeno  a  van- 
taggio di  una  maggiore  movibilità  decorativa.  La  melodia  vi  è  pure 
sciolta  nelle  sue  parti  polifoniche  indipendenti,  mentre  prima  la  sola 
parte  superiore  aveva  importanza  melodica,  e  l'armonia  non  altra  fun- 
zione che  quella  di  guida;  la  declamazione  vi  ha  più   senso  e  più 
nervi.  Il  suo  carattere  passa  da  voce  a  voce,  alternandosi  con  quel 
giuoco  continuo  che  dà  risalto  al  canto  drammatico.  Il  coro  è  musi- 
calmente la  forma  dell'  episodio  o  ne  riflette  l' impressione,  mentre 
per  lo  innanzi  esso  era  l'effetto  melodico  astratto  della  massa  ;  la  sua 
intonazione  conversiva  e  la  sua  ritmica  sono  una  riflessione  intelligente. 
Ecco  la  lirica  corale  del  Ballo  in  Maschera^  dell'ultra,  dell' OfeZfo 
e  del  Falstaff. 

Quando  l'opera  italiana  diede  il  passo  a  caratteri  di  musica  eso- 
tica, la  forbitezza  e  il  colorito  locale  e  passionale  del  coro  divennero 
una  nuova  qualità  anche  in  Verdi.  L'Aida  deve  molto  della  sua  im- 
pressione totale  alle  sue  caratteristiche  corali  anitarìe.  11  coro  ebbe 
a  risolversi  nella  indipendenza  di  diverse  monodìe,  cosi  che  anche  i 


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L*OPiaA  DI  QIOSBPPI  VERDI  M  I  SUOI  CABATTEBI  PBINaPALI  315 

sentimenti  espressi,  da  prima  pochi  e  limitati,  ora  si  estesero  sopra 
una  vasta  gamma,  e  quindi  alle  considerazioni  assegnate  al  coro  cor- 
rispose non  solo  la  musica  forte  e  patetica,  ma  quella  commista  di 
accentuazioni  diverse,  di  tratti  pittoreschi  e  fuggevoli,  dei  quali  si 
hanno  gli  esempi  migliori  nelle  ultime  tre  opere,  ma  specie  nel 
Falstaff. 

Di  un'efficacia  propria  della  melodìa  nazionale,  anche  qui,  non  è 
più  il  caso  di  discorrere.  A  questi  tentativi  presiedette  il  desiderio 
di  scultorietà  musicale  libera  da  vincoli  e  da  tradizioni. 

L'opera  corale  del  Verdi  nacque  cosi  anch'essa,  come  la  tragedia, 
da  una  specie  di  festa  di  Dionisio,  dallo  spirito  della  musica,  per 
finire  nel  realismo  del  dramma  e  della  commedia.  Essa  non  conobbe 
che  Fombra  lieve  e  sfatta  del  coro  antico  ;  ciò  non  di  meno  il  coro 
vi  ebbe  talora  importanza  musicale  ed  etica  e  attraverso  fasi  differenti 
si  mutò  nel  coro  rappresentativo.  Il  passaggio  fu  tanto  più  sicuro, 
in  quanto  fu  tentato  dietro  l'esempio,  dopo  molto  pessimismo  ed  in- 
credulità. 

Io  sono  convinto  che  la  perdita  della  musica  strumentale  italiana 
abbia  influito,  per  buona  parte,  sulla  decadenza  dell'opera.  A  partire 
dalla  tragedia  greca  sino  all'opera  moderna,  nessuna  epoca  si  conosce, 
in  cui  la  musica  strumentale  non  fosse  chiamata  ad  intervenire  come 
potente  fattore  drammatico.  Lo  dica  l'opera  italiana  del  seicento  cogli 
intermezzi,  le  sinfonie  e  le  toccate  del  Monteverdi,  del  Cavalli  e  del 
Cesti;  lo  dicano  i  drammi  biblici  di  H&ndel,  l'opera  di  Gluck,  di 
Weber  e  de'  successori.  Per  gli  Italiani,  noti  sprezzatori  della  mu- 
sica strumentale  dopo  la  metà  del  settecento,  il  motivo  orchestrale 
drammatico  rimase  nello  stato  di  presentimento  oscuro  e  non  eccitò 
più  alcuno,  tranne  qualche  sognatore  isolato,  nemico  del  teatro;  e 
quando  i  nostri  ultimi  operisti  si  accorsero  dell'inanità  dei  loro  sforzi 
per  dare  espressione  al  dramma  colla  melodia  vocale,  dovettero  as- 
sistere al  tramonto  dell'opera  italiana  come  altrettanti  impotenti  del- 
l'orchestra. Che  sapevano  essi  della  grandezza  musicale  del  seicento? 
Che  sapevano  essi  della  orchestra  Monteverdiana  intesa  al  dramma, 
creata  pel  dramma,  tratta  dalle  sue  parti  caratteristiche,  sentita  nella 


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3^6  AKTB  CQNTSMPOaàNEA 

sua  capacità  a  trasformare  Vepisodio  drammatico  in  episodio  musi- 
cale? Che  sapevano  essi  di  Mosart,  Beetboyen,  Weber  e  Berlio»? 
Cbe  inteadeyaoo  essi  di  attingere,  se  mai,  alle  loro  opere,  aH'infuorì 
di  una  dolce  cantabilità?  Ebbene  anche  la  melodia  fini.  Ed  ora  &* 
temi  l'opera,  —  No,  all'efficacia  rappresentatifa  dell'orchestra,  al  suo 
potere  sinfonico  essi  non  erano  né  cresciuti  né  preparati.  Mancò  ren- 
tusiasmo,  la  tradizione  s'irruvidì  nell'affettata  ignoranza;  la  musica 
istrumentale  non  entrò  più  per  nulla  nell'educazione  artistica;  il 
canto  assorbì  tutto;  l'aria  fu  l'opera,  Berlioz,  una  volta  in  Italia, 
ha  in  tedio  l'opera  nostrana  baciata,  com'egli  dice,  mollemente  dallo 
scirocco  e  dagli  scrittori  di  cavatine.  Gli  italiani  appresero  a  fitr  muf 
sica  tanto  più  applaudita  quanto  più  volgare  e  scorretta.  Solo  Boa- 
sini,  dopo  la  triste  epoca  degli  epigoni,  fu  ancora  l'artista  fine  del- 
l'orchestra; i  suoi  effetti,  carezzevoli  nel  Barbiere  e  nel  Conte  Ory^ 
smaglianti  nel  Mosè  e  nel  Cruglielmo  Teli,  sono  vere  conquiste.  Chi 
più  ne  profittò  direttamente  furono  Auber  e  Meyerbeer,  e  dalle  costui 
mani  l'operista  italiano  li  ricevette  sviluppati  e  più  fini.  Il  magi- 
strale trattamento  dell'  orchestra  nélV Aida  e  nell'  Otello  deriva  da 
esperienza  e  dallo  stadio  di  partiture  tedesche  e  francesi,  dal  pen- 
siero di  ringiovanire  e  rinforzar  la  melodia  con  un  elemento  trascu- 
rato, di  cui  l'artista  sente  con  rimorso  l'inestimabile  valore.  L'orche- 
strazione dell' ^/ricolta,  della  Dannagione  di  Faust  e  del  Lohengrin 
fecero  per  la  recente  musica  teatrale  d'Italia  quel  che  la  continuata 
serie  di  esperimenti,  da  Gluck  a  Wagner,  avean  fatto  per  la  muaict 
tedesca.   • 

Quando  Verdi  cominciò  a  scrivere,  il  canto  dell'opera  non  tollerava 
che  degli  accompagnamenti  orchestrali  stereotipi,  delle  introduzioni, 
delle  variazioni  frìvole  e  fronzolute  ed  altre  cose  allegre.  Neil' O&erto 
le  cantilene  sono  dolciumi  e  gli  accompagnamenti  terre  cotte  da  vil- 
lici. Nell'orchestra  il  compositore  non  ha  scatto,  né  abilità  descrit- 
tiva,  fuorché  in  incidenti  isolati.  Subito  dopo  il  Finto  Starnslao,  e 
sino  all'  Ernaniy  sono  più  spesso  colpi  d'accetta  che  artistiche  ?o* 
norìtà. 

L'attitudine  dell'orchestra  rimpetto  al  dramma,  d'ora  innanzi,  è 
duplice:  quando  ella  sostiene  il  canto  ritmicamente,  lo  rinforza  e 
aspetta  a  intervenire  come  potenza  descrittiva  in  determinati  episodi; 
e  quando,  invece,  ella  segue  vicin  vicino  il  dramma,  isolando  meno 


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LOPBBA  DI  GIU8BPPB  YK^DI  X  I  SUOI  CAnATTERI  PRINGIPAU  317 

il  momeoto  della  sua  specializzazione  rappresentativa.  Nel  primo  caso  • 
essa  è  accompagnamento,  nel  secondo  è  specchio  del  dramma.  Ma 
questi  due  modi  di  essere  deirorchestra  non  sempre  sono  distinti,  uè 
il  progresso  dell'uno  decide  Tabbandono  dell'altro.  In  qualcuna  delle 
Verdiane  opere  giovanili  il  momento  tragico  sembra  riflesso  con 
maggior  vigore  dairorchestra,  relativamente  alla  pianezza  degli  ac- 
compagnamenti. Nelle  posteriori  Tincidente  orchestrale  ^pare  meno 
suggestivo  e  dinamico;  egli  è  che  si  isola  meno,  per  l'attitudine  ge- 
nerale dell'orchestra  divenuta  commento  al  dramma. 

Ma  l'orchestra,  nell'opera  del  Verdi,  ha  un  valore,  un  interesse  re* 
lativo,  determinato  da  istinto  e  cultura;  anch'  egli  ha  pagato  alla 
mancata  tradizione  istrumentale  il  suo  tributo.  Tuttavia,  indipen- 
dentemente dall'abilità  e  dai  mezzi,  ben  pochi  sono  i  casi  in  eui  i 
tratti  principali  del  dramma,  le  situazioni  più  tese,  o  il  sentimento 
della  natura  esteriore,  anche  nelle  sue  prime  opere,  non  siano  dovu- 
tamente rilevati  dal  sinfonista.  Non  si  creda  dunque  che,  sin  da  prin- 
cipio, l'orchestra  di  Verdi  altro  non  fosse  che  semplice  accompagna- 
mento e  sonorità.  Si  potrà  notare  che  essa,  per  non  breve  serie  di 
opere,  non  ha  colorito  né  significazione,  né  varietà  sufficienti,  che 
eventualmente  essa  isola  l'episodio  drammatico  con  una  rude  bravata, 
per  ritornare  subito  alla  monotonia  delle  forme  trascendentali,  alle 
acque  calme  o  fluttuanti  dell'accompagnamento.  Anzi,  quando  il  co- 
lato drammatico  è  colpito  simultaneamente  alla  parola  del  canto, 
l'artista  preme  tanto  sull'episodio,  che  l'incidente  orchestrale  diventa 
una  superfetazione.  Persino  nella  timida  composizione  délVOberto,  il 
maestro  assegna  una  veste  importante  al  brano  istrumentale  descrit- 
tivo. Sono  talora  graziose  e  morbide  movenze  esprimenti  diverse  con- 
dizi<mi  di  spirito,  tal'altra  fluttuamenti  e  tremiti  dell'armonia  e  del 
ritmo,  moti  figurati  degli  strumenti  ad  arco.  Quando  Riccardo  snuda 
la  spada  per  battersi  con  Oberto,  l'orchestra  sottolinea  energicamente; 
il  duello  e  l'inseguimento  sono  preparati  e  descritti  dall'agitarsi  del- 
Torchestra  simultaneamente  al  coro;  il  gemito  del  morente,  il  sus- 
surrar del  vento  (tipo  al  motivo  del  Bigoletto),  la  calma  che  segue 
sono  momenti,  dei  quali  nessun  tratto  caratteristico  è  sfuggito  al 
compositore.  Fosse  pur  anche  mediante  una  semplice  battuta,  egli 
accenna  al  sentimento  che  gli  animi  pervade. 

Ora,  anche  in  questo  campo  descrittivo  sono  sentimenti  di  uno  spe- 


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318  ARTE  GONTBMPOaANSA 

cìale  carattere,  che  egli  preferisce  e  riesce  a  rappresentare,  mentre 
l'espressione  di  tali  altri  egli  trascura  o  vi  ha  esito  freddo  o  gli  è 
negata.  È  il  lato  capo,  terribile,  feroce  della  passione  che  loaninoa 
ed  è  suggestione  alla  saa  capacità.  Espressioni  dell'odio,  del  racca- 
priccio, dello  smarrimento,  lotte  e  furore  di  combattenti,  paura,  mi- 
naccia, propositi  infernali,  vendette,  sdegni,  luoghi  solitarii,  orrore 
di  caverne  e  di  cimiteri,  apparizioni,  simboli,  delitto  e  morte;  ecco 
le  forse  che  la  descrizione  orchestrale  verdiana  predilige  ed  infligge. 
Vi  sono  opere  tipiche  per  queste,  come  il  Nabucco^  il  Corsaro^  la 
Luisa  Miller,  La  minaccia  di  Zaccaria  che  libera  Fenena,  la  scena 
del  delirio,  il  fulmine  scoppiante  sulla  testa  del  re,  la  protesta  e 
l'insulto  di  Abìgaille,  la  terrìbile  profezia  di  Zaccaria,  la  scena  in 
cui  Nabucco,  toccata  la  fronte,  chiede  a  Dio  perdono,  sono  momenti 
di  vera,  solenne,  efficacissima  tragica  orchestrale;  alcuni  sono  in 
realtà  dei  qiodelli.  Nel  Corsaro  tali  descrizioni  hanno  del  solvalo; 
l'orchestra  è  tutta  scatti  e  sussulti;  figure  descrittive  si  levano  mi- 
nacciose a  spire  con  una  crudezza  ed  una  violenza  inaudite.  Dal  pre- 
ludio sino  alla  fine  dell'opera,  lo  stile  è  a  base  di  simile  realismo 
aspro  e  talora  brutale,  artisticamente  non  rozzo,  ma  di  impressione 
manchevole  e  dissolvente  ;  è  romantica  fotografia  della  materia.  E  la 
Luisa  Miller  non  è  dessa  tutto  un  esempio  di  attenzione  e  di  cura 
orchestrale  al  dettaglio  drammatico  ?  Lo  smarrimento  dell'anima,  l'a- 
gitazione, le  invocazioni  infernali,  l'ambascia,  i  cupi  silenzi  rivelati  da 
cupi  accordi  delVarmonia,  ed  anche  le  stesse  tenerezze,  sono  stati  morali 
riprodotti  fino  con  motivi  orchestrali  reminiscenti.  Neil'  Emani  gli 
orrori  di  tenebrose  caverne,  le  ombre  del  cimitero,  la  festività  dei 
balli  e  tutta  cotesta  scorza  di  personaggi  violenti  e  sanguinarìi,  of- 
frono al  musicista  il  destro  per  dipingere  le  sue  scene  coi  colori  più 
forti  e  con  poetico  slancio  di  verità.  Così  nella  Giovanna  éC  Arco, 
dopo  l'introduzione,  all'allontanarsi  del  coro,  tra  gli  orrori  della  fo- 
resta e  i  rintocchi  della  campana  de'  morti;  gli  è  un  seguito  di 
dettagli  orchestrali,  che  riflettono  anche  meglio  l'intimo  dei  perso- 
naggi. Orrore  ne'  Masnadieri,  che  l'orchestra  esprime  quando  Carlo 
contempla  i  banditi  dormienti,  oppure  durante  tutta  l'ultima  scena 
raccapriccevole  del  terzo  atto,  quando  egli  medesimo  scopre  il  de- 
litto del  fratello,  che  ha  posto  vivo  sotterra  il  padre  suo  ;  orror 
tragico  espresso   con   mezzi  più  comuni  nei  Due  Foscari,  più  ac- 


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l'opera    di   GIUSEPPE   VERDI   E  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  319 

eentoato  ancora  nella  prima  scena  notturna  iéìY Aitila  e  nell'agi- 
tazione  deireroe  a  contrasto  col  coro  delle  vergini.  Orrore  nel  terzo 
atto  della  Battaglia  di  Legnano,  tutto  a  base  di  colorito  fosco,  di 
cui  Torchestra  è  cospersa  nella  perorazione  dopo  la  scena  del  Giura- 
mento; nélVAlzira,  alla  scena  della  punizione  d'Alvaro  mista  con  la 
gioia  selvaggia  del  martirio,  fra  Fabbattimento  che  tronca  le  parole, 
e  Tagitazione  riprodotta,  in  questo  caso,  da  una  singolare  plasticità 
di  figure. 

Tale  caratteristica  dell'incidente  orchestrale  Verdiano,  favorito  da 
un  altro  ordine  di  sentimenti  romantici,  passa  nel  Bigoletto,  nel  pre- 
ludio, nella  scena  del  ratto  di  Gilda  e  della  scoperta,  nell'agitazione 
colpevole  del  duca,  nelle  imprecazioni  ai  cortigiani  e  nella  tragedia 
finale,  che  Torchestra  sente  in  modo  superlativo,  parlante;  essa  si 
ripercuote  nello  Stiffclio,  alla  scena  del  cimitero,  con  impressione  di 
drammatico  terrore,  con  mezzi  anche  più  scelti  ed  acconci,  o  nella 
scena  del  duello  e  nell'agitata  visione  di  Stankav  ;  ueìVAroldo  è  su- 
bito reperibile  nell'entrata  dì  Egberto,  nella  introduzione  del  secondo 
atto  e  in  molti  altri  episodi,  nei  quali  è  evidente  che  col  permanere 
di  quel  carattere  in  sé,  l'arte  del  commento  orchestrale  si  è  acuita 
nell'interno  e  umanizzata  all'esteriore.  Strano  a  dirsi,  nel  Trovatore, 
l'opera  tipo  del  Verdi,  la  terribilità  del  dramma  non  ispira  al  com- 
positore adeguati  commovimenti  orchestrali.  Ma  per  tale  caratteristica 
l'orchestra,  nella  Traviata,  colla  sua  agitata  attitudine,  alla  scena 
del  giuoco  (forse  la  più  bella  ed  importante  dell'opera)  e  alla  fine 
del  terzo  atto,  ha  punti  di  non  comune  efficacia,  quantunque  noi 
siamo  già  entrati  in  quella  fase  dell'attività  Verdiana,  in  cui,  più 
che  Tepisodio  isolato,  il  maestro  cura  l'insieme  drammatico.  I  due 
momenti  tengono  a  confondersi  sempre  più,  ma  non  per  questo  è 
minore,  né  meno  peculiare  e  precisa,  l'importanza  dell'incidente  or- 
chestrale. 

Nel  prologo  e  nel  primo  atto  del  Simon  Boccanegra  sono  pagine 
descrittive  dell'abbattimento  tragico  e  del  presentimento  sinistro 
ond'è  ravvolta  la  situazione  principale.  Il  loro  uso  diminuisce  nei 
Vespri  Siciliani  e  nella  Forza  del  Destino,  opere  ben  importanti 
per  altra  specie  di  pittura  orchestrale,  diminuisce  nel  Ballo  in  Ma- 
schera, in  cui  tale  pittura  di  carattere  e  d'ambiente,  quantunque  ricca 
nei  lampi  della  preveggenza,  nei  ruggiti  dell'odio  e  della  vendetta, 

&Ì9Ì9ta  mutieak  itaUama^  VUI.  22 


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320  ARTE  CONTEMPORANBA 

è  più  efficace  per  la  commistìoDe  di  episodi  contrapposti  e  di  estremi . 
toma  invece  a  crescere  nel  Dan  Carlo:  la  perorazione  alla  scena  del- 
l'eroe esterrefatto,  mentre  i  frati  si  disperdono  ne'  meandri  del  chiostro, 
Filippo  in  ginocchio  innanzi  alla  tomba  di  Carlo  Y,  la  morte  di  Bo- 
drìgo,  l'avvilimento  di  Don  Carlo,  l'apparizione  del  magno  imperatore, 
traggono  all'orchestra  il  più  alto  interesse.  Aida,  cui  il  padre  rinfaccia 
la  propria  vergogna,  la  disperazione  di  Amneris,  il  terrore  del  quarto 
atto,  la  punizione  finale,  sono  soggetti  di  maggior  efficacia  descrittiva 
che  tutte  le  beatitudini  e  le  tenerezze  orientali.  In  Otello,  al  vele- 
noso lavoro  della  passione  che  non  ha  tregua,  l'orchestra  dà  fomite, 
esca  continua,  essa  ne  investe  con  impeto  i  personaggi  e  la  situa- 
zione, li  sublima,  li  abbatte,  li  trasfigura.  Il  presentimento  d'Otello, 
le  sue  viltà,  i  suoi  sfoghi,  i  ruggiti  e  le  tempeste  della  sua  anima 
incrudelita  si  sentono,  nell'orchestra,  agli  assalti  furibondi  di  Cassio 
e  Montano,  di  Otello  e  Jago,  con  l'ossessione  di  Emilia,  le  audacie 
inconscie,  le  codardie  involontarie  di  Desdemona,  con  i  balenamenti 
e  il  dolor  muto  della  catastrofe.  La  figura,  l'anima  d'Otello,  il  suo 
fatto,  il  suo  rimorso  hanno  lo  stigma  eccessivo  della  caratteristica 
Verdiana,  la  quale  collega  le  ultime  venture  della  potenza  orche- 
strale tragica  colle  violenti  crudezze  istintive  delle  opere  prime. 
Falstaff  è  la  gioconda  commedia  della  gelosia,  non  il  dramma  della 
passione  rngghiante;  né  pel  sostrato  dell'ironia  e  del  sarcasmo  la 
musica  istrumentale  ha  colorito  e  senso. 

* 

Ma  se  invece  di  sensazioni  terribili  e  violenti,  il  compositore  abbi- 
sogni, per  la  sua  orchestra,  di  piena  e  chiara  luce  o  di  miti  velature,  di 
tinte  sobrie  o  commiste  a  vivi  ma  dolci  contrasti,  proprie  di  sfoghi  sen- 
timentali più  nervosi  e  fugaci,  ma  meno  definiti,  mai  totalmente 
accessibili,  mai  assolutamente  aperti,  un  altro  lato  caratteristico  del 
talento  di  Verdi  ci  appare,  più  di  rado  attivo  e  meno  efficace  del 
primo.  0  il  compositore  non  sente  la  necessità  della  pittura  orche- 
strale, 0  non  ne  colpisce  l'effetto  persuasivo,  conquidente,  preciso. 

Contro  questi  pericoli,  in  verità,  egli  si  cautela:  rifiuta  il  soggetto 
che  non  dà  apertamente  e  forti  le  sue  sensazioni  favorite  ;  non  sempre 
però  la  selezione  è  cosi  perfetta,  che  qualche  tratto  non  resti  e  feccia 


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L  OPERA   DI  GIUSEPPE  TBRDI  B  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPALI  321 

appello  alla  coscienza  dell'artista,  la  quale  è  grandissima  sempre. 
Stati  morali  come  la  gioia  serena  o  presentita,  la  calma  e  l'agilità 
dello  spìrito,  la  giovialità,  l'estasi,  la  beatitudine,  l'animo  fascina- 
tore, la  dolce  speranza,  la  felicità  nella  gratitudine,  lo  spavento  re- 
presso nel  cuore  che  palpita,  il  lamento,  la  lusinga,  la  compassione, 
oìolti  sentimenti  incerti  e  ^arie  impressioni  della  natura  esteriore 
eolle  sensazioni  relative,  fenomeni  cui  accede  l'arte  mitigata  e  pen- 
sosa (come  la  notte  lunare,  il  riposo  delle  foreste,  le  calme  de'  pae- 
saggi, la  magnificenza  del  sole)  non  sono  forti  suggestioni  pel  Verdi. 
La  sua  tavolozza  orchestrale  vi  è  poco  cresciuta.  L'esultanza  di  Oberto 
nella  scena  del  secondo  atto,  e  il  suo  atteggiamento  di  fronte  alle 
esclamazioni  del  coro,  è  fredda  scolastica  ;  essa  non  ha  tono  artistico 
come  la  scena  del  duello  o  quella  della  lettera.  Fede,  esaltazione, 
entusiasmo  non  si  rivelano  nella  marcia  de'  Crociati  Lombardi,  ma 
debole  dramma  a  base  di  scale  cromatiche  e  di  tremoli  fin  dall'in- 
troduzione; non  il  tono  profetico  nella  pittura,  non  l'animata  giovi- 
nezza triste  e  pensosa  delle  schiave  e  neppure  il  necessario  colore 
drammatico  nel  preludio  del  quarto  atto:  gingilli  orchestrali  invece 
di  vere  impressioni.  La  confusione  del  libretto  è  del  tutto  funesta 
al  compositore.  Le  scene  fantastiche  della  Giovanna  d'Arco^  dell'J^r- 
nani,  dei  Masnadieri,  del  Macbeth,  riflettono  in  altrettanti  quadri 
orchestrali,  non  le  miti  loro  stranezze,  bensì  le  loro  impressioni  si- 
nistre e  malefiche.  Solo  il  primo  e  il  quarto  atto  del  Macheth  fanno 
eccezione.  Ma  nella  scena  del  sonnambulismo,  ad  esempio,  noi  ritrove- 
remo ancora  il  pittore  dell'incidente  d'impressione  spaventevole,  efficace 
nella  linea  e  con  l'armi  del  suo  successo.  E  questo  neppur  sempre. . 
Giovanna  d'Arco  intenta  al  coro  dei  demoni  e  degli  angioli,  poi 
cinta  di  catene,  infiammata  dall'ispirazione  e  dalla  fede,  Giovanna 
d'Arco  che  si  getta  con  la  spada  in  pugno  nel  furor  della  battaglia, 
poscia  levata  dritta  sulla  bara  e  rapita  in  estasi,  non  suscita  nessuno 
benché  fuggevole  cenno  istrumentale ;  e  così  neanche  lo  stato  d'animo 
dì  Giacomo,  quando  dall'alto  della  torre  egli  guarda  la  stesa  de'  campi 
nemici.  La  turba  dei  Masnadieri  che  si  corica  e  si  addormenta  lascia 
fredda,  inerte  l'orchestra  ;  non  cpsì  le  tempeste,  gli  uragani  del  Na- 
buecOj  del  Corsaro^  AeW Attila,  del  Eigoletto  e  àeìVOtello:  ecco  delle 
pitture  orchestrali  terribilmente  belle.  Eppure  anche  là,  nella  sua  di- 
versa dinamica,  l'immagine  doveva  esser  densa  di  suggestioni.  Sfide 


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322  ARTE  CONTEMPORANEA 

e  pugnalate,  assassinii  .e  stragi,  rampogne  e  maledizioni:  tale  è  la 
provvida  specie  del  sostrato  descrittivo  dal  Nabucco  al  Corsaro,  dal- 
V Emani  9IV Attila,  iiiV Alzira  al  RigoUtto,  dall'^roMò  2i\V  Otello. 
Vi  è  la  evoluzione  grafica  dell'incidente  orchestrale  Verdiano.  Il  senti- 
mento notturno  delle  cose  è  sempre  la  bella,  viva  e  feconda  sua  pagina. 
Il  lento  passaggio  che  si  rileva  a  descrizioni  di  altra  specie  di  sen- 
timenti, da  principio  è  fatto  di  mere  apparizioni  sporadiche.  L'aurora 
e  le  navicelle  predanti  n^W Attila  sono,  come  pittura  orchestrale,  un'in- 
tenzione irrealizzata;  nella  ^a/to^Jia  <?t  Zannano  l'esultanza  floreale, 
il  sito  ombreggiate,  l'acque  rilucenti,  l'estasi  di  Lida  che  siede  al 
rezzo, restano  pure  designazioni  letterarie;  cosi  l'alba  n^WAhira:  il 
personaggio  è  presente  all'immaginazione  soltanto  nella  sua  qualità  tra- 
gica. Voi  non  udrete  nell'orchestra  i  lieti  concenti  ài^W Attila,  non  le 
seduzioni  d'Alzira,  ma  sì  le  grida  selvaggie  e  i  fremiti  dell'ambascia. 
Lina  cade  ai  piedi  di  Stifielio  implorando  perdono,  e  l'orchestra  è 
indifierente  e  nulla:  il  carattere  delle  armonie  nel  tempio,  il  pro- 
strarsi del  popolo  atterrito  dalla  grandezza  della  religione:  ecco  il 
motivo.  Quando  l'amorosa  Luisa  si  getta  nelle  braccia  del  vecchio 
Miller  0  a'  ginocchi  di  Walther,  il  quadro  è  orchestralmente  nullo. 
L'impressione  della  notte  lunare  nel  Ballo  in  maschera  si  converte 
subito,  senza  una  causa  impellente,  in  tragica  orchestrale. 

Ma  non  è  vero  assolutamente  che  le  sensazioni  beneficanti  non 
prestino,  in  processo  di  tempo,  al  Verdi  non  solo  motivi  di  accenni, 
ma  bensì  il  tema  di  immagini  orchestrali,  di  pitture  finite. 

Già  nella  Battaglia  di  Legnano  la  solennità  del  momento  di  dolce 
emozione  è  commentata  dall'orchestra  all'atto  in  cui  Rolando  ridona 
il  fanciullo  alla  madre,  0  quando  l'aria  echeggia  del  fragor  dell'armi 
e  le  campane  squillano  a  festa.  La  introduzione  del  primo  atto  del 
Simon  Boccanegrg,  dipinge  l'Aurora;  Amelia  guarda  il  mare,  e  i 
moti  dell'anima  sua  sono  tepidamente  riflessi  dall'orchestra;  l'estasi  del 
padre  che  contempla  Amelia,  il  doge  dormiente^  Genova  illuminata 
e  festosa,  la  benedizione  degli  sposi;  ed  ecco  altrettante  immagini 
nello  specchio  della  musica.  Una  delle  più  belle  scene,  che  la  mano 
del  Verdi  fece  stupenda,  è  la  introduzione  della  Fcrisa  dei  Destino, 
tutta  presentimento  e  commozione  per  virtù  del  colorito  orchestrale. 

Ognuno  ricorderà  gli  eleganti  intermezzi  del  Don  Carlo;  i  giar- 
dini della  regina,  l'alba  n^I  terzo  atto,  una  solinga  e  triste  medita- 


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L*OPBRA  DI  OniSIPPE  VERDI  S  I  SUOI  CARATTERI  PRINGIPAU         •    323 

zione  piena  di  squisito  sentimento  della  naturi^;  ricorderà  la  mezza- 
notte nel  Falstaff,  l'orientai  profumo  àAVAida^  la  descrizione,  poetica 
in  fondo  dell'anima,  nel  principio  del  terzo  atto, 'la  notte,  il  chiaror 
della  luna,  le  ombre  dei  palmizi  a  le  ri?e  del  Nilo,  ma  anche  gli 
inevitabili  vortici,  come  impressione  d'orrore  che  domina  la  fotojfrafia 
dell'orchestra;  ricorderà  il  primo  atto  dell'Otero  e  quanto  sentimento 
della  gioconda  natura,  oltre  il  principio,  vi  sia  nelle  sue  scene;  ricor- 
derà l'atmosfera  di  letizia  infantile  e  suprema,  quando  il  coro  va  in- 
contro a  Desdemona  con  le  guzle  e  le  arpe,  tutta  cosparsa  di  inci- 
denti descrittivi  con  una-  punta  di  tristezza  soave.  Nella  espressione 
del  sentimento  locale  e  nella  descrizione  del  paesaggio  il  maestro 
diede  armonie  seducenti  all'orchestra  nel  secondo  atto  del  Don  Carlo, 
e  tali  ne  ritrasse  pur  la  scena  fra  Eboli  e  Rodrigo.  Nella  nota  del  pre* 
sentimento,  il  vero  campo  delle  più  efiGicaci  possibilità  orchestrali,  il 
Rigoleito^  il  Ballo  in  Maschera  e  V  Otello  dimostrano  successiva- 
mente il  progresso  dall'incidente  isolato  alla  inint^rotta  serie  di 
simboli  musicali,  che  si  compenetrano,  e  lumeggiano,  scena  per 
scena,  il  dramma  intero.  Tutto  un  presentimento  di  sventura  e  di 
morte  trascorre  la  gioconda  e  la  triste  musica  deir^ù2a;  tale  pur 
si  spande  ne'  brani  apodittici  intersecanti  ,ed  avvivanti  la  scena  fra 
Desdemona  ed  Emilia  nel  quarto  atto  dell' OteZ/o,  e,  non  più  tragico, 
ma  aduggiante  e  sotto  la  veste  dell'ironia,  s'innesta  fra  il  dire  di 
Ford,  la  stessa  ironia,  che  l'orchestra  tentò  d'avvicinare  con  tcfcco 
maestro  nel  terzo  atto  del  Don  Oarlo  e  nella  smorfia  del  Rigoletto, 
Ma  l'orchestra  ora  è  diventata  organo  dell'azione  drammatica. 
Questo  è  il  risultato  principale  della  sua  evoluzione. 

* 

L'opera  del  Verdi,  con  tutti  i  progressi  che  nessuno  negherà,  non 
ha  raggiunto,  nel  campo  della  pittura  orchestrale,  i  caratteri  estremi 
e  la  dovizia  espressiva  della  musica  sinfonica  moderna.  Le  ragioni  di 
questo  fatto  sono  troppo  note:  la  forza  personale,  originale,  del  com- 
positore non  deriva,  non  emerge  dall'abilità,  ma  dal  sentimento;  così 
è  da  questa  parte  che  l'opera  sua  va  intesa  e  giudicata.  Le  pagine 
sinfoniche  del  Verdi,  veri  poemi  della  natura  umana,  sono  belle  quando 
provengono  dal  cuore.  Egli,  grande  artista,  non  s'impensierisce  pel 


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324     .  ARTE  CONTEMPORANEA 

maggiore  a  minore  sfoggio  di  abilità  tecnica;  egli  non  confonde,  come 
molti  altri  che  son  falsi,  i  mezzi  col  risultato,  la  scuola  con  Parte. 
Perciò  gli  stessi  primitivi  preludi  sinfonici  del  Macbeth  restano  a 
provare  l'efficacia  deirorcbestra  in  aiuto,  a  lumeggiamento  della 
scena,  sia  paesaggio  o  sia  dramma,  preludi  che  manifestano  una  ra- 
pida, tersa  e  plastica  vision  delle  cose,  arte  giovine  e  colorita,  pene- 
trante neirintimo  mentre  dipinge  Testemo.  Domina  simile  felice  in- 
tuizione drammatica  e  pittoresca  nel  preludio  del  quarto  atto  della 
Giovanna  d'Arco^  in  quella  pagina  di  lagrime  che  è  il  terzo  pre- 
ludio della  Traviata^  e  ne'  diversi  frammenti  intermedii  del  Dm 
Carlo.  Ma  sopra  tutto  rimarrà,  verace  e  splendido  esempio  di  espres- 
sione intima  e  sentimento  della  natura,  il  terzo  preludio  dell'^ùlti, 
un  modello  di  altissima,  indefinibile  poesia. 

Le  sinfonie  del  Verdi,  tra  le  quali  alcune  sono  piene  di  slancio, 
di  vis  ritmica  e  d'effetto,  giunsero  a  noi  come  la  conseguenza  del- 
l' indirizzo  musicale  di  una  determinata  epoca.  Ricordi  del  periodo 
classico,  esse  rappresentano  l'unico  avanzo  di  grandi  dominii,  un 
lembo  rimasto,  per  cui  non  tutta  quanta  la  tradizione  del  secolo  XVIII 
appare  spezzata,  un  lembo  di  classicismo  debolmente  appicciato  al- 
l'opera romantica.  La  sinfonia,  più  tosto  che  eccitare,  armonizzare  la 
nostra  forza  di  sentire  e  dirigerla  ad  un  determinato  insieme  di  im- 
pressioni, fatta  un  pezzo  di  musica  stereotipo,  privata  di  qualunque 
rapporto  coll'azione,  si  stacca  dall'edificio  dell'opera,  è  un  vaniloquio 
talvolta  fin'anco  ammirevole  come  effetto  astratto,  ma,  come  fattore 
drammatico,  è  uno  spediente  nullo.  Le  sinfonie  del  Verdi  soffrono 
tutte  degli  stessi  difetti.  Uno  dei  preludi  già  citati  vai  meglio  che 
la  sua  più  magniloquente  sinfonia,  e  il  terzo  preludio  dell' Jufa  le 
vai  tutte  prese  insieme. 

Con  ciò  io  credo  di  toccare  la  peculiarità  caratteristica  migliore 
e  più  potente  dell'opera  di  Verdi,  quella  di  un'arte  che  merita  questo 
nome,  a  differenza  di  molti  esperimenti  ginnici  che  oggidì  sembran 
qualche  cosa  e  son  nulla.  Ciò  che  elevò  l'artista  fu  il  suo  co- 
stante progresso  musicale  poetico;  fu  il  segreto  per  cui  egli  seppe 
trasportarci  in  mezzo  a  scene,  a  drammi  commoventi,  a  fantasie  che 
ci  trassero  lungi  dalla  vita  reale  e  ci  fecero  vivere  come  per  forza 
d' incanto.  Questo  progresso  musicale  poetico  è  sparso  su  parecchi  mo- 
menti visibili:  dopo  il  canto  drammatico,  l'accompagnamento  istru- 


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L*OPBRA  DI  GIUSEPPE  YBRDI  E  I  SUOI  CARATTERI  PRINCIPAU  325 

mentale  che,  da  semplice  cornice,  diventa  quadro,  paesaggio  o  dramma: 
rincidente  orchestrale  descrittivo  che,  isolato  prima,  si  fonde  poscia 
colFazione,  con  cui  accentua  la  sua  stretta  affinità  nella  forma,  nella 
dinamica,  nello  stile. 

Sn  que'  diversi  momenti  principali  diressi  la  mia  indagine  non 
breve,  e  man  mano  che  essi  apparivan  chiari,  io  mi  ingegnai  di  se- 
guirli nella  loro  evoluzione  progressiva,  sia  in  un  complesso  di  opere 
sia  nell'opera  isolata.  Come  a  tutti  gli  altri,  diedi  un  valore,  altri- 
menti negletto  ma  che  parmi  giusto  e  doveroso  rilevare,  ai  caratteri 
ultimamente  osservati  nel  cemento  dell'orchestra,  perchè  generatori 
di  pitture  sinfoniche,  le  quali  rappresentano  la  scena  dra,mmatica  e 
gl'intenti  del  poeta  con  quella  necessaria  efficacia,  cui  la  stessa  voce 
umana  in  un  col  gestire  vien  meno. 

E  Verdi,  raggiunta  cosi  la  intera  coscienza  della  sua  missione 
d'artista,  fece  di  essa  il  carattere  più  alto  e  comprensivo  della  sua 
opera  totale. 

L.  Torchi. 


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VERDI  E  LA  CARICATURA 


Oe  rimmaginazione  del  caricatarìsta  riceve  alimento  e  forza  solo 
da  quanto  si  discosta  dalle  leggi  naturali  e  dalle  abitudini  normali  ; 
e  la  matita  dell'artista  si  fa  più  spiritosamente  briosa,  allorché  tro- 
vasi al  cospetto  delle  caratteristiche  umane  deformate  da  scherzo  di 
natura,  esagerate  da  abitudini  di  vita,  o  comechessia  fuorvianti  dai 
limiti  che  paiono  fissati  ai  caratteri  dell'uomo  normale,  la  figura  di 
Giuseppe  Verdi  non  doveva  esser  certo  di  quelle  che  davano  modo 
ai  maestri  della  caricatura  di  segnare  un'impronta  durevole. 

Pur  la  gran  fama,  e  la  diffusione  immensa  della  sua  musica  non 
potevano  lasciar  del  tutto  indifferente  questo  genere  d'arte,  e  non 
pochi  tentarono  di  far  crescere  su  un  terreno  per  natura  sterile,  talora 
perfino  sconfinando  dai  limiti  prefissi,  prodotti  ch'essi  speravano  buoni 
e  durevoli;  e  così  i  punti  pib  caratteristici  e  i  più  luminosi  della 
vita  del  maestro  possono  con  sussidio  della  caricatura,  essere  ricor- 
dati con  interesse. 


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VERDI  E   LA   CARICATURA 


327 


Caratteristica  principale  della  vita  come  della  persona  di  Giuseppe 
Verdi  si  è  Tequilibrio,  la  normalità.  Si  direbbe  anzi  che  in  lui  le 
doti  morali  è  le  qualità  fisiche,  riunite  in  così  armonico  amplesso 
tentino  di  presentarci  il  tipo  nobile  e  progredito  deiruomo  normale. 

E  come  mai,  si  domanderà,  poteva  l'artista  porre  in  evidenza  i 
tratti  anormali  di  un  tal  uomo,  di  cui  era  carattere  precipuo  la  per- 
fezione della  normalità?  A  che  doveva  ispirarsi  la  punta  mordace 
del  disegnatore? 

VERDI 

P«rr,.  PILOTELT, 


Fig.  1. 

Non  tratti  del  volto  esagerati  per  contorno  o  proporzione:  non  espres- 
sione particolare  dei  lineamenti  che  rivelassero' una  tendenza  speciale 
dell'animo  ;  non  la  statara  che  sconfinasse  per  eccesso  o  per  difetto 
dalla  media  normale;  non  un'andatura  ridicola  o  grottesca,  pomposa 
0  superba,  od  indicante  una  qualsiasi  posa;  non  il  modo  di  vestile 


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328 


ARTE  GONTEMPORANBA 


caratteristico  per  forma  o  qualità  di  stoffe,  per  taglio  o  foggie  spe- 
ciali. Né  la  sua  arte  era  nella  forma  o  negli  intenti  rivoluzionaria,  e 
neppure  egli  teorizzò  mai,.nè  fu  indotto  né  trasse  altri  in  polemica. 

IL    MAESTRO   VER  DI,  par  gédéo» 


L.n.  ..  ..  •■,■»  ^4  .tf.  .,•  1.  »  ."  .  VERDI 


Fig.  2. 

Nulla,  insomma,  nulla  affatto  prestava  al  desiderio  dell'artista  una 
mano  amichevolmente  aiutatrice. 


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TBRDI  B  LA  GARICATUBA 


329 


Spigoliamo  fra  il  materiale  raccolto  per  una  storia  della  caricatura 


fifoc;E:>'E 


Verdiana,  per  vedere  commesso  si  sia  tratto  d'impaccio. 


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330 


▲RTB  CONTKMPOaANSA 


Ed  ecco  anzitutto  la  caricatura  generica  dell'artista  che  non  sa 
rappresentare  in  lui  che  irmusicista  trasformato  in  un  suonatore  vol- 
gare, al  pih  con  qualche  allusione  alla  sua'arte.  Le  principali,  fran- 
cesi, sono  del  1867-68  e  si  riferiscono  al  tempo  della  prima  esecuzione 
del  Don  Carlos  (Parigi,  marzo  1867)  ed  ai  furori  destati  dal  Tro- 
vatore nella  medesima  città. 


M    VERDI 


Fig.  4. 

Discreta  quella  del  Pilotelli  (fig.  1),  pubblicata  dal  Bouffan  il 
27  marzo  1867  subito  dopo  la  rappresentazione  airopera. 

«  Ieri  sera  il  Don  Carlos  non  ebbe  il  successo  che  io  sperava  », 
scrive  il  Verdi  al  Senatore  Piroli  ;  ed  ecco  spiegato  il  carattere  quasi 
oggettivo  di  questa  caricatura. 


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YBRDI  E   LA  CARICATURA 


331 


Anche  l'altra  del  Qódéon  (fig.  2),  che  porta  i  due  versi: 

Mienx  qne  le  marronier  par  le  temps  refroidi 
L'art  en  ce  mois  de  mars  sar  la  scène  a  VERDI 


Fig.  5. 
Caricatura  di  Mailly.  Verdi  al  momento  del  grande  successo  del  Trovatore, 

OOD  si  attenta  di  giudicare  l'arte  del  maestro. 
Caijatnon  è  piti  felice. degli  altri  nella  rappresentazione  della  fi- 


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332 


ARTE  CONTEMPORANEA 


gura  che  disegna  (fig.  3]  nel  giornale  umoristico  Diogene;  e  Hum- 
bert  raffigura  Verdi  che  porge  al  pubblico  la  sua  Giovanna  d'Arco 

(fig.  4). 

Non  sappiamo  trovar  lo  spirito  che  informa  la  caricatura  del  Mailly, 
che  mentre  il  Trovatore  trionfa  a  Parigi  non  sa  trovar  di  meglio  che 
raffigurar  Verdi  in  un  macinatore  di  caffè,  colla  lira  appesa  alle  spalle 
(fig.  5). 


Fig.  6. 

Più  nobile,  almeno  come  intendimento,  è  quella  del  Dantan  apparsa 

nel  1866,  che  ci  dà  un  Verdi  dalle  zampe  e  dalla  criniera  leonina 

(fig.  6)  e  che  porta  la  scritta: 

Il  a  dea  fiera  lions  la  griffe  et  la  crinière. 
Troaver  est  son  triomphe  à  ce  maitre  hardi. 
Il  suit  à  travers  champs  dea  chemins  sans  ornière. 
L*art  fleorira  toQJours  tant  quMl  aura  Verdi! 


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VERDI  E  LA   CARICATURA 


333 


Artìsticamente  più  significanti  sono  forse  quella  del  luglio  1883 
(fig.  7),  e  l'altra  pubblicata  all'epoca  dell'ulti  ma  visita  di  Verdi  alla 
capitale  francese*,  se  non  erriamo,  nel  1898  (fig.  8). 


Fig.  7. 

Possono  completare  la  serie  delle  caricature  generiche  le  due  pub- 
blicate allorché  si  trattò  di  includere  Verdi  nella  nuova  infornata 


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334. 


ARTE   CONTEMPORANEA 


di  senatori  (1874)  e  si  discusse  in  quale  categoria  di   senatori  egli 

a? rebbe  potuto  entrare  (figg.  9  e  10). 

Dopo  Tuomo,  la  sua*  opera,  ed  ecco 
una  serie  abbondantissima,  se  non  sempre 
interessante,  di  caricature  delie  opere 
principali. 

Il  confronto  di  due  esecuzioni  del  Tro- 
vaiore  a  Parigi,  1857,  all'Opera  e  al 
Teatro  Italiano  dan  modo  al  Micbelin 
di  satireggiare  l'esecuzione,  gli  artisti, 
la  messa  in  scena  (figg.  11  e  12).  Si  sa 
che  il  Trovatore^  divenuto  Le  Trouvère, 
era  rappresentato  allora  per  la  prima 
.  volta  airOpéra,  mentre  al  Thédire  Ita- 
lien'ersL  già  stato  rappresentato  fin  dal 
dicembre  1854.  Esecutori  all'Opera  erano 
le  sig.®  Gueymard  e  Borghi-Mamo,  e  i 
sig.^  Gueymard  e  Bonneliée.  Al  Teatro 
degli  Italiani  in  quell'anno  erano  inter- 
preti del  Trovatore  la  Fre'4Zolini,  Mario 
^^'  ^'  e  Oraziani. 


Maestro  Verdi.—  Jc  lui  aurais 
bien  fall  passer,  moi,  a  d'Annun- 
zio, 8a  piece  itali  enne. 


Fig.  9.  —  Dal  Giornale  *  II  Trovatore  „  29  novembre  1874. 
•  Xa  caricatura  del  Colonna  di  Napoli  (fig.  13)  si  riferisce  al  con- 


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VEBDI  E   LA   CARICATURA 


3^5 


Fig.  10.  —  Dal  Giornale  *  Lo  Spirito  Folletto  „  17  dicembre  1874. 


IL    TROVATORE  ET  LE  TROUVERE  At\  ITALIENS  ET  A  L'OPERA, 
par  Marcelin. 


tl-a«riMft.:l4. 


»  Tb      I    III     .  •  J  tal  fi'B  »KMlt»l  — 


Fig.  11. 


BMMta  mmieaU  itakana,  TIIL 


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336 


ARTE  CONTKMPOBANEà. 


tratto  e  alla  sua  esecuzione  per  l'opera  La  Forjsa  del  destino ^  scritta 
per  il  teatro  Imperiale  di  Pietroburgo,  ed  ivi  rappresentata  per  la 
prima  volta  il  10  novembre  1862. 


IL  TROVATORE  ET  LE  TROUVÈRE,  —  par  Maacelin  (tolte). 


IL  TROVATORE  ET  LE  TROUVERE.  —  par  Maaceliiv  (taite). 


TwM»ir*.br.ll 


Fig.  12. 


Bappresenta  le  vicende  di  quest'avvenimento  dall'istante  in  cui  Verdi 
riceve  la  proposta  a  quello  in  cui  ritoma  in  patria.  Si  vede  nelle  poco 


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VBRDI   E   LA   CARICATUBA  337 

IL  TROVATORE   ET  LE  TROtVÈRE,  —  par  Marcelin  (tuile). 


rmmtmmtmttta 


IL  TROVATORI^  ET  LE  TROUVÈRE.  -  ptr  Marcelin  (suite). 


IL  TROVATORE  ET  LE  TROUVÈRE.  -  ptf  Marcelin  (taile). 


Fig.  12. 


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338 


ARTE  CONTEMPORANEA 


spiritose  trasformazioni,  che  il  disegnatore  aveva  un'idea  assai  curiosa 
della  Russia 

IL  TROVATOBB  ET  LE  TROUVÈRE,  —  par  Maacelin  (tiiHe). 


-MI  ■MiMr.4«lir*HMItlK»<«ra««ìl«-T«<«|«MMr«Mh«»«« 


mmjdt 


^ 


,.        , 


Fig.  12. 


L'insuccesso  del  Simon  Boccanegra  a  Venezia  nel   1857  provoca 
alcune  caricature,  di  cui  diamo  qui  la  riproduzione.  Sono  tolte  dal 


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TKBDl  B  LA  CARICATURA 


339 


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340 


ARTE  GONTIMPORANVA 


Giornale:  L'Uomo  di  Pietra^  gennaio  1859  (fig.  14  e  15),  ed  a  noi 


Pigf.  14.  —  Dal  Giornale  *  L'Uomo  di  pietra  ,,  29  gennaio  1859. 


pare  ben  curiosa  la  leggenda  che  sta  scritta  sotto  una  di  esse  :  <  Mu- 


Fig.  15.  —  Dal  Giornale  "  L'Uomo  di  pietra  ,,  29  gennaio  1859. 


nizione  di  dottrina  musicale   indispensabile  pel   pubblico   che  vuol 


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▼IRDI  ■  LA  CARICATURA 


341 


divertirsi  col  nuovo  genere  di  musica  del  M»  Verdi  ».  Ed  il  disegno 
vorrebbe  rappresentare  (fig.  16)  Riccardo  Wagner  che  in  una  carret- 
tella trascina  un  carico  di  trattati  di  armonia  e  di  contrappunto, 
necessari,  secondo  Topinione  di  quei  tempi,  per  comprendere  la 
musica  del  Simon  Boccanegra  ! 


Ljbififltt  M  dottrini  anittlt  ìifcfrtwfcfk  Mi  mWìi» 

Uè^_ -^ z 


Fig.  16.  —  Dal  Giornale  *  L'Uomo  di  pietra  ,,  29  gennaio  1859. 


Nella  stagione  successiva  (1858)  FOpera  doveva  rappresentarsi  a 
Napoli.  Pare  che  gli  abbonati,  dopo  l'insuccesso  di  Venezia,  vedessero 
di  mal  occhio  e  non  gradissero  la  rappresentazione  di  quest'Opera. 
L'autore  del  disegno,  che  è  il  Colonna,  cerca  d'interpretare  il  loro 
pensiero  (fig.  17).  Sotto  al  disegno  sta  la  scritta:  Prognostico  per  la 
prossima  stagione  teatrale.  Ben  tornato.  Si  sa  che  queste  prevenzioni 
furono  sfatate,  poiché  l'opera  ebbe  a  Napoli  un  buonissimo  successo. 

L'il  marzo  1867  si  rappresentava  per  la  prima  volta  il  Don  Carlos, 
e  giudice  sovrano  doveva  essere  questa  volta  il  pubblico  dell'Opera 
di  Parigi.  11  successo  teatrale,  come  si  sa,  non  fu  felice,  e  la  mu- 
sica fu  variamente  giudicata. 


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342 


▲RTB  CONTEMPORANBA 


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YKRDI   E   LA  CARICATURA 


343 


Una  caricatura  che  si  atteggia  a  critica,  è  quella  pubblicata  a 
questo  proposito  il  29  marzo  1868  nel  Trovatore  (fig.  18). 

11  caricaturista,  che  in  quella  musica  non  aveva  saputo  scorgere  al- 
cuna linea,  alcun  disegno,  e 
da  tntto  rinsieroe  non  avea 
riportato  che  l'impressione  di 
un'immensa  confusione,  con- 
creta il  suo  concetto  in  que- 
sta immane  caldaia,  raffigu- 
rante il  Verdi  stesso,  da  cui 
escono,  spinte  dal  vapor  ac- 
queo, le  note  a  frotte,  senza 
nesso  e  senza  una  direzione 
prestabilita. 

Ed  a  proposito  di  questuo 
pera,  ecco  una  caricatura  del 
Teja  pubblicata  nel  Pasquino , 
che  vorrebbe  commentare  u- 
moristicamente  il  libretto  (fi- 
gura 19). 

E  poiché   abbiamo   accen-  Fig.  18. 

nato  alla  matita  del  Teja,  ci     ^*^  "  Trovatore  ,  di  Milano,  29  marzo  1868. 
piace  riportare  qui  una   caricatura  riferentesi  air^ùifa,  dettata  dai 
medesimi  intendimenti  (Gg.  20). 

Sempre  riferentesi  dXYAida  è  una  serie  di  caricature  abbastanza 
curiose  pubblicate  a  Parigi,  che  qui  riproduciamo  (fig.  21).  È  un  com- 
mento bufibnesco  delFazione,  illustrato  ed  accompagnato  dalla  musica 
(quasi  sempre  erroneamente  trascritta)  delle  altre  opere  Verdiane. 

La  musica  che  accompagna  ad  es.  il  n.  2,  è  quella  del  Rigoletio: 
«  Questa  e  quella  per  me  pari  sono  ».  L'altra  del  n.  9  è  del  Tro- 
vatore: <  Giorni  poveri  vivea  ».  Al  n.  14  si  applica  il  cantabile  del 
Higoletto:  «Bella  figlia  dell'amore»,  e  cosi  via. 

Ed  ecco,  sempre  a  proposito  déìVAida^  una  caricatura  portoghese 
(fig.  22).  Non  potremmo  indicare  con  precisione  il  valor  della  satira, 
se  par  satira  v'è. 

Non  frequenti  volte  la  caricatura  dell'opera  Verdiana  si  atteggiò 
al  motteggio  della  politica  italiana,  pur  tuttavia  qualche  saggio  ab- 
biamo potuto  raccogliere. 


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344 


ARTI  CONTKMPORANIA 


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VERDI  E   LA    CARICATURA 


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316 


ARTI  O0NTBMPORANK4 


DUETTO     #fi>tr^— ^-^jtJS 
Sopr.TeD»    tf     ^  *  '       ^  -^  ^^:_ 


4     tv 


T'a.mo,     fti^Va.itio    .      U-grt   .ine 
Fig.  21. 


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VBRDI  E   LA  CARICATURA 


347 


CBCEURdcs 
fVLBERTS 
ucrifìcateurs. 


9    11 


ptmbas 


Ga.ro   nom.me   che     il         mio 


CBCEUR. 


Cat.ti    ve  nu.o  .ve      d'Etio^iia 

Fig.  21. 


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348 


ARTE  CONTEMPORANEA 


NM4 

QIUTUOR. 


.Vi  ..ra  IÌt«lia^TÌjrail  Rr,?i     .  va  Verdi 


Detenaftul  .la  terra  pò  .ve  .ra^cbia.Ta 
Trovatore. 


N?9. 
DUO. 


Andiam  ver.6o        la  pa     .   tn  .  a 


N?12. 
Six  tons 
plus  baut 


1  50 


Ab!  qual    cor  Ira  .  dia 
Fig.  21. 


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TBRDI  E  LA   CARIGATORA 


340 


Eccone  un  primo  del  1866,  in  cui   Vittorio  Emanuele  e  l'Italia 
si  appropriano  con  altissimo  significato  ed  intendimento  nobilissimo 


3raaȣS1^3v 


Fig.  21. 


le  parole  che  nel  duetto  del  Trovatore  il  Cammarano  mise  in  bocca 
a  Manrico  e  ad  Eleonora. 


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'^)0 


ARTB  CONTEMPORANEA 


Dopo  Falto  ideale  della  patria  ecco  raffigurato  il  volgare  interesse 
della  politica  quotidiana.  La  rappresentazione  grafica  però  ne  è  briosa, 
e  non  priva  di  sano  umorisnao. 


Fig.  22. 

Nella  prinaa  (fig.  24)  è  TOpposizione  che,  credendo  di  aver  disfatto 
ed  annientato  il  vecchio  di  Stradella,  s'accorge  che  chi  fu  vinta  e 
cadde  nel  sacco  si  fu  invece  la  figlia  sua,  la  famosa  pentarchiaL. 


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VERDI  ■   LA  CARICATURA 


351 


Il  disegno  è  di   Casimiro  Teja,  ed   apparve   nel  Pasquino  del 
27  dicembre  1885. 


Fig.  23. 


Nella  seconda  (fig.  25)  il  granitico  Magliani  si  trasforma  in  Vio- 
letta della  Traviata  e  presenta  le  sue  sembianze  piene  di  vita  e  di 


«Mffta  mmtieàU  iUMtma,  Vm. 


84 


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352 


ARTE  CONTEMPORANEA 


abbondanza   nel  primo   atto,   e  'scheletrite  e  deformi  neirultimo. 


Fig.  24. 


Fig.  ^. 

Anche  questa  caricatura  ha  la  firma  dì  Casimiro  Teja  e  porta  la  data 
del  24  gennaio  1886. 


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VERDI  E   lA   dXaiCATUBA 


353 


Ecco  la  leggenda  che  la  illustra: 

Libiam*(*)  nei  lieti  calici 

Che  abolizione  infiora 

Del  macinato  orrìbile 

Dannato  alla  malora 

E  del  Corso  forzoso 

Condannato  al  riposo 

Libiam Libiam Libiam 


Addio  del  passato 
Bei  sogni  rìdenti 
Le  rose  al  bilancio 
Già  sono  pallenti 
Milioni  si  vedono 
A  cento  sparìr, 
E  i  baoni  che  credono 
Già  tutti  svanir  1 


(*)  Non  si  comprende  come  i  corìsti,  che  nel  prìmo  atto  grìdavano  più  forte: 
libiam,  aboliam,  aboliam!  ora  scendano  in  orchestra  a  fischiare. 


Fig.  26. 


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354 


ARTE  CONTEMPORANEA 


Anche  la  politica  portoghese  ha  dovuto  passare  sotto  il  giogo  della 
caricatura  Verdiana,  e  ne  sìa  prova  il  disegno  che  presentiamo,  di 
cui  però  ci  sfugge  il  significato. 

Oli  eventi  della  vita  musicale  del  grande  Maestro  diedero  occa- 
sione a  parecchie  illustrazioni.  Negli  ultimi  anni,  quando  cioè  la 
gloria  al  maestro  era  già  decretata,  le  caricature  si  fecero  piti  note- 
voli e  più  abbondanti  ;  ne  diamo  in  saggio  qualcuno  delle  migliori. 


^  L 


Come  rtiKHJi  la  tiipnt«  al  rederv  rk«  li  < 


Pig.  27.  •  Fig.  28. 

La  fig.  27  è  tolta  dal  Giornale  Lo  Spirito  FoUetto,  P  aprile  1880, 
e  rappresenta  il  Verdi  accolto  trionfalmente  a  Parigi  in  occasione 
delle  rappresentazioni  di  Aida.  Una  voce  sola  scordata,  nel  con- 
certo delle  lodi,  quella  del  rospo  che  si  permise  qualche  appunto 
salace  all'opera  Verdiana.  Un  cartello  appeso  ad  un'asticella  porta 
la  scritta:  «  M.  Camillo  Sans-Sens  commun  ». 

Il  disegno  della  fig.  28  apparve  nel  Giornale  «  £'  Uomo  di  Pietra  » 
di  Milano  il  22  aprile  1893.  Neiroccasione  delle  Nozze  d'argento  dei 
Sovrani  d'Italia,  molti  principi  italiani  e  stranieri  si  trovarono  a 
Roma  nelFaprìle  del  1893.  Il  caricaturista  ha  voluto  significare  che 
Verdi  solo  pesava  neiropinione  pubblica  assai  di  più,  che  tutti  i 
principi  riuniti. 


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▼BRDI  ■   LA  CARICATURA 


355 


La  figura  segnata  col  n.  29  è  dovuta  alla  matita  del  celebre  Caran 
d'Ache  e  sì  riferisce  al  viaggio  di  Verdi  a  Parigi  nel  1894. 

Oiuseppe     ^eVerdi     à     Pari* 

00  >  Mffl/nMc  RenottfUu  d'un  Oetogintin 


.  n  - 


Fig.  29. 

La  leggenda  che  accompagna  ogni  disegno  ne  spiega  a  sufficienza 
il  significato  umoristico. 


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356 


ARTB  GONTSMPORANBA 


Neppur  dopo  morte  Verdi  è  stato  risparmiato  dalla  caricatura.  Il 
«  Floh  »  di  Vienna  lo  rappresenta  (fig.  30)  quale  suonatore  ambulante 
di  organetto  che  si  presenta  alle  porte  del  paradiso  per  esservì  ammesso. 
Wagner  in  persona  affacciandosi  ad  una  finestra  ammonisce  il  por- 
tinaio, un  San  Pietro  dalle  sembianze  rotondamente  tedesche,  di  met- 
tere alla  porta  quel  volgare  fabbricatore  di  musica  da  ballo!... 


^Aontli 


AO   PABADIS  DES  M05IC1EN8 
-  Conclerge,  Danquci-rooi  &  la  port«  c«  inoolwr  de  talMfc 
{Ftohf  Vicnoo-) 


Fig.  30. 


Una  serie  di  caricature  che  non  possiamo  ommettere,  perchè  forse 
la  più  artistica,  certamente  la  più  umoristica,  si  è  quella  pubbli- 
cata in  varie  riprese  sul  Otterin  Meschino  di  Milano,  all'epoca  del- 
l'OfeMo  e  del  Falstaff^  di  cui  ci  piace  riportar  qui  le  migliori. 

La  fig.  '31  rappresenta  il  maestro  e  gli  attori  coperti  da  una  cam- 
pana di  vetro,  che  stanno  provando  Y  Otello.  Nessuno  dovea  conoscere 
i  particolari  di  quest'opera  importante  prima  della  rappresentazione 
in  teatro,  e  la  leggenda  che  sta  sotto  la  caricatura  indica  quale  prov- 
vedimento il  Ricordi  aveva  creduto  di  prendere  affinchè  nulla  tra- 
pelasse del  gran  segreto. 


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YEBDI  ■  LA  CARICATURA 


357 


.  Il  n.  32  si  rìferìsce  pure  alle  prime  rappresentazioDi  dell'Otello, 
ed  è  illustrato  a  sufQcieDza  dalla  leggenda  che  riportiamo. 


Pig.  31.  —  Dal  ■  Guarino  „  30  genn.  1887. 

*  Perchè  di  proeuv  s*ha  de  senti  nagott 
Nemanch  a  la  lontana, 
El  Ricord  l'ha  pensaa  de  quatta  sott 
Maester  e  cantant  a  ona  campana. 


)- 


Dal  •  Guerino  „  8  febbraio  1887. 

Quand  el  Verdi  in  personna  el  sarà  stuff 

De  vegni  a  la  ribalta  a  ringrazia, 

E  i  Milanes  —  seguitaran  di  mes 

A  sbatt  i  man,  a  ciamall,  a  sbragià, 

Per  no  iassai  li  muff 

0  fai  deventà  matt, 

Bisognarà  che  du  corista  in  m^ja 

Per  lo  men  porten  foeura  quel  ritratt 

Che  del  nost  Vece  ha  pitturaa  el  Barbig'a. 


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358 


ARTE  OONTBMPORANKA 


Ed  ecco  nella  fig.  38  rappresentati  i  dae  autori  che  danno  rultimo 
tocco  al  quadro  finale. 


Fig.  33.  —  Dal  •  Guerino  „  20  febbraio  1887. 
Ultimo  tocco  di  Verdi  e  Boito  al  quadro  finale  in  cornice  deW  Otello. 

La  fig.  34  è  un  riuscitis- 
simo medaglione  -  ricordo 
portante  TefiSgie  dei  due 
autori  del  Falstaff.  Il  ca- 
ricaturista bene  augurando 
all'arte  italiana,  fa  voti 
che  all'ombra  del  cappel- 
lone stia  per  fiorir  presto 
anche  il....  Nerone. 

E  con  questo  augurio, 
che  sta  per  avere  la  lieta 
sua  attuazione,  vorremmo 
anche  noi  finire  questi  ap- 
punti, se  non  restasse  una 
caricatura  che  pur  non  ri- 
traendo le  sembianze  del  Verdi  ne  ritrae  un  atteggiamento  in  forma 
tanto  umoristica  che  sarebbe  peccato  privarne  i  nostri  lettori  cortesi. 


Fig.  84.  —  Dal  •  Guerino  „  12  febbraio  1898. 


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▼ERDI  ■  LA  CARICATURA 


359 


Fra  i  ritratti  del  Verdi 
eseguiti  quando  si  rappre- 
sentò il  Falstaff  nel  1893, 
?e  n'era  uno  che  qui  ri- 
produciamo (fig.  35),  in  cui 
accanto  al  Boito  ritrattato 
di  &ccia  in  piedi,  si  vede  il 
Verdi  colle  mani  sui  fian- 
chi in  attitudine  di  riposo. 

L'arguto  caricaturista 
del  Cruerin  Meschino  ne 
ritrae  questo  disegno  (fi- 
gura 36). 

Qualunque  nostro  com- 
mento guasterebbe  l'im- 
pressione di  sano  umo- 
rismo che  desta  questa 
caricatura  e  la  leggenda 
che  la  spiega. 

11    materiale    raccolto  „.    ^^ 

Fig.  35. 
per  la  storia  della  Cari- 
catura Verdiana  è  ancora  abbondantissimo.  Si  potrà  più  tardi  illu- 

n  inoro  atteggiamento  deUa  gioTane  senola  musicale  itaUana. 


Coi  B«a  wml  rem,  io  cfaeM  •  OAppelIoiif  Ma  onn  ••mm  m(ng«,  io  quanto  •  temastA, 

Do  Verdi  I  hamm  Caa  •olla  folofrtfla;  Chi  sarà  tra  d«  ior  Verdi  de  bon. 

Fig.  36. 

strare  efiBcacemente  la  vita  del  maestro  con  questo  nuovo  ed  inte- 
ressante elemento  d'arte?  Lo  speriamo. 

Giuseppe  Bocca. 


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ANEDDOTI  VERDIANI 

(Bicordi  pbbsónau). 


M. 


Lodesto  oltremodo  come  artista,  come  italiano  l'orgoglio  del 
Verdi  non  conosce  misura. 

Bicordo  che  un  giorno,  ai  Bagni  di  Montecatini,  in  una  delle  con- 
suete passeggiate  estive  nel  pomeriggio,  mentre  si  parlava  di  musica 
e  delle  diverse  scuole  e  maniere  contemporanee,  il  Maestro  si  arrestò 
ad  un  tratto.  E,  ritto  sulla  ancor  forte  persona,  con  quella  sua  bella 
testa  fieramente  atteggiata;  sulla  quale  il  sole  vivido  d' agosto  dar- 
deggiava un  raggio  infuocato,  mi  piantò  in  faccia  quei  suoi  occhi 
luminosi  e  mi  apostrofò  rudemente  dicendomi:  <  Vi  pare  chela  mia 
fisonomia  sìa  quella  di  un  tedesco?...  Vi  pare  che  sotto  a  questo  sole 
e  questo  cielo  io  avrei  potuto  scrivere  il  Tristano  o  la  Trilogia?... 
Siamo  italiani,  per  Dio!  in  tutto,  ani^he  nella  musica!  ».  Confesso 
che  rimasi  muto,  estasiato,  come  dinanzi  alla  visione  d'un  Verdi 
immortale  ! 

Una  parentesi:  descrivendo  il  Verdi  ho  qualificato  i  suoi  occhi 
coiraggettìvo  di  «  luminosi  ».  Avverto  che  non  l'ho  detto  a  caso  — 
gli  occhi  del  Maestro  erano,  in  certi  momenti,  veramente  tali.  — 
Chi  mi  fece  notare,  pel  primo,  lo  strano  fenoment)  fu  l'amico  e  scul- 
tore insigne  Giulio  Monteverde.  —  Andando  con  lui  una  mattina 
alle  Sorgenti  del  Tettuccio,  egU  mi  disse:  Hai  mai  guardato  il  Verdi 
da  lontano?  —  Non  so...  non  lo  ricordo  '—  risposi.  —  Ebbene  adesso 
ne  faremo  insieme  l'esperienza.  —  E  invitandomi  a  camminare  con 
lui  mi  fece  fermare  ad  un  certo  punto  abbastanza  lontano  —  un 
cinquanta  metri  circa  —  da  dove  si  poteva,  senza  essere  notati,  os- 
servare tranquillamente  il  Verdi.  —  Questi  era  seduto  sopra  una 
panca  di  legno  in  faccia  al  luogo  ove  noi  ci  trovavamo.  —  Lo  vedi  ? 


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ANKDOOn  VBRDUNI  361 

—  mi  disse  Monteverde.  —  Lo  vedo  sì,  ma  non  ne  distìnguo  i  tratti. 

—  Benissimo:  aspetta  ch'egli  alzi  gli  occhi  e  vedrai.  —  Aspet- 
tammo pazientemente  qualche  minato.  —  Finalmente  il  caso  ci  servì. 

—  Verdi,  per  non  so  quale  motivo,  sollevò  improvvisamente  le  pu- 
pille, e  fu  allora  che  mi  apparve  il  fenomeno:  mentre  i  tratti  della 
fisonomia  del  Maestro  rimanevano  confusi  e  indistinti,  io  vidi  esat- 
tamente i  suoi  occhi  come  se  mi  fossi  trovato  a'  due  passi*  da  lui. 

—  È  un  fenomeno  di  luce,  mi  disse  il  Monteverde,  di  cui  non  ho 
mai  notato  l'uguale.  Negli  occhi  del  Maestro  brilla  una  fosforescenza 
che  illumina  i  suoi  occhi  e  ce  li  fa  distìnguere  quando  il  volto, 
per  la  sua  distanza,  non  può  esserlo  ancora. 

Poiché  sono  a  Montecatini  ci  resto  ancora  un  momento  per  nar- 
rare ttn  episodio  che  vale,  nella  sua  semplicità,  a  descrivere  la  bontà 
ideiranimo  di  Lui  e,  in  pari  tempo,  la  sua  sensibilità  nervosa.  — 
L'uomo  e  l'artista  ci  hanno  entrambi  la  loro  parte. 

Alceste  Corsini,  l'arguto  e  geniale  Stenterello,  .morto  or  sono  cinque 
anni,  soleva  venire  a  dare  un  corso  di  recite  al  piccolo  teatro  dei 
Bagni  di  Montecatini  durante  il  mese  di  luglio,  nolla  quale  epoca 
era  certo  di  trovare  fra  i  villeggianti  del  Tettuccio  l'illustre  Maestro. 
Il  quale  era  felice  di  andare  di  tanto  in  tanto  a  passare  una  serata, 
insieme  alla  sua  signora,  dallo  Stenterello  Corsini  e  di  battere  anche 
le  mani  alle  arguzie  del  faceto  artista  toscano.  Il  povero  Stenterello 
ne  era  pazzo  di  gioia  e  non  mancava  mai  di  recarsi  ogni  mattina 
al  Tettuccio  per  consegnare  personalmente  al  Verdi  il  programma 
dello  spettacolo  serale.  A  questo  proposito  rammento  un  aneddoto  cu- 
riosissimo. —  Nel  luglio  del  1892  il  Corsini  aveva  annunziato  da 
tutti  i  muri  e  da  tutti  gli  alberi  di  Montecatini  la  sua  serata  di 
beneficio.  —  Per  la  circostanza  egli  aveva  preparato  un  album  in 
bianco,  coU'intenzione  di  arricchirlo  delle  firme  più  notevoli  della 
colonia  bagnante  e  avere  così  un  grato  e  serio  ricordo  della  serata. 
Sapendomi  nelle  buone  grazie  del  Maestro,  con  il  quale  vedovami 
insieme  sovente,  il  Corsini  venne  da  me  e  mi  pregò  di  essergli  in- 
tercessore presso  il  Verdi  onde  ottenerne  la  preziosa  firma.  Alle  sue 
insistenti  preghiere  io  risposi  con  un  buon  consiglio:  incoraggiandolo 
cioè  a  tentare  egli  stesso  la  prova  senza  intermediari  di  sorta.  Al  buon 
Alceste,  tanto  ardito  sulla  scena,  mancava  però  il  coraggio  necessario, 
tanto  che  volle  —  ed  ottenne  —  che  io  favorissi  almeno  con  la  mia 


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362  ARTE  CONTEMPORANEA 

presenza  il  momento  della  sna  dimanda.  —  E  così  fa  stabilito  che 
egli,  il  Corsini,  ci  avrebbe  aspettati,  il  Verdi  e  me,  al  ritorno  dalla 
passeggiata  pomeridiana,  sulla  piazzetta  che  dà  accesso  alla  parte 
interna  della  Locanda  Maggiore,  ov'era  situato  il  quartiere  del  Maestro. 
L'appuntamento  riuscì  fortunatissimo.  Io  vedo  ancora  il  Corsini  col 
suo  bravo  album  in  mano,  avanzarsi  trepidante  innanzi  al  Verdi    e 
balbettare  le  prime  parole,  allorquando  da  una  porticina  terrena  at- 
tìgua alle  cucine  deiralbergo  un  maledetto  guattero  esce  fuori  mu- 
nito di  un  enorme  tam-tam,  e  all'improvviso,  senza  che  nessuno    di 
noi  si  fosse  accorto  della  sua  presenza,  ci  scarica  sulle  orecchie    la 
più  formidabile  tempesta  istrumentale  che  si  possa  mai  immaginare  !... 
A  quei  colpi  di  tuono  il  Verdi  è  preso  da  un  soprassalto  nervoso  fu- 
riosissimo, e  in  men  che  non  si  dica,  superando  d'un  salto,  con  una 
vivacità  giovanile  incredibile,  i  quattro  o  cinque  gradini  della  sca- 
letta esterna,  sparisce  dai  nostri  occhi,  lasciando  in  asso  me  e  il  po- 
vero Corsini,  il  quale,  esterrefatto  da  quella  fuga,  non  si  cura  nem- 
meno di  raccogliere  Valbum  gettato  rabbiosamente  in  terra  dal  Maestro. 
Dopo  un  momento  il  Corsini  ritrova  però  la  sua  bizza  e  la  sua  voce 
toscana,  con  la  quale  comincia  ad  apostrofare  eloquentemente  il  mal- 
augurato guattero  autore  di  tanta  iattura  !  Fu  fortuna  che  vi  fossi 
anch'io,  diversamente  il  guattero  avrebj)e  passato  un  brutto  quarto 
d'ora.  —  Stenterello  era  divenuto  un  leone!  Faceva  paura  a  vederlo! 

—  Il  Verdi  riparò  la  sera  stessa  alla  involontaria  sgarberia  recan- 
dosi in  teatro,  facendo  chiamare  nel  suo  palchetto  il  Corsini  e  met- 
tendo tanto  di  firma  in  testa  sìiYalbum  del  beneficato.  —  Povero  Ai- 
ceste!  Come  fosti  felice  quella  sera  e  con  quanta  anima  e  spirito 
recitasti  il  tuo  «  Fante  di  fiori  ». 

Questo  tratto  gentile  del  Verdi  non  è  un  caso  solitario,  ma  non 
è  nemmeno  un  caso  frequente.  Spirito  superiore,  il  Verdi  è  anche 
un  filosofo.  —  Come  tale  egli  discende  assai  difficilmente  al  livello 
comune  o  almeno  non  vi  resta  che  pochissimo  e  sempre  a  disagio. 

—  Egli  sa  che  questa  sua  discesa  non  può  procurargli  che  due  cose  : 
la  seccatura  o  l'adulazione  —  ambedue  aborrite  da  lui. 

Un  giorno  una  distinta  signora  fiorentina  mi  pregò  che  la  pre- 
sentassi al  Maestro.  —  Prima  di  farlo  io  la  prevenni  che  si  fosse 
guardata  bene  dall'esprimere  in  nessun  modo  la  sua  ammirazione  per 
l'Artista  e  la  sua  compiacenza  nel  conoscerlo.  —  Mi  promise  che  sa- 


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ANIODOTI  TBRDIANI  363 

rebbesi  uniformata  al  mio  consiglio,  senonchè  Temozione  la  vinse  e, 
non  appena  il  Maestro  le  ^be  pòrta  la  mano,  la  signora  si  die  a 
baciarla  con  trasporto,  accompagnando  i  baci  con  esclamazioni  di  su- 
prema ammirazione.  —  Il  Verdi  ne  rimase  cosi  irritato  che  si  sciolse 
con  mal  garbo  da  quella  effusione  di  tenerezza  devota  e  le  volse  le 
spalle  senza  pronunziare  una  sola  parola.  —  Io  poi  ebbi  da  lui  poco 
dopo  il  resto...  del  carlino. 

Ben  diversa  fase  ebbe  invece  la  presentazione  di  Gemma  Bellin- 
cioni.  —  La  insigne  artista  tenne  tanto  caro  il  mio  avvertimento  che 
io  non  aveva  ancora  terminato  la  formola  sacramentale  della  presen- 
tazione, che  la  celebre  Violetta,  con  un  trasporto  istantaneo  e  pieno 
di  grazia,  ricinse  delle  sue  braccia  la  testa  del  Grande  Maestro  e 
scoccò  sulle  di  lui  guancie  due  sonorissimi  baci...  E  tutto  ciò  senza 

profferire  una  sola  parola Il  Verdi  ne  ricevette  una  impressione 

tutt'altro  che  spiacevole  ;  anzi  ne  provò  un'intima  compiacenza,  e  ri- 
volgendosi a  me,  dopo  che  la  Bellincioni  si  era  già  accomiatata,  mi 
disse:  «  Ecco,  vedete,  una  donnina  che  mi  piace...  mi  piace  assai... 
Peccato  !...  Peccato  !  »  Tutto  il  rammarico  dell'illustre  settuagenario 
era  racchiuso  in  quella  triste  parola  ! 

L'irritazione  nervosa  del  Verdi  si  dissipava  facilmente  senza  lasciar 
traccie;  non  così  però  il  suo  risentimento. 

Un  doloroso  esempio,  che  ebbe  una  enorme  importanza  sullo  svol- 
gimento dell'arte  nostra,  fu  l'improvvisa  inimicizia  sorta  fra  il  Verdi 
e  il  Mariani  —  alla  quale  il  Wagner  e  le  sue  opere  debbono  il  loro 
ingresso  trionfale  in  Italia.  Qualunque  possano  essere  state  le  cause  di 
questa  inimicizia  e  da  qual  parte  sia  avvenuta  la  prima  offesa  ad  un 
legame  quasi  fraterno  fra  i  due  grandi  artisti,  certo  è  che  il  Verdi 
serbò  risentimento  costante  e  profondo,  non  attenuato  nemmeno  dalla 
morte  prematura  del  Mariani.  —  Ormai  è  noto  come  il  Mariani  fu, 
nel  Dan  Carlos^  il  collaboratore  del  Verdi  ;  lo  fu  anzi  tanto  che,  dopo 
la  sua  morte,  il  Don  Carlos  sparì  quasi  del  tutto  dalle  grandi  scene 
ove  il  Mariani  Io  aveva  vittoriosamente  condotto,  o  se  qualche  volta, 
e  a  rari  intervalli,  tentò  farvi  ritorno  senza  la  bacchetta  del  Diret- 
tore Prìncipe,  l'esito  fu  sempre  mediocre,  quando  non  assolutamente 
cattivo.  Ebbene,  se  il  Verdi  avesse  avuto  coscienza  certa  —  come 
l'aveva  —  che  il  sofBo  animatore  del  Mariani  sarebbe  bastato  a  far 
risorgere  e  rivivere  il  Don  Carlos^  ebbene  egli  non  avrebbe  fatto  ta- 


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364  ARTE  CONTBMPORANBA 

cere  il  suo  risentimento.  —  L'uomo  era  così  fatto.  —  E  pertanto  il  Don 
Carlos^  che  il  Mariani  aveva  fatto  passare  bello  e  vittorioso  dinanzi 
ai  pubblici  di  Genova,  Bologna,  Parma,  Sinigaglia,  ecc.,  entrò  in  un 
perìodo  di  lenta  decadenza  da  cui  non  è  più  uscito.  —  Il  dissidio 
col  Verdi  impedì  al  Mariani  di  dirigere  YAida^  alla  cui  musica 
la  magica  bacchetta  del  Mariani  riservava  forse  una  di  quelle  sor- 
prese di  cui  egli  solo  possedeva  il  meraviglioso  segreto.  Vero  è  che 
quella  volta  fu  il  Mariani  che  non  consentì.  —  Le  amichevoli  sol- 
lecitudini, mercè  le  quali  si  tentò  di  vincere  la  resistenza  del  celebre 
direttore,  furono  tutte  inutili.  —  Ormai  la  siepe  era  troppo  alta  e 
spinosa  perchè  da  una  parte  o  dall'altra  si  potesse  tentarne  la  salita. 
—  Oggi,  tanto  il  Verdi  che  il  Mariani  sono  morti  e  non  è  il  caso 
di  rovistare  sottilmente  fra  le  ceneri  di  due  fuochi  del  tutto  spentì. 
Se  il  Verdi,  come  uomo,  non  era  immune  di  debolezze,  come  ar- 
tista invece  era  di  una  grandiosità  superiore. 

* 

La  grandezza  e  la  supremazia  artistica  dell'Italia:  ecco  il  sogno, 
l'idealità,  l'aspirazione  nobilissima  del  Verdi.  —  Compreso  tutto  in 
questa  grande  missione  di  patriottismo  e  di  arte,  egli  non  si  appaga, 
come  il  Bossini,  del  conquistato  fasto  glorioso  che,  dopo  VAida^  Egli, 
forse,  dispera  di  potere  accrescere.  Neil'  apparente  casalingo  riposo 
della  sua  Villa  di  Sant'Agata,  Egli  guarda,  vigila,  esamina  1'  oriz- 
zonte; e  allorquando  gli  sembra  che  la  luce  d'oltr'alpe  varchi  i  no- 
stri monti  e  minacci  inondare  la  terra  d'Italia,  il  Vecchio  Glorioso 
ravviva  la  fiamma  del  suo  intelletto  e  un  nuovo  incendio  verdiano 
divampa  sulla  scena. 

L' eremitaggio  di  Sant'  Agata,  come  il  Verdi  suoleva  chiamario, 
potrebbe  paragonarsi  al  non  meno  solitario  asilo  di  Caprera,  dove  un 
altro  Grande,  cotanto  simile  al  Verdi  per  austerità  di  carattere,  per 
fede  politica  e  anche  per  sembianze,  aveva  un  tempo  modestamente 
rinchiusa  la  sua  persona  gloriosa.  —  Da  quel  lembo  isolato  di  terra, 
ogni  qualvolta  però  la  libertà  dei  popoli  oppressi  mandava  un  grido 
di  soccorso,  salpava,  rapido  come  la  folgore,  Giuseppe  Garibaldi,  e  il 
Genio  vittorioso  delle  battaglie  aleggiava  sempre  vicino  a  lui.  Vinta 
la  battaglia,  conquistata  alla  patria  un'altra  verde  fronda  di  lauro, 


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ANEDDOTI  TERDIANI  305 

Oiuseppe  (Garibaldi  e  Giuseppe  Verdi  rientravano  modestamente  nel 
proprio  asilo,  sdegnosi  entrambi  d'un  plauso  che  la  sublime  sempli- 
cità della  loro  anima  non  riusciva  a  comprendere. 

Bicordo  ancora,  come  un  avvenimento  di  ieri,  la  prir^a  rappresen- 
tazione àélYOteUo  alla  Scala.  La  vastissima  sala  rigurgitava  del  pub- 
blico più  disparato  ed  eletto  che  siasi  mai  dato  convegno  ad  una 
prima  rappresentazione.  Erano  sedici  lunghi  anni  che  il  genio  del 
Verdi  rimaneva  muto  e  inoperoso.  Durante  questo  periodo,  sulle  scene 
italiane  e  straniere  era  passata  una  generazione  di  musicisti  vecchi 
e  nuovi,  recanti  ciascuno  una  nuova  verdeggiante  palma  sulla  crepi- 
tante ara  dell'arte.  Gli  stranieri,  specialmente,  avevano  bruciato  la 
mèsse  migliore,  convinti  che  il  fumo  delle  ormai  passate  glorie  ver- 
diane non  avrebbe  piti  ingombrato  la  giovane  atmosfera  melodram- 
matica. 

L' annunzio  dell'  OteUo^  del  nuovo  e  inaspettato  tributo  artistico 
del  Verdi  aveva  quindi  riempito  di  profondo  stupore  il  mondo  mu- 
sicale. —  Che  cosa  avrebbe  potuto  mai  essere  la  nuova  musica  con- 
cepita dal  settuagenario  Verdi  ?  Sarebbe  stata  forse  un  ritomo  a  quel 
famoso  antico  da  Lui  tanto  predicato,  ovvero  la  fantasia  del  Maestro 
avrebbe  saputo  sciogliere  un  nuovo,  ardimentoso  volo  attraverso  le 
imbalsamate  foreste  ielVAida?  La  voce  interrogativa  di  quel  pro- 
blema serpeggiava  difiBdente,  avvalorata  dalla  tarda  età  del  Maestro. 
—  Trepidanti  e  indifferenti,  tutti  avevano  voluto  ugualmente  tro- 
varsi quella  sera  alla  Scala  per  udire  e  giudicare  la  musica  del- 
l'OfeWo. 

Non  era  trascorso  però  il  primo  atto,  direi  anzi  meglio,  la  prima 
metà  di  esso,  che  ogni  dubbio,  ogni  diffidenza  era  svanita.  La  voce 
di  Otello  era  pur  sempre  quella  vittoriosa  del  Genio  ridesto  ;  ed  era 
voce  nuova,  audace,  inattesa,  che  distruggeva  ogni  legge  e  conven- 
zione dell'antica  tecnica  e  sorpassava  ogni  altro  confine.  —  Eppure, 
fenomeno  mirabile,  entro  quella  improvvisa  distesa  d'orizzonti  nuovi 
e  luminosi  continuava  a  rispecchiarsi  limpida  e  serena  la  fisonomia 
italiana  del  Verdi.  —  Lo  stesso  sorprendente  fenomeno  si  rinnuova 
nel  Fàkiaffy  suo  ultimo  capolavoro,  vivido  per  freschezza  ed  origi- 
nalità suprema  d'immagini,  di  disegno  e  dì  colore.  —  D  sorriso,  man- 
catogli nei  primi  anni  della  sua  carriera,  il  Vecchio  Glorioso  lo  trova 
vicino  a'  suoi  ottant'anni,  e  lo  trova  limpido,  spontaneo,  disinvolto. 


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366  ARTB  CONTEMPORANEA 

genialmente  incantatore.  —  Noi  italiani  che  possediamo  la  grande 
opera  buffa  rossiniana,  abbiamo  veduto  nel  Falstaff  un  nuovo  ed 
inaspettato  miraggio  di  cui  non  avevamo  sentore  :  i  francesi  che  ave- 
vano la  commedia  musicale  di  Auber  e  Boildieu  e  i  tedeschi  che 
pur  vantavano  quella  di  Mozart,  rimasero  stupefatti  dinanzi  a  co- 
desta inaspettata  manifestazione  di  arte. 

Precedendo  di  parecchi  passi  il  movimento  evolutivo  del  melo- 
dramma comico  contemporaneo.  Verdi  ha  voluto  che  la  sua  ultima 
parola  trovasse  una  eco  crescente  di  plauso  nella  generazione  pros- 
sima: la  straordinaria  modernità  del  Falstaff,  forse  eccessiva  per 
noi,  costituisce  la  maggior  gloria  del  suo  autore.  —  Mentre  il  Verdi 
scriveva  la  musica  del  Falstaff^  faceva  la  sua  apparizione  trionfale 
la  Cavalleria  Rusticana  del  Mascagni. 

Durante  i  primi  deliri  del  pubblico  romano  per  Cavalleria  ebbi 
occasione  di  visitare  a  Genova  Tillustre  Maestro.  —  Ebbene,  la  prima 
dimanda  che  mi  fece,  vedendomi,  fu  questa:  «  Dunque  è  stato  ve- 
ramente un  grande  successo  questo  della  Cavalleria  al  Gostanzi? 
Ditemene  qualche  cosa  ».  —  Era  la  prima  volta,  in  molti  anni,  che 
il  Verdi  dimostrava  interesse  e  curiosità  per  un  qualche  fatto  mu- 
sicale. 

Dopo  un  anno  circa  incontratomi  col  Verdi,  questi  a  un  certo  punto, 
aprendo  una  parentesi  alla  nostra  conversazione,  ebbe  a  dirmi:  «A 
proposito:  ho  sentito  Cavalleria.,.  —  Ebbene?  esclamai  subito.  — 
Ah!  un  bel  momento  di  sincerità,  davvero!  ».  —  E  non  aggiunse 
altro. 

Qualche  anno  appresso,  quando  il  Mascagni  aveva  già  scritto  il 
Fritz^  i  BantzaUy  il  Silvano^  e  il  RatcUffe,  il  Verdi,  parlando  del- 
Tautore  di  Cavalleria^  si  espresse  cosi:  «  Peccato!  peccato!  È  un 
giovane  che  sente  la  musica  meglio  di  quanto  la  sappia;  ma  ormai, 
lo  credo  fuori  di  strada  ». 

Sul  conto  del  Puccini  il  Verdi  non  era  da  principio  troppo  te- 
nero ;  tutt'altro  !  In  seguito  però  modificò  assai  la  severità  del  giudizio  ; 
tuttavia  con  molte  riserve. 

Una  certa  fede  egli  l'ebbe  per  il  Pranchetti.  «  Quello  —  diceva 

—  è  un  giovane  che  la  musica  la  sa  sul  serio,  ma non  avrebbe 

dovuto  studiare  in  Germania!  ». 

Il  Maestro  per  il  quale  il  Verdi  ebbe,  subito  dopo  il  Guarany^  una 


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AMBODOn  TSHDUia  367 

profezia  splendida  —  che  poi  non  si  avverò  —  fa  il  Gomes.  —  E  lo 
si  spiega.  —  Nella  musica  del  Ouatany  il  Verdi  ritrovava  molto 
di  sé  medesimo,  e  la  f(^  e  l'impeto  dell'artista  brasiliano  gli  ram- 
mentavano le  concitazioni  geniali  della  sua  giovinezza.  —  E  il  Gomes 
sapeva  e  conosceva  bene  questa  simpatia  e  questa  fede  del  Grande 
Maestro  per  lui,  e  negli  ultimi  anni  quando,  dopo  il  dmdùr^  egli 
sentì  vanire  l'ultimo  soffio  delle  sue  balde  speranze,  ne  provò  ama- 
rezza infinita  —  «  Vedi  —  mi  disse  un  giorno  in  un  momento  di 
abbandono  —  la  cosa  che  più  mi  addolora  è  di  avere  tradito  la  bella 
profezia  del  Verdi...  e  di  non  aver  potuto  essere  il  suo  successore! 
Che  genio  —  continuava  —  quello  del  Verdi!  Dopo  V Otello  io  non 
arrivo  più  a  misurarlo...  Mi   fo  spavento! 

La  morte  di  Giuseppe  Verdi  ha  fatto  in  questi  giorni  battere  il 
cuore  dell'Italia  in  unico  palpito.  La  melodìa  verdiana  ha  risuonato 
da  un  capo  all'altro  della  penisola  sollevando  entusiasmi  a  cui  non 
era  più  avvezza.  Giovarne  vecchi  ne  hanno  provato  il  fascino  incan- 
tatore con  pari  esultanza  ;  una  corrente  benefica  attraversa  in  questo 
momento  l'Italia,  rinfrescandone  l'aria  intellettuale.  Auguriamoci  che 
questo  soffio  di  patriottismo  musicale  non  passi  prima  d'essere  stato 
fecondo. 

G.  MOKALDI. 


lUntia  muMicaU  iltakkma^  ?m. 


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*:#. 


I  HijiriiM 


Prospeiio  9eno  ìa  pioMMa  Mkhdamgélo  Bwonarroti, 


LA  CASA  DI  RIPOSO  PEI  MUSICISTI  (D 


J\  scopo  di  raccogliere  e  mantenere  nell'apposito  edificio  costrutto 
in  Milano,  piazza  Michelangelo  Buonarroti,  persone  dell'uno  e  dell'altro 
sesso,  addette  all'arte  musicale,  le  quali  abbiano  oltrepassato  l'età  di 
anni  65,  siano  cittadini  italiani,  e  si  trovino  in  istato  di  povertà  », 
fu  costruito  da  Giuseppe  Verdi  il  ricovero  intitolato:  «  La  casa  di 
riposo  pei  musicisti  ». 

Nell'intenzione  prima  del  maestro»  tradotta  anche  in  un  progetto 
particolareggiato,  la  Casa  di  riposo  aveva  proporzioni  modeste:  i 
ricoverandi  non  dovevano  oltrepassare  il  numero  di  sessanta,  fra  uo- 
mini e  donne. 


(1)  Parecchie  delle  notizie  che  qui  riportiamo  sono  tolte  dal  giornale:  L^edi- 
ligia  moderna. 


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LA  GA8A  DI  RIPOSO  FKI  MUSICISTI 


309 


Ma  volendo  poi  il  maestro  estetdere  i  bcmeficii  della  pia  istita^ 
rione  e  giudicando  che  il  prìmitiyo  progetto  non  corrispondesse  esat» 


Pianto 
id  pianù  terreno. 


Pianta 
primo  piano. 


Primo  Progetto. 

i,  Fsrtico  «irrrauUto.  —  B,  Atrio.  —  (7,  C\  Scale  per  aeeeMO  al  aalono  del  prino  plano 
•1  alloffio  del  Diretten  al  eeeoado.  —  D,  D\  Atrii  earroixabili  per  i  riparti  delle  donae 
e  degli  aoBlBi.  —  S,  JT,  Cedila,  diepenee,  eco.  —  F,  F\  Scale  priscipali  dei  dee  riparti, 
illeaiBate  dall*aIto.  "  9,  0\  Camere  a  dee  letti  per  aomini  e  per  doxme.  ~-  H,  JT,  Oa- 
■ere  a  qb  letto  per  eoodiii  e  per  dosile.  —  7,  Salone  per  concerti.  —  £,  L\  Sefettorii  per 
■omM  e  per  denoe.  ~  Jf,  Loggia  ralla  flMdata.  —  if,  N\  Stante  di  ritrovo.  —  0,  Cor- 
tOe  raitfeo.  —  P,  Utanderia. 


tamente  al  fine  vagheggiato,  acquistò  nuovi  terreni  atti  alla  fabbri- 
eaàone  e  fece  eseguire  un  nuovo  disegno  per  il  quale  le  basi  deiredi- 
fieio  erano  d'assai  ampliate,  ed  il  ricovero  diveniva  così  atto  a  rac- 
cogliere un  centinaio  di  persone:  sessanta  uomini  e  quaranta  donne. 
Camillo  Boìto,  l'insigne  architetto,  fu  scelto  dal  maestro  per  la 
effettuazione  del  sao  progetto:  il  Verdi  gliene  parlò  per  la  prima 
Tolta  nel  1888,  un  anno  dopo  l'apparizione  àAV Otello.  Nel  1895 


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370 


ARTE  CX>HT»fPOaANIA 


cominciarono  i  lavori,  che  in  pochi  anni  furono  condotti  felicemente 
a  termine. 

Piama  da  pkmo  terreno. 


Progetto  eseguito. 

i,  iDgnMO.  — *  B,  PortiiMiia.  —  0,  AblUsion*  d«l  Diretiore.  ~  D,  Anminiftruione.  — 
B^  SUuia  di  goardia  p«l  portioalo.  —  F,  F*,  y«tiiboli  per  i  riparti  degli  nomini  e  delle 
donne.  —  0,  0\  PnrUtorii.  —  J7,  IT,  Scale  principali  per  i  dne  riparti.  —  I,  1\  Camere 
da  dne  letti  per  nomini  e  per  donne.  —  L,  L\  Camere  da  nn  letto.  —  Jf,  Riparto  dellMn* 
fiurmeria.  —  Jf,  Loggia  terrena.  —  0,  Calino  per  i  caloriferi  e  la  lavanderia.  —  /*«  Cortile 
centrale.  —  Q^  Giardino  per  le  donne.  —  il«  Giardinetto  pel  Direttore.  —  8^  Giardino  per 
gli  nomini.  —  7,  Cortile  mstico.  —  U^  LaTanderia  e  aadngatoio.  —  F,  Rampa  che  aeende 
al  Botterraneo  per  cneina,  cantine,  ecc.  -~  X,  Rampa  ohe  scende  al  iotterraneo  per  depoaito 
di  biancheria,  ecc.  —  f,  Rialto  sopra  le  caldaie  del  calorifero  e  della  laTanderia.  —  Z,  Scale 
secondarie. 


Al  progetto  che  venne  eseguito,  si  assegnò  un'area  che  raggiunge 
i  mq.  4200,  di  cui  1900  sono  coperti  di  fabbricati,  3000  destinati 
a  cortili,  i  due  maggiori  dei  quali  verranno  trasformati  in  ameni 
giardini,  —  Tuno  per  gli  uomini  e  l'altro  per  le  donne,  —  e  corri- 
spondono alle  due  ali  del  fabbricato  che  si  dipartono  dal  corpo 
principale. 


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LA  GASA  DI  RIPOSO  PEI  MUSICISTI 


371 


L'ingresso  si  apre  al  centro  della  fEUsciata  principale  rivolta  verso 
il  piazzale  Michelangelo.  Dairingresso  si  passa  in  un  androne,  di  fianco 

Pùniia  del  primo  piano. 


Progetto  eseguito. 

À,  À\  Setto  principali  per  I  riparti  degli  nomini  e  delle  donne.  —  B,  Salone  per  oonoerti. 

—  Of  Locale  nnito  al  aalone  per  eoncorti.  —  D,  D\  Kefbttorii  per  gli  nomini  e  per  le  donne. 

—  S,  1*,  Locali  di  aerrliio  per  i  refeitoril,  col  monta-piatti.  —  F,  F*^  Altre  atanie  di  aer* 
risio.  —  0,  0\  Camere  da  due  letti  per  nomini  e  per  donne.  —  H,  IT,  Camere  da  nn  l^tto. 
/•  Oratorio.  —  L,  Sacreetla.  —  M,  Infermeria.  —  ilT,  Scale  secondarie.  —  0,  Camere  per 
le  penone  di  eerrizio  (nomini).  —  P,  Ballatoio  di  comnnieaiione  con  Talloggio  per  le  donne 
di  aerTixIo,  poeto  aopra  Talloggio  degli  nomini. 

JB.  —  Nel  aecondo  piano  tono  ripetnti  i  locali  che  atanno  iopra  quelli  indicati  con  to 
lettM*  e,  Q\  JET,  R\  l9à  M.l  loeaU  B,  C,  D,  D*  •à  I  abbracciano  i  dne  piani.  Sopra  i 
kcali  B^  1*,  F,  F*  stanno  dne  temale. 


al  quale  si  hanno:  la  portieria,  le  sale  per  l' Amministrazione  e  l'al- 
loggio pel  Direttore;  alle  due  estremità,  in  riscontro  tra  loro,  due 
brevi  e  ampie  gradinate  conducenti  dall'androne  al  piano  terreno, 
che  è  rialzato. 
Con  queste  due  scale  distinte  ed  opposte  s'inizia  la  separazione 


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872  AJLTE  CONTCMPORANBA 

dei  due  oompartiiiìaiiti,  destioati  l'uno  agli  uomini  Faltro  ali 
(poiehò  qnelli  •  queste  mono  sempre  divisi:  hanno  tavola 
separate  le  sale  di  ritrovo  e  di  conversazione),  i  quali  sei 
completati  a  piano  terreno  da  due  parlatori  distinti. 

In  ciascuno  di  questi  comparti  si  hanno  uno  scalone  ed  i 
di  servizio  che  mettono  ai  piani  superiori. 

AI  primo  piano  la  parte  centrale  comprende  le  sale  di 
assai  alte  e  ricoperte  con  tetto  a  terrazzo;  nella  restante 
sono  ordinate,  in  due  piani  sovrapposti,  le  celle,  le  quali  I 
tozze  molto  minori,  in  relazione  con  la  larghezza,  pur  limiti 
camera  ha  due  letti;  ma  chi  vorrà  dormire  solo,  non  avrà 
dirlo  al  direttore.  La  camera  si  può  dividere  in  due  assai 
mente.  Una  semplice  parete  aggiunta  compie  la  trasform 
ciascuna  delle  due  camere  che  ne  risulteranno  avrà  come  le 
porta  d'entrata  ed  una  spaziosa  finestra.  Il  compartimento  de 
poi  ò  completato  dalla  infermeria  e  dai  servizi  relativi. 

Le  sale  di  riunione,  di  cui  si  è  fatto  cenno,  assai  spazici 
alte,  bene  illuminate  ed  arieggiate,  comprendono:  il  gran  » 
concerti,  che  occupa  il  mezzo  del  corpo  di  fabbrica  princii 
mandone  la  parte  più  notevole,  e  le  due  sale  da  pranzo  che  } 
di  fianco  e  che  in  certe  occasioni  servono  a  quello  di  e 
mento. 

Il  salone  pei  concerti  è  uno  dei  più  belli  del  genere.  Tuti 
^  I  tomo  sulle  pareti  Giuseppe  Verdi  fece  dipingere  i  ritratti 

I  <  sommi  musicisti  italiani.  Si  comincia  dal  Palestrìna,  il  più 

si  finisce  con  Gioachino  Rossini,  il  più  recente.  Gli  altri  s< 
rolamo  Frescobaldi,  Alessandro  Scarlatti,  Claudio  Montevei 
vanni  Battista  Pergolesi,  Benedetto  Marcello  e  Domenico  G 

Questo  salone  accoglierà  senza  più  distinzioni  uomini  e  di 
si  potranno  allietare  della  musica  dei  migliori  maestri  di  ogi 
e  di  ogni  paese. 

Il  fabbricato  ha  un  cortile  d'onore,  al  cui  lato  di  fondo  cor 
una  parte  dell'edificio  che  si  distingue  dal  resto  per  il  caratb 
grandiosa  e  severa  sua  architettura  che  ispira  rispetto  e  vem 
È  in  questa  parte  che,  al  primo  piano,  è  collocata  la  Gappel 
per  le  funzioni  religiose,  alle  qaali  i  ricoverati  possono  assi 
separati  riparti. 


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LA  GASA  DI  ftlPOSO  PEI  MUSICISTI 


373 


Oltre  quello  d'onore,  si  hanno  due  altri  cortili,  dei  qaali,  quello 
di  maggiori  dimensioni  è  destinato  al  riparto  più  numeroso  degli 
uomini  e  l'altro,  più  piccolo,  appartiene  al  riparto  delle  donne. 


Dettaglio  del  prospetto. 

Dietro  al  fabbricato  si  aprono  i  cortili  di  servizio  che  hanno  un 
ingresso  speciale  pei  carri;  essi  appartengono  ai  fabbricati  rustici 
comprendenti  la  lavanderia,  gli  asciugatoi  e  gli  alloggi  del  perso- 
nale di  servizio. 

Infine  nel  sotterraneo  si  hanno:  la  cucina,  gli  acquai,  le  dispense. 


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374  ARTK  GONTKMPORANBA 

i  montacarichi,  i  depositi  di  biancheria,  i  bagni,  il  calorìfero  ed  i 
servizi  relativi. 

Meglio  però  di  queste  indicazioni  generiche.  Tesarne  delle  piante 
gioverà  a  mettere  in  evidenza  i  vantaggi  veramente  pregevoli  che 
presenta  l'ordinamento  distributivo  intemo  di  questo  edificio,  pei  quali 
si  ritiene  debba,  in  ogni  sua  parte,  degnamente  rispondere  allo  scopo 
cui  si  volle  destinato. 

I  motivi  decorativi  esterni  dell'edificio,  di  carattere  medioevale, 
pel  vario  impiego  dei  materiali  di  diversa  natura,  per  l'armoniosa 
distribuzione,  per  i  particolari  e  per  l'insieme  offirono  nuovo  argo- 
mento di  studio.  Da  essi  l'edificio  ritrae  un  carattere  serio  a  un 
tempo  e  gentile,  che  inspira  e  compendia  l'alto  sentimento  cui  l'e- 
dificio stesso  è  informato. 

Le  decorazioni  esterne  hanno  all'interno  un  opportuno  richiamo, 
segnatamente  nelle  parti  frequentate  dal  pubblico,  e  cioè  nelle  sale 
di  riunione,  nella  cappella  sacra  e  nel  salone  pei  concerti.  Tali  deco- 
razioni interne,  ispirate  esse  pure  a  motivi  medioevali,  sono  poli- 
crome ed  eseguite  a  tempera.  Esse,  mediante  l'armonia  dei  disegni  e 
dei  colori,  danno  a  quelle  sale  una  intonazione  lieta  e  vivace  che 
ricrea  e  appaga  lo  spirito  e  concorrerà  certamente  a  rallegrar  l'animo 
dei  ricoverati. 

Le  spese  per  la  costruzione  oltrepassarono  le  L.  500.000,  escluso, 
beninteso,  il  costo  dell'acquisto  del  terreno. 

Pochi  giorni  prima  d'essere  colpito  dall'attacco  apoplettico,  Verdi 
fece  la  legale  donazione  di  2  milioni  e  mezzo  alla  Gasa  di  riposo,  a 
cui  beneficio  andranno  anche  i  diritti  di  autore  delle  sue  opere,  di- 
ritti che  si  elevano  in  media  a  L.  200.000  all'anno. 

Ecco  le  disposizioni  testamentarie  riguardanti  la  Gasa  dì  riposo: 

'  Lascio  aU'Opera  Pia  Gasa  di  riposo  dei  musicisti,  eretta  in  ente 
morale  con  Decreto  SI  dicembre  1899,  oltre  lo  stabile  da  me  fatto  co- 
struire in  MUano,  piazzale  Michelangelo  Buonarroti,  e  di  cui  all'istru- 
mento  16  dicembre  1899,  a  rogito  dott  Stefano  Allocchio: 

*  1.  Lire  50.000  di  rendita  italiana,  consolidato  5  O/o,  attual- 
mente a  me  intestate  su  certificato  N.  4; 

'  2.  Lire  25.000  di  rendita  italiana  al  portatore; 

'  3.  Tutti  i  diritti  d'autore,  sia  in  Italia  che  all'estero,  di  tutte 
le  mie  opere,  comprese  tutte  le  partecipazioni  a  me  spettanti,  in  dipen- 


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LA  GASA  DI  RIPOSO  PXI  MU8IGISTI  375 

denza  dei  relativi  contratti  di  cessione.  Di  tali  proventi  il  Consiglio  di 
Amministrazione  non  potrà  disporre  che  della  somma  di  L.  5000  annue 
per  i  primi  dieci  anni»  e  ciò  allo  scopo  di  fornire  col  residuo  un  capi- 
tale in  aumento  del  patrimonio  dell'Opera  Pia; 

'  4.  n  credito  di  lire  200.000  verso  la  ditta  6.  Bicordi  e  0.  di 
Milano,  sul  quale  viene  ora  corrisposto  l'interesse  del  4  O/o  annuo,  a 
tenore  della  convenzione  ora  in  corso; 

*  5.  La  somma  che  venisse  eventualmente  restituita  dal  Municipio 
di  Milano  a  termine  del  contratto  di  acquisto  del  terreno  nel  cimitero 
monumentale  in  Milano,  ffttto  a  mezzo  del  mio  avvocato  Umberto  Cam- 
panari;      * 

'  6.  Lascio  alla  detta  Casa  di  riposo  dei  musioistì  il  pianoforte 
grande  formato  Erard  che  trovasi  nel  mio  appartamento  a  (Genova,  la 
mia  spinetta  che  trovasi  a  Sant'Agata,  le  mie  decorazioni,  i  miei  ricordi 
artistici,  i  quadri  indicati  con  lettera  speciale  alla  mia  erede,  e  tutto 
quanto  la  stessa  mia  erede  crederà  opportuno  di  lasciare  per  essere 
conservato  in  una  sala  del  medesimo  istituto  ,. 

Nella  cappella  del  pio  istituto  riposano  ora  le  ossa  di  Giuseppe 
Verdi  e  della  consorte  Giuseppina  Strepponi. 

La  cripta  era  prima  mascherata,  coperta  da  un  muro  che  la  na- 
scondeva ad  ogni  sguardo.  Ciò  erasi  fatto  al  fine  di  evitare  a  Verdi 
la  vista  del  proprio  sepolcro. 

Morto  Verdi,  in  17  giorni  venne  tolta  la  copertura,  si  costruirono 
due  scale  di  marmo,  si  compi  la  decorazione  definitiva  della  cripta 
sotterranea  e  si  fecero  fondere  le  due  grandi  lastre  in  bronzo  che 
ricoprono  oggi  i  due  feretri.  In  così  breve  tempo  non  potevasi  fieur  di 
meglio  e  di  più. 

Nel  pio  istituto  saranno  trasportati  più  tardi  tutti  1  ricordi  per- 
sonali del  Maestro,  secondo  il  desiderio  da  luì  manifestato. 

Diamo  qui  sotto  lo  Statuto  dell'Opera  Pia:  il  regolamento  non 
venne  peranco  dettato,  e  non  ve  n'è  urgenza,  poiché  per  due  anni 
la  Gasa  resterà  chiusa  e  non  potrà  ospitare  alcun  vecchio  musicista, 
dovendo  il  Consiglio  pagare  (colla  rendita  delle  due  annate)  la  tassa 
di  successione  ed  acquistare  i  mobili  e  gli  arredi  necessari. 


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^6  ARTE  CONTEMPOBANBA 


STATUTO 

§  1.  —  Per  iniziatiTa  privata  del  maestro  Giuseppe  Verdi  viene 
costitaita  on'Opera  Pia  Nazionale  denominata  Cctaa  di  riposo  pei  Mu- 
sicisti, Essa  ha  la  sua  sede  in  Milano. 

§  2.  —  Scopo  dell'Opera  Pia  è  quello  di  raccogliere  e  mantenere 
nell'apposito  ospizio  costruito  in  Milano,  piazza  Michelangelo  Buonar- 
roti, persone  dell'uno  e  dell'altro  sesso,  addette  all'arte  musicale,  le 
quali  abbiano  oltrepassato  l'età  di  anni  65,  sieno  cittadini  italiani,  e  si 
trovino  in  istato  di  povertà. 

§  8.  —  CoU'espreasione  •  addetti  all'arte  musicale  ,  intendesi  in- 
dicare i  maestri  compositori,  gli  artisti  di  canto,  i  suonatori,  e  tutti 
coloro  che  siansi  dedicati  per  professione  all'arte  musicale. 

§  4.  —  D  numero  dei  ricoverandi  non  potrà  superare  quello  di 
cento,  nella  proporzione  di  60  uomini  e  40  donne  —  per  i  primi  anni: 
salvo  e  riservato  in  prosecuzione  di  tempo  al  Consiglio  d'Amministra- 
zione  di  aumentarne  il  numero  —  mantenendo  le  stesse  proporzioni  — 
ove  ciò  trovasse  conveniente  e  possibile. 

§  5.  —  D  patrimonio  dell'Opera  Pia  viene  costituito: 

a)  dalla  proprietà  dell'area  e  dello  stabile  costruito  Ì9  piazza 
Michelangelo  Buonarroti  (del  valore  attuale  attribuito  di  L.  500.000), 
e  già  assegnato  all'erigenda  Opera  Pia  con  atto  16  dicembre  1899  a 
rogito  Allocchio; 

b)  da  tutti  gli  oggetti  e  corredo  di  mobiglia,  nonché  dalle  ren- 
dite, che  il  maestro  Giuseppe  Verdi  si  è  riservato  di  assegnare  all'eri- 
genda Opera  Pia,  pel  suo  regolare  funzionamento,  come  da  promessa 
fatta  nel  surricordato  atto  16  dicembre  1899. 

§  6.  —  n  Consiglio  d'Amministrazione  sarà  costituito  da  7  membri, 
designati  nell'atto  16  dicembre  1899,  rogito  Allocchio,  e  cioè  nelle  per- 
sone dei  signori: 

Bertarelli  Dott.  Cav.  Ambrogio, 

BoiTo  Arch.  Comm.  Camillo, 

Cabnelli  Comm.  Ambrogio, 

Labadini  Cav.  Uff.  Rag.  Ausano, 

Negri  Comm.  Dott.  Gaetano,  Senatore  del  Regno, 

Ricordi  Comm.  Giulio, 

Skletti  Avv.  Cav.  Emilio. 
Il  Presidente  sarà   scelto   fra   i   Consiglieri,  e   pel   primo   Consiglio 
viene  fin  d'ora  designato  nella  persona  del  Senatore  Gaetano  Negri. 


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LA  CASA  DI  RIPOSO  PEI  MUSICISTI  377 

§  7.  ^  Al  Consiglio  d^ Anuninistrazione  sarà  aggiunto  un  Segre- 
tario, il  quale,  occorrendo,  avrà  inoltre  le  funzioni  di  consulente  legale, 
sella  persona  del  sig.  Ayy.  Umberto  Campanari,  pure  designato  nel- 
l'atto 16  dicembre  1899,  n^to  Alloochio. 

§  8.  ^  H  primo  Consiglio  d'Amministrazione,  come  sopra  costi- 
tuito, rimarrà  in  carica  per  dieci  anni  successivi  alla  data  in  cui  verrà 
aperta  la  Casa  di  Riposo  ai  ricoverando 

§  9.  —  In  caso  che  taluno  dei  membri  venisse  a  mancare,  oppure 
rinunciasse  alla  carica  prima  dello  spirare  di  tale  termine,  esso  verrà 
surrogato  da  altro  Consigliere  scelto  a  maggioranza  dai  Consiglieri  ri- 
masti in  carica.  In  caso  di  parità  di  voti  il  Consigliere  verrà  scelto  a 
90irìe  fra  i  due  proposti. 

§  10.  —  Tre  anni  prima  del  compimento  del  decennio,  di  cui  al 
g  8,  il  Consiglio  proporrà  e  farà  approvare  nei  modi  di  legge,  le  norme 
per  la  rinnovazione  del  Consiglio  d'Amministrazione. 

§  11.  —  U  Consiglio  d'Amministrazione  sarà  periodicamente  con- 
vocato, e  quando  occorra  anche  in  via  straordinaria,  sopra  invito  del 
Presidente,  a  termine  della  vigente  legge  sulle  Opere  Pie,  per  delibe- 
rare su  tutti  gli  oggetti  che  in  via  generale  interessano  l'andamento 
morale  e  l'economia  intema  dell'Opera  Pia,  o  che  in  qualunque  modo 
0  limite  impegni  l'Amministrazione  del  patrimonio. 

§  12.  —  Per  la  validità  delle  deliberazioni  occorrerà  la  presenza 
del  Presidente  e  di  almeno  due  membri  per  gli  affari  riflettenti  l'ordi- 
naria amministrazione,  e  del  Presidente  e  di  almeno  quattro  membri, 
quando  si  tratti  di  proporre  riforme  organiche  e  regolamentari  del- 
l'Opera Pia,  ovvero  per  deliberare  in  quanto  riguarda  il  personale  sta- 
bile degli  uffici,  o  in  generale  per  tutti  gli  affari  pei  quali  ò  richiesta 
la  superiore  approvazione  a  termine  della  vigente  legge  sulle  Opere  Pie. 

§  13.  —  Le  deliberazioni  sono   prese  a  maggioranza   assoluta  dei 
presenti  all'adunanza,  e  risultano  dal  verbale  firmato  dagli  intervenuti. 
A  parità  di  voti  rimane  deliberato  secondo  il  voto  espresso  dal  Pre- 
sidente. 

§  14.  —  n  Segretario  consulente  legale  avrà  voto  consultivo  nelle 
deliberazionL 

§  15.  —  n  Presidente  esercita  l'alta  sorveglianza  sull'andamento 
morale  ed  economico  dell'Istituto,  —  ha  la  direzione  superiore  di  tutti 
gli  affiuri  d'Amministrazione,  firma  gli  atti  e  le  corrispondenze  d'ufficio, 
promuove  le  deliberazioni  del  Consiglio  incaricato  della  relazione,  —  fa 


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1 


378 


ARTI  CONTEMPORANEA 


•  •* 


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1^^ 


eseguire  le  deliberazioni  prese,  e  nei  casi  d'urgenza  dà  le  disposizio 
riferendo  al  Consiglio  nella  successiva  adunanza. 

Nei  casi  di  impedimento  o  di  assenza  del  Presidente,  le  sue  fìmzìi 
vengono  disimpegnate  dal  membro  più  anziano  del  Consiglio. 

§  16.  —  Tutti  gli  atti  0  contratti  che  importano  obbligazione  d 
l'Opera  Pia  verso  i  terzi  dovranno  essere  firmati   dal   Presidente  o 
chi  ne  fa  le  veci  e  dal  Segretario. 

In  casi  speciali  potrà  il  Consiglio,  mediante  procura,  delegare  a  n 
presentarlo  anche  persona  ad  esso  estranea. 

§  17.  -^  Speciali  regolamenti  di  amministrazione  e  d'ordine 
temo,  da  approvarsi  dalla  competente  autorità,  provvederanno  a  < 
terminare  il  modo  d'applicazione  del  presente  Statuto  sia  all'ammj 
strazione  del  patrimonio  che  alla  direzione  intema  dell'Istituto,  eé 
stabilire  il  personale  occorrente  tanto  per  l'uno  che  per  l'altro  servis 
le  incombenze  di  ciascuno  di  essi,  i  loro  rapporti  di  dipendenza  < 
Consiglio  e  dal  Presidente,  gli  stipendi  di  cui  saranno  retribuiti. 


W  lllif'll  l-U'iii 


Leonardo  Dkcujos. 


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SAGGIO  DI  BIBLIOGRAFIA  VERDIANA 


di  sa  ohe  il  dolore  riannoda  i  vinooli  d'amore  più  assai  che  la 
gioia;  e  la  morte  fulminea  la  quale  colpì  il  Maestro  che  Ifu  ed  è 
vanto  nostro  e  gloria  del  mondo,  ricongiunse  nel  pianto  ogni  Nazione 
a  questa  gran  madre  dolorosa  Italia. 

Ma  perchè  la  morte  fu  inaspettata  (non  si  aspettano  le  sventure 
della  patria!)  e  il  desiderio  di  porgere  doveroso  tributo  alla  memoria 
di  Verdi  ne  sospingeva,  così  non  era  possibile,  per  ragioni  di  tempo 
e  di  luogo  (che  si  può  trovare  a  Pisa  per  sì  fatto  genere  di  lavori?) 
raccogliere  scrupolosamente  tutto  quanto  era  necessario  per  una  Bi- 
bliografia. Perciò  domando  venia  se  esco  con  un  modesto  Saggio,  in 
molte  parti  squilibrato,  appunto  perchè  esso  tende  a  diventare  quan- 
dochessia  una  Bibliografia  completa. 

Debbo  innanzi  tutto  avvertire  essermi  io  attenuto,  quanto  ai  perio- 
dici, specialmente  a  quelli  di  carattere  non  musicale,  perchè  pei  musi- 
cali viene  fi^^ile  la  ricerca  sulla  scorta  della  cronologia,  come  più 
innanzi  si  avverte  nella  Nota  che  il  lettore  troverà  dopo  l'elenco  delle 
opere  del  Maestro,  evitando  così  una  inutile  massa  di  spogli.  Per 
esempio:  Chi  non  consulterà,  anche  senza  la  mia  Bibliografia^  la 
GhugMetta  Musicale  di  Bicordi,  la  quale  è  da  sé  sola,  numero  per 
numero,  la  biografia  più  completa  di  Verdi?  Per  essa  ho  dato  sol- 
tanto alcune  poche  citazioni,  direi  quasi  come  campione.  Ma  a  che 
prò  avrei  notato  tutte  le  recensioni  delle  opere,  o  —  per  venire  agli 
ultimi  numeri  —  gli  articoli  usciti  in  occasione  della  morte  del 
Maestro? 

Medesimamente  ho  tralasciato  lo  spoglio  della  Illustrcufione  ita- 
liana  di  Milano,  perchè  dell'intera  raccolta  di  essa  uscirà  a  giorni 
Vindice  generale^  e  a  questo  si  potrà  utilmente  ricorrere. 


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380  ARTE  CONTBHPORANBA 

Figarìamoci  poi  l'ammasso  di  schede  che  avrei  dovuto  compilare, 
se  avessi  tenuto  conto  dei  giornali  politici!  Vedi  anche  per  questi 
Vawertenza  della  Nota  citata. 

Appaiono  anche  nel  presente  Saggio  alcuni  pochissimi  Numeri  unici, 
notati  per  mostrare  le  intenzioni  mie  di  tenerne  conto,  quando  questa 
Bibliografia  possa  uscire  complèta.  Allora  si  farà  di  Ognuno  di  essi 
un  diligente  spoglio,  come  —  ancora  per  campione  —  ho  fatto  qni 
per  uno  di  essi. 

E  come  potrei  dare  Tindicazione  di  tutte  le  Commemorazioni  di 
Verdi  tenutesi  in  questi  ultimi  mesi?  Non  v'è  città  o  villaggio  che 
non  ne  abbia  fatto parecchie!  I  giornali  politici  informino. 

Avrei  pure  voluto  dare  una  bibliografia  ióonografioa^  ma  per  ora 
mi  contento  di  rimandare  il  ricercatore  o  al  volume  del  Colamòam 
su  L'opera  italiana,  che  è  splendidamente  illustrato,  o  ai  numeri 
unici  indicati»  o  alla  lUustrasicne  Italiana,  ecc. 

Alcune  delle  mie  citazioni  bibliografiche  sono  seguite  da  frasi 
tratte  dallo  studio  citato:  ciò  ho  creduto  opportuno  fare,  a  giustifi- 
cazione dello  spoglio  stesso,  il  quale,  nel  caso  particolare  diveniva 
interessante  solamente  pel  brano  da  me  riportato,  come  quello  che 
rilevava  circostanze  o  apprezzamenti  tipici  o  curiosi  e  degni  di  nota. 

Un'altra  lacuna  di  questo  Saggio  sarà  la  mancanza  delle  indica- 
zioni risguardanti  le  lettere  di  Verdi.  Ma  per  questo  lato  non  sento 
il  bisogno  di  giustificarmi,  perchè  se  avessi  subito  sotto  mano  un 
completo  indice  di  esse,  edite  od  inedite,  pubblicherei  io  stesso  l'apt- 
stclario  verdiano. 

Per  ciò  che  riguarda  la  prima  parte  dì  questo  Saggio,  ossia  le 
opere  d' indole  generale,  ho  fatto  più  diligenti  ricerche  tra  le  fónti 
secondarie,  che  tra  le  principali,  essendo  queste  universalmente  co- 
nosciute. E  ho  tralasciato  parimenti  i  dizionari  biografici  che  non  ri- 
guardassero esclusivamente  la  musica;  perciò  il  lettore  non  vi  troverà 
né  enciclopedie ,  né  libri  speciali,  come  sarebbe  H  parlamento  ita- 
liano del  Sarti,  che  pure  contiene  la  bi<^n*ftfi&  di  Verdi,  ecc. 

Oltre  tutte  le  imperfezioni  da  me  stesso  notate,  molte  ancora  cer- 
tamente troverà  il  lettore ,  una  fra  l'altre  d'aver  dato  come  anonimi 
certi  studi  che  non  lo  sono.  Ma  nell'impossibilità  (per  le  ragioni  di 
tempo  e  di  luogo  sopra  accennate)  di  vedere  personalmente  le  riviste 
che  li  contenevano,  e  messo  nel  bivio  di  tralasciarne  la  citazione,  o 


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SAOGIO  DI  BIBLIOGRAFIA  VIRDIANA  381 

di  darla  così  monca^  ho  scelto  questo  secondo  partito,  come  il  minore 
dei  mali. 

Ora  chi  comprende  quanta  fatica  costino  i  lavori  come  questo  mio, 
ne  scaserà  facilmente  i  difetti  e  apprezzerà  la  scrupolosa  coscienza 
messa  nelle  lunghe  e  non  sempre  facili  ricerche,  fotte  coH'intenzione 
di  giovare  agli  studiosi  e  di  venerare  così  la  memoria  del  nostro 
grande  Maestro. 


I.  -  Vita. 

a)  Generalità* 

Albicati  G.,  Vedi  Paloschi  G.,  Piccolo  Dizionario 

Alfani  a.,  [Biografia  di  Verdi:  Sta  in:  Battaglie  e  Vittorie, --  Firenze, 
1890,  in-S*»!. 

BiTTOLi  P.,  /  nostH  fasti  mtmcali.  Dizionario  biografico  di  Parmenio 
Bettoli.  —  Parma,  Tip.  della  Gazzetta  di  Parma,  1875,  in-16^ 

Blazi  db  Buby  H.,  [Capitolo  su  Verdi  nel  volume]  Musiciens  du  passe, 
du  préserU  et  de  Vavenir,  —  Paris,  1880. 

Bkindel  F.,  Storia  della  musica  in  Italia^  Germania  e  Francia,  Ridu- 
zione dal  tedesco  di  Maria  Ettlinger-Fano.  —  Genova,  A.  Donath, 
1900,  in-8^ 

Bbislaub  e.,  Vedi  Conversations-Lexicon  (Musikalisches),,, 

Bbown  J.  D.,  Biographical  dictionary  of  musicians,  —  London,  1886,  in•8^ 

Caxirovi  a.,  Musica  e  dramma.  Lettura.  (Collezione  di  conferenze  cat- 
toliche. Serie  I,  n.  3).  —  Faenza,  Ufficio  della  rassegna  Idea  Nuova, 
1897,  in.l6^ 

Castil-Blazs,  Vopèra-italien  de  1548  à  1856.  —  Paris,  Morris,  1856,  in-8*. 

Chicchi  E.,  La  pleiade  musicale,  —  [Sta  in:  La  vita  italiana  nel  risor- 
gimento (1831-1846).  Seconda  serie.  Voi.  IIL  — ]. 

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(pag.  177-221)  è  intitolato  Giuseppe  Verdi], 


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382  AaTE  GOMTIMPOaANBA 

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lano, 1871,  in-8*. 

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music,  di  Milano,  15  ottobre,  1867]. 

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by  E.  R.  Wodehouse  ,.  —  London,  1890,  in-8*]. 

Haksliok  e..  Die  moderne  Oper,  Kritiken  u,  Studien,  —  Berlin,  Hof- 
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Lavoix  H.,  Histoire  de  la  musigue.  —  Paris,  Quantin  [1884],  in-16,  fig. 
(Biblioth.  de  Tenseignement  des  beaux-arts).  —  [Ofr.  pp.  289  a  fine]. 

Lbssona  M.,  [Biografia  di  Verdi  nel  Volere  è  potere,  —  Firenze,  1869} 

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Maboillao,  Histoire  de  la  musique.,.  en  Italie,  en  AUemagne...  —  Paris, 
1879,  in-8». 


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Paravia,  1883,  in-16«». 

Masutto  G.,  Maestri  di  musica  italiani  dd  nostro  secolo.  Ricordi  e  cenni 
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scnderer  BerUcksichtigung  der  Werke  leòender  Meister,  soune  wenig 
gèkannter  Musikgattungen.  —  Halle,  1888,  in-16^ 

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Padoyan  a.,  /  figli  deUa  gloria.  —  Milano,  Hoepli,  1900,  in-lG"". 

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nazione.  Avvenimenti  musicali  importanti.  Luogo  e  data  della  prìma 
rappresentazione  delle  Opere  più  reputate.  Centenari  prossimi,  età 
di  celebri  maestri,  coincidenze  di  data,  ecc.  Indice  generale.  —  Mi- 
lano, Bicordi.  1876,  in-8*  gr.,  pp.  87.  —  [Ne  fdrono  fette  varie 
edizioni,  l'ultima  è  del  1899]. 

—  Piccolo  dizionario  delle  Opere  teatrali  rinomate,  popolari,  ecc.,  antiche 

e  moderne,  italiane  ed  estere.  —  Milano,  Bicordi,  1884,  in-8*'.  piia 
lY  edizione,  pubblicata  nel  1898,  contiene  notevoli  aggiunte  di 
G.  Albinati]. 

ProHL  F.,  Die  moderne  Oper.  —  Leipzig,  Beissner,  1894,  in-lG'». 

PiOGHi  E.,  Considerazioni  suUa  musica  odierna  in  Italia.  —  [Sta  in: 
Chzz.  music,  di  Milano,  1846,  pag.  76.  Vi  si  afferma  che  *  il  solo 
Verdi  è  il  sovrano  maestro  ,  di  quel  tempo]. 

PouGiK  A.,  Biographie  universéUe  des  musiciens  et  httliographie  generale 
de  la  musique,  par  F.  J.  Fétis.  Supplément  et  complément  publiés 
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1878-1880,  2  voi.,  in-8^ 

BmiAim  H.,  MusUdexikon.  Neue  Aufl.  —  Leipzig,  Esse,  1898,  in-16*'. 

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plemento Fétis,  volume  P,  pubblicato  a  Parigi  per  Firmano  Didot, 
1878,  in  S"",  riferibilmente  a  Maestri  italiani  e  relative  opere.  — 
Milano,  Bicordi,  1878,  in-16%  p.  40. 

—  Saggio  di  rettifiche  ed  aggiunte  al  Supplemento  Fétis  (Voi.  II),  pub- 

Rt9%»tn  wnuieaU  italiana^  Vili.  26 


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384  AKTB  «•KTSMPORAIfEA 

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«  ieBa  «M  mnoa). 
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iii"16**.  —  [GoolieHe  tun  «cucitole  sa  f«cAi]. 
tKOOovn^Aisìoom  N.,  U-ewAumone  fMT'orfe  ìMmhmi  «m^  «eeo2«  J[/Zi.  — 

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TsBALDiNi  G^  jU  teatro  lirica.  —  Firenze,  Sassegua  nazionale^  1896, 

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386  ARTE  CONTEMPORANEA 

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tesimo]. 
[Decreto  col  quale  il  Mmdcipio  di  Parma  iscrisse  il  nome  di  Yen 

libro  d'oro  della  città.  Medaglia  d'oro  coniata  per  ricorda» 

fatto.  Vedi:  Gazz.  music,  di  Milano,  1872,  pag.  141]. 
Edwabds  H.  S.,  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  FùrtnighUy  Review  (Loi 

V  semestre,  1887,  pag.  469]. 
Ehblioh  H.,  Beim  84  JOhr:  Verdi.  —  [Sta  in  :  Deutsche  Bevue,  (I 

gard),  anno  XXU  [1897],  2<'yo1.,  pag.  3251 
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FoBTis  II.,  B  vecchio  maestro.  —  [A  proposito  dell'annunzio  del  Foi 

—  Sta  in:  Gazz.  music,  di  Milano,  1890,  n.  49]. 
FoLOHiTTo,  Vedi  Caponi. 
Fullie-Maitland  J.  A.,  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in:  MonOdy  Ré 

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GmoBB  B.,    Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  Neue   Zeitschrift  fUr  h 

6  febbraio  1901]. 
Ghislanzoni  a..  Le  trasformazioni  di  Verdi.  —  [Sta  in  :  Gazz.  n 

di  Milano,  7  luglio  1867]. 
GiACosA  G.,  Verdi  in  viUa.  Note.  —  [Sta  in:  Ghjtzz.  music,  di  Mi 

1889,  n.  48]. 
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1»  febbraio  1901.  —  Milano,  G.  Ricordi,  1901,  in-8«,  pp.  4,  con  2 
[Giubileo  musicale  di  Verdi.  —  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1889,  i 

Supplemento  straordinario  di  pp.  24,  ^g.  Contiene  scrìtti  di 

ducei,  Panzacchi,  Giacosa,  ecc.]. 
Giuseppe  Verdi  [con  ritratto].  —  [Sta  in  :  AppUeton's  Journal  (New-Y< 

2^  semestre  1878,  pag.  769]. 
Giuseppe  Verdi.  —   [Sta  in:   Athenaeum  (London),  2**  semestre   1 

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Giuseppe  Verdi  —  [Sta  in:  Critie  (New- York),  1898,  voi.  82,  pag. 
Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in:  Englishwoman's  Domestic Magazòte  (Lon^ 

1*  semestre  1867,  pag.  420]. 
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Giuseppe  Verdi,  —  [Sta  in  :  London  Society  (London),  1**  semestre,  Il 

pag.  89]. 
Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  MacmiUan's  Magazine  (London),  2*  seme 
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388  ARTE  CUNTEMPORANEA 

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^él.  18,  fag;  d54}. 

Pabisit  C,  Giuseppe  Verdi  (Cenni  biografici).  —  Parma,  li.  B&t^i,  18 

in-S"*,  fig.  [È  un  nmhBfò  toàmji 
PiitODi  L.,  &.  Ver&i;  PàÉ-ole  (}ett)B  in  oe6Wione  cMt'òBonìéstìòt)  dèi  soa 

Maestro  la  sera  del  l9  Éiafzo,  nello  Stitbffimelito  muèicaln  di  H 

ìétfae,  —  Genfèvaj  Pi^^ftUo,  1895. 
PmiNELLO  C,  BerOhmte  Mus&cèt.  IXi  Giuseppe  Verdi.  —  BerMn,  B 

monte)  In-S**,  pp:  yiii-112,  con  tavole. 
Pkrosio  G.,  Cenni  biografici  su  G.  Verdi,  sigiti  da  blreve  analiai  < 

VAida  é  dellUÉ  Méssa  da  tèfuiem.  —  Milanoi  1875. 
Pizzi  I.,  Ricordi  Verdiani  inediti,  con  ùndioi  lettere  di  Giuseppe  Ye 

eft^  phbbfìcate  per  la  prima  volta,  e  varie  illaetraraoni.  —  Tori 

Booz  e  Viarenge,  in-16®,  èg.y  pp.  128»  c<m  ritr. 
Pbtèi^  A.,  &iUèeppe  Vérdi,  Vita  aneddotica^  coh  note  ed  aggiunte 
*    Falchette  [Oapòìrì].  Illtkfifrazitoi  dì  Achille  ForÉiis.  —  Milano, 

cordi,  1881,  in-8^  gr.,  pp.  viii-182,  con  ritr.  e  16  tav.  —  [Ne 

rtoo  fatte  varie  edizioni]. 

—  Verdi.  An  anecdotic  history  of  bis  life  and  Works.  Translatéd  fr 
the  frencb  bj  James  E.  Mattew.  —  London,  Ofevel,  pag.  xvi-3 
con  2  tavole. 

—  Verdi.  Histoire  anecdotì<}tie  de  sa  vie  et  de  ses  ceuvres.  —  Pa 
Calmann  Lévy,  1886,  in-16«. 

—  Vedi  Rossini  6.,  Lettres..^ 
I       I  j                                  Rttf ATo  Dt  OAMtuNA.  Vehii.  Appnnti  bie^n:«fici.  —  Milano,  Dncati  e 

risco,  1887,  in-16%  pp.  80,  con  ritratto. 
Bicoi  C,  Giuseppe  Verdi  e  ^Italia  musicale  onesterò.  —  Bologna,  Re 

tipografia,  1889,  in-16^  pp.  89. 
Ricordi  Verdiani  (181S'1901).  —  Parma,  L.  Battei,    1901,   in-4*»  o 

fig.,  pp.  8. 
Rossini  Q.^  Lettres  inédites  de  Rossini.  —  [Sono  quelle  pubblicate 

t^òugin  nel  Terhps.  Contengono  ùA  giudizio  su  Boito  fe  su  Ver 

—  [Sta  in  :  Le  guide  musical^  Bruxelles,  1894,  n.  37]. 


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SAGGIO  M  BèMJOGB A KU   ^BEDIaNA  3è^ 

BjjRnns  N.  (Ds),  Oimseppe  Vmrdi:  eoft  pasale  di  Aujoaio  FogazncQw  — 
Napoli,  A.  Ckinng»,  1901,  iib-16%  i^.  as,  eoa  riti.  (U^mmi  del 
ffiomOf  n.  6). 

Schwab  P.  A.,  HUemnpoiir  Q.  VerdL  —  [Sta  in:  Thè  Cmtmy  iSkh 
stratéd  MùfUMy  Magazine,  —  New-York,  1*  sem.  1886,  pa^^.  414]. 

Sonisi  Q.,  Caniuie  di  Pisa*  In  tommemoroziome  di  Giuseppe  Verdi. 

Parole  pronunziate  nella  seduta  c<»imiaie  del  9  febbraio  1901.  — 

Pisa,  Sqcc.  Fratelli  Nichi,  1901,  in-S"",  pp.  5. 
SwATNS  E.,  Giuseppe  Verdi.  --  [Sta  in  :  Muaie  (Chicago),  1*  semestre 

1894,  pag.  111]. 
Tnur  J.  (Du),  Giuseppe  Verdi.  ^  [Sta  in:  Bemte  Umm,  9  febb.  1901]. 
TAii<nii  H.  (Di),  La  musique  ei  le  doeumeni  humain,  snirie  d^iae  étade 

sor  Rossini  et  VerdL  —  Paris,  ODendcrff,  1887,  in-S**,  pp.  119. 

—  Verdi  et  eon  entere.  —  Paris,  Calmano  Lóvy,  1894,  in-16°. 
Ybogbiki  A.^  Per  Giuseppe  Verdi  :  parole  commemoratiye  dette  la  sera 

delli  8  febbraio  1901  nel  Teatro  Soeiale  di  Como.  —  Como,  Tip. 
CooperatÌTa  eomense,  1901,  in-8°,  pp.  24,  con  ritratta 

YisoNS,  [Lettera  con  coi  si  annuncia  a  Qinseppe  Verdi  la  sna  nomina 
a  Cavaliere  di  Gran  Croce  dell'Ordine  dei  Santi  Maorisdo  e  Lanara 
~  Sta  in:  Gazzetta  Musicale,  6  febbraio  1887J. 

[Vita  {DaUa)  di  Verdi],  —  Sta  in:  Deuisehe  Bevue.  Maggio  1895. 

Wallaschik  B.,  Verdi  und  die  Pólitik.  —  [Sta  in:  Die  jSeii,  —  Wien, 
2  febbraio  1901.  È  tradotto  nella  Lettura:  Rivista  mensile  del  Cor- 
riere della  Sera.  Milano,  marzo  1901]. 

—  Verdi  und  die  iTttw^.— [Sta  in:  Die  Zeit.  —  Wien,  16  febbr.  1901]. 

Varia. 

Annunzio  6.  (D'),  In  marte  di  Giuseppe  Verdi.  Canzone,  preceduta  da 
una  orazione  ai  giovani.  —  Milano,  Treves,  1901,  in  8%  pp.  28.  — 
[La  Canzone  sta  anche  nel  giornale  La  Tribuna,  Roma,  28  feb- 
braio, 1901,  n.  59]. 

Ansolstti  M.,  Genj  musicali.  Sonetti.  [Uno  è  intitolato:  Verdi.  —  Sta 
in:  Rassegna  nazionale,  16  novembre  1900]. 

BasbIsra  R.,  Figure  e  figurine  dd  secolo  che  muore.  —  Milano,  Treves, 
1899,  in-16*».  —  [L'ultimo  capitolo  è  intitolato  :  *  Giuseppina  Strep- 
poni  e  Giuseppe  Verdi  ,]. 

—  Jl  salotto  deUa  contessa  Maffei...  (6*  ediz.).  —  Milano,  Baldini  e  Ca- 

stoldi, Tip.  Pirola,  1900,  in-16%  fig.,  pp.  451.  —  [Vi  si  parla  spes- 
sissimo di  Verdi]. 


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390  ARTE  CONTKMPOBANKA 

Babbisba  B.,  Immortali  e  dimenticati.  -—  Milano,  Coglìati,  1901,  in-16°, 
pp.  485.  [Oontiene  8  capitoli  sulla  *  Sera  raggiante  di  Qiueeppe 
Verdi  ,  con  numerose  lettere  inedite  del  Maestro]. 

BxLFOBTi  A.,  Emanude  Muzio,  Vunico  aUievo  di  GHueeppe  Verdi.  —  Fa- 
briano, Gentile,  1894,  in•16^ 

BiLLiNi  L.,  Al  Maestro  Verdi.  Sonetto.  —  [Sta  in  :  Strenna  teatrale 
europea,  anno  XI,  1848,  Milano]. 

[Beneficenze  fette  da  Verdi  alla  famiglia  Piave.  —  Sta  in  :  Chizz.  musi- 
cale di  Milano,  1873,  pag.   161]. 

Bbrtani  P.,  [Lettera  a  Verdi  colla  quale  gli  chiede  il  rimborso  delle  spese 
avute  per  recarsi  da  Reggio-Emilia  a  Parma  a  sentire  VAida  che 
non  gli  piacqae.  —  Risposta  di  Verdi.  —  Sta  in  :  Oazz.  musie*  di 
Milano,  1872,  pag.  166-167]. 

BiMA  D.  [Un  sonetto  intitolato  '  Viva  Verdi  »  dell'epoca  del  risorgi- 
mento italiano.  Sta  in:  Oazz.  music,  di  Milano,  1890,  n.  50]. 

BiAooi,  Opinioni  di  Rossini  su  O.  Verdi.  —  [Sta  in  :  Gazzetta  musi- 
cale di  Milano,  n.  58,  1889.  Estratto  dal  giornale  La  Nazione  di 
Firenze]. 

Blazb  db  Bubt,  Vedi  Filippi  F.,  1  detrattori... 

Billow  (Hans  De)  e  Giuseppe  Verdi.  Due  lettere.  [Biilow  &  ammenda 
di  avere  18  anni  addietro  detto  male  di  Verdi:  questi  risponde  in 
proposito.  —  Stanno  in  :  Gazz.  mtmc.  di  Milano,  1892,  n.  82]. 

[Busseto.  Inaugurazione  del  Teatro  Verdi.  —  Sta  in  :  Ghzz.  music,  di 
Milano,  28  agosto  1868].  —  [Si  accenna  all'esecuzione  della  sin- 
fonia La  capricciosa,  scritta  da  Verdi  all'età  di  12  anni,  e  a  sonetti 
e  opuscoli  in  omaggio  a  Verdi]. 

Busto  di  Verdi  dello  scultore  Vincenzo  Gemito.  —  [Riprodotto  di  faccia 
e  di  profilo  nella  Rivista  d'Itaiia,  febbraio  1901]. 

Cambiagoio  C,  Verdi  a  Milan.  Sogn  de  Meneghin.  Scherzo  poetico  in 
dialetto  milanese.  —  Milano,  Bemardoni,  1869,  in-8^,  pp.  14. 

Caputo  M.  C,  Per  l'inaugurazione  della  Sala  Verdi  nel  R.  Conservatorio 
di  Musica  di  Parma.  Scena  lirica.  —  [Il  soggètto  è  Vxbdi  stesso. 
Musica  di  Terenziano  Marusi.  —  Sta  in:  Gtufz.  music,  di  Milano, 
1898,  n.  8.  —  L'inaugurazione  fu  fatta  il  27  febbraio  1898]. 

Chaudbuil,  Vedi  Filippi  F.,  /  detrattori... 

Cigno  (R)  di  Roncole.  Numero  unico,  27  febbraio  1901.  —  Milano, 
T.  Guidi,  in-fol.,  fig.,  pp.  4. 

Commemorazione  rossiniana  (Milano^  Scala,  8  aprile  1892).  —  [Verdi 
diresse  la  '  Preghiera  „  del  Mosè.  —  Supplemento  al  n.  16,  1892, 
della  Gazzetta  musicale  di  Milano]. 


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SAGGIO   DI   IflBLIOOaAFlA    VEUDIANA  391 

Contini  P.»  A  Giuseppe  Verdi.  [Sonetto].  ~  Milano,  Banzini,  1887, 
m-16^,  ona  carta. 

\_JDeereto  del  Municipio  di  Genova  (7  marzo  1868)  che  conferisce  la  cit- 
tadinanza  a  VerdL  —  Sta  nel  periodico:  17    TrowUare,   Milano, 

15  marzo  1868]. 
Eisinm-EisiNHOF  À.  (De),  Vedi  Lettere... 

Fins  F.  J.  [Gli  articoli  su  Verdi  della  OazeUe  musicale  di  Parigi  (set- 
tembre 1850),  tradotti  poi  wVUltàUa  musicale,  1850,  n^  70,  73,  75. 
La  risposta  è  nella  (Gazzetta  di  Ricordi,  1851,  n'  9,  11,  15]. 

Fétte  (E  cdebre  Signor)  ed  U  maestro  Verdi.  —  [Sta  in:  Gazzetta  mu- 
sicale di  Milano,  1850,  n'  45-49,  51]. 

Filippi  F.,  I  detrattori  ddla  musica  italiana,  —  [Sta  in:  Gazzetta  mu- 
sicale italiana,  1866,  n^  1  e  2.  È  una  difesa  di  Verdi  contro  gli 
attacchi  del  Fétis  nella  Biographie  univers.  des  musiciens,  del  Blaze 
de  Bory  nella  Revue  des  deux  mondes  e  del  Chaudenil  nel  SUède]. 

FoGAZZABo  A.,  Nel  transito  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  H  nuovo  ri- 
sorgimento, gennaio,  1901]. 

Frau  (Giuseppina  Verdi.  —  [Negrologio,  in:  Signale  fUr  die  musika- 
lisehe  Wdt.  —  Leipzig,  1897,  pag.  899]. 

Genova  a  Giuseppe  Verdi.  —  [Pergamena  offerta  a  Verdi  dal  Municipio 
di  Genova.  —  Sta  in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1898,  n.  16]. 

OmoKONi  A.,  DeUo  spirito  religioso  neUa  musica  di  Verdi.  —  [Sta  in: 

Gazzetta  musicale  di  Milano,  1898,  n.  20]. 
GiACOSA  P.,  L^arte  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  Rassegna  nazionale, 

16  marzo  1901]. 

Gigante  (11)  di  Busseto.  —  Pro  Verdi. —  Numero  unico  pubblicato  per 
cura  di  alcuni  studenti  a  totale  favore  del  monumento  al  Grande 
Maestro.  ~  Milano,  li  27  febbraio  1901.  Tip.  Golio,  in-fol.,  fig.,  pag.  8. 

Giuseppe  (Per)  Verdi  —  XXVII  febbraio  MCMI  —  gli  studenti  univer- 
sitari fiorentini.  Firenze,  Tip.  Elzeviriana,  in-foL,  fig.,  pp.  6. 

Giuseppina  Verdi  Strepponi  [In  morte  di].  —  [Sta  in:  (Gazzetta  musi- 
cale di  Milano,  1897,  n.  46]. 

Gandolfi  B.,  Il  giubileo  artistico  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in:  Ras- 
segna nazionale,  voi.  50**,  1889]. 

GmsLANZONi  A.,  Cenno  necrologico  [per  la  morte  di  Antonio  Barezzi, 
suocero  di  Verdi].  —  [Sta  in:  Gazz.  music,  di  Milano,  28  luglio  1867]. 

-—  La  casa  di  Verdi  a  Sani^ Agata.  —  [Sta  in:  (xazz.  music,  di  Mi- 
lano, 26  luglio   1868]. 

GuxBRAZzi  F.  D.,  Manzoni,  Verdi  e  Valbo  rossiniano,  con  note  biogra- 
fiche di  B.  E.  Maineri.  —  Milano,  1874,  in-16%  pp.  106. 


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Ef 


M 


Ut 


902  ARTE  CONTIMPORAHKA 

Itxuco  QJ)t  Tedi  lasn  P.,  La  moglie.^. 

Lettere  inedite  di  Gaetano  Donizetti  a  diversi,  e  lettere  di  Bdsstni,  Ser 
Dumas,  SponUrUf  Adam,  Verdi  a  G*  Donizetti^  ncedte  e  pali 
cttte  néU'oocasioiM  delle  feste  centeiutfie  da  A.  De  Eìaiier*Qsen] 
—  Bergamo,  Istituto  italiano  di  arti  grafiche,  1897,  in-8*. 

Levi  P.  [L'Italico],  La  moglie  di  Verdi.  Lodi,  8  settembre  —  Bum 
14  novembre  1897.  -^  Boms,  a  cura  di  L.  Perelli  (Tip.  Forzi 
1897,  iii-8»,  pp.  7, 

MAFFBt  A.,  A  Giuseppe  Verdi  che  partila  per  Venezia.  Versi  —  [ 
in:  Bi^ta  teatrale  europea,  anno  9"*,  1846.  —  Milano]. 

[Maffm  a.],  a  (Giuseppe  Verdi,  gloria  d'ItaUa.  —  [Ode,  con  ritr.  — 
in:  Strenna  teatrale  europea^  anno  9"*,  1846.  —  Milano]. 

HADimi  B.  £«,  Vedi  Ovbbbaui  F.  D.,  Manzoni... 

MASttAfl  M.  [Una  poesia  di  Arrigo  Boito,  nella  qoale  si  parla  anch 
Verdi.  —  Sta  in:  Gazz.  music,  di  MUano,  1893,  n.  82;  ripor 
d«l  giornale  inglese  The  Author\ 

Mabusi  T.,  Vedi  Caputo  M.  C,  Per  V inaugurazione..» 

MA2£tOATO  A.,  A  proposito  di  *  Roberto  il  Diavolo „.  ^  [Sta  in:  ( 
zetUi  musicale  di  Milano,  1846,  pp.  164,  200.  Si  parla  deU" 
flnenza  ohe  le  musiche  di  Verdi  sono  destinate  ad  esercitare  e 
qualità  di  esecuzione  delle  masse  d'orchestra  e  cori  ,]. 

■^  ShUla  riforma  degli  istituti  musicali.  Relazione  al  Ministero  della  ] 
blica  istruzione.  -^  Firenze,  Regia  tipografia,  1871,  in-8,  pp. 
^  [La  relazione  ò  sottoscritta  da  G.  Verdi  (Presidente  della  C 
missione  nominata  dal  Ministro  Correnti),  da  L.  F.  Casamorata 
P.  Serrao  e  da  A.  Mazzucato  che  ne  fu  il  redattore]. 
,  Omaggio  del  giornale  La  Farfalla  a  Giuseppe  Verdi.  —  MilanOi  C. 

prandi  [1896],  in-16%  pag.  128.  —  [Raccolta  di  prose  e  poesJ 
onore  di  Verdi.  Notansi  fra  gli  autori:  Cavallotti,  Tommaso 
vini,  Guglielmo  Ferrerò,  La  Marchesa  Colombi,  Leopoldo  Mare 
Policarpo  Petrocchi,  Gemma  Ferruggia,  ecc.]. 

Morte  (In)  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in:  Rivista  di  filosofia,  pedag 
e  scienze  affini.  Gennaio  1901.  Bologna]. 

Onoranze  a  Verdi.  [Pergamena  e  lettera  che  nominano  Verdi  Fresia 
onorario  perpetuo  à^W Istituzione  Rossini  di  Bologna.  —  Sta 
Gazz.  music,  di  Milano,  20  giugno  1880]. 

'  Otello  „,  dramma  lirico  e  centomila  lirico.  Versi  di  Guerigo  Mese 
[il  giornale  umoristico  milanese  Guerin  Meschino]  ;  musica  di  i 
seppe  Verdi.  Teatro  alla  Scala:  Stagione  di  quaresima  in  carne 
1886-87:  Impresa  Flora  e  Fauna.  —  Titolo  di  Gioricordi.  — 


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SAGGIO   DI   BIBLIOGRAFIA   TgRDtANA 


393 


nià,  Desio,  Seiegno,  Camerlata  e  Como.   —  Milana,  Ti]^. 

1887,  in-8%  fig. 

giubileo  di  Giuseppe  Verdi.  —  [StA  in  :  Lettere  e  oHt, 
a.  5.  —  Bologna,   1889]. 

i  Redazione  delki  "   Gazzetta  mudecde  „^  il  bì^.   Geremia 
'  signor  Fitis  e  il  M'  Verdi,  —  [A  proposito  di  quanto  la 

aveta  scritto  nei  n'  45  e  seg.  del  1850  cirtóa  il  giudizio 
su  Verdi.  —  Sta  itì:  Gazz,  niusió,  di  Milano^  1851,  n.  3]. 
rdi- Cai zado- Victor  Hugo].  —  [È  accennato   nel  n**  5  della 
uSic.  di  Milano^  1857], 
G.   Verdi' Strepponi.  —  [Sta  in:    Gazz,  music,  di  Milano ^ 

48  e  1897,  n.  46]. 

?  di  ViUanova  [fondato  da  Verdi.  -^  Sta  in:  Gazz,  Music, 
w,  1888,  n.  46]. 
Si  parla  dell'erigendo  Ricovero  pei  musiciMi  vecchi  ed  ina- 

'^ Falstaff^,  —  Sta  in:  Gazz.  music,  di  Milano,  1891,  n.  27]. 
erdi  ad  intervenire  al  trasporto  delle  ceneri  di  Donizetti  e 
Bergamo,  e  alle  feste  pel  centenario  di  Michelangelo  a  Fi- 

-  Sta  in  :  Gazz,  music,  di  Milano,  1875,  pag.  299]. 

,  Vet^di  al  teatro  Manzoni  [di  Milano].  —  [Sta   in:    Gaz- 

sicale  di  Milano,  1889,  n.  26.  Paria  di  Verdi  che  assisteva 

•appresentazione  della  Pamela  nubile,  recitata  dalla  Duse]. 

Smerdi].  Dopo  V  Otello.  [Sonetto.  —  Sta  in  :  Gazz.  music,  di 

1889,  n.  48]. 

A.,  U anima  di  Giuseppe  Verdi;  ai  giovanetti  italiani.  — 

Casa  edit.  del  Risveglio  educativo,  Tip.  Elzeviriana  di  Gui- 

tfondini,  1901,  in-le^,  fìg.,  pp.  28. 

L,,  ^/  Circolo  Filo- Cantanti  [di  Milano.  Concerto  in  occa- 

lo  scoprimento  dei  busti  a  Rossini,  Bellini,  Donizetti  e  Verdi. 

n:  Gazz,  music,  di  Milano,   1888,  n.  52]. 

lo  (Parodia  di  quello  di  Verdi)  al  teatro  Fossati  di  Milano. 

Gazz,  music,  di  Milano^  Ì888,  n.  23]. 
Huseppina  Strepponi,  —  [Sta  in:  Strenna  teatrale  europea 
,  anno  III,  1840.  —  Biogr.  e  ritr.]. 

La  Fenice  „  di  Venezia,  [Inaugurazione  di  un  busto  a  Verdi 
Ione  del  centenario  dell'apertura  del  teatro  stesso;  con  ri- 
ne  del  busto  e  le  lettere  del  Comitato  e  di  Verdi,  in  pro- 

—  Sta  in:  Gazz,  music,  di  Milano,  1892,  n.  42]. 

uovo)  ^  Verdi  „  di  Busseto,  —  [Sta  nel  periodico:  Il  Trova- 
[ano,  1868,  n.  31]. 


r^p 


Cfc: 


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394  ARTB  GONTBMPORANEA 

[Teatro  ^  Verdi  „  in  Padova.  —  Sta  in:  Gazz.  music,  di  Milano,  Il 

pag.  313,  %2\,  329,  337,  con  illustrazioni]. 
[Trionfo  (II)  musicale  di  Verdi.  —  Sta  in:  LiUrary  Digest  (New-Y< 

novembre  1895]. 
Verdi.  Numero  speciale  della  Rivista  Natura  ed  arte,  15  febbraio  1' 

—  Milano,  Fr.  Vallardi,  in-8**,  fig.,  pp.  110,  con  una  tav.  riti 
Contiene:  C.  Db  Lollts,   Verdi  ignorato.  —  A.    SoiTBXDnr 

maestro.  —  C.  Pigobini  Bbri,  Verdi  intimo.  —  U.  Flkbbs, 
hretti  delle  opere  verdiane.  —  L.  Sukeb,  CoUre  e  fiori.  —  T.  < 
NizzABo,  Per  Giuseppe  Verdi  [Lirica].  —  A.  Soffbbdiki,  Il  m 
cista  fuori  dd  teatro,  —  A.  Laubia,  Gli  esecutori  dei  mdodra 
verdiani.  —  E.  Chboohi,  Ricordi  verdiani.  —  D.  Mitblli,  In  n 
di  (Giuseppe  Verdi  [Lirica].  —  F.  Giabblli,  Verdi  e  Pirotto  Tesn 
mattoide.  —  Q.  Zupponb  Strani,  Morto  [Lirica].  —  A.  G.  Gobk 
Verdi  musicista  della  rivoluzione.  —  Q.  G.  Abba,  Voci  di  Mozziti 
A.  Bbunialti,  Giuseppe  Verdi  al  Parlamento.  —  6.  Mazzoni 
Verdi  e  il  romanticismo.  —  T.  Massabaki,  Dall'Albo  di  Oim 
Verdi  custodito  nella  stia  villa  di  Sant'Agata  [Lirica].  —  E.  Giani 
^  Rigoletto  „  [Lirica].  —  D.  Angbli,  La  fine  d'un  regno.  —  P 
LuoA,  Trittico  [Lirica].  —  A.  Fbanohbtti,  Giuseppe  Verdi  e  la 
sica  tiazionale.  —  A.  M.  Sodini,  U  riposo  estremo.  —  0.  Po< 
Non  è  serio!  —  A.  Fanzini,  Tra  la  folla:  al  passaggio  deUla  l 

—  N.  D'Abibnzo,  a  (Giuseppe  Verdi.  —  L.  Gobio,  Gli  editot 
Giuseppe  Verdi.  —  Tébésah^  27  gennaio.  —  P.  Nubba,  Qitts 
Verdi  nella  caricatura.  —  Fidblia,  Giuseppe  Verdi  e  il  salotto  ( 
contessa  Maffei.  —  S.  Fabina,  Dopo  U  funerale.  —  I.  V.  Bi 
L'ultima  armonia  [Lirica].  —  Ricordi  e  documenti  [Ed  altri  s( 
e  pensieri  e  piccoli  ricordi  ed  omaggi,  ecc.]. 

Verdi.  —  [La  Roma  letteraria  dedica  a  Verdi  il  suo  numero  del  10 
braio.  Contiene  scritti  di  Gaetano  Negri,  Gnoli,  Fogazzaro,  Me 
verde,  Lampertico,  Ermete  Novelli,  ecc.]. 

Verdi.  —  Scena  (La)  illustrata.  Rivista  quindicinale  di  letteratura, 
e  sport.  Anno  XXXIV,  n.  240,  Firenze,  XV  ottobre  MDGCC 
Numero  XX.  —  Firenze,  Tip.  della  Scena  Illustrata,  1898,  ii 
%•»  PP-  14«  —  [È  un  numero  unico  dedicato  a  G.  Verdi  pel 
85**  genetliaco].  —  [Altro  numero  unico  verdiano  fìi  pubbli 
dalla  Scena  illustr.  nel  1900]. 

[Giuseppe  Verdi].  —  Supplemento  straordinario  alla  Guazzetto  must 
di  Milano,  27  novembre  1889.  In  4''  fig.  [Contiene  scritti  di  Gi( 
Carducci,  Montalti,  Giacosa,  Panzacchi,  Ricordi,  ecc.;  fra  i  fae-si 
si  notano  una  lettera  del  Carducci  e  la  prima  pagina  della  parti 
autografa  dell'  Otello]. 


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SAGGIO   DI   BIBLIOGRAFIA   VERDIANA 


395 


Famiglia  Artistica  „  [di  Milano,  la  sera  del  13  febbraio  1893. 
i:  Gazz,  music*  di  Milano,  1893,  n*  8-9]. 
Suu  Eccellenza  il  Ministro  della  Pubblica  Istruzione.  To- 
[E  una  lettera  datata  da  Busseto,  14  ottobre  1861,  colla 
rdi  approva  e  consiglia  il  Corista  normale  di  Parigi].  — 
periodico  II  teatro  italiano,  anno  I,  n.  2,  air  articolo  :  "  Del 
.  -  Milano,  1867]. 

/  M*^  Verdi  al  M°  Florimo^  archivista  del  Collegio  di  mu- 
fapoli.  [Con  essa  Verdi  rifiuta  rofifertagli  direzione  del  Con- 
)  di  Napoli.  La  lettera  contiene  la  famosa  frase  :  Tornate 
e  sarà  un  progresso^  —  [Sta  nel  periodico  //  Trovatore 
n.  4,  1871]. 

.  Sindaco  di  Napoli  dopo  le  rappresentazioni  dell*  Aida 
lan  Carlo.  Lamenta  la  negligenza  con  cui  generalmente  si 
10  gli  spettacoli  teatrali.  —  Sta  in  :  Gazz,  music,  di  Mi- 
3,  pag.  126]. 

proposito  di  una  pretesa  cauzione  che  avrebbe  voluto  Tim- 
per  la  prima  esecuzione  del  Nabucco.  —  Sta  in;  Gazzetta 
di  Milano,  1876,  pag.  41]. 

'-  M"*  Pedrotti,  colla  quale  rifiuta  Tinvito  di  andare  a  To- 
ssistere  alle  rappresentazioni  deìVAida.  —  Sta  in  :  Gazzetta 
di  Milano f  1875,  pag.  10], 

data  6  febbraio  1861,  colla  quale  ringrazia  il  presidente 
iato  che  propugnò  la  sua  elezione  a  Deputato  pel  Collegio 

San  Donnino.  —  Sta  in:    Gazzetta   musicale  di  Milano^ 

•]• 

baritono  Giraldoni  sulla  maniera  di  cantare  in  generale 
armente  il  suo  Simon  Boccanegra,  —  Sta  in:  Gazzetta 
a  Milano,  1860,  n.  25.  Estr.  da  una  biografia  di  Verdi 
\  a  Parigi  dagli  editori  Ponjeau  de  Laroche  &  C.  nell'opera 
t  petits  personnages]. 

Verdi.  Progetto  di  onorare  la  memoria  di  Rossini  colla 
one  di  una  Messa  di  requiem  che  avrebbe   dovuto  essere 
lai  più  distinti  maestri  italiani  „.  —  Sta  in:  Gazz.  music, 
I,  1868,  pp.  379,  398-399]. 
re  inedite,... 

dCATO  A.,  Sulla  riforma.,, 

f.  —  [Sta  in:  Gazz,  music,  di  Milano,  1875,  pag.  380]. 
useppe  Verdi,  XXVII  gennaio  MDCCCCI.  Trittico  poU- 
-  Sesto  S.  Giovanni  (Milano),  Tip.  ^  C.  Doni,  1901,  in-16^ 


re 
e:» 


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885 


ARTf  CQIIT»(iH>ilANBA 


Deutsche  Bevus,  9^  ToL  del  1987]. 
Zv.i(NCfi  8m  Upa  Wia^n^  dì  SMto  ^vìl^.  PlurQi:^  ^(«i  riqliìeqtp  H 

^  8ta  in;  <f<w.  «Hmf.  c^^  4«W,  J890,  ^  50]. 


U.  --  Op^re  teatr»U«  musica,  sacra 

Oberto  conte  di  San  Bonifacio.  Dramma  in  due  atti.  —  Milano,  t 
17  novembre  1889. 

Esecatori:  àoìme,  Raineri-Marini,  Shavo,  Sacchi -Tlomìià:  i 
Marini. 
Il  finto  Stanislao  (Un  giorno  di  regno).  Melodramma  giocoso  indù 
di  Felice  Romani.  —  Milano,  Scala,  5  settembre  1840. 

Esecutori  :  donne,    Marini,  Abbadia  •  Uomini  :    FerloéH,   St 
Salvi,  Rovere,  Vaschetti,  Marconi. 
Nabucco.  Dramma  lirico  in  quattro  atti  di  Temistocle  Bolwa.  —  li 
Scala,  9  marzo  1842. 

Esecutori  :  donne,  Strepponi,  Bdlimaghi,  Ruggeri  -  Uomifii  : 
coni,  Miraglia,  Deriois,  Rossi,  Marconi, 
l  Lombardi  aUa  prima  crociata.  Dramma  Hrìco  in  quattro  atti  d 
mistocle  Solerà.  —  Milano,  Scala,  11  febbraio  1843. 

Esecutori:  donne, ì?m^^^^  Frezzolini,  Gandaglia -  XJomìm:  8 
Dsrivis,  Rosei,  Marconi,  Vairo,  Guasco. 

[Bffatta  col  titolo  di  Gerusalemme  pel  Teaitro  ddl'Aeeaden 
Parigi.  —  22  luglio  1847.  —  Riduttori  del  libretto  i  sig^.  J 
e  Vaez]. 
Emani.  Dramma  lirico  in  quattro  parti  di  Francesco  M^  Piave.  - 
nezia,  La  Fenice,  9  marzo  1844. 

Esecutori:  donne,  Lowe,  Saini  -  Uomini:  Gtutsco,  Superchi, 
Sanner,  Bellini. 
I  due  Foscari.  Tragedia  lirica  in  tre  atti  di  Francesco  M*  Piave.  —  I 
Argentina,  3  novembre  1844. 

Esecutori:  donne,  Barbieri- Nini,   Ricci  -  Uomini:    De   Bc 
Roppa,  Mirri,  Pozzolini. 
Giovanna  D'Arco.  Dramma  lirico  in  un  prologo  e  tre  atti  di  Temi 
Solerà.  —  Milano,  Scala,  15  febbraio  1845. 


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SAGGIO    DI    BfHLlOGRAFIA    VERDIANA 


m 


i  :  donne,  Frezzólmi  •  Uomini  :    Poggi,  Colini^    Mareoni, 


la  lirica  in  un  prologo  e  due  atti  di    SalTatore  Camma- 

*^apoli,  San  Carlo,  12  agosto  1845. 

ri  :  doime^  Tad<dini,  Salvetti  -  Uomini  :  Arati,  CoktU,  €em, 

Benedetti,  Rossi, 

%  lirico  in  un  prologo  e  tre  etti  éi  Temistocle  Solerà.  — 
ja  Fenice,  17  marzo  1846. 

ri  ;    donne,  Lowe  -  Uomini  :   Marini,  Costantini,   Guasco, 
manelli, 

Melodi*amma  in  quattro  parti  di  Andrea  Maffei.  —  L<Midra, 
Ila  Regina,  21  luglio  1847. 

ri:  donne,  Jenny  Land  •  Uomini  :  LaUache,  Gardoni,  Co- 
ti^ Bùuché. 

ìlodramma  tragico  in  tre  atti  di  Francesco  M*  Piave.  — 
'eatro  Grande,  25  ottobre  1849. 

ri  :  donne,  Eapazzini,  Barbieri- Nini  -  Uomini  :  Fraschini, 
De  Bassini,  Petrovich^  Cucchiari,  Alhanassich. 
i  Legnano,  Tragedia  lirica    in    quattro    atti  di  Salvatore 
io.  —  Roma,  Argentina,  27  gennaio  1848. 
ri  :  donne,  De  Giuli- Bersi,   Marchesi  -  Uomini  :    Sottovia, 
Testi,  Giannini,  Colini,  Fraschini,  Buti^  Ferri. 
tfelodramma  iragico  in  tre  atti  di  Salvatore  CammM'ano. 
,  San  Carlo,  8  dicembre  1849. 
ri  :  donne,   Gazzaniga,  Salvetti  -  Uomini  :  Selva,  Malvezzi, 

Bassim,  Eossi, 
Aroldo. 

jdramma  in  tre  atti  di  Francesco  M*  Piave.  —  Venezia, 
?,  11  marzo  1851. 

ri:  donne,  Brambilla,  Saini,  Casaloni,  Morselli  -  Uomini: 
%r€ai,  PonZy  Damini^  Kunerth^  ZuUani,  Bellini,  Rizzi. 
►ramma  in  quattro  parti  di  Salvatore  Cammarano.  —  Roma, 
ì  gennaio  1853. 

ri:  donne,  Penco,  Gaggi,  Quadri  -  Uomini  :  Gmcdardi,  Mau- 
Ideriy  Bozzoli,  Marconi ^  Fani. 

Opera  in  tre  atti  di  Francesco  M*  Piave.  —  Venezia,  La 
marzo  1858. 
ri:  donne,  Salvini j  Donatelli,  Speranza,  JBeriwi  -  Uomini  : 

Varesi,  Zuliani,  Dragone,  Silvestri,  Bellini,  Borsata,  Tona^ 


CO 


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A  k 


398  ARTS  OONTEMPORANEiU 

I  Vespri  siciliani.  Opera  in  cinque  atti  di  E.  Scrìbe  e  C.  DaTeyri 
Parigi,  Opera,  13  giugno  1855. 

Esecutori:  donne,  Lotti,  Panizza  -Uomini:  Pancani,  Ferri, 
nago,  Poggiali,  Senigaglia, 
Aroldo.  Opera  in  quattro  atti  di  Francesco  M^  Piave.  —  Rimini,  ^ 
Nuovo,  16  agosto  1857. 

Esecutori:  donne,  Lotti,  Panizza  -  Uomini:  Panconi,  Ferri, 
nago.  Poggiali,  Senigaglia. 

[È  un  rifacimento  dello  Stifdio,  datosi  la  prima  volta  a  Ti 
Teatro  Grande,  16  novembre  1850]. 
Un-baUo  in  maschera.  Melodramma  in  tre  atti.  --  Roma,  ApoUo,  1 
braio  1859. 

Esecutori  :  donne,  Dejeau,   Sbriscia,  Scotti  -  Uomini  :   Fras 

Giraldoni,  Santucci,  Bossi,  Bemardoni,  Bazzoli,  Foffi, 

La  forza  del  destino.  Melodramma  in  quattro  atti  di  Francesco  M*  ] 

—  Pietroburgo,  Teatro  Imperiale  italiano,  10  novembre  18€ 

Esecutori  :   donne,    Barbot^  Nantier-Didier  -  Uomini:    Ch^ 

Tamberlick,  Angelini,  De  Bassini,  Marini. 

Nuova  edizione  con  aggiunte  e  cambiamenti   dell' A.  —  M 
Scala,  20  febbraio  1869, 
Ma€heth,  Melodramma  in  quattro  atti   di   Francesco   M*  Piave.  - 
renze,  Pergola,  14  marzo  1847. 

—  Seconda  edizione  rifatta.  —  Parigi,  Teatro  lirico,  21  aprile  18 
Don  Carlos.  Opera  in  cinque  atti  di  Méry  e  Camillo  Du  Locle.  - 

rigi,  Opera,  11  marzo  1867. 

—  Prima  esecuzione  in  Italia.  —  Bologna,  Comunale,  27  ottobre 
Aida.  Opera  in  quattro  atti  di  Antonio  Ghislanzoni.  —  Cairo  (Eg 

Teatro  dell'Opera,  24  dicembre  1871. 

Esecutori:  donne,  Grossi,  Pozzoni  -  Uomini:  Costa,  Mangine 
dini,  SteUer,  Stecchi-Bottardi. 
;       I  )  —  Prima  rappresentazione  in  Italia.  —  Milano,  Scala,  8  febbraio 

'       I;  Esecutori:  donne,   Waldfnann,  Stolz  -  XJoxmm  :  PafH>leri,  Fat 

;       '  ;  Maini,  Pandolfini,  Vistarini. 

Simon  Boccanegra,  Melodramma  in  un  prologo  e  tre  atti  di  Fran 
M*  Piave.  —  Venezia,  La  Fenice,  12  marzo  1857. 

—  Nuova  edizione  rifatta.  —  Milano,  Scala,  24  marzo  1881. 
Esecutori  :  donne,  D'Angeri,  Cappelli  -  Uomini:  Maurd,  De  Ri 

Salvati,  Bianco,  Tamagno,  Fiorentini. 
Otello.  Dramma  lirico  in  quattro  atti  di  Arrigo  Boito.  —  Milano,  -6 
5  febbraio  1887. 


I 
I       I 


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Sàggio  di  ribliografu  Ybrduna  399 

Esecatori: donne,  Pantaleani,  Petrovich- Uomini:  Tamagno,  Maurel, 
Parali,  Famari,  Navarrim,  Limanta,  Lagomarsino. 
Fahtaff.  Commedia  lirica  in  tre  atti  di  Arrigo  Boito.  —  Milano,  Scala, 
9  febbraio  1893. 

Esecatori  :  donne,  Zilli,  SteMe,  Pasqua,  Ouerrini  •  Uomini:  Maurd, 
Pini' Carsi,  Garbin,  Pardi,  PdagaUi-RosseUi,  Arimondù 

Musica  sacra. 

Messa  di  requiem  pel  primo  anniversario  della  morte  di  Alessandro  Man- 
zoni. —  Milano,  Chiesa  di  San  Marco,  22  maggio  1874. 

Esecatori  :  donne,  Stolz,  Waldmann  •  Uomini  :   Capponi,   Maini. 
Pater  noster,  volgarizzato  da  Dante,  per  coro  a  cinqae  parti. 
Affé  Maria,  volgarizzata  da  Dante,  per  ana  voce. 
Pezzi  sacri:  Te  Deum,  Stabat  Mater;  Laudi  alla  Vergine.  —  Torino  1899. 

[Altre  masiche  minori,  per  chiesa,  composte  in  giovinezza]. 

Compoòixioni  varie» 

Quartetto  per  istramenti  d'arco. 

Inno  ddle  Nazioni,  versi  di  Arrigo  Boito,  composto  per  la  grande  Espo- 
sizione di  Londra  ed  esegaito  al  Teatro  della  Regina  il  24  maggio  1862. 

Cori  delle  tragedie  di  Manzoni,  a  tre  voci. 

Il  Cinque  maggio,  a  voce  sola. 

[Concerti  e  variazioni  per  pianoforte,  Serenate,  Cantate,  Arie,  ecc., 
tatte  composizioni  giovanili]. 

m.  —  Critica  delle  Opere. 

Albibti  L.,  1816-1887.  Il  melodramma  italiano  [DalV  "  OteUo  „  di  Bos- 
sini  aU'  ^  Otdlo  „  di  Verdi],  —  [Sta  in  :  (Gazzetta  musicale  di  Mi- 
lano, 1887,  n.  12]. 

^Alzira  „  di  Verdi.  —  [Sta  in:  (}azz.  mus,  di  Milano,  1847,  pag.  28.  Vi 
si  legge  :  *  Verdi  ha  parlato  fino  ad  ora  ai  sensi,  e  pochissime  volte 
al  caore...  B  momento  di  ana  modificazione  è  solennemente  gianto 
per  Verdi...  l'arte  vaole  da  lai  ano  scopo  naovo,  altre  mire  meno 
illasorìe,  meno  sensaali;  più  intellettaali,  più  estetiche,  più  vere. 
—  Paò  egli  forlo?  Crediamo  che  sì.  —  Vorrà  egli  farlo?...  ,]. 

Appendice  (Un^)  musicale  del  sig.  De  Rovray  (pseadonimo  di  P.  A.  Fio- 
rentino) nel  Moniteùr  [a  proposito  della  Traviata  in  particolare  e 

Ri9i$ln  muMieaU  italiana.  Vili  27 


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400  ARTE  CONTEMPORANEA 

di  Verdi  in  generale].  —  [Sta  in  :  (hus9eUa  muaicaU  di  MìUmo^  1857, 

pag.  385,  397,  414.  —  Al  Fiorentino  rispose  pare  II  Trovatore  di 

Torino,  novembre  1857  :  risposta  riportata  nella  OazzetUi  Musicaìe 

del  1857,  pag.  397]. 
Aboais  F.   (DO,  La  prima  e  VuUima  opera  [^  OteUo  ^]   di   Verdi,   — 

Nuova  Antologia,  I,  1887]. 
Babbili  F.,  Note  ed  appunti  sul  ^  Falstaff  „  di  Verdi,  —  Torino,  Ba- 

ravalle  e  Falconieri,  1894,  in-16*. 
Basivi  A.,  Studio  sulle  opere  di  G,   Verdi,  —  Firenze,  Tofiani,  1859, 

in-8%  pp.  324. 
BiLLAiouB  C,  **  Falstaff  „  au  Théàtre  de  V Opera  comique,  —  [Sta  in  : 

Revue  des  deux  mondes,  3*  voi.  del  1894]. 

—  La  musique  italienne  et  V  ^Othdlo  „  de  Verdi,  —  [Sta  in:  Rev%te  des 

deux  mondeSf  1"*  novembre  1894]. 

—  Musique  italienne  et  musiciens  aUemands.  —  [Uno  dei  sottotitoli  è: 

Trois  pièces   religieuses   de  Verdi],  —  [Sta  in:  Revue  des   deujc 
mondes,  1"*  giugno  1898]. 
Bellini  L.,  Sul  ^  Nabucco  „  dd  M*  Verdi.  Sonetto.  —  [Sta  in:  Rivista 
teatrale  europea,  anno  8'',  1845,  Milano]. 

—  Luigia,  SuU'  ^ Emani  „  del  ìt  Verdi.  Sonetto.  —  [Sta  in:  Strenna 

teatrale  europea,  anno  8'',  1845,  Milano]. 

Bertrand,  Des  nationalités  musicales  à  propos  de  ^  Don  Carlos  „  de 
Verdi.  —  [Sta  in  :  Revue  moderne,  voi.  41«,  1867]. 

Blazk  db  Burt  H.,  Musiciens  eontemporains,  —  Paris,  1856,  in-S*", 
pp.  289.  —  [Le  pagine  205-222  contengono  un  capitolo  intitolato: 
•  Verdi  :  Nabucodònosor,  Les  deux  Foscari  „]. 

Boselli  J.,  Échos  de  la  dernière  saison  musicale.  [Ritiene  opera  sba- 
gliata il  Falstaff],  —  [Sta  in:  Revue  britannique,  agosto  1894]. 

Bouroeaut  P.,  G.  Verdi  et  ^  Aida  „.  —  Paris,  1880,  in-4». 

C.  C,  Dopo  V  ^  Otello  „  [Sonetto  a  Verdi.  —  Sta  in:  Gazzetta  musicale 
di  Milano,  1889,  n.  12J. 

Cantata  (La)  del  M" Verdi  per  la  grande  Esposizione  di  Londra,  e  sua  let^ 
tera.  -  [Sta  in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1862,  n*  18,  19,  21, 
e  22  :  quest'ultimo  numero  porta  l'esito  deiresecu7Ìone  e  la  poesia 
della  cantata]. 

Caputo  M.  C,  La  "  Scala-rebus  „  e  le  "  Ave  Maria  „  di  G.  Verdi.  - 
[Sta  in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1895,  n.  27]. 

Casamorata  L.  F.,  ^  Macbeth  „,  Melodramma  di  F.  Piave,  musicato  dj 
G.  Verdi.  —  (Sta  in:  Gazz,  music,  di  Milano,  1847,  n»  15,  17,  18, 


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SAGGIO  DI   BrBLIOORAPIA   TEIIOIANA  401 

20-22.  È  un'analisi  tematica  con  saggariBEienti  di  modificazioni  ri- 
tmiche e  melodiche]. 

Clèxesi  F.  et  Labou8SE  P.,  Dictiormaire  des  opéras^  contenant  fana- 
lyse  et  la  nomenclatnre  de  tons  les  opéras...,  revn  et  mis  à  jour 
par  A.  Pongin.  —  Paris,  Libr.  Larousse,  1898,  in-8*. 

€oBio  L.,  Una  pergamena  a  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  Oazz,  Mime, 
di  Milano,  Supplemento  al  n.  2  del  1884.  La  pergamena  fa  offerta 
a  Verdi  in  occasione  della  rappresentazione  del  Don  Carlos  (nuova 
edizione)  alla  Scala]. 

€oRBiERi  À.  0.,  Le  donne  nelle  opere  di  G.  Verdi.  —  [Sta  in:  Gazzetta 
musicale  di  Milano,  1895,  n.  85]. 

Dbpakis  G.,  a  proposito  del  ^  Falstaff  „.  —  [Sta  in:  Gazzetta  letteraria, 
Torino,  1898,  7,  18  febbraio]. 

Dbstbaobs  É.,  Uévclution  mtisicale  chez  Verdi,  —  ^  Aida  „,  ^  Othello  „, 
^  Falstaff  „.  —  Paris,  Pischbacher,  1895.  —  [Studio  pubblicato 
pure  neWOuest  Artiste  (Nantes),   1895]. 

Don  Carlos  [Per  recensioni  la  Gazz.  music,  di  Milano  ha  fra  Taltre  un 
Supplem.  straord.  al  n.  12,  24  marzo  1867.  È  la  critica  del  Prevost 
nel  giornale  La  Franee.  —  I*  esecuzione  a  Parigi.  —  IT*  esecu- 
zione a  Bologna,  2  ottobre  1867]. 

IDoni  (Due)  dei  Milanesi  a  Verdi  per  la  !•  rappresentazione  iéìTAida 
alla  Scala.  Vedi:  Gazz.  music,  di  Milano,  1872,  pag.  47  e  296]. 

Idil  a.,  ^  Simon  Boeeanegra  ;,  di  G.  Verdi.  Costumi.  —  [Sta  in  :  Gaz- 
zetta musicale  di  Milano,  1890,  pag.  90,  122]. 

Entusiasmo  (Per  un)  americano  [A  proposito  del  Trovatore].  —  [Sta 
in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1889,  n.  11]. 

fiscuDiBB  M.,  *  Emani  „...  de  Verdi.  —  Paris,  Lévy,  1858,  in-8^. 

—  *^  Les  deux  Foscari  „...  de  Verdi  —  Paris,  1847,  in-8^ 

*  Falstaff  „.  Commedia  lirica  di  Arrigo  Boito  ;  musica  di  6.  Verdi.  Giu- 

dizi della  stampa  italiana  e  straniera.  —  Milano,  Ricordi,  1894, 
in-16%  pag.  296. 

*  Falstaff  „  (H)  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  :  Nuova  Antologia.  Serie 

terza,  voi.  43%  1893]. 
Filippi  P.,  *"  Aida  „  [diretta  dair Autore]  alUOpéra  di  Parigi.  —  [Sta 
in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  28  marzo  1880]. 

—  Studio  analitico  sul  ^  Don  Carlos  „  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in  : 

Gazz.  music,  di  Milano,  1869,  n»  3,  5,  7,  8,  11,  26,  28,  30,  32-34, 
36,  38;  1870,  n'  10,  12,  18;  1871,  n'  29-31]. 

—  '^  Un  ballo  in  maschera  „,  Melodramma  in  3  atti  ;  musica  di  G.  Verdi. 


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402  ARTE  CO^rrBMPORANEA 

—  Sapplemento  al  n.  2,  1862,  della  Otugz.  music,  di  MUano,  pp.  6. 
[In  fine  si  accenna  alla  voce  che  Verdi  non  volesse  più  scrìvere 
dopo  quest'opera.  Lo  scrìtto  destò  polemiche  per  parte  dell'impre- 
sarìo  —  il  Merelli  —  accasato  di  aver  allestito  l'opera  '  per  dispetto  »; 
accasa  che  egli  tentò  stornare  scrìvendo  che  teneva  '  in  sommo 
pregio  il  signor  maestro  cavaliere  Verdi  ,].  [Dello  stesso  Filippi  vi 
è  nn  altro  articolo  sol  BaUo  in  maschera  nella  Rivista  contem^ 
paranea]. 

Galli  A.,  Cenni  analitici  intomo  alT  ^  OttUo  „.  —  Milano,  Sonsogno, 
1887,  in-16«. 

^  Gerusalemme ,,  (La),  —  [Sta  in  :  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1847 
e  1850]. 

Ghislanzoni  a.,  La  musica  di  Verdi  a  Parigi  ndl'anno  1851.  —  [Sta 
in  :  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1866,  n.  14]. 

GiovAONOLi  R.,  I  progenitori  di  ^  Falstaff  „,  —  [Sta  in:  Nuova  Anto- 
logia, Roma,  15  aprìle  1898]. 

Giudizi  della  stampa  italiana  e  straniera  sull'opera  Otello,  —  Milano,. 
Bicordi,  1887,  fascicoli  2,  in-16^ 

Grande  (La)  dame.  Bevue  de  l'élógance  et  des  arts.  Numero  special  con- 
sacrò à  Falstaff,  avec  26  illustr.  —  Parìs,  1894,  in-4«. 

Uansliok  £.,  Funf'Jahre  Musik  (1891-95)  der  Modcmen  Oper,  — 
BerUn,  1896. 

Labousse  P.,  Vedi  Clément  F.  et  LaboussbT.,  Dictionnaire  des  opéras.,^ 

Levi  P.  [L'Italico],  Lo  spirito  rdigioso  ndla  musica  di  Verdi,  —  [Sta 
in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1898,  n.  18J. 

—  Verdi  e  il  doppio  problema  della  musica  religiosa.  Duplice  soluzione. 
[A  proposito  della  Messa,  del  Te  Deum  e  delle  Laudi  alla  Vergine 
Maria,  —  Sta  in:  Rivista  d'Italia,  Roma,  Società  editrìce  Dante 
Alighieri,  anno  IH,  fascicolo  4"*,  15  aprìle  1900]. 

Mackenzie  a.  C,  Tre  letture  sopra  il  ^  Falstaff  „  di  Verdi  fatte  alla 
Royal  Institution  of  Great  Britain,  Traduzione  del  maestro  P.  Maz- 
zoni. —  Milano,  Ricordi,  1894,  in-16*».  —  (Estr.  dalla  Gazzetta  Mu- 
sicale di  Milano,  2**  semestre  1893). 

Maitland  J.  a.  F.,  ^  Falstaff  „  and  the  New  Italian  Opera.  —  [Sta in: 
Nineteenth  Century,  London,  V  semestre  1893,  pag.  803]. 

Matto  (II)  [?]^  AW  amico  E,  Reyeì',  critìco-musicale-appendicista  del 
Journal  des  débats,  compositore,  maestro,  bibliotecario,  ecc.  ecc.  r 
[A  proposito  déìTAida], 

Mal  BEL  V.,  A  propos  de  "  Falstaff  „,  —  [Sta  in:  Revue  de  P<iris,. 
maggio  1894]. 


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bAGGlO  DI   BIBLIOGRAFIA  VERDIANA  403 

Mahiil  V.,  A  propoa  de  la  mise  en  scène  du  drame  lyrìque  ^  Otello  „, 
Étade  précédée  d'aper^us  sur  le  Thé&tre  cbanté  en  1887.  —  Rome. 
Bocca,  1888,  in-8*. 

Mazzoni  P.,  Vedi  Maokknzie  A.  C,  Tre  letture,.,. 

Mazzuoato  a.,  ^  Luisa  Miller  „.  Melodramma  tragico  in  tre  atti  di  Sal- 
Tadore  Cammarano;  musica  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta  in:  Gaz- 
zetta musicale  di  Milano,  1850,  n*  88-41,  46]. 

Mkrklii  B.,  Vedi  Filippi  P.,  *'  Un  ballo  in  maschera  „... 

Messa  (La)  da  requiem  di  G.  Verdi  al  teatro  della  Scala.  (Supplemento 
alla  Gazzetta  musicale  di  Milano^  anno  XXXIV,  n.  27.  Domenica, 
6  luglio  1879).  [La  messa  fu  diretta  da  Verdi  stesso  a  benefìcio 
degli  inondati.  Dopo  l'esecuzione,  Torchestra  della  Scala  fece  una 
serenata  innanzi  sXÌ!Hòtd  Milan^  dove  era  alloggiato  il  Maestro]. 

Mittana,  La  obra  futura  de  Verdi.  —  [Sta  in  :  La  musica  rdigiosa  en 
Espana  (Madrid),  1898,  n.  25-27.] 

MoLMiKTi  P.,  La  leggenda  d' ^  Otello  „.  —*  [Sta  in:  Gazzetta  musicale 
di  Milano,  1894,  n.  41]. 

MoNALDi  G.,  Il  ** Falstaff „  e  l'opera  buffa.  —  [Sta  in:  Nuova  Anto- 
logia, Roma,  V  febbraio  1897]. 

HoNTBcoBBOLi  H.,  ^  Falstaff „ :  de  Shakespeare  à  Verdi.  —  [Sta  in: 
NouveUe  Revue,  voi.  81«,  1893]. 

NouiTLABD  G.,  ^  OteUo  „  de  Verdi  et  le  drame  lirique.  —  Paris,  Pisch- 
bacfaer;  et  Florence,  Loescber,  1887,  in-lG"*. 

Operas  of  Verdi.  —  [Sta  in:  Saturday  Review  (London),  1*  semestre 
1896,  pag.  596]. 

Opere  di  Verdi  rappresentate  a  Vienna.  —  [Dal  1843  al  1889.  —  Sta 
in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1889,  n.  51]. 

Opere  (Le)  di  Verdi  a  Parigi.  —  [Elenco  delle  prime  rappresentazioni 
colà,  colla  data,  e  il  nome  degli  artisti.  —  Sta  in:  Gazzetta  mu- 
sieaU  di  Milano,  1894,  n.  17]. 

^OtMo  „  —  [Sta  in  :  Saturday  Review,  l*  sem.  1887,  pag.  147,  222; 
2*  sem.  1889,  pag.  89,  73 ;2''  sem.  1891,  pag.  77,  111]. 

*  Otdlo  „.  —  [Sta  in:  Saturday  Review,  1894,  voi.  78,  pag.  430]. 

*  OteUo  jf.  Numero  unico  —  Milano,  25  dicembre  1886,  Tip.  Bellini. 

*  OtiUo  „  (U)  di  Verdi.  —  [Numero  unico    pubblicato   come    Supple- 

mento del  Corriere  della  Serd\.  —  Milano,  1887. 
P.,  Ancora  la  critica  francese.  —  Risposta  ad  un  articolo  di  Scudo  pub- 
blicato nella  Revue  des  deux  mondes,  dicembre   1856,  a  proposito 
delle  opere  di  Verdi.  —  [Sta  in:  (razz.  music,  di  Milano,  1857,  n.  3]. 


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404  ART£  CONTSMPOaANEA 

Panzacchi  £.,  ^  Aida  „,  ^  [Poesìa.  —  Sta  in:  Gazzetta  musicale  d£ 
Milano,  1889,  n.  48]. 

Parodia  dOT  ^  Aida  „  [al  San  Carlino  di  NapoK.  —  Sta  in:  ii  Tro- 
vatore, Milano,  1878,  a.  19. 

PsNA  A.  Oofii,  ^  Aida  „.  Ensayo  critico  mancai.  —  Madrid,  Iglesias  et 
Oarcia,  1875. 

PouGiN  A.,  Vedi  Glémint  F.  et  LaroussbP.,  Dictionnaire  dee  opera».., 

Prbvost,  Vedi  Don  Carloa. 

Quartetto  (Un)  di  Verdi.  —  [Sta  in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1873^ 
n.  14,  e  1876,  n»  24,  26,  46]. 

Rappresentazione  (Prima)  dell'opera  Aida  al  teatro  dell'Opera  di  Pa- 
rigì  (Supplemento  alla  Gazzetta  musicate  di  Milano,  28  marzo  1880). 
[Sono  articoli  estratti  dai  principali  giornali  di  Parigi]. 

RicoBéì  G.,  Un'opera  nuova  [^  Falstaff  „]  di  Giuseppe  Verdi.  —  [Sta 
in:  Gazzetta  musicale  di  Milano,  1890,  n.  48]. 

—  Vedi  Sai«t-SaéN8  C,  [Dal  Voltaire..,]. 

RoosYELT  B.,  Milan  and  ^  Othello  „:  Street  live  of  Verdi.  —  London^ 
Ward  &  Downey,  1887,  in-8^ 

Saint-Sa£ns  C,  [Dal  Voltaire,  giornale  di  Parigi,  la  Gazzetta  musicale 
di  Milano  del  26  ottobre  1879  riporta  tin  articolo  di  Saint-Sa^ns 
contrario  a  Verdi  a  proposito  specialmente  àelTAida.  H  Pungolo, 
giornale  di  Milano,  rispose  ;  e  8aint-Sa6ns  cercò  scasarsi  con  lettera 
pubblicata  dal  Pungolo  il  7  Novembre.  6.  Bicordi  nella  Gazzetta 
musicale  di  Milano  del  9  novembre  commentò  la  polemica]. 

Sassaboli  V.,  Considerazioni  sullo  stato  attuale  dell'arte  musicale  in 
Italia  e  sull'importanza  dell'opera  Aida  e  della  Messa  di  Verdi. 
Aggiuntevi  le  due  lettere  [vedi  le  Due  lettere  del  Sassaroli]  della 
sfida  da  lai  proposta  all'editore  Tito  Ricordi  e  al  Maestro  Giuseppe 
Verdi  e  dai  medesimi  rifiutata.  —  Genova,  Tip.  della  Gioventù,  1876, 
in-8«,  pp.  44. 

-^  [Dos  lettere  con  cui  propone  di  rifitre  egli  VAida  sullo  stesso  libretto 

servito  a  Verdi.  —  Sta  in:    Gazzetta  musicale  di  Milano,  1876, 

pag.  15,  16,  32]. 
Scudo  P.,  ^  La  Tramata  „  de  Verdi.  —  [Sta  in:  Revuedes  deuxmondeSy, 

15  dicembre  1856]. 
Seobé  C,  La   storia  di  "  Falstaff  j,.  —  [Sta   in  :  Rassegna   nazionale, 

voi.  71%  1893]. 

Shbdlock  J.  S.,  G.  Verdi:  ^  Falstaff  „.  —  [Sta  in:  Academy  (London), 
anno  1894,  voi.  45,  pag.  442]. 


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SAGGIO  DI    BIBLIOGRAPlA   VERDIANA 


4(» 


/  capolavori  musicali  del  nostro  secolo,  (Atti  dell' Acca- 
impica  di  Vicenza,  anni  1893-'95).  —  Vicenza,  Paroni, 
-S\ 

L.,  Verdi  e  le  sue  opere.  —  [Sta  in:  Gazzetta  musicale  di 
1889,  n*  27-30,  35-36,  39-47,  50;  e  1890,  n*  2-5,  8,  10, 
1,  24,  26,  27]. 

di  Verdi.  Studio  critico  analitico.  —  Milano,  C.  Aliprandi, 
li  Operai,  1901,  in-S**,  pp.  299,  con  ritr.  —  [Dal  Proemio: 
oli  che  compongono  questo  libro,  pubblicati  alcuni  anni 
nella  Gazzetta  musicale,  sono  stati  modificati  e  ampliati...  „]. 
Avant  ^  Falstaff  „,  M,  Arrigo  Boito,  —  [Sta  in  :  Revue 
amatique,  Paris,  15  aprile   1894J. 

Verdi's  ""  Falstaff  „„  —  [Sta  in  :  The  FortnigMy  Review, 
erie,  voi.  53",  1893]. 

pallone  [Poesia  contro  il  M*'  Vincenzo  Sassaroli  che  voleva 
iida.  —  Sta  in  Gazzl  music,  di  Milano^  1876,  pag.  45]. 
?  e  artisti.  —  Napoli,  Pierro  e  Veraldi,  1900,  in- 16**,  voi.  2. 
[I,  pag.  172  e  seg.,  contiene:  Giuseppe  Verdi,  La  Messa 
?m.  Verdi,  Falstaff^. 

t  A.,  La  nota  dominante.  Questioni  di  stile  musicale,  in  re- 
)XV Otello  di  Verdi.  —  [Sta  in:  Gazzetta  musicale  di  Milano ^ 
311. 

)k),  a  propos  de  V  ^Otello  „  de  Verdi  [Raffronto  con  quello 
i].  —  [Sta  in  :  La  nouvelle  Revue,  Paris,  15  settembre  1894]. 
Falstaff  ^.    Numero  speciale  del   periodico    Vita  moderna. 
10,  12  febbraio  1898,  in-folio,  fig.,  pp.  16. 
^  Rigoletto  „)  di  Giuseppe  Verdi  al  teatro  Argentina  di  Roma, 
e  il  Rigoletto  fu  chiamato   Viscardello  :  modificazioni  fatte 
Qsura.  —  Sta  in:  Gazz.  music,  di  Milano ylSòl,  n.  40]. 
mo  [di  rìtorno  dall'aver  diretto  VAida  a  Parigi]:  18  aprile 
upplemento  alla  Gazz.  music,  di  Milano,  15  aprile  1880). 
i  riportati  articoli  di  tutti  i  principali  giornali  di  Milano]. 
igi  [quando  ivi  si  rappresentò  per  la  prima   volta   VAida. 
Gazzetta  musicale  di  Milano,  7  aprile  1880]. 
Falstaff  „,  Numero  unico.  —  Milano,  Treves,  1892,  in-f.,  fig. 
Jtello  „,  Numero  unico.  —  Milano,  Treves,  1887,  in-folio,  fig. 
Otello  yfj  Numero  straordinario.  —  Fiume,  2  aprile  1893. 


S 


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406  ARTE  CONTEMPORANEA 

IV.  —  Periodici  musicali  da  consultare»  conoscendosi 
le  date  delle  prime  rappresentazioni,  o  di  altro 
avvenimento  verdiano»  ecc. 

Nota.  —  Si  notano  qui  ì  periodici  prìDcipalissimi  ;  ma  il  lettore 
potrà  ricorrere  anche  agli  speciali  giornali  teatrali,  particolarmente 
di  Milano,  quali,  ad  esempio,  Il  Trovatore^  Il  mondo  artistico^  la 
QiUBetta  dei  teatri^  il  Gosmorama,  ecc.  [Vedine  V  elenco  neirJln- 
nuario  della  stampa  del  Berger,  che  da  alcani  anni  si  pabblica  a 
Milano].  Pei  giornali  italiani  cessati  si  può  consultare  con  utilità  la 
Guida  della  stampa  periodica  del  Bernardini  e  molti  altri  repertori 
simili,  dei  quali  dà  notizia  il  Fumagalli  nella  sua  Bibliografia  sto- 
rica del  giornalismo  italiano  (Firenze,  1894).  Così  pure  il  lettore, 
colla  scorta  delle  date,  saprà  da  sé  trovare,  riguardo  alle  opere  e 
alla  vita  di  Verdi,  gli  articoli  dei  giornali  politici.  Fra  questi  vanno 
specialmente  notati  quelli  del  Filippi  nella  PerseveranMa  di  Milano, 
di  Leone  Fortis  nel  Pungolo^  del  D'Arcais,  del  Biaggi,  di  Ippolito 
Valetta,  del  Depanis,  ecc.,  ecc.  —  A  facilitare  le  ricerche  dei  gior- 
nali musicali  vedi  inoltre  il  seguente  indice: 

Frktstattsb  W.,  Die  musikalischen  Zeitschriften  seit  ihrer  Enistekwtg 
bis  zur  Gegentoari;  chronologisches  Verzeichniss  der  periodischen 
Schriften  Uber  Musik,  Mùncben,  1884,  in-8*'  ;  e  direttamente  per  la 
stampa  francese,  la  Bibliographie  de  la  presse,..  dell*Hatin. 

La  cronaca  mtisicale  (Pesaro). 

Le  cronache  teatrali  (Berna). 

Le  courrier  musical  (Parigi). 

La  fédération  artistique  (Bruxelles). 

La  France  musicale  (Parigi). 

Oazette  musicale  de  la  Suisse  Romande  (Ginevra). 

Gazzetta  musicale  di  MUano. 

La  Guide  musicale  (Bruxelles). 

Ilustracion  musical  hispano-americana  (Barcellona). 

L'insegnante  di  musica  (Roma). 

Le  Journal  musical:  buUetin  international  critique  de  la  bibliographie 
musicale  (Parigi). 

Le  Ménestrd  (Parigi). 


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8A0010  DI  BIBUOGRAFU  TXRDIANA  407 

Monatshefte  fUr  Musik-Oeschichie  (Berlino)  [Esiste  Vindice  dei  TolL  I-X 

(1869-78)  compilato  da  B.  Eitner]. 
MonMy  musical  recard  (Londra;. 
Musikalieche    Wochenechrift  (Lipsia)   [Vi  ò   Vindice  dei   TolL    I-XXV 

(1870-'94)  compilato  da  W.  Fritssch]. 
Musical  Timea  (Londra). 
Music:  a  monthly  magazine  (Chicago). 
Neue  Musik'Zeitung  (Stuttgart-Lipsia). 
Neue  Zeiischrift  fUr  Musik  (Lipsi^). 
La  nuova  musica  (Firenze). 
Ouest  AHiste  (Nantes). 
Ripista  musicale  italiana  (Torino). 
The  Strand  musical  magazine  (Londra). 
Viertdjahrsschrift  fUr  Musihunssenschaft  (Lipsia)  [Ha  Vindice  dei  yo- 

Ituni  I-X  (1885-'94),  compilato  da  R.  Schwartz]. 
Der  VclUcsgesang  (Biel). 

Pisa,  aprile  1901. 

Luigi  Tobbi. 


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LE    DA.TE 

Nascita  —  10  ottobre  1813  a  Bonoole. 
Si  reca  a  Milano  e  chiede  di  essere  ammesso  al  Conserratorio 
Giugno  1832. 
Sposa  Margherita  Barezzi  —  1835. 
Le  composizioni  musicali  1839-1898: 


G.  Verdi  intomo  al  1839 

(Da  ona  litografia 
d«lla  coU«zion«  C.  Yanbiancbi). 

Opere  teatrali. 

1.  Uberto,  conte  di  S,  Bonifacio  (N.  N.).  —  Teatro  alla  Scala  di  Mi- 

lano, 17  novembre  1839. 
Esecutori:  Raineri-Marini,  Skaw,  -  Salvi,  MarinL 

2.  Un  giorno  di  regno  (1)  (Romani).  —  Teatro  alla   Scala  di  Milano, 

5  settembre  1840. 
EseetUori:  Raineri-Marini,  Abbadia,  -  Salvi,  Ferletti,  Scalese. 

3.  Nabucodònosor  (Solerà).  —  Teatro  alla  Scala  di  Milano,  9  marzo  1842. 

Esecutori:  Strepponi,  Bellinzaghi,  -  Miraglia,  Ronconi,  Dérivis. 

4.  /  Lotnbardi  alla  prima  Crociata  (Solerà).  —  Teatro  alla   Scala  di 

Milano,  11  febbraio  1843. 
Esecutori:  Frezzolini-Poggi,  -  Guasco,  Severi,  Dérivis. 


(1)  Riprodottosi  poi  sa  altri  teatri  col  titolo  lì  finto  Stamiiho,  titolo  eba  tro- 
vasi anche  neiredizione  Ricordi.  Qaetto  libretto  fìi  scritto  dal  Romani  nel  1818. 


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LE  OATK 


lave).  —  Teatro  Fenice  di  Venezia,  9  marzo  1844. 
i:  LOwc.  -  Guasco,  Superchi,  Selva. 
cari  (Piave).  —  Teatro  Argentina  di  Roma,  3  noY.  1844. 
l:  Barbieri-Nini,  ^  Boppa,  De-Ba9€ÌnL 
éTAreo  (Sdera).  —  Teatro  alla  Scala  di  Milano,  15  feb- 
.  1845: 

i:  Frezzolini-Poggi,  -  Poggi,  Collini, 
mmarano).  —  Teatro  8.  Carlo  di  Napoli,  12  agosto  1845. 
i;  Tadolini,  -  Fraschini,  Coletti, 
lera).  -^  Teatro  Fenice  di  Venezia,  17  marzo  1846. 
i:  L5we,  -  Guasco,  Costantóni,  Marini. 
Rave).  —  Teatro  Pei-gola  di  Firenze,  14  marzo  1847. 
i:  Barbieri-Nini,  -  Brunacci,  Varesl,  Benedetti, 
m  (Maffei).  —  Teatro  della  Regina,  Londra,  22  luglio  1847. 
(';  Lind,  -  Gardoni,  Coletti,.  Lablache,  Benché. 
(1)  (Royer  e  Va6z).  —  Académie  Royale  de  Paris,  26  no- 
>re  1847. 

i:  Julian-Vangelder,  -  Duprez,  Alizard,  Prév6t,  Brémont. 
ì  (Piave).  —  Teatro  Grande  di  Trieste,  25  ottobre  1848. 
ì:  Barbieri-Nini,  Rampazzini,  -  Fraschini,  De-Bassini. 
Ita  di   Legnano   (Cammarano).    —    Teatro   Argentina   di 
a,  27  gennaio  1849. 
ì;  De-Ginli,  -  Fraschini,  Collini. 

Uer  (Cammarano).  —  Teatro   S.  Carlo   di   Napoli ,  8    di- 
)re  1849. 

i:  Gozzaniga.  Sahindrì,  -  Malvezzi,  De-Bassini,  Arati,   Selva, 
i^iave).  —  Teatro   Grande  di  Trieste,  16  novembre  1850. 
/;  Gazzaniga,  -  Fraschini,  Collini. 
[Piave).  —  Teatro  Fenice  di  Venezia,  11  marzo  1851. 
i;  Brambilla  Teresa,  Casaloni,  -  Mirate,  Varesi,  Pons. 
ire  (Cammarano).  —  Teatro    Apollo   di   Roma,    19  gen- 
1853. 
t;  Penco,  Goggi,  -  Boucarde,  Guicciardi,  Balderi. 
Ita  (Piave).  —  Teatro  Fenice  di  Venezia,  6  marzo  1853. 
i:  Salvini-Donatelli,  -  Graziani,  Varesi. 
fs  Siciliennes  (Scribe  e  Duveyrier).  —   Teatro   dell'Opera 
arigi,  13  giugno  1855. 
•;  Crovelli,  Sannier,  -  Gneymard,  Bonnehée,  Obin. 


cn 


SS 

re 
co 


ra  è  OD  rìiiiancggiameiito,  con  nuovo  libretto,  dei  Lombardi,  con 
;zi  e  ballabili  pel  teatro  suddetto. 


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410  ARTE  CONTSMPORANBA 

21.  Simon  Boccanegra  (Piave).  —  Teatro  Fenice  di  Venezia,  12  m 

1857. 
Esecutori:  Bendazzi,  -  Negrìni,  Giraldoni,  Vercellini,  Echeverria 

22.  ArcMo  (1)  (Piave).  —  Teatro  Nuovo  di  Eimini,  16  agosto  18{ 

Esecutori:  Lotti,  -  Pancani,  Poggiali,  Ferri,  Comago. 
28.  Un  baUo  in  maschera  (N.  N.).  —  Teatro  Apollo  di  Roma,  17 
braio  1859. 
Esecutori:  Jnlienne-Dejean,  Scotti,  Sbrisoia.   -   Fraschini,   Oiral< 
Bossi,  Bemardoni. 

24.  La  forza  del  destino  (2)  (Piave.  —  Teatro   Imperiale   Italiani 

Pietroburgo,  10  novembre  1862. 
Esecutori:  Barbot,  Nantier-Didiée,  -  Tamberlick,   Oraziani,   De< 
sini,  Angelini.  ' 

25.  Macbeth  (riformato)  (Piave).  —  Teatro   Lirico  di  Parigi,  21   a 

1865. 
Esecutori:  Rey-Balla,  -  Monjauzé,  Ismael,  Petit. 

26.  Don  Carlos  (3)  (Méry  e  Du  Lode).  —  Teatro  dell'Opera  di  Pa 

11  mai^zo  1867. 
Esecutori:  Sass,  Gueymard,  -  Morère,  Faure,  Obin,  David,  Castelli 

27.  Aida  (4)  (Ghislanzoni).  —  Teatro  dell'Oliera  al  Cairo,  24  dicei 

1871. 
Esecutori:  Pozzoni,  Grossi,  -  Mongini,  Steller,  Medini,  Costa. 

28.  Simon  Boccanegra  (rinnovato)  (Piave).  —  Teatro  alla  Scala  di 

lano,  24  marzo  1881. 
EsecutoH:  D*Angeri,  -  Tamagno,  Maurel,  Salvati,  De  Retzké. 

29.  OtiUo  (Boito).  —  Teatro  alla  Scala  di  Milano,  5  febbraio  188 

Esecutori:  Pantaleoni,  Petrovicb,  -  Tamagno,  Maurel,  Paroli,  Ni 
fini.  Li  monta. 

30.  Falstaff  (Boito).  —  Teatro  alla  Scala  di  Milano,  9  febbraio  li 

Esecutori:  Zilli,  Stehie,  Pasqua,  Guerrini,  -  Garbin,  Maurel,    Pi 
Pini-Corsi,  Pelagalli-Rossetti,  Àrìmondi. 


(1)  È  lo  Stiffelio,  riformato  so  nuovo  libretto. 

(2)  Riprodotta,  con  aggiunta  di  pèzzi  nuovi,  al  Teatro  alla  Scala  il  20 
braio  1869. 

(8)  Modificato  e  ridotto  in  quattro  atti  dalVautore,  venne  rappretenta 
Teatro  alla  Scala  il  10  gennaio  1884. 

(4)  Rappresentata  per  la  prima  volta  in  Italia  al  Teatro  alla  Scala  1*8 
braio  1872. 


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1.E   DATE  411 


Musica  da  oamera« 


Sei  romanze:  Non  Raccostare  aU'urna  -—  More,  Elisa,  lo  stanco  poeta 
—  In  solitaria  stanza  —  NéU^orror  di  natte  oscura  —  Per'- 
duta  ho  la  pace  ~  Deh!  pietosa,  oh!  addolorata  (comp.  nel  1838). 

UEsìde,  Aria.  Poesia  di  Solerà  (composta  nel  1889). 

La  seduzione.  Bomanza.  Poesia  di  Balestra  (composta  nel  1889). 

NoUumo  a  tre  voci  (Sopr.,  Ten.  e  Basso):  '  Onarda  che  bianca  luna  ,, 
con  accompagnamento  di  flauto   obbligato  (composto  nel  1889). 

Album  di  sei  romanze  (composto  nel  1845): 

Il  tramonto,  poesia  di  Maffei:  *  Amo  l'ora  del  giorno  che  muore  ,. 
La  zingara,  poesia  di  Meggioni:  '  Che  padre  mi  fosse  ,. 
Ad  una  stella,  poesia  di  Ma£Fei:  '  Bell'astro  della  sera  ,. 
Lo  spazzacamino,  poesia  di  Maggioni:  '  Son  d'aspetto  brutto  e 

nero  .. 
Il  mistero,  poesia  di  Romani:  '  Se  tranquillo  a  te  d'accanto  „, 
Brindisi,  poesia  di  Ma£Fei:  "  Mescetemi  il  vin  ,. 

Il  poveretto,  Bomanza.  Poesia  di  Maggioni  (composta  nel  1847). 

Stomdlo:  *  Tu  dici  che  non  m'ami  „  (composto  nel  1869). 

Inni. 

Suona  la  tromba.  Inno  di  Goffredo  Mameli  (composto  nel  1848). 
Inno  ddle  Nazioni,  composto  per  la  Grande  Esposizione  di  Londra  ed 
eseguito  al  Teatro  della  Begina  il  24  maggio  1862. 

Musica  strumentale. 

Quartetto  per  due  violini,  viola  e  violoncello,  scritto  a  Napoli  ed  ese- 
guitosi in  casa  dell^utore  il  P  aprile  1873. 

Musica  sacra. 

Messa  da  requiem,  per  l'anniversario  della  morte  di  Alessandro  Man- 
zoni. Eseguita  per  la  prima  volta  nella  chiesa  di  San  Marco  in 
Milano  il  22  maggio  1874. 

Pater  noster,  volgarizzato  da  Dante,  per  coro  a  cinque  parti  (due  So- 
prani, Contralto,  Tenore  e  Basso). 

Ave  Maria,  volgarizzata  da  Dante,  per  una  voce  (Soprano),  con  accom- 
pagnamento d^istrumenti  d'arco. 

Eseguiti  per  la  prima  volta,  il  18  aprile  1880,  in  un  concerto 
della  Società  Orchestrale  del  Teatro  alla  Scala  di  Milano. 


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4i2  ARTE  COXTKMPORANEA 

Stabat  Mater  \  Parigi,  Tontro  dell'Opéim,  7  aprile  1898. 

Te  Deutn  \  Torino,  Salone  Verdi  dell'Esposizione,  26  eh 

Laudi  atta  Verdine  )        1898. 

CSompoaizioiii  diverae  inedite. 

Dagli  anni  18  fino  ai  18,  età  nella  quale  si  recò  a  Ifflano  a  sta 
il  contrappnnto,  il  Verdi  Borisse  una  £MTagine  di  petzi;  Marcie 
banda  a  centinaia;  forse  altrettanta  brevi  Sinfimie  che  seryiyanc 
chiesa,  pel  teatro  e  per  accademie;  cinque  o  sei  tra  C!oncerti  e  ^ 
zioni  per  pianoforte,  che  egli  stesso  snonaTa  ndJe  accademie;  moli 
renate.  Cantate,  Àrie;  moltissimi  Duetti,  Terzetti  e  diverù  pez 
chiesa,  fra  cai  uno  Stabat  Mater.  Nei  tre  anni  che  passò  a  il 
scrìsse  poco,  faorì  de'  suoi  studi  di  contrappunto:  due  Sinfonie  ci 
rono  eseguite  a  Milano  in  accademia  prìrata;  una  Cantata  che  fii 
guita  in  casa  del  conte  Benato  Borromeo;  e  diversi  pezzi,  la  ma 
parte  bufi^  che  il  suo  maesti*o  gli  fiEuwcva  eomponre  per  esercizio, 
non  furono  nemmeno  istrumentatL  Ritornato  in  patria,  rieomin 
scrivere  Marcie,  Sinfonie,  Pezzi  vocali,  ecc.;  una  Messa  ed  un  F 
completi;  tre  o  quattro  Tantum  ergo,  ed  altri  pezzi  sacri.  Tra  i 
vocali  vi  sono  i  Cori  delle  tragedie  del  Manzoni,  a  tre  voci,  ed  il  C 
Maggio,  a  voce  sola.  Tutto  si  è  perduto,  ad  eccezione  di  alcune  Sii 
che  si  suonano  ancora  a  Busseto,  e  della  musica  sulle  poesie  del 
zoni,  che  lo  stesso  Verdi  conservava. 

Morte.  —  27  gennaio  1901  a  Milano. 


G.  Verdi  sul  Ietto  di  morte. 

(Dft  fotografia  Oaigoni  e  Bossi  -  MiUno). 


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INTORNO  ALLA  MISURA 
DEGLI   INTERVALLI   MELODICI 


Xlsperl«zxse  ed.  Osservasiosil. 
{Cmt  e  fine,  V.  toI.  Vili,  fase,  1%  pag.  157,  anno  1901). 


4.  Statica  e  dinamica  degli  accordi  musicali.  —  Ammetto  con 
Helmholtz  che  quel  sistema  musicale  che  è  l'ultima  espressione  del- 
l'arte e  che  talmente  s'è  imposto  al  mondo  civile  da  sembrare  a  molti 
connaturale  all'uomo,  il  cui  principio  formale  è  la  tonalità  quale 
fu  inaugurata  da  Monteverde  e  definita  da  Fétis;  abbia  per  formola 
rappresentativa  la  scala  acustica  o  naturale,  i  cui  intervalli  sono  mi- 
surati dai  seguenti  rapporti: 

Gradi:  I»    II»  ili»  IVo   ¥<>    VP  VII-  VIIK 

ir  j     •    1       9        5        4        3        5       15      rt 
Valort  :  1  :  -^  :_:_:_:_:-_-:  2 . 

Questi  numeri  indicano  l'altezza  di  ciascun  suono  relativa  alla  to- 
nica ^  suono  fondamentale  ;  ma  è  possibile  ricavare  le  altezze  rela- 
tive dei  suoni  ira  di  loro  presi  due  a  due,  tre  a  tre  ecc.  paragonando 
o,  meglio,  dividendo  i  due  rispettivi  rapporti  Vuno  per  Valiro;  così 

per  trovare  l'intervallo  tra  il  III®  e  il  VP  grado,  divido  rispettìva- 

5        5  3 

mente  IIP  :  VP  =  -^  :  -r^  ^  -j-  ^  intervallo  di  quarta  alla  quale 


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414 


ARTB  GONTBMPORANBA 


4 


darò  il  senso  di  quarta  discendente,  chiamando  ascendente  il  n 
VP  :  III»  =  -j^  :  -j-  =  -g-  0  reciproco.  Con  questa  regola  si  i 
vano  i  rapporti  melodici  della  scala  ascendente  : 

lo  :  IP  :  III*  :  IV*  :  V*  :  VP  ^  VIP  :  VIIP 

A     JI2.      i?.      JL     i?.     JL      i?. 

8         9  15  B         9         8  15 

che  dimostra  la  varietà  dei  gradi,  dei  quali  neppur  due  vi  sono  e{ 
di  seguito. 

Queste  relazioni,  e  quante  se  ne  possono  ricavare,  sono  indipenc 
dal  valore  o  altezza  assoluta  del  suono  fondamentale,  il  cui  v) 
si  assume  come  unità  di  misura. 

Quindi  8i  mantengano  identiche  qualunque  sia  il  suovm  eh 
adotta  per  tonica. 

Dunque  gli  accordi  perfetti  : 


^^ 


hanno  la  stessa  formola: 


1  1-^:^  =  4:5:6. 


Analogamente  : 


li     iy  i'^^-^lO^ 


hanno  per  formola: 


IVO .  V»  •  VIP  ^~-  —  J^  .  A  .  J^  .  A 

e  così  di  seguito.  Questa  legge  non  è  puramente  matematica 
ancora  eminentemente  artistica.  È  canone  fondamentale  del  sis 
armonico  moderno,  che  gli  intervalli  della  scala,  come  di  ogni 
posizione  musicale,  si  mantengano  identici  e  nello  stesso  ordine, 
lunque  sia  il  tono  in  cui  si  eseguisce:  condizione  necessaria  I 
pel  trasporto  che  per  le  modulazioni. 


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INTORNO  ALLA  MISURA   DEGLI  INTERVALLI  MELODICI  415 

Questo  modo  dì  considerare  gli  accordi  nei  rapporti  armonici  dei 
suoni  che  li  compongono,  può  definirsi  :  Teoria  della  statica  degli 
accordi,  perchè  ha  per  oggetto  la  struttura,  la  posizione,  la  forma 
deiraccordo,  cioè  tutto  ciò  che  costituisce  la  sua  essenza;  indipen- 
dentemente dai  legami  reciproci  che  gli  accordi  contraggono  nelle 
successioni  armoniche  (1). 

Sotto  questo  aspetto  il  trattato  di  Helmholtz  si  può  dire  esauriente  ; 
infatti,  contiene  una  maravigliosa  analisi  e  classificazione  dei  prin- 
cipali bicordi,  tricordi,  ecc.  manifestandoci  insieme  la  causa  fisica 
della  maggiore  o  minore  compatibilità  simultanea  dei  diversi  suoni 
accettata  dal  senso  artistico. 

Quella  che  lascia  molto  a  desiderare  sia  dal  lato  artistico,  sia  dal 
lato  acustico  è  la  dinamica  degli  accordi  ossia  la  teoria,  degli  ac- 
cordi considerati  nelle  loro  successioni  armoniche;  che  ha  per  oggetto 
le  leggi  secondo  le  quali  si  preparano  e  si  risolvono,  le  cause  della 
maggiore  0  minore  compatibilità  successiva  degli  stessi;  cioè  una 
analisi  e  classificazione  delle  forze  tendenti  sia  ad  attirarsi  sia  a  re- 
spingersi reciprocamente. 

La  dottrina  di  Helmholtz  su  questo  punto  si  riassume  cosi:  L'intera 
massa  dei  swmi  e  delle  successioni  armoniche  deve  presentare  una 
affinità  stretta  e  sempre  appregeahile  con  una  tonica  liberamente 
scelta,  dal  punto  di  partenza  e  punto  di  arrivo  di  tutto  Vinsieme 
dei  suoni.  L'illustrazione  dei  gradi  di  affinità  per  la  comunanza  dei 
suoni  parziali  è  veramente  felice ,  perchè  manifesta  una  causa  fisica 
d'un  fatto  che  pareva  puramente  psicologico.  Ma  il  far  dipendere 
l'affinità  melodica  de'  suoni  dagli  armonici,  è  un  considerare  la  me- 
lodia come  caso  particolare  d'armonia,  una  armonia  successiva,  es- 
sendo le  cause  delle  consonanze  armoniche,  pure  cause  delle  affinità 
melodiche. 


(1)  Anche  i  trattati  moderni  d^armonia  che  si  sforzano  ridurre  le  tradizioni  e 
i  precetti  delParte  in  un  sol  corpo  di  dottrina,  basato  su  principio  scientifico, 
adottano  questa  distinzione;  ma  sono  ben  lungi  dal  raggiungere  cosi  desidera- 
bile perfezione  (Gfr.  6.  6.  Bernardi,  Armonia,  Manuali  Hoepli,  1897). 


Ri»i§Ui  miuieaU  italiana^  Vili. 


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416  ARTft  eovnMPOBAHmA 

Io  dio»  efae  non  bcsU  applicare  àU'aeeorda  1«  stesso  ragioBamento 
cke  sì  £&  per  i  moni  isolati  della  nelodia  considerandolo  onne  na 
individo»  DKtticale»  coma  vaa  sola  foraa  rbsltante  dei  sooi  aaom  che 
A  compone  orile  riraltaati  degli  aKrì  accordi.  L'annonia  ma  è  come 
la  oompoflìsene  dei  oidori  ;  Tocddo  non  discerné  tra  i  eolori  qbwbìbì 
d'uno  spettro  naturale  ed  uno  spettro  dipinto»  fiale  m  semplice  e 
quale  eospoetOt  ma  Foieechìo  musicale  percepisce  j^  aoeerdi  in  suc- 
cessione anàlitkamffltto  e  smteticameBte.  CóUa  smim  eomprenie 
raccordo  mtemsivmmmte,  come  «a  tatto  inaieme  di  suoni,  ed  esàem- 
mamenie  come  insieme  armenko  di  pk  accordi  (lo  parole  e  le  pn- 
posizioni).  CoUa  analisi  non  solo  disceme  ia  ciascun  accordo  i  singoli 
snoni  e  i  rapporti  statici  che  lo  caratterizzano,  ma  riferisoe  ciascun 
suono  d'un  accordo  ai  angeli  sasni  Mraeosrda  che  lo  segae  osria 
melodicamente. 

È  questo  un  capitolo  della  dinaarìca  degli  accordi  sul  qimle  ri- 
chiamo Tatteniione  dei  fisici  e  dei  musici  e  die  è  il  punto  di  pa^ 
tenza  del  mio  ragionamento.  Suppongo  i  seguenti  aeccHrdi  legati  in 
successione  armonica,  in  Do  maggiore: 

ABC 

-^ — a. 


IB2Z 


T  T  "^ 

Considerati  staticamente,  sono  identici,  avendo  la  slessa  formola: 
1:  -|-:4-:2  =  4:5:6:  8 

per  ciò  che  riguarda  i  loro  elementi  materiali,  cioè  il  numero  e  l'am- 
piezza degli  intervalli.  Ma  riferiti  alla  stessa  tonalità  ognuno  ha  un 
carattere  tale,  che  anche  senza  successioni,  cioè  fatti  sentire  isolata- 
mente, dopo  scelta  la  tonica  ed  affermata  la  tonalità,  si  distinguono 
immediatamente  l'uno  dall'altro  da  ogni  buon  musico.  Questo  carat* 
tere  può  definirsi  energia  potensfiale  o  di  posizione  rispetto  alla  to- 
nica, il  che  si  esprime  riferendoli  al  Do  =  l  : 

a[I:-5-:A:4b[44:2:A],c[4:«4:,]. 


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INTORNO  ALLA  MIBOIIA  tfÉOU  mtCKTALLT  MILODICI  417 

Queste  fimaole  éìomio  che  t  rupparti  cotta  Umica  mio  iuHi  di* 
verti,  mentm  f'è  Tisto  ebe  ì  nip]K)rti  reciproci  dei  eiiom  sono  eguali  « 
V*è  un'altra  prèfrietà  statica  ohe  ooaoorre  come  firttora  deireaer^a 
petenaialer  ed  è  fa  sénriiuta  dmrsa  dei  ìoro  iniervcM  ommimi^ 
ifwuKùio  si  cootidera  ogni  intevfallo  con»  risaltante  dalla  soTrappo- 
81  «i0M  dèi  gradi  diatoniei  drtla  scala. 


Gradi  diatonici: 
B  [FaiSol^-^,  SoliLé=^  -^,  La  :  Si  ^-^,  8i  :  Do  =  ^] 

C[Sol:La  =  ^,La:8i=-^,Si:I)a^^,Ih:IU=-^, 

Vuol  dire  che  la  somma  dei  gradi  diatonici  costituenti  gli  inter- 
valli omonimi  sono  eguali  negli  accordi  A,  B,  C,  ma  fa  distribu- 
srione  è  diversa  in  ciascuno  di  essi.  —  Cosi  le  quarte: 

Sol  :  Do  =  Do  :  Fa  =  Be  :  Sol 

sono  eguali  in  ampiezza,  diverse  per  struttura. 

Analogamente  nell'analisi  delle  forze  che  danno  movimento  agli 
accordi;  distinguo  prima  quelle  che  risulteno  dall'azione  della  to- 
nica sui  singoli  suoni  della  scala,  per  cui  si  dice  che  ogni  suono  ha 
una  propria  funzione  tonale,  come  ha  diverso  intervallo  colla  tonica; 
sicché  ogni  accordo  ha  una  affinità  colla  tonica  eguale  alla  somma 
delle  affinità  dei  suoni;  da  quelle  che  legano  gli  accordi  Tun  l'altro 
e  che  io  considero  eguali  alla  somma  algebrica  delle  affinità  melo- 
diche che  hanno  i  singoli  suoni  d'un  accordo  coi  singoli  suoni  del- 
l'altro. 

Mi  prendo  la  libertà  di  spiegare  il  mio  pensiero  con  una  analogia. 
Considero  le  forjfe  tonali  come  attrazioni  verso  la  tonica,  le  melodiche 
come  attrazione  e  ripulsioni   elementari  tra  suoni  di  due   accordi. 


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418  ARTI  OONTBMPORANSA 

Qaelle  in  una  saccessioDe,  terminata  artisticamente,  passano  per  un 
ciclo  di  trasformazioni  di  energie  vive  in  potenziali  e  viceversaf  tali 
che  la  somma  totale  è  zero  quando  il  ciclo  si  cbiade.  Le  azioni  re- 
ciproche degli  accordi  compiono  un  lavoro  elementare  e  locale  mentre 
le  attrazioni  tonali  si  estendono  su  tutta  la  composizione;  le  melo- 
diche rispondono  alla  struttura  degli  accordi.  —  In  arte  si  suol  se- 
parare le  parti  o  andamenti  melodici,  ma  tutta  l'attenzione  è  rivolta 
alla  loro  equa  distribuzione  e  distinzione  e  alla  buona  conduttura 
per  la  esecuzione.  Artisticamente  la  partitura  della  successione  pro- 
posta avrebbe  una  cattiva  struttura,  per  la  somiglianza  delle  curve 
melodiche  : 


g/    ^- 


m 


Ma  teoricamente  i  legami  melodici  sono  assai  più  varii  e  numerosi  r 


Ogni  noia  d'un  accordo  è  legata  melodicamente  con  tutte  le  note 
delVaccordo  vicino,  con  intervalli  diversi.  Così  il  Sol  deiraccordo  A 
forma  coi  suoni  dell'accordo  B  i  seguenti  intervalli: 

Sol:Fa=  |-,  Sol:  La  =  ~,  Sol  :  I)o  =  -^,  8ol:Fa  =  -^ 
poi: 
Mi  :  Fa  =  -}|,  Jft  :  Za  =  4"»  ^«  :Do=-^,  Mi  :  Fa  =  ^ 

e  così  di  seguito  ai  avranno  tanti  intervalli  melodici  quante  sono  le 
cambinazioni  di  8  suoni  due  a  due. 


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INTORNO   ALLA    MISURA   DEGLI    INTERVALLI   MELODICI 


419 


lo  il  ragionamento  a  tutti  e  quattro  gli  accordi,  si  pos- 
are quattro  suoni  uno  per  accordo  per  costruire  un  anda- 
sue,  si  avranno  tante  curve  melodiche  diverse  quante  sono 
sioni  di  sedici  suoni  quattro  a  quattro. 
>rma  di  analisi  armonica  può  rassomigliarsi  alla  risolu- 
forze  nelle  componenti,  delle  quali  le  tonali  formano  un 
trale  e  le  melodiche  sono  infinitamente  varie  per  inten- 
ne e  senso.  A  prima  vista  s'intravede  che  i  legami  melo- 
essere  assai  più  liberi  e  varii  che  i  legami  armonici. 
atura  sono  queste  forxe  melodiche?  Se  si  ricavassero  i 
intervalli  melodici  della  successione  armonica  A,  B,  C,  D, 
e  che  tutti  si  riscontrano  nella  scala  naturale  o  acustica, 
jherebbe  la  definizione  di  Helraholtz  che  le  cause  delle 
irmoniche  sieno  pure  cause  delle  affinità  melodiche.  Quindi 
Iodica  è  una  risultante  delle  tonali  dei  due  suoni  : 


)  Tintervallo  melodico  Mi  :  La  si  può  risolvere  in  : 
Mi  :  La  :=  Do  :  La  —  Do  :  Mi  ; 


s 


5^ 
3  ' 


=    ó-,  Do  :  Mi  = 


Mi  :  La 


'attrazione  o  legame  dei  due  suoni  colla  tonica  è  causa 
mutuo  0  melodico.  —  Se  non  che  il  concetto  di  Helm- 
siale  ed  è  ben  lungi   dal  soddisfare  a  tutto   il   sistema 
[  quale  ammette  innumerevoli  legami  extratonali, 
imo  le  due  successioni  A,  B,  C  e  A',  B',  G\  : 


li 


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À  L 


400  àBTE  comanpotLàMmJi 

lì  saaao  Mi  Dagli  aooordi  A  e  A'  ba  tra  intaryalli  malodìai  omo- 
nimi eoi  suoni  Do,  La,  Be  dai  (lue  acoordi  B  •  B'  ;  ma  ogni  buon 
mssiao  n  (dia  ae  gli  aoaardi  A  a  A^  si  possono  coandarare  oooie 
avanti  la  stassa  funaioni  tonali;  i  suoni  dai  dna  B  a  B^  hanno  tnttf 
iifarsa  fonzicMia  oonsarvando  lo  stasaa  noma.  11  ila,  à  II  grado  io  B, 
è  IV  in  B'  ;  il  Za,  è  VI  grado  in  B  ad  è  sacondo  o  nono  in  B'  aoo. 
L'aaoordo  B  è  di  sattima  di  saoonda  spaoia  sul  saaondo  grado  in  Do; 
il  W  k  aoaardo  di  satkima  di  dominanta  in  Sd.  Vuol  dira  aha  l'ac- 
cordo F  è  riCirita  ad  altra  tonica,  a  i  suoi  auooi  hanno  un  aantfo 
saoandario  d'attrasiona  dal  quala  dipandono  dirottamaota,  a  solo  in- 
diraltamaata  dai  primo. 

Dnnqua  naoassariamanta  nalla  dna  suocassicmi  è  mutata  la  natura 
dai  lagami  melodici. 

Lf|  cosa  si  può  oanoapira  cori,  coma  il  passaggio  da  un  aontra  ad 
altro  di  aaardinata  cartasiana  ia  gaomatrìa  analitica,  dova  à  nacas- 
sario  tener  conto  delle  relazioni  che  legano  i  due  centri.  Sa  il  Mi 
appartiene  alla  tonalità  di  Do,  e  il  Xa  a  quella  di  Sol,  per  avere 


rintervallo  melodico  La  :  Mi  si  deve  levare  dalVintervallo  Iam  :  M 
quello  ài  Do  :  Sol  che  separa  le  due  toniche 

La  :  Mi  =  [{La  :  Sol)  :  {Do  :  Sol)]  :  \Mi  :  Do] 

e  Confrontare  coirintervallo  Mi  :  Do;  ciò  significa  che  il  legame 
melodico  dei  due  suoni,  è  ancora  espresso  in  funzione  dei  loro  legami 
tonali  ;  ma  in  nM>do  indiretto,  cioè  in  funziona  deirattnità  delle  daa 
toniche. 

Questo  modo  di  vedere,  tutto  conforme  all'arte,  scioglie  il  nodo 
della  questione  intorno  agli  intervalli  melodici. 

Vediamo  infatti  che  cosa  avviene  degli  intervalli  melodici.  Dalla 
regola  della  scala  si  hanno  le  seguenti  formolo  : 


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INTORNO  ALLA  MnORA  OBOLI  INTERVALLI  MBLODICI  4^ 

A  [1 ..  4  =  4:  4  B[4  :4=-|-=  4  c(-|.:4:-|-.f  ] 

A'[.=  4  =  4:4f[4=«:4:4],c[.  =  4-.«  =  4]. 

Scegliendo  ora  tre  suoni  per  foripare  una  melodia  si  ha  : 
Mi  :  La  :  Sol  ^=-j-  :  -j- 1  -^ 

nel  primo  caso. 

Per  avere  la  stessa  nel  IP  caso  è  necessario  riportare  alla  tonica 
fondamentale  Do  =  1 


^g 


=  ì 

ì  valori  degli  accordi  B'  e  C  che  furono  riferiti  alla  nuova  tonica 
secondaria  Sol  =  1^  il  che  si  fa  levando  da  ciascun  intervallo  di 
B'  e  C  rintervallo  che  passa  tra  le  due  toniche;  così  si  avrà  iiel 
11^  caso: 

^r        o  1         5       93o3  5        5    81       3 

Beco  una  curva  melodica  diversa  dalla  prima,  che  contiene  un 
suono  non  compreso  nella  scala  naturale  di  Do,  e  che  non  ha  colla 
tonica  Do  alcuna  relazione  tonale  o  di  affinità.  Al  suono  estraneo 
corrispondono  intervalli  pure  nuovi. 

Nella  prima  melodia  si  ha: 

Mi  :  La  =-^  e  La  :  Sol  =:  -^; 

nella  seconda  melodia  si  ha: 

Mi:  La=  -^^  e  La  :  Sol  =  -^^ 

entrambi  gli  intervalli  melodici  omonimi  sono  diversi.  Il  nuovo  La 
suol  dirsi  pitagorico  perchè  fa  colla  tonica  Do  un  intervallo  proprio 


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ARTE  GONTBMPORANBA 


della  scala  pitagorica  =  Do  :  2ia  =  ^  ^  =  -jg-,  ma  i 

nominazione  impropria  perchè  è  un  suono  isolato  della  scal 
rìca  e  perchè  coll'apparire  di  questo  suono  non  tutti   gli 


4    81 


non  è 


sono  pitagorici  p.  es.  la  quarta  La  :  Mi  =  -^  ^ 

tagorica,  sapendosi  che  le  quarte  pitagoriche  sono  tutte  eg 
è  eminentemente  acustica  ed  è  la  IV»  che  giace  sul  Vr  gr 
scala  acustica  che  ha  per  tonica  il  Sol.  Anche  la  trasforma: 

10  9 

l'intervallo  La  :  Sol  di  minore  -g-  in  ms^giore  -^  è  indizi 

tamento  di  tonica  e  comparato  colla  quarta  &  conoscere  et 
maggiore  che  separa  i  due  primi  gradi  della  scala. 

Volendo  ora  classificai-e  gli  intervalli  melodici  e  da  essi 
reciproche  tra  i  due  accordi  A'  e  B',  si  concbinde: 

Tutti  gli  intervalli  de'  suoni  due  a  due  sono  acustici  e 
trano  nella  scala  che  ha  per  tonica  il  Sol  collo  stesso  ordine, 
e  funzione  tonale  ;  dunque  tutti  affermano  la  nuova  tonalità 
alla  tonica  Do,  alla  quale  si  suppone  che  appartenga  raccor< 
intervalli  che  contengono  il  Fa  It  sono  estranei  ;  gli  inter 
contengono  il  La  sono  per  la  posizione  pitagorici.  Gli  altr 
mente  sono  equivoci  potendo  appartenere  all'una  e  all'altr 
Questi  rappresentano  l'attrazione  indiretta  per  i  due  centri, 
forze  ripulsive;  questi  aifermano  le  due  tonalità,  quelli  U 
distaccarle. 

Con  simile  ragionamento  e  analisi  si  avrebbe  per  gli  intei 
lodici  seguenti  tra  E  ed  F  che  sono  sedici: 


E        F 


&=gy 


w 


135 


Do  :  i>o  t  =  Tpo  non  esiste  nelle  due  scale  acustica  e  pi< 


128 


81 


Mi  :  Mi  =  -^  non  esiste  in  nessuna;  è  enarmonia. 


1 


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INTORNO  ALLA   MISURA   DEGLI  INTERVALLI  MELODICI  423 

Interralli  pitagorici: 

Ti  TiM"  8      80      TV  T.J,.  5      81 

Do^  : -Bft  = -5- 3j- Do,  :-af»  =  -^-gg-, 

T\^   .  T^  ^    81     j.        T  6     80 

Do,  :  Xa  = -3- Qg-,2)o,  :La  =  -5- -gj-. 


Interyalli  acasticì: 


64 


Sof:Doj|  =  -g-,  Jlfi:Doj|=-|-; 

Sol  :Mi=  -^^,Mi:La=-^^,Sol:La  =  -^ 

propri  della  scala  in  Be  maggiore.  Tatti  gli  altri  sono  acustici  non 
comuni  alle  due  tonalità,  ma  proprii  della  prima  e  sono  i  seguenti  : 

Bo^  :  Sol,  Mi  :  Sol,  Sol  :  Sol,  Do^  :  Sol. 

Le  forze  quindi  parte  sono  attrattive  verso  la  prima  tonica,  parte 
sono  attrattive  per  la  seconda  e  parte  sono  ripulsive  o  distruggenti 
ogni  senso  di  tonalità. 

Siamo  ora  in  grado  di  enunciare  la  legge  di  corrispondenza  tra 
gli  intervalli  e  i  legami  melodici. 

L  In  una  successione  armonica  monotonale  tutti  gli  intervalli 
melodici  appartengono  alla  scala  acustica,  e  la  forza  che  lega  i  due 
suoni  formanti  un  intervallo  acustico  (affinità  melodica)  si  può  con- 
siderare  (con  Helmholtz)  come  risultante  della  affinità  dei  due  suoni 
colla  tonica  o  centro.  Non  differisce  dalla  forza  che  lega  gli  stessi 
suoni  in  intervallo  armonico  se  non  in  ciò,  che  qui  produce  lavoro 
potenziale,  lì,  energia  viva. 

II.  In  una  successione  armonica  politonale  gli  intervalli  melo- 
dici tra  due  accordi  appartenenti  a  diversa  tonalità  parte  sono  acu- 
stici sulla  scala  dell'una  o  delFaltra  tonica,  parte  non  sono  tali. 
Le  forze  corrispondenti  agli  acustici  sono  di  affinità,  ma  tendenti 
verso  due  centri  o  toniche;  le  forze  corrispondenti  agli  intervalli  non 
acusticif  sono  ripulsive  o  tendenti  a  diminuire  il  grado  d'affinità. 


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'ì 


421  ARTE  COfTTBMPORANlEA 

III.  Il  numero  degli  intervalli  non  melodici  cresce  colli 
dei  toni  (misurata  col  processo  per  quinte)  o  col  diminuir 
d'affinità  tonale  de*  due  accordi. 

A  determinare  completamente  Tintervallo  melodico,  è  i 
premettere  la  interpretazione  dinamica  degli  accordi,  che  c€ 
determinare  a  qual  tonalità  appartengano  e  la  funzione  U 
ne  consegue.  La  ragione  è  perchè  un  accordo  (p.  es.  Taccon 
appartenere  alla  tonalità  di  Do  come  fondamentale,  al  ton 
accordo  di  dominante,  al  tono  di  8ol^  accordo  di  sotto-dom 


P 


^^ 


Ai  tre  signi 6cati  rispondono  tre  categorie  di  rapporti  m< 
A  e  B,  avendo  tre  gradi  diversi  di  affinità.  1  criteri  stati 
bero  bastare  quando  si  conoscesse  la  struttura  de'  singoli 
armonici,  ma  ciò  tutt'al  più  servirebbe  per  gli  accordi  unii 
se  si  estendono  agli  alterati,  sarebbero  insufficienti  per  la  i 
equivocità  alla  quale  si  prestano.  Dunque  restano  i  criteri 
desunti  dal  contesto,  o  logica  delle  successioni.  Sia  ad  es( 


P 


'^^=^^^^^ 


11  contesto  dice  che  A  può  avere  due  funzioni  una  venx 
verso  B;  Tanalisi  dei  legami  melodici  conferma  l'interpretazi 
gli  intervalli  melodici  tra  A  ed  E  sono  acustici  apparten 
scala  in  Do;  gli  intervalli  di  A  con  B  sono  acustici  vers 
Dunque  in  A  avviene  la  mutazione  di  tono,  che  consiste  ii 
mento  di  funzione  tonale^  da  accordo  fondamentale  di  poc 
sul  quale  risolve  E,  ad  accordo  di  sottodominante  in  Sol  ( 
forma  cadenza  composta  dì  Sol.  L'inganno  di  credere  che 
lozione  avvenga  in  B  e  che  tra  A  e  B  i  rapporti  melodici 
tagorici  viene  dall'assegnare  all'accordo  A  una  sola  funzioi 
lità  di  Do. 


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«TORNO   ALLA   MISURA   DK&Ll   INTCRTALLI    MELODICI 


m 


0  antecedente  dove  si  modula  dal  Do  al  Re  non  può 
Dganno  perchè  i  due  accordi  E  ed  F  non  possono  ap- 
lon  ad  una  delle  due  tonalità  ;  i?i  la  modulazione  si 
allo  colla   spartizione  degli    intervalli    melodici    tra  i 

re  finalmente  che  né  la  interpretazione  dinamica,  né 
ne  abbiano  elementi  sufficienti  per  dare  ai  suoni  d'una 
i  determinati,  come  nelle  monodie,  e  spesso  anche  nelle 

recitativi  dove  le  successioni  armoniche  sono  appena 
IH.  stretto  legame  reciproco  e  neppure  colla  stessa  me- 
!,  dalla  quale  si  scostano  con  ritardi  e  anticipazioni  mar- 
questo  caso  rintervallo  melodico  è  lasciato  più  o  meno 
elta  deiresecutore,  dove  ha  campo  libero  di  esercitare 
bico,  dando  allo  stesso  forme  politonali  svariatissime. 
la  statica  degli  accordi  di  Hclmholtz  lascia  campo  aperto 
one  di  intervalli  melodici  non  acustici. 
Intente  da  cercare  se  v'è  una  legge  sistematica  nella  in- 

tali  intervalli, 

ere  conviene  proporre  il  problema  in  altro  modo:  Dal 
e  due  scale  acustica  e  pitagorica  si  vede  che  esse  dif- 
tre  suoni  che  danno  alle  due  scale  una  struttura  affatto 
r\ì  intervalli  caratteristici  omonimi  differiscono  d*un  va- 


aggiore  pitagorica  = 


TLC-       n  81  5    81 

Mi:  1)0  =  ^  =  -^^ 


La 

Si  :  Do 


Tir.        27  5     81 


243 

128^ 


J5^  81 

8     80 


ecc. 


15 

-g-  sono  i  tre  intervalli  omonimi  della  scala  acustica  ; 

intervallo  pitagorico  si  può  riguardare  come  un  inter- 

81 

alterato  d'un  comma  -^  che  si  chiama  sintonico.  Non 
t  che  ogni  intervallo  acustico  alterato  d'un  comma  di- 
ico. 


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426  ARTE  GONTBMPORANBA 

Ciò  posto,  nel  quadro  sintetico  del  lavoro  citato  di  Blasema  (1)  sì 
vede  a  colpo  d'occhio  come  quel  comma  entra  sistematicamente  a 
formare  colla  scala  naturale  la  struttura  di  tutto  il  sistema  armo- 
nico colle  sue  infinite  tonalità  maggiori  e  minori. 

Io  in  seguito,  col  lavoro  sulla  «  Enarmonia  »,  mi  sforzai  di  inter-* 
pretare  la  funzione  dello  stesso  comma  che  è  essenzialmente  dinamica 
nell'istante  della  modulazione,  entrando  esso  come  fattore  della  mo- 
dulazione, col  mutare  la  struttura  dei  legami  armonici  e  melodici 
adattandola  alla  nuova  tonalità. 

La  regola  è  semplicissima  :  Per  modulare  àUa  quinta  del  tono 
ascendendo  o  discendendo,  come  si  deve  innaUare  o  abbassare  un  deter- 
minato suono  d^un  valore  costante  \ diesis,  bemolle,  bequadro  =  r^l  ; 

81 
COSÌ  si  deve  innahare  o  abbassare  d'un  comma  =  -^  il  suono  che 

sta  alla  terza  superiore. 

Modulando  dal  Do  al  Sol  riceve  un  diesis  il  Fa  e  un  comma  il 
Im;  dal  Do  al  Si  ^,  ricevono  un  bemolle  il  Si  e  il  Mi,  va  sottratto 
un  comma  dal  Be  e  dal  Sol  e  così  di  seguito. 

Una  melodia  quindi  perde  il  carattere  della  monotonalità  quando 
accoglie  un  suono  segnato  sia  dairaccidente  o  sia  dal  comma:  e  come 
col  diesis  0  bemolle  acquista  intervalli  che  non  appartengono  alla 
prima  tonalità  o  anche  a  nessuna  delle  due,  così  col  comma  acquista 
intervalli  proprii  della  seconda  tonalità  ovvero  pitagorici  ed  estranei. 
Così  è  spiegato  il  congegno  della  modulazione;  è  una  trasformazione  e 
perturbazione  di  intervalli  melodici,  colle  quali  Vacddente  ha  per  ufficio 
di  collocare  i  semitoni  al  loro  posto  nella  nuova  tonalità,  e  il  comma 
di  distribuire  i  toni  maggiori  e  i  toni  min(Mri  come  sono  nella  scala 
acustica.  Dunque  il  comma  con  tutte  le  sue  conseguenze  armoniche 
e  melodiche  è  essenziale  alla  scala  acustica  e  non  alla  pitagorica 
che  non  ammette  differenza  di  toni  maggiori. 

La  scala  acustica  quindi  è  la  vera  scala  della  melodia  come  della 
armonia  ;  non  nel  senso  che  la  melodia  ammetta  soltanto  i  suoi  in- 


(1)  Rend.  della  R.  Accad.  dei  Lincei,  2  e  16  maggio  1886. 


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INTORNO  ALLA  MISURA  OBOLI  INTIRTALLI  MELODICI  427 

tervalli  ;  ma  come  quella  che  per  la  sua  struttura  e  ricchezza  di 
suoni,  somministra  gli  elementi  d*ogni  disegno  melodico  (tonale)  fon- 
damentale, e  si  presta  a  tutte  quelle  fioriture,  ornamenti,  nuancea 
che  sembrano  staccare  la  melodia  dairarmonia.  Dalla  stessa  scala  s'è 
dimostrato  che  la  melodia  è  legata  all'armonia  non  solo  per  un  prin- 
cipio estetico  come  lasciano  supporre  Cornu  e  Mercadier;  ma  per  il 
valore  de'  suoi  intervalli,  per  le  trasformazioni  di  essi  e  per  le  ten- 
denze tonali;  così  che  dalla  teoria  statica  degli  accordi  s'è  potuto  rica- 
vare una  teoria  soddisfacente  dei  disegni  melodici  di  quella  classe 
di  melodie  che  appartengono  al  nostro  sistema  musicale. 

5.  Besta  ora  da  verificare  il  mio  assunto  sperimentalmente  e  teori- 
camente, —  Per  la  verificazione  sperimentale  delle  leggi  delle  suc- 
cessioni armoniche  politonali,  io  ho  a  mia  disposizione  1'  <  Harmonium 
colla  scala  matematicamente  esatta  ^t  fatto  costruire  dal  Direttore  di 
questo   Istituto   Fisico,  Sen.  Blaserna,  e  descritto  da  lui  stesso  (1). 

Ogni  suono  della  scala  naturale  ha  quattro  valori  che  differiscono  pre- 
si 
cisamente  del  comma  -^  sintonico  ;  perciò  si  presta  non  solo  a  tutti 

gli  intervalli  puramente  acustici  e  pitagorici,  ma  ad  innumerevoli 
altre  combinazioni  che  potrebbero  occorrere  nelle  strane  modulazioni 
dell'arte  moderna.  Lì  si  possono  ricavare  con  esattezza  gli  intervalli 
melodici  corrispondenti  ad  ogni  successione  armonica,  compararli 
cogli  intervalli  delle  diverse  scale  e  scegliere  gli  esteticamente  migliori. 
Per  la  verificazione  teorica  applico  all'analisi  di  composizioni  clas- 
siche queste  regole  di  armonia  dinamica  basate  sulla  statica  degli 
accordi  di  Helmholtz  ;  incominciando  dal  corale  di  Graun  Im  morte 
di  Gesù^  sul  quale  ho  fatto  l'esperienza  (tav.  II). 


(1)  Rend.  della  P.  Accad.  dei  Lincei,  15  dicembre  1889. 


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Avn  comumponAnMA 


12      t         4»         61         8  »         lOllliltM 


* 


m 


^ 


F  Y?1 


^ 


^ 


^!:^j^' 


«(   |N  •  ri  •  «kx  alt       kk'BW  •  M         «1  • 


IS    1«        n  18       1»    20       91  n  SI         24       iS         2* 

=1—1- 


r^ 


3 


^ 


"-iP" 


^ 


^ 


^ 


m 


joar    det     cS«u  Pa  ->  laii  de       Dìm     lai  nrà       •       me. 


La  parte  del  soprano  è  una  melodia  che  ha  i  caratteri  della  dia- 
tonicità  e  moDotonalità  perchè  si  può  considerare  come  distesa  sulla 
scala  che  ha  per  tonica  il  Fa,  e  non  presenta  indizio  di  modulazione 
esplicita.  Tuttavia  dairarmonizzazione  si  vede  che  l'autore  ha  pre- 
ferito di  dare  aHa  curta  melodica  una  piega  politonale  modulando 
al  tono  di  Do  nella  quarta  misura  e  ritornando  alla  prims  tonica 
nelFottara.  Prìroti  di  applicare  la  regola  statica  per  dare  le  formofe 
degli  accordi  e  poi  ricavarne  h  melodia,  è  necessario  fare  ^ìnterpr^ 
tazione  dinamica.  L'accordo  7  appartiene  certamente  al  tono  Doy  tta 
raccordo  6  è  staticamente  equivoco,  perchè  i  suoi  suoni  figurano 
tanto  nella  scala  di  Fa  che  nella  scala  di  Do. 

Artisticamente  come  appattenente  al  Fa  sarebbe  una  combinazione 
di  cattivo  gusto;  sarebbe  accordo  di  settima  di  seconda  specie  sul 
sesto  grado  che  ammetterebbe  una  risoluzione  sopportabile  se  la  me- 
lodia fosse  nella  parte  del  basso,  cioè  se  l'accordo  avesse  forma  di- 
retta non  rovesciata  ;  mentre  nel  tono  di  Do  è  primo  accordo  di  set 
tima  di  seconda  specie,  ma  sul  secondo  grado,  dove  gli  accordi  5  e  7 
rappresentano  rispettivamente  una  elegante  preparazione  e  risoluzione. 
Quand'anche  raccordo  7  fosse  dubbio  artisticamente  noi  sarà  più 
quando  si  applichi  Tìnterpretazione  dinamica  esposta  di  sopra: 


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w. 


INTORNO   ALLA    MISURA    DEGLI    INTERVALLI   HBLODICI 


e 

<9- 


^ 


m^ 


429 


iiV'' 


H 


5       9 


3    •  ^  '    3 


'r] 


coiraccordo  : 


L  4    •  16  '    2    •    4  J  ' 


SO  si  hanno  i  seguenti  intervalli  melodici  del  La  del- 
oi  suoni  deiraccordo  7. 


La  :  Si  = 


Ì5       5^  J    _ 
16^  "  '4      3"  ~ 


_9 
16 


all'ottava  superiore  è  -|-;  similmente  : 


La:So!=^:^^  =  ^ 


aito  sono  tutti  intervalli  appartenenti  alla   scala  natu- 
5r  i  due  suoni  Fa  e  Do,  ma  se  confrontiamo  il  Re  ot- 


!?>^ 


15 

5 

4 

16 

'    3 

•3 

3 

5 

4 

2 

•    3 

3 

9 

5 

4 

4 

•    3 

3 

5    81     1  .  .  ^.     .      ., 

=  -5-  -gQ  "2"  =  terza  minore  dimmuita 


2  81 

3"  80  ~  quinta  diminuita, 

81  .  ,    . 

^  =  comma  sintonico. 


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430 


ARTB  CONTEMPORANEA 


Tatti  i  rapporti  melodici  del  Re  coi  saoni  dell*  accordo  7,  sono 
alterati  d*an  comma  sintonico.  I  due  Re  non  sono  unissoni,  ma  de- 
vono subire  alterazione  enarmonica;  la  quinta  diminuita  d'un  comma 
esiste  sul  II®  grado  nella  scala  che  ha  per  tonica  Fa,  e  la  terza  mi- 
nore è  pitagorica  per  il  posto  che  occupa,  perchè  nella  scala  naturale 
dovrebbe  trovarsi  sul  secondo  grado.  Tutti  questi  intervalli  estranei 
alla  scala  naturale  svaniscono  nel  secondo  caso,  cioè  col  riferire  al 
Do  l'accordo  6. 


ite  :  òi  =  -jg-  :  -j-  =  -^ 


-^  terza  minore  acustica,  omessa  Tettava. 


3        9  2 

Ite  :  SoZ  =  -g-  :  "^  =  —  quinta  giusta, 


9       9 
ite  :  JBc  =  -j-  :  -^  =  1  unìssono. 


Dunque  dinamicamente  è  preferibile  considerare  come  avvenuta  la 
modulazione  nel  passaggio  dalla  terza  alla  quarta  misura;  tanto  più  che 
applicando  la  stessa  regola  si  troverebbe  che  l'accordo  5  ha  rapporti 
melodici  coiraccordo  6  tutti  acustici,  restando  turbata  soltanto  la  distri- 
buzione, secondo  la  quale  si  distendono  sulla  scala  di  Do,  mentre  i 
rapporti  degli  accordi  4  e  5  sono  distribuiti  sulla  scala  di  Fa, 

Dunque  si  avrà:  per 


Fa=l 


per 


^  L  2    '8    •  ^  J'  ^  L32  •  16  •    8    •    2  J'  ^  L  2    "4    '  ^  *    3  J' 

A.  T-L    —      llrT^S       3       9        3  1 
^  L12  •    6    •   ^J'  ^  L32  •    4    '    8    •    2"J' 

m 


Do  =  l 


''L3    -Sì    -6    ■   8?     [»    •32-4    •8j'''l4    -T^-S-IJ®*^- 


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INTORNO  ALLA   MISURA   DBGU  INTBRTALLI   MELODICI 


431 


COSÌ  di  seguito  fino  al  17;  dal  17-26  si  riporta  dì  nuovo  al  Fa  =  1. 
Scegliendo  un  rapporto  per  ogni  accordo  si  avranno  le  curve  melo- 
diche. La  melodia  del  soprano  risulterà  come  segue  : 

Do:    lU  Do:U 


9        9,, -9       5459         9 


J  r  'f-^  ^^ 


m 


3    5 
2  '4  • 


9.     ,'9 

Q    .   g    .i:  i:    jj     -4  •3-4  •    8    '8 


.53459, 
^  '3  '2  'I^  '4  '8 


1     3.5  81.5  81^.3.3^,5  81.15,0.15.5  81^5  81.3.  - 
*    2*3  85'3  80'2'2'385'8"'**8'380'380'2'^ 


Per  riportare  alla  tonica  JPa  =  1  i  rapporti  riferiti  alla  Do  =  l 
si  moltiplicarono  per  Tintervallo  delle  toniche  Fa  :  Do  =  ^  . 

Finalmente  si  hanno  gli  intervalli  melodici:  eseguendo  le  divisioni 
dei  rapporti  successivi,  si  otterrà  : 


9      fK 

Rapporti  melodici  =  .3-, 


5     2 
5'  4'  3 


8^   ,   9    .    8 
9»  Ifgi  1» 


9     15 


9  MG  '  16   ®^^' 


Questo  disegno  melodico  è  precisamente  identico  a  quello  che  ho 
ottenuto  neiresperienza  esposta  nella  tavola  II''  e  discussa  nelle  pa- 
^ne  seguenti,  dove  si  è  trovato  che  i  rapporti: 

Sol  :  La  :  Si  =  Do:  Re:  Mi 


nel  periodo  centrale  della  melodia,  e  lo  stesso  risultato  si  ha  dall'ana- 
lisi :  ^  :  -9-  '  "15  sono  rapporti  tra  i  gradi  VP  :  VIP  :  Vili®  della 
scala  di  Fa  =  1. 

Inoltre  la  melodia  è  divisa  in  tre  parti,  delle  quali  la  prima  e  l'ul- 
tima appartengono  alla  scala  naturale,  riferite  alla  tonica  Fa;  la 
seconda  è  tutta  sulla  naturale  di  Do. 

Degli  intervalli  di  passaggio  il  Do  :  Re  deve  considerarsi  come 
primo  grado  della  scala  che  ha  per  tonica  il  Do;  riferito  alla  tonica 
Fa  sarebbe  pitagorico,  infatti  è  tono  intero  maggiore  Do  :  Re  =  -^ 
laddove  nella  scala  naturale  l'intervallo  tra  il  quinto  e  sesto  grado 


9 


tono  minore. 


UmiiUi  mustcaU  italiana^  Vili. 


20 


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432 


ARTE  CONTEMPORANEA 


L'altro  intervallo  Do  :  La  =  -^  ài  ritorno  alla  prima  tonai 
acastico  perchè  lega  due  saoni  che  nelle  due  tonalità  hanno  la  s 
altezza  assoluta  senza  avere  la  stessa  funzione.  Finalmente  oa 
che  nel  modulare  dal  Fa  al  Do  si  segna  col  bequadro  il  Si  be§ 
ed  acquista  il  comma  il  suono  alla  sua  terza  superiore  cioè  i 
secondo  la  regola  suesposta. 

Il  caso  considerato  può  definirsi  melodia  politonale  diatonica, 
quale  non  appariscono  se  non  intervalli  acustici  e  naturali,  pure 
riferisca  a  due  toniche  come  vuole  Tarte  e  la  interpretazione 
mica  degli  accordi.  Potrebbe  avere  diversa  armonizzazione  e  qi 
diversa  distribuzione  e  anche  valore  negli  intervalli.  Per  esempio, 
accordi  5,  G,  7,  8  possono  sostituirsi  i  seguenti: 

P  caso: 


^^:ì4-ì-hé 


r 

monotonali  nella  scala  naturale  di  Fa,  ovvero: 
11^  caso: 

5  6  7  8 

politonali  diversi  dal  testo,  con  enarmonia  sul  Re  del  soprano. 
Ecco  le  tre  forme  che  assume  la  curva  melodica: 


^ 


Testo: 
l*  caso: 


11^  caso:-^-  ; 


3 
5 

3 


81 
80' 


5  81       3  ,  ,     . 

~3"  80  •  ~^'  ^^°  modulazione  vicina; 

3 

_5_  81_ 

3  80 


;  senza  modulazione; 

,  con  modulazione  lontana. 


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IXTORNO  ALLA  MISURA  DB6LI  INTSRYALLI  MELODICI 


433 


Interpretando  dinamicamente  il  II^*  caso  si  vede  che  l'accordo  6  ap- 
partiene alla  tonica  Fa  =  1  e  quindi  è: 

il  7  appartiene  al  Do  =  1  e  qaindi  è: 

'  L32  •   3    •   4    •    8  J' 
trasportando  alla  tonica  Fa  =  1  sarà  : 

'  L  32    2    •   3     2    •   4     2    '   8     2  J' 
Donde  si  ricavano  i  tre  rapporti  melodici  caratteristici: 

Be  :  Fa  r=: 

oc  IO  O       ì 

81 


9     3       -  27  5    81  X       .^         . 

8""2"-^  =  l6"  =  '3"80=^^**  pitagorica 

5    81         .  .X         . 

=  terza  pitagorica 


Ee-  s,^-AA.A_8L_ 


80 


9     3        5  81 

Re^  :  Rcq  =  -g-  -g-  :  -s-  =  -^  =  comma  pitagorico. 


Fra  il  testo  e  il  1^  caso  passa  la  differenza  che  il  primo  contiene 
modalazìone  alla  quinta  del  tono,  laddove  il  secondo  modula  dal  8i^ 
al  Do  che  hanno  affinità  più  lontana  distando  due  quinte  8i^  :  Fa  :  Do. 
Si  vede  che  quanto  più  sono  lontani  i  toni  tra  i  quali  si  modula  e 
quindi  hanno  minore  affinità,  tanto  maggiore  è  il  numero  degli  in- 
tervalli melodici  estranei  alla  scala  naturale  che  dividono  i  due 
accordi. 

Lascio  di  analizzare  la  melodia  della  I*  tabella  perchè  non  pre- 
senta alcun  carattere  diverso  da  quelli  della  melodia  di  Graun  ;  piut- 
tosto analizzerò  la  melodia  del  Rossini  (III*  tabella)  che  ha  una  po- 
litonalità assai  complicata. 


a    a'        b    V    e     <f         d    4'    •     •' 


n    W  m 


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434 


ARTE  CONTEMPORANEA 


i 

I 


Questa  successione  può  riguardarsi  come  una  progressione  p 
naie  rovesciata,  ^rchè  la  parte  simoietrica  di  quarta  ascende 
quinta  discendente  è  data  al  soprano,  invece  che  al  basso.  È  mi 
diatonica  che  ammetterebbe  una  armonizzazione  monotonale.  Pei 
terpretazione  dinamica  osservo  che  ogni  accordo  è  ripetuto  in 
che  ò,  e^  d,  e,  n...  sono  di  posa  e  gli  accordi  ò',  e',  cf ,  e',  n'... 
di  moto,  questi  di  preparazione  e  quelli  di  risoluzione:  benché 
tici  nella  struttura,  hanno  diversa  funzione.  Ciò  nonostante  la  m< 
nelle  tre  prime  battute  conserva  il  disegno  monotonale  rìspet 
Do  =  1,  0  tonica,  come  si  potrebbe  verificare  facilmente.  Il 
nodale  è  nel  passaggio  dalla  terza  alla  quarta  misura ,  dove  il  l 
soprano  ha  un  valore  equivoco,  secondochò  si  considera  appari 
alla  scala  di  Do  o  come  tonica  alla  quale  si  arriva  per  una 
di  quinte  : 


nel  primo  caso  Tintervallo  Fa  :  Si  è  acustico,  nel  secondo  è 
gorico;  la  dinamica  degli  accordi  dice  che  e'  è  accordo  perfei 
Fa,  ed  n  è  accordo  perfetto  di  Si  maggiore,  tra  i  quali  non 
alcuna  affinità  quando  si  passa  dall'uno  all'altro  colla  serie  dell 
dulazioni  per  quinte;  l'acustica  poi  (1)  insegna  che  dal  jPa  al 
giunge  per  quinte  ascendenti,  non  mai  per  quinte  discendenti 
Quindi  il  passaggio 


^^ 


sarebbe  un  mero  trasporto  con  rottura  d'ogni  legame  tonale  se 
non  avesse  supplito  con  ripieghi,  quale  è,  oltre  la  natura  della 
gressione  diatonica,  la  ripercussione  del  La  comune  ai  due  ac 
L'analisi  riconosce  questa  interruzione  dei  legami  tonali  dal 
senza  di  ogni  intervallo  acustico  nei  rapporti  melodici  dei  due  ac( 


(1)  Vedi  Blasbrna,  luogo  citato. 


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INTORNO  ALLA  MISURA  DEGLI   INTERVALLI  MELODICI  435 


per 


e  per 


sarà: 


2).=l:e'[4:-f:    1:      ^-J 


Mi  =  1 


'•L4    -16*8    '3    '2] 


Moltiplicando  pel  rapporto  delle  toniche  i  valori  del  secondo  per  ren- 
derli comparabili  col  primo,  si  ottiene,  essendo  il  rapporto 

Do:  Mt=-^^ 

e  riportando  tutti  i  valori  entro  Tettava: 

«■[':4-4] 
ed 

r_6__5_81^.2^_5_81_._9_  l.^.AAJ?Ll 
'•L4     880'   8     880*4     880*3     880J 

ricavando  i  n4>porti  melodici  : 


no:         15   81     r        ^  5    81 

■^  =  *  =  Itt   80  -^  =  -^^  =  ^  80  ' 

Fa  :FaìÌ  =  ^^  -^,  Fa:La=  j--^, 

r        o-  9    81     r         D  "IS   81 

io  :  S»  =  -jg- -gg-,  i>»  :  Jte  =  -g^-  yg-, 

,        -,  »         27    81     r        r  81 


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436 


ARTE  CONTEMPORANEA 


Non  y'è  neppure  un  rapporto  acustico,  quattro  sono  pitagorici,  gli 
altri  né  acustici  né  pitagorici.  La  corrispondenza  tra  la  esperienza 
della  IIl^  tabella  e  il  risultato  analitico,  in  un  punto  co^  difiBcile, 
è  una  bellissima  conferma  delle  teorie  acustiche  in  generale  e  della 
mia  tesi  in  particolare.  A  prima  vista  si  farebbero  unissoni  i  due  La 
nei  due  accordi,  il  Si  diverrebbe  acustico  e  si  avrebbe  un  ravvici- 
namento notevole,  ma  resterebbe  violata  la  legge  fondamentale  delle 
modulazioni  !  In  questo  caso  discendendo  dal  tono  di  Mi  maggiore 
con  una  progressione  modulante  per  quinte,  non  si  ritornerebbe  più 
all'accordo  e'  di  Fa,  cioè  Do  :  Fa  :  La,  ma  ad  un  altro  accordo 
Do  :  Fa  :  La  i  cui  suoni  calano  tutti  d'un  comma. 

Come  esempio  di  melodia  povera  di  armonizzazioni  e  per  conse- 
guenza libera  nei  suoi  movimenti  di  dare  alla  sua  curva,  quella  scelta 
degli  intervalli  melodici,  quelle  inflessioni  che  la  elevano  ad  un  bello 
ideale,  citerò  il  duetto  dello  Siahat  del  Bossini. 

L'analisi  armonica  deiraccompagnamento  è  breve: 

Per  quattro  misure:  Accordi  alternati  sulla  tonica  e  sulla  domi- 
nante nei  violini  ;  nella  quinta  misura,  analoghi  accordi  sul  Do  li  mi- 
nore relativo,  e  nelle  seguenti  ritorno  al  tono  fondamentale  Mi  mag- 
giore con  progressione  modulante  di  quarta  ascendente  e  quinta 
discendente. 

La  curva  melodica  (esclusa  una  nota  esornativa)  è  perfettamente 
diatonica  nel  primo  soprano,  e  considerata  monotonalmente  ha  un 
disegno  chiarissimo  d'intervalli  puramente  acustici.  La  sua  parte 
esornativa  che  le  dona  vita  e  splendore  è  elaborata  dal  secondo  so- 
prano con  una  armonizzazione  veramente  meravigliosa:  tutto  è  ispi- 
rato alle  pure  fonti  della  tonalità  senza  lasciar  luogo  al  più  piccolo 
equivoco  nell'interpretazione  dinamica,  sicché  le  si  può  applicare  ap- 
puntino l'analisi  solita. 


Qoig  et  ho  - 


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INTORNO  ALLA   MISURA   OBOLI  INTBR VALLI   MELODICI 


437 


m 


rr  n-iy  j^ 


Chi  volesse  tradarre  in  nameri  tatti  gli  intervalli  melodici  trove- 
rebbe che  su  venti  note  almeno  che  mutano  funzione  tonale,  appena 
due,  la  15°*^  e  la  19°^*  sono  segnate  dal  comma  pitagorico. 

All'opposto  come  modello  di  recitativo  che  non  isfugge  all'analisi 
da  me  proposta,  non  ostante  una  armonizzazione  succinta,  che  dimostra 
nell'autore  la  più  intensiva  comprensione  delle  forme  armoniche,  è 
il  recitativo  del  1**  atto  del  Parsifal,  del  quale  riporto  le  seguenti 
misure  : 


GaUBXAUB. 

Tho    - 


ran  wir      aaf   Llnd-roagd»       la     of-fen    Wotiii  -  rlg      Hel-lnng    ]ia-d«rt! 


:^^ 


ili 


-b^- 


i^ 


^S 


^m 


=» 


r 


_^/wi>^ — — 


È^ 


|CI 


t    i^ 


!szr 


U^* — 


:^ 


^ 


^ 


^ 


^ 


pS 


^- 


F* 


^ 


:sz: 


5^^*- 


m 


Ecco  la  misura  degli  intervalli  melodici  : 
Si>  :  Be  '.  Do^^  :  Do^\  Bo^:  La:  Fa.  Mi:  Be  :  Sol:  La:  Si>  :Mi^  :Dot:  La= 

5  '    15'        24»       ^        5  ♦     4  ♦    15»     8  ♦     3  ♦     tf  '    16'     2  ♦   Us;  '   8 

Due  soli  intervalli  -^  e  (^j  non  si  riscontrano  nella  scala  acu- 
stica né  nella  pitagorica,  sono  però  derivati  dagli  acustici  ;  gli  altri 
appartengono  alla  scala  acustica  di  Be  minore   tranne  l'intervallo  : 


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438  ARTE  CONTEMPORANEA 

&^  :  Jft'l^,  che  segna  una  cadenza  ingannata,  che  porta  per   conse- 

—  Per  eleganza  e  varietà  di  disegno  melodico  e  ardimento  di  armo- 
nizzazioni il  recitativo  wagneriano  si  pnò  mettere  accanto  al  «  La- 
sciatemi morire  »  di  Claudio  Monteverde  nel  Lamento  d'Arianna. 

Conclusione.  —  Ho  risposto  all'argomento  del  mio  lavoro  colla 
soluzione  di  due  problemi: 

I<>  Data  rinierpretaaione  dinamica  e  artistica  dutia  melodia, 
trovare  U  disegno  melodico  colla  misura  dei  suoi  elementi^  che  sono 
gli  intervalli. 

Al  I*  ho  soddisfatto  colle  esperienze,  constatando  che  il  disegno 
melodico  d'una  melodia  monotonale  consta  soltanto  d'intervalli  acustici: 
che  la  melodia  politonale  ammette  intervalli  non  appartenenti  alla 
scala  acustica  tra  due  suoni  appartenenti  a  due  tonalità;  la  polito- 
nale può  considerarsi  come  composta  di  porzioni  di  melodia  mono- 
tonali rispetto  a  toniche  diverse,  separate  da  intervalli  che  possono 
essere  pitagorici  o  d'altre  scale. 

I  miei  risultati  non  differiscono  da  quelli  di  Gornu  e  Mercadier, 
ma  differisce  l'interpretazione. 

II^*  Dato  il  disegno  melodico  dvma  melodia  per  mejufo  di  ar- 
monùsjsazioni,  ricavare  la  misura  degli  intervalli  e  la  interpretazione 
dinamica. 

A  questo  secondo  ho  soddisfatto  completando  la  teoria  statica  degli 
accordi  di  Helmholtz  colla  interpretazione  dinamica  degli  stessi  e 
applicando  le  conclusioni  alla  analisi  di  melodie  classiche.  Ho  riscon- 
trato non  solo  l'esistenza  di  intervalli  melodici  non  acustici  ;  ma  an- 
cora la  legge  sistematica  secondo  la  quale  entrano  a  far  parte  del 
disegno  melodico  in  conformità  alle  esperienze. 

L'attribuire  alla  melodia  come  suoi  proprii  gli  intervalli  pitagorici 
proviene  dal  modo  erroneo  di  calcolarli,  riferendo  tutti  i  snoni  alla 
tonica  fondamentale  senza  tener  conto  delle  secondarie.  —  Le  regole 
esposte  danno  una  analisi  completa  dei  disegni  di  melodie  ispirate 
alla  tonalità.  Quindi  il  tema  non  è  esaurito;  infatti  la  storia  musi- 


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INTORNO  ALLA  MISURA   DEGLI  INTXRTALLI  MELODICI  439 

cale  dice  che  v'è  grande  varietà  di  melodia  tanto  che  d'ogni  fase 
musicale  si  paò  desumere  il  carattere  dalle  melodie. 

Neirantichità  fino  airorigine  del  discanius  tutta  Tarte  si  svolge 
intorno  alla  melodia;  la  scuola  greco-latina  definì  e  classificò  la  me- 
lodia assai  meglio  che  la  moderna.  Fu  precisamente  Tintervallo  me- 
lodico che  diede  argomento  a  speealazioni  filosofiche  e  matematiche, 
fu  preso  a  base  di  classificazione  dei  tre  generi  musicali  diatonico, 
cromatico,  enarmonico. 

Dall'origine  del  discantus  fino  a  Bach  le  composizioni  polifoniche 
erano  concepite  estensivamente  dal  punto  di  vista  melodico.  Le  regole 
discantandixiisegu^YB,no  a  sovrapporre  due  o  più  melodie  in  modo  da 
conseguire  una  soddisfacente  combinazione  musicale. 

Più  tardi  e  un  po'  alla  volta  si  venne  concependo  la  musica  in- 
tensivamente per  concatenamento  d'accordi  da  risolversi  in  andamenti 
melodici.  Questo  è  il  carattere  della  musica  fondata  sull'armonia  e 
sulla  tonalità  (l).  Senza  citare  i  sistemi  musicali  d'altri  popoli,  spe- 
cialmente orientali,  tanto  basta  per  capire  che  non  si  potrebbero  ap- 
plicare i  criteri  della  melodia  tonale  all'analisi  di  quelle  altre  melodie. 

Di  melodie  ve  n'è  una  infinita  varietà:  che  la  melodia  ha  una 
libertà  assai  maggiore  che  non  pare  nella  scelta  dei  suoni;  noi  siamo 
ben  lungi  dall'aver  gustato  tutte  le  forme  di  nesso  estetico  de'  suoni 
considerati  successivamente.  Quindi  le  melodie  su  descritte  non  sono 
che  varie  forme  melodiche  scelte  dal  genio  dell'arte,  che  vanno  giu- 
dicate separatamente.  Le  scale  possono  servire  a  classificarle,  ma  le 
scale  si  sono  formate  coi  generi  musicali,  quindi  le  melodie  assu- 
mono i  caratteri  del  sistema. 

Per  estendere  a  tutte  le  forme  melodiche  i  principii  esposti  biso- 
gnerebbe sapere  fino  a  qual  punto  il  principio  della  tonalità  concorre 
a  formare  la  melodia.  Allora  è  possibile  un  ravvicinamento  e  nna 
comparazione. 


(1)  Qaci  masici  che  confondono  rarinonia  col  contrappunto  ne  ignorano  le  de- 
finizioni e  rìnegano  la  storia  delVarte. 


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440  ARTB  CONTEMPORANEA 

Ogni  melodia  ha  una  fisonomia  e  un  timbro  proprio  che  rice^ 
sistema  o  dal  principio  che  la  informa,  ma  la  curva  melodica  i 
nentemente  plastica  e  pieghevole  sicché  si  può  adattare  ad  og 
stema.  Essa  pure  conservando  il  suo  disegno  fondamentale,  può  i 
dorsi  come  sopra  una  superficie  in  uno  od  altro  sistema  con 
meno  garbo  e  corrispondente  effetto  estetico. 

Ecco  tracciata  la  via  per  la  classificazione  delle  diverse  m 
e  per  uno  studio  metodico  delle  loro  forme.  Ma  questo  è  argo 
da  trattarsi  in  altro  lavoro. 

Roma,  R.  Istituto  Fisico,  dicembre  1900. 

Dr.  Giulio  Zàmbiasi 

Assistente  nell'Ufficio  centrale  del  Corista  n( 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE 


DI  SCELTA  DEL  DIRETTORE  D'ORCHESTRA 

rte  di  Appello  di  Perugia.  Sentenza  14  agosto  1899)  (1). 
'alea££i  prof,  Enrico  contro  ti  Municipio  di  Foligno. 

kl  direttore  d'orchestra  nella  eseetmone  di  opere  teatrali, 
a  chi  ha  il  diritto  e  la  responsabilità  della  esecwnone. 
ppartiene  aWautore  od  alVeditore  che  abbia  acquistato 
metà  dell'opera;  la  reéponsabilità  appartiene  alV impresa 
e. 

trio  del  teatro  puòj  nel  contratto  colVImpresa,  soltanto 
re,  ma  non  mai  imporre  il  direttore  di  orchestra^  perchè 
\  né  il  diritto  né  la  responsabilità  delF esecuzione. 

Fatto  e  vicende  della  causa. 


PO 


te 

QQ 


CD 

o 


obre  1884,  il  Municipio  di  Foligno  apriva  un  concorso 
Professore  nella  scuola  di  strumenti  ad  arco^  di  piano- 
%nto,  e  di  Direttore  d'orchestra  e  di  Maestro  concertatore. 
Enrico  Galeazzi,  che  allora  tro vacasi  nella  qualità  di 
musica  e  direttore  d'orchestra  a  Pinerolo,  sorrìse  Tidea 
e,  sopratutto  perchè  credeva  che  il  clima  della  verde 


uo  momento  Teniamo   informati   dalFcgregio  a??.  Riccardo  Tonni 
&trocinatore  del  maestro  Galeazzi,  che  h  sentenza  della  Corte  pe- 
i  cassata  dalla  Cassazione  di  Roma,  rinviando  lo  parti  dinanzi  alla 
ilo  di  questa  città, 
tfremo  di  iufurmare  i  lettori  deiresito  del  nao?o  giudizio. 


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442  ARTE  CONTEMPORANEA 

Umbria  sì  confacesse  meglio  alla  salute  di  sua  moglie,  e  quindi 
scrisse  subito  al  sindaco  di  Foligno  che  avrebbe  accettato  il  posto  a 
condizione  che  Vobbligo  di  dirigere  l'orchestra  in  occasione  di  spetta- 
coli musicali,  di  cui  era  parola  nell'art.  12  del  capitolato,  venisse 
convertito  in  dintto. 

Il  sindaco  di  Foligno,  con  lettera  del  4  nmrzo  1885,  gli  rispon- 
deva di  avere  comunicato  la  proposta  alla  Giunta,  che  l'aveva  rico- 
nosciuta accettabile,  riservandosi  però  di  sottoporla  con  parere  favore- 
vole al  Consiglio.  » 

Animato  da  tali  assicurazioni,  il  Oaleazzi  abbandonò  per  volontaria 
dimissione  il  posto  che  aveva  occupato  per  un  decennio  a  Pinerolo, 
e  recatosi  a  Foligno  alla  fine  di  marzo  del  1885,  inaugurò  l'anno  di 
esperimento,  accettando  subito  un  numero  di  scolari  maggiore  di 
quelli  prescritti  dal  capitolato,  ed  ebbe  plausi  e  ringraziamenti  per 
la  sua  bontà  e  cortesia,  e  per  la  stui  spontanea  abnegazione. 

Un  mese  dopo  il  Oaleazzi  faceva  domanda  al  Municipio  affinchè 
venissero  apportate  varie  modificazioni  al  capitolato,  ed  anche  al 
ricordato  art.  12,  nel  senso  che  a  lui  spettasse  il  diritto  di  dirigere 
gli  spettacoli  di  musica  che  si  fossero  dati  nei  teatri  di  città:  ed  il 
Consiglio,  nella  tornata  del  30  maggio  1885,  non  dubitò  di  accondi- 
scendere ai  suoi  desideri,  modificando  l'art.  12  nel  senso  che  in  cir- 
costanza di  opere  in  musica  sia  al  teatro  Apollo  che  al  teatro  Ferroni 
al  prof.  Galeazzi  sarebbe  spettato  Vassoluto  obbligo  e  diritto  di  agire 
come  maestro  concertatore  e  direttore  di  orchestra;  e  che  su  di  tale 
duplice  incarico  non  avrebbe  potuto  pretendere  dall'Impresa  che  una 
semplice  gratificazione  di  L.  300,  qualunque  fosse  stato  il  numero 
delle  opere. 

Trascorsero  molti  anni  senza  che  alcun  incidente  turbasse  le  con- 
venzioni intercedute  tra  il  Municipio  di  Foligno  ed  il  maestro  Ga- 
leazzi in  ordine  alla  direzione  degli  spettacoli  di  musica  nei  teatri 
di  Foligno. 

Senonchè  nella  stagione  di  carnevale  del  1898,  l'Impresa  conces- 
sionaria del  teatro  Apollo,  oggi  Piermarini,  affidò  la  direzione  del- 
l'orchestra per  la  rappresentazione  della  Bohème  al  maestro  professore 
Enrico  Nuti,  anziché  al  Galeazzi,  e  ciò  non  ostante  le  energiche  oppo- 
sizioni del  Municipio  e  i  buoni  uffici  del  sottoprefetto  di  Foligno  e 
del  prefetto  di  Perugia. 

Tutto  riuscì  vano.  L'Impresa  non  volle  rinunciare  al  maestro  Nuti 


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OIURISPRUDBNZA  TEATAALE  443 

p^cbè  designato  dalla  Ditta  Ricordi,  proprietaria  dello  spartito,  e 
rAccademia  teatrale,  comproprietaria  del  teatro,  nulla  stimò  di  fare 
perchè  la  scelta  cadesse  invece  sul  maestro  Galeazzì. 

In  presenza  di  questo  stato  di  cose,  il  Comune,  con  deliberazione 
consigliare  del  31  gennaio  1898,  rifiutò  di  concedere  airimpresarìo 
la  dote  teatrale,  in  quanto  appunto  esso,  anziché  servirsi  del  maestro 
del  Comune,  aveva  chiamato  alla  direzione  dello  spettacolo  un  maestro 
del  di  fuori. 

Tale  protesta  venne  portata  a  notizia  deirAccademia  teatrale  con 
atto  del  P  febbraio  1898,  e  poco  appresso  TAccademia  protestò  alla 
sua  volta  contro  il  Municipio  di  Foligno  «  per  il  tentativo  diretto  a 
menomare  la  piena  libertà  sua  di  disporre  del  teatro  Piermarini  nei 
modi  e  nei  limiti  deiristrumento  di  costituzione  delFAccademia  stessa 
a  rogito  Ronchetti,  23  giugno  1821  ». 

Ma  né  l'Impresa  né  TAccademia  cedettero  alle  rimostranze  della 
Amministrazione  comunale,  e  si  fu  allora  che  il  Galeazzi,  con  atto 
del  7  febbraio  1898,  protestò  non  solo  per  i  danni  materiali,  ma 
principalmente  per  i  danni  morali  che  gli  erano  derivati  dalla  im- 
meritata patente  di  inidoneità.  Fallito  il  tentativo  di  definire  ami- 
chevolmente questa  vertenza,  il  Galeazzi  con  citazione  del  13  luglio 
1898  convenne  il  Municipio  di  Foligno  dinanzi  il  Tribunale  di  Pe- 
rugia, chiedendone  la  condanna  al  risarcimento  dei  danni  di  cui 
sopra,  domanda  che  fu  per  intero  accolta  con  sentenza  23-28  feb- 
braio 1899. 

Appellò  da  questa  sentenza  il  Municipio  di  Foligno,  con  atto 
20  aprile  1899,  ed  ebbe  nel  nuovo  giudizio  miglior  fortuna,  che  la 
Corte  di  Perugia  lo  assolse  completamente  dalle  domande  del  Ga- 
leazzi. 

Appunti  critico-giuridici. 

11  punto  della  questione  si  restringeva  sostanzialmente  alle  conse- 
^enze  del  fatto,  di  avere  il  Municipio  di  Foligno,  colla  modificazione 
all'art.  12  del  capitolato,  assunto  una  obbligazione  che  non  era  in 
sua  facoltà  di  mantenere.  11  Galeazzi  sosteneva  che  quel  patto  era 
nullo  e  doveva  quindi  essere  risoluto  con  la  responsabilità  dei  danni 
materiali  e  morali  perché  stipulato  in  mala  fede,  e  per  lo  meno  poi 


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444  ARTE  CONTEMPORANEA 

incombeva  al  Municipio  Tobbligo  del  risarcioiento  dei  danni  per  ina- 
denipioiento  dell'obbligazione  assunta.  Dal  canto  suo  il  Municipio  di 
Foligno  adduceva  che  il  Oaleazzi  era  anche  esso  consapevole  della 
impossibilità  deiradempimento  del  patto,  ed  avendolo  accettato  non 
poteva  addossare  al  Municipio  la  responsabilità  del  rifiato  deirAc- 
cademia  e  dell'Impresa:  in  ogni  caso  poi,  essendo  in  buona  fede  ed 
avendo  fatto  tutto  il  possibile  per  Tadempìmento,  fino  al  punto  di 
negare  anche  la  dote  per  Tagìbilità  del  teatro,  poteva  tutto  al  più 
essere  tenuto  a  corrispondere  al  Galeazzi  la  gratificazione  stipulata 
e  non  conseguita. 

11  compito  della  Corte  riducevasi  quindi  evidentemente  nel  deter- 
minare rindole  del  contratto,  e  neirapprezzamento  del  patto  surro- 
gato colla  deliberazione  del  1885  all'art.  12  del  capitolato  del  1883. 

La  prima  questione  fu  risolta  nel  senso  che  non  poteva  essere 
dubbio  che  il  contratto  in  parola  ricadeva  sotto  la  locazione  di 
opere,  onde  valeva  a  maggior  ragione  la  regola  che  nessuno  può 
stipulare  in  proprio  nome  fuorché  per  sé  medesimo,  imperocché  obbli- 
gandosi non  le  cose,  ma  l'opera  personale,  deve  tra  conduttore  e  loca- 
tore esistere  sopratutto  la  fiducia  reciproca,  e  ninno  può  obbligare 
altri  a  prestare  o  ricevere  contro  la  sua  volontà  Topera  altrui. 

Osservò  quindi  la  Corte  che  il  Municipio  col  patto  12  del  capi- 
tolato non  poteva  aver  inteso  di  obbligare  sé  stesso,  ma  bensì  aveva 
agito  come  un  gestore  di  affari  dell'Impresa  teatrale,  cui  era  riservata 
la  scelta  del  maestro,  e  dalla  quale  unicamente  il  Galeazzi  aveva  il 
diritto  di  essere  pagato.  i 

11  Galeazzi  perciò,  modificando  il  detto  articolo  nel  senso  di  avere 
diritto  assoluto  alla  direzione  dell'orchestra  teatrale,  aveva  aggravato 
la  condizione  giurìdica  dell'Impresa  rendendo  obbligatorio  per  lei 
ciò  che  era  soltanto  potestativo,  ed  in  conseguenza  avrebbe  dovuto 
trattare  con  l'Impresa,  o  con  chi  avesse  avuto  il  diritto  di  obbligare 
l'Impresa  teatrale  nella  occasione  di  opere  da  darsi  nei  due  teatri 
di  Foligno:  restava  quindi  a  vedersi  se  il  Municipio  cui  unicamente 
si  rivolse  il  Galeazzi  era  la  persona  capace  ad  accettare  la  modifica- 
zione proposta. 

E  a  questo  riguardo  la  Corte  ebbe  a  notare  che  in  tema  di  scelta 
del  direttore  di  orchestra,  nell'esecuzione  di  opere  teatrali,  questa 
spetta  a  chi  ha  il  diritto  e  la  responsabilità  dell'esecuzione:  il  di- 


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GIURISPRUDENZA   TEATRALE  445 

ne  alFautore  o  all'editore  che  abbia  acquistata  la  pro- 
era;  la  responsabilità  appartiene  all'Impresa  teatrale  ed 
te  rirapresa,  nelFassumere  l'incarico  della  rappresenta- 
pera,  si  accorda  coll'autore  o  coll'editore  per  la  scelta 
di  orchestra.  «  Spessissimo,  anzi,  accade  che  i  cantanti 

che  propongono  il  direttore  di  orchestra,  il  quale  per 
3  un  suggeritore  nelle  opere  in   prosa,  e   spesso  dalla 
al  buon  accordo  del  direttore  coi  cantanti,  dipende  il 
l  cattivo  successo  di  una  rappresentazione  musicale. 
1  caso  poi  è  ammessa  in  modo  assoluto  la  scelta  del 

orchestra  per  parte  del  proprietario  del  teatro,  il  quale  vyy 

intratto  coll'Impresa,  proporlo,  ma  non  imporlo,  per  la  iid 

)  non  ha  né  il  diritto  né  la  responsabilità  della  ese-  mc^ 


ual  cosa  l'imposizione  del  direttore  di  orchestra  per  parte 
stario  del  teatro  renderebbe  spesso  difficile  e  talvolta  im- 
agibilità  del  teatro  stesso. 

liritto  alla  scelta  del  direttore  di  orchestra,  derivante 
t  sulla  proprietà  letteraria  ed  artistica,  e  dalle  più  ele- 
Tole  dell'esecuzione  delle  opere  teatrali,  non  potea  igno- 
Galeazzi,  e  come  cittadino,  e  più  specialmente  come 
musica  ». 

;he  egli,  se  domandando  al  Municipio  di  Foligno  il 
to  del  diritto  assoluto  di  dirigere  gli  spettacoli  che  ve- 
nei  teatri  di  Foligno,  intese  di  volere  la  concessione  di 
elusivo,  domandò  una  cosa  impossibile  e  che  sapeva  che 
non  avrebbe  potuto  accordargli;  e  perciò  alla  modifi- 
art  12  del  contratto  non  poteva  attribuirsi  altro  signi- 
questo,  che  il  Municipio  cioè  per  parte  sua  avrebbe 
tta  di  tutto  perchè  il  Galeazzi  fosse  assunto  dall'Impresa 
la  direzione  dell'orchestra,  nell'occasione  di  spettacoli  ai 
igno. 

lindi  che  il  Municipio  di  questa  città  aveva  fatto  tutto 
)erchè  la  direzione  dell'orchestra  fosse  affidata  al  Ga- 
lOteaglisi  addebitare  di  non  aver  adempiuto  al  patto  sti- 
domande  del  Galeazzi  dovevano  essere  respinte. 


OD 


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A 


44(5  ARTE  CONTBMPORANBA 


Questo,  in  sostanza,  il  ragionamento  so  cui  la  Corte  di  Perugia 
ha  basato  la  sua  decisione,  che  merita  senza  dubbio  di  essere  lodata 
in  quanto,  inspirandosi  ad  alti  concetti  dell'arte,  ferma  una  massima 
di  diritto  teatrale  di  grande  importanza. 

Ma  venendo  più  propriamente  alle  particolarità  di  fatto  che  det- 
tero luogo  alla  presente  controversia,  un  accurato  esame  della  que- 
stione e  delle  varie  fasi  per  cui  essa  è  passata,  ci  induce  a  ritenere 
che  non  sia  stata  retta  la  interpretazione  data  dalla  Corte  alla  vo- 
lontà delle  parti  contraenti,  e  che  perciò  non  debbasi  approvare  la 
sentenza  che  commentiamo,  in  quanto  esclude  nel  Galeazzi  ogni 
diritto  al  risarcimento  dei  danni  nei  riguardi  verso  il  Municipio  di 
Foligno. 

E  anzitutto  dobbiamo  porre  questa  questione,  quale  fu,  cioè,  pre- 
sumibilmente, la  causa,  il  motivo,  che  indusse  il  maestro  Galeazzi  a 
chiedere  la  nota  modificazione  del  patto  12,  onde  dedome  poi  la 
estensione  degli  obblighi  che  le  parti  reciprocamente  assumevano. 
La  risposta  ci  sembra  chiara.  Al  patto  12  del  capitolato  stava  scritto: 
«  Il  maestro  comunale,  in  circostanza  di  opere  in  musica,  sia  'al 
teatro  Apollo,  sia  al  teatro  Ferroni,  dovrà  agire  come  maestro  con- 
certatore e  direttore  di  orchestra,  purché  a  ciò  sia  stato  invitato 
dall'Impresa,  che  resta  libera  nella  scelta,  e  per  tale  duplice  incarico 
non  potrà  pretendere  dall'Impresa  stessa  che  una  gratificazione  di 
L.  200,  qualunque  sia  il  numero  delle  opere. 

<  Detta  gratificazione  però,  sarà  ridotta  alla  metà,  quando  fosse 
stabilito  che  le  rappresentazioni  non  dovessero  superare  il  numero 
di  12  e  venissero  date  con  una  sola  opera  ». 

Al  Galeazzi  in  questo  patto  non  piacevano  due  cose,  e  cioè  anzi- 
tutto che  il  Municipio  si  disinteressasse  completamente  della  scelta 
del  direttore  di  orchestra  che  l'Impresa  avrebbe  fatta,* mentre  le  rac- 
comandazioni di  un  ente  cosi  importante  avrebbero  potuto  certamente 
pesare  molto  sulla  bilancia  in  di  lui  favore;  secondariamente  che  la 
mercede  fosse  così  tenue. 

Chiese  ed  ottenne  quindi  che  l'art.  12  suddetto  fosse  modificato, 
e  la  seconda  edizione  fu  la  seguente:  <  In  circostanza  di  opere  in 
musica,  sia  al  teatro  Apollo  che  al  teatro  Ferroni,  avrà  (il  prof.  Ga- 


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GIURISPRUDENZA    TEATRALE 


447 


luto  obbligo  e  diritto  di  agire  come  maestro  concerta- 
ore  di  orchestra  e,  per  tale  duplice  incarico,  non  potrà 
airimpresa  che  una  semplice  gratificazione  di  L.  300, 
ia  il  numero  delle  opere, 
atificazione  però  sarà  ridotta  alla  metà  quando  fosse  sta- 

rappresentazioni  non  dovessero  superare  il  numero  di  12, 
late  con  una  sola  opera  ». 

%  modificazione  all'art.  12,  al  prof.  Galeazzi  veniva  ar- 
rovento annuo  di  L.  300  che  andava  ad  aumentare  il  suo 
li  cui  poteva  dirsi  parte;  il  Municipio  poi  veniva,  in 
si,  a  garentirgli  tale  aumento,  garanzia  che  era  già  in 
;enuto  a  prestare  in  vista  delle  assicurazioni  che  il  Sin- 
lato  al  Galeazzi  prima  ancora  che  questi  accettasse  il 
a  Foligno. 

è,  secondo  noi,  la  portata  delFarticolo  12  modificato  :  il 
ìazzi  chiedeva  in  sostanza  un  aumento  di  stipendio^  ma 

e  transitorio,  sottoposto  a  condizione,  sibbene  stabile  e 
uesto  aumento  gli  fu  appunto  concesso  dal  Municipio  di 
e  egli  desiderava  e  nella  forma  suesposta,  con  una  pro- 
propria del  fatto  del  terzo  ai  sensi  di  cai  all'art.  1129 


ce 

OD 


està  era  veramente  la  base  giuridica  deirazione  inten- 
lestro  Galeazzi,  e  non  già  la  nullità  del  patto  o  la 
i  di  esso  da  parte  del  Municipio;  e  se  la  Corte  di 
;luse  rigettando  completamente  le  domande  del  maestro, 

0  perchè  si  volle  attribuire  al  suo  diritto  una  base  ed 
ma  estensione  che  non  aveva. 

e,  mantenuta  nelle  sue  naturali  e  giuridiche  proporzioni, 
dubbiamente  risolta  favorevolmente  per  il  Galeazzi,  si  è 
ta  perchè  si  volle  farne  una  grande  causa.  E  che  nel 
le  si  trattasse  di  promessa  del  fatto  del  terzo  è  facil- 
trabile. 

12  la  direzione  delForchestra  era  stata  condizionata 
l'Impresa,  che  rimaneva  però  libera  nella  scelta;  nella 

a  questo  patto  si   viene  invece  a  gareotire   espressa- 

1  cazzi  che  la  scelta  sarebbe  caduta  su  di  lui  e  non  su 
licipio  cioè  promette  al  maestro  che  le  Imprese  avreb- 

MieaUitaliana.Xni.  •  80 


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448  ARTI  CONTEMPORANXA 

bero  sempre  scelto  lai  come  direttorCi  corrispondendogli  una  data 
mercede. 

Quali  le  consegaenze  di  questo  patto? 

È  fiicìle  rispondere  con  quanto  prescrive  l'art  1129  del  Cod.  civ., 
che  cioè  la  promessa  dà  soltanto  diritto  ad  indennità  verso  colui  che 
si  è  obbligato  o  che  ha  promesso  la  ratifica  del  terzo,  se  questi  ri- 
cusa di  adempiere  Tobbligazione.  Naturalmente  però  in  questa  inden- 
nità non  possono  andare  compresi  i  danni  morali  che  il  contraente 
abbia  risentito  per  il  rifiuto  del  terzo,  ma  solamente  essa  riguarda 
il  quanti  interest^  quanto  cioè  egli  abbia  perduto  per  avere  il  terzo 
ricusato  di  adempiere  Tobbligazione. 

E  invero  nel  caso  in  esame  la  condanna  del  Municipio  di  Foligno 
al  risarcimento  dei  danni  morali  sofferti  dal  Galeazzi  non  potea  am- 
mettersi dal  momento  che  il  Municipio  stesso  aveva  fatto  quanto 
eragli  stato  possibile  perchè  il  terao  avesse  ratificato  la  promessa; 
ma  pnrtuttavia  sussisteva  sempre  il  diritto  del  Oaleazzi  ad  avere 
dal  Municipio  quella  somma  che  egli  avrebbe  potuto  percepire  come 
mercede  se  il  terzo  avesse  prestato  la  ratifica^  se  cioè  l'Impresa  lo 
avesse  assunto  come  direttore  di  orchestra,  in  quanto  il  Municipio 
del  pagamento  di  essa  si  era  reso  garante. 

Posta  in  tali  termini  la  controversia,  si  sarebbe  adunque  dovuta 
risolvere  colla  condanna  del  Municipio  a  pagare  al  maestro  L.  150, 
che  tale  appunto  era  la  somma  che  gli  sarebbe  spettata  se  egli  avesse 
agito  in  qualità  di  direttore  di  orchestra  nella  Bohème. 

Né  alla  costruzione  giurìdica  or  ora  proposta  si  potrebbe  opporre, 
come  fa  la  Corte  di  Perugia,  che  in  tema  di  locazione  di  opera  a 
maggiore  rigore  vale  la  regola,  che  nessuno  può  stipulare  in  proprio 
nome  fuorché  per  sé  medesimo,  trattandosi  di  obbligazione  eminente- 
mente personale. 

Non  si  saprebbe  invero  intendere  quale  debba  essere  il  campo  di 
pratica  applicazione  del  principio  sancito  dal  legislatore  nel  citato 
art.  1129,  quando  si  volesse  ammettere  che  i' terzi,  di  cui  si  può 
promettere  il  fatto  non  possano  essere  locatori  di  opera,  mentre  al 
contrario  la  locazione  di  opera  è  il  contratto  nel  quale  è  caratteristica 
ed  essenziale  l'obbligazione  di  fare. 

D'altra  parte,  la  promessa  delle  opere  di  un  determinato  artista 
è,  nel  mondo  teatrale,  frequentissima,  e  nessuno  si  sognò  mai  di  con- 


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GIURISPRUDENZA    TEATRALE  449 

valore  giuridico;  ed  anche  il  Vita-Levi  {Locazione  di 
ypalti,  voi.  I,  n.  35.  Milano,  1876),  benché  pensi  che  nes- 

salvo  ntiandato  speciale  ad  hoc^  locare  le  opere  di  un'altra 
onosce  però  che  nei  casi  in  esame  non  può  nascere  altro 
il  diritto  alla  indennità  verso  chi  condusse  per  il  sud' 
nediario  tramite  le  opere  di  quell'artista^  ove  questo 
restare  le  opere^  indennità  dovuta  da  chi  ne  promise  la 


une  questioni  in  materia  di  cessione  di  ar tifiti,  vedi  il  nostro  Codice 
lìlano,  Hoepli,  1901),  n.  117  e  193. 


CESSIONE  DI  ARTISTA  (D  £S 

te  di  Cassazione  di  Torino.  Sentenza  27  novembre  1900).  ,  ^-^ 

ite  contro  la  Società  anonima  per  Vesercizio  del  Teatro  alla  Scala.  ^^7Z 

impresario  teatrale^  valendosi  dei  diritti  risultanti  dalla  ^J 

ra  intervenuta   fra  esso  e  gli  artisti  teatrali^  cede  uno  ^^ 

sti  {cessione  d'artista)  ad  un  altro  impresario^  esso  compie  Ct 
lo  una  cessione  dei  diritti  e  dei  doveri  che  aveva  verso 
a. 

i  rapporti^  cioè  quelli  del  cedente  verso  il  cessionario  e  f^" 

sa,  e  quelli  del  cessionario  verso  Vartista  ceduto,  vanno  ^ ; 

H  con  le  norme  della  cessione y  e  non  mai  con  quelle  della  ^ 

ne  e  sublocazione  d'opera.  ^;:) 

che  ha  dato  luogo  alla  sentenza  che  annotiamo,  destò 
ire  nel  mondo  artistico,  e  noi  trattammo  già  diffusamente 
Rivista  (Annata  1899,  fascicolo  IV)  delle  eleganti  que- 
ritto  teatrale  che  in  essa  erano  sorte,  specialmente  per 
iarda  la  inappellabilità  della  protesta  di  un  artista  fatta 


fc 


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450  ARTS  CONTniPOKAIfBA 

dalla  Direzione  teatrale  o,  in  sua  sostitnsioira,  dal  direttore 
chestra.  Un  punto  però  che  pare  è  della  massima  gravità  ay< 
trascurato,  forse  anche  perchè  non  apparifa  chiara  in  proposito 
nione  della  Corte  milanese:  la  sentenza  della  Gassaziose  di  ' 
viene  in  buon  momento  ora  a  sviscerare  la  questione,  e  pon( 
massima  di  diritto  teatrale  che  è  della  pib  grande  importum 

E  la  questione  è  appunto  questa,  se  cioè  lo  scambio  di  arti 
canto,  che  avviene  tra  imprese  di  teatri,  sia  una  sublocazione  d' 
ovvero  una  cessione. 

Il  Tribunale  di  Milano,  in  una  bella  ed  elaborata  sentenz 
!  10  marzo  1899,  aveva  giudicato  in  conformità  a  quanto  riteoi 

i  la  Corte  di  Cassazione  di  Torino,  che  cioè  si  trattasse  di  ce» 

ma  la  Corte  di  Appello  di  Milano,  nella  sentenza  del  15  luglio 
era  andata  in  diverso  avviso,  ritenendo  che  nel  fatto  in  contesti 
si  dovesse  ravvisare  non  una  cessione  di  diritto,  ma  una  subloca 
d'opera. 

«  Della  qual  cosa,  diceva  la  Corte  di  Milano,  —  ed  è  questo 
maggiore  argomento,  —  si  deve  vieppiù  andare  persuasi  quando 
fletta  che  a  ben  considerare  il  contratto  intervenuto  fra  Canori 
Società  della  Scala,  non  si  potrebbe  rimanere  in  forse  che  quel 
tratto  vesta  i  caratteri  speciali  di  una  sublocazione. 

«  E  infatti,  i  rapporti  che  intercedevano  fra  Canori  e  là  De 
erano  quelli  di  una  locazione  da  parte  della  De  Frate  e  di 
conduzione  da  parte  di  Canori,  deiropera  che  la  prima  aveva 
messa  al  secondo  di  cantare,  dietro  un  determinato  corrìspett 
per  un  periodo  di  tempo  parimente  determinato,  nel  teatro  Arge 
di  Roma.  È  ovvio  che,  avendo  il  Canori  ceduto  parzialmente  ali 
cietà  della  Scala  quelle  ragioni  che  aveva  verso  la  De  Frate  d 
gere  l'opera  sua  nel  teatro  Argentina  e  in  quanti  altri  fosse 
piaciuto  di  scegliere,  esso  altro  non  fece  che  sublocare  alla  Se 
della  Scala  quella  sua  ragione,  mettendola,  per  un  dato  perioi 
tempo,  in  quella  condizione  di  conduttore  in  cui  egli  dapprin 
trovava  ». 

Dalla  quale  teoria  si  deducevano  queste  conseguenze,  che  ciò 
sendo  la  sublocazione  un  nuovo  contratto  tra  il  conduttore  ed  il  s 
tìttuario,  non  possono  derivarne  rapporti  diretti  fra  il  locatore  ed  il 
affittuario,  perchè  mentre  da  un  lato  il  subaffittuario  è  un  estr 


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GIURISPRUDENZA   TEATRALE  4A1 

contratto  conchiuso  tra  il  locatore  ed  il  conduttore,  dall'altro 
è  estraneo  al  contratto  interceduto  tra  il  conduttore  ed  il 
rio,  e  non  si  può  avere  un'azione  diretta  dipendentemente 
avenzione  alla  quale  si  è  rimasti  estranei.  In  tale  modo 
i  negare  alla  De  Frate  che  era  stata  ceduta  ogni  azione 
pimento  del  contratto  verso  la  cessionaria  Società  della 
sudo  cosi  più  che  in  un  errore  giuridico,  in  una  vera  enor- 
)  dal  punto  di  vista  logico,  che,  come  bene  ha  notato  la 
torinese,  non  si  saprebbe  immaginare  come  un  artista 
are  Fopera  propria  senza  avere  coirimpresa  del  teatro 
quei  rapporti  contrattuali  che  l'indole   dell'obbligazione  5^ 


5arte  la  Corte,  con  troppa  fretta,  dal  fatto  che  il  contratto 
mo  ed  artista  assume  l'indole  giuridica  del  contratto  di 
i  opere,  aveva  dedotto  che  il  successivo  contratto  che  viene 
lai  conduttore  di  quest'opera  con  terza  persona  è  una  sub-  ^ 

'opera.  jpn; 

tratto  invece  assume  una  figura  a  sé,  in  dipendenza  del  f^^ 

uto,  come  bene  osserva  il  Vidari  in  una  nota  alla  sentenza  C^ 

zione  torinese  (V.  Legge,  annata  1901,  I,  164).  ^ 

iggiunge  l'illustre  professore  dell'Ateneo  pavese,  quando  il  |j^ 

e  di  opere,  valendosi  delle  facoltà  contrattuali  in  lui  rico-  Ci' 

dal  locatore,  cede  Topera  di   questi  a  terza  persona,  non  ^^ 

tutto  il  contratto  conchiuso  prima,  o  parte    di  questo;  T^r 

le  i  diritti  che  esso  ha  verso  il  conduttore,  o  parte  sola  De;: 

diritti  ;  diritti  che  non  assumono  la  natura  di  quelli  de-  S  ' 

il  primo  contratto,  bensì  quella  del  nuovo  contratto  che  ^ 

ide    fra  conduttore   cedente   da  una  parte,  e  cessionario  "^^ 

Insomma  è  un  nuovo  contratto  che  si  aggiunge  al  primo: 
le  desume  e  trae  soltanto  da  sé  stesso  il  proprio  carat- 
idico.  Onde  è  che  il  conduttore  non  cede  nulla  del  con- 
prima; ma  cede  invece  i  diritti  a  lui  competenti  in  virtù 
rimo  contratto  ». 

arte  l'elemento  personale,  che  è  prevalente  nella  locazione 
esiste  al  concetto  di  subloccusione,  che  è  proprio  della 

cose  in  quanto  questo  contratto  si  risolve  in  una  obbli- 
dare,  che  si  esaurisce  in  un  unico  momento,  mentre  invece 


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452  ARTB  GONTKlfPORANSA 

nella  locazione  di  opera,  che  consiste  in  un  obbligo  di  fare^  all'e- 
poca in  cui  avviene  la  pretesa  sublocazione  non  sussiste  ancora 
l'oggotto  del  contratto  ossia  Topera,  ma  vive  soltanto  il  diritto  a 
pretenderla,  il  quale  diritto  soltanto  può  essere  oggetto  di  cessione, 
non  potendosi  parlare  di  sublocazione  di  cosa  (opera)  che  non  è  an- 
cora dal  locatore  stata  prestata,  e  che  anzi  questi  può  rifiutarsi  di 
prestare  senza  che  per  altro  possa  &>gi  ad  factum. 

Meglio  penetrando  quindi  l'indole  giurìdica  del  contratto  di  cessione 
di  artista^  aveva  osservato  il  Tribunale  di  Milano  che  tale  cessione 
non  rappresenta  che  la  cessione  totale  o  parziale  di  quei  diritti,  che 
per  effetto  della  scrittura  verso  il  cedente  assunse  l'artista.  Onde  il 
cessionario,  rispetto  a  questo,  vien  posto  in  luogo  e  vece  del  cedente 
con  tutti  i  diritti  e  gli  obblighi  ;  del  pari  che  l'artista  ceduto  deve 
adempiere  gli  stessi  obblighi  quali  avrebbe  avuto  in  confronto  del 
cedente  e  ripetere  dal  cessionario  i  corrispettivi  diritti. 

Determinata  in  tal  guisa,  contìnua  il  Tribunale  di  Milano,  la  na- 
tura giuridica  di  questo  speciale  contratto,  torna  tacile  vedere  che 
due  principalmente  sono  i  rapporti  o  vincoli  di  diritto  che  ne  origi- 
nano: l'uno  fra  cedente  e  cessionario,  l'altro  fra  quest'ultimo  e  l'ar- 
tista ceduto.  Per  effetto  del  primo,  il  cedente  è  obbligato  a  garantire 
l'esecuzione,  da  parte  dell'artista  ceduto,  dell'opera  di  questo;  ed  ove 
questo  avesse  a  mancarvi,  il  cedente  sarebbe  tenuto  a  tutte  le  con- 
seguenze che  la  legge  stabilisce  per  l'inadempimento  di  una  obbli- 
gazione; mentre  il  cessionario  è  tenuto,  a  sua  volta,  a  soddis&re  al 
cedente,  o  all'artista  ceduto,  il  prezzo  della  cessione  come  fu  conve- 
nuto. Per  effetto  del  secondo  rapporto  di  diritto  fin  cessionario  e 
artista  ceduto,  questi  è  tenuto  a  prestare  l'opera  propria  come  avrebbe 
dovuto  prestarla  al  cedente  ;  e  il  concessionario,  a  sua  volta,  è  tenuto 
a  valersi  dell'opera  di  lui  secondo  i  patti  convenuti  fira  esso  e  il  ce- 
dente, i  quali,  s'intende,  devono  essere  stati  espressamente  o  tacita- 
mente acconsentiti  ed  accettati  dall'artista  ceduto. 

Né,  conchiude  su  questo  tema  il  Tribunale  di  Milano,  toglie 
al  contratto  di  cessione  d'artista  di  essere  una  «  cessione  di  diritti  » 
la  circostanza  che  il  cedente  abbia  pattuito  che  il  prezzo  della  ces- 
sione fosse  a  lui  direttamente  pagato,  per  poi  dal  canto  suo  adem- 
piere agli  obblighi  che  per  effetto  del  contratto  stesso  o  di  altro 
avesse  assunto  verso  l'artista  ceduto  ;  imperocché,  qualunque  siano  le 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE  453 

ttabilite,  i  patti  convenuti  fra  cedente  ed  artista  ceduto, 
pre  che  nei  rapporti  fra  cedente  e  cessionario,  il  contratto 
aso  di  cessione  o  totale  o  parziale  di  artisti  scritturati 
conto  dal  primo;  che  è  quanto  dire,  di  cessione  del  di- 
Eurtista  eseguisca  l'opera  per  la  quale  fu  scritturato  e  così 

iamo  che  associarci  all'opinione  espressa  dal  Tribunale  di 
i  quale  viene  ora  ad  aggiungere  autorità  la  sentenza  della 
torinese. 

ne  di  artista^  come  figura  giuridica  contrattuale,  non  era, 
to  oggetto  di  studio  da  parte  degli  scrittori  in  materia 
lercio  osservammo  che  giunge  in  buon  punto  la  sentenza 
Qtiamo  in  quanto  viene  a  determinarne  l'indole  giuridica. 
>]ta  avvenuta  tale  determinazione,  certo  è  che  più  facile 
trattazione  completa  della  cessione  stessa  nei  rapporti  cui 
nelle  conseguenze  giuridiche  che  induce,  trattazione  della 
itito  il  bisogno,  costituendo  questa  uno  dei  punti  meno 
)  studiati  del  diritto  teatrale. 


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^^^s! 


454  AaXB  CONTBMPORANBA 


MALATTIA  DELL' ARTISTA  U) 

(Corte  di  Appello  di  Napoli.  29  agosto  1898;  Gmrùpr.  ùaL,  1898, 1,  2.  811  — 
Ganatione  di  Napoli,  21  gennaio  1899  ;  Oimritpr.  UaL,  1899, 1,  256  ^  Corte 
di  AppeUo  di  Napoli,  80  genuio  1901;  Gmrwpr.  ML,  1901, 1,  2, 144). 

Il  iitnore  De  Lucia  comhro  f  impresario  Mmdla, 

Varti8ta  di  teatro^  che  ha  pattuHo  di  adempiere  i  suoi  impegni  in 
giorni  determinati^  non  può  pretendere  che  Timpreeorio  io  am- 
metta  ad  adempierli  in  giorni  diversi,  se  per  qmeOi  stabUm  fu 
impedito  per  maJattia. 

La  malattia^  che  impedisce  ad  un  artista  di  teatro  di  adempiere 
verso  T Impresa  ai  proprii  impegni  nei  giorni  stabiliti^  è  un 
caso  di  forea  maggiore;  e  mentre  T impresario  non  pudpreten- 
dere  indennisso  dalTartista^  questi  pure  subisce  la  sua  parte 
di  danno  perdendo  il  diritto  al  compenso. 


Il  tenore  De  Lucia  fii  scritturato  nella  stagione  1897*98  per  ese- 
guire 24  rappresentazioni  al  teatro  S.  Carlo,  e  rimpresarìo  Mnsella 
si  obbligò  di  pagargli  2100  lire  (oltre  300  lire  in  biglietti)  per  ogni 
rappresentazione  in  cui  cantava.  Il  termine,  durante  il  quale  il  De 
Lucia  doveva  essere  a  disposizione  deirimpresa,  era  dal  26  dicembre 
al  10  aprile,  ma  in  questo  tempo  aveva  il  diritto  di  non  fare  mai 
due  rappresentazioni  di  seguito. 

Alla  terza  rappresentazione,  al  secondo  atto  della  Bohème,  il  De 
Lucia  accusò  un  improvviso  abbassamento  di  voce,  pel  quale  la  re- 
cita fu  sospesa  ed  al  pubblico  venne  restituito  il  danaro  dei  biglietti 
acquistati.  La  malattia  del  De  Lucia  si  protrasse  per  otto  giorni,  du- 
rante i  quali  egli  non  potè  eseguire  quattro  rappresentazioni  annun- 


ci) Per  le  consegaense  giaridiehe  cai  dà  laogo  la  malattia  nel  contratto  di 
■crittara  teatrale,  vedi  il  nostro  Codice  del  Teatro  (Milano,  Hoepli,  1901),  n.  104, 
106,  107,  108,  109,  13d  e  pp.  57,  183  e  146. 


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GIURISPRUOBNZA  TEATRALE 


455 


conseguenza  il  teatro  restò  chioso,  non  essendovi  altre 
in  iscena. 

e  consuetudini  teatrali,  Timpresario  ritenne  che  il  De 
a  fare  non  più  24,  ma  20  rappresentazioni,  le  altre  4 
uto  il  diritto  di  farle.  Invece  il  De  Lucia,  il  giorno  prima 
ì  la  sua  scrittura,  richiese  il  prezzo  delle  4  rappresen- 
eseguite,  citando  il  Musella  davanti  il  tribunale. 
di  De  Lucia  sostenne  che,  non  avendo  egli  potuto  can- 
lattia,  l'impresario  aveva  il  dovere  di  &rgli  rimpiazzare 
)0  che  era  guarito,  essendo  stato  altri  tre  mesi  a  sua 
La  difesa  del  Musella  sostenne  che  l'artista  doveva  stare 
le  dell'Impresa  tutto  il  tempo  della  scrittura,  e  che  ciò 
avvenuto  per  otto  giorni,  ed  avendo  mancato  a  quattro 
ioni,  non  aveva  il  diritto  di  £arsi  pagare  per  l'opera  non 
endo  il  caso  di  forza  oiaggiore  per  malattia  cedere  a 
ibo  le  parti  contraenti,  facendo  perdere  all'artista  il  di- 
imare  le  recite,  ed  all'  impresario  il  diritto  di  chiedere 
ito  dei  danni,  che  nel  caso  in  questione  il  Musella  sostenne 
issato  le  40,000  lire,  nei  giorni  in  cui  il  teatro  restò 


CD 


di  Appello  di  Napoli,  con  sua  sentenza  29  agosto  1898, 
a  sentenza  del  Tribunale  di  questa  Città,  accolse  le  ra- 
asella  per  la  recita  del  30  dicembre  1897,  notando  che 
fortuito  non  potè  quella  recita  aver  luogo,  non  era  giusto 
ucia  potesse  richiedere  il  compenso  per  un'opera  che  non 
to,  e  che  l'Impresa  risentisse  fra  gli  altri  danni  sofferti 
^spensione  anche  il  pagamento  della  recita  stessa. 
\^  però  non  fu  deciso  per  quanto  riguardava  le  altre  tre 
leva  il  Musella  che  egli,  avendo  il  diritto  di  fieire  can- 
nei  giorni  1,  3  e  5  gennaio  1898,  e  non  avendo  ciò  pò- 
:  sua  malattia,  non  era  ad  altro  piiù  obbligato.  La  Corte 
qiuesta  deduzione  era  più  speciosa  che  solida,  in  quanto 
alle  che  in  8  giorni,  quantunque  ne  avesse  avutoli  di- 
ella  avrebbe  fatto  cantare  il  De  Lucia  per  quattro  sere, 
0  tenne  inoperoso  in  molte  altre  sere  successive,  nelle 
bbero  potute  rimpiazzare  le  recite  mancate,  tanto  più 
petto  di  appalto  della  stagione  teatrale  non  erano  presta- 


C» 


Cr;. 


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456  ARTE  CONTEMPORANEA 

bilite  le  serate  in  cai  il  De  Lucia  aresse  doTuto  cantare.  D'altra 
parte  non  eravi  stato  alcan  ostacolo  di  tempo,  perchè  il  Musella  ne 
aveva  avuto  abbastanza  per  adempiere  alle  sue  obbligazioni  ;  nessun 
ostacolo  da  parte  del  De  Lucia,  perchè  questi  dal  6  gennaio  al 
10  aprile  erasi  messo  a  sua  disposizione;  e  di  conseguenza  nessuna 
giustificazione  legale  per  dichiarare  giustificato  l'inadempimento  del 
contratto  da  parte  del  Musella,  e  poco  serio  l'addurre  di  essersi  vo- 
luto servire  dell'artista  proprio  in  quel  tempo  che  era  stato  amma- 
lato, per  negargli  le  sue  competenze. 

E  al  Musella  che  chiedeva  di  provare  che  la  consuetudine  tea- 
trale stava  in  suo  favore,  rispose  la  sentenza  che  nessuna  consue- 
tudine può  derogare  alla  buona  fede  che  deve  sopraintendere  alla  ese- 
cuzione del  contratto,  onde  la  consuetudine  secondo  cui  la  malattia 
dell'artista  cederebbe  a  suo  danno,  facendo  cioè  perdere  altrettante 
recite  agli  artisti  scritturati  a  recite,  andrebbe  intesa  ed  applicata 
soltanto  se  le  recite  non  potessero  rimpiazzarsi  per  il  tempo  in  cui 
la  malattia  siasi  verificata,  o  se,  essendosi  prestabilite  all'artista  le 
serate  di  recita,  proprio  in  quelle  serate  siasi  ammalato. 

Dalla  sentenza  della  Corte  ricorse  il  Musella  alla  Cassazione  di 
Napoli,  sostenendo  che  i  giudici  di  appello  erano  caduti  in  contrad- 
dizione in  quanto,  una  volta  ammessa  la  massima  che  il  caso  for- 
tuito il  quale  impedisce  un  attore  va  a  carico  di  costui  e  dell'im- 
presario, in  guisa  che  questi  perde  il  lucro  del  teatro,  e  quello  la 
recita,  dovevano  tale  principio  applicare  tanto  alla  sera  del  30  di- 
cembre 1897,  quanto  alle  altre  tre  recite  che  il  De  Lucia  non  potè 
eseguire  per  l'infermità  stessa  nei  giorni  che  l'impresario  aveva  de- 
signato dal  30  dicembre  al  6  gennaio. 

E  le  ragioni  del  Musella  furono  accolte,  osservando  la  Cassazione 
che  l'equità  è  moderatrice  e  non  regolatrice  del  diritto,  e  che  d'altra 
parte  non  avrebbe  dovuto  la  Corte  negare  la  prova  della  consuetu- 
dine in  quanto,  specie  nel  commercio,  gli  usi  costituiscono  altret- 
tante condizioni  tacite  da  ritenersi  accettate  dalle  parti,  se  non  vi  siano 
patti  in  contrario. 

D' altronde,  soggiunse,  la  mercede  ed  il  compenso  di  opera  prestata 
è  il  corrispettivo  dell'opera  stessa,  e  se  questa  manca,  cessa  l'altro. 
Nelle  scritture  teatrali  primeggia,  fra  gli  eventi  fortuiti,  l'infermità 
dell'attore,  la  quale  si  risolve  in  doppio  danno  dell'attore  stesso  e 


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0IURI8PHUDBNZA  TCATBALK  457 

dell*  impresario,  e  tì  provvede  appunto  V  equità  della  consuetudine, 
riducendo  lo  evento  alla  sola  perdita  del  lucro  del  teatro  per  l'impre- 
sario, e  della  recito  per  Tattore,  e  togliendo  ogni  azione  di  rivalsa 
recìproca  fra  l'uno  e  Taltro. 

Fra  questo  è  compresa,  senza  dubbio,  ogni  pretonsione  di  prolun- 
gamento dì  tonnine  per  giungere  al  completomento  delle  recito,  sicché, 
come  il  Musella  non  avrebbe  potuto  obbligare  il  De  Lucia  a  dare 
tatto  le  convenuto  24  recito  supplendo  a  quelle  oiancato  per  infer- 
mità, così  il  De  Lucia  non  poteva  costringere  il  Musella  a  pagargli 
le  recito  stesse. 

Ma,  dimostrato  che  il  potere  non  è  dovere,  se  da  questo  nasce  Tob- 
bligo  e  da  quello  la  facoltà  potestotiva,  e  se  il  Musella  con  la  con- 
suetudine voleva  provare  che  non  doveva  né  potova,  la  Corto,  vie- 
tandogli la  prova,  negavagli  un'altra  parto  dì  quel  diritto  che  pure 
avevagli  riconosciuto,  assolvendolo  del  pagamento  di  una  delle  quattro 
recito  domandate. 

La  sentonza  della  Corto  napoletona  fu  quindi  cassato,  rinviando 
all'altra  sezione  della  Corto  medesima. 

E  questo,  nella  sua  recento  sentonza,  in  dato  30  gennaio  1901,  si 
è  perfettomento  attonuto  ai  concetti  della  sentonza  Corto  di  Cas- 
satone. 

«  L'Impresa  toatrale,  è  detto  in  essa,  è  qualche  cosa  di  vasto  ed 
«  organico,  che  eccede  e  sto  al  di  sopra  delle  singole  contrattozioni  coi 
<  singoli  artisti:  tutto  vi  è  detorminato  secondo  un  progetto  presto- 
€  bilito,  sia  per  quanto  rifletto  le  opere  da  rappresentore,  sia  per 
«  gli  artisti  che  vi  devono  prender  parto,  sia  per  le  masse  corali  ed 
€  orchestrali  che  devono  scritturarsi»  sia  per  gli  autori,  le  cui  opere 
«  devono  rappresentorsi.  L'Impresa  ha  principalmento  di  mira  le  sue 
€  obbligazioni  verso  il  pubblico  toatrale;  al  soddisfacimento  di  questo 
€  obbligazioni  deve  concorrere  il  sìngolo  artista  con  la  sìngola  sua 
€  opera,  la  quale  perciò  diviene  subordinato  al  movimento  dell'  in- 
«  sìeme.  Il  caso  fortuito,  adunque,  verificatosi  per  l'infermito  di  un 
€  artisto,  deve  sopportorsi  dallo  stesso  e  dall'impresario  nel  senso  che 
«  questo  non  deve  pagare  l'equivalento  di  ciò  che  non  riceve,  e  quello 
€  è  liberato  dai  danni  ed  intoressi  per  rinvolontorio  pregiudìzio  che 
€  ha  potuto  arrecare  per  la  sua  malattìa  (art  1226  Cod.  civ.).  Nella 
«  specie  poi  toma  inutile  il  dire  che  le  recito  mancato  ben  potovano 


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4SS  ABra  oontbmpokàiiba 

«  essere  rimpìa&tate  dunuite  il  corso  della  sorìttuniy  quando  si  : 
€  cIm  il  potere  non  è  il  do?ere,  e  non  è  fiutile  par  mi  impresa 
€  ha  inteso  grari  danni  per  la  malattia  d*mi  grande  artista 
«  adibire  a  stagione  teatrale  inoltrata  qiando  i  suoi  in^e^ 
«  sue  convenimize  noi  eossentissero  ». 

Di  fronte  ai  suesposti  principii  tornava  quindi  affatto  frostn 
prova  testìmoiiiaie  chiesta  dal  De  Lucia,  diretta  a  dimostrare  ( 
omsaetodine  egli  aveva  diritte  di  sopplire  le  recite  mancate 
giorni  1,  8  e  5  gennaio  1898,  una  volta  ritenuto  che  la  mali 
un  artista  costituisce  un  caso  di  forza  maggiore,  e  il  cbumo  | 
derivato  va  inteso  dalFartista  col  mancato  pagamento  della  p 
mercede,  e  dall'impresario  coi  mancati  ìntnnti  serali,  e  col  pagi 
per  giunta  degli  altri  artirti  scritturati  a  nMse,  e  delle  maasc 
ed  DrchestralL 

Bologna,  aprile  1901. 

Nicola  Tabait] 


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?E6EIJgI0IJI 


Storia. 

JL  roVBIMf  Jmm  Jae^uéa  Baummtu  m^ttiùiem.  ~  Pmìs,  1901.  Utodrit  ntehbMhn. 

Di  Rousseau  musicista  molti  hanno  scritto,  ma  forse  nessuno  ha 
portato  neirargomento  la  serenità  dei  giudizi  con  cui  oggi  M.  A.  Pou- 
gin  stabilisce  il  giusto  valore  deirattività  compiuta  dal  filosofo  nei 
campo  deirarte  musicale.  Aggiungiamo  che  il  libro  del  Pougin  corre 
spedito  ed  interessante  dalla  prima  all'ultima  pagina,  dipingendo  e 
studiando  nel  modo  più  attraente  le  varie  manifestazioni  artistiche 
di  quel  genio  bizzarro  che  ormai  ci  è  noto  solo  per  il  cinismo  delle 
Confessioni.  Non  possiamo  fare  un  sunto  del  bel  lavoro  del  Pougin: 
sarebbe  sciuparlo;  esporremo  piuttosto  il  Sommario  dei  capitoli  che 
lo  compongono ,  colle  conclusioni  principali  a  cui  arriva  l'autore , 
nella  fiducia  d'invogliare  alla  lettura  dell'opera  quanti  s'appassio- 
nano di  studi  storici. 

cThéoricien  ignorant  des  principes  de  l'art,  praticien  incapable 
«  de  les  appliquer ,  Rousseau  étonne  souvent  par  la  hardiesse ,  la 

<  finesse  et  la  justesse  de  ses  apergus  lorsqu'il  apprécie  cet  art  en 

<  poète,  en  philosophe  et  en  esthéticien  »,  ecco  il  motivo  dominante 
d'ogni  capitolo.  Nel  primo  le  Confessioni  giovano  ad  affermare  l'a- 
more impulsivo  di  Jean-Jacques  per  la  musica.  Vi  è  citato  ogni 
brano  che  si  riferisce  all'istruzione  irregolare  ed  incompleta  che 
egli  ricevette,  ed  agli  sforzi  di  luì  per  affermarsi,  ciò  malgrado, 
musicista  e  compositore.  Comicissima  sopra  tutto  la  scena  di  Lo- 
sanna, quando  Rousseau  scrive  e  dirige  il  suo  primo  lavoro.  Capisce 
allora  che  nulla  sa  di  musica,  e  per  apprenderne  qualche  pò*  non 

trova  di  meglio  che  farsi maestro  e  comporre.  A  Chambóry 

<je  ne  laissois  pas  d'y  donner  quelques  petits  morceaux  de  ma  fa- 

<  con,  et  entre  autres  une  cantate  qui  plut  beaucoup.  Ce  n'étoit  pas 


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460  RECENSIONI 

<  une  pièce  bien  faite ,  mais  elle  étoit  pleine  de  chants  nouveaux 

<  et  de  choses  d^effet  qa*on  n*attendoit  pas  de  moi  ».  Da  questo  mo- 
mento ogniqualvolta  Rousseau  ha  da  parlare  d^una  sua  composi- 
zione la  considera  un  capolavoro. 

Ma  la  scrittura  musicale  lo  aveva  fatto  tanto  penare,  e  forse  lo 
imbarazzava  ancora  tanto ,  che  a  liberarsene,  immagina  un  nuovo 
sistema  di  notazione  (cap.  II).  Fondando  in  esso  la  sua  fortuna  av- 
venire, si  reca  a  Parigi  per  sottoporre  la  Memoria  alfapprovazione 
deirAccademia  di  Francia.  I^a  critica  più  seria  gli  fìi  fatta  da  Ra- 
meau  :  <  Vos  signes,  ine  dit-il,  sont  très  bons  en  ce  quMls  détermi- 
«  nent  simplement  et  clairement  les  valeurs,  en  ce  quMIs  représentent 
«  neltement  «les  intervalles  et  montrent  toujours  lo  simple  dans  le 
«  redoublé,  toutes  choses  que  ne  fait  pas  la  note  ordinaire;  mais  ils 

<  sont  mauvais  en  ce  qu'ils  exigent  une  opération  de  l'esprit  qui 
«  ne  peut  toujours  sulvre  la  rapidité  de  Texécution.  La  position  de 
«  nos  notes,  continua-t-il,  se  peint  à  Toeil  sans  le  concours  de  cette 
«opération.  Si  deux  notes,  Tune  tròs  haute,  Tautre  très  basse, 
«  sont  Jointes  par  une  tirade  de  notes  intermédiaires,  je  vois  du  pre- 
«  mier  coup  d'oeil  le  progrès  de  Fune  à  l'autre  par  degrés  con- 
«joints;  mais  pour  m*assurer  chez  vous  de  cette  tirade,  il  fautné- 
«  cessairement  que  j*épelle  tous  vos  chifTres  Tun  après  Tautre;  le 
«  coup  d*cBil  ne  peut  suppléer  à  rien  ». 

Poco  appresso  Rousseau  si  accinge  a  musicare  Les  Muses  ga- 
larUes;  interrompe  il  lavoro  per  seguire  come  segretario  il  Conte 
di  Montaigu,  ambasciatore  di  Francia  presso  la  Serenissima  Repub- 
blica di  Venezia,  e  lo  riprende  dopo  dieciotto  mesi  al  suo  ritorno  a 
Parigi.  Philidor  lo  aiuta  per  le  travati  de  remplissage,  com'egli 
diceva;  ma  quando  Rameau  assiste  alFesecuzione  dello  spartitoio 
casa  La  Popelinière,  <  il  m'apostropha  avec  une  brutalité  qui  ré- 

<  volta  tout  le  mondo,  soutenant  qu*une  partie  de  ce  qu'il  venait 

<  d*entendre  étoit  d'un  hommo  consommé  dans  Tart,  e  le  reste  d*un 

<  ignorant  qui  ne  savoit  pas  mème  la  musique.  Et  il  étoit  vrai  que 
«  mon  travail,  inégal  et  sans  règie,  étoit  tantót  sublime,  et  tant6t 

<  très  plat,  comme  doit  ètre  colui  de  quiconque  ne  s*élòve  que  par 

«  quelquos  élans  de  genie   et  que  la  science  ne  soutient  point 

«  Rameau  prétendit  ne  voir  en  moi  qu*un  petit  piliard  sans  talent 
€  et  sans  goùt  ».  Naturalmente  da  questo  momento  Rameau  diventa 
un  invidioso  del  genio  musicale  di  Jean-Jacques! 

La  terrible  jalousie  de  Rousseau  si  spiega  ancora  in  occasione 
deiroperaballet  La  Princesse  de  Navan^e ,  che  Rousseau  assume 
di  adattare  al  nuovo  libretto  Les  féles  de  Ramire,  <  Je  me  tenis 
«  presque  toujours  à  coté  do  mes  raodèles  »  (Voltaire  e  Rameau). 


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RECENSIONI  461 

egli  dice;  ciò  non  tolse  che  il  suo  lavoro  fosse  tanto  riescilo  da 
costrìngere  Rameau  a  rifarlo.  Inde  trae  di  Rousseau,  che  non  po- 
teva comprendere  il  sentimento  di  disdegno  che  la  sua  presunzione 
suscitava  nell'animo  del  grande  maestro. 

Pel  dizionario  di  musica  (Gap.  Ili)  suggerirono  Fidea  e  servirono 
di  fondamento  al  Rousseau  gli  articoli  che  aveva  scritto  per  la 
Encidopedic^  quando  accettò  la  proposta  di  D*Aiembert  e  Diderot 
di  collaborarvi  per  la  parte  musicale.  «  Si  le  livre  de  Rousseau  est 
«  défectueux,  inégal,  incomplet  »  dice  il  Pougin,  «  on  doit  recen- 
te naitre  aussl  qu*il  a  été  critiqué  outre  mesure,  et  qu*à  coté  de  par- 
«  ties  faibles  il  en  contient  d'excellentes.  Il  est  certain  qu'au  point 
«  de  vue  technique  il  est  insuflìsant  (la  musique  a  marche,  d*ail- 
€  leors,  depuis  lors);  mais  lorsque  Rousseau  s^attaque  à  la  poesie, 

<  à  Testhétique,  à  la  philosophie  de  Tart,  il  s*élòve  à  une  grande 
«  hauteur,  il  parie  avec  une  véritable  éloquence,  et  Ton  retrouve 
«  en  lui,  avec  Tingéniosité  et  la  profondeur  de  la  pensée,  avec  la 
«  sOreté  du  jugement,  la  puissance  de  sentiment  de  Thomme  qui 
«  fut  toujours  sensible  aux  plus  nobles  corame  aux  plus  intimes  ma- 
«  nifestations  de  cet  art  qu*il  adorait  et  qui  fut  la  cause  de  ses  plus 
«  pures  jouissances  ».  Ed  aggiunge:  <  Après  cent  trente-deux  ans  nous 
«  en  sommes  encore  réduits  à  ce  seul  Dictionnaire ,  car  tous  ceux 

<  qui  ont  été  livrés  depuis  au  public ,  à  commencer  par  celui  de 
«  Gastil-Blaze,  son  détracteur  acharné,  ne  vivant  que  par  lui  et  par 
«  ies  grossiers  emprunts  qu*ils  lui  ont  faits  audacieusement.  Il  est 
«  méme  singulier  de  voir  Gastil-Blaze  ne  negliger  aucune  occasion 
«  de  dénigrer  avec  fureur  son  devancier,  alors  que,  sans  jamais  le 
«  citer,  il  luì  emprunte  textuellement  plus  de  trois  cents  articles». 

Nel  Gap.  IV  stanno  raccolte  tutte  le  notizie  che  riguardano  Le 
devin  du  viUage.  Di  fronte  al  successo  brillantissimo  che  ottenne 
1*  intermezzo  a  Fontainebleau  ed  airOpéra ,  il  Pougin  osserva  che 
«  se  serait  beaucoup  dire  que  d*afflrmer  que  Rousseau  a  ócrit  en- 
«  tièrement  la  musique  du  Devin  du  viUage.  Il  en  a  évidemment 
«  foomi  le  premier  jet ,  Ies  contours  mélodiques  qui  donnent  à 
4c  ToBUvre  sa  saveur  et  sa  gràce,  mais,  tonte  question  d'inspiration 
€  réservée,  il  n'était  certainement  pas  devenu  capable  de  construire, 
«  dans  tous  ses  détails  et  dans  toutes  ses  parties ,  une  partition 
«  d*opéra,  méme  d*un  opera  en  un  acte,  comme  celui-ci.  Il  est  dono 
«  incontestable  que  cette  partition  a  dù  ètre  revue,  corrigée,  amen- 
«  dèe  par  un  vrai  musicien  ».  Francoeur,  Jélyotte  e  molto  probabil- 
mente Philidor  avevano  rimaneggiato  lo  spartito,  praticandovi  qual- 
che cosa  di  più  del  semplice  travati  de  remplissage,  di  cui  aveva 
già  piaciuto  al  Rousseau  confessarsi  incapace  ;  ma  è  assolutamente 


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402  RECiNSioin 

fiilsa  Tasserzione,  vérUabie  petite  infamie^  architettata  con  fii 
fldia  alla  morte  del  Rousseau  e  ripresa  molti  anni  dopo  da 
Blaze,  il  disinvolto  saccheggiatore  del  Dizionario  di  musia 
Rousseau  si  fosse  appropriata  imprudentemente  1* opera  di  u 
sicista  di  Lione,  Orenet  o  Oamter,  morto  due  anni  prima  e 
devtn  du  vitloffe  comparisse  sulle  scene.  Il  Pougin  ha  saput 
rare  una  brochure  rarissima  dell'epoca  (1781),  in  cui  è  ih 
in  modo  irrefragabile  la  stolta  accusa. 

Il  Gap.  y.  dettaglia  le  vicende  della  femosa  guerre  des  Bo% 
dove  Jean-Jacques  spiegò  con  molto  brio  il  suo  mirabile  inge 
polemista.  Dairesame  della  stranisaima  sua  Lettre  sur  la  mn 
che  riaccese  la  lotta  quasi  spenta ,  risulta  che  Rousseau  a^ 
v<riuto  ridurre  la  musica  drammatica  alla  espressione  più  rm 
tale,  proscrivendo  qualunque  forma  di  accompagnamento  str 
tale  che  non  seguisse  ali*  unisono  il  disegno  melodico  del  ca 
qumdi  gli  accordi  completi,  perchè  €  c'est  un  principe  certa 
«  fonde  sur  la  nature,  que  tonte  musique  où  Tbarmonie  est 

<  puleasement  rampile ,  tout  accompagnement  où  tous  les  su 

<  sont  complets,  doit  felre  beaucoup  de  bruit,  mais  avoir  tri 
«  d'expression,  ce  qui  est  précisément  le  caractère  de  la  mi 
€  fìrangaise  ».  Tale,  secondo  Rousseau,  l'unico  mezzo  per  vim 
gusto  depravato  delPepoca! 

Segue  Tanalisi  di  altri  scritti,  poco  noti,  di  Rousseau  sulli 
sica.  Il  Pougin  ne  cita  qualche  brano,  che  prova  la  squisita  C 
di  percezione  a  cui  sapeva  giungere  il  filosofo  quando  non  e 
pastoiato  nelle  difflcoltà  tecniche,  per  lui  insuperabili.  Tro^ 
ad  esempio,  ne\V Essai  sur  l'origine  des  langues :  «  C'est  u 

<  avantages  dn  musicien ,  de  pouvoir  peindre  les  choses  qu* 

<  sauroit  entendre ,  tandis  qu*il  est  impossible  au  peintre  • 
€  presentar  celles  qu*on  ne  sauroit  voir,  et  le  plus  grand  pi 

<  d*un  art  qui  n*agit  que  par  le  roouvement  est  d*en  pouvoi 
«  mer  jusqu'à  Timage  du  repos  ». 

Più  tardi  la  guerre  des  glicchistes  et  des  piccimUstes  ecciti 
vamente  T  estro  polemico  di  Jean-Jacques.  Ma  questa  volta  i 
lente  campione  della  musica  italiana  prese  partito  per  Glùck,  £ 
inimicatosi  anche  con  questi,  s*  immaginò  che  il  compositor 
avesse  scritto  della  buona  musica  su  parole  francesi  se  noi 
scopo  di  dare  una  smentita  a  lui  che  aveva  sostenuto  a 
tratta  che  «  la  musique  frangaise  est  détestabie  et  qu*elie  ne 
«  et  ne  pourra  jamais  ètre  que  telle,  parce  que  la  langue  frai 
«  est  radicalement  hostile  à  la  musique  ». 

Nel  Pyomalion   Rousseau  «  eut   la   première  idée  de  ce 


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RECENSIONI 


4(53 


proprement  de  vos  jour^  un  mélodrarame,  la  musique, 
symphonique,  accompagnant  le  texte  parie,  ou  lui 
ntermède.  Cesi,  dans  de  moindres  propositìons,  Tappli- 
principe  rais  en  cBuvre  par  Beethowen  dans  Egmont, 
Issohn,  dans  Le  songe  (Tune  nuit  (Tété,  par  Meyerbeer 
ìnsée ,  et  par  bien  d'autres  ».  Sulla  collaborazione  del 
lUe  vicende  dello  spartito  ci  presenta  estesi  ragguagli 

M.  Pougin  tratta  (Gap.  VII)  delle  composizioni  di  Rous- 
dopo  la  sua  morte  e  pubblicate  dai  suoi  amici  ;  cora- 
^s  consolations  des  misères  de  ma  vie  (95  pezzi  per 
ìhnis  et  Chloè,  melodramma  incompiuto,  musica  da 
Felicissime  per  l'ispirazione  melodica,  palesano  tutto 
i-Jacques  tentò  sempre  di  nascondere  con  ogni  cura, 
ita  imperizia  del  compositore.  0.  G. 

US  A,f  Catalogue  de  la  Bibliothèque  dtu  Oonsérvatoire  Soyai  de 
t  Bruxelie*.  Ànnexée  I:  Liòntti  d'Opérat  ti  d'Oratorio»  iiaUtm  àu  X  Ylfi>  stick* 
,  fìg.  —  Bruxelles,  1901.  Schepens  et  K&tto. 

no  i  musicisti  che  conoscono  le  principali  opere  di 
lavalli  e  di  Marcantonio  Gesti,  i  più  illustri  rappresen- 
era  in  musica  del  periodo  posteriore  alle  origini,  in  cui 
)mi  di  Pei'i  e  Monteverde?  E  quanti  ricordano  non  pur 

Legrenzi,  dei  Pollarolo,  dei  due  Ziani,  dei  Pallavicini 
Itri  che  illustrarono  come  stelle  di  minor  grandezza  nel 

la  storia  del  nostro  teatro  lirico? 

di  un  piccolo  numero  di  pubblicazioni  fatte  recente- 
jrmania,  nessuno  degli  spartiti  di  quel  tempo  è  stato 
posizione  dei  musicisti.  I  manoscritti,  assai  rari,  sono 
nei  centri  più  lontani  ed  una  gran  parte  di  essi  è  scom- 
per  sempre,  né  sarebbe  quindi  più  possibile  farsi  un 
to  del  loro  valore  e  dell'importanza  loro, 
ngono  quindi  più  che  i  libretti,  per  renderci  conto  delle 
ne  degli  autori,  delle  circostanze  di  rappresentazione,  ecc.; 

ci  danno  anche  notizia   del  modo  con  cui  fu  accolta 

pubblico,  e  specialmente  ci  danno  conto  delle  varie 
i  un'opera  nelle  diverse  città,  degli  artisti  chiamati  suc- 
e  ad  eseguirla,  dei  rimaneggiamenti  che  Topera  ha 
re,  di  una  quantità  insomma  di  particolari  interessanti 
:ologo. 

agioni  che  hanno  indotto  il  sig.  Wotquenne  a  compilare 
logo. 
nsomma  alla  storia  del  dramma  lirico. 


ce: 


nusicaU  italiana^  Vili. 


$1 


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464  RSGBNSIQNl 

Il  catologo  compreode  in  prima  luogo  una  Usta  dei  libreU 
ordine  alfabetico.  Ricchissiioe  sono  in  questa  parte  le  indica 
di  ogni  sorta  che  il  Wotquenne  fornisce^  e  interessante  assai 
produzione  delle  scese,  frentispizi^  figiure^  foosùMi  Inter 
nel  testo. 

Viene  poi  uà  dizionario  dei  nomi  accademici,  paeudonimi, 
girammi,  ecc.  —  Segue  Tindice  dei  cèmpoaìtori,  dei  librettisti  e 
attori  ed  attrici. 

Come  appendice  s'aggiunge  la  lista  deUe  partiture  iialtai 
secolo  XYU  conservate  a  Bruxelles. 

Ben  venga  dunque  il  sòguiio  di  questo  catalogo»  &ila  eoo 
pazienta  erudizione  e  con  taaAa  signorile  eleganza!  €L 

4M  XF2«  H^9U^  -^  fiuto,  IMI.  H.  Walter  (EHir.  U  U  Bmrn  i'kkMrm  §*  4i  trUt 
«kalft.  In  aiiné«,  N.  8). 

L'autore  ha  riunito  per  la  nuova  Remce  —  fondata  allo  se 
illustrare  priticfpalmente  la  musica  francese  antica  e  raoder 
i  vari  articoli  che  aveva  scritto  a  riprese  sul  Canfioso  liutista 
Besard  di  Besangon.  Sono  dettagli  che  riguardano  in  particolar 
il  Thesaurus  Harmonicus  (1603)  e  il  Nomcs  Parius  (1617) 
nei  quali  stanno  conservate,  sotto  il  velame  deirìntavolatura  di 
moltissime  composizioni,  belle  ed  iateressantà,  di  musicisti  a 
quasi  tutti  ignoti  perchè  manca  ricordo  di  essi  in  pagine  di  più 
accesso.  Vi  si  aggiungono  le  poche  notizie  b^pgrafiche,  giunt 
a  noi,  del  Besard  e  dì  qualche  musicista  da  lui  citato.  Uà  E 
de  Paris,  il  graziosissimo  scherzo  Campanae  Parisienses,  un  i 
simple  de  Poiciou,  un  Bergamasco^  assai  leg^adro,  del  Bes 
una  Courante  d*A^leierre  offrono  saggio  della  musica  di  Hi 
dinata  dal  Besard,  mentre  in  proposito  il  Ghilesotti  rimanda  gli 
tori  alle  diverse,  trascrizioni  da  lui  già  inserite  ìa  opere  specie 
sendo  oggi  impossibile  redizione  della  raccolta  completa  in 
della  fortuna  scarsissima  che  a  questi  lumi  di  luna  essa  ine 
rebbe. 

BWDOLFB:  QBNÉB^  MUtheUungém  fOr  die  Momtutt-^emHnde  in  BerUn 

Heft.  Min  1901.  —  Berlin*  1901.  E.  S.  MiUler  nitd  Sohn. 

A  signiQcare  la  venerazione  e  il  culto  che  i  tedeschi  barn 
l'arte  di  Mozart,  esiste  dal  1895,  a  Berlino,  una  Società  che  p 
il  nome  dal  grande  compositore  e  ne  illustra  la  vita  e  Tepoc 
la  pubblicazione  periodica  di  memorie,  scritti,  ritratti  e  m 
Quale  felice  e  pratica  intuizione  deirimportanza  che  Tarte  h 
un  popolo  e  della  gratitudine  che  egli  sente  per  chi  glierha 
La  Germania  è  penetrata,  prima  di  tutte  le  altre  nazioni,  nel 


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RECE!«ST09r 


46S 


hanno  queste  belle  e  costanii  manifestazioni  ed  ha 
i  competenza  unica  non  solo  per  i  propri  artisti,  ma 
ìlli  degli  altri  paesi  tutti,  cosi  che  egli  è  ancora  alle 
enio  tedesco  che  noi  dobbiamo  il  meglio  dèlie  cono- 
e  cosmopolita. 

vicolo  pubblicato  dalla  Comunità  Mozart  è  una  novella 
ftamento,  col  quale  uomini  seri  ed  artisti  eletti  pro- 
Ludi,  le  pratiche  conoscenze,  le  audizioni  e  pubblica- 
per  mezzo  delle  quali  il  grande  musicista  di  Salisburgo 
:enio  salutare,  sui  destini  delTarte  nella  gran  patria 
noi  vi  leggiamo  un  interessante  studio  del  chiaro 
ìnée  intorno  al  Beauniarchais  e  le  sue  commedie, 
/  Siviglia  e  11  matrimonio  di  Figaro,  nel  loro  rap- 
ere  che  se  ne  trassero  ;  a  proposito  di  che,  non  solo 
ed  importanti  gli  esempi  musicali  del  Paesiello,  ma 
icora  quelli  dello  stesso  Beaumarchais,  il  quale,  com*è 
e  musicista  e  scrisse  alcune  arie  e  coupleis  per  le 
3si  del  suo  Barbiere  di  Siviglia,  Dopo  Beaumarchais  e 
toro  passa  a  discorrere  di  Mozart. 

0  moltre,  in  questo  rimarchevole  fascicolo,  uno  schizzo 
ra  Vincenzo  Martin,  il  compositore  della  famosa  opera 
'osa  rara;  una  piccola  contribuzione  circa  il  primo 
zart  in  Italia  (1769),  con  estratti  di  lettere  finora  ine- 

e  del  padre.  Quali  tempi,  quale  Italia  musicale  allora 
inaliti  memorie! 

ole  comunicazioni  contribuiscono  airincremenlo  della 
3zartiana  ;  l'appendice  musicale  contiene  un  terzetto 
[ozart:  Mi  lagnerò  tacendo^  con  accompagnamento  di 
ato.  Fra  le  comunicazioni  d'ufficio  notiamo  anche  i 
deirUnione-Mozart. 
un  ampliamento  sempre   maggiore  a  questa  società 

seria  e  benemerita   delFarte,  la   quale  ai  di  nostri 

1  tanto  del  fumo  delle  feste  e  de' soliti  peani,  quanto 
3rgico  delle  forze  e  delle  competenze  vere.       L.  Th. 

\n9   léiswt^a   Briefe  an   die   Faràiin  Carolyne  Saffn-WiUffenHMn» 

Un  ToU  in-8'*  di  pag.  244.  —  Leipiìg.   Dmck   ond   Verlag  Ton   Breltkopf  and 

3  pochi  uomini  eminenti,  il  cui  nome  è  unito  ai  fatti 
iel  sec.  XIX,  ci  appariscono,  come  Liszt,  nella  luce 
lì  bontà  e  nobiltà  di  sentire,  di  elevatezza  intellettuale 
Queste  lettere  ce  lo  rivelano,  il  Liszt,  l'amato  e  l'am- 
)Uia,  egli  che  fu  la  passione  del  suo  secolo,  in  mezzo  ad 


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Goog 


466  RXCENSION] 

una  infinita  varietà  di  circostanze.  L*epoca  comprende  gii  ao 
e  1861,  successivamente  al  periodo  in  cui  si  svolge  la  co 
denza  già  pubblicata  dal  1847  al  1859.  Avvenimenti  dell 
della  politica,  pettegolezzi  delKalta  società  e  delle  Corti, 
della  famiglia  e  degli  amici,  ma  sopra  tutto  le  più  fervide 
sioni  deiramore  e  della  fede,  sono  i  motivi  capitali  di  queste 
La  fede  di  Liszt  è  qualche  cosa  che  rasenta  l'esaltazione 
sincera  e  si  accorda  con  intonazione  meravigliosa  alle  espi 
deiraffetto  per  la  Principessa  di  Wittgenstein,  la  sua  amica 
e  fedele,  la  sua  ìnspiratrice,  T  anima  della  sua  vita,  qua 
doveva  divenire  sua  sposa.  Ciò  che  più  interessa  sono  le  m< 
tizie,  che  da  queste  lettere  si  raccolgono  sull'attività  del  Lis: 
compositore  e  suiropinione  che  egli  ha  dei  migliori  artis 
sua  epoca:  opinione  pt^cisa,  che  sorvola  su  tutte  le  me^ 
delle  circostanze  locali  e  su  tutte  le  specie  di  gelosie  ed 
della  vita. 

Fra  queste  memorie  vi  ha  ancora  il  testamento  di  Liszt, 
di  suo  pugno  il  14  settembre  1860  a  Weimar;  pagine  di 
sentire  e  di  ricordi  innumeri,  che  una  vita  fan  degna  d*es» 
generosamente  vissuta  e  sui  quali  campeggia  sempre  il  n< 
Carolina.  Poco  più  di  un  anno  dopo,  la  corrispondenza  cei 
vigìlia  di  quello  che  doveva  essere  il  gran  giorno.  L*ultima 
è  in  data  14  ottobre  1861:  Liszt  s'imbarcava  a  Marsiglia  p< 
tavecchia.  A  Roma  l'attendeva  la  Principessa;  egli  vi  gì 
20  ottobre.  Due  giorni  dopo  doveva  aver  luogo,  nella  Ch 
San  Carlo  al  Corso,  il  matrimonio.  Com*è  noto,  in  seguito  a 
dine  del  Papa,  fu  protratto,  né  più  si  fece.  L 

B.  KOTHE,  AhrU»  der  MuHkg^BehiéMe.    ffiobente  Aaflag».  —  Lsiptig.  VorUg 
C.  Leaelnii. 

Io  non  credo  che  una  storia  della  musica  debba  essere  solta 
sposizione  di  fatti  e  nomi  regolarmente  elencati.  Questo  con 
del  Kothe  contiene  poco  più  che  la  cronaca,  la  quale  è  uno  d( 
menti  della  storia,  e,  pur  come  cronaca,  essa  è  incompleta  par 
La  lacuna  più  grande  si  nota,  compera  da  aspettarsi,  nei  se( 
medio  evo  preparanti,  collo  sviluppo  della  teoria  e  dell'arte 
cale  sacra,  da  una  parte,  e  col  meraviglioso  influsso  della 
popolare  dall'altra,  la  nuova  epoca,  che  già  sulla  soglia  del  l 
colo  si  delinea  nei  suoi  caratteri  principali.  È  veramente  qu 
parte  difficile  che  l'A.  non  ha  né  anche  lontanamente  intra 
senza  dire  che  per  porre  in  rilievo  questo  movimento,  occo 
un  continuo  richiamo  all'arte  più  antica,  a  quella  de'  Gre< 
notare  e  spiegare  l'affinità  tra  fatti  di  più  specie  nelle  erigi 


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HECSN8I0NI 


467 


)  orìgini  celtiche,  brettoni  e  scandinave,  nella  quale 
isa mente  consi^^^tono  grinsegnamenti  utili  della  storia, 
sappia  derivarne  delle  leggi  regolative  delVestetica  e 
le  arti. 

\  trattare  compendiosamente  questa  e  tutte  le  altre 
corre  trovare  il  nesso  che  molte  volte  si  rivela  da  cir- 
Iroppo  ancora  trascurate,  per  potersi  spiegare  come  s'è 
indo  rartistico  edificio  della  musica.  Il  Kothe  invece, 
tratti  di  semplice  cronaca,  come  dissi,  si  serve  quasi 
e  di  piccole  note  biografiche,  e  cosi,  con  elenchi  di  nomi 
inda  avanti  questo  suo  libro,  io  non  saprei  veramente 
)vo  proQtto  degli  studiosi. 

so  una  parte  che,  presa  a  sé,  è  meglio  riuscita  delle 
onsta  di  alcuni  appunti  alla  storia  della  costruzione 
nti,  che  si  coordina  con  quella  dell'arte  di  suonarli; 
ìttiva,  nella  sua  compendiosita,  la  piccola  contribuzione 
el  canto  sacro  tedesco;  tutto  ciò,  s'intende,  tenuto  conto 
iel  Kothe,  che  è  quello  non  tanto  della  classificazione 
anto  quello  della  semplice  enumerazione. 
ò  delle  lacune  di  questo  libro,  che  vengono  prima  e 
giore  di  tutte  già  notata.  La  dimostrazione  che  dai  ru- 
[^nto  popolare  rappresentativo,  nelle  feste  profane,  e 
stioni  con  i  canti  narrativi  e  rappresentativi  della 
olico-roraana,  conduce  (seguendo  l'istessa  evoluzione 
ana)  dAVOraiorìo  e  all'Opera,  mentre  dalla  parte  op- 
5ica  artistica  della  società  colta,  dal  secolo  XV,  tiene 
strada  colla  musica  polifonica  profana,  questa  dimo- 
3,  compendiata  (e  bisogna  che  lo  sia,  perchè  altrimenti 
[tacia),  costa  sol  poche  pagine,  manca  affatto.  E  cosi 
ler  parecchi  altri  casi  concernenti  la  storia  antica  e 
iirorigine  e  lo  sviluppo  della  musica  istrumentale  e  le 
ì  appunti  del  Kothe  non  passano  la  materialità  dianzi 
t  quale,  presa  a  sé,  ha  il  suo  valore,  e  forse  è  questa 
;he  dichiara  la  destinazione  del  libro.  L.  Th. 

lompendium  der  Musihge»chiehie  fUr  SthuUn  und  ConservtUorien. 

Un  rol.  in-8''  dì  pag.  304.  —  Wlmi,  1900.  A.  Holdsr. 

pare,  la  consultazione  dei  materiali  storici  ha  assistito 
*rosniz  capitolo  per  capitolo.  Quanto  questi  materiali 
»leti,  si  vede  a  colpo  d'occhio;  e  come  essi  abbiano  im- 
e  servito  bìVa,  nella  sua  bisogna,  occorre  spesso  di 
'ana  la  disinvoltura  con  cui  egli  afferma  e  giudica  fatti, 
a  vi  sono  ancora  dati  storici  sicuri.  Dice,  ad  esempio. 


u 


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408  BSCBMIOIfl 

che  i  madrigali  (?)  a  cinque  vod  àBWAn/lpamaeù  del  Vecchi  erano 
eaeguiti  dietro  la  scena.  Dove  le  prove?  «^Econ  che  brevi  parole 
se  la  spiccia,  il  signor  Pro^niz,  qaesta  materia  éeiVOpera  e  de*  suoi 
coefficienti  !  Qui,  nel  campo  AeWOratorio  e  della  musìoe  italiana  io 
genere  e  in  quello  della  istruroeatale  in  ispecie,  lungi  dairaver  co- 
slraiiQ  con  materiali  propriì,  ha  spizzicato  motto  superficialmente 
in  quelli  raccolti  da  altri,  senza  giungere  a  risultaii  conforieFoii 
suJio  sviluppo  della  composizione,  e  tralasciaado  una  quantità  di  dati 
originali  e  finali. 

Il  libro  ai  chiude  con  due  ptiscoie  monografie  su  Handel  e 
Bach,  che  non  riorganizzano  e  non  riassumono  nulla,  ma  stanno 
troppo  a  sé. 

Il  compendio  del  Prosniz,  per  essere  prudenicmente  diviso  in 
varie  parti,  che  TA..  pubblica  Imtamcnte,  darebbe  a  credere  una 
preparazione  ben  differente  da  quella  che  risulta  neiraffeito.  Poiché, 
più  di  una  iraacia,  e  non  sempre  esatta,  egli  non  offre.  Il  lavoro 
del  denso  riassunto  sicuro,  non  solo  narrativo,  ma  esplicativo,  riso- 
lutivo, manca. 

Non  so  poi  perchè,  trattandosi  della  musica  fra  il  1600  e  il  1750, 
TA.,  oltre  al  non  aver  quasi  per  nulla  svolta  Topera  italiana  seria 
e  buffii  del  700,  abbia  totalmente  tralasciato  di  discorrere  della 
musica  in  Russia  ed  in  Ispagna. 

Ma  per  gli  studenti,  un  disegno  di  lezioni  in  questo  libro  vi  è,  e  un 
bu(Hi  corredo  di  opere  da  consultarsi,  ancora.  L.  Th. 

M.  BIBMAlfK,  G€9thiMU€  der  MuHk  sMt  MUitihofmt  (ISOO-l^OO).  Un  toI.  ìb-8*  di 
^H'  ymSH,  ^  Bfrliii  «Bd  St^ttgftrt.  IMI.  Verli«  t9B  W.  Spen^OB. 

Non  è  molto,  noi  leggevamo  ammirando  la  Storia  della  teoria 
musicale  del  Riemann,  e  nel  tempo  stesso  ci  si  annunziava,  se  già 
non  era  pubblicata,  la  quinta  edizione  totalmente  riveduta  del  suo 
Lessico  musicale;  ed  ora,  a  poco  più  di  un  anno  di  distanza,  ci 
capita  sott*occhio  quest'altra  opera  colossale:  La  Storia  Ueila  mu- 
sica dopo  Beethoven. 

Non  solo  Tattiviti  del  Riemann  ha  del  meraviglioso,  ma  le  sue 
conoscenze  sorpassano  in  vastità  e  sicurezza  qualsiasi  più  ottimistica 
idea  che  npi  ce  ne  potemmo  formare,  ter)  r^rudizione  axpplissima, 
oggi  una  stupefacente  cognizione  della  moderna  musica  pratica  di 
ogni  specie  e  valore  non  solo,  ma  una  illustrazione  compieta  di  tutto 
Il  movimento  delle  idee  e  degli  studi  moderni. 

Anzitutto  devesi  constatare  come  la  posizione  di  storico  sia  presa 
dalFA.  seriamente  e  serenamente,  fuori  delle  impulsioni  de*  partiti, 
lontano  dallo  splendor  passeggero  di  nuovi  effetti,  libero  veramente 
e  senza  posa. 


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nECENSIOM  46^ 

"x>  aU'ordinamento  della  ricchissima  materia,  egli  ha  pre- 
apprcsentare  un  numero  limitato  di  figure  principali  in 
>  dettagli,  attorno  alle  quali  ha   schizzato  figure  secon- 

egli  ha  ricomposto  molte  biografie  e  monografie.  Ghts 
gruppamento  di  singole  biografie  sia  la  forma  ideale  di 
storico  io  non  credo,  e  ne  ho  detto  troppe  volte  le  ragioni, 
aliando  questo  libro  com'è,  FA.  può  presumere  di  aver  data 

chiara,  ordinata  (se  non  sempre  risultato  di  mature  idee) 
)a  moderna,  delle  sue  correnti  principali,  dando  ad  ognuna 
o  secondo  importanza  reale  dei  fatti  e  degli  uomini, 
è  divisa  in  quattro  libri,  alla  lor  volta  ripartiti  in  diversi 

primo  libro  arriva  sino  alla  morte  di  Beethoven  e  com- 
musica  sulla  scolla  del  secolo  scorso;  Beethoven  dalla  sua 
fino  alla  morte;  Francesco  Schubert;  Carlo  Maria  Weber, 
la  figura  di  Schubert  si  raggruppano  Reichardt,  Zelter  e 

attorno  al  Weber  vengono  in  discussione  l'opera  fran- 
iana  dell'epoca,  i  principii  della  corrente  romantica,  Lo- 
hr  e  Federico  Schneider.  Beethoven  e  Carlo  Maria  Weber 
compresi  dal  Riemann  in  una  sintesi  perfetta  della  loro 
me.  Nella  parte  biografica,  le  fonti  delle  principali  notizie 

do  libro  comprende  Tepoca  Mendelssohn-Schumann,  de- 
oluzione  della  musica  di  concerto  e  delle  sue  istituzioni, 
me,  in  Germania,  di  numerose  società  di  canto  (condizione 
questa,  insieme  a  buone  orchestre,  per  poter  affrontare  l'e- 
li opere  classiche;  istituzioni  e  condizioni  quindi,  Tuna  e 
in  Italia  mancano  affatto),  le  riforme  neirinsegnamento,  il 
^li  sludi  musicali  storici,  il  virtuosismo  e  i  hapellmeister. 
dì  due  capitoli,  uno  dei  quali  è  dedicato  a  Mendelssohn. 
ta  e  le  sue  opere,  e  l'altro  a  Schumann,  accanto  al  quale 
^esentate  le  individualità  secondarie  di  Carlo  Loewe,  Ro- 
Lraann,  Stephen  Heller,  Roberto  Franz.  Il  libro  si  chiude, 
ccellente  capitolo  intorno  a  Chopin,  le  sue  opere  e  la  rau- 
noforte  del  suo  tempo,  con  la  parte  che  tratta  dell'opera 
ar  fino  all'avvento  di  Wagner.  Mendelssohn  è  giudicato 
e  imparzialità:  Se  noi  oggi  gettiamo  uno  sguardo  su  la 
Ile  opere  di  Mendelssohn,  ci  salta  agli  occhi  l'uguaglianza 
egli  trattava  i  diversi  campi  della  composizione:  io  vorrei 
ciò  l'influenza,  il  lavoro  continuo  di  quei  principii,  coi 
le  regolata  la  sua  educazione  artistica.  Senza  preferire 
tro  ramo  dell'arte,  continuamente  al  lavoro  nelle  branche 
3  (l'ozio  in  casa  di  Mendelssohn  era  un'incognita),  Men- 


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470  RECENSIONI 

delssohn  si  era  abituato  ad  aver  sott*occhio  sempre,  ad  ud  U 
stesso,  più  lavori,  vocali  ed  istramentali,  orchestrali  e  di  cene 
Quindi  è  difficile,  se  non  è  impossibile,  dire  che  egli  si  sia 
tlto  più  famigliare  coiruno  o  coli*altro  di  questi  rami  della  ce 

sizione La  musica  di  Mendelssohn  riposa  essenzialmente  si 

coli  tratti;  non  Telaborazione  dei  motivi,  non  il  gran  tratto 
sviluppo  tematico,  non  un  crescendo  che  vi  strappi  Taninu 
violenza  e  si  elevi  al  conflitto  tragico  come  in  Beethoven:  Tim 
sione  che  fanno  i  suoi  motivi  è  isolata  nella  loro  conformazion< 
Nei  temi  sta  quasi  sempre  la  parte  propriamente  creativa,  m< 
Telaborazione  ulteriore  è  il  risultato  della  sua  cultura  artist 
della  sua  buona  scuola  e  solo  raramente  porta  nuovi  effetti  prie 
Molto  interessante  è  il  capitolo  intorno  allo  Schumann,  and 
giudicato  con  imparzialità,  con  viste,  se  non  nuove,  almenc 
serene,  composte,  che  non  siano  quegli  degli  ebbri  sentlment 
avvelenati  dall'oppio,  estenuati  daireccitamento.  Il  Riemann  ha 
grande  giustizia  airindividualità  di  Schumann,  ma  ha  anche  i 
le  sue  opere  nella  categoria  cui  appartengono:  Schumann  ri 
sempre  il  raro  pittore  del  piccolo  paesaggio  e  della  piccola  t 
intima:  il  resto  non  è  per  lui.  Da  questo  punto  di  vista  eg 
giudicato  rettamente  ancora  la  musica  delle  Scene  del  Fatu 
Suiropera  da  Weber  a  Wagner  molto  trovo  di  interessante, 
muove  dairopera  francese  (Auber,  Hérold,  Halévy,  Adam),  pa£ 
compositori  italiani,  Pacinl,  Mercadante,  Bellini,  Donizetti,  pò 
inglesi  Wallace,  Balfe,  J.  Benedict,  Macfarren,  poscia  a  Meyei 
al  quale  in  parte  si  collegano  Auber,  Rossini  e  Verdi.  Cosi  al  re 
ticismo  tedesco,  trapiantato  in  Francia  ed  in  Italia,  TA.  fa  se 
lo  svolgimento  che  esso  ebbe  nella  sua  patria  con  K.  Krei 
Marschner,  Lortzing,  Flotow.  Qui  realmente,  e  in  ispecie  a  p 
sito  dei  nostri  maestri  italiani,  si  vede  il  lato  debole  di  una  s 
fatta  a  base  di  biografie  e  di  elenchi  di  opere.  Assolutamente 
doni  il  Riemann,  questo  sistema  potrà  essere  adottato  in  un  lei 
ma  una  storia  è  il  ragionamento  sui  materiali  che  un  lessico 
offrire,  e  non  la  loro  riproduzione. 

Se  vi  fu  mai  una  parte  interessante  in  un'opera  storica,  e 
questa  che  segue  nel  terzo  libro:  Tepoca  di  Wagner-Liszt.  Eb 
a  me  duole  il  dirlo,  essa  è  trattata  in  modo  affatto  superficiale.  1 
diamoci:  io  ammetto  il  concetto  dominante:  Wagner-Liszt;  ami 
che  egli  abbia  una  preparazione  nel  capitolo  su  Ettore  Berlioz, 
pure  accetto  la  parte  che  vi  si  raggruppa  potente  ed  orig 
Tunica  corrente  di  musica  nazionale  però,  cioè  la  corrente 
musica  russa  (esclusi  Rubinstein  e  Tschaikowski);  ma  non  amj 


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RECENSIONI  471  I 

X)  né  la  significazione  isolata  e  quasi  parallela -delle  tre 
ti  della  musica  moderna,  Berlioz,  Wagner,  Liszt,  né  la 
[iella  triade,  che  il  Riemann  si  sforza  di  dimostrare  come 

dì  tutto  il  movimento  moderno  della  musica.  So  bene 
a  di  tre  monografie  complete,  che  è  quasi  impossibile 
e  meglio,  in  poche  pagine,  sulla  vita  e  le  opere  de'  tre 
iicìstì  del  secolo  XIX,  sviscerando  in  ognuno  tutte  le 
lati  immaginabili  per  far  si  che  la  loro  posizione  risulti 
)spelto  della  vera  arte;  ciò  non  di  meno  io  trovo  inac^ 

incomprensibile  quel  conguagliamento  di  ideali,  di  con- 
spiriluale  e  di  tecnica,  che  il  Riemann  si  sforza  di  dimo- 
e  qui  il  suo  punto  di  vista  erudito  ha  trasceso  Per  me  H 

che  rapparizione  di  una  mente  superiore,  come  è  quella  5 

Wainier,  dipende  da  un  complesso  cosi  grandioso  e  ^ 

di  fenomeni  storici,  quale  il  Riemann  non  ha  neppure  C 

Le  intravvisto,  e  che  però  danno  allo  storico  la  chiave  F 

la  sua  posizione.  Bisogna  convenire  che  sarà  solo  nel  |7 

la  storia  comprenderà  la  figura  di  Wagner  e  Timpor-  fc 

sua  opera.  jr^ 

libro  è  il  libro  degli  Epigoni:  consta  di  un  eccellente  ^ 

la  successione  classica  e  romantica  in  Germania,  sulla  \^ 

jzione  all'estero  che  la  rispecchia  con  infinita  debolezza.  £ 

speciale  è  dedicato  agli  epigoni  Brahms,  Bruckner  e 

apprezzamenti,  per  me  falsi,  sul  conto  di  Bruckner,  rim-  g 

el  delitto  di  essersi  arruolato  sotto  la  bandiera  di  Wagner  j^^ 

i  dagrideali  di  Beethoven;  quasi  che  un  uomo  che  non  •^^ 

lenio  dell'uno  o  dell'altro,  non  potesse  tentare  con  successo  ^,J 

del  resto  naturale,  delle  tendenze  che  egli  è  costretto  a  ^'j 

ù  falso  parmi  il  concetto  che  il  Riemann  ha  delParte  ^> 

Strauss,  ridotta  alla  raffinata  tecnica  dell'istrumentazione.  g; , 

li  Riccardo  Strauss  non  ò  la  rinunzia  alla  spontaneità  e  £^;i 

non  è  il  trionfo  del  tecnicismo,  ed  anche  per  essa,  come 
•i   fatti   artistici,  è  questione  di  tempo.  Coloro  che  non 

)a  superficie  delle  cose  e  la  vedono  in  ft*etta  (se  pur 
i^edono),  non  sono  atti  a  giudicare  di  queste  cose. 

capìtolo  è  dedicato  alla  scienza  musicale  e  tratta  del- 
torica  in  Germania,  in  Francia,  nel  Belgio,  in  Inghilterra 
i  paesi,  con  molta  competenza  e  con  assegnazione  pre- 
caria importanza  ed  espansione  di  studi,  nei  quali  i  paesi 
Ito  la  Francia,  sono  ancora  cosi  indietro.  L.  Th. 

.s 


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472  RBCENSIONl 

W.  JP08TSU  jII^BOBF,  Thè  Opmm  FmH  ^md  JVttMNf.  Vn  toL  Ib^,  A  pig. 
Ch.  Seriboer*8  fons,  New  Ywk, 

Per  questa  storia  deiropera  dalle  sue  origini  fino  ai  gior 
stri,  TA.  si  è  servito  de*  soliti  materiali:  ha  scelto  ciò  cbe  ma 
mente  conveniva  per  la  specie  de'  suoi  lettori,  ed  ha  compec 

n  suo  non  è  un  libro  di  studio  e  di  compulsione:  deve 
per  le  mani  de^ii  amatori  di  musica  e  co^  com*è  fatto  va  f 
tamente  bene.  Si  sfiorano  tutte  sorta  di  argomenti,  si  ripeto] 
rigirano  tutte  le  questioni,  dalla  Camerata  fiorentina  fino  ali 
venticela  di  Bayreuth»  e,  meno  male,  si  ricordano  al  lette 
fondo  al  volume,  due  cose  belle:  la  prefazione  ^'Euridice  é 
e  la  prefazione  M'Alceste  dì  Gluck. 

L*opera  presente,  da  Wagner  in  poi,  è  la  parte  meglio  ti 
di  tutto  il  libro,  lo  non  divido  parecchie  opinioni  delFA^ 
quanto  aìVOpera  e  Dramma  e  alle  relazioni  che  egli  nota 
stile  del  Wagner,  nelle  due  prime  parti  della  Tetralogia,  e  1 
del  Meyerbeer.  Ho  detto  ancor  io,  e  forse  non  degli  ultimi, 
vent*  anni  fa,  pubblicamente,  intorno  alle  relazioni  di  analog 
certi  motivi  di  Mendeissohn  e  Marschner  e  alcuni  di  Wagnc 
oggi  convengo  che  son  ben  meschine  comparazioni  codeste,  dii 
a  una  nuova  potenza  stilistica  che  tutto  travolge  e  tutto  rii 
a  suo  modo.  L*Apthorp  dal  suo  punto  di  vista  crede  che  Wi 
solo  e  primieramente  nel  Siegfi^d^  riescisse  a  liberarsi  dairinfl 
di  Meyerbeer,  mentre  io  credo  che  egli  ne  fosse  libero  fi] 
Tannhauser.  Parlando  di  Bayreuth,  le  lamentele  son  giust 
i  principii  sono  penosi  per  tutti,  per  gli  uomini  e  per  le  ii 
zioni,  e  un  giorno  anche  Bayreuth  sarà  per  la  Germania  ci 
deve  essere. 

Lo  scrittore  ha  dello  qualità  di  stile,  che  fanno  del  suo  libi 

lettura  gradita forse  non  troppo  ai  veristi  dell*  attuale 

italiana.  L. 

Critica. 

B.  CmmCCHI,  e.  Vérdi  (ISlS-lPOi),  (CollMioM  Puitliewi}.  —  1901.  O.  BaxMn 
-  L.  2. 

Scritto  per  il  popolo,  in  uno  stile  agile  e  vivo,  questo  libro  e 
assai  piacevolmente  l'intento,  cheò  <  di  riassumere  non  precisa 
€  la  vita  del  maestro,  ma  bensì  lo  svolgersi  di  quel  suo  geo 
«  ebbe  limpidezza  tutta  italiana,  che  non  conobbe  vergognose 
€  sazioni,  e  non  patteggiò  mai,  neanche  nelle  opere  più  fret 
«  mente  composte,  con  le  corruzioni  e  con  le  deviazioni  del  gì 


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avciNBioNi  478 

Soltanto  si  desidererebbe  che  J*  Autore  serbasse  (jnelche  maggior 
temperanza  nei  giudizi.  Dei  canti  del  Trovatore,  ad  esempio,  non 
81  p«ò  dire,  senza  esagerazion  di  lode,  che  aian  paradistaci  (f>a- 
gina  i2$);  e  ancbe  gli  ammiratori  piii  candidi  dell'opera  verdiana 
dureimnno  fatica  a  consentire  al  Checchi  che  nel  Ballo  In  Maschera 
ala  tale  ei^anza  <it^ /brme  da  richiamare  al  pensiero  le  linee  pure 
ed  eleUe  modellate  doMo  scadilo  greoo  (pag.  145).  Per  converso, 
il  Bulow  Al  qualctie  cosa  di  più  e  di  meglio  che  non  un  in^cppov' 
tabtte  ptantita  (pag.  178).  E  deirautore  del  FUtro  non  dovrebbe 
esser  lecito  passarsi  con  questo  cenno  affirettato  di  superiore  disprezzo: 
«  q\kéirAt4ber  che  nella  giocosa  festività  e  nell*abbondante  ricchezza 
«  di  moUcetti  seppe  nascondere  la  mancanza  quasi  assoluta  dt 
«  originalità  virile  ».  Tanlo  più  quando  la  genialità  la  si  trova  poi 
eoa  cosi  pronta  indulgenza  (indovinate?)...  nella  Cavalleria  RustU 
eana  di  Pietro  Mascagni  (pag.  17ft).  R.  G. 

Btw0né  ir.  TJLOOOaM^ALLUOCX,  M/é9otwHom0  éUU'mrte  JtmHwmm  ntt  «eeoto  XIX. 

^  HwiUift.  VCll.  VlaoMM  ll«flla,  tdltora.  -  L.  8JM. 

Mi  permette  il  signor  Taccone^  lincei  —  poi  che  al  suo  libro 
non  sarà  per  mancar  1*  onore  d*  una  seconda  edizione  —  ch*io  gli 
consigli  qualche  ritocco  al  capitolo  sesto? 

Già.  converrà  aver  pazienza,  o  incominciare  dal  titolo  (€  La  mu- 
sica d*Qggi  »).  Promettere  uno  studio  su  <  rivoluzione  deirarte  nel 
secolo  XIX  »,  e  quanto  alia  musica  restringer  l' indagine  a  questi 
ultimi  anni,  può  parer  poco  logico:  comunque,  la  musica  italiana 
moderna  non  è  poi  tutta  nell'oratorio  e  nel  melodramma,  di  cui  si 
contenta  a  discorrere  per  quaranta  pagine  TAutore. 

Poi,  in  proposito  deiroratorio,  non  sarà  bene  ricordare  il  Toma- 
dini?  e  qualche  cosa  pur  dire  dell'opera  sapiente  di  restaurazione 
che  anche  tra  noi  —  non  è  gran  tempo  -*-  richiamava  la  musica 
religiosa  airobliata  purezza  della  origine  sua? 

Ancora:  riguardo  al  melodramma,  bisognerà  &r  ammenda  di 
qualche  omissione;  perchè  tacer  fino  i  nomi  del  Ganti,  del  Bara- 
valle,  del  Mancinelli  là  dove  pur  distesamente  si  parla  di  Nicolò 
Westerhout  e  di  Pietro  Floridia  e  di  Umberto  Giordano? 

In  flne,  più  d'un  giudizio  vorrà  esser  corretto.  Il  Ponchielli,  ad 
esempio,  non  fu  Terede  del  Verdi  —  anche  perchè,  tra  Taltro,  il 
Verdi  gli  sopravvisse.  Che  nella  Cavalleria  Rusticana  11  canto 
sia  spesso  «all'unisono  con  Torchestra  »  è  verissimo:  ma  che  que^ 
sia  un  pregio,  penso  non  lo  credano  altri  che  il  Taccone-Gallucci  e 
il  Mascagni.  Non  so  se  Giacomo  Puccini  saprà  grado  all'Autore  del- 
l'aver egli,  gentil  paraninfo,  accompagnato  di  sue  lodi  «  il  felice 
€  connubio  (o  Saffo  I)  della  sentimentalità  melanconica  poncMel- 


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474  RECENSIONI 

I 

liana  con  la  virile  e  nervosa  espressione  verdiana  »  nella  musica  d 
Manon  Lescaut  e  della  Bohème:  ma  so  che  gli  studiosi  del  dran 
musicale  stupiranno  di  apprendere  che  io  quelle  opere  «  il  waj 
rismo  sia  fondamento  di  architettura  orchestrale  »,  e  che 
giustificare  le  molte  (troppe)  somiglianze  che  sono  tra  i  lavori 
maestro  lucchese  altri  paragoni  potevan  soccorrere  più  acc 
che  non  quello  —  irriverentissimo  —  con  le  Madonne  del  Sai 
Del  Verdi  è  ben  detto:  «  la  speciale  caratteristica  del  son 
€  maestro  di  Busseto  è  quella  di  esplicare  la  sua  produzione  n 
«  cale  in  armonia  collo  spirito  del  tempo  ».  Ma  è  mal  detto 
Wagner  questo  che  segue  :  «  Wagner  ipnotizza  soltanto  coloro 
'  '  «  sono,  per  cosi  dire,  iniziati  nWideolOffia  astrusa  e  profonda 

-  €  l'austero  compositore  tedesco  ».  «  L'opera  di  Wagner  eccita  1 

€  mirazione,  spesso  lasciando  da  parie  il  piacere  e  la  soddisfazi 

A  €  del  sentimento  naturale  umano  ».  «  Uesiguità  della  meli 

€  rende  monotona  la  musica  di  Wagner,  e  il  monologhismo 
«  sistente  e  continuo  allontana  dall'opera  sua  il  fascino  della  ^ 
€  neWarmonia  del  contrappunto  ». 

Ritoccare,  dunque;  anzi  correggere;  anzi,  meglio,  mutare;  o 
s'anco  sopprimere.  Perchè  veda  un  po'  il  Taccone-Gai  lucci  se,  a 
riposato  giudizio,  non  paia  per  una  seconda  edizione  miglior  pai 
lasciar  la  musica  a  dirittura  in  disparte?  R.  ( 

e.  FERINE LLO,  Giuseppe  Verdi,  Un  voi.  in.8«  di  pag.  112.  ^  Berlia,  1900.  Bar 
VerlagigMeUichaft  fOr  Literttar  nnd  Knnst. 

La  biografia  di  Giuseppe  Verdi  scritta  dal  sig.  Pennello  è 
lavoro  compilativo  interessante,  il  quale  dimostra  come  all'è 
siasmo  pel  compatriota  si  possa  unire  la  narrazione  aneddotica  é 
sua  vita.  L'edizione  è  fatta  con  ogni  convenienza,  vi  sono  rac( 
parecchi  ritratti,  caricature,  ecc.,  e  non  manca  una  diligente 
segna  delle  opere  principali  di  Verdi:  cosi  che,  nel  compless 
questo  libro  si  raccolgono,  in  guisa  di  informazioni  a  bastanza 
gettive,  le  notizie  che  maggiormente  fermano  l'attenzione  sul 
popolare  dei  compositori  italiani  moderni.  L.  T 

E.  HANSIiICK,  Aum  neuer  und  neueeter  meit  (Der  modemeo  Oper  IX  Tli«a)  MmOci 
Eritikea  and  Sehildeningen.  Un  rol.  in-8<>  di  pag.  877.  —  Berlin,  Allgemeiner  Vtr«i 
Deatoche  Littentar,  1900. 

Questo  volume  contiene  recensioni  e  scritti  su  molta  e  divi 
materia  musicale,  commentata  e  giudicata  con  quella  opportu 
di  note  e  chiarezza  di  forma  espositiva,  che  sono  le  peculiarità 
talento  di  Hanslick. 

Gli  è  con  interesse  speciale  che  si  leggono  gli  appunti  critic 
le  opere  nuove,  nuove  almeno  per  noi,  quali  «  La  prigionien 


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RECENSIONI 


475 


lei  Goldmark,  «  Jolanthe  »  dello  Tschaikowski,  e  *  C'era 
»  del  Zemlinsky.  Nella  parte  dei  «  Concerti  j»  le  novità 
dano:  vi  è  notevole  un  gruppo  di  opinioni  critiche  sui 
rancesi  D'Indy,  Saint-Saéns,  Dubois,  Ghabrier,  Frank,  Lalo 
i. 

mente  vero  e  brillante  è  Tarli  colo  sulla  manìa  del  pia- 
1  flagello  che  anche  in  Italia  pur  troppo  comincia  a  far 
me  Ira  chi  suona  e  chi  ascolta.  Altri  articoli  notevoli 
>  biografici  o  critici  o  di  polemica  generale  e  locale, 
ìon  tutti  certamente,  ma  in  ispecial  modo  quelli  che  trat- 
contesa  intorno  alla  musica  d'intermezzi  per  lavori 
;i,  di  Franz  Hauser  (con  lettere  di  Mendelssohn,  0.  Jahn, 
n,  Seydelmann  e  Jenny  Lind),  di  Wasielewski,  il  biografo 
inn  (con  lettere  inedite  di  Clara  Schumann),  di  alcuni 
szt  e  Wagner  (tema  che  si  presta  alla  polemica,  af  sar- 
iwagncrìano  incui  l'Hanslick  è  proverbialmente  maestro, 
ministrazione  di  qualche  non  inopportuna  doccia  fredda 
eniale  ed  innamorato  Liszt),  Da  ultimo  THanslick  quasi 
e  di  sottolineare  la  ingratitudine  che  Wagner,  il  grande 
be  pel  suo  devoto,  affezionato  e  sacrificato  amico  Wen- 
ssheimer,  profittando  di  un  libro  scrìtto  da  questo.  — 
)trebbe  cominciare  come  quel  buon  professore  di  filosofia: 
mo.  —  Ma  è  tutto  tempo  perso.  L.  Th. 


Estetica, 

ki  beata  riva,  —  HìUdo,  1900.  Fratelli  Traret  editori. 

irultimo  capitolo  di  questo  libro  alcune  tra  le  pagine  più 

pensiero  e  più  elette  di  stilo  che  intorno  alla  musica  da 

siano  state  scritte  in  Italia. 

uono,  ogni  onda  di  suoni  ha  la  virtù  di  chiamare  il  nostro 
i  svegliarlo  e  di  fargli  sentire  la  idealità  fra  la  sua  stessa 

vita  delle  cose;  ogni  suono,  ogni  onda  di  suoni  parla 
e  più  profonda  del  nostro  essere,  e  negli  intervalli,  vere 

mare  dei  suoni,  ci  fa  sentire  la  voce  del  silenzio.  Cessano 
ise  i  suoni,  tacciono  i  rumori  dell'esistenza,  e  appare  il 
iella  vita.  Anche  nel  tempo,  cioè  a  dire  nel  tessuto  dei 
,  non  è  possibile  concepire  l'essenza  della  musica  se  non 
adersi  del  silenzio  fra  gli  intervalli  sonori,  cioè  a  dire 
)arizione  del  silenzio  in  forma  di  ritmo.  Il  ritmo  genera 
s  dà  una  prima  voce  al  mistero,  sveglia  in  noi  il  sussulto 


s 


I 

2:. 


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478  HBCSN8I0NI 

«  dell'esiatenes  e  il  silenzio  delle  vita,  è  il  sogno  di  ciò  che  oorre 
«  verse  la  morte  e  di  ciò  che  è  eterno  ed  infinito.  Nel  ritmo  di 
«  manifesta  il  grande  respiro  delle  cose  e  st*  ripercuote  il  nostro 
«  piccolo  respiro;  ma  solo  qiuando  la  nostra  esile  e  dCrfduia  voce 
€  individuale  tace  sul  mare  del  silenzio,  solo  allora  il  ritmo  dlreata 
«  musica,  cioè  a  dire  Tarte  del  Coro  immortale.  Come  rinOinte  ael 
«venire  alla  luce  non  piange  se  prima  non  lia  resptanto,  cori  dal 
«  ritmo  delle  cose,  dal  loro  respiro  nasce  la  loro  voce  e  il  loro  Uih 
€  guaggio.  Il  ritmo  è  Telemento  maschile,  Telemenfo  fecondatorerdéRe 

«  tre  arti  musiche:  poesia,  musica  e  danza  » «  Ogni  suono  e 

4  ogni  accordo  svegliano  net  silenzio  che  li  precede  e  che  li  segno 
«  una  voce  che  non  può  essere  udita  se  ncm  del  nostro  spirita  II 
«  ritmo  è  il  cuore  delia  musica,  ma  i  suoi  battiti  non  sono  uditi 
«  se  non  durante  le  pause  dei  suoni.  La  successione  dei  suoni  segna 
«  Tapparire  della  musica  nel  mondo  dei  fenomeni,  nel  regno  di 
€  Maya:  il  ritmo  ci  avverte  della  presenza  della  volontà  nella  vita 
«  universale,  è  il  mistero  che  sta  fuori  di  noi,  che  parla  al  mistero 
«che  è  in  noi.  Il  ritmo,  che  noi  possiamo  vedere  espresso  nel 
«  modo  più  immediato  dal  palpito  delle  steliee  dal  respiro  del  mare, 
«  è  la  voce  stessa  della  volontà,  è  il  suo  messaggio  più  semplice  e  più 
«  profondo.  Nel  ritmo  le  aspirazioni  della  natura  e  le  manifestazioni 
«  del  genio  umano  si  fondono  neirnnità  della  vita;  nel  ritmo  si  ma- 
«  nifesta  la  potenza  dionisiaca  che  supera  anche  la  potenza  geniale  r. 

«  La  poesia  e  la  musica  vivono  nella  notte,  sono  le  sole  arti 

«  notturne,  le  sole  che  non  abbiano  bisogno  della  luce  per  mostrarsi 
«  agli  uomini,  le  sole  che,  nate  dal  silenzio  che  precede  Tapparire 
«  della  vita,  generino  il  silenzio  in  cui  parla  la  vita.  La  poesia  e 
«  la  musica  si  manifestano  nel  tempo,  cioò  a  dire  in  una  forma  dr 
«  conoscenza  più  profonda  di  quella  nella  quale  si  manifestano  le 
«  arti  che  vivono  nello  spazio.  Il  tempo  è  Tiropero  della  notte,  lo 
«  spazio  è  rimpero  della  luce.  Nel  tempo  il  mistero  parla  nel  ritmo 
«  dei  suoni,  appare  nella  musica  Tunità  di  tutte  le  cose  ;  nello  spazio 
«  si  manifesta  la  pluralità,  la  diversità,  il  frazionamento  della  ve- 
«lontà»  essenza  del  mondo,  negli  individui  innumerevoli;  lo  spazio 
«  ò  il  regno  del  giorno,  Timpero  delle  illusioni;  il  tempo  è  Timpero 

«  dell'amore  e  della  morte  » 

É  filosofia,  cotesta,  fatta  lirica  per  virtù  d*entu8iasmo  e  d*amore. 
E  come  impallidiscono,  al  confronto,  le  povere  scede  dei  novissimi 
estetisti  pseudo-scienziati  —  caricature  deirape  oraziana,  scarabei 
stercorari  industriantìsi  a  gara,  per  laborem  plurimum^  a  far  pal- 
lottole di  fimo  e  a  cercar  di  gabellarle  per  oro!  R.  G. 


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BxcsNaoici  477 

aClBMO  aiGHELB,  VmrU  •  to  fotim  (Irtratto  4^1»  AMif «  foUHem  •  ìdkrwif,  iliUnio 
1901).  —  Boma.  StabiliMoto  tipognileo  della  SVOima. 

Dopo  aver  dimostrato  che  la  folla  è  incapace  non  pur  d*un*opera 
ma  sin  d*an  pensiero  geniale,  TAutore  aggiunge:  «  Se  non  che 
«  questo  principio  si  riferisce  soltanto  al  modo  dì  pensare  e  d*agire 
«  della  folla  considerata  dal  punto  di  vista  statico;  non  è  applicabile 
«  alla  folla  considerata  dal  punto  di  vista  dinamico,  a  tutta  doè 
€  la  società  umana  nel  suo  sviluppo  storico.  È  necessario  dunque 
«  fissare  ben  chiaramente  questa  distinzione  che,  per  non  essere  stata 
«  compresa  dai  più,  ha  dato  luogo  a  moltissimi  equivoci;  altra  cosa 
«  è  la  psicologia  della  folla  quand'essa  agisce  quasi  per  improv- 
«  visazione  in  un  solo  e  breve  momento  —  altra  cosa  è  la  psicologia 
<  della  folla  quand^essa  agisce  lentamente  e  nel  corso  dei  secoli.  Nel 
«  primo  caso  le  sue  manifestazioni  sono  sempre  inferiori  a  quelle 
«  deirindividuo;  nel  secondo  caso  invece  non  solo  esse  non  sono 
«  sempre  inferiori,  ma  talvolta  son  superiori  ».  Seguono  gli  esempi: 
la  creazione  del  linguaggio,  della  scrittura,  delle  leggende,  dei  miti. 

Dopo  di  che  s*apre  un  vocabolario  della  lingua  italiana,  e  si  legge: 
«  Folla  -  grande  moltitudine  di  gente  concorsa  in  un  dato  luogo 
«  e  quid  stipata  ».  E  si  pensa  che  il  SIghele  non  avrebbe  forse 
titolato  altrui  d'ignorante  e  celebrato  per  novatore  se  stesso,  se, 
prima  di  accingersi  a  scrivere,  si  fosse  dato  cura  di  ben  compren- 
dere il  significato  delle  parole  che  voleva  usare.  R.  G. 

A.  IMBBRT,  La  9ymphomU  aprèm  Bmath^oén»  -  Pnte.  1900.  Ltlmiiie  FiMslibMlMr. 

La  traduzione  francese  di  un  opuscolo  di  Felix  Weingartner  Die 
Symphonia  nach  Beethoven  (1)  die  occasione  a  polemiche  e  ri- 
sposte da  parte  della  critica  francese;  GII  appunti  mossi  al  Wein- 
gartner sono  :  li  giudizio  severo  eh*egli  dà  sa  Scfaamann  e  Brahms 
quali  sinfonisti;  e  il  fatto  che  nel  parlare  della  produzione  sinfo- 
nica posteriore  a  Beethoven  ci  tace  —  eccettuato  Berlioz  —  dei 
muaicisti  francesi.  Hogues  Imbert,  di  cui  conosciamo  parecchi  volumi 
di  critica  musicale,  sottopone  a  diligente  esame  1  giudizi  e  ragio- 
namenti del  Weingartner,  e  io  fa  nel  modo  più  brillante  e  cortese. 

Però  a  voler  senza  partito  preso  rendersi  conto  della  questione 
non  panni  si  possa  dir  la  critica  deirimbert  una  confhtazione  pro- 
priamente detta  dell'opera  del  Weingartno*;  forse  Tlmbert  ha  in- 
terpretato troppo  alla  lettera  alcune  atfermazioni  del  celebre  di- 
rettore d'orchestra,  il  quale  è  pur  crìtico  di  serio  valore. 


(1)  F.  WuiioARTNBR,  Im  SymphonU  après  Beethoven,  Tradnotion  fran^aise  de 
M*»*  Camille  Gherillard.  Librairìe,  Fisehbaoher.  Paris. 


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478  REGSN8I0NI 

Accennerò  a  qualche  punto.  Il  Weingariner  scrìve  :  «  Une 
phonie  de  Schumann,  bien  Jouée  à  quatre  mains,  produit  beau 
plus  d'effet  qu'au  concert  ».  Come  mai,  obietta  sorpreso  l'Ira 
potrebbe  il  pianoforte  rendere  nella  loro  pienezza  le  inspira 
del  maestro?  Io  suppongo  che  il  pensiero  del  Weingartne 
questo  :  per  dire  quanto  voleva  dire,  non  poteva  Schumann  su 
tentarsi  del  solo  pianoforte,  ed  era  forse  necessario  ricorrer 
Torchestra?  Il  che  ha  altro  signiflcato  e  non  tocca  punto  ali 
nialità  d*  inspirazione  delle  sinfonie  di  Schumann.  L*osservazic 
di  carattere  generale,  e  si  può  ripetere  a  proposito  di  molti  i 
nisti  contemporanei;  è  un  fatto  che  oggi  la  sinfonia  non  hi 
quel  contenuto,  quella  profonda  signiflcazione  che  le  dava  Beetfa 
\  e  il  pensiero  apparisce  più  debole  in  confronto  alle  aumentai 

1  sorse  dell'orchestra  moderna.  Citerò  di  Schumann  lo  Scherzo 

prima  sinfonia;  un  pezzo  bollo  per  piano  o  quartetto;  Torch 

;  non  è  forse  di  troppo  per  dir  tutto  ciò?  La  terza  sinfonia  di  Bn 

mi  fece  ad  una  seconda  audizione  l'impressione  d!un  quai 
strumentato  per  orchestra,  non  già  d'un' opera  immaginata 
l'orchestra:  anche  la  Sinfonia  patetica  di  Tschaikowsky  < 
brillante  eseguita  al  pianoforte  che  coU'orchestra  ;  Bruckner  è 
questo  aspetto  superiore  a  Brahms,  egli  crea  per  l'orchestra 
rivela  più  robusto. 

Assai  più  saltano  all'occhio  i  giudizi  del  Weingartner  su  Bra 
un'opera  debole  del  maestro  d'Amburgo  gli  fa  un'iropres 
«  tourmentée,  insipide,  vide,  morose  »  ;  e  studiando  i  procedir 
tecnici  dello  stile  parla  «  d'oeuvres  guindées  et  anti-naturelles, 
tonte  la  maitrise  du  travail  technique  n'arrive  pas  à  échauffì 
d*  onde  una  monotonia  che  produce  «  un  polson  danger 
Tennuil  »  —  Termini  invero  un  po'  crudi  trattandosi  d'un 
sicista  contemporaneo;  ma  polche  il  Weingartner  non  è  \ 
un  nemico  giurato  della  musica  di  Brahms,  anzi  mette  la  sin 
in  Re  maggiore  sopra  le  quattro  sinfonie  di  Schumann  e 
chiara  una  delle  migliori  sinfonie  dell'indirizzo  neoclassico  che 
state  composte  dopo  Beethoven,  convien  cercare  altrove  la  ra 
di  tanta  franchezza  e  severità  di  giudizio:  cioè  nella  leggenda 
tre  B,  che  mette  Brahms  allo  stesso  livello  di  Bach  e  Beeth 
e  nell'idolatria  che  il  partito  Brahms  —  in  opposizione  al  p; 
Wagner  —  dimostra  pel  maestro;  i  buoni  critici  tedeschi 
ancora  alle  loro  chiesuole  e  non  ammettono  che  dalla  propr 
fuori  ci  sia  salute.  Il  Weingartner  è  superiore  a  tale  puerili 
n'è  prova  l'esame  imparziale  ch'egli  fa  dell'odierna  musica  a 
gramma;  si  comprende  che  dovendo  esprimere  un  giudizio  e 


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RECENSIONI 


479 


faccia  con  intransigenza  d'espressioni.  Però  non  è  dif" 
sre  fin  d  oggi  quale  sarà  il  giudizio  della  critica  in  av- 

parrni  si  possa  negare  alla  musica  di  Brahms  un  certo 
jcademico.  Il  Brahms  al  pari  di  Mendelsssohn  —  a  cui 
ione  parallela  nella  seconda  metà  del  secolo  XIX  —  è 
jntimento;  ma  anziché  lasciarlo  erompere  par  lo  com- 
rando  il  gesto,  l'occhio  sempre  vigile  allo  specchio  a 
ì  accademica  nulla  perda  della  sua  correttezza.  Perciò 
soddisfa  all'intelletto  senza  riuscire  a  destar  entusiasmo, 
ha  piuttosto  ragione  nella  seconda  parte  della  polemica 
a  il  silenzio  tenuto  dal  Weingartner  verso  i  sinfonisti 
Weingartner  protestò  contro  l'accusa  di  campanilismo 

non  ha  ragione  di  essere  di  fronte  alla  propaganda 
ella  musica  di  Berlioz:  altri  scusò  tale  silenzio  dalTes- 

deJ  Weingartner  una  conferenza  tenuta  a'  vari  pubblici 
be  dei  sinfonisti  francesi  quasi  nulla  conoscono.  Qui  è 
ìcennare  alla  mancanza  di  criterio,  con  cui  procedono 
9L  le  istituzioni  di  concerti,  e  di  domandare  ai  direttori 
(non  escluso  lo  stesso  Weingartner),  perchè  non  fac- 
cere  al  pubblico  musicisti  quali  Saint-Saéns,  Franck  ; 
imile  si  commette  anche  nel  campo  francese,  dove  il 
a  sa  nulla  di  Liszt  e  di  Bruckner.  Provveda  dunque  chi 
vere.  A.  E. 


> 

I 

'5 


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ic 


B  &BSANGVEREIN  IN  BRESLA1T,  MimtoHaehe  Cone^rte  1*00-901. 

imi  dei  quattro  grandi  concerti  che  mi  stanno  innanzi 
serietà  di  questa  Istituzione  veramente  unica  nel  suo 
cui  in  Italia,  la  terra  istorica  della  musica,  non  ab- 
fiche  una  lontana  idea  —  provano  essi  da  soli  la  bel- 
vità,  la  grandiosità  del  godimento  procurato  al  pubblico, 
to  la  fortuna  di  sentirli  eseguiti  coi  mezzi  noti,  di  cui 
Società  di  canto  Bohn  di  Breslavia.  Noi  ci  stilliamo  an- 
vello  a  correr  dietro  a  tutte  le  più  crude  manifestazioni 
►tica,  perchè  tutto  ci  ha  infiacchiti,  anche  la  moda,  la  cui 
itiamo  che  è  fin  troppo  poca  :  noi  vediamo  la  forma  e 
.  I  tedeschi,  in  arte  più  competenti  e  pratici  di  tutti, 
1  cosa,  e  alla  forma  sanno  applicare  quel  talento  della 
che  assolutamente  li  distingue.  E  alla  ricerca  della 
creazioni  dell'arte,  eccoli  intenti,  eccoli  animati  e  stu- 
tiè  sotto  nuove  e  originali  forme  di  ogni  epoca,  le  con- 
icali  si  rivelino,  si  contrappongano,  si  confrontino.  Na- 
l'artista  che  sorge  da  questa  educazione  intesa  con  si 


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480  RBGXN8I0NI 

feconda  ampiezza  di  vedute,  con  tanto  senso' di  praticità  e 
dall'egoismo,  che  è  la  vera  malaria  del  musicista  italiano,  è 
solo  fatto  della  sua  pratica  d*arte,  completo  e  colto,  colto  neir 
letto  e  neiranima  insieme,  in  cui  piovvero  le  stille  dell'arte  i 
di  tutti  gli  uomini,  di  tutti  i  secoli,  di  tutte  le  scuole;  e  dove 
talento  tutto  ciò  feconda  e  porta  a  risultati  meravigliosi,  ma 
gabilissimi.  Noi  attendiamo  ancora,  nella  nostra  proverbiale 
nuità,  il  genio  che  venga  a  ricolmarci  di  opere,  come  il  pii 
Talbero  del  nostro  frutteto  artistico.  È  un  gran  pezzo  che  n 
è  passata  la  vanga  su  quel  po'  di  terra:  e  I9  vanga  dicono  che  1 
punta  d'oro. 

Ora  eccomi  ai  concerti  Bohn.  L'idea  è  realmente  brillanti 
due  di  essi  si  è  voluto  mostrare  come  un  determinato  concetl 
stato  vestito  di  noto  nello  spazio  di  uno  o  più  secoli.  VArc 
nella  musica:  tale  è  il  concetto  che  si  è  svolto  nel  programn 
(Concerto  storico  N.  83,  che  è  il  seguente: 

La  Fileuse,  di  Francesco  Couperìn  (1668-1733); 
Spinnerlied  (una  voce  con  pianoforte),  di  J.  Ph.  Kirnb 

(1721-1783); 
Die  Spinnerin  (una  voce  con  pianoforte),  di  J.  A.  Peter  S 

(1747-1800); 
Romanza.  Atto  2*^,  N.  9  dell'op.  La  Dama  bianca  di  F.  A. 

dieu  (1775-1834); 
Orelchen  am  Spinnrade  (una  voce  con  pianoforte),  di  F. 

bert  (1797-1828)  : 
0  susse  Muiter  (una   voce  con  pianoforte),   di  G.  I 

(1796-1869); 
Lied  ohne  Worte  (Spinnlied),  di  F.  Mendel^sohn-Bart 

(1809-1847); 
Quartetto.  Atto  2s   N.  8  dell'opera   Marta,   di   F.  F 

(1812-1883). 

—  Quale  dirigente  di  musica,  in  Italia,  metterebbe  un  pez 
Flotow  nel  proj?ramma  di  un  concerto?  No;  Arminlo  far  evé 
suoi  derivati,  ma  classici.  — 

Spinnerlied  (tre  voci  e  pianoforte),  di  R.  Schuraann  (1810-^ 
Margarethe  am  Spinnrad,  Aria,  Atto  4°,  N.  19  dell'opera  J 

di  C.  F..  Gounod  (1818-1893); 
Fileuse.  Romance  sans  paroles  (violino  e  pianoforte),  di 

Lotto  (n.  1840)  ; 
Spinnerlied,  idXVOlandese  Volante,  di  R.  Wagner,  trascri 
Liszt  (181M886); 


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RIGENSIONI 


481 


w,  Étude  de  concert  pour  violoncello  avec  accomp. 

0,  di  Emilio  Dunkler  (f  1871)  ; 

?e.  Pianoforte,  di  G.  Raff  (18221882); 

ipinnràdchen  (Ghanson  de  Rouet),  una  voce  con  piano- 

E.  Paladilhe  (n.  1844); 
ir  Màdc/ien,  spinfU  (tre  voci  con  pianoforte),  di  Ales- 
Wolf  (n.  1863); 
^e,  pianoforte,  di  S.  Stojowski  (n.  1870); 

und  Lied,  da U*  Oratorio  :  Le  qtuxUro  stagioni  di 
In  (1732-1809). 

na  del  Concerto  N.  81  è  una  illustrazione  musicale 
irephiera  nell'opera  da  Gluck  a  Wagner;  gli  autori, 
iati,  sono:  Méhui,  Rossini,  Weber,  Spohr,  Auber, 
;rIioz,  Verdi,  Donìzetti,  Lortzing,  Mendelssohn,  Meyer- 
erto  storico  N.  82  è  dedicato  esclusivamente  a  Boe- 
compositore  di  musica  vocale. 

concerto  di  cui  ho  avuto  conoscenza,  è  stato  il  più 

bello  per  la  sua  maggiore  impronta  storica,  come  la 
3  solenne  di  un'epica  età  della  musica  italiana;  glorioso 

varietà  sua  cosi  semplice  e  il  godimento  nuovo,  che 
oUana  dì  canti  italiani  e  tedeschi  del  XVI  secolo  ha 
pubblico  degli  uditori.  E  si  cantò  il  madrigale  dltalia 
gotica,  il  balletto,  la  villanesca  e  il  lied,  infondendo  nel- 
iscoltatorì  quelle  sensazioni  di  amoro,  di  calma,  di  spen- 
ia,  di  mestizia,  di  fino  sarcasmo  e  di  scherzo  folleg- 

musica  nostra  non  più  rivela  cosi  miti  e  cosi  sane. 
anco  e  dolce  cigno,  lo  sconsolato  madrigale  dell'Ar- 
ìatta  canzone  (7/1/  la  gagliarda,  di  Baldassar  Donato, 
>  napoliiana  di  Antonio  Scandello:  Bon  zorno  Ma- 
ran  miraggio  di  linee  e  colori,  il  meraviglioso  madri* 
3ci  Lieto  godea  sedendo,  di  Giovanni  Gabrieli,  e  i  due 
i  dell'autore  dì  Siegfried:  Ecco  l'aurora ^e\  Marenzio, 
Iva  del  Surìano,  per  terminare  la  parte  della  musica 
a  briosa,  eccitante  canzone  àeWAmor  vittorioso  di 
oidi.  Nella  seconda  parte  seguirono  i  canti  tedeschi 
1  Bruck,  di  Laurentius  Lemlin,  di  Ludwig  Senfl,  di 
iein,  di  Jacob  Regnart,  di  Valentin  Hausmann,  di 
1  Hassler. 
incerto  abbiamo  Tenore  e  la  soddisfazione  d'aver  eoo- 

noi  con  qualche  composizione  a  più  voci  de'  nostri 
li  italiani  del  XVI  secolo.  Sapevamo  da  un  pezzo  che 


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482  RBCfcKBIOl^t 

la  musica  del  taostro  secolo  d'oro  è  coltivata  dagli  stranie 
vero  intelletto  d'amore  ed  è  terse  più  per  essi  che  per  noi  r\ 
I  tedeschi  sono  ahcor  qui  1  vessilliferi  e  1  pionieri.  L'tittlone 
Bohn,  Che  tvt  le  ^cietà  tedesche  di  cantò  tiene  uno  de'  prin 
non  poteva  non  onorare  anche  una  volta  la  musica  italiani 
esecuzioni  sue,  per  le  quali  è  tanto  &mosa,  ed  a  lei  va  ora 
titudine  nostra  come  parte  di  quella,  certo  non  più  grande,  ci 
cuore  di  ogni  vero  ftaliano.  L 

Opere  teoriche* 

t^9f.  &.  LXrtQl  irFATlH,  TtiUHatethi  sui  mòdo  di  ben  mMMtfr». 

Questo  «Trattatello»  si  compendia  in  circa  50  pagine;  le  pi 
delie  quali  (diciamo:  quattordici)  sono  spese  nella  «Dedica 
«  Prefazione  »,  nel  «  A  chi  legge  »,  in  semplici  intestazioni,  o  i 
addirittura  in  bianco.  A  pagina  15  appare  la  «  Prima  parU 
modo  di  apprendere  in  breve  tempo  e  con  metodo  pratico 
li  bel  canto  »,  intestazione  che,  si  sottmtende,  occupa  due  b 
gine.  Si  osservi  pure  che  il  Professore  comincia  col  dire  che  * 
mia  Intenzione  di  scrivere  un  nuovo  metodo  di  canto  ecc.  ».  A 
termina  questa  «  Prima  parte  »,  nella  quale,  oltre  i  caral 
stampa  «  che  non  richiedono  al  certo  l'uso  della  lente  d*ÌB 
mento  »,  s*incontrano,  tutto  sommato,  due  o  tre  pagine  in 
La  «  Seconda  parte,  continuazione  del  metodo  (sic)  e  prece 
conservare  buona  e  beila  la  voce»  occupa  le  rimanenti,  condii 
ancor  maggiore  di  carta  bianca.  Ed  11  contenuto  delle  poche 
stampate?  Qui  aumentano  le  difficoltà  di  recensione  e  ci  dichi 
Incoitpetenti.  Forse  ci  capirà  più  fàcilmente  «  quella  buona  < 
gioventù  del  Friuli  Orientale  tanto  naturalmente  disposta 
canto  »  alla  quale  TA.  «  vorrebbe  veder  dedicata  questa  ope 
ma  ci  crediamo  ben  poco.  C 

MAX  BATTKE,  FrimavUta,  Bine  Methods,  vom  BlaU  singen  mu  terìten. 

1900.  B.  Salztr  Kacbt,  Sortlment. 

Si  biasima  qui  pure  la  deficienza  di  educazione  ed  isti 
tanto  generale  che  musicale  dei  cantanti  d'oggigiorno:  ed  è 
desco  che  scrive,  naturalmente,  per  i  tedeschi.  E  che  cosa  dov 
scrivere  e  predicare  al  maestri  e  cantanti  italiani  se  11  pii 
volte  non  ci  paralizzasse  il  pensiero  di  spendere  tempo  ed  Ine 
inutilmente  col  predicare  al  deserto?  Tenteremo  questa  v 
allontanare  II  triste  e  scoraggiante  pensiero;  cercando  plutt 
riscaldarci  ed  animarci  al  fuoco  sacro  ed  al  lavoro  assiduo  de' 
vicini  d'oltre  alpi. 


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ReCBKSIp^^I 


483 


in  questione  è  una  nuova  manifestazione  nel  carppo 
lenrle  a  fondare,  stabilire  un  nuovo  ranoo  di  educazione- 
>  a  sviluppare,  con  sistt^roa  razionale  e  conseguente,  nei 
^te  del  canto  il  senso  deirintuonare  a  prima  vista  sul 
to  vocale,  in  quello  stesso  modo  che  lo  fanno  11  violi- 
a»  ecc.,  sui  loro  rispettivi  strumenti;  sensp  che,  sino 
ilo  pochi  eletti  possedevano  e  posseggono  qual  dopo 
iato.  E  coli*  A.  si  esclama  :  Quanta  fatica  materiale 
ì  risparmiala  tanto  ai  maestri  che  agli  scolari;  qualità 
iincera  soddisfazione  artistica  ne  ritrarrebbero  essi,  se 
ivare  a  comprendere  la  necessità  di  un  tale  studio.  Ma 

compresi  i  direttori  di  società  corali,  conservatori, 
»no  in  generale  troppo  pigri  e  non  richiedono  ai  loro 
ciò  che  veramente  essi  potrebbero  dare  e  produrre, 
urterebbe  con  sé  troppa  fatica  e  troppo  disturbo.  Invece 
o  di  immagazzinare,  inculcare  nelle  menti  o  meglio 
i  dei  poveri  allievi  una  quantità  di  pezzi,  di  arie,  di 
ire  parti  di  opere,  oratori,  ecc.,  impedendo  in  tal  modo 
amo  se  talvolta  con  intenzione  —  ogni  progresso  verso 
riflessiva  ed  indipendente.  P'altra  parte  gii  allievi  — 
amanti  solisti,  coristi,  ecc.  —  dovrebbero  ben  scolpirsi 
ia  che  Teducazione  vocale  non  è  né  un  passatempo  ne 
lalsiasi,  come  purtroppo  viene  sempre  riguardata,  ma 
udio,  un  lavoro  nobile  e  serio,  più  diflJcile  forse  della 
i  latina  ;  e  non  dimenticare  che  la  musica  in  generale  e 
in  particolare  sono,  tanto  fisicamente  che  moralmente, 
salutare  immenso,  preponderante. 
il  suo  sistema  sulle  relazioni  ed  influenze  scambievoli 
i  loro,  appongiandone  il  lato  pratico  con  delle  tavole 
le  servono  a  condurre  progressivamente  lo  studioso  a 
o  da  se  stesso,  colla  riflessione,  di  qualunque  intervallo, 
ì  modulazione.  Sul  valore  pratico  df  questo  speciale 
lessiamo  pronunciarci,  mancandocene  la  riprova:  però 
di  accentuare  qui  la  necessità  per  tatti  i  cultori  dei- 
dì  tale  studio  a  cui  si  dovrebbe  sopperire  -^  come 
a  TA.  —  col  nominare  nei  nostri  conaervatori  e  scuole 
estro  d*ìntonazìone  a  prima  viata  in  quella  guisa  che 

maestro  di  solfeggio  (1);  ciò  che  servirebbe,  oltre  il 


i 


venir  fraintesi  diremo  che  il  cosidetto  solfeggio  cantato,  ohe  viene 
i,  non  apporterà  mai  ad  un  risaltato  completo,  genende,  poiché 
le,  aggirandosi  soltanto  nei  campo  empirico,    resterà   una   prero- 

li  eletti  già  sopra  nominati. 


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484  RBCENSIOMl 

generalizzare  una  tale  facoltà  restata  sino  adesso  allo  stadio  di 
disposizione  naturale,  ad  elevare  e  maestri  e  cantanti  dal  livello  dei 
mestieranti,  e  procurerebbe  loro  vere,  sane  e  nobili  soddisfazioni 
artistiche.  G.  So. 

e.  SCHMtOEDEB,  KaieehUmu»  dm  JHrtgiereHM  tmd   TnJkOmrmkM  (D«r  Kftpflllm«lst«r 
sna  Mia  WirkOBgdtrab).  Ub  ?o1.  ia-S*  di  piig.  lOi.  —  Liipslf.  Ilu  HMM*t  Teriaf. 

Senza  alcuna  pretesa  di  dir  cose  nuove,  TA.  ha  raccolto,  in 
questo  libro,  alcune  nozioni  suggerite  dalla  pratica,  le  quali  po- 
tranno giovare  agli  asordienti  e  anche  agriniziaii.  Nella  tecnica  di 
dar  la  battuta  ai  suonatori  d'orchestra  sono  contemplati  tutti  i  casi, 
e  specialmente  bene  quelli  del  movimento  iniziale  che  si  può 
trovare  indifferenti  parti  della  misura  musicale;  questo,  sMntende, 
sulla  scorta  di  esempi  pratici,  senza  dei  quali  è  impossibile  un  risul- 
tato qualsiasi. 

La  direzione  propriamente  (cioè  Tintuizione  dei  tempi,  fraseggia- 
mento  o  modo  di  provare  coU'orchestra,  prove  di  xxxiopera^  di  cori, 
di  parti  a  solo,  di  recitativi,  il  modo  di  dar  segni,  ecc.)  è  oggetto 
di  altrettanti  paragrafi  sempre  corredati  colle  figure  corrispondenti 
ai  moti  della  bacchetta  e  coi  dovuti  esempi. 

E  TA.  spinge  le  sue  considerazioni  sul  dirigente  compositore  e 
critico  e  sui  rapporti  suoi  con  le  altre  persone  o  superiori  o  infe- 
riori a  lui,  fino  a  passare  in  piccola  ma  graziosa  rassegna  ciò 
che  occorre  sapersi  dal  dirigente  in  quanto  agli  strumenti. 

I  dirigenti  d* orchestra  si  possono  fabbricare  e  presentare  sul 
mercato  in  tanti  modi  !  !  —  Raccomando  questo  libercolo,  per  ogni 
buon  fine  ed  effetto,  alle  oflicine  italiane  e  ai  poco  discreti  nostri 
battitori  di  musica.  Specialmente  in  Italia  essi  non  han  mai  visto 
né  anche  i  cartoni  di  un  libro  che  si  curi  di  loro.  É  troppo  poco 
da  vero;  ma  essi  diranno  di  non  averne  bisogno.  Sono  tanto  modesti  ! 

L.  Th. 

8,  JADASBOHIf^  JDar  €^m^0ra^ba*9.  Eine  AnltltvBg  ftlr  di«  Asifahmag  dar  CoBtÌBno>SUm- 
man  Ib  dea  Werken  é»i  altra  MaifUr.  Thonntghbas»,  InairaetioB  Uading  to  tba  parfonaaBea 
of  iha  ConttBQO-Farta  ìb  tba  worin  of  tha  old  maatan.  La  6a««a  eoHHnue.  Una  laatrae- 
UoB  ate.  Un  toI.  ìb-8*  di  pag.  20i.  —  Laipaig,  1901.  Dniek  n.  Varlag  tob  Braitkopr  v.  Hftrtal. 

L*utilità  di  sapere  ben  improvvisare  sul  basso  continuo  è  certa, 
non  solo  per  essere  in  grado  di  accompagnare,  col  pianoforte,  Por- 
gano 0  rharmonium,  una  enorme  quantità  di  opere  antiche,  ma 
anche  per  prepararsi  a  ley:gere  con  sicurezza  partiture  vocali  e 
istrumentali,  la  qual  cosa  facilmente  deriva  dal  confronto  fra  le 
note  del  basso  continuo  e  quelle  delle  altre  parti  sovrapposte. 

Lo  sviluppo  del  presente  esercizio  non  può  essere  che  pratico, 
slntende,  e  il  Jadassobn  l'ha  cosi  condotto  limitandosi  a  indicare, 


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RECENSIONI  485 

ì  esempi  suoi,  la  speciale  connessione,  inversione,  risolu- 
ntazione  d'accordi,  e  i  rftardi  ecc.  di  cui  si  tratta.  Gli  eser- 
[uindi  graduati  in  modo  da  superare  rapidamente  le 
T  accompagnare  in  modo  corretto  a  quattro  parti.  Essi 
un  singolare  interesse  artistico  quando  si  passi  all'ac- 
ento  del  Recitativo,  di  una  melodìa  corate  e  di  pezzi  a 

siano  istru  menti,  o  sia  canto  con  un  istrumento  con- 

qual  proposito  1*A.  ha  scelto,  come  esempi  ed  anche 
portanti  modelli  delle  opere  di  G.  S.  Bach. 
ì  termina  molto  opportunamente  il  suo  libro  con  le  pa- 
lli: 

ui  veut  cntendre  vraiment  bien  accoropagner  et  qui 
sr  le  fini  de  Taccompagnement  construit  au-dessas  de  Ja 
se  donne  la  peine  d*entendre  le  chef  d*orchestre  Bach 
agne  un  solo  de  telle  faQon  qu*on  s*lmagine,  que  c*était 
}  et  que  la  melodie  faite  pour  la  main  droite  avait  été 
u  parava  nt  >. 

arole  scriveva  Lorenzo  Cristoforo  Mitzler  (1711-1788), 
itico  ben  noto.  Cosa  farebbero  oggidì  i  migliori  direttori 
Il  posto  di  Bach?  L.  Th. 

AT,  KaieehUmuM  der  HarmofUe»  und  ModulatianaUhre  (PnkttselM  An-  ^ 

mebrstiroraigen  Tonsatz).  —  Leiptig.  Max  EatM*!  VerUg.  »  t 

lesto  trattato  del  Riemann  non  è  cosa  nuova  ;  è  già  stato  i 

A.  è  andato  riducendolo  a  proporzioni   più   modeste  e  S 

vista  dell'utilità  che  ne  può  trarre  lo  studente  delle  ^ 

armoniche.  Cosi  molta  parte  scientifica  è  stata  tolta  ^ 

Ite.  Le  riserve  fatte  altra  volta  sul  sistema  del  Riemann,  O 

'osse  diretto  da  unldea  di  approfondimento  teorico  ec-  ^ 

langono,  quantunque  TA.  abbia  dato  ragione  a  molta  ^ 

ie.  Per  me  resta  il  fatto  che  il  metodo  del  Riemann  è,  B^. 

ttto  e  provato  qui  un'altra  volta,  scientiBcamente  più  ^* 
ostacoli  delle  innovazioni  si  vincono  solo  col  tempo. 

L.  Th. 

V,  Vademecum  dw  FhraH9rm%g.  Uà  toI.  ln-10*  di  pag.  100.  ^  Laipiig. 
Verlag. 

ieri  che  sì  e  discussa  la  teoria  e  la  pratica  delfraseg- 
stituita  o,  per  essere  esatti,  sviluppata  dal  Riemann.  In- 
er  la  prima  volta  apparve  nella  Teoria  delle  belle  arti, 
hulz,  nel  1772,  ed  ha  avuto  un  seguito  di  comehti  ed 
i  più  o  meno  vicini  alla  parte  maggiormente  concreta 
he  riguarda    il  Riemann.  I  mezzi   per  riuscire  ad  una 


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486  RBGKN8I0NI 

ooQveniente  lettura  della  musiea  si  risolvono  nella  corretta 
buzioae  delie  pause  dividenti  le  parti  della  melodia.  Tutti 
regolata  serie  d'esercizi  svolge,  punto  per  punto,  le  diverse 
zioni  che  un  passo  melodico  può  opporre  alla  sua  inlerpreU 
artistica.  L*  opera  del  Riemann  è  pratica,  ò  semplice,  è  'to 
Coloro  che  parlano  di  segni  complicati  d^a  Pàra&ieniaig,  o 
conoscono.  Questo  libix>  è  dedicato  a  coloro  che  vj)gUono  im| 
a  leggere  la  musica.  JU 

a.  e.  BANISTBR,  2%e  art  of  moduttiiing.  A  Sarles  of  papera  on  modslrtiiig  «i 
Bofettek  —  London.  Wfllìftm  Bmvm. 

Noto  in  questo  manualetto,  fatto  assai  bene,  una  intuizione 
dei  procedimenti  più  facili  per  passare  con  rapidità  da  ui 
ay'altro,  e  convengo  specialmente  nel  sistema  generale,  che 
ha  suggerito  di  tener  ben  presente^  neiFarte  della  modulazic 
specie  del  componimento  a  cui  si  applica.  Qui  il  campo  d*os 
zione  del  Banister  è  piuttosto  ristretto,  in  confronto  delle 
esperienze  moderne  :  è  limitato  ad  alcuni  classici  francesi  e  te 
del  sec  XVin  e  XIX.  Ma  appunto,  in  questa  circoscrizione 
maggior  possibile  diligenza  mette  l'A.  nell*  analisi  dei  casi  s] 
che  si  offrono  al  suo  intento,  quello  di  mostrare  come  veni 
gelata  una  buona  modulazione  al  pianoforte. 

É  un  manualetto  pratico  questo,  che  può  molto  bene  servii 
studenti  di  Composizione  e  di  Fuga:  la  materia  che  loro  s| 
mente  occorre  non  la  troveranno  cod  concisa  nei  trattati  d*Ar 
0  di  Composizione.  L. 

O.  JB.  BOISE,  Hartn^nff  mmd*  prmeHemi,  A  eompnhensivv  inètìm.  Un  voi.  in-li 
gkie  151.  —  New  York,  1900.  O.  Schimer. 

Si  tratta  di  un  riordinamento,  in  qualche  guisa  sempliQcat 
rudimenti  dell'armonia  ridotti  all'essenziale.  E  seguita,  in  ( 
libro,  una  forma  cosi  rigorosamente  pedagogica,  divisa  in  i 
commenti,  iIlustr<4zioni  pratiche,  eccezioni,  definizioni,  tutt 
metodicamente  distribuito,  che  non  può  .non  portare  il  g 
studente  a  buoni  risultati,  e  sopra  tutto  imprimere  chiarame 
materia  comune  a  tutti  i  trattati  d'armonia.  L. 

BEMCT  QOET8CH.IUS,  The  Theary  and  pracHee  of  tot%e-reiaHom»,  A  < 

coane  of  hannony  eondaeUd   apon   a  contnpontal  bads.   Un  toI.  in-8>  di  pag.  185, 
York,  190a  a.  Sohirvor. 

Per  norUrapuntcU  bastó  deirarmonia,  o  armonia  contrappi 
rautore  di  questo  Libro  intende  un  sistema  di  esercizio  aroQ 
nel  quale  prevale  assolutamente  il  principio  delia  melodia, 
prodotto  ultimo  e  migliore  che  gii  accordi  nel  loro  succeder 
sono  offrire.  £^i  è  quindi  collo  scopo  di  portare  il  centro  < 


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RECENSIONI 


487 


^monia  alla  melodia,  che  questo  trattato  prepara  i  ma- 
studio,  i  quali  per  ora  rimangono  quelli  della  pura 
'on  questo  intendimento,  certo  nella  pedagogia  della 
è  ancor  parecchio  di  buono  da  fare;  e  il  Goetschius, 
ercizi  d*armonizzazione  e  col  tener,  rocchio  fisso  costan- 

grandi  modelli,  che  nell'armonia  fanno  prevalere  il  di- 
utte  le  parti  polifoniche,  ha  scritto  veramente  un  buon 

infatti  contiene  parecchie  applicazioni,  se  non  nuove, 
pratiche  e  diverse  da  quelle  che  si  sogliono  riscontrare 

trattati  affini,  e  sente  una  certa  originalità  d'indirizzo. 
;hius  prosegue,  in  questa  linea,  verso  l'effettuazione  di 

trattamento  della  melodia,  da  quegli  esercizi  che  diveii- 
iini  corrette,  fino  ai  modelli  completi  delle  forme.  Il  libro 
ève  considerarsi  base  e  chiave  di  un  intero  sistema  che 

utilissimo  agli  studi,  e  noi,  che  di   trattati  di  melodia 

manchiamo,  dobbiamo  incoraggiare  questi  tentativi.  Essi 
bbelliscono  gli  studi  dt^irarraonia,  ma  naturalmente  vi  ac- 
m  principio  giusto,  che  agisce  come  d'istinto  e  può  esser 
dicali  riforme.  E  sarebbe  ora.  L.  Th. 


3 


Musica  sacra. 


'O,  Meaaa  a  GeaU  JtedetUore.  --  ìlìluo,   Calcografia   Musica   aacra,   ria  Lan* 

)nalità  di  Luigi  Bottazzo  si   rivela   in  questa  Messa  con 
e  caratteristiche  ed  in  tutta  la  sua  vivezza. 
ì  veramente  di   un   lavoro  solido ,  pensato ,  elaborato  e 
on  solo  con  una  grande  ed  indiscutibile  abilità  tecnica, 

con  una  freschezza  di  melodia,  con  una  quadratura  rit- 
tamente sorprendenti. 

canoni ,  imitazioni  varie  sono  condotte  con  una  magni- 
ina  sicurezza  di  svolgimento  più  unica  che  rara  ;  nobili 
gli  spunti  melodici  nei  quali  si  intesse  il  lavoro  contrap- 
ed  armonico,  dotto,  ma   non  scolastico,  e  vivificato  da 

giovanile  entusiasmo  che  rende  il  lavoro  facile  e  scor- 
Igrado  la  grande  ricchezza  del  suo  contenuto  musicale. 
L^are  di   tante  composizioni   di  genere  sacro   e  condotte 
alita  di  forma  e  di  concetto,  o  con  uggioso  e  pedante  sco- 

è  un  vero  gaudio  intellettuale  il  riposarsi  nella  contem- 
i  un  lavoro  che  è  vera  opera  d*arte  sacra,  e  in  cui  la 
3lla  forma  riceve  grazia  dalla  dolcezza  e  ricchezza  del 
1  quale  essa  s'impronta.  S. 


u 

e:. 


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488  RECENSIONI 

J,  J>t,  MUHL1SUMBZN',  Uéber  CKormlg99ang.  ^  Triei.  Dfoek  sud  KomvÌMÌOBT« 
PmUhos,  Dniektrai. 

È  una  piccola  ed  interessante  brochure,  dirò  cosi,  di  polemic 
tanto  dotta  ed  elevata  quanto  calma  e  serena.  L*A.  combatti 
terpretazione  del  Corale  comunemente  seguita  e  che  pone  il 
del  linguaggio  secondo  l'accento  e  la  quantità  delle  sillabe 
parole,  e  si  schiera  in  prima  lipea  nella  difesa  della  tradizioi 
Medioevo ,  combattendo  le  vedute  di  un  certo  sig.  M.  P. ,  e 
un'altra  brochure  si  era  fatto  sostenitore  del  metodo  del  ritmo 
parola  usato  nella  diocesi  di  Strasburgo,  ed  aveva  elevato  dei 
contro  il  nuovo  metodo  degli  autori  medioevali.  S 

Wagneriana. 

O.  MUNZEB,  Zmr  BinfUhrumg  in  Bieh.  Wagnen  Rimg  d$t  Nibtlumg€H,  Verlagsgm 
Hamumi»,  QoAttzo  fiue.  in-8*.  — >  Berlin  W. 

L'opera  di  Riccardo  Wagner  va  facendo  passi  notevoli  vei 
sua  popolarizzazione.  Ostano,  è  vero,  ancora  gravi  difficoltà, 
tutto  preconcetti  e  fini  egoistici.  Il  progredire  della  conos 
metterà  lèntamente  le  cose  a  posto:  sopprimerà  tutto  il  fals 
parato  che  sfrutta  quest'arte  danneggiandola,  impedendole  di 
morsi  qual'essa  è;  toglierà  ad  essa  la  vernice  dell'epoca  sfori 
che  segui  la  morte  del  Maestro;  impedirà  l'equivoco,  a  cui  ( 
pubblico  quasi  dovunque  soggiace  per  colpa  di  alcuni  intransi 
piccini  e  rozzi  speculatori  di  ghiottornie  musicali,  per  lasci 
una  nobile  opera  d'arte  la  sua  vita  vera,  semplice,  schietta,  i 
sonale  come  il  genio  che  cosi  l'ha  voluta. 
.  E  intanto  noi  abbiamo  bisogno  che  libri  facili,  spiegazioni  e 
e  coscienziose  d'uomini  versati  nella  materia  aiutino  quest'op( 
popolarizzazione,  ohe  sarà  lunga  come  l'esegesi  de'  più  grandi  i 
da  Bach  a  Beethoven.  Se  non  che,  oggi,  se  i  mezzi  sono  più 
e  potenti,  anche  il  concetto  della  nuova  opera  d'arte  è  assa 
vasto  e  profondo.  Cosi  noi  salutiamo  tutti  gli  sforzi  dei  nuovi 
tori  e  commentatori  che  lavorano  per  l'ideale  comune. 

Fra  i  libri  venuti  a  proposito,  il  presente  del  D'  Mùnzer  va  i 
per  la  schietta  sua  semplicità  di  stile,  di  forma  e  di  argomentai 
per  cui  tutta  la  materia  poetica  e  musicale  della  Tetralogia 
neriana  acquista,  anche  agli  occhi  del  non  iniziato  e  deirinc< 
tento,  un  interesse  nuovo  e  ricco  di  suggestione.  Wagner  ha  s 
Y Anello  del  Nibelungo  con  l'anima  genuina  e  la  fede  di  una  intei 
stenza.  Il  commento  del  critico  deve  elevare  questa  sua  fede,  q 
entusiasmo,  alla  chiarezza  del  poema  e  lasciare  che  l'anima 


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quel  ohe  essa  vi  trova.  E  il  Mùnzer  è  veramente  spesso  quest*anima 
d'artista  che  dipinge,  chiarisce  e  volgarizza.  Egli  ha  fatto  suo  prò 
di  molte  idee,  che  scrittori  precedenti  hanno  espresso  quando  negli 
studi  estetici,  quando  ne*  critici  e  specificamente  musicali;  ha  spie- 
gato lo  sviluppo  dell'azione  tragica  e  la  psicologia  dei  caratteri,  la 
forma  poetica,  la  forma  musicale,  dando  non  solo  al  motivo  con- 
duttore una  significazione  chiara  e  sentita,  ma  alle  costruzioni  che 
se  no  evolvono  una  motivazione,  un'apparenza  giusta,  una  poetica 
maniera  di  essere.  Nel  tempo  stesso  che  egli  descrive  la  Tetralogia 
nelle  sue  parti,  anche  le  suddivisioni,  a  cui  egli  è  logicamente  co- 
stretto, non  sciupano,  non  scemano  Timpressione  deiropera  totale. 
La  discussione  non  ò  teoretica,  per  quanto  non  manchi  di  interesse 
musicale;  essa  va  dritto  a  colpire  i  punti  più  significativi  deiropera 
coi  richiami  ai  motivi  musicali  tracciati,  alla  fine  di  ognuno  dei 
quattro  fascicoli,  in  tavole  separate.  L.  Th. 

MiiBiea. 

AI^nXANDME  eULLMAlTT,  Archi»09  de»  MaUr«9  d9  POrgu9  ifo«  XVi;  XTIV 
et  XTUi*  HèeUs,  On  woierit  à  Hendon  et  ohei  PMitur. 

Il  quarto  volume  della  quarta  annata  contiene  la  fine  del  libro 
d'organo  del  Du  Mage  ed  il  principio  del  youveau  Lfvre  de  Noéls 
di  L.  G.  d*Aquin,  che  vengono  continuati  nel  primo  libro  della 
quinta  annata. 

Sono  composizioni  molto  caratteristiche,  scritte  su  temi  popolari 
spiranti  una  gaiezza  e  freschezza  unica  :  TA.  perciò  raccomanda 
di  trascriverle  ed  eseguirle  per  istrumenti  in  causa  del  loro  ca- 
rattere strumentale  e  popolare. 

André  Pirro  vi  unisce  opportune  indicazioni  biografiche.       S. 

P.  JPZATAJflA,  Pnlmoa  LXVII:  Exsurgai  Dtua.  Hodos  muioot  24  TociboB  iiuMqulibos  oonci- 
DABdoa  in  MS  chorM  qaateraanim  vocam  digwtM  «i  lympholiiam  omniom  Iniinunentoroin  noitii 
temporis  eomporait  P.P.  Partitio.  —  LipdM.  Snmptibu,  fjpis  et  chartie  edltonm  Breitkopf  et 
Blrtel. 

Questo  lavoro  del  f  latania  (salmo  a  24  voci  con  orchestra)  im- 
pone il  più  grande  rispetto,  come  quello  in  cui  la  serietà,  la  co- 
scienza e  la  maestria  del  compositore  si  mantengono  a  un  ben  alto 
livello.  La  forma  del  componimento  è  solida,  raccolta  e  chiusa  in  un 
semplicissimo  concetto.  Un  andante,  per  soavità  melodica  II  capo 
saldo  del  componimento,  è  al  centro;  agli  estremi  capi  sono  un  al- 
legyH)  e  un  fugato  di  bellissima  fattura:  il  tutto  è  preceduto  da  una 
introduzione  orchestrale. 

A  giudicare  simili  lavori,  che  più  depongono  del  sapere  che  del- 


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Hmmagiaatjva  di  chi  li  ha  falli,  bisogna  mettersi  a  uà  puoi 
vista  adeguato  e  oonvenienle  al*  loro  oarattere.  E  a  quQslo  pi 
sito  non  vi  sarà  chi  non  ammiri  nel  covipoaHore  la  scienza 
purezza  delia  scuola,  ohe  han  reso  la  fimlaaia  e  la  mano  aoa  ; 
e  potenti  nel  lavoro  conlrappunlisftico  delle  voci:  uu*ammin 
capacità  davvero»  oggi  a  ben  pochi  concessa. 

Nel  disegno  della  melodia,  noto,  come  sua  qualità  più  beli 
vivo  discernimento  della  parli  eifflcaci  e  vigorose  della  linea.  { 
nità  e  circospeziono  degne  di  una  menie  disciplinata  sono  nella 
dotta,  neirequilibrio,  neirimpasto  delle  voci  e  degli  strumenti;  i 
le  parti,  in  ogni  luogo,  si  muovono  facili  a  meraviglia  ed  a  riscc 
di  effetti  sicuri. 

Si  può  avere  un'idea  diversa  della  musica  sacra  oggidì  e  ne 
meno  ammirare  nel  Salmo  del  Piatania  l'opera  di  un  valoroso  mae 
la  cui  fama  è  pari  a  quella  del  maggiori  contrappualiati  itali^ 
noi  più  vicini,  a  quella  di  un  Ballabene  e  di  un  Raimondi.     L 

E.  BOSSIt  CanH  lirici  ad  urna  voce  ooM  tt^oompagnamento  di  pianoforte,  0\ 

2"  ferie.  —  Leipiig  e  Mileno.  Cerìech  e  Jftniehen. 

È  evidente,  in  questi  canti^  ed  è  bella  insieme  la  noa  con 
famigliarità  che  TA.  ha  con  le  più  varie  espressìonr  musicali  ( 
poesia;  cosi  che,  pari  alla  spontaneità  della  concezione,  risulta 
plice  e  abbondantemente  melodica  (attuazione  musicale.  Pochi  < 
positori  apprezzano  sufflcienteraente  oggi,  in  Italia,  il  valore  di  qi 
semplici  disegni  di  melodia  e  di  si  venusta  temperanza  di  colo 
che  lascia  alla  parola  un*espressione  giusta,  serena,  sentita  e 
giunge  un  raro  equilibrio  artistico.  Bd  ecco  delle  eomposizioi 
apparenza  modeste,  che  sono  delle  finissime,  delle  vere  opere  d"\ 

L.  T 

Legislazione  e  Giarlspradenza. 

a«v.  Jir.  TARAKELm  B  Codiùo  del   teatri  --  MìImq,  1991.  UUIeo  Bo^i  «Otti 
L.  8. 

«  Da  noi,  a  diflferenza  della  vicina  Francai,  non  si  è  avttt( 
«  qui  un  manuale  pratico  nel  quale  siano  raccolte  ed  ordinate 
«  le  molteplici  questioni  giuridiche  che  riguardano  il  teatro.  1 
«  sogno  di  un  Codice  del  Teatro  pralico^  che  servisse  di  guida  i 
4  contestazioni  che  specialmente  sulle  scritture  teatrali  si  solle^ 
«  non  poteva  dunque  a  meno  di  essere  generalmente  sentite 
€  mondo  artistico.  Gol  presente  lavoro,  ohe  con  maggior  prop 
€  potrebbe  intitolarsi  Delle  scritture  teatrali^  non  preteodiam 
«avervi  completamente  soddisfatto;  e  d'altra  parte  la  tn^tlas 


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a  del  diritto  teatrale  avrebbe  indubbiamente  sorpassato  \ 
itreiti  fn  cui  un  manuale  deve  necessariamente  contenersi, 
aitando  queste  pagine,  quanti  hanno  interesse  nella  gestione 
ro  potranno  trovare  la  soluzione  giuridica  dei  molteplici 
ì  loro  occorrono,  noi  avremo  ottenuto  il  nostro  scopo.  É 
»ta  speranza  che  licenziamo  il  Codice  del  Teatro  alle 
p, 

lodestamente,  TAutore  nella  prefazione.  Troppo  modesta- 
lesto  manuale  in  fatti  è,  pur  nella  voluta  brevità  concet- 
terò trattato,  singolarmente  pregevole  per  la  conoscenza 
'cura  che  il  Tabanelli  vi  dimostra  della  materia,  per  le  co- 
zie  dei  casi  più  signiflcativi  occorsi  e  delie  più  sottili  que-  \ 
ise  dalla  giurisprudenza,  e  per  T  ordine  e  la  chiarezza  j 
ssione  e  dello  stile.                                                R.  G.                               l 

ì 
Tarla.  ì 

i 

Domenico  dinar  osa  nel  primo  emtUenario   déUa   «Ma   morte.  -  XJ  gon-  p 

91.  Un  voi.  ÌD-4^.  Rg,  —  Napoli.  F    Gunnini.  • 

olenne  risposta  alla  rampogna  che  Francesco  Plorimo  nel  I* 

ì  della  sua  storia  della  musica  napoletana  muoveva  alla  H 

versa,  obliviosa   della   sua  gloria  più   pura,  gli  ammini-  5 

3lla  città,  con  unanime  deliberato,  nominarono  un  comitato 
cedesse  affinchè  «  la  commemorazione  centenaria  riuscisse 

degna  del  decoro  della  città  e  della  gloria  di  Domenico 

e  posero  a  sua  disposizione  la  somma  di  L.  25000,  perchè, 
a  come  meglio  credeva,  provvedesse  e  alla  creazione  di 
nento  in  Aversa,  e  alla   fondazione  di  un'opera  di  bene- 


u 


si  preparano  le  solenni  onoranze,  e  si  escogitano  i  mezzi  ^ 

sazione  della  nuova  Opera  Pia,  il  comitato  dà  alla  luce  il  C  i 

irolume  commemorativo,  alla  formazione  del  quale  concor-  ^  ' 

prose  e  versi  illustri  scrittori  italiani  e  stranieri. 

relenco  dei  principali: 

or  R.  —  Alfani  A.  —  A n tona  Traversi  C.  e  G.  —  Anzoletti  L.  e  M. 

—  Baccelli  A.    —    Barrili   A.  G.    —  Boghen-Conigliani  E.    — 

—  Bracco  R.  —  Cantoni  C.  —  Capuana  L.  —  Castelnuovo  L. 
Hi  A.  —  Chiarini  G.  —  Cesareo  G.  A.  —  Conforti  L.  —  Conti  A. 
i  —  Costanzo  G.  A.    —   D'Arienzo  N.    —   De  Amicia  E.  —  De 

—  De  Gubernatis  A.  —  Di  Giacomo  S.  —  D*Ovidio   F.  —  Fai- 

—  Farina  S.    —    Fogazzaro  A.    —    Giuriati  D.    —    Graf  A.    — 

—  Lioy  P.  —  Lombroso  C.  —  Malamani  V.   —  Martini  F.  — 
T.  —  Molmenti  P.  —  Negri  G.  —  Nitti  F.  S.  —  Panzacchi   E. 


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492  RBCBNSIONI 

—  Pascoli  G.  —  Pastonchi  F.  —  Pica  V.  —  Pitró  G.  —  Rapisardi  M.  — 
Renier  E.  —  Serao  M.  —  Sergi  G.  —  Targioni-Tozsetti  G.  —  Tebal- 
dini  G.  —  Valetta  F.  —  Verdinois  F.  —  Verga  G.  —  Villari  P. 

G.  B. 

Za  BiMloUea  4M  R.  Istituto  MusUmie  di  mrmMt.  la  Anmtario  del  B.  Ittltsto  Mukak 
di  PumiM.  —  FiiwM,  1901. 

Anche  nel  secondo  Annuario  edito  dal  R.  Istituto  Musicale  di 
Firenze  —  del  primo,  pubblicato  per  Tanno  scolastico  1898-1899, 
ci  occupammo  Tanno  decorso  (1)  —  le  notizie  concernenti  la  biblio- 
teca tengono  un  posto  importante  con  la  illustrazione  dei  principali 
tra  i  doni,  dei  quali  è  stata  arricchita  la  biblioteca  stessa  durante 
Tanno  scolastico  1899-1900.  Trattasi  di  un  notevole  e  prezioso 
aumento  di  rarità,  e  al  solerte  bibliotecario  professor  Gandolfl,  al 
dotto  commentatore  della  raccolta  dei  clmelii  musicali  florentini  per 
la  mostra  Internazionale  della  musica  e  del  teatro  in  Vienna»  che 
procacciò  al  H.  Istituto  la  massima  delle  onoriflcenze,  il  gran 
premio,  alla  Esposizione  di  Parigi  del  1900,  non  poteva  sfuggire 
Toccasione  propizia  per  dimostrare  il  valore  del  nuovo  corredo. 

Interessanti  ed  adeguate  alla  entità  del  cimelio^  scarseggiando  nelle 
nostre  biblioteche  le  opere  del  Carissimi,  sono  le  pagine  dedicate 
al  codicetto  di  arie  e  cantate  da  camera  di  diversi,  ti*a  i  quali 
figura  quelTautore,  ingegno  insigne,  che  nella  storia  delTarte  mu- 
sicale è  segnalato  per  aver  maestrevolmente  trattata  la  forma  detta 
cantata,  sorta  appunto  nel  secolo  XVIII,  e  hanno  una  peculiare 
importanza  i  cenni  che  riflettono  il  Canto-Dialogo  della  Musica  di 
Anton  Francesco  Doni  (1544)  non  solo  per  il  merito  del  lavoro,  ma 
altresì  perchè,  come  ci  fa  conoscere  il  professor  Gandolfl,  l'esem- 
plare acquisito  ha  il  pregio  rarissimo  di  contenere  le  quattro  parti 
canto,  tenore,  alto,  basso,  mentre  i  più  dei  pochissimi  esemplari 
noti  sono  incompleti. 

Documento  rilevante  assai  per  Tarte  e  la  bibliografla,  a  causa 
della  data  delTedizione  (1536),  delia  fama  dei  maestri  registrati  nella 
tabula  e  della  varietà  dei  tipi  delle  suonate  e  più  che  altro  della 
forma  detta  fantasia,  che,  cominciando  ad  introdurre  speciali  efletti 
proprii  al  carattere  del  liuto,  sviluppava  i  germi  dello  stile  libero 
nella  composizione  strumentale,  è  la  Intabolatura  de  Lento  del 
Gasteliono,  ritenuta  dal  Brunet  il  libro  più  antico  stampato  a  Milano 
con  caratteri  musicali  mobili  fusi. 


(1)  Vedi  Bivista  Musicale  Italiana,  voi  VII,  fase.  1%  anno  1900,  ptg.  160. 


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RECENSIONI  493 

lenta ta  anche  la  Nobiltà  di  Roma,  vilanelle  di  Gasparo 

ri),  curiosa  per  la  musica  a   tre  voci,  intavolata  alla 

;a,  che  contribuisce  ad  aumentare  il  numero  dei  lavori 

itore  esistenti  nella  biblioteca,  ma  non  vanno  dimenticati 

mo  delle  laicdi  spirituali  (1563),  comunemente  detto  del 

,  che  ne  fu   lo  stampatore,  con  i  copiosi  particolari  di 

i  salmi  passaggiati  per  tutte  le  voci  nella  maniera  di 

L  di  falso-bordone  (1615),  che  hanno  un   valore  storico 

ente  per  la  musica  rclipriosa,  inquantochè  sono  documenti 

le  ci  riconducono  a  quell'arte  strana  e  barocca,  praticata 

)  del   seicento  nelle  chiese  di  Roma,  e  finalmente   lo 

ter  di  Luca  Antonio  Predieri,  autore  reputatissimo  del  , 

IL  i 

noderna,  più  vicina  a  noi,  ha  pure  il  suo  efficace  con-  \ 

i  relazione  del  bibliotecario  ci  presenta  anzitutto  alcuni  j 

i  Gioacchino  Rossini,  ossia  due  ariette  da  esso  composte  ì 

jiresimio  amico  Gav.  Giuseppe  Torre,  la  lontananza  e  i 

)rdando  che  Tultima  fu  cantata   per  la  prima  volta  al  ; 

)logico  di  Firenze  per  le  feste  fatte  nel  1887  nel  trasporto  Z 

orlali  del  geniale  maestro  nel  tempio-pantheon  di  Santa  i' 

la  piccola  melodia,  breve  e  felice  cantilena  su  strofa  del  r 

)  poscia  un'epistola,  diretta  allo  Imperatore  dei  Francesi,  ^ 

i  quel  colto  e  castigato  artista  di  canto  e  autorevolissimo  •» 

le  fu  Nicola  Tacchinardi,  padre  del  professore  cav.  G.  Tac-  ^ 

ttuale  direttore  del  R.  Istituto  Musicale  di  Firenze:  atto  - 

che  ci  illumina  intorno  alle  condizioni  del  teatro  sulle  fc 

Senna  al  tramonto  della  sovranità  cesarea.  g 

mottetto  del  chiarissimo  professor  Ceccherini,  abbiamo  fl 

ul  dono  della  iroisième  messe  solennelle  del  sommo  Luigi  j 

a  proposito  del  quale  il  Gandolfì,  informandoci  del  suo  5 

0  progetto  di  formare  una  collezione  completa  delle  opere  *" 

chi  fu  lustro  del  nome  fiorentino,  ci  riporta  i  titoli  di 
uì  lavori  di  musica  religiosa,  teatrale  e  strumentale  da 
Iute.  Vediamo,  cosi,  che,  come  è  naturale,  mentre  tende 
i  acquisti  preziosi  per  Tarte  della  musica  in  generale,  la 
del  R.  Istituto  Musicale  di  Firenze  nutre  speciale  amore 
ne  tradizioni  locali.  E.  M. 

f,  Mu9il£<iUMche0  Fremdte&rterbueh.  —  Stuttgart.  VerUg  vod  C.  GrOninger. 

>riccino  compilato  con  diligenza,  esattezza  anzi  e  conci- 
contiene  quel  tanto  che  è  necessario  a  sapersi  da  un 


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tedesco,  cui  non  è  famigliare  ia  terminologia  tecnica  musicale,  e  da 
una  preliminare  lezione  di  pronuncia  italiana  passa  al  lessico  pro- 
priamente detto,  più  pratico  e  ricco  di  altri  che  vanno  per  la 
maggiore.  L.  Th. 

^.  CHAMttBTf  The  ntw  opera  gtams  Contalniag  th«  pìotB  of  tlM  moft  popnUr  v/petws  «ad 
a  •kovt  Httgimphy  ut  ite  MnpoMn.  -  Uk  voi.  In-lt*,  «1  p^.  IM. 

fi  cosa  utile,  in  fatti,  conoscere  bene  il  soggetto  dell*  opera  che 
si  va  ad  ascoltare  al  teatro;  spesso  accade  di  non  avere  né  la  pa- 
zienza, né  il  tempo  di  leggerne  il  libretto.  Per  cui  il  libro  del 
Gharley  sovviene  a  un  vero  bisogno  degl*  Inglesi  ed  Americani  che 
risiedono  nel  continente,  ofiì^endo  loro  in  brevi  tratti  l'argomento 
delle  opere  più  popolari.  Egli  ha  tenuto  conto  del  repertorio  Inter- 
nazionale (eccezion  fatt^  per  Topera  russa,  di  cui  non  veggo  parola) 
quale  specialmente  si  svolge  in  Germania.  I  diversi  articoli  sono 
scritti  con  agilità  e  chiarezza.  Quelli  sulle  opere  di  Mozart»  Weber 
e  Wagner  (complete  queste  ultime,  meno  Le  Fate)  sono  i  migliori. 

L.  Th. 


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SPOGLIO  DEI  PBIflODM 


ITALIANI 

Atene  e  Roma  (Firenze). 
N.  26.  Febbraio  1901.  —  F.  BamoriiiO)  La  musica  antica  e  il  ircpl  ikovawf^ 
di  Plutarco  néWeditione  Weiì  e  Seinaeh. 

Chineita  Musicale  (Milano). 

N.  8.  —  Checchi,  I  capricci  deUa  cronaca,  —  Tabanelu,  Maestri  di  musica 
e  MunicipL  —  Cambiasi,  Centenario  Oimarosiano. 

N.  4.  —  Paladini.  N.  OaUo  e  la  difesa  ddVarte  italiana,  —  Molhinti,  Le 
origini  della  commedia  in  Venesia, 

N.  5.  —  Cambiasi,  Centenario  Cimarosiano. 

N.  6.  —  Onoranze  a  Verdi, 

N.  7.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Pirani,  La  Chrmania  a  Giuseppe  Verdi, 

N.  8.  —  Onorante  a  Verdi.  —  Checchi,  I  capricci  deUa  cronaca,  —  Cam- 
biasi, Centenario  Cimarosiano. 

N.  9.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Zimmsrn,  Da  Londra, 

N.  10.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Molmenti,  Antichi  trattenimenti  musicali  a 
Venezia, 

N.  11.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Farina,  Certa  scienza, 

N.  12.  —  Onoranze  a  Verdi, 

N.  13.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Zimmern,  Da  Londra, 

N.  14.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Farina,  Paolo  Ferrari, 

N.  15.  —  Onoranze  a  Verdi,  —  Checchi,  I  ctzpricci  della  cronaca. 

La  Cronaca  Musicale  (Pesaro). 

N.  12  (1900).  —  (Giuseppe  Verdi  —  B.  Campana,  Varte  del  canto,  ^ 
P.  S.  EoDONiMO,  «  Le  Maschere  » . 

N.  1  (1901).  —  Bonaventura,  La  musica  in  Portogallo  e  in  Spagna,  —  H 
monumento  mondiale  a  Verdi, 

N.  2.  —  BoNAYiNTORA,  La  musica  in  Portogallo  e  in  Spagna  —  La  messa 
di  Verdi  a  Vienna, 

Rifiain  muticaU  UaUama^  Vili.  SS 


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496  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

La  Lettura  (Milano). 

Mano  Aprile.  —  A.  Lezio,  Il  pensiero  arUstieo  e  poUtieo  di  Giuseppe 
nelle  me  lettere  inedite  ed  conte  Opprandino  Arrivabene, 

n  nnoTO  Palestriua.  Rivista  mensile  di  Musica  Sacra  (Firenze). 

N.  1.  —  Ghignoni,  Nei  noitri  istituti  di  musica.  —  ImpressUmL  —  Anm 
grammatica, 
N.  2.  —  Ghiohoki,  Musica  del  PerosL  —  Palici,  S.  Alfonso  de*  Ligu 
N.  8.  —  Le  antiche  passioni  in  musica. 

La  Nuota  Magiea  (Firenze). 

N.  61.   —  A.  Francritti,  Il  sentimento  artistico  italiano  neVopera  di 

—  Gargano,  Verdi  e  la  critica,  —  Cordara,  Pensieri  su  Verdi,  —  Dil 
DE  Paz,  Il  successore. 

N.  62.  —  N.  Abate,  I  nostri  studenti  di  musica,  —  Richter,  La  mia 
scensa  con  Rosenthal.  —  Falooni,  I  trattati  di  Jadassohn. 

N.  63.  —  ScoMTRiMO,  Salmo  LXVII  di  P.  Platania,  —  Alriiquì 
E,  Wagner  e  deWopera  sua.  —  Falconi,  I  trattati  di  Jadassohn. 

Le  Cronaehe  masleali.  Rivista  illustrata  (Roma). 

N.  1.  —  1/  centenario  di  Cimarosa,  —  Faobtini-Fasini,  Domenico  dm 

—  Aneddoti  su  Cimarosa. 

N.  2.  —  €  Le  Maschere  »  di  P,  Mascagni, 

N.  3.  —  «  Le  Maschere  »  di  P.  Mascagni.  —  La  musica  italiana  mi 
quecenio, 

N.  4.  —  GHuseppe  Verdi. 

N.  5.  —  La  musica  iUìliana  nel  einqìAeeento.  —  Torniamo  Mantico,  - 
lettera  inedita  di  Giuseppina  Strepponi,  —  Le  origini  del  <  Bequ 
di  Verdi. 

N.  6.  —  Vinno  inedito  di  Cimarosa,  —  Falbo,  Dopo  «  Le  Masd^ere 
Procida,  Cimarosa  e  Tari,  —  Pagliara,  Un  nipote  di  Cimarosa. 

N.  7.  —  Montefjore,  Paderewski!  —  Procida,  Cimarosa  e  Tari,  —  7 
dinamento  delle  bande, 

N.  8.  —  MoNTBFioRB,  €  Bosina  *  nel  «  Barbiere  ».  —  Procida,  Cima\ 
Tari.  —  Varino,  Aneddoti  su  Verdi. 

N.  9.  —  MoNTEFiORE,  t  Stobat  Mater  »  di  Palestrina.  —  Miceli,  La  n 
in  Olanda, 

N.  10.  —  Rollano,  Il  Cardinal  Maggiore  e  V Opera  in  Francia,  — 
Intorno  àUa  musica  sacra.  —  Falbo,  Mustafà,  Capocci  e  Morieoni 

N.  11.  —  Incagliati,  t  Lorenza  »  di  Mascheroni,  —  Rouillon,  Il  metoc 
violino  di  J.  Piot. 


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SPOGLIO  DCI  PCRIODIGI  497 

Le  Cronache  Teatrali  (Roma). 
N.  29-30.  —  «  Le,  Maschere  »  di  Mascagni. 
N.  82.  —  Giuseppe  Verdi, 
N.  34.  —  Concorso  Cimarosa, 
K.  35.  —  La  eommemorajnone  di  Verdi  in  Bama, 

Mosiea  sacra  (Milano). 
N.  1.  —  I  decreti  della  8.  C.  dei  BiH.  —  iSfe  Palesirina  po-^m  dirsi  autore  del 
Graduale  Bomano  delTedÌMione  Medicea, 
N.  3.  —  I  decreti  déUa  8,  C,  dei  BiH.  —  L'edueasione  liturgica  deìV organista, 
N.  4.  —  Organi  vecchi  ed  organi  nuovi,  —  La  musica  sacra  a  Malta, 

Nuova  Aatolocrla  (Roma). 
16  febbraio.  —  P.  Bellezza,  ManMoni  e  Verdi, 

Blf  ista  d'Italia  (Roma). 
Febbraio.  —  P.  Mascagni,  Giuseppe  Verdi. 

Ri? Ista  Teatrale  Italiana  (Napoli). 
N.  3.  —  S.  Procida,  Giuseppe  Verdi.  -^  L.  A.  Villamis,  «  Le  Maschere  ». 
N.  4.  —  P.  Bettoli,  «  Le  Maschere  » . 
N.  5.  —  I.  Pizzi,  Il  «  Falstaff  »  di  Verdi, 

N.  6.  —  E.  MoscHiKO,  Vapoteosi  di  Verdi.  —  G.  Bubtico,  Un  muHcista  poco 
noto  del  settecento  (P.  A.  Gugìieìmi), 
N.  7.  —  L.  Capuana,  Nuovo  ideale? 

FRANCESI 

La  Tribune  de  Salnt-Gerfais  (Paris). 

N.  12  (1900).  —  A.  Hallats,  La  Maison  de  la  8chola,  —  Clerval,  La 
mntrise  de  Notre^Dame  de  Chartres,  —  Aubrt,  Les  Jongleurs  dans  Thistoire: 
Saint  Julien-deS'Ménétriers. 

N.  1  (1901).  —  H.  QoiTTARD,  Jacques  Champion  de  Chambonnières,  — 
Ellion  et  d*Indt,  Jeunes  et  vieiUes  musiques.  —  Clertal,  La  musique  reli- 
gieuse  à  Notre-Dame  de  Chartres, 

N.  2.  —  H.  QoiTTARD.  J,  C,  de  Chambonnière,  —  P.  Aubrt,  Les  Proses. 

La  Yoix  parlée  et  chantée  (Paris). 

Féfrìer.  —  E.  Grifpith  Luxm,  Vharmonie  de  la  voix  parlée,  —  J.  Bklen, 
La  consonne  U  et  nes  deux  formes:  muette  et  aspirée,  —  Quillemin,  Membranes 
et  tambours.  Bàie  du  tympan  dans  VaudUion, 

Mars.  —  GuiLLEMiN,  Champs  acoustiques.  —  H.  Makubn,  Défectuosité  du 
ìangage  déterminant  quelques  troublm  des  fonctions  cérébrales,  —  A.  Lenoèl- 
ZcvoRT,  Uenseignement  du  chant  et  la  diction  au  XX«  siede. 


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498  SPOGLIO  DKI  PSEIODICI 

Avrìl.  —  A.  AiKiM,  Le  réionnateur  voeaì.  —  Lbrmotkz,  La  murtmOanee  de 
VauéUHon,  —  Gellé,  Les  aons  vayeUes  en  fonetions  du  temps. 

Le  Conrrier  musleal  (Parìa). 
N.  1.  —  DUdinb,  Estai  sur  Vnupòratùm, 

N.  2.  —  D'Udini,  Essai  sur  Timpiraikm,  —  Daubrcsbk,  Vaudition  odlùrée, 
N.  8.  —  Dbbat,  Soirs  de  musique,  —  D'Udutb,  EsmU  sur  VinipiraJtUm, 
N.  4.  ~  Dbbat,  Verdi.  ~  Db  la  Laubbncib,  Le  guài  mutioalau  XVIII*  mède. 
N.  5.  —  De  la  Laurbkoib,  Le  goùi  mutioal  eie. 

N.  6.  —  Db  la  Laurebojb,  Le  gotU  musical  etc.  —  Makmold,  La  symphome 
en  Té  mineiir  de  Cesar  Franek. 

Le  Guide  Musical  (Braxelles). 

N.  2,  8,  4.  —  M.  EuPFBRATH,  Interprétaiian  et  traditìan. 

N.  2.  —  H.  DB  CoRzoN,  Le  eentenaire  de  Cimarósa. 

N.  3.  —  L.  DB  RoMAiN,  France  et  AUemagne. 

N.  4.  —  H.  Imbbrt,  Verdi. 

N.  5.  —  G.  Sekyièhes,  La  renaissance  de  ìa  •  Sonate  »  paur  piano;  Paul 
Duckas.  —  M.  Rbht,  L'vncident  Weingartner. 

N.  7.  —  J.  TiBRSOT,  Chansons  populaires  du  Vivaraii. — H.  Imbbrt,  «  Astarté» 
de  Xavier  Leroux. 

N.  8,  9.  ~  H.  Imbbrt,  Les  ancétres  du  violon  et  du  viokmeelle.  ^  *  La  fiVe 
de  Tabarin*,  iniiBiqae  de  M.  G.  Pierné. 

N.  10.  —  M.  KoppBRATH, Peter  Béno%t  —  F.  db  Mérjl,  «  Charlotte  Cordai*, 
masiqae  de  M.  Hexandre  Georges. 

N.  11.  —  H.  VE  CmzoH,  Croquis  d'artÌ8tes:M'^Mólé''Truffier.'' E.  FitRMKtt- 
Gbyaert,  Le  dernier  chanteur  italien  (Elogio  del  basso  baffo  Baldellì). 

N.  12-13.  —  H.  Imbert,  Pierre  de  JelyotU. 
N.  13.  --  M.  R.,  Le  Festival  Bach  à  Berlin. 

N.  14.  —  M.  Brenet,  Ghrétry  et  Toumaioris.  —  Les  droits  d^auteur  en 
Belgique. 

Le  Ménestrel  (Parìs). 

N.  1-3,  5-8.  —  Cont.  e  fine  della  serie  degli  articoli  di  Raymond  Boujcr  : 
Peintres  méhmanes,  i  qnali,  verso  la  fine,  sono  divenati  più  vani  e  più  inte- 
ressanti. 

N.  1-4,  6,  8-14.  —  Le  théàtre  et  les  spectades  à  VExposition,  per  A.  Poogio 
(cout.). 

N.  1-4.  —  Ethnographie  musicale,  notes  prises  à  PExposition  per  Jalien  TiefBot 
(cont.:  masica  cinese  ed  indocinese). 

N.  4.  —  Un  articolo  necrologrico  sa  Verdi,  di  A.  Poagin. 

N.  5.  —  La  reine  Victoria  et  les  musiciens  allemcmds,  p.  0.  Berggraen  (arti- 
coletto  d^occasione). 


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SPOGLIO  DSI  PSRIODIGI 


409 


13.  —  Le  tour  de  Franee  en  mutique,  p.  T.  Neakomm  (coni.). 

—  L'art  musical  et  ses   mierprèUè  depuù  deux  8ièe1e$,  p.  Paal 
tìtolo  farebbe  sapporre  chi  sa  che  importanza  e  profondità  di  studi 

:  si  tratta  invece  di  uaa  brillante  serie  di  aneddoti  e  di  pettego- 
^ri  ai  ricercatori  francesi,  riferentisi  alla  vita  dei  teatri  mnaicali  dì 
uè  secoli  a  questa  parte,  ed  in  cai,  più  che  allo  sviluppo  dell'arte 
bada  agli  intrighi,  agli  amorazzi  ed  agli  amorazzi,  alle  invidie  dei 
ei  ródeurB  ài  palcoscenico]. 

jàtre  (Paris). 

—  À.  ÀDERER,  e  Sylvie  Oli  la  curieuse  éTeanaur  ».  —  H.  db  Curzov, 

Vestaks  >.  —  A.  Jcllien,  Les  théàtres  1yriq%te8, 
l,  —  La  Béóuverture  du  Théàtre-Franfois, 

—  Giuseppe  Verdi, 
[.  —  A.  Aderer,  «  Les  rouges  et  les  blancs  ».  —  C.  Joly,  M^^  Thérèse 

—  A.  Aderer,    «  La  Cavalière  ».  —  G.  Jollinet,    «  La  petite 

—  A.  JuLLiEN,  <  La  filk  de  Tabarin*.-^  L.  Schhkidbr,  Af.  Gabriel 


-  Nomerò  special  <  Quo  Vadis?*, 

d'Art  dramatiquft  (Paris). 

-  PiioDHOMMK,  Le  Théàtre  lyrique  à  Vétranger.  —  Pottkchbr,  La 
matique.  * 

'  Brussel,  La  schola  cantorum, 

Lyonnet,  Queìques  leUres  inédites  de  Verdi.  —  Brussel,  Le  demier 

Uen, 

Derkkbourg,  Conservatoire  moderne  d'art  dramatique  et  lyrique. 

TEDESCHI 

lisches  Wochenblatt  (Leipzig). 

-  Uimportama  e  Vevolusione  storica  delTuffieio  di  direttore  d'or- 
una  piccola  considerazione  suWefficacia  delCarte  in  generale,  di 
assler. 

.  ^   FaUi  apostoli  f   di   0.  Armin  :   questioni  sair  insegnamento 


0.  —  Prove  acustiche  per  Vesistenxa  del  talento  musicale  innato, 
sen.  Molto  interessante  scrìtto:  scientifico  e  pratico  insieme. 
Fonazione  e  risonanza  degU  organi  del  canto,  di  E.  Senger. 

).    _    Un   mezzo   nuovo  ed  importante  di  iOrutione  muiieale, 

ìen  parla  delle  note  edizioni  delle  invenzioni  e  foghe  di  Bach  fatte 

lei  Boekelman. 


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500  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

N.  14.  —  rOuverhtre  della  #  Ifigenia  m  AiOide  >  di  Qluck,  di  P.  Ehle». 

N.  15.  —  Nuotxk  daboragUme  di  antiehe  opere  muticaK,  Contro  le  opinioni 
pantane  dei  clasgid,  lo  scrittore  L.  M.,  in  base  a  ciò  che  fecero  M<»sart  • 
Wagner,  ammette  che  le  antiche  opere  possano  essere  abbellite  nel  colorito  e 
nelPistmmentale. 

N.  16.  ^  Nuaw  eoneiderajrioni  Btorieo-mueicàii,  di  0.  Waldapfel. 

None  Mnsikalisehe  Presse  (Wien). 

N.  2,  3.  ~  Per  fesUtica  della  musica,  di  A.  Seidl.  —  Domenico  Cimarowa. 

N.  4,  5,  7.  —  Giuseppe  Verdi.  —  Varmonica  di  B.  Wagner  m  rapporto  atta 
fondamentale  teoria  di  Seehter,  di  C.  Hjnais. 

N.  8.  —  Sciopero  nei  Teatro  Nazionale  di  Praga. 

N.  9,  10,  11,  12,  13.  —  Edueaeione  musicale,  di  G.  Qdhler.  Stadio  degno 
di  essere  meditato  da  chi  si  appassiona  per  an  determinato  indirizzo  da  dare  agli 
stadi  e  pel  modo  di  formare  nn  personale  d*  insegnanti  capace  di  attuarlo.  — 
<  Lobetane  »,  di  L.  Thaille. 

N.  14.  —  Festa  musicale  delTAUa  Austria, 

Neve  Mvsik-Zeitvng  (Stattgart-Leipzig). 

N.  22,  23,  24  (1900),  1,  2.  —  DieMusik  der  Griechen,  ?.  Dr.  Richard  Batka 
[Breve  sguardo  storico  sulla  musica  greca]. 

N.  1,  2.  —  J^tti  Lohengrin- Jubilàum,  v.  Prof.  Bachmann  [Beirarticolo  in 
occasione  del  50°  anniversarìo  della  prima  rappresentazione  del  «  Lohengrin  »  in 
Weimar].  —  Geigen  und  Geigenkauf,  t.  ^.  Ealm  [Notizie  interessanti  sul  lu- 
natico commercio  degli  istrumenti  a  corda]. 

N.  1,  2,  8,  4.  —  Joseph  Bonaventure  Laurens,  v.  Olga  Stieglits  [Àppanti 
tolti  dalla  biografia  del  L.:  «Une  vie  artistique»,  e  pubblicazione  nella  lingua 
orìginalei  per  la  prima  volta,  di  alcune  lettere  dello  Schnmann  al  L.,  tolte  dal 
libro  sunnominato]. 

N.  1.  —  Sir  Arthur  SuUivan,  v.  Max  Welde.  —  (Necrologia).  —  Vom  fran- 
siysischen  Bayreuth,  t.  Joh.  Bejer  [Si  parla  delle  rappresentazioni  nazionali  in 
Grange]. 

N.  8.  —  Am  Grabe  Lortsings,  t.  Georg  Richard  Krase.  —  Noch  einiges  sur 
CharakterisHk  Albert  Lortzings,  t.  à.  von  Winterfeld  [In  occasione  del  f^  an- 
niversario del  L.]. 

N.  3,  4,  5.  —  Spontini  and  BeUstab,  v.  Dr.  Adolf  Kohut  [In  occasione  del 
50*  anniversario  dello  S.]. 

N.  4.  —  Die  Cimarosa-Aussiellung  in  Wien,  v.  Pr.  [Descrizione  delPesposi- 
zione  cimarosiana  in  Vienna].  —  Die  Ulmer  Meister singer,  v.  Georg  Richard 
Kruse  [Resoconto  della  «  tabulatur  » ,  regolamenti,  nsi,  ecc.  della  Società  dei 
maestri  cantori  in  Ulm,  1599  1644].  —  Tank,  Gesang  und  Musik  bei  den 
Wenden,  y.  Ewald  Mailer  [Uno  dei  suliti  interessanti  articoli].  —  Die  «  Ma- 
schere »  von  Pietro  Mascagni,  v.  Erwin  [Se  ne  constata  il...  fiasco]. 


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SPOGLIO  DBI  PERIODICI 


501 


È  quasi  totalmente  dedicato  alla  memoria  di  Giuseppe  Verdi.  Degno  di 
;icolo  di  A.  von  Winterfeld  «  PersònUehe  Erinnerungen  au  Verdi  • 
>tografie  e  facsimili  tolti  dal  Masco  istorioo  musicale  del  sig.  Nicolas 
1  Franooforte  sol  Meno. 

Dai  Richard  WagnerHam  in  Wi^reburg,  t.  Prof.  Hermann ftitter 
il  Tentenne  Wagner  ooroponeva  la  saa  prima  opera  «  Le  Fate  >]. — 
in  wm  Engìand  ala  Kunstmàcen,  t.  Max  Welbe,  etc.  etc. 

Zeitsehrift  fOr  Mnsik  (Leipzig). 

C.  M.  VON  Satemah,  Recensione  della  Gesckiehte  dee  Domehores  in 
iton  Seydler.  —  Y.  Joss-Prao,   Critica  dell'opera  Dos  Streichholp' 
iiìg.  £nna. 
y.  L.  Schnackenberg  parla  delle  altime  composizioni  di  Max  Reger. 

parla  di  A.  Lortzing. 

-  H.  KliDg,  parla  del  soggiorno  di  R.  Wagner  in  Ginevra. 
Benno  Gbigek,  Giuseppe  Verdi, 

Edwìn  Neruda,  SponHni, 

Paola  Rebsr,  «  Eroe  und  Peyehe  > ,  musica  di  Max  Sjenger. 
P.  Hjller-KOln,  «  Dm  Mddehenherg  ».  Mnsik  von  Crescenzo  Bnon- 
tica  favorevole]. 

-  V.  JosB,  Der  Gluckcyelue  in  Prag,  —  Edwìn  Neruda,  Opemiext 
a. 

-  Rob.  Mùsiol,  Ein  amerikaniacJies  TonkUnetìer-Lexicon,  —  R.  Lange- 
Ein  neus  Klaoiereoncert  von  Emil  Sauer. 


INGLESI 

ììy  musical  Record  (Londra). 

—  The  Queen  and  some  famous  musicians.  —  The  proper  bàlance 

and  Orchestra,  di  Eben,  Proat.  —  Edward  A.  Baaghan,  nel  suo 

ticolo  The  Prìff,  ci  dà  uno  schizzo  riuscitissimo  del  vanitoso  sapu- 

he  philosophical  side  of  some  ìaws  of  harmony,  di  L.  Prouth.  — 

New  Music  and  New  EdiUons.  —  Musical  Notes.  —  Musica. 

-  The  battìe-cries  of  criticism,  E.  Baughan  fa  distinzioni  fra' critici 
icerca  delle  qualità  migliori  di  questa  razza.  Ma  i  critici  sbagliano  ; 
1  seno  profeti.  —  The  proper  balance  of  Chorus  and  Orchestra^  di 
conclns.).  —  The  philosophical  side  of  some  ìaws  of  harmony.  — 
^erdì.  —  Sulite  rubriche.  —  Musica. 

-  A  Bureau  for  critìcs.  E.  Baughan  ha  un  tema  inesauribile  fra  le 
lol  continuare  ;  poi  esso  è  anche  piacevole.  Fra  molte  divagazioni  dice 
.  ~  Past  and  present  of  the  Exercise  and  the  Etude,  by  J.  S.  S. 
pianisti.  —  The  Home  of  the  Meistersdnger.  Grazioso  articolo  su  la 
imberga  e  le  costomanze  antiche  de*  cittadini.  —  The  philosophical 
e  ìaws  of  harmony,  by  L.  Prout.  —  Solite  rubriche.  —  Masica. 


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502  SPOGLIO  DBI  PERIODICI 

Music,  a  Monthly  Magasine  (Chicago). 

Gennaio.  —  Whai  peopk  gei  from  Mu$ie,  bj  H.  Gale.  Articolo  brillante,  in 
coi  si  espongono  appreztamenti  sol  Heder  di  diverse  epoche  e  si  fiuino  oonfrontL 
-^  Eniropean  foMaeies  and  American  Music,  di  0.  G.  Sonnek.  «Gli  Americani 
sono  più  inclinati  a  divenire  gl^itatori  dei  musicisti  europei,  studiando  con 
notorietà  europee  per  nulla  originali  oggi,  come  artisti:  gli  Americani  &0GÌano 
da  sé.  Io  da  parecchi  anni  sento  questo  consiglio  e  segna  questa  tendenia  dei 
giovani  educatori  americani;  li  ammiro  ed  ammiro  anche  alcuni  compositori  ame- 
ricani, che  reputo  non  inferiori  a  varie  notorietà  ed  anche  celebrità  europee. 
Ecco  la  risposta  che  io  devo  al  signor  Sonneck,  Tautore  dell'articolo,  a  cui  è  pia- 
ciuto di  ikre  il  mio  nome».  L.  Th.  —  The  Chevàlier  Gluck  and  the  leading 
motive.  Fantasia,  in  cui  si  finge  un  sogno  e  relativa  intervista  con  Gluck  sul 
fnoUoo  conduttore  e  la  sua  origine  (dalla  Sevue  de  Pari»),  —  An  interview 
wUh  Mr,  Harrieon  M,  Wild  (A  condoctor  and  his  critics).  —  Il  dirigente  ò 
Mr.  Thomas  e  Torchestra  quella  di  Chicago.  —  An  appredation  of  Brahms, 
by  G.  D.  Gunn.  —  The  songs  of  Robert  Frane,  bj  Sydney  Preston  Biden.  — 
Camillo  Saint-SaCns  pubblica  una  bellissima  sintesi  di  studi  profondi  di  filosofia 
sul  tema  :  ^^érituàliem  and  MaiertaUsm  (dal  francese).  —  EdUoriaì  Brie-a-Brae. 
Rivista  di  vari  interessi  musicali  in  America;  del  pianista  Harold  Bauer  di  Parigi  ; 
dell*orchestra  dì  Thomas.  —  Noteworihy  PersonàUHes,  —  Things  here  and  thare. 
Rivista  interessante  di  varietà.  —  Bevietos  and  Noticee. 

Febbraio.  —  The  XlXth  Ceniury  and  natwnal  sehooU  of  mueie,  by  W.  S. 
B.  Mathews.  L*A.  discorre  dei  diversi  indirizzi  della  musica  odierna  in  Germania, 
in  Francia  e  in  Russia  con  qualche  accenno  al  risveglio  americano.  —  Dudky 
Buek  on  the  future  of  Music,  Opinioni  personali  che  esigerebbero  sriluppo.  — 
Symphony  eince  Beethoven,  Hugues  Imbert,  in  risposta  a  Felix  Weingartner, 
tratta  de*  musicisti  francesi.  —  E.  Simpson,  in  un  articolo  intitolato:  An  Ame- 
rican farm,  some  musical  history,  and  a  visit  to  Johan  Swendsen,  &  la  storia 
del  Quartetto  Ursin,  di  origine  Norvegese,  e  si  occupa  particolarmente  dello 
Swendsen  e  della  sua  carriera.  —  Noteworthy  Personaìities,  —  Finck's  «  Songs 
and  Song-ìorOers  » .  E.  Swagne  discorre  di  un  nuovo  libro  di  Finck —  Unwer- 
sity  Music  from  the  Profisssor's  standpdnt:  a  ìetter  from  Professor  Stomky. 
—  Editoriàl  Brie-a-Brac.  Sul  pianista  Godowsky  e  i  suoi  concerti  a  Berlino  — 
nel  prossimo  anno  Godowsky  darà  concerti  in  tutta  TEuropa;  —  sai  concerti  dei 
pianisti  Dohnanyi  e  Ossip  Gabrìlswitsch  in  America;  —  di  varii  interessi  musicali 
americani  e  deiropera  inglese.  —  Things  here  and  ihere.  Rivista  varia  e  corri- 
spondenze dall'Europa.  —  Solite  altre  rubriche. 

Musical  Record  (Boston). 
Febbraio,  Marzo,  Aprile.  —  Questa  Rirista  è  composta  di  molti  breri  articoli 
educativi,  storici,  critici,  di  curiosità,  ecc.,  fra  i  quali  notiamo:  The  music  of 
the  future:  Two  opinions.  —  Haroìd  Bauer,  —  The  Discipìe  as  Leamer,  — 
Form  in  Music  (by  Percy  Goetschius)  Edward  Eìgar:  A  Sketch  —•  Training 
of  Chiìdren  Voices.  —  The  Weak  Fingere.  —  ChiMood  Songs.  —  Training 
Audiences  Method  (J.  Zosier).  —  On  discovering  Cfeniuses,  —  Form  in  Music 
(Goetschius).  Il  testo  è  intramezzato  da  musica  e  ad  ogni  fascicolo  mensile  s'ac- 
compagnano due  album  di  musica  per  pianoforte  e  canto  e  pianoforte. 


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SPOGLIO   DEI   PERIODICI 


503 


slcal  Times  (Londra). 

-  Victoria  our  heloved  Queen.  —  The  sisters  of  two  great  com- 
nnerl  Mozart  (molto  interessante).  —  Spiritual  Songs,  by  J.  Benne t. 
England  in  the  nineteenth  century  (F.  G.  E,).  —  Hans  von  BUÌow 

(recensione  del  V  volume  degli  scritti  del  Bùlow).  —   Occasionai 
it  to  Couterbury  on  new  century's  day,  —  Professor  Niecks  on 

-  Arthur  Sullivan.  —  Eemews.  —  Musica. 

Giuseppe  Verdi,  —  The  sisters  of  two  great  composers.  II,  Fanny 

—  Music  in  England  in  the  nineteenth  century  (F.  G.  E.).  — 

Boyal  days  of  Arthur  Sullivan.  —  Ear  Training,  —  Beviews.  — 


Sir  John  Goss  (schizzo  bìografìco  del  distinto  organista  inglese 
—  Hymn-Tunes.  —  Permissible  Fifths,  —  Occasionai  Notes.  — 
Musica. 


) 

te 
J 


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I^OTIZIE 


I&Htuti  fnuHcali. 

«*^  Parma.  Società  dei  Concerti  del  Regio   Conservatorio  di  Musica.   >- 
5*  Concerto  deiranno  sociale  1899-900  (XXXV).  —  Mercoledì  21  novembre  1900. 

Programma. 

1.  Rossini  Q.,  Sinfonia  alKopera  «  Torwaìdo  e  Dorliska  ». 

2.  Verdi  G.  ,  a)  Baìlabiìe  «  L'Estate  »  nellopera  <  I  Vespri  Siciliani  » . 
Mancikklli  L.  :  b)  Andante-Barcarola  dagli   <  Intermessi  »   per  la   €  Cleo- 
patra ». 

3.  BsBTHOfBM  L.,  Ouverture  al  ballo  «  Prometeo  » ,  op.  48. 

4.  Waqher  B.,  Siegfriedrldyll. 

5.  ScHUMANN  R. ,  a)  Abenlied  per  quartetto  d*archi. 

Brahms  J.,  b)  Allegretto  grazioso  dalla  «  Sinfonia  iV.  ^  >  op.  73. 

6.  Mendelssohn  L.  F.,  Ouverture  (op.  89)  all'opera  in  an  atto  «  Il  ritomo  «n 
patria  » . 

L'orchestra  e  composta  di  professori  ed  alunni  del  R.  Conservatorio  e  di  soci 
d'arte. 
Direttore:  G.  Tebaldini. 

»%  —  1^  Esercitasùme  degli  alunni.  —  Giovedì  20  dicembre  1900. 

Programma. 

1.  Mozart  W.  A.,  Ouverture  all'opera  «  Le  Nosse  di  Figaro  >    per  orchestra. 

Dirige  Talanno  Candiolo  G.  (Anno  7*  di  composizione). 

2.  Reihbckb  C,  «  Undine  >  Sonata  per  flauto  e  pianoforte: 

a)  Allegro;  b)  Intermesso;  e)  Andante  tranquillo;  d)  Finale,  —  C.  Ceard 
(Anno  4»,  prof.  Cristoforetti). 

3.  Hatdn  G.,  Quartetto  in  Sol  min,  (op.  74,  n.  3); 

a)  Allegro;  b)  Largo  assai;  e)  Minuetto  ;  d)  FìmUs. — Bonaretti  F.  (Anno  ò"", 
prof.  Franzoni).  Azzi  G.  (Anno  6^  prof.  Mantovani).  Pedretti  P.  (Anno  7«, 
prof.  Franzoni).  Franceschini  A.  (Anno  7°,  prof.  Carini).  L'esecuzione  dei 
nam.  2  e  3  ò  affidata  all'alunno  Pizzetti  I.  (Anno  8«  di  oomposÌEÌone). 

4.  Babrmakn  C,  Solo  fantastico  per  clarinetto.  —  Maldotti  A.  (Anno  6<*,  prof.  Cas- 

sani,,  che  accompagna  al  pianoforte). 


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505 


i  D.,  Andante  sostenuto  per  quattro  violoncelli.  —  Veroni  G.,  Fran- 

A.  (Anno  7«).  Cornàglìa  F.  (Anno  5^),   Cacciali  1.  (Anno  6",  pro- 

arìni). 

Divertimento  per  fagotto,  con    accompagnamento    di  pianoforte.    — 

U.  (Anno  6**»  prof.  Jori),  Cacciali i  U.  (Anno  9*,  prof.  Ficcarelli). 

L.,  Ouverture   all'opera    t  II  portatore  d'acqua  »    per  orchestra. 

alunno  Barilli  B.  (Anno  4"*  di  composizione). 

Tebaldini. 

Esercitazione  di  classe.  Lunedì  14  gennaio  1901.  —  Classe  dì  pia- 
M*»  Cav.  Stanislao  Ficcarelli. 

NDEL880HN  F.  :  a)  Bouvrée  ;  b)  Allegro  (Lami  B.,  anno  2®). 
,KM£NTi  M.  I  a)  Notturno;  b)  L  tempo  della  sonata  in  Si  minore 
E.,  anno  4*'). 
Traumes  Wirren  (Cariot  C,  anno  5*). 
Paradisi  P.,   a)  Il   fabbro  armonioso;   b)  Presto  (Caggiatì  G., 

Mendelssohn  F.,  Meditazione  reìigiosa\  Moto  perpetuo  (Tedoldi  A., 


nprovviso  in  Fa  diesis  (Anelli  M.,  anno  6*). 

-Sgambati  G.,  a)  Melodia;  b)  Toccata  (Corazzi  E,  anno  7**). 

.,  Sonata  (appassionata).  Allegro  assai^  Andante  con  moto^  Allegro 

pò  (Cacciali  U,,  anno  9'»), 

ma  con  variazioni  per  due  pianoforti  (Anelli  M.,  Corazzi  E.). 

Joncertù  delFanno  sociale  1899-900  (XXXVIj.  Sabato  16  marzo  1901. 
Iella   «  Berìiner  Kammermusik-  Vereinigung  » ,  composta  dei  solisti 

reale  di  Berlino.  —  Signori  professori:  Ernest  Ferrier  (Pianoforte)  ; 

(Flauto);  Emile  Heise  (Oboe),  Oskar  Schubert,  virtuoso  della  Casa 
etto);  Hugo  Rude!  (Corno);  Heinrich  Lange  (Fagotto). 

Programua. 
L.,  «  Quartetto  concertante  *    in  Mi  b  maggiore,  per  Oboe,   Clari- 
Tno  e  Fagotto,  con  Pianoforte: 
^gro;  b)  Adagio;  e)  Andantino  co^i  variazioni. 
Sestetto  in  Si  b  maggiore  (op.  6)  per  Pianoforte,  Flauto,  Oboe,  Cla- 
Zoxno  e  Fagotto: 

egro;  b)  Larghetto',  e)  Gavotte;  d)  Andante  quasi  allegretto; 
;  vivace. 

J.,  Capriccio  su  arie  danesi  e  russe  in  Si  b  maggiore  (op.  79)  per 
e,  Flaato,  Oboe  e  Clarinetto, 

,  Quintetto  in  Mi  b  maggiore  (op.  16)  per  Pianoforte,  Oboe,  Gia- 
como e  Fagotto: 
ive.  Allegro  ma  non  troppo;  b)  Andante  cantabile  ;  e)  Rondò,  Al- 

non  troppo, 

jenica,  17  marzo  1901,  il  Prof.  Cav.  Giuseppe  Lesca,  ordinario  di 
l.  Istituto  superiore  di  Magistero  femminile  in  Firenze,  tenne  una 
guente  tema:  Poeti  e  Poesia^  e  lesse: 


> 
J 


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506  NonuK 

I.  Poesia  oampettra:  hn  iemenia,  di  Oiofannt  Pascoli. 
Poesia  filosofica:   AUoOUe  Portai!  di  Arturo  Graf;  I  due  fanenM,   di 
G.  Pascoli. 

IL  Poesia  umanitaria:  Nel  carcere  di  Ontevra,  di  G.  Pascoli;  Nei  peni- 
ienMiario  di  VoUerra,  di  G.  Lesca. 
Poesia  eroica:  La  ra^^sodia  garibàidina,  di  G.  Marradi;  Congedo^  di  G.  Cardooci. 
Direttore:  G.  TebaldinL 

Opere  nuove  e  Oaneerti» 

»*«  La  nuova  opera  di  Siegfried  Wagner,  Hereog  WQdfcmg,  non  ebbe  fortuna 
né  a  Monaco  né  a  Lipsia. 

«%  ÀI  HofihecUer  di  Berlino  venne  accettata  la  nao?a  opera  Fettersnoth^  dì 
Rie.  Stranss. 

«%  L'ottava  sinfonia  (Do  min.)  di  À.  Brockner  ebbe  a  Mannheim  nn  saccesso 
entasiastìco. 

«%  Uno  straordinario  saccesso  ba  avuto  il  poema  sinfonico  di  Riccardo  Straoas, 
«  Ein  Eldenkben  » ,  nel  settimo  Concerto  Filarmonico  di  Lipsia. 

«%  A  Brema  si  è  esegaito  il  Prologo  orchestrale  sinfonico  di  M.  Schillings  sul 
«  Re  Edipo  >,  di  Sofocle. 

«\  La  sinfonia  in  Be  maggiore,  di  Sgambati,  ebbe  fovorevole  accogliensa  a 
Montreal. 

»*«  I  Concerti  etorici  della  Società  Bohn  di  Breslavia  (Vedi  recsnstòns  in  questo 
fascicolo)  destarono  il  più  vivo  interesse  nel  pubblico.  La  stampa  applaude  alle 
nuove  idee  feconde  nelFarte  e  nella  culturs. 

^\  Il  programma  del  Concerto  storico  del  signor  W.  Hlawatsch,  di  Pietro- 
burgo, conteneva  i  nomi  seguenti  :  Adam  de  la  Hale,  Andrea  Gabrieli,  Palestrìna, 
Merulo,  Bird,  Frescobaldi,  Monteverdi,  Cavalli,  Baxtehude,  Pachelbel,  Dondrieu, 
Gorelli,  Haendel,  J.  S.  Bach,  Padre  Martini,  Tartini,  Beethoven,  ecc.  Sala  affol- 
lata; successo  enorme. 

«%  La  sinfonia  in  Si  minore  di  Arensky,  eseguita  a  Lipsia  dairorchestra  Win- 
derstein,  fu  accolta  col  massimo  favore. 

«%  La  sesta  sinfonia  di  Glazounow  ebbe  esito  splendido  a  Magdeburgo. 

*%  Paul  Bazelaine  è  un  fiundullo  prodigio:  a  undici  anni  egli  ba  suonato 
recentemente  ad  Amburgo  il  Concerto  per  violoncello  in  La  minore  di  Saint-Safins 
e  molti  altri  pezzi  di  Bach  e  Popper;  il  piccolo  virtuoso  fu  ammirato. 

«%  Riccardo  Stranss  diresse  recentemente  il  suo  «  HMenkben  »  in  due  Con> 
certi  a  Barcellona  e  il  suo  «  Don  Chischiotte  »  a  Wiesbaden. 

«%  Il  concerto  per  Violoncello  di  Eugenio  d*Albert  fu  eseguito  per  la  prima 
volta  a  Budapest. 

«%  Una  Ouverture  di  Berliox  (op.  I)  fu  eseguita  a  Monaco  sotto  la  direaione 
del  Weingartner:  é  un  lavoro  interessantissimo,  eccitante,  sviluppato  con  grande 
slancio. 


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NOTIZIE  887 

de  interesse  suscitò  a  Vienna  il  concerto  diretto  dallo  Stawenhagen 
i  Wagner  e  Liszt,  fra  cui  la  Sinfonia  Dante, 
resentazioni  di  opere  nuove: 
ìmar,  di  Th.  Erler,  in  Planen. 
:hen  von  Heiìbronn,  di  F.  Lux,  ad  Augaburg. 
eìine,  di  L.  Thuìlle,  a  Brema. 
fortuna,  di  R.  Prochàzcha,  ad  Altenburg. 

cto,  di  C.  Cui,  a  Mosca.  •  •  '     ^ 

•cel  Durand,  di  A.  Larrocha,  a  S.  Sebastiano, 
Vendetta j  di  E.  Lefebvre,  ad  Algeri. 
riotte  Cordai/ 1  di  A.  Georges,  a  Parigi, 
Alling^  di  A.  Eberhardt,  in  Ulm. 

1^,  di  C.  Dibbern,  in  Amsterdam.  • 

ia,  di  E.  Enna,  a  Copenhagen. 
adglockeny  di  J.  Erb,  in  Carlaruhe. 
M  Baresch,  di  E.  Caudella,  a  Bukarest. 

ig  Drosseìbart,  di  G.  Kulenkampff,  a  Lipsia.  ^    ,,   . 

►sa,  di  M.  J.  Erb,  a  Lipsia, 
er  a   Venezia,  di  W.  v,  Baussern,  a  Weimar. 
Hanz,  dì  L.  Thuille,  a  Vienna. 
zog    Wildfang,  di  S.  Wagner,  a  Monaco. 
isìkaa,  di  A.  Bungert,  a  Dresda. 
irte,  di  X.  Loroui,  a  Parigi. 
idanga,  di  T.  Breton,  a  Madrid. 
^£rreno  neutro^  di  C.  Gramman,  ad  Amburgo. 
u-Bame,  di  P.  Tschaikowski,  a  Riga. 

fille  de  Tabarin,  dì  G.  Pierné,  a  Parigi.  ' 

Boi  Dagobert,  di  M.  Lambert,  a  Parigi. 
Sire  de  Framboi»y,  di  Maynard,  a  Bruxelles. 

ulwerbung,  di  F.  Neumann,  a  Linz.  ) 

dko,  di  Riraski-Korsakoff,  a  Pietroburgo.  • 

Meiliefvan  Guìpen,  di  M.  Boumann,  all'Aia. 

Regina  della  fonte,  di  L.  Lacombe,  a  Sondershausen.  ; 

Princesse  d^Auberge^  di  J.  Bloks,  a  Lione.  ' 

Ianni  di  Lorena,  di  V.  Joncière,  a  Berlino, 
aìka,  di  A.  Dvorak,  a  Praga. 
ri  di  fanciulle,  di  C.  Baongiorno,  a  Cassai. 
natOB,  di  R.  Francke,  a  Schwerin. 
3/ra,  di  F.  Braga,  a  Rio  de  Janeiro. 
Hochlànder,  di  F.  v.  Holsteìu,  ad  Altenburgo. 
rancoforte  sul  Meno,  TOratorio  e  La  leggenda  dì  5.  Bonifacio  » ,    di 
,  ottenne  un  rimarchevole  successo. 

ìttanto  avvenne  pel  nuovo  Oratorio  secolare:  Ekkehard^ài  U.  Roebr, 
k. 

r£og   Wildfang  »,  di  Siegfried  Wagner,  ebbe  un  bel  successo  al  Teatro 
di  Lipsia. 


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508  NOTIZIK 

«*«  Entasiastìoo  sncoesso  ebbe  a  Praga  il  la?oro  del  Bossi,  CanUeum  Canti- 
confili,  eseguito  dalla  Bohnisehe  Gesangverein. 

/»  Il  premio  di  1000  franchi,  offerto  dairAocademia  di  Belle  Arti  di  Bruxelles 
per  nn  Concerto  di  pianoforte  e  Orchestra,  fa  Tinto  da  Louis  Dolane,  scolaro  di 
E.  Tinel. 

«%  Diamo  il  programma  delle  rappresentazioni  wagneriane  estive  al  nuovo 
Teatro  Principe  Reggente  a  Monaco  di  Baviera,  costrutto  sul  tipo  del  Teatro 
Wagner  a  Bayreuth: 

Die  Meistersinger  wm  NUmbergi  21  e  25  agosto;  2, 10,  14  e  26  settembre; 

Tristan  und  leoìde:  23  e  27  a*;osto;  4,  12  e  20  settembre; 

TannhaUser:  29  agosto;  6,  16,  22  e  28  settembre; 

Lohengrin \  81  agosto;  8,  18  e  24  settembre. 

Oltre  gli  artisti  ordinari  del  Hoftheater,  tì  prenderanno  parte  i  signori:  Georg 
Anthes,  Emil  GerhaQser,  W.  Grflning,  J.  Baptist  Hoffmann,  Theodor  Reicbmann, 
Albert  Beiss,  Fritz  SchrOdter,  Ernst  Wacbter,  Hermann  Winkelmann  ;  le  si- 
gnore: Pelagio  Greeff  Andriessen,  Laura  Hilgermann,  Gisela  Standigl. 

Direttori  d'orchestra  saranno  :  B.  Stavenhagen,  H.  Zampe,  H.  Rohr,  Fr.  Fischer. 

Le  rappresentazioni  incominciano  alle  ore  5  pomeridiane;  i  biglietti  costano 
20  marchi. 

«\  Triitano  e  Isoìda  è  stato  rappresentato  in  inglese  per  la  prima  volta  ad 
Hall.  La  stessa  opera  ha  suscitato  interesse  generale  a  Edinburgo. 

«%  A  Lione  è  andato  in  scena,  per  la  prima  volta  su  terra  francese  e  con  gran 
successo,  il  e  Siegfried*, 

«%  La  Società  Riccardo  Wagner  di  Mannheim  si  è  sciolta,  destinando  la  ri- 
masta somma  di  750  marchi  a  scopi  benefici. 

«\  A  Dresda  qualche  giornale  8*è  lamentato  di  non  veder  risolta  ancora  la 
questione  del  monomento  a  Wagner.  Così  a  Lipsia.  Un  primo  fondo  in  danaro 
fu  stabilito  in  ambe  le  città  a  quello  scopo.  Si  attende  ora  la  organizzazione  di 
Comitati. 

^\  A  Parìgri  il  Chevillard,  direttore  dei  Concerti  LamDureui,  diede  una  ese- 
cuzione completa  e  magnifica  del  Bheingoìd  con  un  successo  colossale. 

«\  È  morta  a  Merano  Alessandra  von  Schleinitz  in  età  di  59  anni.  Essa  fu 
legata  da  grande  amicizia  con  Riccardo  Wagner,  sulle  opere  del  quale  scrisse  pa- 
recchi stadi. 

«\  Alla  città  di  Lipsia  sono  pervenati  in  eredità  6000  marchi  destinati  al 
monumento  di  Wagner. 

«\  Dal  novembre  del  1871  fino  alla  fine  di  dicembre  del  1899^  in  Italia  si 
ebbero  1673  rappresentazioni  di  opere  del  Wagner,  cioè  in  media  61  alPanno. 


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NOTIZIE  509 

/,  L'anniversario  della  morte  di  Wagner  fu  celebrato,  in  tutte  le  scene  della 
Germania,  colla  rappresentazione  di  opere  del  Maestro.  Fra  tutte,  Tristano  e 
I%(Ma  ebbe  ancora  il  massimo  degli  onori. 

/^  La  Waìkilre  è  stata  e-seguita  per  la  prima  volta  in  lingua  russa  al  !  eatro 
Imperiale  di  Pietroburgo  con  enorme  successo. 

,%  A  Torino  si  sta  preparando  un'esecuzione  delPintera  trilogia  Vaneìlo  M 
Nibtlungo.  Le  rappresentazioni  avrebbero  luogo  probabilmente  nel  prossimo  mese 
di  novembre  e  dicembre. 

Nuove  FìMflicazioni. 

»%  Famous  Composers  and  their  Works.  Philip  Hale  and  Louis  C.  Klson, 
Editors,  J.  B.  Mi  Hot  Company.  Boston. 

Due  numeri  di  una  nuova  dispensa  di  questa  opera  sono  stati  pubblicati.  Il 
primo  tratta  dei  Critici  musicali  e  della  Critica;  il  secondo  dei  Direttori  e 
deUa  direzione  d'orchestra.  Segue  un  articolo  sui  Compositori  francesi.  I  prece- 
denti fascicoli  ebbero  una  vendita  di  40.000  copie. 

,\  Joseph  Joachim.  A  biography,  By  Andreas  Moser.  Translated  by  Lilla 
Durbam. 

MonumetMm 

•*•  Un  grazioso  monumento  si  è  inaugurato,  a  Varsavia,  al  compositore  na- 
zionale polacco  Stanislao  Moniuszko,  nel  foyer  dell'Opera  imperiale. 

,%  Antonio  Carlos  Gomes,  il  compositore  del  Guarany,  ha  il  suo  monumento 
a  Campìnas  nel  Brasile,  dove  egli  nacque  VÌI  giugno  1839. 

Varie. 

,*,  Il  TS"»»  festival  renano  sarà  a  Colonia  il  26,  27  e  28  maggio. 

«%  La  Biblioteca  del  Conservatorio  di  Parigi  ha  ereditato  da  Weckerlin  la 
maggior  parte  delle  composizioni  per  pianoforte  di  Chopìn  nell'autografo  originale. 

,*^  I«a  città  di  Jena,  che  ha  da  qualche  tempo  una  Casa  di  riposo  per  gli 
scrittori  tedeschi^  avrà  fra  non  molto  anche  una  Casa  di  riposo  per  musidstù 

,*,  Il  violinista  Kubelik  ha  dato  a  Vienna,  nella  passata  stagione,  sette 
concerti. 

,*^  La  collezione  di  autografi  dì  Artaria  fu  venduta  al  Ministero  prussiano 
per  il  culto.  11  numero  delle  opere  inedite  è  grandissimo:  la  raccolta  fu  pagata 
200.000  marchi. 

,*^  Neiranno  1900  sono  stati  esportati  dalF America  del  Nord  istrumenti  mu- 
sicali pel  valore  di  1.500.000  dollari. 

,*^  In  un  concerto  di  beneficenza  datosi  a  Berlino,  il  prof,  0.  Fleischer  fece 
eseguire  antica  musica  greca,  cristiana  ed  ebraica,  pare  con  non  molto  godimento 
degli  uditori. 

•*•  Quanto  prima  sarà  inaugurato  il  nuovo  teatro  reale  di  Atene. 

/,  A  Franco  forte  fu  eseguito  un  poema  sinfonico  intitolato  «  Sadko  »  (tratto 
forte  dall'opera  omonima). 


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510  NOTIZIS 


/«  Il  direttore  deIl*opera  al  CoYent  Garden,  durante  la  stagione  esti 
Otto  Lohse. 


^4.  A  Monaco,  in  un  concerto  storico  della  Scuola  eordle^  furono,  1 
eseguite  compositioni  di  E.  Felice  dall'Abaco  (1702-1742)  e  di  Agostino 
(1674-1688). 

«*^  In  nn  concerto  della  Singakademie  di  Yienna  fh  eseguita,  con  m 
eesso,  una  composizione  di  6nsta?o  Mahlev  «  Canto  elegiaco  » . 

«*«  Il  Ministero  prussiano  del  Culto  ha  stabilito  di  concorrere  con 
marchi,  come  prima  rata,  alla  pubblicazione  dei  «  Mom^menti  deUa  m\ 
Otrmania  ». 

«*«  Le  opere  di  Spontini   sono  a  torto   dimenticate   ovunque.  Appen 
giornali  tedeschi  hanno  ricordato  quest'anno  il  50^  anniversario  della  sa 
Eppure  egli  aveva  dominato   per  ventanni,  solo  e  sovrano,  alFopera  di 
dove,  nel  1884,  ebbe  luogo  Tultima  rappresentazione  del  Ferdinando  Co 
transit 

^*«  Francoforte  sul  Meno  ha  avuto  la  prima  esposizione  delle  e 
E.  Berlioz. 

«%  Il  Cicìo-Oluck  a  Praga  si  chiuse  col  Paride  ed  EHena^  una  riveli 

«\  Arturo  Sullivan  ha  lasciato  una  sostanza  in  danaro  di  750.000 

mobili  ed  oggetti  preziosi  per  un  milione. 
«%  LMmperatore  d*Austria  e  il  Ministero  deiristruzione  hanno  assegr 

rendita  al  compositore  Ugo  Wolf,  da  molto  tempo  affètto  da  uoa  mal 

cervello. 

«%  Un  Museo  Chopin  sarà  prossimamente  inaugurato  a  Varsavia. 
«%  Un'opera  postuma  di  Sullivan,  The  Esmercdda  Iste,  si  sta  prepai 
Savoy-Theater  di  Londra. 

«*«  A  Wùrzburg,  il  nuovo  poema  sinfonico  <  Sakimtaìa  »,  di  F.  Scha 
ebbe  buonissimo  successo. 

^*,  A  Mannheim  si  ricostruirà  il  famoso  Gran  Teatro  Ducale. 

4*,  A  Monaco,  Camillo  Chevillard  ebbe  un  notevole  trionfo  dirigendo 
certo  di  musica  francese  coirorchestra  Kaim. 

^\  A  Magonza,  nei  giorni  14,  17,  18, 19  e  20  aprile,  ha  avuto  luogo  il 
di  Beethoven  sotto  la  direzione  di  F.  Weingartner. 

^*^  Il  pianista  A.  Siloti  sarà  direttore  dei  prossimi  concerti  della  8oi 
ìarmonica  di  Mosca. 

«%  A  Dresda  si  è  eseguito  un  nuovo   Quartetto  in  Be  minore^  di  F. 

«%  L'opera  Maura,  di  Paderewski,  deve  essere  eseguita  per  la  prin 
a  Dresda. 

,*^  II  direttore  d^orchestra  Nickisch  si  presentò  come  pianista  nel  pr 
certo  di  musica  da  camera  al  Gewandhaus  di  Lipsia  suonando  la  parte 
noforte  nel  Quartetto  di  Brahma,  op.  26. 

^*,  La  sostanza  di  Brahms,  di  210.000  fiorini,  è  divisa  a  metà  fra  la 
Czerny  di  Vienna  e  la  Società  Liszt  di  Amburgo. 


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5il 


I  nazionale  ^Halka*^  di  Moniaszko,  ebbe  a  Varsavia  la  saa  500^ 

une.  Fu  data  per  la  prima  volta  nel  1858. 

ma  sinfonico  di  Cesare  Franck,  *  Le  Chasseur  MaudU*^  è  stato 

la  prima  volta  a  Wiesbaden,  in  un  concerto  dell'Orchestra  Reale.  Il 

ncntato  brillantemente,  fu  accolto  con  grande  favore. 

l  Bauer  ed  Ernesto  von  Dohnanyi  passano,  negli  Stati  Uniti  d'Ame- 

fo  in  trionfo,  l'uno  come  pianista,  l'altro  come  pianista  e  composi- 

Fritz  Kreisler,  il  giovane  ed  eminente  violinista  aastrìaco. 

nora  Cosima  Wagner  è  stata  ricevuta  dall'Imperatore  di  Germania, 

conferito  intorno  alle  rappresentazioni-modello  delle  opere  di  Rie- 
;r,  che  avranno  luogo  all'Opera  di  Berlino. 

a  di  Parigi  dà  190  rappresentazioni  all'anno;  il  Governo  paga  800.000 
coprire  le  spese;  ma  c'è  sempre  un  gran  deficit   Durante  23  anni 
ile  ha  rappresentato  41  opere  nuove  e  12  balli. 
L  Musicai  Review  di  Boston  :   «  Il  Maschere  di  Mascagni  è  opinione 
sia  un  fiasco».  Ab,  se  fosse  soltanto  un'opinione! 
ta^ns  non  è  solo  un   grande   compositore,  ma  un   astronomo,  i  cui 
mbblicati  nel  Bulìetin  de  la  Société  d* Astronomie.  Ed  ora  egli  si 
ilosofia  ed  ha  espresso  le  sue  idee  sul  materialismo,  l'idealismo,  l'ira- 
:.  in  un  articolo  pubblicato  nella  Nouvelle  Bevue. 
limic  »  di  Chicago  non  poteva  in  gennaio  sapere  del  nuovo  progetto 
r  il  Teatro  La  Scala  di  Milano  dal  Duca  di  Modrone.    Del   resto 
ne  del  Teatro,  dopo  il   primo  triennio,  dovesse  terminare  come  ha 

prevedeva  il  Musical  Record  di  Boston  due  anni  or  sono. 
OOO  studenti  di  musica  in  Germania,  il  20  per  cento  sono  forestieri 
ento  sono  femmine. 

i  Messager  è  stato  scelto  a  successore  di  Maurizio  Gran  come  diret- 
Igiene  d'opera  al  Covent  Garden. 

e  Reszke,  il  celebre  tenore,  riceve  quest'anno  500.000  franchi  per 
ppresentazioni. 

ìere  in  dieci  ore.  Dice  la  Musical  Revieio  di  Boston:  I  cittadini  di 
>ero  recentemente  la  fortuna  di  udire  la  Melba  come  Gilda  nel  Rigo- 
>  p.  m.,  la  Gadsky  come  Santuzza  nella  Cavalleria  alle  4,45,  e  la 
,  Tosca  alle  8  p.  m. 

Bipkins,  autore  del  libro  A  description  and  Hisiory  of  the  Fiano- 
norainato  membro  del  Consiglio  del  Royal  College  of  Music  di 
iecreto  del  re  Edoardo  VII,  in  sostituzione  di  Sir  Arthur  SuUivan. 
s  introdusse  il  nuovo  diapason  in  Inghilterra,  e  nei  suoi  scritti 
i  piani  Silbermann  del  palazzo  di  Postdam  sono  noa  imitazione  del 
li  Cristofori,  primo  inventore  del  pianoforte. 


mtuieaU  italiana^  VUI. 


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512  NoniOB 

Nèet€Ìo§ie. 

«\  H.  Barbedatta,  musicografo,  è  morto  recentemente  a  Parigi  ii 
72  mbL 

^%  Bernardo  Mettenleiter,  morto  a  Kempten,  8*era  acquistata  ona  ce 
taaooe  come  compositore  di  mosica  sacra. 

«%  Adolfo  Oimkel,  eccellente  violinista  e  compositore  pieno  di  taleni 
ciso  da  una  donna,  con  un  colpo  di  reTolver»  dorante  una  corsa  in  tram 
a  Dresda. 

/«  A  Monaco  è  morto,  in  età  di  anni  78,  il  fabbricante  di  pianofer 
Cesco  Eaim,  che  fondò  T  latitato  e  rOrcfaestra  Kaim. 

,%  Il  pianista  e  compositore  Lodano  YieQxtemps  è  morto  in  età  di 
Era  fratello  del  celebre  Tiolinista. 

«*«  Pietro  Leonardo  Benoit,  compositore  di  Lucifero^  Carlo  Carday  e  é 
vjj  sacra,  eoa,  morì  ad  AnTcna  1*8  mano. 

*.  «%  Jnles  Barbier,  provreditore  di  libretti  per  Meyerbeer,  Haléyy»  ea 

^  giorni  presenti,  antere  di  numerosi  poemi  e  note  commedie. 

^  ^  «%  Philippe  Qille,  che  scrisse  pareodii  libretti  (Manon,  Lakmé,  ecc.) 

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EIiEI260  DEI  IiIBSI 


ITALIANI 

ìoitieo  del  Liceo  mancale  Roenni  di  Pesaro  pel  1898-99  (anno  XVII). 

Pesaro.  A.  Nobili. 

menieo  Cimarosa  nd  primo  centenario  ddla  9ua  morte:  11  gett- 
ai, In-8«,  con  8  ta?.  —  Napoli.  Tip.  Fr.  Giannini  e  figlio,  —  L.  5. 

BelUm  a  Boma\  brevi  appunti  storici.  In-16*.  —  Roma.  Tipo- 

Coggiani. 

G.  Verdi  (ISIS-IBOI).  In-16«,  con  ritr.  ~  Firenze,  G.  Barbèra. 

y  A  Oiuaeppe  Verdi   Versi.  In-8«,  con   ritr.  —  Abbiategrasso. 

inL 

Temuàk  del  canto  gregoriano.  In-8*.  —  MondoTÌ.  Tip.  Veseovile. 

K). 

^•f  TraUaUUo  $uì  modo  di  ben  cantare.  In-d*.  —  Milano.  Caritch 
len.  ^  L.  1,25. 

Le  Maschere  9,  loggeito  di  L.  Illica,  monca  di  P.  MaseagnL 
do  1901.  Albom-rioordo.  In-8^  fig.  —  Milano.  Tip.  G.  Martinelli 

j.  1. 


FRANCESI 

B.^  GMde  de  Tamateur  d'ouvrages  eur  la  Musique,  1e§  Muneiene 

éàfre.  Précède  d*an  Emi  de  claasemenfc  d*ane  Bibliographie  generale 

inqoe.  In -8*.  —  Paris.  Fischbacher.  —  Fr.  1. 

La  Luiherie.  1  toI.  ^  Paris.  J.  Fissore.  —  Frs.  8,50. 

Lee  ancitree  du  Vichn  et  du  VioìonceUe,  Lee  hUhiera  et  lee  fahrir 

vrcheU.  2  toI.,  in  8%  —  Paris.  Schmid.  —  Frs.  80. 

Jeamr-Jaequee  Bomecau,  wmeieien.   1  toL,  iii-8<*,  fig.  —  Paris. 

lier.  —  Fra.  5. 


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514 


ELENCO  DEI  UBRI 


TEDESCHI 


'  )  ' 


ir 


Batka  R.,  Die  Musik  der  Alien  Grieehen.  In-8«.  —  Prag.  F.  Ehriich. 
Breoher  Q.,  Ric?Mrd  Strauae.  Eine  monograph.  Skizze.  —  Leipzig.  H.  Se 
Berìiog  H.t  sein  Leben  ti.  aeine  Werìce,  v.  Arth.  Hahn,  D'  L,  Voi 

Poehhammer,  etc  In-8».  —  Leipzig.  Seemaon. 
Frimmel   Th.,   X.    V.  Beethoven  (BerUhmie  Mmiker),  Iii-8«.   — 

Harmonie. 
Hansliok  E*^  Aua  neuer  ti.  neueater  ZeU  (Der  modernen  Oper  IX  TI.).  I 

Berlin.  <  Allg.  Vereio  f.  deat.  litterat.  > , 
Harmonie-Kalender.  Violine  «  tur  Begleitg.  »  durch  d.  J.  1901,  Fol.  — 

Harmonie. 
Jadassohn    S*^    Meìodik  ti.   Harmonik  bei  R,   Wagner.   In-8«.  — 

Harmonie. 
Heuser  K,^  Wie  spieìe  ich  am  besten  Klavier?  In-S*".  —  Leipzig.  Rein 
KOckert  A*^  Im  Gesangverein,  Vortrdge  iib,  einige  der  f,  den  Cho 

nothwend,  theoreHaeh-pràkt  Kenntnisse  der  Mti9ik,  der  Stimmorgan 

Singene.  In  8*.  —  Leipzig.  6ebr.  Hag. 
Kothe  B.y  Abrias  der  Muaikgeschiehte.  6  Aufl.  In-8<>.  —  Leipzig.  Lene 
Krause  T.,  Ueber  Musik  ti.  Mtésiker.  8  Reden.  In-8».  —  Berlin.  E.  S. 
Lissfa  F.  Briefe  hrsg.  V,  La  Mara.  5  Bd.  Briefe  an  Pflrstin  C.  Say 

genstein.  In-8<>.  —  Leipzig.  Seemann. 
Merian  H.,  Moearts  Meieteropern.  In-S®.  —  Leipzig.  Seemann. 
Musiker-  u.  Dichterbriefe  an  Paul  Kuceynski.  In-8*.  —  Berlin.  Harna 
Nossig  A.^  J.  J,  Paderewski.  In-S^.  —  Leipzig.  H.  Seemann. 
Pfohl  F.,  Fiihrer  dureh  B.  Wagner'a  Oper  :  «  TannMueer  » .  Eine  pn 

Eritik.  4.  Anfl.  In-8<*.  —  Leipzig.  Reinbotb. 
Plass  L.^  Die  deutsche  orchestrale  Tonkumi  in  Oefahr,  Eine  Denk-Scl 

Berlin.  A.  Parrhyeius. 

Pogsart  £.^  Hermann  Levi.  Erinnerangen.  MQncben.  C.  H.  Beck. 
Beinecke  C.^  «  Und  manche  liebe  Schatten  steigen  auf*.  Oedenkblà 

beriihmter  Musiker.  In-8<».  —  Leipzig.  Gebr.  Reinecke. 
Biemaun  H.,  Munkalische  RilckbUcke.  In-8^  2  Bde.  —  Berlin.  Haraa 

—  Geachichte  der  Musik  seit  Beethoven  {1800-1900).   In-8».   — 

Spemann. 

—  Prdludien  u.  Studien.  Gesammte  Aufsàtze  zar  Aestetik,  Tbeorìe  n.  Gè 

der  Musick.  2.  Bd.  In  8°.  —  Leipzig.  H.  Seemann  Nacbf. 
Schnerioh  A»,  Die  Froge  der  Beform  der  Katolischen  Kirehenmusik 

—  Wien.  Gerold  u.  Co. 
Segniti  E.^  Cari  Beinecke,  In-8\  —  Leipzig.  Seemann. 


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BLBNGO  DEI  LIBRI  515 

j  Was  m%u8  fnan  v,  der  MudkgeaeMehie  wissen?  In-8*.  —  Berlin. 

z. 

isikaJiséhe.  III.  Bélart  H.,  Richard  Wagner  in  ZUrich  {18491858). 

—  Leipzig.  Seemann. 

ler  F.,  Die  Sympkùnie  naeh   Beethoven,  2  Anfl.  In  S**.  —  Berlin. 

r. 


INGLESI 

T«  Poster^  TJie  opera  post  and  presenti  an  historical  sketch.  — 

l^ork.  Scribner. 

9.  C*9  The  art  of  modulating,  In-8<>.  —  London.  W.  Reeyes. 

•f  The  new  opera  gìaes.  Containing  the  plots  of  the  most  popolar 

and  a  short  biography  of  the  composers,  4.  ed«  In- 12^.  —  Leipzig. 

nboth. 


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BDBI^GO  DBIxIx^  n^aSIGjfl 


Autori  tnodemi. 

Àndreoli  Guglielmo.  —  Deux  Morceaux  paur  Piano,  BarearoUe,  Sér 
méìaneoUque, 
Già  li  annunziammo;  ora  yèngon  ristampati  dagli  editori  Hag  di  Zarìgo. 

Blamenthal  Sandro.  —  Op.  2,  4.  Zwei  QumteUe  fUr  P.fi>rte,  swei  Vie 
Viola  und  VioìonceU.  —  Leipzig.  Ernst  Ealenbarg. 

Bossi  M.  Enrico*  —  Op.  101.  8ix  Morceaux  pour  Piano.  —  Hog  Frè 
Già  annunziato. 

Cari  Paez.  —  Berlin.  D.  Charton. 

Il  primo  non  s^impone  forse  abbastanza  per  carattere;  T'è  maggior  naturi 
neiradagio  e  nel  finale  (alla  Tarantella)^  di  effetto  e  esente  da  luoghi  co 

Cattanei  Carlo.  —  Suite  paasionnée. 
I    «^  -•  Pezzi  per  pianoforte,  inspirati  ognuno  ad  un  pensiero  poetico.  AfiBnchò  Vi 

-  ^ .  non  si  lagni  del  nostro  silenzio  a  suo  riguardo,  diremo  la  yerità  :  sullo  s* 

}  S^  di  questa  Suite  si  è  già  scritta  in  Italia  troppa  musica  da  teatro,  la  qua 

•  ;^  piacere  a  certo  pubblico;  uno  stile  simile  non  sarà  mai  accettato  per  buone 

;  Il  musica  da  camera  dai  filarmonici  di  qualche  gusto. 

•  *- 

'  '  ***"                              Da  Yenezia  Franeo. 

1 1  Annunziamo  la  ristampa  per  cura  degli  editori  Hug  di  Zurigo  delle  coi 

'  zioni  per  P.forte,  Op.  8,  5,  7,  che  altra  Tolta  già  segnalammo  all*attenzk 

I  lettori. 

Falconi  Alfonso.  —  Op.  89.  Peiei  di  notte  (per  P.forte).  Notturno. 
I  nata.  Valte,  —  Leipzig  et  Zflrich.  Hug  Frères. 

Floridia  P.  —  Op.  10.  Six  Pièces  pour  Piano:  Maturka;  Au  lae  du  Kló 
Beverie;  ChanJt  de  la  jeune  fille\  Bavardage;  Legende;  Vabe-Capri 
Leipzig  et  Zflrich.  Hug  Frères. 
Piacevoli  per  l'idee,  in  carattere  e  scrìtte  con  gusto,  sono  pagine  che  me 

fiiTore. 


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BLINGO  IMBLLA  MUSICA  517 

Oinseppe.  —  Op.  39.  Detéx  Morceaux  p(mr  piano.  —  Hag  Frères. 
mziato. 

I  Luca.  —  Due  Campomùmi  per  Piano,  Bomanga.  Sèhergo.  ~ 
^  et  Ztlrìch.  Hag  Fròres. 

>  Jl*  —  Op.  4.  Tantum  ergo  a  quattro  yod  ed  organo.  —  Torino, 
rosino. 

Frlts.  —  Op.  29.  Concert  (G  moli)  fUr  Violoncello  und  Orchester, 
T'AuiMug. 

>n5.  —  Op.  87.  Deux  Morceaux  pour  Vioìon  et  Piano.  —  Leipzig. 
B'orberg. 

^ert.  —  Op.  30.  Quartett  N.  2  in  A  moli  fUr  P.farte,  VioKne,  Vioìa, 
TioUmeeJl, 

.  Trio  N.  2  in  Es  dar  far  P.forte,  Violme  und  Viokmedl.  — 
g.  F.  E.  C.  Leackart. 

ione  non  ri  sostiene  sempre  ngaalmente;  qaa  e  là  baone  cose,  in  com- 
i  oomporizioni  di  effetto. 

eaaandro.  —  Op.  26.  Pezzi  per  P, forte,  Preludio,  Bomanea^  Ma- 
,  Novelletta,  Serenata, 

.  Minuetto,  Arietta,  Gavotta.  —  ZQrich  et  Leipzig.  Hag  Fròres. 

I  Gino*  —  Bomanee.  —  Milano.  R.  Fantnzzi. 

f  adbam  Horaee.  —  Op.  80. 1^  Symphonieche  Pràludien  und  Fugen. 
ipzig.  Breitkopf  and  H&rtel. 

mo  Topera  importantissima  deireminente  polifonisia,  e  in  particolare 
r.  12  (dedicata  a  Cam.  Saint-Sadns)  in  contrapj^anto  quadruplo,  la  cui 
eresserà  gli  studiosi. 

ilio.  —  «  Hoìie  Meste  »  fUr  gemiechten  Chor,  SolosUmmen  und  Or- 
r,  Ckwier-Partitur.  —  Leipzig.  F.  E.  C.  Leuckart. 
I  tende  piuttosto  a  quello  d* oratorio  e  alla  ricerca  dell* effetto;  pur- 
sona  paigina  si  distacca  vigorosa  da  quell'uniforme  mediocrità. 

ger  Josef.  —  Op.  191  &.  SexteU  fìlr  P.forte,  Flòte,  Oboe,  Clarinette, 
^  und  Com  {naóh  dem  Clavier-Trio  N.  4  in  ¥  dur).    —    Leipzig. 
C.  Leuckart. 

di  carattere,  la  semplicità  e  naturalezza  delle  idee  raccomandano  e 
mpatica  questa  oomporizione. 

u  Georg.  —  Op.  25  Trio  N.linV  fUr  P. forte,  VioUne  und  Vio- 
l  —^Leipzig.  F.  E.  C.  Leuckart. 

to  compositore  ci  ricordiamo  d*aTer  in  passato  annunziato  qualche  co- 
i  Kartista  s'è  fiitto  maturo  e  dimostra  nel  Trio  che  abbiara  sott*occhio, 
Blando;  è  un  pezzo  di  effetto  brillante. 


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518  KLBMOO  DELLA  MUSIGA 


Autori  antichi. 

Joh.  Seb.  Baeta*  —  6  Praeludien  und  Fugen  fUr  OrgeH,  fUr  das  P-f 
noci  HSnden  bearbeitet  von  Eugen  d? Albert.  —  Leipzig.  Rob.  Fori 

—  Praehidien  wtd  Fugen  fUr  Orgeì,  fur  P, forte  eweihdndig  bearbeitet  Vi 
gust  Stradai  —  Leipzig.  Edition  Scbabert. 
Oggi  i  maggiori  pianisti  amano  intercalare  nei  loro  programmi  le  comp< 
originali  per  organo  di  Bach;  e  le  trascrizioni  saocedono  alle   trascrizic 

^Albert  dobbiamo  i  Preludi  e  Fughe  in  Do  min.,  Sol  magg..  Fa 
La  magg.,  Fa  min.,  Be  min.;  allo  Stradai  i  Preladi  e  Fughe  in  Sol 
Be  min.,  Mi  bem.  maggiore.  Mentrechò  il  d* Albert  è  più  sobrio  neireffe 
Stradai,  che  già  apprezzammo  qaale  trascrittore  abilissimo,  tenta  di  tradì 
piano  la  potente  sonorità  dell'organo,  e  Peperà  loro  ayrà  certo  il  faT( 
pianisti. 


-)))•(((- 


1     >  -r 


Giuseppe  Magrini,  Gerente  responsàbile. 


ToRiKO  —  ViNOEMzo  fìoNA,  Tip.  di  S.  M.  e  de*  RB.  Principi 


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•i-memoi(iei-t- 


La  musica  in  Italia  nel  secolo  XYIII 

secondo  le  impressioni  di  viaggiatori  stranieri. 

(Cofit  e  /Sue,  V.  yoI.  VII,  &8C.  4%  pag.  698,  ann.  1900). 


Il  1758  è  un  anno  fecondo  di  descrizioni  di  viaggi  in  Italia.  Dopo 
la  Du  Bocage  abbiamo  l'abate  Morellet,  dopo  l'abate  Morellet  il 
Grosley,  uno  dei  più  importanti  osservatori  stranieri  delle  cose  nostre 
nel  secolo  XYm. 

L'abate  Morellet  (1727-1819),  che  ebbe  qualche  filma  tra  i  «  filo- 
sofi >  come  difensore  di  Voltaire  ed  entrò  all'  Accademia  finncese, 
scrisse  la  relazione  del  viaggio  da  lui  fiitto  in  Italia  in  occasione  del 
conclave  tenutosi  dopo  la  morte  di  Benedetto  XIV.  È  più  curioso  di 
scienza  che  d'arte,  tanto  che,  quando  si  reca  a  trovar  Tartini  a  Pa- 
dova nel  dicembre,  si  compiace  più  a  discuter  con  lui  di  acustica 
che  a  sentirlo  suonare  «  un  capriccio  que  je  trouvais  mediocre  >, 
perchè  «  il  n'avait  plus  de  doigts  et  fort  peu  d'archet  >.  Ma  la  sua 
conversazione  era  vivace  e  lo  dimostrava  uomo  di  «beaucoup d'esprit». 

RiHata  mmicaU  iiaUana,  Vm.  85 


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520  MIMORIB 


Tartini  voleva  fare  accettare  dall'Accademia  delle  Scienze 
rigi  il  suo  sistema  snl  principio  dell'armonia  (1).  Il  Morelle 
non  aveva  letto  l' opera  del  Tartini,  credeva  che  egli  non 
€  d'autre  prétention  que  de  faire  recevoir  comme  véritable  bai 
damentale  le  troisième  son  qui  résonne  lorsqu'on  en  fait  entendr 
autres,  expérience  qui  lui  appartient».  Si  accorse  invece  che 
linista  aveva  idee  molto  più  vaste:  «  il  veut  assigner  le  pi 
prìncipe  physique  de  l'harmonie;  il  rejette  la  colncidence  ci 
brations  et  il  prétend  le  trouver  dans  le  rapport  de  certaines  orA 
à  certaines  àbscisses:  il  prétend  que  ce  rapport  est  toujours  le 
\  'è^\\  que  celui  des  termos  de  la  proposition  harmonique  et  il  prou 

passant  que  son  prìncipe  est  universel  dans  l'ordre  physique  e 
est  une  des  clefs  du  système  de  l'univers  >. 

Temendo  che  l'Accademia  non  leggesse  il  suo  lavoro  «  qui  e 
mal  écrìt  et  qui  est  une  énigme  perpétuelle  »,  Tartini  ne  avev 
un  piccolo  estratto  di  4  pagine  in  folio,  ma  il  fisico  Morelli  di  ^ 
i  f  j  disse  a  Morellet  che  «  la  partie  mathématique  de  l'ouvrage  ei 

1^  ^'  I  mauvaise  ».  Morellet  parlò  poi  al  violinista  dell'esperìenza  di  De 

["      I  nella  quale  si  sentono  rìsuonare  sul  cembalo  e  negli  strum 

fiato  diversi  suoni  che  in  nessun   modo  si  possono  riguardare 
gli  armonici   del  suono   fondamentale.  E  Tartini  gli  disse  ci 
canto  suo  aveva  fatto  esperìenze  analoghe  ed  aveva  trovato 
si  toccano  insieme  i  suoni  ut^  ufi  sol  ut^  mi  sol  si  sente  un 
armonico  piti  basso  che  il  suono  ut.  E  per  ottenere  questo  ris 
accordava  il  cembalo  per  quinte  esattamente  giuste. 

Nel  suo  soggiorno  a  Boma  il  Morellet  rìporta  grande  imprc 
dal  concerto  dato  al  popolo  per  la  festa  di  S.  Luigi  dall'ami 
tore  di  Francia,  Bochechouart.  Al  palazzo  di  Francia  in  piazza  S 
cello  l'ambasciatore  «  avait  fùt  établir  un  orchestre  d' instru 
à  cordes  sur  un  échafaud  dressé  au  devant  de  la  fa9ade  et  un 
orchestre  d'instruments  à  vent  vis  à  vis  à  l'autre  c&té  de  la 
place,  chacun  compose  de  plus  de  cent  instruments  ».  Il  popò 
entusiasmava  uscendo  in  frequenti  esclamazioni:  0  benedetto. 


(1)  Lo  pubblicò  nel  1767  a  Padova  col  tìtolo:  Be' principU  déWarmon 
sicaU  contenuta  nei  diatonieo  genere,  Cf.  Tipaldo,  Biografia  degU  ital 
ÌMtri  II,  31546. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NEL  8IG0L0  XYIU  5tì 

gttsto,  piacer  di  morire  !  (sic),  ma  i  Franceisi,  commenta  il  MorelM, 
«  dépourTus  du  sens  auquel  s'adressent  les  sons  et  aree  des  oreilles 
donblées  de  maroqain,  comme  nous  le  disait  Caraccioli,  Tambassadenr 
de  Naples  »,  non  ci  sentirano  che  «  da  brait  ». 

Quando  avremo  ricordato  ancora  un  cavaliere  Litta,  che  il  Morellet 
conobbe  a  Milano  e  gli  fornì  occasione  non  solo  di  sentir  ogni  giorno 
buona  musica,  poiché  era  pure  discreto  compositore,  ma  di  comporre 
uno  scrìtto  De  Vexpression  en  musigue  (1),  potremo  passare  ad  nno 
dei  più  importanti  fra  i  viaggiatori  che^  visitando  la  penisola,  ne 
ricavarono  impressioni  musicali,  Pierre  Jean  Grosley. 

Questo  letterato  (1718-1785),  che  dalla  nativa  Troyes,  da  lui  am* 
piamente  illustrata,  seppe,  caso  insolito  negli  scrittori  di  provincia, 
allargar  la  sua  fama  ai  centri  maggiori  dello  spirito  e  della  coltura 
francese,  venne  per  la  prima  volta  in  Italia  come  addetto  alla  toso- 
reria  generale  dei  viveri  dell'esercito  durante  la  guerra  di  succes- 
sione austriaca.  Non  eran  tempi  da  visitare  da  artista  la  pefbisola  (2), 
ma  gliene  rimase  neiranimo  un  tei  desiderio  che,  appena  gli  fii  pos- 
sibile, ci  tornò  e,  già  s*  intende,  compilò  le  sue  brave  observatiimB 
sui  nostri  usi  e  costumi. 

Le  prime  edizioni  di  quesVopera  assai  notevole  vanno  sotto  il  nome 
di  €  deui  gentilhommes  suédois  »  ;  nelle  altre  il  Qrosley  mise  il 
suo  nome. 

Il  viaggio  comincia  dal  Piemonte  a  metà  circa  del  1758  ed  ab- 
bonda di  osservazioni  assai  giuste  firamezzate  di  boutades  che  non 
han  fondamento  nessuno.  Dove  diamine  può,  per  esempio,  il  Grosley 
aver  pescato  —  ed  il  Lalande  poco  più  tordi  gli  ruba  la  peregrina 
notizia  —  che  «  les  Turinois  sont  regardés  par  les  Iteliens  comme 
les  Gaseons  de  Tltelie  »? 

Ma  noi  non  ci  vogliamo  occupare  di  lui  che  nelle  sue  relazioni 
colla  musica  e,  tralasciando  di  spigolare  ciò  che  di  curioso  e  d'im- 
portante si  riscontra  nell'opera  sua  su  altri  argomenti,  restringia- 


(1)  Fu  pubblicato  nel  Mercure  del  norembre  1771  e  nelle  Arebwea  ìiitérairea, 
t.  VI,  p.  145.  Vi  si  troTano  idee  ÌDgegnose. 

(2)  Si  trattenne  nelPÀlta  Italia  negli  anni  1745  e  1746.  Rimangono  di  qaesto 
periodo  alcane  Lettres  sur  VltaUe  assai  spiritose  {(Euvres  inédites.  Paris,  1818, 
Yol.  Il)  e  dei  Mémc4r€8  mt  les  campagna  de  1746  et  1746,  Àmaterdam,  1777. 


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522  MBMORIB 

moci  a  metterlo  a  contributo  per  quanto  si  riferisce  più  direti 
al  nostro  assunto. 

Della  musica  italiana  il  Grosley  ba  fin  dal  suo  afibcciars 
penisola  buoni  saggi.  Nelle  prime  città  che  incontra  sente  i 
il  violino  €  avec  tous  les  harpégements  et  tous  les  démanchem 
in  chiesa,  anche  nei  villaggi,  «  l'office  a  tout  Tair  d' un  e 
chacun  y  chantant  sa  partie  selon  la  portée  de  sa  voix  et 
formant  par  des  sons  pleins  et  soutenus  la  basse  de  toutes  ces  pa 
Più  si  va  innanzi  e  più  il  gusto  si  affina,  tanto  che  —  simil 
assai  curiosa  —  l'Italia  «  peut-étre  comparée  à  un  diapasoi 
Naples  tient  Toctave  ». 

n  soggiorno  più  lungo  il  Grosley  lo  fece  a  Venezia,  ov'en 
giato  allo  Sctido  di  Francia.  A  Venezia  si  legò  d'amicizia  e 
doni  (1)  e  collo  Scarlatti  e  passò  talvolta  con  loro  giornate 
Si  terminavano  con  concerti  pubblici  e  privati,  cui  il  Gros] 
suoi  compagni  —  poiché  il  nostro,  secondo  l'uso  del  tempo,  via 
in  compagnia  e  forse  dei  due  gentiluomini  svedesi  cui  attri 
paternità  dell'opera  sua  —  erano  ammessi  sotto  gli  auspici  del 
comico  e  del  musicista.  Una  sera  ebbero  persino,  così  racconta,  ui 
comica  apposta  per  loro. 

€  Le  Goldoni  et  le  Scarlatti  »,  citiamo  testualmente  il  G 
«  voulant  nous  donner  une  idée  de  leur  thé&tre  dans  une  saii 
tous  les  théfttres  étaient  fermés,  avaient  pris  la  peine  de  ras» 
une  troupe  d'elite,  qui  dans  le  sallon  du  théàtre  de  Saint  Jean 
sostome  nous  donna  une  des  meilleures  pièces  en  ce  genre  »< 
biamo  proprio  credergli? 

Non  v'eran  teatri  aperti,  ma  musica  se  ne  sentiva  dovunq 
piazza  S.  Marco  ove  talvolta  <  un  homme  de  la  lie  du  peup! 
cordonnier,  un  forgeron  avec  les  habits  de  son  métier  commei 
air:  d'autres  gens  de  sa  sorte  se  joignant  à  lui  chantent  cet 
plusieurs  parties  avec  une  justesse,  une  précision  et  un  goù 
peine  rencontre-ton  parmi  le  plus  beau  monde  de  nos  pays  s 
trionaux  ».  Meglio  ancora  nelle  comunità  religiose  e  nei  famo£ 
servatori.   Mentre  visitano  ai  Servi   la  tomba  di   fra  Paolo 


(1)  Il  Goldoni  però  nelle  sue  Memorie  nalla  dice  in  proposito. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NBL  SSGOLO  XVUI  523 

«  toute  la  jeunesse  de  la  communité  était  à  l'orgae  qa'elle  tonchait 
alternatitemeiit.  Gomme  je  leur  criais  viwi  et  bravo,  le  plus  habile 
se  init  au  clavier  et  me  rogala  de  cinq  ou  sii  morceaux  de  diffé- 
rents  caractères,  tous  aussì  bien  choisis  que  bien  exécutés  >. 

Dei  Conservatort  nota  come  la  musica  sia  la  parte  capitale  d'una 
educazione  «  qui  parait  plus  propre  à  former  des  Lais  et  des  Aspasies 
que  des  religieuses  ou  des  mères  de  famille  ».  Comunque  siasi,  non 
si  può  rimanére  indifferenti  alla  musica  brillante  che  vi  si  ese- 
guisce, specialmente  a  vespro.  «  Elle  est  exécutée  pour  la  partie  vo- 
cale et  pour  la  partie  instrumentale  uniquement  par  les  fiUes  de  la 
maison  qae  Fon  volt  à  travers  la  grillo  gamie  d'un  crdpe  léger,  se 
trémousser  et  se  donner  tous  les  mouvements  qu'exige  l'exécution 
de  la  musique  la  plus  vive:  le  tout  presque  toujours  à  l'italienne, 
c'est-à-dire  sans  battement  de  mesure  ».  Un  mottetto  che  sentì  il 
Grosley  sotto  la  direzione  di  Scarlatti  fece  poco  effetto  perchè  il 
maestro  «  le  battait  à  la  napolitaine,  c'est-à-dire  en  employant  le 
leve  où  les  autres  italiens  emploient  le  frappé  ». 

Nella  chiesa  di  S.  Lorenzo  il  giorno  del  santo  titolare  il  Grosley 
assistette  alle  funzioni,  rese  più  solenni  da  un'esecuzione  musicale 
monstre.  Erano  quattrocento  tra  voci  e  strumenti  sotto  la  guida  del 
Sassone,  compositore,  s' intende,  della  musica.  «  Cet  orchestre  ap- 
plique au  revers  du  portail,  en  face  de  l'autel,  embrassoit  toute  la 
largeur  de  l'église  qui  dans  sa  totalité  forme  une  espèce  de  grande 
salle  plus  largo  que  longue:  il  était  ólevé  du  sol  à  la  hauteur  de 
douze  pieds  ou  environ  et  distribué  en  compartiments  systómatiques 
et  enjolivés  avec  go&t  ainsi  que  les  colonnes  qui  portoient  tonte 
la  machine  par  des  rubans,  des  guirlandes  et  de  la  toile  bouil- 
lonnée  ». 

Parecchie  file  di  seggiole  che  voltavano  la  schiena  all'altare  erano 
disposte  in  mezzo  della  chiesa  e  non  furono  rimosse  nemmeno  du- 
rante la  messa  grande,  che  durò  la  bellezza  di  cinque  ore  {sic) 
€  ausai  chaudes  qu'il  étoit  possible  de  les  avoir  h  Venise  dans  le 
mois  d'Aoùt  ».  Le  monache,  tutte  gentildonne,  andavano  e  venivano 
a  due  grandi  inferriate  presso  l'altare  e  facevano  conversazione  di- 
stribuendo rinfreschi  a  cavalieri  ed  abati  che  col  ventaglio  in  mano 
stavano  in  cerchio  attorno  alle  inferriate.  Il  celebrante  ed  i  suoi  as- 
sistenti stavano  quasi  sempre  seduti  «et  ayant  pour  coup  d'oail  le 


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QM  MSMOB» 

àoB  de  tonte  Tassemblée  someiit  et  e'essuyoient,  paroiasant  attendre 
le  diiier  avec  la  plus  vive  impatìenoe  >. 

Il  giorno  deir  Assunta  simile  spettaeolo  nella  chiesa  omonima. 
«  Là  la  mnsiqiie  étdt  partagée  en  deax  cboBurs  qui  se  réanissoient 
poar  certains  morceanx.  Toute  cotte  mnsiqae  malgré  la  variété  et 
la  complication  de  ses  partiee  s'exécutoit  sans  battement  de  mesore. 
Le  compositear  n'  est  occopé  qu'à  ezciter  dn  gesto  on  de  la  yoìx 
comme  un  general  d'armée  l'est  de  ceux  qui  vont  à  la  ebarge  >• 

I  teatri  ài  Boma  auffl^eriscono  al  Grosley  le  solite  tirate  sogli  eu- 
nucbi  e  sulle  loro  voci  eSemminate.  Meglio  una  voce  di  donna  ancbe 
meno  perfetta  o  quella  di  un  fanciullo  cbe  quei  suoni  flautati  che 
escono  da  corpi  €  qui  leur  aont  si  peu  analogues  ». 

Non  può  nascondere  però  una  viva  ammiratone  per  il  culto  che 
gli  Italiani  rendono  alla  musica.  Per  loro  è  una  passione,  un  bisogno, 
€  besoin  relatif  à  leur  tempérament  sur  lequel  elle  agit  d' autant 
plus  délicieusement  qu'elle  est  plus  bruyante  ». 

Ed  a  riprova  di  questo  suo  giudizio  riporta  una  conversazione 
avuta  con  un  prelato  durante  una  festa  in  onore  della  promozione 
del  cardinale  Friuli  data  dal  principe  di  Yiana.  Davano  concerto  i 
migliori  musici  di  Boma.  Lo  sconosciuto  prelato,  presso  il  quale  se- 
deva il  Qrosley,  gli  chiese  quali  fossero  le  sue  impressioni.  «  Je  lui 
répondis  »,  scrive  il  nostro  autore,  <  qu*à  en  juger  par  le  plaisìr 
qu'elle  paroissoit  faire  aux  connoisseurs  je  la  croyois  excellente,  mais 
que  je  n*en  entendois  que  le  bruit.  —  J*aime  la  franchise  de  votre  aveu, 
me  dit  le  prélat  en  souriant,  mais  prenez  patience:  dans  cinq  ou 
six  mois  vous  commencerez  à  sentir  de  la  melodie  où  vous  n'entendex 
que  du  bruit.  Vous  étes  à  cet  égard  comme  un  homme  qui  ayant 
vécu  dans  un  souterrain  passeroit  subitement  au  grand  jour.  Les  yeux 
éblouis  n'aperceveroient  rien  et  ils  ne  parviendroieot  que  par  degrés 
à  déméler  les  objets  et  à  les  distinguer.  —  Mais,  lui  répliquai-je, 
si  vos  virtuoses  visent  plus  au  bruit  qu'à  rharmonie  • . .  C*est  à  cela 
prócisément  que  vous  reconnattrez  les  mauvais  ». 

E  qui  il  buon  prelato  gli  raccontò  un  aneddoto  del  celebre  Tar- 
tina A  detta  sua,  i  migliori  virtuosi  d'Italia  non  si  sentivano  con- 
sacrati famosi,  fintantoché  non  fossero  stati  giudicati  dal  grande  vio- 
linista di  Padova.  E  per  ottenere  un  giudizio  &vorevole  spiegavano 
«tous  les  tours  d'adresse,  de  force  et  de  souplesse:  leurs  doigts  vo- 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NSL  SSGOLO  XPniI  985 

lent,  tour  archet  pótille  et  lonqa'ìls  wt  finì:  <  Gela  est  brillaat»  dit 
froidement  Tartìni  à  la  plnpart,  cela  est  vif,  cela  est  tròe  fert,  bhùb 
eeh  oe  m'a  rìen  dit  là,  ajonte-t-il  en  portant  la  maio  à  son  ccBor  ». 

Un'altra  volta  il  Qrodey  sì  trovò  in  una  converaaEÌone,  ore  sì  af- 
fettava di  riguardare  la  mnsiea  francese  <  Gomme  une  pnmonciatìon 
aaissi  mauvaise  qne  cfaoqnaate  d'une  langne  que  les  Italiens  seols 
savent  parler  >.  Essendo  sopra^unto  nn  magistrato  francese  die 
Mggiomava  aUora  a  Berna,  il  Qrosley  lo  pregò  di  cantare  qaalche 
aria  francese.  Il  magistrato  cantò  l'aria  :  «  Da  Dieu  des  coBnrs  on 
adoro  l'empire  »,  e  la  cantò  «  avec  l'air,  le  godt  et  les  agrémmts 
dee  meilleurs  chanteurs  de  Paris  >. 

Il  Grosley  credeva  d'averla  spuntata,  poioliè  «  les  enchaines  de  cet 
air  excitoient  dans  nos  Italiens  un  trémoussement  quo  je  regardois 
oomme  une  ex^essìon  d'admiration  et  de  plaìsir  ».  Ma  quale  non 
fo  il  suo  stup<m  allorché,  terminata  l'aria,  vide  gli  uditori  gìanger 
le  mani  ed  alzare  gli  occhi  al  cielo  e  li  senti  recitare  in  tuono  sordo 
e  lamentevok  il  versetto:  Et  aeeundmn  muUiiudmem  miseratiomm 
iuarum  deh  miqmtatem  meam. 

€  Ils  vouloìent  dire  »,  chiosa  il  Grosley,  <  que  dans  l'air  qu'on 
veneit  de  leur  chanter  ils  n'avoient  entendu  que  le  verset  du  Mi- 
screre.  Et  en  effet  tous  les  monvements  d'admiration  que  les  en- 
chaines m'avoient  pam  leur  arracher,  les  ayant  pressés  de  s'expliquer, 
ils  me  protestèrent  que  j'avais  pris  pour  admiration  ce  qui  n'étoit 
qu'indignation  excitée  par  l'ennui  porte  à  son  demier  periodo  ». 

Napoli  è,  secondo  il  Orosley,  il  centro  della  musica  in  Italia,  ma 
si  risente  «  un  peu,  ainsi  que  les  autres  arts,  du  goùt  du  terroir  pour 
le  eaprieeiow  et  le  airavagante  ».  L'opera  di  Napoli  è  lo  spettacolo 
più  brillante,  piti  grande,  più  magnifico  dell'Italia  e  senza  contrasto 
di  tutta  Europa:  è  variato  da  marcie,  battaglie,  trionfi.  Truppe  nu- 
meroee,  cavalli  riccamente  bardati,  agili  schermidori,  tutto  contri- 
buisce a  dar  l'illusione  della  verità. 

L'opera  di  quella,  stagione  era  il  Demofoonte  di  Metastasio  messo 
in  musica  dal  Sassone  (1).  Tutta  Napoli  l'alzava  alle  stelle,  giurando 


(1)  Vi  cantayano  il  Babbi,  Tommaso  Gnardacci,   Carlo  Ambrogio,  la  prima 
donna  Caterina  Gallo,  Francesca  Gabrielli  e  Maddalena  Valle. 


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5d6  MXMORII 

e  spergiurando  che  nessun  maestro  aveva  mai  trattato  ood  eccellen- 
temente tale  noto  soggetto.  Veniva  in  particolar  modo  applaudito  il 
duetto  che  termina  il  second'atto,  <  mais  les  larmes  se  mfilent  aux 
applaudissements  dans  l'ariette  connue:  Misero  pargoUUot  que  li- 
mante adresse  à  son  fils  qu'il  tient  dans  ses  bras.  L'expression  de 
eette  ariette  étoit  celle  de  la  nature.  Les  Fran^oid  présente  à  ce  spec- 
tacle  oublièrent  eux  mèmes  l'air  gauche  du  soprano  qui  remplìssoit 
le  rOle  de  Timante  et  la  dissonance  de  sa  voix  avec  l'ónormité  de 
sa  taille,  de  ses  bras,  de  ses  jambes  pour  mèler  leurs  larmes  à  celles 
des  Napolitains  >. 

Fioccavano  naturalmente  i  bis  ed  allora  <  l'orchestre  revient  au 
prelude,  le  castrat  se  promène  circulairement  et  reprend  l'ariette. 
Gela  se  rópète  quelques  fois  jusqu'à  cinq  ou  sii  fois  et  c'est  dans 
ces  reprises  que  le  chanteur  épuise  toutes  les  ressources  de  la  na- 
ture et  de  l'art  par  la  variété  des  nuances  qu'il  répand  sur  les  tons, 
sur  les  modulations  et  sur  tout  ce  qui  tient  à  l'ezpression.  Quelqne 
légères  que  soient  ces  nuances  aucune  n'échappe  auz  oreilles  italiennes; 
elles  les  saisissent,  elles  les  sentent,  elles  les  savourent  avec  un  plaisir 
appelé  l'avant  goùt  des  joies  du  Paradis  ». 

U  Grosley  termina  le  sue  osservazioni  sull'Italia  con  una  lunga 
dissertazione  intitolata:  Essai  éPhistaire  comparée  de  la  tnusigue  iior 
Uewne  et  de  la  musiqus  frangaise  (IV,  pp.  84-136),  che  fu  tradotta 
dall'Hiller  ed  inserita  nei  n'  3-6  dei  Woechenilichs  Nachrickien  und 
Anmerkungen  der  Musile  (1769)  e  gli  valse  pure  una  breve  men- 
zione nella  Bibliografia  del  Lichtenthal  e  nel  DiMioftario  del  Fétis. 

Vi  ribadisce  le  osservazioni  fatte  nella  descrizione  del  viaggio  con 
qualche  pizzico  di  erudizione  ed  esce  in  qualche  giudizio  meritevole 
di  esser  ricordato,  come  p.  e.  il  seguente  sull'organo  in  Italia.  <  Chaque 
note  s'y  £ait  sentir  distìnctement  et  le  jeu  plein,  male  et  sevère  ré- 
pond  à  la  majesté  des  lieux  où  cet  instrument  est  admis.  Il  fait 
comme  la  basse  continue  de  la  psalmodie  et  joue  ensuite  sa  partie, 
pianoy  sans  la  broder  ni  Tallonger  par  d'inutiles  fredons  dans  les  pièces 
mSmes  où  le  champ  lui  est  abandonné.  Geux  qui  ont  entendu  à 
Bome  ou  à  Naples  quelques-unes  de  ces  musiques  que  l'orgue  donne 
à  l'Élévation  en  parlent  comme  de  pièces  composées  et  exécutées 
dans  cotte  noble  simplicité  qui  caractérìse  le  sublime  et  qui  Tac- 
compagne  toujours  ». 


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UL  ICUSIGA  m  ITALIA  USL  SEGOU)  JYUl  527 

Alla  «  colluvie  di  settentrionali  »  che  veniva  a  passare  alcuni  anni 
«  d'ineducazione  »  nell'Accademia  di  Torino,  ove  l'Alfieri  dal  «  terzo 
appartamento  »  sdegnoso  guardava  al  «  primo  appartamento  »,  teatro 
dì  s£u^iate  preferenze  usate  ai  paggi  di  Corte  ed  agli  allievi  fore- 
stieri, appartenne  Edmund  Bolfe,  di  Heacham  Hall  nella  contea  di 
Norfolk,  n  suo  Continental  Bairy  (1)  o,  come  l'intitola  il  recente 
editore,  E.  Neville  Bolfe,  console  britannico  a  Napoli,  pronipote  del- 
l'autore, Old  world  joumey  (viaggio  del  buon  tempo  antico),  ci  dà 
preziosi  ragguagli  sulla  vita  dell'Accademia  torinese,  e  qui  non  è  il 
luogo  di  occuparsene  (2),  ma  ci  porge  pure  notizie  non  trascurabili 
sugli  spettacoli,  cui  assistette  a  Torino  ed  in  diverse  altre  città.  Ce 
lo  ricorda  anche  l'Alfieri  nella  sua  mirabile  autobiografia:  comple- 
mento necessario  del  soggiorno  all'Accademia  era  il  viaggio  d'Italia. 

Del  teatro  fiegio  di  Torino  pare  che  il  Bolfe  fosse  piuttosto  assiduo 
frequentatore.  Lo  descrive  minutamente,  insistendo  in  particolar  modo 
sulla  praticità  di  certa  macchina  per  trasportare  cavalli  e  carri  al 
piano  della  scena,  come  pure  sui  mezzi  usati  per  allungarla.  Così 
nella  stagione  di  carnevale  del  1761  potè  vedervi  rappresentata  una 
battaglia  «  in  cui  v'era  uno  squadrone  di  circa  60  cavalli,  che  assa- 
livano e  si  ritiravano  con  tanta  regolarità  che  parevano  in  piazza 
d'armi.  Si  rappresentava  allora  l'opera  Tigrane  »  (3). 

Altri  teatri  ricorda,  ma  più  per  l'architettura  che  per  gli  spetta- 
coli. Fu  a  Parma  nel  settembre  ed  ottobre  del  1760  per  il  ma- 
trimonio dell'infante  Isabella  coU'arciduca  Giuseppe  d'Absburgo,  poi 
Giuseppe  II,  la  violinista  di  cui  ci  parla  la  Du-Bocage,  e  vi  assistè 
€  ogni  sera  ad  un  bellissimo  spettacolo  d'opera  ».  In  aprile  1761 
s'avviò  a  Venezia,  dopo  aver  passato  l'invemp  all'Accademia,  e,  fer- 


(1)  E.  Ne71lle-Bolfe,  Napìe$  in  the  Nineties.  Naples,  1897,  Emil  Prass.  È 
una  descrizione  arguta  e  vivace  dei  costami  napoletani  contemporanei,  cui  l'A.  ag- 
giunse la  pubblicazione  del  diario  del  suo  antenato. 

(2)  Cfr.  un  mio  articolo  suUa  Stampa  di  Torino,  4  ottobre  1899:  Un  compagno 
cP Accademia  di  Vittorio  Alfieri, 

(3)  Di  Piccini.  Vi  cantavano  Maddalena  Parigi,  Teresa  Mazzoli,  Pietro  De  Mezzo, 
Gaetano  Guadagni,  Carlo  NicoUni,  Antonio  Gotti. 


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matosi  a  YeroDa,  ne  frequentò  il  teatro.  Oli  piacque  me 
€  non  è  molto  grande,  ma  molto  grazioso.  Ne  ho  visti  pod 
siano  piaciuti  tanto:  quanto  alle  voci,  ohe  è  Tartìcolo  princi 
posso  dire  altrettanto  ».  Si  trattane  per  TAseensione  a  Yenes 
contenta  di  dire  che  i  Veneziani  vanno  matti  per  l'opera,  pi 
gli  altri  Italiani  ;  per  la  fiera  fu  a  Vicenza  e  di  nuovo  a  ] 

A  Parma  rìmafle  j>arecchio  tempo  «  on  account  of  the  Op 
per  le  sue  deooraùoni,  la  musica  e  i  balli  è  uno  dei  migli 
d'Italia.  €  Secondo  l'uso  francese  »>  scrive  il  Solfe,  «  le  di 
losche  sono  abolite  e  non  mi  par  dubbio  che  di  qui  a  qua 
queste  danze  triviali  {low  dancing)  non  compariranno  più 
l'opera  buffa.  Presentemente  Parma  è  una  specie  d'Accad 
formare  ballerini  e  presto  potrà  fornire  a  tutta  Italia  i  mìg 
lerini  che  ora  vengono  da  Parigi  ».  Ed  aggiunge  questo  pi 
che  ha  il  suo  pregio.  «  Qui  ogni  cosa  è  più  cara  che  alt 
un  forestiero  l'ingresso  a  teatro  è  di  tre  lire  di  Piemonte,  n 
abitanti  pagano  soltanto  quindici  soldi  della  stessa  moneta 

Il  13  luglio  partiva  per  Seggio,  ove  risiedeva  la  Corte  d 
fiera,  perchè  v'era  «  un'opera  molto  buona,  ma  non  però 
quella  di  Parma  ».  E  di  là  si  spinse  fino  a  Napoli,  visitai 
città,  dei  cui  teatri  nulla  dice,  salvo  di  Lucca.  Vi  si  tratj 
l'autunno  del  1761  e  nota  che  quella  stagione  d'opera  «  sei 
of  drawing  many  foreigners  »,  era  un  richiamo  dei  forestiei 


Spicca  tra  i  visitatori  stranieri  d'Italia  nella  seconda  met 
tecento  l'abate  Gabriel  Franfois  Coyer  (1707-1782),  se  non 
per  la  curiosa  particolarità  di  aver  compiuto  tutto  il  lung< 
col  proprio  legnetto  guidato  da  un  cavallo  proprio.  Go^  rac 
terìa  da  dare  anche  lui  alle  stampe  il  suo  Voyage  éF Italie  (1 
sotto  forma  di  lettere  indirizzate  ad  una  «  respectable  A 
Era  il  vero  tipo  dell'abate  del  secolo  XVIII:  le  sue  descrizioD 


(1)  Voyage  d'Italie,  2  voi.  ìn-12.  Paris,  1776,  1778,  Dachesne. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NBL  SEGOLO  XTIII  529 

per  certi  riguardi  le  sue  BagaUiUea  morales^  ma  le  osser- 
ìi  profonde  richiamano  piuttosto  alla  mente  il  eoo  libro 
lesse  commergante.  Oomunqne,  è  un  abate  spregiudicato, 
I  eia  poco  lontano  dai  sessant' anni,  e,  come  loda  le  vene- 
une  belle  camation  et  d'une  taille  svelte  »,  così  parla,  en 
«ce  de  cause^  di  materia  teatrale.  Possiamo  quindi  prender 
icerone  per  gli  anni  1768  e  1764. 
in  Italia  dal  Moncenisio,  si  fermò,  com'è  natunde,  a  To- 
tò  il  teatro  Begio  e  lo  descrive  «  d'une  grandeur  dont  lee 
pprochent  pas  ».  Non  vi  assistè  però  a  spettacoli,  perchè  non 
Kura  di  carnevale,  e  si  dovette  contentare  «  de  l'opera  co- 
ses  boufions  ou  leurs  semblables  qui  ont  donne  tant  de  plaisir 
)ur  à  notre  benne  ville  de  Paris  ».  Sentì  la  Guadagni, 
ate  actrice  à  qui  on  a  crié  bien  dee  fuora  »  :  Pugnani  (1), 
Ls  avez  admiré  à  Paris,  plaisait  à  son  ordinaire  ».  Nota  che 
ino  guardie  in  teatro:  «ces  gens-là  veulent  approuver  ou 
m  ce  qu'ils  sentent  :  ils  veulent  ètre  libres  pour  leur  argent  ». 
)6ure  que  j 'avance,  »  scrive  da  Milano  l'il  ottobre,  «les 
l'agrandissent.  Colui  de  Milan  est  plus  grand  que  colui  de 
Era  quello  sorto  nel  palazzo  ducale  sulle  rovine  del  vecchio 
nel  1708  e  pur  esso  destinato  a  rimaner  preda  di  un  in- 
25  febbraio  1776  (2).  «  La  forme  de  la  salle  en  quarré  long 
BLVorable  aux  spectateurs.  Lee  logos  appartiennent  en  propre 
tei.  Chacun  éclaire  la  sienne,  la  tapisse  à  son  gre,  y  met 
3,  en  fait  un  cabinet  d'assemblée:  mais  en  l'absence  du 
re  elle  reste  fermée  du  cdté  des  spectateurs.  Cela  est-il 
e  de  voir  l'intérieur  d'une  loge  vuide?  C'est  un  problème 
lus  donne  à  rósoudre  ». 

ano  sentì  «  la  célèbre  Paganina  que  Londres  et  Berlin 
rèe.  On  a  bien  crié  des  fuora.  Ces  frequente  his  pour  des 
ssez  longuee  allongent  beauconp  les  spectacles  ».  Provano 
nodo  che  €  les  Italiens  aiment  les  acteurs  beaucoup  plus 
ne  les  aimons  »  :  infatti   non  si  contentano  di  applaudire 


lebre  violinista. 

CcBAN],  Storia  di  Milano,  II,  160-01  e  IV,  54-58. 


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530  MEMORIE 

ma  €  il  crient  en  nommant  brava  Pagtmina ,  bravo  ChraMioU^  che 
viva  Cespi  ».  Al  teatro  di  Milano  vide  «  autant  d'ecclésiastiquea  que 
de  lalqaes  »,  ma  nessuno  se  n'adontava. 

Da  Bologna  scrive  entusiasmato:  «  Vous  ètes  trop  jeune  pour  avoir 
entendu  le  chevalier  Broschi  lorsqu'  il  enchanta  Paris  et  Yersailles 
sous  le  nom  de  Farinello  (1).  Sur  la  foi  de  la  renommée  j'avais 
toujours  regretté  cotte  benne  fortune.  Je  l'ai  entendu:  mes  oreilles 
en  sont  encore  pleines  ».  Dove  lo  sentì  ?  anzi  è  possibile  che  Io  sen- 
tisse? Farinelli,  tornato  di  Spagna,  non  cantò  più  in  pubblico  e  quasi 
mai  in  privato. 

Capitò  a  Soma  all'aprirsi  del  carnevale  del  1764.  «  Vous  sentìriez- 
vous  assez  de  courage»,  scrive  appunto  da  Roma,  <  pour  essuyer 
cinq  heures  d'opera?  En  Franco  nous  y  ailons  pour  entendre  et  suivre 
la  pièce  :  ici  c'est  pour  la  conversation  ou  pour  se  visitor  de  loge  en 
loge:  on  n'ócoute  ou  on  ne  s'extasie  qu'à  l'ariette.  Il  estvrai  qu'on 
ne  perd  guère  à  la  psalmodie  du  récitatif:  mais  les  beaux  vers  de 

Métastase  sont  aussi  perdus Je  vous  ai  dit  que  l'on  n'écoutait  que 

l'ariette.  Je  me  trompe:  on  prète  aussi  son  attention  aux  récitatifs 
obligós  plus  touchants  que  les  ariettes,  qui  vont  rarement  au  c<Bur  ». 
L'opera  buffa  è  non  meno  frequentata  dell'opera  seria. 

Uguale  €  fureur  des  spectacies  »  trova  a  Napoli,  dove  pur  regna 
la  carestia,  ma  «  la  bonne  compagnie  n'a  pas  encore  fiùm  ».  11  teatro 
deiropera  presenta  uno  splendido  colpo  d'occhio,  specialmente  «  lorsque 
le  Boi  l'honore  de  sa  présence,  ce  qui  arrivo  tous  les  dimanches  ». 

La  €  pièce  du  jour  »  è  la  Bidone  abbandonata  (2),  colla  famosa 
Gabrielli,  che  fa  la  sua  parte  con  tanta  verità  «  qu'ii  faut  que  le 
pieux  Ènee  ait  bien  de  la  dévotion  pour  resister  aux  charmes  de  sa 
voix  et  de  sa  figure  ».  Ad  una  monacazione  sente  Cafariello  che 
«  t&chait  de  soutenir  sa  gioire  »  :  la  musica  eseguita  era  «  on  ne  peut 
plus  jolie  ».  Ma  a  Boma,  per  compenso,  del  €  Misererò  »  d' Allegri 
dice  che  €  ce  sont  des  gémissements  qui  déchirent  le  coBur  »  (3). 


(1)  Neirinverno  del  1736-1737.  Piacque  perfino  a  Luigi  XV  che  non  amafala 
masica  e  particolarmente  la  mnsica  italiana. 

(2)  Del  Traetta.  Cfr.  Ademollo,  La  piti  famosa  deUe  eanianti  itaHane  neUa 
seconda  metà  del  «et^eento  (Caterina  Gabrielli),  Milano;  1890,  Ricordi;  e  Crocs, 
I  Teatri  di  Napoli,  p.  505. 

(3)  Sulla  mnsica  nelle  chiese  notiamo  questo  accenno  da  Loreto:  <  Farmi  les 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NEL  SECOLO  ITIII  531 

Frequenti  sono  nei  due  volumi  del  Goyer  le  considerazioni  gallo 
stato  della  musica  e  non  manca  in  fine  il  suo  bravo  parallelo  tra  la 
musica  francese  e  T italiana,  uno  degli  argomenti  più  triti  di  quel 
tempo.  Ci  contenteremo  di  riferire  qualche  giudizio  più  curioso.  La 
musica  da  Torino*  a  Napoli  va  sempre  perfezionandosi:  a  Napoli  tocca 
il  colmo.  Molti  vi  sono  i  conservatori,  che  forniscono  di  soggetti  tutta 
l'Europa.  Più  che  altrove  a  Napoli  la  musica  ha  «  une  occupation 
continuelle  »,  nei  teatri,  nei  concerti  pubblici,  nelle  case  patrizie, 
nelle  chiese,  perchè  «  les  Napolitaìns  vivent  plus  par  les  oreilles  que 
par  les  autres  sens  ».  E  così  dal  più  al  meno  in  tutta  Italia.  «  Les 
violons,  la  harpe,  le  chant  nous  arrétent  dans  les  rues.  On  entend 
sur  les  places  publiques  un  cordonnier,  un  forgeron,  un  menuisier 
cbanter  une  aria  à  plusieurs  parties  avec  une  justesse,  un  goùt 
qu'ils  doivent  à  la  nature  et  à  Thabitude  d'entendre  des  harmonistes 
que  Tart  a  formés». 

•  *  ♦ 

«  L'indigesta  filza  di  epistole  che  si  fingono  scritte  da  inviati  cinesi 
in  Europa  e  compongono  i  sei  volumi  àeilVE^ion  chinais  (1)  »  sono, 
a  giudizio  dell' AdemoUo  (2),  <  piene  di  acrimonia  così  stupida,  figlia 
di  un'ignoranza  così  crassa  e  d'un'ostentazione  di  disprezzo  così  buf- 
fonesca »  contro  la  nostra  musica  teatrale,  che  non  meriterebbero 
di  esser  citate,  se  il  fiEtmigerato  cavalier  Gondar,  loro  autore,  non 
avesse  avuto  il  suo  quarto  d'ora  di  celebrità,  illudendosi  di  rifor- 
mare il  gusto  in  Italia  col  gridare  «  il  delenda  Carthago  contro  il 
melodramma  italiano  ». 

Contentiamoci  di  dame  qualche  saggio.  <  Le  Boi  de  Sardaigne  », 
scrive  nella  lett.  XI  da  Torino  (tomo  II,  pag.  81),  €  passe  pour  avoir 
la  musique  la  mieux  entendue  et  on  conclut  de  là  que  c'est  un  grand 
prince:  par  la  raison  qu'il  sait  se  procurer  une  ;nodulation  parfaite 


cantiqoes  il  y  en  a  un  qui  est  indiqné  dans  le  livret  de  dévotion  à  Tasage  des 
Fran9ais  sur  Tair  des  foUei  éPEtpagne  » . 

(1)  VEspion  chimi8.  k  Cologne,  1765. 

(2)  Un  avventuriero  francese  in  Italia  nella   seconda  metà  del   settecento. 
Bergamo,  1891. 


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et  qae  rbarmoiiie  dans  radministratìon  forme  nae  gisncto  partìe  de 
l'art  de  régner. 

«  Il  y  a  aussi  un  opera  italien  à  sa  ooar:  mais  je  ne  troave  pas 
que  ce  soii  la  meilleare  pièoe  de  sa  musìqae.  À  l'opera  fran^aia  on 
parie  sane  ehanter,  à  oelni  d'Italie  on  chante  sana  parier.  TTn  anunl 
y  &it  une  déclaration  d'amour  à  sa  mattrosse  avee  une  senio  voyelle 
qu'il  roule  pendant  un  quart  d'heure  dans  sa  benché. 

€  Au  spectacle  du  Palais  Boyal  on  gagne  dee  ìnsomnies,  k  celni 
de  Tarin  on  tombe  dans  des  assonpissements.  Lea  speetatenrs  y  ont 
cet  ayantoge  qn'ils  y  sont  aussi  tranquillement  que  dans  leurs  lits: 
OH  y  dormiroit  paisiblement  pendant  les  trois  actes  que  dure  l'opera 
si  on  n'étoit  réveilié  de  temps  en  temps  par  le  bruit  des  ariettes  ». 

A  Milano,  come  a  Torino,  si  vedono  sulla  scena  «  deus  ou  trois 
chfttrós  qui  vont,  qui  viennent  et  qui  d'une  voix  efféminée  chantent 
gaiment  leur  martyre  ».  A  Venezia  ci  sono  quattro  €  spectacles 
divins  »,  i  conservatori,  dove  «  à  peu  de  frais  on  peut  se  donner  ce 
Saint  divertissement  ».  Nella  lettera  XCI  da  Bologna  (tomo  III,  pa- 
gina 166)  vi  è  una  pagina  non  priva  di  verità  sulle  condizioni  della 
musica  saora.  «  J'allai  d^nìèrement  » ,  scrive  il  finto  chinese,  «  à  ce 
qu'on  appello  lei  une  grand'  messe  en  musique.  £n  entrant  dans 
l'église  je  orus  d'abord  étre  à  l'opera:  du  moìns  il  n'y  a  auoune  dif- 
férence  qnant  à  la  composition.  Entrées,  sympbonies,  menuel»,  ri- 
gaudons,  airs  à  voix  seule,  duos,  chodurs,  accompagnements  de  tam« 
bours,  trompettes,  timbales,  cors  de  classe,  hautbois,  violons,  fifres, 
flageolets,  en  un  mot  tout  ce  qui  sert  à  former  lliarmonie  d'un 
spectacle  se  trouvoit  employé  à  celui-ci. 

«  C'étoit  un  chef  d'oBuvre  d'impiété.  Quand  le  oompositeur  auroit 
fait  une  noMase  pour  la  déesse  de  la  volupté  il  n'auroit  pu  employer 
des  sons  plus  tendres  ni  des  modulations  plus  lascives 

«  Il  y  a  surtout  un  hymne  adressé  à  la  Divinité,  dont  le  premier 
verset  comm^ice  par  ces  mots  latins  Tantum  ergo^  qui  est  toujours 
très  divertissant.  Il  est  d'abord  question  d'un  adagio  tendre  et  vo- 
luptueux  qui  dispose  l'àme  à  la  tendresse.  Ensuite  vient  un  allegro 
qui  la  retire  de  cet  état  de  langueur  et  qui  la  réjouit  infiniment. 
Il  finit  parie  mouvement  vif  et  precipite  du  rigatuhn^  qui  en  Europe 
est  celui  qui  invite  le  plus  à  la  danse  ». 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NBL  SEGOLO  XVIII  533 


Il  vayage  en  Italie  del  Lalande  (1)  è  aoo  dei  più  meritamente 
celebrati  del  secolo  XVIII.  Portando  nell'osservazione  degli  usi,  dei 
costumi,  delle  arti  dell'Italia  lo  spirito  d'indagine  che  fecero  di  lui 
uno  dei  più  grandi  astronomi  di  tutti  i  tempi,  il  Lalande  lasciò  in 
nove  volumi  una  testimonianza  preziosa  del  viaggio  che  compì  nella 
penisola  tra  il  1765  e  il  1766.  Sarà  dunque  anche  per  noi  una  fonte 
importante  di  notizie,  di  aneddoti,  di  osservazioni  sulla  vita  musicale 
del  settecento. 

Entrato  in  Italia  dal  Genisio,  il  Lalande  si  ferma  parecchio  tempo 
a  Torino  e  descrìve  minutamente  il  teatro  Règio  «  le  plus  étudié, 
le  mieux  compose,  le  plus  complet  que  l'on  voit  en  Italie,  le  plus 
richement  et  le  plus  noblement  dècere  qu'il  y  ait  dans  le  genre 
moderne  ».  Rimandiamo  al  testo  del  Lalande  (I,  110  e  seguenti), 
come  abbiamo  già  fatto  per  altri»  il  lettore  curioso  di  questi  par- 
ticolari ,  e  contentiamoci  di  rilevare  come  il  Lalande ,  diligentis- 
simo  raccoglitore  di  notizie  statistiche,  ci  parli  della  società  dei 
quaranta  cavalieri,  che  esercivano  l'impresa,  col  sussidio  annuo  della 
cassetta  regia  di  18000  lire,  più  le  carrozze  e  i  cavalli  fomiti  pure 
dal  Be.  L'allestimento  di  un'opera,  dice  il  Lalande,  costa  circa  cento 
mila  lire,  perchè  si  hanno  quasi  sempre  i  migliori  cantanti  d'Italia. 
Però  i  palchi  non  costano  più  di  100  lire,  l'ingresso  30  soldi  e  per 
abbonamento  12.  Il  teatro  Carignano  serve  per  le  opere  buffe.  Di  ar- 
tisti torinesi  ricorda  il  Lalande,  elogiando  «  l'excellente  musique  » 
della  Cappella  regia,  Somis  €  qui  étoit  un  des  plus  fameux  violons 
de  l'Italie  »,  Pugnanì,  Viotti,  Giardini,  i  Besozzi,  due  oboisti  e  uno 
fagotto,  e  finalmente  Pagin,  Vachon  e  Lametti. 

Del  teatro  di  Milano,  del  Farnese  di  Parma,  del  teatro  di  Reggio 
non  abbiamo  che  le  descrizioni;  del  Ducale  di  Parma,  ci  dice  il 
Lalande  avervi  veduto  rappresentare  il  Bcyazet  d'Apostolo  Zeno,  messo 


(1)  Voyage  en  liaUe  per  H.  de  Lalande.  Seconde  éditìon.  A  Paris,  chez  la 
Yenve  Desaint  1786,  9  voi.  inl2.  La  prima  edizione  sotto  il  titolo:  Voyage 
cTun  francais  en  ItaHe,  8  voi.  in-12,  fa  stampata  nel  1769  «  à  Yenise  et  se  troave 
à  Paris,  chez  Desaint  >. 


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534 


MIMORn 


<!■■■  ^ 


in  musica  dal  Bertoni,  nota  come  lo  spettacolo  duri  dal 
mezzanotte  e  mezza  ed  abbia  luogo  di  solito  in  maggio  i 
segaendo  poi  la  commedia  francese  ed  in  carnevale  l'open 

A  Bologna  le  €  arts  agréables  >  sono  coltivate  ìntensam 
fatti  vi  si  recinta  la  maggior  parte  dei  suonatori  delle 
d'Italia,  n  teatro  (il  Comunale  allora  allora  edificato)  è  beli 
frequentato,  €  aussi  brillant  qu'à  Paris,  du  cdté  du  bea 
mème  dans  nos  plus  grands  jours  d'opera  :  les  voyageurs  ne  i 
pas  d'y  aller  quand  ce  ne  serait  que  pour  connoftre  à  q 
les  femmes  y  portent  le  luxe  »,  e  per  osservarne  il  caratte 
et  enjoué  ».  Vengono  (e  non  era  particolarità  solo  di  Boi 
compagnate  dai  loro .  cicisbei  e  talvolta  si  vedono  «  don 
mains  à  baiser  à  ceux  qui  aspirent  à  le  devenir  sans  que  le 
trouvent  cela  extraordinaire  ». 

A  Firenze,  descritto  al  solito  il  teatro  della  Pergola  e  < 
Cocomero  («  le  petit  théàtre  »),  il  Lalande  riferisce  un  anc 
rioso,  di  quelli  di  cui  si  potrebbe  ripetere  il  noto  :  «  se  no 
è  ben  trovato  ».  Un  francese  una  sera  appicca  conversazioni 
abate  e^  parlando  di  teatri,  Tecclesiastico  si  lagna  delle  no 
colta  che  s'incontrano  a  serbare  a  Firenze  i  buoni  artisti  ( 
forestiere  che  l'inverno  precedente  il  migliore  dei  suoi  cas 
aveva  fatto  venire  da  Napoli  l'aveva  piantato  in  asso,  che 
nere  s'era  ammalato,  che  €  de  peur  de  voir  déserter  son  Op 
avoit  renforcé  les  danseuses,  qu'il  en  avoit  une  surtout  qui  j 
gure  et  ses  talents  faisoit  l'admiration  de  tonte  la  ville,  m 
anglois  la  lui  avoit  débauchée  ».  Sorpreso  di  tali  discorsi 
d'un  prete  il  francese  gli  chiede  chi  sia.  «  Son  l'imprendi 
l'opera,  per  servirla  »,  gli  risponde  e  di  fatti  era  proprio  l'in 

A  Lucca  le  arti  parvero  al  Lalande  molto  ben  coltivate 
alla  musica  >  a  giudizio  anche  del  Genson  €  notre  plus 
violoncello  qui  étoit  en  Italie  en  1767  avec  le  prince  h< 
Brunswick  »,  in  nessun  luogo,  nemmeno  a  Napoli,  si  potev 
un'orchestra  così  perfetta  come  la  lucchese,  né  sentire  una  ^ 
quella  della  Bastardina. 

Diffusissimo  è  il  Lalande  su  tutto  quanto  riguarda  Bom 
dano  quindi  anche,  le  informazioni,  ma  per  lo  più  di  cara 
tistico,  sui  teatri  (Y,  pp.  179-191),  e  specialmente  sull'i 


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LA  MUSICA  IN  ITALU  NEL  SEGOLO  XVIH  Si5 

«  le  plus  frequente  de  tous  »,  suirAliberti,  sul  Tordiuona,  sul  Oa- 
pranìca,  ove  si  rappresentayano  opere  serie  o  buffe.  Mancano  le  im- 
pressioni personali. 

Queste  sono  rìserbate  al  volume  che  tratta  di  Napoli,  nel  quale 
anzi  un  intero  capitolo  è  dedicato  alla  musica  ed  agli  spettacoli. 
<  La  musique  »,  scrive  il  Lalande,  «  est  surtout  le  trìomphe  des 
Napolitains,  il  semble  que  dans  ce  pays-là  les  cordes  du  tympan 
soient  plus  tendres,  plus  harmoniques,  plus  sonores  que  dans  le  reste 
de  l'Europe;  la  nation  méme  est  toute  chantante;  le  gesto,  Tinflexien 
de  la  voix,  la  prosodie  des  syllabes,  la  conversation  mdme,  tout  y 
marque  et  y  respire  la  musique;  aussi  Naples  estelle  la  source prin- 
cipale de  la  musique  italienne,  des  grands  compositeurs  et  des 
excellents  opéras  ».  E  cita  oltre  ai  grandi  nomi  di  Gorelli,  di  Vinci, 
di  Jommelli,  di  Durante  anche  quello  piii  modesto  di  «  M.  Qibert  (1), 
habile  musicien  franfois,  connu  par  les  petits  opéras  de  la  Sybille, 
du  Oamaval  d'été,  de  la  Fortune  au  village,  d'Apelle  et  Gampaspe  », 
che  risiede  da  parecchi  anni  a  Napoli  e  coltiva  la  musica  «  dans 
la  première  école  quii  y  ait  et  il  puise  à  la  source  les  musiciens 
dont  on  a  besoin  pour  la  Franco  et  dont  il  fait  des  recrues  de  temps 
à  autre  ». 

Seguono  le  solite  note  sui  «  castrati  »  che  possiamo  anche  trala- 
sciare, qualche  cenno  sui  teatri  San  Garlo,  Fiorentini,  Nuovo,  e  giu- 
dizi pur  essi  non  nuovi  sul  Metastasio.  Dei  cantanti  nostri  biasima 
«  le  jeu  (qui)  est  détestable  en  comparaison  du  ndtre  ».  I  virtuosi 
«  ne  se  donnent  pas  la  peine  de  jouer  »  ;  quando  lo  fanno  €  c'est  quelque 
fois  d'une  fa^on  très  familiare  et  très  peu  respectueuse  pour  les  spec- 
tateurs;  ils  saluent  les  personnes  de  leur  connaissance,  mème  au 
milieu  de  leur  jeu,  sans  crainte  de  déplaire  au  public,  dont  l'indul- 
gence  autorise  depuis  longtemps  cet  abus  :  on  peut  aussi  Tattribuer 
au  peu  d'attention  qu'on  donne  au  spectacle  où  Ton  fait  un  bruit 
insupportable  soit  dans  le  parterre  soit  dans  les  logos  ». 

Nel  volume  del  Lalande  dedicato  a  Napoli,  il  sesto,  è  pure  assai 


(1)  Paul-César  Gibkkt  (1717-1787).  Parecchi  dei  castrati  della  cappella  del 
Be  di  Francia  a  .Versailles,  tra  cai  Albanese»  f areno  da  lai  scritturati  a  Napoli. 
Lasciò,  oltre  le  opere  citate,  i  Soifègea  ou  ìeQons  de  musique,  Paris,  1783. 

BMàta  mutieak  UaUema,  Vm.  86 


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536  MBMORn 

interessante  il  capitolo  «  Du  travail  dee  cordes  à  boyanx  et  dee  tan- 
nerìes».  Napoli  e  Roma  hanno  quasi  il  monopolio  della  fabbrica 
delle  corde  per  strumenti  ad  arco.  Nonostante  il  segreto  che  i  fab- 
bricanti, cosa  d'altra  parte  già  notata  dal  Lalande  in  Francia,  ser- 
bano sui  loro  procedimenti,  Tillnstre  viaggiatore  potè  avere,  mercè  la 
gentilezza  del  sig.  Angelo  Angelued,  molti  ragguagli.  L'Angelucci, 
che  aveva  negozio  «  près  de  la  fontaine  des  serpents  »,  era  il  piii 
stimato  commerciante  in  questo  genere  ed  impiegava  nelle  diverse 
parti  del  Regno  più  di  cento  operai.  Rimandiamo  il  lettore  che  fosse 
curioso  di  questi  particolari  al  libro  del  Lalande  (VI,  407-414). 

Anche  a  Venesia  trova  il  Lalande  materia  di  dedicare  un  intero 
capitolo  agli  spettacoli  (Vili,  pp.  204-215).  Dopo  Napoli  Venezia  è 
€  Tendroit  de  tonte  Tltalie  où  la  musique  est  la  meillenre  et  la  plus 
cultivée»:  ma  nel  suddetto  capitolo  il  Lalande  parla  assai  più  di 
commedie  che  di  musica. 

Qualche  cenno  ancora  su  Padova  e  Verona,  sotto  il  rispetto  musi- 
cale, e  basti  del  Lalande.  Di  Padova  nota  che  la  musica  della  chiesa 
del  Santo  è  composta  di  quaranta  persone,  sedici  per  le  voci  e  ven- 
tiquattro strumenti  e  tra  essi  Tartini,  Antonio  Vandini  di  Bologna 
€  fort  estimé  pour  le  violon  (1)  »,  l'oboista  Matteo  Bissioli  di  Brescia, 
il  piemontese  Vallotti  €  maitre  de  chapelle  l'un  des  plus  estimés  de 
l'Italie  »  (2). 

A  Verona,  ricorda  il  Lalande  che  in  novembre  1765  vi  si  rappre- 
sentava V Antigone,  parole  di  Metastasio,  musica  di  Qiuseppe  Sarti. 
€  Ce  spectacle  étoit  compose  sérieusement:  il  y  avoit  surtout  une 
actrice  qui  a  paru  depuis  peu  en  Italie  avec  une  voix  surprenante. 
Elle  s'appello  Aguiari,  mais  on  la  nomme  plus  oommunément  la 
Bastardina  (3),  parco  qu'on  prétend  qu'elle  est batarde  née  à  Ferrare: 


(1)  Violoncellista,  non  TÌolinista,  come  asserÌBce  il  Lalande.  Fa  amico  intimo 
di  Tartini,  col  quale  si  trovò  a  Praga  nel  1728  e  qnindi  per  tre  anni  al  serrizio 
del  conte  Einsky.  Gfr.  Yidal,  Les  instrumenU  à  archet,  II,  p.  373. 

(2)  Vercellese  (1697-1780).  Fu  per  molti  anni  maestro  di  cappella  a  Padova. 
Gfr.  P.  Fansaoo,  Elogi  di  Tartini,  Vaìhiti  e  Goesi  (Padova,  1780). 

(3)  Lncrezia  Agnjari-Colla  nata  a  Ferra»  nel  1743,  morta  il  18  magfpo  1783. 
Si  ritirò  dalle  scene  nel  1780  e  sposò  il  direttore  d'orchestra  Colla.  La  sna  voce 
era  veramente  fenomenale  ed  entusiasmò  i  pnbblici  d'Italia  e  di  Londra. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  N«L  SECOLO  XTIII 


537 


itablement  rìen  entendu  de  si  sÌDgalier  que  l'étendue 
ilité  de  oette  voix.  Il  y  Avoit  anssi  dans  ce  temps-là  un 
iremière  force  à  Verone,  nommé  Manzoli  et  une  danseuse 
I,  la  Mantuanina,  dont  le  nom  propre  est  Maria  Bar- 
1  ces  actenrs  viennent  passer  à  Verone  un  temps  mort  poar 
théàtres  d'Italie  et  ne  laissent  pas  d*  y  gagner  beaucoop. 
ine  a  350  sequins  ou  4200  livres  ponr  une  qninzaine  de 
ioDS,  c'est-àdire  ponr  le  rnois  de  noTerobre  que  dure 
le  spectaele  coftte  40000  livres  aux  entrepreneurs.  Aussi 
beau;  les  étrangers  y  viennent  en  foule  et  les  habitants 
en  sont  très  empressés.  Dans  le  camaval  ile  ont  un  opera 


I  a  questo  punto  il  famoso  Musical  Tour  del  Burney,  ma 
del  musicologo  inglese  è  troppo  noto  perchè  occorra  che 
rmiamo  sopra.  Citiamo  piuttosto  il  letterato  francese  Quys 
I),  che  nel  suo  Vayage  litiéraire  de  la  Ghrèee  (Paris,  1776) 
le  parecchie  Lettres  écritea  cTItalie  nel  1772,  notandovi 
),  ove  potè  sentir  buona  musica,  quella  dell'abate  Rossi 
inze,  il  console  Digne  a  Roma,  la  famiglia  Auda  ad  Albano, 
"adenigo  a  Veoezia  l'autore  ammirò  la  formosa  M»"  Balbi 
a  cbanté  avec  la  voix  la  plus  douce,  la  plus  séduisante  et 
\  les  gràces  du  chant  les  plus  jolies  barcaroles,  puis  des 
Bile  a  fait  chanter  le  savant  Biornbstaldt  suédois  (1),  qui 
t  mourir  de  rire  surtout  quand  elle  Ta  prie  de  se  faìre 
I  voulait  lui  plaire  en  chantant  ». 
0  capitano  al  servizio  del  re  di  Prussia,  J.W.  von  Archenholtz 
S),  viaggiò  nel  1780  tutta  l'Italia,  salvo  la  Sicilia.  Nella 


rastahl  (1731-1779),  dotto  orientalista  svedese,  trascorse  parecchi 
ia.  Fa  pnbbUeato  dopo  la  saa  morte  un  suo  libro  di  viag^  in  di- 
[^Europa:  Resa  tilì  Frankrike,  liaìien,  Schujeiz,  Tyshland,  HoOand^ 
urkiet  och  Grekìand,  Stockholin,  1780-84,  di  cui  esiste  anche  nna 
lana  (Poscbiavo,  1785).  Non  vi  si  trova  cenno  dell'aneddoto  narrato 


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538  MEMORIE 

descrizione  dei  suoi  viaggi,  che  pubblicò  col  titolo  Engìand  und 
ItàUen  (Leipzig,  1785  e  di  nuovo  1788)  (1),  tratteggiò  poco  benevol- 
mente lo  stato  deiritalia  nell'ultimo  quarto  del  secolo  XVIII,  onde 
diede  di  lui  severo  giudizio  il  Ooethe  neìV  ItaUdmsehe  Beige  (2)  e 
gli  rivolse  contro  'una  fiera  invettiva  il  poeta  irpino  (Filippo  de 
Martino)  nel  PenfheeasHcan  in  Q^rmanum  (3),  specialmente  per  il 
male  che  l'Archenholtz  disse  dei  Napoletani. 

Sentiamo  però  anche  le  sue  testimonianze,  magari  con  benefizio  d'in- 
ventario. €  Oli  spettacoli  teatrali  »  dice  di  Venezia  «  si  svolgono  su  sette 
teatri:  opera  seria  e  bufih,  balli,  commedie,  farse  e  marionette.  I  tre 
primi  generi  non  saprebbero  destare  interesse  in  coloro  che  hanno  fre- 
quentato tali  spettacoli  a  Parigi,  Londra  o  anche  a  Roma,  Napoli,  Torino 
e  Firenze.  La  musica  è  abbastanza  buona,  ma  i  costumi  sono  poveri 
e  la  messa  in  scena  miserabile  ». 

A  Milano  ammira  il  teatro  della  Scala  nuovamente  costrutto,  «  il 
più  vasto  ed  il  più  bello  di  tutta  Italia  »,  il  ricco  e  bello  apparato 
del  ballo  Cleopatra,  ma  protesta  «  non  aver  mai  veduto  trattare  in 
modo  così  miserando  un  soggetto  eroico  ».  Parlando  di  Firenze,  nota 
come  il  Granduca  preferisca  il  teatro  di  commedia  all'opera,  come 
nei  palchi  si  giuochi  durante  lo  spettacolo,  si  faccia  chiasso  quando 
si  canta  ed  invece  silenzio,  appena  incomincia  il  ballo,  che  è  del  resto 
di  pessimo  gusto.  «  I  Fiorentini  »  aggiunge  colla  sua  solita  malevo- 
lenza €  al  pari  degli  altri  Italiani  aborrono  da  ogni  spettacolo  che 
faccia  pensare  ed  applaudiscono  tutto  ciò  che  può  grossolanamente 
titillare  i  loro  sensi  ».  Uguale  malevolenza  spira  in  ciò  ch'egli  dice 
di  altre  città.  A  Livorno  il  forestiero  paga  doppio  l'ingresso  al  teatro; 
in  caso  di  rifiuto  gli  si  nega  l'ingresso;  i  Livornesi  si  giustificano 
dicendo  che  son  loro  che  contribuiscono  alle  spese  ed  han  diritto  di 
imporre  una  sopratassa  agli  stranieri.  A  Qenova  lo  spirito  d'eco- 
nomia, proprio  di  quella  repubblica,  domina  anche  negli  spettacoli. 


(1)  Esistono  parecchie  edizioni  della  traduzione  francese  col  titolo:  Tabkau 
de  VAngkterre  et  de  VltàHe.  Bruxelles,  1788;  Strasbourg  et  Paris,  1788; 
I^ipzig,  1801. 

(2)  Lettera  2  dicembre  1786. 

(8)  Cfr.  D'Ancona,  L'ItaUa  alla  fine  del  $ee.  XVI,  p.  568;  e  B.  GB0CB,Efea- 
nota  de  Fonseea  Pimenta,  p.  15. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NBL  8IG0L0  ITIII  530 

Non  bisogna  aspettarsi  di  vedervi  qaelle  opere  splendide  che  si  rappre- 
sentano anche  in  città  molto  più  piccole.  Se  capita  a  (Genova  nn 
cantante  di  qualche  reputazione,  ciò  non  può  essere  che  d'estate, 
quando  quasi  tutti  gli  altri  teatri  d'Italia  sono  chiusi  e  quindi  si  può 
avere  uno  spettacolo  con  minore  spesa. 

Di  Roma  TArchenholtz  rammenta  il  Miserere  deirAlIegrì  «  sublime 
et  inimitable  qui  serait  bien  digne  d'étre  détaillé  par  un  AUemand  », 
ed  insiste  specialmente  nella  passione  che  hanno  i  Bomani  per  gli 
spettacoli,  istituendo  un  parallelo  tra  il  gusto  musicale  dei  fiomani 
e  quello  dei  Napoletani. 

I  Bomani,  egli  dice,  disputano  ai  Napoletani  la  gloria  di  essere 
i  migliori  conoscitori  di  musica  dell'Italia.  Molti  accordano  loro 
questo  primato,  ma  bisogna  riconoscere  che  mancano  ai  Bomani  i 
mezzi  di  perfezionarsi,  mentre  a  Napoli  abbondano^  I  Bomani  però 
a  sostegno  della  loro  tesi  allegano  che  tutte  le  opere  che  piacciono 
a  Boma  sono  sempre  applaudite  a  Napoli,  quelle  invece  che  a  Napoli 
hanno  ottimo  successo,  sono  talora  fischiate  a  Boma. 

Entusiasmo  ce  n'è  e  molto  nei  teatri  romani.  Applausi,  grida  di 
gioia,  chiamate  sono  cosa  abituale:  spesso  l'autore  dell'opera  che  sta 
in  orchestra  vien  trasportato,  seduto,  come  un  trionfatore,  sul  suo 
scanno,  sul  palcoscenico.  Jomelii,  racconta  l'Archenholtz  e  non  so  se 
è  da  credergli,  fu  l'iiltimo  che  ebbe  tanto  onore;  Tanno  seguente 
un'altra  opera  sua  non  piacque  ed  il  popolo  infuriato  lo  costrinse  a 
lasciar  l'orchestra  e  ad  uscire  dalla  sala.  Il  maestro,  così  svergognato, 
non  volle  mai  più  tornare  a  Boma  (1).  Al  Mysliweczek  (2),  secondo 
l'Archenholtz,  poco  mancò  toccasse  un  caso  consimile.  Fortuna  per 
lui  ch'era  protetto  dall'arciduca  Ferdinando  ed  il  pubblico  lo  risparmiò, 
ma  l'opera  era  veramente  «  détestable  ». 


'  (1)  L*Archenholts  probabilmente  vuole  piuttosto  aUadere  agli  insucoessi  toc- 
cati dallo  Jomelii  a  Napoli  dopo  il  sao  ritorno  dalla  longa  dimora  a  Stuttgart. 
Da  Roma  appunto  si  era  aUontanato  per  passare  al  serTizio  di  quella  Corte. 

(2)  Giuseppe  Mysliweczek  detto  il  Boemo  (1737-1781),  studiò  sotto  Pescetti 
a  Venezia  e  scrisse  giovanissimo  per  Parma,  indi  per  Napoli,  Roma  e  Monaco. 
La  sua  prodigalità  lo  costrinse  a  sostenere  frequenti  lotte  colla  miseria.  Mori  a 
Roma  e  fa  sepolto  per  cura  del  suo  ailieyo  Barry  in  S.  Lorenzo  in  Lucina.  La 
Gabrielli  diceva  che  nessuno  aveva  mai  scrìtto  meglio  per  la  sua  voce. 


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540 


MKMORU 


Per  il  deeennio  1775-1785  le  testìmoDianze  dei  ?iaggiat 
abbastanza  numerose,  ma  in  fondo  poco  importanti.  Abbi 
Datens  (1730-1812),  ì£énmiires  S\m  txnfogeur  qui  se  repose 
gevoli  per  tanti  altri  riguardi,  un  aneddoto  curioso  su  un  i 
torinese,  il  marchese  di  Priero.  Ad  un  concerto,  cui  assisteva 
e  dove  cantava  la  Gabrielli  e  suonavano  Pugnaui  ed  i  fratelli 
«  un  vallet  de  chambre  entra  avec  une  grande  corbeille  cou 
marquis  leva  la  serviette  et  prit  dans  la  corbeille  une  tabati 
qu*il  donna  à  la  Gabrielli,  une  épée  riche  à  Pugnani,  un  éti 
une  montre  à  Tautre  et  les  renvoya  tous  ausai  satisfkits  ( 
roissoit  Tètre  lui  méme  ». 

Nelle  Letires  cFtm  voyagewr  anglois  (2),  che  sono  dell'irland 
tino  Sherlock  e  sollevarono  grandi  pettegolezzi  per  i  giudiz 
tati,  anzi  le  sciocchezze,  che  vi  si  contengono,  si  trovano  p 
il  d'Ancona,  <  cose  notevoli  ».  Quanto  a  musica  ci  sarebbe 
più  da  rilevare  uno  dei  soliti  paralleli  tra  la  musica  italian 
cese  e  qualche  aneddoto  su  canterine  e  musici  (3). 

Nel  Moore,  View  of  society  and  mcumers  in  Italy  (4), 
oltre  a  molte  considerazioni  sulla  politica  di  Venezia,  raggui 
nuovi,  ma  ben  presentati  sui  teatri  veneziani.  <  On  ne  pai< 
bagatelle  à  la  porte,  ce  qui  donne  le  droit  d'entrer  au  parte 
Fon  a  la  faculté  d'examiner  tout  à  son  aise  et  de  se  décid 
place  que  Ton  veut  occuper.  »  A  teatro  la  gente  per  bene  ' 
più  in  maschera  e  così  anche  le  dame  possono  scendere  in 


(1)  Paris,  1807,  3  voi.  m-8. 

(2)  Ho  ooDsaltato  Tedizione  (anoDiraa)  di  Neafch&tel  1781:  ne  esistono 
altre,  per  cai  consulta  d'Ancona,  1.  e,  p.  687. 

(3)  A  Napoli  «  la  race  des  sirènes  n'est  pas  encore  éteinte:  il  y  a 
de  femmes  qni  cbantent  divinement,  mais  elles  se  changent  qnelqnefois  e 
Ges  métamorphoees  n*arrivent  que  dans  le  pays  magiqae  de  ropóra(!!) 
Sempre  a  Napoli:  <  Un  soprano  Tonait  de  finir  un  air:  et  je  diaois  à 
(che  stara  sedata  accanto  a  lai):  Cet  homme  a  bien  obanté.  Ce  n'ei 
homme,  dit-elle,  c*e8t  un  musico:  il  a  fort  bien  obanté:  c^est  Tamant 
dacbesse  qae  toos  Toyes  là.  —  Est-il  possible?  —  C'est  Trai,  elle  a 
aimé :  maintenant  elle  ne  veat  qae  des  musici*  (p.  66-67). 

(4)  London,  Strabam,  1781.  Ne  conosco  solo  la  tradasione  francese  Et 
godete  et  9ur  ìea  maurs  des  liaUens,  Laosanne,  1782. 


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LA   MUSICA  IN  ITALIA  USL  8BG0L0  XyiII 


54i 


dei  I<Nro  cavalieri  serventi:  i  palchi  sodo  scurif  ma  la  aeena 
ne  illmninaiai,  ecc. 

m  si  fa  più  attenzione  allo  spettacolo  che  a  Venezia  :  certi 
ascoltano  con  molta  devozione.  Il  pubblico  se  ne  sta  a  mani 
ogli  occhi  semichiusi,  trattenendo  il  respiro,  dna  giovinetta 
si  mette  a  gridare  di  mezzo  alla  platea:  Oh  !  Dio,  dove  sona? 
ì  mi  &  morire.  Ad  nna  prima  rappresentazione  un  tale 
rivolto  al  maestro  :  Meriterebbe  d^essere  nominata  maestro 
ila  della  Madonna  e  di  guidare  i  cori  degli  angeli! 
ualche  altro  aneddoto  qua  e  là  d  sarebbe  da  spigolare; 
le  Lettres  atr  Tltalie  del  Dupaty  (1)  nn  giudizio  sul  vio- 
[ardini  (2),  il  cui  violino  «  est  une  voix  ou  en  a  une,  il  a 
es  fibres  de  mon  oreille  qui  n'avaient  jamais  frèmi.  Avec 
nuité  Nardini  divise  Tair!  avec  quelle  adresse  il  exprime  le 
[mtes  les  cordes  de  son  instrument!  avec  quel  art  en  un 
pure  et  travaille  le  son!»   ed  il  giudizio  suir« opera  des 

cui  assiste  a  S.  Ignazio  di  Boma  in  occasione  della  festa 
juigi  Gonzaga.  E  davvero  meritava  il  nome  di  (^ra  pwehè 
roméne,  on  cause,  on  rit,  on  fait  foule  autour  dee  orchestres  ». 
0  sa  quanta  parte  occupi  nella  vita  di  Gtoethe  il  suo  viaggio 

nel  1786-87  e  quanto  perciò  sia  stato  studiato  il  bel  libro, 
K)  di  pensiero,  cosi  pieno  di  profonde  impressioni,  dell'ito- 

Beise  (3).  Di  musica  però  il  Goethe  non  parla  a  lungo, 
enza  il  19  settembre  1786  assiste  alla  rappresentazione  dì 

€  del  cui  libretto  mediocrissimo  formavano  Targomento  tre 
)d  il  loro  rapimento  dal  serraglio.  La  musica  non  era  cattiva, 
ftbilmente  d*un  dilettante.  Non  vi  ho  trovato  nn  motivo  nuovo 
mi  abbia  colpito  ».  Degli  esecutori  gli  piace  solo  la  prima 
nr  la  bella  voce,  la  naturalezza,  la  graziosa  e  piacevole  fisio- 

il  contegno  decentissimo,  per  quanto  trovi  che  le  si  prodighino 


L  DuPATT  (1746-1788),  LeUre$  mar  fltalie  éerUea  en  1786.  Delle  molte 

le  ne  fìuono  Iktte  ho  8ott*oecbio  quella  di  Parigi,  1796. 

ro  Nardini  (1722-1793),  allievo  di  Tartini.  Qaando  lo  sentì  il  Dapaty 

"0  di  cappella  della  corte  granducale. 

tgart  and  Tabingen,  1816,  8*.  La  tradazione  italiana,  molto  mediocre, 

iUa.  Milano,  1877. 


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542  MXMoais 

applausi  esagerati  ed  in  complesso  lo  spettacolo  stanchi,  perchè  dora 
fin  dopo  la  mezzanotte  ed  egli  «  non  vede  l'ora  di  andarsi  a  riposare  >. 

A  Venezia,  ai  Mendicanti,  (lettera  3  ottobre  1786)  il  Goethe  proTÒ 
una  forte  emozione  musicale.  «  Le  ragazze  »,  egli  terive,  «  eseguirono 
un  oratorio  dietro  una  grata:  la  chiesa  era  affoUatissiina  di  persone, 
bella  musica,  stupende  le  voci.  La  parte  di  SauUe,  personaggio  prin- 
cipale del  poemetto,  era  sostenuta  da  un  vecchio.  Non  avevo  idea  di 
una  voce  della  natura  di  quella,  alcuni  passi  della  musica  erano 
bellissimi,  il  testo  adatto  al  canto,  ma  di  una  lingua  mista  fra  il 
latino  e  l'italiano,  che  faceva  proprio  rìdere,  se  non  che  la  musica 
trova  quivi  largo  campo  a  spaziare.  Disturba  però  e  spiace  il  noioso 
battere  del  maestro.  «  Tutto  quel  picchiare  (col  rotolo  di  musica)  di- 
struggeva tutta  l'impressione  della  musica...  ogni  armonia.  Pare  im- 
possibile che  il  maestro,  essendo  musico,  non  lo  senta  e  che  voglia 
rivelare  la  propria  presenza  con  quel  maledetto  fracasso,  mentre  sa- 
rebbe pur  meglio  cercasse  far  conoscere  il  pregio  della  sua  musica 
colla  perfezione  dell'esecuzione.  Sapevo  che  regnava  quest'uso  in 
Francia,  ma  non  credevo  doverlo  trovare  in  Italia,  dove  il  pubblico 
pare  esservi  assuefatto  ». 

Nella  stessa  lettera  il  Goethe  parla  dello  spettacolo  del  S.  Moisò. 
«  La  musica  »,  dice,  <  difettava  di  carattere,  mancava  ai  cantanti 
l'anima,  che  sola  può  sollevare  e  perfezionare  tale  sorta  di  spettacoli. 
Non  si  potea  dire  però  che  nessuna  cosa  fosse  propriamente  cattiva, 
ma  due  donne  soltanto  facevano  il  loro  possibile  se  non  per  cantare 
addirittura  bene,  almeno  per  far  buona  figura  ed  ottenere  applausi. 
Erano  giovani,  belle,  vispe,  dotate  di  buona  voce.  Gli  uomini  per 
contro  avevano  voci  mediocri,  erano  freddi  e  pareva  che  non  si  des- 
sero il  menomo  pensiero  del  pubblico  ». 

A  Boma  (lettera  22  novembre)  a  Santa  Cecilia  udì  <  una  specie 
bella  e  nuova  di  musica.  Nella  stessa  guisa  che  si  eseguiscono  con- 
certi di  violino  e  d'altri  strumenti  si  eseguivano  colà  concerti  di  voci 
in  modo  che  una  voce,  p.  e.,  il  soprano,  era  quella  predominante,  la 
quale  eseguiva  gli  assoli,  accompagnata  di  quando  in  quando  dai 
cori  e  sempre  poi,  come  ben  si  comprende,  dall'orchestra.  L'effetto 
di  quella  musica  era  bellissimo  »  e  gli  piacque  assai  più  dell'opera 
/  Litiganti^  cui  si  recò  alla  sera,  senza  potervisi  trattenere. 


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LA  1CU8ICA  IN  ITALU  NEL  SEGOLO  XTUI 


543 


;e  Andres  (1740-1817),  letterato  spagnolo,  che  ha  lasciato 
eia  luminosa  nella  storia  delle  relazioni  letterarie  tra  Italia 
i  nel  secolo  XYIIT,  permise  che  fossero  stampate  le  lettere 
da  lui  scritte  al  fratello  durante  i  sei  anni  di  permanenza 
.  (17854791).  Dalle  Cartas  familiares  del  abate  D.  Juan 
a  su  Jiermano  D.  Carlos  Andres  dandole  noticia  delviage 
a  varias  ciudades  de  Italia  (1)  stralciamo  qualche  impres- 
isicale. 

9uno  spettacolo»,  scrive  da  Mantova  il  1^  gennaio  1789 
I,  p.  238),  «  ho  potuto  godere  dei  più  celebrati  in  Venezia, 
elio,  per  così  dire,  spirituale,  degli  oratori  nei  Conservatori  ». 
pettacolo  unico  nel  suo  genere,  quale  non  si  vede  in  nes- 
.  città  di  Europa.  «  Oir  cantar  y  aun  cantar  bien  à  una  mu- 
nada  tiene  de  extraordinario,  pero  oir  cantar  tantas  y  por 
ar  todas  bien,  y  mucho  mas  oirlas  y  aun  verlas  tocar  el 
todos  loB  instrumentoH  y  tocarlos  excelentemente,  es  cosa  muy 
inaria  que  no  se  puede  desfrutar  sin  igual  admiracion  y 
a  que  deleyte  y  piacer». 

[res  fu  certo  nei  teatri  più  famosi  della  penisola,  ma  si  con- 
accennare alla  bellezza  della  loro  costruzione  e  specialmente 
ala  e  del  S.  Carlo,  e  non  dice  nulla  degli  spettacoli  cui  gli 


di  tanti  altri  personaggi  celebri  del  secolo  decimottavo,  anche 
mosa  pittrice.  Madame  Yigée-Lebrun  (1755-1842),  si  raffaz- 
le  memorie  in  quel  periodo  di  produzione  artificiale  di  simil 
ii  componimento  tra  lo  storico  e  il  romanzesco,  che  corse 
)  al  1840  alFincirca.  Pur  non  avendo  nei  Souvenirs  (2)  che 
)tto  il  nome  di  M"*«  Yigée-Lebrun  la  genuina  narrazione  delle 
nde  e  le  sue  schiette  impressioni  su  uomini  e  cose,  vi  tro- 
na  certa  veridicità,  che  non  permette  di  trascurarli, 
kta  dalla  rivoluzione,  la  Yigée-Lebrun  emigrò  in  Italia,  come 


Lrìd,  Sancha,  1791-94,  6  yol.  in.l6. 
18,  1835,  2  voi. 


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544  MXBcoaiK 

tanti  altri  fedeli  per  sentimento  o  per  interesse  alla  Corte  borbonica, 
e  si  trattenne  specialmente  a  Boma  ed  a  Napoli.  A  Roma  nel  car- 
nevale del  1791  con  Angelica  Eaufmann  andò  a  sentire  Crescen- 
tini.  «  Son  chant  et  sa  Toix  »,  scrive  Tautore  dei  Sauvenirs^  «  à 
cotte  époqae  avaient  la  memo  perfection:  il  jouait  un  ròle  de 
femme  et  il  était  affiiblé  d'un  grand  panier  comme  on  en  portaìt 
à  la  Conr  de  Versailles.  Ce  qui  nous  fit  beaucoup  rire.  II  &ut 
ajouter  qu'alors  Crescentini  avait  tonte  la  fraìcheur  de  la  jeunesse 
et  quii  jouait  avec  une  grande  expression.  Enfin,  pour  toul  dire, 
il  sttccédait  à  Marchesi  dont  toutes  les  Bomaines  étaient  folles, 
au  point  qu'à  la  demière  représentation  qu'il  donna,  elles  lui  par- 
laient  tout  haut  de  leurs  regrets:  .plusieurs  méme  pleuraient  amè- 
rement,  ce  qui,  pour  bien  du  monde,  devint  un  second  spectacle  ». 

Ebbe  anche  occasione  di  sentire  in  un  concerto  la  famosa  Bantì  (1), 
il  che  a  Parigi,  dove  pure  la  cantante  era  stata  parecchie  volte,  non 
le  era  mai  stato  concesso.  «  Je  ne  sais  pas  pourquoi  »,  dice  la  pit- 
trice, dalle  cui  labbra  certo  Testensore  dei  suoi  souvenirs  raccolse 
dovizia  di  aneddoti,  «je  m'étais  figure  qu'elle  avait  une  taille  prò- 
digieusement  grande.  Elle  était  au  contraire  très  petite  et  fort  laide, 
ayant  une  telle  quantité  de  cheveux  que  son  chignon  ressemblait  à 
une  crinière  de  cheval.  Mais  quelle  voix  !  il  n'en  a  jamais  existé 
de  pareilles  pour  la  force  et  l'étendue:  la  salle,  tonte  grande  qu*elle 
était,  ne  pouvait  la  contenir.  Le  style  de  son  chant,  je  me  le  rappelle, 
était  absolument  le  méme  que  celui  du  fameux  Pacchiarotti,  dont 
M"«  Qrassini  a  été  Télève  ». 

Ed  aggiunge  un  aneddoto  assai  curioso.  «  Cotte  faroeuse  cantatrìce 
était  conformée  d'une  manière  tonte  particulière:  elle  avait  la  poi- 
trine  éle^ée  et  construite  tout  à  fait  comme  un  soufflet:  c'est  ce 
qu'elle  nous  fit  voir  après  le  concert^  lorsque  quelques  damea  et  moi 
furent  passées  avec  elle  dans  un  cabinet:  et  je  pensai  que  cotte 
étrange  organisation  pouvait  expliquer  la  force  et  Tagilité  de  sa 
voix  »  (2).  Possibile,  ma  non  pare  curiosa  la  scena  da  baraccone  di 
carnevale  col  gabinetto  riservato alle  sole  donne? 


(1)  Brigida  Banti-Giorgi,  17591806. 

(2)  Riferisce  anche  il  Fótis  :  «  Apròe  sa  mort  on  oayrit  bod  corps  ponr  connaitre 
la  cause  de  la  pnissance  extraordinaire  de  sa  yoix  et  Ten  crai  pooToir  Patlribiier 
aa  Tolnme  considérable  de  ses  poamons  ». 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NEL  SECOLO  lYlII 


545 


ipoli  la  Vigée-Lebran  laaeiò  pareechi  lavori  del  suo  aggra- 
innello  (1) ,  tra  gli  altri  un  ritratto  di  Paesiello  in  atto  di 
e,  che  si  trova  ora  al  Museo  di  Napoli.  QuelFinvemo  fece 
I  freddo  anche  a  Napoli  e  pittrice  e  modello  si  soffiavano 
ato  sulle  dita.  Si  provò  a  far  fuoco  nello  studio,  ma  «  comme 
upe  bien  plus  en  Italie  d'avoir  de  la  fraicheur  que  de  la 
,  les  cheminées  sont  si  mal  soigoées  que  la  fumèe  noos 
L  Les  yeux  de  Paesiello  en  pleuraient  et  les  miens  aussi:  et 
»n90Ì8  pas  comment  j'ai  pu  finir  ce  portrait  >. 
elio  era  allora  nel  più  bel  momento  della  sua  gloria*  Nel 
Bile  contesse  Scaromoski  la  pittrice  assistette  alla  prima  rap- 
izione  della  Nina  {2y  La  giudica  «  bien  oertainement  un  chef 
,  mais  tei  est  l'effet  de  la  première  impression  ref  uè  que  la 
»  de  Paesiello,  tonte  belle  qu*elle  était,  ne  me  faisait  pas 
de  plaisir  que  celle  de  Dalayrac(3):  il  faut  dire  aussi  que 
ugazon  n*était  pas  là  pour  jouer  Nina  ». 
Yigée-Lebrun  non  trascorse  tutto  il  tempo  dell'emigrazione 
a»  ma  se  ne  allontanò  dopo  tre  anni  per  recarsi  in  Bussia  e 
1  Inghilterra.  Nel  partire  dalla  penisola  si  fermò  ancora  a 
^  dove  coirambasciatrice  di  Spagna  ricorda  essersi  recata  «  au 
e  pour  le  début  d*une  belle  actrice  agée  de  quinze  ans  au 
que  son  chant  et  surtout  son  expression  rendaient  éton- 
(4).  Assistette  anche  «  au  demier  concert  que  donnait  Pac- 
i  (5),  ce  célèbre  chanteur,  modèle  de  la  grande  et  belle  me- 
talienne.  Il  avait  encore  tout  son  talent:  mais  depuis  le  jour 
parie  il  n'a  jamais  chanté  en  public  ».  E  finalmente  ram- 
pure  il  canto  celeste,  angelico  delle  giovanotte  di  uno  dei  fa- 
^ns^vatorì  e  «  plusieurs  beaux  concerta  »  cui   intervenne  a 


r.  BsLLiBRy  Dictionnaire  general  dea  artigtes  de  Vécole  franqaist, 
cantavano  coUMnoomparabile  Celeste  Coltellini,  Luigi  Tasca,  Gustavo 
i,  Giuseppe  Trabalza,  Camillo  Guidi. 

layrac  (1753-1809)  ebbe  gran  voga  a  Parigi  sul  finir  del  secolo  XYIII, 
poco  rimane  delle  sessanta  e  più  opere  che  diede  al  teatro  tra  il  1781  e 
La  sua  mna  è  del  1786. 

•D  mi  ò  riuscito  sapere  di  chi  voglia  parlare  la  Yigée-Lebrun. 
Ì4-1821.  Si  ritirò  appunto  dalVarte  circa  il  1792. 


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546  MiMoan 


Milano,  dove  yi  sono  sempre  «  quelques  fameox  chanteurs  et  qaelqnes 
grandes  cantatrìces  ». 


Il  poeta  drammatico  spagnolo,  D.  Leandro  F.  de  Moratin  (1),  ebbe 
nel  1792  dal  suo  protettore  don  Manuel  Godoy,  poi  principe  della 
Pace,  l'onnipossente  favorito  di  Carlo  IV,  un  lauto  sussidio  per  in- 
traprendere un  lungo  viaggio  a  scopo  d'istruzione.  Dopo  aver  sog- 
giornato per  circa  un  anno  in  Inghilterra,  venne  nell'agosto  del  1793 
in  Italia  e  vi  rimase  fino  al  settembre  del  1796,  prendendo  come 
quartier  generale  Bologna  e  di  là  allontanandosi  frequentemente  per 
compier  viaggi  nelle  diverse  parti  della  penisola. 

Nella  importante  pubblicazione  delle  Obras  postumas  del  Moratin, 
compiuta  per  ordine  e  a  spese  del  governo  spagnolo  (2),  fu  inserita 
la  descrizione  del  suo  Viaje  en  Italia  «  por  el  interes  que  inspiran 
las  descripciones  que  hace  de  todas  las  ciudades  que  recorrió,  de  Ics 
monumentos  de  las  artes  que  fué  encontrando,  las  observaciones  que 
iba  haciende  y  mas  de  una  véz,  por  las  ocurrencias  felices  con  que, 
de  cuando  en  cuando,  alegra  y  ameniza  oste  gènero  de  narracion, 
de  suyo  seco  y  duro  ». 

Tutto  quanto  si  riferisce  al  teatro  piace  al  Moratin,  che  fa  og- 
getto di  studio  speciale  la  drammatica,  ma  si  occupa  anche  del  teatro 
musicale.  Ci  sarà  dunque  utile  spigolare  nel  suo  Viaje  de  Italia 
tanto  più  che  è  forse  dei  molti  viaggiatori  stranieri  che  visitarono 
l'Italia  nel  settecento  uno  dei  meno  conosciuti  (3). 

A  Milano,  che  fu  la  prima  città  da  lui  visitete  in  settembre  1793, 
il  Moratin  ammira  la  Scala,  allora  chiamata  Teatro  Nuovo,  e  ne  dà 
una  lunga  descrizione,  della  quale  ci  contenteremo  di  riportar  pochi 
passi.  <  La  sala  »,  scrive,  <  eccettaati  alcuni   casi  straordinari,  non 


(1)  1760-1828. 

(2)  Obras  pditumaa  de  D.  Leàhdro  F.  di  Moratin,  poblicadai  de  orden  y  & 
expensas  del  Qobiemo  de  S.  M.:  Madrid,  impronta  y  estereotipia  de  M.  Rivade- 
neyra,  1867,  3  yoI. 

(3)  Se  ne  valse  però  assai  largamente  il  Gian,  Torino  nei  ricordi  dei  viaggia^ 
tori  stranieri  (Naova  Antologia,  16  settembre  1898), 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NEL  SEGOLO  XVIII 


547 


luce  che  quella  che  riceve  dal  teatro  medesimo:  il  numero 
nmenti  dell'orchestra  varia  secondo  le  occasioni:  il  giorno 
esistetti  ad  un'opera  bufh  ne  contai  sessanta:  le  decorazioni 
{tesse  che  quelle  di  Madrid,  eseguite  dai  Taddei:  il  cerosi 
7a  di  venti  voci  ed  in  alcune  scene  del  ballo  contai  ottanta 
sul  palco,  però  mi  pare  difficile  da  credere  che  talvolta  siano 
mto,  come  dice  Lalande  nel  suo  Viaggio  d'Italia.  Notai  che 
co  ha  qui  libertà  di  far  ripetere  i  passi  che  gli  piacciono:  non 
)  con  grida  e  schiamazzi  come  gl'Inglesi:  però  non  cessa 
^  finché  Fattore  non  ricomincia  da  capo  ». 
e  ammiratore  di  Bologna  ne  loda  il  culto  per  le  arti  belle 
mente  per  la  musica  che  vi  «  se  cui  ti  va  con  el  mayor  arder  », 
d  in  tutti  gli  spettacoli  sacri  e  profani,  che  si  ripetono  fre- 
ente,  i  musici  primeggiano  «  tanto  per  la  composizione  quanto 
»ecuzione  delle  voci  e  degli  strumenti  ».  L'Accademia  filar- 
n  compone  di  soggetti  di  conosciuta  abilità.  Assistè  ad  una 
che  si  celebrava  annualmente  in  onore  di  S.  Antonio  da 
iella  chiesa  di  S.  Giovanni  in  Monte  e  «  mentre  che  le  mie 
erano  dilettate  dai  suoni  più  deliziosi,  si  offrivano  ai  miei 
grandi  opere  del  Domenichino,  del  Quercino  e  dell'immor- 
aello  ». 

in  Bologna  non  ne  vide  aperti  allora,  perchè  erano  chiusi 
lo  Stato  Pontificio  a  causa  della  rivoluzione  francese,  ma 
e  riportò  gradita  impressione  dal  teatro  Nuovo  (il  Comu- 
le  paragona  a  quello  di  Milano. 

ilogna  in  principio  di  ottobre  1793  si  recò  a  Firenze.  Ivi 
7ola  sentì  Vlnes  de  Castro,  <  cosa  indigna  en  cuanto  al 
B  forse  men  cattiva  quanto  a  musica  (1),  sebbene  ne  taccia. 
mero  vi  erano  <  malisimos  cómicos,  malisimos  cantores  »  : 
B  di  spettacolo  dopo  la  commedia  II  diavolo  maritato  a  Po- 
ava  il  primo  atto  d'un'  opera  buffa,  e  due  sere  dopo  il  se- 
me farsa  in  seguito  alla  rappresentazione  del  Federico  II 
ila. 
soggiorno  fece  il   Moratin  a  Napoli  e  ne  ritrasse  copia  di 


rrancesco  Bianchi  (1752-1811). 


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548  MIMORIS 

osserrazioni,  non  tatto  originali,  ma  sempre  notevoli  (1).  Dopo  aver 
lungamente  parlato  delle  chiese  della  città,  passa  con  una  transi- 
zione «  no  ménos  violenta  que  las  pasadas  »  a  parlar  di  teatri.  Anche 
trascurando  le  minute  descrizioni  che  il  Horatin  fa  di  ogni  teatro, 
troveremo  nelle  sue  pagine  assai  da  spigolare. 

Al  San  Carlo  l'orchestra  è  numerosa  e  buona:  gli  attori  di  solito 
di  molta  abilità  nel  canto,  ma  per  lo  più  di  nessun  valore  nella  de- 
clamazione: non  si  cerchi  in  loro  né  azione,  né  gusto,  né  decoro,  né 
proprietà:  salgono  sulla  scena  per  cantar  tre  o  quattro  pezzi  di  mu- 
sica e  nuiraltro  :  tutto  il  resto  lo  disprezzano  affatto.  I  costumi  sono 
ricchi,  ma  impropri  e  disadatti,  inventati,  si  direbbe,  da  gente  che 
ignora  assolutamente  la  storia  e  la  favola,  non  meno  delle  regole  del 
buon  gusto  e  della  proporzione.  Pennacchi  spropositati,  alti  tanto 
quanto  gli  eroi  che  li  portano.  Giasone  con  brache  di  terzo  pelo  nero, 
calze  di  seta  bianca  e  calzari  greci  ;  Medea  pettinata  all'ultima  moda:  i 
romani  vestiti  come  i  persiani  e  gli  armeni  come  i  russi:  insomma 
niente  a  posto.  Le  nuove  decorazioni  del  pittore  Domenico  Chelli, 
pesanti,  confuse,  cariche  di  colore,  senza  novità  e  senza  gusto:  nel- 
l'opera Oiasone  e  Medea  una  decorazione  rappresentava  una  città 
con  edifizi  gotici  e  tra  essi  un  antico  monastero  di  benedettini  e  cofiH 
via  dicendo. 

Mal  distribuite  le  parti:  «  già  si  sa  »,  aggiunge,  «  che  gli  eroi  e 
i  semidei  del  teatro  italiano  mancano  di  t Cesare,  Pirro,  Ales- 
sandro, Catone,  Teseo,  Ercole,  domatori  di  mostri,  tutti  esprimono  i 
loro  affetti  con  tuono  sottilissimo  od  acuto:  a  questa  ridicolaggine 
se  ne  accompagna  un'altra,  nata  dallo  stesso  principio.  Siccome  non 
tutti  «  los  capones  »  sono  atti  a  disimpegnare  le  prime  parti  ed  é 
cosa  stabilita  che  nessuno  degli  eroi  della  scena  deve  aver  traccia 
di  virilità,  si  ricorre  allo  spediente  di  vestir  le  donne  da  uomini  ed 
esse  rappresentano  quei  grandi  personaggi  il  cui  nome  la  storia  non 
ripete  senza  ammirazione  e  terrore.  Nell'opera  di  Giasone  e  Medea 
teneva  la  parte  dell'intrepido  Argonauta  un  <  capon  »  chiamato  Cor- 
reggi, quella  di  sommo  sacerdote  <  otro  capon  »  chiamato  Falcucci, 


(1)  Queste  pagine  del  Morati n  sono  multo  importanti,  anche  perchè  il  Croce, 
che  non  lo  cita,  è  breyissimo  snlla  stagione  1793-94  del  8.  Carlo. 


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LA   MUSICA   IN   ITALIA    NEL   SECOLO   XTIII 


ME 


vecchio  Età,  re  della  Oolchìde,  la  faceva  la  signora  Anna 

Bernucci  (1).  Nell'opera  intitolata  Elvira  vi  sono  cinque 

lomo:  due   le   facevano  «  los  caponcillos  arriba   citados  », 

la  signora  Davya  e  la  signora  Luisa  Negli,  e   solo  il  te- 

parlava  in  falsetto:  cosicché  dei  feroci  guerrieri  del  dramma 

remo  dire  in  spagnuolo  dal  Moratin,  perchè  anche 

Tespagnol  dans  les  mota  brave  Thonnéteté) 

recian  de  escr y ,  y  otros  anunciaban  en  su  rostro 

s  de  la  prenez  o  los  de  la  menstr j^. 

e  lo  spettacolo  poi,  nota  ancora  il  Moratin,  si  vedono  le 
cupate  da  donnicciole,  bambini,  parrucchieri,  soldati  e  gen- 
e  farebbero  a  pugni  colla  illusione  scenica,  se  siffatti  drammi 
ero  dare:  ed  i  bambini,  scalzi,  giocano  a  nascondersi  sotto 

del  monte  Ida  o  al  piede  delle  colonne  che  sostengono  ì 
►orticati  del  Campidoglio.  Siccome  la  scena  è  grandissima, 
ibra  in  essa  piccino  e  sminuito:  le  stature  colossali  degli 
[lesi  non  sarebbero  proporzionate:  e  che  figura  fanno  Sci- 
Aquileo  con  una  statura  delicata  e  femminile  ed  una  vo- 
;ola  da  gatto  famelico. 

principale  del  San  Carlo  è,  secondo  il  Moratin,  la  sua 
ì:  eccettuate  le  tre  o  quattro  prime  file  di  sedie,  dice  con 
ìsagerazione,  ed  i  palchi  più  prossimi  alla  scena,  negli  altri 

si  ode  che  lo  strepito  dell'orchestra.  D'altronde  il  dramma 
essa  e  la  disattenzione  è  massima:  talvolta,  quando  un  pezzo 
)curano  di  stare  in  silenzio,  interrompendo  il  gioco  o  la  con- 
3,  però  non  si  sente  se  non  da  chi  sta  vicino  alla  scena: 
sio  che  ci  sia,  appena  una  quinta  parte  dell'  uditorio  può 
parole  della  declamazione  o  del  canto.  La  compagnia  di  ballo 


Croce,  cit.,  p.  633.  Le  parti  erano  distribuite  precisamente  cosi:  iSfa- 
ro  Falcucci,  Argo,  Vincenza  Corregfgi,  Oeta,  Anna  Devyc  de  Bernucci, 
resa  Macciorletti,  Caìciope,  Maddalena  Amraonini.  DeWEÌvira,  rappre- 
r  la  prima  Yolta  il  12  gennaio  1794,  la  distribazìone  era  la  seguente: 
oraenico  Mombelli,  Aìmonte,  Ciro  Falcucci,  Osmida^  Vincenzo  Correggi, 
resa  Macciorlettij  Adallano^  Anna  Davja  de  Bernucci,  Ricimen,  Luisa 
nda,  Maddalena  Ammonìni.  Cfr.  Flokìììo^  La  scuola  musicale  di  Na" 
m  conservatori,  voi.  IV,  p.  256-7. 


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Goo? 


550  MBMOBIE 

è  numerosa,  con  dodici  parti  principali,  ventiquattro  figuranti  o  com- 
parse. Parve  al  Moratin  che  ci  fossero,  quanto  alla  danza,  soggetti 
di  abilità,  ma  non  quanto  alla  pantomima.  Nessuno  poteva  compe- 
tere con  quelli  veduti  a  Parigi  né  coi  soggetti  ammirati  a  Madrid, 
la  Pelosini,  la  Favier,  la  Medina,  Vigano,  ecc. 

Due  sole  opere  vide  il  Moratin  al  San  Carlo  nel  carnevale  1793-d4: 
Giasone  e  Medea^  musica  di  Gaetano  Andreozzi,  e  gli  parve  buona; 
Elvira^  musica  di  Paesiello,  che  non  piacque.  Quanto  ai  libretti  erano 
di  autori  «  vergognosi,  che  non  osando  far  stampare  il  loro  nome 
meritano  elogio,  se  non  per  la  loro  abilità,  almeno  per  la  loro  mo- 
destia ».  E  per  dimostrare  la  sconclusionatezza,  le  inconseguenze,  le 
ridicolaggini  loro  e  specialmente  del  libretto  del  Oiasone  e  Medea 
ne  dà  una  lunga  analisi,  piena  di  arguzia. 

Lo  spettacolo  del  San  Carlo  porge  occasione  al  Moratin  di  dare  uno 
sguardo  alle  condizioni  della  musica  nel  Begno  di  Napoli.  Questa 
città  è  «  la  scuola  della  musica  e  tutta  Italia  riconosce  questa  sua 
supremazia  ».  I  viventi  non  son  degeneri  dalle  tradizioni  dei  grandi 
loro  predecessori  Porpora,  Vinci,  Leo,  Scarlatti,  Durante,  Porgo- 
lese,  ecc.,  anzi  si  pubblicano  continuamente  a  Napoli  opere  stimate 
che  fanno  il  giro  dei  teatri  e  manifestano  che  «  en  la  ciudad  de  la 
sirena»,  scrive  il  Moratin  colla  solita  grandiloquenza  castigliana, 
«  se  estudia  todavia  la  encantadora  combinacion  del  tiempo  y  los 
sonidos  ».  Di  tutti  i  maestri  di  cappella  italiani  viventi,  che  compon- 
gono opere  teatrali,  un  terzo  almeno  è  napoletano  e  sono  i  più  noti, 
Cimarosa,  Paesiello,  Tarchi,  Traetta,  Guglielmi,  Andreozzi,  Fioravanti. 
Però  né  Napoli  né  il  rimanente  d'Italia  può  gloriarsi  di  produrre 
poeti  drammatici  il  cui  merito  sia  anche  lontanamente  da  parago- 
narsi a  quello  dei  suoi  maestri. 

Gl'impresari,  continua  il  Moratin,  sono  i  signori  del  teatro  e  si 
procurano  le  opere  nuove  pagandole  a  prezzo  vile  agli  scrittori  af- 
famati, che  si  trovano  a  bizzeffe.  Il  governo  guarda  colla  massima 
indifferenza  questo  ramo  di  coltura,  che  illustra  la  nazione:  il  so- 
vrano stesso,  che  spesso  si  compiace  d'intervenire  ai  primari  teatri 
della  capitale,  non  manifesta  particolar  protezione  per  le  muse:  né 
i  suoi  applausi  né  la  sua  approvazione  a  certi  drammi  dimostrano 
intelligenza  o  buon  gusto.  Sfido!  Era  Ferdinando  lY! 

E,  seguitando  a  ragionar  della  poesia  nelle  sue  relazioni  colla  mn- 


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LA   MUSICA   IN   ITALIA   NEL  SECOLO   XVIII 


551 


[oratin  lamenta  che  ì  drammi  di  Apostolo  Zeno  e  di  Me- 
lano stati  messi  in  disparte,  perchè  la  musica  ormai  tiraii- 
i  poesia,  avvilita  e  schiava,  è  ridotta  ad  una  parte  accessoria 
)r  valore  ed  invece  di  Attilio  BegolOj  Tito  ed  Adriano  non 
più  che  opere  come  il  Giasone.  La  poesia  essendo  ancella 
ùca,  questa  si  abbandona  al  calore  della  fantasia,  che  pre- 
novità alla  sincerità,  il  meraviglioso  al  verisimile  e  a  forza 
I  e  studio  produce  mostri. 

lamazione  teatrale,  dicono  gl'Italiani,  ha  da  esser  soggetta 
ca  e  citano  gli  esempi  degli  antichi:  ma  in  pratica  li  di- 
)  tali  esempi  e  la  loro  musica,  piena  di  varietà,  di  pompa, 
applicata  al  teatro^  è  una  collezione  brillante  di  inconse- 
stramberie.  Tanto  nel  genere  comico  quanto  nelFeroico  tutti 
i  della  musica  sembrano  diretti  a  distruggere  T  illusione 
[^uel  recitativo  monotono  e  fastidioso,  quei  preludi  strumen- 
infrenano  e  ritardano  il  progresso  dell'azione  nelle  sìtua- 
agitate,  quella  lentezza  con  cui  il  canto  esprìme  gli  affetti 
ìnti,  quelle  ripetizioni  fuori  di  luogo,  cui  appunta  tutti  i 
la  musica  insistendo  mille  volte  su  di  una  stessa  idea,  dando 
i  distinte  e  contrarie  tra  loro  ad  un  medesimo  affetto,  am- 
ando concettini,  trilli  e  picchiettature,  invece  di  esprimere 
ita  e  vigore  le  agitazioni  dell'animo,  vengono  presto  a  noia, 
porta  che  vi  sia  varietà,  novità,  arditezza,  invenzione  in 
iggi,  se  non  vi  è  traccia  di  verisimiglianza:  se  il  musico 
le  fatiche  del  poeta:  se  tutta  la  illusione  teatrale  sparisce 
ieir  orchestra  e  questa  rende  inutili  gì' incantesimi  della 
Ei  e  dell'illuminazione,  la  bellezza  dei  costumi  e  dell'appa- 
co,  la  declamazione,  la  parola,  lo  stile,  quanto  insomma 
uto  produrre  le  arti  più  seduttrici  per  render  verisimile 
)  drammatica?  Verrà  il  giorno  in  cui  taluno  di  quei 
mìni  che  il  mondo  produce  di  quando  in  quando,  prescin- 
costume,  dagli  esempi,  dai  principi  stabiliti,  saprà  dar  alla 
I  nuovo  carattere  e  riconciliarla  colla  naturalezza  da  cui 
>arta:  però  quando  verrà  questo  giorno?  La  corruzione  go- 
le arti  non  dà  a  credere  che  potrà  venir  tanto  presto. 
)e  considerazioni  assai  assennate  e  che  dinotano  nel  Mo 
:a  sicurezza  e  bontà  di  gusto  e  di  giudizio  tengon   dietro 


i  muBicaU  italianu.  Vili. 


37 


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Gq( 


662  MXMORIB 

ancora  alcuni  cenni  stigli  altri  teatri  di  Napoli:  i  Fiorentini  ed  il 
teatro  Nuovo,  dove,  eccetto  il  martedì  e  venerdì  destinati  alla  com- 
media, si  danno  con  buona  orchestra  e  mediocri  cantanti  opere  buffe; 
il  Fondo  oon  una  sola  compagnia  bufik  e  buona  musica  strumen- 
tale, il  San  Ferdinando  invece  con  compagnia  bufla  e  comica  al- 
temantisi,  ma  <  ambas  malas  ».  Ai  Fiorentini  il  Moratin  sentì  Le 
no$0e  inaspettate  ed  il  Matrimonio  segreto,  della  quale  dà  questo 
strano  giudizio:  «  quantunque  molto  difettosa  è  la  meno  peggio  di 
quante  ho  vedute  a  Napoli  »,  ma  riferendosi  forse  piuttosto  all'in- 
treccio che  alla  musica;  al  teatro  Nuovo  Le  no$»e  in  garhugtio 
€  muy  mala  »  ;  al  Fondo  Le  donne  dispettose  e  L'tmdaeia  fortunata; 
al  San  Ferdinando  La  donna  trappoUera  {!). 

La  composizione  drammatica  delle  opere  buffe  è  la  più  sciocca 
che  si  possa  immi^nare:  tutto  il  merito  sta  nella  musica.  Questo 
genere  di  componimento  meriterebbe  di  esser  esaminato  lungamente^ 
ma  chi  non  lo  conosce  anche  in  Spagna?  11  maestro  e  gli  attori 
fanno  del  libretto  quanto  loro  pare  e  piace:  allungando,  accorciando, 
alterando  i  singoli  pezzi,  collocando  nel  primo  atto  le  scene  delFul- 
timo  e  sfigurandole  in  modo  che  il  tristo  autore  non  ci  si  raccapez- 
zerebbe più:  il  peggio  è  che  tali  drammi  non  perdono  nulla  a  tali 
operazioni,  tanto  son  cattivi.  Altre  volte  (e  questo  succede  anche  per 
le  opere  eroiche)  si  dà  solo  il  primo  atto,  e  si  rappresenta  il  secondo 
otto  0  dieci  giorni  di  poi,  oppure,  se  c'è  qualche  gran  personaggio 
da  contentare,  il  terzo  o  secondo  atto  innanzi  al  primo.  Cosicché 
tante  volte  si  vede  ardere  a  Cartagine  e  distrugger  dalle  fiamme 
Didone,  col  petto  attraversato  dalla  fatai  spada  di  Enea  e  poco  dopo 
compare  la  medesima  Didone  sana  e  fresca  a  udir  rambascfata  di 
Jarba  e  ad  accoglier  il  figlio  d'Anchise. 

11  5  marzo  1794  il  Moratin,  che  era  stato  iscritto  tra  gli  arcadi 
col  nome  di  Inarco  Celenio  (2),  lasciava  Napoli  e  si  recava  a  Boma: 


(1)  Le  noBBe  inaspettate,  libretto  di  anonimo,  musicato  da  Gaetano  Asdreoul 
Le  noBBe  in  garbuglio,  libretto  di  G.  M.  D.,  moaicato  da  Giacomo  Trìtto.  Xe 
donne  dispettose,  libretto  di  Giuseppe  Palomba,  musica  di  Gabriele  Prota.  L'alt- 
dacia  fortunata  di  Valentino  Fioravanti  sa  libretto  anonimo.  Le  donne  troppo 
liere  di  Domenico  Cercià,  pare  sa  libretto  anonimo. 

(2)  Col   nome  arcadico    firmò   parecchie   lettere  indirizzate  allora  air  amico 


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LA   MUSICA   IN  ITALIA  NKL  SECOLO  XVIII  553 

liiusi,  come  nel  rimanente  dello  Stato  Pontificio  i  teatri, 
Lscurando  le  argute  osservazioni  del  nostro  sui  costumi  ro- 
liamo  senz'altro  con  lui  a  Firenze,  ove  giunse  in  fin  di 

ba  città  sentì,  al  teatro  Nuovo,  Yldmneneo  coirAndreozzi, 
ìrgola  la  Vedova  raggiratrice  colla  Benini,  cantanti  tutt'e 
)nosciute  a  Madrid,  il  che  non  toglie  che  il  Moratin  trovi 
idare  in  tali  spettacoli.  Da  Firenze  il  Moratin  tornò  al  suo 
onerale,  Bologna,  ove  passò  la  primavera  «  a  veder  pro- 
l  udir  litanie  ».  Questi  furono  gli  unici  spettacoli  cui  as- 
>  ad  alcuni  oratori  in  musica,  ove  vide  una  Maddalena, 
fli  parve  Maddalena  penitente,  pettinata  à  la  dernièrey 
L,  con  gran  falbalà,  un  San  Pietro  «  capon,  muy  estirado 
in  »  ed  un  San  Giovanni  Evangelista  che  non  cessava  di 
bacco,  mentre  Giuseppe  d'Arimatea  piangeva  la  morte  del 

0  settembre  del  1794  il  nostro  Moratin  si  allontanò  da 
lirigendosi  per  Ferrara,  Verona,  Vicenza  e  Padova  a  Ve- 
enezia,  come  risulta  da  certe  note  sparse  che  furono  pub- 
appendice  al  Viaje  (1),  frequentò  assai  i  teatri.  Il  S.  Moisè 
assai  piccolo,  ma  abbastanza  elegante:  concorso  brillante, 
ton  riccamente  adornati,  i  palchi.  I  cantanti  erano  abba- 
5ni.  La  Villeneuve  aveva  voce  delicata  e  grata,  azione 
decoro  e  bella  presenza.  Si  rappresentava  il  Matrimonio 

Q  Benedetto  »,  dice  altrove  il  Moratin,  «  è  più  grande  del 


n tonfo  Melon,  pubblicate  in  appendice  al  Viaje  d'Italia  nel  2°  Yolurae 
pósiumas.  Non  pare  tenesse  in  gran  conto  la  dignità  arcadica,  perchè 
di  queste  lettere  aggiunge  sotto  la  firma  :  «  Se  vqoÌ  ottenere  uguale 
lami  tre  duros  » . 
r  póitumas,  voi.  II,  p.  31  e  seg. 

lÉL  nel  diligentissimo  catalogo  parecchie  volte  citato  non  riferisce  il 
Villeneuve  alla  data  1794.  È  vero  però  che  per  le  opere  date  al 
irautunno  di  quell'anno:  La  bella  pescairiee  di  Guglielmi,  e  Za  ca- 
ivvéduta  di  F.  Bianchi,  i  libretti  non  danno  i  nomi  degli  artisti.  Manca 
!  del  Matrimonio  segreto  a  tal  data  nel  Wiel. 


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554  MEMORIE 

San  Moisò  ed  è  il  primo  che  ho  vedato  a  Venezia  di  forma  regolare, 
quasi  ad  elisse,  troncata  dalla  bocca  d*opera.  Buona  orchestra»  molta 
pompa  e  non  cattivo  gusto  nei  vestiari  e  nelle  decorazioni...  L'opera 
buffa  La  principessa  filosofa  (1)  era  una  cattiva  imitazione  del  Desden 
con  el  Desden  (2),  ridotte  a  duetti  e  quintetti  le  scene  principali  della 
commedia  spagnola.  I  partigiani  della  musica  moderna  vedano  se  c'è 
più  verisimiglianza  e  naturalezza  nelle  parti  della  Principessa  e  del 
suo  amante  poste  in  solfa  e  se  tutti  i  gorgheggi  ed  i  trilli  armo- 
nici (con  cui  si  falsa  la  verità  e  forza  dell'arte)  sono  da  paragonarsi 
con  una  buona  rappresentazione  che,  esprimendo  quali  sono  gli  affetti 
dell'anima,  imiti  la  naturalezza  senza  sfigurarla  e  produca  il  piacere 
del  riso  o  la  dolce  malinconia  del  pianto.  Teneva  la  prima  -psLvbe 
l'Andreozzi,  conosciuta  già  per  la  sua  voce  di  flauto  e  la  sua  fred- 
dezza boreale:  gli  altri  cantanti  valevano  ben  poco  ». 

Sentì  pure  al  San  Benedetto  l'opera  buffa  Oro  non  compra 
amore  (3)  colla  Gasparjni,  di  cui  loda  la  buona  voce,  la  grazia  e 
l'intelligenza  del  teatro:  essa  ed  il  buffo  erano  nuovi  e  furono  griu- 
stamente  applauditi.  Alla  Fenice  finalmente,  di  cui  loda  la  comodità 
e  l'eleganza,  assistette  alla  rappresentazione  deìY Achille  in  Saro  (4) 
con  Marchesi,  «  molto  applaudito  quantunque  cantasse  meno  bene 
del  solito  »,  con  Cari,  primo  tenore,  che  «  sarebbe  buono  se  gli  anni 
e  la  pinguedine  non  gli  mozzassero  i  mezzi,  salvo  nei  recitativi  molto 
ben  detti  »,  «  cosa  mala  »  gli  parvero  «  el  segundo  caponcillo  »,  la 


{!)  La  principessa  filosofa  o  siati  controveleno,  comedia  «  ridotta  ad  oso  me- 
lodrammatico »  in  2  atti,  poesia  di  anonimo,  masica  di  Gaetano  Àndreozzi,  ebl^ 
per  esecatorì  Pietro  Verni,  Annetta  Àndreozzi,  Teresa  Benvenati,  Silyestro  Oor> 
radini,  Giuseppe  Zorelli,  Camillo  Baglioni,  Andrea  Verni. 

(2)  Di  Agostino  Moreto  y  Cavana  (1618-1659).  Ne  dà  an  santo  lo  Scbaeffer, 
Geschichte  des  Spanischer  dramas,  II,  p.  156-158. 

(3)  Oro  non  compra  amore  o  sia  il  barone  di  Mowbianca,  dramma  gioooeo 
per  musica  in  2  atti,  poesia  d'ignoto,  musica  di  Laigi  Garoso,  ebbe  per  esecu- 
tori Andrea  Verni,  Teresa  Benvenuti,  Giulia  Gasparìni,  Marianna  Gafferinl, 
Camilla  Baglioni,  Stefano  Mandini,  Silvestro  Corradini,  Giuseppe  Zorelli,  Pietro 
Verni. 

(4)  Dramma  di  Metastasio,  musica  di  Marcello  da  Capua.' Oltre  Marchesi»  U 
Casentini  ed  il  Carri,  lo  eseguivano  Francesco  Tozzi,  Angelo  Monanni  detto  Man- 
zoletto  e  el  segundo  caponcillo  »,  Carlo  Borsari,  Rosa  Morra. 


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LA  MUSICA   IN   ITALIA   NEL  SECOLO  XYIU  555 

donna,  la  Casentini,  e  tutti  gli  altri.  Ciò  non  ostante  la  Casentini  per- 
cepiva qaattrocento  zecchini  per  la  stagione:  Marchesi  solo  trecento, 
ma  in  più  la  casa  e  la  gondola. 

Tornando  a  Bologna,  il  Moratin  ebbe  una  gradita  sorpresa.  S'era 
tolto  il  divieto  dei  teatri,  poiché  ormai  s'era  fatto  il  callo  alle  no- 
tizie di  Francia,  e  così  il  nostro  spagnolo  potè  anche  veder  animate 
di  pubblico  plaudente  quelle  sale,  che  s'era  dovuto  contentar  di  visi- 
tare a  lumi  spenti.  Delle  commedie  udite  dà  i  soliti  sunti  diligenti, 
ma  non  tace  delle  opere. 

Al  teatro  Nuovo  (ora  Comunale)  udì  VApeUe  e  Ccm^paspe  di  Zin- 
garelli,  «spettacolo  di  grande  apparato  e  ricchezza:  in  orcheska  ses- 
santa strumenti  :  alcune  scene  dipinte  a  Bologna  di  merito  sufficiente, 
mal  maneggiate  però,  come  è  solito  in  Italia.  Cantò  Crescentini,  ri- 
putato «  el  major  cantor  capòn  »  dopo  Marchesi.  Pessimo  —  il  giu- 
dizio è  sempre  quello  —  il  libretto:  buona  la  musica. 

Nel  teatro  Casali  (o  Zagnoni),  (l'antico  Formagliari)  si  davano  opere 
buffe,  tutte  «  muy  malas  »,  s'intende  nel  libretto,  ma  sostenute  dalla 
bontà  della  musica,  come  II  fanatico  in  berlina  (di  Paesiello),  1 
due  baroni  di  Bocca  Azzurra^  Il  marchese  Tulipano^  La  moglie 
corretta^  ecc. 

Colla  primavera  il  Moratin  se  ne  partì  di  nuovo  per  un  altro  giro 
in  Italia.  Per  Piacenza  se  ne  fu  a  Genova,  dove  non  ricorda  in  oc- 
casione di  non  so  più  qual  processione  che  varì  cori  di  bambini,  che 
cantavano,  con  voce  stridula,  vari  mottetti;  e  da  Genova  venne  a 
Torino.  Qui  a  causa  della  guerra  colla  Francia  non  c'erano  teatri 
d'opera  aperti:  «  el  són  de  Marte  habia  hecho  enmudecer  &  las  timidas 
musas  »,  il  suono  di  Marte  aveva  fatto  ammutolire  le  timide  muse. 
Visitò  ciononostante  il  teatro  Regio,  di  cui  loda  il  fabbricato,  e  le  cure 
usate  nelle  minime  cose  dalla  Società  dei  Cavalieri,  allora  assuntrice 
dell'impresa.  Basti  dire  «  che  nella  sala  della  Direzione  vi  è  un 
grande  armadio,  che  durante  le  opere  è  provvisto  di  tutto  il  neces- 
sario per  le  cadute,  svenimenti,  emicranie,  convulsioni,  soffocazioni 
ed  altre  disgrazie  inopinate  cui  vanno  soggette  le  Berenici,  Armide, 
Porcie  e  Pantasilee  che  gorgheggiano  e  saltano  ».  Da  Torino  per 
Milano  e  Mantova  se  ne  tornò  a  Bologna,  donde  un'altra  volta  ripartì 
nell'ottobre  1795  diretto  a  Firenze. 

Ivi  vide  alla  Pergola  Elena  e  Paride  «  opera  molto  cattiva,  com- 


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566  MiMoaiB 

posta  di  peizi  di  manca  di  vari  aotorì  e  molto  malo  esegeta  »  ed 
al  Cocomero,  al  solito,  qoalehe  atto  di  opera  buffa,  come  brsa  dopo 
la  rappreseatazione  della  commedia.  I  comici  erano  molto  cattivi  e 
peggiori  quelli  che  cantavano. 

À  Roma,  dove  sì  trovò  nel  carnevale  del  1796,  essendo  gli  spet- 
tacoli nuovamente  permessi,  sal?o  per  le  tragedie  assolutamente  proi- 
bite, potè  andar  al  teatro.  E  la  scelta  l'aveva,  poiché  dopo  parecchi 
anni  di  carestia  si  apriron  circa  dodici  teatri. 

Al  Ter  di  Nona  c'era  opera  buffa  con  intermezzi  danzanti.  Vi 
sentì  la  Sposa  polaeea  «  con  tutti  i  difetti  e  le  nullità  di  tale  stile 
(s'intende,  drammatico):  se  non  era  composizione  del  celebre  poeto 
melodrammatico  Palomba,  mentova  di  esserlo  >:  quanto  alla  musica 
«  v'erano  molto  buoni  pezzi,  ma  molto  male  eseguiti;  orchestra  nu- 
merosa e  ben  diretto  ».  Facevan  da  donne,  secondo  l'uso  cestente  dei 
teatri  di  Boma,  <  dos  caponcillos,  desgarbados  y  sin  voi  »  e  gli  altri 
attori  valevano  poco.  <  È  una  singolarità  dei  teatri  di  Boma  »,  ag- 
giunge il  Moratin,  <  vedere  quei  inascalzoni  ballare,  cantere  o  recitare, 
&cendo  le  parti  di  dame  delicate,  di  pastorelle,  di  ninfe  o  divinità: 
la  modestia  ecclesiastica  non  permetto  che  il  bel  sesso  trionfi  sulla 
scena  colle  sue  grazie  seduttrici,  e  come  nel  restonte  d'Itolia  si  ve> 
dono  Cesari  e  Pini  e  Alcidi  eunuchi,  a  Boma  si  vedono  attrici  la 
cui  voce  farebbe  scomparire  un  coro  di  benedettini  e  la  cui  barba  e 
le  cui  mosse  tradiscono  la  virilità  ». 

All'Argentina  v'era  opera  seria  e  ballo.  L'opera  era  intitolato:  Il 
iriùHfo  di  Arbaee:  ma  «  chi  sia  quest'Arbace  »,  scrive  argutemente 
il  Moratin,  «  nò  di  chi  trionfi,  né  perché  lo  incatonino,  né  perché  sale 
sul  teatro,  nessuno  lo  può  capire  ».  Primo  «  capon  »  era  Andrea 
Martini,  chiamato  comunemento  il  Senesino,  inferiore,  a  giudizio  del 
Moratin,  non  solo  a  Marchesi,  ma  anche  a  Grescentini.  «  Ha  buona 
presenza  >,  aggiunge,  «  poca  voce,  sebbene  grato  all'orecchio  :  canto 
con  regola  e  gusto:  però  gli  manca  azione,  gesto  e  sentimento:  in 
una  sala  privata  il  suo  canto  deve  fare  maggiore  effetto  ».  Quanto 
agli  altri  due  <  caponcillos  »  che  facevano  da  donna  «  eran  cosa 
muy  mala  ». 

Al  Valle  commedie  con  intermezzo  di  opera  buffa.  Si  dava  1  ne- 
mici generosi  «  con  bella  musica,  allegra,  espressiva,  feconda,  rapida, 
piena  di  grazia,  come  Cimarosa  le  sa  fare  ».  Tra  gli  attori,  il  buffo 


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LA   MUSICA   IN  ITALIA  NEL  SECOLO  XVIII 


557 


aveva  bella  voce,  buono  stile,  grazia  e  moderazione  nei  gesti. 
Don  ?aleyan  gran  cosa,  se  se  ne  eccettua  €  un  caponcillo  » 
voce  cfaiara  ed  aggradevole,  vestito  da  donna,  assai  buono  e 
i  produrre  qualche  illusione. 

al  Capranica  l'opera  buffa  serviva  dì  intermezzo  alla  com- 
Pessimi  i  comici  con  gesti,  voci,  mosse  <  descompasados  y 
:  tra  i  cantanti  invece  alcuni  erano  abbastanza  buoni.  L'opera 
olata  La  cantatrice  bÌMMarra:  al  solito  il  libretto  è  <  cosa 
i  »,  la  musica  contiene  alcuni  buoni  pezzi, 
latro  della  Pallacorda,  uno  dei  più  piccoli  dì  Boma,  che  pa- 
bulo, si  davan  pure,  alternate,  commedie  ed  opere  buffe,  senza 
s  >,  ma  cantanti  pessimi,  che  stroppiavano  la  musica  eccel- 
ò  talvolta  capitava  nelle  loro  mani.  In  un  teatro  posticcio 
(tradicciola  presso  il  ponte  Sant'Angelo  assistè  anche  il  Mo- 
a  curiosa  rappresentazione  di  una  dì  quelle  farse  che  pren* 
ne  di  Carro  o  Contrasto  della  GHucUata  e  ne  dà  una  vivace 
ne. 

>ndo  quanto  mi  fu  riferito  —  narra  il  Moratin  —  le  si  dà  il 
CSorro,  perchè  anticamente  queste  compagnie  di  comici,  anzi 
lantes  »,  giravano  i  paesi  circonvicini  su  di  un  carro,  sul 
citavano  e  cantavano.  E  si  chiamano  anche  Contrasto  della 
I  perchè  vi  figurano  sempre  un  paio  di  giudei  con  caratteri 
ridicoli.  Nel  rozzo  teatro  ch'io  vidi  in  una  stradicciola  presso 
Sant'Angelo  non  v'era  nulla  che  non  fosse  conforme  al  su* 
ficìo:  attori,  &rse,  balli,  vestiari,  decorazioni,  musica,  illu- 
e,  uditorio.  Appena  ebbe  terminata  la  sua  sinfonia  quella 
on  oso  chiamar  orchestra,  comparve  un  personaggio  ridicolo, 
(tito  di  nero,  caricato  di  un  gran  mandolino:  si  sedette  su 
eggìola  ad  un  lato  del  palco,  si  alzò  lo  sconnesso  telone  e 
principio  al  dramma,  cantato  tutto  con  accompagnamento  di 
10,  eccettuata  la  parte  dell'amoroso,  che  recitava  in  prosa 
riposo  al  musico  o  corifeo.  I  versi  erano  di  dieci,  undici, 
illabe  e  anche  più,  secondo  che  era  frullato  all'autore:  il 
più  strano  ed  infernale  che  sì  possa  udire,  mi  ricordava 
3lle  nutrici  quando  cantano  :  «  Duermete,  nino  de  cuna,  que 
is  tienes  la  luna  y  à  la  cabacera  el  sol  ».  Tutta  la  grazia 
maledetto  canto  consìsteva  nel  tirar  fuori  la  voce  con  tutta 


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Goi 


558  MEMORIE 

la  forza  possibile  dei  polmoni  ed  allargare  le  sillabe  finali  dei  versi. 
Bisognava  vedere  come  sudavano  quei  barbari  per  accattare,  a  furia 
di  urli,  gli  applausi  del  rozzo  uditorio.  L'azione  ed  il  gesto  andavao 
d'accordo  colla  musica  in  delicatezza  e  perfezione.  La  commedia  si 
intitolava  II  Tiranno  punito  dal  Cielo,  Lo  strepito  delFassemblea, 
il  tanfo  di  sudore,  di  sego,  di  vino,  degli  aliti  pestilenziali  non  si 
possono  descrivere:  è  necessario  veder  questo  spettacolo  per  formarsi 
un'idea  dei  divertimenti  del  volgo  di^Roma  e  di  quel  ch'è  tal  volgo. 
Nonostante,  mi  rallegro  di  averci  speso  tre  ore,  poiché,  avendo  ve- 
duto rappresentare  la  Ifigenia  a  Parigi  e  a  Boma  il  Contrasto  deOa 
Giudiata,  credo  di  aver  visto  il  migliore  ed  il  peggiore  spettacolo 
drammatico  di  Europa  ». 

A  Bologna  finalmente,  dove  si  trovò  nella  quaresima  del  1796,  il 
Moratin  ebbe  ancora  ad  ammirare  la  Bertinotti  <  una  de  las  buenas 
cantatrices  de  Italia  »,  di  cui  loda  la  voce  delicata,  il  sentimento  e 
la  conoscenza  del  teatro:  poco  dopo  la  Billington  «reputada  porla 
mejor  que  boy  se  conoce  »,  e  ne  dà  il  seguente  giudizio:  «Aduna  gran 
conoscenza  della  musica  unisce  la  voce  più  grata,  le  inflessioni  più  soavi 
che  si  possano  udire  ed  eseguisce  i  passi  più  difficili  con  una  franchezza 
e  facilità  che  sorprendono  :  si  aggiunga  a  questo  una  bella  presenza, 
molto  decoro  e  compostezza.  Si  desidererebbe  però  qualche  maggior 
conoscenza  e  pratica  della  scena,  vivacità  ed  espressione  nelle  sue 
mosse,  che  in  generale  sono  fredde  o  sbagliate  o  insignificanti.  Cantò 
con  lei  Mom belli,  tenore  di  merito  conosciuto.  L'opera  era  la  Merope(\): 
la  musica  è  del  gusto  che  ha  regnato  molti  anni  fa  ». 

L'il  settembre  del  1796,  lasciata  Bologna,  D.  Leandro  F.  de  Mo- 
ratin se  ne  ritornava  in  Spagna,  e^  come  appare  dalle  sue  lettere, 
serbava  per  tutta  la  vita  profonda  impressione  artistica  e  gradito 
ricordo  del  suo  lungo  soggiorno  tra  noi. 

Col  Moratin  siamo  giunti  quasi  al  termine  di  quel  secolo  deci- 
mottavo,  che  ha  tanta  importanza  nella  storia  della  musica  italiana. 
Dopo  di  lui  altri  molti  viaggiatori  stranieri  visitarono  la  nostra  pe- 
nisola, e  lasciarono  descrizioni  e  ricordi  de'  loro  viaggi  :  ma,  quanto 


(1)  Di  Sebastiano  Nasolini  (1768-1810?)  piacentino. 


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LA  MUSICA  IN  ITALIA  NEL  SECOLO  XTIII  559 

più  ci  avviciniamo  a'  tempi  nostri,  tanto  più  —  salve  parecchie  lode- 
voli eccezioni  —  ne  scema  il  valore. 

Terminerò  dunque  coll'arguto  drammaturgo  spagnnolo  questa  rapida 
ed  incompleta  rassegna,  augurandomi  di  aver  portato  un  contributo 
utile,  per  quanto  piccolo  assai,  alla  storia  della  musica  italiana. 
Possa  il  felice  risveglio  di  questi  studi  fra  noi  esserci  fonte  di  una 
più  giusta  e  più  serena  estimazione  delle  nostre  glorie  passate! 

Giuseppe  Boberti. 


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Genesi  della  IQusica. 

(Continnaz.,  V.  voi.  VII,  fMC.  3*,  pag.  461,  anno  1900) 


Capo  XIII. 
Del  ritmo  in  genere. 

Determinato  il  valore  dei  movimenti  sonori,  analizzate  le  diverse 
serie  delle  vibrazioni  costitative  del  saono  che  si  compiono  in  un 
dato  tempo,  e  dimostrata  la  diversa  forza  e  i  diversi  gradi  dei  me- 
desimi nel  tempo  forte  e  debole,  resta  a  vedersi  come  si  possano,  per 
mezzo  della  sintesi,  riunire  assieme  questi  elementi  per  comporre  e 
formare  razionalmente  una  melodia  musicale. 

La  melodia  è  un'  ordinata  disposizione  de'  movimenti  successivi 
dei  suoni,  ma  di  quei  suoni  gradevoli  detti  appunto  musicali,  per- 
chè la  melodia  ha  per  scopo  la  dilettazione  del  sentimento.  Però 
nell'insegnamento  di  essa,  perchè  possa  dirsi  razionale,  è  necessario 
di  partire  dal  semplice  e  da  questo  andare  al  composto.  Essendo 
pertanto  il  suono  composto  di  varie  serie  di  vibrazioni,  non  saremmo 
fedeli  al  sistema  sintetico,  se  non  si  imitassero  i  semplici  movimenti 
delle  vibrazioni  con  quelli  del  suono. 

La  sintesi  ordinata  e  simmetrica  dei  semplici  movimenti  che  col- 
piscono l'udito  è  ciò  che  dicesi  ritmo.  U  fenomeno  suono  è  avvertito 
dall'udito  nel  suo  assieme,  e  allorquando  si  distingue  la  proporzione 
e  la  simmetrìa  dei  semplici  movimenti  vibratori  nei  loro  rapporti 
e  nelle  loro  proporzioni  il  senso  ne  resta  soddisfatto  e  il  suono  di- 
cesi piacevole.  È  solo  coll'intuìzione  e  col  raziocinio  che  il  musicista, 
imitando  questi   semplici  movimenti  nei  loro   rapporti  e  nelle  loro 


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OBNBSI  DILLA  MUSICA  561 

proporzioni  coi  movimenti  di  un  suono  giunge  alla  composizione  del 
ritano;  e  questo  lavoro  imitante  la  natura  è  lavoro  artistico. 

Qui  noi  dovremo  considerare  i  movimenti  del  suono  quali  sem- 
plici movimenti,  astraendo,  come  fa  l'acustico,  dal  suono  piacevole 
ed  armonioso,  imperocché  è  sotto  quest'aspetto  che  va  considerato 
il  ritmo. 

Il  ritmo  è  perciò  di  varie  specie  :  se  riguarda  solamente  la  durata 
dei  diversi  movimenti,  non  considerando  le  altre  qualità  del  suono, 
la  forza  cioè  ed  il  grado  di  gravità  ed  acutezza,  dicesi  ritmo  quan- 
tiiativo.  Questo  si  può  esprimere  in  due  modi,  indicando  il  distacco 
dei  movimenti  colla  sola  multiplicità  e  varietà  delle  note,  ovvero 
coll*aggiunta  delle  varie  pause.  Nel  primo  caso  gl'intervalli  tra  una 
nota  e  l'altra  sono  eguali  e  diversa  è  la  durata  dei  movimenti,  come: 

Fig.  88». 

«rr"=ftm'r=rd;f= 

nel  secondo  caso  è  uguale  la  durata  del  suono  e  sono  diversi  gl'in- 
tervalli rappresentati  dalle  pause,  come: 

Pig.  U\  


Il  ritmo  dicesi  intensivo  quando  i  movimenti  e  glMntervalIi  sono  di 
eguale  valore,  ma  espressi  con  diversa  forza,  usando  segni  speciali 
per  esprimerla,  come: 

Fig.  35». 

Il  ritmo  graduale  è  quello  che  riguarda  i  varii  gradi  dal  suono;  se 
questi  gradi  sono  ordinati  in  conformità  degli  sperimenti,  o  sopra  di 
una  scala  maggiore  o  minore  od  anche  cromatica,  il  ritmo  si  dirà 
armonico  ossia  musicale;  se  tali  gradi  non  sono  ordinati  ma  liberi 
come  quelli  proprii  della  favella,  in  tal  caso  si  diranno  enarmonici  (l). 


(1)  I  musicisti  distinguono  lo  stUa  mnsicale  in  armonicù  ed  in  enarmonko. 
Sebbene  non  siano  concordi  nel  definire  qaest*aUimo,  io  credo  che  debbasi  rite- 
nere per  enarmonico  quello  in  contraddizione  coirarmonico,  come  appunto  indica 


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562 


MEMORIE 


I  gradi  del  saono,  quando  sono  ordinati,  assumono  per  ciò  stesso 
diverso  grado  d'importanza,  poiché  ordine  importa  sempre  diversità. 
Nelle  scale  armoniche  i  suoni  prendono  il  loro  posto  nel  tempo  o 
nella  battuta,  come  si  è  visto;  e  quindi  ad  alcuni  spetta  il  tempo 
forte,  e  ad  altri  il  debole,  secondo  la  naturale  loro  proprietà.  Per 
esempio  nella  fig.  33*  si  vede  qual  posto  prendono  nel  tempo  le  varie 

Pig.  36'. 


T=rrf^T\UJ^  rnnc  fH^^ 


T^jrfTffffì^^r^^^  rlT3  r  r^  f  r  f  ^ 


l^r-rrTH-r^lJln  rjjf  g^f 


note  ordinate  sopra  una  scala  a  seconda  delle  loro  relazioni  e  proprietà 
naturali,  le  quali  note  succedonsi  alternativamente  nel  tempo  forte 
e  nel  tempo  debole. 

Costitutivo  essenziale  del  ritmo  è  la  varietà  dei  movimenti,  e  questi 
per  esser  varii  devono  essere  o  di  vario  valore,  o  di  varia  forza,  o  di 
vario  grado  di  elevazione.  Per  vario  valore  sMntende  che  i  movimenti 
debbono  durare  un  tempo  più  o  meno  lungo  e  vario  tra  di  loro;  od 
essendo  della  stessa  durata,  che  sia  almeno  diverso  T  intervallo  che 
passa  da  un  movimento  alValtro.  Oltre  alla  varietà  si  richiede  eziandio 
Tordine,  la  proporzione  e  la  simmetria,  non  bastando  un  ordine  pro- 
gressivo 0  decrescente  od  un  moto  uniforme.  I  seguenti  movimenti  sodo 
al  certo  ordinati,  ma  non  producono  buona  sensazione  perchè  non 


la  parola  stessa.  Una  tale  distinzione  incominciò  a  farsi  in  seguito  agli  studi 
del  suono  sul  monocordo,  e  quantunque  non  tutti  i  suoni  del  pentacordo  e  del 
tetracordo  siano,  a  rigor  di  termine,  armonici  nel  senso  di  consonamey  pare  si 
ritenne  per  armonica  quella  composizione  basata  su  quelle  scala  dedotte  dal  so- 
nometro. Ora  anche  la  scala  cromatica  può  dirsi  dedotta  dal  sonometro,  quindi 
scala  enarmonica  non  può  intendersi  se  non  quella  che  seguesi  a  capriccio  e  in- 
dipendentemente dagli  sperimenti,  come  la  scala  ▼ariabilissima  del  fiiTelltre  e 
della  declamazione. 


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GENESI  DELLA  MUSICA  563 

contengono  il  ritmo,  né  le  diverse  parti  corrispondono  ad  una  misura 
del  tempo  completa. 

Fig.  87V 

Così  non  costituirebbe  il  ritmo  una  scala  di  suoni,  sia  essa  maggiore, 
minore  o  cromatica,  quantunque  ordinata  nel  tempo  pari  o  dispari, 
se  avesse  un  ordine  ed  un  valore  costantemente  uguale  od  uniforme. 
L'uniformità  esclude  adunque  il  ritmo  ed  è  perciò  nemica  dell'arte. 

Quantunque  tra  i  costitutivi  del  ritmo  vi  sieno  la  forza  ed  il  grado 
di  elevazione  del  suono,  pure  il  fondamento  del  medesimo  è  la  quan- 
tità 0  il  valore  dei  movimenti.  Il  ritmo  puramente  quantitativo  si 
può  compiere  da  un  timpano,  da  un  tamburo  o  con  qualunque  stru- 
mento su  di  un  determinato  grado  di  voce.  Ma  se  si  aggiunge  la 
forza  e  il  diverso  grado  il  ritmo  acquista  bellezza  come  nella  poesia; 
e  se  alla  quantità  ed  alla  forza  si  aggiunge  la  simmetria  e  la  pro- 
porzione dei  gradi,  si  ha  il  ritmo  musicale  e  la  melodia. 

L'ordine  dei  movimenti  del  suono,  specialmente  se  intensivi  e  di 
grado,  viene  a  determinarsi  dalla  misura  del  tempo,  poiché  misurare 
i  movimenti  vuol  dire  dare  ad  essi  un  valore  secondo  il  quale  ven- 
gono a  classificarsi  nella  misura  stessa,  che  è  quantità.  Sicché  valore 
di  movimento  non  può  concepirsi  senza  misura,  come  non  possono 
concepirsi  movimenti  senza  tempo;  quindi  il  ritmo  include  la  battuta 
col  suo  vario  valore,  come  include  la  quantità  colla  sua  varia  misura 
di  tempo.  Prima  di  parlare  del  ritmo  quantitativo  é  necessario  cono- 
scere quale  sia  la  misura  del  tempjD  la  più  naturale,  se  cioè  il  tempo 
pari  ó  quello  dispari. 

Certamente  che  la  misura  più  naturale  del  tempo  è  quella  pari, 
poiché  cogli  sperimenti  si  dimostra  in  primo  luogo,  ossia  apparisce 
fin  dagli  esperimenti  più  semplici,  e  corrisponde  ai  movimenti 
delle  vibrazioni  che  raddoppiansi  ad  ogni  periodo.  Disponendo 
adunque  con  ordine  le  note  cbrrispondenti  a  questi  movimenti 
nel  tempo  pari,  si  avrà  l'espressione  di  un  ritmo  quantitativo.  Le 
note  corrispondenti  ai  sopraddetti  movimenti,  incominciando  dalla 
breve,  si  succedono  colla  stessa  proporzione  dei  suoni  di  periodo,  poiché 
ciascuna  vale  sempre  il  doppio  della  seguente.  Come  la  minima  vale 


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604  iitBioRn 

il  doppio  della  semtminùna^  così  questa  vale  il  doppio  della  erama 
e  la  croma  il  doppio  della  semicroma  e  così  di  segaito.  La  disposi- 
zione simmetrica  di  qaeste  note  costitaisce  un  ritmo  quaniitatiTO, 
che  dicesi  frase,  come  può  vedersi  nei  aegaenti  esempi: 

Fig.  88\ 

ovvero  inversamente  negli  altri: 
Fig.  89». 

JJ.JJ»-JJJJJJ- 

Da  questi  semplici  valori  l'arte  sa  trar  profitto,  scegliendo  a  pia 
cere  Fune  o  Taltro  periodo  ed  anche  per  salto,  conservando  sempre 
la  necessaria  proporzione,  come: 

Fig.  40*. 

^  j  j  j  j .  _  j  rm  j  _  ^  nn  rrn .  - 

ovvero  inversamente,  come: 

Fig.  41». 

Nella  disposizione  inversa  di  queste  quantità  di  tempo  si  rende  ne- 
cessario ripetere  la  nota  di  maggior  valore,  o  meglio  ancora  facen- 
dola seguire  da  una  pausa,  che  altrimenti  rimarrebbe  sospeso  il  mo* 
vimento  e  non  concluderebbe  la  frase  o  la  proposizione  ritmica.  £ 
un  fatto  evidente  per  se  stesso,  che  la  firase  come  il  perìodo  ritmico 
e  melodico  concludono  con  una  nota  in  tempo  forte  e  perciò  stesso 
di  maggior  valore.  Se  la  nota  di  conclusione  talvolta  apparisce  di 
egual  valore,  od  anche  di  minore  di  certune  situate  in  mezzo  alla 
frase  od  al  periodo,  ciò  avviene  perchè  l'ultima  voce  si  lascia  cadere 
con  la  naturai  pausa;  di  qui  quel  detto  —  ultima  versus  non  con* 
sideratMT  —  che  Tultima  sillaba  del  verso  non  si  considera,  o  meglio 
si  ritiene  lunga  anche  se  breve  a  causa  deirarresto  del  suono  o  del 
rilassamento  delia  voce. 


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GENESI  DELLA  MUSICA 


565 


odo  poi,  che  come  si  disse  corrisponde  alla  parola  circolo, 
ia  con  note  esprimenti  suoni  principali,  parimente  conclude 
in  una  nota  principale  e  di  maggior  valore:  se  qaesto  va- 
olta  non  è  quantitativo,  a  ciò  supplisce  la  forza,  ossia  il 
te  nel  tempo, 
t  gli  esempi: 


42». 


jj 


^  — 


48* 


J  J  J  I  J  r  - 


inza  necessaria  voluta  dalla  misura  del  tempo  è  di  compiere 
^  con  le  pause,  altrimenti  non  potrebbe  dirsi  ordinato  il  mo- 
nel  tempo  o  nella  battuta  se  questa  rimanesse  incompleta: 
b  se  dopo  una  frase  od  un  periodo  ne  dovesse  seguire  un 

rere  una  proporzione  quantitativa  innanzi  tutto  si  richiedono 
ini,  come  si  disse  parlando  dell'accento  della  parola,  e  uno 
i  termini  deve  essere  o  considerarsi  come  principale  a  cui 
convenire  gli  altri  due.  Questa  convenienza,  che  nella  favella 
mte  se  approssimativa,  non  basta  nel  ritmo  musicale,  ove 
i  la  convenienza  perfetta:  poiché  l'ordine  dei  movimenti  nella 
la  una  misura  precisa  e  determinata.  Nei  seguenti  esempi 
e  note  sieno  tre  e  diverse  di  valore,  pure  non  sono  conve- 
a  loro  e  non  vi  è  proporzione: 


44*. 


->àì->ì.- 


ote  non  rappresentano  movimenti  ordinati  nel  tempo,  poiché  non 
idono  alla  battuta  che  ne  è  la  misura,  e  non  rappresentano 
Icuna  simmetria  o  vero  ritmo  musicale.  Il  ritmo  della  mu- 
incolato  alla  misura  del  tempo,  e  se  le  note  non  corrispon- 
\  richiesta  misura  saranno  o  mancanti  od  eccedenti.  Se  man- 


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f  OOgl(^ 


566  MEMORIE 

caDti  dee  supplirsi  alla  mancanza  completandone  il  valore,  e  se  eccedono 
la  misura,  dee  di  necessità  completarsi  la  seconda  e  dispor  le  note  in 
modo  che  occupino  il  lor  posto  nella  prima  e  nella  seconda,  nel  tempo 
forte  e  nel  tempo  debole,  secondochè  le  note  sono  accentuate  od  ap- 
poggiate all'accento.  Ecco  come  si  possono  ordinare  e  rendere  propor- 
zionate musicalmente  le  note  dei  sopraddetti  esempi  nelle  rispettive 
battute  e  coi  proprii  movimenti  naturali. 

Fig.  45*. 

=  l_jniJr-l  =  l-r-nU-l  =  l-J.J^IJ=: 

La  nota  accentuata  è  quella  che  segue  la  nota  di  minor  valore,  allo 
stesso  modo  che  nella  parola,  ma  non  sempre  è  nella  medesima  bat- 
tuta, poiché  dovendo  la  più  breve  occupare  il  tempo  debole,  questa  ben 
spesso  occupa  Tultimo  della  battuta,  mentre  la  nota  accentuata 
dovendo  occupare  il  tempo  forte,  il  più  delle  volte  occupa  il  primo 
della  battuta  seguente.  Ho  detto  il  più  delle  volte,  poiché  accade  che 
la  battuta  abbia,  come  nel  tempo  ordinario,  più  di  un  movimento 
forte  allo  stesso  modo  che  nel  ternario  e  nella  sestupla.  Tutto  ciò 
è  ben  naturale;  dal  momento  che  l'accento  rappresenta  maggior 
quantità  e  forza,  deve  occupare  il  movimento  forte,  e  quello  debole 
spetta  alle  note  di  minor  valore. 

Vi  sono  delle  parole  o  delle  frasi  ritmiche  anche  di  due  sole  note, 
ma,  come  dicemmo  altre  volte,  una  di  esse  corrisponde  a  due  termini. 
L'ordinamento  delle  medesime  note  nel  tempo  importa  che  una  delle 
due  occupi  il  tempo  forte,  e  con  ciò  viene  ad  esprimersi  non  solo  la 
quantità  ma  ancora  la  maggior  forza  che  riceve  da  quella  posizione, 
che  non  avrebbe  se  occupasse  un  tempo  debole.  Quindi  le  due  note 
di  egual  quantità  convengono  ad  una  terza  nota  che  viene  espressa 
dalla  sua  posizione  col  tempo  forte.  E  poiché  all'arte  sono  concesse 
parecchie  licenze ,  anche  l'arte  musicale  ha  le  sue  figure  come  l'arte 
rettorica.  Pertanto  essa  fa  uso  delle  anticipazioni,  dei  ritardi,  della 
sincope,  delle  parole  o  frasi  tronche,  e  della  sintassi  figurata.  Queste 
figure  accrescono  la  varietà  del  ritmo  e  lo  mostrano  in  tutta  la  sua 
bellezza;  alterano  in  qualche  modo  il  tempo  e  invertono  le  parti  del- 
l'accento e  delle  note  deboli,  ma  non  nell'insieme  ed  in  regola  gene- 
rale, ma  bensì  in  parte  ed  in  via  eccezionale. 


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GENESI  DELLA  MUSICA 


567 


no  quantitativo  la  battuta,  relativamente  alla  forza,  è  di 
specie,  e  non  si  distingue,  come  nel  ritmo  di  grado,  in  bat- 
0  battuta  debole.  È  nel  ritmo  quantitativo  musicale  che 
pih  che  mai  la  simmetria  dei  movimenti,  e  questa  sim- 
)pare  manifestamente  tra  le  frasi  componenti  il  periodo, 
ritmo  ha  un  periodo  che  si  compone  di  quattro  frasi  sem- 
omposte,  le  quali  frasi  si  possono  diminuire  ed  anche 
I  quando  il   ritmo   musicale   si    associa  a  quello  della 

e  semplice,  che  potrebbe  anche  paragonarsi  ad  una  parola, 
;he  è  composta  dei  tre  termini  necessari  per  poter  affermare 
tonalità  dei  movimenti  ;  e  perciò  è  quella  che  contiene  un 
ito,  come: 


JIJ_l=:l_;T7:iJr-l  =  l-rJllJr-l 


7*. 

JJIJ-l:.ljn71IJ-l  =  IJJ.7J]IJ.-l- 


timi  esempi  non  cessano  di  esser  esempi  di  frasi  semplici, 
le  abbiano  più  di  una  nota  collocata  in  tempo  forte.  L'ac- 
e  proprio  è  uno  solo,  quello  cioè  preceduto  dalla  nota  do- 
lale si  appoggia  su  di  esso.  Ciò  si  disse  chiaramente  parlando 
itità  della  parola,  e  si  mostrò  parlando  dei  piedi  dattilo  e 
le  quantunque  abbiano  la  prima  sillaba  di  maggiore  quan- 
altre,  non  contengono  un  vero  e  proprio  accento,  o  tutt'  al 
una  varietà  dell'accento,  essendo  esso  più  debole  di  quello 
^ceduto  da  una  sillaba  più  breve.  Ad  ogni  modo  la  frase, 
parola  sdrucciola,  ordinandola  nella  battuta,  naturalmente 
I  in  tempo  forte,  contiene  un  movimento  debole  e  conchiude 
forte.  Qualunque  altra  espressione  non  può  essere  che  arti- 
uesta  segue  la  stessa  alternativa  della  frase  naturale, 
e  complessa  o  composta  è  quella  che  contiene  più  accenti, 
pio: 

\a  mutical*  iiaUana,  Vm.  88 


P 


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Gpogki 


568  MBMORIB 

Fig.  48». 

IJjjr3IJr-l  =  IJ-^JjraiJr-l  = 

sono  frasi  di  due  accenti,  e  le  seguenti  di  tre: 
Fig.  49*. 

IJ.r3Jir3IJr-l=i^JlJlJllJr_l  = 

ijrar3Jiijr-i  =  ijS.r3JiiJr-i 

Volendo,  si  possono  comporre  frasi  anche  più  lunghe  e  più  complesse, 
sia  in  tempo  pari,  che  in  tempo  dispari.  La  frase  più  naturale  è  quella 
espressa  in  tempo  pari;  ma  rartista  può  variare  il  tempo  e  scegliere 
a  suo  piacere  il  tempo  dispari,  ciò  serve  a  rendere  più  vario  il  ritmo 
stesso.  Però  nella  melodia  di  carattere  flebile  e  di  tonalità  minore  il 
ritmo  dispari  è  più  confaciente  del  ritmo  pari:  e  di  &tti  la  scala 
minore  ha  la  sua  base  sopra  di  un  suono  il  cui  fattore  è  numero 
dispari,  e  la  progressione  ad  essa  propria  è  di  seste  parti  come  si  è 
dimostrato.  Ciò  nulla  meno  il  ritmo  pari  si  può  ridurre  a  disparì; 
e  questo  a  pari,  coll'accrescere  o  diminuire  in  proporzione  le  note 
corrispondenti  all'accento  o  col  diminuir  le  deboli.  Le  seguenti  frasi 
di  ritmo  pari  si  possono  ridurre  come  si  vede  in  ritmo  disparì  e 
viceversa: 

Fig.  50». 

IJJ  IJ-  I  -  UJTO  I  J-  I  =  I 


=  ij j  u ?  I  - 1  j r] Jl  IJ r  I  = 


Si  avverta  però  che  la  nota  corrìspondente  all'accento  non  può  dimi* 
unirsi  che  proporzionalmente  alla  nota  debole:  cioè  non  può  diminuirsi 


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GENESI  DELLA  MUSICA 


509 


da  renderla  debole  al  pari  o  più  della  nota  che  va  in  tempo 
mentre  la  debole  quanto  più  diminuisce  di  valore  e  più  & 
*e  forza  all'accento. 

re,  la  frase  ritmica  può  essere  di  tempo  pari,  di  tempo  dis- 
i  tempo  misto.  La  frase  mista,  o  di  tempo  misto,  è  quella 
9cipa  di  tempo  pari  e  di  tempo  dispari.  Accade  frequente- 
1  musica  di  dover  adoperare  in  tempo  pari  movimenti  anche 
che  si  usano  soprassegnare  coi  numeri  3  ovvero  6,  per  deno- 
Bono  teririne  o  sestine^  come  si  può  vedere  nel  S^  e  4''  esempio 
di  sopra.  Non  è  frequente  il  caso  di  dover  adoperare  in  tempo 
eruppi  di  note  di  tempo  pari,  come  nel  seguente  esempio: 


51» 


1 1  jj.J^j.r]  u.-.  I  - 


trovano  esempi,  non  solo  di  frasi,  ma  di  intiere  melodie  svolte 
;e  dì  5  movimenti,  che  si  compongono  necessariamente  di 
uri  e  di  tempo  dispari  o  viceversa, 
le  costituisce  un'eccezione  nella  musica  misurata  è  regola 
per  il  canto  gregoriano  e  per  la  favella.  La  differenza  che 
i  il  ritmo  della  musica  figurata  e  quello  del  canto  gregoriano 
in  questo:  che  la  prima  svolge  il  suo  ritmo  e  la  sua  me- 
i  determinata  misura  pari  o  dispari,  che  il  musicista  sceglie 
pio  di  ogni  pezzo  musicale  come  il  più  confaciente  alla  me- 
sa, e  le  frasi  di  ritmo  misto  sono  in  via  eccezionale;  mentre 

0  compone  sempre  il  suo  ritmo  e  la  sua  melodia  in  tempo 

1  ritmo  gregoriano  ha  il  suo  tempo,  poiché  musica  senza 
in  esiste,  ma  questo  tempo  è  misto  e  subisce  Tinfluenza 
ola,  che  riveste  colla  melodìa  e  da  cui  ha  origine.  Il  ritmo 
rola  sì  è  svolto  mano  mano  coi  diversi  metri  e  colle  diverse 
Ila  poesia  congiunta  col  canto,  ma  questa  congiunzione  era 
linaento  al  totale  sviluppo  ed  al  progresso  musicale,  che  fu 
iunto  coiremancipazione  di  questo  da  quella. 

iposizione  dei  diversi  piedi  e  degli  accenti  nel  verso  hanno 
illa  distinzione  del  tempo  pari  dal  tempo  dispari,  e  ciò  ap- 
hiaramente  dal  metro  dei  versi  giambici  e  di  quelli  trocaici 
spongono  naturalmente  nel  tempo  pari.  Oli  altri  versi,  quali 


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570  MEMORIE 

pih  quali  meno,  conservano  un  ritmo  misto;  il  qual  ritmo  a  poco  a 
poco,  coU'alterazione  delle  quantità  sillabiche,  si  venne  ad  assimilare 
al  ritmo  puramente  musicale  e  quindi  alla  distinzione  dei  movimenti 
nel  tempo  pari  e  nel  tempo  dispari.  La  musica  segna  il  progresso 
che  ha  la  sua  origine  e  il  suo  principio  nel  ritmo  della  parola,  e  il 
suo  termine  in  quelli  proprii  delle  vibrazioni  del  suono.  Questo  pro- 
gresso è  stato  lento  ma  naturale,  un  progresso  appreso  dal  sentimento 
e  intuito  dal  genio  dei  musicisti,  di  cui  l'ingegno  del  filosofo  ricercò 
e  ritrovò  in  seguito  le  leggi  e  le  ragioni.  L'uomo,  seguendo  i  bisogni 
del  senso,  empiricamente  eseguisce  le  leggi  naturali,  e  colla  scienza 
sperimentale  addiviene  alla  loro  razionale  applicazione. 

Ma  ritorniamo  alla  frase  del  ritmo.  Una  frase  ritmica  appena  enun- 
ciata fa  sentire  il  bisogno  di  una  risposta  e  di  una  conclusione.  La 
conclusione  è  un  giudizio  ed  un'affermazione  che  altre  frasi  ritmiche 
convengono  per  proporzione  e  simmetria  alla  prima  enunciata;  e  nel 
concludere  le  diverse  frasi  formano  un  periodo.  Le  frasi  ritmiche  che 
formano  il  periodo  ordinariamente  seguono  la  proporzione  delle  vibra- 
zioni, cioè  2,  4,  8  ed  anche  16  battute,  secondochè  sono  semplici  o  più 
0  meno  complesse.  Questo  periodo  ritmico  è  proprio  della  musica,  in- 
quantochè  esprime  i  movimenti  naturali  dei  suoni,  senzachè  questi 
sieno  vincolati  dai  movimenti  della  parola.  Se  però  il  ritmo  dei 
suoni  riveste  la  parola,  dovendosi  acconciare  alle  frasi  ed  al  periodo 
di  questa,  va  soggetta  a  variazioni^  specialmente  nel  numero  delle  frasi 
e  perciò  anche  nella  forma  del  periodo  stesso. 

Le  frasi  ritmiche  componenti  il  periodo,  che  nella  melodia  ven- 
gono variamente  rivestite  dei  gradi  del  suono,  rappresentano  la  sim- 
metria dei  movimenti  nello  stesso  periodo.  Ordinariamente  le  frasi 
ritmiche  che  compongono  il  periodo  sono  la  ripetizione  della  prima 
frase  enunciativa  il  soggetto  del  ritmo.  Dissi  ordinariamente,  poiché 
talvolta  la  conclusione  esige  un  leggero  cambiamento  nella  parte  or- 
namentale, e  tal  altra  l'artista,  imitando  il  movimento  della  parola, 
vuole  annettere  al  movimento  dei  suoni  un  qualche  significato,  un 
qualche  affetto  dell'animo,  suggerito  appunto  dalla  favella  espressa  o 
sottintesa.  In  oltre  l'arte  mira  a  nascondere  quella  perfetta  simmetria, 
ragione  del  bello,  che  a  lungo  andare  può  sembrare  uniforme.  Si 
potrebbero  citare  innumerevoli  esempi  di  arie  e  suonate,  di  marce 
e  ballabili  che  seguono  un  fraseggiare  perfettamente  simmetrico,  ma 


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GENESI  DELLA   MUSICA  571 

;erò  di  accennare  ad  alcuni  esempi  nei  quali  ?a  unito  il 
suoni  con  quello  della  poesia,  riproducendoli  dai  sommi 
U'arte  ritmica  e  melodica,  quali  sono  il  Bossini,  il  Bel- 
nizetti  e  il  Verdi. 

qì  nel  «  Barbiere  di  Siviglia  »  :  Largo  al  factotum  della 
re  un  lungo  pezzo  musicale  colla  semplicissima  frase  ri- 
lento : 


=  §  r  r  i^i^i^l  J  7  r  7  I  = 
:  il  vecchietto  cerca  moglie,  con  la  seguente: 

^ondo  del  <  Guglielmo  Teli  »:  Guglielmo,  sol  per  te,  usa 

=  i  j  I  j  j  j  j  I  j  r:  j  r  I  = 


ritmica  della  Cavatina  nella  <  Sonnambula  »  :  tutto  è  gioia, 
è  la  seguente  : 


el  coro  :  in  ElvcMia  non  v'ha  rosa  : 

:|rrr  1  ìl^I^^H  I  Uhi  I  = 
.  coro  :  0  fosco  cielo  : 


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572  ifiHORil 

Chiara  e  vibrata  è  la  frase  del  coro:  DelTaura  tua  profetica,  nella 
<  Norma  »,  espressa  così  : 
Fig.  58*. 

-  E  J  JIJ  J   I  J  ,^  J  ,  I   = 

dolce  e  scafo  quella  della  scena  3*  dell'atto  II:  JftVa,  o  Norma: 

Fig.  59\ 

Di  Donizetti  sono  notevoli  le  frasi  della  €  Luerejria  Borgia  »  : 
Come  è  hello,  scena  3*,  atto  I: 
Fig.  60*. 

=  E  _  j  j  I  ji  ;^,  _  I 

e  l'altra  :  Ama  tua  madre  e  tenero: 
Fig.  61». 

=  Ejji.jj  I  jjj,  I  = 

non  che  :  di  pescatore  ignobile: 
Fig.  62*. 

e  l'altra:  Maffio  Orsini^  signora,  son  io: 
Fig.  63*. 

Nella  <L Favorita*:  Bei  raggi  lucenti: 

Fig.  64\ 

zz  B  ^ ,  j  I  n=3  J  r  I  = 

e  la  Bomanza:  Spirto  gentil: 
Fig.  65*. 

E  J  n  i-i^r  I 

e  così  moltissime  altre. 


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GBNS8I  DELLA  MUSICA  573 

Ielle  prime  opere  del  Verdi  vi  è  una  ricchezza  straordinaria  di 
queste  frasi  ritmiche,  che  formano  il  soggetto  di  bellissime  melodie. 
Citerà  della  €  Draviata  »  la  frase  del  Valzer  dell'atto  I: 

Pig.  66\ 

=  «f'-lf''lM'Mf  >'l  = 

L'Aria  del  finale  I:  Ah  forale  lui: 
Pig.  67\ 

Quella  dell'atto  II:  Pura  siccome  tm  angelo: 
Fig.  68*. 

.        BJJIJJ   I   J.Jj,    I   zz 

L'Aria:  di  ProvenMa  U  mar^  il  suol: 
Pig.  69*. 

B  - ,  LT I  ir  fj  r  r  I  = 

E  l'Aria  dell'atto  IH:  Addio  del  passato: 
Fig.  70». 

Nel  «  Trovatore  »  notevoli  sono:  l'Aria  Ai  nostri  monti: 
Pig.  71*. 

E  l'Aria  :  Di  quella  pira  : 
Fig.  72«. 

if  rf  I  LLL/n  = 


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574  MBMoaiB 

E  COSÌ  dicasi  delle  altre  innumerevoli  frasi  soggetto  trattate  da  somm  i 
autori,  sia  nelle  parti  vocali  come  in  quelle  strumentali,  che  hanno 
sempre  l'origine  loro  nella  frase  ritmica  scientifica,  cioè  nella  piti 
semplice  espressione  di  tre  movimenti  ordinati  nel  tempo,  proporzio- 
nati e  simmetrici. 

La  naturale  e  semplicissima  espressione  delle  frasi  ritmiche  viene 
alterata  dall'arte,  la  quale  cerca  di  ornarle  con  quegli  elementi  che 
le  appartengono,  per  presentarle  all'udito  con  nuove  e  variate  forme, 
che  sono  ambitissimo  intento  dei  musicisti. 

In  principio  il  ritmo  della  musica  fu  quello  proprio  della  paroU. 
Da  un  tal  ritmo  fino  all'ultimo  suo  naturale  sviluppo,  quello  cioè 
che  è  conforme  alle  naturali  proporzioni  e  simmetrie  delle  vibrazioni 
dei  suoni  di  periodo  e  dei  suoni  consoni,  si  dovette  percorrere  una 
ben  lunga  via,  ed  una  interminabile  serie  di  esperienze.  A  tal  fine 
si  cercò  di  dar  forme  eleganti  alla  parola,  e  queste  si  disposero  con 
ordine  per  soddisfare  ai  sentiti  bisogni  dell'orecchio.  Le  varie  forme 
della  poesia  condussero  a  poco  a  poco  all'estremo  limite  consentito 
dalla  parola,  e  il  desiderio  di  raggiungere  anche  maggior  proporzione 
e  più  perfetta  simmetria  di  movimenti  suggerì  il  divorzio  del  canto 
colla  poesia.  Si  sperimentarono  i  movimenti  dei  suoni  disgiunti  da 
quelli  della  parola,  e  così  si  raggiunse  la  perfetta  espressione  delle 
movenze  dei  suoni. 

Dato  un  valore  alle  note  colla  misura  del  tempo,  la  frase  ed  il 
periodo  ritmico  acquistò  una  forma  propria  ed  una  fisonomia  sem- 
plice e  chiara,  e  perciò  stesso  facilmente  riconoscibile.  Si  volle  allora 
di  questa  perfezione  far  partecipe  la  parola,  e  specialmente  la  poesia, 
e  si  rivolse  l'attenzione  a  quelle  sillabe  dotate  di  accento,  le  quali 
consentivano  una  maggior  larghezza  di  proporzioni,  da  poter  in  tal 
guisa  rendere  pib  proporzionate  e  simmetriche  le  singole  parti  di  un 
perìodo  ritmico  e  melodico.  In  pari  tempo  non  si  trascurarono  le 
sillabe  deboli  e  brevi,  che  per  la  ragione  contraria  poteano  prestarsi 
a  propomoni  più  piccole  fino  a  raggiungere  e  compiere  la  giusta 
misura.  Né  furono  paghi  a  questo;  che  il  fascino  di  tali  forme 
trascinò  i  musicisti  a  sacrificar  la  parola  al  rìtmo  dei  suoni,  or  con 
indiscreti  vocalizzi,  e  peggio  ancora  colle  ripetizioni  delle  parole  e 
delle  frasi.  In  tal  guisa  i  musicisti  imitarono  quel  sartore,  che,  ta- 
gliando una  veste  sopra  di  un  sol  modello,  pretendeva  rivestire  con 


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GENESI   DELLA   MUSICA 


VtB 


idi  e  piccoli,  grassi  e  sottili,  diritti,  storti  e  gobbi  di  ogni 

ìst*  ultima  forma  risultante  dal  ritmo  proprio  dei  suoni  si 

r  troppo:   e  come  ogni  cosa,    benché   bellissima,    perde  di 

1  resa  comune,  e  addiviene  noiosa  e  stucchevole  col  troppo 

così  anche  questa  speciosa  veste  applicata  a  tutte  le  forme 

e  poetiche,  incominciò  a  dispiacere.  Da  ciò  ne  nacque  una 

pur  troppo  sconsigliata  e  non  feconda  dei    migliori  e  più 

effetti. 

li  caso  gli  eccessi  son  sempre  riprovevoli;  quindi  se  dee  bla- 
l'insistenza  smodata  che  si  fece  su  di  una  formola  benché 
e  bella,  non  si  può  lodare  il  bando  che  si  volle  dare  ad 
ha  un  passato  così  ricco  e  glorioso.  Non  è  al  certo  ragio- 
li  pretende  toglier  Fuso  di  una  cosa  utile  e  buona,  sol  perchè 
i  può  abusare:  se  vi  ha  difetto  è  dovere  che  si  corregga. 


Capo  XIV. 


Della  melodia. 


usica  comprende  tre  parti,  quali  sono  l'armonia,  la  me- 
1  contrappunto;  e  tutte  queste  parti  hanno  il  loro  fonda- 
si ritmo,  poiché  riguardano  i  movimenti  ordinati  dei  suoni, 
ineamente  o  successivamente,  il  che  importa  per  necessità 

16  il  suono  si  definisce  «  l'effetto  prodotto  nell'udito  dalle 
ie  di  movimenti  simultanei,  di  un  corpo,  proporzionati  ed 
nel  tempo  »,  così  Tarmonia  dicesi  «  l'effetto  prodotto  nel- 
li  vari  movimenti  simultanei  dei  suoni  proporzionati  ed  ordi- 
:empo  y^.  La  stessa  definizione  conviene  alla  melodia,  ma  con 
fferenza,  che  i  movimenti  dei  suoni  non  sono  simultanei  ma 
t;  quindi  la  melodia  è  «  l'effetto  prodotto  nell'udito  dai  vari 
li  successivi  dei  suoni  ordinati  e  proporzionati  nel  tempo  ». 
l'armonia  ha  per  base  le  consonanze,  che  si  dimostrano  colle 
ie  di  vibrazioni  sperimentando  un  corpo  sonoro,  così  il  con- 


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576  MEMORIE 

trappunto  ha  per  base  e  fondamento  la  melodia,  e  consiste  appunto 
nell*  ordinare  simultaneamente  nel  tempo  varie  melodie.  Queste  me- 
lodie che  si  contrappongano  non  sono  tutte  dello  stesso  grado  e  della 
stessa  importanza,  poiché  ve  n'ha  una  tra  esse  che  è  fondamentale, 
che  dicesi  canto,  colla  quale  le  altre  men  secondarie  devono  conve- 
nire nei  punti  principali  come  convengono  i  consoni  col  fondamen- 
tale. Composta  prima  di  ogni  altro  la  melodia  principale,  a  questa 
si  contrappone  una  o  più  melodie  con  leggi  armoniche,  e  se  le  me- 
lodie sono  due,  tre,  quattro,  ecc.,  si  dirà  contrappunto  a  due,  tre, 
quattro  parti,  ecc. 

La  differenza  che  passa  tra  il  ritmo  e  la  melodia  è  questa:  che 
il  ritmo  riguarda  unicamente  i  movimenti  che  colpiscono  Tudito  per 
la  loro  quantità  e  forza,  è  non  come  movimenti  di  suoni  armoniosi 
e  proporzionati  per  grado  di  gravità  ed  acutezza.  Pel  ritmo  basta 
anche  un  suono  solo  ripetuto  ad  intervalli  ordinati  simmetricamente, 
non  ostante  che  questo  suono  sia  o  confuso  a  guisa  di  rumore,  o 
stridulo  ed  aspro  come  il  sibilo.  La  piacevolezza  del  ritmo  consiste 
appunto  nel  sentire  ì  movimenti  ordinati  e  proporzionati  nel  tempo, 
nel  qual  ordine  e  nella  quale  proporzione  simmetrica  è  riposta  Tes- 
senza  e  la  ragione  del  bello. 

Tutto  questo  non  basta  per  la  melodia,  imperocché,  oltre  all'ordine 
e  alla  simmetria  dei  movimenti,  essa  richiede  che  i  detti  movimenti 
sieno  di  suoni  armoniosi,  non  che  proporzionati  e  simmetrici  per 
grado  di  gravità  e  acutezza.  In  una  parola,  che  sieno  suoni  armoniosi 
e  risultanti  da  una  scala  razionale.  11  ritmo  rispetto  alla  melodia  è 
come  UDO  scheletro  non  per  anco  rivestito  di  carne  e  di  pelle  o  come 
un  quadro  di  figure  sol  delineate  alle  quali  manchino  i  chiari-oscuri 
e  i  colori  naturali;  o,  se  vuoisi,  è  come  Tarchitettura  semplice  di 
un  edificio. 

Le  scale  razionali  dei  suoni  le  abbiamo  esaminate  e  dimostrate;  e 
vedemmo  come  la  più  semplice  espressione  delle  medesime  consìste 
negli  accordi  maggiori  e  minori;  la  qual  semplice  espressione  con- 
viene anche  al  suono,  considerato  nei  rapporti  del  medesimo  colle 
vibrazioni  che  lo  compongono,  il  che  vedemmo  analizzando  e  sinte- 
tizzando i  corpi  che  lo  producono.  La  melodia  pertanto,  che  ha  per 
base  e  fondamento  l'armonia,  e  più  semplicemente  l'accordo,  primie- 
ramente desume  il  suo  carattere  dairaccordo  stesso.  Quindi  se  il  ritmo 


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GENESI  DELLA  MUSICA  Oél 

ito  coi  suoni  della  scala  maggiore  dicasi  melodia  di  modo 
e,  e  se  è  rivestito  coi  suoni  della  scala  minore  dicesi  melodia 
I  minore, 

on  toglie  che  la  melodia  non  possa  assumere  anche  altro 
B  secondario,  il  che  avviene  quante  volte  il  ritmo  è  rivestito 
àia  mista  o  da  quella  cromatica,  che  perciò  la  melodia  potrà 

modo  misto,  o  di  modo  cromatico.  Se  poi  piacesse  meglio, 
lardo  agli  antichi,  distinguere  la  melodia  in  diatonica  e  ero- 
secondochè  si  prende  per  norma  la  scala  diatonica  ovvero 
aromatica,  ci6  sarà  sempre  conforme  alla  genesi  musicale. 
»  la  scala  mista  come  la  cromatica,  sebbene  non  possano  de- 
ì  dall'accordo   maggiore  o  minore,  presentano  dei   caratteri 

In  esse  vi  sono  degli  intervalli  atti  a  dar  maggior  risalto 
più  sentita  coloritura  degli  accordi  stessi,  maggiori  o  minori 
IO,  e  che  servono  come  gradevole  e  più  delicato  passaggio  da 
10  all'altro  o  da  un  accordo  all'altro.  La  melodia  non  è  che 
aggio  ordinato  da  un  suono  all'altro  di  una  scala  razionale  ; 
uesto  passaggio  i  suoni,  coll'accentuazione,  prendono  un  carat- 
accordo  maggiore  o  minore  ed  assumono  una  forma  speciale  in 
>  cogli  accordi  stessi.  Quindi  come  si  può  passare  da  un  suono 

per  intervalli  di  quinta,  di  quarta,  di  toni  e  di  semitoni, 
dicesi  comunemente  per  gradi  diatonici,  così  vi  si  può  pas- 
ìhe  per  gradi  cromatici  ed  anche  più  piccoli,  purché  con  essi 
guasti  l'ordine  naturale  dei  suoni  che  hanno  nel  tempo  in  cui 
iono.  Perciò  come  si  può  passare  da  un  suono  all'altro  di 
la  maggiore,  si  può  anche  passare  da  una  scala  maggiore  ad 
3ore  per  tutti  i  gradi  intermedi  di  cui  sono  capaci,  e  che 
io  può  distinguere. 

ssaggio  da  un  accordo  all'altro  o  da  una  tonalità  all'altra 
omunemente  modulazione,  termine  preso  dagli  antichi,  che 
'ano  modi  le  diverse  tonalità  dei  loro  canti.  Lo  svolgimento 
5  composto  di  suoni  compresi  nelle  scale  razionali,  semprechè 
tti  con  ordine  e  proporzione  nel  tempo,  non  escono  dagli  ac- 
aggiori  0  minori,  anche  se  il  passaggio  da  un  suono  o  da  un 
all'altro  venga  fatto  per  gradi  piccoli  o  grandi;  per   gradi 

0  per  salto,  per  gradi  scientifici  o  introdotti  dall'arte  reto- 
rivestire  pertanto  il  ritmo  con  suoni  la  cui  disposizione  ac- 


i    : 

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578  MEMORIE 

centaata  produce  vari  accordi  che  si  succedono  l'uno  all'altro  con 
maggiore  o  minore  frequenza  è  ciò  che  dicesi  moduUunone^  o  ftie* 
lodia  modulante.  In  tali  melodie  la  scala  cromatica  vi  entra  per 
accidentalità,  come  vi  possono  entrare  altre  scale  costituite  per  gndi 
enarmonici,  il  che  succede  di  fatto  nella  voce  e  negli  strumenti  a 
corda,  allorché  si  passa  da  un  grado  all'altro  dei  suoni,  non  per  inter- 
valli staccati,  bensì  legati.  Del  resto  la  scala  cromatica  sta  alla 
maggiore  ed  alla  minore  come  il  genere  alla  specie,  il  che  è  evi- 
dente  dal  momento  che  su  di  essa  si  possono  formare  tante  scale 
maggiori  e  minori  quanti  sono  i  gradi  dei  suoni  che  la  compongono. 

Le  due  scale,  da  me  dimostrate,  sono  fin  qui  il  risultato  ultimo 
dell'analisi  e  perciò  rappresentano  la  più  semplice  espressione  armo- 
nica e  melodica.  Sono  i  due  elementi  da  cui  l'artista  dee  partire  per 
comporre  della  musica.  Mano  mano  che  dal  semplice  si  va  al  com- 
posto si  segue  il  cammino  della  sintesi  che  è  inverso  a  quello  se- 
guito dal  progresso  scientifico  musicale  che  è  l'analitico.  Questo 
cammino  è  inverso  anche  allo  sviluppo  storico  che  ebbe  la  musica, 
per  ciò  che  riguarda  i  modi  o  le  modulazioni,  nonché  il  ritmo  e  la 
misura  del  tempo.  I  passaggi  da  un  accordo  all'altro  e  da  un  modo 
all'altro  nei  tempi  antichi  erano  confusi  e  incerti;  essendfo  duce  il 
solo  sentimento  e  non  la  scienza,  il  progresso  scientifico  seguiva  len- 
tamente e  a  distanza  i  risultati  empirici  dei  musicisti. 

Tra  le  diverse  specie  di  melodia  merita  speciale  menzione  quella 
che  segue  i  modi  del  canto  gregoriano,  detta  appunto  melodia  gre- 
gorianaj  ma  di  questa  parleremo  a  suo  tempo,  dimostrando  la  sua 
base,  il  suo  ordine  nel  tempo,  od  il  suo  ritmo. 

{Continua). 

B.  Grassi-Làndi. 


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LeS;  Cliaiits  de  TÉglise  Grecque. 

ÉTXJIDE 

{Suite  et  fin,  V.  voi.  Vili,  fase.  l»'.  pag.  43,  ann.  1901). 


N.  3. 

Doxa  sol  tO  deìxanti. 
De  la  Doxologie  qui  se  chante  aux  Matines. 

Antériear  an  IV*  siècle. 
(Ferutòn  du  Moni  Athos). 

Pmniier  toa  piagai.  ÀlUgrOi 


F^F^Tj  J  J  f  J^J  fM  r  r-p-^  rr  j  r  r 


Aó-Sa  ao\  T(p  bci-Eov-Ti  tò  q>di?       bó  -  Sa  ^    ó  -  vi  -  arox^  9€  -  Cp 
Gioire  à  toi  qui  as  montré  la  lomiòre  !  Gioire  aa  plus  haut  dea  Cienz,  à  Diea  I 


Kai  è  -  irl  Tfl^  ci  -  pf| 
Sor    la    terre  paiz 


vr\      èv  dv-epiIi-TTOi^  €Ò  -  òo-k(      -      cu 
et  ani  hommes  benne  volonté. 

Arehitecture  museale. 


nt      I       at     I     at       | 


Période  carrée  régnlière:    2  -|-  2  =  4. 

Les  trois  premières  phrases  terminent  sor  do.  —  La  quatrième  et 
dernière  sur  la.  Il  nous  semble  y  voir  cette  tendance  de  passer  de 
la  mediante  majeare  au  ton  mineur  parallèle  relatif,  propre  aussi 
aux  mélodies  populaires  slaves. 


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580 


MEMORIE 


N.  4. 

Meth  imOn  o  TheOs. 
Versets  que  Von  chante  à  Camplies. 

Sièdet  antérieors  ao  TV; 
(Venùm  du  Mont  Athos). 

Deuxiòas  toa  pliffil.  AUtgro, 


^n-^  J  iP   J  J-UJ   J   ^-H--i  J.^J'  J  1  J    J 


Diea  est  avec  nona, 


TVÙ-T6  W-VI)  Kal  I^T-Tàa      -     06  ò  -  TI 

apprenei-le,  6  gena,  et  soyex  vaincas:  car 


^^^^i.^f^.^^^=:^=^-YrfT^^  J I T  j^  f  ^-J 


^€6*  1^-^urv         ó    8€-óq.       Kal  xa-Xel-Tai  tò    6  -  vo-^a  M€-t^*Xt)^ 

avec  noas  est  Diea  Et    il    sera    appelé  nonee  dn 


m4J^Lfc.uHjT"Fj  j  Hi 


Bov'kffi  dT-T€-Xo?, 
grand  Concile: 


car  avec  noas  est  Diea! 


La  beante  de  cette  melodie  consiste  dans  son  Ethos  noble,  expres- 
sion  de  la  confiance  en  ce  secours  divin,  qu'afBrme  la  parole  troìs 
foia  répétée:  car  Dieu  est  avee  nous,  répétitioo  épique  pleine  de  gran- 
dear.  —  Qu'on  observe  aassi  la  belle  proportion  arehitectande  des 
deux  parties  dont  se  compose  cette  melodie,  et  la  pbrase  initiale, 
avec  le  rhythme  ailé  de  ces  deux  temps  lefés: 


TTT^T^ 


laquelle,  en  vertu  de  la  loi  generatrice  de  la  première  mesure  que 
noas  aimons  à  constater  ici,  se  retroave  au  début  dela  seconde partie: 
Et  il  sera  appelé^  comme  rehaussée  d'une  fa^on  exquise  par  cette 
légère  modification  à  la  ligne  mélodique,  un  si^  ajouté  devant  le 
la  final! 


FTT^-ii^'iLi'i 


Get  hymne  est  un  des  exemples  les  plus  heureux  de  TexpreasiTité 
inhérente  au  2^  mode  piagai,  le  mode  préféré  des  chants  liturgiques 
Qrecs. 


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LBS  CHANTS  OS  L'ÉGLISK  GRKGQUB 


581 


L'architecture  contient  en  mème  temps  la  proportion  binaire  et 
ternaire;  c'est  un  mètre  binaire  compose  2  X  S,  comme  la  mesare 
de  6/8,  mais  dans  l'ordre  supérìenr,  noas  voulons  dire  applique  aai 
unitéft-phrases  au  lieu  dea  unités-temps  («  Zeiteinheiten  »).  Ed  effet,  en 
▼oici  la  démonatration  graphique: 


I 

II 

1 

2 

TVI&T6... 

8 
6ti... 

4 
xal ... 

5 
M6TdXii<;... 

6 

Ó  TI... 

mais  non  pas  dans  le  sens  conventionnel  moderne  ;  il  faut  y  voir  au 
contxaire  Tapplication  de  ce  principe  de  la  diversité  dans  l'unite,  prò- 
dame  par  le  moine  d'Arezzo. 


N.  5. 


Kyrie,  tOn  Dynameon. 

Pour  étre  chanté  à  Complies  en  Caréme. 

Sièdes  antériean  au  lY*. 

{Vertùm  du  Moni  Aihot). 


Tpoirdpiov  (Troparion). 


DMidèiM  ton  plagml.  AUtgro, 


KtL»  -  pi  -  c      Ttftv  òu-và-n€  -  U)V 
0  Seignear  dea  paiasanoes! 


ned*  i\      -      M'Iw  T^'  -  vou- 
soia  avee  noos. 


AX-Xov  T*P  ^-TÓ^ 
Car,  en  Térité, 


aoO  Po  -  H"®^  I  *v  eXi-Hi€-aiv  oòk  €    -    xo    - 
an  amtre  SauTear  dans  les  afflictions  point  n^ayons  : 


Kù-pi  -  €  vhy  ^u-vd-^c-ulv    è-  X^  -  ii-cov  ii-|iA<. 
0  Seignear  dea  pnistanoes,       aies  pitie  de  nona! 


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582 


MEMORIE 


On  ne  sait  ce  qu'ìl  faut  ici  admirer  davantage:  ce  pren 
suppliant,  sor  le  retard  non  préparé:  do^  si,  si,  oa  le  i 
mode  mineur  au  majear  sar  les  paroles:  dans  les  afflictio 
Sauveur  paini  n'avons^  se  tenninant  sur  le  si  naiurel  si 
sì  bardi,  avec  un  élan  sublime  d'appel  confiant:  Seigneur 
sances  triamphant  !  Et  ce  retour  en  sol  mineur  sor  le:  aie 
nous!  mélange  de  l'étbos  mineur  et  majeur,  admirable  < 
néité  et  de  vérité  expressive,  de  sincère  componction.  Que 
pare  la  version  Agbiorite  que  nous  donnons  avec  la  versio 
tion  de  TAnthologie  de  Gregorio  Protopsalte  de  la  grande 
Constantinople,  1837,  composés  (?)  par  Pierre  Lampadario 

Veraion  de  Castaniinopìe. 


-^rj-^  j  i^^-jH  j  j  j  j  à-r^H^^ 


KO-pi-€      Tdtiv  òu-và-|Li€-iuv  lice*  Vj-mliv  T^-vou'  dX-Xov  T^p 


:|irrj-J   ^     ^7   J     J    rJ     J   J  J    jj  |J     J    J     J     J 


Po  -  n-eòv  èv  eX{-Hi€-aiv  o6k  €  -  xo  -  M^v    KO  -  pi  -  €  xdw  bu  - 


3^ 

è  -  Xé  -  Ti-aov    i^-^d^. 

ou  bien  encore  avec  la  Version  du  Protopsalte  de  l'Églisi 
à  Venise: 


Version  de  VÉgìide  Grecque  à  Venise, 


>J  J.'1J  J  r  J  i-jjJ  J-Jr^i^ 


KO-pi-€      tOùv  òu-vd-^i€  -  uAf    ^leO*  i^-)Lidiv    yé  -  vou 


:^J     j     J   j^     J    J       i     ^     ^J^   r     ^     ^     JL 


Tàp  èK-TÓ^  aoO  po-ì^-eóv 


iy  eX(-i|i€-(nv  OÒK    l  '  X0-H6V 
dans  les  affliotiond 


^P^r  r  ^  ^  ^-^  i  ^  P^^TT-f^ 


Ku    -    pi  -  €  Toiv   òu-vd  -  ^€-iIiv    k  -  Xé-11  -  aov  i^-Md^. 
Seignear  des  paissances  aies  pitie  de  nona. 


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LX8  CHANT8  DI  L^SOUSB  ORZGQUB 


S83 


aarait  étre  douteux  à  laquelle  il  convìent  de  donner  la 
,  laquelle  des  trois  versions  doit  étre  coDsidérée  comme  le 

roriginal  aatfeentique:  Mt^  dsas  rHymne  de  la  Sainte 
,  vie,  expreasivitét  ligne  soaple;  dans  la  Teraon  de  Constan- 

dans  celle  de  Venise,  od  : 


^^m^^m 


rie  inttiaT,  dine  raidevr  iasupportabtoy  froid,  ssns  vit,  aans 
ftme  en  un  mot. 

\  la  version  de  Venise  les  sublimes  modulations  du  minear 
r  ont  dispara  entièreaient  !  Oii  dSndt  me  pétrification;  mé- 


osé  da  Ghant  précédent  (N''  4),  le  Mè^  iman  a  Theos^ 
Ilare  binaire,  noos  royons  dans  le  Kfrie  iòn  Dynameon^ 
[18  l'ordre  métrique  supérieur  le  principe  de  stractare  ter- 
9[ttnne  modeste  qui  de  la  forme  da  €  Dreitheiliges  Lied  » 
>  \à  ferme  Sonate-Sinfonie.  —  Voici  les  trois  parties  claire- 
inées: 


Seiipeiir  des  fouauioea 
Sou  aree  doub! 

ir,  en  Térìtó,  hors  de  toi 

n  antre  Saavenr 

ans  let  afflietioiis  point  n*aT0D8. 

Seignear  des  paissanoes 
les  pitie  de  noos! 


I.  majevr,  partie  animodalBi 

,  n.  miaevr,  parile  métaboiigne 
modalatoire. 

HI.  majear,  retoar  da  l' motif. 
Cadence  finale  rnmeurt. 


animodale 

ArMteeture  temaire, 
n*  parile  méiabofiqve 

m«  putto.  Btiov  da 
!•'  Boilf  «t  ConeliHioB 

[ 

II 

ni 

2 

Mce-... 

8 
axxov ... 

4 

poneòv... 

5 
bf  exiijrcaiv  ... 

6 
KOpi€  ... 

7 

éXèiaov... 

vm. 


89 


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564 


MEMORIE 


N.   6. 

I  asOmatos  phyBis. 
Versets  pour  éire  chaniés  à  Camplies. 

Sièeles  antérìenn  an  IV*. 
(Venian  dm  Mani  AÌho$). 


I  r  r  r  i  ^  J  i  ^  ^  j^  i  ^  :i 


Y^i-Toi?  a€     ^J-^voK,    Òo-Eo-Xo  -  Ktt 

Traduethn:  La  natare  inoorporelle,  les  Chérabins  ayec  des  hymnes 
Te  glorìfient. 

L'hymne  /  asómaios  physis  est  un  rare  specimen  de  rhy 
naire  sytnétriqae  et  de  période  carrée  conventionnelle  dan 
moderne.  Ce  serait  une  raison  pour  ne  pas  le  croire  d'une 
très  grande,  et  la  note  sensible  {fa  #)  confirme  ce  soupfon 
l'allure  joyeuse  et  fraiche  qui  correspond  bien  au  texte  en 
la  popularité  et  constitue  sa  valeur. 


N.  7. 


Kyrie  VasUeu. 
Vera  Hrés  du  «  Oloria  in  excelsis  ». 
De  la  Dùxoìogie  qui  se  chante  à  la  fin  des  Matim 

Antériear  au  IV*  siede. 


DMzièni*  toB  ptof»!. 


KO-pi  -  €    Ba-oi-XcO, 
0  Seig:near  Roi, 


nou-pd 


celeste 


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LES  CHANT3  DE   L  EGLISG   GRECQUX 


585 


5^^  j  If  1^^^   ^J^^  J  ^  f^"^^"^^ 


Ttav     -    TO-Kpd  -  TOp» 

toutpuissant 


Kù  -  pi  -  €    ul  -  è    no  -  vo  -  T€-vè^, 
Seìgnear,        fìls  unique, 


UihlJ  i  J  .T,^ 


pinate  Kal  fi     -     "fi-ov  TTveO     -     pia. 
irist      et        Saint  Esprit. 


nélodie,  d'un  charme  inexprimable,  d'une  diction  si  noble  et 
nte  à  la  fois,  appartieni  à  la  catégorie  des  chants  idiomèles 
eur  melodie  propre,  non  transférable  (1),  ne  servant  pas  de 
d'autres.  C'est  un  fragment  de  la  Doxologie.   La  diction» 
e  Tunion  de  la  parole  et  du  chant,  est  d'une  haute  perfection. 
rquera  que  la  ligne  mélodique,  qui  généralement  se  meut 
ìs  conjoints,  au  nom  de  Jésus-Christ^  dans  la  phrase  pré- 
e  la  cadence  finale,  procède  au  contraire  pardegrés  disjoints, 
idissant  d'une  quarte  pour  remonter  aussitòt  d'une  sixte.  — 
i  qu'ici  rame  se  precipite  à  genoux,  en  élevant  ses  mains, 
ste  d'adoration  vers  ce  nom  sacre  :  musique  de  geste,  si  l'on 
ainsi,  que   les   Mélodes  de  l'Église  Grecque,  d'un    tacite 
b  raùs  par  le  méme  sentiraent  de  vénération,  ne  manquent 
introduire,  faisant  devant  le  nom  de  Jesus  comme  une  gè- 
musicale.  Et  si  la  musique  en  effet  trouve  Texpression  juste 
geste  d'humilité,  en   revanche,  dans  la  première   phrase, 
phe  grandiose  au  Seigneur  Eoi,  Dieu  du  Ciel  —  épouranie 
à  quelle  majesté,  à  quel  aw-rfe/à  superbe  ne  s'élève  t  elle  pas? 


notre  ootice  dans  Tlntrod action,  p.  53  da  fascicle  précédente  tome  Vili 
sta  Musicale  Italiana^  sur  la  diiférence  qui  eiiste  entra  les  eh  anta 
Ues  et  cenx  qu'on  appello  automèle$. 


■ki 


I 


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56^ 


MttìtOkTÈ 


».  8. 


Kyrie  o  Tlteotf . 

Se  la  Dozológie. 

(Version  du  Moni  Athoi), 


Qtttilime  toB. 


m 


KO-pi-€        6   Gc-òc  ó 'Ap.vò<        ToO      OcoO     ó    Yl-ò? 


ToOtTa-Tpò^  ó    a!  -   puiv  tì^v  à-nap-ri    -    av  toO  kó     -     tffiou 


>  * 


è-Xé-n"<yov  V^d^      6    at  -  pwv    tò^  &-^ap-T(  -  a<;  toO  icó    -    a^ou. 

Ce  qui  frappe,  en  deliors  de  la  donceur  modeste  de  ce  Kyrie,  d'est 
le  traitemetit  de  la  note  sensible  5t,  snr  les  parola  6  aTpuiv;  elle  reste 
non  résolue,  cotnme  suspendae,  note  de  passage  pour  ainsi  dire,  eflfet 
très  délicat  que  Ton  rencontre  dads  les  Chants  du  Vèneto,  vestige 
de  haute  antiquité  dfl,  peut-étrè,  à  certaines  origines  oommuned  et  aui 
tapports  ultérìeurs. 


K  9. 


1  Ptrthdnos  syrneron. 

Kantakùm  automèle. 

Y*  siècle. 

Célèbre  caRtiqne  de  Noel  compose  par  B*  fiomiio,  Mólodt. 
{Vertion  a^ioriU). 


TraMèn*  ton.  AUtgro, 


M  j  j  j  «n  nrrrn  ^  j  j  J  ^ 


i.      'H  TTap-e^-vo?  <rf|      -      -      ^c  -   pov 
La  Vergine  oggi 


T^    6-1T€-poO-OI-OV 

il      Bopraioetaniiale 


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LIS  GHANT8  DS  X.*;toMSE  GRBGQUE 


687 


■m-n-^n-f 


*    J    ■■■^ 


^ 


t(ic    -       -       *     «et.    9.  «al  i)  rn  »^  i»«ft    -    -    Juw     -     ov     T<i 
partorifce  E  la  teiera  la  spelonca  al- 


^  j  j  j  j  Ls^-n  j-^-r-Trg  ■  r^*"^"^ 


A-irpo-oi^Ttp  irpe-aA    - 
rina«peaiibile  offre. 


T€i.     3.  "At-t*   •    ^«1  +l€-Tà  «•! 

Gii  angeli       coi    pa 


ime     -      -     vujv  ftO'Eo-Xo-ToO      -      oi.       4.  Md       -        yoi         ftè 
stori  Ti  cantano  gloria.  I  Hagì  poi 


o  j  tj  j  j  j-^j.i/^  n  J  ^  j-rH-7-1 


colla         stella  viaggiano 


01      5.  h\*  Vj-fia^ 
Poiché  per 


gÌF^F-g^M^J  JyJ'rrrtrr^  J^^^JJrAJ 


Tàp  è-T€v-v/i      -      -    011       irm-òi-ov  ve  -  ov  6  TTpo-aint   -  vuiv  0£-ò(. 
noi         è  nato  un  fancinllo  naoyo^  il  Dio  prima  dei  secoli. 


Analyse. 

Cet  hymne  est  un  des  plus  célèbres  et  des  plus  populaires  de  S^  Bo- 
main  (1).  La  version  Aghìorite  que  Bous  en  donnons  diffère  en  plus 
d'un  point  de  celles  des  traditions  de  l'Église  telles  qu'elles  se  sont 
consenrées  dans  les  yilles.  —  La  Feraian  abrégée,  comme  on  la  chante 
à  l'Église  Grecque  de  Yenise,  ne  contient  point  par  exemple  la  fraiche 
snodoiaikm  en  u^  et  le  g^:9xieui gruppetto  sor  les  loots  «''Att^^  >^ 
ies  anges  et  les  pastetrrs,  détaìl  earaetéristique  et  musiqiie  pitte- 
resque  comme  l'aimaH  la  nafre  «nfance  de  Tart;  on  n'y  trouye  point 


(1)  Mttode  dn  V'  aiòde.  Volr  la  parag raphe:  Lei  prmeipmitx  Méìodee  de 
VÉgUee  4'Onent,  de  notre  étade^  dans  le  fa«cicale  psécédent  à»  <t9tte  JJtrMto, 
annóe  Vili,  1901,  p.  60. 


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wn 


588 


MKMORU 


trace  non  plus  de  l'intéressante  modulation  en  fa  mineur 
est  qaestìon  des  Bois  Mages  et  de  l'Étoìle,  modulation  qui 
fort  à  sa  place  dans  la  partie  centrale   métabolique  de  a 
qui  se  meut,  dans  la  version  de  Yenise,  dans  un  cercle 
du  seul  et  méme  troisième  mode. 

Observons  que  le  rhythme  est  tour  à  tour  binaire  et  te 
un  libre  mélange,  et  que  les  cadences  font  alterner  fa  et 
en  arrìver  à  une  doublé  consécration  du  /*a,  ton  fondamen 

Essai  d'analyse  de  Varchitecture  muskaìe. 


Cadences  : 


1 

2 

3 

4 

5 

Fa  Sol 

Fa  Sol 

\Utmaj\Sol 

Fam,  Sol 

Fa 

Partie  principale        (Partie  métabolique         Partie  coi 
nnimodale  modnlatoire)  animo 


N.  10. 


E  phònè  tou  lògou. 
De  rode  VP  du  Canon  de  VÉpiphanie. 
^nt  heirmologique  dit:  Tón  Photón.) 

y  siede. 
{Version  aghiorite). 


r^« 


Deaxiòme  ton.  AUsgro. 


TlJV    0U)TIJV. 


If.  Jj^  J  J^^'TJj  j  J  j|  Jj^^j^^ 


*H    (pui'Vf)  ToO  Aó    -    Tow,    ó  XOx-vo^  toO  q)ui-TÒ^  6  *E-ui^  q 
La      Toiz    da        Yerbe,        la    lampe    de  la  lamière,  Tétoile 


j  j  ji^  j  J^~j  n^j  j  I  J)ì3^^ 


ó  ToO  *H  -  X(  -  cu  TTpó    -    hpo      -     ^40^,      iy       xf) 
da  Soleil  le  Précarsear  dans        le 


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LE8  CHANT8  DI  L*ÀQLI8S  ORBCQUS 


589 


)i€-Ta-vo-€t       -       T€       «a-oipo-a     TÓKXa-o1(U    Kol  irpo-ka-Oa    -  i-pco 
Faitee    penitente       à  tona  crìe  (à  tons)  lee  peaplee,        pariflez-?oni 


ee  1^0  yàp  nd  -  pe-ori  Xpi-orò?  ex  (peo-pdcTòv  kóo  -  ^iov  Xu  -  xpoO-fic-voc;. 
paroe  qae  prósent  est  le  Cbrìst       qai  sanve  le  monde  de  la  corrapiàon. 

Yoici  un  chant  compose  de  neaf  phrades  mélodiqaes  dont  l'encha!- 
nement  est  aussi  heureux  qa'intéressant  —  EUes  semblent  réparties 
ainsì,  d'après  les  cadences,  qui  ont  lìea  sur  $ol  et  sur  ré  : 


■•1 


2   8 


Cadences  : 


Sol" 

1 

Ré          1 

RéH 

S 

Ré 

•z 

Sol 

§ 

SolJ 

^ 

Ré 

Sol 

Ré  - 

1 

4.  - 

'■] 

Od  voit  le  parallélisme  de  la  l'^  et  de  la  dernière  partie;non  pas 
parallélìsme  méthodique,  littéral,  mais  parallélisme  spirìtuel.  Un  autre 
parallélisme  a  lieu  entre  les  deux  périodes  du  milieu  (2  et  3).  Cotte 
régnlarité  est  interrompue  de  la  manière  la  plus  heureuse  par  la 
phrase  N.  4,  pour  ainsi  dire  hors  cadre. 

La  formule  principale  de  cotte  phrase  est  rappelée  à  la  fin  de  la 
dernière  phrase. 

La  charpente  musicale  de  ce  chant  si  exprossif  se  présenterait  dono 
de  la  manière  suivante: 


Sol  I    Ré 


Période  ternatre 


Rien  n'est  arbitraire  dans  ces  chants,  et  l'on  découvre  dans  chacun 
le  travail  de  la  pensée  en  memo  temps  que  l'inspiratìon  du  sentiment  ! 


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590 


MBHORIX 


N.   IL 

Se  nOon  prottasma* 

(Clèomi  htirmoUgiqm). 
TI*  liècle. 

Le  «uitiftte  -éei  tFoU  Wàntt  dau  la  fanrnaiia  jodente. 

Qnfttdène  mofl*  piagai.  Jfod«ralD. 


fj.  JJ  J  i  J    J  J  J!  J  J  jTiJJ  T  h  J  J  i 


'Ek  vó*ev     iv^ò-<rraih'a tv  *  pdv^ou  ^0HRe  •  P«Oc         Xa-«àc  ( 
Us  iDtMaé       étoet         dn  tTcaii  iiD|>ie  Les  peaples 


ragTij  I  jì  j  j  J  i  J I J  j  ji  ^QrjTjTn^ 


kXó    -    VII-OC     ifvé-ov  d-irei  -  \f\^    Kalbua-q>f)  -  yi    -    o^  Gc-o  otu-t^^;' 
remaa  inspirant  des  menaces  tft  des  blasphèmes     en  haine  da  Diea. 


6-|uu>^  Tpd^  TTal  -  ba^  oòk  è-òd  -  ^a  •  rw  Jc       6u  -  fiò^         6n  *  pi 

Maia  les  troia  enfanta  n*oiit  pas  été  attems  par        la  farenr  bea    - 


ìhJìi''iu-H-j\iii^'^^  w^^ 


tiale,  ni      le 


ppó-^i-oy    dXX' dv  Tf)-xoOv'Ti      Òpo-ao  -  pò  -  Xui 
fen  frémissant  mn  plein  de  rosee 


I  JJ)i;'^^i+t4-j.j;i^uijjJi^ 


iTvcO-^a-n 
esprit 


TTu  •  p(-auv  6v-T€^ 
dans  le  fea  réunis 


HiaX      •      Xov  •    *0  (»ii-€p  -  <i'\kyn\ 
chantaient:         Oh  aa  dessns  des  lonanges 


TO^    Tdiv  Ha  -  T^-pov  Kol  fi  -  m&v     9€     -     ò^  cò-XO'irt  -  Toq 
de  nos  pères  et  notre         DieOi  soia  bèni! 


La  declamati  OD -si  admirable  dans  sa  vérité  expressive,  le  feu  et 
ranimatìon,  le  pathétique  de  la  dietion  qui  ne  faiblit  nulle  part  et 
ooBdait  vietorìeiiseflMDt;  vers  la  péroraisoa  qui  couronne  r^BOvre,  ne 
saaraient  étre  assez  admirées,  assez  goùtées. 


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LES  GHANTS  VK  l'AOLISB  ORECQUE 


591 


N.  12. 


Paldos  eu  àgis. 
Mirmoa  de  la  Litwrgie. 

VII«  siècle. 
Aatre  chant  des  troia  eofants  dans  la  foarnaise  ardente. 


Qnatflèaifl  ton  plagml.  Yi9ae; 


I^^Jm^'J  JÌ  J^  j/]j;^'j.;    l'h^^ 


I.  TTci    -    *  bo^      €0  4't^  èv   T^ica^fU  -  vqi,    IL    ó    TÓ-xo(Tf)^0€ 


g 


.  *)► 


«-Té^ov-oi  ÌKFdNia-TO,    IIL  tò  t€  m^v  tu  -  3ioO*|i£-yo(       vOv^  èvcp^oó 


fic-vo^    IV.  Tifjv  ot-NOU-M^<^i)v   fi  •  sa-aavt         à  •  T^-pei  ii^i&X  -  Xoti  -  oav  * 


ftjì  j  j'j-|fj.^!|Xj-jjj-^jJ^^Jj 


V.    TÒv  kO  -  pi  •  ov  (»^-v€^  -    tc  tò  Ip     •     Tfl»    VI.  Kol  ù-irc-pu-^ioO       T€ 


BzJ  n  j  ,n^ 


ei^  irdv-ra^  toù^      al  -  tX» 


va<;. 


Vtìihoe  general  eorrespaBi  au  caractère  qn'attrìbuB  rÉ?éque  Chry- 
sante,  aux  mélodles  de  ce  mode:  il  est  «  caressant^  agréaile  et  ai- 
trayant  pour  les  passions  ».  —  La  phrase  initiale  rappelle  une  des 
plus  belles  phrases  du  graduel  des  Dimanches  du  1*'  Avent  : 
Osiende  nobis  Domi$^, 


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502 


MBMORIB 


N.    13. 

Paxàdoxa  syrneron. 
Hymne  idiomèìe  dea  Vépres  de  la  Pentecóte. 

Vin«  siècle. 

D^orìgine   très  antique,   probablement  compose  par  S^  Jean  Dan 
Cosmas  (sec.  Vili»). 


QMtrìènie  ton.  Adagio. 


TTò-pd-òo-Ea  af|     -     ^c     •    •     pov      cl-bov  t&  £8-vii  it( 
Cose  straordinarie         oggi  videro  le  genti 


n  AJTJj  J  iHj^TTJ-^  J  J  5,j  j^ 


èv  nò    •    -    -  X€i  Aa  -  v\h    6  t6  tò  TTv€0-|ì<ì  kq-tt^X  -  Bc  tò  fi    - 
nella        città         di  David    quando  lo  Spirito    discese       il  Sf 


^J-ih^-'WriHf^J  J  JJ  ^  J     ^ 


èv  mi-pi-voi^  yXiba  -  aai?,    xa-Od)^  6  ec-n-tó-po^  Aou    •    kS^  è     - 
in      focose         lingue,         come  il    teologo  Luca       ha       p 


j  j  j  j  j  j  i^s^-^^u^j  ^urrm 


<pil-al        T^p,  au-v^^T-^é    -   vujv  xOùv  Ma-8ì|-i 
Dice      infatti,    che  raccolti  i      di8cep< 


q)Béf     '     Ea  -  to; 
ciato. 


rgj  j^j  j~irrpi3iiN5j  j  y  ;  j^^ 


TOO 

di 


Xpi  -  axoO 
Cristo, 


è-Té-v€-T0  fi     -     xo^      Ka-6d-Tr€p  <p€-po-M 
si  fece  un  suono  come  por 


j  j  fT?  rr  ^^-J  .L^  J  J  J  J  ^;^4-HHfl 


pi-a(    -    -    a^    irvo  -  f)^  kqI  è-irXfi-puhac  tòv  ot    -    kov     oO  H    - 
impetuoso  soffio      e        riempì        la        casa        dove     era 


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LB8  CHANT8  LE  L*É0U8S  ORECQUB 


503 


I  n  J  J  JJI'I  ri 


m 


sedati; 


M€ 


-     VOI* 


e      totti 


•    •    Eov     •     Tó 
cominciarono 


9Wt 


a  parlare 


Oai' 


li  -  voK 

insolite 


W 


parole, 


<n. 


là 

inso 


voi(  h&f  -  ^a  -  ait     He  -  vok     bi 

liti  dogmi,  insoliti 


-    b&f    -     •    ^a    - 
insegnamenti 


01 


della 


Santa 


-  <K 


Tpi 


^ 


^^ 


Trinità. 


bo?. 


Cet  hymne  a  poar  sujet  la  descente  da  Saint-Esprit  à  la  Pente- 
còte.  11  se  divise  en  trois  parties:  la  première  et  la  S^^  partagéesen 
qoatre  phrases;  la  partie  da  miliea  contìent  sii  roembres  distincts. 
Les  proportioDS  architectarales  se  présentent  dono  ainsi:  4  +  6  +  4. 

La  l**  partie  est  ane  sorte  dMntrodaction,  comme  rindìqaent  les 
paroles;  c*est  Texorde.  La  modalation  est  stable  ;  les  cadences  affir- 
ment  qaatre  fois  ce  sol  —  Li  2^^  partie  commence  le  récit  propre- 
ment  dit  de  TÉvangéliste  Lacas;  c'est  la  partie  dramatiqae,  et  la 
melodie  soavent  imitative  rend  avec  ane  grande  vigaear  et  vérité 
d*expression  les  émoavantes  péripéties  da  miracle  de  la  Pentecdte  ;  il 
fitat  remarqaer  sartoat  la  manière  ingéniease  et  vraiment  grandiose, 
impressionnante,  avec  laqaelle  les  paroles:  «  piata^  irvof)^,  soaffle  im- 
pétaeax  »  sont  rendaes.  —  La  troisième  partie,  qui  décrìt  Teffet  prodait 
sur  les  Apfttres  par  la  déversion  da  Saint-Esprit,  a  an  beaa  caractère 
qui  termine  dignement  l'ensemble:  il  s'y  trouve  ane  progression  de 
petites  phrases  ascendantes,  sar  le  texte  :  «  paroles  extraordinaires, 
dogmes  extraordinaires,  enseignements  extraordinaires  »  qai  est  d*ane 
grande  force  dramatiqae;  la  phrase  finale  calme  et  ramène  au  ton 
mi  (tierce  de  ut)  qae  Ton  n*avait  pas  entenda  dans  toat  le  morceau 
(comme  cadence). 


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a«M 


MKMORQI 


La  cHsposition  et  la  distribation  des  cadeneas  box  sol  et  à»  a- 
deBcea  sur  rtf  est  remarquable  par  sa  elarté  et  unite.  —  Le  tableau 
graphique  lie  cette  nélodie  «arait  le  suivant: 


Modalations 
et  Cadenees 

Phrases 


ArdwUeture  temaire. 


Sol 

I       I       I 

IrUroduetùm 


Bé^Sol-^ 


Dévehppement 


Sel-lfi 


I       I 
4 
Candusion 


1      I 


N.  14. 


Euphrenestho  tk  Ur&nla. 

vili»  siècle. 
Hymne  apolytikioD  (dn  Congé)  attribaé  à  S^  Jean  Damascène. 


ir^-T^-TTT  r  t^  «<  ^  J^  J  J  J  J  J  j  J  •• 


Si  raU^iÌAO    le  oose  celeetì,  ep«Ui&o       le  eoee  iorreatrì» 


€  TI  è-tro(-ii  •  ac  xpA  -  a-ro? 
poìdiè       fece         potensa 


èv  ppo-xi-o  •  VI  «ÒToO  ó  Ké^-<K.       è-iré-TiH'c 
nel    bvaocio      uo    il  Signon        cilpeetò 


|J  J  J  J  J/3  Jj  JJjj  i  Ji^  J  J  J  J  J  ;  J  i^ 


Tfli  6d-vo-a-Ttp  TÒv  6d 
cella    morte       la 


va-a-Tov.  irpof-TÓ  -  o-TO*KO^Ttfhf-veicpilhf*-7l-vc-TO 
morte  prineganiio       d^i  ettlntl  H  latte. 


*Ek  Koi-Xi-ac    à  '  bou  ép-pó-aa-To     i^^^^*    kqI  ita-pé-axc  ri^  kó  -  o-0^^l  rò 
Dal  Tentre    d'inferno  ha  liberato      noi        e    conoeete    al        mondo        la 


UJJjJjJ 


grande  misericordia. 


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LKS  CHANTS  DÌ  L*ÉGLI81  ORECQUB 


Tàs  Hesperinàs. 

léUomèh  des  Vépres  de  Bimanthe. 

VUI»  Mède. 

Tire  de  l'Oetoéche  de  S«  Jeaa  DioMMèoe. 


r  toB.  Adagio, 


4^iu^  j  jIjj  N  j  j  ^i^jj  jj  j- 


)    yespertiiie    nostre    orazioni         accogli  o         Saot»  & 


lore, 


€       Kol  ira-pd-oxou  f|-n!v  d-<p€-ai-iv  à 
*     ooAoedi  a  noi    remiisione 


>Aap-Ti     - 
dei^peecaFti, 


«&v 


JJ  Jl  J^j./:ljJ  J  j  J-JJ  J^i"Jj  jJ 


ó-vo^  et 
lolo  sei 


6    .    .    Ò€Ì-€i-Ea^  èv  KÓa  •  fiuirfiv 
colai  che  ha  mostrato  nel    mondo    la 


d- vd 


J'j^rsjj 


ra 
»ne. 


01V. 


un  chant  dans  le  1<"  mode;  son  ambitus  est  de  sii  tons,  il 
da  si  au  sól^  c*està-dire  il  descend  deux  tons  au-deseous  de 
e  ré  et  ne  monta»  que  jufqv'au  ^* 

remière  phrase  est  régulièrement  rhythmée;  on  pourrait  la 
en  quatre  mesures  de  rhytbme  carré: 


jjjj  IJj  Ij^ 


iponst  au  eontndra  s'affirandiit  d*ane  manière  imprévue  et 
9  da  rhythme  symétrique  en  entremélant  le  rhytbme  à  4  temps 
imt  à  h  tempe  et  à  8  tempa. 


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506 


MEMORIE 


1  a  • 


Cette  phrase  se  distingue  en  outre  par  la  diyision  ternair 
merobres,  et  une  répétition  d'une  agogé  descendante,  chaque  foii 
et  augmentant  d'importance  à  chaque  reprise. 

Il  est  impossible  de  ne  pas  songer  à  la  construction  de  la 
initiale  de  la  1^  Pytbique  de  Pindare.  Meme  diyision  ternaire 
agogé  descendante,  méme  développement  progressif  du  motif  i 

En  transposant  cette  phrase  de  Pindare  dans  le  tétracord 
rieur  du  mode  dorien 


I^;^JJJI  iJ^JJI  J'Hj/^lj 


et  en  la  faisant  suivre  de  la  phrase  du  Tà^  écXTrepivà^ 


^:  J  j  j  N  J  j  I  j  j  j  I  J'J^J'j^rs  I  JJ 


on  dirait  avoir  devant  soi  la  véritable  conclusion  de  la  mèlo 
daresque,  qui,  comme  Ton  sait,  manque  dans  l'origiDal  de 
par  le  P.  Kircher. 


N.  16. 


Oralos  6n  kèi  kalòs. 

Trqpaire  de  la  Liturgie. 

Vili*  siècle. 

De  rOctoéche  de  S*  Jean  Damascène. 


Troiatòme  moda  piagai  (faria).  Adagio  et  ÀU0gro. 


Iryjj  ijjj  j-U^^jijj  j^j^^ 


*Q-pal-0(;   f\yf    xal xa-Xò^ cU  Ppd^-mv    ó    è-^è       Oava-nij  -  aa^ 
BeUo      era      e  baono  al    gnsto  quel  che  mi        rese  mortale 


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LI8  CHANT3  DB   L*éOLISE  ORBCQUB 


597 


(VarianU)  [-J  f   ^     J   jJP    J    j    J     J    | 

Eo-Ti  TÒ  EO-Xov  rf^  Zuhf^     kl  oG  <pa-Tibv  oò  6vf|  -  aicui      dX  •  X& 
è      il  legno  della  vita     del  quale  mangiando  non  morrò     ma 


i-j-jsì  r  ^^-^^  ^  J  ^  ^-^-^-^ 


aùv  T<J»  Xii-OTfl  •    nW|  •  aOii  t(  fiou  Kù-pi  -  €.         'Ev  xfl  pa  -  ai 
col         ladrone:    ricordati  di  me,  o  Signore,  nel  regno 


m 


aou. 
tao. 


Tys  Magdallnis. 
liiamèk. 
Siècle  IX*. 

Eothinon  (Hymne  da  Matin)  de  Leon  le  Sarant. 
(Veriian  du  MotU  Athos). 


1 1 1  j  jjjjj.ii'j  j  j-^ 


;  Mat-fta-XT)-vf)^  Ma-p(    • 
Maddalena  Maria, 


O^     2.  Tf|V  TOO  ZuhTf)  •  pOC  €Ò-  or 

mentre  del  SaWatore       an  - 


Tj j  j j  n^ n ,j  I . j  j  ^  ^  ^^ 


naniiava 


-     VI)?       3.  Tf|V  èK  V€-KpÒV  'A-và 

la  dai    morti      risor 


IV     4.  KOi  é^ 
e 


qxl    -    -   -  v€i  •  av,     5.  òi-a-mo-rcOv-Tc^ 
l'apparizione  non  erodendo 


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8^o 


■CMDflIX 


o(     Ma    »   6v|    -    Tol         6a.iJlHvciM    •    ìov-to    66.tò    t^  Kop 
i  Diseepoli  limproTeravano  là    del  cao 


I  JJJÌ;1j.JJUJ»Jj  i!T  h^^  ^  ^  ^JJJ} 


hi 


le 


aq    okKì]    -   •    -   póv      7.  dX-Xà  TOtq  <jii-mc(    •     oi^  kq 
dveiu  Bla     dai       legai  w  • 


J  J  i^J  j-J  J  J  Jj^j  JX-I J  r^'TTrgTT 


0o-iiXi-o6èv  •  T€C        Kal6aó    -    fxa     -     Ji,       8.  irpò^r^»^    -     pvr 
mati  e       dai  miracoli,  alla         pndicMio 


hJ  ^  j  j  ^  j^j  ;  j  jT^r^^=^^^=^ 


=1= 


fio  d    •    1160     -     TéX    •    -  Xov 
De  erano  mandatL 


TO.      9.  Kal  où  fièv  KO  -  pi    -    e, 
E    ta,        0  Signore, 


10.  wpòc  TÒv  àp-xi  '  ((nu  -  Tov,  d   -  v€-Xi^    -    • 
al  principio  d*ogm  luce  sei  asceso, 


8ìi^ìTo-Té    -    -    pa- 
il  Padre, 


Ifrol    bèi    '    '    '    Kfi    -•-    -^-    TOv  wchHra-tjD^  tév  Xé    - 

e  qnelir  predica? ano  dappertutto     la       pasdta 


42.  Tot?       dmhtMi  •  et      w»o    •    Toé     •     pi€    • 

coi  mbseolf  comprorandola. 


VOI.  13.  ùtrt  0( 

Perd6  noi 


q)u»«^cr-6éi'     -     T€^  hi*  at    '   '    Td>v    14.  òo^    •   ^  .    .    q» 

che  fammo  iHaroinati  per  loro  glorifichiame 


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LSS  CBANTS  DB  L  X0LI8B  GRECQUB 


Mév 
la 


aou    15.  Tfiv  ìk  v€-Kpùv  'A-và  -  ara  -  aiv, 
8aa  dai      morti  resurrezione, 


91-Xdv 
0  filan 


[  J2J1J  J  g-:^^ 


6pUI     .    .    -     1T€  KO     •    •    •  pi-€. 
tropo  Signore. 


Le  chant  «  Tf)^  MarbaXiivftc  »  est  un  chant  idiomèle  ayant  poar 
texte  le  passage  de  TÉvangile  qui  raconte  comment  S^-Madeleine  se 
rendant  au  tombeau  du  Seigneur,  apprit  par  TAnge  la  résurrection 
du  Chrìst.  —  Il  semble  empreint  tantdt  de  cette  <  tristesse  natu- 
relle  »  qui  remplissait  les  ccBurs  des  disciples,  après  que  leur  maitre 
les  eut  quittés,  tantdt,  comme  aux  paroles:  àveX/)<peii^  TTaTépa,  on 
sent  comme  un  cri  de  triomphe  venant  changer  cette  tristesse  en  joie. 
—  Quoique  assez  dé?eloppé,  ce  chant  est  très  sobre  de  modulation  et 
ne  sort  guère  de  rhypolydien  et  de  ses  congénères  {fa  avec  siii), 
S^Bo  ton  de  TÉglise  Grecque.  —  Ayant  son  point  de  départ  de  la  tona- 
nte de  ut  maj.  il  touche  à  la  min.  et  sol  (domK  de  ut)^  ayant  d'ar- 
riyer  au  fa;  puis  vient  une  2''*  partie  en  ré  min.^  une  autre  qui  par 
sol  min.  et  ut  maj.  termine  également  en  ré  min.^  au  moyen  de  la 
méme  formule  mélodique  syncopée 


auLu 


et  enfin  une  4"^  et  demière  partie  qui  termine  sur  le  ton  fonda- 
mental  fa. 

Le  parallélisme  des  phrases  s'y  fait  jour,  mais  d'une  manière  tout 
à  fait  irrégulière.  Sur  les  16  phrases  qui  le  composent  il  y  a  7  phrases- 
types  qui  se  retrouvent  dans  le  courant  du  morceau,  mais  qui  ne  se  ré- 
pètent  pas  identiquement  comm'e  on  pourrait  le  croire,  ni  alterna- 
tivement  2  par  2  ou  4  par  4.  La  1'*  phrase,  par  exemple,  n'est  répétée 
qu'à  la  neuvième,  la  2°"*  à  la  IS*"^,  la  6°^  qui  contient  la  cadence 
caractéristique  se  retrouve  à  la  8"«  et  12"«  phrase,  etc.,  etc. 

L'architecture  de  ce  chant  se  présente  ainsi: 

ni94tia  muiieaU  itaikma,  YIII.  40 


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600 


MBMORIB 


I. 

II. 

1 

1    1 

lfk 

1 
1 

2 

1 
1       1 

Ire 

1       1 

Ire 

1 

4 
1 

I& 

Tf^  MoT^aXiivf)^...    òiamoToOv...  Kal ai) fièv KOpic...  Aio ol «puiTtarévrc^.. 

et  appartìent  donc  au  système  binaire. 

Cadence. 

Nous  &Ì8on9  remarquer  dans  la  phrase  o.  11  la  cadence  par  éclepsis 
à  la  quarte,  si  famìlière  aux  chants  slaves  et  qui  se  tronye  également 
dans  rode  de  Pindaro. 


l4-£=f-^ 


La  eadenee  si  originale  par  son  rhythme  syneopé,  qui  se  présente 
à  la  fin  de  la  6"«,  de  la  S"""  et  de  la  12"*  phrase,  se  trouve  admi- 
rablement  appropriée  par  son  caractère  énergiqne  aux  paroles  qu'elle 
est  appelée  à  exprimer  ;  le  noiot  :  <  axXiipóv,  la  dnreté  des  codurs  des 
Apdtres»,  est  bien  caractérisé,  ainsi  que  le  «  nurroO^cvoi,  le  témoi- 
gnage,  la  preuve  certaine  »,  par  laquelle  les  Apdtres  appuyaient  leur 
prédication. 


N.  18. 

Metà  tin  Is  adù. 

Idiomèle. 

IX*  Biècle. 

Kothinon  (Eymoe  da  Matiu)  de  Leon  le  Savant,  Empereur. 

Devzième  ton  piagai.  Adagio. 


h'    J     J      J-^J    ^J    igU|;J     ili    J    '^"nHìI-^ 


Mc-TÒ  rf\y  d^    <[    -    •    òou  Kpd-Oo     -     6ov, 
Dopo     la    in        Inferno  discesa 


Kal  t/|v  ex  V€-Kpdhf 
e     la    dai  morti 


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LE8  CHANTS  QS  L*ÉOUSE  ORSCQUE 


mi 


vd  •  ara    •    -    -    aiv, 
Basnrretìone, 


é-6uHto0v  -  Te;     d^ 
afflitti,  come 


d    •    •    x^     é  •  irì  ti]»  xu'-pui-Mit'  oov^  Xpi    -   are,  oi       Ma- 

era  natarale,        per     la  separazione  tna,    o  Cristo,       i  di- 


I  n.i  Jinj  j-jF^^  j  j  j  ^  ju  f.^^ 


0r)    .    .    .    .    xal,  wpòq  Ip^ya  -  (j(    -    •  av 
soepoli  al  la?oro 


i'Tpa 


si  voi    - 


I  jjj_,i  rp-fyi^,L^jLnj^uu  jT_j,ii 


ntl 


0OV    xal  wd-Xiv  irXot    -    a  xal  Òùc    -    tu    -    a, 
sero,  e    ancora      barche       e  reti 


kqI  dr    -    •    -    -    •  pa  oò-ba    .    -    .    .  jioO  dX  -  Xà  aù  Idi-rcp  éfi-q)a  - 
e  presa  in  nessuna  parte,  ma    ta,    o  Salvatore,  ap  • 


|^E^i4gL^=r-ÌT/=i  J  fffS=h2Trj^- 


Via    •    -    •    •  8€l^,      Uk  Aca-tró    •    -    •  tì\(;  wdv-rujv, 

parso  come  Signore  di  tutte  cose, 


6€*Hi  - 
a  de- 


J?ZLl^  f^  JJJ  a3:g:rffij:ZF"TTif 


oK  KC  -    •  X€ù  -  e^ 
atra         comandi 


Pa-Xctv  Kal  i^v  ó  Xó    -    To<;,  ^p 
di  gettare  e    fa  la    parola,  fatto 


I  ^ j  j  i^j  J^T^^-ji^=S^~r77p~^p 


Tov       cu     -     eO^,    Kttl  irXfl-Bo^  xdiv  lx-6ù    •    -    -    uw 
sobito,         e  moltitudine  di  pesci 


ITO      -     Xù, 
grande 


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602 


MXMOEIE 


Tpiì^  j  j  rPT]  ^(j.j  j  j  j  j  ^,t._n(jj  j  j>3_j  ! 


Kal  b€tTr-vov  Eé-vov  f    -    •    toi  -  fiov    èv 
e      cena      insolita  pronta  a 


"rt        OO  >i€  -  TO  - 

terra  della  quale 


I  J  ^  [jpf  i^j  hP.  Q,J  jtJ  Dj  JJ^  J  J  ^ 


(JX^2^ujv  TÓ  re       aou       ti&v  ^a     -      Oii-Turv 

avendo  partecipato  i  tnoi  discepoli 


anche 


I  UT  r  a.i  '^-f-tr'  ^lì  '■i  >  ^^'  ^m. 


jia^         vOv         vo-ì]    -    Tt&<; 
noi  ora  mentalmente 


KQ-rà     d  •  il    -    -    -    •  ui 
rendi  degni 


iH:^^^^.-^h:.b^#±f  LfaJ  f  J  ;ìpì  .1  ^^ 


<J0V  èv-XpU- 

di  gustare, 


-    aa\    q>i-Xd    •    -    -  dv  •  Opui-nc 
0  filantropo 


Venise. 


Ella  AdaIbwskt. 


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LA  SONATA  A  KREUTZER 


I  nota  ai  concertisti  ed  ai  virtuosi  del  violino  (come  del 
3he  le  altre  composizioni  del  sommo  di  Bonn),  la  Sonata  a 
'  ha  acquistato  una  certa  rinomanza  e  popolarità  (di  nome 
anto)  pel  grande  successo  ottenuto  da  quel  breve  romanzo 
ò  Leone  Tolstol,  che  appunto  dalla  Sonata  a  Ereutzer  sMn- 

lanza  e  popolarità  assolutamente  fittizia ,  come  si  è  accen- 
ti apparente  che  sostanziale,  perchè,  contrariamente  a  quanto 
nel  campo  della  letteratura,  dove  il  rumore  sollevato  da  un'o- 
isicale  determina  molto  spesso  la  popolarità,  e  talvolta  per- 
ivelazione  al  pubblico  del  lavoro  letterario  donde  il  libretto 
melodramma  è  stato  tolto,  il  grande  successo  del  romanzo 
^ece  non  ha  invogliato  menomamente  i  violinisti  a  studiare 
musicale  dal  quale  esso  s'intitola,  paghi  più  che  mai  delle 
ginnastiche  alla  Paganini,  Sarasate,  ecc.,  di  cui  la  lettera- 
certistica  per  violino  non  fa  certo  difetto, 
fortunata  invero  la  Sonata  a  Kreutzer  ! 
Dota  ai  musicisti,  nella  novella  del  Tolstol  essa  vien  desti- 
appresentare  una  parte  ben  brutta,  ad  esercitare  una  fun- 
n  deleteria,  ad  essere  come  il  simbolo  di  un  elemento  emi- 
ite  dissolvente,  eccitante,  inesplicabilmente  dannoso  qual  è 
9  la  musica,  nella  tesi  paradossale  così  asmaticamente  so- 
e  sviluppata  dal  romanziere. 

ile  mette  in  bocca  al  suo  strano  protagonista  certe  teorie  di 
musicale  ancor  più  strane ,  le  quali  tenderebbero  alla  sop- 
I  totale  di  quest'arte  divina,  perchè  «  cosa  terrìbile  in  gene- 


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604  MEMORIE 

rale  »;  o  per  lo  meno  airannìentamento  delle  manifestazioni  più  ele- 
vate e  complesse  del  genio  musicale,  perchè  producono  <  un'eccitazione 
inesplicabile  che  è  dannosa  »,  rendendosi  tollerabili  appena  le  mani- 
festazioni, che  comunemente  sono  ideate  di  genere  inferiore,  quali  una 
marcia  od  una  danza,  che  per  lo  meno  corrispondono  ad  uno  «  scopo 
determinato  ». 

Onde  leggendo  quelle  due  pagine  di  estetica  musicale  intromessa  Del 
romanzo,  il  lettore,  che  pure  venne  già  messo  a  dura  prova  dalle 
non  meno  strane  teorie  sull'amore  e  sul  matrimonio  che  precedono^ 
ma  che  nutre  pur  sempre  una  grande  ammirazione  per  il  genio  di 
Tolstoi,  si  domanda  quasi  imbecillito:  Ma  queste  saranno  opinioni 
che  il  romanziere  ba  messo  in  bocca  al  suo  protagonista  per  dimo- 
strarne vieppiti  Tanormalità ,  oppure  sono  teorie  proprie  del  roman- 
ziere U  quale  si  vale  di  questo  artifizio  per  enunciarle?  E  pur  trc^ypo 
che  sia  veramente  così  lo  dimostrerebbe  il  pit  recente  libro  di  filo- 
sofia dell'arte:  «  Che  cosa  è  l'arte?»^  in  cui  il  romanziere  russo 
venne  sviluppando  ampiamente,  sebbene  con  poco  rigor  di  logica, 
queste  teorie,  applicandole  anche  alle  altre  arti  serrile  :  un  libro  assai 
poco  convincente  e  che  dinaraatra  una  volta  più  come  il  Tolstoi,  gran- 
dissimo artìatBi  sia  un  mediocre  filosofo,  le  c«i  tesi,  molto  smesso  nto- 
pisticbe  e  paradoasali^i  possono  soltanto  avere  una  certa  effieada  per 
la  grandezza  e  neMltà  dello  scopo  al  quale  esse  sono  iospirata 

Ma ,  per  ridarci  al  nostro  argomento ,  eeme  mai  rAntore  ha  po^ 
tuto  scegliere  una  composizione  del  più  sereno  ed  equilibrato  fin  i 
grandi  musieisti  «  ha  potuto  seegliefe  precisamente  questa  Sonata  a 
Krentzer  p^  abbassarla  come  alla  spiegazione  musicale  di  nn  or- 
rendo delitto  operato  non  dietro  un  impulso  generosamente  passio* 
naie,  come  sarebbe  il  delitto  d'Otello,  ma  dietro  un  impulso  ignobile, 
che  è  anzi  il  compendio  di  tntta  ana  serie  di  seatìmenti  ignobili,  di 
vere  iHruttave?  «  Questa  Sonata  a  Xrentzer ,  il  primo  tempo  presta 
è  lecito  suonarlo  in  un  salone  ove  son  convennte  dame  eoi  seni  de- 
nudati ?  » 

Così  si  esprime  il  Tolstoi,  per  il  quale  la  Sanata  a  KreuUur  <  un 
lavoro  terribile  »,  addirittura  immorale,  i^on  solo  basta,  nella  sanno* 
velia,  a  servire  da  galeotto  ai  due  esecatori,  così  da  condurli  insen- 
sibilmente ed  inesorabilmente  all'adulterio,  ma  è  tale  da  <  sovreceìtart 
in  modo  ineffiibile,  anzi ,  da  provocare  addirittora  in  certi  ambienti 


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LA  SONATA  A  KREUTZER 


606 


eerte  idee  ehe  sarebbe  brutto  veder  attuate!  »;  allo  stesso  modo  che  il 
vino,  l'acquavite  bevuta  a  profusione,  ed  il  fumo  del  tabacco  inaspri- 
scono il  protagonista,  e  gli  danno  quell'  ebbrezza  ed  inconsapevolezza 
necessaria  ad  inveire  dapprima  turpemente  contro  la  propria  moglie, 
a  commettere  scenate  rivoltanti,  ed  infine  ad  ucciderla. 

Oh  isente  sublime  e  casta  di  Beethoven  i  chi  altri  avrebbe  potato 
anche  sospettare  che  la  tua  Sonata  non  sia  lecito  eseguirla  in  un 
salone ,  ove  son  convenute  dame  coi  seni  denudati ,  non  perchè  sa- 
rebbe come  pro£uiarla  davanti  a  un  pubblico  generalmente  così  fri- 
volo e  sciocco,  ma  perchè  possa  essere  argomento  e  causa  d' im- 
moralità ? 

Povera  Sanata  a  KreuUfer  !  quanta  ignominia,  potentemente  de- 
scritta, fosti  destinata  a  rivestire  ! 

Ma  è  poi  proprio  vero  che  questo  primo  tempo  <  presto  »  sia  così 
diabolicamente  violento,  suggestivo  e  sensuale,  e  che  in  esso  si  tro- 
vino elementi  passionali  sviluppati  in  maniera  inaudita  e  portati  al 
parossismo  più  che  in  qualsiasi  altra  composizione  di  Beethoven  per 
violino? 

Esaminiamolo  non  con  gli  orecchi  di  un  Posdnìcheff  esaltato  e  mat- 
toide, ma  con  quelli  sani  di  un  devoto  cultore  di  musica,  e  vediamo. 


m 


Il  «presto  »  in  2a  minore  è  preceduto  da  un  <  Adagio  sostenuto  »  in 
la  maggiore  che  incomincia  con  4  battute  di  violino  solo ,  ripetete 
subito  in  minore  dal  pianoforte. 


Adagio  sostenuto. 

Tiolino  Mìo. 


m 


^ 


r 


¥=^ 


Questa  specie  di  introduzione  (non  infrequente  in  Beethoven)  ha 
qui  poca  importanza  musicale:  è  una  specie  di  progressione  che  si 
arresta  alla  sotto  dominante  per  preparare  T  entrata  impetuosa  del 
presiOj  il  quale,  irrompendo  suiraccordo  della  sotto-dominante  ed  in 


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606 


MEMORIE 


tonalità  minore  dopo  il  maggiore  dell'Adagio,  produce  un  effetto  di 
sicura  efficacia. 


Presto, 


i 


m 


raU. 


Il  tema  Tiene  ripetuto  dal  pianoforte  e  subito  violino  e  pianoforte 
incominciano  una  specie  di  progressione 


fioUno. 


^m 


JlSliJ 


-^hhh^ 


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^m 


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^    *    2 


*    *    ^ 


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LA  SONATA  A  KREUTZER 


607 


.[tr.fif 


^ 


«.  (1). 


progressione  assolutamente  scolastica,  poco  originale  e  fredduccia. 

Il  secondo  tema  principale ,   tema  contrappeso ,   viene  enunziato 
subito  dopo  dal  violino. 


TioUmo. 


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«^ 


^ 


11 


(1)  Le  citazioni  masicali  sono  forzatamente  molto   embrìonali,  e  lascio  al  let- 
tore la  cara  di  oonsaltare  in  proposito  l'op.  47. 


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eoè 


auMoaiB 


È  un  bel  tema  nobile,  elevato  e  dotato  di  un*  espressione  calma, 
pressoché  divota,  che  fa  bel  contrasto  coli' agitato  minare  antece- 
dente. Tecnicamente  è  degno  di  nota  la  sua  tonalità  di  mt  maggiort 
alla  quinta  della  tonalità  d'impianto  la  minore  :  una  specie  di  infra- 
zione alla  regola  classica  e  che  sarà  più  tardi  eseguita  da  Mendel- 
sohn,  Schubert,  Bramhs  ed  altri. 

Il  tema  viene  subito  interrotto  con  beireffetto  da  una  nuova  pro- 
gressione 


7iùU^. 


^ 


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e 


^^=^ 


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la 


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fftr^ 


SE 


^ 


progressione  più  ricca  e  meno  scolastica  della  precedente  e  che  alle 
battute 


YioUno, 


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LA  SONATA  A  KllKUTZER 


t±^^±f:     tttt^^fif:      ttfiti: 


^^ 


+-H-I  I  I  I  I 


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ffrfLtLf 


t£ff»frf 


raggiunge  una  potenza  d'effetto  grandissima;  Tunico  punto  della 
Sonata  in  cui  si  possano  rintracciare  degli  elementi  passionali. 
Entra  subito  un  nuovo  tema  in  mi  minore 


ftelho. 


^.     i^     ^ 


^1^.^'^ 


ISZZ 


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610 


MIMORIB 


pira. 


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Arco 


izzjzJt^ 


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1» 


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^ 


'A 


musicalmente  di  ottimo  effetto  ^  patologicamente  insignificante,  né 
sensuale ,  né  dissolvente  più  di  tanti  altri  temi  di  Beethoven ,  coi 
quali  esso  ha  una  certa  visibile  parentela.  Segue  la  cadenza  in  mi 
minore  ed  il  ritornello. 

Dopo  il  ritornello  abbiamo  la  parte  dedicata  allo  svolgimento  dei 
temi  fondamentali,  e  nella  quale  il  divino  Beethoven  emerge  di  solito 
ad  altezze  inaudite  e  giammai  raggiunte  da  altri. 

Modulazioni,  progressioni  dolorose  o  sfolgoranti  di  brio  e  di  verve , 
deduzioni  impreviste  e  sbalorditive,  di  solito  formano  la  caratteristica 
di  questa  parte  ;  ma  nella  Sonata  a  Kreutzer  Beethoven  si  muove  un 
pochino  a  disagio.  L'artifizio,  lo  sforzo,  la  scolastica  vi  sono  evi- 
denti e  Beethoven,  svolgendo  a  sazietà  il  tema  in  mi  minare^ 


S 


=<=3qpE 


^ 


=:^ 


=l=t= 


s^ 


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LA  SONATA  A  RREUTZER 


611 


è  ben  lontano  dal  provocare  le  impressioni  volute  dal  Tolstol:  e  che 
altre  composizioni  dello  stesso  Beethoven  sascitano  con  assai  maggior 
efficacia. 

Anche  la  ripresa  della  prima  parte  della  Sonata  è  condotta  con 
poco  effetto,  meccanicamente  e  senza  genialità. 

La  ripetizione  della  prima  parte,  col  secondo  tema  in  la  maggiore, 
come  vuole  la  regola ,  non  aggiunge,  né  può  aggiungere  nuovi  ele- 
menti psicologici  che  possano  giustificarci  l'aspro  apprezzamento  dello 
scrittore  russo. 

Più  ricca  d'effetto  è  la  Coda ,  piuttosto  estesa ,  e  che  racchiude 
una  progressione  d'ottave  molto  bella  e  caratteristica  in  Beethoven. 


*  * 


Riassumendo,  questo  tempo  è  una  composizione  che  nel  suo  com- 
plesso è  splendida  per  fattura  e  tecnica  musicale,  e  per  bellezza  di 
idee,  ma  che  non  racchiude  per  nulla  quegli  elementi  sovversivi  ed 
eccitanti  voluti  dal  Tolstol  e  che  si  riscontrerebbero  di  preferenza  in 
altre  composizioni  per  violino  dello  stesso  Beethoven. 

È  un  lavoro  che  ripete  formule  e  frasi  comuni  a  Beethoven  e  che 
lascia  trapelare  discretamente  lo  scolasticismo  sì  da  giustificare  per 
nulla  l'interpretazione  troppo  fantastica  ed  assolutamente  soggettiva 
del  filosofo  russo. 

E  che  troppo  soggettiva  ed  ingiusta  sia  l'interpretazione  che  questi 
seccamente  pone  in  bocca  del  suo  protagonista,  lo  prova  l'apprezza- 
mento che  egli  dà  del  secondo  tempo  Andante 


Andante  con  variasioni 


che  chiama  «poco originale»,  mentre  tolto,  forse  senza  accorgersi, 
da  un  illustre  nostro  musicista  contemporaneo,  a  tema  di  una  ro- 


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612  MIMOBU 

maazft  in  un  notissimo  dramma  lirico,  oostitnisce  ima  delle  gemme 
dello  spartitoi  ;  ed  il  gindizio  sol  Finale  che  dice  «  dì  poco  eletto  ». 

Ma  il  Finche  è  precisamente  sbalorditivo  per  efficacia  e  yifaciià, 
è  uno  scoppiettio  sfolgorante  ed  inesauribile  di  note,  che  sono  come 
tante  perle  cadenti  sopra  un  bacile  d' argento  e  che  ti  lasciano  tb* 
bacinato  innanzi  a  tanta  fretchezia  d*  idee ,  unita  a  ooA  potente 
senso  dell'equilibrio  e  dell'unità  della  composizione;  in  una  parola, 
della  quadratura  ! 

Basterebbe  quest'  ultimo  tempo  a  rendere  immortale  questa  So- 
nata ed  a  rendala  gradita  ai  Tiolinisti,  se  essi  pib  che  a  ftr  ammi- 
rare la  scioltezza  e  l'agilità  delle  loro  dita,  mirassero  a  comuiictre 
al  pubblico,  per  mezzo  dei  capolavori  dei  grandi  musicisti,  un'anima 
d'artista  ed  un  vero  sentimento  d'arte. 

Ma  i  concertisti  preferiscono  fare  i  funamboli  ;  e  poiché  la  vera  e 
nobile  letteratura  musicale  per  violino  è  poco  conosciuta,  un  grande 
romanziere  può  fiirsi  lecito  non  solo  di  fare  degli  apprezzamenti 
stranamente  fantastici  su  una  Sonata  a  Kreutzer ,  ma  di  renderk 
addirittura  odiosa  per  l'atrocità  del  delitto,  del  quale  l'innocente 
Sonata  parrebbe  essere  la  causa  determinante,  senza  che  il  buon  pub- 
blico possa  dire  al  romanziere  che  questa  volta  ha  torto. 

DiKO  SlSCBRO. 


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Arte  contemporanea 


LA  TECNICA  DEL  CANALE  D'ATTACCO 

Saggio  pkr  lo  studio  tsoricO'-pbatigo 
degù  elsmbnti  fonetici  della  favella  italiana  nell*ein8si01is  tocalb. 

Con  6  flgiirt  •  bubmoiI  Mpedi«Bti  gTÈAtA^  proapvfeti,  mc. 
(CùfUinwu.  V.  Tol.  Vili,  fase.  V,  pag.  137,  anno  1901). 


Capitolo  Terzo. 

Delle  vocali  secondarle  e  loro  efBLcada, 
quale  mezzo  di  neutralizzazione  di  tutto  il  vocalismo. 

Le  vocali  E,  0  sodo  dette  secondarie  perchè  non  contengono  in 
se  stesse  stoffa  originale-primaria,  ma  non  sono  che  gradazioni 
delle  vocali  primarie,  riempiendone  i  vani  ed  appianandone  le  diffe- 
renze si  spiccate.  La  prima  trovasi  fra  I  ed  Aj  ed  appartiene  perciò 
al  dominio  chiaro;  la  seconda  fra  J.  ed  Z7,  e  viene  considerata 
per  la  stessa  ragione  vocale  oscura.  Queste  vocali  secondarie  sono 
suscettibili  di  modificazioni  ;  o  meglio,  si  distinguono  in  ciascuna  di 
esse  due  suoni  differenti;  Tuno  detto  suono  aperto,  Taltro  suono 
chiuso.  Designeremo  il  loro  suono  aperto  con  racconto  grave:  come 
in  rnènsa^  rèmo^  bòtta^  còlh,  ecc.  ;  ed  il  loro  suono  chiuso  con  Tac- 
cento  acuto:  come  in  mése^  réfe^  bótte,  córto,  ecc.;  adoprando  dapper- 
tutto, per  rappresentarle,  le  lettere  minuscole. 

Le  vocali  òeàò,  non  solo  sono  in  strettissima  parentela  fonica  colla 
vocale  A,  ma  pure  trovansi,  per  la  loro  posizione  e  formazione,  vici- 
nissime e  somiglianti  a  quella.  Ammesso  che  la  vocale  A  sia  d'un 
timbro  nedtiala,  cioè  né  chiaro,  né  oscuro,  saranno  appunto  queste 


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614  ARTI  CONTKMPOAANXA 

Tocali  che,  come  prodotto  e  gradazione  diretta,  immediata  di  qaella, 
ne  stabiliranno  un  differente  carattere.  A  rigore  potremmo  concia- 
dere  che  la  è  non  è  che  un*  A  molto  chiara,  e  la  ò  un*  A  estrema- 
mente oscura.  La  é  invece  è  sola  e  diretta  produzione  e  gradazione 
immediata  della  I  nella  stessa  proporzione  che  la  ó  alla  V. 

Prendiamo  a  riguardare,  prima  di  tutto,  separatamente  le  Tocali 
secondarie  aperte. 

è. 

I  fisiologi  non  sono  concordi  nel  trattamento  di  questa  Toeale; 
alcuni  la  fanno  derivare  da  i,  altri  da  A.  Noi  propendiamo  per  la 
sua  derivazione  direttissima  dalla  J.,  poiché  a  ciò  ci  conducono  due 
fatti  glottologici: 

1^  il  dittongo  latino  ae  in  saeculum,  tremendae,  ecc.,  il  quale 
si  è  generalmente  convertito,  nella  &vella  italiana,  in  è; 

2^  la  favella  tedesca,  la  quale  si  serve  per  indicare  questo  suono 
del  medesimo  segno  A^  aggiungendovi  semplicemente  due  cediglie, 
dette  Umlaut  (a). 

La  sua  posizione  è  presso  la  vocale  A^  nella  direzione  della  I 
(vedi  Fig.  3^).  Il  suono  comincia  già  in  questa  vocale  ad  appropriarsi 
le  qualità  caratteristiche  al  timbro  chiaro;  esso  tende  a  condensarsi, 
ad  assottigliarsi  mediante  la  formazione  di  questa  vocale  che  è  la 
seguente:  l'apertura  deirorifizio  boccale  resta  quasi  la  stessa  che  nella 
emissione  A;  il  volume  della  colonna  sonora  si  condensa,  si  assot- 
tiglia mediante  l'inarcamento  lieve  del  dorso  anteriore  della  lingua; 
mentre  il  dorso  medio  si  allarga,  toccando  quasi  le  file  laterali  dei 
denti.  Il  velo  palatino,  che  forma  l'apertura  intema  della  cavità  fa- 
ringea, si  allarga  un  poco;  e  l'epiglottide  s'innalza  insensibilmente, 
portando  seco,  in  questo  movimento,  tutta  la  laringe. 

Neppure  sul  suo  carattere  psichico  i  dotti  trovansi  d'accordo;  alcuni 
opinano  che  questa  vocale  esprime  specialmente  l'appassionato,  il 
sano,  le  forze  vitali,  mentre  altri  le  ammettono  la  prestanza  a  de- 
scrivere la  pluralità,  il  multiplo  e  pure  la  diminuzione,  il  rimpic- 
cìolimento. 

ò. 

Questa  vocale  è,  senza  contrasto,  una  modificazione  ed  un  prodotto 
direttissimo  della  vocale  A  ;  e  segna  già  una  gradazione  del  timbro 


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LA  TBGinC*.  DO.  CAKdLLB  D*ATTAGGO  615 

oscuro.  La  sua  posiziose  ò  sopra  la  vocale  A  verso  il  velo  palatino 
(vedi  Fig.  3^),  e  trovasi  perciò  nel  mezzo  deirorìfizio  faucale  :  di  qui 
la  sua  straordinaria  risuonanza  d'un  carattere  tutt'affatto  speciale.  La 
sua  formazione  succede  presso  a  poco  come  nella  vocale  A.  Soltanto, 
e  questo  pure  quasi  insensibilmente,  il  dorso  posteriore  della  lingua 
tende  a  rialzarsi,  mentre  il  medio  e  Fanteriore  si  ritirano  un  po'  in- 
dietro ;  le  labbra  si  dispongono  a  restringersi  hteralouBfite  «  Tej^glot- 
tide  con  la  laringe  ad  abbassarsL 

In  riguardo  al  suo  carattere  simbolico  sembra  che  essa  si  presti 
segnatamente  a  dipingere  la  meraviglia,  lo  stupore,  e  talvolta  pure 
Terrore,  il  raccapriccio,  il  dolore. 


Esercizi  vicendevoli  della  vocale  primaria  I 
e  delle  secondarie  è  ed  d. 


EMrdsSo  onle. 

I 


N.  1.  ~  (A  I,  è,  ò.  (l\^^ 


U.  2.  ^  {/),  I,  d,  ^.  (iX 


5.  8. -(ff),  d,  ^,1.  (I),^  ^ 


^^A) 


4t 


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616  ARTI  CONTIMPORANBA 


V.A.-{E),Ò.I.è.(l)^^  ^1 


N.  5.-{Hì,i,I,ò.(l\ 


V.(i.-{H),i,ò,I.{lX  ^ 


Xa) 


Esercizio  musicale.  —  Lo  stesso  che  per  le  vocali  primarie. 

Dagli  espedienti  grafici  è  ben  facile  il  riconoscere  di  quale  pratica 
utilità  saranno  gli  esercizi  di  questa  serie,  soprattutto  per  il  neutra- 
lizzamento  del  suono  naturale  della  vocale  A.  È  opinione  generale 
che  l'italiano  emette  questa  vocale  nell'istesso  modo  tanto  nella  fa- 
vella che  neiremissione  vocale.  Quest'opinione,  se  trova  forse  un'orì- 
gine giustificata  nel  fatto  che  la  nostra  favella  possiede  la  più  pura 
e  semplice  formazione  di  essa,  pure  non  è  del  tutto  giusta,  né  fon- 
data. In  generale  anche  noi,  benché  in  minor  dose  degli  altri,  dob- 
biamo ammettere  una  certa  difi'erenza  tra  emissione  vocale  (canto)  e 
&velia;  prodotta  dagli  stessi  fatti  fisiologici  e  fonetici,  ad  alcuno  dei 
quali  fu  già  accennato.  Abbiamo  veduto,  negli  esercizi  della  prima 
serie,  la  necessità  d'allontanarci,  sia  pure  di  poco,  dal  suono  natu- 
rale delle  vocali  principali,  come  si  riscontrano  nella  nostra  favella. 
Appunto  sono  esse,  che  come  materie,  stoffe  fonetiche  originarie  dei 
timbri  —  e  la  vocale  A  soprattutto  quale  suono  primitivo-radicale, 
0  meglio,  il  suono  vocale  istesso  —  hanno  bisogno  di  venir  purgate, 
lavorate,  arrotondate,  neutralizzate;  in  una  parola:  portate  al  suono 


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LÀ  TECNICA  DKL  CàNàLB  D* ATTACCO  617 

normale,  il  solo  ammesso  nella  buona  emissione.  Sa  questo  cammino 
ci  conduce  già,  facendoci  gradatamente  e  praticamente  a?anzare,  lo 
studio  delle  vocali  secondarie  è,  ò;  specialmente,  ripetiamo,  per  ciò 
che  riguarda  la  vocale  A.  Tralasciamo,  per  adesso,  d'esercitare  questa 
emissione  primitiva-radicale,  giacché  dobbiamo  praticare  giusto  due 
suoni,  che  si  compongono  della  stessa  sua  stoffa;  e  ci  dipartiamo, 
aggirandoci  di  preferenza,  dalla  vocale  J,  che  ci  figuriamo  già  un 
po'  neutralizzata,  e  che  per  la  sua  posizione  presso  lo  spazio  di  con- 
densamento serve,  meglio  e  più  direttamente  al  nostro  scopo;  quello 
appunto  di  condurre  la  colonna  sonora  sempre,  e  soltanto,  verso  il 
detto  spazio. 

L'allievo  novizio  all'emissione  vocale,  il  quale  avrà  praticato  co- 
scienziosamente gli  esercizi  ginnastico-mnti  del  canale  d'attacco,  non 
troverà  difficoltà  di  sorta  nella  formazione  di  queste  due  vocali  secon- 
darie. Ma  avendo  già  osservato  che  ciascun  individuo  nell'emettere 
lo  stesso  suono  vocale  può  produrre  una  gradazione  di  carattere  di- 
verso, sarà  bene  fare  nuovamente  osservare  quanto  segue: 

Sappiamo  che  la  vocale  J.,  suono  neutro-originale,  può  propendere 
nella  sua  produzione  a  due  inclinazioni  differenti,  le  quali  apportano 
alle  due  aberrazioni  nel  senso  di  emissione  vocale  e  già  sovente  ri- 
cordate: la  voce  gutturale  e  la  voce  bianca,  a  seconda  che  l'inclina- 
zione di  quella  vocale  sia  troppo  accentata  verso  il  timbro  oscuro  e 
verso  il  timbro  chiaro.  Se  avremo  dunque  davanti  a  noi  un  soggetto 
la  di  cui  voce  sia  di  carattere  gutturale,  allora  non  resterà  che  pre- 
scrivere all'allievo  uno  speciale  uso  riflessivo  della  vocale  secondaria 
in  antitesi  a  quella  voce,  che  è  quanto  dire  alla  vocale  é.  Il  con- 
trario succederà  per  un  soggetto  dal  carattere  della  voce  bianca.  Il 
suo  farmaco  sarà  il  posare  la  sua  massima  attenzione  alla  emissione 
della  vocale  ò,  prendendone  il  carattere  speciale  rotondo  e  già  d'un 
reciso  timbro  oscuro  onde  prestarlo  alla  sua  voce  naturale,  cb'è  come 
dire  alla  vocale  A  troppo  bianca  (chiara).  Tutto  questo  aumenterà 
ancor  più  d'importanza,  s'intende,  allorché  s'agirà  di  combattere  veri 
e  manifesti  difetti  e  cattive  abitudini  d'insegnamento  vocale. 

Il  difetto  della  voce  gutturale,  si  sa  già,  resta  e  resterà  sempre 
della  più  grande  difficoltà  onde  estirparlo  del  tutto.  La  causa  risiede 
semplicemente  nel  falso  spazio  di  condensamento,  il  quale  invece  di 
trovarsi  verso  il  palato  duro  ai  denti  incisivi,  resta  nella  parte  infe- 


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618  ARTI  OONTEMPORANKA 

riore  della  catità  faringea,  cioè  nella  gola;  e  là,  sviluppandosi  il 
suono  ed  i  snoi  armonici  in  qaella  stretta  e  stronata  canta,  man- 
cante  di  qualanqae  parete  fiivorevole  alla  risnonaaza,  ritirae  quel 
carattere  sì  ingrato  di  voce.  Se  in  tal  caso  gli  stessi  eseroiif  ginna- 
stìco^muti  e  quelli  delle  vocali  della  prima  e  della  seconda  serie  non 
avessero  condotto  ad  un  resultato  soddis&cente  d'ammeglioramento, 
indichiamo  pure  un  altro  rimedio,  empirico  ed  ipotetico  è  vero,  ma 
forse  di  qualche  utilità  pratica:  portare  le  labbra  nella  posizione 
indicata  per  allontanare  un  pelo,  un  minuzzolo,  un  po'  di  cenere,  ecc. 
Soffiando  ed  espirando  in  tal  modo  cercheremo  di  portare  la  corrente 
delFaria  sino  al  processo  della  fonazione,  cioè  attaccando  un  suono 
deiresaccordo.  La  voce  verrà  in  tal  modo,  dopo  un  serio  esercizio, 
portata  ai  denti  e  forse  corretta  del  tutto. 

Negli  esercizi  della  seconda  serie  evitare  di  dare  tanto  alla  è  che 
alla  ò  un'esagerata  risuonanta;  ciò  che  apporterebbe  nella  prima  ad 
un'emissioDe  triviale  e  piazzaiuola,  e  nella  seconda  ad  un'emissione 
un  pò*  caricata  e  sgradita.  Ciò  osserveremo  soprattutto  allorché  eser- 
citeremo queste  vocali  come  punto  di  partenza  od  attacco.  Qoeste 
esagerate  risuonanze  provengono  dalla  loro  posizione  incerta,  sospesa 
nella  cavità  orale  e  dalla  loro  formazione  allargata  per  la  è,  allun- 
gata per  la  ò.  Che  queste  vocali  vengano  controllate  dal  maestro 
prestando  a  loro  distinzione  e  moderazione.  Agli  attacchi  di  queste 
due  vocali  abbiamo  creduto  bene  prestare  lo  stampo  consonantioo 
della  loro  vocale  d'origine,  la  H;  essendo  esso  pure,  e  conseguente- 
mente, la  loro  espirazione  naturale. 

n  grado  dinamico  da  darsi  agli  esercizi  di  queste  vocali  secondarie 
sarà  il  piano.  Nel  rimanente  attenersi  al  già  detto  per  lo  studio  Mie 
vocali  primarie. 

Potremo  esercitare  i  numeri  di  questa  serie  pure  coA: 

N.  1.  -^  (A  J,  è,  d,  r.       (iK.^ 


eoo.,  ecc. 


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LÀ  TECNICA  PBL  CàNALV  P*ATTACGO  619 


Questa  vocale  segna  il  punto  medio  del  vocalismo  chiarOf  un  do- 
minio ben  semplice  nella  lingua  italiana  in  proponione  alle  altre 
favelle,  racchiudendo  nella  nostra  un  ristretto  numero  di  gradazioni 
differenti.  Per  un  esempio:  la  lingua  tedesca  include  più  di  nove 
gradazioni  o  colori  diversi  tra  vocali  pure  e  doppie  appartenenti 
al  domìnio,  chiaro,  tra  le  quali  la  E  sola  include  cinque  grada- 
zioni differenti.  Se  alcuni  filologi  italiani  ammettono  tre  gradazioni 
della  vocale  E  nella  nostra  favella  è  certo  però  che  nell'emissione 
vocale  non  se  ne  osservano  che  due  del  tutto  distinte  :  la  già  esposta 
é  e  la  é  che  veniamo  appunto  esponendo.  Pur  derivaodo  dalla  emis- 
sione originaria  J.,  come  del  resto  tutti  i  suoni  vocalici,  cionon- 
ostante essa  trovasi  in  strettissima  parentela,  e  per  posizione  e  per 
formazione,  colla  vocale  primaria  J,  della  quale  non  è  che  una  gra- 
dazione di  timbro  favorevolissima  a  correggere  il  suono  naturale  di 
quella  e  trovarne  il  suo  corrispondente  suono  normale.  La  sua  posi- 
zione è  presso  la  vocale  1  tra  questa  e  le  vocale  secondaria  è  (vedi 
Fig.  3').  La  sua  formazione  succede  col  rialzare  il  dorso  medio  della 
lingua  in  una  curva  accentuata  verso  la  volta  palatina;  la  mascella 
inferiore  si  accosta  sensibilmente  verso  la  mascella  superiore,  dando 
airorifizio  boccale  un'ampiezza  più  trasversale  che  verticale.  11  labbro 
superiore  s'innalza,  lasciando  scoperti,  quasi  completamente,  i  denti 
incisivi  superiori,  mentre  Tinferiore  si  appoggia  leggermente  agli  infe- 
riori, coprendoli.  La  laringe,  e  con  essa  Tepiglottide,  s'innalza  sempre 
più,  e  l'orifizio  faucale  segue  pure  nella  sua  forma  l'orifizio  boc- 
xale  (1).  Osservare  che  qui  pure  la  punta  della  lingua  non  abban- 
doni la  radice  dei  denti  inferiori. 

À  cagione  dell'uso  molto  frequente  nella  favella  di  questa  vocale 
la  sua  espressione  psichico-descrittiva  si  generalizza,  esprimendo  forse 
ia  particolare  l'indifferenza,  i  sentimenti  ordinari,  Tapatia,  ecc. 


(1)  È  degno  di  rimarco  il  fatto,  che  Torifizio  fancale  formato  dal  velo  pala- 
tino e  da'  saoi  pilastri  segae,  nella  formazione  delle  vocali,  costantemente  i  mo- 
timenti  deirorifltio  boccale,  in  qnella  guisa  che  Tepiglottide  segue  la  laringe  nella 
sua  ascensione  e  discesa. 


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620 


ARTI  CONTEMPORANIA 


Se  ai  popoli  germanici  sarà  difficile  di  aprire  convenientemente 
neiremissione  vocale  la  è,  altrettanto  difficile  sarà  ai  popoli  latini, 
e  soprattutto  per  gli  italiani,  di  emettere  la  vocale  ó  senza  cadere  in 
un  suono  o  troppo  aperto,  od  esageratamente  ottuso.  Questa  difficoltà 
aumenterà  ancora  allorché,  più  innanzi,  sarà  questione  dei  registri  e 
delle  note  chiuse  ed  aperte. 


Figura  terza. 


cilindro  Tocale  nentnliitato  secondo  le  leg^l  fisiologiche  e  fonetiche  (saoao  nonuJe). 

Questa  gradazione  vocale  trovasi  nel  punto  medio  del  dominio 
oscuro  e  la  sua  intima  relazione  con  l'emissione  primaria  (7,  rela- 
zione di  posizione  e  formazione,  ci  conduce  a  considerarla,  senza  con- 
trasto, come  una  modificazione  di  quella,  e  favorevole  ad  essa  nella 
emissione  vocale  in  quella  stessa  proporzione  della  é  in  riguardo  al 
timbro  chiaro.  La  sua  posizione  è  dunque  in  prossimità  immediata 
con  la  vocale  U,  tra  questa  e  la  vocale  secondaria  ò  (vedi  Fig.  3*). 


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LA  T£CNICÀ  DBL  CANALE  D  ATTACCO 


621 


Lassila  formazione  esige  che  le  labbra  si  portino  un  po'  in  fuori, 
dando  una  forma  ovale  sensibilmente  pronunziata  all'orifizio  boccale. 
Il  dorso  posteriore  della  lingua  s'innalza  quasi  come  nella  {7,  il 
medio  sì  abbassa  e  la  punta  della  lingua,  col  dorso  anteriore,  vien 
portata  un  po'  indietro.  La  laringe  e  l'epiglottide  si  abbassano  pure 
sensibilmente,  mentre  il  velo  palatino,  coU'ugola,  s'innalza  verso  le 
narici  inteme,  dando  all'orifizio  &ucale  la  forma  ovale. 

Questa  vocale  ha  come  caratteristica  la  proprietà  d'esprimere^spe- 
cialmente  i  sentimenti  elevati,  religiosi,  di  pietà,  di  commiserazione, 
e  pure  l'azione  del  comando,  dell'ordine,  ecc. 

Esercizi  della  vocale  primaria  1  e  delle  secondarie  è  ed  ó. 
Serie  Terza. 

EMrdiio  onle.  Ereditati  gnfld. 


N.  1.  -  (J).  I,  é,  ó.        il)- 


V.  2.  -  (J),  I,  ó,  é.        (l)--- 


N.  3.  -  (F).  0,  I,é.       (  X  )'">>►  é 


N.  4.  -  (F).  ó.  é,  I.       (i)'- 


N.  5.  -  (/),  «f,  I,  d.       (i)-- 


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IATI  OONTXMFtAANBA 


N.  6. -.(J),^.  <^,  J.       (l)-- 


Esercizio  musicale  — *  Lo  stesso  che  per  le  vocali  precedenti. 

Qui  ^nntifConsigliama  al  maestro  ài  far»  alzare  all'allievo  resaceordo 
di  tm  semi-tono,  così  verremo  già  ad  acquistare  il  8i^.  Faremo  pure 
osservare  a  proposito  di  qneeto  esaceordo  che  per  il  primo  mese  (1) 
sarà  bene  eiereitare  tvtid  gli  allievi,  sieno  maseld  o  finanine  ed 
appartenenti  a  qualunque  classifioazioee,  suU'esaccordo  di  Do  magg. 
Allorché  il  maestro  s!  sarà  pronunziato  definitivamente  snila  classi- 
ficazione, alla  quale  apparterrà  la  voce  del  soggetto,  manterrà  Tesac^ 
cordo  in  Do  magg,  per  le  voci  di  tessitura  profonda  ed  alzerà  almeno 
sino  a  Mi  ^  magg.  Tesaccordo  per  le  voci  di  tessitura  acuta.  Quello 
che  abbiamo  detto  per  Tesaccordo  di  Do  magg.,  intorno  all'innalza- 
mento  di  un  semi-tono,  si  intenderà  pure  detto  per  l'esaccordo  di 
Mi  ^  magg. 

I  movimenti  fisiologici  principali  nello  studio  vicendevole  di  questo 
due  vocali  secondarie  chiuse,  sono  quelli  della  lingua  e  delle  labbra; 
cioè  l'alzarsi  verso  la  volta  palatina,  delineando  una  curva  del  dorso 
medio  della  lingua,  nella  vocale  secondaria  di  timbro  chiaro  e  l'avan- 
zarsi delle  labbra  in  avanti,  dando  una  forma  ovale  alla  cavità  della 
bocca,  nella  vocale  secondaria  di  timbro  oscuro:  a  quei  movimenti 
sopratutto  deve  essere  rivolta  l'attenzione  dell'allievo.  Nel  primo  caso 
si  procurerà  di  tenere  appoggiata  leggermente,  e  sempre,  la  punta 
della  lingua  ai  denti  inferiori  ;  nel  secondo  caso  procureremo  di  mo- 
derare l'allungamento,  ed  evitare  specialmente  l'aggruppamento  delle 
labbra  per  non  arrecar  pregiudizio  alla  chiarezza  ed  alla  proprietà 
di  portare  del  suono  nell'emissione  vocale.  Questi  due  movimenti  ri- 
chiedono speciale  attenzione  per  non  cadere  in  una  caricatura,  evi- 


(1)  Non  intendiamo  di  stabilire  assolatamente,  ma  approssimati vamen te,  nna 
certa  dorata  di  tempo,  né  in  veran  modo  limitare,  e  tanto  meno  intralciure 
razione  del  maestro;  il  quale  potrà  a  seconda  del  bisogno  e  dei  casi  Yarìare  e 
spostare,  a  sao  talento,  il  materiale  d'insegnamento  da  noi  presentato. 


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LÀ  TECSIGA  DSL  CANALE  0  ATTACCO  683 

tando  Doiristesso  tempo  qualunque  sforzo  o  contrazione  muscolare. 
In  essi  si  dimostrerà,  ancora  una  volta  di  più,  l'utilità  degli  eser- 
cizi ginnastìco-muti  del  canale  d'attacco  ;  infatti  nella  produzione  di 
queste  due  vocali  secondarie  chiuse  si  ritroverà  riuniti,  certamente 
in  minor  grado,  i  movimenti  già  osservati  negli  esercizi  ginnastico- 
muti  delle  labbra  (let.  D)  e  della  lingua  (l^t.  J9). 

Come  ben  vedesi  dagli  espedienti  grafici  di  questa  serie,  il  circolo 

0  spazio  di  condensamento  della  colonna  sonora,  che  nello  studio  delle 
vocali  primarie  occupava  intieramente  la  cavità  orale,  qui  va  sempre 
più  restringendosi  e  portandosi  gradualmente  verso  il  punto  della 
sana  direzione,  il  palato  duro.  Il  processo  del  neutralizzamento  vo- 
cale si  presenterà  perciò  sempre  più  chiaro  alla  mente  dello  studioso. 
Per  le  già  dette  ragioni  ci  dipartiamo  qui  pure  dalla  vocale  primaria 

1  nell'attacco  del  numero  i;  negli  altri  numeri  prestiamo  alla  ^  ed 
alla  6  lo  stampo  consonantico  delle  loro  emissioni  primarie  aggiran- 
doci però  sempre  suiremissione  J. 

Nello  studio  vicendevole  delle  vocali  secondarie  di  questa  serie 
sarà  pure  facile  riconoscere  la  gradazione  speciale  della  vocale  é  in 
relazione  alla  vocale  i.  Questa  gradazione  ci  servirà  come  mezzo  per  cor- 
reggere quelle  voci  che  per  inclinazicMie  naturale  o  per  cattiva  abi- 
tudine d'insegnamento,  saranno  contrassegnate  dal  difetto  delia  voce 
dentalo;  che,  corno  sappiamo,  proviene  da  un'ei«agerazione  del  suono 
naturale  della  emissione  1.  L'assonanza  della  é  prestata  a  questa 
emissione,  senza  però  confonderne  la  gradazione,  sarà  forse  bastevole 
ad  allontanare  questo  difetto,  del  resto  ben  raro  specialmente  tra  noi. 
La  stessa  efficacia  benefica  alla  neutralizzazione  vocale  possiede  la 
secondaria  ó  in  relazione  all'emissione  27;  ma  di  ciò  più  innanzi. 
Qui  limitiamoci  di  esercitare  questa  gradazione  oscura  unitamente 
al  timbro  chiaro;  ciò  che  le  presterà  una  sonorità  brillante  e  la 
proprietà  di  portare  negatale  in  mrte  dalla  natura.  —  Potremo 
esercitare  i  numeri  di  questa  serie  pure  così: 

N.  1.  —  (/).  I,  é.  ó.  L  ^^--     ^    ^ 


ecc.,  ecc. 


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6^  ARTE  CONTEMPORANKA 


Eaerdùo  orale, 


Esercizio  cumulativo  di  tutte  le  vocali. 
Serie  Quarta. 


N.  2.  -  (7),  U,  d,  ò,  A,  è,  é,  L  ^-(  a) 

Esercizio  musicale.  —  Sempre  lo  stesso. 

Adesso  che  abbiamo  presentato  tutti  gli  elementi  vocali  della  &• 
velia  italiana  non  ci  rimarrà  che  di  unirli  coll'esercitarli  tra  di  loro; 
0  meglio  onde  ottenere  il  grado  desiderabile  di  neutralizzazione  (suono 
normale)  delle  altre  due  vocali  primarie,  che  abbiamo  tralasciate  in 
queste  ultime  serie  e  che  si  trovano  s)  allontanate  nel  loro  suono 
naturale  dal  sano  spazio  di  condensazione  adatto  alla  buona  emissione 
vocale,  ci  serviremo  delle  vocali  della  seconda  e  terza  serie  per  ri- 
trovare r^  e  la  {7;  e  ritrovarle  neutralizzate  completamente,  cioè 
rinnovate,  depurate,  scevre  dalle  loro  inclinazioni  difettose  inerenti 
alla  loro  stessa  natura. 

Inoltre  cade  appunto  qui  il  destro  di  parlare  deirinfluenza  bene- 
fica della  vocale  ó  sopra  la  emissione  oscura  27,  sulla  quale  si  fer- 
merà segnatamente  l'attenzione  di  quei  soggetti,  in  cui  il  loro  suono 
naturale  avrà  delle  tendenze  verso  ì  difetti  della  voce  nasale,  foucale 
e  velare.  La  sostituzione  deirassonanza  di  quella  a  questa  correggerà 
forse  del  tutto  i  residui  di  tali- inclinazioni.  Un'importanza  ancora 
maggioro  sarà  da  annettere  a  ciò  che  veniamo  di  dire  allorché 
avremo  da  combattere  veri  e  manifesti  difetti  di  quelle  voci. 

Il  difetto  di  emissione  tanto  nasale  che  faucale  o  velare,  ha  per 
causa  principale  la  mancanza  di  energia  ed  elasticità  dei  muscoli 
del  velo  palatino;  i  quali  restando  inerti,  non  permettono  a  questo, 
nel  dominio  del  vocalismo  oscuro,  di  alzarsi  verso  le  narici  inteme 
quanto  sarebbe  necessario,  onde  impedire  alla  colonna  sonora  di  re- 


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LA  TECNICA  DSL  CANALI  D*ATTACCO  625 

stare  e  condensarsi  o  internamente  nella  parete  molle  del  palato 
(voce  velare)  o  nella  parte  superiore  della  cavità  faringea  (voce  fau- 
cale)  0  direttamente  nella  cavità  nasale  (voce  nasale).  In  tali  casi 
non  saranno  mai  abbastanza  da  raccomandare  gli  esercizi  ginnastico- 
muti  speciali  del  velo  palatino. 

Forre  attenzione  che  Tallievo  distingua  scientemente  la  differenza 
essenziale  che  esiste  tra  il  suono  vocale  della  è  e  della  é^  e  tra  il 
suono  vocale  della  ò  e  della  ó.  In  caso  d' incertezza  e  confusione 
l'esempio  vivente,  e  dalla  stessa  bocca  del  maestro,  sarà  runico  espe- 
diente al  quale  ricorrere. 

Prima  di  chiudere  questo  capitolo  gettiamo  uno  sguardo  di  osser- 
vazione alla  disposizione,  a  tutta  prima  singolare,  delle  vocali  nel 
N.  1  degli  esercizi  della  quarta  serie,  che  ci  condurrà  a  parlare  di- 
stesamente nel  prossimo  capitolo  delle  qualità  fisico-acustiche  del 
suono  0  nota  in  relazione  alla  emissione  delle  vocali  primarie  e 
loro  gradazioni. 

Questa  completa  disposizione  delle  vocali  della  nostra  favella  esce 
fuori  dalla  consueta  disposizione  grammaticale  che  suona  AjE^I,  0,  Z7. 
Se  come  suono  originale  primitivo  il  diritto  del  primo  posto  spetta 
a  rigore  al  suono  vocale  per  eccellenza  A,  pure  in  riguardo  al- 
Temissione  vocale  questa  disposizione  non  è  più  conseguente.  In  ap- 
poggio a  questa  asserzione,  del  resto  originalmente  non  nostra,  oltre 
la  fonologia  e  la  glottologia,  che  adottano  questa  disposizione,  ab- 
biamo pure  nel  caso  nostro  due  ragioni  d'indole  artìstica  —  e  per- 
ciò importantissime  per  noi  —  che  quella  disposizione  consolidano. 
1^  La  necessità  di  dipar^rsi  in  generale  nello  studio  delle  vocali  dal- 
l'emissione I  neutralizzata  come  la  più  favorevole  ad  apportare  e 
sviluppare  la  colonna  sonora  nello  spazio  sano  di  condensazione  in- 
dicato ed  indispensabile  alla  buona  emissione  vocale.  2^  Per  seguire 
naturalmente  e  facilitare  i  movimenti  fisiologici  di  tutti  gli  organi 
movibili  del  canale  d*attacco  nella  loro  produzione.  —  Infatti  in 
favore  di  quest'ultima  ragione,  avremo  osservato  che  nella  vocale  I 
tutti  gli  organi  suddetti  si  trovano  nella  loro  più  completa  posizione 
caratteristica  del  timbro  chiaro:  e  che  man  mano  ci  avviciniamo 
all'emissione  originaria  A  essi  ritornano  gradatamente  ed  insensibil- 
mente, passando  dalle  gradazioni  é,  è,  nella  loro  posizione  naturale, 
la  neutra,  per  quindi  seguire,  naturalmente  in  una  stessa  direzione 


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82d  ARTB  CONTBMPORANBà 

ma  ÌD?ersa  alla  prima,  il  loro  fisiologico  cammino,  onde  ra^giangere, 
sempre  gradatamente  per  la  d  e  la  <^,  la  poaiiione  la  più  complicata 
e  caratteristica  del  timbro  oscuro.  Ma  tatto  ciò  non  è  che  un  moTÌ- 
mento  solo,  il  quale  si  effiattuerà  razionalmente,  senza  strappi,  aè  salti 
inconseguenti,  prestando  ai  suoni  vocali,  che  a  poco  a  poco  yanno 
producendosi  nella  cavità  orale,  scorrevolezza  e  distinzione. 

Questa  è  la  successione  dunque  la  più  adatta  alla  formazione  ed 
allo  sviluppo  del  suono  vocale  divenuto  pure  musicale;  e  non  solo 
per  mantenere  a  quello  tutti  i  suoi  pregi  di  varietà,  di  timbro,  di 
omogeneità  e  di  pieghevolezza,  ma  pure  permettergli  di  appropriarsi 
tutte  le  qualità  principali  di  questo:  la  vastità,  la  forza  e  Tespressione. 


Capitolo  Quarto. 

Delle  relazioni  acusticlie  e  foneticlie 
tra  suono  e  vocale. 

Qui  sembrerà  a  taluno  che  a  noi  prenda  vaghezza  di  entrare  in 
un  campo  estraneo  all'ambito  nostro,  ed  immischiarci  in  cose  che 
non  ci  riguardano.  Questa  opinione  proverrà  sicuramente  dal  punto 
di  partenza  da  cui  ci  siamo  dipartiti  in  questo  studio,  il  quale  ci 
conduce,  naturalmente  e  per  forza  dello  stesso  discorso,  come  avremo 
rimarcato,  a  considerare  non  solo  che  ciòcche  andremo  esponendo 
più  innanzi  sarà  in  stretta  ed  immediata  relazione  col  nostro  sog- 
getto, ma  che  con  esso  formi  invece  un  tutto  intiero  ed  indivisibile. 
Intendiamo  parlare  delle  differenti  relazioni  e  rapporti  tra  il  suono 
vocale  e  il  suono  musicale  suo  derivato. 

Tutti  sappiamo  che,  come  qualunque  altro  istrumento  musicale, 
l'organo  vocale,  T  istrumento  il  più  perfetto  ed  il  più  meraviglioso 
perchè  originale  e  naturale,  ha  pure  il  suo  suono  musicale  o  meglio 
la  sua  gamma^  la  sua  estensione.  Come  abbiamo  già  veduto,  questo 
suono,  questa  estensione  nascono  dalla  laringe  e  si  estrinsecano,  si 
potrebbe  dire  inconsciamente,  ooU'aspirazione  H  e  coiremissione  ori-  ' 
ginaria  Ay  divenendo  suono  vocale  soltanto  allorché  la  colonna  so- 


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LA  TECNICA  DSL  CANALI  D  ATTACCO  627 

nora,  biforcandosi  in  due  bracci  ai  limiti  «Btrenil  dei  quali  risiadoBO 
altre  dua  emissioni  primarie  di  confine  ma  non  originarie,  arrivi  a 
circondare  ano  spazio,  il  pit  adatto,  il  più  fi^yorerole  al  ano  conden* 
samento  ed  airaccaxnnlamento  ddle  sue  oeeillazioni  onde  sviluppare  e 
rendere  i  suoi  armonici,  ed  acquisti,  mediante  le  posiaioni  differenti 
degli  organi  movibili  del  canale  d'attacco  ed  i  differenti  corpi  risno- 
catort,  le  proprietà  dei  due  diversi  timbri  e  loro  gradazioni,  unifor^- 
mandosi  pure  alle  leggi  acustiche  che  su  di  esso  (suono)  influenzano 
e  si  diveigono. 

La  scienza  non  ci  ha  ancoA  chiarito  iia  maniera  assoluta  questa 
relazione,  s)  importante  neir  emissione,  fra  suono  e  vocale.  Alcuni 
teorici  asseriscono  che  suono  e  vocale  sono  sinonimi  e  giungono  sino 
a  dire  che  sono  la  stessa  cosa  —  ma  non  lo  provano:  altri  tentano 
invece  di  stabilire  questa  relazione  senza  arrivane  però  ad  un  resul^ 
tato  pratico-razionale  e  sistematico.  La  stessa  teoria  del  Sig.  Koenìg, 
se  contenta  forse  dal  lato  acustico,  lascia  al  certo  insoddisfatti  dal 
lato  glotMogioo,  apportandoci  ad  uu  resultato  incompatibile  colla 
parola  ed  inaccettabile  perciò  all'emissioBe  vocale.  Noi  non  inteadiamo 
di  sviluppare  qui  completamente  un  tema  A  ocmplicMto;  ci  limiteremo 
aoltaato  ad  esporre  alcune  riflessioni,  frutto  di  eq^erienze  e  di  risal- 
tati d'indole  piti  che  altro  artistica,  le  quali  potrebbero^  non  fosse 
altro,  condurre  ad  uà  risveglio  di  un  tema  A  interessaste  ed  utile 
al  progresso  vocale. 

Dalla  eateusiiHie  dei  suoni  mumcali  in  relauone  ai  suoni  vocali, 
nascono  i  procedimenti  dei  cosidetti  registri  e  da  questi  derìrano  i 
resultati  delle  classificazioni  delle  voci.  Dalla  relazione  fra  i  suoni 
della  tessitura  acuta  e  fra  le  vocali  secondarie  proviene  la  questione 
A  viva  delle  noie  aperte  e  chiuse.  Dalla  forza  dinamica  del  suono 
musicale,  in  rapporto  alle  vocali  primarie,  uè  nasce  il  precesso  dei 
euoni  filati,  che  conduce  alla  cosidetta  mesm  di  voce^  la  perla  del- 
Temissione  vocale. 

Dapprima  prendiamo  a  riguardare  i  procedimenti  dei  registri.  Che 
cosa  è  registro? 

La  pedagogìa  del  canto  ci  risponde:  <  Registro  si  chiama  una 
serie  di  suoni,  i  quali  sono  prodotti  da  uno  stesso  meccanismo 
vocale  ».  La  scienza  (laringologia)  ci  spiega  questo  meccanismo  cosi: 

Nel  produrre  i  suoni  bassi  (profondi)  le  corde  vocali  si   trovano 


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628  ARTE  CONTEMPORANEA 

intieramente  accostate;  lo  stretto  spazio  che  si  presuppone  tra  di 
esse  (la  glottide)  viene  limitato  ad  una  finissima  linea.  Nell'istesso 
tempo  si  rimarca  che  le  corde  vocali  sono  tese  con  forza  e  che  ven- 
gono scosse  da  forti  vibrazioni.  Nei  maschi  queste  vibrazioni  sono 
visibili  persino  nello  specchio  laringologico.  Questo  trovarsi  delle 
corde  vocali  si  strettamente  unite  e  la  loro  grande  tensione  produce 
naturalmente  che  la  corrente  dell'aria  esce  al  di  fuori  a  poco  a  poco 
e  che  soltanto  una  piccolissima  parte  delle  vibrazioni  della  colonna 
sonora  passano  al  di  sopra  per  la  glottide,  mentre  la  maggior  parte 
di  esse  vengono  respinte  indietro.  Esse  giungono  così  nella  trachea 
e  nelle  sue  dipendenze  (bronchi,  polmoni,  cavità  del  torace,  ecc.  ecc.) 
e  vi  trovano  il  loro  maggior  corpo  di  risuonanza,  il  che  è  facile 
constatare  col  porre  una  mano  sul  petto.  A  questa  sensibilità  deve 
il  suo  nome  il  così  detto  registro  di  petto. 

Differentemente  si  presentano  gli  organi  vocali  nella  produzione 
delle  note  acute.  Le  corde  vocali  sono  qui  nella  loro  parte  centrale 
runa  dall'altra  molto  allontanate,  in  modo  che  la  glottide  presenta 
non  più  una  finissima  linea,  ma  bensì  uno  spazio  dalla  forma  ovale. 
Passa  perciò  per  la  glottide  una  quantità  considerevolmente  maggiore, 
ed  in  un  tempo  molto  minore,  di  espirazione  sonora  —  ed  inten- 
diamo dire  con  questo  un  tutto  solo  formato  dalla  corrente  d'aria  e 
dalla  colonna  sonora  e  sue  vibrazioni  —  che  non  nelle  note  del  re- 
gistro di  petto,  e  la  spinta  indietro  delle  vibrazioni  della  colonna 
sonora  non  può  più  prodursi.  Manca  dunque  nelle  note  acute  la 
vera  e  propria  risuonanza  di  petto.  L'aria  che  passa  immediatamente 
ed  in  grande  quantità  al  disopra  della  glottide  cambiata  in  vibrazioni 
trova  il  suo  corpo  di  risuonanza  in  parte  nella  cavità  della  faringe 
ma  sopratutto  nella  cavità  nasale  e  nei  seni  frontale  ed  occipitale; 
di  qui  la  provenienza  del  nome  di  registro  di  testa. 

Secondo  la  definizione  scientifica  dunque  nella  estensione  del  suono 
vocale  non  s'incontrerebbero  che  due  differenti  meccanismi  o  registri: 
l'uno  per  le  note  basse  o  registro  di  petto  (voce  laringea  inferiore), 
l'altro  per  le  note  acute  o  registro  di  testa  (voce  laringea  superiore). 
Qui  pure  si  potrebbe  forse  scorgere  una  relazione  strettissima  col 
suono  musicale  quando  si  pensi  alle  due  chiavi  —  restateci  qoasi 
esclusivamente  nella  moderna  notazione  —  di  sol  o  di  violino,  di  fa 
0  di  basso. 


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Là  tecnica  dbl  canale  d'attacco  629 

L'esperienza  pratica  però  —  e  non  soltanto  la  nostra,  ma  quella 
della  maggior  parte  degli  antichi  e  moderai  maestri  —  nel  mentre 
ci  apporta  ai  medesimi  resultati  della  laringologia  pure  c'insegna 
altre  conseguenze  fisiologiche  e  fonetiche  in  rapporto  direttissimo  col 
nostro  compito,  e  ci  dice: 

Questi  meccanismi  sono  principalmente  prodotti  dalla  posizione  in 
cui  trovasi  posato  il  suono  vocale  (o  voce)  in  tutta  l'estensione  del- 
l'organo del  canto. 

Quindi,  ammesso,  senza  contrasto,  che  suono  e  voce  formino  un 
tutto  intiero  ed  inseparabile,  è  conseguente  che  su  di  essi  v'influi- 
scano pure  ponderatamente  le  vocali  primarie  J,  J.,  {7,  le  loro  gra- 
dazioni secondarie  e  pure  episodicamente  le  loro  derivate  articolazioni 
consonantiche.  Di  qui  l'utilità  di  conoscere  nel  nostro  caso  questi 
diversi  meccanismi,  queste  differenti  influenze  e  la  necessità  di  pos- 
sedere e  di  eoUegare  quelli,  di  padroneggiare  e  dirigere  queste. 

La  voce  umana»  in  rapporto  al  nostro  sistema  musicale  occidentale, 
comprende  la  seguente  estensione: 


'>jjjjJJfffr^^^|f7TTJ^frrrr^^ 


Eccezionalmente  sino  al  22e  per  i  bassi  profondi  e  sino  al  re^  mi 
per  i  soprani  leggeri.  ~  "" 

Ammettiamo  pure  che  nella  voce  umana  esistano  soltanto  due  dif- 
ferenti meccanismi  vocali  o  registri.  A  questi  però  dobbiamo  aggiun- 
gere qualche  cosa  d'altro,  o,  più  chiaramente,  un  altro  registro  vo- 
cale, detto  registro  falso  o  di  messo^  che  appunto,  come  esprime 
giustamente  la  sua  denominazione,  non  è  un  vero  e  proprio  mecca- 
nismo a  sé,  ma  una  voce  mediana,  che  tiene  dell'uno  e  dell'altro  dei 
veri  meccanismi  ;  una  voce  falsa,  la  quale  non  è  né  originalmente  di 
petto,  né  di  testa.  Potremo  comprendere  graficamente  questo  falso 
registro  se  si  osserverà  attentamente  la  figura  seconda.  È  quel  braccio 
sonoro,  che  dipartendosi  dalla  colonna  diretta  J.,  U  si  dirige  verso 
i  denti  e  terminasi  nella  vocale  /.  Ne  dedurremo  che  questi  tre 
registri  trovansi  nell'apparato  vocale  umano,  nella  medesima  propor- 
zione e  direzione  che  le  vocali  primarie  e  loro  gradazioni  rispettive 
0  vocali  secondarie;  conducendoci  al  seguente  rapporto: 


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630  ARTI  OONTEMPORANBA 

Rej^fl^ro  di  petto    »s  romie  prìmaiu  A 
»        di  meuo  «=      »  »        J 

»        di  tesU    m      »  •        U 

0  meglio  ancora  e  più  completamente: 


/.e  \  e,     A  ,    l 


I 


I 


MIOISTRO     DJ     àiEZZO    t  fiEQfSTRO    Di     PETTO   i  PESISTRO     Di       TESTA 

£  noo  ÌBCOAtriaiDO  qui  pure  iLoa  riprova  della  relasioM  (Mtua 
ìstessa)  delle  vocali  é  ^  eoa  la  vocale  A^  della  é  con  la  I^  e  della  é 
colla  m 

In  qualunque  voce,  sia  di  donna  o  di  uomo,  si  oeservaso  più  o 
meno  questi  registri.  Accenneremo  qui  alle  differenze  le  più  sensibili.. 

Le  veci  di  donna  fanno  uso  ordinariamente  dei  tre  registri;  il 
contralto  per^  fa  raramente  uso  del  registro  di  testa.  Le  voci  ma- 
schili usano  soltanto  il  registro  di  mezzo  e  di  petto;  aggiungeremo 
che  il  tenore,  allorché  sì  serve  esclisivamente  del  registro  di  testa 
resta  raramente  nei  limiti  della  buona  emissione  vocale  e  cade  il  più 
ielle  volte  nel  ridicelo  e  nel  caricato.  Il  baeso  fa  uso  esdnsìTo  del 
registro  di  pette  e  tanto  più  il  basso  profcad^. 

In  queste  classificazioni  però  i  teerid  non  si  trovano  4* accordo; 
noi  ci  atterremo,  godati  pure  4ai  fatti  fisìolegici  e  fteetici,  air-espe- 
rienaa  pratico*artistica,  la  qaale  viene  ancor  più  a  oonsolidmrrf  •òhe 
il  registro  di  mezze  non  ba  un  vero  e  proprio  nMocanismo,  ma  è  una 
comunanza  dei  dm  diffn-enti  meccanismi,  un'intrusione  del  rogistro 
di  testa  nel  registro  di  petto  e  viceversa.  Al  fatte  : 

8e  per  ^esempio  un  soprano  leggero  o  di  nezzo  carattere  vocaliaseit 
mila  vocale  A  potii  portare  il  registro  di  petto  dal  m  e4o  sino  al 
mi  o /b.  Il  protrarro  il  rogistro  di  petto  ^  disopra  di  qtesto  limite 
e  su  -quella  vocale  —  beoebè  nen  sia  del  tutte  impossibile  —  ^f9^ 
torobbe  ad  «no  sforzo  e  contrazione  muscolare  anommle  o  dannesa, 
non  solo  alla  buona  emissione  vocale,  ma  pure  alk  salubrità  della 


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LA  TECNICA  DEL  CANALE  D  ATTACCO 


631 


voce,  rovinandola  in  breve  tempo.  Al  fa  comincerà  il  registro  di  testa 
che  si  prolungherà  sino  al  <^  ed  eccezionalmente  sino  al  mi,  fa^ 
se,  segnatamente,  vocalizzerà"col  timbro  oscuro  ó^  U.  =    ~ 

Figura  quarta. 


Jé 


A,è,ò, 


Pandignut  di  wpviioMiito  dellft  nladone  intima 
tra  l*esten8Ìone  del  suono  modeale  e  quella  del  suono  Tocale  (1). 

Se  egli  invece  vocalizzerà  coiremissione  chiara  é,  1  avrà  il  registro 
di  mezzo  dal  ^'  o  ^  sino  al  m»  o  j^  ;  al  disopra  di  questo  limite,  e 
con  qualunque  timbro  egli  vocalizzi,  avrà  esclusivamente  il  registro  di 
testa.  Il  registro  di  petto  del  Mezzo-soprano  è  più  sviluppato,  avendo 
un'estensione  che  va  dal  soH  o  la  sino  al  ^  o  ^  i.  Il  registro  di 
testa  può  cominciare,  come  pel  Soprano,  tra  mi  e  fa^  ed  estendersi 
sino  al  la^  eccezionalmente  sino  al  do.  Il  Contralto ,  che  suddividesi 
in  Alto  e  Contra-alto,  ha  un  registrò  di  petto  estesissimo.  Nell'Alto 
questo  registro  può  estendersi  dal  /ai  al  ^i  e  per  il  Contra-alto 
dal  do  H  sino  al  la.  Il  registro  di  testa  qui  pure  può  cominciare  da 


(1)  Non  crediamo  necessario  di  presentare  pare  una  figura  per  le  voci  femmi- 
nili, neiropinione  che  il  nostro  pensiero  si  palesi,  con  questa,  già  abbastanza 
chiaro. 

Ri9i»ia  muticaU  italiana,  Vili.  42 


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032  AETS  COIfTSMPORAMXA 

mt  6  portarsi  sino  ^  reeA  eccezionalmente  sino  al  j^if  per  il  Centra- 
alto  e  sino  al  b  per  l'Alto.  Il  registro  di  mezzo  poiarà  estenderai  per 
ambedue  dal  sol  al  ^  t.  Teniamo  a  far  rilevare  che  nelle  voci  dì 
donna  i  registri  di  petto  e  di  mezzo  possono  subire  degli  spostamenti 
estendendosi  o  restringendosi,  ma  che  il  registro  di  testa  resta  fissato 
invariabilmente  al  mi  come  nota  mediana. 

Osserviamo  pure  le  voci  maschili.  Ecco  come  si  presentano  i  re- 
gistri in  qaeste  voci  :  Registro  di  petto  del  Tenore  l^[gero  dal  re  al 
re;  il  registro  di  mezzo  dal  mi  al  ^  ed  eccezionalmente  sino  al^. 
Per  il  Tenore  drammatico  un  sol  registro  di  petto  da  £«a  o  Si  sino  al 
5t_^  0  si,  eccezionalmente  do  (il  ben  riconoscibile  do  di  petto).  Per 
il  Basso  0  Baritono  un  registro  di  petto,  che  prende  dal  JB0  al  r«  ed 
un  registro  di  mezzo  dal  mi  al  sol. 

Questo  breve  sguardo  sulle  classificazioni  delle  voci,  oltre  che  ser- 
vire come  riprova  al  già  detto  più  sopra,  ci  conduce  ad  una  oonclu- 
sione  della  più  alta  importanza,  degna  di  esser  sottoposta  alla  ri- 
flessione degli  studiosi  e  dei  dotti,  e  che  noi  esponiamo  qui  come 
esperimento.  Eccola:  L'intiero  organo  vocale  ttmano^  tanto  maschile 
che  femminile,  è  da  riguardarsi  come  un  solo  isirumento^  la  em 
estensione  dei  suoni  sia  divisa,  interrotta  da  due  differenti  proce- 
dimenti fonetici  (meccanismi);  e  che  in  tutte  le  classificagioni  detta 
voce  umana,  in  cui  quefforgano  si  compartisce,  questa  divisione, 
questa  interrtutione  succede  al  mi  presa  come  nota  mediana  e  che 
questa  nota,  come  suono  vocale,  potrà  essere  considerata  registro 
di  testa  sulle  vocali  ó,  U,  resa  registro  di  petto  suUe  vocali  È,  A, 
ò,  ritenuta  registro  di  meeeo  stiUe  voccdi  É,  I  (1).  (Vedi  figura 
quarta). 


(1)  Un'altra  testimonianza  di  questa  condosione  rabbiamo  in  alcuni  soggetti 
maschili,  i  quali  posseggono  non  solo  snoni  profondi  nel  registro  di  petto  nata* 
rali  al  loro  organo  Toeale,  ma  pure  una  quantità  di  saoni  acuti  di  puro  ed  esclu- 
sivo xBg.  di  testa,  che  permette  a  quelli  di  giungere  ad  imitare  beniesinio  sito 
airinganno,  la  tessitura  del  meszo  soprano  e  talvolta  del  aoprano.  Qaeste  note, 
non  c*ò  dubbio,  suonano  contro  natura  e  cadono  spesso  nel  ridicolo  e  nella  cari- 
catura; eppure  sono  yere  e  proprie  note  del  registro  di  testa,  con  questa  sola  dif- 
ferenza che  nelle  voci  di  donna  quelle  st^se  note  suonano  naturalmente,  troTan- 
doYÌ  in  queste  Tolgano  vocale  adatto  e  fisiologico,  mentre,  in  un  organo  maschile, 
esse  possono  paragonarsi  ai  suoni  che  produce  un  contrabbassista  il  quale  testa 
di  eseguire  sul  suo  istrumento  un  pezzo  scritto  per  violino. 


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LA  TECNICA  DSL  CÀNÀLB  d'ATTACGO  633 


Il  già  detto  sul  procedimento  dei  registri  ci  porta  consegaente- 
mente  a  parlare  della  questione  delle  note  aperte  e  chiuse,  che  con 
quello  si  collega  e  vi  trova  la  sua  ragione  di  esistenza.  Questa  que- 
stione è  ben  lontana  dall'essere  soddisfacentemente  risolta.  Essa  pro- 
▼ìeoe  fisiologicamente  dal  fatto  —  non  osservato  da  molti  teorici, 
ma  pure  importantissimo  e  degno  di  menzione  —  che  il  tenore  al 
disopra  di  un  ^i  ed  il  baritono  al  mì^,  non  possono,  se  non  alla 
4^ndizione  di  degenerare  la  voce  in  un  grido,  in  un  urlo,  aprire  con- 
venientemente la  nota  come  d'abitudine  sulle  vocali  è  ^1  d,  ma  sono 
•obbligati  di  chiudere,  coprire  il  suono,  cioè  oscurarne  il  timbro,  ap- 
prestando alla  prima  un'assonanza  molto  prossima  alla  é,  ed  alle 
altre  due  un'assonanza  che  si  avvicina  alla  d. 

I  pochi  teorici,  che  prendono  a  riguardare  questo  fatto  fisiologico, 
asseriscono  che  sia  una  conseguenza  o  dell'innalzamento  ed  abbassa- 
mento dell'epiglottide  o  del  velo  palatino.  Noi  propendiamo  per  l'a- 
nione di  quest'ultimo  organo,  e  ci  figuriamo  questo  fatto  così: 

Abbiamo  tentato  di  stabilire,  approssimativamente  ed  in  via  d'espe- 
rimento, nella  figura  quarta  l'estensione  dei  suoni  nell'intiero  organo 
vocale.  Avremo  osservato  pure  che  questi  suoni,  come  le  vocali  nel 
canale  d'attacco,  occupano  una  differente  posizione,  e  che  in  ragione 
di  questa  posizione  cambia  pure  l'ampiezza  del  corpo  di  risuonanza 
di  essi  nella  proporzione  seguente: 

I  suoni  più  profondi  delle  voci  basse  trovano  il  loro  corpo  di  ri- 
suonanza  in  tutto  l'apparato  respiratorio,  cioè  dal  diaframma  sino  ai 
seni  frontale  ed  occipitale.  Mano  a  mano  che  il  suono  s'innalza  il 
<;orpo  di  risuonanza  si  accorcia,  abbandonando  da  prima  il  torace 
quindi  la  trachea  sino  alla  laringe.  Qui  succede,  come  abbiamo  visto, 
il  cambiamento  di  meccanismo  o  registro;  la  voce,  di  laringea  in- 
feriore stata  finora,  diviene  laringea  superiore,  cioè  genuina,  esclusiva 
di  testa,  o  mista,  falsa  di  registro  di  mezzo.  Adesso,  s'intende,  le 
voci  basse  vengono  escluse;  ciò  che  segue  riguarda  le  voci  acute  e 
soltanto  forse  (1)  le  femminili.  Sino  a  qui  il  corpo  di  risuonanza  prin- 


(1)  Diciamo  forse,  poiché  ci  è  impossibile  financo  d'esprimerci  assolatamente  in 
questo  riguardo  snlle  voci  femminili. 


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634  ABTK  CONTBMPORANBA 

cipale,  cioè  quello  dove  le  note  stesse  si  posavano,  era  formato  da 
pareti  abbastanza  resistenti  e  perciò  sonore  —  se  togli  forse  i  ven- 
tricoli  laringei  e  la  parete  dell'epiglottide;  e  queste  pure  sempre  ri- 
suonanti  in  più  alto  grado  della  parete  molle  ed  imbottita  del  Telo 
palatino  — .  Arrivati  dunque  alle  note  già  menzionate  il  suono  cambia 
addirittura  di  colore,  di  metallo,  prendendo  una  risuonanza  floscia  e 
cupa.  È  possibile  che  questo  dipenda  dal  corpo  di  risuonanza  attuale, 
che,  al  di  sopra  di  quelle  note^  viene  limitato  dalla  parte  superiore 
ed  angolosa  della  cavità  faringea,  la  quale  ha  per  parete  anteriore 
il  velo  palatino.  Questo,  oltre  prestare  ai  suoni  superiori  una  certa 
mollezza  risuonatoria,  ne  copre  pure,  ed  intercetta  forse,  una  parte 
delle  vibrazioni  della  colonna  sonora.  Di  qui  le  cagioni  delle  note 
chiuse  nelle  voci  di  tessitura  acuta;  e  la  necessità,  l'obbligo  di  ado- 
perare su  quelle  note  le  vocali  pure  chiuse  é,  ó  in  luogo  delle  aperte 
è  <),  e  rendere  la  vocale  primaria  Adì  timbro  completamente  oscuro; 
ancora  una  conseguenza,  ed  una  riprova  fisiologica,  della  relazione 
intima  fra  la  vocale  primaria  del  dominio  oscuro  27  ed  il  registro  di 
testa  0  voce  laringea  superiore. 

Il  processo  dei  suoni  filati,  che  apporta  alla  messa  di  voce,  trovasi 
pure 'in  strettissima  parentela  colle  vocali:  vediamo.  Avremo  osser- 
vato nel  N.  3  degli  esercizi  della  prima  serie  il  fatto  fisiologìco- 
fonetico  della  forza  dinamica  differente  delle  tre  vocali  primarie,  che 
abbiamo  riassunto  cosi  : 


Se  a  questo  fatto  aggiungeremo  l'azione  regolata  dell'espirazione^ 
secondo  il  rapporto  acustico  della  dinamica  del  suono  giungeremo  al 
resultato  della  messa  di  voce^  che  viene  considerato,  ed  a  ragione, 
come  la  pietra  di  paragone  della  completa  educazione  nell'emissione 
vocale.  Osserviamo  questo  fatto. 


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LA  TECNICA  DEL  CANALE   DATTAGCO  635 

L'acustica  ci  dice  che  «  Testensione  delle  vibrazioni  determina  la 
forza  dei  suoni  ».  Nel  nostro  caso  Testensione  di  queste  vibrazioni, 
che  è  come  dire  le  vibrazioni  stesse  più  o  meno  grandi,  proviene 
dalla  maggior  o  minor  forza  con  la  quale  la  corrente  dell'aria,  cau- 
sata dai  polmoni,  regolata  dal  diaframma  e  dai  muscoli  delle  costole 
inferiori  del  torace,  viene  spinta  verso  la  laringe.  Da  questo  proce- 
dimento sappiamo  che  dipendono  tutte  le  gradazioni  della  forza  del 
suono,  conosciute  sotto  il  nome  di  dinamica  e  che  si  compendiano 
nel  crescendo  e  decrescendo  o  nel  segno  — =c:  z:=-' 

Ora  l'elemento  fonetico  il  quale  si  poserà  più  vicino  alla  laringe 
sopra  le  corde  vocali,  sarà  quello  che  nel  miglior  modo  favorirà  la 
estensione  naturale,  immediata  e  completa  delle  suddette  vibrazioni. 
Ecco  spiegata  la  proprietà  dinamica  e  la  potenza  metallica  della  vo- 
cale J.,  pure  considerata  qual  suono  normale,  in  proporzione  delle 
altre  due  vocali  primarie,  le  quali  sì  trovano  sì  distanti  da  quel 
punto  e  che  come  limiti  estremi  della  colonna  sonora,  saranno  più 
appropriate,  e  naturalmente,  la  prima  per  il  leggero  appoggio, 
la  seconda  per  la  sfumatura  e  fermata  del  suono.  Nell'istesso  tempo 
viene  pure  provata  la  posizione  di  essa  nella  cavità  faringea  sopra 
la  laringe  quale  suono  naturale,  e,  sempre  in  quella  direzione,  nella 
cavità  orale  come  suono  normale. 

Ma  e  con  ciò  avremo  a  concludere  che  soltanto  sulla  vocale  A 
sarà  possibile  di  emettere  un  suono  nel  forte?  No:  la  natura  ha 
concesso  all'arte  i  mezzi  di  variare  pure  le  sue  proprietà  fisiolo- 
giche ;  e  nel  raggiungere  quelle  variazioni,  coll'allontanarsi  il  meno 
possibile  da  quella,  sta  il  segreto  della  vera  arte.  E  noi  per  noif  al- 
lontanarci dal  campo  teorico-pratico,  diciamo  qui  soltanto  che,  onde 
ottenere  la  vocale  I  pure  nel  forte  e  rotonda  nelle  note  acute  ed 
approssimativamente  metallica  nelle  note  di  petto,  saremo  obbligati 
oltre  di  dare  ad  essa  l'assonanza  del  suo  elemento  secondario  é,  pure 
e  conseguentemente  di  abbassare  un  po'  la  mascella  inferiore,  e  forse 
anche  far  discendere  un  po'  la  laringe.  Come  pure  in  riguardo  alla 
vocale  U;  dovendola  emettere  sul  forte,  tanto  nel  registro  di  testa 
che  di  mezzo,  sarà  inevitabile  il  darle  l'assonanza  del  suo  elemento 
secondarioo  e  forse  alzare  un  po'  la  laringe.  Ma  qui  terminiamo,  per  non 
cadere  davvero  nel  risicò  di  sembrare  intrusi  nel  campo  rigoglioso 
del  suono  ideale,  la  perfezione  dell'arte  vocale. 


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696  AATB  GONTIBiPORANBA 

Compresa  questa  relazione  fra  forza  dinamica  del  saono,  tanto  mu- 
seale che  vocale,  in  possessione  del  signoreg((iamento  del  diaframmat 
della  buona  emissi<me  di  tutte  le  vocali  neutralizzatef  non  sarà  dif> 
Scile,  dopo  (s'intende)  un  costante  e  controllato  esercìzio  pratico  del 
sistema  che  abbiamo  presentato,  di  entrare  in  possesso  gradatamente 
e  conseguentemente  non  solo  dei  procedimenti  e  deirunione  dei  re- 
gistri e  delle  note  aperte  e  chiuse  ma  anche  di  questa  pa^la  vocale 
del  canto  italiano,  che,  noù  si^piamo  se  disgraziatamente,  tenta  di 
disparire  a  poco  a  poco  dalle  composizioni  vocali  moderne. 

Prima  di  passare  allo  studio  interessantissimo  delle  consouanti  cre- 
diamo utile  di  fare  osservare  che  qui  potrassi  benissimo  cominciare 
a  sviluppare  nell'allievo  la  Tecmea  delle  carde  vocaU^  la  quale  potri 
andare  di  pari  passo  con  quello  studio,  trovando^in  esso  un  appoggio 
validissimo  come  salvaguardia  e  consolidamento  del  già  raggiusto 
suono  normale,  che,  come  abbiamo  veduto,  è  la  base  della  tecnica 
del  cernie  d'attacco. 

(Continuay, 

C.  Somigli. 


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LA  NUOVA  ROMANZA 

(CoDtiDoai.  e  fine,  V.  voi.  VII,  fase.  2«,  ptg.  354,  anno  1900). 


O. 


"ccupiamoci  adunque  dei  martiri  e  degli  apostoli  detta  tmova 
ramanea.  Abbiamo  anzitatto  un  piccolo  grappo  di  compositori  di 
romanzot  i  quali,  pur  stando  sotto  Finflusso  dominatore  ed  imme- 
diato del  genio  di  Biccardo  Wagner,  sono  tuttavia  forti  personalità 
artistiche,  si  che  diventano  alla  lor  volta  capiscuola,  seguono  vie 
nuove,  e,  se  così  si  può  dire,  rappresentano  il  punto  di  partenza  di 
un  nuovo  periodo  evolutivo. 

Ho  parlato  di  martiri.  A  chi  questo  epiteto  potrebbe  adattarsi 
meglio  che  ad  Alessandro  Bitter?  Egli  si  può  inoltre  veramente 
chiamare  il  padre  della  nuova  romansa.  Fra  i  molti,  anzi  i  troppi 
che  hanno  composto  nel  cosidetto  stile  wagneriano^  questo  poeta  e 
compositore  di  Monaco,  che  tuttora  è  misconosciuto  e  colpito  d'ostra- 
cismo, appartiene  a  quei  pochi,  i  quali  con  abnegazione  di  sé  stessi 
abbracciarono  l'idea  di  Wagner.  Sarà  certo  riservato  ad  una  prossima 
epoca  artistica  di  comprendere  a  fondo  Alessandro  Bitter  come  lirico, 
e  di  riconoscere  quanta  profondità  magistrale  di  pensieri  egli  abbia 
avuto  nell'espressione  musicale,  con  quanto  poetico  realismo  egli 
abbia  trattato  il  linguaio  cantato,  e  con  quanta  potenza  persuasiva 
egli  abbia  saputo  fissare  nei  suoni  la  mutevole  espressione  di  una 
poesia.  Chi  voglia  conoscere  il  significato  dell'espressione  di  Qoncourt: 
«  Tart  intime  »  applicata  alla  lirica  musicale,  non  ha  che  a  leggere 
con  attenzione  le  €  Notti  d'amore  »  del  Bitter,  le  sue  «  Cinque  me* 
Iodio  semplici  »,  le  sue  €  Cinque  poesie  di  P.  Comelius  »  (op.  16), 
le  sue  op.  20  e  21  ;  non  potrà  non  esseme  profondamente  commosso. 


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638  ARTB  CONTKMPORAMBA 

Le  «  Notti  d'amore  »  sono  un  ciclo  di  canti  ad  una  e  a  due  voci, 
che  appartiene  al  suo  periodo  giovanile,  e  che  fu  da  lui  dedicato  al 
maestro  per  cui  egli  aveva  un'intima  predilezione,  a  Biccardo  Wagner. 
In  esse  una  coppia  d'amanti  felici  e  immuni  dagli  errori  terreni, 
immersa  in  un'estasi  che  ricorda  quella  del  «  Tristano  »,  bisbiglia 
parole  d'amore,  d'intensa  aspirazione  alla  morte,  e  s'abbandona  ad 
ardenti  sogni  amorosi.  Più  semplice  ci  appare  Bitter  nelle  «  Melodìe 
semplici  ». 

Esse  sono  caratterizzate  da  una  grande  soavità  di  intime  attrat- 
tive, e  dall'efFetto  artistico  quasi  incredibile  ottenuto  con  un  tninimum 
di  suoni.  L'op.  16  è,  a  parer  mio,  la  più  notevole  di  queste  raccolte. 
Questi  cinque  canti,  che  presentano  uguali  difficoltà  sia  dal  lato 
tecnico  che  dal  lato  psicologico,  sono  tipici  per  la  verità  d'espressione 
della  declamazione,  per  la  voluta  e  caratteristica  parsimonia  dell'au- 
tore, che  ottiene  il  massimo  effetto  coi  mezzi  più  semplici  della 
ritmica  illustrativa,  della  sequenza,  della  espressiva  modulazione  del 
€  leitmotiv  1^:  tipici  sono  essi  infine  per  il  sentimento  onde  ribocca 
questo  compositore.  Sono  il  vero  capolavoro  della  nuova  arte  della 
romanza.  Bitter  ha  una  particolarità;  alla  chiusa  della  romanza  egli, 
fatti  precedere  alcuni  accenti  espressivi  e  drammatici,  fa  un'ampli- 
ficazione puramente  lirica  e  melodica  del  pensiero  principale,  facen- 
dolo da  ultimo  apparire  come  idealmente  trasfigurato.  Ai  superficiali 
concertisti  di  professione,  che  vanno  solo  in  cerca  di  «  numeri  » 
preferiti  dal  pubblico,  ed  agli  altri  beoti  della  musica  questo  mondo 
di  suoni  sarà  eternamente  chiuso;  ma  v'è  oggidì  una  piccola  comu- 
nità di  uomini  dalla  fine  organizzazione  artistica,  ai  quali  le  pro- 
duzioni di  Bitter  ispirano  sempre  il  più  profondo  entusiasmo  e  la 
più  schietta  devozione  dello  spirito.  —  Più  fortunato,  più  fecondo,  più 
tipico  e  coronato  da  maggiore  successo  è  un  altro  apostolo  della  mo- 
derna lirica:  Biccardo  Strauss,  discepolo  di  Bitter.  Questo  ingegno 
impetuoso  e  selvaggiamente  geniale  ha  oramai  già  scritto,  a  parer 
mio,  i  suoi  canti  migliori  e  caratterizzati  da  maggiore  naturalezza 
di  sentimento;  e  per  quanto  riguarda  tutte  le  sue  romanze  poste- 
riori alVop.  29  io  concordo  pienamente  con  uno  dei  più  fanatici 
ammiratori  di  Strauss,  un  critico  musicale  «  neo  tedesco  »  di  fama 
ragguardevole  —  nomina  sunt  odiosa  —  il  quale  mi  diceva  aperta- 
mente così  :    «  Tranne  una  sola  eccezione,  io  devo  censurare  aspra- 


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LA  NUOVA  ROMANZA 


mente  le  romanze  più  recenti  di  Strauss  (egli  intendeva  di  parlare 
specialmente  dell'op.  37  :  «  Sei  romanze  »,  e  dell'op.  39).  La  mu- 
sica è  bensì  espressione:  ma  qui  invece  di  espressione  efficace  io 
trovo  soltanto  sottigliezza,  riflessione  ed  ingegno  ».  Nelle  sue  produ- 
zioni più  recenti  si  nota  una  certa  irrequietezza  delFespressione,  una 
sprezzatura  d'intonazione,  conseguenza  di  riflessioni  cavillose,  ed 
inoltre  un  insopportabile  predominio  deirelemento  decorativo  nella 
parte  del  canto  e  nella  figurazione  della  parte  del  pianoforte,  cose 
tutte  cbe  non  sempre  permettono  il  godimento  artistico  in  tutta  la 
sua  purezza.  Ma  per  contro  le  sue  romanze  anteriori,  a  partire  dalle 
«  Sei  romanze  »  di  Schack  incluse  (op.  19),  e  fino  alle  «  Tre  ro- 
manze »  di  y.  I.  BierbaQm  (op.  29),  racchiudono  a  profusione  tita- 
niche rivelazioni  di  mirabili  misteri.  Fortunatamente  nella  maggior 
parte  delle  romanze  di  Strauss  noi  non  troviamo  quell'afTannosa  ri- 
cerca di  sensazioni  nuove  e  straordinarie,  quella  sovreccitazione  ner- 
vosa, che  nuociono  così  spesso  al  buon  effetto  nelle  sue  produzioni 
sinfoniche.  Qui  invece  regna  una  calma  celestiale,  una  chiarezza 
spiritualizzata  deirespressione :  qui  Strauss  è  apollineo:  qui  tace  il 
culto  rumoroso  di  Dioniso,  che  c'inebria  ma  che  così  spesso  ci  stor- 
disce nelle  ultime  opere  orchestrali  del  maestro.  La  perla  della  sua 
lirica  mi  par  sempre  Top.  27  :  «  Quattro  romanze  su  poesie  di 
Henkell,  H.  Hart  e  Mackay  »  ;  infatti  qui  Strauss  ha  quasi  rag- 
giunto rideale  di  conseguire  con  la  voluta  massima  limitazione  dei 
mezzi  istrumentali  la  massima  verità  d'espressione  psichica,  come 
pure  la  più  fulgida  bellezza  musicale.  Che  profondità  psicologica  nel 
<  Mattino  »,  che  purezza  dì  dizione  nella  «  Cecilia  »,  che  slancio  di 
sentimento  nella  «  Segreta  domanda  »  !  Strauss  è  inimitabile  sopra- 
tutto pel  modo  come  egli  sa  rappresentare  il  desiderio  intenso,  la 
passione,  l'ardore,  l'amore  che  giunge  all'estremo  lìmite  ed  infrange 
le  barriere  della  schiavitù  terrena  :  l'amore  segreto  e  doloroso  che 
strugge,  lo  smarrimento  di  due  amanti,  che  fatti  oramai  stranieri  al 
mondo,  vaneggiano  in  mistici  sogni,  come  Tristano  ed  Isotta.  Ne  ab- 
biamo mirabili  esempi  nel  «  Viaggio  notturno  »,  nel  «  Sogno  crepu- 
scolare »,  nel  €  Mattino  ».  Riccardo  Strauss  fu  pure  uno  dei  primi 
fra  gli  spiriti  nuovi,  che  tentarono  di  assegnare  un  posto  nella  lirica 
al  momento  sociale.  «  Qt4esf epoca  di  violenza  immiserisce  cuore  e 
cervello!  »    Nessuno  avrebbe   potuto  meglio  di  lui  fissare  in  tratti 


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640  ARTE  CONTEMPORANBA 

COSÌ  scultori!  questo  grido  accusatore;  le  infiammate  parole  di 
Henkell  dovettero  sollevare  tutti  i  sentimenti  umani  di  quest^aomo 
libero  e  grande,  spingendolo  ad  un'energica  riscossa  artistica.  Da 
queste  creazioni  liriche  di  Strauss,  che  sono  le  migliori,  si  effonde 
come  un  magico  fluido,  che  invade  l'anima  di  chiunque  sia  snaeet- 
tibìle  di  intimi  godimenti,  e  che  ci  trae  c<m  forza  irresistibile  nella 
disposizione  d'animo  voluta  dal  compositore.  Alle  volte  si  tratta  sol- 
tanto di  una  lievissima  sfumatura  o  differenziazione  dello  stato 
d'animo  :  ma  anche  allora  Strauss  ha  la  potenza  di  guidare  e  di  de- 
terminare con  precisione  il  sentimento.  Quello  che  più  ci  rapisce  nei 
suoi  canti  non  è  tanto  l'invenzione  melodica  puramente  museale 
(sebbene  anche  questa  sia  tutt'altro  che  trascurabile),  ma  piuttosto 
l'alito  ardente  della  sua  passione,  Timmediata  potenza  emotiva  delle 
sue  armonie,  il  mirabile  slancio  della  declamazione  nei  momenti 
estatici  della  poesia.  Come  coloritore  della  malinconia  tormentosa  e 
del  suo  polo  opposto,  l'elemento  burlesco,  Strauss  si  rivela  meno 
efficace.  Per  contro  egli  raggiunge  la  perfezione  nel  dare  una  veste 
poetico-musicale  affatto  nuova  alle  più  riposte  grazie  di  un  Liliencron, 
di  un  Dehmel,  di  un  Mackay,  di  un  Bierbaùm,  e  d'altri  poeti  mo- 
derni, i  quali  non  sono  per  nulla  appropriati  all'ambiente  tedesco, 
ristretto  e  meschino. 

Lo  stile  di  questo  lirico  è  autonomo  e  non  può  essere  imitato 
felicemente,  a  dispetto  degli  sforzi  convulsi  di  alcuni  sbarbatelli 
tedeschi  affetti  da  idrocefalia  musicale,  che  si  costituirono  testé  in 
«  Circolo  »  a  Monaco.  Nel  mondo  dei  poeti  e  dei  pensatori  è  un  caso 
straordinario  per  non  dire  inaudito,  che  un  lirico  di  tanta  profon- 
dità abbia  potuto  nel  corso  della  sua  vita  conquistare  stabilmente  le 
sale  di  concerto  della  Germania,  e  goda  di  una  certa  predilezione 
da  parte  del  grosso  pubblico  che  assiste  ai  concerti,  benché  unica- 
mente per  riflesso  della  moda.  Ad  ogni  modo  anche  nei  programmi 
dei  cantanti  progressisti  non  si  trovano  certo  le  migliori  romanze  di 
questo  maestro. 

Corrado  Ansorge  è,  a  parer  mio,  il  compositore  più  intimamente 
affine  a  Bitter  ed  a  Strauss.  Nei  suoi  canti,  di  cui  m'è  noto  solo  un 
piccolo  numero,  V  «  ultimo  discepolo  di  Liszt  »  si  rivela,  riguardo 
all'espressione  musicale,  uno  fra  gli  artisti  più  squisitamente  sensi- 
tivi della  nostra  epoca  «  epigonica  ».  In  aperto  contrasto  con  Gio^io 


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LA  NUOVA  ROMANZA  641 

Stolzenberg,  del  cui  naturalismo  tratteremo  più  innanzi,  Ansorsfe  per- 
corre le  «  vie  deiranima  »,  lungi  dalla  realtà  del  mondo.  Sulle  ali 
del  suo  linguaggio  musicale  noi  siamo  trasportati  in  pieno  misti- 
cismo. Egli  è  il  Maurizio  Maeterlinck  della  musica,  e  come  quest'ul- 
timo; egli  nelle  sue  romanze  apre,  a  chi  abbia  fine  senso  musicale, 
misteriosi  accessi  airinfinito.  Ansorge,  in  quanto  è  nemico  degli  effetti 
strepitosi  e  unicamente  decorativi  del  realismo  musicale  moderno, 
forse  non  deve  essere  considerato  come  un  «  epìgono  »,  ma  piuttosto 
come  una  promessa  di  nuove  aurore.  Chissà  che  un  giorno  il  simbo- 
lismo non  attecchisca  anche  nella  musica  !  Io  qui  mi  riferisco  sopra- 
tutto  alle  «  Otto  romanze  »  op.  10.  Chiunque  abbia  le  facoltà  psi- 
chiche necessarie  per  assimilarsi  le  più  tenui  sfumature  deirespresdione, 
Bell'udire  per  la  prima  volta  la  parafrasi  musicale  ch'egli  ha  fatto 
della  poesia  di  Nietzsche  :  «  Il  sole  cade  »,  del  «  Segreto  »  e  della 
«  Notte  serena  »  di  Dehmel,  riconoscerà  di  trovarsi  dinanzi  a  rive- 
lazioni di  un  ingegno  nuovo  ed  originale. 

Per  l'arte  di  caratterizzare  i  sentimenti  più  riposti,  per  la  facoltà 
d'intuire  in  certo  qual  modo  il  lato  trascendentale  di  una  poesia,  e 
di  esprimerlo  musicalmente  con  vera  arte  di  psicologo,  Ansorge  sor- 
passa di  gran  lunga  tutti  i  suoi  fratelli  in  Apollo  ;  persino  Ugo  Wolf 
in  suo  confronto  appare  spesso  grossolano  e  rozzo.  %li  raggiunge 
la  massima  efficacia  musicale  quando  descrive  l'orrore  della  morte, 
le  &ntasie  febbrili  d'un'anima  malata  di  tedio,  quando  spia  l'alito 
misterioso  della  notte,  ispirandosi  ad  una  percezione  panteistica 
dell'universo. 

Quindi  egli  non  è  fatto  per  il  grosso  del  pubblico.  La  pittura 
musicale  di  Ansorge  non  risplende  di  colori  abbaglianti  e  caldi  ;  essa 
è  piuttosto  un  chiaroscuro  pieno  d'incerte  luci  e  della  mistica  quiete 
di  fantastiche  penembre.  E  si  noti  che  malgrado  ciò  le  melodie  di 
Ansorge  hanno  una  struttura  chiusa,  e  s'imprimono  facilmente  nel- 
l'orecchio. Nella  scelta  del  testo  Ansorge  è  uno  fra  i  più  radicali, 
ed  appartiene  per  così  dire  all'estrema  sinistra  musicale.  Chi  prima 
di  lui  avrebbe  mai  pensato  a  mettere  in  musica  Dehmel,  Paul  Yer- 
laiue,  Nietzsche,  e  persino  la  prosa  di  Prczybyzewski  ?  Fra  pochi 
anni  Ansorge  sarà  senza  dubbio  non  meno  apprezzato  di  Bitter,  Strauss 
e  Wolf.  Finora  —  parlo  per  la  Germania  —  egli  naturalmente  è 
ancora  quasi  afiatto  sconosciuto. 


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642  ARTE  CONTEMPORANEA 

Ed  ora  discendiamo  da  queste  superbe  altezze,  che  sono  di  così 
difficile  accesso,  ed  occupiamoci  di  quei  compositori  di  romanze,  che 
pur  non  essendo  sommi,  hanno  tuttavia  indiscutibili  pregi  artistici. 
Anche  questi  come  i  primi  si  sono  ispirati  al  sommo  Wagner. 

Anzitutto  parleremo  del  geniale  musicista  Carlo  Oleitz^  che  attual- 
mente vive  a  Berlino. 

Visto  che  le  creazioni  del  suo  ingegno  non  erano  apprezzate,  e 
non  gli  davano  di  che  vivere,  egli  dopo  un  anno  di  miseria  gettò 
lo  strumento  ai  piedi  delVingrata  Musa,  depose  Tufficio  d'artista,  e 
vestita  la  llouse  deiroperaio  si  mise  alla  macchina,  per  strappare 
col  lavoro  meccanico  alla  società  capitalistica  i  miserabili  quattrini 
occorrenti  ad  appagare  le  più  imperiose  necessità  dell'esistenza,  quat- 
trini che  gli  erano  stati  negati  dall'indififerenza  di  quel  mostro  dalle 
mille  teste  che  è  il  pubblico.  Allora  soltanto  la  curiosità  generale 
si  volse  a  questo  artista  pieno  di  carattere,  a  quest'uomo  inflessibile 
che  nobilmente  calpestando  ogni  pregiudizio  aveva  compiuto  il  pas- 
saggio dalla  dorata  miseria  del  proletariato  artistico  al  proletariato 
di  classe,  conscio  delle  proprie  finalità.  Pertanto  Toperaio  di  fabbrica 
Gleìtz,  che  nel  cassetto  degli  utensìli  nascondeva  un  gran  numero 
di  grandi  partiture  orchestrali,  di  composizioni  corali  e  di  squisite 
romanze,  venne  di  bel  nuovo  restituito  all'arte.  La  coscienza  della 
borghesia  s'era  alfine  destata,  per  opera  specialmente  della  «  Società 
protettrice  delle  arti  ;►  di  Berlino. 

Intanto  uno  dei  suoi  poemi  sinfonici  è  già  stato  eseguito  a  Ber- 
lino; ed  anche  le  romanze  (fra  cui  io  mi  limito  qui  a  ricordare  le 
«  12  romanze  >  op.  2,  le  «  8  romanze  »  op.  12,  e  le  «  4  romanze 
per  le  fanciulle  »  per  mezzo  soprano,  op.  14)  vanno  acquistando  a 
poco  a  poco  la  meritata  rinomanza.  Una  fervida  fantasia,  un  senti- 
mento schiettamente  romantico,  una  fiorente  melodiosi  della  parte  del 
canto,  emananti  dallo  spirito  della  lingua  tedesca,  e  una  foroaa  di 
composizione  pianistica  specialmente  interessante  dal  lato  armonico: 
tali  sono  le  qualità  rivelate  dalle  produzioni  liriche  di  questo  com- 
positore tanto  bersagliato  dalla  sorte. 

Le  più  belle  fra  le  sue  romanze  sono  :  «  Con  grandi  occhi  infìn- 
tili 3^  (op.  12,  n.  2),  «  La  leggenda  della  Fortuna  »  (op.  12,  n.  7) 
etì  il  €  Canto  d'amore  »  (op.  2),  risonante  d'armonìe  ditirambiche. 

Max  Schillings,   Fautore   del   pregevolissimo   dramma  musicale 


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LA   NUOVA  ROMANZA  643 

«  Ingwélde  »  e  dell'opera  «  Ber  Pfeifuttag  »,  come  lirico  ha  sempre  pro- 
vocato un  violento  fuoco  incrociato  di  opinioni  disparate.  Questo  polifo- 
nista  per  eccellenza,  nel  trattare  la  romanza  per  pianoforte  si  trova  spesso 
in  un  brutto  dilemma,  a  causa  delle  esigenze  di  questa  composizione, 
che  per  quanto  ricca,  deve  tuttavia  essere  chiara  e  proporzionata  alle 
condizioni  dello  strumento.  Quanto  io  dissi  nell'articolo  precedente  in- 
tomo airillustrazione  troppo  «  pianistica  »  ed  ipertroficamente  lussu- 
reggiante del  pianoforte,  la  quale  soffoca  senza  pietà  la  parte  del  canto, 
si  adatta  pure  benissimo  alle  «  Tre  romanze  »  di  Schillings  (e  Suona- 
tore »,  «  Canto  del  viaggiatore  »,  «  Primavera  invadente  »).  Nei  due 
pregevolissimi  canti  :  «  Notte  di  luglio  »  e  «  Com'è  mirabil  questo  smar- 
rimento »,  che  furono  recentemente  eseguiti  per  la  prima  volta  in 
Monaco  da  Eugenio  Gura,  egli  ha  molto  maggior  chiarezza  d'espres- 
sione, e  riesce  a  destare  maggior  commozione. 

Ermanno  Zumpe  ha  potuto  scrivere  in  testa  ad  una  delle  sue  rac- 
colte di  romanze  :  «  Queste  romanae  sono  dedicate  ad  Eugenio  Gura^ 
che  se  ne  fece  Ijanditore  ».  Ora  un  compositore,  di  cui  Gura  prende 
a  cuore  la  causa,  non  può  più  restare  a  lungo  sconosciuto  neppure 
al  grosso  del  pubblico.  Il  poeta  preferito  di  Zumpe  è  C.  F.  Meyer. 
È  sorprendente  come  nelle  sue  romanze:  «  Il  sacro  fuoco  »,  «  Anime 
dei  canti  »,  «  Notte  agitata  »,  «  Liutista  »,  riboccanti  iipathos  ideale, 
egli  abbia  saputo  ingentilire  il  romanticismo  un  po'  crudo  del  poeta 
svizzero,  e  tradurlo  in  suoni.  Zumpe  è  penetrato  bene  addentro  nel- 
l'essenza della  nuova  romanza.  Egli  ha  corredato  le  sue  composizioni 
di  molti  segni  di  fraseggiatura  per  uso  dei  cantanti,  ed  in  una  nota 
in  calce  alle  sue  «  Tre  romanze  »  scrive  :  «  La  parte  del  pianoforte 
non  deve  essere  trattata  come  un  accompagnamento  subordinato,  bensì 
come  equivalente  all'espressione  del  canto  ».  In  lui  è  a  rilevare  in 
modo  speciale  la  libertà  nella  trattazione  della  parte  del  canto,  che 
spesso  è  in  conflitto  ritmico  con  la  parte  del  pianoforte. 

Il  più  fecondo  fra  i  lirici  neotedeschi,  dopo  Ugo  Wolf,  è  Hans 
Sommer.  A  tutt'oggi  il  numero  delle  sue  romanze  e  ballate  oltre- 
passa di  molto  il  centinaio.  Anche  la  sua  tempra  artistica  si  adatta 
perfettamente  al  programma  di  Biccardo  Wagner.  Egli  è  forse  il 
propugnatore  più  coerente  dello  stile  declamatorio  di  Wagner  nel 
campo  della  lirica.  È  solo  a  causa  delle  speciali  qualità  del  suo  tem- 
peramento artistico,  in  cui  la  calma  rìtenutezza  e  l'apollineo   senso 


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644  ARTK  CONTBMPORANBà 

della  misura  prevalgono  sul  gaio  culto  di  Dioniso  e  sulla  sfreData 
tendenza  ad  infrangere  ogni  regola,  che  Hans  Sommer  ha  doTuto 
limitarsi  ad  emulare  il  maestro,  ed  a  creare  più  per  riflessione  che 
per  impulso,  perchè  tutte  le  sue  sensazioni  subivano  il  &scino  tiran- 
nico deir«  Olimpico  »  ;  ed  è  per  la  stessa  n^one  che  egli,  malgrado 
il  suo  poderoso  ingegno,  non  ha  potuto  scoprire  un  nuovo  mondo  di 
suoni  cosi  smagliante  come  quello  scoperto  da  Ugo  Wolf,  il  «  ge- 
niale »,  i  cui  germi  creatori  tuttavia  fruttificarono  unicamente  per 
influsso  del  cigno  di  Bayreùth.  Ma  del  resto  anche  entro  ai  limiti 
abbastanza  vasti  della  natura  e  della  tempra  artistica  di  Hans  Sommer, 
la  sua  musa  ha  potuto  maturare  i  frutti  pih  dolci  e  più  belli.  Nella 
scelta  dei  mezzi,  che  in  lui  sono  sempre  efficacissimi,  egli  è  ^mpre 
guidato  da  una  fine  intelligenza  artistica,  da  una  mano  sicura,  da 
un  gusto  raffinato,  che  si  rivela  fin  nella  sua  predilezione  per  Giulio 
Wolff  e  Carmen  Sylva,  i  due  poeti  a  lui  cosi  cari  e  da  lui  ecelti 
come  testo.  Se  diamo  una  scorsa  alla  produzione  multilaterale  di 
questo  antico  professore  di  matematica  Brunswickese,  dobbiamo  re- 
stare ammirati  della  ricchezza  di  colori  e  di  sfumature  dell'espres- 
sione  musicale,  e  del  sicuro  senso  dello  stile  da  cui  egli  è  guidato 
nel  combinare  fra  loro  i  colori  stessi.  Il  suo  campo  preferito  è  la 
ballata  e  la  canaane  popolare:  perchè  qui  egli,  invece  di  servirsi 
del  suo  talento  per  ricercare  i  più  riposti  sentimenti  o  per  darsi, 
per  così  dire,  ad  un  lavoro  di  filigrana  psicologica,  può  lasciar  libero 
corso  alla  sua  sana  ispirazione  musicale  in  poderose  creazioni  para- 
gonabili ad  artistiche  sculture  in  legno.  Con  ragione  si  considera 
Martino  Plùddemann  come  il  riformatore  della  ballata  posteriore  a 
LOwe,  sulle  basi  gettate  da  Riccardo  Wagner  ;  egli  è  il  vero  «  Wagner 
della  ballata  »  ;  ma  anche  ad  Hans  Sommer,  che  ha  pubblicato  due 
splendidi  volumi  di  ballate,  deve  essere  senza  invidia  riconoeciuto  il 
merito  di  avere  portato  nuovo  materiale  per'  il  superbo  edifizio  sto-  * 
rico  della  canzone  popolare  descrittiva,  e  di  avere  felicemente  am- 
pliato ed  arricchito  lo  stile  dell'epica  musicale  mediante  un  ben 
ponderato  impiego  delle  conquiste  della  scuola  neotedesca.  Chi  vuole 
scrivere  una  ballata  —  e  in  questo  genere  di  composizione  musicale 
sono  molti  i  chiamati  ma  pochi  gli  eletti  —  deve  non  tanto  essere 
un  artista  di  fine  sentimento  e  un  profondo  conoscitore  dell'anima 
umana,  quanto  possedere  una  robusta  vena  popolare,  una  grande  pu- 


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LA  NUOTA  ROMANZA  645 

rezza  e  spontaneità  musicale,  ed  un  sano  temperamento  artistico. 
Queste  qualità,  unitamente  ad  una  certa  impersonalità  del  mentire 
e  ad  un  sicuro  istinto  pittorico-musicale,  lo  renderanno  atto  a  fore 
una  efficace  pittura  musicale,  dai  poderosi  contomi  melodici,  iélVepos 
coi  suoi  rigidi  lineamenti  tedeschi,  coi  suoi  dolci  amorì  femminili, 
col  suo  puro  incanto  boschereccio,  colle  sue  romantiche  morti.  Ed 
Hans  Sommer  ha  la  fortuna  di  possedere  tutte  le  qualità  sopradette. 
L'essersi  egli  occupato  assai  presto  della  canzone  popolare  ha  pro- 
mosso lo  sviluppo  delle  sue  naturali  disposizioni,  e  il  suo  approfon- 
dirsi con  amore  nella  pura  arte  di  verità  dei  suoi  grandi  predecessori 
Lòwe  e  Plùddemanu,  ha  inoltre  educato  in  lui  il  senso  della  pura  e 
sana  arte  armonica  e  della  concisa  omofonia. 

Per  lo  stile  popolare,  che  la  melodìa  deve  avere  nelle  ballate,  nulla 
è  pericoloso  quanto  il  tremolante  tessuto  a  filigrana  di  una  polifonia 
inspirata  a  delicati  sentimenti,  e  quanto  una  emancipazione  del  det- 
taglio concepito  soggettivamente,  la  quale  è  bensì  finemente  artistica 
ed  interessante,  ma  nuoce  all'insieme  dell'azione  oggettiva.  È  per 
questo  motivo  che  noi  troviamo  cosi  raramente  il  lirico  musicale  e 
il  poeta  epico  fusi  insieme  felicemente  in  uno  stesso  individuo.  Ed 
in  Sommer  l'oggettivarsi  della  volontà  a  favore  dello  stile  si  può 
appunto  spiegare  unicamente  con  un'eroica  abnegazione  da  parte  sua; 
infatti  in  molte  delle  sue  romanze  ed  in  talune  scene  delle  sue  opere 
drammatiche  (€  Loreley  »,  «  Saint  Foix  »,  <  L'uomo  del  mare  ») 
l'impressione  dell'immediato  e  dell'originale  viene  sgradevolmente 
turbata  da  arbitrii  sc^gettivi,  e  da  capricciose  sottigliezze  del  pen- 
siero melodico,  che  spesso  è  affatto  insignificante,  fino  a  non  esser  più 
che  un  fi-eddo  mosaico  musicale.  Ma  nelle  ballate  di  Sommer  non 
&  mai  difetto  la  melodia  dai  grandi  tratti,  sana  e  popolare,  i  cui 
pesanti  contomi  fondamentali  rimangono  inalterati,  malgrado  tutte 
le  finezze  ed  i  ritocchi  della  pittura  musicale.  Fra  le  più  belle  bal- 
late di  questo  fecondo  maestro  io  menzionerò  il  <  Viandante  not- 
turno »,  tratteggiato  in  uno  stile  scultorio  di  semplicità  grandiosa, 
e  le  «  Armonie  del  deserto  »,  di  Carmen  Sylva;  in  quest'ultima  bal- 
lata, che  è  una  delle  più  pregevoli  che  si  siano  scritte  in  Germania, 
troviamo  una  potenza  di  fantasia  che  rapisce,  ed  una  vivacità  di  colori 
tutta  meridionale.  Lo  stile  di  questa  grandiosa  poesia  musicale  rivela 
la  mano  sicuramente  plasmatrice  del  maestro,  che  già  nell'opera  8 


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646  ARTB  CONTEMPORANEA 

aveva  dato  prova  del  sno  valore.  Poiché  solo  un  maestro  poteva  con 
pochi  motivi  sommamente  plastici  creare  un  vero  caleidoscopio  di 
scene  e  di  avvenimenti  psichici,  che  avesse  unità  e  continuità  orga- 
nica di  forma.  Fra  le  migliori  ballate  di  Sommer,  che  già  comin- 
ciano ad  introdursi  nelle  sale  di  concerto,  sono  ancora  da  annoverarsi 
«  Il  bandito  »,  «  Il  fratello  del  brigante  »,  «  La  canzone  di  Schill  », 
B  la  romanza  «  Odysseus  »  di  Dahn,  che  si  ode  cosi  spesso  a  cantare. 
«  La  strega  Ambra  »  e  «  Edward  Gray  »  non  sono  più  da  annove- 
rare fra  le  migliori,  perchè  in  esse  l'autore  fa  alcune  concessioni  a 
certi  istinti  del  pubblico. 

Hans  Sommer,  oltreché  nella  ballata,  è  sovrano  nel  dare  un'ac- 
concia espressione  musicale  al  più  fine  umorismo,  allo  spirito  gaio, 
alla  solennità,  alla  meditazione,  ed  al  sentimento  nazionale  conside- 
rato nella  sua  espressione  puramente  lirica. 

Le  sue  canzoni  popolari:  «  Se  tu  non  fossi  suonatore  »,  «  Il  com- 
pagno grigio  »,  «  Tre  verginelle  »,  sono  risplendenti  di  verità,  veri 
capolavori  d'intaglio  musicale  in  stile  Dùrer.  Meno  agevole  è  per  il 
nostro  musico-poeta  Tespressione  del  tripudio  ditirambico,  dell'ele- 
mento erotico  sentimentale,  delle  melanconiche  aspirazioni,  e  della 
grandiosità  scultoria  dell'inno  inspirato  alla  natura,  che  ha  fatto  scri- 
vere a  Schubert  e  Beethoven  fra  i  vecchi  lirici,  ed  a  Biccardo  Strauss 
e  Ugo  Wolf  fra  i  moderni,  le  loro  pagine  più  commoventi. 

Farò  qui  un'enumerazione  delle  opere  più  importanti  di  Sommer 
per  ordine  cronologico.  Abbiamo  i  cicli  lirico-epici,  dal  titolo  «  Con- 
jsoni  per  le  fanciulle  »,  tratti  da  poesie  di  Oiulio  Wolff:  «  Il  cac- 
ciatore silvestre»,  «  Hunold  Singuf  »,  e  le  note  33  canzoni  (op.  4); 
8  romanze  tratte  da  Wolf;  «  Tannhàuser  »  (op.  5)  ;  i  «  Canti  di 
Saffo  »  di  Carmen  Sylva  (op.  6)  ;  le  «  Ballate  e  romanze  »  (op.  8  e  11); 
«  9  canzoni  »  di  Eichendorff  (op.  9),  e  il  ciclo  garbatamente  Italia- 
neggiante:  «  Dal  Mezzogiorno  »  (op.  10).  Per  quanto  la  musa  di 
Sommer  abbia  trovato  nel  cantante  Eugenio  Gura  un  prezioso  coa- 
diutore, tuttavia  l'interesse  della  parte  c61ta  del  pubblico  tedesco  per 
il  cantore  di  queste  ballate  dal  genuino  carattere  tedesco  è  ben  lungi 
dall'avere  profonde  radici.  Perchè  la  musa  di  Sommer  trovi  focile 
accesso  nei  cuori  tedeschi  è  necessario  che  rinomati  artisti  di  canto 
le  porgano  costante  e  valido  aiuto.  E  sovente  questo  aiuto  fa  difetto. 
Naturalmente  ai  matador  da  concerto  torna  più  comodo   cantare  a 


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LA  NUOTA  ROMANZA  647 

squarciagola  Hildach  e  Meyer,  che  non  esercitare  un'influenza  educa- 
trice sul  pubblico  mediante  la  disinteressata  propaganda  in  ftyore 
di  un'arte  più  seria  e  perciò  più  nazionale  nel  senso  migliore  della 
parola. 

Lo  scopo  che  mi  sono  prefisso  nell'accingermi  a  questa  trattazione 
più  estetica  che  critica  mi  vieta  di  fare  un  apprezzamento  anche 
solo  approssimativo  di  tutti  i  rimanenti  membri  di  questo  €  Gruppo 
dei  talenti  ».  Perciò  devo  limitarmi  a  schizzare  in  fretta  ed  in  poche 
righe  ancora  alcuni  profili,  a  fare  ancora  alcuni  nomi. 

Felice  Weingartner^  rinomato  come  direttore  delle  opere  di  Wagner, 
non  ha  maggior  talento  come  lirico  che  come  autore  di  drammi  mu- 
sicali. Anche  nelle  sue  numerose  romanze  e  canzoni,  fra  cui  io  mi 
limiterò  a  menzionare  le  <  Tre  poesie  di  Gamerling  »  (op.  17),  le 
<  Otto  poesie  di  Lenau  »  (op.  16),  r«  Harold  »,  serie  di  nove  canti 
(op.  11)  a  le  €  Otto  canzoni  di  Uhland  »  (op.  15),  egli  sostituisce  alla 
potenza  persuasiva  di  una  melodica  originale  la  rouUne  dell'eclettico 
esperto,  alla  passione  spontanea  ed  impetuosa  la  riflessione  e  gli  ar- 
tifizi armonici.  La  melodia  del  canto  è  per  lui  la  cosa  essenziale.  ' 
C!iò  è  lodevole  quando  egli  ha  veramente  qualcosa  da  cantare  e  da 
dire;  ma  produce  effetti  anti-estetici  quando,  invece  della  melodia 
che  liberamente  sgorga  dal  più  profondo  del  cuore,  troviamo  passioni 
studiate  e  ricerca  di  popolarità,  quando  nell'arte  l'intuizione  creatrice 
è  sostituita  dal  calcolo  premeditato  e  dalla  pura  intelligenza.  Per 
contro  Weingartner  ha  trovate  veramente  felici  nel  campo  della  pit- 
tura musicale.  Come  nella  sua  opera  «  Malawika  »  egli  vuole  fare 
sentire  con  la  musica  a  chi  ascolta  il  profumo  dell'albero  asohi^  così 
nelle  sue  liriche  egli  descrive  minuziosamente  concetti  come  quelli 
di  <  vetro  fragile  »  e  di  <  lamento  soffocato  »,  sollevando  l'indigna- 
zione di  tutti  i  critici  ostruzionisti ,  che  tornano  ad  intonare  con 
enfasi  le  solite  lamentazioni  ed  imprecazioni  intomo  alla  €  emancipa- 
zione dal  dettaglio  ».  In  Felice  Weingartner  è  impersonata  la  €  mi- 
stificazione di  Wagner  ».  Egli  volle  a  bello  studio  darsi  un'aria 
moderna,  mentre  la  sua  natura  gli  additava  vie  affatto  diverse,  le 
vie  già  percorse  da  Mendelssohn  e  da  Schumann.  E  questa  sua  in- 
tenzione traspare  disgraziatamente  anche  nelle  sue  produzioni  liriche. 

Come  compositore  di  romanze,  Eugenio  d^ Alberi  ci  appare  meno 
pretensioso.  Il  geniale  titano  del  pianoforte  a  coda  si  rivela  pianista 

RiwUta  mutieaU  italiana.  Vili.  4S 


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648  AlLTS  COZ>rrEMPOaANEA 

anche  nella  lirica.  Nella  storia  della  manca  si  conosce  un  solo  caso, 
in  cai  FinarrìTabile  è  stato  raggiante,  in  cai  cioè  on  grande  pianista 
fa  nello  stesso  tempo  on  grande  lirico;  ed  è  il  caso  di  Franz  LìszL 
La  musa  di  Engenio  d'Albert  segae  le  orme  di  Schamann;  solo  li 
declamazione  è  migliore,  e  Tabbellimento  pianistico  è  pia  moderno. 
D'Albert,  una  Tolta  scelto  il  motiyo  per  il  pianoforte,  ama  mante- 
nerlo logicamente  fino  alla  fine  ;  donde  spesso  nasce  ana  incongmenia 
masicale  rispetto  al  senso  delie  parole.  Nel  genere  borlesco,  come 
pare  in  qaello  delicato  e  grazioso,  egli  ha  spesso  troTate  assai  buone. 

Le  produzioni  dei  lirici  moderni  ThniUe  ed  Hermmm  Bi9ckoff 
di  Monaco  riTelano  Tinflaenza  diretta  di  Biccardo  Straoss.  Essi  sono 
Tori  artisti  della  decadenza,  privi  di  ona  fisionomia  artistica  loro 
propria,  ma  in  possesso  di  ana  tecnica  raffinata. 

In  CHmeppe  Schmid  di  Monaco  e  nel  giovane  Siegnumd  v.  Hau- 
segger  di  Graz  noi  abbiamo  due  astri  sorgenti,  ma  non  ancora  risplen- 
denti di  tutta  la  loro  luce.  Ha  un  profilo  spiccato  e  sao  proprio 
Ferdinando  PfoJU,  d'Amburgo,  arguto  critico  musicale  ed  autore  di 
romanze.  Fra  l'altro  egli  ha  scritto  le  interessantissime  <  Canzoni 
delle  Sirene  »,  e  le  €  Bende  al  chiaro  di  luna  »  (dal  €  Pierrot  Lu- 
naire  >  di  Albert  Qiraud),  quadri  bizzarri  pieni  di  fimtasie  spettrali, 
in  cui  rautoie  fa  uso  di  un  linguaggio  a  bella  posta  perrertito. 

Oli  ultimi  tre  lirici,  di  cui  io  voglio  ancora  parlare,  se  ne  stanno 
assolutamente  soli  ed  in  disparte.  Tutti  e  tre  seguono  vie  nuove  per 
giungere  all'anima,  ed  il  loro  stile  ha  un'impronta  originale;  cosicché 
essi  vengono  a  trovarsi  al  difuori  del  ciclo  evolutivo  deir«  orìgine 
delle  specie  >  musicale,  essendo  dal  più  al  meno  tutti  e  tre  privi 
di  €  collaterali  ».  Ed  anche  tra  loro  essi  non  hanno  altro  carattere 
comune,  se  non  appunto  la  loro  posizione  isolata. 

Pietro  Gast  è  lo  pseudonimo  di  quel  pregevole  compositore,  che 
Federico  Nietzsche  sosteneva  <  essere  l'unico  musico  ancora  in  grado 
di  scrivere  una  buona  onceriwre  ».  Tutti  sanno  che  il  giudizio  del 
grande  poeta-filosofo  in  questioni  musicali,  per  quanto  arguto  e  scevro 
da  ogni  servilismo  verso  i  grandi  uomini  della  giornata,  porta  una 
forte  impronta  personale,  specialmente  nel  <  Morbo  wagneriano  », 
e  non  può  quindi  avere  un  valore  generale. 

Ma  tuttavia  nell'apprezzamento  ch'egli  fa  di  Pietro  Qast  —  lo 
sconosciuto  —  considerato  come  lirico,  egli  non  è  andato  tanto  laagi 


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L4  NUOTA  HOMANZA  649 

dal  Tero.  Ecco  qaanto  8cri?e  Nietzsche  alla  ftne  del  capitolo  X  di 
una  delle  sue  opere  contro  Wagner  (s'intende  come  musico,  e  non 
come  uomo)  (1):  €  Ciò  che  noi  Aleianii  troviamo  mancare  in  Wagner 
è:  La  gaia  seienaay  il  piede  l^giero;  il  brio,  il  fuoco,  la  grazia; 
la  logica  più  elementare;  la  danza  delle  stelle;  le  audacie  dello 
spirito;  i  fremiti  luminosi  del  Mezzogiorno;  la  levigata  perfezione 
del  mare  ».  —  Ora  io  credo  che  oltre  a  me  anche  alcuni  altri  fra 
i  pochi,  che  conoscono  le  liriche  di  Oast,  avranno  certo  trovato  nelle 
sue  25  fra  romanze  e  canzoni  finora  pubblicate  tutte  queste  qualità, 
che  a  torto  Nietzsche  afferma  mancare  in  Wagner.  Ed  ancora  qual- 
cos'altro: uno  schietto  panteismo  espresso  in  suoni  frementi  ed  im* 
petuosi,  una  gioia  dionisiaca  di  esistere,  un  culto  appassionato  del 
sole,  e  sopratutto  —  cosa  che  colpisce  in  pieno  viso  tutti  gli  artisti 
nevrotici,  i  lirici  sveneyolmente  erotici  ed  i  €  moderni  »  decadenti 
—  una  naturalezza  non  comune  deirespressione,  una  esuberanza  di 
fulgide  melodie  profuse  con  larghezza  regale.  Una  vigorosa  sanità  è 
la  caratteristica  più  saliente  di  questa  musica.  Supposto  che  si  possa 
trovare  un  cantore  che  possieda  in  alto  grado  tutte  le  qualità  mu- 
sicali e  tecniche,  e  la  sensibilità  artistica  indispensabile  per  cantare 
la  <  Morte  beata  »,  la  €  Gioia  della  vita  »  e  la  €  Ganaone  del  cac- 
«ciatore  d'uccelli  »  di  Pietro  Oast  (Op.  6,  Lipsia,  Hofmeister),  ogni 
uomo,  che  senta  profondamente  Topera  d'arte,  nell'ascoltarlo  proverà 
per  qualche  istante  il  sentimento  della  liberazione,  della  redenzione, 
e  si  sentirà  deliziosamente  trasportato  al  disopra  del  tempo,  dello 
spazio,  e  degli  affanni  e  delle  cure  terrene. 

Ora  solo  una  grande,  una  pura  opera  d'arte  può  avere  questo  so- 
vrumano potere.  Ci  sarà  dato  di  udire  un  giorno  un  tenore  favorito 
dalla  natura  a  cantare  con  voce  poderosa  e  giubilante,  e  con  piene 
note  di  petto,  quella  melodia  in  la^  magg.:  €  Sei  gesegnet^  Eaueh 
dcr  LufUl  »  (Sii  benedetto,  alito  dell'aria!),  con  quel  si  ^  àlto^  che 
ne  è  come  il  culmine  radioso?  Si  direbbe  che  lo  stesso  Zarathustra 
abbia  ispirato  questa  musica,  tanto  sovrumano  è  in  essa  l' impeto 
gioioso  e  trionfale. 


(1)  «  n  caso  Wagner.  Un  problema  pei  musicisti  t.  —  <  Nietzsche  contro 
Wagner  ». 


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^0  ARTI  GONTKMPORANBÀ 

Come  melodista,  Pietro  Gast  non  può  essere  paragonato  a  nessuno 
dei  poeti  della  nuova  romanza,  né  a  Liszt,  né  a  R.  Strauss,  né  ad 
Ugo  Wolf.  Egli  ha  un'impronta  tutta  sua  propria;  é  un  Alcionio^ 
il  cui  volo,  ahimé!  a  pochi  é  dato  seguire:  un  solitario!  Fra  i  con- 
certisti di  professione,  che  così  volentieri  si  attribuiscono  il  vanto  dì 
dischiudere  nuove  vie  al  progresso  musicale,  chi  conosce  Pietro  Gtast? 
E  chi,  pur  conoscendolo,  canta  le  sue  melodie  dionisiache?  Pur  troppo 
esse  danno  poco  profitto  materiale,  ed  esigono  dall'artista  di  canto, 
che  voglia  in  pubblico  cimentarsi  con  esse,  l'impiego  di  tutta  la  sua 
potenzialità,  l'emissione  piena  e  senza  riguardi  della  sua  voce,  e  Ten* 
tusiasmo  più  illimitato  e  sincero.  E  tutto  questo  difiBcilmente  si  può 
trovare  nei  nostri  artisti  «  di  cartello  »  che  danno  concerti  in  firack 
ed  in  veste  di  seta,  prendendo  pose  eleganti  e  studiate  ;  tutto  al  più 
si  può  fare  un'eccezione  per  il  vecchio  Gura,  per  il  giovane  WùUner,  e 
per  Heriha  Riiter^\^  valorosa  figlia  di  Alessandro  Bitter.  Ad  ogni  modo 
se  qualcun  altro  volesse  arrischiarsi  ad  aprire  un  varco  a  Pietro  Gast 
nei  cuori  del  pubblico,  io  lo  consiglierei  di  incominciare,  se  é  una 
donna,  con  la  <  Morte  beata  »  e  con  la  «  Canzone  del  cacciatore  di 
uccelli  »,  e  se  é  un  uomo,  con  <  Arabesco  »,  con  «  Felicità  arcana  >y 
e,  volendo  riportare  subito  un  trionfo,  con  <  Gioia  della  vita  ». 

Molto  si  é  già  detto  intomo  ad  Ugo  Wolf,  questo  artista  geniale 
e  sventurato,  che  ora  purtroppo  é  per  sempre  immerso  nella  demenza. 
Egli  ha  suscitato  l'ammirazione,  l'invìdia,  la  malignità,  il  disprezzo 
degli  imbecilli  e  il  culto  idolatra  dei  fanatici.  Ma  chiunque  possieda 
una  fine  organizzazione  artistica,  esaminando  più  da  vicino  le  can- 
zoni di  Mdricke,  di  Goethe  e  di  Eichendorff,  musicate  da  Wolf  — 
questo  artista  dall'esuberante  energia  creatrice  ne  ha  composto  com- 
plessivamente oltre  a  120  —,  non  può  che  rimanere  compreso  da 
una  sconfinata  ammirazione  per  questa  potente,  originale  e  sana  per- 
sonalità artistica.  Per  me  Ugo  Wvlf  è  Tunica  genio  sarto  dopo  Frans 
Schuòert.  In&ttì,  per  fecondità  e  facilità  del  creare,  e  per  ricchezza 
di  melodie  Wolf  può  con  ragione  essere  paragonato  al  re  deUa  ro- 
manza. Anzi  egli  lo  supera  nella  molteplice  varietà  dell'espressione 
e  degli  stati  d'animo,  nella  profondità  della  caratteristica,  nella 
verità  della  declamazione,  e  sopratutto  nell'  arguta  intuizione  della 
parola  del  poeta,  nell'amoroso  rispetto  ch'egli  ha  per  quest'ultima,  e 
infine,  se  si  vuole,  anche  nell'estetica  letteraria.  A  questo  riguardo 


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LA  NUOTA  ROMANZA  651 

è  caratteristico  un  aneddoto,  che  mette  bene  in  luce  la  tempra  ar- 
tìstica di  Wolf,  armonica  ed  educata  in  modo  perfetto: 

jLfmtutto  egli  leggeva  la  poesia  nel  più  puro  éUàleUo  Siiriano^ 
ma  con  tanta  profondità  di  sentimento^  che  solo  agli  sciocchi  la 
cosa  avrebbe  potuto  sembrare  comica.  Dopo  aver  letto  la  poesia  di 
M(hricke:  <  Io  entro  in  una  ridente  cittaduzza  »,  egU  si  volgeva  a 
noi  dicendo:  €  Non  vi  pare  che  questa  poesia  sia  cantabile?  ».  Ed 
aUara  cominciava  a  cantare. 

Dunque  egli  prima  di  tutto  pensava  a  penetrare  le  più  intime 
intenzioni  delle  parole  del  poeta,  e  poi  cercala  i  suoni  nei  quali  si 
riflettesse  come  in  uno  specchio  lo  stato  d'animo  del  poeta  ed  il  con* 
tenuto  recondito  inesprimibile,  metafisico  della  poesia,  realizzando 
cosi  la  più  intima  fusione  della  forma  poetica  e  di  quella  musicale 
nella  loro  più  schietta  espressione.  Ed  è  appunto  questa  la  via  che 
dey'essere  seguita  dall'artista  moderno  nel  senso  migliore  della  pa- 
rola. La  versatilità  di  Wolf  è  sorprendente,  e,  ad  eccezione  di  Ric- 
cardo Wagner,  non  se  n'ha  altro  esempio. 

La  canzone  inspirata  alla  natura,  nello  stile  d'Anacreonte  e  di 
Watteau,  la  ballata  epica  e  tragica,  il  couplet  dal  fine  umorismo, 
il  canto  religioso,  l'inno  d'amore,  la  satira  musicale,  la  semplice 
canzone  a  ritornello:  la  gaia  spensieratezza,  la  gioia  innocente,  la 
gp-azia,  il  misticismo,  il  culto  di  Dioniso,  la  leggiadrìa,  la  sotti- 
gliezza, ed  il  sentimento  erotico:  tutte  le  forme,  tutti  gli  atteggia- 
menti della  natura,  tutti  i  sentimenti  dell'anima  trovano  la  loro  più 
sicura  e  vera  espressione  nella  musica  di  questo  Proteo  geniale.  Da 
quanto  ho  detto  sopra  s'intende  facilmente  come  i  suoi  canti  portino 
una  spiccata  impronta  caratteristica,  tanto  nella  parte  del  canto 
quanto  in  quella  del  pianoforte,  e  siano  ammirabili  per  la  verità  e 
la  giustezza  della  declamazione.  A  questo  riguardo  sono  inarrivabili 
il  €  Cavaliere  del  fuoco  »,  il  €  Prometeo  »,  che  non  fu  ancora  can- 
tato da  nessuno,  il  <  Canto  di  Weyla  »,  come  pure  €  All'amata  », 
«  Addio  »,  e  €  La  tomba  di  Anacreonte  »  —  per  nominare  solo 
alcune  fra  le  migliori  delle  sue  numerose  produzioni  musicali. 

A  Wolf  è  stata  spesso  rimproverata,  anche  da  parte  di  intenditori, 
l'emancipazione  e  l'opprimente  polifonia  della  parte  del  pianoforte. 
Nella  maggior  parte  dei  casi  questo  rimprovero  è  ingiusto.  Io  non 
nego  che  la  sovrabbondanza  degli  ornamenti  pianistici,  ad  es.  nella 


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662  AETI  GONTBMPORAlfXÀ 

romanza  €  Peregrinando  >,  poesa  sembrare  priva  dì  seopo;  ma  altrove 
la  pittura  musicale  del  pianoforte  generalmente  appare  conforme  ad 
UDO  scopo  ed  indispensabile  per  intensificare  respressione  e  rendere 
più  manifesto  lo  etato  d'animo  del  poeta. 

Io  ho  già  sentito  a  cantare  molte  composizioni  di  Wolf  e  di  pre- 
ferenza quelle  fra  le  sue  romanze  che  sono  più  generalmente  gostate. 
Ho  udito  parecchie  volte  r<  Oscurità  >,  Te  Incontro  »,  la  «  Tomba 
di  Anacreonte  >,  il  patriottico  <  Biterolf  »,  il  burlesco  €  Messaggio 
delle  cicogne  »,  e  la  leggiadra  €  Canzone  d^li  Elfi  »;  meno  Bp&sso 
la  €  Preghiera  »,  il  <  canto  di  Weyla  »,  le  <  Canzoni  cofte  »  e  le 
€  Canzoni  di  Suleika  »,  non  mai  però  i  canti  €  Ad  un  elleboro  »  I  e  II* 
le  dne  €  Peregrina  »,  i  €  Confini  dell'umanità  »,  e  <  Sanyn^ed  », 
che  sono  pieni  di  una  mistica  profondità  di  pensiero,  e  risplendenti 
di  pure  bellezze  musicali,  e  che  naturalmente  presentano  sotto  tutti 
gli  aspetti  difficoltà  non  comuni.  E  nessuno  fira  gli  artisti  di  canto, 
che  vollero  attingere  a  queste  fonti  ancora  inesplorate,  si  è  ancora 
arrischiato  a  cimentarsi  con  queste  difficoltà.  A  me  sembra  però  che 
Ludwig  TVtUlner  possieda  le  doti  necessarie  per  cantare  queste  ro- 
manze. In  nessun'altra  produzione  egli  potrebbe  come  in  queste  pe- 
netrare €  sulle  vie  dell'anima  »  i  segreti  che  un  genio  ha  scoperto 
nei  suoi  momenti  più  felici. 

Dirò  solo  di  passata,  che  nelle  due  «  Peregrina  »  e  nei  canti  €  Ad 
un  elleboro  »  s'annidano  i  germi  di  procedimenti  armonici  afiiatto 
nuovi,  intomo  a  cui  avranno  da  stillarsi  il  cervello  i  filologi  musi- 
cali dell'avvenire. 

Oiorgio  StoUenberg^  che  da  poco  tempo  io  conosco,  è  il  primo 
esempio  a  me  noto  dell'armonica  integrazione  ed  unione  del  lirico 
poetico  creatore  e  del  lirico  musicale,  ambedue  aventi  un  colorito 
decisamente  moderno  ed  una  certa  tendenza  al  naturalismo.  Stolzen- 
berg  è  il  più  maturo  discepolo  di  Amo  Holz.  Egli  ha  scrìtto  una 
raccolta  di  romanze  originalissime,  dal  titolo  €  Nuovi  poeti  in  mu- 
sica »,  che  sono  senza  esempio  per  il  loro  carattere  d'assoluta  novità, 
ma  purtroppo  non  hanno  ancora  trovato  un  editore.  Ho  dinanzi  agli 
occhi  un  buon  numero  di  queste  romanze  manoscritte,  tratte  dal 
«  Phantasus  »  di  Holz.  Traspare  da  esse  una  personalità  artistica 
in  formazione,  le  cui  doti  eminenti  si  rivelano  nella  caratteristica 
finezza  della  pittura  musicale,  nel  sentimento  che  scaturisce  diretta- 


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LA  NUOTA  ROMANZA  663 

mente  dallo  spirito  delle  parole,  nella  dedamazione  piena  di  dram- 
matica efficacia.  Stolzenberg  è  nna  duplice  personalità  artistica,  è 
mugico-kiterato;  e  lo  dimostra  la  scelta  e  la  trattazione  delle  poesie 
liriche  dei  poeti  nuovi  e  dei  poeti  musicali,  ch'ali  traduce  in  suoni, 
lo  dimostra  la  metrica  naturale,  ohe  s'emancipa  dalla  rima  e  da  ogni 
serrilismo  metrico,  della  quale  egli  si  serve  nel  suo  libro  di  poesie  : 
«  Vita  nuova  >  I  e  IL  La  metrica  naturale  non  ha  bisogno  di  rime  : 
essa  s'eleva  con  rapido  volo  nell'etere,  sulle  ali  leggere  della  musica 
ìnsita  nelle  parole. 

La  prima  serie  delle  opere  complete  di  Stolzenberg,  dal  titolo 
€  Nuovi  poeti  in  musica  »,  forma  all'  incirca  un  volume;  le  poesie 
sono  tratto  da  Holz,  da  Mombert,  da  Dehmel,  da  Yiktor,  da  Paul 
Yerlaine  e  da  Giovanni  Schlaf.  Per  me  non  avrei  mai  creduto  che 
si  potesse  trovare  un'espressione  musicale  per  le  liriche  di  Holz,  con- 
cise, dense  di  pensiero,  prive  di  verbi,  e  quasi  a  scatti  —  tanto  che 
i  maligni  per  dileggio  chiamano  il  suo  stile  <  lirico-tolegrafico  »  ; 
ma  Stolzenberg  mi  ha  dimostrato  tale  possibilità.  Nella  sua  romanza: 
<  EUa  incedeva  eretta  fra  gli  àlberi  fioriti  »  domina  un  fine  umo- 
rismo e  si  rivela  la  mano  dell'artista;  e  nelle  due  romanze:  <  Draussen 
die  Lane  >  ed  <  Jdb  kabe  mein  Leid  »  io  trovo  una  delineazione 
drammatica  a  grandi  tratti,  e  un'assoluta  emancipazione  dal  dettaglio. 
Qiorgio  Stolzenberg  è  il  più  radicale  fra  i  lirici  poetici  e  musicali 
fautori  del  naturalismo,  e  &rà  ancora  parlare  molto  di  sé;  giacché 
la  sua  tecnica  naturalistica  trova  potenti  ausiliarii  nella  sua  fimtasia 
piena  d'efficacia  melodica,  nella  sua  forza  creatrice,  e  nel  suo  umo- 
rismo aureo  e  sgorgante  dal  più  profondo  dell'anima. 

Non  posso  trattenermi  dal  riportare  qui  a  modo  di  chiusa  un  saggio 
dello  stile  del  poeta  Stolzenberg,  che  per  il  suo  contenuto  ci  sembra 
&re  al  caso  nostro.  Possa  un  editore  dalle  lunghe  veduto  aver  cura 
che  lo  stile  nuovo  del  musico  Stolzenberg  non  rimanga  più  a  lungo 
sconosciuto  ! 


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654  ARTI  GONTKMPORANKA 

^  finge  i^nen  meine  Sieber  bor, 
ben  ^erjen  t)on  ®tein. 

Sud  bem  ftlaoier 
Z^dnen. 

SReine  tieffte  @ee(e 

3d^  brel^  mid^  ntd^t  um. 

34  metg: 
l^inter  mtr  l^octen  ®5|en. 

3§re  Ot)olaugen 

ttSumen  mid^  on. 

3dJ  fpiele  parfer. 
Sie  mflffen! 

ipU|(t4 

iu  il^ren  pgen 

ein  roted,  }u(Ienbed  3)ing  .  .  . 

34  (tt^Ie  —  berlegen.  (1) 

Sì,  dietro  a  noi  ci  sono  degli  idoli.  —  Ma  noi  tuoniamo  più  forte  —  ed  easi 
cederanno. 

Per  tal  modo  io  ho  terminato  di  parlare  di  coloro  che  hanno  por- 
tato e  continuano  a  portare  del  materiale  per  il  mirabile  edifizio  della 
€  nuova  romanza  »,  ancora  incompiuto.  Chi  sarà  il  nuovo  Wagner 
della  romanza,  che  coronerà  questo  edifizio  con  una  cupola  radiosa 
come  il  sole? 

Ed  ora  occorre  che  io  dica  ancor  molto  intorno  ai  cantari  più  va- 
lenti della  nuova  romanza?  intorno  a  coloro  che  hanno  il  compito 


(1)  Eccone  la  tradazione  letterale: 

Io  canto  a  loro  le  mie  canzoni  —  ai  cuori  di  pietra. 

Dal  pianoforte  —  la^me.  —  L'anima  mia  dai  più  profondo  —  singhiozza. 
—  Io  non  mi  volgo  indietro.  —  Io  so:  —  Dietro  a  me  sono  accosciati  idoli.  — 
I  loro  occhi  d*opale  —  mi  affascinano.  —  Io  suono  più  forte.  —  Essi  devono 
(cedere) I  —  Io  grido!  —  D'improvviso  —  ai  loro  piedi  —  una  cosa  rossa,  pal- 
pitante ...  —  Io  sorrìdo  —  inquieto. 


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LA  NUOTA  aOJCAMZA  655 

nobile  di  formare  e  di  educare  il  gusto  del  pubblico,  facendosi  in- 
termediarii  fra  esso  e  gli  apostoli  dell'arte  nuova?  In  tal  caso,  io 
dovrei  pur  troppo  toccare  un  tasto  assai  doloroso:  dovrei  parlare 
molto  deirindolenza,  della  tardità  intellettuale  dei  più  fra  questi  ar- 
tisti di  canto,  dei  loro  gusti  retrivi,  del  loro  orrore  per  la  novità. 
Tuttavia  è  innegabile  che  in  essi  è  già  incominciato  un  salutare  ri- 
sveglio. —  Ma  su  dodici  cantanti  da  concerto,  con  o  senza  €  nomea  », 
dieci  crederebbero  tuttora  di  &r  cosa  pericolosa  e  contraria  alla  tra- 
dizione, e  d'essere  tacciati  d'eresia,  se  i  quattro  quinti  del  loro  pro- 
gramma non  fossero  invariabilmente  occupati  dalla  trìade  dei  lirici 
tedeschi  patentati  :  Schubert  -  Schumann  -  Brahms.  «  /{  buono  si  fa 
strada  dasè  *.  €  Noi  ci  guarderemo  bene  dai  mettere  a  repentaglio 
la  nostra  rinomanza  per  un  artista  sconosciuto  »  :  ecco  le  parole 
che  s'odono  così  spesso  a  pronunciare  dalla  maggior  parte  di  questi 
reazionari  e  vigliacchi  dell'arte.  Ma  il  pubblico,  questo  mostro  dalle 
mille  teste,  ordinariamente  è  molto  restio  alle  fatiche  mentali,  e  se 
non  viene  qualcuno  a  scuoterlo  energicamente,  non  si  desta  dal  suo 
usato  letargo,  e  sonnecchia  cullato  dalle  solite  scipitaggini  musicali 
e  dai  soliti  pezzi  di  bravura  dei  famosi  acrobati  della  laringe,  sullo 
stampo  di  Marcella  Pregi,  di  Marcella  Sembrich,  di  Wedekind,  e  chi  più 
n'ha  più  ne  metta.  —  Ma  all'aurora  terrà  dietro  luminoso  il  giorno. 
—  E  —  per  quanto  tardi  —  verrà  tuttavia  un  tempo,  in  cui  le  me- 
lodie nuove  di  un  Alessandro  Bitter,  di  un  Riccardo  Strauss,  di  un 
Pietro  Gast  e  di  un  Ugo  Wolf  non  si  troveranno  più  soltanto  nei 
programmi  dei  radicali,  del  partito  progressista  musicale. 

Prima  di  terminare  menzionerò  alcuni  di  questi  valorosi  radicali^ 
che  vanno  esplorando  i  nuovi  campi  dell'arte.  Tali  sono:  Ludovico 
Wuttner  ed  Eugenio  Oura,  Sofia  Sckróter,  Olga  Vandero,  Ernesto 
Ottone  Nodnagel,  Hertha  Bitter^  Clementina  Schònfield,  Carlotta 
Huhn,  ed  in  parte  anche  Antonio  Sistermans  ed  Hans  Oiessen, 
tenore  dresdano.  A  tutti  questi  animosi  convien  rendere  pubbliche 
grazie  in  nome  dell'arte. 

Monaco,  1900. 

Guglielmo  Màuee. 


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•  L'AMOUR  DU  POÈTE  ,  DE  SCHUMANN-HEINE  ») 


Essai  orltique. 


O. 


^n  s*accorde  en  general  à  trouver  qu'aa  sìècie  hors  dnquel 
nons  venoDS  à  peine  de  glìsser  Fincessaiite  progressìon  des  connais- 
sances  humaines  a  faìt  éclore  maint  prodigo  dans  le  monde  des 
Sciences.  On  s'avise  plus  rarement  de  Tétonnante  contribntion  qu'elle 
a  apportée  ani  Lettres  et  anx  Arts,  en  multipliant  les  découvertes 
historiques,  les  recherches  philosophiqnes  et  critiqnes,  promptement 
diffasées  par  le  livre,  le  journal,  le  théfttre;  en  augmentant  ainsi  les 
occasions  de  raisonnement,  les  exercices  dialectiqnes:  en  un  mot,  la 
culture  intellectuelle. 

Qr&ce  à  Teitension  de  cette  culture,  grftce  à  la  facilité  avec  la- 
quelle  ses  richesses  circulent,  les  artistes  des  diverses  catégories^ 
poètes,  musiciens,  plasticiens,  explorent  de  plus  en  plus  leurs  do- 
maines  réciproques;  ils  élèvent  le  niveau  de  leur  idéologie,  ils  for- 
tifient  leurs  concepts  et  en  élargissent  Tamplitude. 

A  peine  émanóe  du  centre  des  Vérités  Primordiales,  à  peine  ébau- 
chée  par  un  premier  cerveau,  à  peine  éclose  à  la  vie  du  siècle,  Tldée 
▼ole  et  s'effuse,  elle  est  nppréhendée  par  de  nouyeaui  créateurs  qui 
se  Tapproprìent,  la  transforment,  Télargissent,  lui  iropriment  une 
vigueur  nouvelle:  ainsi  se  font  de  perpétuels  échanges,  de  perpétuels 
éveils. 


(1)  Titre  d*nDe  tradaction  de  Dichierliebe  faite  par  Tantear  de  oet  article  et 
chantée  pour  la  première  fois  par  M»«  Jane  Arger  à  la  Bodinière  le  21  Jain  1900. 
Actaellement  sous  presse  chez  Téditear  Gninzard. 


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€  L*AMOUR  DU   POÈTI  >  DE  8CHUMANN-HEINE  657 

Farmi  les  générateors  d'idées,  le  poète  est  pent-étre  celai  qui  fait 
les  plus  vastes  semailles,  gràce  à  la  précision  de  son  outil  d'expres- 
8Ìod:  le  langage.  Tona  les  poètea  ne  sont  paa  ancore  aptea  à  a^exalter 
—  sìncèrement  da  moina  —  en  présence  d'on  tableau,  d'une  atatue 
OH  d'un  quatuor;  maia  il  n'est  guère  de  peintre,  de  aculpteur  ou  de 
oompoaitear  qui  ne  doive  qaelquea-unee  de  ses  inspirations  à  une 
<BU?re  littéraire. 

Le  muaicien  —  sana  nul  doute  faTorisé  —  dispose  de  deux  moyena 
très  différents.  Tantdt  il  a'exprime  à  Taide  de  la  symphonie  pure, 
et  alors  il  règie  le  jeu  de  son  élucabration  avec  la  mSme  liberté 
que  le  peintre  ou  le  statuaire;  tantdt  il  conclut  une  alliance  ayec 
la  parole:  et  nous  avons  la  forme  chantée. 

En  cet  état  de  coUaboration  directe,  la  musique  et  le  poème  com- 
posent  un  tout,  n'ayant  de  yraie  Taleur  d'art  qu'autant  qu'  il  réalise 
l'unite  de  concepi  La  plupart  des  opéraa  clasaiques  ne  sonirila  pas, 
à  ce  point  de  vue,  des  cBUTres  boiteuaes?  L'espèce  des  paroliers, 
versificateura  et  librettistes  me  semble  appelée  à  se  faire  de  plua  en 
plus  rare.  Pent-étre  Terrona-noua  un  jour  les  compositeurs  yocaux 
auiTre  tona  l'illustre  exemple  de  Wagner  et  de  Berlioz  et  mouler 
eux-mSmea  leurs  scenarioa  aur  le  rhythme  de  leur  penaée.  Actuel- 
lement  ceux  qui  ont  à  la  fois  des  tendances  lyriques  et  de  sérieuses 
exigences  intellectuelles  ne  rencontrent  pas  toujours  le  littérateur 
frère  suaceptible  d'une  complète  fusìon  d'idéal;  ila  délaiasent  alora 
le  théfttre  et  se  rejettent  sur  le  simple  liedj  ou  bien  ils  ont  recours 
au  genre  plus  important  appelé  Liederkreis:  cycle  de  melodica  dé« 
crivant  une  courbe  psychologique,  développant  un  drame  intérìeur, 
une  action  sentimentale. 

G'est  iians  ce  genre  éminemment  moderne  que  la  musique  et  la 
poesie  nous  révèlent  le  mieux  leurs  afiBnìtés  (1).  lei  nous  sommes 
débarrassés  de  tonte  fausse  extérìorìté,  de  tout  clinquant  accessoire; 
point  de  déclamations  videe,  point  d'ensembles  pompeux,  point  d'action 
moufementée  et  multiple  comme  dans  la  cantate  et  l'oratorio;  point 
de  vaines  fa9ades:  tout  est  en  profondeur. 


(1)  Qa*oii  lise  à  Tappo!  de  mes  dires  Les  chansons  de  Miarha  d*Alex.  Georges- 
BichepÌD,  Le$  sóKiudea  de  P.  L.  Hillemacher-Harauconrt  et  La  bonne  cJMnson 
de  Faaré-Verlaine. 


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658  ARTI  CONTBBfPORANSA 

Ah  lìeu  de  se  yoir  imposer  certaines  données  ou  certaines  coopes, 
le  poète  a  réalisé  son  oBavre  en  pleine  liberté,  dans  le  viei^e  silence 
de  son  ìsolement.  Et  qaand  ses  pages  tombent  sous  les  yeox  du  ma- 
sìcien,  c'est  Videe  pure  que  celui-ci  voit  à  son  tour  briUer  devant 
Ini.  Elle  gisait  dans  les  limbes  de  sa  conscience,  il  a  soffi  d*an  appel 
ponr  Ten  faire  sprtir;  mienx  encore,  il  est  assailli  par  une  fonie  de 
pensées  connexes  et  congéniales;  il  les  elaboro,  les  qnintessencìe  comme 
nn  élixir  dont  il  impregno  chaqne  phrase,  chaque  yocable,  lenr 
transmettant  nne  sayeur  intense  et  nenye. 

Telles  sont  les  miraculeuses  yertns,  tei  est  le  parfnm  composite 
que  nous  offre  aa  plus  haut  degré  la  coUaboration  de  Schumann  et 
de  Heine  dans  ranumr  du  poète;  coUaboration  €  spirìtuelle  »  8*il 
en  ftit,  car  ces  deux  grands  hommes  enrent  à  peine  Toccasion  de  se 
croiser  dans  le  chemin  de  la  vie,  €  to  meei  in  the  flesh  >,  selon 
une  expression  de  B.  L.  Stevenson,  rapportée  par  Marcel  Schwob. 

En  1828,  à  Munich,  alors  que  Schumann  n'était  encore  qu'un 
étudiant  en  Droit,  et  n'avait  pas  méme  le  pressentiment  de  sa  glo* 
ricuse  destinée,  il  put  passer  quelqnes  henres  aupròs  de  Heine,  déjà 
célèbre.  Et  ce  fut  seulement  douze  ans  plus  tard,  après  avoir  écrit 
surtout  pour  le  piano,  que  Schumann  se  tourna  vers  le  lied^  et  choisit 
pour  les  mettre  en  musique  un  certain  nombre  de  poèmes  du  Buch 
der  Lieder  que  Heine  avait  publìé  dès  1822. 

L'année  1840  fut  spécialement  active  pour  Schumann.  Absorbé  par 
la  rédaction  d'une  feuille  de  combat  qu'  il  avait  fondée  €  die  neue 
Zeitschrift  fUr  Musik  »,  il  trouva  en  outre  le  temps  d'épouser  Clara 
Wieck,  d*étre  nommé  docteur  en  musique,  et  d'écrire  plus  de  cent 
lieder  d*après  Qcethe,  Byron,  Burns,  Bùckert,  Eemer,  Eichendorff, 
Beinick,  Ghamisso,  enfin  d'après  Heine  qui  lui  foumit  deux  de  ses 
principales  inspirations:  le  cycle  de  mélodies  op.  24  et  DichterUebe 
portant  le  numero  d'oouvre  48. 

On  comprend  à  merveille  que  Tadmirateur  passionné  de  Jean-Paul, 
l'ardent  et  fantaisiste  évocateur  des  DavidsbUndìer,  des  PapUbms 
et  du  Camaval  ait  eu  une  prédilection  marquée  pour  le  grand  sen- 
sitif  Heine,  pour  ce  talent  savoureux,  fait  d'humour  et  de  rèverìe, 


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€  L*AMOUR  DU   POkTE  »  DI  SCHUMANN-BUNE  650 

qaì,  qaoìqu'en  ait  pu  dire  maint  détracteur,  puisait  sa  force  dans 
une  noble  indépendance  d*esprit,  dans  nn  élan  d'ftme  sincère  et  li- 
beral. Ce  flit  sans  aucun  doute  cette  similitude  de  tempérament  et 
d'intellect  qni  exalta  le  genie  de  Scfanmann,  lai  fit  porter  à  la  per- 
fection  ce  genre  du  Liederkreia  qne  déjà  Beethoven  et  Schubert 
ayaient  inauguré,  presque  négligemment,  sans  yoir  tout  le  parti 
qn'on  poayait  en  tirer.  L'un  et  l'autre,  en  écrivant  <  An  die  feme 
Oeliebte  >  (1)  et  €  die  sehóne  M&Uerin  »  (2)  accommodèrent  musi- 
calement  le  premier  ronron  romantiqne  qni  lenr  tomba  sous  la  main  ; 
ìls  n'enrent  point  l'idée  de  traiter  comme  cycle  des  poésies  dìgnes 
d*eax  —  des  poésies  de  Goethe  par  exemple.  —  Le  propre  de  Scha- 
mann  fut  d'apporter  et  de  rénnir  dans  le  Liederkreia  la  mentalité 
qui  frissonne  dans  Toeuvre  instramentale  de  Beethoven  et  Témotion- 
nalité,  qui  palpito  dans  les  mélodies  détachées  de  Schubert.  Yers  une 
Yoie  nouTelle,  indiquée  senlement  par  ses  deux  grands  prédécesseurs, 
Schumann  s'elanfa,  les  mains  pleines  de  toutes  les  ressouroes  d'une 
musique  plus  évoluée  et  plus  riche,  d'une  langue  à  la  fois  si  forte 
et  si  persuasive  que  maintenant  encore  nous  y  trouvons  l'écho  de 
toatesnos  aspirations. 

Déjà  Schubert  avait  eu  sa  part  d'innovation  en  intronisant  dans 
le  lied  l'élément  symphonique.  Schumann  alla  plus  loin  avec  ses 
Liederkreis:  très  souvent  la  voix  n'y  a  pas  le  rOle  prìncipal  et  bien 
des  suggestions  qu'elle  ne  pourrait  faire  naitre  sont  réservées  au  piano. 
Le  chant  vocal  garde  une  constante  beante  de  lignes,  mais  les  voix 
expressives  de  l'instrument  lui  sont  jointes;  elles  suivent  la  melodie, 
la  portent  ou  s'engendrent  d'elle;  parfois  des  thèmes  distìncts  en  dé- 
rìvent  qui  tantOt  se  meuvent  en  parallèle,  tantdt  prennent  un  libre 
esser  et  parlent  seuls.  On  volt  qu'ici  Schumann  se  mentre  nette- 
ment  le  précurseur  de  Wagner:  comme  lai  et  avant  lui  il  emploie 
les  facultés  expressives  de  la  symphonie  à  traduire  les  sentiments  les 
plus  complexes,  les  nuances  les  plus  secrètes  d'une  &me  de  penseur. 


(1)  Poòme  de  Jeitteles. 

(2)  Poème  de  Wilhelm  Mflller. 


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C60  AHTX  OONTXMPOaiNKA 


«      Hi 

Le  titre  de  €  Dkhterliebe  »  <  L'amour  du  Poète  »  (1)  est,  re- 
marquons-Ie,  de  rioyentìon  de  Schumann.  Les  seize  piècea  qii*il  de- 
signe  ont  été  extraìtes  da  recueil  de  Heine  appelé  Lyriaehes  Inter- 
meMBo^  comprenant  soixante-dix  poésies.  Et  la  triple  opération  à  laqaelle 
s'est  livré  Schnmann,  cboix,  gronpementf  tranecrìption  musicale,  me 
semble  réaliser  ayec  force  oette  création  distincte  et  nonyelle  dont  j*ai 
parie  tont  à  Tbeure. 

L'éfolntion  psychiqne  concentrée  dans  Diéhierliebe  peut  se  diviser 
en  troie  partiee  à  pen  près  égales.  Les  premières  mélodies  sont  des 
cantiqnes  d'amour.  Le  Poète  nous  conte  m^frement  ses  transports, 
l'ÌTresse  de  sa  passion;  il  rìt  et  pleure  de  joie  tour  à  tour;  et  toutes 
les  merveilles  de  la  Nature  ou  de  l'Art  qu'il  contemple  lui  pa- 
raissent  un  reflet  de  l'image  chérie.  Tout  à  coup  la  donnée  cbange. 
La  femme  adorée  n'aime  plus  son  Poète.  Elle  le  méconnait,  l'aban- 
donne,  le  défie  par  son  attitude  et  par  ses  actes.  Lui,  chancelle, 
perd  pied  dans  le  désespoir,  et  nous  suivons  les  étapes  de  souflfrance 
de  son  coeur  mutile:  la  rage  sourde,  à  grand'  peine  contenne,  les  la- 
mentations  qui  éclatent,  les  larmes  qui  débordent  au  sein  de  la  Na- 
ture indifferente;  la  chute  terrible  dans  le  réyeil,  au  sortir  d'un 
réve  nocturne  qui  avait  retracé  les  tableaux  du  bonheur  éranouL 
Allons-nous  rester  sur  cotte  crìseP  Suffit-il  que  le  Poète  nous  ait 
marqué  de  ses  accents  persònnels  cotte  perpétuelle  altemanoe  de 
Tespoir  et  de  la  déception?  Non.  Ce  qui  distingue  le  Poète-Liitié  da 
commun  des  mortels,  c'est  sa  possibilité  de  se  transfigurer  au  ftite 
du  calvaire.  Sa  douleur  a  été  atroce;  elle  Ta  courbé,  broyé,  elle  i 
pese  sur  lui  comme  la  pierre  d'un  sépulcre.  Mais  dans  l'excès  mème 
de  son  martyre  il  retrempe  ses  facultés  créatrices.  H  se  redresse, 
reprend  conscience  de  sa  mission  qui  est  d'enseigner  les  bommeset 
de  les  guidar  vers  des  contrées  toujours  plus  lumineuses! 


(1)  J*ai  choisi  ce  terme  éqaivalent  au  sens  Uttéral:  Awwur  dt  PoHe^  afin 
d^óviter  toate  ambiguitó  dans  notre  iangae.  Les  amoars  da  Poète  oonstìtaent 
une  sorte  de  contre-teDS  aaqael  te  sont  pio,  je  ne  Bau  ponrqnoi,  tona  lea  adap* 
tateara  de  Scbamann-Heine. 


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€  L*AJf OUft-  DU   POkri  »  DS  SCHtIMANN-HIINK  661 

Ainsi  se  présente  la  dernière  partie  de  DicMerliebe^  le  troisième 
panneau  da  triptjqne  de  Schumann.  Lisez  maintenant  VltUermeMm> 
de  Heine.  Yous  y  trouTerez  de  mnltiples  beantés:  une  yerre  ébloais* 
sante,  des  jets  brùlants  de  poesie  enfermés  en  des  phrases  et  dee  mote 
pittoresqaes  et  coneis,  d*une  élégance  presqne  attiqne.  Mais  yons 
décoavrirez  anssi  des  brusqueries  un  peu  trìmles,  nne  fantaisie  par- 
fois  extravagante,  nne  réelle  affectation  de  bizarrerìe  et  d'incobé- 
rence,  nn  manqne  absoln  de  composition;  tandis  qne  Dichterliebe 
Yons  ìmpressionnera  plus  fortement  par  l'unite  de  sa  tenue,  la  gr&ce 
de  ses  proportions  et  son  parfait  équilibre. 

Qérard  de  Nenral  (qui  fut  un  des  premiers  introducteurs  de  Heine 
auprès  du  public  fran9ais)  compare  admiratiyement  VmtermeMMO  k  un 
rang  de  perles  dont  ohacune  est  nécessaire  à  la  splendeur  de  Ten- 
semble.  Eh  bìen!  On  peut  dire  que  Schumann  en  composant  Dieh- 
terUebe  a  prxs  seize  perles  d'un  bel  orìent  et  les  a  montées  dans  un 
ordre  special,  pour  en  fidre  une  parure  inèdite  et  harmonieuse. 

Obligé  de  choisir  et  d'exclure  dans  Tceuvre  touffue  de  Heine, 
Schumann  n'a  pas  seulement  éliminé  les  poésies  dont  le  caractère 
ne  conyenait  point  aux  effets  musicaux,  il  a  rejeté  toutes  eelles  qui 
auraient  nui  à  la  judicieuse  cohésion  de  l'ensemble,  à  cette  pro- 
gression  dramatique  qui  tient  constamment  l'auditeur  en  éveil  (1). 
Et,  sous  la  main  du  génial  ouvrier  des  sons,  se  révèle  magnifique* 
ment  la  toute-puissance  de  la  musique.  Vis-a-vis  du  langage,  elle 
gagne  en  ampleur  d'intuitions,  en  suggestivité  ce  qu'elle  perd  en 
précision  de  détails;  elle  effiuse  du  mème  coup  certaines  mièvreries, 
eertaines  boursouflures  romantiques  dont  le  texte  de  Heine  n'est  pas 
exempt;  quelques  rides  et  marques  de  décrépitude  qui  se  montrent 
^  et  là  à  nos  yeux  d'aujourd'hui. 

Il  est  d'ailleurs  surprenant  de  constater  combien  la  langue  parlée 
par  Schumann  est  restée  alerte  et  jeune.  Je  suis  de  ceux  qui  suivent 
aTOC  infiniment  d'intérét  revolution  présente  de  la  musique,  et  qui 
applaudissent  sincèrement  à  toutes  les  innovations  de  bon  alci,  mais 


(1)  Schnmaiin  a  mdme  mia  en  masiqae  oinq  poésiea  de  VlniermeMgo  laos  les 
&ire  figarer  dans  Dichterhebe.  Voici  lenra  tìtres  :  dù  LoioMume  (op.  25,  n»  7), 
dein  Angenchif  E»  ìeuchM  meine  Liebe  (op.  127,  n«*  2  et  8),  Lehn  dein  Wang, 
Mem  Wagm  róUet  ìangioM  (op.  142,  n^  2  et  4). 


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662  ARTB  CONTXHPORANIA 

depuis  Schumann  il  me  semble  qa*aucan  maitre  (1)  n'a  su  rendre 
ayec  aiitant  de  plénitude  toutes  les  naances  de  la  tendresse  et  de 
l'amertume.  Cependant  Schumann  s^ezprime  au  moyen  d'harmonies 
qui  sont  devenues  d'un  empiei  familier,  et  c'est  leur  amalgame  avec 
les  tours  mélodiques  les  plus  simples,  avec  les  rhythmes  les  plos 
francs,  qui  produit  ces  composés  parfaits  dont  la  force  n'a  jamais 
été  surpassée. 

Le  genie  a  ses  secrets.  Il  se  nourrit  d*un  fond  cache  que  tonte 
minutieuse  analyse,  tonte  glose  technique  sont  impnissantes  à  dé- 
couvrìr.  Mais  après  ce  que  j'ai  exposé  du  pian  de  DicMerliebe  on 
admettra  sans  donte  qu'un  commentaire  non  point  philologique  mais 
psychologique,  éclairant  chacune  des  phases  de  ce  monodrame,  peut 
devenir  un  ezcellent  guide,  tant  pour  le  traducteur  que  pour  Tin- 
terprète. 

En  principe  je  ne  suis  pas  partisan  des  substitutions  d'un  idiome 
à  un  autre  sous  un  texte  musical.  Mais  on  s'y  trouvera  contraint 
tant  que  les  diverses  races  se  refuseront  à  l'assimilation,  tant  qu'elles 
resteront  obstinément  encloses  dans  leurs  idiosyncrasies  de  moeurs 
et  de  langage;  et  cotte  nécessité  se  &it  surtout  sentir  dans  un  pays 
comme  la  Franco  où  Ton  a  peu  de  goùt  en  general  pour  les  langues 
d'outre-frontière.  Maint  docte  étranger  s'indignerait  à  l'idée  d'en- 
tendre  une  traduction  de  DichterUehe.  «Tavoue  moi-méme  préférer 
de  beaucoup  le  texte  originai  à  la  version  que  je  me  suis  passionné 
à  construire.  Mais  j'ai  pensé  qu'en  visant  toujours  l'esprit  par  dessus 
la  lettre,  et  en  adoptant  le  souple  tìssu  de  la  prose,  on  pouvait  ar- 
river  à  draper  sur  la  musique  de  Schumann  une  étoffe  poétique,  un 
vStement  de  mots  et  de  phrases  qui,  pour  étre  dépourvu  des  bro- 
deries  du  nombre  et  de  la  rime,  ferait  cependant  à  peu  près  les 
méme  nobles  plis  que  la  chlamyde  de  Heine.  Ainsi  comprìse  l'adap- 
tation  consiste  à  harmoniser  constamment  les  deux  courbes  sonores 
du  langage  et  de  la  perìodo  mélodique  ;  à  faire  palpiter  cet  essaim 


(1)  Exception  fatte  poor  Borodine  et  pent-étre  ponr  Grieg. 


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€  L*AMOUR  DU   POkTB  »  DE  8GHUMANN-HKINE  W3 

d'affinités  subtìles  qui  fondent  ensemble  la  masiqoe  et  le  verbe  ;  à 
choìsir  des  vocables  snggestifs,  complémentaires  en  quelque  sorte,  en 
les  cadenfant  de  fafon  à  reconstituer  toajoors  Tatmosphère  où  se 
ment  chaqne  petit  lied, 

Cette  recherche,  négligée  jusqu'ici  par  les  tradncteurs,  Ta  été  plus 
encore  par  les  ioterprètes.  La  plupart  n'hésitent  pas  à  porter  une 
main  sacrilego  sur  le  poème  de  Schumann-Heine  pour  Tamputerde 
tei  ou  tei  membre.  lls  considèrent  des  pages  détachées  de  Dichter- 
liebe  —  toujours  les  mémes  —  comme  susceptibles  de  fournir  un  ou 
deuz  numéros  d'un  programmo  de  concert;  ils  ignorent  le  caractère 
que  ces  pages  empruntent  à  Toeuvre  totale  et  ils  contribuent  largo- 
ment  de  la  sorte  à  la  mésinterprétation.  Quant  auz  soi-disant  tra- 
ditìons  dont  ils  prétendent  parfois  s*inspirer,  ce  sont  presque  toujours 
des  masques  de  routine  qu'il  &ut  jeter  bas  sans  hésiter.  J'admets 
très  bien  que  les  symphonies,  les  opéras,  les  cantates,  qui  trouvent 
généralement  pour  les  diriger  de  hautes  personnalités,  s'imprègnent 
dès  leur  venne  d*indications  indélébiles.  Il  n'en  est  pas  de  méme 
lorsqu'il  s'agit  de  musique  de  piano  et  surtout  de  lieder.  Farmi  les 
chanteurs  —  exception  faite,  bien  entendu,  pour  les  élus  qui  ont  le 
don  de  création  personnelle  —  combien  en  est-il  qui  soient  capa- 
bles  de  s'assìmiler  le  style  d'un  maitre  nouveau,  c'est-à-dire  d'un 
précurseur,  et  de  le  transmettre  impeccablement  ?  Chez  les  plus  mal- 
léables,  combien  de  temps  dure  l'empreinte  avant  de  s'effacer? 

Plutdt  que  d'accepter  avec  une  foi  aveugle  —  et  paresseuse  — 
des  traditions  dont  la  source  est  plus  ou  moins  trouble,  mieux  vaut, 
il  me  semble,  baser  solidement  son  ezpression  sur  une  étude  appro- 
fondie  de  la  musique  et  de  la  poesie  que  Ton  interprete.  Cette  me- 
thode  appliquée  à  Diehterliebe  fera  découvrir  pour  certaines  pièces, 
et  non  les  moins  connues,  un  sentiment  différent  de  colui  qu'on  a 
coutume  de  leur  accorder.  Et  si,  à  vouloir  l'extérioriser,  on  risque 
de  taire  béler  en  chcBur  les  moutons  de  Panurge,  on  goùtera  du 
moins  l'approbation  des  yrais  artistes,  et  la  joie  superbe  d'avoir 
gravi  les  sommets  où  Schumann  et  Heine  font  planer  leur  voi. 


Mifiita  mutieak  italkma,  VUI.  44 


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664  ARTE  CONTBMPORANBA 


Commentalre  psyohologlque. 

Les  eantiques  d'amour,  —  Le  désir. 

I.  —  Le  Poète  jette  un  regard  en  arrière  (1)  vers  V  instant 
ému  entre  tous  où  il  fit  la  confidence  de  sa  jeane  tendresse  à  la 
Bien-aimée. 

Les  sentiments  ìntimes  de  son  cosur  s'harmonisaient  avec  l'am- 
biance  :  bourgeons  rompant  Técorce,  chants  aérìens  d'oiseaox,  ondu- 
latioDS  printanières  sur  lesquelles  Taveu  se  balance  et  se  déploie  à 
deox  reprises,  comme  hésitant  en  sa  chasjte  ferveur. 

II.  —  Voici  la  preniière  oSrande:  un  touchant  et  sìmplet 
madrìgal. 

Le  Poète  a  revétu  son  habit  bleu-barbeau  et  d'un  geste  naif  il 
offre  à  sa  Belle  les  fleurs  écloses  de  ses  larmes  d'amour  et  les  ros- 
signols  nés  de  ses  soupirs  (2). 

III.  —  La  rose,  le  lys,  la  colombe,  le  soleil  (3),  ces  passions 
d'autrefois  pouvaient-elle  étre  autre  chose  que  les  divertissements 
d'un  coBur  frivole? 

Pour  mieux  exalter  la  sincérité  de  Theure  présente,  quel  amoureux 
n*a  point  renié  les  élans  divers  et  contradìctoires  de  sa  vie  passée  ? 

La  melodie  volete,  d'une  allure  rapide  et  brisée,  les  doubles 
croches  papillonnent  sur  chaque  syllabe,  mais  tout  à  coup  la  basse 
deyient,  en  se  liant,  plus  ferme  et  plus  pleine:  et  la  musique,  sans 
rien  altérer  de  sa  ligne,  s'élargit,  s'attendrit,  célèbre  l'amour  nouveau, 
l'amour  unique,  yibrant  par  toutes  les  potentialités  de  Tètre! 


(1)  Le  tradnctear  qni  emploie  le  tempt  présent  da  verbe  enlève  à  cotte  pre- 
mière pièce  son  caractère  pré&tiel. 

(2)  Le  genie  de  Borodine  8*eBt  aoBsi  ezercé  snr  nne  traduction  rosse  da  méme 
tezte.  La  melodie  à  laqaelle  je  &Ì8  allosion  (Fleurs  d^amour)  est  un  chef  d*OBaTre 
de  préciosité  nalve,  d*art  sincère  et  raffinò  qne  le  terroir  parfome  eocore. 

(3)  Le  Poète  symbolise  ainsi  les  fèmmes  qn'il  aima  nagaère. 


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€  L  AMOUR  DU    POÀTS  »   DB  SGHUMANN-HKINK  665 

La  possession. 

lY.  —  Tant  que  le  Poète  resterà  comme  embaumé  dans  sa  foi 
d'un  amour  réciproque,  il  impregnerà  ses  accords  de  fraicheur  et 
de  sérénité. 

Cependant,  quand  les  regards  se  sont  longuement  caressés,  qaand  les 
lèvres  se  sont  bues,  si  les  mots  €  je  t'aime  »  riennent  à  trembler 
tout  bas,  l'ivresse,  trop  forte,  se  résout  en  sanglots. 

y.  —  Chant  splendide  d*émotion  pure,  enreloppé  d'un  bruis- 
sement,  d'un  poUen  sonore  presque  immatériel..... 

Le  Poète  emporte  partout  avec  lui  Temei  subtil  de  son  désir.  Il 
en  trouye  Técho  dans  la  nature  entière.  Un  lys  qui  se  balance  au 
détour  d'une  allée  grandit  étrangement  à  ses  yeux.  Il  contemplo,  il 
s'absorbe,  et  les  vibrations  de  la  fieur,  dans  laquelle  il  plonge  son 
àme,  lui  rappellent  le  contact  frissonnant  de  la  bouche  adorée. 

VI.  —  L'amoureux,  quand  il  est  poète,  convie  tous  les  étres 
et  toutes  les  choses  au  banquet  de  sa  félicité.  Les  heures  prósentes 
ne  sont  pas  seules  colorées  de  ses  extases.  Celles  du  futur  n'ont 
plus  d'ironique  incertitude;  celles  du  passe  retracenten  sa  mémoire 
avec  une  incroyable  netteté  des  images  qu'il  identifie  encore  à  son 
amour. 

Dans  Cologne,  fiUe  auguste  du  Bhin,  il  est  une  cathédrale;  dans 
cette  cathédrale  un  tableau  figurant  une  radieuse  Madone;  et  le 
Poète  découvre  maintenant  que  cette  Madone  ressemble  traits  pour 
traits  à  sa  Bien-aimée. 

La  puissance  evocatrice  du  souvenir  est  ici  rendue  par  un  tìième 
d'une  ampleur  et  d'une  hauteur  architecturales;  un  thème  d'une 
somptueuse  nudité,  austère  comme  un  choral  lutbérìen;  avec  de 
fermes  assises,  sur  lesquelles  des  piliers,  des  arceaux  et  des  voùtes 
s'élancent,  dominent  et  surplombent  en  de  vertigineuses  perspectives. 

La  crise.  —  Les  lamentaiions, 

VII.  —  T  a-t-il  eu  flagrante  trabison?  abandon  violentP  pro- 
gressive indifférence?  Peu  importe  au  Poète!  L'événement  terrible 
o'est  la  méconnaissance  de  son  amour. 


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666  ARTE  CONTEMPORANEA 

SoD  amour!  L'oSrande  de  son  genie,  ragenouillement  de  sa  pensée 
devant  un  charme  féminin  qu'  il  s'exagérait  sans  dente,  qu'  il  parait 
de  toates  les  richesses  de  son  cervean  de  poeto;  son  amour  réconfor- 
tant  et  caressant  repoussé  comme  une  denrée  suspecte,  comme  un 
fruit  fade  par  celle  qu*il  jugeait  aussi  benne,  aussi  compréhensi?e 
qne  belle! 

Comment  s'arracher  da  coeur  les  souvenirs  adorables  des  beures 
de  possession?  Ces  regards  chargés  de  tendresse,  et  ces  intonations 
Yocales,  ces  mille  paroles  enfantines,  ces  fines  attitndes,  et  ces  baisers 
magnétiques?  L'oubliease  a  donc  deserte  ce  monde  menreillenx,  ce 
palais  d'enchantement  créés  par  leur  amour?  Ses  extases  étaient  donc 

feintes?  Ses  sentiments  illusoires? Cela  est  impossible!  Il  a  falla 

qu'un  yent  de  folie  soufBftt  sur  elle  et  rompit  la  trame  de  ses  états 
conscients.  Sans  doute  elle  revoit  le  passe  sous  son  vrai  jour:  et  le 
Poète  s'imagine  qu'elle  souffre  profondément  de  sa  faute,  et  il  n'a 
pas  le  courage  de  lui  en  vouloir. 

«  Ich  grolle  nicht!  »  Je  ne  récrimine  pas!  Je  n'accnse  pas!  Mon 
coBur  se  tait!  Tu  as  beau  armer  tes  yeux  d'un  éclatant  défi,  tu  as 
beau  te  parer  et  briller  sous  tes  joyaux,  Bienaimée,  ton  àme  est 
sans  lumière  !  Le  serpent  du  regret  te  ronge  la  poitrìne...  tu  soufires,.. 
tu  es  à  plaindre...  aussi  ne  céderai-je  pas  à  un  premier  mouvement 
de  colere  et  de  malédiction!  Bien  que  meurtri  par  toi,  mon  caur 
se  tait! 

Cotte  indignation  maitrisée  par  le  Poète-Philosophe  gronde  sour- 
dement  dans  les  basses  tandis  que  le  rhythme  intense  et  pressant 
des  accords  scande  les  battements  d*un  coeur  bouleversé  (1). 

Vili.  —  Àprès  avoir  pris  à  témoin  de  ses  angoisses  celle  qui 
en  est  la  cause,  le  Poète  se  tourne  vers  l' indifferente  Nature,  qui 
déploie  toujours  autour  de  lui  son  charme  inconscient.  Il  se  plaiot 
avec  candeur  de  ne  pouvoir  associer  à  son  chagrin  les  fleurs,  les 
rossignols,  les   étoiles.   En  trois  couplets  semblables,  il  chante  une 


(1)  Qa*on  essaye  de  rendre  cette  crise  d*&ine  au  moyen  de  la  yertion  Tai 
pardonné.  On  n*y  pent  réassir.  Sana  s*écarter  prédsément  du  sens  littéral,  ell« 
enlòve  aa  poème  de  Heine-Schamann  son  caractòre  ardent  et  nerreaz,  elle  lai 
commanique  une  sorte  de  placidité,  de  grandenr  altière  qai  le  dénatorent 


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€  l'amour    DU   POÈTE  »  DB  SCHUMANN-HEINE  667 

romance  (1)  d'un  accent  pénétrant,  dont  Taccompagnement  est  un 
reflet  de  flenrs  diaprées,  de  lueurs  tremblantes  d'étoile,  de  gazouillis 
d'oiseaux  et  de  froufrous  d'ailes.  Et  quelle  désolation  assombrìt  la 
quatrième  strophe,  exaspère  la  conclusion  symphonique! 

IX.  —  Devant  nos  intimes  douleurs  la  société  humaine,  avec 
son  train  joyeux,  nous  parait  plus  cruelle  encore  que  la  Nature 
en  fSte 

Loin  d'étre  bannie  des  assemblées,  la  parjure  y  danse  au  son  des 
instrumenta:  car  on  célèbre  ses  noces,  en  grande  liesse.  Seuls  les 
anges  gardìens  se  voilent  la  face  en  gémissant 

Sur  un  rhythme  léger  de  valse  Téternelle  mondanité  déroule 
sa  farandole  de  plaisirs,  en  un  dessin  continu,  élégant  et  frivole, 
sans  se  troubler  ni  s'interrompre.  Au  second  pian,  les  tristes  exda- 
mations  du  Poète  apparaissent  (a  et  là,  comme  superflues.  Qu' im- 
porte sa  souffrance?  Et  qui,  à  part  lui,  disceme  les  lamentations 
des  bons  anges? 

X.  —  Aux  oreilles  du  Poète  résonne  une  petite  chanson  que 
la  voix  adorée  lui  répétait  naguère  avec  des  inflexions  trempées 
de  tendresse  et  d'amour. 

Ah!  quand  il  se  croyait  aimé,  chaque  souvenir  emplissait  son 
cerveau  d'images  souriantes.  L'ivresse  du  passe  se  liait  d'une  chaine 
fratemelle  à  la  douceur  espérée  de  l'avenir.  Maintenant  la  source 
du  bonheur  est  tarie,  et  plus  les  tableaux  rétrospectifs  ont  de 
charme,  plus  ils  se  teìntent  d'amertume!       ' 

Point  de  ressentiment,  point  d'obsédante  vision  (2),  mais  une  me- 


(1)  Je  me  suis  efforcé  de  rendre  dans  ma  tradaction  le  earactère  dix-hnit-cent- 
trentesqae  de  la  poesie  et  de  la  masique. 

(2)  lei  comme  en  pUisieurs  antres  points  da  Liederkreis  il  me  semble  que 
maint  arobitieux  compositeor  de  Técole  contemporaine  anrait  Tolontiers  choisi 
des  thèmes  anx  allures  de  caachemar,  en  toarmentant  à  plaisir  ses  harmonies 
et  ses  rhjthmes.  Dans  une  adaptation  mélodiqne  dn  méme  texte,  un  maitre  de 
hante  lignee,  Grieg,  s*est  gardé  aussi  bien  qne  Schamann  de  oette  fansse  ìnter- 
prétation.  Cependant  son  poème  sonore  est  d*ane  psjchologie  moins  profonde  que 
celai  qni  nous  occupe.  Le  Poète  y  crie  sa  donlear  sar  un  ton  trop  dramatique, 
trop  brìllant  ponr  étre  sublime.  L*émotion,  très  forte  et  très  réelle,  me  semble 
exprìroée  aree  un  pea  de  grandiloquence. 


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ARTI  CONTSMPORANBA 


lodie  paisible,  douce  cornine  la  cantilène  évcquée,  douce  comme  l'a- 
monr  défant;  un  chant  d^nne  poignante  grandenr,  dont  Técho  de 
détresse  se  répercate,  se  retarde  et  s'apaise  longnement  dans  l'or- 
chestre. 

XI.  —  L'action  se  corse,  le  drame  se  precipite.  L'Infidèle 
a  foUement  aliène  tonte  possibilité  de  retour  vers  son  Poète  qui 
anrait  sì  bien  échangé  avec  elle  les  fleurs  du  Pardon  contre  celles 
dn  Bepentir.  Ce  pompenx  hymen  au  son  dea  fltites  pergàntes  n*est 
qu'nne  eztrémité  où  la  jeta  sa  nature  impulsive,  après  la  mine  de 
ses  propres  désirs. 

Le  Poète  a  cesse  soudain  de  nous  confesser  ses  langueurs.  Il  s'est 
reculé,  haletant,  sur  la  scène.  Le  spectre  de  la  Fatalité  auquel  il  a 
fait  place,  parie,  raconte  les  faits,  sans  émotion.  Il  interrient  ainsi 
que  le  choeur  antique  pour  mettre  passagèrement  au  point  les  choses 
humaines,  constater  leur  vicissitude,  leur  coté  relatif  et  banal  (1). 

XII.  —  Il  est  juste  de  dire  que  la  souffirance  fortifie  et  pu- 
rifie:  mais  ce  n*est  qu'à  partir  du  jour  où  son  excès  méme  suscite 
en  nous,  par  réaction,  les  énergies  voulues  pour  la  vaincre  et  Té- 
liminer. 

Quand  le  Poète  s*avisera  du  caractère  universel  et  nécessaire  de 
la  souffrance,  il  sera  bien  près  d'en  purger  son  coBur  et  de  sentir 
s'épanouir  en  lui  des  forces  inconnues. 

Sa  sensibilité  suraiguisée  prète  maintenant  un  langage  aux  fleurs, 
qu'  il  accusait  naguère  d*étre  muettes.  Tandis  qu'  il  se  promène,  dès 
le  prime-jour,  dans  un  jardin  solitairé,  elles  tournent  vers  lui  leurs 
visages,  tout  attendris  des  larmes  de  rosee  que  le  soleil  n*a  pas  en- 
core  séchées.  Elles  chuchottent,  mais  ce  n*est  pas  pour  le  plaindre  : 
c'est  pour  plaider  Tirresponsabilité  de  la  coupable.  Noble  Poète! 
Tello  est  Tidée  qui  se  lève  du  fond  de  son  S.me  menrtrie  et  y  étouffe 
ses  instincts  d'amant  dépossédé. 


(1)  Voilà  penrqooi  la  mosiqae  a  laissé  ton  tour  élégiaque  et  8*e8t  mite  à  TÌbrer 
comme  nne  belle  coalenr  cUire,  avec  sa  tonalité  de  mi  bémoì  majeor,  son  rhyUime 
d6terminé,  set  accenta  inoisifs.  Voilà  poarqnoi  il  oonvient  de  rioterprétar  saos 
lentear»  sane  lassitnde,  sans  faasse  sentimentalité,  presqae  sans  amertnme,  sur 
un  mode  détacbé,  avec  une  sorte  d*implacabilitó  objective. 


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€  L^AMOOR  DU   POkrB  >  DE  SGBUM ANN-HnNB  669 

Dans  le  pian  mond,  quiconque  est  mùr  pour  ascendre  un  degré 
d*évolation  doit  subir  fatalement  le  douloureux  baptème  de  l'épreuve.' 
Et,  par  cette  loi,  les  justes  rapporta  s'établissent  Ce  n*est  pas  le 
tortionnaire  qui  domine  et  rayonne:  c'est  le  martyr.  Les  subyersift, 
les  rétrogrades,  les  iconoclastes,  les  destructeurs  d*harmonie,  ceux  ou 
celles  qui  agissent  d'une  fafon  laide,  &u8se,  et  mauraise,  sont  des 
àmes  embryonnaires,  des  faibles^  en  dépit  des  ravages  qu'en  appa- 
rence  ils  ezerceni 

Les  ruines  qu'ils  amoncellent  sont  des  obstacles  qui  servent  à 
l'entraìnement  des  forts.  Acceptons  leur  intervention,  édifions-les  de 
notre  sérénité.  Tentons  par  notre  exemple  de  les  attirer  dans  des 
sphères  supérieures;  et  sans  nous  laisser  écraser  par  eux,  rendons- 
leur,  tant  qu'il  est  possible,  le  Bien  pour  le  Mal  !  (1). 

La  musique  debordo  à  chaque  mesure  d'une  généreuse  émotìon. 
Come  elle  sait  grandir  avec  la  circonstance  !  Fière  collaboratrice, 
elle  s'élève  encore  plus  haut  que  la  poesie  dont  elle  s'inspiro. 

Quand  les  paroles  se  taisent,  la  symphonie  prend  un  libre  esser; 
elle  deyìent  à  elle  seule  plus  expressive  que  n'importo  quel  verbo 
chanté;  elle  degagé  un  thème  nouveau,  le  thème  évangélique  du 
pardon  désintéressé:  colui  qui  s'offre  sans  avoir  été  soUìcité  par  le 
ropentir,  et  qui  laisse  tendue  vers  la  pècheresse  une  main  pleine  de 
puissances  rédemptrices! 

L'agonie. 

XIII.  —  Tous  ceux  qui  ont  traverse  de  grands  chagrins  sa- 
vent  qu'alors  le  sommeil  luiméme  n'est  plus  ce  hàvre  de  silence  et 
de  repos  où  les  facultés  pensantes  s'engourdissent.  Le  sentiment  de 
la  vie  réelle  ne  relftche  pas  son  emprise  et  fait  impitoyablement  dé- 
filer  dans  la  chambre  noire  du  cerveau  des  images  et  des  tableaux 
fiévreux  qui  attisent  la  souffrance. 


(1)  Tout  ce  déoehpj^emeni  psyehologique  à  propos  d*une  simple  strophe  de 
Heine  !  Mais  il  faUait  explìqner  ayec  dee  mota  ce  qne  Schamann  a  renda  aree 
des  notes,  ayec  des  chants,  d*ane  manière  si  snbstantielle  et  si  saisissante.  Son 
piopre  développement  iymphonique  est  nne  preuve  eclatante  dn  caractère  personnel 
de  sa  mnsiqne.  lei,  oomme  dans  les  mélodies  X  et  XVI,  elle  cesse  de  souligner, 
de  commenter:  elle  innove,  elle  crée. 


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670  ARTE  CONTEMPORANEA 

Mais  la  rancane  da  soayenir  où  le  caachemar  a  distillé  ses  poisons 
fait  da  moins  troaver  dans  le  réveil  la  détente  et  le  soalagement 
qai  saivent  les  états  de  crise  ;  tandis  qae  le  songe  crael  entre  tons 

est  celai   qai  ressascite  le  bonhear  à  jamais  dispara alors  rien 

n'égale  Tatrocité  de  Finstant  où  Ton  roavre  les  yeax;  alors  les  chaines 
de  la  réalité  sont  plas  qae  jamais  meartrìssantes  (1). 

Le  premier  rève  da  Poète  est  la  station  la  plas  doaloareuse  de 
son  agonie.  Noas  sommes  jetés  dans  ane  atmosphère  noctame  de  ma- 
laise  et  d'oppression,  dès  qae  la  voiz,  solitaire,  a  exposé  la  tonalité 
sombre  de  mi  bémol  minear.  Gomme  des  larmes  tièdes,  les  notes 
tombent  goatte  à  goatte;  et  des  tamboars  voilés  de  crèpe  battent  an 
rbythme  bref  de  deail  et  de  sanglots.  Qaand  le  Poète  dit:  J'ai  cru 
que  tmyours  tu  m'aimais!  ses  accents   se  colorent  d'ane  ferveur 

meryeillease  (2),  poar  s'obscarcir  aussitòt  d'époavante L'orchestre 

reperente  an  cri  déchirant  et  fatai,  et  noas  retombons  dans  an  maet 
épaisement,  entrecoupé  d*ane  dernière  batterìe  fùnebre. 

XIY.  —  Le  second  réve  n'est  plas  tragiqae,  il  est  mystérìeax 
et  saisissant.  L'Infidèle  se  dresse  deyant  noas,  presqae  tangible; 
mais  elle  a  dù,  poar  an  moment,  se  libérer  des  inflaences  qui  orien- 
tent  sa  vie  noavelle.  Plas  de  défi  en  son  maintien,  plas  de  rictas 
mensoDger  sar  ses  lèvres;  son  port  gracieax,  ses  harmonieases  sé> 
dactions  s'alSSnent  de  gravite  et  de  mélancolie. 

De  simples  déplacements  de  rhythmes  (3),  et  des  eSets  syncopés 
noas  peignent  de  vagaes  soarìres  parmi  de  vagaes  larmes,  évoqaent 
je  ne  sais  quelle  précision  dans  l'incohérence,  je  ne  sais  qaelle  fixité 
dans  Tindécision,  snggèrent  cet  état  troablant,  cette  demi-anxiété  qui 
caractérìsent  certains  de  nos  songes. 


(1)  Lea  denz  poésies  de  Heine  qui  exprìment  óloqnemment  ces  émotions  sont 
éparaes  dans  VlntertneMMO  sous  les  n*"  49  et  61.  Rénnies  dans  Diekterìiebe,  elles 
prennent  nne  yalenr  bien  plus  intense,  en  derenant  parties  intégrantes,  cbainons 
nécessaires  de  ce  monodrame. 

(2)  Par  le  seni  retrait  d'an  bémol,  quel  soleil  entre  dans  cette  phrase  ! 

(3)  Voilà  comment  Schamann  fait  conoonrìr  les  difficaltés  de  oonstmction  à 
la  soayeraine  conTenance  de  Tédifice.  Vonlant  ici  encore  noas  donner  ane  ini- 
pression  de  hantise,  d*hallacination,  il  reprodait  troia  fois  le  méme  tbòme,  avec 
les  mémes  barmonies  et  il  tire  un  effet  des  plas  henreaz  des  ezi^nces  proso- 


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«  L* AMOUR    DC   POÌSTB  »  DB  SCHUMANN-HEINB  671 

La  résurreciion, 

XV.  —  Le  Poète  se  ressaisit  eDfin.  Il  ne  bégaìe  plus,  ter- 
rassé  par  la  doalenr;  il  reprend  possession  de  son  riche  clavier,  il 
se  remet  à  former  des  images  palpitantes  de  fraicbeur  et  de  beauté. 
Il  arrìve  à  coucevoir  un  bonheur  dont  tous  les  éléments  viendraient 
de  lui  seni  et  dont  la  Bien-^imée  serait  aòsente.  Cette  foìs-ci  son 
réve  est  de  bon  augure:  c'est  un  tableau  lumineux  sur  lequel  au- 
cune  ombre  n'a  glissé;  c'est  Tannonciation  d*un  état  d'àme  plus 
yiril»  un  retour  vers  Tivresse  poétique,  qui,  ani  beures  d'elucubra- 
tion,  fait  agréer  la  vie  comme  un  présent  superbe. 

Sur  un  thème  de  fanfare  alerte  et  légère  nous  sommes  transportés 
tout  à  coup  en  un  monde  magique,  parmi  d'audacieuses  fleurs,  d'é- 
tranges  atmosphères  vespérales,  de  bruissantes  frondaisons,  des  eaux 

rapides  et  des  feux  multicolores Les  évocations  surgissent,  les 

images  s'ajoutent  aux  images,  la  musique  module,  escalade  des  tons 

plus  élevés,  se  corse  d'accords  plus  nourris   et  plus  eclatante 

Alors,  en  pleine  effervescence,  le  réve  disparaìt;  le  Poète  tombe,  une 
fois  encore,  du  sommet  de  son  illusion  (1);  mais  sa  chute  n'est  plus 
si  lourde,  il  s'est  emparadisé  si  bien  qu'  il  n'a  plus  de  désespoìrs  ni 
de  larmes:  rien  qu'un  long  soupir  (2). 

Le  réve  sera  désormais  Tasile  contro  les  promiscuités  blessantes  de 
la  vie;  le  manteau  de  pierreries  qu'on  laisse  tomber  à  regret  de  ses 
épaules,  avec  l'espoir  certain  de  le  revétir  bientdt. 


diques  qui  l'obligent  à  varier  les  brisares  de  sa  melodie.  Je  me  plais  aussi  à 
soali^er  le  changement  de  roesnre  qui,  sur  cei  parolea:  «  Et  moi  je  saia  à  tes 
genouz  >  dettine  le  mouTement  des  bras  tendas,  dans  an  élan  ipontané,  vera 
Tapparìtion. 

(1)  Le  thème  initial,  alangai,  ralenti  par  augmentation,  ezprime  le  sentiment 
de  cette  noayelle  chnte.  Ceci  est  mienx  qa*ane  troayaille  masicale,  c'est  le  coro- 
mentaire  ezact  de  Tétat  d'esprit  du  Poète.  En  reprenant  pied  dans  la  yie  réelle, 

il   sent  les  yibrations  da  beaa  réye  se  prolonger  en  lai les  rayons  de  Taobe 

Ini  apportent  nn  pen  de  gratitade  et  d*espérance. 

(2)  Comme  la  phrase:  «  le  réye  disparaft  »  rbythme  ce  soupir!  Après  la  me' 
sare  adagio  où  elle  s'éteint,  et  le  point  d'orgae  dont  elle  se  ponctne,  la  sjm- 
phonie  revient;  la  fanfare  éyocatrìce  trayerse  brièyement  Tespace.  La  Mase  se 
retoame  en  s'en  allant  et  jette  nn  regard  amicai  d*aa  reyoir. 


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672  ARTE  CONTEMPORANKA 

XVI.  —  Après  s'étre  assuré  qu'ìl  avait  toujours  le  pouvoir 
de  fìiire  surgir  de  l'ombre  à  la  lamière  un  peuple  chimérìque  et 
charmant,  le  Poète  va  rassembler  toutes  ses  forces  créatrices.  Le 
temps  est  passe  des  prostrations,  et  des  intimes  élégies,  ayant  pour 
témoins  les  boìs,  les  oìseanx  et  les  flears.  Redevenu  conscient  de  sa 
mission  le  Poète  sait  quMl  doit  apporter  au  monde  un  ornement 
inédit,  une  musique  nourelle (1). 

Ses  joies  et  ses  douleurs  ne  lui  appartiennent  pas;  elles  ne  peu* 

vent  rester  stérìles  ! Et  il  prend  son   luth  le  plus  sonore,  il 

monte  sur  la  plus  haute  scène,  il  improvise  un  demier  adieo  à  ses 
souffrances.  La  femme  qui  nous  vaut  cette  superbe  exaltation  poé- 
tique,  la  femme  dont  l'inconsciente  main  faillit  étre  meurtrière 
avant  de  se  révéler  providentielle,  ne  haute  plus  ces  vers  de  son 
adorable  petitesse.  Leur  dédicace  passe  audessus  cTette.  Le  Poète 
expulse  de  son  coeur  les  madrìgaux  et  les  complaintes  dont  elle  fat 
la  reine,  il  les  enferme  en  un  cercueil  géant  precipite  par  douze 
colosses  dans  l'insondable  mer. 

Ce  geste  grandiose,  cette  imago  saisissante  sont  exprimés  par  une 
formidable  marèe  musicale,  qui  roule  parallèlement  les  boules  de 
son  rhythme  (2).  Gomme  ces  enfants  qui  emboitent  irrésistiblement 
le  pas  derrière  les  troupes  nous  sommes  emportés  malgré  nous  par 
une  allure  héroique  de  cortège;  nous  suivons  la  marche  imposante 
du  sarcophage;  nous  attachons  nos  yeux  sur  ce  balancement,  sur 
cette  chute  qui  fait  rejaillir  jusqu'au  ciel  une  eau  retentissante..... 

Àlors,  dans  cette  atmosphère  de  drame  et  d*effroi,  s'élève  le  cri 
le  plus  angoissé,  le  plus  terrible  qui  ait  été  proféré  jusqu'ici  (3). 
Mais  à  peine  le  Poète  s'est  il  tenu  debout  sur  le  pie  ténébreux  de 
son  émotionnalité  que  nous  le  voyons  s'élever  (4)  à  larges  conps 
d'ailes  vers  les  cimes  lumineuses  de  l'apostolat 


(1)  SeloD  la  belle  expression  de  Gabriele  d^Annonuo. 

(2)  L*bannonie  imitatiTe  qui  règne  dans  cette  làèce  ajonte  nn  effet  pnùnnt 
à  rintériorìté  d*expres8Ìon  qai  existe  toigoara  cbez  Schomann. 

(3)  «Ce  cercaeil  contient  Tor  et  le  plomb  de  mon  amour!  »  (littéralemeDt: 
mes  joies  et  souffrances  d*amoQr). 

(4)  La  transition  enharmooiqoe  d'ut  dìèse  à  ré  bémoì  indiqae  à  merTeille  ce 
passage  d'nn  pòle  à  Tantre,  cette  relation  d*extréraee. 


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€  l'amour  DU   POiSTB  »  DB  SCBUMANN-^XimB  673 

Telle  est  la  transfiguration  que  Tépilogue  symphonique  dessine. 
Quand  s'est  dénoaée  la  fraternelle  étreinte  de  la  Poesie  et  de  la 
Musique,  celleci  s'attarde  encore  comma  un  pieux  encens ;  avec  son 
sublime  langage  sans  paroles  elle  ramène  la  pensée  radieuse  du 
pardon  évangélique.  Son  motif  (1)  se  développe  en  an  monvement 
de  sobre  allégresse;  il  chante  le  chaste  énivrement  da  Poète  qui 
croit  sentir  en  lui  assez  d*énergies  rédemptrices  pour  purifier  toutes 
celles  et  tous  ceux  qui  sont  purifiables  !  assez  d'énergies  rénovatrices 
pour  répandre,  transformés  en  bienfaits,  sur  le  grand  nombre,  tous 
les  maux  qu*un  seul  étre  lui  a  fait  souffrìr. 

Raymond-Dtjyal. 


(1)  Appara  déjà,  en  un  Um  main  élevé^  dans  Tépilogne  de  la  XII°«  melodie. 


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LA  REVISIONE  DELLE  EDIZIONI  MUSICALI 
(Studio  critico). 


Lie  edizioni  musicali,  per  cura  di  qualche  studioso,  o  per  inte- 
resse di  molte  Case  Editrici,  sogliono  essere  corrette,  rivedute  o  di- 
teggiate, in  una  parola  commentate,  e  sarebbe  cosa  buona  se  i  risultati 
fossero  corrispondenti  alle  esigenze  artistiche  ;  ma  quando  il  commento, 
anziché  lumeggiare,  avvolge  in  nebbia  ancor  più  fitta  quella  data 
composizione  musicale  è,  oltreché  danno,  profanazione  all'arte. 

Ad  eccezione  di  qualche  raro  commentatore,  che  per  acutezza  e 
genialità  ha  il  primato  sugli  altri,  come,  per  esempio,  il  Germer,  il 
Klindworth,  ecc.,  della  cui  opera  ci  si  può  formare  un  concetto  esatto 
e  chiaro,  per  quanto  riguarda  l'architettura  di  una  composizione,  così 
nei  suoi  particolari  come  nella  sua  sintesi,  ben  poca  cosa  valgono  gli 
altri,  cui  vengono  affidate  opere  di  non  piccolo  valore. 

Da  molto  tempo  sono  in  vendita  delle  composizioni  musicali,  spe- 
cialmente classiche,  sia  antiche  sia  moderne,  che,  maneggiate  e  ri- 
maneggiate da  questi  pseudo  commentatori,  hanno  i  medesimi  errori 
della  prima  edizione  quando  non  brillano  di  nuovi,  talvolta  più  mar- 
chiani dei  primi. 

I  diversi  collocamenti  delle  legature,  specialmente  lunghe  (onde 
una  diversa  analisi  ritmica),  il  variar  dei  segni  di  colorito  o  della 
indicazione  di  movimento,  Tabolizione  di  qualche  ritardo  o  il  muta- 
mento di  qualche  nota  in  un  accordo  dissonante,  perchè  non  grato 
all'orecchio,  costituiscono  i  caratteri  che,  vari  a  seconda  del  gusto  o 
meglio  dell'ignoranza  del  riveditore,  differenziano  più  notevolmente 
e  più  peculiarmente  un'edizione  dall'altra. 

Se  poi,  anche  non  ponendo  mente  agli  errori  dei  riveditori,  ag- 
giungiamo quelli  che  qualche  composizione  presenta  in  qualsiasi  edi- 
zione, forse  per  tradizione,  c'è  davvero  da  rallegrarsi!...  Mi  fu  dato. 


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LA  RBVISIONB  DELLE  EDIXIONI  MUSICALI 


675 


per  esempio,  nella  mia  prima  giovinezza,  di  assistere  in  una  città 
tedesca  dove  la  musica  è  molto  coltivata,  alle  prove  di  una  sinfonia 
di  Beethoven.  Tanto  nella  partitura  d^orchestra  quanto  nelle  singole 
parti,  alla  fine  del  primo  ritornello,  vi  erano  due  battute  di  troppo. 
Fatto  osservare  da  uno  dei  Profeasori  che  ciò  era  contrario  al  buon 
senso  e  alla  logica,  e  che  non  era  ammissibile  Teseguire  la  sinfonia 
con  un  simile  errore,  gli  fu  risposto  dal  Maestro-Direttore  (persona 
di  non  dubbio  valore,  e  di  cui,  per  ragioni  di  delicatezza,  non  faccio 
il  nome)  che  si  era  sempre  fatto  così,  perchè  la  importante  Casa 
Editrice,  dalla  quale  era  edita  la  sinfonia  in  parola,  non  poteva  ca- 
dere in  simili  errori!  Dopo  animate  discussioni  e  previo  consulto 
con  un  valente  biografo  e  profondo  cultore  delle  opere  di  Beethoven, 
fa  ammesso  l'errore  e  la  sinfonia  potè  essere  eseguita,  fortunatamente, 
senza  l'enorme  svarione  del  proto. 

Un  altro  di  questi  errori,  di  cui  la  paternità  va  probabilmente 
ascritta  all'edizione,  si  trova  nella  Preghiera  o  Aria  di  Chiesa  di 
Stradella  (attribuita  e  forse  giustamente  a  Niedermeyer).  Qualunque 
sìa  la  trascrizione  e  in  qualsiasi  edizione,  nel  primo  ritmo  della  se- 
conda parte,  havvi  una  battuta  in  più,  e  con  tale  errore  fu  sempre 
eseguita  e  tuttora  si  eseguisce  nei  concerti  pubblici  e  nelle  funzioni 
religiose  ! 

Ecco  come  sta  scrìtto: 


2. 


8. 


4. 


rTTrrCJirrf'irffi 


è 


5. 


^^ 


Pìe-tfc,  Si    -    gno-r».       Si-gnor  pie 


U 


rETf  r-r  rr 


7. 


S 


ÉuH 


ma       do 


len 


Bisogna  essere  assolutamente  privi  di  quadratura  e  di  senso  ritmico, 
per  non  sentire  che  la  quinta  battuta  è  una  ripetizione  della  quarta, 
e  perciò  di  troppo.  I  ritmi  della  seconda  parte  di  quest'Aria  di  Chiesa 
sono  di  sei  battute,  e  questo  primo  ritmo  dovrebbe  pure  essere  di  sei. 
Considerando  poi  che  questa  melodia,  nella  sua  euritmia,  deve  avere 
una  relazione  colla  metrica  del  verso  ed  essere  soggetta  in  certo  qual 


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676 


ARTE  GONTKBfPORANIA 


modo  alle  parole,  la  quinta  lattata  è  addirittura  intollerabile.  Per 
giustificare  in  qualche  maniera  la  sua  esistenza,  dovrebbe   almeno 
musicare  qualche  parola  che  avesse  un  senso,  e  questo  non  è. 
Questo  ritmo,  sia  esso  musica  vocale,  sia  pura,  dev'essere  scritto  così: 


Pie*tà,  Si  -  gao-re,     Si-gaor  pto  -  tà 


come  del  resto,  non  altrimenti  può  essere  stato  nella  sua  origine. 

Un  autore  non  troppo  fortunato  nei  suoi  commentatori  è  il  Chopin. 
Sarà  la  strana  potenzialità  espressiva  delle  sue  opere,  che,  dato  lo 
stato  psicologico  in  cui  trovavasi  quando  scrìveva,  raggiunge  talvolta 
il  morboso;  sarà  l'incertezza  in  cui  ci  lasciano  certe  irregolarità  di 
ritmo,  talvolta  fantastiche  e  incomprensibili,  o  certe  sue  armonie  ar- 
rischiate e  strane,  fatto  si  è  che,  prima  di  accingersi  a  interpretare 
una  sua  composizione,  conviene  pensarci  e  riflettere  non  poco. 

Fra  le  interpretazioni  date  dai  migliori  commentatori  delle  opere 
di  Chopin,  come  il  Marmontel,  il  EuUah,  il  Beinecke  ed  altri,  tro- 
veremo  sempre  delle  grandi  differenze, specialmente  nell'analisi  ritmica: 
tutti  hanno  del  buono,  ma  nessuno  è  corretto.  L'unico  forse  cui  pos- 
siamo appoggiarci  è  il  Klindworth  (Edizioni  Boote  e  Bock).  La  pro- 
vata autorità  di  questo  è  una  solida  garanzia  per  poter  seguire  tutte 
le  sue  indicazioni,  senza  tema  di  cadere  in  errore,  e  di  ciò  parla  il 
Gariel,  con  magistrale  competenza,  in  un  suo  studio  sul  ritmo  e  la 
interpretazione  delle  opere  di  Chopin  {Rivisia  Musicak  Italiana^ 
anno  III,  fase.  1  e  3). 

11  Gariel,  oltre  al  constatare  come  il  Klindworth  sia  il  migliore 
dei  commentatori  di  Chopin,  mette  in  evidenza  gli  errori  nei  quali 
incorsero  gli  altri,  li  discute  scientificamente  e  conclude  dimostrando 
egli  stesso  come  si  dovrebbero  interpretare  le  composizioni  dell' A.,  e 
ciò  in  modo  tanto  chiaro  e  conrincente  da  confutare  qualsiasi  ob- 
biezione. In  quanto  poi  concerne  la  parte  tecnica  e  precisamente  la  di- 
gitazione di  certe  opere  didattiche,  è  la  stessa  cosa,  se  non  peggio. 

Perchè  le  Case  Editrici,  che  danno  alla  luce  opere  didattiche  o 
una  raccolta  di  classici  o  che  so  io,  ne  affidano  la  revisione  a  questo 


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LA  BEVUIONB  DBLLE  BOiaONI  MUSICALI  677 

0  a  quel  Maestro  pel  solo  ed  unico  motivo  che  gode  fama  di  grande 
esecutore? 

L'essere  pianista  provetto  non  vuol  dire  essere  buon  insegnante  e 
non  implica  la  capacità  di  dettare  teorìe  sulla  tecnica,  in  ispecie  ele- 
mentare. Il  virtuoso  è  cosa  ben  diversa  dal  pedagogo,  e  per  la  man- 
sione di  rivedere  e  diteggiare  una  serie  di  studi,  nulla  sarà  più  ef- 
ficace del  lavoro  diligente,  accurato  e  basato  su  lunghe  esperienze 
di  un  insegnante  studioso  e  paziente. 

n  danno  che  arreca  ad  un  giovane  allievo  Tapplicazione  di  un  prin- 
cipio tecnico  sbagliato  sarà  sempre  maggiore  di  quello  che  può  recare 
l'applicazione  di  una  falsa  interpretazione.  Le  opere  di  Beethoven, 
Schumann,  Chopin,  ecc.,  essendo  di  carattere  elevato  e  richiedendo 
per  la  loro  esecuzione  dei  musicisti  non  più  principianti,  questi,  con 
uno  studio  analitico  prodotto  da  una  coltura  musicale  adeguata,  pò* 
iranno  da  soli  correggere  gli  errori  dei  commentatori  e  applicare  da 
sé  la  vera  e  giusta  interpretazione  ;  invece,  per  un  allievo  iniziato 
da  anni  nello  studio  di  uno  strumento  con  una  digitazione  e  con  un 
principio  tecnico  falsi,  non  rimarrà  altro  che  il  doloroso  ritornello: 
«  punto  e  da  capo  ». 

Perciò  voglio  occuparmi  della  parte  tecnica  e  particolarmente  degli 
studi  in  edizione  economica  riveduti,  corretti  e  diteggiati  da  Giuseppe 
Buonamici  (Biblioteca  del  Pianista  —  Edizioni  Bicordi).  In  questa 
edizione  troviamo  studi  del  Czemy,  Cramer,  Diabelli ,  composizioni 
dello  Schumann,  ecc.,  ecc.,  insomma  buona  parte  del  corredo  indi- 
spensabile a  chi  vuole  imparare  il  pianoforte. 

Anzitutto,  che  cosa  ha  voluto  ed  ha  creduto  di  fare  l'egregio  maestro 
Buonamici  con  tutto  quell'enorme  lavoro  di  digitazione?  È  egli  con- 
vinto che  la  disposizione  delie  dita,  come  la  propone  nei  sullodati 
studi,  sia  adatta  per  alunni  principianti  non  solo,  ma  che  porti  a 
dei  risultati  felici,  con  guadagno  di  tempo  e  cooperi  alla  formazione 
di  una  tecnica  buona  e  corretta?  Ne  dubito  fortemente. 

Non  ch'io  voglia  per  misoneismo  attenermi  alla  strada  vecchia; 
è  bene  nella  musica,  come  in  tutte  le  altre  arti,  innovare  e  ricercare 
il  meglio,  ma  queste  innovazioni  non  debbono  avere  soltanto  ogget- 
tivamente una  pratica  utilità. 

Nelle  principali  scuole,  o  per  meglio  dire,  sistemi  per'  insegnare 
il  pianoforte,  ci  dev'essere  un  principio  fisso,  per  quanto  riguarda  lo 


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678  ARTI  CONTEMPORANBA 

adattamento  delle  dita;  dìfatti  nella  scuola,  per  es.^  del  Marchisio, 
del  Bomaniello,  del  grande  pedagogo  Czerny,  questo  principio  risulta 
evidente  e  spiegato:  troveremo  che,  mentre  l'uno  applica  il  sistema 
«  uniformità  di  figura,  uniformità  di  posizione  »  e  cioè  Tapplicazione 
delle  dita  in  modo  che  Tunico  o  almeno  il  principale  obbiettivo  sia 
quello  di  mantenere  più  che  sia  possibile  ferma  la  mano,  Taltro  ha 
il  principio  di  non  ribattere  un  tasto  (anche  in  movimenti  lenti)  col 
medesimo  dito,  spostando  la  mano,  ecc.,  ecc.  Sistemi  che  possono  es- 
sere buoni  0  almeno  non  dannosi,  ma  da  questi  a  quelli  eflTettiva- 
mente  nocivi  c'è  una  differenza. 

Cerchiamo  ora  di  vedere  qual  è  il  principio  seguito  dal  Buonamici 
nelle  edizioni  di  studi  per  pianoforte  e  prendiamo,  per  es.,  i  30  Studi 
del  meccanismo  del  Czerny  (op.  849),  scritti  espressamente  per  i  gio- 
vani alunni. 

Nella  terza  battuta  dello  studio  n.  3,  troviamo  per  la  mano  si- 
nistra, che  deve  eseguire  delle  terae  maggiori  alternate  con  seconde 
eccedenti,  indicata  questa  digitazione: 


^{^^^Trf^fe 


ora,  questa  digitazione  non  è  delle  più  chiare  ed  io  mi  domando  per 
quale  motivo  sul  solala  i  è  indicato  il  2""  e  3^  dito  anziché  il  2«  e  4^ 
Il  primo  inconveniente  che  ne  deriva  è  che,  per  una  successione  di 
bicordi,  fra  cui  vi  è  anche  una  pausa,  si  è  obbligati  a  spostare  la 
mano,  mentre  si  potrebbe  farne  a  meno  ;  il  secondo  che,  avendo  cinque 
dita  a  disposizione,  si  prende  una  seconda  eccedente,  sol-lai  (che 
equivale  ad  una  terza  minore  e  cioè  a  tre  tasti),  con  due  dita  vicine, 
obbligandole  ad  allargarsi. 

Queste  terze  (chiamiamole  pur  cosi)  non  si  succedono  tanto  rapi- 
damente, essendoci  in  mezzo  una  pausa  di  mezzo-quarto  e  non  vi  sa- 
rebbe una  necessità  di  cambiare  dito  sul  secondo  sol  e  cioè  di  pas- 
sare dal  4:^  dito  al  3^;  perciò  da  questo  cambiamento  risulta  evidente 
che  il  principio  del  Buonamici  è  di  cambiare  dito  dove  viene  ripe- 
tuto un  tasto.  Difatti  sul  salsi  applica  il  4''  e  1^  dito  e  quando  nel- 
l'accordo seguente  si  ripete  il  sol  col  2a#  cambia  dito,  come  si  vede 
dall'esempio. 


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LA  REVI8I0NB   DBLLX  EDIZIONI  MUSICALI  679 

Questo  può  esaere  un  sistema,  una  seuela,  e  fin  qui  sta  Imie» 
Tediamo  ui  po'  più  innanzi  nel  medesime  stadio;  alla  priva  bat- 
tuta della  seconda  parte  la  mano  sinistra  fa: 


'H-T-hrUl 


<  1  <  1 

4  4  4  4 


precisamente  una  digitazione  che  ba  tntt'altro  principie  di  quello  ohe 
abbiamo  constatato  poc'anzi. 

Benché  questo  passo  sia  quasi  anakigo  s  quello  di  prima,  perchè 
la  differenza  consiste  solamente  nel  &tto  che  nel  secondo  e  quarto 
accordo  anziché  un  {ai  vi  è  un  re,  troviamo  che  il  sol^  nota  ripe- 
tuta come  nella  terza  battuta  dello  studio^  viene  indicata  sempre  collo 
stesso  dito  e^  cioè  il  4^  Quale  è  dunque  il  sistema  del  Buonamiei? 
Se  in  questo  passaggio  lascia  la  mano  tranquilla,  non  feicendo  alcun 
caso  della  ripercussione  di  un  tasto  col  medesimo  dito,  perché  nel 
passaggio  dell'esempio  precedente,  obbliga  invece  Tallievo  a  scostare 
la  mano  e  cambiare  dito  sulla  ripetizione  di  una  nota? 

Se  s^e  US  sistraaa  e  pnMnsam^te  quest'oItkBar  come  sposta  la 
mano  verso  il  grave  nella  terza  battuta,  faccia  altrettanto  per  la  prima 
battuta  ddla  seconda  parte,  e  la  sposti  verso  l'acuto  diteggiando  il 
passo  cosi: 


^^ 


^-  D  y  D  y  D  f^ 


Iti 

5  4  0 


Benché  in  ambo  i  casi  non  sia  questa  la  digitazione  migliore,  si 
spiegherà  tuttavia  il  suo  operato  e  risulterà  che  il  suo  sistema  è  ap- 
punto quello  di  cambiare  le  dita:  nel  primo  passaggio  «  essendo  di- 
scendente il  movimento  dal  primo  al  secondo  accordo,  la  mano  ver- 
rebbe spostata  verso  il  grave: 


lUHiia  mu$ieak  iiaUtma,  VIIL  45 


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ARTE  CONTEMPORANEA 


e  nel  secondo  passag^o,  essendo  ascendente  il  movimento  dal  primo 
al  secondo  accordo,  la  mano  si  sposterebbe  essa  pare  verso  l'acuto: 


"'>'  rr!  T I 


Oppure,  come  nel  secondo  passaggio  mantiene  la  mano  tranquilla, 
non  curandosi  della  ripetizione  del  sol  col  medesimo  dito,  applichi 
la  stessa  digitazione  al  primo  passaggio. 


'^'  l  iHtT^ 


e  sarà  il  sistema  migliore  senza  dubbio. 

Proseguiamo  sempre  nel  medesimo  libro  di  studi:  nell'ottava  bat- 
tuta della  seconda  parte  dello  studio  n.  4,  troviamo  questo  passo  così 
diteggiato  per  la  mano  destra: 


I4at   ift<4   ifta4   ifta4 


La  digitazione  della  prima  quartina  di  semicrome  di  questa  bat- 
tuta costituisce  da  sé  una  cosa  talmente  fantastica,  per  non  dire  as- 
surda, che  invero  non  meriterebbe  alcuna  discussione;  se  non  per 
altro,  esaminiamola  per  vedere  con  quale  criterio  è  stata  applicata. 

Dalle  differenti  dita  segnate  per  le  due  ultime  note  di  questa  quar- 
tina, che  non  sono  altro  che  la  ripetizione  delle  due  prime,  si  do- 
vrebbe dedurre  che  la  base  o  meglio  il  principio  di  questo  processo 
sia  unicamente  quello  di  cambiare  le  dita  il  più  spesso  possibile. 

Che  in  certi  casi  convenga  in  un  passaggio,  che  si  potrebbe  ese- 
guire con  mano  ferma,  fare  qualche  cambiamento  di  dita,  che  a 
primo  acchito  sembrerebbe  anche  strano  e  fuori  posto,  lo  comprendo 
benissimo  :  è  anzi  non  di  rado  richiesto,  per  ottenere  certi  effetti  spe- 
ciali 0  certe  finezze  di  tocco,  che  con  una  digitazione  ordinaria  non 
si  otterrebbero  (Nelle  opere  di  Liszt  e  Chopin  troveremo  parecchi 
di  questi  esempi  dettati  dagli  stessi  autori).  Ma  qui  nel  caso 
nostro,  no. 


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LA  REVISIONE  DELLE  EDIZIONI  MUSICALI 


681 


Il  rapido  spostamento  che  subisce  la  mano  nel  cambiare  le  dita 
alle  due  ultime  note  della  quartina  è  non  solo  inutile  e  fuori  pro- 
posito, ma  benanco  nocivo  airesecuzione  stessa.  Si  noti  poi  che  per 
queste  quattro  note,  la  semplicità  delle  quali  non  richiedeva  neppur 
rindicazione  di  un  dito  (perchè  costituiscono  un  semplice  intervallo 
di  ierMa  minore^  cioè  tre  tasti  vicini),  il  Buonamici  ebbe  il  coraggio 
di  impiegare  quattro  dita  per  ridursi  poi  a  prendere  tutto  Tintervallo 
di  ieraa  con  due  dita  vicine,  cioè  col  2""  e  3^ 

Come  si  vede,  questo  non  è  più  un  sistema  o  una  scuola,  bensì 
un  capriccio,  una  ricerca  di  difficoltà. 

Ammettiamo  pure  che  fin  dai  principi  convenga  abituare  il  gio- 
vane alunno  a  certe  difficoltà  di  tecnica,  ma  queste  devono  essere 
relative,  progressive  e  spiegate,  o  almeno  devono  procurare  un'utilità 
pratica  per  l'avvenire;  diversamente  non  faranno  altro  che  generare 
confusione,  imbroglio,  pasticci,  come  del  resto  Tesperienza  dimostra. 

Nella  quartina  di  semicrome  che  abbiamo  testé  esaminato,  essendo 
essa  un  intervallo  di  teraa,  ì  due  9i  dovrebbero  essere  eseguiti  col 
1<>  dito  e  i  due  re  col  3^  Però,  volendo  evitare  la  ripercussione  delle 
dita  a  breve  distanza  e  fare  qualche  cambiamento,  questo,  anziché 
essere  totale,  come  Io  indica  il  Buonamici,  potrebbe  farsi  o  soltanto 
alla  nota  inferiore  oppure  alla  superiore: 


^g 


ÌH?fN 


sarà  almeno  evitata  la  difficoltà  che  risultava  prima  col  cambiamento 
di  tutte  e  due  le  dita  e  sarà  pure  evitata  l'esecuzione  spropositata 
6  inutile  del  si-re  col  2^  e  3<^  dito. 

Le  altre  tre  quartine  di  semicrome  di  questa  battuta,  costituiscono 
una  progressione  ascendente  per  gradi  congiunti  di  accordi  di  tei-za 
e  sesta  figurati,  i  quali,  scritti  nella  loro  forma  complessa,  si  do- 
vrebbero eseguire  con  questa  digitazione: 


i^ 


a      9 
1      1       1 


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682  ARTE  COIfTEHPORANEA 

In  generale,  la  digitazione  migliore  da  appliearsi  ai  passaggi  ebe 
coBtHoiscono  accordi  figurati,  è  quella  che  si  applicherebbe  ai  mede- 
simi accordi,  se  fossero  complessi,  tenendo  latafalaMste  costo  d^le 
debite  eccezioni  motivate  talvolta  dal  movimento,  te  progressioni  e 
da  speciali  esigenze  di  effetto.  Ad  esempio,  i  smecennati  tre  aocoidi, 
in  nn  movimento  lento  e  legato,  o  neir  esecnzione  SQU'orgaao,  do- 
vranno essere  esegaiti  con  la  sostituzione  delle  dita,  e  precisamente: 


L$niù.    *J    ^ 


^ 


ma  in  un  movimento  accelerato,  quesf  applicazione  non  sarebbe  pra- 
tica e  perciò  non  si  può  che  ricorrere  a  quella  poc'anzi  esposta,  cioè 
di  eseguire  tutti  tre  gli  accordi  colle  stesse  dita.  Perciè  alle  tre  quar- 
tine di  semicrome,  che  vanno  eseguite  in  movimento  allegro  e  che, 
come  abbiamo  visto,  non  sono  altro  che  tre  accordi,  si  dovrà  appli- 
care questa  digitazione: 


ÀlUgf, 


p 


g^ 


ifta»      i&<6 


che  corrisponde  a: 


.    a      s      a 


Sistema  semplice,  naturale  e  molto  pratico,  secondo  me. 

Non  cosi  però  la  pensa  il  Buonamici,  che  airultima  nota  dì  eia- 
scuna  quartina  segna  il  4<>  dito  invece  del  5*.  Le  ragioni  di  questo 
cambiamento  sono,  a  mio  parere,  due  e  cioè:  primo,  evitare  la  ripe- 
tizione, anche  non  immediata,  di  una  nota  col  medesimo  dito 


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LA  REVISIONE  DCLLB  EDIZIONI  MUSICALI  663 

(come  8Ì  vede,  Tiiltìma  nota  di  questa  quartina  è  la  ripetìziene  della 
seconda);  secondo,  (e  qd  questo  cambiamento  di  dita  può  essere  più 
giustificato)  r(^»pmtunità  di  approfittare  della  ripetizione  di  una  nota 
per  avere  il  5**  dito  libero  e  già  in  posizione  sopra  la  neconda  nota 
della  seconda  quartina,  dove,  collo  stesso  processo,  viene  a  GHia  ¥olta 
preparato  e  messo  a  posto  per  la  terza  quartina  e  via  di  sofputo; 
poiché  abbiamo  visto  die  la  successione  delle  iare  quartine  non  è  che 
una  progressione  ascendente.  Vediamo  infatti  che,  mettendo  il  4*  dito 
sul  secondo  m2,  il  S^  andrà  naturalmente  sul  posto  del  la;  come  dal 
la,  una  volta  sostituito  col  4^",  il  5''  dito  si  troverà  sul  si 


1   I      '"l 


r^pCT^UT^ 


Pur  essendo  dunque  generalmente  ammessa  quale  base  per  diteg- 
giare un  accordo  figurato,  la  stessa  digitazione  che  si  applicherebbe 
ad  esso  accordo  se  fosse  complesso,  il  Buonamici  ha  ricorso  precisa- 
mente al  metodo  della  sostituzione  delle  dita: 


^ 


donde  : 


^m 


S 


Come  ho  già  detto,  tale  principio  può  essere  buono  in  un  movi» 
mento  lento,  ma  giammai  in  un  movimento  accelerato.  Se  il  cam- 
biaosento  o  la  sostituzione  del  4^  dito  al  5°  ha  lo  scopo  e  di  evi- 
tare la  ripetizione,  benché  non  immediata,  di  una  nota'  col  medesimo 
dito,  e  di  preparare  in  certa  qual  maniera  la  posizione  della  mano 
per  l'esecuzione  della  successiva  quartina  di  semicrome,  in  ambo  i 
casi  questo  vantaggio  viene  eliminato  e  completamente  distrutto 
dallo  q)Ostamento  che  deve  fare  il  4<>  dito  per  sostituire   il   5"". 


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684  ARTE  CONTEMPORANEA 

Aggiungiamo  poi  che  con  ciò  si  prepara  una  sola  nota:  si  avrà  li- 
bero il  5""  dito  per  l'esecuzione  della  seconda  nota  della  susseguente 
quartina,  mentre  il  P  e  2«  dito  dovranno  egualmente  spostarsi  di 
un  grado  ascendente  per  Tesecuzione  della  prima  e  terza  nota  della 
quartina  successiva.  Del  resto,  chiunque  *  provi  a  mettere  la  mano 
destra  sul  pianoforte  vedrà  che  per  l'esecuzione  delle  note  delle  tre 
quartine,  essa  si  troverà  in  posizione  di  sesia^  o  per  meglio  dire,  col 
P  e  5^  dito  dovrà  prendere  sei  tasti  vicini.  Ora  questa  è  una  posi- 
zione abbastanza  ristretta  per  considerare  come  superfluo  il  fiire  al- 
largare, senza  una  reale  necessità,  il  2""  e  4"»  dito  per  f&r  loro  pren- 
dere un  intervallo  di  qtMrta.  Il  vantaggio  perciò  che  si  ottiene 
sostituendo  il  4^  bì  b^  dito  non  solo  resta  distrutto,  ma  risulta  per- 
fettamente irrisorio. 

Dato  dunque  che  il  1"  e  2^  dito  devono  forzatamente  spostarsi  verso 
l'acuto  per  la  successiva  quartina,  il  loro  stesso  avanzamento  farà  si 
che  la  mano  tutta  avanzerà  di  un  grado,  ed  il  5^  dito  si  troverà 
egualmente  a  posto,  pronto  per  la  nota  che  dovrà  battere  nella  se- 
guente quartina.  Dall'ultima  nota  di  una  quartina  alla  prima  della 
seguente,  la  mano,  dalla  posizione  di  sesia,  passerà  per  un  momento 
a  quella  di  quinta,  ma  l'avanzamento  del  pollice  farà  subito  ritornare 
la  mano  nella  sua  prima  posizione,  cioè  di  sesia,  pronta  e  colle  dita 
a  posto  sopra  le  nuove  note  che  dovrà  eseguire: 


Riepilogando,  potremo  stabilire  che  se  da  questa  digitazione  non 
si  hanno  vantaggi  veramente  grandi,  non  si  avranno  però  gì' incon- 
venienti che  risultano  da  quella  indicata  dal  Buonamici,  e  che  infine 
sarà  sempre  più  facile  e  più  pratico  stringere  le  dita  e  passare  dalla 
posizione  dì  sesia  a  quella  di  quinta,  anziché  allargarle  e  prendere 
un  intervallo  di  quattro  tasti  col  2^  e  4^  dito,  cioè  con  tre  dita  vi- 
cine, delle  quali  nessuna  è  il  pollice,  unico  dito  che  ha  la  proprietà 
di  staccarsi  dagli  altri  molto  facilmente. 

Volendo  in  generale  adottare  per  la  digitazione  il  sistema  di  cam- 
biare le  dita  per  evitare  la  ripercussione  di  un  tasto  col  medesimo 


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LA  RETI8X0NB  DELLE  EDIZIONI  MUSICALI  685 

dito  (intendo  sempre  parlare  di  ripetizione  non  immediata  e  cioè  di 
due  note  ugnali  intercalate  da  una  di  differente  nome),  a  me  pare 
che  convenga  eziandio  tener  conto  del  movimento  complessivo  che  le 
dita  devono  fare  in  un  dato  passaggio,  perchè  se  il  risultato  della 
esecuzione  può  avere  un  vantaggio  (molto  relativo  però)  dal  non  ri- 
battere un  tasto  col  medesimo  dito,  questo  cambiamento  può,  a  sua 
volta,  come  abbiamo  visto,  recare  all'esecuzione  delle  note  successive 
un  danno  ben  più  grande  di  quello  che  potrebbe  derivare  dalla  ripe- 
tizione di  una  nota  senza  cambiar  dito.  Tale  sistema  potrà  essere 
buono  e  vantaggioso  per  l'esecuzione  di  passaggi  lenti  o  di  carattere 
melodico,  ma  che  sia  applicabile  a  studi  come  questi  del  Czemy, 
studi  elementari,  scritti  per  principianti  e  più  ancora  per  mani  che 
non  raggiungono  Vottava,  a  studi  che  hanno  lo  scopo  (lo  dice  il  Czemy 
e  non  io)  di  sviluppare  il  meccanismo  delle  dita,  no  e  mille  volte 
no  !  Si  persuada  l'egregio  maestro  Buonamici  che  questo  non  è  pro- 
prio il  sistema  più  adatto  per  conseguire  tale  scopo. 

La  difficoltà  per  un  giovane  alunno  di  eseguire  bene  questi  30  Studi 
del  Meccanismo  non  è  tanto  lieve  e  perciò  sarà  sempre  più  opportuno 
diminuirla  con  della  chiarezza,  anziché  aumentarla  con  delle  digita- 
zioni impossibili. 

Prendiamo  ancora,  sempre  dal  medesimo  libro,  per  es.,  lo  studio 
n.  23.  Nella  terza  battuta  troviamo  questo  passo  per  la  mano  si- 
nistra : 

L      II.     m. 


^^'"bfaUUU 


Ài  I  e  al  II  la  è  indicato  il  2»  dito,  al  III  il  1<^  dito:  non  più 
dunque  il  sistema  di  evitare  la  ripetizione  di  una  nota  col  medesimo 
dito.  Se  dopo  aver  segnato  i  due  primi  la,  che  sono  vicini,  col  2*  dito 
il  Buonamici  fa  eseguire  col  1^  il  III  Za,  una  ragione  di  questo  cam- 
biamento ci  dev'essere.  Invece,  esaminando  il  suddetto  passaggio,  ve- 
dremo che  non  solo  non  esiste  alcuna  ragione  plausibile  per  cambiare 
dito  sul  III  2a,  ma  con  questo  cambiamento,  che  obbliga  a  sua  volta 
a  segnare  per  le  note  successive  un'altra  disposizione  delle  dita,  di- 
versa da  quella  normale,  si  finisce  per  creare  delle  difficoltà,  dove 
si  potrebbe  benissimo  fame  a  meno. 


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ARTE  GONTKMPOBAMSA 


iD&ttì,  collft  8q)pre88Ì0Be  éA  2f^  dito  per  mettere  il  P  sol  III  te, 
si  restrÌDge  la  smdo  e  si  preide  il  2a-mj,  intenrallo  ài  qtuaria^  col. 
1^  -e  ò^  àiU^  per  poi  allargarla  e  prendera  il  a-m,  ìniondlo  di 
jfumta,  «col  2*  e  5^  dito:  e  cosi  risulta  nen  solo  lo  sproposito  di  ese- 
guire un  interraUe  di  quarta  con  l'estenfflone  di  etnqae  dita,  e  vm 
intervalle  di  quinta  con  l'esteBsiene  di  quditro  dita,  ma  per  firn 
la  qmnia  m-mi  osi  2<>  e  5<»  dito,  il  2^  è  obbligato  a  passare  aopra 
il  poUioe,  essendo  stato  quest'ultimo  impiegato  nella  quarta  la -mi 
€he  precede,  e  dofendo  essere  impiegato  nuovamente  nella  quarta 
te -mi  che  succede.  Questa  d^itazione  potrebbe  ancora  passare  «  sa- 
rebbe spiegata  se  la  prima  nota  ddl'altimo  quarto  fosse  più  acuta 
della  prima  del  terso  quarto,  e  un  dò  o  un  re  : 


^'"'^UUU' 


e  si  dovesse,  per  avere  libero  il  P  dito  per  il  <fo,  mettere  il  2*  sul 
8i^  e  in  conseguenza  il  l""  sul  III  la;  vediamo  invece  che  T  ultimo 
quarto  è  uguale  al  secondo,  temt,  intervallo  di  quarta^  che  il  Buo- 
namici  fa  di  nuovo  prendere  col  1^  e  ò""  dito. 

Nella  digitazione  di  questo  passaggio,  essendo  ormai  escluso  che 
il  sistema  di  evitare  la  ripercussione  non  immediata  di  un  tasto  sia 
osservato  dal  Buonamici,  a  me  pare  che,  «ome  si  eseguiscono  i  due 
primi  la  col  2^  dito,  si  potrebbe  benissimo  eseguire  anche  il  terzo 
collo  stesso  dito.  Bitengo  che,  non  essendo  necessario  alcun  restrin- 
gimento 0  allargamento  delle  dita,  perchè  il  passo  è  tutto  compreso  in 
un  intervallo  di  quinta^  la  digitazione  migliore  e  con  evidente  van- 
taggio per  l'esecuzione  sarà  quella  che  mantiene  la  tranquillità  as- 
soluta della  mano: 

I.      n.     111. 


?^^^^^»      ^^S      ^^5      ^^5 


n  sistema  che  ha  dunque  il  Buonamici  per  diteggiare  non  è  più 
basato  su  principi  atti  o  a  sviluppare  la  tecnica  o  a  facilitare  l'ese- 


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LA  REVISIONE  DELLE  EDIZIONI  MUSICALI  *  687 

cusioDe  «  a  render  questa  nitida,  ma  è  paramente  un  lavaro  di  ca- 
prìccio, fatto  eenza  criterio  o  coecienza.  Anche  dove  il  Baonamici 
potrebbe  veramente  indicare  cambiamento  di  dita,  perchè  il  cambia- 
meniio  è  richiesto,  egli  fa  l'opposto,  seguendo  il  suo  princìpio  di  non 
aver  principio. 

Se  prendiamo  di&tti  la  settima  battuta  del  medesimo  studio  su- 
mero 23,  troviamo  questo  passo  per  la  mano  destra  : 


i4,¥yjjMliy 


«ce. 


98StftS5SS8 


Bitenendo  che  il  Buonamici  abbia  considerato  il  passo  nel  suo 
complesso  prima  di  diteggiarlo,  non  sarà  errore  T  eseguire  il  la -fa 
della  seconda  quartina  col  5^  e  3^  dito  anziché  col  4<>  e  2^,  come  a 
primo  aspetto  potrebbe  sembrare  migliore  e  più  naturale  :  in  tal  guisa 
si  conserva  libero  e  pronto  il  2"*  dito  pel  rej|  della  terza  quartina. 
Vediamo  però  che  dairesecuzicme  del  soljj^'-la,  intervallo  ài  seconda 
minore,  col  3*  e  5""  dito  risulterà  un  grande  inconveniente:  il  S""  dito, 
per  quanto  esercitato  e  flessibile,  avrà  sempre  della  difficoltà  a  pas- 
sare sotto  il  4<^,  che  viene  soppresso,  e  avvicinarsi  al  3\  A  me  pare 
che  se  c'è  un  passaggio  in  cui  il  cambiamento  delle  dita,  non  solo 
sarebbe  opportuno,  ma  necessario,  è  precisamente  questo. 

Diteggiando  il  passo  in  parola,  p.  es.,  così: 


jXSiÀjjJUUm 


98a04aftt9 


si  avrebbe  egualmente  prontoie  libero  il  2^  dito  pel  re|,  e  Tinoon- 
veniente  che  risultava  dall'esecuzione  iAaoljj^-la  còl  3"*  e  5^  dito,  sa- 
rebbe del  tutto  evitato,  perchè  preferibile  e  più  pratico  restringere 
le  dita  e  sopprimerne  uno  in  un  intervallo  di  terga  (eseguire  cioè 
il  fa^-la  col  2^  e  5®  dito)  anziché  sopprimere  un  dito  in  un  inter- 
vallo di  seconda  minore  (eseguire  il  soljj^-la  coi  3^  e  5^  dito)  come 
indica  il  Buonamici. 

Di  queste  amenità  sono  ornati  non  solo  tutti  i  30  Stadi  del  Czemy, 
dei  quali  abbiamo  tolto  ed  esaminato  qualche  passaggio,  ma  tutta 


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ARTE  CONTEMPORANEA 


la  serie  di  opere  corrette,  rivedute  e  diteggiate  dal  Baonamici.  Troppo 
lungo  sarebbe  perciò  analizzarle  tutte;  è  ormai  evidente  che  se  l'edi- 
zione in  parola  ha  del  buono,  che  non  nego,  non  le  manca  il  cattivo, 
che  è  molto  cattivo  e  che  produce  gli  effetti  che  ognuno  può  im- 
maginare. 

Uno  sguardo  ancora  alle  Suonatine  per  pianoforte  a  quattro  mani 
del  Diabelli  (op.  163):  trascrivo  senza  commento  le  tre  prime  bat- 
tute àeWAllegro  moderato  della  prima  Suonatina.  Credo  sufficiente 
presentare  le  suddette  battute  colla  vera  e  giusta  digitazione: 


AUigro  modirato,    8*- 


i 


S4  5811  as2at  54S4aS 


^^1^ 


•      a  18      5      5 


4      S      4      4      S 


g^^i^^^ 


^ 


1      a      S      9      4      s 


f^nj 


e  poi  colla  digitazione  indicata  dal  Buonamici: 


AUtgro  moderato,    y-^-^-»^*"^-»^ 


5BE 


è 


19  18      9       1 


^1^^ 


8      9  19      4      8 


■*-#- 


9      8      9      8 


^^=P=^ 


^ 


8      9      8      9 


lasciando  giudicare  a  chiunque,  dal  confronto,  quale  sia  migliore  e 
più  pratica.  Per  mio  conto  mi  limiterò  a  far  osservare  che  Tunico 
scopo  per  cui  sono  state  fatte  queste  Suonatine  è  quello  di  insegnare 
a  dividere  e  contare  il  Tempo,  e  per  «raggiungere  con  maggior  faci- 
lità tale  scopo,  Fautore,  nello  scriverle,  ha  pensato  con  savio  criterio 
di  lasciare  la  mano  sempre  tranquilla  nell'estensione  delle  cinque  dita, 
evitando  non  solo  il  passaggio  del  pollice,  ma  perfino  un  più  piccolo 
spostamento  come  quello  di  giungere  all'intervallo  di  sesta,  affinchè 
l'alunno,  dopo  aver  messo  a  posto  la  mano  sul  pianoforte,  non  sia  ob- 
bligato a  pensarci  più  e  possa  rivolgere  tutta  la  sua  mente  al  Tempo 
e  alla  Divisione.  Questa  almeno  è  la  mia  convinzione.  Il  titolo  stesso 
di  queste  Suonatine  « neirestensione  di  cinque  note  a  mano 


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LA  REVISIONE  DELLE  EDIZIONI  MUSICALI  t)Oi^ 

tranquilla  »  che  non  è  ommesso  nell*  edizione  Baonamici,  avrebbe 
almeno  dovuto  ricordare  al  ri  veditore  lo  scopo  per  cui  l'autore  le  ha 
composte,  invece  suona  come  un'ironia. 

Non  parliamo  più  nò  di  sistemi  nò  di  scuole:  abbiamo  già  con- 
statato come  questi  non  esistano  nelle  edizioni  Buonamici.  In  ogni 
modo  il  suo  operato  sarebbe  ancora  spiegabile,  qualora  tutti  i  cam- 
biamenti, restringimenti  e  allargamenti  di  dita  e  gli  spostamenti  della 
mano  giovassero  agli  alunni  e  fossero  fatti  in  omaggio  al  noto  afo* 
risma  «  il  fine  giustifica  i  mezzi  ».  Arrivando  invece  ad  una  gran 
confusione,  ò  proprio  il  caso  di  dire  che  i  mezzi  giustificano  il  fico. 
Egli  ò  ben  vero  che  ciascuno  ò  padrone  di  applicare  ad  un  passaggio 
la  digitazione  che  meglio  crede  o  che  più  conviene  alla  conformazione 
della  propria  mano,  come  ciascuno  sarà  padrone  di  interpretare  una 
composizione  a  suo  modo;  ma  trattandosi  di  popolarizzare  e  far  adot- 
tare da  altri  la  propria  opinione,  non  basterà  che  essa  esplichi  la 
nostra  personalità;  dovrà  bensì  essere  basata  su  leggi  e  principi  fissi, 
derivanti  entrambi  da  risultati  di  lunga  esperienza  e  lunghi  studi 
pratici. 

Non  giungerà  mai  ad  una  buona  interpretazione  chi  non  ha  curato 
col  massimo  scrupolo  la  parte  tecnica.  La  grande  importanza  di  que- 
st'ultima, non  da  tutti  tenuta  in  bastante  considerazione,  mi  spinse 
a  fare  le  precedenti  osservazioni  sull'edizione  Buonamici,  perchò  ò 
molto  popolare  e  scorretta.  Comprendo  che  ci  sono,  e  fortunatamente, 
altre  edizioni  straniere,  senza  bisogno  di  ricorrere  a  quella  riveduta 
dal  Buonamici,  ma  via,  possiamo  desiderare  che  anche  in  Italia,  e 
da  un'importante  Gasa  Editrice,  come  quella  di  Kicordi,  che  nulla 
ha  mai  trascurato  per  il  progresso  artistico  e  scientifico  della  musica, 
venga  pubblicata  un'edizione  non  zeppa  di  errori,  e  l'egregio  maestro 
Buonamici,  che  se  avesse  ponderato  e  non  lavorato  cosi  a  caso  avrebbe 
certo  potuto  fare  qualcosa  di  meglio,  converrà  lui  pure  che  non  è 
ammessibile  e  non  ò  permesso  imporre  o  consigliare  un  simile  sistema 
di  digitazione,  tanto  più  in  una  serie  di  studi  ed  opere  che  costi- 
tuiscono la  base  principale  dello  studio  del  pianoforte. 

Aosta,  dicembre  1900. 

Gustavo  Magrini. 


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IL  TEATRO  LIRICO  NAZIONALE 
E  LA  PROPRIETÀ  LETTERARLi  ED  ARTISTICA 


i^a  scomparsa  del  nostro  S<Mnmo  Musidsta  ha  fatto  sorgere  — 
0  meglio  risorgere  —  Tidea  della  istituzione  di  un  Teatro  Lirico 
Nazionale.  Invitati  dal  Conte  di  San  Martino^  si  riunirono  all'Acca- 
demia dì  Santa  Cecilia  i  rappresentanti  della  stampa  romana  per 
deliberare  circa  le  onoranze  da  tributarsi  à  Verdi,  e  votarono  un 
ordine  del  giorno  nel  quale,  dopo  aver  approvata  l'iniziativa  dell'AC* 
cademia  per  un  nK)numento  in  Roma,  T assemblea  «ritenendo  che, 
più  degna  onoranza  da  tributarsi  alla  memoria  di  Verdi,  sia  l'isti- 
tuzione in  Roma  di  un  Teatro  Lirico,  ove  trovino  degno  asilo  le  ma- 
nifestazìoBi  del  genio  musicale,  decide  di  iniziare  unanimemente  un 
movimento  inteso  a  ottenere  dalle  Autorità  l'attuazione  di  tale  dis^o, 
dando  incarico  al  Presidente  dell'Accademia  di  fare  tutte  le  pra- 
tiche che  possano  facilitare  il  raggiungimento  del  nobile  scopo  ».  La 
stessa  idea  era  sorta  contemporaneamente  a  Milano,  dove  il  critico 
di  un  giornale  quotidiano  augurò  che  si  avesse  a  instituire  nella 
capitale  d'Italia  txn  Teatro  Nazionale,  centro  del  movimento  lirico  di 
tutta  la  nazione. 

Sarà  possibile  ottenere  lo  scopo  desiderato,  oppure  —  passato  il 
momento  dell'entusiasmo  —  tutto  cadrà  nell'oblio,  come  pur  troppo 
avviene  di  sovente  tra  noi?  Auguriamoci  che  ciò  non  accada  questa 
volta,  e  pensiamo  che  oggidì  l'Italia,  il  così  detto  paese  della  musica, 
è  l'unico  Stato  civile  che  non  abbia  un  simile  istituto,  mentre  più 
che  ogni  altra  Nazione  dovrebbe  essa  possedere  un  Teatro  Nazionale, 
oltre  che  per  gli  intendimenti  altamente  educativi  che  se  ne  trar- 


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IL  TEATRO  LIRICO  NAZIONÀLS  B  LA  PROPRIBTÀ  LETTERARIA  ED  ARTISTICA  691 

rebWo,  anche  per  Tincremente  deirindostrìa  teatrale,  la  quale  con* 
serva  tuttora  grande  importanza  fra  noi,  vml  andrà  sempre  più  deca- 
dendo ote  non  si  pensi  a  prorredere  (1). 

La  questione  è  certamente  assai  complessa  e  di  difficile  attuazione. 
Una  prima  e  vitale  decisione  a  prendersi  sarebbe  sulla  convenienza 
che  un  simile  istituto  avesse  a  sorgere  in  Boma,  perchè  capitale  del 
Regno,  piuttosto  che  nel  ma^or  centro  artistico  dltalia^  a  Milano, 
nel  Teatro  alla  Scala,  che  ha  una  immortale  tradizione  di  gloria, 
gode  di  una  fama  naondialoi^  e  costituisce  indubbiamente  il  principale 
tempio  dell'arte  italiana. 

Ma  non  è  questa  certo  la  più  ardua  delle  questioni  che  si  pre- 
sentano; allorché  la  costituzione  del  Teatro  Lirico  Nazionale  sia  stu- 
diata in  ogni  sua  parte  e  si  sia  deciso  in  quale  delle  due  città  il 
teatro  debba  aver  sede,  la  sacrificata  cederebbe  certo  il  campo  alla 
prescelta,  sottomettendo  la  propria  nobile  ambizione  alla  attuazione 
della  grande  Idea. 

La  mente  si  ritrae  spaventata,  allorché  incomincia  a  ventilare  tutte 
le  difficoltà  enormi  che  fanno  ostacolo  al  nobile  progetto.  La  Francia 
ha  un  tempio  dell'arte  lirica,,  ma  esso  è  nato  —  e  man  mano  si 
accrebbe  —  contemporaneamente  all'arte  della  musica  teatrale.  È 
agli  italiani,  si  deve  dirlo  con  orgogliosa  tristezza,  che  la  Francia 
deve  la  sua  Académie  Nationale  de  Musiqtie^  fondata  con  Patenti 
Beali  dall'abate  Ferrin  nel  1669,  subito  dopo  le  prime  rappresenta- 
zioni d'opere  italiane,  i  cui  esecutori  erano  artisti  italiani,  chiamati 
dal  Cardinale  Mazzarino.  E  fu  LuUi,  il  grande  la  cui  gloria  ci  è 
invano  contesa  dalla  Francia,  che  le  diede  subito  dopo  ampio  svi- 
luppo, facendosi  sostituire  al  Perrin  nel  1672  con  altra  Patente  di 


(1)  Tutti  i  paesi  civili  applicano  la  masica  come  mez20  potente  di  edacazione 
e  di  ingentilimento  dei  costumi.  Citiamo  un  esempio:  in  Amburgo,  nello  5to(7/- 
theater  due  Tolte  per  settÌTuana  si  danno  spettacoli,  a  eni  intervengono  per  turno 
tutti  gli  loolarì  della  città,  pagando  soli  S5  pfennig  a  testa  ;  ed  il  Senato  sta 
studiando  una  sovvenzione  per  rendere  completamente  gratuite  le  Schuler- 
VorsUìlungen.  Quanto  siamo  lontani  da  simile  ideale  !  (V.  Somigli,  Del  Teatro 
Beale  d'Opera  in  Monaco,  in  Riviata  musicale  italiana,  1898,  pag.  729). 


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ARTB  CONTEMPORANEA 


Luigi  XIV,  in  cui  leggesi  :  «  Et,  d'autant  que  nous  Térìgeons  sur  le 
«  pied  de  celles  des  académies  d'Italie  où  les  gentilshommes  chantent 
«  pnbliquement  en  musique  sans  déroger,  voulons  et  nous  plaist  que 
«  tons  gentilshommes  et  damoiselles  puissent  chanter  auidites  pièces 
«  et  représentations  de  notre  dite  Académìe  royale,  sans  que  pour 
«  ce  ils  soient  censés  déroger  audìt  titre  de  noblesse  et  à  leurs  pri- 
«  vilèges  ».  E  da  quell'epoca,  da  quando  per  volere  del  Ke  molti 
signori  della  Corte  danzarono  nel  balletto  «  Les  Fétes  de  TAmour 
et  de  Bacchus  »,  all'inaugurazione  del  primo  teatro  dell'Accademia, 
il  15  novembre  1672,  tutti  i  governi  che  si  succedettero  Jiella  bella 
terra  di  Francia,  diedero  sempre  appoggio  all'Accademia,  conside- 
randola come  una  istituzione  di  evidente  utilità  pubblica.  I  privilegi 
a  suo  favore  crebbero  continuamente,  a  poco  a  poco  si  formò  una 
vera  e  propria  Amministrazione  collegiale,  nel  1784  si  vide  la  neces- 
sità di  creare  allievi  per  l'Accademia  e  si  decretò  la  fondazione  di 
una  scuola  per  insegnare  «  tout  ce  qui  peut  servir  à  perfectionner 
les  différents  talents  propres  à  la  musique  du  roi  et  à  l'Opera  »,  e 
persino  la  Convenzione  sentì  di  dover  mantenere  questa  istituzione 
nazionale,  dettando,  il  27  vendemmiale,  anno  III,  delle  disposizioni 
speciali  per  essa,  che  prese  nome  di  Théàtre  des  Aris  <  place  sous 
la  surveillance  et  sous  la  direction  speciale  de  la  Bépublique  ». 

Una  simile  tradizione  —  rimasta  ininterrotta,  in  virtù  della  quale 
anche  oggi  l'Accademia  Nazionale  di  Musica,  retta  da  un  Direttore 
autonomo,  ma  sotto  la  diretta  sorveglianza  del  Ministro  della  Istru- 
zione e  delle  Belle  Arti,  percepisce  una  sovvenzione  di  ottocentom>la 
franchi  all'anno,  —  da  che  cosa  può  essere  rimpiazzata  nella  costitu- 
zione di  un  nostro  Teatro  Nazionale,  il  quale  deve  sorgere  già  perfetto 
e  completo? 


Eppure  le  difficoltà  non  debbono  spaventare ,  e  se  veramente  la 
cosa  sarà  studiata  sotto  tutti  gli  aspetti  da  persone  competenti,  e 
se  il  potente  grido  sorto  dall'anima  del  popolo  allo  sparire  del 
Grande,  avrà  fatto  comprendere  a  chi  presiede  alla  cosa  pubblica 
quale  sia  la  forza  dell'arte  nella  vita  nazionale,  l'Utopia  potrà  dive- 
nire Realtà. 


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IL  TIATRO  LIRICO  NAZIONALE  E  LA   PROPRIETÀ  LETTERARIA  ED  ARTISTICA  693 

Non  certo  io  voglio  oggi  affrontare  il  difficile  problema,  alla  cui 
risoluzione  tante  energie  e  tanti  studi  dovranno  concorrere.  Io  desi- 
dero solo  esprìmere  le  mie  idee  sopra  una  questione  vitale,  la  cui 
risoluzione  è  necessaria  per  poter  affrontare  le  altre  faccio  del  grande 
poliedro. 

Per  fiirlo  debbo  mettere  un  dito  sopra  una  piaga;  ma  chiunque 
si  già  interessato  un  poco  alle  cose  teatrali  di  questi  ultimi  tempi 
dovrà  convenire  con  me>  che  quanto  verrò  esponendo  risponde  ad  un 
sentimento  generale. 

Voglio  parlare  del  diritto  di  autore  in  rapporto  alle  rappresenta- 
zioni pubbliche  di  un'opera  in  musica. 

La  proprietà  letteraria  ed  artistica  è  in  Italia,  come  è  noto,  disci- 
plinata dal  Testo  Unico  19  settembre  1882. 

Questa  legge,  seguendo  il  principio  accettato  da  quasi  tutte  le 
legislazioni,  stabilisce  una  durata  limitata  al  diritto  d'autore  ;  ma 
finché  Topera  deiringegno  non  è  passata  nel  dominio  pubblico,  l'autore, 
0  colui  al  quale  questi  ha  ceduto  il  suo  diritto,  può  disporre  in 
modo  assoluto  dell'opera  stessa  ed  impedirne  qualsiasi  riproduzione. 
Questo  principio  di  assoluta  disponibilità  vale  tanto  pel  diritto  di 
pubblicazione,  quanto  per  quello  di  rappresentazione:  anzi  il  diritto 
di  rappresentazione  è  anche  pib  assoluto.  Infatti,  mentre  per  il  di- 
ritto di  pubblicazione  si  sono  stabiliti  due  periodi,  nel  secondo  dei 
quali  chiunque  può  pubblicare  l'opera  altrui,  pagando  un  premio 
sopra  il  prezzo  lordo  dell'opera  a  colui  —  erede  od  avente  causa 
dell'autore  —  cui  il  diritto  appartiene,  per  il  diritto  di  rappresen- 
tazione si  è  accolto  un  concetto  piti  assoluto  :  la  legge  stabilisce  un 
periodo  unico  di  ottantanni,  durante  il  quale  il  diritto  di  rappre- 
sentazione ed  esecuzione  di  un'opera  adatta  a  pubblico  spettacolo  ap- 
partiene in  modo  esclusivo  all'autore  o  suoi  aventi  causa:  trascorso 
tale  periodo  l'opera  cade  nel  dominio  pubblico.  Così  ad  esempio,  il 
Falstaff,  l'ultimo  capolavoro  del  Grande  che  piangiamo,  pubblicato 
e  rappresentato  per  la  prima  volta  nel  1893,  non  può  essere  pub- 
blicato da  chicchessia  sino  all'anno  1933;  da  tale  epoca  sino  al  1973 
chiunque  potrà  pubblicarlo  purché  ne  faccia  speciale  dichiarazione 
e  paghi  agli  aventi  causa  del  Maestro  Verdi  il  cinque  per  cento  sul 


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ARTB  CONTBBfPORANEA 


prezzo  lordo  indicato  sopra  ciascun  esemplare;  Inveee  per  tutti  e  due 
questi  periodi  il  diritto  di  rappresentazione  pennane  assoluto  nel  pro- 
prietario del  diritto  d'antere;  vale  a  dire  fino  al  1973  nessuno  potrà 
mai  rappresentare  il  FaUstaff  senza  il  permessa  speciale  della  Ditta 
proprietaria. 

Ora  chiunque  metta  a  raffronto  queste  diqposizioni  legislative  colle 
condizioni  attuali  del  raercato^  teatrale,  si  convincerà  ftcilm^te  come 
esse  rendano  impossibile  la  costituzione  di  un  Teatro  Lirico  NazioBaler 
qualunque  sìa  la  potenza  dei  mezzi  tecnici  e  finanziarii  coi  quali 
esso  sia  organizzato. 

In  Italia  oggi  esistono  soltanto  due  grandi  Case  editorialfr  le  cui 
passate  rivalità  sono  a  tutti  note,  e  diedero  luogo  or  sono  pochi  anni 
ad  un  lungo  dibattito  giudiziale,  pel  quale  fu  inibjto  ad  una  di  esse 
di  pubblicare  e  rappresentare  parecchie  opere  antiche,  quali  lì  Bar- 
biere di  Siviglia,  GugUeìmo  2W2,  La  Sann&mhvla^  Lueregia  Borgia^ 
Linda  di  Chammmix,  Maria  di  Bohati,  Oli  UgtmoiH,  Boberù^  il 
Diavolo,  Lucia  di  Lammermoor,  L'Elàir  d'Amore^  La  Favorite,  / 
Puritani. 

Le^  opere  in  musica  più  importanti,  nazionali  ed  estere,  antiche 
e  moderne,  appartengono  all'uno  o  all'altro  di  questi  due  editori  ;  e 
qualunque  autore  moderno  il  quale  voglia  fiursi  conoscere  ed  apprez* 
zare,  deve  cedere  il  proprio  lavoro  o  all'uno  o  all'altro  di  essi  ;  quel- 
l'autore, il  quale  volesse  conservare  la  prq>rietà  dell'opera  sua,  sar 
rebbe  matematicamente  sicuro  che  il  suo  nome  resterebbe  nell'oblio, 
e  se  anche  il  dramma  lirico  riuscisse  ad  avere  un  trionfo  in  qualche 
teatro  nel  quale  con  gravi  sacrifizii  Tautore  fosse  riuscito  a  farlo  rap- 
presentare, in  breve  lasso  di  tempo  sarebbe  ugualmente  sommerso 
nella  più  completa  indifferenza. 

Basti  citare  un  esempio:  Hànsel  und  Chreiel  di  Humperdiuck  ha 
avuto  un  successo  trionfale  in  tutto  il  móndo;  dalla  Germania  è  pas- 
sato in  Inghilterra  e  in  America;  e  nell'  anno  scorso  è  entrato  nd 
repertorio  dell'Opra  Comique  di  Parigi,  con  un  numero  intermina- 
bile di  repliche.  Questo  capolavoro  di  grazia  e  di  spontaneità,  spo^ 
sate  ad  una  scienza  musicale  profonda ,  non  appartiene  ad  alcun 
editore  italiano;  fu  rappresentato  in  uno  o  due  teatri  della  penisola, 
ebbe  ottimo  successo  per  quanto  rappresentato  in  modo  non  sufficiente, 
e  dipoi  nessuno  ne  sentì  più  a  parlare  ! 


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IL  TBATRO  LIRICO  NAZIONALB  B  LA  PROPRIETÀ  LETTERARIA  KD  ARTISTICA  605 

In  tale  condizione  di  cose,  come  sarebbe  possibile  formare  un  re- 
pertorio al  Teatro  Lirico  Nazionale?  Questo  centro  artistico,  questo 
focolare  di  istruzione  e  di  educazione,  deve,  per  poter  adempiere  alla 
propria  funzione  altamente  civile,  aver  modo  di  rappresentare  tutte 
quelle  opere  che  siano  giudicate  degne  di  entrare  nel  suo  repertorio; 
coir  ordinamento  attuale  della  proprietà  artistica  ciò  sarebbe  im- 
possibile. 

Mi  si  potrebbe  obbiettare  che  anche  la  legge  francese  sanziona  il 
diritto  illimitato  dell'autore  e  dell' editore,  senza  che  perciò  venga 
ad  essere  escluso  lavoro  alcuno  dal  Teatro  dell'Opera.  Ma  la  risposta 
è  facile:  occorre  non  dimenticare  quanto  si  disse  sopra  e  cioè  che 
questa  istituzione  è  antica  quanto  è  antico  il  melodramma  in  Francia, 
e  che  essa  appunto  ha  per  abitudine  costante  di  compensare  i  diritti 
di  autore  mediante  una  percentuale  sugli  ingressi.  Questa  abitudine 
ha  creato  quasi  legge,  ed  il  sistema  della  percentuale  è  usato  co- 
stantemente da  quasi  tutti  i  teatri  francesi.  Il  Decreto  8  giugno 
1806,  all'art.  10,  dichiarava  —  è  ben  vero  —  :  «  Les  auteurs  et  les 
entrepreneurs  seront  libres  de  déterminer  entro  eux,  par  des  conven- 
tions  mutuelles,  les  rétributions  dues  aux  premiers  par  somme  fixe 
ou  autrement  »  ;  ma  nella  pratica  è  Vauirement  che  si  applica,  e 
l'autore  è  compensato  mediante  una  somma  proporzionale  sopra 
l'ammontare  degli  introiti,  oltre  ad  un  certo  numero  di  biglietti  di 
favore. 

In  ogni  modo  poi,  astraendo  completamente  dalla  maniera  di  de- 
terminare il  compenso,  a  nessun  autore  od  editore  francese  verrebbe 
mai  l'idea  di  impedire  con  esagerate  pretese  la  rappresentazione  di 
un'opera  sopra  le  scene  di  quel  secolare  teatro,  perchè  la  tradi- 
zione è  così  forte  che  ogni  lavoro  per  poter  avere  il  battesimo  della 
notorietà  deve  di  necessità  veder  la  luce  alla  ribalta  dell'Opra. 

Potremmo  essere  noi  sicuri,  che  ugual  cosa  avverrebbe  in  Italia 
dove  tanti  sono  ì  centri  di  irradiamento  intellettuale,  dove  così  acuta 
è  la  questione  editoriale,  e  per  un  teatro  che  deve  imporsi  alla  tra- 
dizione, aDzi  far  tesoro  della  tradizione  stessa?  ^ 

lo  ritengo  non  potervi  esser  dubbio  nel  rispondere  che  si  sarebbe 
evidentemente  sicuri  del  contrario. 

Le  leggi  devono  conformarsi  all'ambiente;  il  diritto  assoluto  di 
rappresentazione  all'autore  e  ai  suoi  aventi  causa  non  ha  creato  alcun 

RMila  mutieaU  ìtalkma.  Vili.  ^^ 


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ARTI  GONTEHPORANEA 


inconveniente  in  Francia  e  nesrona  voce  si  è  levata  a  combatterlo, 
perchè  la  tiadisioiie  secolare  permette  la  rappresentazione  di  ogni 
lavoro  sul  teatro  delV Aeadémie  Nationale  de  Musique.  In  Italia 
invece  molte  voci,  per  quanto  ancora  informi  e  non  guidate  da  con- 
cetti giuridici,  si  sono  fatte  udire  contro  un  simile  diritto  assoluto, 
che  ha  creato  e  crea  inconvenienti  gravissimi  per  lo  sviluppo  del- 
l'arte teatrale;  chi  si  accingerà  a  costituire  un  Teatro  Nasionale 
italiano  —  e  avrà  gloria  imperitura  chi  vi  riescirà  —  non  potrà 
non  tener  conto  di  tali  voci,  allorché  si  accoiigerà  che  gì'  inconve- 
nienti lamentati  costituiscono  un  ostacolo  insormontabile  al  nobile 
progetto  (1). 


Vediamo  che  cosa  è  possibile  fare  a  questo  proposito,  senza  ledere 
il  sacro  diritto  di  autore. 

È  troppo  l'amore  che  portiamo  alla  proprietà  intellettuale,  per  la- 
sciarci condurre  ad  intaccarla,  sia  pure  per  scopo  nobile:  il  nostro 
ragionamento  dovrà  quindi  essere  improntato  unicamente  a  concetti 
giurìdici,  giacché  altrimenti  potremmo  essere  tratti  a  conseguenze 
contrarie  a  giustizia. 

Ci  perdoni  adunque  il  lettore  se  dobbiamo  accennare  ad  alcune 
teorie  della  scienza  giuridica;  lo  faremo  senza  dilungarci  in  disqui- 
sizioni teoriche,  solo  accennando  ai  punti  salienti  che  devono  costi- 
tuire il  cardine  di  quanto  crediamo  debba  farsi  in  proposito. 

Sonò  state  infinite  le  discussioni  sulla  natura  del  diritto  di  autore; 
quando  fu  abbandonato  il  concetto  di  un  privilegio  concesso  dal  Prin- 


(1)  À^eTAmo  già  scrìtto  questo  articolo,  allorché  la  diaciuttone  circa  grincon- 
venienti  creati  dall'attuale  legislazione  si  fece  più  viva  nei  giornali,  special- 
mente in  seguito  alle  intemste  avute  da  dae  giornalisti  coi  Maestri  Mascagni 
e  Leoneavallo.  La  discussione  non  fu  però  svolta  dal  punto  di  vista  giuridico, 
mAtre  ò  questo  l'unico  campo  in  cui  possa  efficacemente  essere  portata;  non 
basta  affermare  gì*  inconvenienti  di  un  sistema,  occorre  trovare  una  base  giurì- 
dica per  un  sistema  riformatore,  a  fine  di  non  cadere  neirarbitrìo  e  nella  ingiu- 
stizia. Da  vano  tempo  stiamo  studiando  il  tema,  assai  difficile  e  complesso;  in 
ogni  modo  quanto  è  esposto  nel  nostro  articolo,  può  già  servire  di  primo  fonda- 
mento allo  svolgimento  del  tema. 


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IL  TBATRO  LIRICO  NAZIONALI  E  LA  PROPRIETÀ  LBTTERARU  ED  ARTISTICA  697 

cipe  ed  accettato  comunemente  il  concetto  di  una  proprietà,  le  con- 
seguenze del  principio  affermato  spaventarono  i  più,  e  la  proclama- 
zione del  diritto  di  autore  fra  le  proprietà  portò  ad  una  limitazione 
gravissima.  11  concetto  di  una  proprietà  assoluta  ed  eterna  neirautore 
6  nei  suoi  più  lontani  eredi  era  inapplicabile:  le  menti  quindi  dei 
giuristi  e  dei  legislatori  si  portarono  a  determinare  un  numero  limi- 
tato di  anni,  durante  i  quali  soltanto  il  diritto  deirautore  poteva 
aver  valore.  Il  principio  della  perpetuità  della  proprietà  letteraria 
ed  artistica,  pur  avendo  caldi  e  convinti  difensori  (citiamo  solo  due 
illustri,  Laboulaye  in  Francia,  Cavallotti  in  Italia),  e  pur  essendo 
stato  tradotto  in  uno  schema  di  legge,  proposto  al  potere  legislativo 
in  Francia,  non  ebbe  alcun  seguito;  le  legislazioni  determinarono 
un  periodo  di  tempo,  dopo  il  quale  l'opera  cade  nel  dominio  pub* 
blìco  (1). 

Eppure  il  principio  della  perpetuità  non  si  è  spento  totalmente,  e 
timidamente  incomincia  ora  a  far  di  nuovo  capolino  nella  scienza  per 
bocca  di  pochi  animosi,  i  quali  cercano  di  coordinare  un  sistema  scien- 
tifico, che  conceda  un  diritto  perpetuo  all'autore  e  suoi  eredi,  senza 
danneggiare  i  diritti  intellettuali  della  collettività. 

or  inconvenienti  del  sistema  attuale,  che  non  vengono  notati  fino 
a  che  l'erede  spogliato  della  proprietà  è  un  semplice  privato,  si  pa< 
lesarono  da  noi  recentemente,  allorché  cadde  nel  dominio  pubblico  il 
Barbiere  di  Siviglia.  È  noto  che  il  Grande  Pesarese  volle  si  fondasse 
nella  sua  patria  un  Istituto  Musicale  il  quale  doveva  trarre  molta 
parte  delle  proprie  risorse  dai  diritti  d'autore  sul  Barbiere  di  Siviglia. 
Il  capolavoro  cadeva  nel  dominio  pubblico  il  16  febbraio  1896:  il 
Ministro  Barazzuoli  si  preoccupò  della  questione  e,  dando  uno  strappo 
alla  stretta  legalità,  con  Decreto  Beale  10  febbraio  1896  fece  pro- 
rogare di  due  anni  la  protezione  dei  diritti  di  autore  sul  Barbiere^ 
riservandosi  di  presentare  alle  Camere  un  progetto  di  revisione  della 
legge  19  settembre  1882,  nel  quale  —  secondo  le  idee  del  Ministro 
—  si  sarebbe  dovuto  sostituire  al  dominio  pubblico  un  dominio  dello 
Stato,  erogando  le  somme  incassate  per  diritti  di  autore  all'incre* 
mento  degli  istituti  pubblici  musicali. 


(1)  Fanno  eccezione  soltanto  le  leggi  del  Messico,  del  Goatemala  e  del  Vene- 
2aela,  che  proclamano  perpetoa  la  proprietà  sulle  opere  deiringegno. 


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098  ARTE  CONTEMI>ORANKA 

La  Commissione  nominata  dal  Ministro  per  gli  studi  della  re?isioDe 
legislativa  non  accedette  alle  sue  opinioni;  la  cosa  quindi  tramontò 
e  il  Barbiere  di  Siviglia  cadde  nel  dominio  pubblico. 

n  Conservatorio  di  Pesaro  ba  perduto  questo  importante  cespite  di 
rendita;  ma  in  compenso  quale  vantaggio  ne  ha  avuto  il  pubblico? 
Esso  certo  non  si  è  neppure  accorto  di  avere  nel  suo  dominio  questo 
capolavoro,  né  ha  veduto  diminuire  i  prezzi  delle  rappresentazioni. 

Non  intendiamo  trattenerci  più  oltre  su  questo  soggetto,  che  ab- 
biamo voluto  solo  abbozzare,  perchè  il  lettore  ne  abbia  un  conceto 
sommario,  e  sappia  come  quei  pochi  e  tuttora  timidi  sostenitori  delli 
perpetuità  del  diritto  di  autore,  tendano  allo  scopo  di  dividere  Is 
protezione  del  diritto  in  due  perìodi,  un  primo  perìodo  in  cui  sii 
lasciato  un  dirìtto  assoluto  all'autore,  un  secondo  in  cui  chiunque 
possa  pubblicare  o  rappresentare  l'opera  dell'ingegno,  pagando  un  d^ 
terminato  dirìtto  agli  eredi  dell'autore,  o  allo  Stato,  o  ad  istituti  di 
pubblica  utilità. 

E  questi  brevi  cenni  abbiamo  voluto  e  dovuto  dare,  perchè  si  veda 
come  in  cotali  studi  —  i  quali  sembrerebbero  diametralmente  opposti 
al  fine  cui  noi  tendiamo,  e  cioè  ad  una  certa  libertà  nel  dirìtto  di 
rappresentazione,  inquantochè  porterebbero  a  rendere  etemo  il  dirìtto 
di  autore  —  si  sprìgioni  invece  in  modo  mirabile  la  scintilla  che  a 
nostro  credere  può  condurre  alla  risoluzione  del  problema  che  ci  siamo 
proposti. 

Abbiamo  già  accennato  da  prìncipio  che  il  concetto  della  suddivi- 
sione del  diritto  d'autore  in  due  perìodi,  su  cui  oggi  stanno  discu- 
tendo gli  studiosi  per  arrivare  alla  perpetuità  del  dirìtto,  fa  accolto 
da  un'unica  legislazione,  la  nostra,  e  ciò  fino  all'anno  1865. 

11  legislatore  italiano  fece  tesoro  di  un  progetto  di  legge  presen- 
tato in  Francia  e  poi  abbandonato,  e  nel  quale  però  si  proponevi 
addirìttura  la  perpetuità  del  dirìtto. 

Ma  è  curioso  a  notarsi  come  l'ardito  concetto  dei  due  periodi  sia 
stato  accolto  nella  nostra  legge  solo  per  la  pubblicazione  delle  opere 
dell'ingegno,  e  non  per  il  dirìtto  di  rappresentazione  delle  opere 
adatte  a  pubblico  spettacolo,  mentre  sembrava  invero  più  utile  e  più 


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IL  TBATRO   LIRICO  NAZIONALE  E  LA  PROPRIETÀ  LETTERARIA  ED  ARTISTICA  699 

pratico  applicare  quello  che  in  Francia  chiamano  domaine  public 
payanU  alla  seconda  specie  di  opere  intellettuali. 

Ma  se  i  legislatori  si  ritrassero  spaventati  davanti  a  questa  ardita 
concezione,  non  è  men  vero  che  essa  era  stata  concepita  ed  attuata  da 
chi  fa  il  padre  della  legge  italiana  sui  diritti  di  autore.  La  Commis- 
sione per  la  legge  del  1865,  composta  di  Scialoja,  Castelli,  De  Foresta, 
Àrrìvabene  e  Matteucci,  aveva  proposto  che  non  appena  un'  opera  era 
stata  stampata,  chiunque  poteva  rappresentarla,  pagando  i^n  periodo 
fissato  da  speciali  contratti  o  di  un  tanto  per  cento  prestabilito  dalla 
l^ge.  n  relatore,  Antonio  Scialoja,  così  giustificava  la  proposta: 
«  Quando  un'opera  drammatica  è  rappresentata  prima  di  essere  pub- 
blicata per  le  stampe,  essa  è  per  una  parte  nella  condizione  di  una 
poesia  declamata  o  di  un  discorso  recitato  in  pubblico  ;  non  è  vera- 
mente pubblicata,  sebbene  acquisti  una  o  più  o  meno  estesa  pubbli- 
cità. Ma  è  pubblicata  nell'unico  modo  nel  quale  può  pubblicarsi  ciò 
che  non  si  legge  nel  libro,  e  che  risulta  dalla  composizione  del 
dramma,  cioè  l'azione.  E  perciò  abbiamo  in  questa  ipotesi  riservato 
all'autore  l'esclusivo  diritto  della  rappresentazione.  Sicché  a  prima 
giunta  pare  che  per  essere  consentanei  alla  nostra  dottrina,  dovremmo 
anche  riservarglielo  nell'altro  caso  in  cui  l'opera  è  messa  a  stampa. 
Perciocché  la  stampa  non  contiene  quel  modo  di  pubblicazione  spe- 
ciale dell'azione,  che  dicesi  rappresentazione  dell'opera. 

«  Ma  quando  un'opera  é  di  pubblica  ragione,  sotto  la  forma  lette- 
raria, non  monta  che  possa  esserne  compiuta  la  pubblicità,  anche 
sotto  un'altra  forma,  quale  é  quella  dell'azione.  È  vero  che  un'opera 
può  essere  bene  o  male  rappresentata,  e  che  può  essere  interesse  del- 
l'autore che  sia  rappresentata  bene.  Ma  é  vero  altresì  che  quando 
un'opera  è  messa  a  stampa,  il  pubblico  intelligente,  quello  il  cui 
giudizio  è  caro  all'autore,  ha  il  mezzo  di  distinguere  la  parte  che 
spetta  all'autore  da  quella  ch'é  dovuta  agli  attori.  Oltre  di  che  rare 
volte  avviene  in  pratica  che  le  opere  drammatiche  si  pubblichino 
prima  di  essere  state  rappresentate,  sicché  la  loro  riputazione  é  già 
fatta  quando  escono  per  le  stampe.  Ed  infine,  quando  é  data  a  tutti 
la  facoltà  di  rappresentarle,  non  è  da  temere  che  quelle  di  maggior 
merito  non  siano  in  una  o  in  altra  occasione  ben  rappresentate;  il 
che  basta  a  mantenerle  nella  meritata  loro  rinomanza  ».  E  dopo  aver 
spiegato  che  ciò  riesce  utile  anche  all'autore,  conclude:  <  Dall'altro 


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700  ARTE  CONTEMPORANEA 

canto  è  più  conforme  al  rispetto  dovuto  alle  esigenze  dell'universale. 
Ed  invero,  quando  si  riserva  all'autore  la  riproduzione  di  un'opera 
stampata,  ciascuno  può  non  per  tanto  procacciarsene  una  copia,  sen- 
z'altro inconveniente  che  quello  di  pagarla  un  po'  più  cara.  Ma  non 
può  ognuno  assistere  allo  spettacolo  di  un  dramma,  se  questo  non  può 
rappresentarsi  da  per  tutto  ;  ed  è  difficile  a^ai  che  si  possa,  massime 
in  luoghi  di  secondaria  importanza,  se  devesi  volta  per  volta  diman- 
darne il  permesso  all'autore  ». 

Le  parole  dell'illustre  giureconsulto  fanno  pensare  che  ancora  si 
potrebbe  accogliere  il  suo  progetto,  perfezionandolo  e  adattandolo  ai 
nuovi  tempi;  ma  non  vogliamo  discutere  di  ciò,  che  esorbiteremmo  da] 
nostro  tema. 

Ci  piace  però  notare  che  il  progetto  maturato  fino  da  allora  dal- 
l'illustre italiano  ebbe  accoglienza  in  una  legislazione  estera;  la  legge 
federale  svizzera  in  data  23  aprile  1883  stabilisce  che  l'autore  di 
un'opera  drammatica,  musicale  o  drammatico-musicale  può  far  di- 
pendere la  rappresentazione  o  esecuzione  pubblica  di  essa  da  condi- 
zioni speciali,  le  quali  debbono  essere  pubblicate  nella  testata  del- 
l'opera; però  la  percentuale  dovuta  non  deve  superare  il  due  per  cento 
del  prodotto  lordo  della  rappresentazione  od  esecuzione,  e  allorché  il 
pagamento  della  percentuale  è  assicurato,  la  rappresentazione  o  ese- 
cuzione di  un'opera  già  pubblicata  non  può  essere  rifiutata. 

*  * 

Ma  è  tempo  di  tirare  le  vele:  come  il  lettore  ha  già  compreso, 
se  abbiamo  accennato  ai  principii  del  cosi  detto  dominio  pubblico 
pagante^  si  è  perchè  noi  vorremmo  applicare  un  sistema  analogo  per 
il  diritto  d'autore  sulle  opere  musicali  da  rappresentarsi  nel  Teatro 
Nazionale. 

La  ragione  precipua  che  si  oppone  alla  obbligatorietà  del  diritto 
di  rappresentazione  delle  opere  già  pubblicate,  è  la  seguente:  l'autore 
ha  diritto  di  invigilare  alla  rappresentazione  della  propria  opera,  di 
vedere  se  gli  esecutori  che  ne  debbono  essere  interpreti  siano  degni 
del  nobile  officio,  di  impedire  che  il  frutto  del  suo  ingegno  sia  reso 
irriconoscibile  o  deturpato  da  una  cattiva  o  immatura  esecuzione. 
L'argomento  è  certamente  poderoso,  e  nel  caso  di  applicazione  gene- 


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IL  TEATRO  LIRICO  NAZIONALE  E  LA  PROPRIETÀ  LETTERARIA   ED  ARTISTICA  701 

rale,  è  degno  di  essere  attentamente  studiato  da  chi  si  accinga  a 
mettere  in  essere  simile  riforma.  Ma  nel  caso  di  un  Teatro  Nazio- 
nalOt  istituito  dallo  Stato  con  scopi  eminentemente  educativi  e  con 
regole  e  norme  atte  a  raggiungere  il  nobile  fine,  il  timore  di  una 
esecwnone  sommaria  esula  completamente.  L*autore  sa  a  priori  che 
il  suo  lavoro  viene  rappresentato  non  da  un  qualsiasi  impresario  senza 
alcuna  garanzia  di  serietà,  non  con  scopi  meramente  speculativi,  ma 
in  un  teatro  sovvenzionato  dallo  Stato  e  da  esso  regolato  e  sorvegliato. 
Il  suo  diritto  quindi  alla  integrità  della  propria  opera  è  tutelato 
ugualmente,  la  sua  rispettabilità  artistica  non  può  essere  manomessa. 

Ci  si  potrebbe  obiettare  che  in  ogni  modo  si  viene  ad  intaccare  il 
diritto  esclusivo  dell'autore,  il  quale  deve  potere,  anche  senza  ragione 
qualsiasi,  disporre  come  meglio  gli  pare  e  piace  dell'opera  propria. 
Ma  anche  questo  argomento,  poderoso  e  discutibile  nella  tesi  gene- 
rale, nel  caso  nostro  viene  combattuto  vittoriosamente  da  un  principio 
generale  di  diritto,  il  quale  in  casi  determinati  ha  già  applicazione 
anche  nella  legge  italiana  sulla  proprietà  letteraria,  il  principio  della 
espropriazione  per  pubblica  utilità. 

L'articolo  20  della  legge  19  settembre  1882  così  stabilisce:  «I 
diritti  di  autore,  eccettuato  soltanto  quello  di  pubblicare  un'opera 
durante  la  vita  dell'autore,  possono  acquistarsi  dallo  Stato,  dalle  Pro- 
vincie e  dai  Comuni  in  via  di  espropriazione  per  causa  di  pubblica 
utilità.  La  dichiarazione  di  pubblica  utilità  è  fatta  sulla  proposta  del 
Ministero  di  Pubblica  Istruzione,  sentito  il  Consiglio  di  Stato.  L'in- 
dennità a  pagarsi  è  stabilita  in  via  amichevole.  In  difetto  d'accordo 
il  Tribunale  nomina  tre  periti  per  estimare  il  prezzo  dei  diritti  da 
espropriare.  Questa  perizia  è  parificata  alle  perizie  giudiziali  >. 

Si  ha  in  questa  disposizione  di  legge  l'affermazione  solenne  del 
diritto  nello  Stato  d'intervenire,  allorché  s'imponga  l'utilità  pub* 
blica,  la  quale  per  i  diritti  d'autore  non  può  esplicarsi  che  in  scopi 
educativi;  in  tali  casi  la  nostra  legislazione  ammette  che  lo  Stato  possa 
e  debba  diminuire  il  diritto  del  privato  cittadino  a  favore  della 
collettività. 

In  realtà  l'articolo  20  della  legge,  che  ha  pochi  riscontri  nelle 
legislazioni  estere,  non  fu  mai  applicato  dal  1865  ad  oggi;  si  pre- 
senterebbe ora  la  opportunità  di  applicare  il  principio  della  espro- 
priazione forzata  in  maniera  veramente  pratica. 


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702  ARTE  CONTEMPORANBA 

Se  è  lecita  una  espropriazione  totale,  perchè  non  dovrebbe  per- 
mettersi —  anche  alla  stregua  dei  più  severi  principi!  del  giure  — 
una  specie  di  parziale  espropriazione,  quale  è  quella  da  noi  progettata  ? 

Concludendo,  il  grave  ostacolo  alla  fondazione  di  un  Teatro  Na- 
zionale sarebbe  eliminato  con  una  legge,  la  quale  determini  che  il 
fatto  della  pubblicazione  o  rappresentazione  di  un'opera  musicale 
adatta  a  pubblico  spettacolo,  avvenuta  tanto  in  Italia  che  all'estero, 
genera  Tobbligo  di  permetterne  la  rappresentazione  sul  Teatro  Na- 
zionale: l'autore  o  i  suoi  aventi  causa  dovranno  depositare  presso  la 
biblioteca  del  Teatro  la  grande  partitura,  per  servire  alla  rappresen- 
tazione; all'autore  o  suo  avente  causa  spetterà  una  percentuale  sugli 
incassi,  da  determinarsi  nella  stessa  legge,  e  ciò  per  tutta  la  durata 
del  suo  diritto  d'autore  secondo  le  leggi  vigenti. 

Sarebbe  così  acquisita  veramente  al  patrimonio  artistico  nazionale 
tutta  la  produzione  lirica  nazionale  ed  estera;  il  Teatro  Nazionale, 
libero  da  ogni  inciampo,  e  colla  certezza  di  non  dover  corrispondere 
agli  autori  che  un  diritto  in  proporzione  degli  incassi  fatti,  potrebbe 
ampiamente  prosperare  e  divenire  veramente  un  focolaio  di  educa- 
zione pel  popolo,  di  studio  e  d'incoraggiamento  per  i  giovani  autori. 

È  un  sogno  il  nostro?  Noi  non  lo  crediamo;  se  il  problema  sarà 
ampiamente  studiato  da  ogni  lato,  potrà  essere  risolto  in  modo  degno 
della  nostra  Nazione ,  degno  del  suo  primato  artistico.  Per  parte 
nostra  abbiamo  voluto  portare  alla  soluzione  il  modesto  contributo 
dei  nostri  studi. 

Milano. 

Avv.  Ferruccio  Foà. 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE 


LA  DITTA  RICORDI  CONTRO  IL  TENORE  BONCI 

Trìbanale  penale  di  Bologna,  27  giugno  1901. 


Non  solo  Timpresario  di  uno  spettacolOy  ma  anche  coloro  che  con-- 
corsero  dolosamente  alla  esecuzione  abusiva  dello  stesso^  debbono 
rispondere  così  individualmente  che  di  correità  coli  impresario^ 
del  reato  di  cui  altari.  34  della  legge  sui  diritti  di  autore. 

Fatto. 

Per  la  sera  del  29  novembre  1900  era  annunziato  pubblicamente 
che  al  teatro  Duse  di  Bologna  il  tenore  Bonci  avrebbe  cantato  dopo 
lo  spettacolo  d'opera,  alcune  romanze. 

Avvenne  però  che  il  Bonci,  fra  le  altre  romanze,  ne  cantasse  anche 
una  della  Bohème  del  Puccini,  accompagnata  al  pianoforte  dal  maestro 
Barone,  e  una  del  Rigoletto,  accompagnata  a  memoria  dall'orchestra, 
diretta  del  pari  dal  maestro  Barone. 

Per  tale  fatto  dava  denuncia  la  Ditta  Bicordi  di  Milano,  per  vio- 
lazione di  proprietà  letteraria.  —  Di  essa  venivano  imputati,  oltreché 
il  Bonci  ed  il  Barone,  anche  l'impresario  dello  spettacolo,  Giuseppina 
Barioni. 

Svoltasi  la  causa  innanzi  alla  Pretura  Urbana  di  questa  città,  con 
sentenza  23  febbraio  1901  venivano  tutti  ritenuti  responsabili  del 
reato  loro  addebitato,  e  condannati  ciascuno  alla  multa  di  L.  150, 
oltreché  nelle  spese  in  solido,  e  nei  danni  verso  la  parte  lesa  costi- 
tuitasi parte  civile,  da  liquidarsi  in  separata  sede. 


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704  ARTE  CONTEMPORANEA 

Contro  la  sentenza  interponevano  appello  i  condannati,  osservando 
la  Barioni  di  non  essere  responsabile  deirawenuta  contravvenzione, 
perchè  avvenuta  ad  insaputa  di  lei,  e  il  Bonci  e  il  Barone  assume- 
vano la  propria  irresponsabilità,  anzitutto  perchò  non  vi  è  azione 
penale  per  abusiva  rappresentazione  ed  esecuzione,  quando  della  stessa 
è  responsabile  chi  della  rappresentazione  ed  esecuzione  si  è  assunta 
rimpresa;  in  secondo  luogo  poi  perchè  in  ogni  modo  non  era  su^i- 
stente,  o  quanto  meno  provato  con  tranquillità,  che  essi  sapessero 
che  l'opera  prestata  fosse  in  trasgressione  ai  diritti  d'autore.  Il  Bonci 
assumeva  altresì  che  doveva  dichiararsi  estinta  razione  penale  per 
effetto  del  decreto  d'amnistia  1®  giugno  1901,  dovendosi  ritenere  il 
reato  imputatogli  una  contravvenzione,  o  quanto  meno,  una  trasgres- 
sione sui  generis,  da  equipararsi  agli  effetti  della  amnistia,  alle  con- 
travvenzioni contemplate  da  detto  decreto. 

Con  sentenza  27  giugno  u.  s.  il  Tribunale  di  Bologna  confermava 
in  ogni  sua  parte  la  sentenza  appellata,  colla  condanna  degli  appel- 
lanti in  solido  nelle  spese  del  secondo  giudizio  e  tassa  sentenza, 
oltreché  al  risarcimento  dei  danni  e  spese  di  costituzione  di  parte 
civile  da  liquidarsi  in  separata  sede. 

Data  l'importanza  della  questione,  giova  riportare  i  motivi  di  detta 
sentenza,  della  quale  è  estensore  l'avvocato  Silvio  Longhi,  che,  benché 
giovane,  figura  già  tra  i  nostri  penalisti  più  insigni. 

«  Osserva  il  Tribunale  che  infondate  sono  le  eccezioni  pregiudi- 
ziali opposte  dal  Bonci. 

€  È  fuori  di  dubbio  che  la  trasgressione  di  cui  all'art.  34  della 
«  legge  sulle  opere  dell'ingegno,  costituisce  la  violazione  di  un  di- 
«  ritto  individuale  (proprietà  letteraria),  anziché  la  violazione  di  una 
«  norma  avente  carattere  di  prevenzione. 

€  Ciò  basta  per  ritenere  che  trattasi  di  delitto  anziché  di  con- 
«  travvenzione. 

«  E  ancora  meno  fondato  è  il  ragionamento  col  quale  si  vorrebbe 
4c  venire  alla  conclusione  che  il  decreto  1^  giugno  1901  colla  locu- 
«  zione  ^contravvenzione"  intenda  riferirsi  a  tutte  le  trasressioni  delle 
«  leggi  speciali,  siano  esse  delitti  o  contravvenzioni.  Le  norme  fon- 
«  damentali  del  Codice  penale  valgono  anche  per  le  leggi  speciali 
«  (art.  10  Codice  penale)  e  non  vi  ha  quindi  motivo  alcuno  per  ri- 
€  tenere  che  per  questa  si  usino  espressioni  che  abbiano  significato 


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GIURISPRUDKMZA  TEATRALE  705 

«  diverso  dal  significato  che  è  attribuito  alle  espressioni  usate  dal 
«  Codice  penale. 

«  Osserva,  in  fatto,  doversi  ritenere  provato  che  Tesecuzione  delle 
«  Romanze  della  Bohème  e  del  Rigoletto  in  contravvenzione  alla 
«  legge  sui  diritti  d'autore,  fu  dolosa,  e  che  alla  stessa  ebbero  a 
«  prender  parte  dolosamente  tutti  tre  gli  appellanti. 

«  Invero,  rimase  assodato  che  la  Ditta  Bicordi,  due  o  tre  giorni 
«  prima,  aveva  rifiutato  il  permesso  per  l'esecuzione  così  di  un  pezzo 
«  del  Rigoletto  che  del  Faust,  mentre  nulla  erasi  richiesto  della 
«  Bohème.  Il  Bossini,  agente  dell'Impresa,  erasi  allora  recato  ad 
«  avvertire  di  ciò  il  Bonci,  il  quale  rispondeva:  Va  bene;  pel  pro- 

<  gramma  combinerò  io  col  maestro  !!  In  seguito  il  Bonci  con  il  Ba- 
«  rone  provavano  al  pianoforte  la  Romanza  della  Bohème,  e  in 
«  orchestra  il  pezzo  del  Rigoletto,  e  questi  due  pezzi  di  musica 
«(  venivano  anche  eseguiti,  come  d'improvvisazione,  nella  serata  del 
«  Bonci,  sebbene  il  manifesto  non  facesse  cenno  genericamente  che 
«  di  alcune  Romanze. 

«  Saputo  poi  che  la  ditta  Bicordi  avrebbe  denunciata  la  trasgres- 
€  sione,  il  Bonci  faceva  spedire  in  suo  nome  un  telegramma  alla 
«  Ditta,  col   quale  chiedeva  scusa  del  fatto,  attribuendolo  all'im- 

<  provviso  entusiasmo  del  momento. 

<  Ora  tutto  ciò  basta  a  far  vedere  che  non  solo  la  Impresa,  ma 
«  anche  il  Barone  ed  il  Bonci  sapevano  che  coll'eseguire  la  musica 

<  accennata  si  venivano  a  violare  i  diritti  della  Ditta  Bicordi,  e  si 
«  hanno  anzi  da  ciò  indizi  sufficienti  per  ritenere  che  tutti  tre  agis- 
ce sero  di  pieno  e  necessario  accordo. 

«  Posto  tal  fatto,  come  non  ritenere  responsabile  della  violazione 
«  coU'impresaria  Barioni,  anche  il  Bonci  e  il  Barone? 

«  Per  l'art.  10  del  Codice  penale  già  ricordato  le  disposizioni  ge- 
«  nerali  del  Codice  penale  sono  applicabili  anche  alle  leggi  speciali, 
«  se  non  vi  sia  disposizione  contraria  esplicitamente  espressa,  e  sono 
«  fra  queste  anche  le  norme  sulla  complicità  e  sulla  correità.  I  prin- 
«  cip!  della  complicità  e  della  correità  si  applicano  adunque  anche 

<  per  la  violazione  della  proprietà  intellettuale,  mancando  nella  legge 
«  in  esame  una  manifesta  disposizione  contraria,  quale  -si  potrebbe 
«  riscontrare  invece  nella  legge  sulla  stampa.  È  dunque  da  ritenersi 
«  la  massima  che  non  solo  l'impresario  d'uno  spettacolo,  ma  anche 


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706  ARTE  CONTEMPORANEA 

«  coloro  che  concorsero  dolosamente  alla  esecuzione  abusiva  dello 

<  stesso,  debbono  rispondere,  così  individualmente  che  di  correità  col- 
«  Timpresario,  del  reato  di  cui  all'art.  84  della  legge  sui  diritti  di 
«  autore. 

<  Osservato  pertanto  che  tutti  i  motivi  di  appello  dei  giudicanti 
«  si  presentano  così  in  fatto  che  in  diritto  infondati; 
€  Per  questi  motivi,  ecc.  ». 

Appunti  CEmco-GiURiDici. 

La  questione  decisa  dal  Tribunale,  se  cioè  in  tema  di  rappresen- 
tazione od  esecuzione  abusiva,  una  volta  stabilita  la  responsabilità 
per  r  impresario  assuntore  dello  spettacolo,  possa  questa  estendersi 
anche  agli  artisti  esecutori  per  dare  luogo  ad  altrettante  distinte 
contravvenzioni,  è  nuova  nella  nostra  giurisprudenza,  e  in  pari  tempo 
della  massima  importanza  per  tutto  il  ceto  degli  artisti. 

Non  sapremmo  meglio  illustrarla  che  riportando  quella  parte  della 
dotta  memoria  compilata,  con  quelFacume  e  quella  diligenza  che  gli 
è  propria,  dal  collega  avv.  Giuseppe  Samoggia,  difensore  del  Bouci, 
che  riguarda  questo  punto  di  diritto. 

«  Noi  crediamo,  egli  dice,  che  in  diritto  la  soluzione  non  possa 
«  essere  dubbia. 

«  L'impresario  che  dà  una  esecuzione  pubblica  ed  a  pagamento 
«  di  una  produzione  drammatica  o  musicale,  fa  traffico  evidentemente 
«  del  prodotto  dell'altrui  ingegno,  sfrutta  a  suo  profitto  la  proprietà 
«  ed  il  lavoro  di  altri,  ed  è  giusto  che  debba  corrispondere  a  questi 
«  una  congrua  compartecipazione  nel  lucro  ch'egli  ne  trae.  L'autore 
«  che  fornisce  la  materia  prima,  ha  diritto  che  la  sua  merce  gli  sia 
«  pagata  da  colui  che  la  rivende  al  pubblico,  nel  modo  stesso  che 
«  viene  retribuito  colui  che  vi  aggiunge  del  proprio  il  prestigio  della 
«  propria  interpretazione  nell'atto  che  la  riproduce:  ma  questo  diritto 
«  gli  spetta  esclusivamente  verso  colui  che  smercia  la  cosa  sua  ed 
«  incassa  l'equivalente  della  comunicazione  che  il  pubblico  ne  riceve; 
<c  è  lui  che  viola  la  legge,  che  usurpa  la  cosa  altrui  disponendone  a 

<  proprio  profitto,  e  deve  perciò  rispondere  della  usurpazione,  deve 
«  col  proprio  patrimonio  rifondere  quanto  del  patrimonio  altrui  ha 
«  indebitamente  percetto. 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALI  707 

<  Ma  ciò  non  riguarda  l'artista  che  materialmente  concorre  come 
«  strumento  alla  riproduzione,  facendo  professione  di  eseguire  lavori 
«  di  tale  natura. 

<  La  questione  è  identica  per  tutti  gli  artefici  nelle  violazioni 
«  della  proprietà,  sia  letteraria  che  artistica  od  industriale.  È  il  caso 
«  dello  stampatore,  del  traduttore,  dell'incisore,  nei  rapporti  coU'edi- 
«  tore  di  una  traduzione  o  di  una  riproduzione  di  un  libro:  è  il 
«  caso  del  pittore,  dello  scultore,  del  fotografo,  dell'orafo,  che  per 
«  commissione  altrui  fa  la  copia  di  un  quadro,  di  una  statua,  di  un 
«  oggetto  d'arte  o  di  adornamento:  dell'attore,  del  cantante,  del- 
«  l'istrumentìsta,  di  fronte  al  capocomico  od  all'impresario  :  costoro, 
«  che  lavorano  per  commissione  avuta  o  sono  stipendiati  ad  un  tanto 
«  per  giorno  o  per  sera  allo  scopo  di  realizzare  in  forma  sensibile 
«  0  di  riprodurre  le  altrui  creazioni,  non  hanno  né  il  modo  né  il 
«  dovere  di  procurarsi  il  consenso  dell'  inventore,  né  di  esigere  dal 
«  committente  la  giustificazione  del  consenso  ottenuto. 

«  Bisolvere  diversamente  é  andare  contro  il  buon  senso,  é  creare 
«  in  pratica  la  confusione  ed  il  disordine,  é  un  invertire  le  parti,  un 
«  rendere  impossibile  il  funzionamento  di  qualsiasi  azienda  teatrale. 

«  Né  si  tenti  una  distinzione,  che  non  potrebbe  essere  che  empirica 
4c  ed  arbitraria,  fra  artisti  primari  ed  il  servum  pecus  degli  operai 
«  0  delle  masse  salariate.  Dal  punto  di  vista  giuridico  la  posizione 
4c  é  la  stessa:  per  quanti  riguardi  meritino  i  privilegiati  della  scena, 
«  per  quanto  sia  doveroso,  ed  anzi  necessario,  nella  scelta  delle  prò- 
«  duzioni  tener  conto  delle  speciali  attitudini,  delle  preferenze  insite 
«  nell'indole  del  loro  talento,  s'intende  che  tutto  ciò,  se  rende  in- 
«  dispensabili  certi  accordi  coll'artista,  non  può  indurre  per  lui  al- 
4c  cuna  responsabilità  giuridica  pel   modo  con  cui   il  programma 

<  risulta  stabilito.  Il  cantante  fa  la  sua  professione;  canta,  tanto  più 
«  volentieri  quando  si  tratti  di  parti  in  cui  il  suo  talento  ha  maggior 

<  campo  di  figurare,  e  giustamente  si  rifiuta  a  produi*si  in  quelle 

<  che  non  sono,  come  suol  dirsi,  nei  suoi  mezzi:  egli  se  la  intende 

<  per  ciò  col  Direttore,  che  per  lui  rappresenta  in  questo  campo 
«  l'Impresa,  ma  spetta  poi  al  Direttore  sottoporre  il  programma  al- 
4c  l'Impresario  per  ciò  che  si  attiene  alla  parte  amministrativa  e  fi- 
«  nanziaria,  spetta  all'Impresa  procurarsi  i  permessi  delle  autorità 
«  e  degli  autori,  e  qualora  per  avventura  le  vengano  negati,  o  non 


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708  ARTE  CONTIMPORANBA 

<  le  riesca  di  ottenerli,  spetta  a  lei  contromandare  la  esecuzione  e 
4c  disporre  diversamente.  In  mancanza  di  contrordini,  non  si  può 

<  pretendere  dall'artista  che  si  costitaisca  quasi  cerbero  dei  diritti 
€  degli  editori,  e  che  la  polizia  delle  contravvenzioni  venga  a  Ini 
€  affidata. 

<  Una  sola  eccezione,  la  cui  ragionevolezza  non  può  sfuggire  a 

€  chi  ha  pratica  degli  usi  teatrali,  deve  farsi  per  i  concertisti,  cioè 

«  per  gli  artisti  che  compiendo  un  giro  di  concerti,  tengono  a  loro 

€  carico  i  contratti  cogli  editori  per  il  repertorio  da  eseguire  a  loro 

<  scelta  in  un  determinato  numero  di  piazze:  caso  questo  che  non 
€  ha  nulla  che  fare  con  quello  che  ci  occupa.  Come  non  ha  che  fare 
€  il  caso  in  cui  il  cantante,  richiesto  di  un  bis^  sostituisce  11  per  11 
4c  un  pezzo  non  compreso  nel  programma;  è  assodato  che  tanto  la 

<  romanza  della  Bohème,  come  l'aria  del  Rigoìeito,  erano  state  provate 

<  in  precedenza  e  ne  era  stata  fissata  ed  annunciata  a  molti  la  ese- 

<  cuzione:  ma  se  si  fosse  trattato  di  una  ispirazione  istantanea  del 
€  Bonci,  che  l'Impresario,  o  il  Direttore  preposto  da  lui  all'organiz- 

<  zazione  del  programma,  non  avessero  potuto  prevedere,  non  v*ha 
€  dubbio  che  in  tal  caso  la  responsabilità  penale  sarebbe  dell'artista. 

«  Soltanto,  in  questa  ipotesi,  scomparirebbe  la  responsabilità  del- 

<  l'impresario;  l'una  e  l'altra  non  possono  coesistere,  mentre  a  vicenda 
€  si  escludono:  o  l'esecuzione  si  deve  esclusivamente  ad  iniziativa 
4c  dell'artista,  e  l'Impresario  non  è  in  colpa;  o  costui  direttamente, 
4c  od  a  mezzo  dei  suoi  incaricati  e  precipuamente  del  Direttore,  ebbe 

<  modo  di  essere  edotto  dei  pezzi  che  si  volevano  eseguire,  e  toc- 

<  cava  a  lui  autorizzarne  la  esecuzione  o  dare  gli  ordini  per  contro- 
€  mandarla. 

«  Né  si  dica,  come  ha  fatto  il  Pretore,  che  la  legge  parlando 
«  di  <  rappresentazione  od  esecuzione  >  (art.  32),  vietando  il  «  rap- 
€  presentare  od  eseguire  »  (art.  14),  deve  interpretarsi  nel  senso  che 
€  abbia  inteso  di  colpire  tanto  l'organizzatore  dello  spettacolo,  che 

<  l'artista  esecutore.  Prima  di  tutto  l'impresario,  se  non  eseguisce, 
€  non  rappresenta  neppure,  e  questa  interpretazione  troppo  letterale 
€  porterebbe  a  scriminarlo  completamente.  Ma  poi  è  trq)po  palese 
4c  l'intenzione  del  legislatore,  che,  usando  il  doppio  vocabolo,  ha  mi- 

<  rato  evidentemente  a  colpire  la  esibizione  dell'opera  adatta  a  pub- 
€  blico  spettacolo,  tanto  se  data  in  forma  di  azione  teatrale,  come 


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OIUaiSPRUOENZA.  TEATRALE  709 

4L  se  eseguita  senza  Tapparato  scenico,  in  forma  di  declamazione,  di 
«  lettura  o  di  concerto. 

«  In  tutta  poi  la  legge  che  esaminiamo  si  parla  sempre  di  chi 
«  rappresenta  od  eseguisce^  come  in  altri  articoli  di  chi  traduce^ 
«  puhhUea^  riproduce^  spaccia ^  intendendo  con  queste  espressioni 
«  comprendere  tanto  chi  addiviene  alle  operazioni  anzidette  nel  pro- 
«  prìo  nome  ed  interesse,  quanto  chi  si  vale  delle  opere  altrui  per 
«  &rle  eseguire.  Quando  però  siano  in  campo  due  persone,  un  com- 
«  mittente  ed  un  esecutore,  non  v*ha  dubbio  che  la  sanzione  della 
«  legge  è  rifolta  esclusivamente  al  primo  e  non  mai  a  cM  inter- 
ne viene  prestando  un'opera  retribuita. 

«  Nello  stesso  senso  il  Codice  civile  dice  ad  esempio  chi  fàbbrica^ 

<  pianta^  taglia  alberi^  e  simili,  senza  che  alcuno  dubiti  che  si  tratti 
«  del  contadino  o  del  muratore,  e  neppure  dell*  agrimensore  o  del- 
«  Tarchitetto. 

<  Questo  criterio  fondamentale  di  interpretazione  della  legge  è 
«  così  radicato  nella  coscienza  di  tatti,  che,  mentre  accade  tutto 
«  giorno  che  si  inizino  processi  per  violazioni  della  proprietà,  non 

<  solo  artistica,  ma  anche  letteraria  ed  industriale,  dove  si  tratta  di 
«  reati  ben  più  gravi,  di  vere  e  proprie  contraffazioni,  non  vi  è 
«  esempio  che  si  sia  mai  pensato  a  colpire  coloro  che  per  contratto 
«  prestano  l'opera  come  professionisti  nella  riproduzione  incriminata. 

<  Il  concetto  che  domina  costantemente  è  quello  di  tener  distinta 
«  Topera  del  tecnico  dalla  speculazione  del  commerciante:  chi  fu 

<  incaricato  della  traduzione  del  romanzo  straniero,  il  fonditore  della 
«  statua,  il  chimico  che  ha  dato  la  formola  di  un  prodotto  farma- 

<  ceutico,  sono  sempre  immuni  da  responsabilità,  mentre  chi  risponde 

<  del  fatto  è  chi  fece  uso  a  suo  profitto  del  lavoro  dell'artefice  e  lo 

<  pose  in  commercio.  Le  rare  fattispecie  in  cui  si  trova  figurare  il 

<  nome  del  traduttore,  dello  scrittore  o  dell'artista,  offrono  la  riprova 

<  del  principio  affermato,  perchè  sono  sempre  casi  in  cui  il  tradut- 

<  tore  faceva  la  speculazione  per  conto  suo,  o  di  concertisti,  per  i 

<  quali  sono  in  vigore  usanze  e  consuetudini  speciali. 

<  Si  noti  poi  che,  nella  più  parte  dei  casi,  lo  specialista  incari- 
€  cato  della  imitazione,  appunto  per  le  cognizioni  tecniche  che  gli 

<  sono  indispensabili,  non  può  a  meno  di  non  essere  consapevole 
€  della  situazione  irregolare  in  cui  il  committente  si  trova:  mentre 


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710  ARTI  CONTBMPORANBA 

«  iDvece,  quando  non  si  tratta  di  contraffinzione,  ma  di  semplice  ese* 
4c  cuzione  abusiva  di  un'opera  destinata  ad  essere  data  come  pubblico 
4c  spettacolo,  la  mancanza  di  permesso  da  parte  delFautore  non  può 
«  risultare  all'attore  od  al  cantante  se  non  ne  abbia  diretta  confi- 
€  denza  dal  capocomico  o  dall'impresario. 
«  I  principi  sul  concorso  materiale  od  intenzionale  in  materia  di 

<  complicità  non  trovano  applicazione  al  caso,  poiché  trattasi  di  fatti 
«  e  di  obbligazioni  al  tutto  distinte. 

«  Nessuna  legge  proibisce  la  esecuzione  in  sé  stessa  di  un  pezzo 
«  musicale.  Ciò  che  la  legge  incrimina  nel  caso  di  cui  all'art  34, 
4c  è  dato  da  due  fatti:  uno  di  amissiùne,  che  consiste  nel  non  avere 
4c  preventivamente  negoziato  ed  acquistato  dall'autore  il  relatiro  con- 

<  senso  soddisfacendone  i  diritti  dietro  pagamento  della  quota  che 
«  gli  spetta  ;  e  l'altro  fatto  che  alla  esecuzione  sia  ammesso  il  pub- 
«  blico  a  pagamento,  cioè  che  si  disponga,  c<tkie  proprietario,  del- 
€  l'opera  dell'ingegno,  usandone  per  fame  spettacolo,  vale  a  dire  utì- 
€  lizzandola  nella  propria  sfera  patrimoniale. 

€  Ora  entrambi  questi  fatti  sono  esclusivamente  propri  dell' Im- 
€  presario  e  nulla  hanno  che  vedere  coll'operato  dell'artista;  il  quale 
«  non  fa  che  collaborare  coU'autore,  associando  l'opera  sua  ed  il  suo 
4c  talento  al  prodotto  dell'ingegno  di  un  altro,  in  modo  che  ognuno 
4c  dei  due  porta  il  suo  contributo,  la  cui  risultante  è  data  dallo 
«  spettacolo,  ed  ognuno  per  la  sua  parte  prende  un  corrispettivo: 
4c  ma  se  per  avventura  uno  di  essi  rimanga  defraudato,  non  può  dirsi 
€  che  l'altro,  in  quanto  ne  sia  consapevole,  abbia,  per  il  fotto  di 
4c  collaborare  anch'egli  nello  spettacolo,  cooperato  direttamente,  alla 

<  lesione  del  diritto  altrui. 

«  La  legge  guarda  unicamente  a  colui  che  dà  lo  spettacolo,  e  il 

<  reato  si  integra  e  si  esaurisce  nel  fatto  proprio  di  questi,  senza 
«  che  siano  contemplate  altre  figure  di  responsabilità  non  conco- 
4c  mitanti. 

4c  È  ovvio  d'altronde  che  quando  un  fatto,  non  illecito  per  se 
«  stesso,  lo  diventa  soltanto  in  quanto  è  messo  in  relazione  con  un 
4c  determinato  dovere,  esso  non  può  formare  oggetto  di  imputazione 
4c  se  non  per  quegli  a  cui  incombe  il  dovere  corrispondente.  Anche 
«  il  reato  di  omissione  non  può  addebitarsi  se  non  a  cui  spetta  la 
4c  osservanza  del  relativo  precetto. 


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OIUBXBPaUDKNZA  TBATRALB  711 

«  Queste  le  rtLgiom  per  cui  nella  rappresentazione  abusiva  Tien 
«  meno  ogni  responsabilità  per  le  persone  incaricate  della  esecuzione. 

«  Il  B06HINI  {Legiskuhne  e  giurisprudeti0a  sui  cUritti  éPautare^ 
«  Hoepli,  1890,  pag.  517),  che  può  dirsi  Fautore  classico  in  questa 
«  materia,  non  ha  mancato  di  ficursi  la  questione,  e  la  risolre  da  pari 
^  suo,  cioè  con  acuto  criterio  di  giurista:  «  Non  ommetteremo  di 
soggiungere  che  gli  artisti  i  quali  non  siano  impresari  od  orgame- 
Motori  del  concerto,  o  interessati  nel  medesimo,  ma  semplicemente 
esecutori  delle  parti  loro  affidate,  non  cadono  sotto  le  sanzioni  della 
legge.  Essi  invero  non  &nno  un  ìuero  della  violazione  dei  diritti 
altrui:  e  se  ricevono  compenso  dell'opera  prestata,  questa  ncn  ha 
alcuna  relamone  col  diritto  d'autore^  o  col  consenso  di  questi,  a  cui 
deve  presumersi  abbia  avvisato  1* impresario,  o  l'organizzatore  del 
concerto.  La  cosa  muterebbe  aspetto  quando  essi  fossero  stati  for- 
malmente diffidati^  poiché  in  tal  caso  cadrebbero  sotto  le  sanzioni 
degli  art.  63-64  Cod.  pen.  come  complici  >. 

<  Nel  caso  nostro  la  questione  della  responsabilità  principale  non 
«  può  neppure  porsi,  poiché  Vlmpresa  ha  mostrato,  col  fatto  di  pa- 
«  gare  essa  i  diritti  d'autore,  di  riconoscere  come  jHroprio  l'obbligo 
«  di  provvedere  a  tale  negozio  e  l'intenzione,  bene  o  male,  di  adem- 
«  pierlo  essa  stessa:  non  rimane  dunque  che  Tipotesi  della  compli- 
«  cita,  che,  come  vediamo^  la  dottrina  ritiene  non  possa  sussistere  se 
«  non  vi  fu  formale  diffida  per  parte  dell'autorità  o  degli  interessati. 

«  Ed  è  giusto,  perché  in  seguito  alla  diffida,  accanto  alla  dispo- 
ne sizione  della  legge  che  riguarda  il  trasgressore,  sorge  una  distinta 
«  e  particolare  ingiunzione  che  induce  un  obbligo  nuovo  e  speciale 
«  all'artista,  il  quale  non  può  più  disinteressarsi  del  divieto  come 
«  di  &tto  che  riguarda  i  doveri  dell'impresa  soltanto. 

<  Anche  le  poche  sentenze  che  toccano  questa  materia  non  prò- 
«  fessane  diversa  opinione  :  e  il  Rosmini  cita  appunto,  come  conforme 
4c  alla  soluzione  da  lui  data,  un  arresto  della  Cassazione  di  Francia 
«  del  25  aprile  1873  (Société  des  auteurs-Boudot)  che  ebbe  a  decidere 
«  una  volta  in  analoga  fattispecie  {Annales  de  la  propriété  art., 
«  litt.  et  industr.,  1873,  N.  2034,  pag.  175). 

€  In  Italia  non  abbiamo  che  una  sentenza  della  Cassazione  di 
4c  Soma,  4  luglio  1891  {Foro  It,  1891,  II,  368),  nella  nota  causa 
«  contro  il  cav.  Tosi-Bellucci,  sindaco  di  Modena,  per  certi  pezzi  mu- 

RiMitta  muiicaU  itaUama,  VllL  '  47 


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712  ARTE  GONTBMPORANBA 

<  sicali  abusivamente  eseguiti  in  un  concerto  dalla  Società  Filar- 

<  monica  di  quella  città,  di  cui  era  presidente.  Allora  non  si  pensò 
€  neppure  di  incriminare  gli  artisti  che  avevano  cantato,  forse  perchè 

<  non  vi  era  un  Bonci,  contro  cui  roditore  avesse  potuto  utilmente 
«  rivalersi,  ma  denuncia  e^  processo  riguardarono  esclusivamente  il 
«  Tosi-Bellucci  che  aveva  organizzato  il  trattenimento;  e  poiché  la 
«  sua  difesa  aveva  dedotto,  fra  gli  altri  mezzi  di  cassazione,  che 

<  egli  poteva  al  più  ritenersi  complice  della  violazione  di  legge 

<  commessa  dai  cantanti  come  autori   materiali  del  fatto,  la  Gas- 

<  sazione  osservava  che  «  sarebbe  invero  cosa  strana  (sic)  che  si 
chiamasse  in  giudisio^  come  figura  principale  il  cantante  od  il  suo- 
natore che  eseguisce  i  peasfi  indicatigli^  ed  assumesse  l'aspetto  di  un 
complice  chi  dà  il  trattenimento,  ne  traccia  il  programma,  distri- 
buisce gli  inviti,  provvede  alle  spese  ». 

«  Del  resto,  un  esempio  assai  pratico  varrà  a  chiarire  sempre  più 

<  la  evidenza  del  concetto. 

<  Oltre  i  noli  per  la  musica,  vi  sono  negli  spettacoli  teatrali  altri 

<  noli  dovuti  per  le  scene,  per  i  vestiari  e  simili  ;  e  non  è  raro  che, 
«  per  il  mancato  pagamento  di  essi,  invece  di  un  semplice  debito 
«  civile,  sorga  materia  per  una  querela  penale,  ad  esempio,  di  truffiau 

<  In  questo  caso,  potrà  dirsi  che  il  cantante,  l'attore  od  il  mimo, 

<  perchè  indossarono  il  vestiario,  di  cui  fu  firodato  il  nolo,  e  se  ne 

<  servirono  per  rappresentare  la  parte  a  loro  affidata,  anche  se  fu- 
4c  rono  a  conoscenza  del  torto  patito  dal  fornitore,  abbiano  concorso 
«  come  complici  nella  consumazione  del  reato? 

Quale  l'opinione  più  accettabile:  quella  del  tribunale  di  Bologna, 
0  queUa  che  abbiamo  poco  anzi  esposta? 

La  questione  è,  come  osservammo,  gravissima,  e  meriterebbe  un 
lungo  e  paziente  studio  dei  vari  aspetti  sotto  cui  si  presenta,  per 
essere  risolta:  di  ciò  non  ha  tenuto  conto  la  sentenza  che  commen- 
tiamo, alla  quale  senza  dubbio  va  rimproverata  una  soverchia  laco- 
nicità. È  d'uopo  intanto  osservare  come  a  torto  si  è  preteso  da  al- 
cuni che  il  tribunale  abbia  accolto  il  principio  della  responsabilità 
degli  artisti  in  materia  di  violazione  di  diritti  di  autore,  ogni  volta 
che  esista,  quella  dell'impresario. 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE  713 

La  sentenza  parla  di  coloro  che  concorsero  dolosamente  alla  ese- 
cuzione abusiva,  escludendo  cosi  che  possa  essere  responsabile  l'ar- 
tista allorquando  non  sia  stato  a  conoscenza  della  violazione  in  parola. 
E  in  vero,  se  sta  all'organizzatore  dello  spettacolo  il  mettersi  in 
corrente  volta  per  volta  coi  diritti  di  autore,  il  che  non  è  dubbio, 
come  si  può  ritenere  responsabile  l'artista  dell'omissione  in  cui  quegli 
sia  caduto? 

L'omissione  non  può  corrispondere  che  ad  un  obbligo,  ma  chi  vorrà 
sostenere  che  l'artista  ha  l'obbligo  d'accertarsi  che  l'impresario  ha 
pagato  prima  dell'esecuzione  dello  spettacolo  i  noli  dell'opera? 

Un  simile  principio  è  evidentemente  contrario  ad  ogni  regola  am- 
ministrativa, e  incepperebbe  senza  dubbio  il  buon  andamento  delle 
gestioni  teatrali,  creando  delle  indebite  ingerenze  e  dei  conflitti. 

La  discussione  adunque  non  può  cadere  che  su  questo  punto,  sul 
sapere  cioè  se  la  responsabilità  dell'artista  sorga  allorché  egli  sia 
in  dolo. 
Ma  qui  altre  e  non  meno  gravi  questioni  si  presentano. 
A  costituire  in  dolo  l'artista,  basterà  provare  in  lui  la  semplice 
scienjsa  della  violazione,  o  non  sarà  necessario  un  dolo  piti  y^ecifico, 
una  volontà  maggiormente  diretta  alla  violazione  stessa? 

Il  Tribunale  di  Bologna  ha  condannato  il  Bonci  perchè  sapeva 
che  coU'eseguire  quei  dati  brani  di  musica  si  venivano  a  violare  i 
diritti  della  Ditta  Bicordi;  ha  ritenuto  cioè  che  basti  la  semplice 
scienza  della  violazione  per  dare  luogo  alla  responsabilità  dell'artista. 
Tale  teorica  ci  sembra  però  molto  discutibile.  Intanto  se  si  vuole 
ritenere  responsabile  l'artista  di  violazione  nei  diritti  d'autore  sarà 
necessario  risolvere  una  questione  pregiudiziale,  e  cioè  se  l'artista  che 
canta  in  un  teatro,  data  l'organizzazione  dello  spettacolo  da  parte  di 
un  impresario,  possa  mai  cadere  nella  violazione  stessa.  E  qui  sarebbe 
opportuna  una  ricerca  intima  del  contenuto  giuridico  del  diritto  di 
rappresentaeione,  che  evidentemente  esorbita  dai  limiti  del  nostro 
lavoro. 

Una  volta  poi  fissato  questo  contenuto,  necessiterebbe  indagare  se 
in  uno  spettacolo  teatrale  possano  sussistere  tanti  reati  di  esecuzione 
abusiva,  quanti  sono  coloro  che  vi  prendano  parte,  o  se  il  reato  invece 
non  possa  essere  che  unico^  come  unico  nel  suo  complesso  è  lo  spet- 
tacolo. 


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714  ▲RTK  CONTKMPORANBA 

Perchè,  in  verità,  se  non  la  logica  giaridica,  il  buon  senso  si  ri- 
beUa  a  vedere  condannati  per  esecuiione  abusiva  il  8uonato;re  di  vì<k- 
lino  0  di  contrabbasso  che  fa  parte  dell'orchestra,  od  un  corista.  Ed 
è  a  questa  conseguenza  che  si  giunge  accettando  il  principio  del 
Tribunale  bolognese,  il  quale  non  distingue  fra  artisti  e  artìsti,  ma 
genericamente  parla  di  coloro  che  concorsero  alla  esecuzione  abusiva; 
ed  evidentemente  fra  questi  possono  comprendersi  tutti  i  componenti 
l'orchestra,  le  masse  corali,  i  vestiaristi,  gli  attrezzisti  ecc.,  ed  anche 
il  suggeritore. 

La  necessità  di  distinguere  appare  quindi  evidente,  ma  con  quali 
criteri?  Dal  momento  che  è  la  scienza  dell'esecuzione  abusiva  di  uno 
spettacolo  che  dà  luogo  alla  responsabilità  di  tutti  coloro  che  vi  con* 
corrono,  quando  questa  sia  provata,  trattisi  di  professore  di  orchestra 
0  di  cantante,  dovrà  sempre  essere  irrogata  una  pena.  Ci  troveremma 
quindi,  in  pratica,  di  fronte  ad  una  gradazione  di  multe,  la  quale 
andrebbe  presumibilmente  commisurata  allo  stipendio  che  il  profes- 
sore di  orchestra,  il  cantante,  percepiscono. 

Tutto  ciò  sarà  giuridico,  ma  ha  dell'assurdo. 

D'altronde  non  appare  equo  che  sempre  ed  in  ogni  caso  l'artista 
possa  trincerarsi  dietro  la  responsabilità  deirimpresario;  e  così  si  & 
il  caso  che  egli  sia  stato  diffidato  formaimmte  a  cantare,  e  allora 
si  ammette  che,  se  non  obbediscOi  debba  ritenersi  colpevole  del  reato 
di  violazione.  È  evidente  che  in  tale  ipotesi  il  doh  dell'artista  è 
specifico^  la  sua  volontà  univoca^  diretta  cioè  alla  violazione.  —  Egli 
non  può  più  schermirsi  dietro  la  responsabilità  dell'impresario,  perchè 
la  diCBda  pone  in  essere  un  nuovo  rapporto  più  diretto,  crea  in  lui 
un  obbligo  determinato.  —  Ma  è  solo  neiripotesi  della  diffida  che 
deve  ritenersi  responsabile  l'artista? 

La  specialità  dei  casi  suggerirà  volta  per  volta  diversi  temperamenti. 

Cosi  riteniamo  sufficiente  a  rendere  responsabile  l'artista,  se  Tedi* 
toro  ebbe  in  qualsiasi  modo  a  proibirgli  di  prendere  parte  alla  ese> 
cuzione  abusiva  dello  spettacolo. 

Non  disconosciamo  però  che  col  fin  qui  detto  abbiamo  appena  sfio- 
rata la  nuova  ed  elegante  questione,  la  quale,  data  la  sua  importanza, 
richiederebbe  uno  studio  diligente  ed  uno  svolgimento  completo. 

Saremo  lieti  in  ogni  modo  se  alla  sua  soluzione  avremo  anche  noi 
contribuito,  sia  pure  soltanto  accennando  i  punti  principali  su  cui 
la  discussione  deve  aggirarsi. 


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0IURI8PRU0BNZA  TEATRALK  715 


INES  DE  FRATE 

CONTRO 

LA  SOCIETÀ  ANONIMA  DEL  TEATRO  ALLA  SCALA 

Corte  di  Appello  di  Brescia:  22  aprile- 7  maggio  1901. 

Neirultimo  fascìcolo  di  questa  Rivista,  commentando  la  sentenza 
della  Cassazione  torinese  27  novembre  1900,  nella  causa  promossa 
dalla  signora  Ines  de  Frate  contro  la  Società  Anonima  per  l'esercizio 
del  Teatro  alla  Scala,  accennavamo  alle  eleganti  questioni  di  diritto 
teatrale  che  in  essa  erano  sorte,  specialmente  per  quanto  riguarda 
la  inappellabilità  della  protesta  di  un  artista  fatta  dalla  Direzione 
teatrale,  o,  in  sua  sostituzione,  dal  direttore  d'orchestra. 

Siamo  lieti  ora  di  annunziare  che  la  tesi  da  noi  sostenuta  a  questo 
riguardo,  combattendo  la  sentenza  della  Corte  di  Appello  di  Milano 
(Vedi  in  questa  Rivista,  annata  1899,  fase.  IX),  è  stata  accolta  pie- 
namente dalla  Corte  di  Appello  di  Brescia  cui  la  causa  era  stata 
rinviata;  e  in  pari  tempo  andiamo  grati  all'avv.  Ferruccio  Foà,  di- 
fensore della  De  Frate,  che  in  una  sua  diligentissima  memoria  volle 
riportare  per  esteso  la  nostra  modesta  opinione  sull'importante  argo- 
mento. Crediamo  di  far  cosa  grata  ai  lettori  riferendo  le  considera- 
zioni di  diritto  della  suaccennata  sentenza  che  porta  la  data  22  aprile- 
7  maggio  1901. 

«  DIRITTO 

<  Nell'interesse  della  convenuta,  ora  appellata  Società  Anonima  per 
<  l'esercizio  del  Teatro  alla  Scala  si  è  persistito  e  sì  persiste  nel  so- 
«  stenere  che  il  contratto  a  cui  il  Canori  addivenne  colla  Società 
€  stessa  mediante  la  scrittura  12  settembre  1898,  sia  un  contratto 
4c  di  sublocazione  d'opera  e  che  questo,  al  pari  dei  congeneri  contratti 
«  di  sublocazione  delle  cose,  non  potesse  per  sua  natura  far  sorgere 
«  verun  diretto  rapporto  giuridico  fra  la  locatrìce  Ines  De  Frate  e 
«  la  subconduttrìce  Società  predetta;  ma  il  criterio  che  servì  di  in- 


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716  ARTE  CONTEMPORANEA 

4c  dirizzo  al  Tribunale  per  la  sua  pronuncia  circa  Fazione  promossa 
€  dalla  De  Frate,  criterio  accolto  anche  nella  sentenza  6  novembre  1900 
€  della  Cassazione  di  Torino,  fu  quello  che  al  contratto  stipulato 
«  colla  succitata  scrittura  12  settembre  1898  si  addica  invece  la 
«  qualifica  del  contratto  di  cessione  di  diritti  contemplato  dairarti- 
«  colo  1538  Cod.  civ. 

<  Questo  criterio  lo  si  riconosce  di  una  esattezza  incontrovertibile 
«  quando  si  ricordi  la  caratteristica  differenziale  fra  queUa  cessione 
4c  di  locazione  e  quella  di  sublocazione  che  sono  dall'  articolo  1573 

<  Cod.  civ.  consentite  al  conduttore.  La  cessione  della  locazione,  che 
«  può  aver  luogo  anche  prima  che  il  contratto  di  locazione,  sebbene 
«  perfetto  nei  suoi  elementi,  abbia  avuto  la  sua  esecuzione  tra  loca- 
«  tore  e  conduttore,  ha  per  effetto  che  il  conduttore  immette  in  proprio 
«  luogo  e  stato  il  cessionario,  il  quale  acquista  così  qualità  di  con* 
€  duttore  a  fronte  del  locatore,  ed  azione  diretta  per  ottenere  da  lui 
«  la  esecuzione  del  contratto,  cioè  la  tradizione  della  cosa  e  Tadempì- 

<  mento  degli  altri  oneri  inerenti  al  contratto  stesso  ;  la  sublocazìone 
«  airincontro,  semprechè  non  la  si  voglia  confondere  colla  cessione, 
«  presuppone  pel  suo  stesso  significato  filologico  che  il  contratto  di 
4c  locazione  già  abbia  avuto  la  sua  esecuzione  nei  rapporti  fra  loca- 
4c  tore  e  conduttore,  ed  in  forza  poi  della  sublocazione  il  conduttore 
«  assume  a  sua  volta  qualità  di  locatore  in  confronto  di   un  terzo, 

<  il  subconduttore,  colFobbligarsi  personalmente  verso  costui  alla  con- 
«  segna  della  cosa  locata  ed  agli  altri  oneri  conseguenti.  ^  Orbene, 
«  se  nel  contratto  di  locazione  delle  cose  possono  aver  luogo  tanto 
«  la  cessione,  quanto  la  sublocazione,  invece  nel  contratto  di  locazione 

<  d'opere,  data  anche  per  ragione  analogica  Tapplicabilità  al  mede- 
«  Simo  del  succitato  articolo  1573,  si  tratti  poi  di  locazione  operarum 
«  0  di  locazione  operis^  appare  bensì  di  piena  effettuabilità  il  con- 
4c  cetto  della  cessione^  nel  senso  che  il  conduttore  può  sostituire  a 
«  se  stesso  un  terzo  nel  diritto  di  esigere  direttamente  dal  locatore 
«  la  pattuita  prestazione  d'opera,  ma  non  è  possìbile  il  concetto  di 
«  una  sublocaaione^  perchè  una  volta  che  il  previo  contratto  di  loca- 
ci zione  abbia  avuto  effetto  colla  prestazione  d'opera  da  parte  del  loca- 
le tore  verso  il  conduttore,  ogni  oggetto  di  diritto  nei  riguardi  del 
«  conduttore  resta  completamente  esaurito. 

<  Il  contratto  pertanto  di  cui  alla  scrittura  12  settembre  1898  non 


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GIURISPRUDENZA   TEATRALE  717 

«  potè  essere  che  un  contratto  di  cessione  da  parte  del  Canori  alla 

<  Società  Anonima  precitata,  dei  diritti  che  a  lui  competevano  verso 

<  la  De  Frate  in  dipendenza  del  contratto  di  locazione  d'opera  di  cui 
«  alla  scrittura  14  agosto  1898;  siccome  poi  quel  contratto  di  ces- 
«  sione  fra  Canori  e  la  suddetta  Società  Anonima  trae  la  sua  effi- 
ge cienza  e  trova  in  certo  qual  modo  il  suo  complemento  nel  prece- 
«  dente  contratto  di  locazione  d*opera,  del  quale  ne  è  una  estrinsecazione, 
«  così  è  a  ritenersi,  come  appunto  rettamente  si  ritenne  nelVappel- 
«  lata  sentenza,  che,  nel  mentre  da  un  lato  la  cessionaria  Società 
«  Anonima  prese  posto  e  vece  del  Canori  nei  di  costui  diritti  e  doveri 
«  verso  la  signora  De  Frate,  d'altro  lato  la  De  Frate,  la  quale  se  non 
«  figura  intervenuta  nel  contratto  di  cessione  ebbe  però  a  darvi  ese- 
«  cuzione,  prese  posto  e  vece  del  Canori  nei  di  costui  diritti  e  doveri 
«  verso  la  Società  Anonima  predetta  in  forza  delle  combinate  dispo- 
«  sizioni  delle  due  succitate  scritture,  colla  sola  esclusione  del  diritto 
«  di  esigere  il  prezzo  della  cessione,  perchè,  avendo  il  Canori  pat- 
«  tuito  di  esigere  esso  medesimo  un  cotal  prezzo,  restava  inalterato 
«  nella  De  Frate  il  diritto  di  farsi  pagare  integralmente  dal  Canori 
4c  il  prezzo  del  suo  contratto  di  locazione  d'opera.  —  Ciò  stante,  se 
«  non  poteva  competere  alla  De  Frate  azione  ex  contraciu  per  con- 
«  seguire  dalla  Società  Anonima,  più  volte  menzionata,  le  rate  del 
4c  prèzzo  del  contratto  di  cessione,  l'azione  ex  contraciu  ben  le  com- 
«  poteva  invece  a  base  sempre  delle  combinate  disposizioni  delle  due 
«  scritture  suddette  per  la  manutenzione  d'ogni  altro  patto  attinente 
«  al  contratto  di  cessione  medesimo,  o,  in  difetto,  per  il  correla- 
le tivo  scioglimento  di  contratto  e  ristoro  di  danni  a  senso  dell'arti- 
«  colo  1165  Cod.  civ. 

«  Applicando  queste  poche  premesse  di  diritto  alla  tesi  propugnata 
«dalla  attrice,  ora  appellata,  Ines  De  Frate,  cotal  tesi  merita  di 
4c  essere  assistita  da  una  soluzione  favorevole  in  massima  agli  intenti 
€  della  De  Frate  medesima. 

«  Si  tenga  presente  diffatti  che,  a  termini  della  scrittura  14  agosto 
«  1898,  il  contratto  di  prestazione  d'opera,  in  qualità  di  prima  donna 
«  soprano  assoluto,  a  cui  si  obbligò  la  De  Frate  verso  il  Canori  per 

<  il  Teatro  Argentina,  era  sottoposto  alla  condizione  sospensiva  della 
«  approvazione  da  parte  della  Diregione  o  delV Editore  e  che,  a  ter- 
€  mini  della  successiva   scrittura  12  settembre   1898,  la  De  Frate 


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718  ARTI  gomuebcporànsa 

«  se  doveva  invece  per  un  certo  tempo  prestare  l'opera  propria  al 
«  Teatro  alla  Scala,  lo  doveva  però  sotto  Toss^vanza  dei  patti  sti- 
€  fidati  fra  essa  ed  il  Canori  pel  teatro  Argentina^  patti  che,  a 
«  seconda  delle  testuali  parole  di  .detta  scrittura,  corrispondevano  a 
«  queUi  in  uso  presso  la  Scala.  Si  tenga  presente  che  giusta  il  ca- 
«  pitolato  in  uso  per  la  gestione  del  Teatro  alla  Scala  all'epoca  della 
€  scrittura  12  settembre  1898  ed  al  quale  le  parti  fecero  riferimento 
4c  nella  scrittura  stessa  colle  espressioni  qui  or  ora  testualmente  rì- 
«  portate,  l'approvazione  dei  contratti  cogli  artisti  era  demandata  ad 

<  una  Commissione  teatrale,  che  costituiva  una  personalità  indipen- 
«  dente  e  distinta  dall'Impresa  per  l'esercizio  del  teatro  ;  si  tenga 

<  presente  che  soltanto  in  seguito,  e  cioè  nel  novembre  1898,  fu  com- 
«  pilato  e  messo  in  vigore  un  nuovo  Capitolato,  per  effetto  del  quale 
«  l'approvazione  dei  contratti  cogli  artisti  era  inappellabilmente  devo- 
te luta  al  Direttore  d'orchestra^  scelto  dalla  impresa  coU'&ssenso  dei 
«  concedenti  il  teatro;  si  tenga  presente  che,  se  per  l'indole  speciale 
«  dei  contratti,  del  genere  di  quello  in  esame,  e  se  per  la  necessità 
«  di  togliere  di  mezzo  con  modi  pronti  ed  economici  gli  impedimenti 
«  che  si  frapponessero  al  buon  andamento  degli  spettacoli  teatrali 
«  sono  insindacabili  gli  apprezzamenti  pei  quali  le  Commissioni  tea- 
«  trali  mettono  il  loro  veto  al  contratto  di  un  artista  coli'  Impresa, 
«  si  può  tuttavia  e  seriamente  contestare,  in  base  all'articolo  1123 
«  God.  civ.,  che  una  cotale  insindacabilità  abbia  a  proteggere  anche 
4c  le  pronuncio  di  protesta,  a  riguardo  di  contratti  di  artisti,  in  base 
€  a  capitolati  entrati  in  vigore  posteriormente  a  quei  contratti  e, 

<  quello  che  è  ancora  più,  emesse  da  persone  diverse  da  quelle  ac- 
€  cettate  in  detti  contratti  ed  aventi  rapporti  di  dipendenza  colla 
«  Impresa,  quale  è  appunto  il  Direttore  di  orchestra  ;  da  ultimo, 
«  per  non  lasciare  incompleto  nessun  ordine  di  considerazioni,  si  tenga 
«  presente  che,  attesa  la  condizione  sospensiva  a  cui  il  contratto  di 

<  hcatio  operis  in  discorso  per  la  specialità  del  suo  scopo  era  stato 
«  vincolato,  si  deve  eziandio  riconoscere  che  non  vi  sarebbe  titolo 
«  giuridico  a  querimonie  avverso  la  Società  esercente  il  Teatro  alla 

<  Scala  qualora  la  De  Frate  non  avesse  dato  alla  Società  stessa  tale 
«  saggio  del  suo  valore  artistico  da  potersene  ripromettere  un  sod- 
«  disfacente  risultato  anche  sulle  importanti  scene  della  Scala  ed 

<  apparisse  quindi  giustificato  l'uso  che  fu  fatto  della  condizione 


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OIURISPRUDINZA    TKATRALK  710 

«  sospensira  di  cui  sopra  mediante  quella  protesta  della  quale  si  è 
«  tenuto  parola;  sì  tenga  presente  tutto  il  preesposto  e,  quando  pur 
«  si  potesse  sorpassare  sulla  circostanza  che  l'Impresa  fu  poco  solle* 
<c  cita  nel  dare  la  notizia  alla  De  Frate  della  protesta  del  maestro 
^  Toscanini,  non  si  potrà  a  meno  tuttavìa  di  venire  alle  conclusioni 
«  seguenti  : 

<  1»  Che  non  vi  sono  per  ora  elementi  all'appoggio  dei  quali  si 
«  possa  &r  ragione  all'assunto  dell'appellante  Società  Anonima  suindi- 

<  cata  e  mandarla  assolta  senz'altro  da  tutte  le  domande  contro  di 

<  lei  spiegate  dalla  Ines  De  Frate,  e  che  mancano  del  pari  elementi 
«  per  poter  ora  accogliere  le  istanze  qui  espresse  in  forma  di  appello 
«  incidentale  dalla  Ines  De  Frate  sotto  le  lettere  A  e  C. 

€  2"»  Che  non  ha  veste  la  Ines  De  Frate  per  chiedere  quel  re- 
«siduo  prezzo  del  contratto  di  cessione  in  lire  quattro  mila  di  cui 
«  alla  lettera  b  del  suddetto  appello  incidentale,  ma  che,  data  la 
«  parziale  inosservanza  contrattuale  da  parte  della  cessionaria  Società 
«  Anonima  summenzionata  circa  la  persona  investita  della  facoltà  di 
«  approvare  o  no  gli  artisti,  sarebbe  incivile  che  a  riguardo  della 
4  protesta  fatta  a  carico  della  De  Frate  dal   Direttore  d'orchestra 

<  ^oscanini  si  escludesse  la  ragione  sindacatrice  del  Magistrato  e  si 
«  denegasse  alla  De  Frate  di  porger  prova  per  stabilirei  come  titolo 

<  di  risoluzione  del  contratto  di  cessione  12  settembre  1898,  la  erro- 
re neità  della  suddetta  protesta  nonché  di  stabilire  i  coefificienti  del 
«  danno  a  lei  derivatone. 

«  La  prova  all'uopo  dedotta  dalla  De  Frate,  ed  ammessa  nella  sen* 
«  tenza  appellata,  fu  quella  per  testimoni,  la  qual  prova,  senza  va* 
«  lutarne  ora  con  intempestiva  preoccupazione  del  merito  tutta  la 
«eventuale  efficacia  nei  suoi  finali  risultamenti,  si  presenta,  tanto 
«  nella  parte  sostanziale  quanto  nella  parte  di  contorno ,  corrispon- 
«  dente  agli  enunciati  suoi  scopi;  cotal  prova  la  è  adunque,  nei  rap- 
«  porti  oggettivi,  a  dirsi  ammissibile,  ad  eccezione  tuttavia  delle 
41  circostanze  probatoriali  di  cui  ai  N^  10, 11, 12,  perchè  queste  con- 
«  cernono  fatti  già  altrimenti  posti  in  essere  dalle  risultanze  di  causa 
«  e  circa  i  quali,  del  resto,  non  havvi  neppure  nessun  contrasto  fra 
«  le  parti. 

«  In  questa  seconda  sede  l'appello  incidentale  della  Ines  De  Frate 
«  venne,  in  via  subordinata,  esteso  anche  alla  prova  per  interroga- 


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720  ARTE  CONTEMPORANEA 

€  torio  deiring.  Gatti-Casazza,  Direttore  Generale  della  Società  Ano- 
«  nima  per  l'esercizio  del  Teatro  alla  Scala,  prova  che  non  era  stata 
4c  dal  Trìbanale  ammessa  ;  questa  decisione  del  Tribunale  però  deve 
«  essere  mantenuta,  perchè,  comunque  vi  sia  qualche  apprezzabile 
«  argomento  per  sostenere  che  Tinterrogatorio  possa  deferirsi  anche 

<  alle  persone  che,  senza  essere  materialmente  presenti  al  giudizio, 
«  pure  si  immedesimano  per  ragione  giuridica  colla  parte  in  causa, 
«  ciò  non  si  verifica  nel  caso  attuale,  nel  quale  la  Società  Anonima 

<  preindicata  fu  chiamata  ed  intervenne  in  causa  in  persona  del  pro- 
«  prìo  Presidente,  il  Duca  Guido  Visconti  di  Modrone,  le  cui  funzioni 
«  di  rappresentanza  sono  bene  distinte  dalle  funzioni  tecniche  attrì- 

<  buite  al  Direttore  Generale  della  Società  Anonima  suddetta. 

«  Passando  a  dire  della  domanda  di  garantia,  stata  avanzata  in 
«  confronto  del  Canori  e  che  pur  forma  tema  dell'appello  principale 

<  interposto  dalla  Società  esercente  il  Teatro  alla  Scala,  si  osserva 
«  che  la  già  data  pronuncia  di  assoluzione  del  Canori  da  cotale  do- 
€  manda  deve,  benché  per  motivi  diversi  da  quelli  svolti  nella  recla- 
«  mata  sentenza,  essere  tenuta  ferma;  e  deve  quella  pronuncia  di 
«  assoluzione  essere  tenuta  ferma,  perchè  la  suddetta  domanda  di 
«  garantia  non  ha  più  ragione  d'essere  nei  rapporti  delle  L.  4000, 
«  chieste  dalla  De  Frate  alla  precitata  Società  Anonima  come  residuo 
«  del  prezzo  del  contratto  di  cessione  portato  dalla  scrittura  12  set- 
«  tembre  1898,  essendosi  qui  ritenuto  che  non  spetta  azion  cÌTÌle 
«  alla  De  Frate  verso  la  Società  medesima  pel  pagamento  di  quel 

<  prezzo  e  perchè  la  domanda  di  garantia  di  cui  sopra,  non  può  esten- 
€  dorsi  a  quelle  somme,  che  furono  dalla  De  Frate  chieste  alla  su- 
«  indicata  Società  Anonima  a  titolo  indennizzo,  essendo  evidente  che 
«  tali  somme  rappresenterebbero  un  debito  dipendente  da  esclusiva 
«  colpa  della  Società  medesima.  —  Il  giudizio  emesso  dal  Tribunale 
«  sulla  testé  indicata  domanda  di  garantia,  doveva  avere,  come  ap- 
«  punto  ebbe  per  corollario,  anche  la  condanna  nelle  spese  a  carico 
«  della  parte  da  cui  quella  domanda  era  stata  proposta/ 

«  Bimane  a  versare  sulla  controversia  istituita  dal  Canori  colla 
«  citazione  15  gennaio  1899  avverso  la  Società  Anonima  per  Teser- 
41  cizio  del  Teatro  alla  Scala.  —  A  riguardo  di  tale  controversia  la 
«  Società  Anonima  predetta  oppose  innanzi  tutto  in  questa  sede  d*ap- 
«  pollo  una  eccezione  pregiudiziale  e  cioè  che  la  sentenza  4-11   lu- 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE  721 

«  glio  1899  della  Corte  d'Appello  di  Milano,  che  non  fu  dal  Canori 
4  impugnata  con  ricorso  in  Cassazione  ed  il  cni  annallamento  fu 
«  ottenuto  dalla  sola  De  Frate,  dovrebbe,  in  confronto  del  Canori, 
€  avere  forza  di  cosa  giudicata,  ma  in  proposito  non  si  esita  ad  affer- 
ai mare  come  verità  giuridica  che  la  testé  accennata  eccezione  manca 

<  di  legale  fondamento.  E  Targomento  di  questa  verità  sta  nel  riflesso 
«  che,  anche  non  tenendo  conto  della  formola  amplissima  del  dispo- 
«  sitivo  della  sentenza  della  Suprema  Corte  di  Torino,  6-27  no- 
«  vembre  1900,  che  cassò  senza  limitazione  di  sorta  quella  441  luglio 
€  stesso  anno  della  Corte  di  Appello  di  Milano,  l'interesse  del  Canori 
€  è  essenzialmente  dipendente  dalFinteresse  della  De  Frate,  nel  senso 

<  che  l'esito  dell'azione  proposta  dal  Canori  è  subordinato  all'esito 
€  dell'azione  istituita  dalla  De  Frate  colla  precedente  citazione  8  gen 
«  naio  1899  per  ottenere  sentenza  che  pronunci  la  risoluzione,  per 
€  colpa  della  Società  Anonima  esercente  il  Teatro  alla  Scala  —  del 
€  contratto  stipulato  colla  scrittura  12  settembre  1898.  —  Diflfatti  il 
€  Canori  ha  una  interessenza  attiva  e  passiva  nel  contratto  di  ces- 
«  sione  12  settembre  1898  ;  attiva  in  quanto  esso  si  è  riservato  il 
«  diritto  di  esìgere  il  prezzo  di  cessione  ;  passiva  in  quanto  che  ne- 
«  cessarìamente  sta  anche  per  lui  quella  condizione  risolutiva  di  cui  si 
«  è  fatto  cenno:  ma  è  evidente  che  si  avranno  le  conseguenze  o  dell'una 

<  0  dell'altra  di  cotali  interessenze  a  seconda  che  il  contratto  di  ces- 
«  sione  di  cui  sopra  verrà  o  no  dichiarato  sciolto  per  colpa  della 

<  Società  cessionaria.  —  Da  qui  l'applicabilità  a  favore  del  Canori 

<  del  disposto  del  N.  1  dell'art.  471  Cod.  proc.  civ.,  dove  si  stabi- 
le lisce  appunto  che  l'annullamento  di  una  sentenza  giova  anche  a 

<  coloro  che  hanno  un  interesse  dipendente  essenzialmente  da  quello 
«  della  persona  che  ottenne  l'annullamento,  e  così  questa  Corte  di 

<  rinvio  può  ritenersi  investita  della  cognizione  di  tutta  la  causa. 

«  Quell'intimo  rapporto  di  cui  or  ora  si  è  fatto  parola,  e  che  col- 
«  lega  l'azione  spiegata  dal  Canori*  colla  citazione  15  gennaio  1899 
«  alla  azione  spiegata  dalla  De  Frate  coll'anteriore  citazione  8  gen- 

<  naio  stesso,  serve  anche  a  rendere  manifesto  che  non  si  hanno  per 
«  anco  gli  elementi  per  emettere  giudizio  né  sulle  domande  già  for- 
«  manti  oggetto  delle  conclusioni  prese  in  via  principale  dal  Canori 
«  avanti  al  Tribunale  ed  ora  da  lui  riprodotte  in  forma  di  appello 

<  incidentale,  né  sulle  domande  della  appellante  Società  esercente  il 


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722  ARTE  GONTBMPOaANKA 

«  Teatro  alla  Scala,  dirette  ad  ottenere  Y  assoluzione  di  detta  So- 
«  cietà  dalla  azione  in  di  lei  confronto  promossa  dal  Canori  colla 
«  citazione  15  gennaio  1899,  e  raccoglimento  della  domanda  neon- 
«  venzionale  per  la  condanna  del  Canori  a  rifondere  alla  Società  stessa 
«  le  L.  4000,  che  essa  ha  pagato  per  di  lui  ordine  e  conto  alla  De  Frate, 

<  nonché  a  risarcirle  i  danai.  —  Adertesi  che  commise  equivoco  il 

<  Canori  in  uno  dei  suoi  capi  di  domanda,  in  quello  con  cui  chiese 
«  la  conferma  della  sentenza  appellata  per  ciò  che  riguarda  la  do- 
«  manda  di  danni  da  luiproposta^  e  commise  equivoco,  perchè  nella 

<  sentenza  appellata,  nel  mentre  nel  contesto  della  sua  motivazione 
«si  dichiararono  inutili  le  prove  per  testimoni  e  per  interrogatorio 
«  dedotte  dal  Canori  in  vìa  subordinata,  si  disse  bensì  che  il  Canori 

<  potrà  0  meno  trarre  fondamento  per  la  sua  domanda  di  danni  dal- 
«  l'esito  delle  prove  proposte  dalla  De  Frate,  ma  non  fu  data  nessuna 
«  pronuncia  di  obbligo  a  ristoro  di  danni  a  favore  del  Canori. 

«  Per  quanto  poi  concerne  le  prove  per  testimoni  o  per  interroga- 
«  torio,  che  anche  in  questo  secondo  giudizio  furono  riproposte  dal 

<  Canori,  basta  osservare  che  non  è  del  caso  di  versare  circa  la  ac- 
«  coglibilità  di  cotali  prove,  dappoiché  la  loro  ammissione  fu  chiesta 
«  soltanto  in  via  subordinata  e  pel  caso  che  nel  presente  giudizio 
«  d'appello  fossero  dichiarate  inammissibili  le  prove  testimoniali  che, 
«  assecondando  l'istanza  della  De  Frate,  già  vennero  consentite  nella 
«  sentenza  appellata. 

«  E  che  l'esito  di  queste  prove  testimoniali  abbia  ad  essere  tonato 
«  in  conto  anche  per  le  future  decisioni  nei  riguardi  del  Canori  pare 
«  non  lo  si  possa  mettere  in  dubbio,  perchè,  in  proposito,  non  è  da 
«  lasciare  prevalenza  a  qualche  vieta  usanza  procedurale  sul  Utto 
«  che  qui  trattasi  bensì  di  due  cause,  ma  di  due  cause  che,  oltre 
«  all'essere  state  fra  loro  riunite ,  hanno  fondamento  negli  identici 
«  titoli  contrattuali  e  per  le  quali  dovrà  essere  unica  la  ragione  del 
«  decidere. 

«  La  circostanza  del  favorevole  risultato,  che  ebbe  avanti  la  Gas- 
«  sazione  il  ricorso  interposto  dalla  De  Frate  contro  la  sentenza  della 
«  Corte  d'Appello  di  Milano  costituisce  motivo  per  tenere  a  carico 

<  della  Società  Anonima  esercente  il  Teatro  alla  Scala  le  spese  che 
«  la  De  Frate  ha  dovuto  sostenere  nel  giudizio  d'appello  a  cui  si 
«  riferisce  la  sentenza  cassata  e  nel  giudizio  di  Cassazione. 


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6IURI8PRUD1NZA  TEATRALE  723 

«  Per  Io  stesso  motivo  si  ritiene  di  addebitare  alla  predetta  So- 
«  cietà  Anonima  le  spese  che  il  Canori  ebbe  a  sostenere  nel  giudizio 
4c  svoltosi  avanti  la  Corte  d'Appello  di  Milano. 

«  Nel  giudizio  che  fti  agito  avanti  questa  Corte  d'Appello  la  ap- 
«  pollante  Società  Anonima  esercente  il  Teatro  alla  Scala  ebbe  par- 
4c  ziale  vittoria  in  confronto  alla  De  Frate,  e  tanto  la  De  Frate  che 
«  il  Canori  furono  soccombenti  nei  rispettivi  loro  appelli  incidentali, 
«  opperò  sembra  equo  il  compensare  fra  tutte  le  parti  le  spese  del 
«  giudizio  suindicato,  mentre  si  riconosce  che,  attesa  l'indole  della 
«  pronuncia  data  dal  Tribunale,  fu  giusto  e  prudenziale  partito  quello 
«  di  tenere  in  sospeso  nella  sentenza  appellata  il  giudizio  sulle  spese 
4c  circa  le  due  cause  iniziate  colle  citazioni  8-15  gennaio  1899. 

«  Per  questi  riflessi  la  Corte,  ecc.  ». 


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724  ARTE  CONTBHPORANBA 


IL  MAESTRO  CIPOLLINI 
CONTRO  L'EDITORE  SONZOGNO 

Tribunale  civile  di  Milano,  28  maggio  1901. 


Con  atto  in  data  20  maggio  1893  il  maestro  Cipollini  cedeva  alFedi- 
tore  Sonzogno  la  proprietà  esclnsìva  ed  ogni  altro  diritto  sulla  sua 
opera  11  piccolo  Hatfàn^  e  sì  assumeva  in  pari  tempo  di  scriverne 
una  seconda  entro  il  31  maggio  1896  per  conto  dello  stesso  editore 
sul  libretto  che  il  medesimo  gli  avrebbe  fornito.  L'editore  dal  suo 
canto  si  obbligava  di  corrispondergli,  a  titolo  anche  di  retribuzione 
della  nuova  opera,  mensili  L.  200  dal  1^  giugno  1893  al  31  maggio 
1894  ed  il  30  7o  sul  ricavo  dei  noleggi  lordi  del  Piccolo  Haydn, 
e  per  il  periodo  di  venti  anni. 

Il  maestro  Cipollini  stava  scrivendo  la  nuova  opera  sul  libretto 
della  Milton  Lenelos,  scelto  dal  Sonzogno,  quando  le  parti  addiven- 
nero nel  26  maggio  1894  ad  un  secondo  contratto,  in  forza  del  quale 
il  maestro  Cipollini  cedeva  al  Sonzogno  la  proprietà  esclusiva  ed 
ogni  altro  diritto  anche  della  Ninon  LeneloSy  ed  il  Sonzogno  per 
parte  sua  in  aggiunta  alle  mensilità  già  corrispostegli  in  forza  del 
precedente  contratto,  si  obbligava  di  corrispondergli  altre  L.  1400 
in  sette  mensilità  dal  1®  giugno  1894,  a  tutto  dicembre  stesso  anno, 
ed  il  30  7o  sul  ricavo  lordo  di  noleggi  per  il  periodo  di  venti  anni, 
esclusi  dal  computo  della  percentuale  i  noli  per  la  prima  rappre- 
sentazione e  per  le  riproduzioni  dell'opera  al  Teatro  Lirico  Interna- 
zionale e  alla  Canobbiana.  Il  maestro  Cipollini  si  assumeva  inoltre 
di  comporre,  dopo  ultimata  la  Ninon  Lenelos^  altre  due  opere,  qua- 
lora il  Sonzogno  avesse  creduto  di  dargliene  commissione,  verso  retri- 
buzione di  L.  4000  la  prima,  e  di  L.  8000  la  seconda,  oltre  il  30  Vo 
per  la  durata  di  anni  20,  da  pagarsi  le  suddette  L.  4000  e  L.  8000, 
una  volta  ordinate  le  opere  dal  Sonzogno,  in  48  mensilità  di  L.  2G0 
ognuna,  a  partire  dal  V  gennaio  1895,  fino  al  dicembre  1898. 


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GIURISPRUDBNZA  TEATRALE  725 

Fra  maestro  ed  editore  non  djirarono  a  lungo  i  buoni  rapporti. 
Lamentandosi  il  Cipollini  che  il  Sonzogno  lo  aveva  defraudato  della 
dovutagli  percentuale  sottraendo  alcuni  dei  teatri  ove  le  opere  erano 
state  rappresentate,  ed  esponendo  una  cifra  di  noleggio  minore  della 
reale,  conveniva  Teditore  dinanzi  il  Tribunale  di  Milano,  chiedendone 
la  condanna  al  pagamento  di  L.  4800  oltre  ai  danni  in  L.  18.000. 
Con  sentenza  12  luglio  1900,  il  Tribunale  nominava  un  arbitro 
conciliatore  col  mandato  di  sentire  personalmente  le  parti,  tentarne 
la  conciliazione,  ed  ove  questa  non  riuscisse,  esaminare  i  libri  e  i 
registri  della  ditta  Sonzogno,  proponendo  poi  le  opportune  correzioni 
e  rettifiche,  e  concretando  a  quanto  ammontava  il  credito  del  maestro. 
L'arbitro  rag.  Vittorio  Scotti,  riuscite  vane  le  sue  pratiche  conci- 
liative, provvedette  alle  verifiche,  e  nel  giorno  20  gennaio  1901  depo* 
sitò  in  Cancelleria  la  sua  relazione. 

Dopo  ciò  il  maestro  Cipollini  citò  nuovamente  Veditore  Sonzogno 
con  atto  10  marzo  1901  avanti  il  Tribunale  di  Milano,  chiedendo  la 
risoluzione  dei  contratti  1893  e  1894,  e  la  condanna  del  Sonzogno 
a  L.  22.800  a  titolo  di  risarcimento  di  danni. 

Ma  tali  domande  sono  state,  con  sentenza  in  data  22  maggio  1901, 
in  massima  parte  respinte. 

Per  quanto  riguardava  il  contratto  della  Ninon  Lendos^  ha  osser- 
vato il  Tribunale  che  era  gratuita  asserzione  del  maestro  Cipollini 
che  la  sua  opera  avesse  realmente  incontrato  il  favore  del  pubblico 
sì  da  meritare  l'onore  di  parecchie  rappresentazioni,  e  quindi  non 
poteva  il  Cipollini  lamentarsi  se  era  stata  data  una  sera  soltanto,  e 
in  base  a  questo  fatto  chiedere  la  risoluzione  del  contratto. 

Né  tale  risoluzione  fu  ammessa  per  i  contratti  riferentisi  alle  due 
opere  da  destinarsi  dal  Sonzogno.  Sosteneva  il  maestro,  che  avendo 
percepito  due  mensilità  di  L.  250  cadauna  al  l*"  gennaio  e  1^  feb- 
braio 1895,  si  doveva  in  questo  fatto  ravvisare  la  conferma  dell'im- 
pegno assuntosi  dal  Sonzogno  di  dargli  la  commissione  delle  due 
opere;  ma  giustamente  ha  osservato  la  sentenza  che  col  noto  contratto 
il  Cipollini  aveva  incontrato  una  obbligazione  condizionata  nel  senso 
che  a  renderla  perfetta  era  necessario  il  concorso  della  volontà  del 
Sonzogno  coll'indicazione  delle  opere  che  egli  avrebbe  voluto  fossero 
musicate,  indicazione  che  non  era  mai  stata  fatta:  d'altra  parte  il 
fatto  del  pagamento  delle  mensilità  non   poteva  altro  mostrare,  che 


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720  ARTS  GONTSBIPMUIISA 

allora  dal  Sonzog^o  si  vagheggiala  il  proposito  di  prevalisi  ddle 
facoltà  che  il  secondo  contratto  gli  accordava. 

Non  restava  quindi  che  risolvere  la  questione  delle  percentuali  pei 
noleggi  del  Piecoh  Hoydn^  e  in  questa  parte  riconobbe  il  Trìbanale 
che  il  Cipollini  era  tuttora  in  credito  verso  il  Sonzogno  di  L.  550,64. 
.  La  sentenza  ha  quindi  concluso  colla  condanna  dell'ediUne  Son- 
zogno in  L.  550,64  verso  il  maestro,  compensando  tra  le  parti  le 
spese,  e  rigettando  le  altre  istanze  del  Cipollini. 

Bologna,  20  luglio  1901. 

Nicola  Tabanelli. 


NB.  Nel  prossimo  fiiscicolo  pubblicheremo  un  lungo  articolo 
sul  €  Nerone  >  di  Arrigo  Boito,  che  per  ragion  di  spazio  non  ha 
potuto  trovar  luogo  in  questo  fascicolo. 


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KECEIJSIOIJI 


Storia. 

OiuB^ppe  rerM  {Bibìkkem  M  Popolo).  -  Miluo,  1901.  S«niof]io. 

Anche  senza  considerare  lo  scopo  a  cui  è  destinata  questa  Biblio- 
teca, il  presente  volumetto  merita  amplia  lode.  Non  vale  meno  di 
altri  libri  sullo  stesso  argomento,  allestiti  con  fretta  commerciale 
ed  annunziati  pomposamente  come  lavoro  di  scrittori  celebri,  che 
magari  si  vantano  ignari  di  quanto  si  riferisce  airarte  musicale.  Qui 
invece  Fautore  (innominato)  disegna  con  larghi  dettagli  la  carriera 
artistica  del  grande  maestro,  giovandosi  principalmente  della  pub- 
blicazione del  marchese  Monaldi,  e  cita  spesso  giornali  dell'epoca  e 
giudizi  di  critici  d'altri  tempi  (tempi  migliori  !),  affinchè  il  lettore 
possa  formarsi  un  giusto  criterio  sul  significato  dell'opera  compiuta 
da  Giuseppe  Verdi  nella  storia  della  musica  melodrammatica. 

A  rendere  piacevole  la  lettura  dell'opuscolo  giovano  vari  aneddoti, 
alcuni  dimenticati,  altri  profusi  ad  ogni  occasione;  vi  si  aggiungono 
qua  e  là  lettere  del  Verdi,  che  fanno  spiccare  mirabilmente  bene 
la  nobilissima  figura  dell'artista.  Basterà  che  io  citi  in  proposito  la 
lettera  9  dicembre  1871  con  cui  Giuseppe  Verdi  rispondeva  a  Fi- 
lippo Filippi  che  gli  annunziava  il  suo  viaggio  al  Cairo  per  assistere 
alla  rappresentazione  deWAida.  Quale  contrasto  coi  colpi  di  gran 
cassa  di  cui  rintuona  troppo  spesso  l'arte  moderna!  0.  G. 

E.  nB  SOXtBiriÉJBEf  1800-1900,  Cent  années  d^  muHq%te  franose.  Apex^  histo- 
liqae.  —  Paxta,  1901.  Pugno. 

Fin  da  principio  l'autore  si  compiace  di  rilevare  che  «  le  Frangais 
«  est  musicien  par  éducation,  par  goùt,  par  plaisìr  ou  par  élégance, 
«  il  l'est  beaucoup  moins  par  tempérament  et  par  essence.  La  mu- 
«  sique  est  d'ailleurs  la  fille  des  peupies  contemplatifis,  ou  l'expres^ 

Bietta  mntieaU  iiaUama,  Vili.  48 


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728  RECENSIONI 

«  Sion  passagère  des  sensuels  et  des  passionnés  ;  or,  le  Fran^ais  es- 
«  sentiellement  martial  et  frondeur,  exubérant  et  spirituel,  n*avait 
«  initialement  rien  de  ce  demi-spleen,  de  ce  mysticisme  intérieur, 
«  qui  appelle  les  chants  et  feconde  les  harmonies  ;  c'est  pourqaoi, 
«  né  mcUin,  U  créa  le  vaudeville  ». 

E  poi  osserva  che  la  prima  parte  del  XIX  secolo  musicale  francese 
subì  rinfluenza  di  Gluck,  corrotta  da  Meyerbeer  e  Rossini  ;  che  gli 
anni  di  mezzo  appartengono  a  Berlioz,  mentre  il  dilettantismo  si 
satura  del  bel  canto  italiano  ed  Offenbach  e  s*apprète  à  faire  tour- 
€  billonner,  dans  un  sabbat  échevelé,  la  cascade  des  cervelles,  s'épi- 
€  lepsiant  vers  Tabime  »  ;  e  che  finalmente  la  terza  parte,  dal  1870 
fino  a  noi,  sta  in  special  modo  sotto  T influenza  wagneriana:  <  on 

<  pressent,  sans  certitude^  un  éveil  nouveau,  on  cherche  la  formale 
«definitive  du  drame,  c*est  la  periodo  de  gestation,  c*est  Tado- 
«  lescence  ». 

Dopo  di  ciò  viene  uno  schizzo  su  Méhul  :  musicista  €  bien  au-dessus 
«  du  public  pour  lequel  il  écrivait,  peu  encouragé  dans  une  voie 

<  sérieuse,  il  semble  tenir  du  prodige  que,  dans  de  conditions  si  peu 

<  propices,  il  ait  perseverò  à  défendre  son  drapeau  et  à  faire  de 
«  son  mieux  centra  Tinfluence  italienne  renaissante  ».  Perchè  rin- 
fluenza italiana  influisce  maledettamente  male,  specie  nelle  prime 
pagine  del  libro  di  M.  de  Solenière.  Il  quale  (à  anche  il  parallelo  : 

<  De  mème  qu*alors  »  (verso  il  principio  del  secolo  XVII)  «  l'impor- 
€  tation  dltalie  du  genre  fàux  et  plaqué  de  la  Renaissance  »  (in 
quanto  riguarda  l'architettura  e  la  scultura)  <  stérilisa  la  fibre  et 
«  le  sentiment  national  qui  s*étaient  sì  génialement  manifestés  dans 
«  le  style  ogival  et  cathédralesque,  au  profit  d*une  école  neutre, 
«  composite,  pompeusement  mièvre  et  sans  grandeur,  de  mème  vers 

<  1820,  le  goùt  public,  perverti  par  une  nouveile  invasion  de  Tart 

<  décadent  italien,  exigea  de  ses  fournisseurs  lyrìques,  des  prodnc- 
«  tions,  où  pùt  se  satisfaire  sa  passion  nouveile  des  afféterìes  vo- 
«  cales  et  des  gràces  conventionnelles  ». 

Del  resto  «  Méhul,  au  seuil  du  siècle  frangais,  c*est  beaucoup  plus 
«  que  Rossini  à  Thorizon  italien,  le  premier  embellissant  une  aurore, 

<  le  seoond  annongant  le  crépuscule  d*une  école  dont  Cherubini  de- 
«  vait  ètre  le  dernier  grand  représentant  » 

€  Rossini  resta  toujours  un  italien;  il  a  beau  dans  OuUlaume  Teli 
«  avoir  réussi  une  sorte  de  musique  descriptive^  il  a  beau  dans 

<  certaines  pages  de  cotte  partition  avoir  transflguré  son  accent  et 
€  annobli  de  fagon  extraordinaire  sa  verve  mélodique,  il  n'en  de- 
«  meura  pas  moins  ce  que  les  AUemands  appellent  un  Welsch  dans 
«  tonte  Tacception  du  mot  » 


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RECENSIONI  729 

«  Rossini  certes  n*était  guère  une  nature  d*élite,  et  les  faiblesses 

«  de  sa  piume  justiflaient  pleinement  le  sarcasme  de  Berlioz  » ; 

tuttavia   M.  de  Solenière  riconosce  che  Otiglielmo  Teli  «  est  un 
«  sommet  »,  pur  deplorando  «  que  le  genie  qui  le  créa  ne  se  manifesta 

<  pas  selón  un  principe  plus  stable  et  dans  des  conditions  plus 

<  réelles  »:  e  riferisce  il  giudizio  di  A.Montoz:  «  Guillaume  Teli... 
«  me  parait  Tidéal  du  Grand  Opera  francais  ». 

S'incontrano  ancora  nel  volume  des  flonforis  et  des  gargouillades 
Ualiennes,  ma,  grazie  a  Dio,  Tinfluenza  italiana  sparisce.  L'autore 
allora  parla  con  giuste  osservazioni  critiche  dei  principali  compo- 
sitori francesi  ora  estinti,  fermandosi  qualche  pò*  su  Auber,  Berlioz 
e  Gounod;  e  chiude  il  lavoro  con  brevi  cenni  sui  maestri  viventi 
e  sulla  giovane  scuola  ft*ancesej  cui  rappresentanti  per  la  maggior 
parte  sono  citati  con  A*asi  ad  effetto  in  un  elenco  poco  espressivo. 

0.  G. 

AI^AI.BBBT  VOX  SANBTSIN,  UuHker  und  IHefUer-Briefé  an  Faui  KuemtfnsM. 

Uà   Tol.  iii-16«  di  pag.  288.  —  Berlin,  «  Harmonie  ».  VerlagegMellseìuft  ftlr  LiUnini  and 
Kust. 

n  nome  di  Paolo  Kuczynski  è  ignoto  pur  oggi  alla  più  gran  parte 
dei  musicisti;  ed  appartenne  tuttavia  a  un  uomo,  le  cui  creazioni 
artistiche  avrebbero  meritato  la  stima  dei  contemporanei.  Ora  se 
soltanto  dopo  la  morte  Tinteresse  si  destò  intorno  al  suo  genio,  per 
questo  libro  di  lettere,  che  ci  mostran  l'artista  nelle  relazioni  che 
egli  ebbe  cogli  uomini  eminenti  della  sua  epoca,  tale  interesse 
aumenta  e  di  molta  e  giusta  luce  si  aggiova.  Sapevamo  di  lui  che 
egli  fu  un  musicista  lieto  del  suo  lavoro  oscuro  e  tranquillo,  che 
fu  scolaro  di  Hans  von  Bùlow  e  di  Federico  Kiel,  che  egli  fu  pro- 
pugnatore deirarte  di  R.  Wagner  e  amico  personale  del  maestro, 
che  ^li  ebbe  relazione  con  Liszt  e  amò  Adolfo  Jensen  come  un 
fratello,  essendone  del  pari  riamato. 

Questa  interessante  raccolta  di  lettere  di  Hans  von  Biilow,  Fe- 
derico Kiel,  Adolfo  Jensen,  Reinhold  Becker,  Franz  Liszt,  Adalberto 
von  Goldschmidt^  Franz  Servais,  Moritz  e  Aless.  Mozkowski,  Hans 
Herrig,  Alberto  Lindner  ed  altri  getta  molta  luce  sul  libro  suo  che 
segnò  di  cosi  viva  impronta  la  personalità  del  Kuczynski,  il  libro 
degli  «  Avvenimenti  e  pensieri  ». 

Le  lettere  di  Adolfo  Jensen,  che  fan  parte  di  questa  raccolta,  il 
Kuczynski  le  aveva  già  pubblicate,  per  quanto  anonime;  e  poiché 
redizione  del  volumetto  era  esaurita,  la  presente  ristampa  deve 
dirsi  la  ben  venuta,  tanto  più  che  ad  essa  vanno  aggiunte  molte 
altre  lettere. 

Ad  illustrare  il  nome  del  Kuczynski  ora  noi  possediamo,  oltre  le 


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730  BBCaNSIOMI 

composizioni  apparse  dopo  la  sua  morte,  anche  questo  libro  prege- 
vole sotto  il  doppio  aspetto,  letterario  e  musicale.  L.  Th. 

GEOUG  MUKZBR,  MeiwHch  UmnéhiMr,  Un  toI.  ia-8«  di  pag.  90.  — B«riiii,  1901,  <  Bar- 
monie  ».  YerlagigvMllBclimft  fllr  Lltentnr  vnd  Knut. 

Nella  raccolta  di  monografie  che,  sotto  il  titolo  di  Compasilori 
famosi,  vengono  pubblicate  dal  D'  Enrico  Reimann,  è  apparsa  re- 
centemente questa  biografia  di  Marschner,  la  quale  si  appoggia  a 
lettere  e  documenti  trovati  nelle  biblioteche  di  Zittau,  Hannover, 
Breslavia,  Lipsia,  Berlino,  ecc.  Il  volume  è  riccamente  illustrato. 

L.  Th. 


Critica. 

O.  BONI,  Verdi.  X'momo  -  X«  iifMra  -  I/arHtta.  —  Pinni,  1901.  L.  Biltoi. 

Al  libro  è  premessa  una  dedica,  che  comincia  colle  parole:  Net 
fare,  come  più  presto  si  poteva,  questa  monografia,  ecc.  E  vera- 
mente la  monografia  è  un  miracolo  di  prestezza  se  la  dedica  di 
essa  potè  essere  firmata  il  14  febbraio  19011  Ciò  però  non  vuol 
dire  che  sia  fatta  male,  mentre  riassume  con  diligenza  quanto  fu 
detto  e  ripetuto  in  libri  e  in  periodici  sulla  vita  e  sulle  opere  del 
grande  maestro.  Ma  cosi  la  parte  che  riguarda  la  critica  si  pre- 
senta in  una  forma  molto  ingenua,  perchè  Fautore  ai  limita  alle 
citazioni  più  opportune  per  dare  risalto  all'artista,  trattando  della 
riforma  wagneriana  nel  modo  più  superficiale  e  meno  esauriente. 

Forse  la  divisione  del  libro  in  tre  parti,  se  facilitò  il  lavoro  del- 
Tautore,  non  riesce  gradita  al  lettore,  che  deve  saltare  dall'una 
airaltra  per  scorgere  le  relazioni  che  necessariamente  s'impongono 
tra  esse. 

Qualche  affermazione  dell'autore  colpisce  stranamente,  per  esempio 
questa:  <  Nelle  opere  del  Verdi,  in  quelle  specialmente  che  son 
«  dette  della  prima  maniera  sua,  i  difetti  abbondano:  lo  affermano 
«  i  competenti,  e  chi  non  è  tale  ha  l'obbligo  di  crederlo  ».  Ed  anche 
l'altra  :  «  Il  Wagner  fa  più  in  grande  e  con  più  fortuna,  ciò  che  ha 
<  fatto  tra  noi  il  Carducci  in  piccolo  ». 

Né  mancano  gli  errori  :  Il  Barbiere  di  SMglia  non  fu  fischiato 
a  Venezia  (pag.  62);  Gluck  non  ha  intravista  (pag.  99)  una  nuova 
concezione  del  melodramma,  ma  ne  ha  attuata  la  riforma,  senza 
trovare  chi  lo  seguisse  nella  via  da  lui  battuta  con  splendido  suc- 
cesso, ecc.  Sono  inezie:  le  cito  solo  per  provare  con  quanta  atten- 
zione ho  letto  il  lavoro  del  signor  Boni.  0.  C. 


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RSGKNSIONI  731 

A,,  aoVFMMI^lKI,  Zé  opw  di  Verdi,  Stmdio  critioo  anaUtico.  —  KUaao,  1901.  C.  AUpnadi. 

Ci  ricordiamo  di  aver  seguito  con  molto  interesse  la  pubblicazione 
del  presente  studio  quando  compariva  nelle  colonne  della  Gazzetta 
Mustoale  di  Milano,  Riunito  in  volume  esso  diventa  un  documento 
di  valore  per  chi  potrà  in  avvenire  scrivere  di  Giuseppe  Verdi 
colla  serenità  della  critica  storica,  rilevando  nel  libro  del  Soffre- 
dini  i  giudizi  passionati  dei  contemporanei  di  un  maestro  che  eser- 
citò cosi  forte  dominio  nel  teatro  italiano  della  seconda  metà  del 
secolo  XIX. 

Oggi  questo  volume  risente  un  po\  quantunque  modificato  ed  am- 
pliato, del  tributo  di  ammirazione  reso  al  maestro  vivente  nel  gior- 
nale di  casa  Ricordi. 

Sotto  un  altro  punto  di  vista  parmi  però  che  Tanalisi  troppo  mi- 
nuziosa degli  spartiti  verdiani  tolga  efficacia  al  concetto  cui  s'ispi- 
rava Tautore,  Topera  compiuta  dal  grande  artista  dovendo  piuttosto 
essere  considerata  a  tratti  larghissimi  nelle  creazioni  geniali  che 
egli  ha  dato  alle  scene.  Quantunque  sia  ben  vero,  è  duopo  ricono- 
scerlo, che  da  questo  lato  è  aperto  facile  il  campo  agli  scrittori 
che  nulla  sanno  di  musica:  con  frasi  ben  tornite  e  con  belle  parole 
essi  possono  &re  stupenda  mostra  dei  loro  principi  estetici  dicendo 
mille  minchionerie,  e  che  pur  troppo  il  pubblico  gusta,  mentre  i 
libri  seri,  come  questo  del  Soffredini,  non  hanno  fortuna.    0.  G. 

Opere  teoriehe. 

VITTORIO  MICCI,  Boifeggi  pw  tutu  le  voci,  —  London.  Joseph  Williams,  32,   Qnat 
Portland  St.  W. 

ilingraziamo  Tegregio  A.  per  rinvio,  in  particolare  direttoci,  di 
questo  suo  lavoro,  il  quale,  sia  per  gVintendimenti  seri  a  cui  sembra 
indirizzarsi,  sia  per  la  fama  che  precede  lo  stesso  A.,  viene  a  risve- 
gliare tutta  la  nostra  attenzione  e  ad  eccitare  tutto  il  nostro  zelo 
ed  interesse.  Il  lavoro  porta  per  titolo:  «  Solfeggi  per  tutte  le  voci 
dei  pi&  celebri  Ck)mpositori  e  Maestri  di  Canto  italiani  del  XVII, 
XVIII,  e  principio  del  XIX  secolo:  (Scarlatti,  Leo,  Durante,  Cima- 
rosa,  Zingarelli,  Hasse,  Guglielmi,  Aprile,  Manzoni,  Felici,  Marchesi, 
Valenti,  Cafora,  Montuoli,  Mosca,  Rastrelli,  La  Barbiera,  Glari,  Co- 
tumacci,  Florimo,  Porpora,  Martini»  Marcello,  ecc.),  tratti  dai  ma- 
noscritti, ordinati  e  corredati  di  accompagnamento  per  pianoforte 
da  V.  R.  ».  A  capo  pagina  sta  Tintestazione:  €  L'Antica  Scuola  Ita- 
Hana  di  Canto  »  e  la  copertina  porta  in  alto  il  motto:  e  Torniamo 
all'antico.  Verdi  ».  La  raccolta  sembra  destinata  ad  essere  divisa 
in  cinque  serie;  la  prima,  che  attualmente  ci  sta  sottocchio,  con- 
tiene 50  solfeggi  per  Soprano,  mezzo  Soprano  e  Tenore;  le  altre 


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732  RECENSIONI 

dovranno  contenere:  Solfeggi  per  Contralto  e  Basso,  Solfeggi  per 
nìezzo  Soprano,  Solfeggi  di  perfezionamento  e  preparazione  allo 
studio  degli  Oratori  e  delle  opere,  Solfeggi  a  due  e  tre  parti  per  le 
diverse  voci.  Come  ben  si  vede,  un  lavoro  di  grande  mole,  e  tale 
da  non  trovare  forse  nessun  riscontro  nella  letteratura  e  pedagogia 
deirarte  vocale. 

Conosciamo  le  difficoltà  di  tali  ricerche  e  comprendiamo  Timpor- 
tanza  e  la  responsabilità  di  un  giudizio  per  emetterlo  premataro 
od  affrettato:  perciò  ci  riserbiamo  di  manifestarlo  completo  allorché 
ci  starà  davanti  Tintiera  opera.  Per  adesso  ci  limitiamo  a  rivolgere 
all'egregio  A.  una  preghiera  sotto  forma  di  domanda,  inspirataci 
non  solo  dalla  nostra  indole  e  dai  nostri  ideali,  ma  bensi  reclama- 
taci, impostaci  allorché  trattasi  di  giudicare  un  lavoro  il  cui  scopo 
principale  è  quello  di  far  rivivere  la  parte  pratica  —  la  più  essen- 
ziale, dunque  —  di  quell'antica  arte  italiana  di  Canto,  tanto  strom- 
bazzata ed  idolatrata  in  questi  ultimi  tempi,  che  credevamo  par- 
troppo,  per  la  maggior  parte,  dimenticata  o  perduta;  di  far  rivivere, 
risuscitare  —  dando  loro  nuova  veste  e  giovanili  sembianze  —  quei 
solfeggi  sui  quali  e  per  i  quali  si  sono  formati  e  modellati  tanti 
campioni,  tante  pure  glorie  italiane,  la  di  cui  perdita,  o  dimenti- 
canza a  quanto  pare,  viene  si  amaramente  compianta  e  deplorata; 
di  giudicare  un  lavoro,  infine,  la  di  cui  apparizione  potrebbe  salvare 
(oh  fosse  vero!)  od  almeno  impedire  il  completo  sfacimento  di  que- 
st'arte bella  tra  le  beile,  di  quest'arte  a  cui  si  rivolgono  tutte  le 
nostre  energie,  tutti  i  nostri  aneliti  quali  essi  sieno.  Dunque  nessan 
riguardo  gretto  o  meschino,  nessuna  adulazione  e  tanto  meno  niuna 
attenuante,  ma  bensì  ricerca  di  luce  e  verità.  Ebbene,  domandiamo 
cortesemente  al  sig.  Ricci  di  volerci  scoprire,  col  comunicarcelo  nel 
seguito,  il  nome  di  quell'antico  compositore  o  cantante  che  si  na- 
sconde sotto  il  doppio  panno  del  suo  Anonyrrums  e  che  si  presenta 
per  ben  22  volte  ne'  suoi  50  Solfeggi  che  stiamo  sfogliando;  e  di 
voler  un  po'  precisare  —  come  si  usa  oggidì  in  simili  lavori  —  la 
provenienza  di  tali  manoscritti,  indicando  almeno  il  luogo  del  loro 
giacimento;  ciò,  oltre  prestare  autorità  assoluta  al  suo  lavoro,  faci- 
literebbe forse  altre  ricerche  che  potessero  venir  fatte  da  altri  nello 
stesso  senso.  L'egregio  A.  ci  perdonerà  al  certo  questa  curiosità, 
tanto  più  conoscendo  i  tempi  ben  tristi  per  gl'ingenui;  lui  che  al 
par  di  noi  presentemente,  dimora  in  Inghilterra,  nel  paese  per  ec- 
cellenza del  praticismo  e  del  traffico;  tutte  cose  che  si  connubiano 
malamente  con  sani  e  seri  intendimenti  d'arte  ed  il  di  cui  fascino 
morboso  potrebbe  talvolta  divenire  funesto  alle  fantasiose  e  tutt'altro 
che  flemmatiche  menti  meridionali. 


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RECENSIONI  733 

Se  delusi  nella  nostra  aspettativa  e,  ripetiamo,  allorché  ci  sarà  dato 
di  conoscere  per  intiero  il  lavoro,  non  mancheremo  di  prestare  al 
giudizio  richiestoci  tutta  quella  serietà  e  severità  che  merita  un 
tevoro  nel  quale  sono  in  giuoco  non  solo  tanti  nomi  di  pure  e  splen- 
denti glorie  nostre  —  una  tra  le  quali  altissima,  passata  recente- 
mente — ,  ma  pure  il  nome  di  un  altro  italiano,  di  un  moderno,  di 
un  giovane  compositore  e  maestro,  pieno  di  talento  e  giustamente 
ammirato  e  stimato,  dal  quale  dobbiamo  aspettarci  soltanto  serietà 
e  sincerità  di  produzione.  G.  S. 

NB,  —  Per  più  chiarezza  necessaria  a  chi  legge  aggiangeremo  che  gli  altri 
solfeggi,  fatta  eccezione  di  alcani  portanti  i  nomi  yenerabili  di  Leo  (K*  29,  38), 
P.  Cafora  (N.  30),  Cimarosa  (N.  20),  Rastrelli  (N.  21),  G.  Montuoli  (N.  28), 
C.  Cotnmacd  (N.  27),  Guglielmo  (N.  49),  Valenti  (N'  4.  33),  sono  devoluti  alla 
penna  di  Aprile  (N^  7,  9,  14,  15,  24,  31,  34,  35,  42,  45,  50),  Marchesi  (K*  36, 
39,  41,  43),  Fr.  Florimo  (N*  6,  8),  al  certo  non  appartenenti  al  perìodo  di 
quell'iln^tco  al  quale  intendeva  alludere  il  grande  Verdi  e  tanto  meno  recla- 
manti grandi  disturbi  di  ricerche  o  spogli  di  preziosi  manoscritti.  In  quanto  al 
N.  18  segnato  A.  Neumanef?)  ammettiamo  che  Tegregio  A.  voglia  designare 
A.  Niemann,  cantante  tedesco  di  una  certa  celebrità  soprattutto  nel  repertorio 
wagneriano,  ma,  se  è  così,  non  idoneo  per  apparire  tra  i  campioni  deirAtitica 
Scuola  Italiana  di  Canto. 

Stramentaiione. 

L.  BOTTAZ2SO  ed  O.  BAVANELLO,  Z^armoniutn   qutUe  atrumenio  lUurffieo.  — 
Toriso.  M .  Capra.  —  L.  8. 

Se  importante  è  già  in  tesi  generale  la  pubblicazione  dei  sigg.  Bot- 
tazzo  e  Ravanello,  essa  assume  poi  un'importanza  ed  un  valore 
affatto  speciali  per  il  momento  nel  quale  vede  la  luce.  In  realtà 
questo  libro  viene  a  colmare  una  lacuna  tanto  strana,  inesplicabile, 
quanto  vergognosa  delia  moderna  letteratura  musicale. 

La  letteratura  musicale  che  in  questi  ultimi  tempi  si  era  già  ar- 
ricchita di  importanti  opere  teoretiche  e  didattiche  anche  sulle 
forme  e  manifestazioni  meno  usitate,  aveva  sinora  dimenticato  la 
esistenza  di  quello  strumento  tanto  modesto  quanto  caratteristico 
ed  importante  che  porta  il  nome  di  Harmonium. 

È  vero  che  il  Oevaert  nel  suo  splendito  Traile  (Vùistrumentation 
lo  chiama  strumento  «  moitìé  mondain,  moitié  religieux,  d'une  so- 
norité  bientót  fatigante  pour  Toreille  »,  ed  osserva  come  il  suo  timbro 
non  ci  dia  un'impressione  calma  e  grave,  ed  abbia  piuttosto  come 
qualcosa  di  snervante  ;  ma,  prescindendo  da  simili  osservazioni  (che 
hanno  una  portata  affatto  personale)  sul  carattere  estatico  dello 
strumento  e  che  potrebbero  essere  differenti  e  di  vario  genere,  egli 


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734  UICIN8IONI 

è  certo  che  rHarmonium  è  oggidì  uno  stramenio  molto  diffuso,'  el 
è  pur  certo  che  i  molti  Metodi  che  dì  solito  si  trovano  in  eoo- 
mercìo  col  nome  di  «  Metodo  per  Harmonium  »,  non  sono  altro  che 
una  raccolta  di  pezzi  di  varii  autori,  ridotti  e  rafEizzonati  alla 
beU*e  meglio  e  che  poco  o  nulla  si  adattano  al  carattere  grava  e 
legato  dello  strumento. 

Sia  adunque  doppiamente  benvenuto  il  Metodo  dei  sigg.  Bottazzo 
e  Ravanello  ! 

Gli  A.  hanno  diviso  Topera  in  4  parti,  delle  quali  la  prima  che 
tratta  delle  nozioni  generali  di  musica,  teoria  elementare,  scale, 
rigo,  ecc.  ecc.,  evidentemente  non  è  messa  li  che  per  cooKMlità  di 
qualche  insegnante  non  troppo  fiducioso  della  sua  sapienza  e  biso- 
gnoso a  sua  volta  di  una  guida  amorevole  e  discreta. 

La  parte  seconda  comprende  la  descrizione  deirHarmonium,  al- 
cuni esercizi  preliminari  per  Tuso  dei  pedali,  col  registro  Espres- 
sione chiuso,  ed  una  buona  scelta  graduata  ed  ordinata  di  altri 
esercizi  neirestensione  di  una  quinta,  dì  una  sesta,  settima  ed  oltre. 
Seguono  pezzetti  a  due  parti,  esercìzi  di  note  doppie,  esercizi  per 
lo  strisciando  delle  dita,  sostituzione  ed  accavalcamento  delle  me- 
desime: il  tutto  ordinato  progressivamente  e  con  raro  discemimenta 

Nella  parte  terza  troviamo  studiato  il  modo  di  trattare  VEsprts- 
sione,  lo  studio  degli  abbellimenti  :  20  pezzi  di  autori  antichi  e  mo- 
derni, e  10  pezzi  (La  Santa  Messa)  di  Bottazzo  e  Ravanello  che 
sono  un  vero  modello  del  genere  e  nei  quali  tutti  gli  effeUi  proprii 
dello  strumento  sono  abilmente  ricercati,  studiati  e  messi  in  bella 
ed  artistica  evidenza. 

Termina  il  libro  la  parte  quarta  che  comprende  lo  studio  dei 
modi  ecclesiastici  e  le  armonizzazioni  à^Wasperges  vidi  aqttam, 
con  relativi  versetti:  la  Missa  Angelorum,  i  toni  della  Salmodia 
armonizzati  opportunamente,  una  buona  scelta  di  Inni  con  oppor- 
tuni interludi  in  tonalità  gregoriana,  ecc.  ecc.  e  42  versetti  negli 
otto  toni  gregoriani  e  che  gli  A.  ci  presentano  come  appartenenti 
a  Giacomo  Carissimi,  mentre  alcuni  di  essi  sono  di  autori  dubbie 
si  trovano  sovente  classificati  sotto  altri  nomi  classici. 

Questo  veramente  è  un  cenno  troppo  sommario  della  numerosa 
materia  che  gli  illustri  autori  hanno  raccolto  con  diligenza  minata, 
criterio  pratico  sommo  ed  eccellente  gusto  artistico,  offerendo  per 
tal  modo  agli  studiosi,  che  proprio  ne  sentivano  il  bisogno,  una  trat- 
tazione completa  ed  esauriente. 

E  tanto  più  è  commendevole  il  lavoro,  in  quanto  è  di  un'origi- 
nalità assoluta,  non  trovandosi,  ch'io  mi  sappia,  neppure  nella  let- 
teratura didattico-musicale  della  Francia  e  della  Germania  (paesi 


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RECENSIONI  735 

in  cui  Tuso  deirHarmonium  è  ancora  più  diffuso  che  da  noi)  altri 
con  cui  paragonarlo  non  solo  per  la  sua  completezza,  ma  sopratutto 
per  la  praticità  e  serietà  d*  intenti  coi  quali  è  condotto,  e  per  la 
diretta  e  rigorosa  osservanza  dello  scopo  al  quale  deve  essere  de- 
stinato lo  strumento. 

Onde  i  nostri  cultori  di  musica  religiosa  devono  essere  vivamente 
grati  ai  due  illustri  autori  di  questo  eccellente  metodo  per  aver 
saputo  procurare  alla  nostra  letteratura  un*opera  tanto  utile  senza 
punto  ricorrere  al  fiicile  e  cosi  frequente  ausilio  dei  musicisti  stra- 
nieri, i  quali,  in  questo  caso,  avrebbero  ben  ragione  di  invertire  le 
parti  e  &rsi  esportatori  di  una  cosa  nostra.  S. 


Musica  sacra. 

JDU  Mmàh^nHéetUinUthe  CH&ruUlteforfn  mu  Bom,  «on  P.  Bmphtiéi  Moliiar  Vot.  l^. 
—  Leipsif .  Lmickmit. 

L*interessante  pubblicazione  del  benedettino  di  Benion  forma  come 
una  specie  di  continuazione  del  Ntcovo  studio  di  Mons.  Respighi 
che  tanto  rumore  ha  sollevato  intorno  a  sé  analizzando  il  periodo 
delle  riforme  del  Concilio  di  Trento  e  trattando  specialmente  del 
graduaXe,  del  pontificale,  del  rituale. 

Alle  rivelazioni  e  documenti  di  Mons.  Respighi  il  Molitor  altri  ne 
aggiunge  ritrovati  neirArchivio  di  Stato  di  Firenze. 

E  cosi  ancora  una  volta  la  storia  abbastanza  leggendaria  creatasi 
attorno  ai  libri  corali  deiredizione  medicea  viene  irremissibilmente 
sfatata  e  le  idee  dei  Papi  e  della  Chiesa  nella  riforma  del  canto 
gregoriano  ci  appariscono  nella  loro  vera  luce;  ed  anche  la  dotta 
Germania^  benché  un  po'  in  ritardo,  viene  a  fare  omaggio  ai  colos- 
sali lavori  dei  Benedettini  francesi  e  di  Dom.  Pothler. 


Musica. 

Arehévta  dea  MmUrea  de  VOrgue^  par  A.  OuUmant.  ~  Mennon,  cbez  Paatoar,  eli«miii 
de  la  SUtioB. 

Il  primo  volume  della  5*  annata  contiene  il  seguito  dei  Noéls  di 
Louis  Claude  d*Aquin  (1694-1772),  e  cosi  nuove  melodie  di  incom- 
parabile freschezza  e  semplicità,  e  che  forse  sarebbero  rimaste  per 
sempre  nascoste  e  sepolte,  vengono,  grazie  all'opera  indefessa  del 
più  illustre  fra  gli  organisti  viventi,  rivelate  al  mondo  musicale  in 
bella  e  chiara  edizione.  S. 


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736  RECENSIONI 

J>ehk9n(Uer  dm»  TotUeutist  in  OesterrHeh.  Vili  Jahrgang.  Enter  Tktil.  Andréoi  AiniMr- 
sehmidt.  Diatogi  adir  6eiprdeh§  Mwùekm  Goti  und  9i$tir  glàubigm  Afb.  —  Zweitor  TbdL 
Johan  Paekélbtl,  Fugm  a6«r  dot  Magnificat  /Ar  Orgtl  odsr  Kk9̧r,  Dm  rei,  Ìh-Mm.  di 
pag.  zni,  165  -  xr,  105.  —  Wira,  1901.  ArtarU  nnd  Co. 

Preceduto  Tuno  da  uno  studio  critico  di  A.  W.  Schmidt  e  l'altro 
da  un  commento  critico-biografico  di  H.  Botstiber,  questi  due  vo- 
lumi aggiungono  nuovo  interesse  alla  nota  pubblicazione  dei  Mo- 
numenti della  musica  in  Austria.  I  dialogi  deirHammerschmidt 
sono  a  due  e  tre  voci  :  il  trascrittore  vi  ha  aggiunto  Taccompagna- 
mento  deirorgano.  Le  fu^he  per  organo  del  Pachelbel  sono  lavoro 
di  dottrina  e  insieme  di  eleganza.  Ai  musicisti  ora  il  trarre  partito 
da  quesfarte  antica,  purissima  e  nobilissima.  L.  Th. 

Tarla. 

e,  BEBOMANSy  Le  Conaervatoire  Moyai  de  MuH^[ue  de  €Uind.  Étnde  nr  ton  hMoin 
et  son  organiMitlon.  Un  toI.  in-8o  gr.,  di  pag.  526.  —  Gind,  1900.  M.me  G.  Bej«r,  éditwr. 

Tutte  le  più  interessanti,  tutte  le  più  dettagliate  notizie  sull*ori- 
gine  e  lo  sviluppo  del  Cionservatorio  musicale  di  Gand,  il  Bergoians 
ha  raccolto  in  questo  splendido  e  prezioso  volume.  Ck>m*egli  dice, 
leggendo  quest'opera  si  rivivono  di  qualche  guisa  i  sessantacinque 
anni  deiresistenza  del  Conservatorio  ;  si  constata  la  trasformazione 
che  vi  ha  subito  Tinsegnamento,  i  servigi  che  la  scuola  rende  al- 
Tarte,  lo  sviluppo  del  gusto  della  popolazione  gandese. 

Fatto  apprezzabilissimo,  il  Bergmans  ha  scritto  le  biografie  dei 
musicisti  che  si  sono  succeduti  nei  differenti  corsi,  molti  di  essi 
avendo  goduto  una  notorietà  abbastanza  grande.  Alle  biografie  egli 
ha  voluto  ancora  aggiungere  la  lista  delle  opere  in  ordine  crono- 
logico fin  dove  ciò  fu  possibile. 

Se  tutti  coloro  che  ne  hanno  il  mezzo  s*interessassero  cosi  delle 
cose  e  degli  artisti  locali,  anche  la  storia  generale  avrebbe  le  sue 
basi  più  sicure.  L.  Th. 


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SPOGIilO  DEI  PBJ^IODM 


ITALIANI 

Flegreft  (Napoli). 
5  loglio.  —  A.  Cantalupi»  La  musica  e  T estetica  medioevale. 

Gazzetta  Musicale  (Milano). 
N.  16.  —  A.  ZiMMERN,   Da  Landra.  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco 
nei  teatri. 
N.  17.  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco. 

N.  18.  —  P.  Gbignoni,  Melologo  Sacro.  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco. 
N.  19.  —  G.  Senkb,  La  nuova  sede  della  Società  di  Musica  Saera  di  Firenze, 

—  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco. 

N.  20.  —  A.  ZiMMERN,  Da  Londra.  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco.  — 
G.  Pavam,  Prospetto  delle  Opere  nuove  straniere  rappresentate  nel  1900. 

N.  21.  —  B.  Barbiera,  €  Nerone  »  di  A,  Boito.  —  La  nuova  legge  sulle 
composisioni  drammatiche  e  liriche  al  Reichstag  di  Berlino  e  Cosimo  Wagner. 

N.  22.  —  E.  Checchi  ,  I  capricci  della  cronaca.  —  Tabanelli  ,  H  diritto 
di  palco. 

N.  23.  —  R.  Barbiera,  G.  Verdi  e  A.  Maffei. 

N.  24.  —  V.  Fedeli,  Verdi  e  la  Francia.  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco. 

—  Pavan,  Prospetto  delle  Opere  nuove  straniere  rappresentate  nel  1900. 

N.  25.  —  De  Guarinoni,  Congresso  intemazionale  di  storia  detta  musica. 
Parigi  1900.  Relazione  al  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 
N.  26.  —  Checchi,  I  capricci  della  cronaca, 
N.  27.  —  B.  Conservatorio  Giuseppe  Verdi.  —  Saggi  finali. 

n  naoTO  Palestriua*  Rivista  mensile  di  Musica  Sacra  (Firenze). 

N.  4.  —  P.  Ghignoni,  Melologo  Saero.  —  D.  C.  Raspini,  Beligione,  Poesia 
e  Musica.  —  L.  Bicchierai,  Parallelo  opportuno.  —  Armoniosa  grammatica. 

N.  5.  —  P.  Ghiononi,  Delle  reminiscenze  profane  in  chiesa.  —  P.  Ghignom, 
Aggregazione  Ceciliana  in  Firenze.  —  Armoniosa  grammatica. 


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738  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

La  Cronaca  Musicale  (Pesaro). 
N.  3-4.  —  F.  Vatielli,  <  Nerone  •  di  Botto.  —  Commemorazione  di  Verdi 
a  Senigallia. 

La  Nuora  Musica  (Firenze). 

N.  64.  —  Dqranti,  La  «  Tosca  •  di  Puccini  al  teatro  Verdi.  —  Torbidi- 
HciROTH,  GK  studenti  di  musica.  —  àlhaique,  di  R.  Wagner  e  deltopera  sua. 
—  Valore,  Per  una  setéoìa  di  vioUno.  —  Falcowi,  I  trattati  di  Jadauohn. 

N.  65.  —  ViTARBLLi,  Deirimportansa  dei  vocatiMsi  nello  studio  dei  canto.  — 
ÀLHAiQUEy  Di  B,  Wagner  e  delTopera  sua. 

Le  Cronache  musicali*  Bivista  illastrata  (Roma). 

K.  12.  —  MoMTBFioRB,  €  LoTsma  »  di  E.  Mascheroni. 

K.  13.  —  MoNTBPiORB,  A.  Nikish  e  T  Orchestra  Filarmonica  di  Berlino.  — 
Gasperiki,  I  problemi  musicali  di  Aristotele.  —  Falbo,  Per  il  centenario  di 
BeUini. 

N.  14.  —  ScALiiiQBR,  Costantino  Pahimbo.  —  Bariki,  AW Accademia  di 
Francia.  —  Sorgom,  Johannes  Brahms.  —  Gasperjni,  I  problemi  musicaìi  di 
Aristotele. 

N.  15.  —  Falbo,  7/  €  Nerone  »  di  Boito.  —  Lauria,  Alfredo  Sruneau.  — 
Gabpbrihi,  I  problemi  musicali  di  Aristotele. 

N.  16.  —  Falbo,  Maseagnana.  —  Gabpbkini,  I  problemi  ecc.  —  Bocchi,  La 
€  season  »  di  Londra. 

K.  17.  —  Il  tempio  déHa  musica  aìTEsposieione  Pan^Americana.  —  Irtca- 
oliati,  Il  tamburo  neff esercito.  —  Gasperini,  I  problemi  ecc. 

N.  18.  —  Gasperiki,  I  problemi  ecc.  —  Sorooki,  La  decadenza  deOa  panto- 
mima. —  Falbo,  Un'intervista  con  LeoncavaJlo.  —  Varimo,  La  nuova  opera 
di  Framchetti. 

Musica  sacra  (Milano). 
N.  5.  —  I  decreti  della  S.  C.  dei  Riti.  —  L'organo  durante  le  ufficiature 
liturgici^.  —  Organisti  ed  Organari, 

N.  6.  —  I  decreti  della  S.  C.  dei  Riti.  —  Un  ragionamento  sbagliato.  — 
Da  Cuvio  a  Vevey. 

BiTlsta  Teatrale  Italiana  (Napoli). 
N.  8.  —  D.  M.,  La  €  Fedora  »   del  maestro  CHordano  al  teatro  S.  Carh 
di  Napoli. 
Anno  2.  N.  1.  —  A.  Consiglio,  Verdi  e  Wagner. 
N.  2.  —  L.  A.  YiLLANis,  e  Nerone  »  di  A.  Boito. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI  739 


FRANCESI 


La  Tribune  de  Salnt-GerTais  (Paris). 

N.  3.  —  À.  Pirro,  F.  Boberday.  —  H.  Quittard,  Jaeqme$  Champion  de 
Chambonnièrea.  ^  Gastoré,  P.-J.  Seguin,  —  Brixit,  Additìona  inédites  de 
Dom  Jumilhae  (suite). 

N.  4.  —  Brenbt,  Jacques  MauduiL  —  Quittard,  J.  C  de  Chamòonniires, 
—  Pirro,  Fr.  Roberday,  —  6abiok£,  Un  Umbre  populaire:  T  *  0  filli  >. 

N.  5.  ~  Gaibser,  L'origine  du  <  Tonua  peregrònuB  ».  —  Breiit,  Jaeque» 
Mauduit  —  QuiTTARD,  J.  C,  de  Chambonnières.  —  Bremet^  Additions  inéditei 
de  Dom  JuwUlhae, 

La  Tolx  parlée  et  ehantée  (Paris). 

MaL  —  M.  CoLusR,  L^obHruction  nasale^  sea  rapporta  avec  lea  affecUona  de 
la  gorge,  etc.  —  J.  Belek,  Influente  morak  de  ìindividu  sur  Témisskm  de  2a 
voix  parìée  et  ehantée. 

Jain.  —  H.  Lavrakd,  Le  gargarismi  camme  moyen  thérapeuiique.  —  H.  Zwxl- 
LIR6ER,  Lea  troubks  de  la  voix  chantM, 

Le  Conrrier  musleal  (Paris). 

N.  7.  '  Db  la  Laurkrcie^  Du  goùt  musical  au  XVIII*  sUeU  (fin).  — 
Marmold,  B.  Wagner  et  Tceuvre  de  Beethoven, 

N.  8.  —  Marxold,  B.  W.  et  Tceuvre  de  B.^  Locard,  Les  tnaiires  contem- 
porains  de  VOrgue, 

N.  9.  —  Mar50ld,  B,  W.  et  Vctuvre  de  B.  —  Locard,  Les  maUres  contem- 
porains  de  VOrgue, 

N.  10.  —  liOCARD,  Les  maUres  coniemporams  de  fOrgue,  -~  Debat,  «  Le 
Boi  de  Paria  ».  —  «  VOuragan  ».  —  Balderbpbrger,  Conférence  éVintroduction 
à  une  séance  d'auvrea  de  C,  Franek. 

N.  11.  —  Boulkstir,  Sur  Mouaaorgaki.  —  Locard,  Lea  maìtrea  contemporaina 
de  TOrgue, 

N.  12.  —  Locard,  Lea  maitrea  contemporaina  de  VOrgue,  —  Mareold,  La 
sonate  en  mi  bemol  minear  de  P.  Ducas,  —  Boulebtje,  Sur  Mousaorgski, 

Le  Gnlde  Mnsical  (Bruxelles). 

N«  15.  —  Fibrees-Getabrt,  Beaumarchais  musiden,  —  J.  D'Offoèl,  A 
propos  du  «  Leitmotif  »  [Parla  d*iin  tema  del  Freischiite],  —  L.  Sihoi,  Xavier 
Sehloegel 

N.  16.  —  H.  DE  CcRzoN,  Un  drame  lyrique  Utmrgique  [La  «  Morte  ed  Aa- 
suntione  della  Vergine  »  die  da  secoli  si  esegoisce  in  Ispagoa].  —  G.  Sbrtièrbb» 
<  Uìysse*  à  L'Odèon. 

N.  17.  —  H.  Fjerenb-Gevaert»  A  propos  éVun  eataìogue  [quello  della  biblio- 
teca del  Conservatorio  di  Bruxelles,  pubblicato  da  A.  Wotqnenne].  —  H.  Imbert,  Le 
Boi  de  Paris,  Masique  de  M.  Georges  Hfle. 


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740  SPOOUO  DEI  PERIODICI 

N.  18,  19.  —  M.  Brenet,  Le  renpeet  dea  maitrei, 

K.  18.  —  H.  Imbert,  €  VOuragan  »,  masiqne  de  M.  Alfred  BraDean. 

N.  20.  21,  22.  —  H.  Imbert,  M.  Alberi  Carte. 

N.  20.  —  Frahk  Choibt,  L*I$lande  et  la  musiqìte. 

N.  23,  24,  25,  26.  —  C.  Mauclair,  La  rèHgùm  de  la  musipte. 

Le  Ménestrel  (Paru). 

N.  15-26.  —  L*art  musical  et  tee  interprètes  depuis  deux  siècìes,  p.  P.  d'fistréea 
(ont.). 

N.  15-16.  —  Le  théàtre  et  ìes  spectades  à  VExpoeitUm,  par  A.  Pongio  (oont 
e  fine). 

N.  15,  16,  21-26.  —  Le  taurdeFranee  en  mmique,  par  T.  Keakomm  (cont.). 

N.  17-24.  —  La  mtisique  et  le  théàtre  aux  Salone  du  Grand  PàkuSy  par 
C.  Le  Senne  [i  soliti  annaali  articoli  di  rivista  dei  quadri  dei  Salone  parig:ini  e 
che  con  la  masica  hanno  una  relazione  molto  stiracchiata]. 

N.  23,  27.  —  Penséea  et  Aphoriemee  d^Antoine  Bubmetein  [eont), 

N.  27.  —  Schumann  réooluiionnairef  par  B.  Berggrnen  [L*art.  accenna  ad 
alcune  composizioni  patriottiche  del  Maestro,  scrìtte  nel  1848]. 

Le  Théàtre  (Paris). 
Avril.  II.  —  R.  CooLUB,  <  Les  travatus  d'Eercule  »  aux  Bouffes-Paritiens. 
Mai.  I.  —  B.  CooLUB,  <  La  pente  douce  »  au  Vaudeville. 
Mai.  II.  —  «  Patrie!  *  de  V,  Sardou  à  la  Comédie-Frangaise. 
Jain.  I.  —  FouQUiER,  La  quineaine  (héàtràU, 
Juìn.  II.  —  JuLLisN,  «  VOuragan  »  à  VOpéra-Comique, 
Jnillet.  I. — 4-Cf^^i^  Nation.  de  Mueique:  <  Aetarté  » ,  opera  de  M.  X.  Leroux. 

Les  Annales  de  la  Masiqae  (Paris). 

N.  1.  —  De  Solbnière,  Céear  Frank.  —  Hoodard,  La  Sehoìa  Cantorum  de 
Saint  Oervaie.  —  Dauriac,  La  eritique  musicale.  —  Hellouin,  La  mode  de  la 
Harpe  au  XVIII*  siede, 

K.  2.  —  BuELLE,  ParàUéìisme  dea  musiquea  antique,  medievale  et  moderne. 
—  BouBSEAU,  Verdi.  —  Montoroeuil,  Verdi  intime.  —  Dauriac,  La  eritique 
musicale. 

K.  3.  —  Beikach,  Doubles  croches  et  triaHets  ches  les  Orees.  —  Hoodaki), 
Bequéte  a  M.  Buelle.  —  Azera,  Défense  de  la  Schola.  —  Houdard,  La  Sehoh 
Cantorum. 

N.  4.  —  Malherbe,  Mozart  et  ses  manuscrits.  —  Buellr,  Béponse  a  M.  Hou- 
dard.  —  Houdard,  La  Schola  Cantorum.  —  De  Ménil,  A  propos  des  Chpmmns 
de  BiHtis. 

N.  5.  —  Malherbe,  Mozart  et  ses  manuscrit»  (fin).  —  De  Méiil,  A  propos 
des  Chansons  de  Bilitis.  -^  Combarieu  et  Houdard,  Polémiq%»e  à  propos  de  ìa 
Schola  Cantorum. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI  741 

N.  6.  —  Da  URI  AC,  Critique  Musicale,  —  Teppe,  EmpUn  de  la  ìangue  vut- 
gaire  à  Téglise,  —  De  la  Mdstière,  DroiU  cTaiUeurs,  cTéditeura  et  d'exéeuiion. 

Berne  d'Art  dramatique  (Paris). 
Mai-JQÌD.  —  Numero»  eonaacrés  au  Théàtre  PoéHque.  —  France,  —  Suède. 
—  Italie,  —  Angìeterre,  —  AUemagne, 

Beroe  dea  Deax  Mondea  (Paris). 
Jaillet.  I.  —  É.  BoD,  Le  «  Néron  »  de  Boito, 

Berne  d'histoire  et  de  eritiqoe  masicale  (Paris). 

N.  1.  —  Lalot,  La  ehanson  firangaise  au  XVB  tièeU  d'après  les  pubìtca- 
tiona  de  M,  H.  Expert  —  Rolland,  La  représentatùm  d'  <  Orfeo  »  à  Paris 
et  Yopposiiion  rehgieuse  et  poìitique  à  V  Opera,  —  Thomas,  Le  maitre  de  cha- 
pelle  de  Charles  VII.  ~  Compositeurs  fran^is  du  XVII*  siècle:  Sébastien 
de  Brossard. 

N.  2.  —  Lalot,  Le  gewre  enharmonique  des  Grecs.  —  Brenet,  Un  poète- 
musieien  frangais  du  XV*  siècle:  Eloy  d'Amerval,  —  Lalot,  La  musique 
frangaise  à  T epoque  de  la  Benaissance.  —  Chant  alsatien  du  XVII*  siècle, 

N.  3.  —  J.  C,  Danses  frangaises  et  musique  instrumentale  du  XV*  siècle. 
—  Lalot,  Le  genre  enharmonique  des  Orecs,  —  Chilbsotti,  Musiciens  frangais, 
J.  B.  Besard  et  les  luthistes  du  XVI*  siede,  —  Tbibadt,  Les  notaiians 
bysanUnes. 

N.  4.  —  Mercadier,  Études  hisioriques  sur  la  scienee  musicale,  XVII*  siècle. 

Les  théories  musicales  de  Descartes.  —  J.  C,  Danses  frangaises (saite).  — 

Chilesotti,  J.  B,  Besard  (suite).  —  Gerold,  De  la  valeur  des  petites  notes 
d'agrément  et  d'expression.  —  Aubrt,  La  legende  dorée  du  Jongleur. 

N.  5.  —  Lalot,  La  chanson  frangaise  à  Vépoque  de  la  Benaissance  (fin). 

^  Mercadisr,  Études  historiques (saite).  —  Dupomt,  Les  anciennes  cloches 

de  Fabbaye  du  Mont  Saint-Michel.  —  Aubrt,  La  legende  dorée  du  Jongleur  (iàn). 

N.  6.  —  Rollaed,  Notes  sur  T  •  Orfeo  »  de  Luigi  Bossi,  et  sur  les  musi- 
ciens italiens  à  Paris,  sous  Mazarin.  —  Mercadier,  Les  théories  musicales  de 
Descartes.  —  Bonaventura,  Progrès  et  naUonalité  dans  la  musique.^  Combarìeu, 
Basse  danse,  Branle,  Pavane  et  GaUìarde  du  XVI*  siècle. 

Reme  de  Paris  (Paris). 
15  Mai.  —  B.  Rolland,  Les  fétes  de  Beethoven  à  May  enee. 

Berne  generale  (Bruxelles). 
Jaillet.  —  J.  Ryelandt,   La    «  Sainte   Godeline  »    de    Tinel  et  le  théàtre 
chréOen. 


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742  SPOGLIO   DEI  PERIODICI 

TEDESCHI 

MnsikalischeB  Woeheiiblatt  (Leipzig). 

N.  17,  18.  —  Nuove  cantideroMioni  storieo^muneali^  di  0.  WaldappeL 

N.   19.  —  Su  gii  stipendi  degli  Organisti  di  Lipsia, 

N.  20,  21.  —  lì  significato  dei  compositori  shm  per  la  nostra  vita  miwiqiiie 
moderna. 

N.  22.  —  Questioni  pratiche. 

N.  23.  —  Lettera  di  Cosima  Wagner  al  Beichstag. 

N.  24.  —  Crìtica:  Barbarossa  di  S.  v.  Haasegger. 

N.  25.  ^  Ulrich  Hahn,  T  inventore  della  stampa  dèOe  note  mutieaU,  di 
H.  Riemann. 

N.  26.  —  Crìtica  :  Composisiom  orchestràH,  di  A.  Bitter. 

N.  27,  28.  —  La  Passione  di  S.  Marco  e  VOde  funebre,  di  G.  S.  Bach 
(E.  Prìeger). 

Neue  MusikallBche  Presse  (Wien). 
N.  16,  17,  18»  19,  20.  —  Bayreuth,  e  articoli  di  interesse  locale. 
N.  21,  22,  23.  --  GoMer:  Educasione  mueieak. 
N.  24,  25.  —  //  monumento  a  Schumann. 

Neue  Musik-Zeitiing  (Stattgart-Leipzig). 

N.  6,  1,  8,  9.  -^  Aus  den  Erinnerungen  Sir  Charles  HaUeX  t.  B.  R..^ 
[Tolto  dal  libro  <  Life  and  letters  of  Sir  Charìes  Halle»  being  an  Antobiographj 
(1819-1860)  with  Correspondence  and  Diarìes  »  ]. 

N.  6,  7.  —  Zur  Lehre  von  der  Tonbildung  im  Gesangunterriéht,  ▼.  Dr.  Sch.  St 
[Àncora  ano  scritto  in  propaganda  del  metodo  di  emissione  Mtlller-Bninow]. 

N.  1,  8,  9.  <•  Ungedruckte  StammbuehblàUer  vor  eùum  Viertelfahrhundert 
T.  Dr.  Adolf  Kohnt  [Riprodazione  di  fogli  d'album  di  celebrìtà  musicali,  tra  le 
quali  H.  Vieaxtenips,  H.  W.  Ernst,  Félicien,  Da^id  J.  Labitzky,  Mejerbeer, 
Marschner,  Thérèse  Milanollo,  Brahms,  Bottesini,  ecc.]. 

N.  7.  —  Max  SchUlings  [Cenno  bio-bibliografico].  ^  Bepuem  van  Wolfg. 
Am.  Mozart  v.  Wilbelm  Weber  [Memorìa]. 

N.  8,  9.  —  i>»e  Mu9ik  des  Geistes  v.  Dr.  A.  Schfltz  [Riassunto  del  libro 
dello  S.  e  Zar  Aesthetik  der  Musik  »  ]. 

N.  8.  —  Die  Musik  im  Westen  der  Vereinigten  Staaten  v.  Robert  Leu 
[Uno  dei  soliti  interessanti  articoli]. 

N.  9,  10,  11.  —  Die  Erstauffiihrung  von  Joseph  Haydns  Jahreseeiten  vor 
100  Jahren  v.  Dr.  Adolf  Eobnt  [In  occasione  del  centenarìo  della  prìma  ese- 
cuzione]. 

N.  9.  —  Motti  Uber  Bach  [Resoconto  di  nna  conferenza  tenuta  dal  M.]. 

N.  10,  11,  12.  —  Der  KapeUmeister  Friedrichs  des  Grossen  ▼.  Dr.  Ad.  Kohnt 
[In  occasione  del  secondo  centenarìo  di  Karl  Heinrich  Qranns]. 


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SPOGLIO  DSI  PERIODICI  743 

N.  10,  11.  —  Der  Vater  des  Wàbers  [Pel  100<>  anniversario  della  nascita 
del  Lanner]. 

N,  11.  —  Georg  Sehamann  v.  J.  B.  —  W,  A.  Mascari  m  Neuatadt  am  Mam 
▼.  prof.  Hermann  Ritter  [Memoria].  —  Aus  Monte  Carlo  v.  Moritz  t.  Eaiserfeld 
[Corrispondenza]. 

N.  12.  -^  FUnftes  Kammerm%mkfest  in  Bonn  t.  Th.  Lohmer  [Besooonto  del 
festival  di  masiea  da  camera  tenuto  in  Bonn,  12-16  maggio  1901]. 

Neue  Zeitsebrift  tfìr  Masik  (Leipzig). 

N.  12.  —  Victor  Jose,  «  Der  Pohmehe  Jude*,  Mosik  von  Cari  Weisa.  — 
Edwid  Neruda,  €  Die  Bichterin  » .  Mnsik  von  E.  J.  Schwab. 

N.  13.  —  S.  E.  EoRDT,  Edward  Qermann,  —  Ad.  Stamm,  Becensioni  del 
libro  di  F.  Innk^  •  Goethe's  Fortsetzung  der  Mozarfscken  Zauberflòte  * . 

N.  14,  16,  17,  18,  19,  20.  —  Bexmo  Geiger,  NowHis, 

N.  14.  —  Georg  Ricbter  parla  delle  opere  <  Nausikaa*,  di  Angust  Bangerte 
«  GrUn  Ostem  »,  di  H.  Eobler. 

N.  15,  16.  —  A.  ScHERiHG,  Erstes  deuUches  Bachfesi  in  BerUn.—F.  Eebkr, 
«  Hersog  WUdfang  > ,  opera  di  8.  Wagner.  —  Bob.  Mubiol,  Adolf  Ounkel 
[Necrologia  del  gioyane  compositore  di  Dresda;  scrisse  pel  teatro  e  musica  stru- 
mentale]. 

N.  19.  —  Ernest  GQmthbr,  Martin  PHiddemann's  Utste  BaUadenhefte, 

N.  20.  —  V.  JosB,  Wagner,  Lissi  und  B.  Strauss. 

N.  21,  22.  —  H.  Neal,  Musikìeben  in  Heidelberg,  —  P.  Hillkr,  LiOìan 
BlanveU.  —  B.  Geiger,  Einigea  von  und  Uber  2>.  Lorenzo  Pero8Ì,  Breitbanpt 
parla  del  <  Kam  »  ,f  di  d*Albert  [A  questo  numero  è  unita  una  pagina  inedita 
di  Liszt,  il  Sahno  129  per  Barìtono  solo,  Coro  ed  Organo].  —  Leipzig.  C.  J.  Ealmt 
Nachfolger. 

N.  23,  24.  —  B.  Mubiol,  Der  Takt  bei  Bob.  Sehumann, 

N.  23.  —  Arm.  Schsrino,  B,  Sehumann  ala  Tragiker.  —  V.  Jobs,  Schumann's 
VerhaUnis  su  Emesiine  von  Fricien.  —  B.  Geiger,  PÌMniasiestileke  in  Schu- 
mann's Manier,  —  P.  Miller,  Das  78,  Niederàheiniséhe  Musikfest. 

S.  R.  Eordy,  parla  con  riserbo  delFopera  «  Much  Ada  about  Nothing  » ,  di 
Yilliers  Stanford. 

N.  25.  —  Bieh.  Wagner  und  O,  Verdi  [Alcune  belle  parole  di  un  discorso 
tenuto  a  Berlino  da  E.  von  Pirani].  —  B.  Thiesben,  Die  37,  TontOnsUer-Ver- 
sammhing  in  Heidelberg,  —  A.  Wadback,  11  HessicK-phàtsisches  Musikfest  su 
Worms, 

G.  Bichter  parla  con  risierbo  dell*opera  €  Manru  » ,  di  Paderewsky. 

N.  27.  —  B.  Geiger  commenta  la  €  Consone  in  morte  di  O,  Verdi»,  di 
D'Annunzio. 


RM»1a  muMÙMlé  OoImhm,  Vili.  49 


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744  SPOGLIO  DEI  PKaiODIGl 

INGLESI 

Monthlj  Musical  Record  (Londra). 

Maggio.  —  The  artistic  sang^  di  E.  Baughan:  baon  articolo  contro  l'innatn- 
ralezza  e  la  contorsione  delle  liriche  «  à  la  Brahms  >.  —  The  phiìosophical  tide 
of  some  latos  of  hartnony,  di  L.  Pronth.  —  The  sister  arts  of  painUng  ami 
music,  giudizioso  parallelo  di  J.  S.  S.  —  Musical  Notes,  —  Bcviews,  ecc.  — 
Musica. 

Giugno*  —  On  Conducting,  di  E.  Banghan,  paralleli  so  interpretazioni  e  belleica 
di  suono  orchestrale.  —  The  philosophicai  side  of  some  laws  of  harwum^,  di 
L.  Prouth.  —  Solite  rubriche. 

Luglio.  —  Thf  art  of  restraint^  di  E.  Baughan  :  colorito  orchestrale  e  dina- 
mica. —  The  philosophicai  side  of  some  laws  of  harmony,  di  L.  Pronth.  — 
Solite  rubriche. 

Music,  a  Montblj  Magazine  (Chicago). 
Magfcio.  —  EkcUi  Oifford,  Soprano —  Commodùms  Comservatory  Buiìéin§s. 

—  The  sympathetic  resonance  of  the  pianoforte^  di  W.  S.  B*  Mathews^  —  OU 
and  yowsg  musùss,  di  V.  D^Indy.  ~  The  developmefU  of  programme  mutiù, 
di  E.  B/  Hill.  —  Edilorial  Bric-a-Brac,  ~  Things  here  and  there, 

Tlte  Musical  Times  (Londra). 
Maggio.  —  John  Stainer  (Schizzo  biografico).  —  A  curious  musical  instrument 
(è  il  zapoteeano  o  marimba  del  Messico).  —  Occasionai  Notes,  —  Bemetn,  ecc. 

—  Musica. 

Giugno.  —  Augusto  WHhelmy  (Schizzo  biografico).  —  Sir  John  Ooss  (Schino 
biografico).  —  Music  in  the  Rogai  Academy  Exhibition,  —  Solite  rubriche. 

Luglio.  —  Dr.  Boyce  (1710-1799),  Studio.  —  Fifths  permissible  and  oiher- 
wise,  di  F.  Cordar,  Torecchio  permette  ciò  che  vieta  la  scuola.  —  Handefs  òor- 
rowings.  —  Psalm  singing.  —  An  hold4me  ecmtr&versy,  di  J.  Benaat.  ^ 
Solite  rubriche. 

Musical  Record  (Boston). 
Maggio,  Giugno,  Luglio.  —  Riviste  di  attualità,  arte,  studi,  con  aUnmm 
di  musica. 


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I^OTIZIB 


MUuti  musicali, 

/«  Parma.  Begio  ContervaUmo  di  Munca,  —  Pbogramiia  del  Saggio  degli 
àhmni.  —  MeroolcNiì,  5  giagno  1901. 

1.  *P]zzETTi  Ildebrando  (1),  THo  in  Sol  min.  per  pianoforte»  yiolino  e  tìo- 
loncello:  a)  Con  molto  moto;  b)  Qwisi  ìenio\  e)  Non  troppo  presto  —  Tema 
con  vafùuùme  —  Presto;  d)  Finale. 

Esecutori  (2):  Violino,  prof.  Marco  Segrè;  Violoncello,  prof.  Ugo  Nastmcci; 
Pianoforte,  Ilbebrando  Pizietti. 

2.  MiNDB  L.,  OoneertefOdc  (op.  30)  per  clarinetto  con  accompagnamento  di  pia- 
noforte. Alunno:  *Maldotti  Angelo  (8). 

3.  Candiolo  Gilmo  (4),  Scherzo  e  Fuga  per  orchestra. 

4.  Bektboyen  L.,  Andante  in  Fa  maggiore  per  pianoforte.  Alnnno:  'Cacciali 
Ubaldo  (5). 

5.  Weber  A.  M.,  Andante  e  Bondò  Ungareee  per  fagotto  con  accompagna- 
mento d^orchestra.  Alunno:  'Bertoni  Umberto  (6). 

6.  Sgambati  G.,  P  Tempo  del  Concerto  per  piano  ed  orchestra  (op.  15).  Alunno  : 
Cacciali  Ubaldo. 

L'Orchestra  è  composta  di  N.  50  Esecutori:  Alunni  N.  85.  Professori  N.  15. 

La  Direzione  dell^orchestra  è  affidata,  pel  N.  3,  all'alunno  Candiolo  G.;  pei 
N.  5  e  6  all'alunno  Campanini  Gustavo. 

I  nomi  preceduti  da  *  appartengono  ad  alunni  i  quali  hanno  compiuto  il  corso 
degli  studi. 


(1)  Alunno  licenziando  di  composizione.  Scuola  del  prof.  T.  Righi. 

(2)  Alunni  emeriti  del  B.  Conservatorio  di  Parma. 

(3)  Scuola  del  prof.  E.  Cassani. 

(4)  Alunno  del  VII  corso  di  composizione.  Scuola  del  prof.  T.  Righi. 

(5)  Scuola  del  prof.  cav.  S.  Ficcarelli. 

(6)  Scuola  del  prof.  A.  Jori. 

Rinsia  muitealé  itaUana,  Vili.  49* 


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746  NOTIZIE 

/«  —  4*  Eiercitagiane  degli  Alanni.  —  Lunedì,  17  giagno  1901. 

Prooraiixa. 

Porpora  N.,  Sonata  in  Sol  maggiore  per  tìoIìoo  e  pianoforte: 

a)  Grave eogienìUo-, b) Fitga;c)  Aria;  d)  AUegro moderato.  —  Pedretti  Pietro 
(Anno  7%  Fransoni);  Teoldi  Agide  (Anno  5;  crt.  S.  Ficcarelli). 

Thomas  F.,  Gk>DErROU>  F.,  a)  AtOumne;  b)  Grande  studio  per  arpa.  —  Bomani 
Nelda  (Anno  5«,  prof.  I.  P.  Bua> 

PoRCHiiLLi  A.,  Capriccio  per  oboe  con  accompagnamento  di  pianoforte.  — 
Dei  Campo  Giacomo  (Anno  5«,  prof.  B.  De  Stefani).  Accompagna  Palunno  Bertoni  U. 

Hkrmark  F.,  a)  Grave;  b)  CangoneUa;  e)  Lento  e  Presto  dalla  Smte  per 
8  yiolini  (op.  17).  --  Bonaretti  F.  (Anno  5**);  Pedretti  P.  (Anno  7«);  Qhione  F. 
(Anno  4<^,  prol  B.  Franzoni). 

GouHOD  C,  Marche  ^lenneBe  per  due  arpe.  —  Banzi  Ida;  La  Via  Maria 
(Anno  5^  prof.  I.  P.  Baa). 

Pbssard  B.,  Ahdirsin  I.,  a)  Andahuse;  b)  Sehersino  per  flauto  con  accom- 
pagnamento di  pianoforte.  —  Morelli  E.  (Anno  3%  prof.  Cristoforetti).  Aooom- 
pagiia  l^almino  FnuieeiohiBi  A. 

Thomas  F.,  Cantica  per  due  arpe.  ^  Banzi  Ida;  La  Via  Maria. 

/«  —  Programma  del  Saggio  Finale.  —  Venerdì,  21  giugno  1901. 

1.  Camparini  Gustato  (1),  Introdusione  Sinfomea  airopera  «  La  Torre  di 

2.  PizzBTTi  Ildebrahdo  (2),  Canzone  a  Maggio  per  solo,  ooro  ad  orcheatn.  — 
Paxolo  di  Agnolo  Poliziano.  —  Soprano  signorina  M*  Teresina  Ghelfl. 

8.  PizziTTi  Ildebrando,  Ouverture  per  orehestra  alla  tragedia  «  Edipo  a  Co- 
lono »  di  Sofocle. 

4.  Camparihi  G.»  «  La  Begima  di  Maggio  »  Quadro  Urico  per  solo^  ooro  ed 
orchestra.  —  Parole  di  Edmondo  CorradL  —  Soprano  signorina  M*  TeresiBa  Ghdfi. 

5.  Brasms  G.,  Besthotbii  L.,  a)  AOegrstto  gratioso  dalla  e  Sinfonia  N.  2  » . 
b)  Pastorale  per  orchestra  nel  ballo  <  Prometeo». 

6.  Greith  C,  «  Terra  tranuit  »  Mottstta  di  Pasqua  per  ooro  a  4  tocì  ed 
orchestra. 

L'orchestra  ò  composta  di  N.  55  esecutori,  dei  quali  40  alanni.  ^  Il  ooro  è 
ternato  di  N.  45  ▼ocL 

Opere  nuove  e  Concerti» 

«%  Dos  Màrehen  vom  Ghlck,  Cantata  per  soprano,  coro  misto  ed  orehestrs, 
di  Franz  Wagner,  eseguita  per  la  prima  volta  alU  Singakademie  di  Lipsia. 

•%  UUragam,  opera  nuova  di  A.  Bruneau,  ebbe  un  buon  successo  alPOpen 
comica  di  Parigi. 


1)  VII  corso  di  composizione.  Prof  T.  Bighi. 
'2)  Alunno  licenziando.  Prof.  T.  Bighi. 


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MOTizii  747 

«%  Manrw,  di  Paderewski,  a  Dresda  e  a  Lemberg,  piacqae  specie  per  ia  bril- 
lante stromentasione. 

«%  Eccellente  impressione  ha  fatto  la  nnoTa  opera  Busaìka  di  Dworak. 

«%  Much  odo  about  noihing,  di  Stanford,  ebbe  il  previsto  baon  successo  a 
Lesdra. 

«%  L'Improvvisatore,  è  il  titolo  della  nnoTa  opera  di  D'Albert,  che  andrà  in 
sooM  il  prossimo  inverno  a  Berlino. 

/«  La  mano,  nn  piccante  e  interessante  mimodrama  di  H.  Berénj»  piacqae  a 
Francofoffte  s.  M. 

«%  IHkw  a  VifUMia,  Ltt  dama  giudice.  Amen,  Giuda  licariota,  Crieto  rieorto, 
tre  opere  e  dne  oratorii  che  non  dispiacquero. 

«%  Famlaiia,  di  Miss  Ethd  Smyth,  andò  in  scena  al  teatro  di  Garisrahe, 
lodata  da.  Motti  direttore,  condannata  dalla  crìtica. 

«*«  Angelo,  di  Cai,  ebbe  saooesso  a  Varsavia. 

^*«  Goldmark  sta  componendo  GoetM  di  BerKMngen, 

WmgnerUma. 

/«  «  Verdi,  Wagner  e  Rloordi.  —  A  Torino,  nn  Comitato  presieduto 
dal  noto  critico  musicale  Depanis,  si  era  &tto  promotore  di  una  serie  di  concerti 
wagneriani,  che  avrebbero  dovuto  effettuarsi  in  quella  città  dentro  Tanno  se- 
guente. Ma  il  Comitato  ha  dovuto  rinunziare  al  bel  disegno,  perchè  roditore  Bi- 
cordi credette  bene  all'ultimo  momento  di  aumentare  circa  del  doppio  il  prezzo 
dei  noli,  non  stimando  conveniente  di  agevolare  un'Impresa  per  la  quale  <  nel- 
Taano  della  morte  di  Giuseppe  Verdi  »  si  voleva  promuovere  Teseobzione  ia  Italia 
di  opere  musicali  straniere. 

«  È  da  prevedere  che  l'editore  milanese,  sempre  col  nobilissimo  intento  di 
onorare  il  Grande  scomparso  e  di  incoraggiarne  il  calte,  rinunzierà  ai  noli  delle 
opere  verdiane  per  lo  meno  nell'anno  della  morte  del  Maestro  »  (Dal  Marsocco), 

La  aotiaia  ha  un  lato  vens  ed  è  quello  che  riguarda  il  generoso  editore:  iblo 
inveee  di  concerti  si  trattava  nientemeiio  che  deiresecuzione  dell*  intera  Tetra- 
ìogia.  E  resetusione  sarebbe  stata  degaa  del  capolavoro.  Tutto  era  combinato: 
il  dìrattore  scelto  Luigi  Maneinelli;  gli  artisti  migliori  d*  Italia  e  di  fuori 
avrebbero  preso  parte  alle  esecuzioni:  nessuno  s'attendeva  che  la  dilBooltà  iasor- 
montabile  sarebbe  proprio  venuta  dall'editore  italiano  delle  opere  di  Wagner! 

È  toh)  a  chiedersi  perchè  mai  il  Ricordi  tema  cod  forte  del  danno  che  arre- 
cherebbe alla  fama  ed  alk  memoria  di  Verdi,  un'esecurione  dell'inetto  in  Italia: 
fone  ch'ali  stima  così  poco  il  genio  musicale  di  Giuseppe  Verdi  per  temere 
che  il  bagUoie  d'una  eoecuiione  dell'opera  massima  di  Wagner  ne  debba  eclis- 
sare per  sempre  la  virida  luce? 


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748  NOTIZIE 


ManutnenH» 

«%  È  stato  inaugurato  a  Zwiokaa  il  moniiinento  a  Schamann. 

«*«  L'imperatore  di  Raesia  ha  ordinato  raccolte  di  denaro  in  tatto  Timprao  per 
il  monomento  da  erigersi  a  Glinka. 

^*^  Pel  monamento  a  Wagner  da  erìgersi  a  Berlino  lì  sono  stati  71  concor- 
renti. Nessono  dei  progetti  fa  accettato  e  si  è  bandito  nn  nnovo  concorso. 

«*«  Nel  1903  si  inaagurerà  a  Francoforte  s.  M.  il  monumento  a  BafiL 

«%  Gli  scultori  Felderhof  e  Bemewitz  hanno  vinto  nel  concorso  pel  monamento 
a  Brahms  da  erìgersi  ad  Amburgo. 

«%  Sallivan  avrà  un  monumento  nella  cattedrale  di  S.  Paolo  a  Londra  e  una 
statua  davanti  al  Savoy  Theatre, 

Varie. 

^\  Congresio  itUemoMiafiàle  di  Sdente  storiche  sotto  T  augusto  patrocinio 
di  S.  M.  Yittorìo  Emanuele  III  Be  d'Italia. 

In  mancanza  di  notizie  dettagliate  (soci  fondatorì,  aderenti,  comitati,  letture, 
temi  da  svolgere^  ecc.)  riproduciamo  T  annunzio  del  Congresso  diramato  dalla 
Presidenza  e  la  circolare-programma  della  Sezione  Storta  deWarie  Mumeafe  e 
drammaUea. 

*  Egregio  Signore, 

«  Era  opinione  di  molti  studiosi  che  in  un  Congresso  internazionale  da  tenersi 
a  Roma  sai  cominciare  del  nuovo  secolo,  si  dovessero  discutere  le  più  notevoli 
questioni  sorte  in  questi  ultimi  cinquant*anni  nel  campo  delle  discipline  storiche, 
ponendo  in  chiara  luce  il  loro  sviluppo  presso  tutti  i  popoli  civili,  e  rilevando 
sino  a  qual  punto  Pltalia  avesse  partecipato  a  tale  movimento  scientifico. 

«  L'importanza  storica  ed  artistica  di  Roma  e  il  risveglio  delle  scienze  storiche» 
&vorito  in  Italia  dall'unione  politica  delle  sae  regioni,  parvero  suggerire  Toppor- 
tunità  di  questo  proposito.  E  la  benevola  accoglienza  ad  un  inrito,  fatto  sic 
dall'anno  scorso,  dimostra  come  il  desiderio  di  singole  persone  risponda  al  desi- 
derio comune  di  un  ragguardevole  numero  di  studiosi. 

«  L'elenco  delle  prime  adesioni  basta  ad  indicare  nel  modo  più  eloquente  con 
quanto  entusiasmo  sia  stato  approvato  il  disegno  del  faturo  Congreseo  intema- 
eionàle  di  Sciente  storiche. 

«  Siamo  poi  lieti  di  annunziare  che  il  Congresso  ha  ottenuto  TÀugusto  patro- 
cinio di  S.  M.  Vittorio  Emanuele  III,  il  Re  dotto  e  virtuoso,  che  fra  le  cure  del 
principato  pone  anco  quella  di  proteggere  le  arti  e  le  scienze;  e  che  S.  A.  B.  Loigi 
di  Savoia,  duca  degli  Abruzzi,  la  cui  gloria  di  ardito  esploratore  ha  destato  l'am- 
mirazione del  mondo  civile,  si  è  degnato  assumere  il  vice-patronato  per  la  Seiione 
di  storia  delle  esplorazioni  e  delle  scoperte  geografiche. 

«  Alla  fatura  solennità  scientifica  è  ormai  assicurato  il  favore  dei  Ministeri 


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NOTIZIE  749 

della  Pabblìca  Istrasione  (1)  e  degli  AffiRri  Esteri,  dei  Manicipii  di  Boma,  di 
Napoli  e  di  Venezia.  Hanno  ad  essa  aderito  qnasi  tutti  i  più  cospicui  sodalizii 
del  Regno:  la  Regia  Accademia  dei  Lincei,  la  Società  Reale  di  Napoli,  la  Reale 
Accademia  di  Palermo»  l'Istitato  Lombardo,  Tlstitato  Veneto,  il  R.  Istituto  Sto- 
rico Italiano,  la  maggior  parte  delle  Regie  Depntaziooi  di  Storia  Patria  e  delle 
Società  storiche  regionali,  cospicui  Atenei  e  Accademie  deirestero.  Grillnstri  pro- 
iÌBflBori  senatori  A$eoU,  CamparetU  e  ViUari  ne  hanno  accettato  la  presidenza 
d'onore;  e  un  Comitato  di  circa  cento  persone,  costituito  di  eminenti  scienziati 
italiani  e  di  illustri  stranieri,  raccoglierà  e  ordinerà  il  materiale  fcientifloo,  che 
dere  essere  oggetto  di  discussione. 

«  Il  Congresso  comprenderà  tutte  le  discipline  di  carattere  storico,  o  che  si 
riferiscano  alla  storia  della  multiforme  attività  umana.  Esso  si  dividerà  in  tante 
Sesioni,  quante  saranno  designate  dalla  natura  degli  studii,  ai  quali  gli  aderenti 
si  sono  delicati.  E  per  tanto,  salvo  il  caso  di  ulteriori  suddivisioni  o  raggrup- 
pamenti, che  si  rendessero  opportuni  o  necessari!,  le  principali  Sezioni  del  Con- 
gresso saranno  le  seguenti: 

1)  Paletnologia  —  Archeologia  classica. 

2)  Numismatica. 

3)  Storia  dell'antichità  orientale  e  classica. 

4)  Storia  delle  letterature  antiche. 

5)  Storia  del  diritto  antico. 

6)  Storia  medioevale  e  moderna,  generale  e  diplomatica  -*  Scienza  diplo- 

matica e  archivistica. 

7)  Storia  delle  letterature  medioevali  e  moderne. 

8)  Storia  dell'arte  medioevale  e  moderna. 

9)  Storia  del  diritto  moderno. 

10)  Storia  delle  scienze  economiche  e  sociali. 

11)  Storia  della  filosofia  e  della  pedagogia. 

12)  Storia  delle  religioni. 

13)  Storia  delle  esplorazioni  e  scoperte  geografiche  —  Geografia  storica. 

14)  Storia  delle  scienze  matematiche  e  sperimentali. 

15)  Storia  deirarte  musicale  e  drammatica. 

16)  Metodica  della  storia. 


(1)  Rileviamo  con  vera  compiacenza  il  favore  accordato  ad  un  Congresso  di 
Scienze  storiche  da  S.  E.  il  Ministro  della  Istruzione  Pubblica,  augurando  che 
tale  fkvore  non  si  limiti  alla  sottoscrizione  della  quota  di  membro  fondatore  del 
OoQgresso  (l  50). 

Comunque  speriamo  che  S.  E.  potrà  ritrarre  dal  futuro  Congresso  un  giusto 
concetto  suirìmportanza  dello  studio  della  storia  musicale  in  Italia,  mentre  finora 
non  se  ne  accorse  e  non  favorì  chi  alPargomento  dedica  ogni  sua  cura  senza  ba- 
dare a  sacrifizi  d*ogni  genere.  Dico  questo  perchè  T  opportunità  che  offrono  le 
nostre  Biblioteche  a  ricerche  d'altissimo  interesse  per  la  storia  delKarte  italiana 
svanisce  di  fronte  ad  un  regolamento  inqualificabile,  osservato  con  un  rigore  deeno 
di  miglior  causa;  esso  non  permette  agli  studiosi  il  prestito  di  libri  dei  quali  è 
estremamente  disa^vole,  se  non  impossibile,  la  lettura  in  locali  pubblici.  Curiosa 
cosa  !  :  ciò  malgraao  vi  sono  dei  ffalantoominì  che  hanno  la  malinconia  di  lavo- 
rare con  successo  per  mettere  in  luce  ie  glorie  del  loro  paese  !  0.  C. 


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750  NOTtlIS 

«  Saranno  eselisi  dalla  diseustione  qnei  temi  che  per  la  loio  natura  non  in- 
teressino la  maggioranza  d«gli  stadion,  proponendod  il  Congre«o  di  pKsmtart 
e  avviare  alla  eolazione  problemi  d'importanza  geaerale,  i  quali  riehiedaAo  Topera 
oollettlTa  dei  dotti  e,  all'uopo,  Tajnto  di  eodaliii  eoientifiei. 

e  II  CongresM  potrà  anehe  dare  ooeatione  a  camumetmoni  seienHfidkej  odi* 
quali  gli  autori  di  qualche  opera  storica  in  preparaiione,  o  in  corso  di  stampa, 
rendano  conto  de*  risultati  ai  quali  aono  pertennti,  e,  in  via  sommaria,  faeoìano 
noti  gli  argomenti  prirìeipali  che  afralorano  le  loro  conclasioni. 

<  S  saranno,  infine,  opportuni,  talora  neoessarii,  r«eocon<t  paitioolari,  i  quali 
con  forma  sobria  e  densa  diano  notizia  del  movimento  scientifico  delle  Tane  di- 
scipline di  carattere  storico  presso  le  singole  Kazieni  civili  nella  seconda  meti 
del  secolo  che  si  è  testé  chiuso. 

e  Con  successive  circolari  ci  proponiamo  di  diflbadere  il  nostro  programma  par- 
ticolareggiato, essendo  nostro  vivo  desiderio  di  completarlo  con  que*  suggerimenti 
che  potranno  venird  dai  dotti  nazionali  e  stranieri,  i  quali  desidereremmo  pren- 
dessero viva  parte  ad  una  grande  esposizione  del  lavoro  scientifico  intemasioDale. 
Sarebbe,  nondimeno,  opportuno  che  tali  temi  fossero  comunicati  al  Segretariato 
Generale  del  Congresso  non  più  tardi  del  gennaio  del  1902,  per  essere  a  tempo 
distribuiti  ai  Membri  del  Comitato,  ai  quali  spetterà  esaminarli  per  Teventuale 
coordinamento. 

e  Fra  i  propositi  del  Comitato  Promotore  ed  Esecutivo  vi  sarebbe  pnr  quello 
dMnaagQrare  una  mostra  libraria  delle  pabblicazioni  di  carattere  storico  e  di 
storia  delle  singole  scienze,  fatte  in  Italia,  sia  da  sodalizi  scientifici,  sia  da  pri- 
vati, a  cominciare  dal  1860  (e  anco  anteriormente  per  le  serie  allora  già  iniziate); 
di  mettere  in  chiaro  le  relazioni  fra  la  scienza  nazionale  e  la  straniera,  e  addi- 
tarne i  progressi  e  le  lacane. 

<  Per  riuscire  a  tale  impresa,  che  speriamo  contribuisca  a  mantenere  sempre 
più  vivi  i  vincoli  scientifici  internazionali,  e  sia  altresì  di  gflvamento  alla  srìoiza 
italiana,  confidiamo  neiraiuto  del  Governo,  delle  RR.  Accademie,  delle  BB.  De- 
putazioni, delle  Società  Storiche.  E  ci  rivolgiamo  anche  ai  singoli  Editori  ed 
Autori,  che  le  loro  più  importanti  pubblicazioni  potranno  inriare  alla  Presidenza 
dei  Comitato  Esecutivo,  oppure  al  Segretariato  Generale  del  Congresso. 

<  Per  cara  del  Comitato  Esecutivo,  saranno  prese  e  comunicate  a  tempo  tutte 
le  opportune  disposizioni,  affinchè  i  Congressisti  abbiano  le  consuete  riduzioni 
per  i  viaggi,  per  i  mezzi  di  trasporto,  per  le  abitazioni,  ecc.  Né  esso  tralascìerà 
di  adoperarsi  affinchè  tali  agevolazioni  si  estendano  oltre  la  città  in  cui  il  Con- 
gresso avrà  luogo. 

«  E  fin  d'ora  possiamo,  senz*alcnna  esitazione,  promettere  che  Roma  e  ritalia 
faranno  del  loro  meglio  per  accogliere  degnamente  gli  stranieri.  Il  Comune  di 
Venezia  ha  già  decretato  liete  accoglienze  ai  Congressisti,  che  quella  città  risi- 
teranno nel  recarsi  a  Roma;  e  la  benemerita  R.  Depntazione  di  Storia  Veneta 
terrà  per  essi  una  seduta  d*onore. 

«  L*alma  Roma  non  solo  darà  libero  accesso  ai  suoi  musei ,  alle  sue  gallerìe, 
ai  suoi  monumenti;  ma  con  Tinaugurazione  di  nuove  ed  insigni  mostre  di  arte 
antica  e  moderna,  di  fotografie  scientifiche,  ecc.,  dimostrerà  come  e  quanto  essa 
la  dominatrice  del  mondo  antico,  partecipi  al  movimento  intellettuale  che  rìnnon 
i  popoli  moderni. 


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NOTIZIS  751 

«  Si  sono  g:ià  presi  accordi  affinchè  in  oceanone  del  futuro  Congresso  intema- 
zionale si  compia  ano  scavo  nel  vetasto  saolo  latino.  E  se  le  pratiche  già  ini- 
date  dal  Gomitato  avranno,  come  v'è  ragione  di  sperare,  buono  effetto,  il  Con- 
gresso si  ehinderà  con  nna  escursione  nelle  classiche  terre  di  Napoli  e  Pompei. 

<  Il  Comitato  Tuole  promettere  meno  di  qnanto  spera  eompiere.  Esso,  tuttavia, 
non  crede  di  dover  tacere  che  avranno  luogo  a  cura  della  R.  Accademia  di  3.  Ce- 
dila alcune  eseeuiioni  musicali  di  carattere  storico,  le  quali  non  mancheranno 
di  destare  vivo  interesse.  Non  intendiamo  che  il  Alture  avvenimento  scientifico 
perda  minimamente  il  carattere  di  sobria  austerità,  che  è  proprio  delU  Scienia  : 
Ola,  nemici  di  ogni  pedanterìa,  desideriamo  che  quello  svago,  che  suole  Sfcoom- 
pagnare  ogni  Congresso,  sia  dato  da  esposizioni  d'arte,  da  visite  di  musei  e  di 
monumenti,  da  ricreazioni  musicali.  E  porremo  ogni  studio  perehò  l'intiero  pro- 
gramma sia  eoofdiaato  ai  fini  strettamente  scientifici  del  Congresso  medesimo. 

«  U  Congresso  s'inaugurerà  nella  primavera  del  1902.  Indicheremo  con  ulte- 
riore avviso  i  giorni  precisi  ne'  quali  esso  avrà  luogo,  poiché  desideriamo  si  tenga 
in  una  stagione  propizia  in  cai  sia  da  sperare  maggiore  il  concorso  degli  stranieri. 

«  Ci  auguriamo  che  il  nostro  programma  incontri  il  favore  della  S.  Y.  e  degli 
autorevoli  suoi  Colleghi,  ai  quali  la  preghiamo  dame  comunicazione. 

<  Il  Presidente  del  Comitato  esecutivo:  Conte  Enrico  di  S.  Martuco 

«  Assessore  municipale  di  Boma 
«Pres.  della  B.  Accad.  di  8.  Cecilia  e  della  Società  di  Belle  Arti. 

«  Il  Presidente  del  Comitato  promotore:  Ettore  Pais 

<  Prof.  ord.  dell'Università 

t  Direttore  del  Museo  Nazionale  e  degli  Scavi  di  Napoli  e  Pompei 

<  Il  Segretario  Generale:  Prof.  Comm.  Giacomo  Gorrimi 
«deirUoiv.  di  Boma,  Dirett.  degli  Archivi  al  Minist.  degli  Affari  Esteri». 

SEZIONE 
STORIA  DELL'ARTE  MUSICALE  E  DRAMlftATICA 

Boma,  9  giugno  1901. 
Egregio  Signore, 

€  Nel  trasmettere  alla  S.  V.  la  Circolare-Programma  del  Congresso  intemazio- 
nale di  scienze  storiche  del  prossimo  1902,  mi  pregio  di  richiamare  la  sua  at. 
tenzione  sopra  la  Sezione  Storia  delFarte  musicale  e  drammatica,  che  viene  ogni 
giorno  più  ampliandosi  e  prendendo  solida  consistenza,  in  mezzo  alla  generale 
simpatia  e  alla  più  benevola  aspettativa. 

«  A  tale  Sezione  intendiamo  consacrare  le  più  grandi  cure,  con  l'intento  di 
farla  riuscire  degna  dell'arte  e  della  solenne  circostanza. 

«  Posso  dire  fin  d'ora  che  la  Sezione  consterà: 
«  A)  di  una  parte  teorica:  storia  e  critica  dell'arte  musicale  e  drammatica, 
questioni,  voti,  proposte,  ecc.; 

<  B)  di  una  parte  teemco-seieniifiea^  cioè  di  questioni  scientifiche  e  teeniehe 
relative  all'arte  musicale  e  drammatica; 

e  O  di  una  serie  di  esecuzioni  musicali,  ed  eventualmente,  di  rappreeenta- 
zioni  drammatiche  di  carattere  storico. 


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752  NOTIZIE 

<  Aggiango,  inoltre,  che  altre  inisiatiTe,  in  preparazione,  contribairanno,  quali 
utili  complementi,  ad  assicarare  il  snccesso  della  Sezione. 

«  Gradirò,  pertanto,  che  la  S.  V.  mi  riTolga  liberamente  tutti  i  consigli  e  sug- 
gerimenti e  proposte  che  la  sna  competenza  ed  esperienza  facilmente  le  dette- 
ranno; ed  io  assicoro  ohe  di  eaii  sarà  tenuto  il  maggior  conto  nella  redazione 
del  programma  della  Sezione. 

<  Nel  tempo  stesso,  rìrolgo  on  caldo  appello  alla  S.  V.  perchè  cori  la  diffa. 
sione  del  presente  inTito,  in  modo  che  tatti  gli  istituti  ed  enti  musicali  e  drus- 
matici  dellltalia  e  dell'estero,  tutti  i  competenti  e  gli  studiosi  dell'arte  mosietie 
e  drammatica  abbiano  a  iscrìTersì  al  Congresso,  e  a  prendere  parte,  nella  pns. 
sima  prìmaTcra,  al  geniale  couTCgno  intemazionale  in  questa  dttà. 

<  Le  offro,  frattanto,  gli  atti  della  mia  distinta  osserranza. 

<  U  Prendente  deUa  SeMÙme 

€  di  Storia  deJfarte  mueiccde  e  drammatica 

<  E.  DI  San  Martino  ». 

Aggiungiamo  che,  in  conformità  della  circolare,  il  Conte  di  S.  Martino  bz 
convocato  una  speciale  commissione  a  S*  Cecilia.  Le  ha  sottoposto  le  risposte  ri- 
ccTute,  le  proposte  giunte  da  diverse  parti,  e  si  è  discasso  a  linee  generali  sol 
programma  da  stabilirsi.  Le  deliberazioni  adottate  essendo  soltanto  preliminari, 
non  possiamo  liberarle  per  ora  alla  pubblicità.  La  Commissione  si  radunerà  an- 
cora in  questi  giorni  una  volta,  e  procederà  alFesame  di  altre  proposte  per  la 
Sezione  musicale  e  drammatica.  Il  Conte  S.  Martino  farà  poi  un  viaggio  in  di- 
Terse  parti  d'Italia  e  all'estero:  e  al  suo  ri  tomo  a  Roma,  in  novembre,  riconvo- 
cherà la  Commissione  e  stabilirà  il  programma  concreto  e  definitivo. 

Possiamo  intanto  dire  che  le  adesioni  e  le  iscrizioni  della  Sezione  crescono,  e  a 
quelle  d'Italia  se  ne  sono  aggiunte  della  Germania  e  della  Francia. 

Ermete  Novelli  e  Edoardo  Boutet  si  occupano  in  ispecial  modo  del  progn^Bma 
drammatico,  che  avrà  una  parte  notevole. 

Terremo  i  lettori  al  corrente  dello  sviluppo  della  importante  Sezione,  e  frat- 
tanto rinnoviamo  l'avviso  che  per  iscrìversi  occorre  indirizzare  l'adesione  al  St' 
greiariato  G^enerak  dei  Congresso  presso  ìa  B.  Accademia  di  8^  CeeiUa,  Boma, 
Via  d^  Grecif  18,  unendo  la  quota  d'iscrizione  in  lire  dodici,  e  aggiungendo 
lire  tre  per  avere  diritto  al  ricordo  commemorativo  del  Congresso  (riprodozione 
artistica  in  argento  di  una  antica  moneta  romana). 

Chi  pagherà  lire  cinquanta  sarà  Socio  fondatore  del  Congresso, 

Gl'iscritti  riceveranno,  a  suo  tempo,  la  tessera  di  riconoscimento,  gli  stampati 
per  le  riduzioni  e  facilitazioni  di  viaggio,  e,  in  ultimo,  il  volarne  degli  atti  del 
Congresso. 

»%  Congresso  Intemasionale  di  Scienze  storiche,  —  Boma,  primayera  1902. 

Roma,  li  8  agosto  190L 
Egregio  Signore^ 

Con  circolare  9  giagno  u.  s.  ho  annunziato  che  nel  prossimo  Congresso  inter- 
nazionale storico  (Roma,  aprile  1902)  una  importante  sezione,  la  XVIII,  sarà 
esclusivamente  dedicata  alla  •  storia  deWarte  musicale  e  drammatica  9,  e  ne 
accennai  per  sommi  capi  il  programma. 


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NOTIZIE  753 

Costitoitosi  poco  dopo  il  Comitato  proTTisorio  della  sezione  fra  le  Tarie  pro- 
poste esso  ha  preso  in  considerazione  la  seguente: 

<  Etpositione  storica  deOe  rappresenUuioni  teatrali,  nella  produtione,  negli 
autori,  nelle  sale,  nei  paleoseenici,  negli  attori ^  nei  costumi,  nelle  tele, 
negli  accessori,  nei  mamfeeti,  ecc.  > . 

li  solo  enunciato  Tale  a  dimostrare  come  ana  tale  esposizione  potrebbe  riascire 
Tarla  ed  interessante.  La  vastità  del  compito  potrebbe  bensì  far  gnerra  al  snc- 
cesso  ;  ma,  riassumendo  il  tema  per  sommi  capi  ed  esprimendolo  nei  saoi  dati  più 
caratteristici,  si  potrebbe  aTeme  nnldea  che  fosse  sintetica  senza  cessar  di  essere 
pittoresca  ed  educatrice. 

Si  dovrebbe  danqne  astrarre,  in  massima,  dall*  antichità,  senza  rinunciare  a 
comprendere  dell*  antico  teatro  quei  saggi  che  non  esigessero  eccesso  di  studi  e 
di  ricerche,  e  limitarsi  a  risalire  alle  origini  del  teatro  moderno,  sia  comico, 
tragico,  drammatico,  che  musicale  e  coreografico.  Un  rapido  cenno  della  trasfor- 
mazione dal  teatro  classico  al  medioevale  potrebbe  essere  dato  con  qualche  illustra- 
zione grafica,  per  venire  a  una  specifica  raccolta  di  documenti,  dal  Rinascimento 
sino  ai  giorni  nostri,  riproducendo  e  riunendo  quanto  sia  possibile  comprendere 
nelle  varie  forme  delle  rappresentazioni  tipiche. 

Ad  esempio:  la  pastorale  italiana  e  le  danze,  i  comici  italiani  in  Italia  ed  in 
Francia,  il  teatro  di  Shakespeare,  il  teatro  di  Molière,  le  commedie  italiane  nelle 
eorti  principesche  ed  ecclesiastiche,  le  prime  e  le  successive  forme  del  melodramma, 
i  primi  balli  spettacolosi,  le  riproduzioni  auliche  di  spettacoli  antichi,  le  rappre- 
sentazioni di  gala,  allegoriche,  patriottiche,  sino  alle  forme  attuali  dei  diversi 
generi  di  arte  teatrale. 

Tutto  ciò  affidato  a  qualunque  genere  di  docamenti,  grafici,  plastici,  letterari, 
originali  e  riproduzioni  in  stampe,  disegni,  macchiette  in  rilievo,  bozzetti  sceno- 
grafici, attrezzi,  copioni  di  opere  celebri,  partiture,  strumenti,  ritratti,  ecc.,  che 
verrebbero  ordinati  e  coordinati  in  ragione  dei  tempi  e  dei  luoghi,  in  modo  da 
dare  un*  idea  approssimativa  della  trasformazione  dei  vari  generi,  e  ricordarne  le 
fisionomìe  nei  tratti  salienti. 

Gli  archivi  dei  grandi  teatri,  gli  archi?!  storici,  i  gabinetti  di  stampe,  le 
biblioteche,  gli  antiquari,  gli  amatori  di  cose  vecchie  e  curiose,  dovrebbero  pre- 
starsi alla  costituzione  di  questa  esposizione,  la  quale  consentirebbe  anche  parziali 
mostre  collettive  di  ogni  suo  ramo  e  la  esplicazione  di  complete  cronistorie,  sia 
locali  che  individuali. 

Tale  esposùfione  —  una  particolare  sezione  della  quale  sarebbe  dedicata  alla 
memoria  di  Giuseppe  Verdi  {esposizione  verdiana)  —  non  potrebbe  farsi  senza 
il  volenteroso  concorso  delle  persone  e  degli  istituti  e  società  che  sono  in  grado 
di  facilitare  il  compito  al  Comitato  o  di  assumersene  una  parte. 

Pr^o,  pertanto,  la  S.  V.  di  volere  nel  più  breve  tempo  possibile  cortesemente 
indicarmi  se  intenda  prendervi  parte,  o  prestarvi  la  Sua  efficace  cooperazione,  e 
in  quale  modo  e  misura. 

Dipenderà  dalle  categoriche  risposte  che  ci  giù  ngeranno  il  decidere  se  potremo 
attuare  questa  geniale  ed  originale  iniziativa  in  onore  dell*  arte  italiana,  o  se 
dovremo,  nostro  mal  grado,  e  con  vivo  nostro  rincrescimento,  rinunciarvi. 


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754  NOTIZUB 

Gradisca  frattanto,  Chiarissimo  Signore,  gli  atti  della  nostra  particolare 
Tanza. 

Il  Comitato  provmono  deUa  tejnone  ddTarte  mumeàk  e  é^ammaHea: 
Pretidente:  E.  di  San  Martino  e  Valperga. 
Membri:  Ermete  NoTelli  —  Filippo  Marchetti  —  Stanislao  Falchi  —  Prin» 

Lotì  —  Edoardo  Bonet  —  Alessandro  VesseUa  —  Rieeaido  Gaodolfi. 
Segretario:  Alessandro  Parisotti. 

Risposta: 
Al  Prof.  A.  PiRiBOTTi,  Segretario  del  Comitato  ddla  tegione  mmneak  e 
drammatiea,  B.  Accademia  di  S.  Cecilia,  Via  dei  Greci,  18  -*  Boma. 

«*«  Bevue  d'histoire  et  de  eriHque  musicaleSf  prìndpalement  consaciée  à  la 
mnsiqne  fran9aÌ8e.  Pnblication  mensoelle  honorée  d'ane  aonscription  da  Mlnìstèn 
de  rinstmction  pablique  et  des  Beanx-Arts. 

<  Paris,  8  jnin  1901. 
<  Momieur, 

€  Aa  nom  des  coUaborateurs  de  la  <  Bevae  d'histoire  et  de  critiqae  mnà- 
cales  »  dont  tous  troa?erez  la  liste  ci-jointe,  noas  arons  Phonnenr  de  roos  in- 
formez  qae  noas  domandone  anx  Maitres  les  plas  connos  de  Tart  musical  (bon 
de  Franco)  de  Touloir  bien  noas  donner  nne  réponse  à  la  qnestion  salvante: 

<  QneUe  e$t  votre  opinion  sur  lee  auvree  mueicaìei  de  M,  SoàU-Saén»? 
QuelUa  eont  celìee  de  ees  eompoeithne  qui  voue  paraiuent  le  pku  digneg  i'ee- 

time?  QueUe  place  aitribues-voue  à  M,   Saint-SaSne  dona  ThMtokre  de  U 
mutique  au  dix'^ewninu  eièeìéf 

«  Noas  ne  cberchons  pas  des  éloges  coortois,  mais  une  opinion  sincère  de 
Maitres  aatorisés. 

«  Si  Tous  Toalez  bien  noas  enyoyer  qaelqaes  lignee  de  réponse  (déyeloppée  et 
moti?ée,  oa  bien  coorte,  comme  voas  jngerez  bon),  noas  serons  heareax  de  las 
insérer  prochainement  dans  nn  nnmóro  special  qai  Toas  sera  enroyé. 

e  Veaillez  agréer,  Monsiear,  Tassarance  de  notre  haute  considération  et  de 
DOS  eentiments  les  plas  déToaés. 

«  Poar  la  Bevue  d^Mstoire  et  de  eritì^te  mueicalee 
€  J.  CoMBARisu,  Direeteur, 
*  «  Profeseeur  agrégi  de  fUmìtoernU  t. 

P.  S,  En  pabliant  Totre  réponse,  noas  serìons  heoreuz  d^j  joindre  ane  note 
sar  vons  méme,  si  vous  le  permettei  et  si  Toas  Tonlez  bien  noas  indiqner,  poar 
éviter  des  errears:  1*  les  liea  et  date  de  Totre  naissance;  2*  tos  titres  oflBdeli 
et  Tos  fonctlons  actaelles;  3*  la  date  exacte  de  tos  prìncipales  oompoaitions  oa 
publications  (avec  tons  renseignements  qae  Toas  jagcdez  atileB);4«  Totre  adresse 
et,  si  possible,  votre  photographie. 

Prióre  d^adreeeer  avant  le  15  juiOet  à  M.  le  Prof.  Juìee  Combeaieu,  SJi, 
rue  de  Tocqueville,  Parie,  —  Les  réponses  sont  re^ues  en  fran^ais ,  alletnand, 
anglais  oa  italien. 


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NOTIZIE  755 

^*«  Jan  Blochx  ò  saccedato  al  Benoit  come  direttore  del  CoiuerTatorìo  di 
AnTefsa. 

«%  Chicago  arra  fra  non  molto  nna  nnoTa  sala  da  concerti  del  eosto  di  300.000 
dollari. 

«*«  Una  scnola  accademica,  detta  Conservaiono  Ommppe  Verdi,  ò  stata  aperta 
a  Brema  sotto  la  direiione  della  signorina  A.  di  Catalto. 

«%  Il  sig.  F.  Mendelssohn  ha  donato  al  Mosco  di  strumenti  musicali  di  Berlino 
nna  coUeiione  di  400  ritratti  di  musicisti. 

Ifecrdogie. 

«%  Giorgio  Vierling,  stimato  compositore  di  musica  da  camera,  oratorii  e 
cantate. 

«%  jTar  HallstrGm,  compositore  svedese  assai  noto. 

«%  John  Stainer,  compositore  e  professore  di  musica  a  Oxford. 

«*«  6.  C.  Gnrliti,  compositore  e  direttore  di  musica. 

«*«  Alfredo  Piatti,  celebre  Tioloncellista,  morto  il  18  Inglio  nella  villa  Lochis 
alla  Crocetta  di  Moszo,  presso  Bergamo.  Era  nato  a  Bergamo  TS  gennaio 


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£Ii£I260  D£I  LIBSI 


ITALIANI 

ÀnniuiKio  (D*)  G.,  In  marte  di  G.  Verdi;  canzone  preceduta  da  iiQ*orazione  ai 

gioTanL  In-4**.  —  Milano.  Fratelli  Treves.  —  L.  1. 
Boni  Om  Verdi:  Vuomo,  le  opere,  Tartista.  1  toI.  inlB*"  fig.  —  Parma.  Battei. 

-  L.  1. 
Pizzi  I.,  Bicordi  Verdiani  inediti,  con  11  lettere  di  6.  Verdi  ora  pubblicate 

per  la  prima  Tolta.  In-16®.  —  Torino,  Boni  e  Viarengo.  —  L.  1. 
Soffredini  A.,  Le  opere  di  Verdi,  Studio  critico  analitico.  1  toI.,  in-S".  —  Ki- 

lano.  C.  Aliprandi.  —  L.  5. 
Tabanelli  N.,  lì  codice  del  teatro.  1  toI.,  in-16«.  —  Milano.  U.  HoeplL  — 

L.  8. 
Torchi  L.,  La  musica  istrumeniak  in  Italia  nei  secoli  XVI,  XVII  e  XVIIL 

1  yoL,  in-8*.  —  Torino,  Bocca.  —  L.  6. 
Verdi  Giuseppe.  Biografia.  In-16«.  Bibl.  del  Popolo.  —  Milano,  Sonzogno.  — 

L.  0,15. 

FRANCESI 

Aobert  Cli.,  L'art  mimique,  suim  d'un  Traité  de  la  Pantomime  et  du  Balkt 

1  Tol.,  in-8«.  —  Paris.  A.  L.  Charles.  —  Pr.  5. 
Brnnean  A.,  La  mtésique  franoaise,  1  voi.  in-S^".  •—  Paris.  E.  Fasqnelle.  — 

Fr.  3,50. 
Jadassohn  S.»  La  basse  continue.  Une  Instruction  ponr  Texécntion  des  parties 

chiffróes  dans  les  chefs  d^OBOvres  dea  anciens  maitres.  1  toL,  in-8*.  —  Paris. 

Lib.  Fischbacher.  —  Fr.  6. 
—  Tìièmes  et  exempUs  pour  Vétude  de  Vharmonie,  Supplément  aa  Traité  d*Har- 

monie.  In-8«.  —  Paris.  Fischbacher.  —  Fr.  2,25. 
MahillOD  T.  C,  OataUogue  descripUf  et  analytiqu/e  du  Musée  instrìtmenial 

l?Ustorique  et  teckmque)  du  Conservatoire  royal  de  Musique  de  Bruxelk». 

8*  Tol.,  no«  1822  à  2055,  in-d».  —  Gand.  Ad.  Hoste.  —  Fr.  5. 


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KLENCO  DII  LIBRI  757 

Biehter  E.  F.,  Exereices  pour  urvir  à  Vétude  de  Tharmonie  pratique,  Eztriits 
da  «Lehrbacb  der  Harmonie».  Tndait  par  G.  Sandré.  In-8«.  —  Leipzig. 
Breitkopf. 

Soubies  Am  Hiataòre  de  la  musique  en  BeUgique,  Tome  II.  Le  XJX«  nècie. 
1  voi.,  in-12«.  —  Paris.  E.  Flammarion.  —  Pr.  2,50. 


TEDESCHI 

Batka  R.,  Siudien  sur   Oesehiehie  der  Musik  in  Bóhmen.  InS".  —  Prag. 

J.  G.  Calve. 
BerlioK  H.,  Die  Kami  dea  Diriiierens.  In-8^  —  Heilbronn.  C.  J.  Schmidt. 
Eltner  B.,  Biographieék-hibliogriigpJueehes   Quelìen-Lexieon  der  Mueiker  u. 

Mueikgelehrien  der  ehristìichen  Zeitrechnung  bis  sur  Mitte  dee  19.  Jahrh, 

IIl-8^  3.  Bd.  —  Leipzig.  Breitkopf. 
Beim  £.,  Neuer  Fiihrer  durch  die  VioìiurLitteratur.  In-8*.  2.  Aafl  ^  Hannover. 

L.  Oertel. 
Jadassohn  S.,  Oeneràlbaas.  Bine  Anleiig.  filr  die  Ausfiihrg.  der  Continuo^ 

Stimmen  in  den  Werken  der  aUen  Meister.  In-8<».  —  Leipzig.  Breitkopf. 

—  MusikàHseìie  KomposiUonàkhre.  4.  Bde.  lo-S».  —  Leipzig.  Breitkopf. 

—  Die  Lehre  vom  reinen  Saise  in  3  LehrbUehem,  In -So.  —  Leipzig.  Breitkopf. 
Jahrbueh  f,  Deutschland  Mànnergesangvereine  1901. 1.  Jahrg.  In.8«.  —  Leipzig. 

A.  Spitzner. 
Kofler  L.,  Die  Kunst  dee  Almens  àls   Orundìage  der   Tonersetégung  fUr 

Sànger^  etc.  ete.  In-8«.  —  Leipzig.  Breitkopf. 
Kross  E.,  Ueber  das  Studium  der  2à  Capricen  Paganini^s  u.  die  Art   u. 

WeieSf  wie  diese  durch  PaganinVs  Hand-  u.  ArmsieUung  aueh  v.  kki- 

neren  Hànden  Uberumnden  werden  kihmen.  In-4<^.  —  Maina.  B.  Schotti 
Lehn^s  Muaiker-Notisbuch.  1901,  In-IG*".  —  Annover.  Lehne  n.  Co. 
Marx  A.  B.,  L.  van  Beethoven,  Leben  ti.  Sehaffen.  5.  Aafl.  In-8<>.  —  Berlin. 

0.  Janke. 
Merìan  B.,  Geschichte  d,  Musik  im  19.  Jahrh,  —  Leipzig.  H.  Seemann. 
Mey  C,  Die  Musik  ab  tonende  Weìtidee.  Versuch  e.  Metaphgsik  der  Musik, 

InS^,  —  Leipzig.  H.  Seemann  Nachf. 
Molltor  P.  B.,  Die  Nael^TridenUnisehe  Choraì-Beform  su  Barn.  In-8*.  — 

Leipzig.  F.  E.  C.  Leackart. 
Nagel  W.,  Zur  GeschichU  der  Musik  am  Hofe    V,  Darmstadt,  In-8^.  — 

Leipzig.  Breitkopf. 
Pietzsch  B.,  Tie  Trompete  aìs  Ordiester^Insirument  u,  ihre  Behandìung  in 

den  versehiedenen  Epoehen  der  Musik.  In-4<>.  —  Heilbronn.  C.  F.  Schmidt. 
Poehhammer  A.,  Musikàliséhe  Eìementar-Chrammatik,  Praktieeh-tearet,  In^S*". 

—  Leipzig.  H.  Seemann. 


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758  KLXNGO  DBI  LIBRI 

Bichter  À.^  Aufgabénbuch  mu  E.  Fr.  BichUrs  HarmonièUhre.  16.  Àafl.  Ib^. 

—  Leipzig.  Breitkopfl 

—  Die  EìemefUarkenntniise  der  Muiik.  In-8*.  —  Leipzig.  Breitkopf. 
Biohter  £.,  Die  prakti$ehen  Stitdim  eur  Theorie  der  Muiik,  In-8<>.  —  Leipsig. 

Breiikopf. 
Riemann  H.,  KatecMimus  der  Mueikgeaehiehie.  —  Leipsig.  M.  Hesse. 
Bitter  H.,  Ueber  die  tmUerieOe  u,  eoziale  Lage  dee  Ortheetermueiken,  Iih8*. 

—  Mtlnchen.  M.  Poessi. 

Seldi  À.,  Modemer   Oeiei  tn  der  deuteehen   Tonkunst.  In-S*.  —  Berlin. 

Hannonie. 
Seydler  Th.,  Moikriàl  f,  den  UnierriM  in  der  Eàrmamekhre.  2.  Ànfl.  It^. 

—  Leipzig.  Breitkopf. 

INGLESI 

Chapin  A.  A.,  Maetere  of  MueiCt  iheir  Uvee  and  worke,  In-12*.  —  Kew-Tork. 
Dodd,  Mead  and  Co.  --  Doli.  1,50. 

Henderson  W.  J.,  The  Orchestra  and  Orchestrai  Music  Portralts.  Iii-8«.  - 

London.  F.  Murray. 
Mees  A.,  Choirs  and  Choràl  Music  Id-12«.  —  New-York.  Scribner.  —  Doli.  1,2S. 
Beeve^  Musical  Directory  190L  In-8«.  —  London.  W.  Beeyee. 
Banciman  J.  F.,  Old  Scores  and  New  Beadings,  2^  edit.  In-8«.  —  LoadoA. 

Unicom  Press. 
Tapper  T.,  First  Studies  in  music  biography.  Inl6*.  —  New-York.  Theodore 

Presser.  —  Doli.  1,50. 

Ternham  J.  F.,  First  Steps  in  ihe  Harmonisation  of  Méhdies.  In-8«.  — 
London.  NotoUo. 

Wilheli^J  A.  ami  Brown  I.,  A  Modem  School  far  the  vioUn.  —  London 
NoTello. 


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BìxSlim  DELL^  IQUSie^ 


Autori  moderni. 

Andreoli  Gn^rUelmo.  —  Op.  22.  Tre  pezzi  per  P/orie  a  qmUro  mani,  — 

Milano.  G.  Ricordi. 

Monca  di  stile  facile,  che  non  aggiunge  nnlla  alla  prodaiione  dell'Andreoli. 

Il  quale  nella  Danza  polacca  non  seppe  eyitare  la  ripetizione  di  cose  già  dette 

da  Chopin;  anche  la  Canzone  Eònembranze  e  la  Garetta  non  offrono  idee  nnove. 

Bossi  M.  Enrieo.  —  Op.  122.  Album  pour  la  Jeunezee.  —  N.  1.  Careeaes. 

—  N.  2.  Souvenir.  —  N.  3.  Scherzando.  —  N.  4.  Nochime.  —  N.  5.  Ba- 
hiOage.  —  N.  6.  0<md(Mera,—l^.  7.  Vàke  Charmanie. ---Ì^.S. Berceuee. 

—  Lipsia  e  Milano.  Carisch  e  Jftnichen. 

I  pianisti  poco  avanzati  saranno  grati  al  Bossi  del  regalo  di  queste  pagine  di 
&cile  esecuzione,  che  il  lodare  toma  inutile;  tutti  sanno  con  quanta  finitezza  il 
fecondo  compositore  tratti  i  piccoli  soggetti,  né  egli  prende  la  penna  per  ripetere 
sé  stesso. 

GentiUi  D.  —  e  Gorgheggio  >  per  VioUno  sólo.  —  Trieste.  C.  Schmidt. 

Una  delle  solite  bizzarrie  di  stile  imitatiTo  non  legittimata  da  un  contenuto 
musicale. 

Habay  Jend.  —  Op.  89.  Dix  Audes  concertantez  pour  le  Violon,  —  Leipzig. 
Bob.  Forberg. 

Da  segnalare  questi  studi,  buoni  per  tecnica,  stile  scorrevole  e  di  brillante 
effetto. 

Martaoei  Giuseppe.  —  Op.  78.  Tre  piccoli  pezzi  per  P.forte.  —  Leipzig  e 
Milano.  Carìsch  e  J&nichen. 

Nella  Serenata,  la  melodia  pur  serbando  il  carattere  di  hdìe  eantabilità,  si 
discosta  dal  comune  per  la  varietà  del  ritmo.  Il  titolo  di  Minuetto  dato  al  se> 
coudo  pezzo  non  deve  spaventare  i  nemici  delle  arcadiche  imitazioni  delFantico; 
«e  ne  ha  an*impressione  di  dolcezza  e  di  raccoglimento.  Infine  il  Capriccio  seduce 
per  queUa  grazia  personale  che  il  Martuoci  dimostrò  nel  genere  scherzevole  fin 
dalle  prime  composizioni  giovanili. 


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760  XLENCO  DELLA   MUSICA 

Maseagni  Pietro.  —  La  Gavotta  deUe  bamboU,  per  Quintetto  a  corda  o  Pioite 
solo  0  a  4  mani.  —  Trieste.  Carlo  Schmidt 
Non  c*è  né  carattere,  né  spirito,  né  baon  gasto  nell^armonia. 

Beger  Max.  —  Op.  39.  Drei  seehssUmmige  Chdre  fUr  1  Sopran,  2  AU. 
1  Tenar^  2  Boss.  —  N.  1.  Schtceigen,  —  N.  2.  AbendHeéL  —  N.  3.  JMikr 
lingsbUeh. 

Op.  46.  —  PhatUa$ù  und  Fuge  fUr  OrgèL 

Op.  47.  Seehs  THos  fUr  Orgeh  Canone,  Giga,  Canzonetta,  Scherzo,  Sidiiaiia, 
Foga.  —  MQnchen.  Jos.  Aibl. 

Max  Beger,  la  cai  atti?ità  produttrice  segniamo  con  compiacenza,  conta  fra  i 
più  promettenti  dei  giovani  artisti  tedeschi.  Le  composizioni  corali  attestano  Tat- 
ti tndine  a  trattare  i  Tari  generi;  quelle  per  organo  meritano  in  particolar modo 
l'attenzione  dei  lettori:  al  culto  aristocratico  dello  stile  tì  si  aggiunge  nn  calore 
giovanile  che  le  distingue  da  tanta  musica  dotta  e  accademicamente  fredda.  Se 
i  Trii  sono  scritti  in  uno  stile  semplice^  invece  la  Fantasia  e  Fuga  (Op.  47) 
sul  tema  suggerito  dalle  lettere  componenti  il  nome  di  Bach  è  opera  d'artista 
rafiQnato  che  non  teme  il  difiBcìle,  senza  però  far  della  tecnica  lo  scopo  dell'opera 
d'arte.  Insieme  colla  Swìata  per  Violino  e  P.forte  €  annunziata  lo  scorso  autunno  > 
è  Topera  più  forte  ed  elaborata  del  Beger:  l'artista  sa  che  ha  da  far  qualche 
cosa  di  grande  e  vi  si  accinge  con  entusiasmo  e  con  nobUtà  d'ingegno  che  desia 
sincera  ammirazione  in  un  giovane  ventottenne.  E  questo  per  consenso  dei  critici 
e  del  pubblico  in  Germania. 

Bice!  Tutorio.  ->  Melologhi:  lì  GhMnto. -^ Armonia,  —Firenze.  Ed.  Scia- 
bili]. —  Pastelli  musicali:  Tìie  Chmeras,  —  OobUn  Marlcet,  Cantata.  ^ 
London.  Joseph  Williams. 
Nel  melologo  riuscì  al   compositore  di  ben  conciliare  la   forma  musicale  col 
testo;  però  in  quanto  a  pensiero  ci  voleva   qualche  cosa  di  più  impressionante 
per  tradurre  la  poesia  di  Schiller:  debolezza  che  incontrasi  in  Armonia —  parole 
di  6.  Marradi.  In  generale  la  musica  del  Bicci  è  melodica  e  accurata  nello  9^^^ 
se  non  personale  ;  talora  caratteristica  come  nel  princìpio  della  Cantata,  la  quale 
non  cresce  d*attrattiva  nella  seconda  parte. 

Stranss  Blchard.  —  Op.   40.  Ein  Heldenkben,  Trascrizione  per   P.forte  a 

4  mani  o  per   due  pianoforti  a  4  mani  di  Otto  Singer.  —  Leipzig.  F.  £• 

C.  Leuckart. 

Su  di  Una  vita  d'eroe,  Tultimo  dei  poemi  musicali  di  B.  Strauss,  la  critica 

si  pronunziò   con   riserbo  e  in   forma  indecisa.  A  differenza  di  e  Also  spradt 

ZarathtMtra  > ,  una  di   quelle  opere  che  nel   loro   indirizzo  o  si  accettano  o  à 

respingono  del  tutto,  esso  non  presenta  —  almeno  ad  una   prima  audizione  — 

l'unità  di  carattere  del  poema  suddetto  o  di  TiU  Euìenspiegel  Accanto  a  pa^ne 

molto  straussiane  —  ci  si  conceda  Tespressione  —  per  l'effetto  strumentale  o  per 

la  polifonia  elaboratissima  (tali  la  quarta  parte  «  Le  lotte  deireroe  »  e  la  quinta 

<  Le  opere  pacifiche  dell'eroe  »  —  uno  splendido  cantabile  costrutto  su   più  di 

venti  temi  tratti  dalle  opere  anteriori  di  Strauss)  altre  ve  ne  sono  di  classica 


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BLENOO  DELLA   MUSICA  761 

semplicità.  Poiché  non  è  qaì  il  luogo  di  esaminare  il  poema  in  sé,  il  che  richie- 
derebbe nno  stadio  esteso  anche  sagli  altri  poemi  di  Straass,  ci  limitiamo  a  rac- 
comandarne la  lettara  nella  trascrizione  per  dae  pianoforti,  la  quale  va  conside- 
rata piuttosto  quale  mezzo  di  preparazione  all'audizione  orchestrale  anziché  quale 
musica  da  eseguire  al  pianoforte;  il  colore  orchestrale  è,  a  parte  lo  scopo  estetico, 
necessario  alla  chiara  comprensione  della  polifonia.  Però  anche  la  semplice  lettura 
al  pianoforte  dimostra  a  fÌEivore  di  Strauss  la  musicalità  delle  sue  sinfonie  a  pro- 
gramma e  quanto  errino  colpro  che  in  lui  vedono  solo  un  creatore  di  nuoTÌ  effetti 
orchestrali.  Speriamo  che  non  abbia  a  essere  .  lontano  il  tempo  in  cui  vengano 
eseguite  in  Italia  e  dal  pubblico  comprese  le  opere  geniali  d'un  musicista  che 
è  alla  testa  del  movimento  musicale  odierno. 

Quale  aiuto  all'analisi  di  Ein  Heìdenleben  raccomandiamo  Teccellente  guida 
tematica  di  Friedrich  Ròsch,  pubblicata  dallo  stesso  editore,  e  della  quale  esiste 
pure  una  traduzione  francese  di  E.  Glosson. 


-)))•(((- 


Giuseppi  Magrimi,  Gerente  responsabile. 


ToRiHo  —  Vincenzo  Bona,  Tip.  di  S.  M.  e  de'  KR.  Principi. 


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-^memo^ie-j- 


Le»  Cfeant» 

de  la  Liturgie  de  St  JeaQ  Cferysogtonie 

dans  TÉglise  Bulgare. 


Xie  peuple  bulgare  a  le  sestiment,  la  passion  méme  de  la  muaique; 
il  se  montre,  à  bon  droit,  fier  et  très  fier  de  ses  aìrs  natioaaux  cornine 
de  sa  noufelle  et  florissante  littératore;  aossi  bieii,  a-t^il  tort  de  n» 
pas  attacher  le  mdme  intérét  ì  sa  moùfae  religìeuse. 

A  ce  sujet,  c'est  eo  ?aÌQ  que  les  Balgares  prétendent  s'autorìser 
de  eertains  actes  de  yandalisme  pour  ezpliquer  Tabsence  de  doeu- 
ments  propres  ì  jastifier,  chez  leurs  ancétres,  Texistence  d'un  art 
musical  indépeidaut  de  celai  des  autres  peuplea.  L'on  serait  mal 
venu  de  voakir  mettre  en  doute  les  autodafés  des  Hilarìon  et  dea 
Joachim  (1):  conTieat-il  dayantage  d' en  exagérer  la  portée  réelle? 
Les  Serbes,  non  plus  que  les  autres  peoples  slares  de  la  Péninsule,  n'ont 
pas  de  semblables  griefs  à  jeter  à  la  face  des  Greca  modernes,  et 
oependant  ils  sont  tout  aussi  pauyres  en  documenta  sur  l'histoire  de 
leur  musique  sacrée. 

Au  cours  de  longues  et  minutieuses  rechercbes,  il  m'a  été  donne 
de  consulter,  soit  en  Bulgarie,  soit  en  Turquie,  trois  cents  et  quelques 


(1)  Cf.  Leocr,  La  Bulgarie^  pagg.  50-51. 

RùtUia  mutieaU  italiana^  VIU  SO 


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764  MXMORn 

manoscrits  litargìqaes  sla?es.  A  part  deox  exceptions,  dont  il  sera 
parie  plus  loin,  aucnn  de  ces  oarrages  ne  portait  trace  de  notation 
musicale  partìculière. 

Au  &it,  les  Slaves  ayant  refu  leur  liturgìe  de  Byunce,  est-il 
yraisemblable  qu'ils  n'aient  pas  également  accepté  d*elle,  les  ehants 
religieux  qui  en  font  partie  intégrante? 

La  tradition  musicale  des  Byzantins  nous  a  été  conseirée  dans  ses 
principaux  éléments  gr&ce  à  leurs  notations  figurées  oa  séméiogra- 
phiques. 

La  séméiographie  primitive;  dérifée  elle-mdme  des  signes  proso- 
diques  grecs,  et  non  pas,  comme  on  Fa  cru  fort  longtemps,  des  ca- 
ractères  démotiques  égyptìens,  exprimait  le  simple  récitatìf  des  épìtres 
et  des  évangiles.  Befdtant  bientftt  une  forme  plus  analytìque,  cette 
première  écrìture  musicale  seryit  de  fondement  à  toutes  les  nota- 
tions de  mème  genre  employées  dans  les  différentes  confessions  chré- 
tiennes  (1). 

Chez  les  Grece  en  particulier,  on  vit  se  former  presque  simulta- 
nément  deux  systèmes  analogues:  la  notation  HagiapoUte  ou  Damas- 
céniennej  et  la  notation  restée  très  longtemps  inconnue  que  j'ai 
baptisée  du  nom  de  ConstantinapoUtaine  (2). 

Au  X*  siècle,  les  Busses  embrassent  la  foi  chrétìenne  et  refoivent 
de  Byzance  leur  clergé,  leur  liturgìe  et  leurs  ehants. 

Sur  ces  entrefaites,  Tìnfluence  du  monarchismo  palestinien  deyient 
telle,  que  le  typieon  de  Si  Sabbas  et,  par  suite,  la  notation  Hagùh 
polite  sont  introduits  dans  S^  Sophie,  et  peu  après,  adoptós  dans 
toutes  les  églises  de  Tempire. 

Bestés,  de  prime  abord,  étrangers  à  ce  mouvement,  les  Busses  ne 
laissòrent  point  d'employer  la  notation  de  Gonstantinople  qn'il  est 
aisé  de  reconnaitre  aujourd'hui  dans  Técriture  musicale  des  Baskolniks. 

Par  contro  les  Slayes  de  la  Péninsule,  définitivement  asseryis  au 
pouYoir  de  Byzance  sous  le  règne  de  Basile  II,  se  yoient  contraintB 
d'employer  dans  leurs  principaux  ehants  liturgiques,  a?ec  la  notation 
Eagiopolite^  le  texte  grec  lui-méme. 


(1)  Cfr.  BytonnUniiché  ZeiUehrift,  Vili,  1,  pagg.  144-146. 

(2)  Cfr.  «  BaUetin  de  Tlnstitat  archéologiqae  rosse  de  Conitantinople  »,  1899. 


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LK8  CHANTS  DB  LA  UTUROIB  DB  8T.  JBAN  GBRTSOSTOBfB  765 

Qaelque  singnliòre  que  puisse  paraitre  cette  assertion,  elle  n'en 
est  pas  moina  fondée  sur  deox  doemnentB  de  haute  yaletir:  le  8y- 
nocUque  de  Boris,  conserve  à  la  Bibliothèque  Nationale  de  Sofia  (1), 
et  le  Ms.  N.  31  da  monastèro  balgare  de  Batchkoyo. 

Dans  le  premier  manoscrìt,  redige  en  palèo-slave,  le  texte  chanté 
fidt  exception:  il  est  écrit  en  grec  et  la  notation  est  celle  de  Jean 
Damascène.  Le  Ms.  de  Batchkovo  est  un  codex  liturgique  du  XIV*  si^le 
dont  les  titres  et  sous-titres  sont  en  slave  alors  que  le  texte  musical 
est  grec  et  la  notation  celle  de  Jérusalem  égalemeni 

La  situation  religieuse  des  Jugoslaves  déjà  fort  précaire  sous  les 
empereurs  byzantins,  fut  bientòt  modifiée  par  la  domination  musul- 
mane, qui  supprìma  successivement  toutes  les  églises  autocéphales  au 
profit  de  rÉglise  grecque  de  Constantinople. 

L'Église  bulgare  de  Timovo  fut  la  première  «acrifiée  (1393)  et 
réunie  à  celle  de  Constantinople  bien  avant  la  chute  de  l'empire. 

Supprìmée  à  son  tour  vers  1469  et  rétablie  après  un  siècle,  TÉglise 
d'Jpeck  perdit  de  nouveau  son  autonomie  en  1765:  le  patriarche  de 
Constantinople  Samuel  en  avait  acheté  la  suppression  à  la  Porte, 
35000  aspres. 

Deux  années  plus  tard,  le  patriarcat  d'Ocbrìda  disparaissait  gr&ce 
À  la  mSme  influence. 

Au  milieu  de  ces  nombreuses  vicissitudes  le  haut  clergé  slave  ne 
fut  pas  le  Seul  éliminé  en  vue  de  Tunité  ecclésiastique  grecque  dans 
tonte  la  Péninsule^ 

Le  philétisme  cependant  Temporta;  sous  Timpulsion  de  ce  senti- 
menti de  grandes  évolutions  religieuses  et  politiques  s'accomplissent 
soudain:  après  la  perìodo  d'asservissement,  voici  venir  celle  de  la 
libération. 

Les  Serbes  sont  les  premiere  à  s'affranchir,  les  Bulgares  suivent 
leur  exemple  et  en  1870,  obtiennent  de  la  Porte  un  firman  qui  con- 
sacre  de  nouveau  leur  autonomie  religieuse. 

Dès  l'origine  de  leur  lutto  separatiste  avec  le  Patriarcat  (Ecumé- 
nique,  les  Bulgares  reprirent  possession  de  leur  ancienne  langue 


(1)  Le  Synodique  de  Boris  date  da  XIII*  nòcle  mais  il  n^eit,  apparemment, 
qa*ane  copie  d*iiii  texte  plus  ancien. 


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786 

litargiqne.  Dans  rinterrane  de  1857  à  1875  troie  chaniires  eipérì- 
mentée,  Jean  Selyievtse,  J.  Harm  et  F.  Dibitrìana,  dotent  leiir  Égli» 
de  noayelles  éditions  de  chants  sacrée  aprèe  aroir  adapté  aa  tote 
slave  les  mélodies  et  la  notation  dee  Orecs  moderneB  (1). 

Je  n'ai  pas  à  entreprendre  ìci  V  examen  crìtiqne  de  cee  dÌTenes 
adaptations  mueicales  ;  mon  but  est  plus  special  et  se  nstreiflt  à 
rétude  des  mélodies  ordinaires  de  la  liturgie  dite  de  8^  Jean  ClirT* 
sostome.  Beaaconp  de  ces  chants  n'ont  été  oonserrés  que  par  la  sanie 
tradition  orale  ;  il  devient  opportan  de  les  publier  sana  retard. 

Monsienr  Manassi  Pope  Thodoro  l'a  fort  bien  compris,  mais  9od 
trayail  manqne  d'exactitude  (2);  il  m'a  dono  para  bon  de  le  zepreDdi» 
en  son8-<»avre  en  me  fondant  sur  la  haute  expérience  da  B.  P.  Chris- 
tophe Portalier. 

Les  chants  exécntés  pendant  la  célébration  de  la  liturgie  gneque 
de  S*  Jean  Ghrysostome  penvent  se  diyiser  en  denx  cat^ries.  U 
première  comprend  les  mélodies  traditionnelles  plas  spécialemeot  dé- 
signées  sous  le  nom  générique  de  XetToupriKà  é  litnrgiques,  tela  Ie3 
trois  refraiDS  qni  accompagnent  les  antiennee  da  commeneement  de  la 
messe:  xax^  npeapeiat^  rf)^  Gcotókou,  chez  les  Slaves  MoxHTsaKH 
Eoropo;i[in^,  £ai<Tov  fmfi^  u\è  deoO  ss  cnacs  hh  cirae  Eostt,  le  Mo- 

VOT€vf|^  Uló^  =  EAHHOpOOTHft   CHHC,  V  ElcTOblKÓV  saa:  UXO^by  1«  ^pi' 

a&xxo^  :==  TpHoparofte,  VàlleMa  de  TÉpttre  et  de  TÉvangile,  le 
Ttatépa  utóv  =  OTi^a  n  cHBa,  le  Z€  d^voO^ev  :=  Tene  iioeia>y  1^ 
versets  EI^  "Ario^  el^  Kupio^  =  E^^hhb  cbhtb,  ElboMCv  tò  901;  = 
BEjHfìXOìi  CB'feT  'bCTHHHH;  TÒ  6vo^a  KupCou  =  Bjjpn  Snia  rocaojfi^' 
La  seconde  catégorie  renferme  le  x^poupiKÓv  s=HiRe  xepjBHicHf 
le  KoivwviKóv  =  npiraacTHH  et  V  "AEiov  ècrriv  =  ^ocroftHO  ccrb 


(1)  Jean  Seltibttss  pnblia  à  Ini  lenl,  la  pina  grande  partie  des  wtmg»  de 
chants  liturgiqaea:  Une  AtUhologié  (Imprìmerie  Tadóe  Daritchian,  Constanti- 
nople,  1857);  Un  Doxastarùm  (Impr.  Nat,  Constantinople,  1864);  an  Stìch^- 
rarion  (Typogr.  do  journal  La  Maeédoine,  Constantinople,  1868);  nn  MimAm 
(Typ.  da  jonrnal  La  Macédome,  Congtanttnople,  1869).  —  Jbaii  Harm  édiu 
Les  offUses  €ha$Ué$  de  la  Semaine  SainU  (Impr.  da  joaraal  La  Macédome,  1869> 
—  T.  DiBiTRiAHA  pnblia  an  AnasUmmatarion  (Congtantinople,  1872).  ->  h» 
oarragea  de  chant  litorgiqne  pabliés  de  noe  joan  dans  la  Balgarie,  le  sont  g^ 
néralement  en  notation  earopéenne. 

(2)  BosecTBeHHéa  JlaTypria,  IIxobxhb^»  1897.  Le  méme  anteur  a  égaleneot 
pablié  en  notation  earopéenne  an  Stichèrarian  (Moscon,  1898). 


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LBS  CHA1IT8  DB  LA  LITURaiB  DM  8T.  JBAN  GHaTSOSTOMB  767 

remplacé  aux  fStes  de  N.  Seignenr  et  de  la  S^  Yierge  par  Vhirmus 
de  la  nenvième  ode  des  laudes,  et  aux  messes  de  S^  Basile  par 
VhirfMiS  'Eni  ao\  x«tp€i  KcxapiTuiM^vii  =  0  tcb*  pa^^yerca  (1). 

Ces  mélodìes  appartenant  à  un  genre  particulier  dit  papaéUque^ 
ont  de  ce  chef,  un  caractère  moins  traditionnel  que  les  précédentee; 
le  premier  chantre  vena  se  fieiit  un  jeu  de  les  modifier  à  son  gre, 
le  plus  souvent,  dans  le  seul  bat  d'afficher  ses  propres  talenta  de 
compositeur. 

A  la  Térité,  ce  ne  fut  pas  trop  le  cas  chez  les  Bulgares,  mais  par 
contre,  à  Svéti  Eral  de  Sofia,  à  Svéta  Bogoroditza  de  Philippopoli, 
«t  dans  nombre  d'^lises  de  la  Principauté,  on  goùte  fort,  depuis 
peu,  les  messes  harmonisées  par  les  musiciens  de  Pétersbourg  et  de 
Moscou  ! 

De  tous  les  chants  liturgiques  bulgares,  ceux  de  la  première  ca- 
tégorie attestent  le  mieux  leur  origine;  l'analogie  aree  les  airs  grecs 
est  méme  sur  le  point  d'étre  parfaite  en  plus  d'un  cas:  dans  Bh^c 
noìsiieB^Tb  HCTHHHH  et  Ey;i;H  ftida  rocno;i;He  par  exemple. 

Le  mode  généralement  employé  dans  ces  chants  liturgiques  est 
celui  du  2^'^éeho3  considéré  par  les  fiyzantins  comme  le  plus  noble 
et  le  plus  harmonieux. 

Ce  mode  ayant  une  nature  tonte  speciale,  il  ne  sera  pas  inutile 
de  donner  ici  quelques  renseignements  à  son  sujet. 

L'échelle  normale  du  2^"^*  échos  comprend  la  quinte  mi-si:  au 
delà  de  la  sixte,  on  retombe  dans  le  second  mode  piagai  ;  en  ce  cas, 
le  mi  supérieur  est  bémolisé. 

Finale 
▲mbitiM  I  ordinairo 


Gomparés  avec  ceux  de  notre  gamme  tempérée,  les  intervalles  de 

cette  échelle  présentent  de  curieuses  particularités:  l'intervalle  sohla 

est  sensiblement  de  3/4  de  ton  et  le  degré  suivant  la-$i,  de  5/4  de  ton. 

Par  un  phénomène  assez  naturai,  ces  différences  d'intervallo  im- 


(1)  Je  passe  soas  silence  les  rumxd  et  les  MaxapiaToC  bien  qae  la  melodie  en 
soit  fort  belle;  les  Balgares  comme  les  Grecs  ne  les  chantent  plas  qa*à  de  rares 
exoeptions. 


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708  MIMORII 

posées  par  la  hi  éPattraction  mélodique,  et  parfaitement  sensibles  à 
roreille  lorsqu'on  entend  un  Bolo,  voire  un  duo  de  chantres  exercés, 
disparaissent  on  se  modifient  profondément  dès  qa*il  s'agit  d'une  exé- 
cution  en  choBur;  et  cela,  tout  ausai  bìen  chez  les  Qrecs  que  chez 
les  Bulgares. 

Ces  particnlarìtés  d'intervalle  disparaìssent-elles,  on  passe  alors 
dans  le  ton  légétùs  (X^tctoOi  autre  échelle  commune  au  deuxième 
échos  et  proche  parente  du  dorìen  antique: 

J 


% 


«       ^       "^ 


La  modification  de  ces  mSmes  intervalles  s'accomplit  de  trois  ma- 
nières:  en  premier  Ueu,  le  la  est  simplement  bémolisé,  on  obtient 
de  la  sorte  l'echelle 


FÌB»le 


^ 


dont  le  chant  des  réptms  et  colui  de  VaUduia  oflfrent  des  exemples. 

Dans  le  second  cas,  plus  particulier  aux  Bulgares,  le  /a  est  sur- 
élevé  d*un  demi  ton.  Le  2a  et  le  mi  supérieur  redeviennent  naturels; 
on  retombe  ainsi  dans  le  sol  majeur  de  la  musique  européenne. 

Toutefois  le  passage  en  sol  majeur  reste  assez  souyent  indécis,  in- 
completa ce  qui  donne  naissance  à  une  gamme  hybride  dans  laquelle 
le  fa  est  naturel  ou  dièze^  le  la  naturel  ou  hémol^  suiyant  rattraction 
mélodique.  Je  signalerai,  à  ce  sujet,  les  airs  MojiHTBaHn  £oropo;(Hmi, 
cnacHHH  CHHe  BoadS  et  cbath  Bose  empreints  tous  trois,  du  plus 
pénétrant  caractère  d'humble  et  instante  invocatìon,  le  csflTBy  me- 
lodie sublime  de  respect  et  d'adoration,  le  XBaxHTe  rocno«]i(a,  cbant 
de  la  plus  religleuse  suavité,  vérìtable  modèle  du  genre  jpapo^ué. 

Dans  tous  ces  chants  liturgiques  le  rhythme  est  simple  comme  la 
trame  mélodique;  la  mesure  à  deux  temps  est  la  seule  usitée:  le 
rhythme  égal  convient  d'ailleurs  essentiellement  à  la  musique  sacrée 
par  sa  simplicité,  sa  noblesse  et  sa  majesté. 


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L18  CHAMT8  DB  LÀ  UTURGIS  DB  8T.  JBÀN  GHRTSOSTOMS 


769 


Ces  mélodies  traditionnelles  ont,  dans  leur  ensemblef  un  je  ne  saia 
quei  d'archalque,  de  naif,  d'étrange  parfois,  qui  en  fiait  le  charme 
et  la  poesie.  A  part  Thymne  des  chérubins  et  la  Cammtmùm  où  les 
neames  et  les  vocalises  peuyent  se  donner  libre  cours,  la  musique 
en  est  porement  syllabique;  elle  étreint  les  paroles  et  en  fait  jaillir 
les  fonnes  et  les  formules  qui  doivent  servir  à  traduire  le  texte. 

n  semble  à  première  vue  que  cette  sujétion  verbale  doive  porter 
atteinte  à  l'éclat  mélodique:  en  réalité,  elle  demenre,  ao  point  de 
vue  esthétique,  la  source  naturelle  et  feconde  de  la  véritable  expression. 

Quel  art  que  colui  de  concentrer  un  sentiment,  une  émotion,  Fin- 
fini  des  mystères  religioni  dans  les  courbes  gracieusos  d'une  simple 
phraso  musicale! 

On  se  demanderà  sans  doute  s'il  ne  sendt  pas  mieux  d'harmonisor 
cette  messe.  —  En  principe,  la  polyphonie  est  contraire  aux  tonalités 
bysantines.  Harmonisée,  la  liturgie  bulgare  perdrait,  à  n'en  pas  douter, 
le  charme  qu'elle  doit  à  son  naturel  et  à  sa  simplicité;  mais,  con- 
servant  tonte  sa  religiosité  elle  acquerrait  aussi,  par  là,  un  caractère 
de  haute  noblesse  qui  la  rendrait  digne  de  supporter  la  comparaison 
avec  les  liturgies  russes  les  plus  justement  célèbres. 

P.  J.  Thibaut. 


Chants  Bulgares 
de  la  Liturgie  de  St.  Jean  ChryBOstome. 


Bépons. 


Im  Prt«n 


L«  ChoBor  L«  Prttie 


^^.  n  jn  hJ  j:Hj  imj  i  j  ii  j  ft^-u^^-H^ 


H  BO        Bi  KHBi    KOB-b  A      XHHB      ToCHOXynO       ME  JOyft 


UCkOTT 


L«  Prttra 


I  nnuJi jhnj  j  ji  J  J'-JM-iJ:3>4^ 


roe  ao  XHno   mh  xyt 


^HnpHOHO   ;(ib  By  Mft  -  pn 


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L«  Choar 


LtFrttra 


I  J  j  J  J  j  J  I -JF3nJ>^+afiHH  J^  J^  1 1^  J  j  JIJl 


npi&CBflTafl        BopoxBi;  e  cna    ch  nacB    XpHCxy   Bory  npexaxH-ifB 

Le  ChoBnr 


Te-Bt    roc-no  -  xh 


Jiirfirofi  f/rmaiùt: 


1^*  Antienne. 


ili  ^\  J  J -U4U-JXLJ  J  I  JJLIdjl  Ji^l 


Mo    joiTBa     XHBo-ro-po    -    ah    micna    -    ce     enace 


-n\np\j^  jaj!:^.,  m  ;^i  jj  i  jj  i^ 


Ha    -     cb 


Mo    ju  TBa    mi  Bo  •  ro  pò 


"1»  J  I  r  i  I  <p  I  j  J  I  j  n  I  I  ;>  I  1 JJ  I  j 


AH     ipi         ona  -  ce  cna    ch 


Ha 


CB. 


2^^  AfUimne. 


Modiraio  uprutito. 


>  > 


>  > 


^.^y  J^iririrr  l'^i^i  ^i^J '^^ 


Cna    OH  -  HBi     CHHC      Bo  -  sft    Bocxpe    chI 


•<  >■ 


iO  j  I J I  jJi  J^j^rr  I  ^'-^  '  fr^J  '  "^^ 


HB!»         MOpTBHXB  HO  lOH^H  HTH  :  AJ   JDI     -    XJ  •  i  a 


I     J^    J  :      J    J         J^^  ^    J^  j  YarioHk  pour  Im  joun  i$  ìa  nmeàm, 
AH      •       BHHB     CHOft 


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LBS  CHANTS  DB  LA  LITURGIB  01  8T.  JEAN  GHRTSOSTOMB 


771 


3**^  Antienne. 


J8<eitoftfo. 


^ 


CjasaO  T  i^sy  h  Chh7  é  CsflTOHy  XTzy  h  hhhì  h  npH  cho  h  bo  b^kh  bIì- 


I  j./iinrn;r'j;'^rf  "^  ^"'■■■fe^ 


KOBB  AMKHB      £  XK  HO   pOAHHtt    CH  HO,  H   GJIOBO  BOSKHftBeS&lf  epTOBbCHtlI  HB- 


I  j. m  j  n  J  J^l  ;'^gr;  j?  j?  ;iJ>j ;  j^  j»^ 


BO  jm  BHtt  cna-ce-HH  a  Hame  ro  pa 


;(H,     BOn  JO   TBTM-CX  OTB   CBfl- 


^  ;  j  j^.  i'  ;  jT3  J  ;>]»}?  n  J^i'^^ 


TH    fl      BO-ro  poxH   UH    impHCHO-A^  -  BH  MapiH,    HenpeJOXHOBO  flO  JIO 


^^-g:^J'n  ji^-^tH  J'^JJ'jinj 


B'fe  AB  BE  cfl,  pac  nHHCHxe   zpioTe  BO  se    OMO pTi  IO  cMopTB nonpa 


I  j.y;^/jJi.;'  j  JT]  j  j  J  J  j  ji'j'jj^i^^'^^ 


BHft  exKHB  CHft  OBXTHfl  TpoHioi  cnpocjia  BJUOMHft    0  Hj  H  CBflTOMy  XY  zj  cna 
Rattmitmdo. 


CK 


HacB 


Petò«  Entrée. 


\Sj,: i  j K I  j,j  I  .Tij^  j  I  ^J 1 7yxuj=ìU^ 


npiH  •   XB  * 


Te      no  Kio    HHH    •    cfl     H      npH  na  •  j^eiih 


I  jjj^n  i7^7-u4uo  I  r  I  H  «' 


(<m  r^*  ìa 
ì,Ì9n$  Anlimm), 


KO  xpHCTy 


ona    CH      HH  etc. 


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772 


TVisaffion. 


Modtralo'DoÌe$, 


^:  ì   ^  TjtJ'  U   I  tjN  J   I    J  ^I^J'  I  J   I^J^U4^ 


CBfl-THft         BO 


MG      CBfl-THft       Kpta  -  ni 

TNitftfe. 


MjP  I J  j::?  I  j  ;^i^  I  j  I JJ  J^j-j)JO'-hj;K 


CBfl    •    THftBeS    -    CMepT     -      HHft     HO    -    m      -     jiy-ft     Hacb 


>  > 


>  >  > 


^:  n  J  I  J  J  M  J  I  ij  I  ^^  I  J J  I  J  H  J  J 


Cja  -  Ba  OTiiy    h        ce  ny      h  cba   to  My     mj     -    xy>  ■ 


^^^U-J^^  I  JJllLJ  I  ij  I  ^^ 


HH  Hib  H      npH  eoo  H  BH    Blb  KH    Bib  KOBB  A      - 


<  iP  I  j  oaajyryi  a  Q  i- j?  jJ  j  i  j 


CBa   -  THftBea    •    CMopT         HHft     no    •    MH     -     jyft      na  •  c& 


Le  Dlaert. 


n  U  IM  ^j^J  I  ìTU=^=^ (" **-)• 

CH  JIOMb  !  CBflTBH  BOSe  -  CtC, 


Alleluia. 


Moderalo. 
0       «     ^ 

> 

> 

> 

,     r-a  *n 

*4=i=t 

^^ 

^:^=^^ 

=^- 

=P^ 

-7^'^ 

b=M^ 

^  /- 

AxiH  -  jy-I  -  a 


ajiH  -  jiy      -    I 


ai-jiH  -  ay  -  ì'    -    a 


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LE8  GHANTS  DB  LÀ  LITURGIB  DI  8T.  JEAN  C^RTSOSTOMB  773 


Bipons  de  VÉvangih, 


Ijò  Pr6tr« 


Lt  ChoBor 


I^J  Jj:;^!  ÌJ^ÙW  yj  I  J.jg  I^J^U  H 


Mhp& 


BCtaB  H  XyXOBH        TBO  6         HJ 


Aprèg  fÉmfugik, 


j  j-pNJ^.f^i  krrrrrT\ 


cjia  Ba  Te  bì    roc  no  xh    eia   -    Ba  Te  -  bì. 


Répons  de  la  Grande  Ekténie. 


Albgr$Uo 


\§:i  j.  1  j-n  i/ii  j  j  I  j.  3  j  j  I  iJ  ;::]  I 


Poe  no  jk^  no    •    hh  jy  tt  roc  no  in  no    -    mh  jiyft 


Moderato, 


I  IJ.  3  J 


Jl  J(  J  I    j  J-  ^^ 


^^ 


jioc  no  ;(H  no     'un  -      jiy 


no      XAft  Toc  no      AH 


l^,>"!l  ,i,nl  iJlJ-tTrJrl  JJ'I  j.Jlrirg»l 


Toc  no    XH  no  -  un        ayfl,  Toc  no    ah  no    uh      jiytt, 


rjTTjm 


Toc  no    AH  no    me    •    Jiyft. 


Hymne  dea  Chérubins. 


Àiagio, 


>  >  >  >  > 


\^Mè  u  ij-hH-jJ  iT^n  rr  I  ^'1 


n  -  xe    ze      py      bh 


MB,  xe      -    py 


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774 


MKMOROB 


-j.  >  n  l 'j. 


U  i  ^  \h  )rj,\f  Ef^^ 


MS.  ze  py      -     BH      MH  Taft 


>  <     » 


I  iggj-U^J^i  ^jrTJ^;>^"^"iri  ^^'^-^ 


0     -    Bpa    8y     H)        lue  xaft     ho  o    Bpa      ay  -  io  ote 


/rs       >         >        >         >         > 


i^  j  jjI7T]j7Tj  IJ  I  j  ij  ij  I  jJ 


Taft     -     HO  0         Bpa     sy      io  -  lue     h 


BOT  -  BO  -  pa 


r  g  I  rri^^  «D  '  ^'Al^  i-J^-  h  j  cj*  i  r  ^ 


n^eft  Tpo 


H        i(ib  Tpo 


iiJ-n  jj' jjj'i'xJìJ'iu 


^^1 


^*  TpHCBfl      -      Ty  H) 


ni&  CHB  npani^      sa  -    io  -  n^e, 


j  j  I  j  r  I J^  J^  A,{!  I  ri  ^-J^^^ 


TpHCBfl    Ty    K)  n^  CHB  npH  ni&    Ba      io  -  i^e         tph  cba        Ty  io 


u^_)^  \  yi>i^\j\j\j  i^rrj  J  I  r  Un 


UT,   CHB  npHHi   Ba  -  K)  W^t.       BCfl  -  KO  -  e     HH        H%     Hfl 


Lai  Lh^ì'i^ 


y^rr  p  I  }r^4m 


n^  XH    -    Tctt  e  •  KO  -  e  hhh^    xh     Toft  CKO  -  e  ot  • 


M-  ?  I J. j  I  j^.j^y-J.j»  iTtTrr^^ 


;io  XHMB        no  ne  -  flc         hì  -  e  ot       io  xhm  no   ne       flo 


> 

> 

-Vi 

> 

^ 

>           > 

rr                mi, 

> 

— i 5~ 

1 

^- 

l^v  J 1 

hM 

ij:^ 

kR 

it 

^ 

=^ 

1^ 

•*-dii  jl^ 

-Jf^ 

-j 

OT  -       jio  XHM    no  ne       ao  -  hh  -  e.        H    -    ho  xa    i^ 


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U»  CHANTS  DI  LA  UTUEOIB  DI  8T.  JEAN  CHaTSOSTOMB  775 


I  h\a'h\  ^^hTìjìi^  \}^f\U\  s:}Z 


pS  BCi  -  XB 


no 


AH        -        Me 


bJr+^.nJ:3lTPlf'J'lJ.Hj.t.clf^ 


MB.  Ah  -  reacKHMH  ho     -     bìl  j^in  -  mo  jko  pH  ho      ch  Ma 


I  jj  I  flO>ui  '  jL^i  r  riT  '  ^-^'^1  f  r 


tei 


9HB 


MH.         Aji  n     jiy   ta  Aji  ih     xy  ta 


>  /TS 


\-fr  K  f!^^  I  r^^^^^ 


Aji  XH     17       -        I      •  .    a. 


^f^n^  ^  Symbóle, 


MoéUraU),  P. 


>  >  >  >  » 


fli  m  >  n:TT-j;^.L+4.- 1 1  J.J  I  f  ^ 


Ot     Ita  h      ch    -     Ha  h  cba    xa-ro 


I  ryi^i/H-jHH'  rirrirfif^^^ 


Jiy 


za  TpoH        117   e        BAH  HO    oyiu      •      Hy  io 


jfLJi  j.  .niJu^ 


m  He  pa     a"^ 


Hy  -  K). 


Préface, 


Moderato. 


Mhjootbmh     -     pa,  KepTBy    xBa    -    ae  hI     -     a 


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T76 


MXMoan 


>         > 


I  ijgjiJ  jiJiiHJji.'  n^^ 


H  00    A7  ZOMb  TBO   -  ÈMh        M  -  MA   -    MH  KO    FOC  -HO  -  X7* 


r       >      > 


i'^(ii''iff  iI.Jri^^irMJ.iiJ.jiJJi 


xoc  Tott     HO  ■       npa  boaho    eoTB,     no  ejul  ektwl  -  cs  ot 


j  T  J"|  'i  i\li\}lj\'flj\h  h^ 


uj      H        OMHy       H     CB«-Toiiy  XY     '      ^      Tpom    -    lite 


RttOtiUtttdó» 


'  XH-HO    cym   •    hM        h    nepas  •  a^  -  h^. 


TrisagUm. 


Adagi», 


CBflTB,   CBXT&,   CBflTB  TOCnO  A&      Ca  Ba       0TB  HCnOlBHl 


'-^^^^^^Ir  I  n  h^^TH^S 


HO 


BO        H  SOM      JSL 


CJiaBH        TBO        -  06  -  E, 


leMliraiMio. 


J^lT'^lJJTÌ^^ 


0  -  oaH       •    Ha  BO     BEm         bhxb         bjui      roo  jio    bohb  rpf 


JtcSmAni^  p9C9  a  ftM. 


:^>^     "il  I       --*  ^^       i     ' 


;(hhbo     m    -       xh  roc    nox    -    ho  o  -  oaH 


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UB  CHANTS  DE  LÀ  UTUROUB  DI  8T.  JBAN  GHRT806T0M1  777 


>  >         ^ 


Ha,      BO        BHm        ...        HKXB.  A  • 


I J.  .1 J I J  J  i  I  i  ^s 


w4prè«  2a  ConsécraHon. 


>       >       > 


Te  •  Be     noe    Hb  xe  -  se  bjui   roc  xo  bmmb, 


i^f.irrirr^mfiiric^'fi^ 


Te      Be  Bia    ro  A^pn^  roc         no         xh 


i.iji  jLj'jii-Ji  jJn(!r:f  I  jJirfTfr  i 


xo      •    JOITHCX      Bo    •    xe  naniB,    n    h o    •  jrax  -  te     ex  bo      -    xe 


iriir^iMflTri  iji.HJ'i.ii 


HaMB,        H         -       MO,      IH  H         •  TX  Cfl       Bo  -  SO   HaMB. 


Tropaire  à  la  SairUe  Vierge, 


Mt$ikMto.       Alltgrù  groMioto, 


>  >  > 


»  M  /,!  Xj  J[J  I  Jj  I  iJ  I  J..H  J 


Aoo    Toft  -  HO    ecTB  ia  xo  bo       ho  th    xny        Bxa  sh 


TX  TX       bo  ro  -  pò  AH        i^         npx  oho   Bxa  xe    hhj  io  x 


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T78 


BOMORII 


>        A  > 


NJJI  j_J  I  J  JJJ^i^J  I  ^-J  I  JJI  [IJIJ 


npe  He        no  poii    ny  io  h     uà  Tepb  bo  ra    ha  me    ro 


>         > 


>J  IJ I  J-"^^TffJ  u  I  J-J|P  I  jJ  I  ff'^  I  JJi 


qec  hM  my  -  io  ze       -      py        bh  BWb         h       cjas   -     Hltiny 


>        >  >  > 

^^^ip  I    ^M^     Il    il    I  ,J  I  a"^***^^  Il    il    f-—    t  ^    1 

Uj\jJ  ^  m  I  ^^  I  LT  "^  I  ^  I  i^J  1^ 


10 


BOdBcpaBHe  hh  -   a  ee        -       pa        <|ìm% 


I  u  I  n  I  -^n^-  y  I  ^-J I  iJ  I  jJ-i-^j  I 


BeSBHCT     Jrt    -  HY 


BO    -        ra  CIÒ 


I  QJlJ  jNTTJil  |il  J.fSJlj^^ 


po;^      -      my  IO  cy      my         »     -     bo 


ro        pò 


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jj  ?  I J I  j  I  }^l4JJ]P  I  ri  r^*^  1^ 


AQity  Tfl      Be      jm  ?a     -     e 


MB. 


Avant  la  Communion  du  Prétre. 


Modtraio, 

> 

•^ 

»T        -        , 

fe  i" 

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E  ;(H   HB        CBflTB,  C      -     XBMh   TOC  nOA%)  li 


>  > 


^'^p  I  r  I  r"r  I  f^^n  \r^\  rm 


cycB  zpH  CTOCB    BOCJia      Ba  ly     ra  ot      i^a.       Axhhb. 


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LBS  CHANTS  DB  LA  LITUROIB  DB  ST.  JBAN  GHRTSOSTOMB  779 


Communion, 


AjfltUmoio.  P.  P. 


Xba  -  jm  Te     rocno 


^ti  CBHe 


Becb 


rrn~trn7^=^=fU^rn^r^^=^^^ 


xBa  jui    Te  ro 


BHm    -    HHlt,  "Bxsa     jm  Te      ro  • 


9'  f  f  r     J  J  J  ^^y   / I  I  J  ^  I  S^ 


BCH  aH 


jni     -    e 


ro    zsa 


^  ^^-j  I  I.  |^'J..x_#J_LL|HFi-i^^fcj^^ 


ro  BCfl  CH  - 


Più  VtfO. 


i  r7  I  r  f 77 r  |-j-g-t-rt~^rl  r  cj  I  ri 


ro  Te  -  fienoso   -   sa 


CTb    ne  ceHB    bo 


>        >        > 


j IJ  I  J  J  I  ^ 


>        > 


ry       aji  IH        ij 


H    -    a,     ax 


JH    -  ay 


"^'j  ^  jn  1  i^  1 1^  I  (^1  ^  r  r  #^  bi'^  1 1.  j  I J  T"^ 


H   -    a      aji  •  JH 


Jiy 


mT^  l 'r-li'  i^=g=H 


H        -       a         -         - 
BMita  nnuicalt  itaUana,  Vili. 


51 


Digitized  by  CjOOQ IC 


780 


MXMOBn 


Après  la  Cammunian  des  FidUes  (Verset). 


AUtgr^. 


Bv  x^z  OHB  cbìtb  hc    tkh  Htt  M  npls        xoMB  XT^A     He  Bee 


I  j  j  I  jjg  I  j-3+rr  I  -^-^  1  rr  '  ■>  -^-ua 


0  Bpi      TOXOM&        Bipy        HC       -       THHHJ    -    » 


AdO. 


UJI  J  JIlJN  -^  J|JJI  J.J'I^^ 


He  p08     X^XH^ft     CBH  Tl^H      TpOHI^e  HO  KJia        HH-eK%    CH  TA-BO 


HacB  ona  oxa         ecTB 


Paatcommumon. 


Qrcmhto 


lì  }\iJ\  L-n  I  r~g  I  r  p  I  ffT^ 


±IC 


fljti  wt  •  noiHx      TCH  ycra 


-    ma      zBaie    hhS 


>        >  >       >        > 


^-o  I  r~[!  I  r  I J.-'^  IJ I  ^J I  x.y  I  r^r  I  r^y^ 


TBO  ero    •    roeao      xh      bhxo       aa      no     eie  cxa  sy    tbo 


>       >       > 


f-y  I  j  j  I  ui^ix  I  fM  ri  J^^i  ri  ^'-^  ^^ 


x>  ia  so       enoAo  -  BHJu^eH       Hae&  epaviac  th  •  th    -     ei 


ff  iciffr  rrrr  nnr-^-UJ-^m 


OBH     -      THMB  TBO  HMB     BOSeOT  -  BOH 


BOB        cucepT  ' 


Digitized  by  CjOOQ IC 


LBS  GHANTS  DB  LA  LITURaiB  DI  ST.  JEAN  CHRTSOSTOMB  781 

Più  fiv0. 


>  > 


>  > 


I  r  I J»  n  j  j  I  l'M-  r  i  rr  i  r  i  x  r  i  ^ 


n    XH  BOT  BO  -   ps   -   nqiXB      Taft    rslut»       cobjdd 


>        > 


I  J^'Jirir^irt  inrr  iririr:f  r  M-J 


XK  me    HftCB    BOTBoett     OBs  -  TX  -  HH  BOH  -  ^HH    no  -  7    -    qa  TH 


>  >  >  > 


5=R'fiNf  f  irlNf^n^-ti^^ 


ea  npaBXi^       tbo 


ett.    Aji  jm  xy      ta,    Aa  ju  xy      la 


UMT;;  ir-f  ip 


A^  jn     xy  t 


Avant  le  Benvoi  des  Fidèles. 


ÀUtgr^, 


\ì,i f.\n  juu-j  jiT,i,j;.iJ.j 


By  -  xn    KM2  -  roc     no^He  sxa  roc  xo     Be  -  ho 


M  y  j  I  J  J' J'  I  j  r]  I  j  ;i  tT-;,  I  n  J'  J^ 


OTB  HH    Hib  X  AO  Bib  Ka 


a        ByxH   MS  roc 


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I  Jn  >JJ  N  I 


sa 


Digitized  by  CjOOQ IC 


782 


MKMORIS 


Hirmus  prapre  à  ta  Liturgie  de  St.  Basile. 


ÀndanU. 


^:^JI   <JI   JLJ   llJ.J   I   J    J   I   l^J   1^ 


e 


O       Te  •  se    pa   X7  -  ot  ca       BJia  ro  -  ^ar    -    he  -  s 


I  J  J  j  J I  Jj  I  1.  n  J  J  I  j_jTTT"jTU1 


Ka  fl    TsapL,   aHrejCKHtt  co    sopL  h  -  ve  -  io- 


>  > 


«^  J  I  JLJ  M  J  I  ^-^  I  i  J  I  J  -J  J  U   I  li 


Bib-qea  KHftcox'B  oc  -  Bfl  nteHHKft  xpa    ne  h  -  pa      x)        ciò 


>        > 


-iìUÌ^-' 


Beo        ...         HOft        XeBCTBOH  Hall  nOXBa        JO         UBI     He-£ 


J.  j  I  j  j  I J  I  r?  j  rm  "^  J  I  i  j  I  lì 


Xe   BOFL   BOnXO      TH 


Cfl      n    MJia    xeneiiB  bhctl  npe  m^est 


^  I  J  J  H==^  J  I  J  j  4-.^4^^ 


lise 


RLCldt 


BOrB 


Ham-B  jo  sec   na 


j  I  J-gj  I J  N  J I  fM  cZr  I  ^-^  ilS^ 


fl  npecTOJB        coT     b       pò 


P" 


FTlJlJ  J|  J-ff1  Jl  J^g>li^^^ 


n      qpe 


BO   TBO     e  cTpaHHe       -e        ne    - 


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LBS  CHÀNT8  DE  LA  UTUROIl  DI  8T.  JEAN  CHRTSOSTOMB  783 


>  > 


Beob 


co 


jia      0   Te- 


ii^iJiiji^^jLj^u^f  irr irr Ir  r 


B*  pa  MJ 


ex       ofl    Bla     ro    x^th  a     -     a  boa 


I  f  r  I  cy  p^g=rr~n"gBTP  '  ^  '  '^^-  ■^'  '  -J  ' 


sa  fl        Tsa  -  pB 


eia    •    sa  Te    b^ 


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n  "IIJÌ8erere„  in  nji  niinore 
di  Jacopo  Toniadini. 


«e 


Eel  fase.  4%  voi.  VI  (1889)  di  questa  Rivista,  ho  dedicato  un 
breve  stadio  al  celebre  musicista  cividalese,  tessendoDe  a  larghi  tratti 
la  biografia  e  trattenendomi  specialmente  sul  suo  Oratorio  <  La  Si- 
surremane  del  Cristo  >.  Quest'opera,  una  delle  poche  del  maestro  che 
abbian  veduta  la  luce  per  le  stampe,  fu  giudicata  ricca  di  bellezze 
artistiche  e  potè  essere  apprezzata  in  grazia  delle  esecuzioni  accura- 
tissime che  ebbe  a  Firenze  e  a  Cividale  in  circostanze  assai  favore- 
voli. Ma  non  si  può,  dall'esame  di  essa  soltanto,  fieirci  un  concetto 
completamente  giusto  del  merito  del  Tomadini.  La  <  Risurrezione  >, 
come  fu  scritto,  risale  al  1864  e  si  può  dire  un  lavoro  relativa- 
mente giovanile.  Da  queiranno  in  poi,  fino  alFultimo  istante  della 
sua  vita,  il  Nostro  non  cessò  mai  dal  comporre,  e  le  opere  posteriori 
all'Oratorio  recano  una  non  dubbia  impronta  di  continuo  perfeziona- 
mento e  di  maggiore  elevatezza  d'inspirazione.  Sicché,  ad  illumioare 
meglio  l'artistica  figura  dell'illustre  abate,  pensai  di  sottoporre  ai 
lettori  una  fra  le  opere  de'  suoi  ultimi  anni,  un'altra  pietra  miliare 
importantissima  della  strada  da  lui  percorsa,  che  a  giudizio  dei  com- 
petenti e  a  mio  avviso,  manifesta  più  chiaramente  l'assiduo  e  saliente 
progresso  fatto  in  ordine  di  tempo  dal  compositore  nel  severo  campo 
della  musica  sacra. 

Il  Miserere  in  Mi  minore  che  m' accingo  a  prendere  in  esame  e 
a  cui  avevo  già  accennato  nel  mio  studio  precedente,  fu  scritto  ap- 
punto nel  1881,  due  anni  prima  che  il  Tomadini  venisse  a  morte, 
e  giace  fra  le  numerosissime  opere  inedite  del  maestro.  Fu  es^oito 


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IL  '  ICISERSRB  ,  IN  MI  MINORI  DI  JACOPO  TOBCADINl 


785 


poche  volte  e  sempre  a  Giyidale:  neiranno  stesso  in  cui  fu  composto; 
neirSS,  ai  21  di  febbraio,  in  occasione  del  trigesimo  dalla  morte 
del  Tomadini,  e  finalmente  neir85  e  neir89,  in  solennità  religiose 
speciali. 


11  lavoro  è  composto  per  dne  tenori  e  basso,  con  accompagnamento 
di  qaintetto  d'arco  d'organo  e  timpani.  Come  si  vede,  son  lasciati 
da  parte  i  legni  e  gli  ottoni  che  compaiono,  parcamente  adoperati, 
neirOratorio  <  La  Bisurrezione  >.  Questo  complesso  di  strumenti, 
archi  organo  e  timpani,  era  prediletto  dal  maestro  ;  se  neirOratorio 
egli  si  era  servito  quasi  dell' intera  orchestra,  lo  aveva  f&tto  perchè 
le  norme  del  concorso  cui  prendeva  parte  lo  esigevano;  ma,  quan- 
tunque sapesse  valersene  con  mano  sicura  e  con  magistrale  esperienza, 
gli  sembrava  che  i  legni  e  gli  ottoni  nuocessero  all'ideale  ch'egli  si 
era  formato  della  composizione  sacra;  non  fossero  cioè  in  armonia 
col  misticismo  religioso.  Qui  poi  si  tratta  di  vera  e  propria  musica 
da  chiesa,  e  tutti  sanno  che  v'ha  artisticamente  differenza  di  carat- 
tere fra  un  Oratorio  e  un  Miserere. 


La  composizione  che  verremo  esaminando  consta  di  dodici  tempi. 
Incomincia  con  un  Adagio  in  4/4;  l'organo  fa  udire  un  tema  calmo 
e  triste: 


Adagio. 


che  gli  archi,  entrando  l'un  dopo  l'altro,  contrappuntano  con  una 
frase  lamentevole  e  singhiozzante  : 


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786 


MBMORIB 


2.    Adagio, 


e  dopo  poche  battute  d'introduzione,  il  basso  attacca  il  motivo: 
3. 


Mi-M-*r6-ro  me-i 


cbe  nel  suo  spunto  ricorda  il  tema  fondamentale  liturgico  del  pre- 
ludio della  «  Risurreaione  »,  e  i  violini  primi  lo  contrappuntano 
mantenendo  il  disegno  melodico  iniziale,  mentre  poco  a  poco  entrano 
in  ìstile  fugato  tutte  le  voci  a  darne  lo  svolgimento  ;  gli  altri  stru- 
menti parte  armonizzano,  parte  si  prestano  a  rinforzo  del  canto. 
Questo  assume  un  ritmo  più  largo  alle  parole  :  «  Lava  me  ab  iniqm- 
tate  mea  »,  modulate  airunissono  dai  tenori  e  all'ottava  dal  basso: 

4. 


^^ 


La      -      TA  me 

accompagnate  da  un  leggerissimo  movimento  di  terzine  di  semicrome 
affidato  ai  primi  violini: 

5. 


e  sostenute  dal  canto  delle  viole: 
6. 


^ 


^ 


j.  ^-Ij  j  #SÌ3 


fincbè  alle  parole  :  «  Quoniahi  iniquitatem  meam  >  ritoma  il  disegno 
melodico  primitivo  dei  violini,  sopra  un  progressivo  crescendo  delle 


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IL   ^  MISBRERK  ,  IN  MI  MINORE  DI  JACOPO  TOMADINI 


787 


voci  che  da  ultimo  cadenzano  largamente  al  verso:  «  conira  me  est 
semper  >,  in  Mi  maggiore. 

Segue  YAd(igio  un  Andante  cantabile,  pure  in  4/4,  nella  tonalità 
di  Sol  magg.  Gli  archi  soli  brevemente  preludiano  : 

7.     Andante  cantabile. 


Quindi  è  affidata  al  basso,  sulle  parole:  «  Tibi  soli  peccavi  ì^^  la 
frase  seguente: 


^*v-rrjj^lTr"rrrr  irrf 


Ti 


bi        M 


accompagnata  da  semplici  armonie  degli  strumenti  a  corda.  La  frase 
va  acquistando  sempre  maggior  espressione,  finché  al  verso  «  Ut  justir 
ficeris  >  entrano  contrappuntandola  i  bassi,  e  mercè  un  ottimo  ef- 
fetto di  crescendo^  essa  assume  un  carattere  di  vera  grandiosità,  so- 
stenuta da  un  robusto  movimento  dei  primi  e  secondi  violini  alle 
parole  :  «  Et  vincas  >  : 
9. 


4—- — - 


ij 


;^ÈE 


m 


^ 


et  Tin 


m 


3 


^ 


-f^^f 


m 


cas  et  via 


-^^  "^  )f  ifT 


^ 


^ 


-^ 


cea    Cam     jn  -  di 


^& 


^^ 


^ 


rie     Cam       jn    -    di 


TTiiHii 


4iUUìJ-=^ 


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788 


MBMORIB 


E  qui  brevissimo  commento  degli  archi  inspirato  al  preludietto 
che  sta  in  capo  all'assolo  del  basso  ;  il  quale  fa  poi  ndire  un  nuofo 
tema  al  verso  :  «  Ecce  enim  in  tniquUatUms  conceptus  sum  >,  mo- 
dulato in  si  minare^. 


10. 


t>'yrr  ir^JrTM^rg  Irrori  rrrr  u 


Ec-oe       eaia      in     i    -    iii-qiii-ta*ti    -    bui  eon-ce-ptu 


I  ooa-ee-ptuft       ms 


mentre  il  violoncello  e  il  contrabasso  mantengono  il  pedale  insistente 
della  tonica  di  effetto  molto  cupo,  e  i  primi  e  i  secondi  violini  ese- 
guiscono un  movimento  dì  crome  di  caijittere  speciale  per  i  frequenti 
ritardi  che  sembrano  sospiri  angosciosi.  Alle  parole:  <Ecce  enim 
veriiatem  >  V Andante  cantabile  si  muta  in  Andante  mosso  conser- 
vando il  tempo  4/4,  e  il  basso  attacca  un  terzo  tema  in  Sol  magg. 


11.    Andante  mosso. 


7-I  rTr-p-ULg 


Ee*oe    e 


nim 


rinforzato  dai  primi  violini  e  armonizzato  e  contrappuntato  dagli  altri 
strumenti,  nel  quale  sono  di  bei  squarci,  sebbene  appaia  un  po'  troppo 
prolisso.  Al  conchiuder  della  frase,  gli  archi  ripetono  in  tempo  An- 
dante cantabile  il  commento  iniziale,  melodicamente  quasi  identico 
al  preludietto,  ma  con  novità  d'istrumentazione. 

E  si  passa  ad  un  Allegretto  in  3/4  e  in  Do  magg.  di  carattere 
haendeliano.  Le  voci  espongono  il  tema  armonizzandosi  sulle  parole: 
«  Asperges  me  hissopa  ». 


12.  Allegretto. 


^m 


r 


^^^ 


.LU= 


^ 


sper  -  gM 


^^ 


m 


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IL  *  BOSBRBBB  ,  IN  BH  MUCOBB  DI  JACOPO  TOBfADINI 


789 


Al  Terso  :  «  Lavahis  me  »,  il  secondo  tenore  ed  il  basso  escono  nel 
motivo  seguente: 

13. 


sZZi 


Tft    •   bis       me 


sostenuto  dai  violini,  mentre  alle  viole  è  affidato  un  movimento  di 
terzine  che  sembra  rispondere,  pel  concetto  musicale,  a  quello  dei 
primi  violini,  già  accennato,  sulle  parole  :  «  Lava  me  ai  iniquitatibas  > 
che  appare  nel  primo  tempo  e  sta  quasi  ad  esprimere  il  mormorio 
delle  acque. 

Lo  svolgimento  di  questo  motivo  conduce  ad  un  piccolo  fugato  al 
verso:  <  Et  super  nivem  dealbabor  »,  dove  la  frase  musicata  assume 
un'impronta  gioiosa,  e  di  qui  si  ritorna  al  disegno  melodico  ed  ar- 
monico del  principio  ielVAUegretio  sulle  parole  :  «  Audiiui  meo  ». 
11  motivo  del  <  Lavahis  m6  »  si  svolge  nuovamente  al  verso  :  <  Et 
extdiahunt  ossa  ^umiliata  »  in  cui  il  precedente  movimento  di  ter- 
zine successivamente  si  alterna  fra  i  diversi  strumenti,  finché  grada- 
tamente si  spegne  alla  fine  del  pezzo  nei  violoncelli,  e  serve  a  dare 
lo  spunto  al  brano  che  segue,  un  altro  Allegretto^  in  6/8  e  in  Ira 
minore. 

Oli  archi  accennano  il  tema  che  vien  quindi  ripreso  dal  primo 
tenore,  ed  il  secondo  tenore  e  il  basso  ne  danno  lo  svolgimento.  La 
melodia  ha  una  sentita  impronta  di  sconforto  e  risponde  logicamente 
al  concetto  delle  parole  che  riveste  :  <  Averte  fadem  tuam  »  : 

14. 


^rnrrnzLJ\rr 


Gli  strumenti  leggermente  la  contrappuntano  lasciando  spesso  sco- 
perte le  voci,  per  far  spiccare  con  maggior  potenza  il  doloroso  mi- 
sticismo del  versetto  religioso.  Cito  la  bella  frase  che  precede  la 
modulazione  in  La  magg.  sulle  parole:  «  Et  omnes  iniqmtates  meas 
dele  »,  di  sapore  gounodiano  : 


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790 


MEMORIE 


Lo  spunto  del  nuovo  motivo  in  La  tnagg.  è  affidato  al  primo  te- 
nore e  si  svolge  melodicamente  puro  e  sentito  sul  verso:  <  Cor  mundum 
crea  in  tne  >.  Il  violoncello  va  dolcemente  contrappuntando. 

16. 


Cor 


rr\  ft  M-rj^^ 


dam 


eor       ramn 


I  r^LLT  I  rTxurfTr  I  rpg 


a    in 


a    in        ine    .    . 


Le  altre  voci  quindi  ripigliano  la  frase  armonizzandosi  e  il  con- 
trappunto del  violoncello  passa  nell'organo;  poi,  procedendo,  il  vio- 
loncello e  Tergano  si  uniscono  seguendo  un  disegno  indipendente,  e 
qui  il  primo  tenore  rimane  spesso  abbandonato  dalle  altre  voci.  La 
frase  risolve  nuovamente  in  La  minore  e  sulle  parole  :  «  Ne  proidas 
me  >,  il  secondo  tenore  fa  udire  un  nuovo  spunto  melodico  meno 
interessante  del  precedente,  accompagnato  dai  pizzicati  degli  stru- 
menti a  corda: 


17. 


Ne  prò         -  •        i  -  ci* ai  bm 


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IL  *  MISERERB  ,  IN  MI  MINORE  01  JACOPO  TOMADINI 


791 


Questo  spunto  è  ripigliato  dal  primo  tenore  insieme  al  secondo,  e  lo 
svolgimento  di  esso  ci  guida  alla  fine  del  brano  attraverso  una  specie 
di  duetto  fra  le  due  voci,  mentre  il  basso  armonizza  con  un  notevole 
crescendo  al  verso:  <  Et  spiritum  sanctum  tuum  ne  auferas  amei^. 
Qui  V Allegretto  si  cambia  in  Andante  poco  mosso  e  il  6/8  in  4/4; 
la  tonalità  passa  in  Be  magg.  Il  tema,  affidato  al  secondo  tenore 
sulle  parole:  «  Redde  mihi  laetitiam  >,  è  il  seguente: 

18.    Andante  poco  mosso. 


jf^  j  J-^4:^Lr  ^  LT I  ^  ^  J  ^ 


Bed 


de 


mi 


Viene  contrappuntato  dai  primi  violini  ed  è  suscettibile  di  molta 
espressione  poiché  interpreta  adeguatamente  il  concetto  che  lo  informa 
e  non  manca  di  certa  ampiezza  d'ispirazione.  Svolto  in  parte,  passa 
al  primo  tenore  nella  tonalità  della  dominante,  e  ne  continuano 
quindi  lo  svolgimento  in  tempo  un  po'  meno  mosso^  i  due  tenori 
sulle  parole:  «  Et  spiritu  principali  confirma  m6  »  ;  e  qui  tutti  gli 
strumenti  a  corda  armonizzano,  sostenendo  e  contrappuntando  con 
un  movimento  ritmicamente  energico. 

Più  che  uno  sviluppo  del  motivo  iniziale,  questo  breve  squarcio  è 
una  specie  d'intermezzo,  cui  succede  nuovamente  Y Andante  mosso. 
Il  secondo  tenore  ripiglia  lo  spunto  già  accennato,  e  il  primo,  pro- 
cedendo per  imitazioni,  coopera  a  dame  un  nuovo  svolgimento  fino 
alla  chiusa. 

Una  lunga  corona  separa  questo  pezzo  dal  seguente:  un  Adagio 
in  si^  y  in  tempo  4/4.  I  due  tenori  all'unissono  e  il  basso  in  ottava 
cominciano  con  un  fortissimo  sul  verso  :  «  Libera  me  de  sangui- 
nibus  Deus  »  : 

19.  Adagio, 


r^r  r' r^'n  r 


Li-be  -  ra         me        li 


be-n         me 


Poi  vanno  concertandosi,  e  mentre  da  principio  le  voci  erano  soste- 
nute da  tutti  gli  strumenti  con  un  insieme  pieno  e  vibrato,  alle 


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7^2 


MSMORIB 


parole:  <  Dem  scUtUis  meae  »,  rimangono  scoperte.  Cadenzano  rallea* 
tando  il  movimento  e  gli  strumenti  ripercuotono  la  cadenza  per  poi 
attaccare  il  tempo  che  segue,  un  Allegretto  in  3/4,  in  ri  k 

Prima  i  due  tenori  e  sobito  dopo  il  basso  entrano  ad  es^rre  il 
nuOTO  motivo  sul  Terso  :  Et  extdtabit  Ung^a  mea  »|  che  pel  dis^o 
melodico  risponde  a  quello  ricordato  più  indietro  sulle  parole:  «  JS< 
extdtabunt  ossa  hwniliata  ».  Comincia  sotto  voce  e  gli  strumenti  ad 
arco  accompagnano  con  pizzicati: 

20.    Allegretto. 


^ 


^ 


^ 


^ 


^ 


u. 


^ 


.  éptlk^ 


m 


* 


Et  e-zol 


bit 


Il  concetto  musicale  pecca  qui  di  alquanta  volgarità,  ma  si  rialza 
un  poco  nello  svolgimento  della  frase  fatto  per  imitazioni,  al  verso: 
€ju$titiam  tuam  ».  S^ue  un  secondo  motivo  molto  più  eletto  sulle 
parole  :  «  Domine  labia  mea  aperies  >,  nel  quale  il  ritmo  si  allarga 
e  le  voci  rimangono  scoperte  alternativamente  con  successive  riprese 
di  brevi  fugati,  sostenuti  dal  quintetto  e  dall'organo. 


21. 


La-M- a    aio        -        a»  pt-zi- 


ItV^— 

^^ 

La    -bi-a    m«- 

•     a          a- 

>■  >'',  n  tir 



Jij-^ 

^ 

La-U- 


Dopo  questo  passo,  al  verso  :  «  et  ossa  mea  nunUàbimi  laudem 
tuam  »,  vien  ripigliato  il  motivo  iniziale  ieW Allegretto  con  novità 
e  maggiore  complesso  istrumentale,  e  prestatosi  ad  un  notevole  cre- 
scendo^ il  brano  risolve. 

Gli  succede  un  Adagio  devoto  in  Be  mm.  in  4/4.  Il  num^o  degli 
strumenti  ad  arco  è  aumentato  di  un  violino  solista,  che  sulla 


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IL  'MISIRIRB,  IN  MI  MINOaS  DI  JACOPO  TOMADINI 


793 


quarta  corda,  come  prescrìve  il  compositore,  eseguisce  una  parte 
indipendente,  contrappuntando  il  canto  affidato  al  basso  sulle  parole  : 
«  Qtwniam  si  voluisses  sacrificium  »,  mentre  il  quintetto  accompagna 
altroye  con  pizzicati,  altrove  con  lunghe  note  tenute.  Biproduco  il 
punto  più  interessante  del  passo,  che,  per  inspirazione  alta  e  severa, 
ritengo  uno  dei  migliori  di  questo  Miserere  : 


22.    Adagio  devolo. 


noMmo 


Batio 


^^ 


^ 


^^ 


Qbo     -     ni      -      ud 


b1  to 


lo 


-Jil  J  J  l.U^ 


^^ 


^^ 


.  il  -  aes 


^^ 


^ 


^ 


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LLf  ^  Uj-  r- 


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Oli 


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794 


MSMOaiB 


ti  -  qae 


m 


^^ 


J^    J-j-5 


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■^^^^^ 


ì-^iJ    ^^    ^^:fcj. 


Pl^.j=i.^ife 


P 


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^ 


£: 


^^=y= 


•Ut     non  non       de    -    ke 


bo       .      ria    .    . 


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IL  '  MISBRSRl ,  IN  MI  MINORE  DI  JACOPO  TOMADINI 


795 


Lo  svolgimento  procede  sempre  con  la  stessa  elevatezza  di  concetto 
ed  il  brano  risolve  in  Be  maggiore. 

In  Re  maggiore  ò  pure  il  tempo  successivo:  Un  po'  più  animato, 
in  4/4.  Le  voci  si  armonizzano  sul  verso:  <  Benigne  fac  Domine  », 
offrendo  il  motivo  seguente: 

28.  Un  po'  più  ammaio. 


T 

p       Be- 


ni-gne  fite 


=i^ 


"rfr 


iM-ii-gne 


# 


fke  Do- 


^ 


La  condotta  di  questo  squarcio  è  piuttosto  monotona  e  non  molto 
peregrina  ne  è  la  fattura;  alle  parole  >  <  Ut  aedificentur  muri  Jeru- 
salem  >  compare  un  magro  canone,  presto  interrotto. 

Al  «  Tane  accepicMs  sacrificium  »  si  passa  ad  un  Allegro  in 
Mi  minore.  Le  voci,  che  lo  attaccano  airunissono  e  all'ottava  e  pro- 
seguono legandosi  in  un'armonia  piena  e  sonora,  sono  sostenute  da 
un  accompagnamento  marziale.  Gito  lo  spunto  del  motivo  che  com- 
prende una  caratteristica  cadenza  sulla  dominante: 


24.    AUegro, 


^m 


y^ 


^ 


1 


u 


^ 


m 


j.  i^  j  j^ 


^ 


^ 


^^ 


Tono 


■e  -cop- 


ta •  bit    M  •  oop  - 


t«  -  bit    M  -  eri- 


fi  -  ei  •  nm    Ja  - 


S^ 


^^ 


^ 


^ 


RMtta  mutieaU  itaU(ma,  Vili. 


62 


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796 


MAMOaiE 


Sulle  parole  :  <  OblaHones  et  hoìooamta  »  si  svolge  un  breye  canose 
alla  quinta,  e  quindi  appare  un  secondo  spunto  al  verso:  «  Tunc 
impanent  super  altare  tuum  »  : 


25. 


i 


M 


ll_ 


m 


i 


rt 


É 


^ 


^ 


^ 


po-nflnt 


ra-p6r  al  - 


9F1^ 


che  si  presta  a  dare  lo  svolgimento  del  motivo  iniziale  e  risolve  in 
Mi  maggiore. 

In  questa  tonalità  e  in  tempo  2/4  è  scritto  il  brano  che  segue: 
Adagio  devoto  sostenuto^  sulle  parole  :  <  Gloria  Patri  et  Filio  », 
un  altro  pezzo  del  Miserere  rimarchevole  per  eletta  inspirazione.  II 
canto  principale  è  affidato  ai  primi  violini  e  si  sviluppa  in  un  mo- 
tivo ascendente  perfettamente  consono  al  sentimento  che  lo  detta; 
sembra  che  la  melodia  tenti  d'innalzarsi  a  raggiungere  qualche  cosa 
d'inafferrabile.  Quelli  che  udirono  le  varie  esecuzioni,  del  Miserere 
fatte  nei  tempi  cui  piii  sopra  ho  accennato,  ricordano  questo  come 
uno  dei  brani  più  profondamente  impressionanti.  Ed  infatti  in  nessuno 
forse  degli  altri  suoi  lavori  (eccettuando  il  Coro:  Morte  e  Vita 
deiroratorio  :  «  La  Risurrezione  »),  il  fecondo  musicista  cividalese, 
severo  fino  allo  scrupolo,  estrinsecò  tanto  calore  e  tanta  potenza  di 
suggestione.  I  tenori  e  il  basso  rispondono  al  canto  dei  primi  violini, 
rinforzati  dai  secondi,  dalle  viole  e  dall'organo.  Cito  nella  loro  inte- 
grità alcune  battute  di  questo  pezzo  condotto  con  vera  unità  di  linee 
e  suscettibile  di  un  bellissimo  crescendo^  a  cui  felicemente  e  per  sua 
natura  si  presta  il  disegno  stesso  della  frase  musicale. 


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26.    Achgio  devoto  sost, 
VtoL  1    I 


WM.  U 


fÌ9Ìé 


CéUé  é 


Témori 


Basti 


Orfomo 


P»    •    tri 


^^F=^^^^^^. 


Pft         •      tn  «t  Fi    .    U  -  0 


E3; 


W^S^^ 


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798 


Questo  braDO  è  separato  per  mezzo  diunaluDga  corona  dal  seguente: 
un  Allegro  in  j$,  che  conserva  la  tonalità  di  Mi  tnagg.  e  che  co- 
stituisce Tultimo  tempo  del  Miserere,  (^xx&ei' Allegro  è  una  fuga  a 
tre  parti  :  Tunico  pezzo  di  tutta  la  composizione  svolto  completamente 
e  strettamente  in  questo  stile,  e  riesce  di  molto  effetto  per  la  ma- 
gistrale fattura. 

Eccone  il  soggetto  proposto  dal  basso  sulle  parole  :  «  Sicut  erai  in 
principio  »,  soggetto,  che,  come  si  vede,  è  abbastanza  caratteristico. 

27.    AUegro. 


^%^=i^^^^"P^-^'  I  f^,^Tl  H  J'J  IJ  r  I  p 


-  cut 


ni       in  prìn 


pi    •    0    «t        noe 


La  risposta  è  affidata  al  secondo  tenore  e  la  ripetizione  del   sog- 
getto al   primo   tenore.  Il  contro-soggetto,  benché   chiaro   e   mar- 


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IL  ^MISERXRS,  IN  MI  MINORE  DI  JACOPO  TOMADINI  799 

cato,  è  meno  interessante  e  subisce  alcuni  cangiamenti  nel  corso  del 
pezzo.  Dopo  un  brevissimo  divertimento  ^  nella  seconda  esposizione 
la  ripercussione  del  soggetto  nella  tonalità  della  dominante  passa  al 
primo  tenore,  il  contro-soggetto  al  IP,  la  risposta  al  basso  e  la  ri- 
petizione del  soggetto  al  secondo  tenore.  Segue  un  divertimento  più 
lungo  del  primo,  suscettibile  di  buoni  effetti  di  sonorità  per  Teccel- 
lente  disposizione  delle  voci.  E  via  via  sino  alla  stretta^  adoperando 
i  migliori  artifici  e  terminando  con  la  chiusa  grandiosa  e  severa, 
piena  di  forza  e  di  colorito,  notevole  per  un  ritardando  caratteristico 
delle  voci  in  cadenza  piagale  sulla  parola  €  Amen  ».  Questo  squarcio, 
ricco  di  erudizione  tecnica  e  ammirabile  per  perspicuità,  dimostra 
ancora  una  volta  la  speciale  attitudine,  corroborata  da  studi  profondi, 
che  il  Tomadini  possedeva  pel  genere  fugato  che  egli  tratta  con 
grande  sicurezza  di  mano  e  con  elegante  pieghevolezza. 

Nel  lavoro  che  abbiamo  esaminato,  gli  archi  in  generale  e  sopra- 
tutto i  primi  violini  hanno  una  parte  importante.  Nell'Oratorio  «  La 
Risurreaione  »,  dove  abbondano  i  cori,  gli  archi  si  prestano  per  lo 
più  solamente  a  sostenere  le  varie  parti  delle  voci  nei  fugati  con- 
tinui e  complessi.  Qui  invece  è  raro  che  non  procedano  indipenden- 
temente da  esse,  svolgendo  opportuni  contrappunti  spesso  melodica- 
mente interessanti  quanto  i  motivi  affidati  alle  voci,  come  ad  esempio 
nel  primo  tempo  e  nel  «  Gloria  ».  Anche  il  violoncello,  che  in  tutto 
rOratorio,  meno  in  principio  del  Preludio^  si  limita  al  modesto  uf- 
ficio di  basso  armonico,  acquista  nel  Miserere  una  speciale  impor- 
tanza,  e  in  parécchi  punti,  quale  il  quarto  tempo  Allegretto^  sul 
canto  del  primo  tenore  che  abbiamo  citato  ed  altri,  ha  una  parte 
essenzialmente  melodica. 

I  timpani  compaiono  in  princìpio  e  in  fine  del  primo  tempo  Adagio^ 
e  in  qualche  battuta  del  crescendo  che  ricorre  verso  la  metà  di  questo 
brano  sulle  parole  :  «  Dele  iniquitatem  meam  ».  Sono  adoperati  più 
largamente  nel  quarto  tempo  Allegretto^  nel  passo  in  minore;  sol- 
tanto all'attacco  del  sesto  tempo  Adagio  \  nel  settimo  Allegretto  \ 
in  fine  del  nono  del  decimo  e  dell'  undecime,  servendo  di  rappicco 
al  pezzo  che  segue,  e  finalmente  xì^W Allegro  ultimo  tempo,  tacciono 


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800 

durante  la  foga  sino  alla  sh^ita^  dove  entrano  ininterrottamente  prò* 
seguendo  sino  alla  cadenza  finale. 

Di  rado  Tergano  si  rende  indipendente  ;  trattato  con  molta  cura 
e  dottrina,  si  limita  per  lo  più  a  rinforzare  opportunamente  il  quin- 
tetto e  le  foci  e  a  colorire  certi  dettagli,  né  mai  predomina  a  de- 
trimento dell'effetto  complessivo.  Quanto  alle  voci  esse  si  mnoTono 
sempre  con  singolare  correttezza,  e  certi  passi,  sotto  questo  rispetto, 
si  possono  davvero  citare  come  modelli.  In  tutte  le  opere  del  Toma- 
dini  esse  rivendicano  tecnicamente  il  primato. 

I  brani  migliori  di  questo  Miserere  sono:  il  primo  Adagio^  in 
cui  rinsistente  singhiozzo  dei  violini  risponde  logicamente  al  signi- 
ficato delle  parole  che  inspirano  la  melodia  svolta  dalle  voci,  dalla 
quale  emana  un  senso  d'indefinibile  tristezza  ;  il  quarto  tempo  Al- 
legretto, notevole  per  la  mistica  soavità  della  frase  musicale;  V Adagio 
devoto  col  bellissimo  contrappunto  del  violino  solista  di  egregia  ed 
elegante  fattura,  concettoso  e  sobriamente  espressivo;  lo  stupendo 
€  Gloria  »  dove  il  misticismo  assurge  a  vera  espansione  di  lìrico 
entusiasmo  che  erompe  dalla  frase  ascendente  dei  violini  primi,  di 
effetto  suggestivo.  Questo  squarcio  ha  un'impronta  tutta  particolare, 
e  mentre  risplende  ne'  suoi  slanci  di  nobile  poesia,  si  mantiene  puro 
di  ogni  influsso  sensuale  e  profano.  E  merita  di  essere  ricordato  final- 
mente Y Allegro  ultimo  tempo,  di  cui  più  indietro  rilevammo  i  pr^, 
il  quale  pecca  soltanto  di  una  certa  prolissità  nella  chiusa  dopo 
la  stretta. 

Negli  altri  brani,  se  l'inspirazione  non  è  sempre  alta  ed  originale 
come  nei  suddetti,  la  condotta  è  sempre  irreprensibile  e  classica- 
mente modellata,  e  in  generale  in  tutto  il  componimento,  pur  rispet- 
tando lo  speciale  carattere  della  musica  sacra,  è  evitato  il  conven- 
zionale e  il  pesante.  Fatto  degno  di  nota  questo  se  si  pensa  che  ai 
tempi  del  Tomadini,  per  isfuggire  a  simili  difetti,  si  cadeva  nel  ba- 
nale e  nel  barocco. 

Osservo  ancora  che,  mentre  nell'Oratorio  le  parti  meno  riuscite 
sono  i  due  a  soli  del  soprano,  i  quali  per  concezione  e  per  corret- 
tezza di  linee  sono  lasciati  a  molta  distanza  dai  cori,  in  questo  Mi- 
sererei dove  occorrono,  sono  trattati  con  garbo  sapiente;  basti  ad 
esempio  quello  per  basso  nélY  Adagio  devoto.  Vero  ò  che  qui  il  maestro 
si  muove  nel  suo  campo  prediletto;  abituato  alle  frequenti  ripetizioni 


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IL  'MISBRKRB,  IN  MI  MINORE  DI  JACOPO  TOMAOINI  801 

m 

delle  stesse  parole,  cui  i  testi  sacri  latini  si  prestano  nella  compo- 
sizione liturgica,  si  trovò  forse  un  po'  imbarazzato  di  fronte  al  testo 
italiano  dell'Oratorio  e  il  concetto  musicale  se  ne  risentì,  mentre  in 
questo  lavoro  corre  invece  snello  spedito  ed  efficace. 

Lo  spirito  di  ogni  versetto  è  fedelmente  riprodotto  nelle  note  che 
lo  vestono;  giusta  è  la  distribuzione  dei  coloriti,  accurata  la  spez- 
zatura delle  sillabe.  E  i  differenti  timbri  delle  voci  sono  scelti  con 
molto  tatto  ad  esprimere  i  vari  sentimenti  di  dolore,  di  tristezza,  di 
speranza. 

Conchiudendo:  quest'opera,  malgrado  certe  piccole  mende,  conférma 
e  rischiara  di  nuova  luce  il  non  comune  valore  artistico  dell'illustre 
compositore  friulano. 

L.  PlSTOBBLU. 


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ScWUer  et  la  HJugique. 


^X^andis  que  Ooethe  et  ses  rapporta  avec  la  mosiqae  ont  été  l'objet 
de  la  part  de  quelques  musicographes  très  distingués  de  savantes  et 
très  intéressantes  dissertations,  on  a  laissé  Schiller  de  cOté.  Cependant, 
ce  grand  poòte  mérìte,  à  mon  ayìs,  tout  autant  Tattention  dea  mu- 
sicìens  que  celle  qu'on  veut  bìen  accorder  à  son  illustre  rivai. 

Il  semble,  au  premier  abord,  qae  Schiller  n'a  pas  conna  l'émo- 
tion  que  produit  la  musique  sur  les  àmes  supérieures;  qu'il  y  étaìt 
ìndìfférent  et  ignorait  la  puìssance  et  le  charme  de  cet  art  qui  exer- 
9ait  sur  Goethe  une  si  grande  impression.  G'est  une  erreur  manifeste. 

Tout  comme  Tauteur  de  Fatisi^  colui  de  GhiUìaume  Teli  avait 
une  ftme  sensible  ouverte  à  toutes  les  manifestations  des  arts  libé- 
rauz  ;  Schiller  ne  serait  pas  le  sublime  chantre  des  douleurs  et  des 
joies  humanitaires,  des  aspirations  du  peuple  vers  un  idéal  élevé  et 
de  son  désir  de  s'affiranchir  de  tonte  tyrannie  en  conquérant  sa  liberté, 
car  Schiller  demeure  un  des  représentants  autorìsés  de  ces  aspi- 
rations-là,  s'il  avait  été  indifférent  en  présence  de  cotte  autre  mani- 
festation  glorieuse  que  la  musique  produit  sur  les  masses.  Une 
nature  d'elite,  comme  celle  de  Schiller,  ne  pouvait  se  soustraire  à 
la  magie  qui  émane  de  Tart  musical,  ni  méconnaitre  son  charme 
irrésistible. 

La  grande  place  que  tient  Schiller  dans  Thistoire  des  lettres  alle- 
mandes,  et  par  conséquent  dans  l'histoire  de  Tesprit  humain,  appella 
Tattention  sur  tout  ce  qu'il  a  été  comme  sur  tout  ce  qu'il  a  &it 
J'ai  dono  essayé  dans  les  lignes  suivantes,  de  faire  ressortir  le  rdle 
que  Schiller  a  tenu  à  l'égard  de  la  musique  de  son  temps  et  de 
montrer  Tattraction  puissante  que  ses  poésies  magistrales  ont  exercée 
sur  plus  d'un  compositeur  illustre. 


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SCHILLER  ET  LA  MUSIQUK  803 


Jean  Christophe  Frédérig  Schiller  naquit  à  Marbach,  dans  le 
Wùrtemberg,  le  10  noyembre  1759.  Il  fat  dono  contemporain  de 
Haydn,  de  Qluck,  de  Mozart  et  de  Beethoven. 

Le  pére  da  poète,  Jean  Oaspard  Schiller,  était  alors  lieatenant 
d'infanterìe;  c'etait  un  homme  simple,  laborieux,  sevère  pour  loi- 
mgme  et  pour  les  aatres,  un  vraì  type  d'honneur  et  de  verta  popa- 
laire.  Sa  mère,  qai  s'appelait  Élisabeth-Dorothée  Kodweìss,  était  aussi 
un  excellent  type  des  classes  popalaìres  en  AUemagne,  honnéte,  douce 
et  affectuease.  Elle  aitnait  la  masiqae:  elle  chantait  des  mélodìes 
popalaires  en  s'accompagnant  sar  la  harpe. 

Àprès  le  premier  grand  et  retentissant  succès  qa'il  remporta  avec 
son  drame  Les  Brigands,  qai  farent  joaés  pour  la  première  fois  le 
13  janvier  1782  sur  le  tbé&tre  de  Mannheim,  Schiller,  pour  se  sous- 
traire  au  joug  tyrannique  que  faisait  peser  sur  lui  son  seìgneur  et 
maitre  le  due  de  Wfirtemberg  Charles-Eugène,  prit  la  résolution  de 
s'enfuir  secrètement.  Un  ami  intime  de  Schiller,  Jean  André  Streicher, 
pianiste,  né  le  13  décembre  1761  à  Stuttgart,  avait  résolu  de  s'en- 
fuir  en  méme  temps  que  lui.  Les  deux  amis  mirent  leur  projet  à 
exécution.  Streicher  a  raconté  dans  les  moindres  détails,  avec  une 
grande  simplicité,  l'histoire  de  cotte  fuite.  Cédons-lai  la  parole  pour 
en  rapporter  les  divers  incidents. 

Le  22  septembre  1782,  par  une  magnifique  soirée,  tandis  que  le 
due  Charles-Eugène  recevait  avec  éclat  le  grand-due  Paul  de  Russie, 
qui  venait  d*épouser  sa  nièce,  la  jeune  et  ravissante  princesse  Marie 
de  Wùrtemberg,  tandis  que  les  bois  du  chàteaa  la  Solitude  reten- 
tissaient  encore  des  fanfares  da  cor,  des  aboiement'S  des  cbiens  et  des 
crìs  joyeux  de  Thallali,  au  moment  où  le  ch&teau  ducal,  illuminé 
jusqu'au  fatte,  éclairait  au  loin  la  forèt,  et  que  princes  et  gentils- 
hommes,  électeurs,  ducs  et  grands-ducs  se  pressaient  autour  du  jeune 
couple  imperiai,  une  modeste  volture  sortait  de  Stuttgart,  vers  dix 
heures,  par  la  porte  d'Essling,  parco  que  c'était  la  plus  sombre  de 
la  ville  et  qu'un  des  amis  les  plus  sùrs  de  Schiller,  nommé  Scharf- 
fenstein,  y  commandait  le  poste  en  qualité  de  lieutenant:  s'il  s*éle- 
vait  quelque  difficulté,  on  comptait  Fécarter  aussitòt  par  Tintervention 
de  Tofficier.  Quel  bonheur  que  dans  ce  temps-là  ce  ne  fiit  pas  Tusage 


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804  MBMORIE 

de  deroander  leur  passe-port  auz  Toyageurs  en  voitare  !  Le  «  halte-là! 
qui-vive  »  de  la  sentinelle,  quoique  les  denz  jennes  gens  s'y  atten- 
dissent,  lenr  fit  une  étrange  impression.  Ani  questions  da  soas-officier, 
qui  sortit  à  Tappel  du  factìonnaìre  :  «  Quels  sont  ces  messieurs  ?  où 
vont-ils?»  Streicher  répondit:  «Le  docteur  Bitter  et  le  doctear 
Wolf.  lls  se  rendent  à  Essling  ».  Après  les  avoir  inserita  sona  oes 
deax  noiDS,  on  leur  ouvrìt  la  porte. 

Quand  ils  furent  dehors^  ils  se  crurent  échappés  à  un  grand  danger, 
et,  comme  si  ce  danger  avait  pu  revenir,  ils  échangèrent  à  peine 
quelques  paroles,  tant  qu'ils  tournòrent  autour  de  la  ville  pour  aller 
gagner  la  route  de  Ludwigsbourg.  Mais  lorsqu'  ils  eurent  franchi  la 
première  montée,  ils  retrouvèrent  leur  calme,  leur  liberté  d'esprit; 
Tentretien  s'anima,  et  roula  non  seulement  sur  le  passe  le  plus  récent, 
mais  encore  sur  le  prochain  avenir. 

Yers  minuit  ils  virent  au  ciel,  à  la  gauche  de  Ludwigsbourg,  une 
rougeur  extraordinaire,  et,  quand  la  volture  fut  en  vue  de  la  SoU- 
tude^  le  ch&teau  de  cette  residence,  place  sur  une  assez  grande  hau- 
teur,  se  montra  soudain,  avec  ses  nombreuses  dépendances,  dans  un 
éclat  enflammé,  qui,  à  la  distance  d'une  lieue  et  demie,  faisait  Feffet 
le  plus  surprenant.  La  pureté  et  la  sérénité  de  Vair  permettaient  de 
tout  distinguer  si  clairement  que  Schiller  put  montrer  à  son  com- 
pagnon  le  point  où  demeuraient  ses  parents,  puis  tout  à  coup,  comme 
frappé  d'un  trait  sympathique,  il  s'écria,  en  étoufiant  un  soupir: 
€  Ma  mère  !....  ». 

Entre  une  et  deux  heures  du  matin,  on  arriva  au  relais  d'Enti- 
weihingen,  où  il  fallut  s'arréter.  Après  qu'on  eut  domande  du  café, 
Schiller  tira  de  sa  poche  un  Cahier  de  poésies  inédites  de  Schubart, 
dont  il  lut  les  plus  remarquables  à  son  compagnon.  A  huit  heures 
du  matin,  les  voyageurs  atteignirent  la  frontière.  A  la  vue  des  con- 
leurs  de  TElectorat  palatin,  des  poteaux  et  des  barrières,  rayés  de  bleu 
et  de  blanc,  qui  lui  annonsaient  qu'il  était  libre,  qu'il  entrait  dans 
une  contrée  sur  laquelle  ne  pesait  pas  le  joug  auquei  il  se  dérobait» 
Schiller,  jusque-là  un  peu  sombre,  s'épanouit,  et  parut  renaitre  à  una 
vie  nouvelle.  A  9  heures  du  soir,  on  s'arréta  à  Schwetzingen  pour 
y  passer  la  nuit;  les  portes  de  Mannheim,  en  ce  temps-là  ne  s'ou- 
vraient  point  après  le  crépuscule.  Le  19  septembre,  les  voyageurs 
furent  sur  pied  de  très  bon  matin,  pour  se  préparer  à  faire  leur  entrée 


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SCHILLER  ET  LA  HUSIQUB  805 

à  Mannheim.  On  tira  des  coffres  ce  qu'ils  conteoaient  de  mienx 
pour  s'assurer  par  le  semblant  de  TaisaDce  une  considération  qu'on 
refose  presqne  tonjours  à  qui  parait  indigeni  au  malheureux.  Schiller 
n'avait  poor  tont  biet  que  23  florins  et  Streicher  28  ;  mais  le  poète 
comptait  sur  la  Conjuratìan  de  Fiesque  à  Génes^  tragèdie  républi- 
caìne,  pour  ses  premiòres  dépenses,  puis  sur  des  honoraires  fixes, 
attachés  au  titre  qu'il  ambitionnait,  et  qui  lui  donneraient  le  temps 
de  sd  créer  d'autres  ressources. 

Persuadés  qu'avant  quinze  jours  ces  présomptions  seraient  cbangées 
en  certitudes,  les  deuz  amis  montòrent  une  dernière  fois  en  voiture 
se  dirìgeant  vere  Mannbeim  qu'ils  atteignirent  au  bout  de  deuz 
heures,  et  où  ils  entrèrent  sans  qu'on  les  arrétàt  à  la  porte  ni  qu'  on 
leur  adressàt  aucune  question. 

Schiller  désormais  libre  put  donner  essor  à  son  genie.  Àprès  maints 
crucis  embarras,  des  mécomptes  sans  nombre,  et  des  misères  noires, 
à  force  de  travail  il  arriva  plus  tard  à  se  créer  une  position  très 
honorable.  Quant  à  Streicher,  il  se  rendit  d'abord  à  Hambourg  pour 
parachever  ses  études  musicales  auprès  de  Gharles-Philippe-Emmanuel 
Bach,  le  second  fils  de  Tillustre  Sébastien,  qui  fonctionnait  à  Ham- 
bourg comme  directeur  de  musique  d'église. 

Plus  tard,  Streicher  se  Sia  à  Vienne  en  Autriche  comme  facteur 
de  pianos.  En  1793  il  épousa  Nanette  Stein,  née  à  Augsbourg  le 
2  janvier  1760.  Cotte  femme  charroante,  qui  avait  étó  dans  sa  pre- 
mière jeunesse  l'amie  de  Mozart,  voua  plus  tard  à  Beethoven  Taf- 
fection  d'une  sceur.  Elle  mettait  de  Tordre  dans  la  garde-robe  du  maitre 
et  veìllait  sur  l'entretien  de  son  linge  et  de  ses  hardes  ;  elle  s'occupa 
également  avec  zèlo  du  ménage  toujours  en  désordre  de  Tauteur  de 
FideUo^  ce  qui  n'était  pas  une  mince  affaire.  Beethoven  savait  qu'il 
pouvait  compter  sur  l'amitié  de  M^  Streicher  et  en  usait  sans  scru- 
pule.  Dix  fois  par  jour  il  lui  envoyait  quelque  billet,  parfois  méme 
des  lettres  de  quatre  pages,  pour  faire  appel  à  son  inépuisable 
obligeance. 

C'est  sur  l'indication  et  les  conseils  de  Beethoven,  que  Streicher 
inventa  un  mécanisme  pour  le  piano  dans  lequel  le  marteau  frappe 
la  eorde  d'en  haut.  Streicher  mourut  à  Vienne  le  25  mai  1833;  sa 
femme  Tavait  précède  de  quelques  mois  dans  la  tombe  le  16  jan- 
vier 1833. 


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806  MEMORIE 


Occapons-nous  maintenant  des  poésies  que  Schiller  a  spécialement 
consacrées  à  la  musique  et  dans  lesquelles  il  exalte  les  impressioiis 
qu'il  a  ressenties. 

Il  va  sans  dire,  que  la  traduction  de  ces  poésies  daDS  une  autape 
langae  que  celle  dans  laquelle  Tauteur  les  a  con9ues,  efiacera  le 
rythme  si  harmonieux,  la  couleur  vive  ainsi  que  les  belles  qualités 
du  style,  choses  si  essentielles  qui  dans  la  langue  de  Schiller  font 
de  ces  poésies  lyrìques  de  véritables  et  inimitables  che&d'ceuvre. 

Voici  d'abord  quelques  perles,  cueillies  dans  les  Tablettes  vo- 
Hves: 

1.  —  Uart  mtisical, 
Que  Tart  plastique  respire  la  vie;  du  poète,  je  veux  un    soufflé  in- 
spire;  mais,  seule,  Polymnie  exprime  Tàme. 

2.  -—  Certaines  Mélodies. 
C'est  de  la  musique  pour  faire  penser.  Tant  qu'on  l'entend,  on  est  de 
giace.  Ce  n'est  que  quatre  ou  einq  heures  apròs  qu'elle  produit  son  ve- 
ritable  eflfet. 

3.  —  Rubriques  au-dessus  des  lignea  de  ces  Mélodies, 
Le  chant  est  glacial  et  sans  ftme  ;  mais  le  chanteur  et  l'accompagna- 
teur  sont  poliment  priés  à  la  marge  d'avoir  da  sentiment. 

Ces  vers  étaient  dirigés  contre  les  mélodies  de  J.  Fr.  Beicbardt» 
et  contre  les  indications  que  les  compositeurs  placent  au-dessus  de 
la  portée,  destinées  à  marquer  le  mouvement,  le  sentiment,  comma 
Adagio^  Allegro^  Dolce^  Orojrìoso,  Cantabile,  etc. 

Jean-Frédérig  Reichardt,  compositeur,  chef-d'orchestre  et  musico- 
graphe,  est  né  à  Eoenigsberg  en  Prusse,  le  25  novembre  1752  et 
mort  à  Qiebichenstein,  près  Halle,  le  27  juin  1814.  En  1775  il  fot 
nommé  maitre  de  chapelle  à  la  Cour  de  Prédéric-le-Grand.  Eeichardt 
a  compose  une  grande  quantité  d*opéras,  des  symphonies,  de  musique 
de  chambre,  des  concertos,  ainsi  que  de  la  musique  religieuse.  L'acti* 
vite  littéraire  de  Beichardt  fut  très  étendue. 

Les  distiques  suivants  qui  généralisent  l'esprit  artistique,  daos 
uMmporte  quelle  branche  de  l'art,  s'appliquent  également  à  la  mu- 
sique et  aux  musiciens: 


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SCBILLER  £T  LA  MUSIQUB  807 

1^  —  Le  Oénie, 
L'intelligence,  il  est  yrai,  peat  prodnìre  ce  qui  a  déjà  été  ;  ce  que  la 
nature  a  construit  avec  choix,  d'après  elle.  La  raìson  b&tit  par  delà  la 
natnre,  mais  seolement  dans  le  vide;  toi  ^eul,  genie,  tu  accrois  la  na- 
ture, sans  sortir  d'elle. 

2.  —  Caractère  du  Genie, 
Comment  et  par  quoi  se  révòle  le  genie  ?  Comme  se  révòle  le  Cróa- 
teur  dans  la  nature,  dans  le  tout  infìni.  L'éther  est   clair  et  pourtant 
d'une  profondeur  immense  ;  ouvert  auz  yeux,  il  demeure  un  étemel  my- 
stère  pour  l'intelligence. 

8.  —  L'imitateur. 
De  ce  qui  est  bon  faire  quelque  chose  de  bon,  c'est  ce  que  peut  chaque 
homme  intelligent  ;  mais  du  mauvais  le  genie  tire  le  bon.  Tu  ne  peux 
t'essayer,  imìtateur,  que  sur  ce  qui  est  déjà  forme;  à  l'esprit  créateur, 
cela  mdme  qui  est  déjà  forme  ne  sert  que  de  matière. 

4.  —  L'union  difficile. 
Pourquoi  le  goùt  et  le  genie  veulent-ils  si  rarement  s'unir  ?  Celui-là 
ci'aint  la  force,  celui-ci  méprise  le  frein. 

5.  —  Choix. 
Si  tu  ne  peux  plaire  à  tous  par  une  action  ou  par  une  oeuvre  d'art 
contente  le  petit  nombre:  plaire  à  beaucoup  est  mauvais  signe. 

6.  —  La  Science, 
Pour  l'un  c'est  la  grande,  la  celeste  déesse:  pour  l'autre,  une  bonne 
vache,  qui  lui  foumit  du  beuire. 

7.  —  L'idéal  propre, 
A  tous  appartient  ce  que  tu  penses,  ce  que  tu  sens  est  seul  à  toi. 
Sens,  si  tu  veux  qu'il  soit  fa  propriété,  le  Dieu  que  tu  penses. 

8.  —  Za  Beauté, 
La  beauté  n'est  étemellement  qu'une,  mais  le  beau   change  diverse- 
ment;  ce  qui  seul  fait  cette  unite  belle,  c'est  précisément  qu'il  change. 

9.  —  Le  Théoricien, 
Vous  procédez  d'après  les  lois,  aussi   toucheriez-vous   assurément  le 
but,  si  seulement  la  majeure,  si  la  mineure  étaient  yraies. 

10.  —  L'imagination, 
Elle  peut,  il  est  vrai,  créer  la  matière  d'un  ouvrage,  mais  sa  fougue 
déréglée  l'empéche  de  fa9onner.  Ce  qui  est  harmonieuz  peut  seul  pro- 
dnire  l'harmonie. 


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806  MEMORIE 

11.  —  Le^on^  pour  VéUve  artiste, 
Pour  qae  ta  évites  le  pire  dee  dófiAote,  la  médiocrìté,  n'évite  trop  tòt, 
jeune  homme,  aucon  des  autres! 

12.  —  La  délicatesse  dans  le  blàme. 
Qu'appelle-t-on  blftme  délìcat?  Celai  qui  épargne  tes  faiblesses?  Non, 
celai  qai  fortifie  l'idée  qae  ta  as  de  la  perfectìcm. 

13.  —  Les  criiiques  mns  mission. 
n  est  facile  de  bl&mer,  et  si  difficile  de  créer.  Voas   qoi   blÀmez  oe 
qai  est  faible,  avez-voas  donc  aassi  ces  dons  excellents  qui  récompai- 
sent  Vàme  créatrice? 

14.  — -  Aux  supérieurs, 
On  aboie  toajoars  après  voas.  Bestez  assis  !  Les  aboyeurs  ont  envìe 
de  ces  places  d'où  l'on  entend  paisiblement  aboyer. 

15.  —  Le  Virtuose. 
Je  saìs  aax  ordres  de  l'aagaste  assemblée  avec  ma  flùte,  qai,  comme 
toat  Yiemie  me  Tatteste,  sonne  absolament  conmie  an  violon. 

Il  s'agìt  ìci  du  Autiste  aveugle  Fr.  L.  Dulon,  né  à  Oranieoboorg 
le  14  aoùt  1769  et  mort  à  Wurzbourg  le  7  juin  1826.  C'était  un 
virtuose  très  habile  sur  la  flùte;  il  fitde  grandes  tournées  artistiques 
avec  un  immense  succès  et  composa  desconcertos,  des  variatioss,  etc. 
pour  son  instrumeni 

Fassons  maintenant  aux  grandes  poésies  lyriques  du  maitre. 

1.  —  Laure  au  Piano. 

Lorsque  tes  doigts,  Laure,  font  résonner  magistralement  les  cordes 
de  ton  Piano,  je  demeure  tantòt  comme  une  statue  sans  àme,  tantót 
comme  une  £Une  sans  corps.  Tu  commandos  à  la  vie  et  à  la  mort,  avec 
la  memo  puissance  quo  Pbiladelphia  éveiUe  des  àmes  dans  mille  réseanx 
de  nerfs. 

Alors,  par  respect,  pour  t'entendre,  les  sooffles  de  Fair  broissent  plns 
doocement  Eivées  à  ton  chant,  les  sphères  attentives  s'arrétent  danfl 
leur  étemelle  revolution,  pour  s'abreuver,  à  longs  traits,  de  plaisir.  En- 
chanteresse  !  tu  les  subjugues  par  les  sons,  conmie  tu  m'enchalnes  par 
les  regards. 

D'émouvantes  harmonies,  des  torrents  de  volupté  ruissellent  des  cordes, 
comme  s'envolent  de  leurs  cieux  des  séraphins  nouveaux-nés.  Comme 
autrefois,  8'élan9ant  des  bras  gigantesques  du  chaos,  les  soleils  éveillés 
parla  tempète  de  la  création,  jaillirent,  étincelants,  du  sein  de  lanuit: 
ainsi  se  precipite  la  magistrale  puissance  des  sons. 


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8CHILLKR  KT  LA  MU8IQUE  809 

Tantdt  aimables  et  doox,  comme  le  broìsseznent  des  ondes  argentées 
sur  les  cailloaz  polis;  tantòt  majestneaz  et  magnifiques,  comme  les  so- 
norìtés  paissantes  de  Torgae  ;  pois  bondiss^nt  impétaenx,  comme  roulent, 
à  grand  brnit,  du  haat  des  rocbers,  les  torrents  écameuz  ;  bientdt  gra- 
cienx  marmare,  caressant  et  léger,  comme  Tair  tiède  soufflé  discrètement 
dans  la  forét  de  trembles.  Enfin  plus  graves  et  mélancoliqaes  et  som- 
bres  :  on  dirait  le  frémissement  des  ténèbres  aa  vide  empire  des  morts, 
où  des  harlements  perdas  se  prolongent,  oh  le  Cocjte  traine  ses  flots 
de  larmes...  Parie,  jeane  iille  I  je  t'interroge,  instrais-moi  :  As-ta  fait  an 
pacte  avec  des  esprits  d'un  ordre  supórieur?  Est-ce  la  langue,  ne  me 
trompe  pas,  qu'on  parie  dans  l'Éljsée  ? 

2.  —  La  Puissance  du  ChanU 

Voyez  le  torrent  qui  tombe  du  haut  '  des  rocs  :  il  descend  avec  le 
braìt  de  la  foudre^  entralnant  dans  sa  course  les  pierres  de  la  montagne 
et  les  troncs  des  chénes.  Le  voyageur  écoute  ce  fracas  avec  un  plaisir 
m6lé  de  terrear.  H  entend  le  magìssement  des  flots  et  ne  sait  d'où  ils 
ylennent.  Ainsi  le  cbsoìt  s'échappe  d'une  source  qu'on  n'a  jamais  dé- 
coaverte. 

Qui  peut  expliquer  la  magie  da  chantre  uni  aux  redoutables  étres  dont 
le  poavoir  dirige  les  fils  de  la  vie?  Qui  peut  resister  à  ses  accents? 
Gomme  s'il  tenait  entre  les  mains  la  baguette  da  messager  des  dieux, 
il  gouveme  le  coeur  ému,  il  le  fait  descendre  dans  l'empire  des  morts, 
il  Télève  vers  le  ciel,  il  le  condnit  de  pensée  en  pensée  et  le  berce,  et 
le  mòne  da  plaisant  au  sevère,  sur  la  flexible  échelle  des  sentiments. 

Qaelquefois,  dans  les  cercles  de  la  joie,  pénètre  tout  à  coup,  avec  sa 
nature  mystérieuse  et  gigantesque,  un  affireuz  destin.  Alors,  toutes  les 
grandeurs  de  la  terre  s'inclinent  deyant  cet  hOte  étranger  ;  le  vain  bruit 
de  l'allégresse  se  tait,  tout  masque  tombe,  et,  devant  Timage  victorieuse 
de  la  vérité,  s'évanouit  tonte  oeuvre  de  mensonge. 

Ainsi,  quand  Tappel  du  chant  résonne,  Thomme  se  degagé  de  tout 
vain  fardeau,  pour  prendre  sa  dignité  intellectuelle  et  sentir  une  force 
sainte.  H  appartient  aux  dieuz  suprémes  ;  rien  de  terrestre  ne  peut  Tap- 
procber,  et  tonte  autre  puissance  doit  rester  muette,  nulle  fatalité  ne 
Fatteint,  et  les  rides  du  souci  s'effacent,  tant  que  règne  la  magie  du  chant. 

Et  comme,  après  le  regret  sans  espoir,  après  la  douleur  amère  d'une 
longue  séparation,  un  enfant  se  precipite,  versant  les  larmes  brùlantes 
da  repentir,  sur  le  coeur  de  sa  mère,  ainsi  le  chant  ramène  à  la  chau- 
znière  de  sa  jeunesse,  au  bonheur  pur  de  son  innocence,  le  fugitif  sur 
one  terre  lointaine,  parmi  des  mceurs  étrangères;  il  le  remet  aux  bras 
de  la  nature  fidèle,  pour  réchauflfer  son  cceur  glacé  par  les  théories. 


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810  MEMORIE 


3.  —  La  Danse, 


Vois  tonmer  d'un  pas  flottant  les  couples,  balancés  comme  les  yagnesl 
Le  pied  aìlé  effleore  à  peine  le  sol.  Voìs-je  des  ombres  fagitdyes  déli- 
vrées  da  poids  des  corps  ?  des  sylphes  qui,  au  clair  de  lane,  ^entrelacent 
lear  ronde  aérìenne?  Comme,  bercée  par  le  zéphyr,  la  fomée  légère  se 
balance  sar  les  flots  argentés,  ainsi  le  pied  docile  bondit  sar  la  ragne 
mélodiease  de  la  cadence;  le  son  des  cordes  marmarantes  soolève  les 
corps  éthérés. 

Soadain,  comme  s'il  voolait  rompre  de  force  la  chaine  de  la  danse, 
an  coaple  bardi,  là-bas,  s'élance  aa  plas  épais  de  la  ronde.  Devant  lai 
se  fraye  sabitement  le  passage,  qai,  derriòre  lai,  disparait;  il  semble 
qa'ane  main  magiqae  lai  oayre  et  lai  ferme  le  cbemin.  Vois  !  à  Tinstant 
il  s'est  évanoai  aaz  regards:  dans  on  foagaeaz  péle-méle  croole  et  se 

confond  l'elegante  stractare  de  cette  mobile  création Non!  le  voilà 

qai  flotte  encore  et  ressort  triomphsmt;  le  noead  se  débroaille;  Tordre 
n'a  fEdt  qae  se  rétablii  avec  an  noavel  attrait  Toojoars  detraiti  ce 
monde  toarbillonnant  se  reprodait  torgoars,  et  ane  loi  maette  dirige  le 
jea  de  ces  métamorpboses.  Parie!  d'où  yient  qae  les  figares  vacillent, 
sans  cesse  renoavelées,  et  qae  le  repos  sabsiste  dans  ce  moavant  ta- 
bleaa?  qae  cbacon,  maitre  et  libre,  n'obéit  qa'à  son  propre  coear,  et, 
dans  cette  coarse  rapide,  troave  Taniqae  chemin?  Veax-ta  le  saToir? 
C'est  la  paissante  déesse  de  Tbarmonie  qai  ordonne  en  bel  ensemble  de 
danse  les  bonds  désordonnés  ;  qai,  pareli  à  Némósis,  dirige  avec  le  freis 
d'or  da  rythme  la  brayante  allégresse,  et  apprivoise  sa  foagae. 

Et  c'est  en  vain  qae  poar  toi  retentissent  les  harmonies  de  l'anivers? 
Le  torrent  de  ce  sablime  concert  ne  te  saisit-il  pas  ?  ni  la  cadence  ra- 
vissante  qae  toas  les  étres  te  marqaent;  ni  le  toarbillon  de  la  danse 
qai,  à  travers  Tétemel  espace,  lance  de  brillants  soleils  dans  les  roates 
bardiment  entrelacées  ?  Ce  qae  ta  respectes  poartant  dans  le  jea,  ta  le 
fois  dans  l'action:  la  piesure! 

4.  —  Fragment  tire  de  '^  la  Féted'Éleusis  ». 

(22"*  strophe).  Cependant  de  ses  cordes  d'or  Apollon  fidt  sortir  l'har- 
monie,  et  l'aimable  mesare  des  temps,  et  la  paissance  de  la  melodie.  A 
ces  accords  les  Mases  joignent  le  cbant  de  lear  neaf  voix,  et,  aa  son 
de  leur  choeor,  la  pierre  doacement  s'anit  à  la  pierre. 

(25"*'  strophe).  Et,  gaidés  par  le  choear  fortanó  des  dieaz,  les  non- 
yeaax  citoyens,  aa  brait  des  mélodieax  accords,  firsmcbissent  la  porte 
hospitaliòre. 


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SCHILLER  IT  LA  MU81QUE  811 

5.  —  Frctgments  Urea  du  ^  Le  ConUe  de  Hahshourg  „. 

(3°""  strophe).  L'empereur  prend  en  main  la  coupé  d'or  et  dìt  avec 
un  regard  satisfait:  '^  La  fète,  il  est  vrai,  est  brillante,  et  splendide  le 
festin,  pour  charmer  mon  coeur  rojal  ;  mais  en  vain  mes  jeuz  cherchent 
celui  qui  apporte  la  joie,  le  chanteur  qui  remuera  mon  ftme  par  de  douz 
accents,  par  des  le^ons  divinement  supérieures  , 

(4"'  strophe).  Et  voilà  que  dans  le  cercle  des  princes  qui  Tentourent, 
s'avance  le  chanteur  à  la  robe  trainante  ;  ses  cheveux,  blanchis  par  les 
ans  accumulés,  tombent  en  boucles  d'argent:  *  Une  douce  harmonie 
sommeille  dans  l'or  des  cordes  :  le  chanteur  chante  le  salaire  de  Tamour, 
il  célèbre  les  choses  les  plus  hautes,  les  meilleures,  et  ce  que  le  coeur 
yeut  avoir,  ce  que  les  sens  désirent  ;  mais,  dis,  quel  chant  est  digne  de 
l'empereur  dans  sa  féte  la  plus  magnifique  ?  , 

(5*°"  strophe).  '  Je  ne  commanderai  point  au  chanteur,  dit  le  monarque 
le  sourire  sur  les  lòvres  ;  il  dépend  d'un  plus  grand  maitre,  il  obéit  à 
l'heure  impérieuse.  Gomme  le  vent  d'orage  bruit  dans  les  airs,  sans 
qu'on  sache  d'où  il  vient  et  gronde  ;  conune  la  source  jaillit  des  profon- 
deurs  cachées  :  ainsi  la  chanson  du  chanteur  éclate  du  dedans,  elle  éveille 
la  puissance  des  sentiments  obscurs  qui  merreilleusement  dormaient  dans 
le  coeur  ,. 

{^"^  strophe).  Et  le  chanteur  attaque  vivement  les  cordes  et  se  met 
à  les  frapper  puissanunent 

6.  —  Fragtnent  tiri  de  VHymne  ^  Le  Triomphe  de  Vatnaur  „, 

(22"**  strophe).  Tes  chants  firent  retentir  les  enfers  d'une  harmonie 
celeste,  et  domptòrent  le  farouche  gardien,  0  chsoìtre  de  Thrace...  Minos, 
les  jeuz  mouillés  de  larmes,  adoucit  ses  arréts  de  torture;  autour  des 
joues  de  l'horrible  Megère,  les  serpents  crucis  se  baisèrent  tendrement  ; 
les  fouets  ne  résonnaient  plus.  Entrainé  par  la  lyre  d'Orphée,  le  vau- 
tour  s'envola  loin  de  Tityus.  Le  Léthé  et  le  Cocyte  frappèrent  plus  dou- 
cement  leurs  rives:  ils  écoutaient  tes  accords,  chantre  de  Thrace  I  Tu 
chantais  l'amour,  chantre  de  Thrace I... 

7.  —  Frctgmenta  tirés  de  "  Hommage  des  Aris  „, 

Pièce  Ijrique,  représentée  sur  le  théfttre  de  la  Cour,  à  Weimar,  le 
12  novembre  1804. 

La  musique  (avec  la  Lyre). 

La  magie  des  sons  qui  s'échappent  comme  une  source  des  cordes  de 
ma  Ijre,  tu  la  connais  bien  et  tu  sais  puissamment  la  faire  mouvoir. 
Ce  qui,  au  fond  de  Tètre  repose  à  l'état  de  pressentiment  indéfinissable 
ne  peut  seulement  s'ezprimer  que  par  mes  sons.  Un  enchantement  de- 

&Ì9Uta  mutieaU  itaimna,  YIII.  58 


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612  MJBMMUl 

licienx  s'empare  de  tea  sens  lonque  je  fais  coQler  les  flots  d'Iiannonie; 
le  coaur  est  près  de  fondre  de  trìsteise  et  TAme  désire  s'e&voler  larsqne 
&uant  résoDoer  l'échelle  des  sona,  je  te  transporte  jnsqa'mox  plus  haotes 
xégìons  du  beau  ìdéaL 

Terpatchare  (avec  la  Cymbale). 

Le  beau  divìn  repose  daiis  le  silenoe  parfait;  ce  n'est  qu'arec  on 
esprit  serein  qu'on  peut  le  savourer. 

La  vie  aime  la  manifestatìon  esuberante;  la  jeuneBse  reclame  ses  droits 
et  vent  se  réjouir.  Avec  la  bride  de  la  beauté,  je  guide  la  joie  qui,  h- 
cilement,  aime  à  dépasser  les  bomes  du  tact  exquis.  Aux  corps  loords 
je  donne  des  ailes  de  zéphjr,  je  mets  de  la  sjmétrìe  dans  les  pas  de 
la  danse.  Tout  ce  qui  se  meut  je  le  dirige  avec  ma  baguette  ;  le  charme 
est  mon  plus  beau  don. 

Les  lettns  éorites  far  des  h0inmes  oélèbres  seront  toi^onrs  les 
bien  Tenms.  Que  oe  «oient  de  longoas  ^ttres,  lesquelias  toochent 
à  mille  détails  qui  éclairent  d*une  lumière  nouvelle  le  csractèreie 
rócrìvain,  cu  de  courts  billets,  lesquels  n'ont  peutè-tre  qu^nn  intéret 
purement  biographique,  toujours  est-il  qu^  elles  permettent  de  con- 
naitafe  mmm  la  personBaKté  et  la  tìb  mthne  de  «rioi  qui  les  a 
éorites.  Dans  cdt  ordre  d'idéds  la  oorrespeodance  mke  Schiller  et  { 
^oeithe  office  qMlqaes  lettr4»  ìntéressanies  ooneenuoit  la  nnsiqae.       | 

L^amìtié  qai  8*établit  «ntre  ces  deux  grands  bomnws  date  ^ 
l'année  1794.  A  ce  sujeft,  Goethe  s'eiprime  aìnsi  :  «  H  y  avait  tB 
Schiller  une  singolière  puissance  d'attraction  ;  il  saisissait  avecforc® 
tous  ceux  qui  s'approchaient  de  lui  ». 

Dans  les  Conversations  de  Goethe  uvee  Hckermann^  Pautaur  de 
Hermann  et  Dorothée  revient  à  plusieurs  reprises  sur  Schiller: 
€  Tout  en  lui  était  fier  et  grandiose,  mais  ses  yeux  étaient  doax! 
Et,  comme  son  corps,  était  son  talent.  H  entrait  hardimeDt  dsDS  us 
SU] et,  Texaminait,  le  tournait  de  ci,  de  là,  le  considérait  de  ce  etite' 
de  cet  autre,  le  maaiaift  à  droite,  à  ganebe.  11  ne  considérait  90D 
sujcrt;  pour  ainsi  dire  que  4u  dehors;  le  faire  se  dÓYdlopper  doQC^ 
ment  à  Tiiitérìeiir,  cela  n'était  pas  son  affaire;  son  talent  était  t^ 
obang^ant.  Ausai  n'était-il  jamais  décide  et  ne  pouvait  finir.  SoavBff^ 
9  cfaangea  encore  un  rdle  peu  avant  la  répétition.  Et  comme  il  tUùt 


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SCHILLER   ET  LA  MUSIQUE  813 

à  Tcduvre  hardimentt  il  ne  cherchait  pas  à  donner  beaucoup  de  mo- 
tìfs  à  chaque  acidon.  Je  sais  combien  J'ai  eu  da  mal  avec  luì  poar 
ChsiUaume  Teìl^  lorsqu'il  voulait  que  Geeslar  cueillit  tout  Bimple- 
ment  xlm  pelame  poar  la  faixe  tirer  sur  la  tdte  de  rentfauL  Cecì 
était  tout  à  &it  eontraire  à  ma  Datore  ;  et  je  le  persuada!  d'ameuer 
et  de  motiver  cette  cruauté  au  moins  en  montrant  l'enfant,  fier  de?aiLt 
le  bailH  de  Tadresse  da  son  pére,  et  disaut  que  celui-oi  atteindrait 
bieo  une  ponioe  sor  un  arbre  à  cent  pas.  S<^iller  d'abod'd  ne  voulait 
pas,  mais  il  se  rendit  eaa&n  à  mes  représentations  et  à  ises  priòres, 
et  fit  camme  je  hù  censeillais.  Moi,  par  ooatre,  souvent  je  motivais 
trop,  ce  qui  éloignait  mes  pièces  du  tbé&tre.  Man  Eugénie  u'est  qu'un 
pur  enchainemeikt  de  motifs,  et  cela  ne  peut  pas  réussir  sur  la  scène. 

€  Le  talent  de  ScMUer  était  tout  à  fait  créé  paor  le  tbé&tre.  Avec 
chaque  pièce  il  faisait  dee  progrès  et  marcbait  vers  la  perfection; 
cependant,  fait  curieux,  il  y  avait  en  lui,  enraciné  dapuìs  les  Bri" 
gands^  un  certain  penchant  pour  la  cruauté,  qui,  m6me  daus  san 
plus  beau  temps^  n'a  pas  touIu  Tabandonner  entièrement.  Ainsi,  je 
me  souviens  encore  parfaitement  bien  que  dans  Egmoni^  à  la  scène 
de  la  prisoUf  lorsqu'ou  Ut  à  Egmont  sa  oondamnation,  Schiller  faisait 
apparaitre  dans  le  fond  le  due  d'Albe  en  masque  et  drapé  dans  un 
manteau,  pour  qu'il  puisse  se  repattre  de  l'impresaion  que  la  cou- 
damnation  à  mort  produirait  sur  Egmont.  G'était  une  manière  de 
montrer  le  due  d'Albe  ìnsatiable  de  vengeance  et  de  joie  cruelle. 

€  Je  protestai,  et  le  personnage  fut  écarté.  Schiller  était  un  grand 
bomme  singolier.  Tous  les  huit  jours  c'était  un  étre  nouveau  et  plus 
parfait;  chaque  fois  que  je  le  reyoyais,  je  le  retrouvais  plus  riche 
de  lectures,  plus  érudit,  plus  fort  de  jugement  ». 

«  — Nous  parlàmes  alors  de  Fiesque  de  Schiller,  qui  avait 

été  joué  le  samedi  précédent.  C'est  la  première  fois,  dis-je,  que  je 
voyais  la  pièce,  et  je  me  suis  préoccupé  de  savoir  comment  on  pour- 
rait  adoucir  les  scènes  trop  violentes  ;  mais  il  me  semble  que  l'on 
ne  peut  guère  faire  des  changements  sans  détruire  le  caractère  de 
Tensemble  ». 

€  —  Vous  avez  parfaitement  raison,  répondit  Goethe,  cela  ne  peut 
pas  se  faire.  Très-souvent  Schiller  a  cause  de  cela  avec  moi,  car  lui 
méme  ne  pouvait  pas  souflfrir  ses  preooières  pièces,  et  lorsque  nous 
dirigeàmes  ensemble  le  tbé&tre,  il  ne  les  faisait  jamaìs  représenter. 


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814  MEMOaUB 

Mais  comme  nous  manquions  de  pièces  nous  aurions  bìen  aimé  à 
ajouter  aa  répertoire  les  troia  certaìnes  pièces  violentes,  fraìts  de 
sa  jeunesse.  II  n'y  avait  pas  moyen,  le  tout  était  trop  entrelacé  dans 
ces  (Buvres,  de  telle  fafon  que  Schiller  lui-méme,  désespérant  de 
Tentreprise,  abandonna  son  projet,  et  laissa  les  pièces  comme  elles 
étaient  ». 

<  —  C'est  dommage,  dis-je,  car  malgré  toutes  les  violences,  ces 
premières  pièces  me  plaisent  mille  fois  mieux  qae  toutes  les  pièces 
&ibles,  moUes,  forcées  et  sans  Datarci  de  nos  poètes  tragìques  mo- 
demos  ;  da  moins  chez  Schiller,  c'est  toojoars  un  esprit  et  an  ca- 
ractère  grandioses  qui  parlent  ». 

€  —  Je  le  crois  bien,  répliqaa  Ooethe.  Schiller  pouTait  se  toarner 
comme  il  le  vonlait;  il  ne  poavait  rien  faire  qai  ne  fùt  bien  an- 
dessas  de  ce  que  les  écrivains  actuels  prodaisent  de  meilleur;  coi, 
quand  Schiller  se  coupait  les  ongles,  il  était  plus  grand  que  ces 
messieurs  ». 

La  conversation  roula  alors  entièrement  sur  Schiller,  et  Goethe 
continua  ainsi  : 

«  La  prodactivité  personnelle  de  Schiller  reposait  dans  l'idéal,  et 
on  peut  dire  qu'en  cela  il  a  aussi  peu  son  égal  dans  une  littératare 
étrangère  que  dans  la  littérature  allemande.  C'est  à  lord  Byron  qu'il 
ressemblerait  le  plus,  mais  celui-ci  possédait  une  plus  grande  con- 
naissance  du  monde.  J'aurais  aimé  à  yoir  Schiller  et  Byron  vivre 
dans  le  méme  temps,  et  ce  que  Schiller  aurait  pu  dire  d'un  esprit 
aussi  parent  du  sien  aurait  été  curieux.  Est-ce  que  Byron  avait  déjà 
publié  quelque  chose  du  vivant  de  Schiller?». 

<  J'en  doutais,  mais  je  ne  pouvais  rien  affirmer  avec  certitude.  Goetbe 
prit  le  Dictionnaire  de  la  conversation  et  lut  Tarticle  concemant 
Byron,  tout  en  y  intercalant  9à  et  là  mainte  remarque  en  passant. 
Il  se  trouvait  que  Byron  n'avait  rien  fait  imprimer  avant  1807  et 
qu'ainsi  Schiller  n'avait  rien  vu  de  lui». 

<  A  travers  toutes  les  oeuvres  de  Schiller,  continue  Goethe, 
circule  l'idée  de  la  liberté,  et  cotte  idée  prit  une  autre  forme  à  ce- 
sure que  Schiller  avan9ait  dans  son  déyeloppement  et  devenait  autre 
lui-méme.  Dans  sa  jeunesse  c'était  la  liberté  du  corps  qui  le  préoo- 
cupait  et  qui  se  montrait  dans  ses  poésies  ;  plus  tard,  ce  fut  la  li- 
berté de  l'esprit ». 


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SGHILLBB   BT  LA  MUSIQUE  815 

«  Sì  Schiller  était  dans  sa  jeunesse  si  préoccupé  de  la  liberté  phy- 
sìque,  cela  est  dù  en  partie  à  la  nature  de  son  esprit,  et  plus  encore 
au  joug  qu'il  avait  dù  porter  lorsqull  était  à  l'École  militaire. 

«  Mais  lorsqu'il  fut  arrivé  à  sa  maturité  et  qu'il  posséda  une  li- 
berté physique  suffisante,  il  voulut  la  liberté  de  l'esprit,  et  je  pour- 
rais  peut-étre  dire  que  cette  idée  l'a  presque  tue,  car  c'est  elle  qui 
le  poussait  à  vouloir  exiger  de  sa  nature  physique  des  efforts  au- 
dessus  de  ses  forces. 

€  Lorsque  Schiller  arriva  ici,  le  grand-due  lui  destinait  une  pension 
de  mille  thalers  par  année,  et  il  s'offrit  à  lui  en  donner  le  doublé 
au  cas  où  il  serait  arrgté  dans  ses  travaux  par  la  maladie.  Schiller 
declina  cette  dernière  offre  et  ne  voulut  jamais  en  rappeler  l'exécution. 

«  J'ai  le  talent  »,  disait-il,  <  et  je  dois  savoir  me  suffire  à  moi- 
méme  ».  Mais  comme  dans  les  demières  années  sa  famille  s'augmen- 
tait,  il  fallut  pour  vivre  qu'il  écrivit  deiix  pièces  par  an,  et,  pour 
y  arriver,  il  se  for9a  à  travailler  méme  les  jours  et  les  semaines 
pendant  lesquels  il  était  souffrant  ;  il  fallait  que  son  talent  lui  obéit 
à  tonte  heure  et  fùt  à  ses  ordres. 

€  Schiller  n'a  jamais  beaucoup  bu,  il  était  très  modéré,  mais,  dans 
ses  momenta  de  faiblesse  physique,  il  chercha  à  ramener  ses  forces 
par  un  peu  de  liqueur  et  par  d'autres  spiritueux  du  m6me  genre. 
Cela  consuma  sa  sante,  et  fut  nuisible  à  ses  cBuvres  elles-mémes. 

€  Car  j'attribue  à  cette  cause  les  défauts  que  d'excellents  esprits 
trouvent  dans  ses  productions.  Tous  les  passages  auxquels  on  reproche 
peu  de  justesse,  je  les  pourrais  appeler  les  passages  pathologiques, 
car  il  les  a  écrits  à  des  jours  où  les  forces  lui  manquaient  pour 
trouver  les  bons  et  les  vérìtables  motifs  qui  convenaient  à  la  situa- 
tion.  J'ai  le  plus  grand  respect  pour  l'impératif  catégorique  de  l'àme, 
je  sais  combien  de  bien  il  peut  produire,  mais  il  ne  faut  pas  le 
pousser  trop  loin,  car  sans  cela  cette  idée  de  la  liberté  absolue  de 
l'esprit  ne  méne  certainement  plus  à  rien  de  bon  ». 

« Plus  un  homme  est  élevé  »,  dit  Goethe,  €  plus  il  est  sous 

l'iofluence  des  démons,  et  il  doit  toujours  prendre  garde  que  sa  ve- 
lente  ne  suive  une  fausse  route.  Ainsi  quelque  puissance  supérieure 
a  dirìge  ma  liaison  avec  Schiller  ;  nous  pouvions  nous  lìer  plus  tdt 
ou  plus  tard  ;  que  cette  liaison  se  nouàt  justement  à  Tépoque  de 
mon  retour  d'Italie,  et  quand  Schiller  commen9ait  à  étre  las  de  spé- 


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816  miioRiM 

cnlations  philosophiques,  (fest  là  un  fait  qui  a  ra  pour  n<ms  deux 
les  plus  ^nds  résnltats  ». 

<  Yoilà  vnigt  aB6  que  le  public  dispute  p<mr  8a?oir  quel  est  la 
pTus  grand:  Sebiller  ou  mei.  Ile  devraìent  étre  bfen  contenta  qu*il 
y  art  là  deux  gaillards  sur  lesquels  en  peut  dispiter  ». 

Panni  cenx,  qui  plafaient  Goethe  au-dessus  de  Schiller,  se  trwi- 
vait  naturellement  Zelter,  Tami  intime  de  Goethe.  Dans  une  conTor- 
sation  que  Lobe  ent  avec  Zelter,  à  ToccasiOD  d'une  tournée  artistiqne 
qui  amena  le  premier  à  Berlin,  nons  rapportons  les  iétaìls  snifants, 
que  Lobe  a  publiés  dans  ses  FeuiUes  vóUmka  sur  ìa  Ifioifue,  sow 
le  titre  ConversaUons  avec  Ghethe  ei  Zeltec 

«  Dans  le  courant  de  notre  entretien  nons  en  tìnmes  à  parìer  des 
autagonistes  de  Ooetiie  rappelant  que  parmi  ces  demiets  il  s'en  iarouf  ait 
qui  luì  préféraient  Schiller.  Les  yenx  de  Zelter  eommenfèrenf  à 
briller. 

«  La  vilaine  engeance  »,  s'écrìa-t-il,  «  elle  m^a  donne  jadis  du  fll 
à  retordre  quand  je  voulais  la  combattre  aree  dea  ai^uments  Solidea. 
Mais  c'était  une  bétise  de  ma  part,  parceque  je  croyaiB  à  la  cevrer- 
Sion  de  rimbécìlKté  hrumaine.  Depuis,  je  me  suis  tranquillisé  à  ce 
SQjet  Tbì  terrassé  mes  contradicteurs  et  je  les  ai  mis  en  foHe  ayse 
ma  brusquerie  habituelle,  qui,  Dieu  merci,  est  tonfonrs  à  ma  dispo" 
sition.  Tout  le  respect  à  Schiller,  naia  crini  qui  le  met  aa  méme 
rang  que  Goethe,  ov  mfime  ose  le  piacer  au-dessna  de  lui,  ne  peni 
pas  plus  mesurer  la  grandeur  dea  esprita,  qie  celui  qui  s'innigiBe 
que  le  coq  qui  se  treuve  sur  la  tour  de  sa  petite  églìse  esft  ansai 
élevé  que  le  Mont-Blanc  !  » 

Jean-Christtun  Lobe,  né  à  Weimar  le  30  mai  1797,  laort  à  Leipxi; 
le  27  juillet  1871,  Autiste,  théorìcien  et  compositeur  des  plus  dìs- 
tÌDgués,  s*est  fait  une  grande  réputation  par  ses  oeufres  didactiquei 

Chaslbs-Frédérig  ZfiLTKR,  né  à  Berlin  le  11  décenbre  1758,  moct 
dans  la  méme  ville  le  15  mai  1832,  ^ccellent  Tioloniste  et  con^ 
»iteur,  a  été  le  professeur  d'harmonie  de  Mendelssohn  ;  il  dirigeait 
a?ec  grand  taleut  la  Singakademie  et  fiit  fondateur  de  la  Léeder- 
tafel  à  Berlin.  La  très  intéressante  cerreqpoidance  entro  Goethe  et 
Zelter  a  pam  de  1833  à  1836  en  sii  volumes. 

En  parlaut  de  Sdiiller,  Goethe  disait  encore  à  Eckermaan  :  «  Quei 
que  le  but  que  nous  poursuiriona  fùt  le  méme,  nos  deux  natsres 


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8GHILLIR  ST  LA   BffUSIQDE  817 

étaient  bien  différentes  ;  notre  liaison  derint  par  li  sì  intime,  que 
l'un  ne  pouvaU  réellement  pas  yÌYre  saiis  l'autre  ».  Goethe  me  ra- 
conta  ensttite  qnelqnes  anecdotes  sur  sou  ami,  qui  me  parnrent 
très-caractéristiques. 

«  Schiller,  dit-il«  comme  on  doit  bien  le  penser,  d'un  caractère  si 
grandiose,  avait  une  répugnance  très  prononcée  pour  toutes  les  dé- 
monstrations  d'admiration  cxeuse^  pour  toutes  les  fades  apothéosea 
qu'oB  lui  iaiaaii  on  qu'  on  voulait  lui  faire.  Lorsque  Eotiebue  eoi 
l'iittention  de  Touloir  célébrer  sa  gioire  daBS  une  démonatration  pn* 
bliqne,  Sebiller  tomba  preeque  malade,  tant  était  profonde  son  antipa- 
thie  pour  des  scènes  pareilles.  La  risite  d*  nn  étranger  lui  était  aussi 
désagréable.  Lorsqu'ìl  ne  pouvait  recevoir  immédiatement  V  étranger 
qui  se  présentait  chez  lui,  s'il  lui  avait  donne  rendez-vous  pour  quatre 
heures  de  Taprèa-midi^  Tappréhenaion  de  ce  moment  le  reiidait  posi^ 
tiiement  malade.  St  pariois  aossi,  dans  de  pareilles  cirooostances, 
Vimpatienoe  le  prenait  et  il  deyenait  méme  un  peu  brusqne. 

«  J'ai  été  témeÌD  un  jour  de  la  manière  peu  ayenante  avec  laquelle 
il  re9nt  un  ebirurgien  étranger,  lequel,  pour  lui  faire  une  risite, 
était  entré  sans  se  faire  annoncer,  de  telle  &9on  que  le  pauvre  homme, 
tout  décontenancé,  ne  savait  comment  se  retirer  assez  vite. 

€  Nous  étions,  comme  je  vous  le  disais  et  comme  nous  le  savons 
tous  >,  continue  Goethe,  <  deux  natures  differente»,  non  senlement 
au  point  de  vue  intellectuel,  mais  ausai  aa  point  de  vne  physiqne, 
L'atmosphère  qui  faisait  du  bien  à  Schiller  était  pour  mei  dn  poison. 
Un  jour,  je  vais  chez  lui  ;  il  n'était  pas  là  ;  sa  femme  me  dit  qn'il  allait 
rentrer  bientdt;  je  m^assieds  à  sa  table  de  travail,  pour  prendre 
quelques  notes.  JTétais  assis  depuis  quelques  instants,  lorsque  je  me 
sentis  je  ne  sais  quel  malaise  qui  augmenta  jusqu'à  ce  qu*enfin  je 
fusse  sur  le  point  de  me  trouver  mal.  Je  ne  savais  à  quei  attribuer 
cet  état  misérable  qui  m'était  tout  à  fait  extraordinaire,  quand  je 
reniarquai  que  d'un  tiroir  près  de  moì  sortait  une  odeur  désagréable. 
Lorsque  je  Touvris,  je  le  trouvai  à  mon  grand  étonnement  rempli 
de  pommes  pourries.  J'allai  ausai  tdt  ouvrir  une  fenétre  pour  aspirer 
Taìr  frais  qui  me  remit  à  mon  aise.  La  fenune  de  Schiller,  qui  en- 
trait,  me  dit  alors  que  ce  tiroir  devait  toujours  étre  plein  de  pommes 
pourries,  parco  que  leur  odeur  plaisait  à  Schiller  et  qu'il  ne  pouvait 
vìvre  et  travailler  sans  elle  ». 


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818  MBMOaiE 

Cependant,  il  convient  d'ajouter,  que  Berlioz  ne  croyait  pas  à  la 
sìncérité  absolue  de  Tamitié  de  Goethe  envers  Schiller. 

Dans  ses  «  Mémoires  »  le  célèbre  compositeur  fran^ais,  parlant 
da  séjoar  qu*il  fit  à  Weimar,  s'exprime  ainsi  : 

*  .  .  . .  Voilà  Weimar.  —  A  la  bornie  heure,  je  respire  ici  !  Je  sens 
qnelqne  chose  dans  Tair  qni  m'annonce  une  ville  littéraire,  nne  ville 
artiste  !  Son  aspect  répond  parfaitement  à  Tidée  que  je  m'en  étais  faite, 
eUe  est  calme,  Inmineuse,  aèree,  pleine  de  paiz  et  de  réverie;  des  alen- 
tours  charmants,  de  belles  eanx,  des  coUines  ombreoses,  de  riantes  vallées. 
Gomme  le  coBor  me  bat  en  la  parcourant!  QaoiI  c'est  là  le  pavillon  de 
Goethe  I  Yoilà  celai  où  fea  le  Grand-Dac  aimait  à  venir  prendre  part 
aaz  doctes  entretiens  de  Schiller,  de  Herder,  WielandI  Cette  inscription 
latine  fat  tracée  sar  le  rocher  par  Tautear  de  Fausti  £st-ce  possible? 
ces  deax  petites  fenétres  donnent  de  l'air  à  la  paavre  mansarde  qn'habita 
Schiller  I  C'est  dans  cet  hamble  rédait  qae  le  grand  po^te  de  toas  les 
nobles  enthoasiasmes  écrivit  Don  Carlos,  Marie  Stuart^  les  Brigands, 
WaUensteinX  C'est  là  qu'il  a  véca  comme  an  simple  étadiant  Ah!  je 
n'aime  pas  Goethe  d'avoir  soaffert  cela!  Lai  qai  était  riche,  ministre 
d'Etat...  ne  poavait-il  changer  le  sort  de  son  ami  le  po^te?...  oa  cette 
illastre  amitié  n'eat-elle  rien  de  réell...  Je  crains  qa'elle  ait  été  vraie 
da  coté  de  Schiller  sealement!  Goethe  s'aimait  trop;  il  chérìssait  trop 
aassi  son  damné  fils  Méphisto  ;  il  a  véca  trop  vieaz;  il  avait  trop  peor 
de  la  mort. 

'  Schiller!  SchiUer!  ta  méritais  an  ami  moins  hamain!  Mes  yeox  ne 
peavent  qaitter  ces  étroites  fendtres,  cette  obscare  maison,  ce  toit  mi- 
sérable  et  noir  ;  il  est  ane  beare  da  matin,  la  lane  brille,  le  froid  est 
intense.  Toat  se  tait;  ils  sont  toas  morts...  Pea  à  pea  ma  poitrine  se 
gonfie;  je  tremble;  écrasé  de  respect,  de  regrets  et  de  ces  affections 
infinies  qae  le  genie  à  travers  la  tombe  inflige  qaelqaefois  à  d'obscars 
sarvivants,  je  m'agenoaille  aapròs  de  l'hamble  seail,  et,  soaffiiunt,  admi- 
rant,  aimant,  adorant,  je  répòte  :  Schiller!...  Schiller!...  Schiller I...  ,. 


Dans  la  correspondance  entre  Goethe  et  Schiller,  dont  nous  donnons 
ici  qnelques  extraits,  noas  retroavons  en  premier  lien  les  noms  des 
deux  musiciens  J.  Fr.  Beichardt  et  Zelter  déjà  cités  plus  haut. 


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SCHILLER   BT  LA  MUSIQUE  819 

1.  —  Schiller  à  Goethe. 

Jena,  le  15  mai  1795. 
Beichardt  yient  de  nous  faire  offrir  sa  collaboration  pour  les  Heures, 


par  rentremise  de  Hofeland. 

2.  —  Goethe  à  Schiller. 

Weimar,  le  16  mai  1795. 

Il  est  impossible  de  renvoyer  Beichardt;  mais  il  faut  qae   vons 

teniez  son  importanité  en  bride. 

11  est  à  sapposer  qae  l'offre  de  Beichardt  de  collaborer  à  la  pu- 
blìcation  des  Heures^  ne  souriait  pas  trop  aux  deux  poètes  et  que 
pour  se  venger  de  leur  indifférent  dédain,  Beichardt  les  flagella  dans 
ses  écrits. 

8.  —  Schiller  à  Goethe. 

22  janvier  1796. 

Voici  une  petite  liyraison  d'épigrammes.  Ne  faites  pas  copier  celles 

qui  ne  vons  plairont  point 

Songez  dono  à  régaler  notre  soi-disant  ami  Beichardt  de  quelques 

Xenies.  H  yient  de  donner,  dans  le  journal  Deutschland  qu'ódite  Unger, 
une  critique  des  Heures,  dans  laquelle  il  s'émancipe  horriblement  contre 
Yos  Entretiens  et  autres  articles,  tandis  qu'il  cite  longuement  ceuz  de 
Fichte,  de  Woltmann,  et  les  signale  comme  des  modòles.  Puisque  cet 
homme  nous  attaque  sans  raison  et  sans  ménagement,  il  faut  le  pour- 
suivre  à  outrance  dans  le8  Heures.  Voici  encore  quelques  flèches  qui, 
je  l'espère,  sauront  bien  atteindre  messieurs  nos  amis,  et  leur  entreront 
tout  droit  dans  la  chair ^ 

Or,  parmi  ces  épigrammes  il  s'entrouvait  une  à  Tadresse  de  Bei- 
chardt: 

LiherU, 
"  La  liberté  est  une  parure  merreilleuse.  Mais,  ainsi  que  nous  pouvons 
le  constater,  elle  va  à  certains  indiyidus,  comme  un  collier  à  un  porc!  ,. 

4.  —  Goethe  à  Schiller. 

Les  épigranmies  ne  sont  pas  encore  copiées,  et  je  crains  que  vous 

ne  me  devanciez  teUement  sur  cette  route  que  je  ne  puisse  plus  vous 
j  rejoindre.  La  quinzaine  prochaine  est  comme  non  avenue  pour  moi. 
Le  nouvel  opera  nous  donne  bien  de  Touvrage,  mais  aussi  ce  sera  quelque 
chose  de  jojeux  et  d'édifiant 


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S20  MEMORIE 

L'opera  dont  il  est  iet  qireatioiiY  étaìt  Le$  modemes  Arcadiens^ 
opera  héfoI-cQinìqua  en  deux  actes,  texte  de  Christian  Auguste  Yuir 
pms  (1762-1827),  musiqoe  de  F&AK901S  Xayiss  StLssMETSR,  né  en  1766 
à  Stayer,  petite  ?ille  de  la  Haute-Autrìch«,  et  qid  uourui  à  Vieime, 
le  17  septembre  1803.  Sùssmeyer  avait  été  Télève  favori  de  Mozart, 
dont  il  termina  le  fameax  Bequiem  que  Mozart  avait  laissé  inacheyé 
à  sa  mort.  SdssmeTer  sìittribuait  les  quatre  demiers  morceaux  da 
Bks  irae^  k  Scmeii$9,  le  Bénédkfw  et  T Agnus  Bei.  On  ae  savrait 
poasser  plus  loin  la  modestie  et  l'abnégatfon.  La  Térìté  est  que 
S&ssiaeyer  a  bien  paracfaevé  Tinstrameiitation  da  B^g^ùem,  mais 
qoant  à  la  composition  des  quatre  morceaux  dont  il  s'attribue  la 
paternité»  il  les  a  écrìts  sui  les  esquisses  que  le  maitre  lui  avait 
confiées  avant  d*expirer.  Dans  aucune  de  ses  nombreuses  oeuvres, 
Sussmeyer  ne  s*est  élevé  à  la  hauteur  de  Tinspiration  mozartienne, 
à  ces  traits  de  genie  qui  distinguent  les  productions  du  grand  maitre 
de  Tart  musical. 

5.  -.  Ooethe  à  Schiller. 

Weimar,  le  23  janvier  1796. 

Me  voici  sur  le  point  de  mener  une  vie  bien  dissipée.  Les  priaces  et 
les  prìncesaes  de  Darmstadt  arrìvent  aujourdliui.  Demain  il  y  aura 
grande  reception  à  la  cour,  puis  dìner,  concert,  souper  et  bai  masqué. 
Lundi  la  représentation  de  Don  Juan. 

•Att  sujet  du  célèbre  opera  Don  Juan  de  Mozart,  Ooetbe  écrivit 
encore  à  Schiller  les  lignes  suivantes  :  «  Si  vous  aviez  pu  assister 
demièrement  à  la  représentation  de  Don  Juan^  vous  y  auriez  vn 
réalisées  toutes  vos  espérances  au  sujet  de  Topéra.  Mais  aussi  eette 
pièce  est  tout  à  fait  seule  de  sen  genre,  et  la  mort  de  Mozart  a 
détruit  tornì  espoìr  de  voir  jamais  qaekque  ebose  de  sembtable». 

6.  —  Goethe  à  Schiller. 

Weimar^  le  81  janvier  1796. 
Je  vois  par  votre  lettre   que  Beidìardt  réd^  ea  m6me  tempe 


l'écrit  pérìodiqne  Im  Fnmce  et  c^ui  intìtnlfé  DeutsMand  (l'Alkmagne). 
Si  c'est  en  effet  lui  qui  s'est  émaocipé  de  la  sorte,  noQS  coavnrons  sa 
veste  de  buffle  de  tant  de  dragées  en  platre,  à  la  fa^oD  du  camaval  de 


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SCHILLER  XT  LA  MUSIQUE  8St 

Rome,  qn'on  le  prendra  ponr  un  perroqnier.  Nons  connaissons  ce  faux 
ami  defoia  longtemps,  et  si  nous  avons  été  indulgeiits  envers  ses  impo- 
litesses  en  general,  c'est  parce  qae  ìndivìdoellemeiLt  il  a  tQ^j<><^^^  P^J^ 
son  tribat  avec  beaucoap  de  régnlarité  :  mais  poisqu'ìl  £Edt  mine  de  von- 
loir  le  refoser,  h&tons-nons  de  lui  envojer  un  Pacha  à  trois  qaenea  da 
renard  enflammé.  Je  viens  dójà  de  lai  consacrer  une  dizaine  de  diatiques; 
si  Dieu  le  permei^  vons  les  aorez  mercredi  prochain. 

7.  —  Schiller  à  Goethe. 

Le  ai  janvier  '96. 

Vons  ponvez  dtre  certain  qae  Beichardt  est  le  rédacteor  de  la 

jeune  AUemagne,  et  qa^  a  dit  beaacoap  de  mal  de  vos  Entretiens, 
qaoiqne,  dans  le  méme  article,  il  yoas  loae  à  pleine  bonche,  lai  oa 
l'aatear  de  oet  artlcle,  ce  qni  est  la  méme  chose  ponr  noas.  J'ajoaterai 
que,  mdme  aa  point  de  vae  littóraire,  cette  critiqae  est  one  prodaction 
miflérable.  Le  livre  de  Heinses,  dont  je  vìens  de  lire  le  compte-renda 
avec  pio»  d'attenlion,  est  Yortement  critiqaóf  ce  qui  me  fait  beaoeoup 
de  peine,  atitendn  qa'ane  stapidité  est  moins  sajette  a  ótre  eritiqaée..... 

Le  livre  dont  parie  Schiller  est  no  roman  musical  intitulé:  «  Hil- 
degw^d  de  Hóhenthali^,  de  J.  J.  Wtlhdm  Heinses  (1749-1803). 

8.  —  Goethe  à  SchiUer. 

Weimar,  le  4  fóvr.  '96. 

Le  noavel  opera  (Les  modemes  Arcadiens  de  Sùssmejer)  a  obtenu 
le  Bofi&age  de  la  foale;  il  prodait  effectivement  dans  son  ensemble  un 
bel  effei  La  musiqae  n'est  pas  profonde,  mais  très  agréable,  les  costumes 
et  les  décorations  ont  fait  une  bonne  impression.  Je  yous  enverrai  un 
de  ces  jours  le  liyret,  afìn  qae  vous  puissiez  vous  convaincre  de  la  marche 
singuliàre  et  archi-allemande  que  suit  le  thó&tre  allemand 

9.  —  SchiUer  à  Goethe. 

Jena,  10  juin  '96. 

Je  YOUS  rappelle  que  vous  aviez  Tintention  d'adresser  une   lettre 

à  Zelter  à  Berlin,  dans  la  quelle  je  vous  prie,  de  consacrer  deuz  mots 
à  notre  Almanach.  Lorsque  vous  l'aurez  ainsi  prévenu,  je  lui  écrirai 
aussi  et  lui  euTerrai  quelque  chose  à  composer 


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822  MBMoan 

10.  —  Goethe  à  Schiller. 

Weimar,  le  18  juin  '96. 
Salnez  bien  Voss  de  ma  part  et  renouvelez-loi  en  mon  nom  la  rela- 
tion qui,  d'apròs  sa  nature,  ne  ponrra  que  s^améliorer  encore.  Si,  comma 
je  ne  le  désire  nnllement,  il  y  a  encore  d'aatres  hòtes  présente,  je  yeux 
leur  offiìr  de  suite  un  cadeau  amicai  :  '  Viens  seulement  de  Giebichen- 
Stein,  de  Malepartus  I  Tu  n'es  tout  de  mdme  pas  Beìnecke,  tu  es  à  demi 
ours  et  à  demi  loupl  „ 

Ce  Xénion  était  dirìge  contre  Beicfaardt  que  les  deux  amia  avaient 
surnommé:  Le  PointUleux  de  Oiebichenstein. 

11.  —  Goethe  à  SchiUer. 

Weimar,  22  juin  '96. 

Zelter  à  Berlin  est  prévenu.  Il  serait  bon  que  yous  lui  écrìviez 

aussi  de  suite.  J'ai  un  lied  de  Mignon  qui  dans  le  roman  n'est  que 
mentionné  et  que  je  voudrais  voir  fìgurer  dans  TAlmanach.  La  qnestion 
se  pose,  s'il  ne  vaudrait  pas  mieux  s'entendre  confidentìellement  avec 
Ungem  ?  S'il  répondait  de  méme,  la  déclaration  de  guerre  que  nous  ne 
pouvons  plus  différer  serait  ainsi  un  fait  accompli: 

La  *  déclaration  de  guerre  „  était  dirìgée  contre  Beichardt  à  qui  on 
veut  retirer  la  composition  de  Mignon,  qu'on  lui  avait  précédemment 
confiée. 

12.  —  Schiller  à  Goethe. 

Jena,  le  24  juin  1796. 

J'écrirai  à   Zelter,  aussitdt   que  je   saurai   que   lui   envoyer.  Me 

conseillerìez-YOus  de  faire  mettre  en  musique  mon  poème  de  Cérès  ?  Je 
croìs,  que  ce  serait  un  excellent  thème  pour  le  chant,.8'il  n'est  pas  trop 
long.  En  attendant,  et  à  Texception  de  tos  propres  oeuvres,  il  n'j  a  pas 
à  espérer  autre  chose  de  convenable  pour  la  musique. 

C'est  une  idée  délicieuse  que  vous  avez  de  vouloir  omer  l'Almanach 
d'un  chant  extrait  de  Wilhelm  Meister.  En  yérìté,  nous  pouyons  étre 
fiers  de  VAlmanach  de  cette  année. 

Il  s'agit  ici  dii  poèrae  de  Schiller,  intitulé  Plainte  de  Cérès, 
déesse  de  la  juste  mesure  et  de  la  répression,  ennemie  de  tout  excès 
et  de  tout  désordre. 

Cette  poesie  commence  ainsi  : 

*  L'aimable  printemps  a-t-il  para? 
La  terre  s'est-elle  rajeunie?  , 


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SCHILLER   ET  LA  MU8IQUE  823 

13.  —  SchiUer  à  Goethe. 

Jena,  le  1'  aoùt  '96. 

Après  bien  des  hésitaidons  chaqae  chose  arrive  néanmoins  à  reprendre 
sa  vérìtable  place.  De  prime  abord  les  Xénies  étaient  destinées  à  n'étre 
qa'one  amnsante  boofifonnerìe,  une  niche,  calccdée  sor  le  moment  m6me, 
et  ainsi  c'était  bien.  Mais  il  y  avait  excòs,  ce  qui  fit  déborder  le  vase. 
Après  avoìr  mùrement  réfléchi  à  la  chose,  j'ai  trouyé  la  solation  la  plus 
natorelle  da  monde  poor  satisfaire  à  la  fois  vos  désirs  et  la  conyenance 
de  VAlmanach, 

Ce  qui  poavait  à  la  rignenr  avoir  droit  à  une  certaine  universalité  et 
qui  me  mit  en  les  rédigeant  dans  un  grand  embarras,  c'étaient  les  Xénies 
philosopbiques  et  purement  poétiques,  bref,  les  Xénies  innocentes,  mais 
aussi  celles  qui  d*après  la  première  idée  ne  l'étaient  pas.  Si  nous  pla9ons 
celles-ci  dans  la  première  et  la  plus  sérieuse  partie  de  TAlmanach,  parmi 
d'autres  poésies,  et  que,  par  contre,  tout  à  part  et  à  la  fin  de  la  pre- 
mière partie,  nous  classions  les  gaies  sous  le  nom  de  Xénies,  comme 
no^s  avons  fait  Tannée  passée  pour  les  Épigrammes,  alors  tout  serait 
sauyé.  Mises  ensemble  et  sans  mélange  ayec  les  sérieuses,  elles  perdent 
beaucoup  de  leur  saveur  amère;  la  bonne  humeur  qui  les  distingue  en 
general  excuse  chaque  Xénie  isolée,  comme  vous  avez  fait  la  remarque 
Yons  mème  et,  en  mème  temps,  elles  présenteront  en  quelque  sorte  un 
tout  complet  De  méme  aussi  les  coups  portés  à  Beichardt,  nous  les 
mélangerons  dans  Tensemble  au  lieu  de  les  piacer  en  téte,  comme  nous 
Tayons  d*abord  fait.  D'un  coté  Vhonneur  et  d'un  autre  coté  Voffense 
étaient  tròp  grands,  quand  nous  lui  fìmes  cette  distinction.... 

14.  —  SchiUer  à  Goethe. 

Jena,  9  oct  '96. 

Etes-vous  content  de  la  musique  ?  Tout  ce  que  j'en  ai  entendu  dans 

une  exécution  assez  imparfaite,  m'a  beaucoup  più.  Mignon  est  touchante 
et  gracieuse;  de  mème,  La  Visite  de  moi,  m'a  produit  aussi  une  très 
bonne  impression.  Voulez-vous  avoir  la  bonté,  de  ces  7  exemplaires  des 
mélodies  ci-jointes,  d'envoyer  6  à  Herder  et  1  au  ConseiUer  intime 
Voigt? 

15.  —  Goethe  à  Schiller. 

Weimar,  10  oct  '96. 

Je  ne  puis  encore  rien  dire  de  la  musique.  Je  l'ai  entendu  exé- 

euter,  mais  ayec  les  compositions  de  Zelter,  remplies  de  particularités. 
Cela  ne  suffit  pas;  il  faut  d'abord  se  familiariser  avec  celles-ci. 


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824  MKMoaiB 

16.  ^  SchOler  à  Godhe. 

Jena,  le  16  oct  '96. 

Voos  devriez  bien  lire  le  nouyel  article  da  Journal  DeutschUmd. 

L'insecte  n'a  pas  su  faire  aatr^ment  que  de  piquer  de  noayeau.  Yraimeat 
noos  devrions  le  harceler  jasqu'à  ce  que  mort  s'en  soive,  sans  cela  nons 
n'aurons  jamais  de  paiz.  Il  a  déversé  tonte  sa  mediante  bOe  conlre 
Celliniy  et  pour  vons  chioaner  il  a  loué  et  donne  méme  les  extraits  qne 
voos  avez  laissés  de  coté,  etc 

On  dit  que  Beichardt  se  trouve  actnellement  à  Leipzig,  mais  ni  Kie- 
thammer,  ni  Paolns,  ne  Tont  aperta 

Dans  cette  lettre,  Schiller  fait  allusion  à  la  Xénie^  intitulée  :  Le 
Signe  du  Scorpioni  €  Mais  voicì  venir  un  mécbant  insecte  de  G.  b.  n.; 
il  s'approche  Tair  caressant:  ai  vous  ne  fuyez  vous  étes  piqué  ». 

Ce  distique  était  dirige  contre  Beichardt,  qm  vivait  alors  à  Gtie- 
bichenstein,  près  de  Halle. 

17.  —  Goethe  à  Schiller, 

Weimar,  le  19  oci  1796. 

n  faudra  laisser  aboyer  un  bon  moment  le  Spitz  de  Giebichenstèin 

(Beichardt),  jusqu'à  ce  que  nous  puissions  enfin  le  &apper  plus  surement. 
En  general,  on  doit  traiter  tous  les  opposants  négatifs  qui  veulent  arra- 
cher  les  plumes  à  ce  qui  existe,  de  la  méme  manière  que  ceux  qui 
nient  le  mouvement  :  il  n'ya  qu'à  marcher  continuellement  deyant  leurs 
yeux.  Je  crains  que,  dans  Téloge  des  morceaux  supprimés  de  CdUni,  U 
ne  cache  une  arrière-pensée. 

Gomme  il  est  en  possession  de  l'originai,  je  redoute  qu'il  ne  reta- 
blisse  les  endroits,  supprimés  par  moi  et  qu'il  ne  fasse  imprimer  l'en- 
semble au  complet,  car  il  est  capable  de  tout..... 

18.  —  Schiller  à  Goethe. 

Jena,  le  9  dèe  '96. 

La  Nouvelle  Gazette  de  Hcmibourg,  que  je  joins  ici,  tous  prouvera 

qu'on  n'a  pas  encore  vide  son  carquois  contre  nous.  L'idée  de  cette  le- 
partie  ne  serait  pas  mauvaise  si  elle  n'était  pas  si  maladroitement  exécutée. 
N'y  aurait-il  pas  sous  jeu  un  Beichardt,  —  ou  Baggesen  —  peut-étre  ?..«- 

19.  —  Schiller  à  Goethe. 

25  dèe  '96. 
Le  colis  de  ce  jour  a  déjà   été  remis  avant-hier   à  la  messagòre  et 
aujourd'hui  on  me  le  retoume,  parce  que  oelle-ci  n'a  pas  pu  se  metfa« 


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8GHILLBB  XT  LA   MUSIQUB  HSÒ 

«n  roni»  à  coBse  de  l'inonéation.  €e  contretempe  fàchenz  m'ost  donblemeiit 
désagréable  oomm«  rcfoa  poureK  jmger  d'après  le  oositeiiia  én  «olà. 
Beidiardt  B'«st  remoé  et,  soiyant  mes  próvìsioiis,  il  ne  ybuì  btoìt  à  &ire 
qa'aTec  moi  et  feint  d'dtre  Fotre  ami  Ckmune  il  s'appoie  sor  oe  système 
de  Béparartdon,  il  me  panlt  orgent  d'opposer  à  notre  ad^enaire  notve 
BBÌon  m.  étroite.  Je  ne  doÌB  pas  ignenter  son  «ttaqne  iTìBcitwite,  oomme 
TOQS  -le  jngerez  ToiBS-mdme:  la  répliqae  doit  dtre  prompte  et  decisive. 
J'y  joins  ìd  le  bronìllon  de  cette  réponse  qne  je  somnets  à  votro  ap- 
probatiofn.  Si,  poor  Ini  fermer  phis  sùrement  la  bondbe,  vaia  yooliee 
ajonter  qnelqnes  mots,  cela  me  serait  d^antant  plus  «gróabte..^. 

n  s'agit  ici  du  10»»  nutnèro  du  jonmal  Beutschìand,  redige  par 
Beichardt,  et  qui  contenait  une  déclaration  de  Tauteur  au  public  sur 
les  Xénies,  que  Keichardt  qualifìe  de  pasquìnades  d'un  poète  rempli 
de  morgue,  et  dans  laquelle,  en  tertnes  irrités  et  blessants,  Eeichardt 
parie  de  son  dédain  poor  la  oonduite  basse  et  mépriaable  que  Schiller 
aurait  tenne  envers  lui^  tandis  que  Q«ethe  i^ec  boh  véritable  genie, 
mSme  qnand  il  le  déshonore  par  des  écarts  de  langage,  pent  eaoore 
avoir  quelque  droit  à  une  considération  justìfìée  par  son  morite. 

20.  —  Goethe  à  Schiller, 

27  dèe.  '96. 

Je  re^oifi  Totre  colis  à  un  moment  où  n'ai  pas  la  tdte  assez  reposée 
ponr  m'oeonper  sénensement  de  cette  affaire,  ni  ponr  prendre  une  de- 
cision  ferme  à  son  égard.  Laissez-moi  vons  esprimer  à  peu-près  joaon 
opinion,  et  ne  vous  h&tez  pas  trop.  Ponr  sa  réplique  Tadversaire  a  pris 
tont  son  temps;réflécbÌB6ons  mùrement  gb  écartant  tonte  précipitation 
passionnée;  comme  il  n'j  a  aucun  terme  fixé  pour  la  réponse,  tout 
l'avantage  est  de  notre  coté.  Cela  est  d'antant  plus  nécessaire,  que 
oette  affaire  doit  dtre  tndtée  d'nne  £ft9on  circonspecte  et  prosalque. 
Le  premier  mot  devra  avoir  déjà  une  importance  extréme.  Je  déske 
que  notre  prose  soìt  anssi  estbétiqae  que  possible,  parlante,  jxuidiqne, 
soi^iistique,  voire  mdme  amnsante  et  que,  par  sa  liberté  et  sa  vue  d'en- 
semble, elle  rappelle  celle  des  Xéniea,  Votre  artiole  me  porait  trop  sé- 
rìenx  et  trop  bon  enfeuit  Vons  descendez  lihrement  dans  l'arène  du 
combat  en  laissant  à  votre  adversaire  tous  les  avantages.  Yous  videz  la 
qnereUe  en  vons  livront^  sans  £ftire  usage  des  armes  que  vous  avez  sous 
la  maini 

A  voi  d'oiseau,  voici  ma  pensée  sor  oette  affledre:  Un  antenr  anonjme 
ródigeant  deux  joumaux,  attaque  un  autre  auteur  qui,  lui,  signe  ses  ar- 


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tsao  MEMoau 

tides  dans  son  journal  et  dans  8on  Almanach;  il  se  plaint  d'avoir  éié 
calomnié  et  attaqué  comme  citoyen  dans  quelqaes  poésies! 

M'est  avis  qae,  dans  cette  occasion,  on  doit  réolamer  de  luì  qu'ìl  sorte 
de  rincognito  dans  lequel  il  s'enveloppe  et  qa'il  signe  de  son  yàitable 
nom  les  articles  dans  son  journal,  afin  que  Ton  puisse  au  moins  con- 
naltre  Tennemi;  deuxiòmemènt,  qu'il  fisisse  réimprimer  les  poésies  qu'il 
dìt  étre  dirigées  contre  sa  personne,  pour  que  l'on  sache  de  quoi  il 
est  question  et  sur  quelle  raison  la  dispute  se  base.  Ces  deux  demandes 
préliminaires  doivent  dtre  élucidées  en  tout  premier  lieu;  elles  embar- 
rasseront  cruellement  l'adversaire  et,  de  quelque  coté  qu'il  se  toome, 
nous  aurons  toigours  la  facilité  de  le  persiffler.  De  cette  manière,  Taf- 
faire  prendra  une  toumure  amusante;  on  gagnera  du  temps;  d'aatres 
adyersaires  s'en  méleront  peut-étre  aussi,  à  qui  on  pourra  de  ci,  de  lik,  ^ 
décocher  quelques  camouflets.  Puis  le  public  deviendra  indifférent  et, 
ainsi,  tous  les  avantages  seront  pour  nous. 

Je  trouverai  probablement,  pendant  mon  vojage,  un  moment  de  bonne 
humeur  et  le  temps  nécessaire  pour  faire  Tessai  d'un  article  dans  le 
sens  voulu.  Comme  nous  ayons  des  amis  qui  s'intéressent  à  nous,  il  ne 
nous  faut  pas  nous  lancer  dans  cette  affaire,  sans  leur  demander  au  préa- 
lable  le  concours  de  leurs  bons  conseils 

21.  —  SchiUer  à  Goethe. 

Jena,  le  7  juillet  1797. 

J'ai  décide  que  la  partie  musicale  de  V Almanach  devait  dire  ter- 

minée  avant  toutes  les  autres  ;  sans  cela  le  compositeur  n'aurait  jamais 

finì 

22.  —  Schiller  à  Goethe. 

Jena,  29  dèe.  '97. 

J'avais  toigours  espéré  que  la  tragèdie  sortirait  de  Topéra  sous 

une  forme  plus  noble  et  plus  belle,  comme  jadis  elle  est  sortie  des 
choeurs  des  fétes  de  Bacchus.  Dans  Topéra,  en  effet,  on  s'abstient  de 
tonte  imitation  servile  de  la  nature,  et  bien  que  cela  ait  lieu  seulement 
par  une  sorte  de  tolérance,  l'idéal  dramatique  ne  pourrait-il  pas  se  gli^er 
sur  la  scène  par  la  mème  YOÌe?Par  la  puissance  de  la  musique,  par  Texci- 
tation  de  la  sensibilité  que  cet  art  afifranchit  de  ses  grossières  attaches, 
l'opera  predispose  la  pensée  aux  plus  nobles  sentiments  ;  la  passion  elle- 
mème  s'j  montre  comme  un  libre  jeu  parce  que  la  musique  l'accompagne, 
et  le  merveilleux,  qui  y  est  toléré,  doit  rendre  l'esprit  plus  indifférent 
au  sujet  lui-mème 


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SCHILLER  IT  LA  MUSIQUI  827 


23.  —  Goethe  à  Schiller. 


Weimar,  81  janvier  1798. 

Nona  avons  entendu  hier  on  nouvel  opera.  Cinarosa,  dans  catte  cgm- 
position,  déploie  Tart  d'aa  maitre  accomplL  Qoant  au  temete,  il  est  à  la 
manière  itaUemie,  et  je  me  scds  expliqué  à  ce  si\jet  comment  il  a^t  pos* 
sible  que  des  niaiseries,  des  absnrdités  mdme  s'nnissent  si  hetireasement 
aiix  plus  bautes  magnifìceIL(^es  de  Tinspiratioii  musicale.  C'est  Vhumaur 
Seul  qui  produit  ce  résultat,  car  Vhumour,  mdme  sans  étre  poétique, 
est  une  sorte  de  poesie,  et  nous  élève  par  sa  nature  au-dessus  du  sujet. 
Bi  les  Allemands  comprennent  si  rarement  cette  poesie  de  l'humour, 
c'est  que  les  niaiseries  qu'ils  aiment,  aree  leurs  goùts  de  philisdiis,  soni 
•elles  qui  ont  une  apparonee  de  eeusibiUté  ou  de  ben  secis. 

L'opera  da  Cimieosa^  doot  Ooetbe  parie  daod  cette  lettre,  était 
iotitulé;  il  Marito  disperato,  dout  le  texte  italieu  fut  traduit  en 
allemand  par  Eiusiedel  soue  le  titre  :  La  jahuw  punie  {Die  b^iraft$ 
Eifer8ucht).  Cimarosa  coi»posa  cet  opera  en  1785  pour  le  thé&tra 
des  Florentins. 

Dominique  GiiaROSA,  né  le  17  décembre  1749  à  Aversa,  mourut 
à  Venise  le  11  janvier  1801.  Il  fut  un  genie  fécond  et  originai  et 
Tun  des  plus  grands  musicìans  qu'ait  produits  l'Italie.  Son  opera 
Il  Matrimonio  segreto,  qu*il  composa  à  Vienne  en  1792,  est  censi- 
déré  généralement,  et  à  juste  titre,  comme  son  chefd'oeuyre. 

24.  —  SchHler  à  Goethe. 

Jena,  le  2  février  1798. 

Vo8  observations  sur  l'opera  m'ont  rappelé  les  idées  que  j'ai  large- 
ment  développées  dans  mes  Lettres  esthétiques.  Quoique  Testbétique  soit 
incompatible  ayec  la  nullité,  le  frivole  est  enoore  moins  contraire  ò  sa 
nature  que  le  sérieux  ;  et  comme  il  est  plus  facile  à  TAllemand  de  s'oc- 
cuper  et  de  se  determinar  que  de  se  rendre  indépendant,  on  le  pousse 
vers  les  dispositions  esthétiques  dès  qu'on  lui  rend  le  sujet  plus  facile. 
Yoilà  pourquoi  je  préfère  les  gens  d'affaires  ou  autres  barbares  aux  gens 
du  monde  oisifs  cbez  lesquels  tout  est  sans  force  et  sans  consistance. 
Si  je  pouvais  servir  cbacun  à  son  goùt,  j'enverrais  les  premiers  à  Fopéra 
et  les  seconds  à  la  tragèdie. 


Riwitia  muiicalé  italiana.  Vili.  M 


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828  MXMORII 

25.  --  SehiUer  à  Goethe. 

Weimar,  le  17  dèe-  1800. 

Mejer  et  moi  noos  ferons  avec  plaisir  tout  ce  qui  sera  en  notx« 

pouvoir  pour  dirìger  les  répétìtìons  de  yotre  Iphi§énie,  Il  parati  qa'on 
ne  la  doxmera  pas  encore  samedi  prochain;  on  joaera  ce  soir-là  Co^ 
fan  tutte 

L'opera  Così  fan  tutte^  ossia  la  Scuola  degU  amanti^  de  W.  A.  Mo- 
zart, fat  représenté  pour  la  première  fois  à  Vienne,  le  26  jan?ier  1790. 
G'est  une  oeuvre  parfaite  et  exquise.  Le  livret  italien  de  Da  Ponte 
flit  traduit  en  allemand  par  Yulpius  sous  le  titre  :  So  sind  sie  AUe, 
Mozart,  né  à  Salzbourg  le  27  janvier  1756,  mourut  à  Vienne  le 
5  décembre  1791.  L'admirable  compositeur,  sumomnié  le  Bapbaél 
de  la  musique,  a  laissé  une  oeuvre  considérable  et  étonnante  par  sa 
diversité,  que  la  maison  si  renommée  de  M.  M.  Breitkopf  et  H2rtel 
à  Leipzig  a  publiée  au  compiei.  G*est  bien  certainement  le  mona- 
ment  le  plus  beau  et  aussi  le  plus  durable  que  la  postérité  recon- 
naissante  ait  élevé  à  la  mémoire  de  Mozart. 

26.  —  SchiOer  à  Goethe, 

Weimar,  le  28  dèe.  1800. 

Vous  savez  que  les  opéras  ne  sont  point  de  ma  compétenoe.  Je  n'en 
forai  pas  moins  avec  plaisir  tout  ce  que  je  ppurrai  pour  colui  4ont  tous 
vous  occupez  et  j'assisterai  volontiers  tous  les  jours  aux  répétitions,  mais 
je  ne  puis  guòre  vous  promettre  que  ma.présence.  Au  reste,  nous  noos 
reverrons  ce  soir  à  la  répétition.  Vous  avez  promis  de  nous  procorer  la 
Oréation  de  Haydn  pour  notre  fòte  du  siècle,  et  cependant  le  maitre  de 
chapelle,  Ejrantz,  vient  de  me  dire  de  votre  part  que  c'est  moi  qui  dois 
l'obtenir  par  Pintervention  du  coa^juteur.  Ma  lettre  est  £ùte,  et  j*at- 
tends  Tezprès  qui  doit  aller  lui  la  porter. 

L'oratorio  La  Créationy  que  Joseph  Haydn  avait  compose  entre 
les  années  de  1795  à  1798,  fut  exécuté  pour  la  première  fois  an  pa- 
lais  du  prince  de  Schwarzenberg,  à  Vienne,  les  29  et  30  avril  1798. 
Haydn  dirigeait  lui-m6me  l'orchestre,  compose  de  tout  ce  qu'il  J 
avait  à  Vienne  de  talents  distingués.  Dans  l'assemblée  nombreuse  et 
brillante  qui  assistait  à  ces  séances,  on  remarquait  l'elite  de  la  cour, 
des  gens  de  lettres  et  des  artistes.  €  Nous  vtmes  »,  dit  Garpani,  «  9ò 


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SCHILLER  ST  LA  MUSXQUfi  829 

déronler  devant  nous  une  longae  suite  de  beautés  inconnues  jusqu'à 
ce  moment:  les  àmes,  surprises,  ivres  de  plaisir  et  d'admiratìon, 
éprouvèrent  pendant  deux  heures  consécutives  ce  qu'elles  avaìent  senti 
bien  rarement:  une  existence  heureuse,  produìte  par  des  désirs  tou- 
jours  satisfaits». 

La  première  exécution  publique  de  ce»  cbef-d'cBuvre  eut  lieu  le 
19  mars  1799  au  Thé&tre  National  à  Vienne.  Le  succès  fìit  colossal, 
universel  et  durable. 

A  Paris,  La  Création  fut  exécutée  à  TOpéra  le  24  janyier  1801. 
Ce  fut  à  l'occasion  de  cette  solennité  musicale  qu'eut  lieu  l'explo- 
Sion  de  la  machine  infernale,  au  moment  où  le  Premier  Gonsul  Na- 
poléon  Bonaparte  se  rendait  à  l'Opera. 

Le  retentissement  que  cette  oeuvre  célèbre  La  Création  produisait 
dans  tonte  l'Europe  eut  pour  résultat  la  fondation  d'une  grande  quan- 
tité  de  sociétés  chorales  mixtes  qui,  actnellement,  sont  encore  flo- 
rìssantes. 

Ce  qu'il  y  a  de  vraiment  remarquable  et  touchant  dans  la  vìe  de 
Joseph  Haydn,  c'est  l'amitié  sincère  qu'il  portait  à  Mozart  son  jeune 
rivai,  dont  il  admirait  franchement  le  genie  puissant.  De  méme  que 
les  deux  plus  grands  poètes*de  l'Allemagne,  Schiller  et  Goethe,  se 
sentaient  attirés  l'un  vers  l'autre,  et  cimentaient  un  attachement 
réciproque  que  seule  la  mort  put  dissoudre,  de  mème,  nous  voyons 
les  deux  grands  musiciens  du  XVIII  siede  réunis  par  les  mémes 
sentiments  d'une  confraternite  amicale  qu'aucune  rìvalité  ne  put 
ternir:  spectacle  rare  et  digne  d'élre  cité. 

Joseph  Hàtdn  est  né  le  1^'  avril  1732,  à  Bohrau,  et  mourut  à 
Vienne,  le  31  mai  1809. 

27.  —  SchiUer  à  Goethe. 

Weimar,  le  28  avril  1801. 
Vous  avez  vraiment  beauconp  perda  de  n'avoìr  pu  passer  cette  semaine 
à  Weimar,  où  le  chant  et  la  danse  se  sont  donno  la  main  pour  nous 
divertir  de  la  manière  la  plus  agréable.  Je  ne  vons  parlerai  pas  de  nos 
chanteors  et  de  nos  chanteuses,  vons  connaissez  lem  talent.  Qnant  aax 
danseors,  qui  dans  Tintermòde  de  Inndi  demier  ont  pam  la  première  fois, 
ils  ont  excité  une  admìration  fort  donteuse;  on  est  peu  habitué  ici  anz 
poses  et  aux  mouvements  singuliers  qui  consistent  à  étendre  horizon- 
talement  la  jambe,  tantót  en  arrière,  tantOt  de  coté.  Cela  paralt  incon- 


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830  MSHOIUS 

▼enant  et  mdme  indécent,  et  n'a  Traiment  rien  de  beau;  mais  la  iégè- 
rete  de  oes  danseors  et  rharmonie  parfaite  de  lean  moayemeAts  avec 
les  dìfférentes  mesores  de  la  nmsiqae  sont  iràs-agréables.^.. 

* 

PaasoDC  mahiteiiait  en  revue  les  compoBitìoDB  mosicales  de  quel- 
ques  artistes  célèbres  qui  se  sont  inspirés  directement  des  poéeies 
de  Schiller. 

Saiyaot  l'adage  bien  eonnu  :  à  tout  Seigneur,  tent  bonnew,  noas 
commeiceiOQS  par  BeethoTsen.  A  ce  snjet,  dous  emprontons  à  HJeetx>r 
Beiii<nqiii,  dans  soi  livr^  e  A  iravers  Chant  »^  aconsacré  «ne  belle 
Éiude  critique  aux  Symphonies  de  Beedioren,  les  lignee  qu'  il  a 
écrites  sur  la  9^^  Sj^mphanie  avee  Chmurs. 

€ .....  Beethoven  avait  déjà  écrit  hnit  symidionieB  avant  eeUe*ci. 
Poar  aller  au  delà  d«  point  où  il  était  alors  parvenu  à  Taide  des 
seules  ressonrces  de  Tinstrumentation,  qaels  moyens  lai  restai t-ìl  9 
L'adjoDctìon  des  voìx  aux  instroiaentB.  Mais  pour  observer  la  loi  da 
cre$eendOj  et  mettre  en  relief  daos  ToBuvre  m§me  la  puiasanee  de 
raAixiliaire  qu'il  roulait  deaner  à  Torcfaestre,  n'était-il  pas  nécessaire 
de  laisser  encore  les  inatraments  figurer  senls  sur  le  pronier  pian 
du  taUeau  qu'il  se  propoeait  de  déroulerP...  ». 

Une  feis  eette  donnée  admise,  on  con^oit  fort  bien  qu'il  ait  été 
amene  à  cfaerdier  uie  mnsique  raixte  <iui  pùt  servir  de  liaison  aux 
deux  grandes  divisiens  de  la  «ymphonie  ;  le  récitatif  instrumentad 
fut  le  pont  qu'il  osa  jeter  entro  le  choMr  et  l'orcbeeiae,  et  sor  leqnel 
les  instrumeots  passèrent  pour  aller  se  joindre  aux  toix. 

Le  passage  établi,  l'auteur  dut  vouloir  motiver,  en  rannon9ant,  la 
fusion  qui  allait  s'opérer,  et  c'est  alors  que,  parlant  lui-méme  par  la 
voix  d'un  coryphée,  il  s^écria,  en  l'employant,  les  notes  du  récitatif 
instrumentai  qu'il  venait  de  faire  entendre:  Amis!  plus  de  pareUs 
OGcarib,  mais  commengcms  des  ehanisplus  agréàbUs  et  plus  remptis 
de  joie. 

Yoilà  dono,  pour  ainsì  dire,  le  tratte  d'alliance  conclu  entro  le 
ch<Bar  et  l'orchestre  ;  la  mSme  phrase  de  récitatif^  prononcée  par  Tuo 
et  par  l'autre,  semble  éire  la  formule  du  serment.  Libre  au  musi- 
cien  e&suite  de  choisir  le  texte  de  sa  composition  chorale  :  c'est  à 
Schiller  que  Beettioven  va  le  demander;  il  s'eapare  de  VOde  à  U 


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SGHILUBR  IT  LA  MU8IQUI  83Ì 

Jbfe,  b  colore  io  mille  nnances  qae  la  poesie  tonte  seule  n'eùt  jamats 
pu  rendre  sensibles,  et  s'araace  en  augmentant  jusqa'à  la  fin  de 
pompe,  de  grandeur  et  d'éclat. 

Tello  est  peot-dtre  la  raison»  plus  ou  baoìss  plansiUe,  de  l'orde»* 
lane  e  generale  de  cotte  immense  composition,  dont  none  aUons  mais- 
tenant  étadier  en  détail  toutes  les  partiea. 

Le  premier  moreeaur  empreint  d'une  sombre  majosté,  ne  ressemble 
à  aacun  de  ceax  quo  BeetbovoA  écriyit  antérieuremeat  L'harmonie 
en  est  d*une  hardiesee  quelque  fois  eieessive:  les  dessins  les  plus 
orìginaux,  les  traits  les  plus  expressifs,  se  pressent,  se  crmsent,  s'eii- 
trelacent  en  tout  sens,  mais  sans  produìre  ni  obseurité,  ni  racomte^- 
ment;  il  n'en  resulto,  au  coitraire,  qu'ui  effet  parfaitement  clair,  et 
les  Yoix  multiples  de  l'orckestre  qui  se  plaignent  ou  meaacent,  cha* 
cune  à  sa  manière  et  dans  son  style  special,  semblent  n'^  forioer 
qu'one  senio  ;  si  grande  est  la  CDree  du  sentiment  qui  les  anime. 

Cet  allegro  maestoso^  écrit  en  ré-mineuTy  commence  eependant  sur 
Taceord  de  2a,  saas  la  tierce,  e'est-à-dire  sur  ujie  tenne  des  notes 
loj  mij  disposées  en  quinte,  arpégées  en  dessous  par  les  premiers 
violons,  les  altos  et  les  contrebasses,  de  manière  quo  l'auditeur 
ignoro  s'il  entend  Taecord  de  la  mneur^  colui  do  la  majeur^  ou  colui 
de  la  dominante  de  ré.  Qette  longue  indéeision  de  la  tonalité  donne 
beauooup  de  force  et  un  grand  caractère  à  rentrée  du  tutti  sur  l'accord 
de  ré  mineur.  La  péroraìson  contient  des  accents  dont  l'ftme  s'émeut 
tout  entière;  il  est  difficile  de  non  entendre  de  plus  profondément 
tragique  quo  ce  cbant  des  instruments  à  vent  sous  lequel  une  pbrase 
cbromatique  en  trèmolo  des  instruments  à  cordes  s'enfio  et  s'élève 
peu  à-  pen,  en  grondant  comme  la  mer  aux  approcbes  de  l'orage.  C'ost 
là  uno  magnifique  inspiration. 

Nous  aurons  plus  d'une  occasion  de  faire  remarquer  dans  cet  ouvrage 
des  agrégations  de  notes  auxqueUes  il  est  naiment  impossible  de 
donner  le  nom  d*accords  :  et  nous  derrons  reconnaitre  quo  la  raison 
de  eoe  anomalios  nous  écbappe  complètement.  Ainsi,  à  la  page  17 
do  l'admìrablo  morceau  dont  nous  Yenons  de  parler,  on  trouro  un 
dessin  mélodiquo  de  clarinettes  et  de  bassons,  accompagné  do  la  fafon 
sui  vanto  dans  le  ton  d'ut  mineur:  la  basse  frappe  d'abord  fa  dièse 
portant  septième  diminuée,  puis  la  bémol  portant  iierce^  quarte  et 
sixte  augmentée^  et  enfin  sol^  au-dessus  duquel  les  flùtes  et  les  haut- 


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MBMORIX 


bois  frappent  les  notes  mi-bémol  5oZ,  ut,  qui  donneraient  un  aeeord 
de  sixte  et  quarte,  résolation  excellente  de  l'accord  précédente  si  les 
seconds  violons  et  les  altos  ne  Tenaient  ajoater  à  lliarmonie  les  dem 
sons  fa  naturel  et  la  bémolj  qui  la  dénatnrent  et  prodaisent  une  con- 
ftision  fort  désagréable  et  heureasement  fort  coarte.  Ce  passage  est  pen 
chargé  d*instmmentation  et  d'un  caractère  tout  à  &it  exempt  de 
radesse  ;  je  ne  puis  dono  comprendre  cotte  quadruple  dissonance  si 
étrangement  amenée  et  qae  rien  ne  moti?e.  On  pourrait  croire  à  une 
fante  de  gravure,  mais  en  examinant  bien  ces  deux  mesures  et  celles 
qui  précédenti  le  doute  se  dissipo  et  Ton  demeare  convainca  qae 
tolle  a  été  réellement  l'intention  do  Tautour. 

Le  schermo  vivace  qai  suit  ne  contient  rien  de  semblable  ;  on  y 
trouve,  il  est  ?rai,  plusieurs  pédales  hautes  et  moyennes  sur  la  to- 
niquOf  passant  au  traYors  de  Taccord  de  dominante  ;  mais  j'ai  déjà 
&it  ma  profossion  de  foi  au  sujet  de  ces  tenues  étrangères  à  Thar- 
monie,  et  il  n'est  pas  besoin  de  ce  nouvel  exemple  pour  prou?er 
rexcellent  parti  qu'on  en  peut  tirer  quand  le  sens  musical  les  amène 
naturellement.  C*est  au  moyen  du  rhythmo  surtout  quo  Beethoten 
a  su  répandre  tant  d'intérét  sur  ce  charmant  badinage;  le  thème  si 
plein  de  vivacité,  quand  il  se  présente  avec  sa  réponse  fuguée  entrant 
au  bout  de  quatre  mesures,  pétille  de  verye  ensuite  lorsqne  la  ré- 
ponse, paraissant  une  mesure  plus  tdt,  Yient  dessiner  un  rhythme 
temaire  au  lieu  du  rhythme  binaire  adopté  en  commenfant. 

Le  milieu 'du  scherzo  est  occupé  par  xr^i  presto  à  deux  teny^  d'une 
jovialité  toute  yìllageoise,  dont  le  thème  se  déploie  sur  une  pedale 
intermédiaire,  tantdt  tonique  et  tantdt  dominante ,  a?ec  accompa- 
gnement  d'un  contre-thème  qui  s'harmonise  aussi  également  bien 
avec  l'uno  et  l'autre  note  tenue,  dominante  et  tonique.  Ce  chant  est 
ramené  en  demier  lieu  par  une  phrase  de  bautbois  d'une  ravìssante 
fraicbeur,  qui,  après  s*étre  balancée  sur  l'accord  de  neuvième  domi- 
nante majeure  de  réy  yient  s'épanouir  dans  le  ton  de  fa  naturel  d'une 
manière  aussi  gracieuse  qu'inattendue.  On  retrouYO  là  un  reflet  de 
ces  donces  impressions  si  chères  à  Beethoyen,  quo  produisent  Taspect 
de  la  nature  riante  et  calme,  la  pureté  de  l'air,  les  premiers  rayons 
d'une  aurore  printanière. 

Dans  Vadagio  cantabile^  le  principe  de  l'unite  est  si  peu  observé 
qu'on  pourrait  y  yoir  plutdt  deux  morceaux  distincts  qu'un  seul.  Au 


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8GHILLKR  BT  LA  MU8IQUE  833 

premier  chant  en  si  hémól  à  quatre  temps,  succède  ane  autre  me- 
lodie absolument  differente  en  ré  majenr  et  à  trois  temps  ;  le  pre- 
mier thème,  légèrement  altère  et  varie  par  les  premiers  yiolons,  &it 
une  seconde  apparition  dans  le  ton  prìmitif  poor  ramener  de  nou- 
Yeaa  la  melodie  à  trois  temps,  sans  altératìons  ni  variations,  mais 
dans  le  ton  de  sol  majeur;  après  qaoi  le  premier  thème  s'établit 
définitivement  et  ne  permet  plus  à  la  phrase  rivale  de  partager  avec 
lui  l'attention  de  Tauditeur.  11  faut  entendre  plusieurs  fois  ce  mer- 
veilleux  adagio  pour  s'accoutumer  tout  à  fait  à  une  aussi  singulière 
disposition.  Quant  à  la  beante  de  toutes  ces  mélodies,  à  la  grftce 
infinie  des  omements  dont  elles  sont  couvertes,  aux  sentiments  de 
tendresse  mélancolique,  d*abattement  passionné,  de  religiosité  rfiveuse 
qu'elles  expriment,  si  ma  prose  pouvait  en  donner  une  idée  sede- 
ment  approximative,  la  musique  aurait  trouvé  dans  la  parole  écrite 
une  émule  que  le  plus  grand  des  poètes  lui  mèroe  ne  parviendra 
jamais  à  lui  opposer.  G'est  une  oeuvre  immense,  et  quand  on  est 
entré  sous  son  charme  puissant,  on  ne  peut  que  répondre  à  la  cri- 
tique,  reprochant  à  Tauteur  d'avoir  ici  viole  la  loi  de  l'unite:  tant 
pis  pour  la  loi  ! 

Nous  touchons  au  moment  où  les  voix  vont  s'unir  à  Torchestre. 
Les  violoncelles  et  les  contrebasses  entonnent  le  récitatif  dont  nous 
avons  parie  plus  haut,  après  une  ritoumelle  des  instruments  à  vent, 
rauque  et  violente  comme  un  cri  de  colere.  L'accord  de  sixte  majeure, 
/a,  2a,  ré^  par  lequel  ce  presto  debuto,  se  trouve  altère  par  une 
appogiature  sur  le  si  bémol,  frappée  en  méme  temps  par  les  flùtes,  les 
hautbois  et  les  clarinettes  ;  cette  sixième  note  du  ton  de  ré  majeur 
grince  horriblement  contre  la  dominante  et  produit  un  effet  excessi- 
vement  dur.  Gela  exprime  effectivement  la  fureur  et  la  rage,  mais 
je  ne  vois  pas  ici  encore  ce  qui  peut  exciter  un  sentiment  pareli,  à 
moins  que  Tauteur,  avant  de  faire  dire  k  son  corypbée  :  Gommengons 
des  chanis  plus  agréables^  n'ait  voulu,  par  un  bizarre  caprice,  ca- 
lomnier  Tharmonie  instrumentale.  Il  semble  la  regretter ,  cepen- 
dant,  car  entro  chaque  phrase  du  récitatif  des  basses,  il  reprend, 
comme  autant  de  souvenirs  qui  lui  tiennent  au  ccBur,  des  fragments 
des  trois  morceaux  précédents  ;  et  de  plus,  après  ce  méme  récitatif, 
il  place  dans  rorches{re,  au  milieu  d'un  choix  d'accords  exquis,  le 
beau  thème  que  vont  bientdt  chanter  toutes  les  voix,  sur  l'ode  de 


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834  MSHOiUE 

Schiller.  Ce  chant,  d*nn  caractère  doni  et  ealme,  svanirne  et  se  bril- 
lante peu  à  peUf  en  passant  dea  basses,  qnì  le  font  entendre  les  pre- 
miòres,  aux  violons  et  aux  instraments  à  yent.  Aprèe  une  interrup- 
tìoD  soudaine^  Torchestre  entier  reprend  la  furibonde  ritoarnelle  déjà 
citée  et  qni  annonce  ici  le  récitatif  vocaL 

Le  premier  accord  est  encore  pose  sur  un  fa  qui  est  censé  portar 
la  tierce  et  la  sixte,  et  qui  les  porte  réellement;  mais  cette  fms 
Tauteur  ne  se  contente  pas  de  l'appogiature  si  hémol^  il  y  ajoute  celle 
dtt  Bol^  du  mi  et  de  Vui  dièse,  de  sorte  que  Toutes  les  notes  de  ìa 
Qàmme  Diaianique  Mineure  se  trouvent  frappées  en  me  me  iemps 
et  prodttisent  Tépouvantable  assemblage  de  sona:  /a,  la,  utdièse^  mi, 
Jo2,  3i  lémolf  ré. 

Le  Gompositeur  fran^ais  Martin,  dit  Martini,  dans  son  opera  de 
Sapho^  avait,  il  7  a  qnarante  ans,  youlu  produire  un  hurlemoit  d'or- 
chestre analogue,  en  employant  à  la  foia  tous  les  intervallea  diate- 
niques,  chromatiques  et  enharmoniques,  au  moment  où  ramante  de 
Phaon  se  precipite  dans  les  flots  :  sans  examiner  l'opportunité  de  sa 
teutatire  et  sans  demander  sì  elle  portait  00  non  atteinte  à  la  di- 
gnité  de  l'art,  il  est  certain  que  son  but  ne  pouvait  ètre  méconnu. 
Ici,  raes  efforts  pour  découvrir  colui  de  Beethoven  sont  complètemeot 
inutiles.  Je  vois  une  intention  formelle,  un  projet  caleulé  et  réfléehi 
de  produire  denx  discordances,  aux  deux  instante  qui  précèdent  l'ap- 
parìtion  successive  du  récitatif  dans  les  instrumente  et  dans  la  vois  ; 
mais  j'ai  beancoup  cherché  la  raison  de  cette  idée,  et  je  sois  force 
d'avouer  qn'elle  m'est  inconnue. 

Le  ooryphée,  après  avoir  chanté  son  récitatif,  doni  les  paroles,  nous 
Tavona  dit,  sont  de  Beethoven,  exposé  seul,  avec  un  léger  accompa- 
gnement  de  deux  instruments  à  vent  et  de  Torchestre  à  cordes  eo 
pi00ieato,  le  thème  de  VOde  à  la  Jote.  Ce  thème  pan^t  jusqu'àla 
fin  de  la  symphonie,  on  le  reconnait  toujours,  et  pourtant  il  change 
continuellement  d'aspect.  L'étude  de  ces  diverses  transformationa  offre 
un  intérét  d'autant  plus  puissant  que  chacune  d'elles  produìt  une 
nuance  nouvelle  et  tranchée  dans  l'expression  d'un  sentiment  unique, 
colui  de  la  joie.  Gotte  joie  est  au  début  pleine  de  douceur  et  de 
paix;  elle  devient  un  peu  plus  vive  au  moment  où  la  voix  des  femmes 
se  fait  entendre.  La  mesure  change;  la  phrase,  cfaantée  d'abord  à 
quatre  temps,  reparait  dans  la  mesure  à  6/8  et  formulée  en  syncopes 


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8CHILLEH  BT  UL  MUSlOUl  835 

eontìnuelles;  elle  prcmd  alors  m  earactère  plus  fort,  plos  agile  et 
qui  86  rapprocbe  de  l'aceent  gaerrier.  G'est  le  cbant  de  départ  du 
héros  sQr  de  vaincre  ;  on  croit  voir  étìneeler  8<m  anirare  et  entendre 
le  brait  cadencé  de  tea  pas.  Un  thème  fugué,  dans  leqnel  on  r^ 
tronYe  encore  le  des^in  mélodiqne  primitif ,  sert  pendant  qnelques 
tempe  de  sujet  anx  ébati  de  rorcheatre:  ce  sont  lee  mouTemente 

divers  d'one  fonie  actìte  et  remplie  d'ardenr Mais  le  choeur  rentre 

bientòt  et  cbante  énergiqQement  rbymne  joyense  dans  sa  fimplicité 
première,  aidé  dee  instntments  à  rent  qai  plaquent  les  accorda  en 
snivant  la  melodie,  et  trarergé  en  tona  sene  par  un  dessin  diatonique 
exécuté  par  la  masse  entiète  dei  instraments  à  cordes  en  unisona 
et  en  octaves. 

L'andante  maestoso  qui  sait  est  une  sorte  de  ehoral  qn'entonnent 
d*abord  les  ténors  et  les  -  basses  du  cboenr,  rétmis  à  un  trombone, 
aux  yioloncelles  et  aax  contrebasses.  La  joie  est  ici  religieuse,  gra?e, 
immense;  le  cboenr  se  tait  un  instant,  ponr  reprendre  avec  moina 
de  force  ses  larges  accorda,  après  un  solo  d'orchestre  d'où  résulte  un 
effet  d*orgue  d'une  grande  beante.  L'imitation  du  majestueux  instru- 
ment  des  teroples  cbrétiens  est  produite  par  des  flfites  dans  les  bas, 
dea  clarinettes  dans  le  chalumeau,  des  sons  graves  de  bassoos,  des 
altos  divisés  en  deux  parties,  haute  et  moyenne,  et  des  yioloncelles 
jouant  sur  leurs  cordes  à  ride  sol  ré^  ou  sur  Vut  bas  (à  vide)  et 
Yui  du  mèdium,  toujours  en  doublé  corde.  Ce  morceau  commence 
en  sol,  il  passe  en  ut,  puis  en  /a,  et  se  termine  par  un  point  d'orgne 
sur  la  septième  dominante  de  ré.  Suit  un  grand  Allegro  k  6/4,  oh 
se  réunissent  dès  le  commencement  le  premier  thème,  déjà  tant  et 
si  diversement  reproduit,  et  le  ehoral  de  V Andante  précédent.  Le 
centraste  de  ces  deux  idées  est  rendu  plus  saillant  encore  par  une 
variation  rapide  du  chant  joyeux,  exécutée  au-dessus  des  grosses  notes 
du  ehoral,  non  seulement  par  iea  premiers  violons,  mais  auasi  par 
les  contrebaaaea.  Or,  il  est  irapoasible  aux  contrebaaaea  d'exécuter 
une  succession  de  notes  aussi  rapides  ;  et  Ton  ne  peut  encore  là  a'ex- 
pliquer  comment  un  horame  aussi  habile  que  Tétait  Beethoven  dans 
Tart  de  Tinstrumentation  a  pu  s'oublier  jusqu'à  écrire,  pour  ce  lourd 
instrument,  un  trait  tei  que  celui-ci.  Il  y  a  moins  de  fougue,  moins 
de  grandeur  et  plus  de  légèreté  dans  le  style  du  morceau  suivant  : 
une  gaité  naive,  exprimée   d'abord   par  quatre  voix  seules  et  plus 


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836  MXMOROB 

chaadement  colorée  ensuìte  par  radjonction  du  choeur,  en  faitle  fond. 
Quelques  accenta  tendres  et  religìeux  y  alternent  à  denx  reprises 
différentes  avec  la  gaie  melodie,  mais  le  mouvement  devient  plus 
precipite,  tout  l'orchestre  éclate,  les  instruments  à  percussion,  tim- 
bales,  cymbales,  triangle  et  grosse  caisse  frappent  rudement  les  temps 
forts  de  la  mesure  ;  la  joie  reprend  son  empire,  la  joie  populaire, 
tnmaltaeuse,  qui  ressemblerait  à  une  orgie,  si,  en  terminant,  tontes 
les  Yoix  ne  s'arrètaient  de  nonveau  sur  un  rhythme  solennel  ponr 
envoyer,  dans  une  exclamation  extatique,  leur  dernier  salut  d'amour 
et  de  respect  à  la  joie  religieuse.  L'orchestre  termine  seul,  non  sai» 
lancer  dans  son  ardente  course  des  fragments  du  premier  thème  dont 
on  ne  se  lasse  pas. 

Une  traduction  aussi  exacte  que  possible  de  la  poesie  allemande 
traìtée  par  Beethoven  donnera  maintenant  au  lecteur  le  motif  de 
cotte  multitude  de  combinaisons  musicales,  savantes  auxiliaires  d'une 
inspiration  continue,  instruments  dociles  d'un  genie  puissant  et  in&- 
tigable.  La  voici: 

"  0  Joiel  belle  étincelle  des  dieux,  fiUe  de  TÉlysóe,  nous  entrons 
tout  brùlants  du  feu  divin  dans  ton  sanctuairel  Un  pouvoir  magique 
réanit  ceux  que  le  monde  et  le  sang  séparent;  à  Tombre  de  ton  alle  si 
douce  tous  les  hommes  deviennent  frères. 

*  Celui  qui  a  le  bonheur  d'otre  devena  l'ami  d'un  ami;  celui  qui  pos- 
sedè une  femme  aimable;  oui,  celui  qui  peut  dire  à  soi  une  &me  snr 
cette  terre,  que  sa  joie  se  mèle  à  la  nòtrel  mais,  que  Thomme  à  qui 
cotte  félicité  ne  fut  pas  accordée  se  glisso  en  pleurant  hors  du  lieu  qui 
nous  rassemble  I 

"  Tous  les  étres  boivent  la  joie  au  sein  de  la  nature  ;  les  bons  et  les 
méchants  suivent  des  chemins  de  fleurs.  La  nature  nous  a  donne  ramonr, 
le  vin  et  la  mort,  cette  ópreuve  de  Tamitió  I  Elle  a  donno  la  volupté  an 
ver;  le  chórubin  est  debout  devant  Dieu. 

"  Gail  gail  comme  les  soleils  roulent  sur  le  pian  magnifìque  du  del, 
de  móme,  frères,  courez  foumir  votre  carrière,  pleins  de  joie  comme  le 
héros  qui  marche  à  la  victoire. 

*  Que  des  millions  d'étres,  que  le  monde  entier  se  confonde  dans  on 
méme  embrassement!  Frères,  au  delà  des  sphères  doit  habiter  un  pére 
bien-aimé. 

"  Millions,  vous  vous  prostemez  ?  reconnaissez-vous  Toeuvre  du  Créa- 
teur?  Cherchez  Tauteur  de  ces  merveilles  au-dessus  des  astres,  car  c'est 
là  qu'il  réside. 


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8GHILLKR  Vt  LA  BfUSIQUI  837 

*  0  Joiel  belle  étìncelle  des  dieox,  fille  de  rÉljsée,  nous  entrons 
tout  brùlants  da  fen  divìn  dans  ton  sanctaairel 

*  Fille  de  TÉlysée,  Joie,  belle  étincelle  des  dieaxi  ,. 

Beethoven  composa  également  un  chodur  poar  3  voix  d'hommes^ 
sor  les  paroles  de  Schiller,  tirées  de  la  demière  scène  du  IV  acte  de 
ChiiUaume  TeU:  le  Chani  des  Moines: 

Elle  surprend  Thenre  demière 
Le  mortel  qui  ne  Tattend  pas; 
Mdme  aa  milieu  de  sa  carrière 
Soavent  il  tronve  le  trépasl 
Point  de  délai;  rien  qui  Parrete; 
n  tombe  plein  de  force  encor; 
Et,  que  son  ftme  au  jour  soit  prète, 
Ou  porte  le  poids  de  sa  dette, 
Vers  son  Juge  elle  prend  Tesseri 

Sur  la  partition  autographe  Beethoven  avait  écrit  :  €  En  souvenir  du 
décès  subit  de  notre  ami,  Ejrumpholz,  le  3  mai  1817  »  (Wenzel 
Erumpholz  moorut  le  2  mai  1817). 

Louis  vàn  Beethoven  naquit  à  Bonn,  le  17  décembre  1770  et  monrut 
à  Vienne,  le  26  mars  1827.  Son  pére  était  ténor  dans  la  cbapelle 
du  prìnce  électeur,  où  son  grand-pére  avait  été  basse,  puis  maitre  de 
cbapelle.  En  1787  Beethoven  fit  un  court  séjour  à  Vienne.  Le  jeune 
virtuose  pianiste  joua  devant  Mozart  qui  lui  prédit  un  brillant  avenir. 
Lorsqu'il  revint  pour  la  seconde  fois  à  Vienne  pour  s'y  fixer  défini- 
tivement,  Beethoven  était  ftgé  de  22  ans.  Il  travailla  la  composition 
musicale  d'abord  avec  Joseph  Haydn,  puis  ensuìte  avec  Schenck, 
Tauteur  du  Barbier  du  Village^  et  aussi  avec  Albrechtsberger  et 
Salieri.  L'activité  créatrice  de  Beethoven  fut  merveilleuse  et  feconde 
en  chefs-d'cBuvre  de  tous  genres  qui  sont  devenus  l'apanage  du  monde 
musical  et  lui  ont  assigné  le  premier  rang  parmi  les  compositeurs. 
Beethoven  forme  avec  Haydn  et  Mozart  la  glorieuse  Trinité  des 
grands  et  incomparables  maìtres  classiques. 

Une  édition  complète  des  ceuvres  du  sublime  maitre,  parut  en 
24  séries,  chez  Breitkopf  et  Hftrtel. 

Les  belles  poésies  lyriques  de  Schiller  devaient  exercer,  sur  un 
genie  comme  colui  de  Franz  Schubert,  une  puissante  attraction.  Effecti- 


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839  MSMOftB 

Y«ment,  Sehfibert  admirait  Télévatioii,  ìe  sublime  et  Itt  neblesse  de 
la  pensée,  telles  qa'elles  se  manifestent  dam  foutes  !es  asnrns  i» 
ce  grand  poète.  Il  aimait  &  le  suivre  de  la  réalité  présente  à  cet 
idéal  du  beau  moral  vers  lequel  la  fougae  da  maitre  emporte  comme 
irrésìstiblement  ses  lectenrs, 

Dans  le  ricbe  écrin  des  Ghants  et  Ballades  de  Schiller,  le  jenne 
compositeur  tronvait  des  pierres  fines  destinées  à  jeter  an  très  yif 
éclat  sur  son  superbe  talent  en  éreillant  et  pro^oquant  son  inspiration. 

La  cadre  de  cette  étude  ne  peroiettant  pas  de  pouvoir  entrer  dans 
une  plus  ampie  dissertation  sar  la  musìque  que  Schubert  a  composée 
sur  les  poésies  de  Schiller,  nòus  nous  bornons  à  donner  la  liste  dans 
Tordre  chronologique  de  ces  oBuvres  remarquablea. 

Année  1813. 

Aspiration  (1"  version),  pour  Basse,  3  avril: 
"  Ahi  si  des  profondeurs  de  cette  vallèe  que  presse  un  froid  brouillard  .. 

VElyaée  (!'•  vieraìon),  15  avril  : 

*  Loin  d'ici  la  plainte  gémisaante  «• 

Thécla^  voix  d'un  esprit  (I"  version),  22  aoùtr 

■  Où  je  suis,  où  je  me  retìrai  ,. 
Le  Plongeur: 
^  Qui  de  vons  oserà,  chevalier  ou  varlet,  plonger  dans  ce  gouffire?  .. 

La  plainte  de  lajeune  fiUe  (l^  version): 

*  La  forét  des  cb^es  mugìt,  les  nuages  s'avaocent  ». 
Trias,  Quatre  strophes  tir  Ses  de  VÉlysée: 

N.  1.  '  Une  joie  infinie  inonde  ici  le  coeur  „  (Canon,  15  avril). 

N.  2.  '  Loin  d'ici  la  plainte  gómissante  ,  (18  avril). 

N.  8.  '  Ici  le  pólerin  vojageur  étend  ses  membres  fatigués  et  brù- 
lants  „  (29  avril). 

N.  4.  '  Ici  s'embrassent  les  fìdòles  époax  »  (8  mai). 

Le  Triomphe  de  Vamatir: 
(9"*  strophe)*  Un  juvónile  esser,  une  ardenr  printanière  ,((}anon,  8  mai). 
(15**®  strophe).  ^  Assis  sur  un  trdne  élevé,  le  fils  de  Satume  brandit 
sa  foudre  ,  (10  mai). 


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SCHILLER  KT  LA  MU8IQUB  830 

Le  Fugitif: 

'  La  YÌFattte  baleine  da  matin  répand  m  firalebeur  «  {15  mai, 
l**  version). 

Sentences  de  Canfucius: 

'  La  marche  da  temps  est  triple  »  (Canon,  8  juillet). 
Les  deux  ehemin»  de  la  vertu: 

^  Il  est  deux  chemins  par  où  Thomme  s'élòve  à  la  verta  ,  (15  juillet). 

Année  1814. 
A  Emma  : 

*  Dans  le  lointain  grìs  et  brumeux  gite  mon  bonheur  ,  (Avrìl). 
Op.  58,  N.  2. 

La  jeune  étrangère: 

*  Dans  un  vallon,  chez  de  pauvres  bergers  »  (1"  version,  16  octobre). 

Ajnnée  1815. 
L'Attente: 

"  N'ai-je  pas  entendu  la  petite  porte  s'ouvrir?  ,.  Op.  116  (27 
fóvrier). 

Amalier 

'^  n  était  beau  comme  un  ange,  plein  des  voluptés  de  Walhatla  ,. 
Op.  178,  N.  1  (19  mai). 

Le  Mystère: 

"  Elle  n'a  pu  me  dire  un  seni  petit  mot  ,.  Op.  178,  N.  2  (7  aoùty 
1»«  versioi). 

Au  Printemps: 

*  Sois  le  bien  vena,  bel  enfant!  toi,  les  délkes  de  la  nature I  ^ 
Op.  172,  N.  5  (6  septembre). 

Adieux  d'Hector: 

"  Hector  veut-il  s'óloigner  de  moi  poui'  toujours?  ».  Op.  58,  N.  1. 
UEspérance  : 

"  Les  hommes  parlent  et  révent  sans  cesse  de  jours  futurs  meil- 
leurs  ,.  Op.  87,  N.  2  (2"»«  version). 

Le  jeune  homme  au  bord  du  ruisseau: 

"  Près  de  la  source  était  assis  le  jeune  adolescent  ,.  Op.  87,  N.  8 
(2"*  version:  la  1'*  wrsion  ^n  fa  mineur). 


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840  MKMORIS 

Le  combat: 

"  Non!  je  ne  combattrai  pas  plus  longtemps  ce  combat  «.  Op.  110. 
A  la  Jote: 

*  Joie,  diyine  étincelle  ..  Op.  Ili,  N.  1. 
La  Caution,  Ballade: 

'  Damon,  un  poignard  soos  sa  robe,  s^est  glissé  près  da   tjran 
Denys  «. 

La  jeune  étrangère:  2"*  version  (12  avril). 

Chanson  à  boire  le  PUneh  à  chanter  dona  le  Nord  {V*  yersion): 

*  Sor  les  lìbres  hantenrs  des  monts  ^  (18  avrìi). 
Chanson  à  boire  le  Punch: 

'  Quatre  éléments,  intimement  nnis,  forment  le  monde  «(ad  toìx; 
29  aoùt). 

PlainU  de  Cérès: 

"  L'aimable  prìntemps  a-t-il  pam?  «  (9  novembre). 

Année  1816. 

Le  chevalier  Toggenbourg.  Ballade: 

'  Chevalier,  ce  coeor  vons  promet  le  Mòle   amour  d'ane   soenr  , 
(13  mars). 

La  plainte  de  la  jeune  fiUe  : 

2™  version.  Op.  68,  N.  8  (Mars). 
Les  quatre  àges  du  monde: 

'  Le  vin  vermeil  pétille  dans  les  verres  «.  Op.  Ili,  N.  3. 

Laure  au  Piano: 

*  Qaand  tes  doigts,  Laure,  parcoorent  magistralement  les  tonches  . 
(Mars). 

Le  Fugitif: 

2"**  version  (Mars). 
Le  Mystère: 

2"«  version. 

Année  1817. 

Le  Pèlerin: 

'  J'ótais  encore  aa  printemps  de  ma  vie  ,.  Op.  37,  N.  1. 


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SCHILLER  IT  LA  MUSIQUX  841 

Le  Chasseur  des  Alpes: 

*  Ne  veaz-ta  pas  garder  Tagneau?  «  Op.  87,  N.  2. 
Htédd,  voix  d'un  esprit: 
'  Où  je  suis,  où  je  me  retìrai,  qnand  mon  ombre  fagitive  t'échappa  ?  , 
(2««  version).  Op.  88,  N.  2. 

Oroupe  du  Tartare: 

'  Ecoatez!  Comme  marmare  la  mer  sooleyée  ,.  Op.  24,  N.  1. 
UExtase,  à  Laure  : 

'  Laure,  il  me  semble  que  je  fuis  aa-dessns  de  ce   monde  ,  (Ina- 
cheyé.  Aoùt). 

Année  1818, 

Chansan  à  hoire  le  Punch  à  chanter  dans  le  Nord: 
2—  version,  à  2  et  à  8  voix  (18  aoùt). 

Année  1821. 
Aspiraticn  : 
2"«  version.  Op.  89  (8  fóvrier). 

Année  1825, 
La  NuU  et  les  réves: 

'  Sainte  nnit,  ta  descends  ,.  Op.  48,  N.  2. 

Année  1826. 
Dithyramhe: 

'  Jamais,  non  jamais,  crojez-moi,  un  dien  n'apparalt  seni  ,.  Op.  60. 
Fragment  du  poème:  Les  Dieux  de  la  Orèce: 

12"'*  strophe:  "  Monde  charmant,  où  es^tn?  «. 
La  plainte  de  Cérès: 
Nonvelle  version. 
*    La  BataiUe: 

'  Pesante  et  sombre,  vrai  nnage  de   tempdte,  l'armée  en  marche 
ondale  à  travers  la  verte  plaine  ,. 

Franz  Peter  Schubert  naqait  à  Yiennei  le  31  janvier  1797  au 
n""  72  du  Himmelpfordtgrand,  paroisse  de  Lichtenthal,  dont  son  pére 
dirìgeait  Técole.  G'est  un  des  plos  grands  compositears  de  genie  que 


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842  MXMOfUE 

rAUemagne  ait  produits,  le  maitre  incomparable  du  Lied  et  ausai 
l'un  des  meìUeurs  compositeurs  de  mnsique  ingtrameiitale* 

Franz  Scbubert  mourut  à  Vienne,  le  18  novembre  1828. 

Sur  la  Pierre  du  tombeau,  le  poète  Franz  OriUparzer  fit  graver 
répìtapbe  suivante: 

'  La  mort  garde  ici  mie  riche  proie 
£t  des  etpéranoM  enoore  plu«  riebes  «. 

Une  éditìon  complète  des  oeuvres  de  Scbubert  a  para  ebez  Breit- 
kopf  et  H&rtel. 

Farmi  les  compositeurs  allemanda,  qui  ont  mia  en  mnsiqtie  cer- 
taines  poésies  de  Scbiller,  il  eonviant  de  citer  Andreas-Jacob  Rom- 
berg,  yioloniste  et  condisciple  de  Beetboven  à  l'orcbestre  du  prìnce 
électaur  à  Bonn  de  1790  à  1793. 

Bomberg  écrivit  de  la  musique  pour  des  soli  de  chant  avec  or- 
cbestre  :  La  fitte  infanticide^  Le  pouvoir  du  Chant,  Le  Monologue 
de  la  Pucette  d'Orléans,  Le  Comte  de  Hahshourg,  Aspiration,  ainsi 
que  le  Ghant  de  la  Cloche.  A  l'exception  de  cotte  demière  oeuvre, 
très  meritante,  les  compositions  de  Bomberg  sont  aujourd*huì  presque 
toutes  oublìées. 

Le  compositeur  allemand  Max  Bbuch,  ainsi  que  le  compositeur 
fran9a]s  Vincent  d'Indt,  ont  également  mis  en  muaique  le  célèbre 
poème  du  Chant  de  la  Cloche  de  Schiller: 

**  Solidement  ma9onné,  dans  la  terre,  le  moule  attend,  forme  d'argile, 
durci  par  le  fea.  C'est  aujourd'bnì  que  doit  naltre  la  docbe  I  , 

Les  magnifiques  odurres  dramatiques  de  Schiller»  auzquale  des 
yers  fortement  frappés  et  patriotiques,  brillanta  d'or,  de  ciselure  et 
d'éclat,  à  panacbe  de  chevalerie,  chantant  baut  le  courage,  la  liberté, 
l'amour,  la  tendresse,  le  dévouement,  rebaussés  par  un  élan  et  un 
soufflé  poétique  des  plus  intenses,  avec  des  situations  dramatiques 
incomparables,  valurent  à  Tauteur  un  succès  retentissant  et  durable, 
devaient  forcément  exercer  un  attrait  irrósistible  sur  les  musiciens. 

Chose  extrémement  curieuse,  ce  ne  furent  pas  les  coàipositeurs 
dramatiques  allemanda  qui  surent  profiter  de  ces  cbe&-d'a9uvre  mais 
bien  dea  musiciens  ótrangers. 

C'est  ainsi  qu'en  Franco,  les  librettistes  Hippolyte  Bis  et  Jouj 


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SCHILLXa  IT  LA.  HUSIQUS  843 

emprontèrent  aa  Oniilmime  Téli  de  Schiller  la  plapart  dee  ntuatiou 
et  les  péripéties  du  drame,  ponr  en  faìre  le  liyret  da  grand  opera 
en  quatre  actes  de  GuiUaume  TeU  que  toat  le  monde  connaìt  et 
que  BossiNi  a  Immortalisé  avec  sa  musique  ensoleillée.  La  première 
représentatdon  de  ce  chefd'oeuyre  eut  lieu  à  TAcadémie  Boyale  de 
mnsìqae  à  Paris,  le  3  aoùt  1829.  Les  rdles  étaient  ainsi  distribnés  : 
Amdd,  Adolpbe  Nourrlt  ;  Walter,  Levasseur;  Qessler,  Prévost;  Gail- 
laume,  Dabadie;  Mathilde,  M.^^  Damoreau-Ginti;  Jemmy,  M»*  Da- 
badie,  et  Hedwige,  W^  Mori. 

La  musiqne  scénìque,  ponr  le  GruUlaume  TeU  de  Schiller,  fot  com- 
posée  par  Bernard  Ansslmb  db  Weber,  lors  des  premières  représen- 
tations  da  drame  à  Berlin  en  1795. 

Un  antro  GhiUIaume  Tell^  drame  lyrìqae  en  trois  actes  et  en 
prose,  paroles  de  Sedaine,  mnsiqaè  de  Grétrt,  représenté  aax  Ita- 
liens  à  Paris,  le  9  ami  1791,  n'a  absolument  rìen  de  commnn  aree 
celai  de  Schiller. 

Le  librettiste  attitré  de  Grétrj  avait  tire  le  snjet  et  les  princi- 
pales  sitnatìons  d'ano  tragèdie  de  Guillaume  TeU,  oeavre  de  Lemierre, 
qoi  avait  été  Jouée  à  la  Comédie-Fran^aise  aa  mois  de  décembre  1766. 

Pendant  le  vojage  qa'il  fit  en  Saisse  dans  l'été  de  l'année  1831, 
MsNDSLSSOHN,  tròs  fortomont  impressionné  par  la  lectoro  da  drame 
de  OuHlaume  TeU  de  Sdiiller,  eut  l'idée  de  composer  la  mosique 
scéniqne  et  il  fit  immédiatement  part  de  ce  projot  à  ses  parents  dans 
la  lettre  qa'il  lear  adressait  d'Engelberg,  où  il  séjoamait  alors  mo- 
mentaoément.  Mendelssobn  s'exprìme  en  ces  termos: 

£Dgelbei^,  le  23  aoiìt  1831. 

Le  ocenr  me  debordo  et  il  iaxii  qne  je  me  soolage,  en  Fons  faisaoi;  part 
de  mes  imj^essioDà.  Je  yiens  do  me  mettre,  dans  cotte  charmante  vallèe,» 
à  relìre  le  Guillaume  TeU  de  Schiller,  et  j'achève  à  Tinstant  la  première 
moitié  de  la  première  scène;  —  il  n'j  a  toat  de  méme  aacon  art  com- 
parable  à  notre  art  allemand!  Dien  sait  d^où  cela  Tient,  mais  je  ne  erois 
pas  qa'ancnn  aotre  penpìe  soìt  capable  de  comprendre,  à  plus  foite 
raison  de  faire  rien  de  pareìl  à  ce  commencement.  —  Y-oilà  oe  qui  s'ap- 
pelle  -sn  poème  et  on  débntl  D'abord  ces  vers  si  Hmpìdes,  si  clairs, 
dont  rharmonìe  rappelle  si  hien  le  lac  an  brillant  niiroir  et  toat  ce  «qni 
caractérìse  la  Saisse;  pois  ce  long  et  insignifiant  bavardage  des  monta- 
gaards,  et  enfin  Baamgarten  arrivant  aa  milieu  de  toat  cela,  —  c'est 
divinement  beau  !  Quelle  fìralchear,  quelle  puissance,  et  conune  cela  vous 

Ri9itta  muticalt  italiana.  Vili  6ò 


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844  MKMoaiK 

entraine!  —  Mais  en  masique  il  n'y  a  pas  encore  une  oeuvre  pareille, 
et  cependant  il  faut  aussi  que  la  mnsiqae  ait  un  joar  quelque  chose 
d*aussi  parfait.  Ce  que  j'admire  encore,  c'est  que  Schiller  s'est  cróé  à 
lui-méme  toute  la  Suisse,  et  bien  qu'il  ne  l'eùt  jamais  vue,  tout  est,  dans 
son  oeuvre,  d'une  fidéHté,  d'une  vérité  saisissante:  moeurs,  habitants, 
nature  et  paysage.  —  Je  me  sentis  de  suite  en  belle  humeur  lorsque, 
dans  ce  village  élevé  et  solitaire,  mon  vieil  hòte  m'apporta  du  convent 
le  volume  de  Schiller  imprimé  en  caractòres  qui  me  rappelaient  la  pa- 
trie, et  portant  en  tdte  ce  nom  qui  m'est  si  familier  ;  mais  le  commw- 
cement  de  la  pièce  a,  une  fois  encore,  surpassé  mon  attente.  Il  fsasi 
dire  aussi  qu'il  j  a  plus  de  quatre  ans  que  je  ne  l'avais  lue.  Quaod 
j'aurai  termine,  j'ai  l'intention  d'aller  au  couvent  et  de  jeter  un  p«i 
mes  impressioiis  sur  l'orgue.  —  Après  midi,  —  Ne  vous  ótonnez  pas  de 
ce  que  je  viens  de  dire  au  sujet  de  QuiUaume  TeU,  relisez  seulement 
la  première  scène  et  vous  le  comprendrez.  Des  scènes  comme  celle  où 
tous  les  pàtres  et  les  chasseurs  crient:  *  Sauve-le!  Sauve-lel  Sauve-le! . 
ou  la  fin  de  celle  du  Ortitli  où  le  soleil  se  lève  sur  la  scène  vide,  ne 
pouvaient  en  vérité  venir  qu'à  l'esprit  d'un  Allemand  et  d'un  Allemand 
qui  s'appelait  M.  de  Schiller.  Or,  la  pièce  tout  entière  fourmille  de  traìts 
pareils.  Laissez-moi  vous  citer  l'endroit  où,  à  la  fin  de  la  seconde  scène, 
Teli  s'approche  de  Stauffacher  aveo  Baumgarten  qu'il  a  sauvé,  et  termine 
cette  émouvante  péripétie  d'une  manière  si  calme  et  si  assurée;  outre 
la  beante  de  la  pensée,  cela  est  profondément  suisse.  Belisez  aussi  le 
commencement  de  la  scène  du  Orùtli.  J'ai  compose  ce  matin  la  sym- 
phonie  que  l'orchestre  doit  jouer  à  la  fin,  au  moment  où  le  soleil  se 
lève,  mais  je  n'ai  pu  la  composer  que  mentalement,  car,  sur  le  petit 
orgue  d'ici,  il  était  impossible  de  rien  faire  de  bon  ,. 

Malheureusement,  Mendelssohn,  detoumé  sans  nul  doute  par  d'autres 
préoccupations,  ne  donna  pas  suite  à  son  intention. 

Farmi  les  librettìstes  italìens  et  franpais  qui  empnmtèrent  ani 
drames  de  Schiller  le  titre  et  les  principales  situations  de  leors 
opéras,  je  citerai  les  suivants: 

1  Briganti f  opera  en  3  actes,  livret  de  Crescini,  musique  de  Mkbca- 
DANTB,  représenté  pour  la  première  fois  à  Paris  au  Théàtre-Italien,  le 
22  mars  1836. 

/  MastMdieri  (Les  Brigands),  opera  en  4  actes,  livret  de  Maffei,  mu- 
sique de  Verdi,  représenté  à  Londres  au  théàtre  de  Druy-Lane,  au  moìs 
de  juillet  1847. 

Luisa  MiUer,  opera,  livret  de  Cammarano,  musique  de  Verdi,  repré- 
senté à  Naples,  en  décembre  1849. 


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SCHILLER  BT  LA  MU8IQUE  845 

Don  Carlos,  grand  opera  en  5  actes,  livret  de  Méry  et  Camille  du 
Lode,  mnsique  de  Vbbdi,  reprósenté  à  TOpóra  de  Paris,  le  11  mars  1867. 

Maria  Stuarda,  opera  mìs  en  musiqne  par  trois  compositeors  ìtaliens 
différents:  Piirbb  Casslla,  Mergadantb  et  Dokizstti. 

Marie  Stuart,  opera  en  5  acies,  paroles  de  Theodor  Anne,  musiqne 
de  NiKDKRMETEB,  représenté  à  FAcadémie  Boyale  de  musique,  le  6  de- 
cembre  1844. 

WaUenstein,  opera,  mnsique  de  Masone,  représenté  au  thé&tre  del 
Fondo,  à  Naples,  en  septembre  1873. 

Un  autre  opera  portant  le  méme  titre,  musique  de  Dbnza,  fut  éga- 
lement  représenté  sur  la  méme  scène,  en  mai  1876. 

Citons  encore  la  <  Trilogie  symphonique  >  que  M.  Vincent  d' Indy 
a  composée  sur  le  poème  de  Wallenstein. 

Au  sujet  de  Marie  Stuart  de  Schiller,  nous  termìnerons  cette 
étude  par  les  lignes  que  Hector  Berlioz  luì  a  consacrées  dans  son 
livre  Les  Sairées  de  V Orchestre: 

<  —  Pourquoì,  reprend  Corsino,  après  un  silence  et  comme  pour 
rompre  une  conversation  qui  lui  est  pénible,  n'étes-yous  pas  venu 
avant-hier  à  la  représentation  de  la  Marie  Stuart  de  Schiller  ?  Nos 
premiers  acteurs  y  figuraient  et  le  chef-d'oeuvre  n'a  point  été  mal 
rendu,  je  puis  vous  Tassurer. 

<  Vous  ne  m'en  comptez  pas  moins,  je  Tespère,  parmi  les  plus  sin- 
cères  admirateurs  de  Schiller  ;  mais  il  faut  yous  avouer  mon  insur- 
montable  antipathie  pour  les  drames  dans  lesquels  figurent  le  billot, 
la  hache,  le  bourreau.  Je  n'y  puis  tenir.  Ce  genre  de  mort  et  les 
apprèts  qu*il  nécessite  ont  quelque  chose  de  hideux!  Bien  ne  m'a 
jamais  inspiré  une  plus  profonde  ayersion  pour  la  foule,  pour  la 
populace  de  tout  rang  et  de  toute  classe,  que  Thorrible  ardeur  ayec 
laquelle  on  la  yoit  se  ruer  à  certains  jours  yers  le  lieu  des  exécu- 
tions.  En  me  représentant  cette  multitude  pressée,  la  gueule  beante 
autour  d*un  échafaud,  je  songe  toujours  au  bonheur  d'ayoìr  sous  la 
main  huit  ou  dix  pièces  de  canon  chargés  à  mitraille,  pour  anéantir 
d'un  Seul  coup  cette  aifreuse  canaille  sans  ayoir  besoin  d'y  toucher. 
Gar  je  con9ois  qu'on  yerse  le  sang  de  cette  fafon,  de  loin,  ayec  fracas, 
ayec  feu  et  tonnerres,  quand  on  est  en  colere;  et  j'aimeraìs  mieux 
mìtrailler  quarante  de  mes  ennemis  que  d'en  yoir  guillotiner  un  seul. 
—  Corsino,  approuyant  de  la  téte  :  Vous  ayez  des  goùts  d'artiste.  — 


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S46  mkmorh 

Quant  à  cette  panvre  charmante  reine  Marie,  dii  Winter,  je  ooBTiens 
qu'oD  poumt  fort  bien  la  détrnire,  sans  aller  aìnsi  giter  son  beta 
eoi.  —  Ehi  eh!  répliqae  Dimsky,  c'était  pent-éta-e précisément  àce 
beau  col  qa'en  Toulait  Elisabeth.  An  reste,  détntire  est  heureoaemeDt 
tronvé;  j^appronve  le  mot.  —  Oh  !  Messieurs!  poavez-voiis  rire  et  piai* 
santer  d'une  telle  catastrophe,  d*un  crime  si  afireux  ! 

Schiller  moumt  à  Weimar  le  9  mai  1805,  &gé  de  qnaranten^inq 
ans,  cinq  mois  et  viagt-neuf  jours.  L'enterveme&t  eut  lien  dans  la 
nmt  du  samedi  au  dimanche  12  mai.  Le  dimanche,  daas  Taprès- 
midi,  on  celebra  les  funérailles  dans  l'égliae  de  SainfrJacqoe&  L'ad* 
mirable  Bejmem  de  MosEart  fot  exécuté  par  la  ehapelle  dacale,  et 
le  sorintendant  Voigt  pronon9a  un  discours. 

H.  EXINQ 

Prof,  an  Conaerratoin  de  mvsiqae  àe  Oaaèft^ 
Officier  d'Àcadémie. 


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D  Solitaire  gecoi]d,  ou  Prose  de  la  niugique 
di  Poiitug  de  Tyard. 


«  kÀh  homme  acquiert,  par  son  mérite,  Testime  dea  premiers 
«  écrìvains  de  son  temps»  la  faveur  des  rois,  la  bienveillance  des 
«  femmes  les  plus  célèbres  par  la  naissance  ou  les  charmes  de  leur 
«  esprit;  cet  homme,  chargé  de  gioire  et  d'années,  s'endori  de  son 
«  dernier  sommeU  avec  la  promesse  et  l'espoir  d'une  doublé  immor- 
«  talité,  et  bientdt  Toubli  couvre  sa  mémoire  >. 

Così  scriveva  J.  P.  Abel  Jeandet  nel  suo  libro:  Étuck  sur  le  seù 
sfième  siècle.  Franee  et  Bowrgogne.  Pontus  de  l^rd^  seigneur  de 
Bissy,  depuis  évéque  de  ChcUan.  Ouvrage  cawrotmépar  TAcadémie 
de  Macon.  —  29  dicembre  1859.  —  Paris,  A.  Aubry,  1860,  in  8% 
pp.  xn-240. 

Disgraziatamente  questa  accuratissima  monografia,  che  vinse  il 
concorso  indetto  idWAcadémie  des  seienees,  arts,  helles  leitres  et 
d^agricuUure  de  Macon  sopra  un'Étude  sur  Pontus  de  Tyard^ 
évèque  de  Chalon  et  poète  mdconncnSy  sumommé  de  son  temps  VA- 
nacréon  frangais,  fu  tirata  ad  un  numero  limitato  di  esemplari 
(400  copie  ;  delle  quali  solo  300  messe  in  vendita).  Essa  è  perciò 
poco  nota  e  eob  fìEicile  a  trovarsi;  tanto  piti  che  né  il  Lorenz  nel  suo 
Catalogue  general  de  la  librairie  frangaise^  né  la  Bibliographie  de 
la  Franee  la  registrano.  È  però  citata  nel  Manuel  du  lihraire  et  de 
T amateur  de  livres  del  Brunet  (Tomo  V,  alla  voce  Thyard);  ed  è 
conosciuta  dal  bibliofilo  Gustavo  Mouravit,  che  la  ricorda  in  una  nota 
apposta  all'articolo  Amour  immortel  nel  Voi.  I  dell'opera  di  J.  M. 
Quérard  :  Les  st/^erd^eries  littéraires  dévoiUes. 


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848 


MEMORIE 


Tuttavìa  non  tanto  la  difficoltà  di  rinvenirla,  che  altri  accenni 
biografici  sai  Tyard  si  troverebbero  altrove  (1),  quanto  il  mancare 


Ritratto  di  PoNTUB  DE  Ttard, 
che  trovasi  nel  verto  del  frontespizio  del  Solitaire  aecond, 

nella  monografia  dello  Jeandet  la  benché  minima  analisi  del  SoUtaùre 


(1)  Oltre  che  negli  articoli  di  enciclopedie  e  dizionari,  quali  Le  grand  dietùm' 
naire  hiatorique  del  Moréri,  la  Biographie  universeUe  (Michand),  la  NouvéSe 
bhgrapkie  generale  (FirminDidot),  nel  Fétis,  neWAUgem.  LiUer.  der  Muta 


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IL  'SOLITAIRE  8EC0NO ,  DI  PONTUS  DB  TTARD  849 

seeondj  rende  piti  che  mai  opportuno  uno  stadio,  o  —  più  modesta- 
mente —  un  cenno  intomo  a  questo  libro  di  teorica  musicale,  per 
la  sua  rarità  avidamente  cercato  dai  bibliofili  (1),  opera  curiosa,  se 
non  di  intrinseco  yalore,  di  uno  dei  più  bizzarri  e  versatili  ingegni 
del  secolo  XVI. 

*  * 

Alla  descrizione  del  SoUtaire  second  sarà  bene  &r  precedere  qualche 
notizia  sommaria  intomo  alla  vita  del  Tyard,  fissando  e  giustificando 
anzitutto  l'ortografia  del  cognome. 

Tyard  è  quasi  sempre  scritto  in  questa  maniera  sul  frontespizio 
delle  sue  opere,  stampate  lui  vivente;  tuttavia  nel  poemetto  Ponti 
Thyardei  Bissiani^  ad  Petrum  Bansardum^  De  CeUstìhus  Aste- 
rismis  Poemaiium  —  Parisiis^  apud  Galeoium  à  Prato,  1573, 
in  4^  —  lo  troviamo  anche  coir  A.  La  quale  h  fu  poi  adottata  più 
tardi  da  un  discendente  di  Lui,  il  marchese  Gaspare  Pontus  de 
Thyard. 


del  FoRKEL  (il  quale  altimo  Io  chiama  Pokcs  de  Tbtard),  si  hanno  notisie  del 
Tyard  in: 

La  Groiz  du  Maine,  Da  Verdier,  Bibìioth.  frangaise. 

Papillon,  Bibìioth,  des  auteurs  de  Bourgogne, 

Sainte-Marthe,  Elogia, 

G.  Golletet,  Vies  dea  poètee  frangaia. 

L.  Jacob,  De  claris  scriptoribus  cubUhnensibus, 

GoLomis,  GaUia  orientalis. 

De  Thou  et  Tbisbier,  Élogea.  —  Tomo  IV. 

GovjBT,  Bibìioth,  frangaiee,  —  Tomo  XIV. 

KiOERON,  Mémoires.  —  Tomo  XXI. 

Poètea  firangais  (Edizione  Grepet).  ^  Tomo  II. 

Hiatoire  de  Pontua  de  Tyard  i  auivie  de  la  genealogie  de  ceUe  maiaon 
[pahblicata  da  L.  G.  Harim].  —  Neuch&tel,  1784. 

Martin,  Notiee  aur  la  vie  et  ìea  ouvragea  de  Pontua  de  Tyard,  —  Paris, 
1786. 

Ma  la  più  importante  monografia  resta  sempre  qaella  dello  Jeandet,  otti  mas- 
simamente ho  seguito  quanto  a  notizie  biografiche,  avendo  lo  Jeandet  potato 
consaltare  gran  numero  di  documenti  originali. 

(1)  L'edizione  di  Parigi,  1573,  unita  al  Soiitaire  premier^  è  stata  pagata  121  fr., 
alla  yendita  Solar;  qaella  di  Lione  1555,  senza  il  SoUtaire  premier,  150  fr.  alla 
vendita  Goete  e  175  fr.  alla  vendita  CaUhava. 


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85D 


MUfORIS 


Nella  grafia  moderna  della  famiglia  ed  anche  in  alcuni  docameatì 
del  secolo  XYI  lo  troviamo  scritto  cosi:  Thiard;  ma  il  Gnmi 


Ritratto  che  trovasi  nelle  Oaleries  hiskniquM  de  VersaiUes, 

Tyard  (1)  firmava  costantemente  Tyard^  come  si  rileva  dai  facsimili 
degli  autografi  di  Pontus,  riprodotti  dallo  Jeandet  (op.  cit,  pp.  186-87). 
Conserveremo  quindi  anche  noi  tale  ortografia. 


(1)  Così,  e  con  questa  ortografia,  è  chiamato  il  Nostro  in  una  quartina  che 
Ste&no  Tabonrot  gli  scrisse  —  sempre  Lai  vivente  —  sotto  nn  ritratto: 
«  Do.  grand  Tyard  le  beaa  portrait  témolgne 
Son  rare  esprit  et  ses  perfections; 
Mais  ses  écrits  font  foi  qae  la  Boargoigne 
En  rien  ne  cède  ani  autres  nations.  » 

(Hist  deF.de  Thyard,  pag.  58). 


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IL  *  80LITAIRX  8VC0ND  ,  DI  PONTUS  DS  TTARD  851 

La  data  della  nascita  di  Fontus  de  Tyard  non  è  stata  finora  bene 
accertata  dai  biografi;  poiché,  o  per  essere  stati  distrutti  nel  sao- 
cb^gio  subito  dal  Castello  di  Bissy  nel  1591,  o  per  altra  causa 
smarriti,  non  esistono  documenti  originali  relatìyi  ai  primi  anni  del 
Tyard.  La  maggior  parte  degli  scrittori  lo  dicono  morto  a  84  anni  ; 
e  questo  è  confermato  anche  da  Jacques  Goijon  (1),  che  fu  suo  con- 
cittadino e  contemporaneo.  Ora,  siccome  il  Tyard  —  secondo  un  do- 
cumento originale  yeduto  dallo  Jeandet  —  morì  nel  1605  (2),  così 
si  può  fissarne  la  nascita  al  1521.  La  quale  data  concorda  benissimo 
colla  dicitura  del  ritratto  da  noi  riprodotto.  Il  che  non  aveva  bene 
osservato  lo  Jeandet  e  anche  aveva  tratto  in  errore  il  Fétis. 

Il  primo  infatti  ha  un  lontano  sospetto  che  il  ritratto  in  questione 
sia  stato  fatto  qualche  anno  prima  del  1555;  il  secondo  a  proposito 
di  queir  <  en  san  an  SI  >  scrìve:  <  Ce  qui  pourrait  £aire  penser 
«  que  Tannée  précise  de  sa  naissance  fut  1524  >. 

Il  dubbio  e  Terrore  non  avrebbero  avuto  luogo  se  lo  Jeandet  e  il 
Fétis  avessero  pensato  una  cosa  semplicissima,  cioè  che  Tedisione 
del  1555  non  è  l'edizione  prìncipe,  ma  semplicemente  una  ristampa 
di  quella  del  1552.  Ora  mettete  in  questa,  come  realmente  c'era,  il 
ritratto  del  Tyard  en  san  an  31,  e  avrete  una  nuova  conferma  sul- 
l'esattezza della  data  1521,  come  anno  di  nascita  del  Nostro. 

Pontus  de  Tyard,  Signore  di  Bissy,  nato  al  castello  di  Bissy-sor-Fley 
(Dipart.  di  Sadne-et-Loire),  apparteneva  ad  una  nobile  famiglia  della 
Borgopa.  Destinato  alla  vita  ecclesiastica,  si  diede,  fino  dalla  gio- 
vinezza, alle  lettere  ed  alle  scienze.  Terminati  gli  studi  all'Università 
di  Parigi,  fece  parte  (1551)  con  Bonsard,  Du  Bellay,  Jodelle,  Belleau, 
Baif  e  Dorat  della  famosa  Plèiade  (3),  che  fu  l'inizio  ^^WAcadémie 
franQaise,  nella  quale  Pontus  ebbe  a  colleghi  ed  amici  Carlo  IX  ed 


(1)  Jaoobi  Joaxis  àndrkae  et  Huookib  GuuoNiini  Opera  varia,  ex  bibliotheca 
PhUib.  de  La  Mare,  —  Dirìone,  Pbilib.  Chayane,  1658,  in  4^  —  pag.  226. 

(2)  Il  ritratto  qui  riprodotto  dalle  Oaìeries  historiques  de  VersaiììeB  porta 
anch^eno  segnato  Tanno  di  morte:  1605. 

(8)  Lo  Jeakdbt  (Op.  dt.,  pag.  19  e  seg.)  ha  una  ricca  bibliografia  intomo  alla 
Pleiade.  Sa  di  essa  (e  sa  Pontas  de  Tyard  in  particolare)  yedi  inoltre  il  Du  Blbd, 
qai  sabito  appresso  cit.,  e  Ferdinand  Brunbtière,  La  Plèiade  frangaise.  [Sta 
in:  Revue  dee  deux  tnondee,  15  dicembre,  1900  e  seg.]. 


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852  MSMoauB 

Enrico  III  (1).  Quest'ultimo,  dopo  averlo  fatto  suo  consigliere,  lo 
nominò  vescoTO  di  Chftlon-sur-Sadne  (1578);  vescorato  che  Tyird 
tenne  fino  al  1594,  nel  quale  anno  lo  cedette  a  suo  nipote  Ciro  per 
dedicarsi  nuovamente  a'  suoi  studi  filosofici. 

Pel  suo  sapere  gli  fu  applicato  il  motto  d'Ovidio:  Omnia  Ponim 
erat  Tralasciando  gli  scritti  minori,  le  sue  opere  principali  sono: 

In  poesia: 
Erreurs  amouretises; 
Livre  de  vera  lyriques; 
Nauvelles  ceuvres  poétiques. 

In  prosa: 

Discours  phihsophiques.  Sotto  questo  titolo  Tyard  stesso  riunì, 
nel  1587,  in  un  volume  le  seguenti  opere,  che  prima  erano  state 
pubblicate  separatamente: 

Solitaire  Premier,  ou  Discours  des  Muses  et  de  la  fureur 
poétiqtée; 

Solitaire  Seconda  ou  Discours  de  la  Musique; 

Mantice,  ou  Discours  de  la  vérité  de  divination par  astrologie; 

Le  Premier  Curieux,  ou  premier  Discours  de  la  nature  du 
monde  et  de  ses  parties; 

Le  Second  Curieux,  ou  second  Discours  de  la  nature  du  monde 
et  de  ses  parties,  traitant  des  choses  intellectueUes  ; 

ScèvCj  ou  Discours  du  Temps,  de  VAn  et  de  ses  parties. 

Di  queste  opere  noi  prenderemo  a  considerare  il  solo  Solitaire 
Second,  come  quello  che  unico  serve  all'  indole  de'  nostri  studi  ed 
allo  scopo  prefissoci  ;  e  sceglieremo  la  2*  ediz.  (la  1*  uscì  dagli  stessi 
torchi  nel  1552)  anche  perchè  sconosciuta  al  bibliografo  Papillon, 
che  pure  ha  —  per  quanto  in  modo  errato  —  citato  la  prima  nellt 
Bihlioth.  des  auteurs  de  Bourgogne. 


(1)  Victor  du  Blid,  VAcadémie  frangati  de  Charles  IX  et  de  Henri  IH 
[Sta  in:  Nouvelle  Eevue,  15  maggio,  1895], 


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IL  'SOLITAIRK  SXCOND  ,  DI  P0NTU8  DI  TTARD 


853 


♦ 
♦  ♦ 


[PoNTUS  DE  Tyard],  SoUtaire  seconda  ou  Prose  de  la  musique. 
A  Lion,  Jan  de  Touraes,  MDLV,  avec  privìlege  du  Boy,  in  4"*  fig., 


Frontespizio  del  SoUtaire  second  di  Pontos  de  Tjard. 

pp.  160  -h  12  n.n.,  con  l  grande  tav.  h-  altre  2  carte   di  tav.  sap- 
plementarì.  Carattere  italico. 


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864  BOMORII 

Come  si  vede  dal  frontespizio,  di  cui,  per  Teleganza  del  fregio 
che  lo  contorna,  diamo  qui  la  riproduzione,  T opera  si  presenta  a 
primo  aspetto  anonima.  Nel  verso  del  frontespizio  sta  il  ritratto  che  ab- 
biamo riprodotto  al  principio  di  questo  stadio.  La  carta  a  JS  è  occupata 
nel  recto  da  un  sonetto,  il  cui  autore  è  celato  sotto  le  iniziali  M.  SC; 
iniziali  troppo  trasparenti  per  non  lasciar  scorgere  il  nome  di  Maurice 
Scève  (1),  «  l'ami  extrémement  aimé,  mais  non  jamais  assez  ho- 
noré  »  di  Pontus  (2). 

Nel  verso  della  car.  a  ^  è  la  dedica  che  VA.  fa  alla  saa  dama 
—  A  PASITHBE  —  firmandosi  AMOUR  IMMORTELLE,  che  è  il 
motto  del  giovane  e  amoroso  poeta,  e  che  trovasi  in  fine  a  ciascuna 
dedica  e  a  ciascun  libro  delle  sue  poesie. 

La  pag.  5,  che  segue,  dà  principio  al  trattato. 

S'introduce  TA.  a  parlare  del  modo  di  allungare  la  vita  mediante 
la  tranquillità  dello  spirito  e  la  temperanza,  della  quale  dice  essere 
la  musica  vrey  intage^  ed  espone  il  soggetto^  dichiarando  il  perchè 
di  questo  secondo  SoUtaire.  Fu  per  meglio  far  approfondire  nell'arte 
musicale  la  sua  Pasitea  e  per  compiacere  a  un  desiderio  di  lei  che 
egli  scrisse  un  tale  libro. 

Ma  Pasitea,  la  musa  ispiratrice  del  poeta,  chi  era  dessa  ?  Questa 
meraviglia,  di  cui  egli  canta  la  beltà  e  la  grazia,  esalta  la  virtù, 
ammira  lo  spirito  adomo  di  tutte  le  gentilles  disciplines^  questa  non 
meno  dotta  che  virtuosa  donna,  colla  quale  egli  tratta  dì  poesia, 
d'amore,  di  musica,  di  alta  scienza,  non  sarebbe  forse  —  si  domanda 
lo  Jeandet  —  la  Contessa  di  Retz  ?  E  dell'opinione  dello  Jeandet  è 
pure  Victor  du  Bled  nello  studio  citato. 

Claudia  Caterina  di  Clermont,  vedova  in  prime  nozze  di  Giovanni 
d'Annebault,  rimaritata  con  Alberto  di  Gondi,  duca  di  Retz,  chia- 
mata dai  suoi  contemporanei  col  titolo  di  Decima  Musa  e  di  Quarta 
Grcufia^  sapeva  parlare  e  scrivere  elegantemente  in  greco,  in  latino 
e  in  italiano,  come  sapeva  trattare  di  politica  e  d'aifari  di  stato  al 
pari  del  più  scaltro  diplomatico. 


(1)  M.  Scève,  poeta,  morto  nella  sua  natale  città  di  Lione  il  1564.  Era  no 
gran  ricercatore  di  antiche  curiosità,  ed  ebbe  gusto  raffinato  per  le  arti,  specie 
per  rarchitettnra  e  per  la  masica. 

(2)  PoxTus  DE  Ttard,  Dìsc,  phUosoph.,  SoKtaire  premier,  car.  51. 


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IL  ^SOLITAIRS  SBGOND,  DI  P0NTU8  DE  TYARD  856 

Fra  i  poeti,  dei  qnali  il  suo  castello  era  il  ritrovo,  eravi  Poatas 
de  Tyard;  e  tutto  concorre  a  far  credere  che  sotto  il  nome  di  Pa- 
sithée  si  celasse  quello  della  Duchessa,  di  cui  cosi  egli  canta: 

Plas  docte  poesie  en  votre  esprit  est  peinte 
QaVnoqaes  sur  Hélicon  Àpollon  n'en  pensa: 
Un  plus  iliostre  r^g  onq  Phébos  nWan^a 
Qii*est  celai  dont  mon  coear  noarrit  sa  fiamme  empreinte. 

Ma  torniamo  all'argomento  del  Solitaire.  Dopo  l'accennata  intro- 
duzione, l'A.  s'addentra  subito  nella  materia.  La  musica  —  egli  dice 
—  è  di  origine  divina:  la  sua  invenzione  è  da  alcuni  attribuita  a 
Mercurio,  da  altri  ad  Orfeo,  ad  Amfione,  a  Tamiro,  a  Pierio,  a  Fi- 
lammone,  a  Licaone  da  Samo,  ecc.  I  suoni  anticamente  erano  da 
alcuni  distinti  coi  nomi  di  Hypaie^  Mese,  Nete  ;  da  altri  con  quelli 
di  Archos,  Deuteros,  ecc.  E  dopo  aver  detto  dell'origine  della  Gamma 
e  della  Chiave^  viene  a  parlare  dell' J.rmonta,  del  come  questa  nasce, 
degli  intervalli,  delle  tre  specie  di  musica  in  generale  {diatonica, 
cromatica  ed  enarmonica)  e  del  tetracordo  in  particolare.  Parla  quindi 
il  Tyard  del  Diapason  e  delle  combinazioni  numeriche  degli  inter- 
valli, riferendosi  sempre  alla,  musica  greca,  che  egli  però  non  conosce 
direttamente,  ma  solo  per  quello  che  apprese  di  seconda  mano  dagli 
scrittori  latini  e  particolarmente  da  Boezio  e  da  Franchino  Gafurìo, 
«  au  quel  —  dice  il  Tyard  —  je  doy,  apres  Boéce,  le  plus  »  (1). 

Di  tutte  le  proporzioni  musicali  il  Nostro  dà  ragioni  non  solo  nu- 
meriche e  grafiche  (2),  ma  naturali,  stabilendo  rapporti  con  tutto  il 
creato,  dai  corpi  celesti  agli  umani,  e  raffrontando  i  vari  generi  di 
musica  colle  varie  passioni  dell'anima. 

L'A.  chiude  il  suo  lavoro  con  un  capitolo  speciale  intitolato:  La 
composidon  et  Vusage  du  Monocorde]  istrumento  che  egli  ha  per- 
fezionato e  del  quale  è  data  la  tavola  illustrativa,  che  qui  appresso 
riproduciamo. 

Alla  tavola  del  Monocordo  fanno  seguito  alcune  poesie  in  lode 
del  Tyard,  fra  le  quali  un  sonetto  di  Francesco  Tartarei,  di  cui  più 
innanzi  riporteremo  alcuni  versi.  Vi  sono  inoltre  alcune  pagine  con- 


fi) Solitaire  seconda  pag.  119. 

(2)  Il  testo  è  spesso  intercalato  da  figore  geometriche. 


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856 


MVMORIB 


tenenti  l'Indice  delle  cose  notabili  ;  un  avvertimento  dello  stampatore 
sulle  figaro  grafiche;  quattro  tavole  di  queste  figure;  rerrata-corrìge: 


VExtrait  dea  lettres  du  privilege  du  Boy  e  infine  la  data  di  stampa, 
così:  Achevé  d^ imprimer  le  xvi  de  Novembre^  M.D.LV. 


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IL  '  SOUTAIRB  SEGOND  ,  DI  PONTUS  DE  TTARD  857 


Dall'esposizione  sommaria  fatta  si  vede  che  musicalmente  questo 
SoUtaire  non  ha  importanza  se  non  dal  lato  bibliografico  della  ra- 
rità e  del  tempo  in  cui  fu  scrìtto,  essendo  uno  dei  primi  trattati  di 
musica  che  si  conoscano.  Del  resto  le  solite  cose  che  si  frovano  in 
tutti  i  trattati  d'allora,  senza  teorie  nuove  in  fatto  di  tecnica  mu- 
sicale, se  si  eccettua  la  curiosità  del  monocordo^  il  quale  non  è  poi 
del  tutto  una  creazione  del  Tyard  e  neppure  s'ha  a  considerare  come 
uno  strumento  molto  gioveyole  alla  pratica  musicale. 

Le  benemerenze  del  Tyard  per  la  musica  non  sono  tuttavia  né 
piccole,  né  da  disprezzarsi;  perchè  egli  è  tra  i  primissimi  francesi 
che  si  siano  adoperati  per  dare  vigoroso  impulso  agli  studi  musicali, 
e  non  solo  colle  parole,  ma  coli' esempio,  coltivando  praticamente 
l'arte  e  riuscendo  eccellente  esecutore:  e  ciò  è  bene  che  qui  venga 
notato,  non  essendo  finora  il  Tyard  mai  apparso,  come  esecutore, 
nei  dizionari,  nelle  storie  e  negli  altri  scritti  intomo  alla  musica. 

Si  è  sempre  creduto  che  il  Baif  fosse  stato  in  Francia  il  fondatore 
degli  studi  musicali  ;  e  Victor  du  Bled  nello  studio  citato  si  adopera 
a  difibndere  questa  credenza.  Ma  da  un  lavoro  recente,  come  quello 
del  Dn  Bled,  si  aveva  il  diritto  di  richiedere  una  maggiore  cono- 
scenza non  solo  della  storia  musicale,  ma  degli  studi  che  lo  hanno 
preceduto.  Che  se  il  Du  Bled  avesse  saputo  l'esistenza  dell'opera 
dello  Jeandet,  avrebbe,  per  lo  meno,  sulla  scorta  di  essa,  meglio  va- 
gliato le  sue  notizie  e  maggiormente  ponderato  i  suoi  apprezzamenti. 

Il  merito  del  Baif  (al  quale  si  aggregò  Thibaut  de  Courville)  con- 
siste nell'aver  esso  ideato  e  proposto  a  Carlo  IX  nel  1570  la  fonda- 
zione di  un'Accademia,  che  avesse  lo  scopo  di  accordare  la  poesia 
colla  musica,  legando  l'una  all'altra  con  leggi  di  prosodia,  alla  ma- 
niera dei  Oreci  e  dei  Latini,  e  «  de  représenter  la  parole  en  chant 
«  accompli  de  sons,  harmonie  et  melodie  . . .  renouvelant  aussi  l'an- 
«  cienne  fafon  de  composer  vers  mesurés  pour  y  accompagner  le  chant 
<  pareillement  mesuré  >  (1). 


(1)  Vedi:  Ed.  Fréxt,  L'Académie  dee  derniers  Valois-,  e  Sainte-Beuve,  Ta- 
bleau de  ìa  poesie  frangaise  au  XVI  sièele. 


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856  MBMORU 

E  il  Baif  non  lasciò,  nulla  d' intentato,  perchè  la  musica  meglio 
rispondesse  alla  parola,  e  le  note  non  fossero  solo  una  vana  e  mec- 
canica successione  di  suoni,  ma  rendessero  il  significato  e  l'espres- 
sione del  verso  e  del  sentimento.  Nobilissimo  proposito,  che  eUw  in 
Italia  cult<m  ed  apostoli  felici  e  fervidissimi  nel  Bore,  nel  Marenxio, 
nel  Monteverdi^  nel  Caccini  e  in  tanti  altri,  ai  quali  certamente 
deve  aver  pensato  Cristoforo  Qluck  nella  sua  riforma  del  melodramma: 
riforma»  che,  a'  dì  nastri,  Biccardo  Wagner  doveva  portare  all'ultiino 
grado  di  perfezione. 

Ma  il  Tyard  a  pag.  155-156  del  nostro  SoUtaire  scriveva:  «  Je  le- 

<  connoy  encores  aus  partìes  des  vers  qui  requierent  plus  d'observadons 
«  (ce  sont  les  syllabes)  si  peu  de  mesure  certeine,  que  je  n'oserois 

<  entreprendre  d'en  former  une  seule  reigle  :  mesmes  qu'à  notre  Mo- 

<  sique  je  voy  defaillir  Tocasion  de  plus  vive  eneigie,  qui  est  de 
«  savoir  acommoder  à  une  Mode  de  chanter,  une  fa9on  de  vers  con- 
4c  posee  en  piez  et  mesures  propres:  comme  je  croy  les  anciens  Greca, 

<  et  Himtce  (si  autre  Latin  y  ha  pris  garde)  avoir  tres  curieusem^t 
4c  observé . . .  Bien  voudróy  je  que  qudqu'un  plus  hardi,  et  plus  que 
4c  moy  sufisant,  entreprint,  et  vint  à  chef  d'un  art  Poétique  aproprié 
«  aus  fa^ons  Fran^oises;  je  requerrois  qu'il  prescrit  des  loix  Musi- 
le cales:  nommees  loix  anciennement,  pource  que  selon  leur  disposi- 

<  cion,  laquelle  il  n'estoit  permis  d'enfreindre,  la  Mode  de  chanter, 
4c  et  la  fa^on  des  rimes  estoient  gardees  inviolablemoit:  joint  que 
«les  premiers,  privez  de  la  commodité  des  lettres,  aosquelles  ìls 
«  pussent  fior  la  conservacion  de  leurs  loix,  les  chantoienti  et  ainsi 
«  les  mantroient  aus  jeunes,  à  fin  que  le  plaisir  du  chant,  rechanté 
«  souvent,  les  imprima  plus  tenammeut  en  la  memoire.  Je  requer- 
«  rois  donq  (veu  je  dire)  qu'à  Timage  des  Anciens  (si  bien  lenrs 
«  Spondees,  Trochees,  Embateriee,  Orthies,  et  telles  autres  tufm 
«  sont  loin  de  Tusage  de  tous,  et  de  la  connoissance  de  peu)  nox 
«  cfaanz  ussent  quelques  manieres  ordonnees  de  longueur  de  vers,  de 
«  suite  ou  entremellement  de  Bimes,  et  de  Mode  de  chanter,  selon 
«  le  merito  de  la  matiere  entreprìse  par  le  Poéte,  qui,  obaervant  en 
«  ses  vers  les  proporcions  doubles,  triples,  d'autant  et  demi,  d'autant 

<  et  tiers,  aussi  bien  qu'elles  sont  rencontrees  aus  consonances,  senrit 

<  dine  Poéte-musicien,  et  temoigneroit  que  la  harmonie  et  les  Bimes 
«  sont  presque  d'une  mesme  essence  :  et  que  sans  le  mariage  de  eee 


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IL  '80LITAIRE  SECOND  ,  DI  PONTUS  DE  TTARD  850 

«  deus,  le  Podte  et  le  Musicien  demeurent  moina  jouìssans  de  la 
«  grace  qu'ils  cherchent  aquerir  >. 

Queste  le  idee  del  Tyard  nel  1552,  mentre  il  Baif  estrinsecava 
il  suo  progetto  di  fondare  l'Accademia  soltanto  nel  1570. 

L'iniziativa  degli  studi  musicali  in  Francia  si  deve  quindi  al 
Tyard,  il  quale  alle  conoscenze  teoriche  aggiungeva  inoltre  una  pra- 
tica, che  lo  faceva,  a'  suoi  tempi,  tra'  migliori  musicisti  :  e  anche 
mecenate  egli  era  munìfico  e  intelligentissimo;  e  al  suo  castello  di 
Bissy  dava  concerti,  ai  quali  concorreva  il  fior  fiore  dell'arte,  del- 
l'aristocrazia e  della  bellezza. 

A  sua  lode  e  a  testimonianza  dell'alta  stima  in  cui  egli  era  tenuto 
dai  contemporanei,  trascrivo  alcuni  versi  tolti  dal  sonetto  del  Tar- 
taret  da  me  più  sopra  citato,  e  che,  come  abbiamo  veduto,  trovasi 
in  fine  del  Solitaire  secondi 

Qai  est  celai  qui  d*ane  alle  si  forte, 
Par  nn  sentier  non  tenie  des  plus  vieni, 
Hansse  son  voi  maintenant  jnsqn'anz  lienz 
On  vertn  senle  anx  grands  onvre  la  porte? 


Henrenx  Macon,  benrease  Sa6ne  encore 
Qui  jonssez  d'un  antre  Pjthagore 
Premier  anteur  des  sona  qn*il  vons  dódie. 

E  l'orientalista  Guy  Le  Fèvre  (1)  cosi  cantava: 

A  Scève  an  sens  profond,  Pelletier  et  Tjard, 
0  Mnses,  élevez  trois  colon nes  à  pari 
Dans  le  tempie  divin  de  votre  mòre  sainte, 
Et  soit  d*nn  yert  lanrìer  lenr  docte  téte  ceinté; 

Mais  soit  dn  grand  Tyart,  la  couronne  à  denz  rangs, 
Qui  a  si  bien  rejoint  de  la  Ijre  les  fianca, 
Et  ranimant  la  Muse  et  la  Mnsiqne,  encore 
A  ranimó  Platon,  Boèce  et  Pytbagore. 


(1)  Era  interprete  del  Re  per  le  lingne  straniere:  collaborò  alla  celebre  Bibbia 
poUghUa  del  Plantik. 

RMMta  mutieaU  iiaUana,  Vili.  56 


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860  MBMOUS 

Come  eseentore  poi  il  Tjard  mette?»  tanta  espressione  nel  eoBare, 
da  essere  egli  stesso  vinto  dal  sentimento;  talché  e  nel  viso  e  negli 
atti  si  trasformava  a  seconda  delle  passioni  che  voleva  suscitare  can- 
tando sul  liita  Lo  Aice  Pasitea  stessa  a  pag.  115  del  nostro  ScU- 
imire:  «  Hier^oiF  à  ma  requeste  ayant  [Tjard]  sar  ee  Lnt  sonné 
«  une  sienne  Ode  finissaate  par  Epodo  ren»plìe  de  quelqiMs  panons, 
«  il  devint  m  melaneolique^  que  j'en  pris  pitie  ». 

In  qod  florido  periodo  musicale,  che  oomineU^  a  svilupparsi  nella 
seconda  BMtà  del  secolo  XVI,  e  nel  quale  pochi  erano  i  liutisti  che 
non  fossero  anche  compositori,  è  possibile  ohe  un  musioìsta,  come  il 
Tjard,  si  cootentasas  dri  eseguire  unicaneiite  musica  altrui  ?  0  noo 
piuttosto  qualche  suo  madrigale  (la  corapo^ione  allora  &vorita)  è 
andato  distrutto  al  Castello  di  Bissy,  preso  e  saiccheggiatoi,  come  ab- 
biamo già  detto,  nel  1591,  o  a  quello  di  Bragny  (ove  il  Tyard  aveva 
messo  insieme  una  delle  più  ricche  biblioteche  del  suo  tempo),  in- 
cendiato nel  1636? 

Ormai,  dopo  le  diligenti  ricerche  fatte  sul  Tyard  dallo  Jeandet, 
ogni  speranza  di  raccogliere  nuovi  documenti  originali  sul  nostro 
Autore  è  vana;  e  più  che  alla  dispersione,  noi  dobbiamo  pensare  alla 
distruzione  di  quanto  noi  crediamo  fermamente  che  sia  esistito.  Ma 
il  non  conoscere  alcuna  composizione  musicale  del  Tyard  non  scema 
il  merito  di  Lui,  che  fu,  in  Francia,  tra  gli  astri  maggiori  che  il- 
luminarono la  complessa  civiltà  del  secolo  XVI. 

PUa,  1901. 

Luigi  Torri. 


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Arte  contemporanea 


IL  "^  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO. 


1  ragedia. 

Arrigo  Boito  non  poteva  usar  parola  più  propria  a  si<^mifìcare  che 
il  testo,  ch'ei  pubblicava,  era  parte  soltanto  d'una  sua  più  vasta  opera, 
complessa  di  tutti  i  ritmi  delle  arti  chiamate  «  musiche  »  d'ai  greci. 

Ma  certa  critica  spigolìstra  in  Italia  non  conosce  altra  tragedia 
che  r  academica  ;  anche  ignora  che  la  dbcaden^a  di  questa  forma 
deirarte  cominciò  allora  a  punto  ch'essa  divenne  alle  mani  de' retori 
imitatori  un'esercitazion  letteraria,  in  cui  s'offuscò  lo  splbndbre  del^ 
l'antico  spettacolo,  e  l'infinita  ricchezza  de'  metri  cedette  alla  fasti- 
diosa ripetizione  d'un  unico  verao,  e  vanirono  le  danze  leggiadre,  e 
tacquero  i  canti  che  —  misurati  su  la  melodìa  del  flauto,  o  alterni 
ne'  semicori,  o  svolgentisi  liberi  nella  voce  dell'attore  —  davano  a 
ogni  moto  dell'anima  l'espressione  più  intensa  e  più  varia. 

L'unità  del  miracolo  scenico  s'infranse  dopo  la  morte  di  Euripide; 
e  a  Riccardo  Wagner  soltanto  era  serbato  di  ricomporre  l'obliata 
armonia.  Oggi  le  opere  wagneriane  sono  ammirate  anche  da  coloro 
che  non  le  intendono;  e  non  di  meno  —  vedete?  —  si  continua  a 
spacciar  ai  creduli  che  là  tragedia  «  è  un  poema  rappresentativo  >, 
«  un  genere  per  eocelleiiza  letterario  »,  «  una  creazione  dell'arte  della 
parola  ». 


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862  ARTE  CONTEMPORANEA 

E  COSÌ,  se  intorno  al  Nerotie  più  non  suotarono  le  irose  fanfare 
degli  oricalchi  che  avevano  accolto  il  Mefistofele  (ricordate?  —  il 
poeta  allora  scriveva: 

n  volgo  intanto  intuona  per  le  piazze 

Le  fanfare  dell'ire, 

E  grida  a  noi  —  tra  le  risate  pazze  — 

Arte  dell'avvenire!) 

noi  udimmo  tuttavia  la  musichetta  stridula  de'  pifferi  nei  concerti 
dei  critici  pedanti  (1). 

I  quali  (parlo  de'  critici,  non  dei  pifferi)  credettero  che  il  testa 
che  avevano  innanzi  fosse  tutta  la  tragedia,  e  si  accinsero  a  giudi- 
carlo con  quei  metodi  a  punto  con  cui  avrebbero  esaminata  un'opera 
del  Comeille  o  del  yoltaire,  o  —  al  più  —  del  Niccolini  o  del  Cessa. 
Imaginate  le  scede.  Non  so  se  Arrigo  Boito  le  lesse.  Se  si,  dovette 
certo  ripetere  il  motto  con  cui  l'autore  della  Fedra  si  consolava  de' 
vituperi  di  certi  censori: 

'^  Homine  imperito  numquam  quidquam  i^justius  ,. 

*  * 

L'argomento  richiama  al  pensiero,  con  la  commedia  di  Pietro  Cessa, 
alcuni  drammi  tra  i  più  celebrati  nella  storia  delle  lettere:  V Ottavia 
latina  e  l'italiana,  il  Britannicus  del  Bacine,  il  Paolo  del  Gazoletti. 

Or  quali  espressioni  e  quali  caratteri  à  la  figura  di  Nerone  in 
questi  lavori? 

Vediamo. 

Ci  sarà  più  facile  chiarire  l'originalità  e  le  ragioni  dell'opera  di 
Arrigo  Boito. 

DAVOttatia  latina  possiamo  passarci.  Falsamente  attribuita  a  Se- 
neca (cui  l'Alfieri  —  ricordate?  —  farà  solennemente  promettere  che 

le  altre  età  sapranno 
Scevro  di  tema  e  di  lusinghe  il  vero), 

(1)  Non  yorrei  essere  frainteso.  Studi  pregefoli  in  torno  al  Nerone  non  man- 
carono: cito  tra  gli  altri  (e  più  d*ano  certo  mi  sfugge)  quelli  di  Gaetano  N^ri, 
di  Enrico  Gorradini,  di  Giovanni  Ben,  di  Vincenzo  Morello,  di  Luigi  Lodi,  di 
Eagenio  Checchi,  di  P.  Levi,  di  Gustavo  Balsamo  Criyelli.  Ma  farono  por  troppo 
eccezioni. 


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IL  *  NBRONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  863 

questa  tragedia  non  è  che  un'arida  e  prolissa  esercitazione  di  scuola, 
a  pena  rilevata  all'altimo  dalla  vision  del  naviglio  che  adduce  al 
lido  di  morte  l'infelice  eroina: 

Lenes  aurae,  Zephjrrique  leves, 
Tectam  qnondam  nube  aetherea 
Qui  vexìstis  raptam  saevae 
Virginis  arìs  Iphigeniam, 
Hanc  quoqae  tristi  procul  a  poena 
PoriAte,  precor,  tempia  ad  Trìviae. 
Urbe  est  nostra  mitior  Aulis 
Et  Taurorum  barbara  tellus. 
Hospitis  Ole  caede  litatur 
Numen  Superum:  civis  gaudet 
Boma  cruore  (1). 

Nerone  non  v'appare  che  fugacemente,  a  far  pompa  di  propositi 
empi  («  Stulte  verebor,  ipse  quum  faciam  deos  »  ;  <  Inertis  est  nescire 
quod  liceat  sibi  >;  «Fortuna  nostra  cuncta  permittit  niti»),  e  a  dar 
ordini  di  supplizi  e  di  stragi: 

Mox  tecta  flammis  concidant  urbis  meis. 
Ignes,  ruinae  noxium  populum  premant, 
Turpisque  egestas,  saeva  cum  luctu  fames  (2)  ; 

—  iroso  e  tristo  signore;  <  ìuvodìs  infandi  ingenii  capaxque  scelerum  »; 
figura,  del  resto,  senz'anima;  retorica  e  astratta  personificazione  del 
male. 

Che  di  quest*opera  si  ricordasse  l'Alfieri  appare,  chi  legga  V  Ottavia 
italiana,  a  più  segni  evidente;  tuttavia  l'imitazione  non  procede  oltre 
i  particolari  ;  nella  concezione  e  nelle  forme  è  tra  le  due  tragedie 
non  somiglianza,  ma  contrasto. 


(1)  Versi  971-982:  €  Lievi  aure  e  dolci  zeffiri  che  un  di  portaste  — rapita 
«  airara  eradele  entro  an*eterea  nube  —  Ifigenia,  deh  1  recate  pur  costei  lontano 
«  dalhi  triste  pena  ai  templi  di  Trivia.  Aolide  e  la  barbara  terra  de'  Tauri  son 
<  meno  feroci  di  quest'Urbe  nostra.  Esse  non  offrono  ai  loro  iddii  che  sangue  di 
«  stranieri:  Roma  gioisce  nelle  stragi  de*  cittadini  ». 

(2)  Versi  831-834:  e  Tosto  la  città  sia  distrutta  dalle  mie  fiamme.  Il  reo  popolo 
sia  straziato  dal  fdoco,  dalle  rovine,  dalla  trista  indigenza,  dalla  feroce  fame 
luttuosa  ». 


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804  ARTE  'COMCTMPORANXA 

Lo  scrittore  BstigiHDO^ttmanra  dire  ch'agli  ave^a  llanimo  a  Taoìte.  £ 
a  Tacito  del  pari  Bfifennanra  e»er  risalito  l'autor  del  SrUcmniem,  il 
quale  anche  rantavasi  d'avere  conquistato  al  sno  nienso  .più  d'un'ima- 
gine  di  quel  prosatore,  la  cui  terrìbile  brevità  —  al  tempo  che  la 
nostra  lingua  fece  le  sue  prove  più  ardite  —  aveva  disperata  Tao- 
dacia,  temeraria  a  dir  vero,  «del  D&vanzati. 

Se  non  che  così  l'Alfieri  come  il  Racine  videro  nelle  pagane  degli 
Annali  più  tosto  l'arte  defl  letterato  e  il  pensiero  del  cittadino  che 
non  l'opera  dello  dìorìco;  attesero,  meglio  che  al  racconto  de'  fatti  e 
alla  descrizion  de'  caratteri,  alle  severe  sentenze  e  ai  liberi  giudizi; 
ammirati  ai  partiti,  agli  spedienti,  agli  scorci  arditissimi  dello  stile, 
poco  si  curarono  dell'indagine  del  vero;  Bè  in  quella  narrazione  con- 
citata  e  serrata  seppero  scorgere  —  impressa  da  una  rneravigliosa 
scrutatrice  e  rivelatrice  potenza  d'odio  —  l'imagine  de*  tempi. 

ChesarebbegiovatodelrestoP  A  che  seguire  nel  tumultuoso  succedersi 
de^li avvenimenti,. ritratti  dallo  storico,  tutte  le  rivelazioni  H  un'anima, 
fosse  pur  singolarissima,  se  il  darne  una  compiuta  imagine  nella  tra- 
gedia non  era  possibile  senza  moltiplicare  i  momenti  scenici  (1),  e 
senza  così  violare  a  ogni  trartto  le  norme  nella  cm  osservanza  po- 
nevasi  l'eccellenza  stessa  delFarte?  E  a  che  cercare  nelle  credenze 
e  nei  costumi  le  forme  in  cui  s'atteggiò  e  i  caratteri  di  cui  s'impresse 
la  cìvrltà  del  popdlo  in  quel  iperiodo  'della  sua  storia,  se  il  lecarli 
nella  fioizion  drammattica  era  vietato  daiir'.imgufltia  dei  mezzi  rap- 
presentativi che  una  falsa  interpretazione  della  retorica  aristotèlica 
imponeva  ai  tragedi? 

(E  così,  il  'poeta  francese  e  Titaliano  oìtavanY)  Tacito  e  te  tradivano. 
'E  poi  che  iU  -dar  forma  nell'arte  al  vere  storico  era  4or  negato  — 
chiesto  allo  scrittore  l'argomento  <e  ricordatene  aloiroe  frasi,  dimen- 
ticavano il  mondo  da  lui  rappresentate  per  esprrraere  quello,  ttftt9 
diverso,  del  lor  pensiero. 

Certo,  sarebbe  difficile  negar  j)regio  d'efficaisia  all'invettiva  di  Agrip- 
pina nel  Bpttannioms: 


(1)  È  quel  dhe  fece  lo  Shakespeare,  U  cui  viaione  — •  mateYole  e  varia  cove 
la  vita  —  dovefa  parere  al  Voltaire  (un  aoademico)  il  sogno  d*Qn  ebro. 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  865 

PouTsais,  Néron;  avec  de  tels  ministres 
Par  des  faìts  glorieax  ta  te  ybs  signaler; 
Poursttis.  Ta  n'as  fatt  ce  pas  pour  recaler; 
Ta  main  a  commencé  par  le  sang  de  ton  fìròre; 
Je  prévois  qae  tes  coaps  vìendront  jasqa'à  ta  mòre. 
Dans  le  fond  de  ton  coeor  je  sais  qae  ta  me  hais  ; 
Ta  voadras  t'affinnchir  da  joog  de  mes  bienfaits. 
Mais  je  veax  qae  ma  mort  te  soit  méme  inatile: 
Ne  crois  pas  qu'en  moarant  je  te  laìsse  tranquille: 
Rome,  ce  ciel,  ce  joor  qae  ta  re^as  de  rooi, 
Partout,  à  toat  moment,  m'offrìront  devani  toi. 
Tes  remords  te  saivront  comme  aatant  de  Auies; 
Tu  croiras  les  calmer  par  d'aatres  barbaries; 
Ta  farear,  s'irritant  soi-méme  dans  son  coars, 
D^an  sang  toajoars  noaveaa  marquera  toas  tes  joars. 
Mais  j'espère  qa'enfin  le  ciel,  las  de  tes  crìmes, 
Ajoatera  ta  perte  à  tant  d'autres  victimes; 
Qu'après  t*étre  coavert  de  lear  sang  et  da  mien 
Tu  te  verras  force  de  répandre  le  tien; 
Et  ton  nom  paroltra,  dans  la  race  fatare, 
Aax  plas  craels  tjrans  ane  craelle  injare. 
Voilà  ce  qae  mon  coear  se  présage  de  toi  (1); 

se  bene  è  soverchia  lode  quella  del  Laharpe:  <  Je  ne  crois  pas 
que  rinvective  puisse  imagìner  rien  au  delà  »;  6  il  tono  è  troppo 
forse,  per  un'imprecazione,  oratorio;  e  la  rampogna  severa  suona  male 
in  bocca  airAugusta,  incestuosa  e  perversa,  proetituita  ai  liberti,  mez« 
zana  agli  adultèri  del  figlio,  maestra  a  Nerone  di  tutte  le  sozaure  e 
di  tutte  le  infamie. 

Ma  osservate:  a  questo  impeto  d'ira  Agrippina  è  mossa  dalla 
notizia  del  recente  delitto  dì  Nerone;  e  il  BriUmnicus  vorrebbe 
essere  la  tn^edia  del  fratricidio.  Ora  voi  avete  letto  gli  Annali. 
E  aprendo  il  volume  del  Bacine,  voi  pensate  all'  arte  con  cui  il 
poeta  evocherà  il  convito  neroniano:  impazza  l'orgia;  son  recate  in 
giro  le  tazze;  un  familiare  di  Britannico  —  alcuno  forse  dei  patrisi 
corrotti,  che  gli  eran  dati  a  compagni  —  assaggia  la  bevanda  ;  è  tro- 
vata calda;  vi  si  versa  dell'acqua;  a  un  tratto  il  mite  fanciullo  re- 
clina la  testa  coronata  di  rose,  poi  cade  riverso  sul  letto  triclinare; 


(1)  Britannicus,  atto  Y,  scena  vi. 


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866  ARTE  GONTBMPORANBA. 

e,  sorridente,  Nerone  ordina  che  ricomincino  i  canti  e  sì  contìnui  il 
banchetto:  «il  fratello  rinverrebbe  tra  poco:  darglisi  quel  male  di 
cai  cadeva  sin  da  bambino  ».  Voi  cercate  questa  scena;  e  v'abbattete 
al  gelido  racconto  di  Burrhus.  E  vi  vien  meno  persin  la  voglia  di 
sorridere  alle  parole  di  Giunia  che  nell'angoscia  suprema  dell'ora, 
sul  punto  d'accorrere  presso  l'amante  che  muore,  non  dimentica  le 
maniere  e  il  cerimoniale  della  Corte...  di  Luigi  XIV  (1). 

Gli  è  che  nella  tragedia  del  Bacine  la  storia  fu  ciò  ch'era  stata 
la  favola  boschereccia  nell'idillio  drammatico  alle  Corti  dì  Mantova 
e  di  Ferrara,  ciò  che  sarà  poi  il  mito  nelle  fragili  leggiadre  fantasie 
pittoriche  del  Watteau  e  del  Boucher:  un  paese  di  sogno,  traverso 
a  cui  l'artista  condusse  Teletta  accolta  del  suo  tempo,  a  mirarvi,  ri- 
flesse in  qualche  imagine  nobilitata,  le  forme  a  lei  più  care  del  co- 
stume e  della  vita.  Noi  possiamo  anche  credere  alla  sincerità  del 
poeta  quand'egli  ci  dice  di  aver  composto  il  Britannicus  con  l'anima 
ancor  tutta  accesa  dalla  recente  lettura  degli  Annali  (2);  non  per 
questo  meno  la  severa  narrazìon  tacitiana  s'è  alle  sue  mani  rim- 
picciolita nelle  frivolezze  eleganti  d'un  intrigo  di  palazzo  e  d'alcova. 

Una  fanciulla  d'illustre  sangue  —  Giunia  Calvina  —  ama  Britan- 
nicus ed  è  amata  da  Nerone  ;  l'imperatore  le  sì  ofte  sposo;  è  respinto; 
geloso,  avvelena  il  rivale;  Giunia  ripara  in  mezzo  al  popolo  ed  è  ac- 
colta tra  le  Vestali. 

Questo  l'argomento  della  tragedia:  una  rivalità,  come  vedete,  di 
giovani  prìncipi  ardenti.  Veramente  le  sacerdotesse  di  Vesta  non 
ricevevano  che  fanciulle  non  ancora  giunte  all'  età  dì  dieci  anni  ; 
ma  quante  nobili  giovinette  a'  tempi  del  Bacine  non  avevano  preso 
il  velo  per  un  travaglio  d'amore?  A  ogni  modo,  Nerone  uccìde  per 
gelosia;  è  già  una  scusa.  11  poeta  ne  aggiunge  un'altra:  le  tristi 
arti  e  gli  incitamenti  d'un  cortigiano  perverso  —  Narciso  —  che 
forma  il  disegno  del  delitto,  ne  prepara  con  accorta  pazienza  il  com- 
pimento, vi  spinge  —  quasi  a  forza  —  Nerone,  allor  che  il  Cesare, 
pentito,  se  ne  vorrebbe  ritrarre  (3).  A  canto  a  questo  ministro  del 
male,  il  Bacine  pone  l'ajo  (un  personaggio  anche  questo,  come  il  cor- 


(1)  Britannicus,  atto  V,  scene  iv  e  v. 

(2)  Prefazione  al  BritannicuB, 

(8)  BritannicuSy  atto  IV,  scena  iv. 


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IL  *  NSBONB  ,  DI  ABBIOO  BOITO  807 

tigiano,  de'  tempi)  —  Burrbus  —  assai  saggio,  assai  virtuoso,  assai, 
al  solito  de'  virtuosi,  pedante,  e  alle  faccende  d'amore  così  nuovo 
da  credere  che  l'impeto  d'una  passione  si  possa  vincere  con  argo- 
menti come  questi: 

Yous  redoutez  un  mal  faible  dans  sa  naìssance. 

Mais  si  dans  son  devoir  votre  coeur  affermi 

Youloit  ne  point  s'entendre  avec  son  ennemi; 

Si  de  vos  premiers  ans  vous  consultez  la  gioire; 

Si  vous  daigniez,  seigneur,  rappeler  la  mémoire 

Des  vertus  d'Octavie  indignes  de  ce  prix 

Et  de  son  chaste  amour  vainqueur  de  vos  mépris, 

Snrtout  si  de  Junie  évìtant  la  présence 

Vous  comdamaiez  vos  jeux  à  qaelques  jours  d*absence; 

Crojez-moi,  quelque  amour  que  semble  vous  charmer, 

On  n^aime  point,  seìgneur,  si  Ton  ne  veut  aimer  (1). 

Ed  è  tutta  la  compagnia  di  Nerone. 

Di  Seneca  né  pure  il  ricordo.  E  si  comprende;  il  Cesare  del  Bri- 
tannicm  esce  da  tutt'altra  scuola;  à  avuto  a  precettore  il  Boileau. 
Non  dal  filosofo  stoico,  ma  dal  manieroso  dittator  del  gusto  academico 
egli  ripete  ormai  tutte  le  consuetudini  del  linguaggio  e  del  pensiero. 
À  appreso  a  significare  con  la  solenne  dignità  conforme  al  grado,  di 
cui  un  principe  non  deve  mai  essere  —  né  parere  —  oblioso,  ogni 
atto  che  si  riferisce  alla  sua  persona: 

Mes  jenx,  depuis  longtemps  fatigaés  de  ses  soins, 
Barement  de  ses  pleurs  daignent  étre  témoins  (2). 

S'è  educato  ad  esprimere  in  languidi  versi  le  sue  pene  d'amore: 

C'est  là  qne,  solitaìre, 
De  son  image  en  vain  j'ai  vouln  me  distraire. 
Trop  présente  à  mes  yeux  je  croyois  lui  parler; 
Xaimois  jusqu*à  ses  pleurs  que  je  faisais  cotder, 
Quelquefois,  mais  trop  tardy  je  lui  demandois  gràce: 
•Pemployois  les  soupirs,  et  méme  la  menace^ 
VoUà  comme,  occupé  de  moti  nouvel  amour^ 
Mes  yeux,  sans  se  fermer,  ont  attendu  le  jour  (3). 


(1)  Atto  m,  scena  i. 

(2)  Atto  II,  scena  ii. 

(3)  Atto  n,  scena  ii. 


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866  ARTE  GONTBMPOaANBA 

Anche  s'è  pi^to  airoBo  de'  madrigali  preziosi  e,  cavaliere  com- 
pito, sa,  mentre  s'inchina  alla  sna  donna,  sussurrarle  con  disinfolti 
grazia  frasi  lusingatrìci  e  complimenti: 

Pensez-Yons,  madame,  qu'en  ces  lieax 
Sexile  pour  vous  comioltre,  Octavie  ait  des  yeax? 


Quei,  madame,  est-ce  donc  une  légère  offense 
De  m'avoir  si  longtemps  cache  votre  présence? 
Ce8  trésars  doni  le  cid  vouhtt  vous  embeUir 
Lea  avez'vous  regus  pour  les  ensevdir  ? 


Pourquoi  de  cette  gioire  exclos,  josqu'à  ce  jour 
Iftwez-vous,  sana  pitie,  rdégué  dana  ma  cour  ? 


J'ai  parcomn  des  jeux  la  com*,  Rome  et  l'empire. 
Plus  j'ai  cherché,  madame,  et  plus  je  cherche  encor 
En  quelles  mains  je  dois  confier  ce  beau  tréaor; 
Plus  je  vois  que  Cesar,  digne  seul  de  vous  plaire, 
En  doit  Pire  lui  seul  Vkeureux  dépositaire. 


Les  dieux  oat  prononcé.  Loin  de  leur  contredire, 
C'est  à  vous  de  passer  de  coté  de  l'empire. 
En  vain  de  ce  prèsemi  ils  m'auroient  honoré 
Si  votre  cceur  devoit  en  étre  séparé; 
Si  tant  de  soins  ne  soni  adoucis  par  vos  charmes; 
Si  tandis  que  je  donne  aux  veilles,  aux  alarmes, 
Des  jours  toujours  à  plaindre  et  toujours  enviéa 
Je  ne  viens  quelquefois  respirer  à  vos  pieds. 


Songez-y  donc,  madame,  et  pesez  en  vous-mdme 
Ce  choix  digne  des  soins  d'un  prince  qui  vous  aime, 
Digne  de  vos  beaux  yeux  trop  longtemps  captivéa, 
Digne  de  Vunivera  à  qui  voua  voua  devez  (1). 

E  basta,  non  è  vero?  In  questo  morbido  signore  chi  ancora  può 
riconoscere  l'istrione  imperiale  che  guidò  e  travolse  di  delirio  in  de- 
lirio il  baccanale  della  decadenza  romana? 


(1)  Atto  II,  scena  in. 


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IL  *  NSaONB,  XU  ARaiOO  fiOlTO  860 

Persino  il  motto  degli  Annali:  «  Hactenos  Siero  Aagitiis  et  scBle- 
ribus  velamenta  quaesiv.it  »  —  a  cui  il  poeta  protesta  «eBSfirsi  par- 
ticolarmente inspirato  (1) — non  offre  al  Bacine  occasione  che  d*un 
nuovo  tradimento  alla  storia.  Certo  Tarte  del  fingere  dovette  essere 
per  mille  esempi  nota  al  tragodo  fiancese  ;  era  arte  di  corte,  «d  ei 
lo  dice,  del  resto,  con  le  parole  di  Giunia.: 

Absente  de  la  cour,  je  n'ai  pas  dù  penser, 

Seigneur,  qu'en  Tart  de  feindre  il  fallùt  m'exercer  (2). 

Ma  la  dissimnlazione  à  espressioni  e  forme,  secondo  gli  animi  e 
i  costumi,  diverse.  Or  quando  nella  scena  tra  Agrippina  e  Nerone 
—  una  tra  le  più  belle,  dice  il  Geoffroy,  che  il  teatro  di  tutti  i 
tempi  conosca  (!)  —  noi  leggiamo  ì  celtebratìssimi  versi: 

Néron. 
Qui,  madame;,  je  veuz  que  ma  reconnaissanee 
Désormais  dans  lee  coturs  grave  votre  jmissance; 
Et  je  bénis  déjà  cette  heureuse  froideur 
Qui  de  notre  amitié  va  raUumer  Vardeur, 
Quoi  que  Pallas  ait  faìt,  il  suffit,  je  FoubTie  ; 
Avec  Britannicus  je  me  reconcilie; 
Et  quant  -à  cet  amonr  qai  nous  a  sépapés, 
Je  vous  fais  notre  arhitre,  et  vous  nous  jugerez. 
Allez  donc  et  portez  oetie  joie  à  mon  fròre. 
Garàes,  qu*on  obéisse  aux  ordres  de  ma  mère  ;  (3.) 

ndi  non  possiamo  trattenerci  dal  pensare  che  tutta  querta  ammanie- 
ratnira  di  epiteti  ricercati  e  di  frasi  eleganti  sarà  ancfhe,  poi  (Are 
così  piace  ad  Ippolito  Taine,  «  artisticamente  stupenda  »,  ma  non  à 
che  far  proprio  con  le  feline  blandizie  di  cui,  secondo  11  racconto  di 
Tacito,  il  Cesare  si  giovò  nei  principii  a  coprir  gli  impeti  della  sua 
malvagia  natura. 

Ohiudendo  il  TOlmme,  si  pensa  che  anche  per  Nerone  ^aon  T«re  ìé 
parole  del  critico:  <  Quand  vous  lisez  les  noms  d'Ippolite  ou  d'A- 
chille, mettez  à  la  place  oeux  du  prince  de  Condé  ou  du  comte  de 
Guiche  ». 


(1)  Prefazione  al  Britatmictts, 

(2)  Atto  IV,  scena  ii. 

(3)  Atto  II,  scena  vii. 


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870  ARTE  CONTEMPORANEA 

Se  non  che,  per  invitarci  a  nna   mascherata,  era  meglio,  forse, 
che  il  poeta  avesse  lasciato  da  parte  gli  Annali. 


Liberando  l'ultimo  strale  del  Misogallo^  Vittorio  Alfieri  esclamava: 
Tiene  il  Ciel  da'  ribaldi,  Alfier  da'  baonL 

I  ribaldi  erano,  naturalmente,  i  dominatori. 

€  Ira,  vendetta,  libertà  »  doveva  fremere  la  tragedia  : 

Fia  de'  tiranni  scempio 
La  sempre  viva  mia  voce  temuta. 

Bisognava  dunque  attribuire  al  popolo  ogni  più  generoso  proposito, 
sempre:  a'  re  ogni  più  tristo.  Come  l'Alfieri  si  tenesse  saldo  a 
questo  pensiero  è  risaputo:  già  a  un  contemporaneo  le  sue  «  note 
piene  d'affanni  »  parevano  incise  col  pugnale  dei  regicidi. 

Né  forse  mai  la  punta  penetrò  più  a  dentro  che  nell'O^tot^ia. 

La  plebe  aveva  parteggiato  per  la  sposa  di  Nerone;  ma  era  stato 
—  narra  Tacito  —  impeto  breve.  Il  poeta  muta  il  tumulto  in  ri- 
bellione aspra  e  lunga;  e  nel  contrasto  fra  il  popolo  anelante  a 
risorgere  nel  nome  dell'oppressa  e  l'oppressore  pone  il  motivo  prin- 
cipale dell'azione. 

La  tragedia  diviene  così  una  concezione  politica;  l'odio  di  parte 
l'investe  tutta  come  una  fiamma. 

Della  complessa  anima  neroniana  l'Alfieri  non  vede  più  natural- 
mente che  un  aspetto:  quello  solo  che  giova  al  suo  intento;  il  più 
tristo  —  la  ferocia. 

II  suo  Nerone  è  un  violento 

pasciuto 
Di  sangue  ognor,  di  sangue  ognor  digiuno  ;  (1) 

un  forsennato  ebro  d'eccidi,  insaziato  di  stragi,  travolto  da  un  torbido 
delirio  omicida: 

Uccidi,  regna 

E  uccidi  ancor  ;  tutte  le  vie  del  sangue 

Tu  sai 

I  Numi 


(1)  Atto  II,  scena  vi. 


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IL  *  NERONE,  DI  AaRIQO  BOITO  871 

Son  usi  ai  fumi  già  dei  sanguinosi 
Incensi  tuoi;  stan  d'ogni  strage  appesi 
I  voti  ai  templi  già;  trofei,  trionfi 
Son  le  private  occisioni  (1). 

Le  date  della  sua  vita  si  contano  dai  delitti: 

Mira  Agrippina:  ella  il  feroce  figlio 
Amava,  si;  ma  il  conoscea;  né  il  volle 
Mai  dall'angoscia  del  rivai  fratello 
Liberar,  mai.  Sua  feritade  accorta 
Prevalse  poscia,  e  il  rio  velen  piombava 
All'infelice  giovinetto  in  seno. 
Vana  fd  l'arte  della  madre,  e  il  fio 
Tosto  ella  stessa  ne  pagava.  Allora 
Di  sangue  in  sangue  errar  vie  piò  feroce 
Neron  vedemmo  (2). 

Non  gli  basta  sconoscere  la  virtù,  la  persegue  d'odio  implacabile  ; 
ogni  atto  di  pietà  o  di  dolcezza  Tirrita  come  un  insulto.  Avversa  Ot- 
tavia perchè  buona: 

Sua  stolta  pompa 
D'alta  virtù  gli  incresce;  in  lei  del  pari 
Obedìenza,  amor,  timor  gli  spiace  ;  (3) 

si  gode  d'insozzarne  il  nome  di  casta: 

Potria  smentir  di  Messalina  il  sangue 
Chi  d'essa  nasce  ?  (4)  ; 

le  ascrive  a  colpa  fin  l'origine  illustre  e  la  pietà  per  i  congiunti: 

Ella  ebbe  ardir  di  piangere  il  fratello; 
Cieca  obbedir  la  torbida  Agrippina 
La  vidi;  i  suoi  scettrati  avi  nomarmi 

La  udii;  ben  son  delitti  questi, 

E  bastano  (5). 


(1)  Atto  II,  scena  vi. 

(2)  Atto  lY,  scena  i. 
(8)  Atto  n,  scena  u. 

(4)  Atto  II,  scena  ii. 

(5)  Atto  II,  scena  ii. 


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9R^  Aara  comumpoRANSA 

Chiamatala,  la  assale  cmi  brutale  impeto  di  vituperi,  torvo  conci- 
tato convulso,  gli  occhi  iniettati  di  sangue  (Ty,  la  voce  rotta  nelVaf- 
fanno  dell'ira,  prorompente  improvvisa  nelle  minacele  di  morto: 

Chi  sei,  chi  sei,  perfida  tu,  che  intera 
Vaneggi  Roma  al  tuo  tornar?  ed  osi 
Gridar  tuo  nome?  Oc  qui  che  fai?  Qie  imprendi? 

Invan  la  plebe  stolta 

Vederti  chiede»  Ahi  se  mostrarti  deggio. 
Spero,  qual  merti,  almen  mostrarti  estinto  (2) 

À  la  vertigine  del  sangue  ;  lo  vede  da  per  tutto  ;  stillanto  dalle 
armi  dei  pretoriani,  travolto  col  limo  nell'onda  del  Tevere,  stagnante 
in  pozzanghere  nelle  strade  tra  il  fango. 

Prova  un  atroce  diletto  a  imaginar  le  torture  delle  sue  vittime; 
vorrebbe,  insofferento  d' indugi,  svenarle  ad  una  ad  una  egli  stesso, 
triste  che  a  ciò  gli  sia  necessaria  l'opera  di  ministri  (3), 

A  Tigellino  che  ritorna  dall'aver  sedato  il  tumulto  chiede: 

E  che?  tu  tomi 

Senza  sangue  sul  brando  ?  (4) 

intoso  che  a  vincere  la  ribellione  è  d'uopo  £ar  uso  d'inganni,  esclama: 

Sempre  arte,  sempre? 

Non  ferro,  mai?  (5) 

osservatogli  ch'egli  non  può  già  uccider  tutti,  risponde  torribile: 

Men  duole  (6). 

Ed  è  poca  strage  alla  sua  brama,  questo,  che  Tigellino  à  apparec- 
chiata e  gli  descrive: 

Il  di  frsttonto 
Si  muore,  e  fian  segnai  funesto  l'ombre 
Di  ragioni  ben  altre.  Già  già  teciti 
I  pretoriani  schieransi;  proscritte 


(1)  «  Oh  di  qual  rabbia  egli  arde  Nei  sangainosi   occhi  feroci  !  »,  atto^  III, 
scena  i. 

(2)  Atto  IV,  scena  iv. 
(8)  Atto  IV,  scena  iv. 

(4)  Atto  IV,  scena  iv. 

(5)  Atto  IV,  scena  iv. 

(6)  Atto  IV,  scena  iv. 


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IL  *  NERONE,  DI  ARRIGO  BOITO  873 

Son  già  più  teste.  H  nuovo  sol  yedrassi 
Sorger  nel  sangue  (1). 

Or  fate  che  in  questo  demente  alla  ferocia  sia  pari  l'ebrezza  del 
domìnio;  e  avrete  intera  la  figura  del  Nerone  alfieriano.  Ciò  che 
perde  Ottavia  non  è  la  sua  dolcezza  soltanto,  né  il  fascino  di  Poppea, 
è  anche  —  è  sopra  tutto  anzi  —  il  favor  popolare  : 

Roma  Ottavia  chiamando,  Ottavia  uccide  (2). 

Nerone  non  soffre  limiti  alla  sua  signoria,  non  freni  al  suo  ar- 
bitrio. Non  gli  basta  oltrapotere,  vuole  anche  onnipotere.  À  ucciso 
la  madre  perchè  la  sospettò  ambiziosa  d'imperio  ;  s'è  via  via  disfatto 
de'  riprenditori  importuni;  a  ogni  censura  di  privati  cittadini  & 
risposto  violento  con  un  ordine  di  morte.  Ma  l'anima  innumerevole 
della  moltitudine  ei  non  può  spegnerla:  la  strage  toglierà  di  mezzo 
alcuni  ribelli,  altri  ne  sorgeranno;  né  se  pur  egli  avesse  uguale  al 
desiderio  il  potere  e  gli  riuscisse  di  fare  —  in  un  folle  impeto  d'ira 
—  a  tomo  a  sé  il  deserto,  ciò  gli  gioverebbe.  Nella  infinita  accolta 
dei  soggetti  é  il  segno  della  sua  possanza;  ma  é  anche  in  essa  una 
minaccia  perenne,  una  forza  oscura  e  terribile  ch'egli  non  può  né 
misurar  né  piegare,  k  bisogno  del  popolo,  e  deve  temerlo  in  ogni 
ora.  Costretto  a  cedergli  un  istante,  e  a  richiamar  dall'esilio  la 
sposa,  ne  concepisce  un  odio  inestinguibile.  Non  é  egli  più  dunque 
il  signore  di  Boma? 

Ciò  che  al  più  vii  de'  servi  miei  non  vieta 

Forza  di  legge,  il  susurrar  del  volgo 

Fea  che  s'attenti  oggi  a  Neron  vietarlo  ?  (3) 


La  infida  schiatta 
Della  vii  plebe  osa  dolersen?  osa 
Pur  mormorar  del  suo  signor  dov'io 
H  signor  sono?  Ormai  d'Ottavia  il  nome 
Non  che  a  grido  innalzar  né  pure  udrassi 
Sommessamente  in  fra  tremanti  labbra 
Mai  proiferire,  o  ch'io  Néron  non"  sono  (4)1 


(1)  Atto  11^  scena  i. 

(2)  Atto  I,  scena  ii. 
(8)  Atto  I,  scena  i. 
(4)  Atto  I,  scena  iii. 


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874  ARTE   CONTEMPORANEA 

Ormai  egli  non  ha  più  propositi  che  di  vendetta; 

A  questa  Idra  rabbiosa 
Lasciar  nìnn  campo  vuoisi:  al  suolo  appena 
Trabalzerà  rultima  testa  in  cui 
Boma  fonda  sua  speme,  e  infranta  a  terra 
Lacera,  muta,  annichilata  cade 
La  superba  sua  plebe.  Appien  finora 
Me  non  conosce  Roma;  a  lei  di  mente 
Ben  io  trarrò  queste  sue  fole  antiche 
Di  Ubertà  (1). 


Tu  corri,  Tigellino,  al  campo; 
Tacitamente  i  pretoriani  aduna, 
Terribil  quindi  esci  improvviso  in  armi 
Sovra  gli  audaci;  e  i  passi  tuoi  sian  morte 
Di  quanto  incontri  (2). 

Tigellino  soccorre  al  suo  signore  con  Tinsidia:  Ottavia  è  accasata 
di  turpi  amori  con  uno  schiavo  —  Éucero;  impotente  a  scolparsi,  se 
ben  pura,  temendo  che  i  tormenti  le  strappino  dalle  labbra 

Di  non  commesso  né  pensato  fallo 
Confesslon  mendace,  (3) 

si  uccide  con  un  veleno  che  Seneca  le  porge.  Le  ultime  sue  pa- 
role a  Nerone  sono  d'un'accorata  dolcezza  tutta  nuova  alle  consue- 
tudini del  teatro  alfierìano  : 

Tu,  Nerone,  i  miei  detti  ultimi  ascolta. 
Credimi,  or  giunge  il  fatai  punto  in  cui 
Cessa  il  timor,  né  il  simular  più  giova 
Ov'io  pur  mai  fatto  l'avessi.  Io  moro 
E  non  mi  uccide  Seneca...  tu  solo. 
Tu  mi  uccidi,  o  Neron;  benché  non  dato 
Da  te,  il  velen  che  mi  consuma  è  tuo. 
Ma  il  veleno  a  delitto  io  non  t'ascrivo 


(1)  Atto  I,  scena  iii. 

(2)  Atto  III,  scena  iii. 

(3)  Atto  V,  scena  v. 


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IL  *  MBRONS  ,  DI  ARBIOO  BOITO  875 

£  ti  perdono  io  tatto..... 


Io  ben  poteft 

Tutto,  0  Neron,  tranne  il  mio  onor,  donarti, 
Per  te  soffrir,  tranne  Tinfamia,  tutto. 

Abbiti  pace...  Intorno  al  sanguinoso 
Tuo  letto...  io  giuro...  di  non  mai  venime 
Ombra  dolente...  a  disturbar...  tuoL..  Bonni  (1). 

Fra  tanto  la  plebe,  cbe  alle  calunnie  di  Tigellìno  à  prestato  fede, 
si  placa. 

E,  rivolto  al  retore,  Nerone  dice: 

Salina  or  Roma  tutta  e  il  campo 
Ch'io  costei  non  uccisi;  e  in  un  pur  s'oda 
Il  delitto  di  Seneca,  e  la  morte  (2). 

Ora  tatto  ciò  era,  per  gli  intenti  che  TÀstigiano  si  proponeya,  certo 
assai  abile;  la  soavità  della  vittima,  la  perfidia  del  cortigiano,  la 
credulità  del  popolo,  la  stessa  vittoria  che  ottiene  il  delitto,  tatto 
in  somma  conferiva  a  far  più  odiosa  la  figura  del  Cesare,  e  la  tirannide, 
quindi,  piil  abbietta. 

Né  mai  in  fatti  tra  quanti  dominatori  malvagi  TAlfierì  evocò  su 
la  scena,  altro  gli  venne  imagìnato  più  esecrabile  di  questo.  Fi- 
lippo II  —  gelido,  solitario,  implacabile,  astato,  dissìmalatore,  tor- 
tuoso —  (un  de'  caratteri  che  il  poeta  ritrasse  con  maggior  verità 
psicologica  e  con  più  viva  potenza  d'arte)  quasi  attrae  per  certa 
sua  cupa  grandezza;  la  vastità  del  disegno  e  l'ardor  dell'  ambizione 
rendono  al  meno  non  ispregevole  Timofuie;  ma  qaal  sentimento  può 
suscitar  questo  Nerone  se  non  di  terrore  e  d'orrore? 

Nel  rispetto  della  storia  e  dell'arte  è  un'altra  cosa. 

La  povertà  psicologica  di  un  personaggio  costretto  all'  espressione 
perennemente  uguale  d'un  unico  sentimento  è  palese.  Oltre  che,  l'an- 
gustia delle  forme  che  gli  erano  imposte,  e  più  l'essere  il  popolo 
nel  pensiero  del  poeta  un'astrazione,  tolsero  che  l'Alfieri  desse  alla 
moltitudine  viva  rappresentazione  nel  dramma.  Voi  vi  attendete  che 


(1)  Atto  V,  scena  v. 

(2)  Atto  V,  scena  uUima. 

Xiwittit  musicaU  ilttliana.  Vili.  &1 


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876  ARTE  CONTEMPORANEA 

essa  invada  a  ogni  tratto  la  scena,  e  l'empia  de'  suoi  gesti,  delle  sue 
Toci,  dei  suoi  impeti,  de'  suoi  tnmnlti;  e  a  pena  in  vece  ne  giunge 
nel  palazzo  il  remore  lontano. 

Del  resto  la  plebe  non  sognò  mai  libertà  sotto  Nerone;  né  è 
vero  che  odiasse  l'imperatore:  l'amò  anzi  perchè  l'inebriava  di  spet- 
tacoli e  di  feste,  e  perchè  avversava  i  patrizi.  A  Ottone  e  Yitellio 
l'esser  stati  familiari  del  Cesare  sarà  titolo  per  giungere  all'impero. 
E  Svetonio  ci  narrerà  che  «  la  tomba  del  figlinolo  d'Agrippina  fa 
€  per  molto  tempo  onorata  di  fiori  primaverili  ed  estivi  >. 

Aggiungete  che  Nerone  non  fu  soltanto  un  feroce,  nò  un  feroce 
sopra  tutto:  la  crudeltà  in  lui  non  procedette  —  come  in  Caligola  e 
in  Domiziano  (1)  —  da  naturale  istinto  che  fireddamente  si  compiace 
alla  vista  delle  altrui  sofferenze;  ma  ebbe  una  cagione  sempre  d'al- 
tronde —  da  un'  estetica  perversa,  da  gelosia,  da  superstizione,  da 
paura. 

Se  non  che  all'  Alfieri  era  necessario,  a  tutt'  i  modi,  un  tiranno. 


Non  so  se  bìT  Ottavia  abbia  voluto  alludere  il  Cessa  nel  prologo  delia 
sua  commedia  con  questi  versi: 

Il  personaggio  dalla  rea  memoria 
Che  comparir  vedrete  innanzi  a  voi 
Non  ò  già  quel  Nerone  delle  vecchie 
Tragedie,  ana  figura  che  spaventa 
Con  gli  occhi,  e  lento  incede  sopra  l'alto 
Coturno,  e  fatti  a  suono  di  misura 
Tre  passi,  dice  una  parola  anch'essa 
Misurata,  e  prescelta  tra  le  truci 
Di  nostra  lingua. 

Non  sarebbe  in  tutto  giusto:  il  Nerone  alfieriano  —  vedemmo  — 
prorompe  negli  atti  e  nelle  parole  impetuoso  anche  troppo.  Il  mio 
eroe,  aggiunge  a  ogni  modo  il  poeta,  è  un'altra  cosa:  è  quale 

lo  si  ammira  vivo 
Emerger  dalle  pagine  immortali 
Di  Svetonio  e  di  Tacito. 


(1)  SviTOHio,  Vita  di  Caligola,  XI,  XXVII,  XXVIII,  XXIX,  XXXI,  XXXU. 
XXX;  Vita  di  Dominano,  X,  XI. 


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IL  *  NERONE,  DI  ARRIGO  EDITO  877 

S?etoDÌo:  ecco  uno  scrittore  di  cui  i  tragedi  della  scuola  classica 
avevano  scordato  persino  il  nome.. E  si  comprende.  Il  biografo  dei 
Cesari  fu,  come  oggi  direbbesi,  un  verista:  ebbe  la  curiosità  e  l'a- 
more delle  ricerche  minute,  dei  particolari  caratteristici,  delle  indi- 
screzioni intime,  degli  aneddoti  rivelatori.  Libero  da  ogni  preoccupa- 
zione letteraria  o  civile,  egli  non  soggettò  i  fatti  all'idea  né  la  narra- 
zione a  sistema;  non  ricercò,  come  Tacito,  gli  artifizi  oratori  —  il 
gesto  solenne,  la  forma  incisiva,  la  parola  che  soverchia  la  cosa  —  ; 
non  intese  alla  grandezza  del  racconto,  né  al  commovimento  degli 
affetti,  né  alla  severa  e  sapiente  armonia  della  composizione;  badò, 
più  tosto  che  a  scegliere,  a  raccoglier  notizie,  e  parve  scrivere  come 
in  un  affollarsi  di  ricordi,  serbando  —  involontario  forse  —  al  discorso 
Timprowiso  e  l'imprevisto  d'una  conversazione.  Cercava  nel  Cesare 
l'uomo;  e  dove  Tacito  non  aveva  rappresentato  i  suoi  personaggi  che 
alla  luce  de'  fatti  più  importanti  alla  storia  del  popolo  o  dell'impero, 
ei  li  ritraeva  nelle  mutevoli  vicende  e  in  ogni  più  vario  momento 
della  vita;  e  non  —  come  lo  storico  —  nelle  lor  qualità  essenziali 
soltanto  0  secondo  le  linee  compendiose  d' un  tipo,  ma  in  tutto  ciò 
ch'essi  avevano  di  singolare  e  di  proprio  —  nell'aspetto  del  corpo, 
nelle  consuetudini  e  ne'  costumi,  e  nell'indole  dell'animo  e  dell'in- 
gegno. 

Vaga  dell'astratto,  la  tragedia  d'imitazione  classica  doveva  fasti- 
dire questa  abbondanza  di  particolari  precisi.  Doveva  in  vece  com- 
piacersene la  poesia  del  Cessa,  che  recavasi  a  vanto  di  procedere 

Da  quella  scola  che  piglia  le  leggi 
Dal  verismo  stimando  che  in  ogni  arte 
Sia  bello  il  vero  (1) . 

E  da  Svetooio,  in  fatti,  assai  più  che  da  Tacito,  Pietro  Cessa  de- 
rivò atteggiamenti,  episodi,   imagini,  frasi  alla  sua  commedia. 

Ma  come  la  materia  storica  s'è  mutata  nell'opera  a  rappresenta- 
zione d'arte?  E  poi  che  il  poeta  volle  <  presentar  su  la  scena  il  vero 
Nerone  >,  «  cosa  >  —  egli  aggiungeva  —  <  non  mai  tentata  da 
altri  »  (2),  in  qual  modo  all'intento  à  corrisposto  l'effetto? 

Ecco.  Ciò  che  noi  chiamiamo  carattere  è  —  direbbe  l'Ardigò  — 


(1)  Nerone^  Prologo. 

(2)  Nerone,  Prefazione. 


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876  ARTB  OONTSMPORAlfSA 

«  il  ritmo  d^na  psiche  >,  il  prevalere  di  certo  tendenze  nell'aiioiie  (1). 
BiveUtor  del  carattere  è  il  fatto.  Noi  non  possiamo,  per  un  esempio, 
dar  lode  ad  altri  di  cor&ggioeo  se  non  b  Todemmo  di  fronte  a  un 
perìcolo;  non  d' inoorrattibile  se  almen  non  sappiamo  ch'egli  abbia 
resistito  a  una  lusinga,  a  nna  promessa,  a  un'offerta.  E  ancora,  se 
quel  pericolo  fa  l'unico,  ed  era  lieve;  se  la  promessa  T offerta  la 
lusinga  erano  di  poco  conto,  e  non  furono  seguito  da  altre;  nd  non 
avremo  pib  che  un  indido.  Ci  bisogna,  per  «n'indunone  sicura, 
0  che  i  fÌEitti  sian  molti,  o  che  qod  solo  che  ci  è  noto  abbia  una 
non  dubiti^le  importanza.  Bspoieosa  diretta,  in  somma,  n<a  neo 
abbiamo  che  dell'anima  nostra;  i  noeti  delle  attrai  ooscienze  ci  eoi- 
fiene  congetturarli  dalle  manifestasioni  esteriori;  oosi  che  il  già* 
disio  in  tomo  a  un  earattere  è  sempre  una  sintesi  dì  impressioDi  elie 
acquista  valore  dalla  qualità  delle  osservazioni  raccolto. 

Or  bene,  il  dramma  letterario  ripeto  in  questo  riguardo  le  oondidosi 
stesse  della  vita.  Bsso  non  ofire  allo  spettatore  che  mamfesioMim 
esteriori  a  punto,  non  gli  rivela  delle  anime  se  non  ciò  che  tramare 
dal  discoiBO  o  prorompe  negli  atti.  L'analin  intima  —  lo  psicolo- 
gismo come  oggi  dicono  —  in  cui  è  la  maggior  forza  del  narratore, 
l'espressione  diretta  dei  sentimenti,  che  è  il  privilegio  del  musicista, 
gli  son  negati.  Su  la  scena  il  carattore  non  può  rivivere  che  per 
virtù  d'un  unico  mezzo,  di  singolare  efficacia  per  altro:  l'azione. 

Ora  chi  voglia  giudicare  il  protagonista  della  commedia  del  Coesi 
da  ciò  che  egli  vi  opera,  difficilmento  potrà  consentir  nella  lode  di 
cui  il  poeta  fu  così  largo  a  sé  stosso. 

No,  questo  Nerone  non  è  da  vero  l'eroe  tristo  e  grottosco,  cupiUnr 
incredibilium^  la  cui  ìmagine,  nel  sanguigno  crepuscolo  della  Roma 
decadente,  emerge  indimenticabile  dalle  pagine  di  Tacito  e  di  Sfe- 
tonio.  I  delitti  e  le  follie,  che  nel  racconto  di  questi  storici  sono  i 
fatti  della  sua  vita  —  in  cui  intera  egli  espresse  la  singolarità  dell'in- 
dole bizzarra  e  feroce,  falsa  invida  vana,  insaziate  di  orgie*  e  anelante 
a  sempre  nuove  esperienze,  trasmodante  nel  desiderio  perenne  del- 
l'incredibile dell'intenteto  dell'inaudito,  trascinate  dalla  vertigine  a 


(1)  Il  Sergi  definisce  il  carattere:  «  quel  modo  di  operare,  qnelhi  namen  di 

<  esplicare  TattÌTità  individuale  in  ogni  evento  della  vita  nel  seno  deQa  conTÌ- 

<  venza  sociale  »  {Le  degenerazioni  umane). 


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IL  '  NBBeslE  9  DI  ARRIGO  B(MTO  879 

dar  fonna  di  vero  a  ogni  più  ebra  visione  —  non  sono  pit  che 
un  ricordo  nell'opera  dd  poeta  moderno.  Il  makrieidiOf  le  necittoni 
dì  Britannico  e  di  Ottavia,  l'incendio  dell'Urbe,  ì  sapplisi  atrocemente 
estetici  dei  orìsiiaiiit  la  baechica  corsa  per  le  città  della  Greàa  ac- 
clamanti al  facile  vinoitor  di  tntt'  i  giochi,  —  i  vari  momenti  in 
somma  in  cui  la  leggenda  e  la  storia  ai  scoprono  l'anima  del  figlinol 
d'Agrippina  tutta  rivelantesi  in  mia  tumultuosa  palpitaùon  di  vita 
—  non  inspirarono  al  Gossa  che  alcuni  fuggevoli  accenni,  qualche 
imagine  veemente,  qualche  gruppo  di  versi.  Non  altro.  E  pure,  to- 
gliete a  Nerone  questi  fatti,  e  la  sua  vita  vi  apparirà  di  poco  diversa 
da  quella  di  troppi  altri  Cesari  che  ebbero  a'  suoi  conformi  i  costumi 
e  le  turpitudini  e  le  vanaglorie,  non  l'anima  inimitabile  e  incomu- 
nicabile; né  mille  particolari  —  pur  esatti  e  di  singolare  impor- 
tanza a  lor  luogo  e  di  straordinaria  efficacia  nella  rappresentazione 
totale  —  varranno,  da  soli,  a  rivelarvene  l'imagine  vera  ed  intera. 

In  un  solo  luogo  della  commedia  il  Cossa  chiede  alla  storia  qualche 
cosa  più  che  non  una  notizia  o  un  episodio  o  una  frase;  ed  è  là 
dove  ritrae  la  fuga  e  la  morte  dell'Imperatore. 

Il  monologo  del  quarto  atto,  e  tutto  il  quinto  —  composti,  così 
l'uno  come  l'altro,  su  l' innanzi  di  Svetonio  —  rappresentano  con 
mirabile  efficacia  le  ansie  e  le  angoscio  e  le  allucinazioni  della  paura, 
lo  strazio  della  rinuncia  a  un  sogno  di  potenza  e  di  gloria,  l'infinito 
orror  della  morte.  Qui  veramente  Nerone  occupa,  meglio  che  di  pa- 
role, de'  suoi  atti  la  scena;  e  alcuni  aspetti  di  quel  carattere  ci 
rivivono  innanzi  alla  mente  nell'intensa  vita  dell'arte. 

Ma  sono  soltanto  alcuni  aspetti;  e  non  è  che  un  istante. 

Notate  ancora:  tutto  questo  epilogo  della  commedia  altro  non  è  che 
un' aggiunta:  la  favola  imaginata  dal  Cossa  à  suo  scioglimento  con  la 
morte  di  Egloge.  Ora,  fino  al  momento  in  cui  la  notìzia  della  ribellione 
interrompe  il  convito  —  scialba  ricordanza  del  banchetto  di  Britannico 
—  che  cosa  à  fatto  Nerone?  À  obliato  ed  amato;  obliato  non  pur 
l'imperio  ma  se  stesso,  inebriato  alle  carezze  d'una  danzatrice  ch'egli 
tolse  «  ai  torbidi  teatri  >  e  cui  fece  tempio  della  sua  casa;  lieto  di 
paragonarsi  ad  Alcide  languente  tra  le  braccia  d'Onfiile,  dimentico 
nella  servile  opera  feminea  delle  sue  imprese  e  della  sua  gloria. 

(Tn  eroe  che  rimane  inoperoso  tanto  tempo  assai  poco  può  rivelarci 
del  suo  carattere,  anche  quando  abbia  —  come  questo  del  Cossa  -- 


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880  AHTS  CONTEMPORANSA 

facile  la  paiola,  e,  oltre  che  facile,  arguta  imagincea  sqaisitameDte 
elegante  anche  troppo;  troppo  certo  per  un  retore  nodrito  di  corrotti 
letteratura  quale  fu  il  Nerone  della  storia. 

E  pur  questo  poco  è  (duole  dirlo)  in  gran  parte  £el1so. 

Poi  che  l'azione  si  riduce  quasi  tutta  a  una  favola  d'amore,  la 
prima  domanda  che  soccorre  al  pensiero  è  questa:  come  ama  Nerone? 
Aprite  il  libro  e  leggete  —  nella  prima  scena  tra  il  Cesare  e  la 
danzatrice  —  : 

NERONE 

T'inoltra  :  ieri 

Danzar  ti  vidi  assai  leggiadramente, 
E  mi  piacesti  —  Il  tuo  nome? 

EGLOOB 

Mi  chiamano 
Egloge. 

NERONE 

La  tua  patria? 

EGLOGE 

Io  nacqui  in  Grecia. 

NERONE 

Tu  pure  Grecai  Amabile  paese 
È  il  tuo,  bionda  fanciulla:  à  il  privilegio 
Della  bellezza.  In  quella  terra  tutto 
È  bello,  dairniade  al  Partenone. 
Fin  Leonida  re  co'  suoi  trecento 
Quando  mori,  creava  la  più  bella 
Delle  battaglie  —  Oh  benedetto  il  suolo 
Dove  natura  artistica  produce 
Statue  divine  e  pia  divine  donne! 


L'entusiasmo  è  vaporato  in  un  madrigale. 

Dopo  aver  rivolto  alla  fanciulla  alcune  altre  domande  :  «Sei  libera? 
E  gli  anni  4;uoi?»  (di  passaggio,  l'inchiesta  ricorda  un  po' troppo,  e 
non  bene,  quella  d'un  officiale  dello  stato  civile:  come  vi  chiamate? 
qual  nome  avete?  dove  siete  nato?),  Nerone,  per  darle  un'idea  della 
sua  potenza,  le  narra  come  egli,  una  notte  che  s'annoiava,  bruciasse 
Roma: 


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IL  '  NBRONE  ,  DI  ARRIOO  BOITO  881 

Ardea  la  lampa 
Monotona  d'innanzi  agli  occhi  miei 
Che  cercavano  il  sonno:  arda  una  Ince 
Più  vasta,  dissi  —  E  sorsi,  e  braciai  Boma  (1). 

E  come  Egloge  dice,  sorrìdendo,  «  hai  meravigliosa  potenza  >,  Ne- 
rone continua: 

Eppur  non  giunge 
A  qudla  d^  tuoi  sguardi,  o  àUeUairiee 
BéUis$ifna  ! 

Il  racconto  terrìbile  s'è  rìsolto  in  un  altro  madrìgale. 

E  il  dialogo  prosegue  così  («  questo  tao  corpo  Che  le  mani  for- 
maroQ  delle  Grazie  »,  —  «  Più  che  libera  tu  sei  In  queste  sale 
imperatrice  »,  ecc.  ecc.),  tra  adulazioni  e  lezi,  per  un  declivio  fio- 
rito di  tutte  le  più  molli  rose  d'Arcadia. 

Sarà,  pensate,  arte  di  seduttore  esperto,  che  vuol  vincere  con  la 
illecebra  della  lode  le  resistenze  prime. 

E  scorrete  alcune  pagine  ;  e  vi  fermate  a  un'  altra  scena  d' amore 
(atto  in,  scena  vi). 

Nerone  sta  ritoccando  la  statua  in  cui  à  ritratto  nell'  attitudine 
della  danza  la  fanciulla. 

NSB0N8 

Sorda 
Materia,  io  vo'  che  sotto  il  mio  scalpello 
Abbi  palpiti  e  sangue. 

BOLOGE  (avvicinandosi  a  Nerone) 

U  marmo  è  sempre 
Freddo,  o  Nerone. 

NKRoms 

Ed  il  tuo  bacio  è  fuoco. 


(1)  È  un'imitazione  del  luogo  àelV Assuero  in  Boma  di  R.  Hambrlino: 

E  ta,  0  serena 
Notte,  che  sei  col  tuo  corteo  di  stelle? 
Che  fa  di  te  quando  le  fiamme  acoesi? 
Bendeano  i  tuoi  minuti  astri  sembianze 
Di  faville  onde  ayesse  i  neri  spazj 
Qna  e  là  spmzzati  il  mostnioso  incendio. 

(Tradazione  di  Vittorio  Bettbloni,  Canto  IV,  pag.  166). 


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K  ARTE  GONTBMPORANBA 

Pare  una  leggiadretta  antitesi  di  qaaldie  monsignor  petrarchisfau 
Poco  oltre: 

NSBOKl 

Oh,  sei  pnr  vaga, 
0  tenerezza  miai 

EGLOOE 

Ti  sembro  forse 
Più  vezzosa  di  ieri? 

NERONE 

E  cotUetnplarti 
Una  volta  potrò  senza  ch'io  trovi 
L%  quel  tuo  volto  una  bellezza  nova? 

È  una  sdolcinatura  del  Metastasìo. 
Seguono  i  bisticci: 

B0L06B 

Io  non  mi  curo 
Di  go€emar  provincie. 

NEBONE 

Hai  miglior  &to; 
Tu  governi  Nerone. 


EGLOOE 

Oggi  non  danzo  più. 

NERONE 

Le  cose  tnorte 
Non  tocchino  lo  spirito  che  avviva 
L*età  d'una  fanciulla. 

E  il  dialogo  finisce  con  una  galanterìa: 

EGLOOE 

E  se  ritoma 
L'imperatore? 

NEBONE 

Il  lampo  del  tuo  sguardo 
Lo  vincerà, 

E  non  mai  —  per  quanto  si  cerchi  —  un  impeto  dei  sensi,  non 
mai  un'audacia  di  espressione  o  di  pensiero,  non  mai  un  fremito  di 
desiderio. 


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IL  'NSRONB,  DI  ARAIQO   BOITO  883 

Dopo  ciò,  se  vi  prenda  vaghezza  di  conoscere  a  che  trascorresse 
nelle  cose  d'amore  la  natura  del  Nerone  storico,  e  di  quali  diletti 
si  compiacesse  la  saa  <  ars  amandi  »,  ecco: 

«  Super  ingennoram  paedagogia,  et  nuptarum  concubinatns,  Vestali 

«  virgini  Bnbriae  vim  intnilit Pnerom  Sporum,  erectts  testibns, 

«  etiam  in  muliebre  natura  transfigurare  conatus,  cum  dote  et  flam- 
«  meo,  per  solemne  nuptiamm,  celeberrimo  officio  deductum  ad  se 
«  prò  uxore  habuit...  Hunc  Sporum  Augustarum  ornamenti^  excul- 
«  tum,  lecticaque  vectum,  et  circa  conventus  mercatusque  Grraeciae, 
«  ac  mox  Bomae  circa  Sigillarìa,  comitatus  est,  identidem  exosculans. 
«  Naro  matris  concubitnm  appetisse...  nomo  dubitavit;  utique  post- 
€  quam  meretrìcem  quam  fama  erat  Agrippinae  simillimam  inter  con- 
«  cubinas  recepit.  Olim  etiam,  quoties  lectica  cum  matre  veheretur, 
«  libidinatum  inceste,  ac  maculis  vestis  proditum,  affirmavìt  »  (1). 

«  Suam  quidem  pudicitiam  ncque  adeo  proetituit,  ut  contaminatis 
«  poene  omnibus  membris,  novissime  quasi  genus  lusns  excogitaret, 
«  quo  ferae  pelle  contectus  emitteretar  e  cavea,  virorumqne  ac  femi- 
«  narum  ad  stipitem  deligatorum  inguina  invaderet;  et  quum  affa- 
le tim  desaevisset,  conficeretur  a  Doryphoro  liberto,  cui  etiam,  sicut 
«  ipsi  Sporus,  ita  ipso  denupsit,  voces  quoque  et  ejnlatns  vim  pa- 
«  tientium  virginnm  imitatus  >  (2). 


(!)  Svnoiiio,  Vita  éU  Kerme,  XXYIII: 

«  Oltre  i  ntnperii  verso  giovanetti  e  adolterii,  sfonò  Rabrìa  vestale.  Certo  Spoio 
«  giovanetto^  fiottigli  tagliare  i  testicoli  fonandosi  quasi  di  cambiargli  natura,  con 
«  dote  e  velo  celebrato  lo  sposalizio,  con  cerimonia  solenne  lo  condasse  a  casa  e  se 
«  lo  tenne  in  luogo  di  moglie.  Qnesto  suo  Sporo,  vestitolo  da  imperatrice,  accom- 
«  pagnò  seco  in  lettiga  per  tutte  le  adunanze  e  i  mercati  di  Qrecia,  e  in  Roma 

<  fin  nei  Hgilkmi^  baciandolo.  Tutti  sanno  che  sinvogliò  di  sua  madre.  A  ogni 

<  modo  ricevette  tra  le  tue  concubine  una,  la  quale  per  fama  rassomigliava  ad 
«  Agrippina.  Una  volta  che  fu  portato  in  lettiga  con  la  madre,  dicono  che  avesse 
«usato  con  lei,  per  le  macchie  della  veste». 

(2)  Ivi,  XXIX: 

<  Fa  si  largo  donatore  della  sua  pudicizia,  che  avendo  contaminate  tutte  quasi 
«  le  membra  del  suo  corpo,  ultimamente,  come  nuovo  scherzo,  trovò,  coprendosi  con 
«  la  pelle  di  qualcLe  fiera,  farsi  trarre  da  una  gabbia  e  andar  alla  volta  delle  parti 
e  genitali  de*  maschi  e  delle  femmine,  legati  a  un  palo,  e  malmenatosele,  si  faceva 

<  atterrare  da  Dorìforo  suo  liberto,  cui,  come  Sporo  ad  esso,  erasi  maritato,  eon- 
«trafPacendo  le  voci  e  i  gemiti  d*una  vergine  che  patisca  violenza  ». 


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884  ARTE  CONTEMPORANEA 

«  In  stagno  Agrippae  fabricatod  est  ratem,  coi  superpositam  con- 

<  vivinm  navium  alìorum  tracta  moveretur.  naves  auro  et  ebare 

<  distinctae  remigesque  exoleti  per  aetates  et  scientiam  libidinam 
«  componebantor.  crepidinibus  stagni  lapanaria  adstabant  illastrìbns 
«  feminis  completa  et  contra  scorta  yisebantur  nndis  corporibns. 
«  iam  gestns  motusque  obsceni  ;  et  postqoam  tenebrae  incedebant, 

<  quantum  iuxta  nemorìs  et  cìrcumìeeta  tecta  consonare  canta  et 
«  luminibus  clarescere.  ipse  per  licita  atque  inlicita  foedatus  nihìl 
«  flagitii  reliquerat,  quo  corruptior  ageret,  nisi  paucos  post  dies  noi 
«  ex  ilio  contaminatorum  grege  (nomen  Pythagorae  fiiit)  in  modani 
«  soUemnium  coniugiorum  denupsisset  inditum  imperatori  flammeam, 
«  visi  auspices,  dos  et  genialis  torus  et  faces  nuptiales^  cuncta  de- 
«  nique  spoetata,  quae  etiam  in  femina  noi  operit  »  (1). 

Ab,  il  Bacine  à  &tto  scuola  anche  in  Italia  —  non  è  vero? 

Ma  al  Cessa  poco  importava  l'amante  :  altri  erano  gli  aspetti  ch*6i 
voleva  sopra  tutto  ritrarre  nel  suo  eroe. 

<  La  crudeltà  e  il  suo  amore  alle  arti  »  —  così  egli  nella  predi- 
zione —  <  ecco  le  due  sole  qualità  che  costituiscono  il  carattere  di 
Nerone  >.  Le  due  sole,  veramente,  è  troppo  affermare:  lo  stesso  poeta 
ne  rappresentava,  assai  bene,  una  terza:  la  codardia;  e  di  una  quarta 

—  la  libidine  —  ò  parlato  poc'anzi.  A  ogoi  modo,  Nerone  ebbe  certo 

—  tra  le  altre  —  anche  le  qualità  che  il  Cessa  ricorda.  Ma  vi  à 
cento  maniere  d'esser  crudeli,  ve  n'à  mille  d'essere  artisti.  Qaale 
forma  assunse  in  Nerone  la  ferocia?  Quale  fu  il  concetto  e  il  senti- 
mento ch'egli  ebbe  dell'arte?  Questo  dovrebbe  rivelarci  la  commedia, 
da  che  essa  intende  a  rappresentare  non  un  tipo  astratto  di  crudele 


(1)  Tacito,  AnnaK,  XV,  87: 

«  Nel  lago  d' Agrippa  fabbricò  un  ta?olato  mobile,  ove  pose  il  convito  tirato  da 
«  galee,  tutte  commesse  d'oro  e  d*a?orio.  Remavano  sbarbati  giovani,  coUocatì  se- 
«  condo  Tela,  e  maestrìa  di  libidini.  Eranvi  accellami  e  selvagginmi  di  vari  capi 
«del  mondo,  e  pesci  insin  dell'oceano:  camere  rizzate  in  sa  la  riva  del  lago,  piene 
«di  gentildonne:  e  a  fronte,  pattane  ignade  con  gesti  e  dimenarìMmpadicbL 
«  Venata  la  notte,  i  boschi  e  le  case  dintorno  risonavano,  e  risplendevano  di  casti 
«  e  di  lami.  Per  non  lasciar  alcuna  nefandigia  lecita  e  non  lecita,  indi  a  pochi 
<  giorni  tolse  per  manto  ano  stallone  di  qoella  mandria  detto  Pittagora:  fu  cele 
«brato  lo  sposalizio  con  tutte  le  sacre  cerimonie:  messo  incapo  al  nostro  inipe- 
«ratore  il  velo  giallo;  &tto  gli  augarj;  la  dote;  il  letto  geniale;  acoesi  i  torchi; 
«e  finalmente  veduto  fare,  quanto  coprono  anco  le  femmine  con  la  notte  ». 


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IL  ^NEEONR,  DI  ARRIGO  BOITO  885 

e  di  artista,  ma  quel  crudele  e  quell'artista  che  furono  a  punto  in 
Nerone. 

Or  bene  della  ferocia  del  suo  eroe  il  Gessa  ci  offre  due  esempi. 
Il  primo  è  in  quel  pensiero  che  sorge  improyyiso  nella  mente  del 
Cesare,  tra  le  carezze  dell'amante: 

Hai  fatto  bene 
A  spogliar  d'ogni  gemma  il  delicato 
Tuo  collo,  —  vi  riman  più  spazio  ai  baci. 
E  pater  dire  che,  se  n'ho  talento, 
Un  cenno  mio  basta  a  troncarlo/ 


Debbo  al  tuo  cospetto 
Bammentarmì  che  sono  il  regnatore 
Delle  provincia,  io  che  dai  guardi  pendo 
Di  debole  fanciulla,  io  che  a  tua  voglia 
Opero  e  penso,  e  rìnnovello  Alcide 
Che  regge  la  conocchia  alla  sua  donna 
Tra  i  forti  vizi  ed  i  sprezzati  affetti 
Di  nostra  stoica  età.  Quando  ciò  volgo 
Nel  mio  cerveUo,  il  prepotente  amore 
Che  mi  soggioga  si  tramuta  in  ira, 
E  poiché  non  m'è  dato  liberarmi 
Dai  lacci  suoi,  vorrei  con  le  mie  mani 
Cercar  nelle  tue  viscere  qual  sia 
La  vera  causa  del  poter  tiranno 
Ch'esercita  su  me  la  tua  bellezza  (1). 

Ed  è  un  pensiero di  Caligola,  ricordato  da  Svetonio  :  «  Quoties 

«  uzoris  vel  amiculae  coUum  exoscularetur  addebat:  Tarn  bona  cerviz, 
<  simul  ac  lusserò  demeteretur.  Quin  et  subinde  jactabat  ezquisiturum 
€  se  vel  fediculis  de  Caesonia  sua  cum  eam  tanto  opere  diligeret  »  (2). 

L'altro  esempio  è  nello  spediente  imaginato  da  Nerone  —  <  scherzo 
degno  di  te  »  gli  dice  Menecrate  —  per  accertarsi 

Se  veramente  dalle  stelle  piova 
La  luce  del  futuro. 

Annunziatogli  Babilio  astrologo,  egli  dice  al  suo  buffone: 


(1)  Atto  ni,  scena  vi. 

(2)  Syromio,  Vita  di  Caligola,  XXXIII. 


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886  A&TS  CO!fTEMPORANIA 

Ad  un  mio  cenno 
L'astrologo  conduci  innanzi  a  quella 
Fenestra;  indi  abbracciatolo,  lo  innalza 
E  giù  lo  scaraventa. 

Babilio  si  salva  con  un'astuzia.  Ecco  la  scena: 

NEBONI 

Or  di',  Babilio, 
Dunque  io  sono  spacciato? 

BABILIO 

Del  dimani 
Paventa:  fl  tempo  è  burrascoso. 

NEBOKB  (eondueendo  Babilio  verso  la  finestra) 

Eppure 
Nella  sua  maestà  rìsplende  il  sole 
E  toma  primavera 

Meco  vieni 

E  innanzi  a  quella  scena  di  splendori 
Rallegrati  per  poco,  o  tenebroso 
Veggente  di  sventure. 

MSKECBATE  (abbracciando  Babilio) 

£  non  ti  pare 
Ammirabil  veduta? 

BABILIO  (spopentandosi) 

É  la  promessa 
Di  donna  menzognera;  il  suo  sorriso 
Non  corrisponda  al  core. 

MSNEOBATE 

Ed  il  tuo  core 
Che  ti  promette  in  tal  momento? 

BABILIO  (con  un  grido) 

I  Dei 

Mi  salvino! 

NERONE 

Che  dici? 


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IL  'nkronSi  di  arrioo  boito  887 

BASILIO 

Io  son  nel  punto 
P^giore  di  mia  vita;  le  sne  mani 
sa  me  la  Parca., 


Per  me?.... 


Ma  per  te  iremo,  Nerone! 

NIBOKB 


BABiLio  (con  voce  solenne) 

Morrai 
Trascorsa  un'ora  ch'io  sarò  spirato. 

NBBONE  (abbracciando  con  gran  tenerezza  Babilio) 
Abbracciami,  Babilio  (1). 

Ed  è  —  a  fiurlo  a  posta  —  un  fatto  della  vita..*  di  Tiberio,  nar- 
rato da  Tacito:  «  Quando  egli  yoleya  sapere  un  segreto,  in  cima 
«  d'una  casa  posta  sopra  uno  scoglio  un  suo  liberto  fidato  e  gagliardo 
«  ftceva  per  quelle  rocce  la  yia  innanzi  e  conduceva  su  l'indovino  ; 
«  s'ei  pareva  ignorante  o  ciurmadore  gli  era  data  la  spinta  in  mare. 
«  Condotto  TransuUo  (astrologo  caldeo)  su  per  quei  greppi,  e  do- 
mandato, predisse  appunto  l'imperio  e  ciò  che  doveva  avvenire  a 
«  Tiberio,  il  quale  gli  domandò  se  egli  aveva  studiato  la  sua  sorte 

<  e  qual  fortuna  corresse  quell'anno  e  quel  dì.  Egli,  calcolato  tempi 
e  aspetti  dei  pianeti,  prima  sì  rimescolò,  poi  si  atterrò;  e  quanto 

<  più  guardava,  più  gli  si  arricciavano  ì  capelli  ;   finalmente  gridò 

<  che  in  gran  punto  e  forse  ultimo  era.  Allora  Tiberio  l'abbracciò... 

<  E  sempre  l'ebbe  per  intrìnseco  amico  »  (2). 
Ma  l'artista? 

Ecco:  nella  commedia  del  Cessa  Nerone  ricorda  con  vano  orgoglio 
la  vittoria  ottenuta  nel  Circo  atterrando  il  più  forte  pugillatore 
delle  Oallie  (3);  si  vanta  d'aver  là  ove  sorgevano  i  tuguri  della 
vecchia  Roma  disteso  portici  e  archi,  e  terme  e  teatri  (4);  esalta 


« 


« 


(1)  Atto  III,  scena  v. 

(2)  Tacito,  Annah\  libro  VI,  XXI.  La  tradnzione  è  qaelia  del  Dayahzati. 
(8)  Atto  I,  scena  ii. 

(4)  Atto  I,  scena  ii  e  atto  II,  scena  viii. 


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ARTS  COVTEMPORAVKh 


la  limpida  armonia  de*  concetti  e  dei  yersi  nelle  tragedie  di  So- 
focle (1);  si  accinge  a  dar  spettacolo  di  sé  cantando  nel  pabblieo 
teatro  (2)  ;  ascolta,  senza  turbarsi,  nella  taverna  l'invettiva  d'un  cit- 
tadino, rapito  alla  bellezza  della  voce  e  al  fascino  della  declama- 
zione (3);  ritrae  nel  marmo  l'amata  X^);  compone  nel  convito  on 
ditirambo  (5);  sul  punto  di  lasciar  per  sempre  la  Casa  Aurea  non  à 
pensieri  che  per  la  sua  cetra  (6);  ricotto  in  condizione  di  miseria 
estrema  9  cerca  materia  di  versi  nella  bizzarra  infelicità  de'  suoi 
casi  (7);  si  apparecchia  a  morire  recitando  un'ode  d'Orazio  (8); 
sogna,  pur  negli  ultimi  istanti,  circhi  e  teatri,  e  i  plausi  d'immensa 
folla,  e  le  corone  di  rose  e  di  lauri  (9);  si  uccide  pronunciando  le 
parole  : 

Che  grande 
Artefice  perisco  (10). 

Tutto  questo  è  conforme  al  vero  storico;  ed  era  anche  —  secondo 
i  tempi  —  fino  a  un  certo  segno,  nuovo.  Fino  ad  un  certo  s^o:  il 
vanto,  per  esempio,  di  aver  suscitata 

suU^mmonda 
Berna  dei  padri    ....  la  bella, 
La  nuova  Roma 

ò  già  nel  Pdolo  del  Gazoletti  (11)  ove  la  figura  di  Nerone  à  dallo 
spettacolo  dell'incendio  ben  piti  terribile  grandezza;  e,  a  tacer  d'altro, 
ancora  dal  Paolo  —  di  cui  dirò  tra  poco  —  è  derivato  in  ciò  che 
ò  di  più  significativo  l'episodio  della  taverna  (il  rimanente  è  un'imi* 
tazione  del  canto  primo  dell'Assuero  in  Boma  di  Roberto  Hamer- 


(1)  Atto  I,  scena  ii. 

(2)  Atto  I,  scena  ix. 

(3)  Atto  II,  scena  yi. 

(4)  Atto  III,  scena  yi. 

(5)  Atto  IV,  scena  i. 

(6)  Atto  IV,  scena  vi. 

(7)  Atto  y,  scena  ii. 

(8)  Atto  y,  scena  ii. 

(9)  Atto  y,  scena  ii. 

(10)  Atto  y,  scena  iii. 

(11)  Paoh,  atto  ly,  scena  ii. 


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IL  *  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  889 

ling  (1))  non  pur  nelFinvenzione,  ma  fin  negli  att^fgiamanti  dello 
stile  e  della  frase  (2). 


(1)  Tradazione  del  Bstteloni,  pag.  7-50:  «  La  taverna  di  Locusta  ».  Altre 
molte  imitazioni  si  possono  notare.  Menecrate,  per  esempio,  ricorda  il  Sacco  del 
poema.  Nella  commedia,  Nerone  scaglia  la  tazza  contro  il  baffone  fuggente 
(atto  IV,  scena  ii),  nel  poema  il  Cesare  scaglia  contro  Barro  faggente  an  pa- 
g^nale  (Canto  VI,  pag.  267).  B  i  particolari  della  foga  e  delle  allacinazioni 
(atto  IV,  in  fine,  e  atto  Y)  si  confrontano  con  molti  laoghi  consimili  dei 
Canti  y  e  VI  deir^isauero  (pagg.  249-251,  258266,  267-275). 

(2)  Paolo,  atto  III,  scena  i?. 

Da  questa  tragedia,  del  resto  (ch*egli  non  citò  se  non  per  dirla  in  tatto  diversa 
dall'opera  saa),  il  Cessa  à  derivato  più  d'ana  scena. 

Secherò  dae  soli  esempi:  il  dialogo  con  cai  si  chiade  il  primo  atto: 


MBMECRATE 

E  il  morto  aveva 

Quattro  ville 

.  tei  dissi. 

NEROKE 

Ebbene? 

MENECRATK 

Ebbene? 

Io  non  ho  ville. 

NERONE 

Intendo;  ne  avrai  una; 

imitato  da 

questo  del  Paolo: 

MERONB 

Congiura?  Ricco  di  più  ville  il  feci! 

TIGELLINO 

Sette  n*ba. 

NERONE 

Tu? 

TlGELLINO 

Sol  quattro. 

NERONE 

Undici  n*hai  (atto  IV,  scena  i); 
e  la  descrizione  della  morte  di  Trasea  : 

Il  centurione 
Ch'apportava  il  decreto  del  Senato 
Lo  rinvenne  tranquillo  ascoltatore 
Di  Demetrio  filosofo.  —  Àiriniquo 


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ARTE  CONTEMPORANEA 


Ma  ò  una  yerità,  questa  della  commedia  del  Cossa,  più  di  paiole 
che  di  atti;  e  una  verità,  a  ogni  modo,  di  particolari. 

Noi  apprendiamo,  da  ciò  che  esso  il  Cesare  dice,  che  Nerone  era 
ceteradore  e  poeta,  pugillatore  ed  auriga,  edificator  q[>leiidido  e  at- 
tore; ch'ei  si  compiaceva  di  tutte  le  arti,  e  n'esercitays  pili  d'una. 
Bene.  Ma  anche  Caligola  costruiva  con  magnificenza,  era  per  diletto 
lottatore  e  cocchiere,  schermiva  con  armi  affilate  nel  Circo,  e  yì  gui- 


Annunzio  eruppe  il  grido  de*  congiunti 
E  dei  servi,  —  io  lÀ  stavo  in  mezzo  ad  essi  : 
n  vecchio  solo  tacque,  e  parve  lieto, 
E  poi  ch*ebbe  abbracciata  la  sua  figUa, 
.  Si  fisce  aprir  le  vene,  e  poche  accolte 
Stille  di  sangue  nella  man  tremante, 
Ne  sparse  il  snolo,  offerendole  a  Giove 
Liberatore,  —  indi  si  volse  a  noi 
Meravigliati,  e  disse:  Addio!  voi  ìaseio 
In  prava  età  ;  vi  giovi  affrancar  Vanimo 
Con  forti  esempi  {Nerone,  atto  II,  scena  t:;, 

inspirata  a  questa  della  morte  di  Seneca  nel  Paolo: 

Quando  il  messo  di  Cesare  intimato 

Ebbe  airUlustre,  ch^ei  morir  dovea, 

Questi  nò  ciglio  mosse,  né  colore 

Mutò;  che  da  gran  tempo  ogni  novello 

Giorno  accettar  solea  siccome  estremo. 

E  poichò  l'agio  di  testare  e  il  dritto 

Gli  fu  conteso,  ai  desolati  amici 

Rivolto:  «  Ebben,  dicea,  s'altro  non  posso 

Per  voi,  VesempU)  di  mia  vita  almeno 

Vi  resti,  uUimo  dono,  e  tal  che  tolto 

Da  nissun  vi  sarà  >.  —  Ciò  detto,  stese 

A  me  le  braccia,  intenerito  al  seno 

Mi  strinse  e  a  moderar  Tacerbo  affanno 

Mi  confortò.  —  «  Certo  rimedio  il  tempo 

Alle  piaghe  del  cor;  temprassi  intanto 

Di  sua  perdita  il  dnol  con  Fonorata 

Memoria  delle  giuste  opere  sue». 

E  perch*io  sorda  a  ogni  conforto,  e  seco 

Morir  volendo,  il  feritor  chiedea, 

«  T*ho  mostro,  ei  disse,  addolcimenti  a  questa 

Povera  vita;  lo  splendor  t'alletta 

Della  morte?  Lo  avrai.  Noi  moriremo 

Animosi  del  par:  tu  più  lodata». —  (Atto  V,  scena  i). 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARAIGO  BOITO  891 

dava  carri,  e  dava  pubblico  spettacolo  di  suoi  canti  e  di  sue  danze; 
«  né  per  altro  >  —  narra  Svetonio  —  «  aveva  annunciato  una  veglia 
<f  il  dì  che  fu  ucciso,  se  non  per  presentarsi  in  quell'ora  più  libera- 
le mente  su  la  scena»  (l).  E  anche  Comodo  scendeva  nell'arena  a 
combattere  coi  gladiatori.  Mostrate  quale  fu  in  Nerone  l'artista,  qual 
sogno  d'arte  fu  il  suo;  quale  è  l'estetica  che  si  richiama  dal  suo 
nome.  E  fate  che  quest'estetica  e  questo  sogno,  come  presero  forma 
nella  vita,  prendano  pur  forma  —  non  fosse  che  un  istante  —  in- 
nanzi ai  nostri  occhi  nella  rappresentazione. 

11  moto  di  sdegno  con  cui  Nerone  getta  lo  scalpello,  disperato  di 
poter  infondere  «  palpiti  nella  sorda  materia  >  (atto  III,  scena  vi),  è 
un  comun  gesto  riferito  a  troppi  artefici  (fu  attribuito  anche  a  Mi- 
chelangelo), e  nulla  ci  rivela  di  particolare  in  torno  allo  scultore.  La 
gioconda  ode  del  quarto  atto,  tutta  composta  com'è  di  ricordi  classici 
e  foggiata  sul  metro  delle  canzoni  libere  del  Guidi,  nulla  ci  dice  in 
torno  all'educazione  letteraria  e  alle  attitudini  poetiche  del  Cesare. 
E  nulla   ci  apprendono  le  parole  di  Atte: 

La  mente  à  greca, 
Romano  il  core 

(atto  III,  scena  i);  anzi  non  gioverebbero  purtroppo  che  a  sviarci: 
Nerone  ebbe  romano,  come  il  core,  l'intelletto.  L'inno  che  egli  scioglie 
nel  primo  atto  alla  Grecia  per  la  gloria  del  Partenone  e  ìl^W Iliade 
e  delle  belle  battaglie  suonerebbe  più  appropriato  in  bocca  d'un  esteta 
moderno.  All'Eliade  Nerone  chiese  ben  altro:  vi  cercò  il  campo  li- 
bero alla  mascherata  dei  suoi  ridevoli  trionfi,  gli  agoni  —  non  più 
aperti  alle  prove  de'  belli  efebi  —  ma  corsi  dagli  uomini  del  mestiere 
di  cui  il  Cesare  si  sorprese  a  invidiar  la  gloria;  ne'  Greci  egli  mostrò 
d'apprezzare,  meglio  che  i  discendenti  d'Omero  e  di  Fidia,  gli  inten* 
ditori  eleganti  ed  esperti  de'  certami  e  de'  giochi.  Nel  suo  ritomo 
in  Boma  egli  non  recava  frammenti  d'antica  bellezza,  non  vasi  né 
statue  (le  statue  de'  vincitori  le  aveva  anzi  abbattute  e  fatte  trasci- 
nar nelle  fogne  perchè  più  nonne  restasse  memoria),  ma  ghirlande; 
e  le  ghirlande  di  tutti  i  giochi  pendevano  dal  carro  ove  aveva  trion- 
fato Augusto,  e  ove  —  abbattuto  l'arco  del  Circo  Massimo  —  tra 


(I)  SvsTOMio,  vita  di  CaUgola. 

Ht0titn  musuait  tt*iliat-a.  Vili  58 


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892  ARTE  CONTEMPORANEA 

un  corteo  di  festeggiatori  gettanti  al  popolo  oro  e  confetti,  Tlmpe- 
ratore  mosse,  per  vie  cosparse  di  fiori,  al  tempio  d'Apollo,  a?Tolto 
in  un  manto  di  porpora  a  stelle  d'oro  trapunte,  redimito  della  co- 
rona olimpica  e  tenendo  nella  destra  la  pizia. 

L'estetica  di  Nerone  fu,  innanzi  tatto,  un'estetica  di  decadenza.  La 
società  in  cui  il  Cesare  viveva  aveva  guasto  lo  spìrito  da  una  let- 
teratura falsa  e  declamatoria;  ricercava  nei  prosatori  e  ne'  poeti  non 
i  sentimenti  e  i  pensieri,  ma  le  frasi,  comprendendo  in  una  sola 
ammirazione  Sofocle  e  Afranio,  Vergilio  e  Seneca,  i  lirici  greci  e 
i  corrotti  scrittori  del  tempo ,  vaga  solo  di  figure  retoriche  e  di  spe- 
dienti  oratori;  prediligeva  nelle  arti  plastiche  non  l'ideai  grazia 
delle  età  più  pure,  ma  il  realismo  e  lo  sforzo  delle  decadenti,  — 
le  statue  colossali  come  quella  che  alta  cento  venti  piedi  fu  eretta 
nell'antiportico  della  Casa  Aurea,  i  gruppi  enfatici  complicati  veementi 
come  il  marmo  rodiano  delle  Dirci;  confondeva  col  grande  il  gigan- 
tesco e  l'enorme;  avida  dì  commozioni  violente,  s'inebriava  all'epopea 
sanguinosa  dell'  anfiteatro  ;  degli  strazi  e  delle  stragi  si  componeva 
una  voluttà  acre  ed  un  gioco;  chiedeva  eccitamenti  ai  sensi  stracchi 
nella  viva  rappresentazione  di  ciò  che  i  miti  contenevano  di  più  fe- 
roce e  di  più  osceno  —  protesa  anelante  esaltata  agli  effetti  statuari, 
ai  ricercati  aggruppamenti  delle  membra,  alle  sapienti  attitudini  dei 
lottatori  e  dei  mimi. 

Tutto  ciò  era  proprio  del  tempo.  Ma  Nerone  era  anche  un  per- 
vertito; l'ultimo  prodotto  di  una  stirpe  —  quale  fu  la  domina 
—  di  fraudolenti  e  di  violenti,  di  libidinosi  e  di  ladri;  la  sua  in- 
dole reca  impressi  i  segni  della  degenerazione  intellettuale  e  mo- 
rale. E  il  pervertito  esagerò,  naturalmente,  le  tendenze  e  i  gusti 
del  tempo;  fece  della  falsità  letteraria  una  consuetudine,  foggiandosi 
sentimenti  fattizi  per  esprimerli  in  frasi  sonanti  e  cercando  materia 
di  declamazione  fin  ne'  rimorsi;  dichiarò  bello  il  mostruoso;  sognò 
palazzi  chimerici  —  fatti  di  marmo  e  d'avorio,  fregiati  d' oro  e  di 
madreperle  e  di  gemme  —  assurde  imprese  —  tagliar  l'istmo  di 
Corinto,  scoprir  le  sorgenti  del  Nilo,  scavare  un  canale  da  Baja  ad 
Ostia  —  città  favolose  accoglienti  tutti  gli  splendori  di  Niniveedi 
Babilonia,  di  Menfi  e  di  Tebe;  invaso  dal  delirio  degli  applausi,  an- 
tepose il  lottatore  al  poeta  e  l'istrione  al  tragedo,  anelò  a  tutte  le  co- 
rone di  tutti  i  certami,  giudicò  angusta  scena  alle  sue  prove  Boma 


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IL  *  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  893 

e  volle  correr  trionfatore  le  Provincie;  auriga,  rischiarò  le  corse  dei 
suoi  carri  con  fiaccole  viventi  ;  atleta,  imaginò  di  rinnovare  la  gloria 
d'Ercole  prostrando  nel  circo  un  leone;  comediante,  non  si  contentò 
di  comparir  su  la  scena  in  figura  di  Edipo,  di  Alcmeone,  di  Oreste 
—  coperto  di  catene  d*oro,  guidato  per  mano  come  un  cieco,  imitante 
gli  orrori  e  i  vaneggiamenti  del  matricida  —  volle  rappresentare 
anche  «  Oanace  >  e  simular  con  la  voce  e  coi  gesti  gli  spasimi  e 
le  doglie  del  parto;  corego,  fece  della  tortura  un'arte,  e  nelle  cru- 
deltà nove  —  complicate  a  un  tempo  e  violente  —  die  forma  a  tutti 
i  sogni  d'una  &ntasia  fervidamente  inventrice  nel  male. 

La  vita  fu  per  Nerone  una  mutevole  tragedia  di  cui  egli  era  l'eroe 
onnipossente. 

Travolto  dalla  follia  dell'arte  in  un  turbine  di  allucinazioni  d'ora 
in  ora  rinnovellato,  presto  egli  non  giunse  più  a  distinguere  la  realtà 
dalla  finzione;  volle  provar  nel  vero  tutti  i  sentimenti  dei  personaggi 
storici  0  imaginari  che  aveva  rappresentato  su  la  scena  o  per  cui 
s'era  acceso  nella  lettura  dei  poeti,  attuare  tutte  le  chimere  della 
sua  fantasìa,  rivivere  —  intensamente  e  compiutamente  rivivere  — 
ogni  sua  più  ebra  visione. 

Tale  in  Nerone  l'artista:  un  composto  di  retore  e  di  decadente, 
di  grottesco  e  di  truce,  di  grandioso  e  di  folle. 

Quello  che  il  Cessa  ci  à  ritratto  —  borghese  figura  di  dilettante 
che  finisce,  al  solito,  a  innamorarsi  della  modella  —  è  da  vero,  per 
quattro  atti  al  meno,  come  dice  il  poeta,....  un'altra  cosa. 

Ma  non  ò  tutto. 

La  figura  del  Cesare  non  può  essere  a  capriccio  separata  dall'i- 
magine  del  mondo  che  fu  suo.  Non  giova  il  dire  che  «  in  Nerone 
l'uomo  politico  fu  nullo  »  (1).  Sarà  vero,  forse;  ma  anche  è  certo  che 
in  Nerone  esistette  sempre  —  fino  all'  estremo  —  l' imperatore:  E 
l'imperatore,  se  talor  parve  indulgere  a  certe  affettazioni  di  noncu- 
ranza bizzarra,  ricercò  tuttavia  sempre  ogni  più  fastosa  apparenza 
del  dominio  e  si  piacque  a  tutti  gli  splendori  d'un  lusso  ancor  senza 
esempi  nell'  Urbe.  Pescava  con  reti  d'  oro  e  di  porpora;  viaggiava 
preceduto  da  una  folla  di  corrieri  rilucenti  di  falere  e  di  armille; 
cantava  in  mezzo  a  uno  stuol  di  fanciulli  dalle  lunghe  chiome  odorose, 


(1)  Ntrone,  Prefazione. 


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894  ARTE  CONTEMPORANEA 

in  yesti  eleganti,  fregiati  d'anelli;  protraeva  i  oonnti  nel  Campo 
Marzio  e  nel  Circo,  servito  da  quante  cortigiane  erano  in  Boma.  Né 
ricorderò  (troppo  son  note)  le  niagnificenze  della  Casa  Aurea.  Ora 
una  commedia,  in  cui  —  come  in  questa  del  Coesa  —  Clnyio  Bufo  e 
Vinicio  rappresentano  tutta  la  magistratura  delFimperq,  e  nelle  sale 
del  palazzo  melanconicaroente  deserte  il  principe  del  Senato  e  il  pre- 
fetto del  Pretorio  cercano  in  vano  un  annunciatore  e  non  iroTano 
ciie  una  liberta,  e  il  Cesare  non  &  compagnia  mai  che  d'an  istrione 
e  d'una  danzatrice;  una  commedia  tale  non  par  la  più  atta  da  vero 
(mi  consentiranno  in  ciò,  penso,  anche  gli  ammiratori  del  poeta)  a 
darci  imagine  di  quella  prodiga  e  fervida  vita  che  il  racconto  di 
Svetonio  e  di  Tacito  rievocano  in  torno  a  Nerone. 

E  osservate  ancora.  Poi  che  la  &vola  era  scarsa  di  vigor  dranmia- 
tico,  il  Coesa  pensò  di  ravvivarla  rappresentando  di  contro  all'obliosa 
leggerezza  del  Cesare  la  <  vigile  coscienza  di  Boma  ».  Ora,  fin  che  la 
retorica  patriottica  non  inspira  che  alcuni  cittadini  congiuranti  nel 
secondo  atto  contro  il  tiranno^  noi  possiamo  anche,  senza  troppo  do- 
lercene, sopportar  la  noja  di  uno  spediente  ormai  stracco  e  perdonare 
al  tradimento  del  vero  storico  per  l'amor  delle  frasi  (1).  Ma  la  cosa 
passa  il  segno  quando  di  quest'idea  civile  ò  &tta  simbolo  Atte,  la 
dolce  umile  schiava  asiatica  che  Tacito  e  Dione  Cassio  ritrassero,  alla 
quale  il  Cossa  afEida  per  i  tre  primi  atti  della  commedia  il  com- 
pito, assai  vano,  di  richiamare  il  Cesare  a'  doveri  di  un  saggio  r^- 
gitore  di  popoli,  e  per  gli  altri  due  quello,  non  meno  arduo,  di  in- 
segnargli a  morire. 

A  un  certo  punto  Nerone,  fastidito,  le  dice: 

Non  ti  pigli  l'estro 
Di  darmi  lezione  di  morale 

Filosofìa già  n'ebbi  troppe 

Da  Seneca  (2). 


(1)  La  congiara  del  65  non  fa  inspirata,  come  è  noto,  da  amor  dì  libertà  r 
intendeva  ad  abbattere  non  il  Cesarismo,  ma  Nerone,  in  farore  di  Gaio  PisozM 
<  largo  donatore  »  —  dice  Tacito  —  «  e  prodigo  anche,  il  che  piaceva  a  molti  die  in 
secolo  8i  corrotto  non  amarano  imperatore  avaro  ed  austero  ».  E  vi  si  aoeottarono 
con  altri,  uomini  yilissimi  come  Flavio  Selvino  «  perduto  in  lussuria  a  sonno  » 
e  Afurio  Quinsiano  e  del  suo  corpo  peggio  che  donna,  yituperato  da  Nerone  eoo 
▼ersi  infami  »  (Tacito,  AnnaU^  XV,  47  e  segg.). 

(2)  Atto  II,  scena  viii. 


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IL  'NIRONI,  DI  ARRIGO  BOITO  895 

Parole  al  vento!  Le  lezioni  continaano;  più  tediose  anche,  e 
più  lunghe.  E  l'orgoglioso  imperatore,  che  non  sofferse  in  torno  a 
sé  né  pure  i  volti  accigliati  (Trasea  fu  fatto  morire  perchè  pareva 
col  cipiglio  tacitamente  rimproverarlo),  deve  ascoltare,  paziente,  a 
tutte  le  ore,  da  una  liberta,  intemerate  come  queste: 

Insensato,  il  Dio  che  invochi 
È  il  tuo  peggior  nemico.  —  Io  vo*  parlarti, 
Unir  dovessi  la  parola  estrema 
All'estremo  sospiro,  e  s'ascoltavi 
Pur  or  codardamente  le  rampogne 
Del  primo  ch'incontrasti  nella  via, 
Ascolterai  me  pure.  —  E  sei  tu  forse 
Il  successor  dei  Cesari?  —  Gli  oppressi 
Popoli  di  Germania^  ancor  non  vinti. 
Fasciano  i  corpi  sanguinosi,  e  nuove 
Nel  fondo  dei  lor  boschi  impenetrati 
Preparano  battaglie:  alla  congiura 
Tendon  gli  orecchi  gli  altri  confinanti, 
E  rodio  stesso  dd  romano  nome 
Unisce  i  Galli  che  ne  son  vicini 
Ai  remoti  Britanni,  —  A  tanti  estemi 
Nemici  dell'imperio  aggiungi  i  tuoi 
Eserciti,  rissosi,  malcontenti, 
E  questa  plebe  che  ti  sta  d^intomo 
Piena  d'odio  e  di  fame.  E  tu,  Nerone, 
Che  fai?  Come  provvedi  alla  mina 
Che  ti  minaccia?  Tu  canti;  e  allorquando 
È  duopo  di  mostrarsi  eroe  sul  campo, 
Ti  piace  meglio  il  plauso  tributato 
All'eroe  della  scena.  Oh  per  gli  Dei 
Tutelari  di  Roma  e  dell'imperio, 
VergogtuUi,  Nerone!  Esci  di  questo 
Ozio  una  volta,  e  non  per  prodigate 
Vane  magnificenze,  ma  per  grido 
Di  fatti  generosi  in  te  risorga 
La  maestà  dd  popolo  di  Roma  (1). 


(1)  Atto  II,  scena  via. 


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896  ARTE  CONTBMPORANBA 

Fate  Saturnali 

Sopra  tutta  la  terra,  o  genti  schiave, 

£  alzate  Tinno  della  gran  vendetta; 

La  terrìbile  via  del  Campidoglio 

Che  i  vostri  Be  salivano  in  catene, 

È  divenuta  via  d'una  taverna, 

E  la  8pada  di  Cesare  cadeva 

Di  mano  aU' ubbriaco  successore!  (1) 


Se  tu  m'ascoltavi, 
Avresti  con  l'esempio  e  con  le  leggi 
Risuscitata  alla  grandezza  antica 
Questa  Roma  bastarda,  effeminata, 
Nell'ozio  avvezza  di  sciupar  la  gloria 
Che  i  padri  le  lasciarono,  pugnando 
In  tutti  i  campi  che  stan  sotto  il  sole!  (2) 


Una  sol  volta  pensa 
Di  qual  patria  sei  figlio,  ai  suicidi 
Eroici  delle  tue  vittime,  e  in  questa 
Ora  di  prova  innalzati  per  poco 
Dalla  bassezza  tua  (3). 

Ah,  ma  dunque  à  fatto  scuola  anche  l'Alfieri;  non  è  vero? 

E  dopo  ciò? 

E  dopo  ciò  la  critica  continuerà  allegramente  a  sentenziare  che  il 
Nerone  di  Pietro  Cessa  è  (1&  ^^^^  non  è  elegante,  ma  non  è  mia) 
<  di  ima  meravigliosa  verità  poetica  e  storica  che  non  ha  forse  esempi 
«  nell'arte  ». 

Assai  prima  che  la  commedia  del  Cossa  suscitasse  in  Italia  tanto 
clamore  di  plausi,  un  poeta  sorto  dalla  scuola  romantica  —  Antonio 
Qazoletti  —  publicava,  quasi  inosservato,  il  Paolo^  «  tragedia  in 
cinque  atti,  in  versi,  dedicata  alla  memoria  di  re  Ca^Io  Alberto». 

Con  quest'opera  il  disegno  si  allarga  a  comprendere  un  più  vasto 
mondo: 


(1)  Atto  II,  scena  viii. 

(2)  Atto  IV,  scena  v. 

(3)  Atto  IV,  scena  v. 


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IL  '  NERONE  ,   DI  ARRIGO  BOITO  897 

Centro  dell^oniverso,  ultima  prova 

Della  potenza  e  delForgoglio  nmanOi 

Di  rivali  città  colle  macerie 

Edificata,  colle  spoglie  opime 

De'  popoli  arricchita,  arbitra  e  donna 

Di  regni  e  re,  giardino  d'ogni  bene 

Che  il  mondo  allegra,  e  d'ogni  mal  sentina. 

Caos  immane  di  vita  e  di  morte, 

Di  grandezza  e  viltà,  di  luce  e  d'ombra. 

Ecco  Roma  —  de'  Cesari  la  Roma, 

Or  di  Nerone.  Archi,  teatri  e  fori, 

E  greche  arti  e  latine,  e  non  men  d'oro 

Che  di  gloria  raggiante  il  Campidoglio, 

La  fan  superba  e  invidiata.  —  0  avello 

Splendido  fuor,  putrido  dentro!  —  Roma 

È  ancor,  stupenda  più  che  mai  non  fosse; 

Ma  i  romani  ove  sono?  —  Are  e  delubri 

Tutti  n'ebber  gli  Dei,  fede  nissuno. 

Venere  prava  e  truculenta  ebbrezza 

IH  vino  e  sangue  smagliano  gve^  petti 

Di  si  valida  tempra,  e  oscuri  e  scemi 

Fan  gVintéUetti  che  dier  legge  al  mondo. 

Curvi  i  patrizi  aU^efferato  impero 

I/un  solo  e  tristo,  su  clienti  e  servi 

La  pressura  rinversano;  blandita 

0  calpesta  la  plebe,  e  abietta  sempre, 

Pane  invoca  e  circensi,  e  abiura  patria 

E  libertà  — . 


Ne'  sotterranei  della  tua  Babelle 

Scendi,  o  smarrito  pensa tor 

I/ogni  stirpe  accolti 

E  d'ogni  terra  qui  vedrai  credenti, 
Lievito  e  seme  d'un'età  novella, 
Affratellarsi  in  umiltà  di  fede. 
In  santità  d^affetto,  in  fiamma  accesa 
Di  sacrificio.  Onda  lustrai  li  terge 
D'ogni  ruggine  antica;  e  le  rideste 
Menti,  e  i  rifatti  cor  visita  e  affranca 
La  parola  e  lo  spirito  di  Dio. 
L'umanità  non  pere:  ella  si  spicca, 
Vergin  farfalla,  dalle  immonde  spoglie, 
E  batte  aura  più  pura  a  miglior  sorte. 


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89H  ARTE  CONTEMPORANEA. 

Così  il  poeta  nel  prologo. 

Ora  la  persecuzione  dei  cristiani  si  iniziò,  come  è  noto,  nel  64; 
ed  ebbe  non  so  se  io  debba  dire  la  ragione  o  il  pretesto  (1)  dairin- 
cendio  di  Boma.  <  È  >  —  scrive  il  Renan  —  «il  momento  più  solenne 
«nella  storia  del  Cristianesimo.  L'orgia  di  Nerone  fonda  la  supre- 
me mazia  della  Chiesa  romana;  fa  della  città  dei  martiri  la  seconda 
«  Gerusalemme;  compie  la  mitologia  cristiana  levando  di  contro 
«  alla  figura  di  Gesù  il  Mostro  generato  dall'  incubo  del  terrore, 
«il  cupo  Gigante  del  Crepuscolo  del  mondo;  apre  il  poema  della 
«  morte,  la  sanguinosa  epopea  da  cui  sorgeranno  radiose  tutte  le  con- 
«  quiste  della  nuova  fede  »  (2).  E  con  profondo  accorgimento  a  ponto 
il  Gazoletti,  volendo  rappresentare  il  contrasto  fra  la  società  pagana 
decadente  e  la  cristiana  avviantesi  sublime  d'entusiasmo  al  martìrio 
donde  uscirà  vittoriosa  nei  secoli,  fece  dell'incendio  dell'Urbe  centro 
all'azione  del  dramma. 

Ancor  vivo  Nerone,  la  leggenda  —  raccolta  poi  da  Svetonio,  da 
Dione  Cassio  e  da  Plinio  e  diffusa  dai  padri  della  Chiesa —  narrò 
(è  noto  anche  questo)  che  l'imperatore  desse  fuoco  alla  città  per  fa- 
stidio degli  angusti  vicoli  e  dei  tuguri  e  per  vaghezza  dello  spet- 
tacolo delle  fiamme,  e  ne  accusasse  i  cristiani,  «  a  divertire  i^  — 
dice  Tacito  —  «  il  grido  che  lo  voleva  pur  reo  di  quella  infamia  ». 

Ma  il  tragedo  non  accolse  che  in  parte  la  tradizione. 

£  se  n'era  scostato,  del  resto,  anche  Roberto  Hamerling  nel  suo 
Assuero  in  Bama^  conosciuto  fra  noi  per  la  traduzione  bellissima  del 
Betteloni.  In  questo  poema  —  ricordate?  —  il  bizzarro  proposito  sorge 
improvviso  nella  fantasia  del  Cesare  su  la  fine  d'un  baccanale,  ove 
egli  apparve  in  figura  di  Dioniso,  adorno  il  capo  dell'infula  sacra, 
sovra  un  carro  gemmato  tratto  da  due  leoni,  fra  uno  stuol  di  menadi 
e  di  satiri  e  di  coribanti  e  di  fauni.  Bi volto  a'  suoi  seguaci,  Nerone 
esclama: 


(1)  Pascal,  L'incendio  di  Boma  e  i  primi  cristiani.  Non  ostanti  le  molte 
obiezioni  del  Sabbatini,  .del  Coen,  del  Cbiappelli  e  di  altri,  ì*  opinione  che 
deirincendio  sieno  stati  autori  alonni  fanatici  della  nnom  setta  mi  pare  finora 
la  più  accettabile  e  la  più  salda. 

(2)  Renan,  L'Antéchrist 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  899 

"  Date  di  piglio  orsù  a  le  spente  faci, 
E  nova  fiamma  raccendete  in  quelle. 
Via  correte,  correte;  imperversando 
Per  la  città  avvolgetevi,  rapite 
Seco  voi  quanto  vive,  in  turbinoso 
Vortice;  io  Toro  a  piene  mani  spargere 
Farò  in  mezzo  alla  plebe,  che  briaca, 
Ad  onor  mio,  non  sarà  tarda  a  mescersi, 
Tumultuando  e  infui-Xando,  a  voi. 

Or  qual  può  degno  fine 

Aver  codesto  sovrumano,  ingente 

Baccanal,  senonchè  fine  di  foco 

Immenso  e  sacro?  La  città  infinita 

Arder  non  deve,  a  imagin  nostra,  in  bacchiche 

Splendide  fiamme?  Sopra  i  tetti  e  intomo 

Le  incendiarie  fiaccole  avventate; 

Bruciar  de  la  diletta  e  antica  Roma 

Denno  in  tal  gaia  festa  i  marmi  stessi; 

Splendan  le  forre  degli  albani  monti, 

£  tutto  luccicando  il  mar  Tirreno 

Di  porpora  s'infiammi,  e  ripercota 

Codesto  di  Nerone  allegro  incendio  !  ,  —  (1). 

La  notizia  dell'incendio  giunge  poi  al  Cesare  in  Anzio,  poco  dopo 
che  alla  soglia  del  palazzo,  ov'egli  banchetta  con  a  fianco  Sporo 

lo  schiavo 
favorito,  l'amabile  fanciullo, 
il  bel  coniuge  suo  — 

il  mare  à  recato  il  cadavere  di  Agrippina:  additando  ai  convitati 
il  riflesso  dell'Urbe  lontana,  avvolta  nelle  fiamme  e  nel  fumo,  Nerone 
prorompe  nel  grido: 

Ecco  le  tede  mortiiarie  accese  ! 
A  Boma!  a  Roma!  (2) 

L'invenzione  avvicina  due  date  veramente  un  po'  discoste  (l'Au- 
gusta morì  nel  59);  pure  nella  pompa  melodrammatica  dell'effetto 


(1)  HAMERLiirOy  Assuero  in  Roma.  Canto  II,  pag.  105  —  (cito  e  citerò  sempre 
la  tradazione  del  Betteloni). 

(2)  Hambrliho,  Assuero  in  Roma,  Canto  III,  pag.  146. 


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900  ARTE  CONTEMPORANEA 

assai  bene  risponde  alla  verità  artistica  e  umana  del  carattere  di 
Nerone. 

L'artifizio  del  Oazoletti  è  men  poetico.  Sazio  delle  carezze  di  Poppea, 
rimperatore  si  accende  per  Oinnia  Silena  (una  creatura  del  poeta, 
come  la  Oiunia  del  Bacine),  che  egli  vide: 

la  casta 
Prece  recante  di  Minerva  all'ara 
Nel  silenzio  e  nell'ombra  (1). 

Seneca  accetta  volontieri  la  cura  di  persuader  la  fanciulla  alle 
nozze  con  Nerone,  confidando  che  nel  nuovo  amore  si  disacerbi  la 
feroce  indole  del  suo  allievo. 

Siede 
Signor  del  mondo  un  traviato  spirto, 
Su  cui  ben  più  de*  miei  lunghi  precetti, 
Più  degli  antichi  di  valore  esempli, 
Potè  il  consiglio  e  l'amistà  de'  tristi, 
Potè  la  gentilizia  indole  acerba 
Degli  Enobarbi.  —  Or  questo  il  campo,  questo 
È  Tagòn  di  te  degno.  Ardisci!  —  Bella 
Non  è  mai  tanto  la  virtù,  né  forte, 
Quanto  se  amore  l'accompagni!  —  Ascendi 
11  talamo  di  Cesare;  soavi 
Catene  ordisci  a  queU'indomit'alma, 
E  la  guida  e  la  reggi  a  miglior  segno. 
Dal  cammin  de'  tiranni  la  radduci 
Sul  cammin  degli  eroi!  —  Questo  è  ben  altro 
Che  consumar  suoi  giorni  in  vano  sfogo 
Di  derisi  compianti  !  Ardisci  :  a  fianco 
*  Seneca  avrai.  Con  me  saranno  i  voti 
E  gli  applausi  di  Boma  (2). 

L'eloquenza  del  retore  —  che  precorre  Giovenale  e  il  Leopardi  (3), 
avrebbe  facile  vittoria  dell'inesperta,  se  a  canto  a  lei  non  vigilasse 


(1)  Atto  I,  scena  i. 

(2)  Atto  I,  scena  ii. 

(3)  I  versi: 

A  Voi  serbato 
E  a'  vezzi  vostri  è  accendere  i  sa  premi 
Impeti  di  valor  (atto  I,  Eoena  ii) 


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IL  '  NERONE  «  DI  ARRIGO  BOITO  901 

Paolo.  Iniziata  alla  nuova  religione  dalF Apostolo,  Oiunia  è  accolta 
tra  i  cristiani  e  sposata  a  Eudoro  —  un  giovane  centurione  segna- 
latosi nelle  guerre  contro  i  Parti  —  a  cui  Paolo  l'affida  con  queste 
parole: 

Ben  più  che  una  sorella,  Eudoro, 

Io  ti  presento  ;  alla  saggezza  tua, 

Al  tuo  coraggio  una  consorte  affido. 

Dissi  che  gli  occhi  ed  i  sospir  d'un  grande 

Pendon  80vr*essa.  Or  tutto  sappi  :  Augusto 

Rivale  avrai,  lo  stesso  Augusto.  —  Vane 

Contro  tanta  virtù  stimò  le  prove 

Della  forza  e  dell'oro,  e  mano  e  trono 

Le  offerse:  ultima  infamia  di  corrotta 

Civiltà,  che  far  suol  del  maritale 

Nodo  a  brevi  libidini  pretesto 


ricordano  altri  notissimi  deUa  canzone  leopardiana  «  Nelle  noMze  della  soréBa 
Paolina»  (31-87). 
Il  passo: 

Qaando  ricordo  delle  antiche  donne 

I  casti  lari,  e  abbandonar  le  veggo 
.    La  spola  e  Tago  e  le  dolci  carezze 

Della  tenera  prole,  e  f&rsi  incontro 

Qlorlof^e  e  modeste  al  trionfante 

Sposo;  a  qoel  forte  ed  amoroso  petto 

Serrarsi,  e  riposar  nella  certezza 

Del  talamo,  dei  figli  e  della  tomba, 

Alto  ribrezzo  inesprìroibil  provo 

Dei  feroci  odi  e  più  feroci  amori, 

Delle  pompe  cradeli,  e  dei  cradeli 

Piaceri,  ond*oggi  si  compon  la  vita 

Di  romana  matrona,  e  di  cai  Teco 

Basta  sovente  a  intorbidar  la  calma 

Della  mia  soIitnJine'; 

si  confronta  a  questo  di  Giovenale: 

Praestabat  castas  hamilis  fortana  Latinas 
Quondam,  nec  vitiis  contingi  parva  sinebant 
Tecta  labor  somnique  breves  et  veliere  Tosco 
Yeiatae  dnraeqne  manns  ac  proiimns  urbi 
Hannibal  et  stantes  Collina  tnrre  mariti. 
Nane  patimar  longae  pacis  mala;  saevior  armis 
Lnzaria  incabait  victamqae  alciscitnr  orbem. 

(Satira  VI,  vv.  287-294). 


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002  ARTK  CONTCMPORANEA 

£  orpello.  Ah  no,  contaminato  il  nuovo 
Tempio  di  Cristo  non  sarà  dal  bacio 
D'un  empio  re!  No,  questo  fior  cresciuto 
Quasi  a  prodigio  in  arido  deserto 
Profumar  non  vedrò  le  oscene  coltri 
D'ebbro  tiranno  !  —  Ella  è  tua  sposa  (1). 

Così  che  quando  —  nel  convito  apparecchiato  sul  lago  d'Agrippa 
—  Nerone  ordina  a  Tigellìno  di  condurgli  innanzi  <  volente  o  ri- 
trosa» la  fanciulla  inutilmente  invitata  e  pregata,  Eudoro  soccorre 
pronto  alla  difesa  :  la  lettiga  in  cui  i  pretoriani  anno  fatto  salire  a 
forza  Giunia  è  circondata  da  immensa  moltitudine  di  popolo  e  tra- 
fugata (2). 

Nella  scena  che  segue  è  deliberato  Tincendio: 

NEBOÌTB 

Vendetta  io  vo'.  Quella  ferita, 

Che  sanar  non  può  il  ferro,  il  foco  sanL 
Fa  di  costor  quel  che  de' lupi  ascosi 
Nelle  tane  inaccesse:  i  lor  covili 
Ardi,  incendia,  distruggi.  Da  gran  tempo 

Di  quel  vecchiume  mi  contrista  il  lezzo 

Ardi,  incendia,  distruggi;  ed  abbia  il  caso 
Tutta  la  gloria  delle  mie  vendette. 

TIQELLINO 

Io  farò  meglio  ancor:  de' torti  tuoi 
Farò  vindice  Roma.  Al  primo  alzarsi 
Delle  fiamme  s'udran  voci  diverse 
Accusar  dell'incendio  i  già  sospetti 
Settatóri  di  Cristo.  Nel  trambusto 
Delle  grandi  sventure  dall'accusa 
Breve  al  sangue  è  la  via,  breve  dal  sangue 
Alla  strage.  Cosi  nella  vendetta 
De'  propri  danni  suoi  vendica  Roma 
L'offesa  maestà  del  mio  signore  (3). 

Dicevo  che  l'artificio  è  poco  poetico.  Ed  è  anche  poco  credibile: 
Nerone  non  aveva  certo  bisogno  di  struggere  una  intera  città  per 


(1)  Atto  II,  scena  ti. 

(2)  Atto  III,  scena  vi. 

(3)  Atto  in,  scena  vi. 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  903 

liberarsi  da  una  setta  già  odiata  dal  popolo  e  già  accusata  di  tutte 
le  nefandezze  e  di  tutte  le  infamie.  A  ogni  modo,  assegnando  alla 
persecuzion  dei  cristiani  una  cosi  povera  causa,  il  Gazoletti  sciupava, 
pur  troppo,  gran  parte  della  grandiosa  bellezza  ch*era  nella  sua  con- 
cezione. 

Ma  da  questo  momento  la  tragedia  si  eleva. 

Boma  divampa.  Su  la  più  alta  loggia  del  suo  palazzo,  Nerone  con- 
templa, rapito,  Topera  devastatrice.  Subitamente  irrompe  Paolo,  se- 
guito da  Tigellino  e  da  alcuni  armati  :  à  forzato  l'ingresso  ;  nessuna 
forza  umana  è  riuscita  a  trattenerlo.  £  là  per  un  momento  —  in 
quella  notte,  al  sanguigno  riflesso  delle  fiamme,  nel  rombo  che 
giunge  dalla  città  incendiata  sinistramente  rotto  a  quando  a  quando 
dallo  scroscio  degli  archi  e  delle  mura  crollanti  —  si  trovano  a 
fronte  l'Apostolo  delle  genti  e  l'Anticristo.  Paolo  chiede  ragione  al- 
l'imperatore delle  accuse  sparse  contro  i  cristiani  tra  la  plebe,  della 
strage  de'  suoi  fratelli  innocenti.  Cerca  di  persuadere  da  prima  ;  poi 
prega;  poi  minaccia.  E  l'invettiva  è  terrìbile;  vi  passano  per  entro 
tutte  le  vampe  delle  profezie  d'Israello.  A  ogni  istante  Tigellino  fa 
per  avventarsi:  Nerone  lo  rattiene.  La  novità  della  dottrina,  l'impeto 
dell'eloquenza,  la  grandezza  dell'ora  attraggono  l'artista.  All'ardita 
fede  cristiana  il  paganesimo  oppone  —  in  questo  momento  supremo 
—  la  sua  ultima  gloria:  il  senso  vivo,  se  pur  corrotto,  dell'arte.  E 
la  scena  termina  splendidamente: 

PAOLO 

Indietro, 
Indietro  tutti  dal  leo^  dì  Giuda, 
Or  ch'egli  rogge  di  dolore  e  d'ira 
Sulla  prole  trafìtta  I  —  Indietro  tutti 
Dal  veggente  di  Dio!  Curvati  al  suolo, 
Onde  t'alzasti,  o  coronato  fango, 
E  ascolta.  Agli  occhi  miei  squarciato  è  il  velo 
Dell'avvenir:  sento  sui  labbri  il  tòcco 
Degli  accesi  carboni,  e  parlo.  —  0  popoli 
Che  siete  e  che  sarete,  o  re  che  siete 
E  che  sarete,  o  secoli  che  furo 
E  che  saranno,  io  profetizzo  a  voi! 

(le  guardie  si  avventano  contro  Paolo) 


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904  ARTB  CONTEMPORANEA 

NKBOKB  (trattenendole) 
Fermate! 

PAOLO  (ritto  presso  U  verone) 
Ecco  la  grande,  ecco  la  forte 
Babilonia  novella,  fulminata 
Cader  per  opra  de'  suoi  figli  !  —  Eccesso 
D'abusato  vigor  passa  in  delirio. 
Passa  in  furore,  in  morte.  —  Ecco  la  casa 
Del  demente  che  abbrucia...  Eccolo!...  ei  ride, 
Ride  tra  i  guizzi  delle  fiamme  e  canta!... 
Arde  e  canta  il  demente!...  0  sapienza, 
0  grandezza  terrena!... 

TiGELLiKo  (per  allontanare  Nerone) 
Almen  permetti... 

NERONE 

No,  no,  restiamo 

Seducente,  strano 

Fanatismo  è  in  costoro,  e...  di  facondia 
Non  ignobile  vena. 

PAOLO 

Ardi,  Roma,  ardi, 
E  sinistra  comèta  ai  re  tiranni 
Splenda  il  tuo  rogo!  —  Invan  per  dieci  e  dieci 
Secoli  io  veggo  affaticarsi  il  braccio 
De'  carnefici  :  invan  l'ottuse  lame 
Alla  cote  affilar  de' bordali 
Ghiacci;  invan  tirannia  ferita  e  stanca 
Sul  divin  volto  al  Redentore  il  bacio 
Rinnoverà  di  Giuda,  e  fatta  volpe 
Volpe  e  serpente,  striscerà  fin  dentro 
Ai  sacrari  del  Tempio...  invan!  —  Spezzato 
Dalla  parola  è  il  ferro,  dall'amore 
Smascherata  la  frode  !  —  A'  suoi  felici 
Incunaboli  toma  e  a' dritti  suoi 
La  civile  ragion,  né  deviarla 
0  arrestarla  potrebbe  altri  che  Dio  !  — 
Popoli  oppressi  d'ogni  tempo,  questo 
Ricordate  e  soffiite!  In  dignitosa 
Calma,  in  costanza,  in  altezza  d'affetto 
E  di  pensier  soffrite!  —  E  quando  l'ora 


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IL  'NERONE,   DI  ARRIGO  BOITO  .      905 

Del  riscatto  maturi,  e  la  promessa 
Terra  alfin  vi  sorrìda,  il  lacrimato 
Retaggio  in  pace  ed  umiltà  raccolto, 
In  virtù  difendete!  —  Io  veggo...  io  veggo... 
Gloria  in  etemo  a  Dio  Signore! 
(cade  sulle  ginocchia  e  rimane  assorto  in  estasi  contemplativa.   Pausa). 

TiGiLLiNO  (a  Nerone) 

Imponi! 

KEBONE  (dopo  qualche  istante  di  riflessione) 
Morrà!...  Ma  non  tormenti!... 

(alle  guardie  che  s'avventano  contro  Paolo) 
E  non  catene  !...  (1). 

L'ultimo  atto  si  svolge  nella  carcere  ove  l'Apostolo  attende  il  sup- 
plìzio. Paolo  conforta  i  fratelli  alla  speranza,  e  li  prepara  alla  morte. 
Giungono  Eudoro  e  Oiunia  a  offrirgli  uno  scampo.  L'Apostolo  rifiuta: 
sa  di  dover  rendere  col  suo  sangue  testimonianza  della  verità  divina 
che  à  rivelata  alle  genti.  In  vano  la  fanciulla  gli  descrive  i  martiri 
serbati  ai  cristiani: 

D'atroci 

Ineffabili  spasimi  la  morte 

È  ai  fedeli  inasprita.  Orrende  istorie 

Ci  fur  conte  per  via,  da  cui  rifugge 

Atterrito  il  pensier.  Molti  dannati 

Alle  belve  fameliche,  le  carni 

Senton  pria  di  morir  da  ingordo  dente 

Spiccarsi  a  brano  a  brano,  e  stritolare 

I  cranY  e  l'ossa:  altri  di  pece  il  nudo 

Corpo  spalmati  e  a  rozza  trave  appesi 

Nelle  piazze,  negli  orti,  ardono  a  lento 

Foco,  schiarando  delle  accese  membra 

L*orgie  ai  tiranni.  E  se  tu  pure?... 

Paolo  risponde: 

Quand'anche  la  ferocia  umana 
Prova  facesse  in  me  della  più  industre 
Crudeltà  sua,  le  pene  mie  pur  sempre 
Lievi  sarìano  al  paragon  di  quelle 


(1)  Atto  lY,  scena  ni. 


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906  ARTB  CONTKMPOBAKKA. 

Che  il  profetico  agnello  in  8ò  raccolse; 

£  n'ayrei  maggior  gloria 

Non  yi  turbi  però  de'  miei  martiri 
Vano  fantasma  ;  io  morirò  di  spada  (1). 

Subitamente  su  la  soglia  della  prigione  compare  il  carnefice  e 
chiama:  <  Paolo  di  Tarso!  ».  Rispondono  voci  di  fedeli:  <  Egli  solo? 
E  noi?  ».  *  Paolo  di  Tarso!  »  —  ripete  il  carnefice.  E  l'apostolo: 
<  Eccomi!  ». 

(s'inginocchia) 

Iddio  Signore, 
Che  dall'abisso  deU'error  chiamato 
Alia  serena  altezza  della  fede 
M'hai  nella  grazia  tna,  pietoso  accogli 
L'mnil  servo  che  riede,  ed  esaudisci 
I  voti  suoi  !...  Per  me  non  più:  per  questi 
Innocenti,  che  soffi-ono  in  tuo  nome 
E  a  tua  lode,  io  t'imploro!  E  non  per  essi 
Soltanto,  ma  per  tutti  i  figli  tuoi. 
Per  la  tua  chiesa  tribolata  e  oppressa, 
A  cui  tante  di  ferro  e  di  menzogna 
Aspre  battaglie  l'avvenir  prepara.  — 


(si  alza.  Il  sole  nascente  si  intromette  per  U  balcone  del  fondo  ed 
avvolge  di  vivissima  luce  la  persona  dd  martire.  Gemiti  de'  pri- 
gionieri cristiani). 

Andiamo  (Rincammina). 

Ebben...  quai  gemiti?...  Mi  cinge 
Un'aurèola  di  luce...  Il  paradiso 
Comincia...  e  voi  gemete?...  Orsù,  fratelli. 
In  tuonate  un  osanna...  Io  vi  precedo! 
(si  consegna  al  carnefice.  I  cristiani  lo  seguono  sino  alla  porta,  tra^ 
scinandosi  sulle  ginocchia  e  baciando  Vorme  de^  suoi  piedi)  (2). 

Sarebbe  ingiusto  chiedere  al  Oazoletti  ciò  che  si  aveva  diritto  di 
attendere  da  Pietro  Cossa.  Al  dramma  Nerone  non  partecipa  che 
nel  momento  in  cui  Fazione  è  più  viva;  non  occupa  la  scena  che  per 
due  atti:  protagonista  è  Paolo.  Un  compiuto  ritratto  del  Cesare  non 


(1)  Atto  V,  scena  ni. 

(2)  Atto  V,  scena  ultima. 


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IL  *  NBRONB ,  DI  ARRIGO  BOITO  907 

era  dunque  consentito  al  poeta;  né  il  tentarlo  gli  sarebbe  stato  pos- 
sibile senza  alterar  di  proposito  Tarmonia  della  tragedia. 

Dobbiamo  cosi  contentarci  a  pochi  tocchi.  Sono,  in  compenso,  di 
una  mirabile  esattezza. 

Certe  brutalità  di  sentimento  e  di  linguaggio,  come  questa: 

Gimiia  si  cerchi, 

.^..  D'amore  o  d'odio  a  sfogo 
La  pretendo,  la  voglio/ 

rivelano  bene  il  sensuale  Tiolento,  —  lo  stupratore  di  Bubria,  il  oon- 
taminator  della  madre. 

E  quel  violento  è  —  nella  tragedia  come  nella  storia  —  anche  un 
corrotto,  che  pasce  la  fantasia  d'imagini  lascive  e  si  compiace  alla 
vista  de'  bei  corpi  commisti  e  dei  sapienti  atti  impudichi: 

mSBONE 

0  sapltente 
Tiberio,  aHor,  che  delle  regie  cure 
Posto  rincarco,  alla  tua  Capri  in  seno 
Ti  riducesti  I  Più  di  te  felice, 
Quel  che  i  tormenti  d'un^intera  vita 
A  te  mostr&ro,  io  giovinetto  appresi, 
E  faccio.  — 


A  superarti,  o  divo 
Figlinol  d'Augasto,  io  non  farò  di  Capri 
La  Boma  mia,  sì  la  mia  Roma  in  Capri 
tramuterò.  —  Versami  un  nappo  onoora, 
Bella  baccante  I  (beve,  i$uli  (die  dame) 
E  voi,  matrone  illustri, 
Caste  figlie  di  Pindo,  a  queste  facili 
Frigie  e  jonie  beltà  le  rugiadose 
Vostre  membra  intrecciate,  ed  una  ridda 
Vi  tramiesdii  e  ewnfonéa!  Il  piacer  sélo 
Ogni  disttmza  aggmmglia,  —  Io  qsL..  Bon  veggo 
Altro  che  Nnmil  — 

E  quel  corrotto  —  ancora  come  nella  storia  —  cerca  nelle  atti- 
tudini dell'innocenza  e  del  pudore  un  incitamento  ai  sensi  languidi, 
e  nel  possesso  delle  membra  intatte  vagheggia  un  saper  novo  di 
piacere: 

Ritùia  mmicaU  italiana^  Vili.  59 


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906  ARTB  CONTEMPORANEA 

E  dir,  che  tatto 
Dato  avrei,  tatto:  quante  son  qui  carni 
Di  piacer  palpitanti,  aliti  misti 
Di  profumo  e  di  fiamma,  umide  ciglia 
Stillanti  amor,,,  tatto,  conyìti  e  danze, 
Giochi  e  corone,  per  il  freddo  amplesso 
D'an'insalsa  pudica!...  E  credei,  stolto, 
Dal  pudar,  ch^è  ignoranza,  esprimer  succo 
Di  voluttà!  Stoltezza... 

E  in  fine  —  a  compiere  per  questo  aspetto  la  figura  —  ecco 

n  sognator  de'  prodigiosi  imeni, 

il  cinedo  di  Doriforo  e  l'amasio  di  Sporo,  Tosceno  ostentatore  d*ogui 
più  ebra  dissolutezza: 

Ov'è  la  grande 
Incantatrice  mia,  la  mìa  tiranna?... 
Venga  Poppèa.  — Ritroverò  nd  bado 
Di  quelle  labbra  velenose  U  fiore 
Di  cento  bocche  imtnacólate,  —  Venga... 
No,  non  venga  Poppèa!  —  No,,,  guerra  eterna 
Al  sesso  infido  e  menzognero!,,.  Leggi 
Nuove  a  natura  io  detterò,,,  S^ arrechi 
Il  vélo  nuzial,,,  fumin  gVincensi,,, 
Ardan  le  tede,,,  ad  Imeneo  s^intuoni 
Canto  di  nozze  non  udito  mai,,. 
Venga,,, 

L'altro  aspetto  è  rappresentato  nella  scena  dell'incendio. 

Nel  poema  di  Boberto  Hamerling,  mentre  Boma  arde,  Nerone  sale 
col  suo  corteo  di  menadi  e  di  baccanti  su  la  torre  di  Mecenate  a 
contemplar  lo  spettacolo  a  traverso  lo  smeraldo  polito 

la  diletta 
Sua  preziosa  gemma,  tra  le  pure 
Limpidezze  di  cui  gode  egli  spesso 
Ammirar  gli  spettacoli  del  circo, 
E  nella  qual  traluce  ora  l'incendio 
Li  un  verde  chiaror  molle  corretto. 

Le  fiamme  si  curvano  docili  a'  suoi  piedi,  come  il  leone  che  gli  si 
posa  al  fianco.  Suonano  sa  la  terrazza  gioivo  grida  ed  ebre  rìsa. 


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IL  *  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  900 

e  i  baci  scoccanti  sai  sen  delle  menadi,  e  gli  aurei  tintinnì  delle 
coppe  urtate.  E  il  Cesare,  fatta  recare  la  cetra,  scioglie  un  inno,  in 
un  agile  ritmo,  libero  incomposto  mutevole  come  la  fiamma.  Canta 
da  prima  la  sventura  di  Priamo  e  l'orrida  notte  d'Ilio;  poi  esalta  il 
fuoco,  imagine  dell'avida  e  fervida  anima  sua,  messaggero  della  luce, 
elemento  dell'infinito  splendore;  il  fuoco  che  trasfigura  in  oro  ar- 
dente tutte  le  cose,  e  tende  all'alto  come  lo  spirito,  e  balza  dall'urto 
delle  nuvole  e  de'  marmi,  e  splende  nel  color  delle  rose  e  scintilla 
negli  sguardi  delle  femine  e  nel  vino. 

E  più  audace  Prometeo  non  son  io 
Poiché  del  foco  e  della  luce  io  verso 
Sul  capo  vostro,  o  umani,  intero  il  dono? 
Temettero  gli  dei,  quando  Fetonte 
Dei  cavalli  del  sole  assunse  il  freno. 
Che  il  divin  foco,  ond'essi,  invidi,  sono 
Poco  larghi  alla  terra,  intomo  intomo 
Si  diffondesse  appieno. 
Or  ha  Nerone  Dionisio  il  grande 
Miracolo  compito,  e  il  mondo  esulta 
In  giubilanti  ardori:  hanno  le  tede 
De*  miei  ciò  fatto,  che  i  cavalli  stessi 
Del  sol  non  han  potato.  Una  gigante 
Fiaccola  accender  volli,  e  Roma  elessi 
Per  lucignolo  a  quella.  Essa  da  tante 
Età  ai  popoli  tutti  umor  suggendo, 
U  più  vitale  umor,  pingue  s'è  fatta 
Cosi  che  intera  or  dentro  brucia  e  intomo 
Allegramente,  e  vince  in  lume  il  giomo.  — 

£  una  rievocazione  bellissima,  che  di  molto  avanza  quella  tentata 
—  in  condizioni  non  diverse  —  dal  Oazoletti  nel  quarto  atto  della 
sua  tragedia.  Se  non  che  l'Hamerling  quanto  è  imaginoso  e  sma- 
gliante descrittore,  e  lirico  a  tratti  di  ricca  e  larga  inspirazione, 
altr'  e  tanto  si  rivela  nella  creazion  de'  caratteri  fiacco  e  mal  certo. 
Cessato  il  canto  —  dopo  un  altro  episodio  descrittivo  (le  fiere  che  il 
fuoco  caccia  da'  lor  covi  invadono  il  Circo)  —  Nerone  in  un  lungo 
dialogo  con  Tigellino  indugia  a  ricercar  le  cagioni  che  lo  traggono 
a  dilettarsi  del  male,  e  di  pensiero  in  pensiero  si  conduce  a  meditare 
sui  misteri  dell'essere,  del  volere,  della  vita.  La  dissertazione  è  assai 


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910  ARTB  GONTEMPORANBA 

prolissa  6  assai,  anche,  Mieosa;  e  finisce  a  turbar  l'impressione 
di  bellezza  che  le  pagine  precedenti  anno  suscitata.  Vi  compiacente 
dell'eroe  bello  e  feroce;  ed  egli  tì  si  muta  a  un  tratto  in  un  ma- 
linconico discepolo  di  Emanuele  Kant  e  dell'  Hegel.  Pure  Nenme  è 
così  fatto  nel  poema  sempre:  1'  «  elegante  annojato  »,  il  <  befiBudo 
signore  »,  che  Roberto  Hamerling  volle  ritrarre,  non  appar  che  fuga- 
cemente; a  ogni  tratto,  quando  meno  Te  l'as^ttate,  vi  ai  pone 
d'innanzi  il  filosofo,  e  vi  tocca  ascoltare  un  sermone.  E  il  filosofo  tì 
persegue  in  tutti  i  luoghi  —  nel  tripudio  del  baccanale,  tra  gli  adu- 
nati tesori  della  Casa  .Aurea,  in  mezzo  alle  allucinazioni  del  rimorso, 
nella  taverna  e  nel  tempio;  e  i  sermoni  si  succedono  a  ogni  propo- 
sito —  in  tomo  all'amore  e  all'adulterio,  in  tomo  alla  religione  e 
alle  nozze,  in  tomo  al  dolore  e  al  piacere,  in  tomo...  persino  (oh 
Arturo  Schopennhauer  !)  alla  vanità  infinita  del  tutto.  All'ultimo  non 

rimane  a  Nerone  altro  ascoltatore  che  un  soldato un  germano; 

s'intende.  E  il  Cesare  muore  filosoficamente,  come  uno  stoico  antico 
0  come  un  neo-criticìsta  moderno,  dopo  aver  lungo  tempo  dibattuta 
in  pensiero  la  questione  se  più  valga  esser  grande  o  felice.  Ma  Ne- 
rone è  —  dice  il  traduttore  —  un  simbolo:  «  personifica  il  tipo 
dell'uomo  giunto  al  sommo  di  sua  potenza  e  pur  caduco,  di  fronte 
ad  Assuero  eterna  imagine  della  natura  umana  »  (1).  Sarà  vero:  se 
non  che  alle  opere  d' arte  noi  chiediamo  non  astrazioni  ma  figure 
vive.  Ora  V Assuero  in  Boma  è  come  il  palazzo  della  leggenda: 
fulgido  di  meravigliose  ricchezze,  ma  popolato  sol  d'ombre. 

Ma  ritorniamo  al  Paoìo. 

Più  sobrio,  il  Oazoletti  non  esce  dalla  poesia  della  tradizione;  e 
d'innanzi  allo  spettacolo  dell'incendio  coglie  nel  suo  eroe  l'ebrezza  del 
sogno  violento  —  la  follia  devastatrice,  la  vanità  del  delitto,  il 
novo  delirio  di  un'estetica  che  à  gioia  perversa  dal  male: 

NEBOKE  solo 

(dopo  alquanti  momenti  di  silenzio  e  meditazione) 
Boma  arde...  Fiamme  parricide  il  capo 
Ardon  dell'universo  —  ed  io  le  accesi  ! 
Distruggere!  Distruggere!  Suprema 
Vduttà  degli  Dei!  —  Forse  per  altro 


(1)  Prefazione  del  Bettilori. 


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IL  *  NULONS  ,  DI  ARRIGO  BOITO  911 

jSi  erw  Umsù,  che  per  distrugger  sempre  ?.... 

Arde  Rama e  per  me!  CKove  i  viventi 

Spense  coU'acqua:  io  stermino  col  foco 
Onesto  deiruomo  più  superbo  nido, 
E,  cammei  dall' Olimpo,  io  pur  dalTaUo 
Del  palazzo  d^  Cesari  vagheggio 
Uopera  mia,,,, 
(avanza  verso  il  fondo  e  s'arresta  a  cofUempUsre  Fincendio) 

Sibilan  le  fiamme 

D'ogni  parte  sboccanti:  il  crepitare 
Dell'arse  travi»  il  diroccar  frequente 
Delle  mura  e  dei  tetti,  la  commossa 
Aria,  che  il  fumo  in  atre  spire  avvolge, 
0  come  velo  fonerai  distende 
Sulla  vasta  di  morte  orrida  scena, 
Tanti  suoni  confusi  un'armonia^ 
Un  accordo  compongono  ben  degno 
Degli  orecchi  d'un  Dio!  (toma  std  davanti) 

—  Tardo 

Ad  oprar  nacqui...  Or  ben,  l'altro  momento... 

Dell'essere  universo  in  me  raccolgo, 

Disfaccio  e  sperdo:  e  se  brillar  m'è  tolto 

Fecondo  sole  sul  maturo  autunno 

Di  quest'abbietta  umanità,  che  importa?... 

Del  fulmine  il  feral  raggio  mi  resta, 

Pur  ch^io  risplenda!  Bastò  un  tempio  acceso 

Alla  fama  d'Eròstrato:  al  mio  nome 

Basterà  forse  quest'incendio  !  —  E  poi, 

Quan^oggi  struggo,  ricomporre  io  stesso 

Domani  non  potrò  ?  La  rinomanza 

Eclissar  di  Quirino,  e  sull'immonda 

Roma  de' padri  suscitar  la  bella. 

La  nuova  Roma  di  Nerone?...  (slanciandosi  verso  U  fondo) 

Avvampa, 
Abbrucia,  in  fumo  ti  dilegua  e  in  polve, 
0  fenice  immortale!  Un  genio  amico 
Meditando  sorvola  al  tuo  famoso 
Rogo,,,  famoso,  perchè  avrà  il  compianto, 
L* elegia  di  Nerone!  (1) 
(8t<MCca  una  cetra  daUa  parete  e  seduto  di  fronte  aUHncendio  ne  tragge 
alcuni  accordi) 


(1)  Atto  IV,  scena  ii. 


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912  ARTX  CONTBMPORANKA 

Ma  tutto  questo  non  dovrebbe  avere  nella  tragedia  altro  valore 
che  d'episodio.  Un  più  vasto  disegno  —  vedemmo  —  inspirava  la 
concezione  del  Oazoletti.  E  ricordando  i  versi  del  prol<^  noi  do- 
mandiamo: quale  rappresentazione  anno  nel  dramma  la  mistica  Boma 
di  Paolo  e  la  Boma  voluttuosa  di  Nerone  ?  in  quali  forme  si  esprime 
e  di  quali  imagìni  si  avviva  il  contrasto  fra  quella  para  alba  ra- 
diosa e  quel  corrusco  tramonto  di  porpora  e  di  sangue? 

Ecco.  Nel  terzo  atto  il  Grazoletti  finge  il  convito  sul  lago  d'Agrìppa, 
descritto  da  Tacito  nel  libro  XY  degli  Annali.  La  scelta  parrebbe, 
per  la  rappresentazion  del  costume,  felicissima,  poi  che  veramente 
in  quell'orgia  la  dissolutezza  romana  attinse  l'estremo  del  delirio. 
Ha  chi  legge  avverte  subito  il  dissidio  ch'è  tra  l'idea  e  l'espressione, 
tra  lo  splendore  del  sogno  e  la  povertà  dei  mezzi  dell'arte.  La  festa  è 
quasi  interamente  sottratta  allo  spettatore;  non  ne  giunge  da  prima 
che  il  remore  lontano,  non  ne  passa  che  una  fuggevole  imagìne  nei 
versi  di  Seneca: 

Udite?...  Suoni, 
E  canti,  e  balli,  e  diluviar  di  rose 
Ne*  purpurei  triclini,  e  di  lascivie 
Ogni  modo,  ogni  forma:  e,  quasi  vili 
Sian  d'Italia  i  prodotti  e  del  suo  mare 
All'epa  ingorda  di  costor,  venirne 
Dal  freddo  scita  e  dall'etiope  adusto 
Mobili  stagni  ed  isole  natanti 
Di  straniere  lautezze  apportatori  (1); 

solo  all'ultimo  essa  irrompe  su  la  scena  in  una  mascherata  di  tri- 
toni, di  nereidi^  di  zeffiri,  di  driadi,  di  satiri  e  di  baccanti: 


(1)  Atto  ITI,  scena  v. 
Ricordano  qnelli  àeìV Assuero:  * 

Or  chi  potrebbe 
Namerar  della  mensa  le  soavi 
Raffinatezze  e  i  rari  cibi  e  indastri? 
Qaanto  è  più  in  mar  gas  toso,  in  terra  e  in  aria, 
Qnivi  apprestato  è  in  yarìe  e  dotte  gaise 
In  cento  vasi  argentei...  ecc. 

(Canto  III,  pag.  135  e  segg.). 


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IL  '  NERONE ,  DI  ARRIGO  BOITO  913 

(i  sopravvenuti  si  aggruppano  intomo  a  Nerone) 

VOCI   DITSR8B 

Gloria  a  Nerone!  —  Al  vincitore!  —  Al  Nume! 
Olona  e  trionfo! 

NSREIDI   E  TRITONI 

A  lui  del  mare  i  iratti! 

DRIADI   E  SILVANI 

E  della  terra. 

ZETFIRI 

.....  E  gli  arabi  profumi. 


E  i  fiori 

SATIRI   E  BACCANTI 

A  lui  di  Bacco  il  prezioso 

Licor  che  allevia  della  vita  il  peso  !  (1) 

Pare  —  salvo  il  ritmo  e  l'arguzia  —  un  trionfo  camescialesco. 
Certo  il  tripudio  dionisiaco  ne'  giardini  di  Nerone  rappresentato  nell'J^- 
suero  (2)  era  altra  cosa.  Ma  il  poeta  tedesco  poteva  usare  di  tutte  le 
virtù  della  parola  e  dìfiTondersi  nella  descrizione  a  suo  agio;  Fitaliano 
era  costretto  in  vece  a  un'espressione  unica:  il  dialogo.  Con  quale  ardore 
non  dovette  egli  anelare  a  una  più  ricca  e  libera  forma  !  Pensate  al 
baccanale  del  Yenusberg  nel  Tannhauser:  ai  fascini  e  ai  fulgori  pro- 
fusi nell'orchestra  e  su  la  scena;  alla  visione  voluttuosa  che  si  di- 
spiega nelle  danze;  ai  richiami  delle  sirene,  mormorati  in  canti  ove 
la  parola  vanisce,  tra  languide  armonie,  in  sospiri;  al  turbine 
della  sinfonia  che  tutto  avvolge  e  travolge  nel  trascinante  ìmpeto  dei 
suoi  ritmi,  nella  frenetica  ebrezza  delle  sue  sonorità  più  violente. 

Nel  secondo  atto  sono  parte  descritti  e  parte  adombrati  alcuni  insti- 
tot!  e  costumi  del  cristianesimo  primitivo:  la  donazione  delle  ric- 
chezze, la  pubblica  confession  dei  peccati,  la  solennità  delle  agapi 
firateme,  la  mistica  comunione  della  preghiera.  Se  non  che  noi  cer- 
chiamo una  rappresentazione  più  particolare  e  più  concreta,  una  ve- 
rità più  profonda  e  più  intima:  l'imagine  viva  di  quel  momento  unico 
nella  storia  della  conscienza  cristiana,  di  quell'ora  di  trepidazione  e 


(1)  Atto  ni,  scena  vii. 

(2)  Assuero  m  Boma.  Canto  II. 


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014  ARTB  GOMTBMPORAMSA 

di  ardenza,  di  sgomento  e  di  fede,  di  entusiasmo  e  di  terrore.  Ma 
le  estreme  angoscio  e  le  estreme  esaltazioni  dell'anima  trascendono 
il  potere  circoscritto  che  la  parola  à  nel  dramma;  a  pena  può  oto- 
carie  la  lirica,  in  cui  è  già  come  un  presentimento  della  melodia: 
compiutamante  rivelarle  non  può  che  la  musica.  E  il  sentimento  delle 
moltitudini  —  i  fremiti,  le  estasi,  e  le  ebrezze  e  il  delirio  delle 
anime  concordi  —  non  à  che  un'espressione  adeguata  suprema  nel- 
l'arte: l'espressione  musicale,  che  è  già  diffusa  nel  mormorio  innu- 
merevole e  nel  grido  —  la  polifonia  del  coro. 

Concludendo,  la  concezione  del  Gtazoletti  eccedeva  la  forma  angusti 
e  consueta  del  dramma  letterario^  Per  ciò  essa  non  si  è  rivelata  che 
in  parte  ;  in  quel  che  aveva  di  più  singolare  e  di  più  vasto,  do^va 
rimanere  pur  troppo  quasi  interamente  inespressa. 


Arrigo  Boito  riprese  con  più  largo  intendimento  il  disegno.  Di- 
reste  che  egli  abbia  inteso  cimentarsi  proprio  là  dove  al  Gazoletti 
era  fallita  la  prova;  che  —  artefice,  egli,  di  poesie  e  di  musiche  — 
siasi  proposto  di  tradurre  in  una  forma  ricca  di  tutte  le  espressioni 
e  avvivata  da  tutti  i  ritmi  la  smagliante  visione  che  nel  prologo  del 
Paolo  era  passata  suscitando  desideri  intensi  di  bellezze  promesse 
in  vano. 

Se  veramente  sia,  non  so.  Certo,  riguardando  all'opera  degli  scrit- 
tori che  l'avevan  preceduto,  il  Boito  dovette  comprendere  che  la 
figura  del  Cesare  —  esinanita  tra  le  morbidezze  del  BritannicuSj  dif- 
formata  dalle  violenze  dell' O/tovta,  rimpicciolitasi  nel  realismo  bor- 
ghese della  commedia  cossìana,  a  pena  abbozzata  nel  Paolo  —  non 
poteva  essere  ricreata  nell'arte  se  non  rievocandole  a  tomo  la  vasta  e 
ardente  vita  dell'  Urbe,  la  civiltà  complessa  e  corrotta  che  l'Alfieri  e 
il  Bacine  e  il  Cessa  avevano  o  disdegnata  o  negletta  e  che  il  Gazo- 
letti soltanto  aveva  poco  più  che  travista  come  nell'attimo  d'un  ba- 
glior  fuggitivo. 

E  questa  civiltà  ei  la  penetrò  fin  nell'intimo;  non  pago,  come 
rUamerling,  alle  apparenze  più  note,  alle  forme  esteriori,  ma  avido 
d'ogni  memoria  e  d'ogni  segno  che  gliene  discoprisse  l'anima  pro- 


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IL  '  NERONE  ,  JOI  ARRIGO  BOITO  915 

fonda;  e  ne  chiese  Timagine,  meglio  che  alla  riflessa  narrazione 
degli  storici  —  agli  Annali  di  Tacito,  ai  ritratti  di  Sfetonio,  alle 
deche  di  Dione  Cassio,  all'antologia  giudaica  di  Giuseppe  Flavio  — 
alla  commossa  rappresentazion  dei  poeti,  all'ingenua  testitaionianza 
degli  indotti,  all'  ardente  lirismo  delle  leggende  anche  tarde  — 
alle  pagine  di  Seneca,  di  Lucano,  di  Petronio,  di  Persio,  di  Gio- 
venale, di  Marziale  (1),  agli  scritti  di  Clemente  Romano,  d'Ireneo  e 
di  Giustino,  alle  lettere  apostoliche  e  all'Apocalisse. 

Non  so  che  dopo  il  Flaubert  la  poesia  d'un'antica  età  sia  stata 
ricercata  con  più  fervore  d'indagini.  Né  mai  forse  il  precetto  del 
satirico  romano  fu  con  più  fede  osservato:  Arrigo  Boito  s'è  vera- 
mente obliato  nella  sua  visione,  à  intensamente  vissuto  in  quel- 
l'età di  cui  gli  giungevano  per  mille  vie  da  lui  ritrovate  le  voci; 
e  nel  suo  sogno,  come  già  nella  tradizione  e  nella  storia,  Nerone  è 
passato  in  mezzo  alle  profuse  imagini  del  piacere  e  del  lusso,  in  un 
tumulto  di  sentimenti  e  di  fantasmi  e  in  un  clamor  d'inni  e  di 
suoni  —  tra  le  grida  di  trionfo  e  il  clangore  delle  buccine,  e  tra 
i  fremiti  del  terrore  e  dell'orrore,  e  le  imprecazioni  e  le  abomina- 
zioni e  le  maledizioni. 

La  tragedia  si  presentava  cosi  alla  mente  del  poeta,  fin  dalla  prima 
idea,  sconfinante  oltre  i  termini  delle  consuete  norme  drammatiche 
in  una  multiforme  rappresentazione  d'insieme  ch'era  vano  chiedere 
alla  semplice  arte  del  verso,  che  l'armonia  soltanto  di  tutte  le  arti 
ritmiche  poteva  creare. 

L'originalità  del  Nerone^  la  sua  essenziale  ragion  di  vita,  è  a  punto 
questa:  che  esso  non  è  la  concezione  d'un  verseggiatore,  distesa  poi 
nelle  forme  più  atte  a  rivestirsi  di  note  e  foggiata  secondo  le  ne- 
cessità del  melodramma  —  non  è  in  somma  una  composizion  lette- 
raria che  debba  poi  tradursi  nel  linguaggio  dei  suoni  —  ma  è  la 
creazione  d'un  artista  multanime,  sdrta  da  un'inspirazione  complessa, 
poetica  e  plastica  e  musicale  ad  un  tempo. 

A  chi  legga  le  parole  di  questa  tragedia  con  l'evocazione  simul- 
tanea della  scena  e  avvertendo  al  solco  di  luce  che  la  musica  à  la- 
sciato nel  verso,  avviene  di  ricordare  la  sentenza  di  Federigo  Schlegel  : 


(1)  Giovenale  e  Marziale  scrìssefo  —  come  ò  noto  —  sotto  Domiziano;  ma  da 
Nerone  a  Domiziano  non  corsero  che  pochi  anni»  e  i  tempi  non  eran  mutati. 


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916  ARTB  CONTBMPORANKA 

<  La  vera  forma  è  quella  che  nasce  dal  di  dentro;  quella  che,  detenni- 

<  nata  dal  soggetto  stesso  dell'azione,  ne  rivela  l'intima  essenza  »  (1). 
Qui  veramente,  secondo  l'espressione  del  filosofo,  la  forma  è  creata 
dal  fondo.  La  complessità  delle  espressioni  è  imposta  dalla  com- 
plessità del  fantasma.  Né  per  altro  noi  sentiamo  alla  lettura  di 
continuo  presente  il   fascino  di  quell'arte  che  Leonardo  chiamava 

<  la  figuratrice  dell'  invisibile  »,  se  non  perchè  la  finzione,  che  si 
colora  nelle  imagini  plastiche  e  verbali,  muove  «  dal  cuor  delle  cose  > 
e  si  propaga  in  quel  mistero  del  mondo  interiore  al  quale  non  giunge 
alcun'altra  arte. 

Vedremo  più  oltre  in  quale  diversa  guisa  la  poesìa,  la  mimica  e 
la  musica  cooperino  all'espressione  del  dramma.  Qui  giova  insistere 
su  questo  carattere  di  complessità  cui  s'informa  la  concezione.  Qiova 
insistere,  di  fronte  agli  errori  che  tuttavia  prevalgono  nella  critica 
d'arte.  Troppo,  ancora  oggidì,  scrittori  coltissimi  e  degni  —  per 
tutt'altri  rispetti  —  di  fede,  mostran  di  credere  che  qualunque  sog- 
getto capace  d'elaborazione  letteraria  possa  esser  materia  a  tragedia 
musicale.  Troppo  ancora  s'indulge  alla  falsa  opinione  che  la  musica 
possa  aggiungersi  a  una  poesia  già  formata,  come  (l'esempio  è  del 
Gluk)  il  colore  a  un  disegno.  Troppo  si  persiste  a  ritenere  che  la 
differenza  tra  l'antica  forma  e  quella  creata  dal  rinnovamento  wagne- 
riano sia  in  ciò  solo:  che  nell'una  la  parola  (quando  non  era  negletta 
del  tutto)  si  restringeva  à  dar  al  canto  l'inspirazione  iniziale,  mentre 
nell'altra  essa  regola  ogni  più  vario  atteggiamento  della  melopea  e 
delle  armonie.  Bisogna  combattere  questi  giudizi  fallaci.  Bisogna 
ricordare  agli  obliosi  e  costringere  gli  ignari  a  meditare  queste  parole 
di   Riccardo  Wagner:  <  Nella  tragedia  la  musica  non  è  una  qua- 

<  lunque  parte  di  un  tutto;  è  la  parte  che  ndV origine  era  U  t%Uto; 

<  è  la  fonte  stessa  del  dramma.  Essa  canta  ;  e  ciò  ch'essa  canta  m 

<  lo  vedete  su  la  scena.  Il  simbolo  scenico  la  rivela  ai  vostri  occhi, 
«  come  la  madre  rivela  ai  figli  i  misteri  della  religione  col  racconto 
«  della  leggenda  »  (2).  Bisogna  ripetere  —  fino  alla  sazietà  anche, 
se  occorra  —  che  nel  dramma  musicale  la  molteplicità  delle  espres- 
sioni dev'essere  non  suggerita  dalla  vanità  o  dal  desiderio  di  accre- 


(1)  Corso  di  letteratura  drammatica,  lezione  XIII. 

(2)  Geaammelte  Schriften,  toI.  IX,  862. 


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IL  *  NERONE  ,  DI  ARRIOO  BOITO  917 

scere  seduzioni  allo  spettacolo  scenico,  ma  resa  necessaria  dall'indole 
8tQ3sa  della  concezione  così  vasta  e  profonda  da  non  potersi  rivelare 
compiutamente  se  non  in  un  linguaggio  novo,  formato  da  tutti  i 
ritmi.  Bisogna  in  somma  risolutamente  affermare  che  non  v'è  tragedia 
nel  vero  senso  della  parola  se  non  là  dove  verso  e  canto  e  sinfonia 
e  mimica  sorgano  in  un  medesimo  tempo  da  un'unica  inspirazione 
complessa. 

Il  Nerone  è  la  prima  opera  nostra  che  tutta  s'informi  a  tale 
concetto. 

Per  ciò  la  poesia  di  questa  tragedia  appare  profondamente  diversa 
non  solo  dai  consueti  libretti  de'  verseggiatori  italiani  —  scenari 
offerti  alle  or  tristi  or  liete  improvvisazioni  degli  Stenterelli  e  dei 
Truffaldini  della  moderna  giovane  scuola  —  ma  pur  dagli  altri  melo- 
drammi, meritamente  celebrati,  dello  stesso  autore. 

Lasciamo  il  Mefistofele,  opera  —  come  dicono  —  di  transizione, 
arditissima  a  ogni  modo  per  i  tempi  in  che  fu  composta,  restata  pur 
troppo  non  imitato  esempio  di  nobiltà  severa  negli  intendimenti  e  nello 
stile.  ManeU'JBSro  e  Leandro^  e  nella  Gioconda^  e  uéiV  Otello^  e  nel 
jPaZsto/f  Arrigo  Boito  non  uscì  dai  confini  dell'inspirazione  letteraria; 
recò  a  perfezione  una  forma,  non  la  trascese  né  accennò  a  volerne  creare 
una  nuova;  parve,  e  fu  veramente,  il  continuator  geniale  di  Ottavio 
Binuccini  e  del  Metastasio  e  del  Romani  ;  riprese,  come  essi,  ad  ela- 
borare una  materia  che  già  nella  poesia  aveva  raggiunta  la  sua 
compiuta  espressione,  contento  a  riatteggiarla  di  nuovi  modi;  e  ogni 
sua  cura  restrinse  a  conseguire  una  più  viva  efficacia  di  situazioni 
or  delicate  or  violente,  una  più  moderna  rapidità  di  movimento  sce- 
nico, e  una  pieghevolezza  —  segnatamente  —  e  un'agilità  e  una 
dovizia  di  metri,  di  suoni,  di  ritmi  e  di  rime,  in  cui  già  fosse  come 
il  presentimento  della  melodia,  e  libera  e  varia  e  mutevole  si  dise- 
gnasse al  desiderio  del  musicista  la  linea  armoniosa  del  canto.  UEro 
e  Leandro  e  il  Falstaff ^  sopra  tutto,  potranno  difficilmente  essere 
superati  per  questo  riguardo.  Il  Boito  rimase  in  essi  fedele  alla  tra- 
dizione. Per  ciò  questi  lavori,  nei  tratti  più  veramente  belli,  appa- 
gano alla  lettura  intei-amente;  e  se  bene,  creati  per  essere  tradotti 
in  un  più  lirico  linguaggio,  accennino  di  continuo  il  limite  in  cui 
la  parola  si  risolve  nella  musica,  pur  non  lo  varcano;  e  appaiono  in 
sé  stessi  finiti.   Il  poeta  scorge  il  compositore,  per  vie  fiorite,  alla 


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018  AATB  CONTBMPOEANKA 

plaga  de'  sogni  ;  ma  nulla  gli  rinuncia  dell'arte  sua.  Egli  sa  cbe  il 
soggetto  avrà  una  seconda  espressione  in  un'altra  arte,  ma  pur  vuole 
che  quella  prima  ch'ei  gli  dà  sia  in  tutto  compiuta,  e  tragga  intera 
dall'intimo  delle  proprie  forze  —  e  non  d'altronde  —  la  ragion  sua. 

Leggendo  in  vece  la  poesia  del  Nerone^  noi  ci  accorgiamo  a  ogni 
tratto  d'essere  d'innanzi  ad  un'espressione  parziale.  Sono  alcune  note, 
cotesto,  di  più  ricchi  accordi,  tuttora  ignorati.  Sono  sparse  voci  di 
un'armonia,  che  altre  voci  soltanto  potranno  c<HDpiere  e  far  rifùlgere 
intera.  Ma  se  la  rivelazione,  che  ci  si  offre  oggi  nella  sola  parola, 
è  di  necessità  incompiuta,  noi  sentiamo  per  contro  che  tutte  le  virtù 
di  tutte  le  arti  del  ritmo  Bono  comprese  nella  concezione  del  dramma. 

Arrigo  Boito  non  procede  piii  ora,  come  un  tempo,  da  un  racconto 
0  da  un  dramma  per  rifoggiarlo  e  ricomporlo;  ma,  emulo  dei  pt 
nobili  tragedi,  risale  per  forza  propria  alle  poetiche  origini  della 
favola  che  l'à  sedotto,  e  anima  e  avviva  in  un  ferver  di  creazione 
originale  gli  elementi  raccolti  dalla  tradizione  e  dalla  storia. 

E  per  ciò  storia  e  leggenda  compongono  nell'edera  sua  una  r9q>- 
presentazione  di  meravigliosa  grandezza. 


Tra  le  credenze  con  più  fede  accolte  nel  I  secolo  dai  cristiani  era 
quella  del  prossimo  ritorno  di  Gesù  trionfatore,  nunzio  della  finale 
vittoria  divina.  «  Il  Signor  nostro^  con  acdamazione  di  conforto, 
«  con  voce  di  arcangelo^  e  con  tromba  di  Dio  discenderà  dal 
€  Cielo  »  (1).  €  Egli  apparirà  con  gli  angeli  della  ma  potensa  per 
«  essere  glorificato  ne'  suoi  santi  e  reso  maraviglioso  in  tutti  i  ere- 
«  denti  »  (2).  €  Siate  pasfienti  sino  aUa  venuta  del  Signore  ;  ecco 
«  il  lavoratore  aspetta  il  prezioso  frutto  della  terra  serenamente 
<  finché  esso  abbia  ricevuta  la  pioggia  della  prùna  e  delF  ulHma 
«  stagione.  Siate  ancor  voi  paaienti^  perchè  Vawenimento  del  Si- 
€  gnore  è  vicino  »  (3). 


(1)  Paolo,  I  lettera  ai  Tessaloniceai,  IV.  16. 

(2)  Paolo,  II  ietterà  ai  Tessalonicesit  I,  8,  10. 

(3)  Lettera  di  Giacomo,  V,  7,  8.  —  La  questione,  vìva  tra  i  dotti,  su  l'anten- 
licita  di  alcune  ili  queste  lettere  non  ci  rigaarda.  La  ricordo  come  docuneati  a 
cai  il  Boito  à  attìnto  con  pieno  diritto  d^artista. 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  919 

Ma  ravvenimento  del  re^o  di  Dio  doveva  essere,  secondo  la  pro- 
messa degli  antichi  Veggenti  d'Israele  (1),  preceduto  da  un'età  di 
corruzione  estrema;  nella  quale,  tra  il  succedersi  di  flagelli  d'ogni 
maniera,  tutte  le  infamie,  tutte  le  abbiezioni,  tutte  le  sozzure  sareb- 
bero prevalse,  e,  risorto  il  culto  degli  idoli,  un  re  sacrilego  avrebbe 
corso  il  mondo  seducendo  gli  spiriti  oon  mentiti  miracoli  e  persua- 
dendo gli  uomini,  traviati  dall'errore,  a  prostrarglisi  e  ad  adorarlo. 
«  Qtiel  giorno  non  f?errà  che  prima  non  sia  venuta  Vaposiasia  e 
«  non  sia  manifesto  l'uomo  del  peccato^  il  figliuol  deUa  perdisione, 
«  queir  avversario  che  s' innaìea  sopra  qualunque  è  chiamato  dio, 
«  ialt^è  siede  nel  tempio  di  Dio  mentendo  se  stesso  e  dicendo  che 
«  egli  è  Dio.  Del  quale  empio  Vawenimenio  sarà^  secondo  Vopera- 
«  gùme  di  Satana,  con  ogni  potenga,  e  prodigi,  e  miracoli  di  men- 
«  gogna  >  (2).  <  Negli  ultimi  giorni  sopraggiungeranno  tempi  tri- 
«  stissimi.  Perciocché  gli  uomini  saranno  amatori  di  se  stessi,  avari, 
4  vanagloriosi,  superbi,  bestemmiatori,  e  scellerati  ed  ingrati.  Sa- 
«  ranno  mancatori  di  parola,  calunniatori,  tnoonUnenti,  spietati, 
«  crudeli  verso  i  buoni,  traditori,  temerari,  gonfi,  amatori  delle  va- 
«  lutià  ami  che  di  Dio  >  (3). 

Or  questo  tipo  di  futuro  seduttore,  formato  in  parile  de'  lineamenti 
dell'Antioco  di  Daniele,  di  Balaam  e  di  Nabucodònosor,  venne  più  e 
più  col  tempo  improntandosi  di  caratteri  attinti  alla  realità  presente. 
A  quegli  nomini,  incolti  e  semplici  e  ardenti  —  venuti  dall'Asia  e 
viventi  appartati  nel  sobborgo  più  povero  e  più  sudicio  dell'Urbe,  presso 
il  porto  ove  si  sbarcavano  le  merci  recate  d'Ostia  sopra  le  chiatte, 
tra  le  fabbriche  di  minugie  e  le  concerie  e  le  taverne  infami  —  lo  spet- 
tacolo di  Roma,  co'  suoi  culti  innumerevoli,  col  suo  prodigo  lusso, 
co'  suoi  costumi  sfrenati,  co'  suoi  giochi  lussuriosi  e  crudeli,  dovette 
certo  parere  mostruoso.  Presto  la  città  fu  designata  col  nome  della 
più  corrotta  di  cui  si  avesse  memoria  —  Babilonia — ;  e  fu  rappre- 
sentata in  figura  di  meretrice  vestita  di  porpora  e  di  scarlatto,  adorna 
d'oro  e  di  gemme  e  di  perle,  stendente  avida  le  mani  ai  mercatanti 
cbe  le  rocavan  profumi  e   monili,  e  prostemantesi  alle  fornicazioni 


(1)  Vanide,  ¥11,  25  ;  Dmteronomio,  XXXIV,  2. 

(2)  Paolo,  II  ai  Teasalonicesi,  II,  3,  4,  9. 
(8)  Paolo,  II  a  TimoUo,  III,  2,  3,  4. 


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920  ARTE  CONTBMKORANEA 

di  tutti  i  re  della  terra  (1).  I  prodigi  che  apparivano  su  la  terra  e 
nel  cielo  —  e  di  cui  gli  astrologhi  che  attorniavano  Fimperatore  si  vai* 
sarò  per  trascinarne  la  superstizione  a  nuove  follie  —  i  parti  strani, 
le  comete,  le  aurore  boreali  —  ove  credevansi  veder  imagini  di 
corone  e  di  spade  e  strisele  di  sangue  —  le  accese  nuvole  dalle 
insolite  forme,  nelle  quali  il  popolo  cercava  e  scorgeva  apparenze  di 
animali  fantastici  e  di  titani  e  di  battaglie;  tutti  in  somma  i  fatti 
naturali  men  comuni  del  cui  ricordo  son  piene  anche  le  storie  degli 
scrittori  più  gravi  (2),  conferivano  a  far  piii  frenetica  un'esaltazione 
che  l'indole  della  gente,  e  la  consuetudine  delle  profezie  e  delle  vi- 
sioni, e  l'ansiosa  aspettazion  del  miracolo  promesso  rendevano  già 
prossima  al  delirio.  Si  parlava  di  rivi  di  sangue,  di  meravigliosi  ef- 
fetti della  folgore,  di  fiumi  che  risalivano  il  loro  corso,  di  sorgenti 
d'improvviso  inaridite  o  avvelenate.  Bifiorite  dal  libro  di  Enoch,  si 
diffondevano  le  leggende  più  strane  in  tomo  all'inferno,  agli  angeli 
ribelli,  ai  giganti  colpevoli  che  avevano  provocato  il  diluvio.  I  segni 
del  prossimo  apparire  del  regno  di  Dio  erano  dunque  palesi.  Quel  re 
crudele  che  empieva  delle  sue  follie  il  mondo,  e  viveva  in  palazzi 
chimerici,  ed  ergeva  idoli  colossali  di  bronzo  e  d'oro,  e  pretendeva 
adorazione  dagli  uomini  —  €  Nero  ille  luiuriosus  »  —  serbiamo 
all'ingenuo  latino  tutta  la  sua  efficacia  —  <  vanus  atque  superbos,  vi- 
rorum  succuba  et  rursum  virorum  appetitor,  ac  proximarum  quarumque 
mulierum  spurcissimus  violator  »  (3),  non  era  egli  forse  lo  stesso 
genio  del  male?  E  quando,  arsa  Boma,  i  cristiani  furon  trascinati  ai 
supplizi,  e  fatti,  tra  i  plausi  e  i  dileggi  d'una  folla  briaca,  essi  at- 
tori di  quegli  spettacoli  dalla  cui  vista  avevano  aborrito  pur  sempre, 
non  vi  fu  più  alcun  dubbio:  l'annunciato  regno  del  male  si  avve- 
rava; l'Anticristo  era  Nerone. 

Alla  persecuzion  dei  cristiani  la  tradizione   mesce  il  nome  e  la 
persona  di  Simon  Mago. 


(1)  È  la  rappresentazione  che  ne  dà  VApoeaUaae  (XVII,  4, 5.  XVIII,  3, 12,  13, 16), 
ina  era  già  viva  assai  prima,  come  paò  vedersi  da  molti  laoghi  deUe  lettere  di 
Paolo,  di  Giacomo  e  di  Pietro. 

(2)  Tacito,  XV,  46,  XVI,  13;  Svbtohio,  VUa  di  Nerone,  XXXVI,  XLVI; 
Dione  Cassio,  LXI,  18;  Marziale,  Ep,  I,  XIV. 

(3)  Sancti  Gborgii  Florbntii  Greoorii  epbcopi  taaransis  Hist  eeeL 


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IL  'NERONE,  DI  ARRIGO  BOITO  921 

La  figara  del  tristo  profeta  è  storicamente  tra  le  più  incerte;  e 
la  difficoltà  di  ricostruirla  secondo  un  criterio  di  rigorosa  esattezza 
s^accresce  per  ciò  che  nella  letteratura  clementina  Simon  Mago  è 
spesso  pseudonimo  di   Paolo  di  Tarso.   Pur  da  questa  oscurità  e 
da  questo  mistero  emerge  ricca  e  densa  di  simboli  la  leggenda. 
Nelle  lettere  degli  Apostoli  ricorrono  continui  gli  ammonimenti  ai 
fedeli  contro  le  seduzioni   dei   falsi  dottori  €  fabbri  di  favole  e  di 
«  genealogie  »(!),<  rinnegatori  di  DiOj  seminatori  d'inganni^  mer- 
«  catari  di  finte  parole  >  (2),  €  invasi  dallo  spirito  d'Anticristo  >  (3), 
«  trasognati  schernitori  e  corrompitori  di   tutte   le  cose^  mentitori 
«  sterili  e  gonfia  simili  a  nuvole  senz*acqua  sospinte  qua  e  là  dai 
«  venti^  ad  alberi  appassiti,  sterili,  due  volte  morti,  diradicati,  a 
«  fiere  onde  del  mare  schiumanti  le  lor  brutture,  a  spenti  astri  va- 
4  ganti  cui  è  riserbata  la  caligine  delle  tenebre  in  etemo  >  (4).  Già 
in  quel  primo  periodo  la  fede  cristiana  era  insidiata  dalle  travianti 
credenze  onde  si  alimentarono  le  eresie  de'  secoli  posteriori.  L'epi- 
stola di  Paolo  ai  Colossesi  ci  mostra  fiorente  fin  d' allora  (circa 
Tanno  60)  una  teosofia  commista  d'antichi  miti,  di  giudaismo  ebio- 
nita,  di  metafisica  greca  e  di  insegnamenti  attinti  ai  dogmi  cristiani  ; 
una  religione  d'eoni  increati;  una  complicata  teorica  d'angeli  e  di 
dèmoni;  e  il  presentimento,  ancora,  e  le  origini  di  quelle  aberrazioni 
intellettuali  e  morali  che  dovevan  riuscire  alle  dottrine  frigie  del 
li  secolo,  ritallite  sul  tronco  dell'antico  mistico  culto  de'  corìbanti 
e  dei  galli  (5).  Nella  Palestina  l'esempio  del  Profeta  e  del  Precur- 
sore suscitavano  imitatori  a  ogni  momento.   Nell'anno  44  Theudas 
aveva  annunciata  la  liberazione  degli  Ebrei  dal  servaggio,  invitando 
la  folla  a  seguirlo  nel  deserto  e  promettendole  che  le  avrebbe  fatto 
passare  il  Giordano  a  piedi  asciutti:  doveva  essere  questo  il  batte- 
simo che  avrebbe  iniziato  i  fedeli  al  regno  di  Dio.  Poco  tempo  in- 
nanzi —  cito  dal  Renan  (6)  —  il  paese  di  Samaria   s'era  levato 
alla  voce  d'un  Veggente  che  solennemente  affermava  aver  avuta  dal 


(1)  Paolo  a  Timoteo,  1^  epistola,  I,  4. 

(2)  Pietro,  !•  epistola,  II,  1,  2,  3. 

(3)  Giovanni,  i*  epistola,  IV,  1,  2. 

(4)  S.  Giuda.  Lettera,  4-19. 

(5)  Paolo  ai  Colossen,  lì,  4-23. 

(6)  Renan,  Lea  Apótree, 


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▲RTB  CONTBMPOBAIOBìl 


cielo  la  riyelaeione  del  luogo  ove  Mosè  aveva  nascosto  gli  stromenti 
del  culto.  Verso  il  56  un  giudeo  d'Egitto  traeva  a  Oemaalciniiie 
un'immensa  turba  per  condurla  sul  monto  degli  Olivi,  ore  &  una 
sua  parola  le  mura  della  città  dovevano  cadere  ad  un  tratto.  Sulla 
fine  dell'anno  62  —  racconta  ancora  il  Benan  —  un  Gesù  figlio  di 
Hanan,  sorta  di  Geremia  resuscitato,  prese  a  correre  giorno  e  notte 
le  vie  di  Gerusalemme  gridando:  Voce  déWOrimte!  Voce  delT Oc- 
cidente! Voce  dei  quattro  venti!  Voce  ooniro  Oerusalemme  e  eaniro 
il  Tempio!  Voce  contro  gli  sposi  e  le  spose!  Voce  contro  tutto  il 
Popolo!  Lo  flagellarono;  non  si  rimase  dal  gridare.  Lo  percossero 
con  le  verghe  fino  a  strappargli  le  carni:  ripeta,  in  suon  di  pianto, 
la  lamentazione.  E  così  continuò  fino  all'assedio  (1). 

11  soprannaturale  incombeva  dunque  e  premeva  da  ùgid  parte. 
Dagli  stessi  seguaci  della  nuova  fede  il  potere  di  operar  miraooli 
non  era  attribuito  soltanto  agli  apostoli,  che  l'avevano  da  Dio,  ma 
anche  ai  £Eittucchieri,  che  lo  tonevano  da  Satana. 

E  quale   artofice  di   magie  a  punto,  Simone  è  rappresentato  dai 
Fatii^  in  Samaria.  <  Or  in  quella  eiiià  era  prima  stato  un  uomo 
€per  nome  Simone^  che  esercitava  le  arti  magiche  e  seduceva  fé 
«  genti.  E  tutti  dei  maggiore  ai  minore  avevan  fede  pi  Int,  dicendo: 
«  Costui  è  la  gran  potenza  di  Dio.  E  credevano  in  lui^perdò  che 
«  egli  li  aveva  da  gran  tempo  con  le  sue  magiche  arti  fascinati  »  (2). 
Convertito  da  Filippo,  egli  invidia  agli  Apostoli  il  dono  soprannatu- 
rale e  offre  lor  danari  per  conseguirlo.  È  maledetto  e  cacciato  (3;. 
Da  ciò  l'odio  violento  e  implacabile  ch'ei  concepisce  contro  ì  Cri- 
stiani. La  tradizione  lo  ritrova  a  Soma,  al  fianco  di  NerDoe.  <  JBa- 
€  bebat  enim  Nero  secum  Simonem  magum,  visum  iotius  maUtiae 
€  et  omnis  magicae  artis  magistrum  »  (4).  A  Boma»  il  falso  dottor 
di  Samaria  è  divenuto  il  contrafEEittore  per  eccellenza  di  Cristo,  non 
pur  YAntiapostoh  ma  V Antimessia.  La  Orande  Esposieione  a  lui 
atti'ibuita  (tarda  composizione,  di  qualche  discepolo  forse,  ove  il  pen- 
siero  del   teurgo  dovette  alcun  poco  alterarsi)   manifesto  un  largo 


(1)  Renan,  L' Antéehrist, 

{2)  Fatti  degli  ApostoU,  Vili,  9,  10,  11. 

(3)  Fatti  degìi  ApostoU,  Vili,  14,  26. 

(4)  Sanoti  Georgh  Florbntii  Giìboouii  HisL  eccl,  Uh. 


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IL  '  NXRONB  ,  DI  ARRIGO   BOITO  923 

eclettismo,  impregnato  di  paganesimo  e  penetrato  di  formule  gno- 
stiche, che  comprende  tutte  le  rivelazioni  e  cerca  di  fonderle  in  un 
solo  ordine  di  ?eri.  Ma  le  idee  cristiane  vi  abbondano.  —  Il  cristia- 
nesimo stesso,  del  resto,  pervenuto  a  genti  d'imaginazione  ricca  e 
avvezza  alle  plastiche  forme  dei  miti,  si  avviava  a  un  più  complesso 
riordinamento  della  sua  dottrina.  La  filosofia  giudaica  alessandrina 
e  la  parafrasi  caldea  non  furono  senza  effetto  su  la  concezione  del 
Logos.  La  mistica  scala  del  semitismo  egiziano  riscintillò  nelle  so- 
yrapposte  gerarchie  degli  Angeli,  degli  Arcangeli,  dei  Troni ^  delle 
Potenze,  delle  Dominazioni  (1).  E  il  figliuolo  di  Dio  venne  trasfi- 
gurandosi in  una  incarnazione  del  Nume  stesso,  rivelatosi  in  umana 
forma  ai  mortali.  Come  più  tardi  Apollonio  di  Tiana  (2),  Simone 
si  prevalse  di  queste  credenze  in  sno  vantaggio.  Si  annunciò  quale 
la  Divinità  incarnata  (8).  Persuase  ai  creduli  —  narra  Ireneo  — 
che  egli  medesimo  era  i^parso  in  Samaria  in  figura  del  Padre, 
aveva  sofferto  in  Giudea  nella  crocifissione  visibile  del  Figlio,  si  rive- 
lava ai  Gentili  per  l'inspirazione  dello  Spirito  Santo.  L'Urbe  fu  presto 
piena  de'  suoi  prodigi.  Da  per  tutto  ove  Pietro  e  Paolo  si  presen- 
tavano, ivi  appariva  il  Seduttore,  il  Nemico.  Un  caso  occorso  nel 
Circo  a  un  attore  rappresentante  il  volo  d'Icaro  —  di  cui  è  ricordo 
in  Svetonio  (4)  —  darà  origine  alla  leggenda  della  sua  morte.  Simone, 
dicendosi  mandato  da  Dio,  promette  di  ascendere  al  cielo  da  un'alta 
torre  ;  la  torre  è  costrutta,  per  voler  di  Nerone,  nel  Campo  Marzio  ; 
l'uom  di  Samaria  vi  sale;  «  Veramente  non  è  egli  »  —  dice  il  Ce- 
sare rivolto  agli  Apostoli  —  «  verace  Cristo  e  non  Mago?  Vedete 
com'ei  penetra  fra  le  nubi  >  ;  se  non  che  Pietro  impone  agli  an- 
geli di  Satana,  che  trasportano  a  volo  il  taumatui^go,  d'abbando- 
narlo a  sé  stesso  ;  <  cadde  »  —  racconta  l' autore  della  Passione 
di  Pietro  e  Paolo  —  «  nel  luogo  detto  Sacra  Via  e,  rotto  in  quattro 
«  parti,  adunò  quattro  sassi  che  stanno  tuttora  a  testimonianza 
«  dell'apostolica  vittoria  »  (5). 


(1)  Paolo  agU  Efesii,  U  20,  21,  22,  23.  —  Ai  Colossesi,  I,  15,  16,  17,  la 

(2)  LuciAKO  Alessandro. 

(3)  Paolo  ai  Tessaloniceait  II,  4. 

(4)  Svetonio,  Vita  di  Nerone^  XII. 

(5)  Passio  Sanetorum  Apostolarum  Petri  et  Pauli  —  Acia  Peiri  et  PattM, 
—  Lini  rom.   pont.  De  Passione  Petri  et  PauU.  —  Marcelli  epistola, 

RMata  mmieaU  italiana,  VIIL  60 


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924  ARTE  CONTEBfPORANBA 

Frattanto  egli  è  Tartefice  d'ogni  male.  Persin  l'incendio  di  Soma  si 
ricollega  in  una  tradizione  della  quale  ancor  ci  rimangono  memorie 
alla  sua  disfatta:  e  a  lui  la  leggenda  cristiana  reca  la  causa  delle  per- 
secuzioni in  cui  Pietro  e  Paolo  ottennero  la  gloria  del  martirio.  L'odio 
terribile  di  Nerone  contro  i  nazzareni  ci  è  rappresentato  come  l'effetto 
dei  mali  consigli  e  delle  tristi  arti  del  Samaritano.  <  Hoc  (Simone) 
«  eliso  per  apostolos  Domini  Petrum  atque  Patdum  (Nero)  comtnotus 
<  contra  eos  Petrum  cruce  Paulum  gkuUo  iuhet  inierfiei  »  (1).  La 
stessa  credenza  nel  <  fuoco  stmggitore  della  figura  del  mondo  >  (2)  è, 
nel  racconto,  per  Tinterpretazione  perversa  di  Simone  rivolta  in  daooo 
de'  seguaci  di  Gesù,  condannati  a  morir  tra  le  fiamme  —  umane  fiac- 
cole accese  a  illuminare  i  giochi  imperiali  (3).  Col  supplizio  dei  fedeli 
che  l'àn  maledetto  e  respinto,  il  Nemico  trionfa.  La  profezia  s'è  avve- 
rata; nel  tempio  di  Dio  accanto  al  Mostro  è  l'Apostata:  l'avvenimento 
dell'empio  si  attua,  secondo  la  predizione,  <  con  ogni  potenza  e  prò- 
«  digi  e  miracoli  di  menzogna  >.  E  l'Apocalisse,  ancor  piena  (se 
dobbiamo  credere  a  una  probabile  congettura)  del  ricordo  di  Simone, 
ne  perpetuerà  l'infamia  in  figura  di  agnello-dragone,  rappresentan- 
dolo annunciatore  e  stromento  dell'Anticristo-,  falso  Messia  che  & 
cadere  il  fuoco  dal  cielo,  e  dà  vita  e  parola  alle  statue,  e  impronta 
gli  uomini  de'  caratteri  della  Bestia  (4). 


(1)  Sancii  Georgi  I  Florenth  Grbgorii  Hist  eccì. 

(2)  Passio  Sanctorum  Apostolorum  Petri  et  Pauli. 

(3)  Lini  rom.  poni.  De  Passione  Petri  et  Pauli.  —  Passio  Sanctorum  Aposto- 
ìarum  Petri  et  Pauli, 

(4)  Apocaìissey  XIII,  11  e  seguenti: 

eli.  Poi  yidi  un'altra  bestia,  che  saliva  dalla  terra,  ed  ayea  due  coma  amili 
a  quelle  dell'Agnello,  ma  parlava  come  il  dragone. 

«  12.  Ed  esercitava  tutta  la  podestà  della  prima  bestia,  nel  suo  cospetto;  e 
facea  che  la  terra,  e  gli  abitanti  d*essa  adorassero  la  prima  bestia,  la  cui  piaga 
mortale  era  stata  sanata. 

«  18.  E  faceva  gran  segni;  sì  che  ancora  faceva  scender  fuoco  dal  deloinsa 
la  terra,  in  presenza  degli  uomini. 

<  14.  E  seduceva  gli  abitatiti  della  terra,  per  i  segni  che  le  era  dato  di  &re 
nel  cospetto  della  bestia,  dicendo  agli  abitanti  della  terra  che  facessero  una  im- 
magine della  bestia,  che  avea  ricevuta  la  piaga  della  spada,  ed  era  tornata 
in  vita. 

<  15.  E  le  fu  commesso  di  dare  spirito  air  immagine  della  bestia,  si  che  ancori 
rimmagine  della  bestia  parlasse;  e  di  far  che  tutti  coloro  che  non  adorassero 
rimmagine  della  bestia  fossero  uccisi. 


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IL  ^  NBRONB  ,  DI  ARRIGO  BOITO  925 

Or  questo  travestimento  della  leggenda  non  è  in  tutto  senza  rela- 
zione al  vero. 

Il  sistema  composito  e  sopra  tutto  gnostico  che  si  disse  professato 
da  Simone  doveva  rappresentare  un  pericolo  certo  pel  Cristianesimo, 
il  quale  assai  più  aveva  da  temere  dalle  dottrine  che  gli  assomi- 
gliavano che  non  dagli  insegnamenti  che  gli  si  levavan  di  contro 
risolutamente  diversi ,  anzi  avversi.  La  confutazion  di  questi  era 
nella  stessa  predicazione  della  parola  di  Dio;  quelle,  se  ben  non 
erano,  dovevan  parere  contraffazioni  speciose  che  nascondessero,  sotto 
apparenze  ingauDevoli,  insidie  senza  fine.  Il  mito  che  della  metafìsica 
Elena  —  il  Primo  Pensiero  della  teurgia  simoniana  —  fece  una 
meretrice  comprata  dal  Mago  sul  mercato  di  Tiro,  adombrando  così 
Torigine  orientale  della  dottrina  seduttrice,  non  è  dunque,  chi  ben 
riguardi,  privo  di  significazioni  profonde. 

Dall'altra  parte,  Nerone  non  apparve  un  mostro  soltanto  a'  Cristiani. 
Jfon^^rtim  lo  chiama  apertamente  VOctama{l).  ìlrex  crtidelis  delle 
lettere  apostoliche  è  bene  il  rex  ferox  di  Marjriale{2)j  Vurbis  tyrannus 
quem  premit  turpe  jugo  della  tragedia  latina  (3).  L'autore  degli  Epi- 
grammi ne  dileggiò  la  follia  (4);  Persio  ne  derise  la  retorica  e  lo 
vilipese  vivente  (5)  ;  Lucano  gli  insorse  contro  violento  ;  Giovenale, 


«  16.  Faceva  ancora  che  a  tatti,  pìccoli  e  grandi,  ricchi  e  poveri,  liberi  e 
serri,  fosse  posto  un  carattere  in  sa  la  lor  roano  destra,  o  in  sn  le  lor  fronti. 

<  17.  E  che  ninno  potesse  comperare,  o  vendere,  se  non  chi  avesse  il  carattere, 
o  il  nome  della  bestia,  o  il  numero  del  suo  nome  » . 

(1)  Oeiavia,  v.  372. 

(2)  De  Speetaculis,  II. 

(3)  Octavta,  v.  260. 

(4)  De  8pectaeuUs,  IL 

(5)  Satire  I  e  IV.  Terribili  in  quest!altima  i  versi: 

At  si  unctos  cesses,  et  figas  in  cute  Solem, 
Elst  prope  te  ignotns  cubito  qui  tangat,  et  acre 
Despaat  in  mores;  penemque,  arcanaque  Inmbi 
Runcantem,  populo  marcentes  pandore  vulvas. 
Tu  quum  maxillis  balanatum  gausape  pectas, 
Inguinibus  quare  detonsus  gurgulio  exstat? 
Quinquae  palaestritae  licct  haec  piantana  vellant, 
Elìxasque  nates  tabefactent  forcipe  adunca, 
Non  taroen  ista  filix  allo  mansaescit  aratro. 


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9m  ARTI  GaNTaHPoaAm^ 

DMsoeiido  riroBÌa  ainivettìvai  lo  infiuttò  ptrrtcida  e  firatrieìdai»  avre- 
lenatore  e  istrione  (1). 

AB«Mn:  la  commoM  de'  oostvmit  se  ton  segnava  la  fitvolaggiata 
distratone  uiìTorsale,  ammiiEiava  però  per  chiari  indiai  il  disso^ 
Yem  di  ana  civiltà  ormai  pervenuta  a  qaeirestreino  di  potenxa  oltK 
cai  il  decadimento  è  sieoro.  L'avvenimento  d'in  naovo  mondo  si  mtfeaò; 
se  bene  non  fu  del  mondo  di  Dio,  ma  del  Gristìanesimo.  Che  Belle 
descrizioni  si  esi^rasse  non  ò  dubbio.  Ma  che,  por  nell'ardenza 


CafedimM,  fnqae  vieeia  pmiebeniaa  erora  sagittia. 
Vifitiar  hoc  pacto:  sic  naTinas.  Uia  rabter. 
Caecnm  valnus  habes;  sed  lato  balteos  auro 
Praetegìt:  ut  maTis,  da  verba,  et  deoipe  nervoa, 
Si  potM.  —  Egregitim  qnam  me  Ticìnia  dicat. 
Non  credam  ?  —  Vno  si  {mllea,  improbe,  nummo 
^  facis,  ia  penem  qoidqaid  tibi  yeait  amaram, 
Si  pateal  malta  eantas  vibice  flagellas, 
Kequidquam  popolo  bibalas  donaverìs  aurea. 
Eetime  qùod  non  es;  toUat  tna  mnnera  cerdo: 
Tecnm  habitat  et  »>rì8  qoam  sit  tibi  onta  sapeRex. 
(1)  Satka  Vili: 

Libera  si  dentar  popolo  soiragia,  qois  tara 
Perditos,  ot  dabitet  Senecam  praeferre  Neroni, 
Caiaa  sopplicio  non  debait  una  pararì 
Simia  nec  aerpens  onoa  nec  colleoa  onos? 
Par  Agamemnonidae  crimen,  aed  oaoaa  fiacit  rem 
Diaaimilem:  qoippe  Ole  deia  aoctoriboa  oltor 
Patria  erat  caeai  media  inter  pocola;  aed  nec 
Electrae  ingoio  ae  polloit  ant  Spartani 
Sangoine  coniogii;  nollia  aconita  propinqnia 
Miscoit;  in  acena  nomqoam  cantavit  Oreatea; 
Troica  non  acripait.  Qoid  enim  Virginioa  armia 
Deboit  nlciaci  magia,  aot  com  Vindice  Galba? 
Qoid  Nero  tam  aaeva  crodaqoe  tirannide  fécit? 
Haec  opera  atqoe  hae  aont  generoai  principia  artea, 
Gaodentis  foedo  peregrina  ad  palpita  canto 
Proatitoi  Graiaeqoe  apicem  meroiase  coronae 
Maiorom  efflgiea  habeant  insignia  vocis; 
'    Ante  pedes  Domitii  longom  te  pone  Tyeatae 
Symm  atqoe  Antigones  aot  peraonam  Menappilea 
Et  de  marmoreo  citbaram  aoapende  ooloaao 
(verao  215  e  aegg.).  Di  qaeati  versi  ai  ricordò,  come  vedremo,  il  Boito. 
Anche:  Satira,  I,  vera!  58-62. 


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IL  '  NaaONBt  U  ARRMO  BOTTO  927 

deU'iDvettiyat  si  cogliesse  mollai  j^rte  di  ?ero  è  anche  eertow  Alenili 
passi  delle  lettore  di  Paolo  si  confrontaDO  con  molti  luoghi,  inspirati 
airosserrauoiie  del  reale^  di  scrittori  latini  ohe  di  hii  non  ebbero 
notizia  —  come  non  egli  di  loro.  Il  lusso  toocara  ?erameiite  i  con- 
fini della  follia.  Le  migliaia  di  sesteni  piofasi  in  un  vin  di  rose  (1) 
possona  sembrare  una  favola  solo  a  chi  non  ricordi  la  Cena  ritratta 
nel  S9iyiric<m  di  Petnuiio  (2)  e  i  molti  vivi  particolari  su  la  son- 
tuosità dei  conviti  sparsi  nella  satira  undecima  del  poeta  aqninate  (S). 
Che  se  il  nome  di  Babilonia  con  cui  Berna  fu  designata  dai  padri 
della  Chiesa  si  attiene  a  una  consuetudine  tutta  propria  del  pen- 
siero e  del  linguaggio  ebraico,  non  è  mm  vero  però  che  anche  alla 
mente  de'  pagani  contemporanei  lo  spettacele  deirUrbe  richiamava 
Tìmagine  e  il  ricordo  delle  più  lussuriose  città  orientali.  La  Corti- 
giana ieìVApoealisse^  languente  —  sazia  di  piacere  —  in  mezse  al 
doni  e  a*  profumi  de'  mercatanti  della  terra,  tra  suon  di  eeterateri 
e  di  auledi,  non  è  fbrse  già  tutta  in  questi  versi  di  Giovenale: 

lam  prìdem  Syrus  in  Tiberìm  defluxit  Orontes 
Et  linguam  et  mores  et  cum  tibicine  chordas 
Obliquas  nec  non  gentìHa  tjmpana  sonum 
Yezit  et  ad  circum  iussas  prostare  puellas  ?  (4) 

Sibarì,  Tiro,  Bodi,  e  la  molle  e  coronata  di  rose  Taranto,  sembra- 
vano esser  trasmigrate  in  Boma  (5).  La  città,  che  sotto  Augusto  s'era 
piegata  alla  gentilezza  dell'arte  e  del  costume  di  Grecia,  cedeva 
ormai  tutta  alla  seduzione  orientale.  L'Asia  e  l'Egitto  non  le  recavan 
soltanto  le  gemme  e  l'oro  e  le  porpore,  ma  anche  i  modi  e  le  foggio 
e  i  riti  e  i  culti  e  le  superstizioni  e  le  credenze.  I  veri  padroni  del- 
l'Impero e  dell'Urbe  —  i  retori,  gli  artefici,  i  precettori,  gli  attori,  i 
cantori,  i  taumaturghi,  i  prosseneti  —  venivano  dalle  Prorincie.  Il 


(1)  SvKTONio,  Vita  a  Nenms,  XXVII. 

(2)  Il  passo  è  noto  sotto  il  nome  di  <  Otna  di  Trimaickme  ». 

(3)  GiOTBHALK,  Satira  XI,  veni  14-21,  119-129,  1S7-141,  163-166. 

(4)  GiovENALB,  Satira  III,  62-66. 

(5)  GiovBKALB,  Satira  VI,  Tersi  295*298: 

Bino  fioxit  ad  istos 
Et  Sybarìs  ooUea,  Une  et  Rhodos  et  Miletos 
Atqne  coronatvm  et  petolans  roadidomqae  Tarentam. 


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ARTB  GONTEBfPORANXA 


sogno  d'un  impero  orientale,  già  vagheggiato  da  Antonio  (1),  risor- 
geva ad  ora  ad  ora  piii  fascinante.  I  re  d'Armenia  e  de'  Partì  erano 
i  fovoritì  del  Cesare  (2);  ridotto  in  miseria,  Nerone  penserà  di  chie- 
dere la  prefettura  dell'Egitto  (3). 

Quanto  alle  libidini,  il  festino  sul  lago  d'Agrippa,  le  nozze  con  Sporo, 
gli  stupri,  gli  ostentati  adultèri  e  gli  incestì  del  Cesare  son  storia. 
Ma  non  eran  costumi  di  Nerone  soltanto.  Quando  nella  lettera  di 
Paolo  ai  Bomani  ci  abbattiamo  in  queste  parole  :  <  Le  femmine  anno 
mutato  Tuso  naturale  in  quello  che  è  contro  natura,  e  simigliante- 
mente  i  maschi  sonosi  accesi  nella  lor  lussuria  gli  uni  verso  gli 
altri  »  (4),  ci  convien  riconoscere  che  TApostolo  è  non  pur  veritìero 
ma  sobrio.  Persio  e  Giovenale  sono  ben  altrimenti  duri  e  precisi  (5). 
Il  cinedo  dalla  pelle  liscia  (tota  nitor  in  cute)  e  daUa  zazzera  pro- 
fumata (6)  e  l'adultero  accolto  nelle  case  per  soccorrere  di  sua  giova- 
nezza le  stanche  forze  de'  mariti  imbelli  (7)  esercitavano  apertamente 
e  potevano  senza  in&mia  confessare  i  lor  costumi.  Gli  imenei  im- 
periali suscitavano  imitatori  a  ogni  momento  (8).  Nei  misteri  della 
Dea  Flora  (e  Bonae  Secreta  Deae  »),  a  cui  non  convenivano  che  le 
donne  e  ove  ebbero  officio  di  sacerdotesse  Messalina  e  Poppea,  le 


(1)  Orazio,  I,  xxxvii. 

(2)  SviTOKio,  Vita  di  Nerone,  XIII.  LVII. 

(3)  SvETOHio,  Vita  di  Nerone,  XLVII. 

(4)  Paolo  ai  Romani,  l,  26,  27. 

(5)  Vedi  Ìd  Persio  sopra  tatto  la  Satira  IV  che  si  viiol  scritta  contro  Nerone, 
in  Giovenale  le  Satire  I,  II,  VI  e  IX. 

(6)  Giovenale,  Satira  IX,  versi  43-47. 

(7)  Giovenale,  Satira  IX,  versi  70-80: 

Vemm,  at  dissimales,  nt  mittas  cetera,  quanto 
Metiris  pretio,  quod,  ni  tibi  deditns  essem 
Devotusqno  cliens,  nxor  tua  virgo  maneret? 
Scis  certe,  qnibns  ista  modìs,  qnam  saepe  rogaris 
Et  qnae  pollicitus.  Fagientem  Kaepe  poellam 
Ainplexa  rapai;  tabuias  qaoque  ruperat  et  iam 
Signabat:  tota  vix  hoc  ego  nocte  redemi, 
Te  plorante  foris:  testis  inihi  lectalas  et  tu. 
Ad  quem  pervenit  lecti  sonus  et  dominae  vox. 
Instabile  ac  dirimi  ooeptum  et  iam  paene  solatum 
Coniagiam  in  maltis  domibas  servavit  adulter. 

(8)  Marziale,   Epigrammi,  libro  I,  xxv;   Giovenale,   Satira  I,  versi  68-63, 
Satira  li,  versi  117-120. 


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IL  ^NERONE,    DI  ARRIGO  BOITO  929 

patrizie  si  sollecitavano  tra  musiche  inebrianti  con  osceni  atti  alle 
orgia  del  tribadismo  (1).  I  templi  dlside,  di  Cibele  e  di  Cerere  eran 
Mti  ritrovo  di  piaceri  infami  e  d'amori  (2).  E  la  diffusa  lussuria 
era  favorita  eccitata  esasperata,  quando  non  anche  educata  e  scal- 
trita (3),  dagli  spettacoli,  dalle  rappresentazioni  drammatiche,  dalle 
pantomime,  rievocanti,  atteggiate  fin  ne'  particolari,  le  sensualità  più 
violente  o  più  squisite  de'  miti  greci  :  Europa  violata  dal  Toro,  Leda 
amata  dal  Cigno,  Amimene  posseduta  da  Nettuno,  e  l'onta  di  Pa- 
sifae,  e  la  voluttà  di  Danae,  e  l'ebrezza  dilettosa  di  Arìadne. 

Nei  teatri,  del  resto,  nel  Circo  sopra  tutto,  si  raccoglieva  ormai 
intera  la  vita  pubblica  dell'Drbe.  La  folla  innumerevole  e  varia,  in 
cui  si  mescevano  ai  Romani  gli  Etiopi  ricciuti,  e  i  Sicambri  dalle 
lunghe  chiome,  e  gli  Egiziani  e  gli  Arabi  e  i  Sibei  e  i  Cilici  —  tutte 
le  fogge,  tutte  le  lingue,  tutte  le  stirpi  (4)  —  passava  da  una  festa 
goduta  a  una  festa  attesa,  da  un  combattimento  di  gladiatori  a  una 
naumachia,  dalla  crocefissione  di  un  condannato  a  una  strage  di  femine 
e  di  belve  (5).  Le  più  crudeli  scene  si  succedevano  pel  diletto  pervertito 
e  feroce,  non  mai  sazio,  delle  moltitudini  adunate:  il  figlio  di 
Alcmena  rapito  nell'aria  dal  toro  (6):  Ercole  furioso,  avvampante  sul 
monte  Età,  strappantesi  dalle  carni  la  tuuica  di  pece  infiammata  (7); 


(1)  Marziale,  Epigrammi,  libro  I,  xxxvi,  xoi,  xov;  Giovenale,  Satira  VI, 
yerai  314-316: 

Nota  Bonae  secreta  Deae,  qiium  tibia  Inmbos 
Incitat  et  coma  parìter  vinoqae  feruntur 
Attonitae  crinemqae  rotant  alalantqae  Priapi 
Maenades;  o  qaantas  tane  illis  nientibuB  ardor 
Concubitas,  qaae  vox  saltante  libidine,  qnantas 
Ille  meri  veteris  per  crura  inadentìa  torrens! 

(2)  Giovenale,  Satira  VI,  versi  486490;  Satira  IX,  versi  22-25. 

(3)  Giovenale,  Satira  VI,  versi  63-67: 

Chironomon  Ledam  molli  saltante  Bathyllo, 
Taccia  vosicae  non  imperat;  Appaia  gannit, 
Sicat  in  amplexn,  snbidam  et  miserabile;  longam 
Attendit  Thjmele:  Thymele  tu  ne  r astica  discit 

(4)  Marzule,  De  Spectacuìis,  III.  « 

(5)  Marziale,  De  SpedacuUs,  VII.  Vili.  IX,  X,  XI,  XII,  XUI,  XIX,  XX. 
XXI,  XXII,  XXIV,  XXV,  XXVI,  XXIX,  XXXI;  SvKTONio,  Vita  di  Nerone,  XII; 
Giovenale,  Satira  Vili,  versi  186-187. 

(6)  Marziale,  De  Spectaeulis,  XVIII. 

(7)  Ib. 


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ARTB  CONTEMPORANEA 


Orfeo  sbranato  dagli  orsi  (1);  Dedalo  precipitato  dal  cielo  e  divorato 
dalle  fiere  (2).  L'autor  degli  Epigrammi  poteva  senza  ironia  esclamare: 
Omnis  Cesareo  eedat  ìabor  Amphyteatro  (8).  I  mimi  e  gli  istrioni, 
ricercati  amatori,  esercitavano  le  reni  delle  nepoti  di  Cornelia  e  di 
Lucrezia  (4).  E  la  follia  giunse  a  tale,  che  senatori  e  cavalieri 
non  disdegnarono  di  scendere  nell'arena  (il  caprìccio  deirimperatore 
li  trovò  volenterosi  (5))  e  fin  le  donne  trascorsero  a  trattar  per  di- 
letto il  tirso  d'Accio  e  la  maschera  (6)  e  si  compiacquero  d'eserci- 
tarsi a'  giochi  del  Circo  (7). 

Né  a  questo  traviar  de'  costumi,  per  cui  parve  che  tutti  i  vizi  di 
tutti  i  tempi  fossero  convenuti  nell'Urbe,  la  civiltà  latina  aveva 
ormai  piti  che  opporre.  Mancava  all'universale  (i  pochi,  educati  alla 
disciplina  stoica,  sotto  Nerone  non  contano)  il  concetto  —  che  gli 
antichi  avevan  posseduto  esattissimo  e  che  il  Cristianesimo  recherà  in 
sé  profondo  —  della  serietà  della  vita.  Il  sentimento  della  città  e 
della  patria  erano  vaniti  nel  sogno  immenso  della  conquista,  nella 
dedizione  di  tutti  i  potori  alle  mani  d'un  solo.  La  letteratura  si  ri- 
solveva in  una  perenne  ricerca  d'effetti  oratorii;  sdrta*  dalle  scuole 
dei  retori  —  in  cui  il  precetto  di  Cicerone:  <  quando  il  dicitore  in- 
voca la  storia  gli  è  consentito  mentire  >  era  esteso  a  ogni  forma 
dell'arto  della  parola  e  a  ogni  materia  —  si  svolgeva  tutta  al  di 
fuori,  in  un  linguaggio  pretenzioso  e  pomposo,  in  un  artificio  d'ima- 
gini  violente,  di  traslati  bizzarri  e  di  vani  accozzi  di  sentenze,  nel- 
l'espressione esagerata  di  pensieri  e  di  sentimenti  mentiti.  —  La 
religione  antica  trovava  ogni  giorno  più  increduli  e  piti  svogliati  gli 
animi,  e  in  vano  Augusto  aveva  cercato  di  ravvivarla.  Gli  intelletti 
si  volgevano  altrove.  Da  ogni  parte  del  bacino  del  Mediterraneo  — 
dalla  Siria,  dall'Egitto,  dalla  Persia,  dalla  Oiadea,  dalla  Caldea  — 
convenivano  nell'Urbe  i  miti  e  le  superstizioni  straniere.  Maghi,  astro- 


(1)  Marziale,  De  Spectaculis,  XXIII. 

(2)  Marziale,  De  SpeetaeuHst  X. 

(8)  Marziale,  De  Spectacuhs,  I  (Si  riferisce  a*  tempi  di  Domiziano,  ma  —  gii 
avvertii  —  i  costumi  non  erano  mutati). 

(4)  GioYEKALE,  Satira  VI,  versi  71-80. 

(5)  SvBTONio,  Vita  di  Nerone,  XI. 

(6)  Giovenale,  Satira  VI,  65  e  seg. 

(7)  Giovenale,  Satira  VI,  245  e  seg. 


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IL  *  NBRONB ,  DI  ARRIGO  BOITO  9^1 

loghi,  matematici^  indovini,  negromanti,  predicatori  di  nuove  sètte, 
invadevano  Boma;  sfrattavano  l'ignoranza  delle  mottitndini  oob  mi- 
racoli e  prodigi  ;  interpreti  di  aagnrìi  e  di  sogni,  seminavano  fole  e 
terrori;  attorniavano  e  sedncevano  T  imperatore  (1).  Nerone,  Ottone, 
Yitellio  furono  interamente  in  leu:  balìa  (2).  Bisorgevano  i  culti  sotter- 
ranei, i  misteri  orfici  e  frìgi,  i  riti  atroci  ed  osceni  dei  coribanti  e 
de'  galli  (3).  La  religione  mistica  d' Iside,  molle  di  feminea  tene- 
rezza e  di  soavità  materna;  la  religione  astrale  de'  Caldei  ebe 
dalle  torri  ergentisi  su  le  città  accerchiate  di  sette  ordini  di  mura 
tinte  ne'  colori  dei  sette  pianeti  avevan  scrutato  nel  firmamento  le 
manifestazioni  sensibili  della  Volontà  Divina  e  tracciata  al  Sole  la 
via  dei  cieli;  la  pensosa  e  severa  religione  di  Mitra,  che  le  le- 
gioni di  Pompeo  avevano  portata  dalla  città  di  Sennacherib,  e  a 
cui  sMnchin^anno  Aureliano  e  Giuliano  —  rivelante  agli  uomini  il 
senso  della  vita  presente  e  celebrante  nelle  grotte  naturali  (simboli 
della  vòlta  celeste)  l'anabasi  e  la  catabasi  ^elle  anime;  trovavano 
credenti  e  seguaci  a  ogni  ora  (4)w  Nei  sacrari  e  nei  templi  degli  dei 
stranieri  si  alternavano  gli  incantesimi,  i  sacrifici,  e  le  iniziazioni  e 
le  lustrazioni  e  le  espiazioni.  Una  vertigine  di  soprannaturale  travol- 
geva le  menti.  Le  imaginazioni  avide  di  miti  e  di  simboli,  le  coscienze 
bramose  di  consolazioni  e  di  speranze  si  abbandonavano  con  insolita 
ardenza  alle  fedi  recenti.  Nuove  parole,  nuove  preghiere,  nuove  for* 
mule  s'udivano  nelle  moltiplicate  riunioni  segrete.  E  lo  spazio  pareva 
popolarsi  di  demoni  e  di  genii  che  intervenissero  a  far  della  vita  un 
miracolo  perenne. 


Di  tali  elementi  si  compone,  e  in  tale  vita  si  svolge  l'azione  della 
tragedia  d'Arrigo  Boitow 

11  Cristianesimo  l'avviva  della  sua  fede,  delle  sue  preghiere, 
de'  suoi  inni,  de'  suoi  puri  affetti,  delle  sue  ansie,  delle  sue  aspet- 


(1)  QtoywsàLK,  Satira  VI,  versi  510-515,  e  tutta  la  Satira  XY. 

(2)  Tacito,  Annali  XII,  52,  Storia,  5,  22;   Svetoxio,  Vita  di  Nerone,  86, 
46,  rUm  di  Viéeìho,  14 ;  Zonaras,  Annali,  VI,  5. 

(3)  Dcpuis,  L'origine  de  toìés  Us  eulUs)  Windishmamk,  MOra-,  Giotbital]:, 
Satira  VI,  versi  521-580,  547-550,  585^90,  610-614.  e  totta  la  Satira  XV. 

(4)  lYi. 


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932  ARTE  CONTEMPORANEA 

tazìonì,  del  suo  martirio,  della  sua  gloria  (1).  L'  attraversa  come 
un  turbine,  travolta  nella  corsa  frenetica,  in  un  fragor  di  timpani 
e  di  cimbali,  la  mistica  orgia  dello  stuol  di  Cibele  (2).  La  pe- 
netra e  ravvolge  il  mistero  degli  incantesimi  e  delle  espiazioni  nel 
culto  fantasioso  e  simbolico  e  nella  religione  complicata  ed  astrusa 
del  Mago,  fatta  di  metafisica  alessandrina  e  di  imitazioni  crìstitne 
e  di  paganesimo  aberrante,  e  di  superstizione  e  d^orientalismo  e  di 
idolatria  (3).  Vi  si  agita  la  folla  patrìzia  e  volgare,  barbara  e  latina; 
il  corteo  dei  mimi,  dei  citaredi,  degli  auledi,  delle  ambubaje,  delle 
cortigiane,  delle  danzatrici  ;  le  torme  dei  cavalieri  e  dei  corrieri  e 
dei  pretoriani  e  dei  legionari  e  degli  ausiliari;  la  moltitudine  dei 
plebei,  degli  artisti,  dei  mercanti,  dei  liberti,  degli  schiavi,  dei  sa- 
gittari, dei  gladiatori,  dei  bestiarii  ;  il  popolo  vario  e  commisto,  che 
tumultua  in  un  folle  impeto  di  piaceri  e  d'ardori,  che  s'inebria  alle 
lascivie  e  alle  stragi,  che  acclama  al  Cesare  e  gli  compone  il  trionfo, 
che  insulta  e  impreca  ai  cristiani,  che  s'accalca  e  ferve  nel  Circo, 
avido  di  spettacoli  e  di  sangue  (4).  Alcuni  passi  dei  Fatti  e  delle 
lettere  degli  apostoli  vi  si  ricompongono  a  crear  la  figura  cristiana, 
ardente  e  soave  di  Fanuèl  (5).  La  tradizione  dell'Àntimessia  vi  si 
riatteggia  in  Simone,  falso  dottore  e  falso  profeta,  tentator  dei  fedeli, 
seduttor  delle  turbe,  perverso  consigliere  del  Cesare,  artefice  primo 
della  persecuzione  da  cui  s'inizia  gloriosa  l'epopea  del  Martirio  (6). 
Il  mito  dell'Elena  cortigiana  vi  rivive  in  Asteria,  soggetta  al  Tau- 
maturgo, fascinata  dal  male,  attratta  verso  il  Matricida  da  un  im- 
puro fermento  d'amore  (7).  Terpnos,  Sporo,  Tigellino,M.  Anneo  Lucano 
e  in  parte  Bubria  vi  son  rievocati  dalla  storia.  E  da  una  intima  com- 
penetrazione della  storia  con  la  leggenda  vi  balza  —  mirabilmente 


(1)  Atto  I,  pp.  30-36;  atto  III,  pp.  114-134,  137-144;  atto  IV,  pp.  167-174, 
182-196;  atto  V,  pp.  237-242. 

(2)  Atto  I,  pp.  98-9y. 

(3)  Atto  I,  pp.  10-19;  atto  II,  pp.  71-94. 

(4)  Atto  I,  pp.  48-68;  atto  IV,  pp.  147-180. 

(5)  Atto  I,  pp.  82-41  ;  atto  III,  pp.  114-156,  125-144;  atto  IV,  pp.  167-175, 
181-196. 

(6)  Atto  I,  pp.  10-19;   atto  II,  pp.  7194;  ;atto  HI,  pp.  129-140;  atto  IV, 
pp.  167-180,  184. 

(7)  Atto  I,  pp.  19-28,  30-32;   atto  II,   pp.  89-106;   atto  III,  pp.   120124; 
atto  IV,  pp.  181187,  194196;  atto  V,  pp.  221-237. 


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IL  'NERONE,  DI  ARRIGO  BOITO  933 

viva  — la  figura  di  Nerone;  retore  e  malvagio,  pazzo  e  crudele,  su- 
perstizioso e  beffardo,  traviato  artista  e  ridevole  poeta,  infinto  fin  nei 
terrori  e  mentitore  fin  ne'  rimorsi,  perseguitato  dalle  ombre  e  sprez- 
zator  degli  iddii,  istrione  e  corego,  Cesare  e  Anticristo,  trionfatore 
de'  contemporanei  e  sacro  al  vituperio  dei  venturi  (1). 

A  questo  intrecciamento  di  elementi  storici  e  leggendari  ofirono 
occasione  alcuni  fatti  della  vita  del  Cesare.  Li  richiamo  rapidamente. 
«  Nerone  violò  »  narra  Svetonio  «  Bubria  Vestale  »  (2)  —  «  Uccisa 
Agrippina  »,  racconta  Tacito,  «  assalito  da  terrore,  stette  tutta  la 
notte  affisato  e  muto,  aspettando  con  la  luce  del  sole  la  sua  rovina  »  ; 
si  trattenne  poi  per  le  castella  della  Campania  «  confuso  di  come  s'en- 
trare in  Boma  »  (8),  «  né  si  mosse  finché  plebe  e  senato  non  trassero 
ad  incontrarlo  »  (4).  Angosciato  tuttavia  dalla  paura,  travagliato  dallo 
spettro  materno,  percosso  —  com'egli  diceva  —  dalle  furie  con  fiac- 
cole ardenti,  «  fece  fare  a  certe  maghi  incantesimi  e  sacrifici,  ten- 
tando invocare  i  Mani  e  placarli  »  (5).  —  Per  una  delle  infinite 
contraddizioni  di  cui  abbonda  il  suo  spirito,  l' imperatore  che  sa- 
crificava umane  vittime  agli  astri,  e  credeva  nelle  virtù  degli  amu- 
leti e  degli  scongiuri  e  soggiaceva  alle  fole  dei  matematici  e 
degli  indovini  (Babilio  astrologo  l'ebbe  gran  tempo  in  suo  potere)  (6), 
si  ritrovò  essere  anche  un  audacissimo  svelatore  delle  ciurmerie 
delle  scienze  magiche  e  delle  superstizioni  ai  suoi  di  più  diffuse  (7). 
—  Che  egli  incendiasse  Boma  è  dubbio;  ma  è  certo  che  dell'incendio 
apertamente  si  compiacque  (8).  —  E  già  ricordai  in  proposito  della 
commedia  del  Cessa  —  ed  è  del  resto  notissimo  —  che  il  Cesare 
antepose  a  ogni  altra  gloria  quella  di  citaredo  e  di  cantore  e  d'attore. 


(1)  Atto  I,    pp.  7-19.   41-68  ;   atto  II,   pp.  89-107  ;  atto  IV.   pp.    157.180  ; 
atto  y,  pp.  200-242. 

(2)  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  XXVIIl. 

(3)  Tacito,  Annali,  XIV,  10. 

(4)  Tacito,  Annali,  XIV,  13. 

(5)  Svstonio,  Viki  di  Nerone,  XXXIV. 

(6)  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  XXXVI,  XLVI. 

(7)  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  LVI;  Plinio,  Hist  nat,  XXX,  ii;  Paubania,  II, 
xzxvii,  5. 

(8)  Svetonio,  XXXVIII;  Dione  Cassio,  LVIII. 


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934  ABT«  OONTXMPOBiLlllA 

e  ch'ai  teoiy  negli  spettacoli  del  Ciico  t^tte  le  inYeiizioiii  e  le  fan* 
tasie  a  1  capricci  della  aa&  estetica  atroce. 

Or  Arrigo  Boito  imagina  che  il  Mago  a  coi  il  Matricida  ehte^ 
i  riti  espiatori  del  suo  delitto  sia  a  punto  Simone.  H  Tanmatiugo, 
che  empie  Boma  delle  sue  malie  e  si  spaccia  per  la  Forza  stessa  di 
Dio,  odia  i  cristiani,  p«  che  in  vano  à  chiesto  a  Fannòl  il  dono 
del  miracolo.  Placata  la  Nemeei;  spinto  per  consiglio  di  TigelliBo, 
Nerone  a  Boma  —  ov'egli  rientra  in  trionfo  fra  i  plausi,  i  canti  e 
le  danse  (atto  I);  —  Simone,  avido  di  avvincere  a  sé  lo  spirito  super* 
stizioso  del  Cesare,  lo  attrae  nel  suo  tempio,  ove,  tra  gli  idoli  e  i 
simboli,  e  al  chiaror  del  braciere  che  arde  suscitando  faville  dai  me- 
talli preziosi  e  dalle  gemme,  dovrà  apparirgli  la  dea  che  à  regno 
sui  terrori  e  su  la  notte.  La  dea  non  è  ohe  Asteria,  la  £uioiiilla 
travolta  nei  misteri  del  Mago.  Ma  essa  ò  tradita  dal  sno  amore  per 
Nerone.  Scoperto  l'inganno,  il  Cesare  trascorre  —  violento  prima,  poi 
impetuosamente  ilare  —  il  sacrario,  infirangendo  e  incendiando  ogni 
cosa;  i  marmi,  i  bronzi,  l'ara,  le  statue,  e  le  imai^ni  e  gli  strumenti 
del  culto.  Simone  è  condannato  a  volare  nel  Circo  il  dì  delle  Lu- 
carie.  Promette  ohe  s'ei^erà  al  cielo  pur  che  in  quel  giorno  scorra 
sangue  cristiano  (atto  II).  Egli  stesso  si  reca  néirorto  ove  al  crepusc<do 
i  sanaci  di  Gesù  si  raccolgono  a  pregare;  e  consegna  Fanuèl  ai  preto- 
riani (atto  III).  Nel  Circo  le  donne  cristiane  son  condotte  a  morire^  trasci- 
nate per  l'arena  dai  tori,  piagata  dai  dardi  de'  sagittari,  sbranate  dai 
veltri.  A  Fanuèl  è  serbato  il  supplizio  di  Lauraolo.  In  vano  Bubrìa  che 
l'ama  —  e  che,  convertita  alla  fède  de*  nazzareni,  n<Ki  à  tuttavìa  mai 
disertata  l'ara  di  Yesta  *-  tenta  di  salvarlo  col  privilegio  dell'antica 
legge.  Svelata  da  Simone,  essa  è  tratta  a  forza  nel  «  branco  delle 
Dirci  >.  Or  tutta  l' arena  echeggia  di  squilli  feroci  e  d' urla  e  di 
plausi  e  di  fragori  terribili  e  di  frenetiche  rìsa.  Ma  improvvisamente 
grida  di  spavento  erompono  dal  fondo  del  criptoportico  e  dalla  parte  più 
alta  dell'edificio,  ove  appaiono  cirri  di  fiamme  e  lingue  di  fuoco.  È 
l'incendio,  che  i  seguaci  del  Mago  anno  appiccato  alle  fornici.  Le 
vampe  si  propagano  rapidamente  :  crollano  gli  archi  e  le  mura  del- 
l'Anfiteatro; rOppidum  non  è  più  che  una  voragine  di  fumo  e  di 
fuoco  (atto  IV,  parte  I).  Nello  spoliario  —  il  sotterraneo  del  Circo 
ove  si  depongono  i  morti  —  Fanuèl  ritrova  il  cadavere  di  Simoo 


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IL  'NSRONfe,   DI  ABRtdO  BOITO  995 

Mago,  iafhuito  da  Dio,  e  xaecoglié  le  ultime  pait)]e  di  Bubrìa  che  gli 
spira  tra  le  tHBcda  ia  aa  segno  di  delizie  immortali  (aito  lY,  parte  II). 
Nerone  à  sapato  della  congiura  dei  e^gaaci  del  Mago;  ma  à  Tie> 
tato  a  TigeUìao  d'attraversarla,  lieto  dello  spettacolo  che  il  caso  gli 
offre.  S  «lestre  ia  devastaEiooe  s'estende  terrìbile,  e  dalla  città  nu- 
vole di  famo  —  che  la  lace  sinistra  colora  —  s' innaltano  di  mo- 
mento in  momento  attraversate  dai  tizzoni   ardenti  lanciati  dagli 
schianti  del  faooo,  rimperatore>  nel  suo  teatro  scoperto  sotto  il  cielo 
caliginoso,  prokae  la  notte  banchettando,  con  Tigellino  —  il  fkyorito, 
Sporus  —  il  cinedo,  M.  Anneo  Lucano  —  il  poeta.  Erculeo  —  il 
sicario,  Terpnos  —  il  musico,  Alituro  —  i*arcimimo.  Si  inneggia  al 
fuoco,  tra  le  danze  lasciTe  delle  fanciulle  gaditane,  in  una  musica 
orgiastica  di  stromenti  percossi  :  crotali,  cimbali,  timpani,  sistri.  Ma 
non  soltanto  per  ammirare  la  bellezza  delle  fiamme  Nerone  à  con- 
vitato i  suoi  diletti.  D'innanzi  a  quella  scena  atrocemente  grandiosa 
egli  evocherà  il  mito  d'Oreste  nella  tragedia  eschilèa.  Sul  palcosce- 
nico, avvolto  in  un  lungo  pallio  nero,  coperto  il  viso  dalla  maschera 
tragica,  il  Cesare  appare  cingendo  con  le  braccia  la  statua  di  Atena. 
Da  principio  la  rappresentazione  segue  fedele  il  testo  greco.  Ma  come 
il  ricordo  del  delitto  s'atteggia  di  precise  imagini  nel  coro,  e 
scoppia  l'urlo  terrìbile  :  «  Matricida]  »,  il  delirìo  invade  Nerone.  Inn- 
tilmente  Gobrìas  —  che  à  olBBcio  di  scabillarìo  —  cerca  di  rìchia- 
marie  alla  parte  del  personaggio  scenico:  in  vano  le  Enmenidi  tor- 
nano con  grandi  gesti  al  prìmo  grìdo.  In  mezzo  all'arco  della  porta 
minore  appare  Io  spettro  di  Agrìppina.  Nerone  si  strappa  la  maschera, 
e  lacera  il  pallio:  è  in  preda  alle  Furie.  Il  coro,  atterrìto,  scompare 
in  fuga;  gli  spettatorì  s'avvicinano  ansiosi  al  proscenio.  Il  Matricida, 
scorto  Erculeo,  lo  ghermisce  per  i  capelli,  lo  trascina  a  forza  su  la 
scena;  e  là,  fra  il  terror  degli  astantì,  rìevoca,  con  voce  concitata, 
tutti  i  particolari  del  suo  delitto.  Quando  discende,  la  sala  è  deserta: 
i  convitati  sono  fuggiti  arrovesciando  i  candelabri  e  le  mense.  Subi- 
tamente gli  sorge  d'innanzi  Asteria,  strìngendo  nel  pugno  un  gruppo 
di  serpi.  Or  le  nubi  di  fumo  che  invadono  il  cielo  dell'Urbe  si  son 
fatte  più  corrusche  e  piti  dense;  e  il  teatro  è  rìschiarato  a  pena  da 
quel  rìverbero  bieco.  Nerone  nel  delirio  non  sa  ormai  distinguere  la 
fanciulla  dalla  Erinni  ;  le  si   lancia  contro  credendo  di  uccidere  la 
viva  imagine  del  rimorso.  L'arma  con  cui  la  colpisce  si  spezza  :  è  un 


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936  ARTE  GONTEMPORANBA 

pugnale  da  scena.  Giungono  lugubri  voci  annuncianti  la  dissoluzione  del 
mondo.  E  una  visione  terribile  a  poco  a  poco  si  forma;  le  figure  oi^a- 
stiche  dei  mosaici  che  adomano  il  proscenio  si  trasmutano  nei  cadarerì 
delle  Dirci  straziati  nel  Circo  :  corpi  di  donne  e  di  fanciulle^  in  tragici 
aggruppamenti,  entro  una  luce  livida  e  fioca.  Il  Cesare  si  stringe  ad 
Asteria,  furiosamente  baciandola  in  un  impeto  di  voluttà  e  di  terrore. 
Languida,  inebriata,  la  fanciulla  gli  si  abbandona  tra  le  braccia; 
il  suo  voto  si  compie;  appuntandosi  alle  carni  una  piccola  lama,  nel- 
Furto  di  un  ultimo  amplesso  se  la  configge  nel  cuore.  Risorgono  le 
voci  ;  gli  spettri  delle  vittime  di  Nerone  ingombrano  le  porte.  Cor- 
roso dall'incendio  che  si  propaga,  crolla  il  muro  del  teatro  imperiale; 
nel  vano  appajono  le  luminarie  degli  orti  coi  cristiani  che  ardono, 
nelle  tuniche  picee,  legati  ad  alti  pali.  E  Nerone  cade  svenuto  tra 
gli  squilli  furiosi  delle  trombe  nel  cielo^  e  nel  fragore  immenso  d'un 
grido  che  lo  maledice  in  eterno  (atto  V). 

0  indugiato  su  quest'ultima  scena  —  in  cui  il  dramma  attinge 
la  sua  catastrofe  —  perchè  tutta  la  anima  la  poesia  dell'Apocalisse. 
Le  ombre,  gli  squilli,  le  grida,  le  maledizioni  che  l'empiono  non  sono 
artifici  0  partiti  di  poeta  che  romanticamente  si  compiaccia  del 
macabro  e  del  fosco:  sono  elementi  in  vece  di  quella  delirante  lette- 
ratura che  il  fantasma  di  Nerone  suscitò  fra  i  cristiani.  Ricordate 
che  la  visione  attribuita  all'evangelista  Giovanni  fu  materiata  dei 
terrori  propagatisi  alla  notizia  che  il  Mostro,  scampato  alla  morte, 
riparato  presso  i  Parti,  sarebbe  tornato  all'impero  più  torbido  e  vio- 
lento contro  i  perseguitati.  E  non  a  caso,  né  per  vaghezza  di  simboli 
strani,  il  Boito  volle  illuminare  il  convito  neroniano  coi  sette  cande- 
labri ardenti,  e  far  ministra  dell'orgia  la  cortigiana  ebbra  che  —  se- 
duta sopra  un  drago  di  bronzo  dalle  sette  teste,  vestita  di  porpora 
scarlatta  e  d'oro,  coronata  di  gemme  —  erge  trionfalmente  la  coppa 
ricolma  (1). 


(1)  È  la  rappresentazione  di  Roma  neW  Apocalisse  : 

«  3.  ...  ed  io  ?idi  una  donna,  che  sedeva  sopra  una  bestia  di  color  di  tcarlatto, 
piena  di  nomi  di  bestemmia,  ed  avea  sette  teste,  e  dieci  corna. 

«  4.  ^  queììa  donnaf  ch'era  vestita  di  porpora^  e  di  scarìatto,  adoma  (foro, 
e  di  pietre  preziose,  e  di  perle,  avea  una  coppa  d'oro  in  mano,  piena  d'abbo- 
minazioni,  e  delle  immondizie  della  sua  fornicazione. 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  937 

Poi  che  razione  trascende  i  casi  delle  persone  —  di  cui  si  intrec- 
ciano gli  episodi  vari  del  dramma.  La  favola  di  Nerone  non  tanto  à 
valore  per  sé  quanto  per  le  figurazioni  alle  quali  dà  luogo,  per  l'argo- 
mento in  somma  ch'essa  offre  alla  rappresentazione  di  quel  contrasto 
di  sentimenti  e  di  credenze  in  cui  è  più  propriamente  la  significft- 
zion  profonda  cosi  della  storia  e  della  leggenda  come  della  tragedia. 
E  il  contrasto  si  svolge  per  diversi  modi,  potentissimi  tutti:  tra  la 
dottrina  vera  e  la  falsa;  tra  la  superstizione  e  la  fede;  tra  la  lus- 
suria e  l'amore;  tra  l'ebrezza  di  godimento  e  di  dominio,  e  l'ardor 
di  sacrificio  e  di  rinuncia;  tra  la  decadenza  che  si  rispecchia  è  si  com- 
piace nel  Cesare,  e  il  presentimento  dell'avvenire  che  si  esalta  e  si 
affisa  in  Dio.  L'intreccio,  dopo  averli  paratamente  ritratti,  pone  un 
istante  a  fronte  i  due  mondi:  nel  Circo.  Con  Simone  e  Nerone  il 
paganesimo  trionfa.  Ma  è  trionfo  efimero:  il  Mago  cade  infranto  da 
Dio,  e  in  torno  all'imperatore  delirante,  vittima  di  qxkelVistrionismo 
eh 'è  la  fonte  stessa  della  perversità  sua,  gli  squilli  delle  trombe  an- 
geliche annunciano,  dopo  il  regno  del  male,  l'avvenimento  del  regno 
di  Dio:  la  futura  vittoria  della  fede   cristiana. 

Da  questo  momento  che  importanza  possono  ancora  avere  per  la  tra- 
gedia i  casi  di  Nerone?  Quelli  tra  i  crìtici  i  quali  credettero  che 
soggetto  del  dramma  fosse  la  vita  del  Cesare,  dirittamente  (a  lor 
modo)  giudicarono  che  l'azione  non  aveva  catastrofe;  avrebbero  anzi 
dovuto  affermare  senz'altro  che  propriamente  azione  non  v'era.  L'op- 
porre —  come  altri  fece  —  che  «  dopo  l'incendio  di  Roma  quella 
«  vita  non  presenta  più  nulla  di  singolare  perchè  Nerone  rimase 
«  qual'era  fino  all'estremo  »  non  è  esatto:  per  non  citar  che  un  esempio, 
l'ultimo  anno,  la  vicenda  di  folli  confidenze  e  di  terrori  all'annuncio 
della  ribellione  di  Vindice,  i  particolari  della  fuga,  potevano  essere 
—  e  furono  di  fatto  ad  altri  —  argomento  a  rappresentazione  scenica 
Tìva  e  attraente. 

La  verità  è  che  la  materia  del  dramma  doveva  essere  ricercata  non 
nei  fatti  di  Nerone,  ma  in  un  più  vasto  complesso  di  elementi. 
Qaale,  vedemmo.  Or  bastava  por  mente  a  ciò:  ne  sarebbe  apparsa 


«  5.  E  in  sa  la  saa  fronte  era  scritto  un  nome  :  Mistero,  Babilonia  la  grande, 
la  madre  delle  fornicazioni,  e  delle  àbbominazioni  della  terra  *. 

I  Bette  squilli  annunciano  i  sette  flagelli  straggitori  della  figura  del  mondo. 


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938  ARTE  CONTEMPORANEA 

cbiarisama  la  mirabile  unità  d'astone  di  quest'opera,  chiasa  dallo 
scìeglimeato  pik  appropriato,  più  poetico,  più  veramente  tragico  cbe 
laatasia  d'artista  potesse  imaginaré  e  ritrarre. 


Se  dunque  è  vero  che  la  tragedia  dev'essere  —  come  scrive  Bic- 
cardo  Wagner  —  «  concepita  nel  seno  della  musica  »,  se,  in  altri 
termini  —  «ome  il  Nietzsche  commuta  —  essa  <  deve  sorgtt^'dauao 
«  stato  diomsiaoo  dell'anima  agognante  di  rivelare  il  suo  sogno  d'eb- 
be brezza  »,  nessuna  opera  risponde  a  questa  legge  d'estetica  meglio 
del  Nerone  di  Arrigo  Boito.  L'inspirazione  che  l'anioia  muove  — 
vedemmo  —  dal  mondo  interiore,  dalle  profonde  intimità  del  senti- 
mento; e  per  ciò  a  punto  è  tale  che,  dopo  essersi  determinata  nella 
parola  e  atteggiata  di  visibili  apparenze  nella  plastica  della  scena, 
anela  ancora  alla  musica  dal  cui  regno  è  sorta  e  nelle  cui  forme 
soltanto  può  trovare  la  sua  espressione  compiata. 

Se  non  che  nel  dramma  musicale  armonia  e  melodia,  mimica  e 
parole,  se  bene  tutte  concorrono  in  un  unico  intento,  stan  tuttavia  tra 
loro  in  rapporti  ad  ora  ad  ora  diversi  secondo  i  Biomenti  vari  e  le 
mutevoli  necessità  dell'azione.  «  Perchè  l'espressione  abbia  unità  vera, 
«  occorre  che  la  forma  scelta  sia  tale  che  per  essa  la  più  vasta  con- 
«  cezion  del  poeta  possa  in  ogni  istante  tutta  rivelarsi  alla  commo- 
«  zione  dello  spettatore.  Pw  ciò  le  arti  —  poesia,  musica,  danza  — 
«si  riveleranno  in  manifestazioni  di  volta  in  volta  diverse;  quando 
«  tutte  insieme,  quando  a  due  congiunte,  quando  una  sola  separata- 
«  mente  —  secondo  che  richiede  l'azione  drammatica  la  quale  sol- 
€  tanto  dovrà  determinare  la  misura  e  il  grado  d'intensità  ohe  cia- 
«  scuna,  in  ogni  momento,  deve  avere.  Talora  la  mimica  si  arresterà 
«  e  il  personaggio  rimarrà  immobile  come  per  ascoltare  il  dibattito 
«  che  gli  si  agita  nel  pensiero;  tale  altra  il  volere  darà  alla  sua  ri- 
«  soluzione  l'immediata  espression  del  gesto;  tale  altra  alla  musica 
«  sola  sarà  affidato  il  compito  di  tradurre  l'empito  del  sentimento,  il 
«  brivido  della  passione;  tale  altra,  ancora,  tutte  insieme  le  tre  arti 
<  —  strettamente  allacciate  —  dovranno  in  un'egual  misura  coope- 
«  rare  alla  rivelazione  del  dramma La  musica  stessa  non  dovrà 


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IL  *  NBRONB  ,  DI  ARRIOO  BOITO  «•  999 

«  svolgersi  in  tutta  la  sua  ampiezza  se  non  là  ov^ella  deve  avere  in- 
«  tero  dominio;  in  quei  momenti  per  contro  in  cui  la  parola  à  nel- 
4c  l'azione  l'importanza  maggiore  la  musica  le  dovrà  esser  soggetta. 
«  Ora  quest'arte  possiede  a  punto  la  facoltà  di  piegarsi  obediente  a 
«  ogni  più  diversa  necessità  del  linguaggio  senz'esser  costretta  mai  a 
«  tacere  del  tutto;  essa  può  dunque  lasciar  libero  campo  alla  parola 
4c  pur  non  mai  rimanendosi  dall'arricchirla  col  suo  commento  »  (1). 
Così  Biccardo  Wagner. 

E  il  più  acuto  de'  suoi  interpreti  continua:  «  Poi  che  nella  tra- 
4c  gedìa  l'unità  dell'espressione  à  da  essere  non  materiale  ma  intima 
«  (deve  procedere  —  cioè  —  dall'intento  di  manifestare  intera  ai  sensi 
«  e  all'anima  la  concezione  poetica),  è  evidente  che  essa  importa  la 
«  necessità  di  mutamenti  continui  nel  vario  intrecciamento  delle  arti. 
«  n  fondamento  dell'espressione  artistica  rimane  pur  sempre  la  pa* 
«  rola.  Il  linguaggio  —  è  noto  —  à  sua  origine  nel  grido,  nel  suono 
«  musicale;  ma  quando,  dopo  aver  percorso  tutto  il  dominio  del  pen- 
«  siero,  esso  deve  esprimere  l'intima  essenza  del  sentimento,  si  trova 
«costretto  a  risolversi  un'altra  volta  nella  musica  (2);  donde  segue 
«  che  se  la  parola  è  il  fondamento  dell'espressione  drammatica,  la 
«  musica  —  che  è  la  radice  e  il  fior  della  parola  —  dovrà  nella 
«  tragedia  occupare  il  luogo  a  cui  le  dà  diritto  l' importanza 
«  della  sua  origine  e  de'  suoi  fini.  Poi  che  nel  seno  di  essa  è  conce- 
«  pito  il  dramma,  e  poi  che  per  essa  si  attua  l'unità  dell'espres- 
«  sione,  la  musica  non  tacerà  mai  del  tutto;  ma  non  è  men  vero  per 
«  questo  che  l'intensità  sua  potrà  -—  dovrà  anzi  —  perennemente 
«  variare  sopra  tutto  nei  suoi  rapporti  con  la  parola.  E  così  di 
«  ciascun'altra  arte  in  relazione  a  quelle  cui  è  congiunta.  Che  se  in 
«  un  particolare  momento  del  dramma,  una  di  esse  acquista  impor- 
€  tahza  snprema,  le  altre  dovranno  per  ciò  a  punto  attenuarsi  o  ri- 
«  trarsi  »  (8). 


(1)  Riccardo  Wagner,  Opera  e  dramma.  Le  parole  citate  boro  a  pagine  187 
del  libro  IV  e  189  del  libro  III  deiredizione  originale. 

(2)  Sono  note  le  osservazioni  di  Hbrbert  Spencer,  sa  la  mosicalità  del  lin- 
gnaggio  ne*  momenti  di  più  int^ìnsa  commozione.  Psicologia,  voi.  II,  parte  YIII, 
capitolo  II. 

(3)  H.  S.  CuAMBBRLÀiN,  Le  drame  wagnérien,  pp.  130,  131. 

Rifitin  mutieaU  italiana^  Vni.  61 


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940  ABTB  GONTEMPORANBA 

E  un'altra  cosa  ancora  ci  conviene  osservare  quanto  alla  poesia. 
Poi  che  nella  tragedia  la  musica  rivela  direttamente  la  passione  con 
una  immediata  potenza  ignota  alle  altre  arti,  la  parola  non  è  più 
costretta  a  descrivere  e  a  commentare  i  vari  moti  dell'anima;  e  può 
per  tal  modo  raggiungere  a  tratti  una  rapidità,  una  sobrietà,  una 
concisione  che  nella  forma  del  dramma  letterario  —  ove  essa  è  tutto 
—  le  sono  negate^  se  non  voglia  di  necessità  riuscire  incompiuta  ed 
oscura.  Anche  le  è  consentita,  in  altri  momenti,  un'arditezza  che 
nell'antica  forma  —  disciplinata  dal  rigor  delle  leggi  letterarie  — 
parrebbe,  e  sarebbe,  intollerabile  licenza.  Quando  la  passione  attinge 
il  più  acuto  lirismo,  e  la  sinfonia  tutto  travolge  nel  suo  impeto,  la 
parola  può  bene,  repudiando  le  leggi  astratte  del  discorso,  dissiparsi 
nei  suoni,  risolversi  un'altra  volta  nell'onomatopeja  e  nel  grido  onde 
nacque,  perdersi  nel  linguaggio  rotto  e  incoerente  della  passione.  Si  à 
in  questo  caso  l'attenuazione  via  vìa  più  profonda  del  senso  delle  frasi, 
la  liberazione  del  verbo  da  ogni  costrizione  delle  convenzioni  logiche, 
la  dedizione  della  parola  alla  signoria  della  musica.  Il  linguaggio 
non  serve  più  che  a  dar  colore  all'espressione,  a  produrre  un  effetto 
di  suoni;  la  musica  avvolge  i  versi,  sovverte  e  scompiglia  le  compa- 
gini metriche,  ne  stacca  alcune  parole  e  le  fa  riscintillar  come  gemme, 
trasfigura  le  altre;  allunga  certe  sillabe,  altre  ne  restrìnge  e  contrae, 
altre  distrugge;  e  tutto  trascina  e  trasmuta,  dissolve  e  ricompone  nella 
soverchiante  veemenza  delle  sue  sonorità  e  de'  suoi  ritmi  (l). 

Dopo  di  che,  ecco. 

Della  plastica  scenica  il  Boito  si  giova  sopra  tutto  per  la  rievocaziime 
della  vita  esteriore  romana.  Non  mai,  ch'io  sappia,  fantasia  di  poeta 
drammatico  apparve  più  ricca  di  colori  e  di  forme.  Bicorrono,  leg- 
gendo, di  tratto  in  tratto  al  pensiero  le  maliose  magnificenze  del 
Veronese.  Se  non  che  l'artista  moderno  è  anche  un  dotto;  le  m» 
concezioni  plastiche  son  vere  ricostruzioni  di  una  civiltà  studiata  e 
rivelata  fin  ne'  particolari  più  minuti.  Né  mai,  pur  fra  tanto  splen- 


(1)  Gli  stadiosi  delle  opere  wagneriane  penseranno  al  canto  d'amore  che  nel 
terzo  atto  del  Siegfried  celebra  le  nozze  deireroe  con  la  Valchiria,  e  all'inno 
d'Isolda  morente  nel  Tristano.  Anche  le  tragedie  greche  (ed  è  strano  ohe  non 
sia  stato  osservato)  abbondano  nei  momenti  più  Teramente  musicali  di  passaggi 
onomatopeici  fatti  di  interiezioni  e  di  gridi.  Cosi,  per  non  citare  che  nn  esempio, 
il  lamento  dell'eroe  nel  Fiìottete  di  Sofocle. 


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IL  '  MXRONI ,  m  ARBIOO  BOITO  941 

dorè  e  tanto  sfarzo,  egli  si  lascia  vincere  alle  sedazioni  degli  effetti 
ricercati  per  un  fine  d'ozioso  diletto.  Le  vane  pompe  dell'opera  meyer- 
beeriana  —  la  più  falsa  tra  le  molte  falsissime  forme  del  melodramma 
ottocentesco  --  sono  ignote  al  Nerone.  Alle  mani  del  tragedo  la 
mimica  ritorna  qual'  era  ne'  suoi  dì  più  felici  :  «  animata  scoltura  »  ; 
non  mai  partito  d'ornamentazione  fantasiosa  o  bizzarra,  ma  mezzo, 
potentissimo  sempre,  d'espressione  del  dramma.  Se  l'imagine  del  tor- 
bido delirio  frigio  non  fosse  necessaria  alla  rappresentazione  del  costume 
di  quell'età  in  cui  alle  nuove  superstizioni  si  mescevano  le  antiche 
rinascenti,  il  mistero  delia  notte  romana  non  sarebbe  violato  dall'orgia 
de'  ooribanti  (atto  I,  pp.  28,  29)  travolta  nella  corsa  frenetica  che 
Giovenale  descrisse: 

Ecce  furentis 
Bellonae  matnsque  deum  choros  intrat  et  ingens 
Semivir,  obsceno  facies  reverenda  minori, 
Mollia  qui  rapta  secnit  genitalia  testa 
lam  pridem,  cui  rauca  cohorSi  cui  lympana  cedunt 
Plebeia  et  Phrygia  vestitur  bucca  tiara  (1). 

Né  le  fanciulle  gaditane  intreccerebbero  danze  su  l'Appia  e  nel  tri* 
clinic  scandendo  coi  passi  e  coi  gesti  i  floridi  dattili  e  i  corimbi 
lascivi  d'una  strofe  d'amore  (atto  I,  pp.  49,  50;  atto  V,  p.  201),  se 
delle  lor  grazie  impudiche,  educate  a  tutti  gli  allettamenti  del  senso, 
non  si  fossero  giocondati  per  uso  i  conviti  romani  e  le  feste  (2).  In- 
spirata al  racconto  di  Tacito  (3),  materiata  qua  e  colà  di  particolari 
attinti  a  una  descrizione  di  Svetonio  (4)  e  intimamente  congiunta 
all'azione  è  la  vision  del  Trionfo  che  avvolge  la  fine  del  primo 
atto  in  un  fol(^orìo  di  smaglianti  imagini  profuse  (attol,  pp.  47-68). 


(1)  Satira  VI,  Yerei  510-515. 

(2)  GiovBiTALX,  Satira  XI,  verri  510-515: 

Forsitan  exspectes,  ut  Gaditana  canoro 
Incipiat  prarire  choro,  plaosaqae  probatae 
Ad  terram  tremalo  descendant  clone  paellae, 
Irritamentam  Yeneris  languentis  et  acres 
Divitis  nrticae. 
Marziale^  Epigrammi,  l,  xuii. 

(3)  Tacito,  AnnaU,  libro  XIV,  12  e  seg. 

(4)  SvBTOHio,  Vita  di  Nerone,  XXV,  XXX. 


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942  ARTK  CONTEMPORANEA 

«Vennero  —  narra  lo  storico  —  le  tribù,  e  schiere  di  donne  e 
fanciulli,  &tti  gradi  per  vederlo  passare  come  in  trionfo  »  (1).  E 
tutta  veramente  la  Boma  imperiale  è  nel  corteo,  che,  nella  tragedia 
come  nella  storia,  muove  alla  volta  del  Cesare  dubitoso  e  atterrito. 
Passano  i  corrieri  mauritani  ;  le  coorti  de'  pretorijtni  cui  precedono  gli 
eneatorì  con  le  loro  buccine  squillanti  ;  le  torme  dei  Bheti  e  dei 
Galli  dalle  capellature  tinte  del  color  del  sangue;  le  decurie  delle 
guardie  germane  rilucenti  nelle  armi;  e,  tra  la  moltitudine  che  ac- 
corre dall'Urbe  e  s'incalza,  le  frotte  degli  acclamatori  e  ì  gruppi  dei 
falangarii  e  le  turbe  confuse  d'Armeni,  di  Etiopi,  di  Indiani,  di  Egi- 
ziani, di  Greci  ;  e  patrizii  e  aurighi  e  liberti  in  elegante  lacerna;  e 
nelle  gaje  vesti  gli  artisti  dionisiaci  ;  e  i  senatori  in  lacticlavio  e  i 
tribuni  ;  e,  sconvolgendo  nell'impeto  della  corsa  la  folla  e  le  schiere, 
i  cavalieri  augustani  «  creati  dal  Cesare  perchè  applaudissero  dì  e  notte 
alla  sua  bellezza  e  alla  sua  voce,  e  lo  chiamassero  con  titoli  divini  >  (2). 
E  passano,  alto  levate  o  recate  sui  carri  e  sui  fercoli,  le  imagini  trion- 
fali del  paganesimo;  le  aquile  e  le  insegne  guerresche,  i  simulacri 
degli  iddii,  i  simboli  dei  conviti  e  della  scena.  Le  falere,  le  collane, 
le  armille,  le  loriche,  gli  scudi,  i  cristalli  e  le  gemme  scintillano 
nel  sole  che  sorge.  E  la  folla  tuttavia  cresce;  s'accalca;  invade  i 
campi  di  là  dalla  via;  unisce  ai  plausi  studiati  degli  acclamatori 
l'impeto  e  l'entusiasmo  delle  sue  grida.  E  nelle  voci,  or  incomposte 
or  concordi,  risuonano  tutte  le  imprese  vere  o  mentite  del  Cesare 
—  il  taglio  dell'istmo,  le  rivelate  origini  del  Nilo,  la  sconfitta 
degli  Armeni,  le  vittorie  nei  giochi  ellenici  (3)  —  e  si  alternano 
tutte  le  lodi:  della  bellezza,  della  potenza,  dell'audacia,  dell'arte, 
della  grazia,  del  canto.  E  l'entusiasmo  tocca  il  delirio  quando,  tra 
il  propagato  clamore,  negli  squilli  degli  eneatori  saliti  su  le  tombe 
e  sul  tumulo,  si  avanza  —  recata  dagli  schiavi  etiopi  e  circondata  dai 
giovinetti  asiatici  dalle  lunghe  chiome  odorose  (4)  —  la  lettiga  impe- 
riale, coronata  da  un  fastigio  di  gemme,  chiusa  nel  velario  di  porpora 
fulgido  di  smeraldi  e  di  perle  altemantisi  nelle  lunghe  fimbrie ,  e  le 


(1)  Tacito,  Armali,  libro  XIV,  15. 

(2)  Tacito,  Annali,  libro  XIV,  15. 

(:^)  SvETONio,  XIIT,  XXIII,  XXIX,  XXXI,  XXXVII,  XL,  LV;   Tacito,  ^ii- 
noli,  XV,  18,  39,  42. 

(4)  Svetomio,  Vita  di  Nerone,  XX. 


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IL  '  NiaONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  943 

voci  si  confondono  in  un  solo  grido:  <cAve,  Cesare !i^  e,  spinto  da 
Tigellino,  Nerone  appare  in  tunica  d*oro  e  di  j acinto  mentre  i  tribuni 
corrono  a  baciargli  le  mani  (1),  e  fiori,  e  nastri,  e  fronde  di  palma,  e 
ghirlande  piovono  sul  trionfatore. 

Poi  che  la  rappresentazione  è  qui  tutta  diretta  —  per  imagini  fisive 
—  il  compito  della  poesia  di  necessità  si  restringe.  La  parola  non  è 
in  fatti  usata  in  questa  scena  che  per  dare  la  significazione  al  grido. 
Non  periodi,  dunque,  non  frasi  regolari  in  cui  si  svolga  un  pensiero, 
non  aggruppamenti  di  sistemi  di  metri;  ma  esclamazioni  e  interiezioni 
avvicendata  nel  verso  sciolto  dalla  rima,  di  continuo  spezzato  inter- 
rotto ripreso.  Come  queste: 

IL  POPOLO 

È  salvo!  Gioia! 

ALTRE  VOCI  DEL  POPOLO 

Al  colle!  Al  colle!  Al  colle! 

GLI   AOOLAMATOBI 

Ave  Nerone!  A  noi  tua  lieta  stella  rifulge! 

LE  SCHIERE  OHE  PASSANO 

Ave  Nerone!  Ave  Nerone! 

OLI   ACOLAMATORI 

Largo! 
Largo  alle  schiere. 

ALTRE  VOCI  * 

Olà!  Largo  alle  schiere! 

GLI   ACOLAMATORI 

Ave  Cesare*! 

IL   POPOLO 

Ave. 

UNA  COMPAGNIA  d'aRTISTI   DIONISIACI 

Ave  Cesare! 

GLI   ACOLAMATORI 

Augusto!  Augusto! 


(1)  Tacito,  ArmaK,  XIV,  10. 


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/ 


944  ARTS  CONTIMPORANIA 

I   GBNHOiri 


Ave  Zesar! 


OLI   ACOLAMATOBI 
MOLTE  YOOI 

Udìtel  Udite! 


Udite! 


I   DIONISIACI 

È  sacro  il  coro. 

GLI   ACCLAHATOBI 

Ei  giunge. 

LA   PLKBB 

Ei  giunge!  £i  giunge!  È  là! 

GLI   AUGUSTINI 

«  L'Amazzone 

Greca  s'avanza. 

LA   PUEBB 

È  già  vicino!  Gioia!  (1) 

Del  pari  la  musica  non  trova  qui   luogo  (salvo  alcuni  accenni 
cjie  sùbito  dileguano)  a  forme  simmetriche  e  chiuse  di    arie  di 
danza,  di  monodie,  di  cori.  I  modi  in  cui  essa  dovrà  svolgersi  son 
determinati  dalla  plastica  della  scena.  Gli  infiniti  atteggiamenti  tra- 
N  verso  a  cui  passa  di  momento  in  '  momento  mutevole  la  vision  del 

trionfo  impongono  al  linguaggio  dei  suoni,  una  varietà  perenne  di 
tonalità  e  di  ritmi,  di  discordi  e  di  accordi,  di  movimenti  e  di  figure, 
che  solo  potrà  dispiegarsi  in  una  composizione  sciolta  da  ogni  regola 
scolastica,  liberamente  svolgentesi  in  tutte  le  dovizie  d'una  complessa 
polifonia  stromentale  e  vocale.  Ha  oltre  che  la  vita  del  ritmo,  la 
musica  recherà  anche  a  questa  scena  ciò  ch'essa  sola  può  dare:  Tu- 
nità  dell'impressione  ;  facendo  su  tutto  rifulgere  la  significazion  del 
sentimento  concorde  che  per  varie  guise  tumultuosamente  s'esprime 
nei  canti  della  folla,  e  negli  atti,  e  nelle  esclamazioni,  e  nelle  grida. 


(  1)  Atto  I,  pp.  51-53,  56-58,  58-00. 


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IL  *  NBRONB  ,  DI  ARRIGO  BOITO  945 

OsservaKioni  alcun  poco  dìfeise  occorrono  per  la  prima  parte  del- 
l'atto quarto:  Il  Circo  Massimo. 

Qui  la  rappresentazione  della  vita  dell'Urbe  —  colta  in  uno  de'  suoi 
aspetti  essenziali  —  si  svolge  no^  più  in  un  momento  unico,  ma  in  una 
serie  di  episodi  con  sottile  arte  collegati  e  variati.  La  scena  ò  nell' Op* 
pidumj  fra  i  due  grandi  archi  centrali,  di  cui  l'uno  si  apre  su  l'Arena, 
l'altro  riesce  sul  Foro  Boario.  Entra  per  quest'arco  la  viva  luce  diurna  ; 
su  la  soglia  opposta  fiammeggia  il  riflesso  delle  vele  di  porpora  tese 
sul  podio  a  riparo  dal  sole.  Vortici  di  folla  irrompono  da  ogni  lato. 
E  gli  episodi  si  succedono:  cozzano  le  fazioni  rivali  in  tomo  all'auriga 
di  parte  prasina  ritornante  vincitore  della  gara;  sfilano,  preceduti  dal 
lanista,  i  gladiatori  avviantisi  all'arena  —  traci  e  sanniti,  mirmilloni 
e  reziari;  attraversano  VOppidum  movendo  alle  precinzioni  dell'an- 
fiteatro il  volgo  dei  tunicati  e  de'  pileati,  e  i  liberti,  i  cavalieri,  i  magi- 
strati, i  senatori,  le  matrone  —  su  le  cui  vesti  tra  i  ricami  d'oro  e 
d'argento  rifulgono  i  prodigi  dell'^r^  plumaria  e  si  alternano  il  roseo 
pallido,  il  cèreo,  il  ceruleo,  il  croceo  chiaro,  il  glauco,  con  tutte  le  piti 
preziose  porpore  tranne  l'ametistina  e  la  jacintina  interdette  (1);  si 
dispongono  gli  apparecchi  del  supplizio  dircèo  in  cui  per  il  capriccio 
del  Cesare  due  patrìzi  sono  eletti  a  rappresentare  i  personaggi  di 
Anfione  e  di  Zeto  (2);  passa,  atroce  visione,  il  corteo  delle  Dirci 
cristiane  che  i  bestiari  percuotono  coi  flagelli  e  cui  seguono  i  sagit- 
tarìi  con  gli  archi  e  ì  dardi  e  le  faretre;  prorompono  i  vituperi  e.i 
dileggi  e  gli  insulti  della  plebe  più  sordida  in  torno  a  Fanuel  con- 
dotto a  morire  su  la  croce  (3). 

Ma  vi  è  altro.  La  tragedia  musicale  à,  tra  le  sue  molte  virtù,  ignote 
alla  letteraria,  anche  questa  singolarissima;  che  la  multiformità  delle 
espressioni  le  consente  pur  di  rappresentare  una  contemporaneità  di 


(1)  SvBTOHio,  Vita  di  Nerone,  32:  e  Vietò  Taso  dell'ametista  e  della  porpora  ». 

(2)  Sybtonio,  Vita  di  Nerone,  12:  «lodasse  qoattrocento  senatori  e  seicento 
cavalieri  romani,  talani  de*  più  ricchi  e  reputati,  a  combattere  con  Tarmi,  e  degli 
stessi  ordini  ad  andare  contro  le  fiere  e  ad  cUtri  eeerdei  dei  cmfUeairo  ».  — 
QiovBNiLE,  Satira  Vili,  versi  192  e  segg.: 

Quanti  sua  fonerà  vendant, 
Quid  refert?  vendnnt  nullo  cogente  Nerone, 
Nec  dnbitant  colsi  praetoris  vendere  ladis. 

(3)  Tacito,  Annali,  XV,  41.44. 


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946     .  ARTI  CONTBMPOaAMBA 

azioni.  Meniare  questi  vari  episodi  si  svolgono,  il  dramma  procede 
ne'  dialoghi  (in  cui  la  parola  à  importanza  suprema)  tra  Simone  e 
Gtobrias,  tra  Tigellino  e  Nerone,  tra  l'Imperatore  e  la  Vestale. 
Né  basta:  incessantemente  giungono  neìVOppidum  i  clamori  del  Circo 
(l'arena  è  —  come  dissi  —  sottratta  agli  sguardi),  gli  squilli  che 
annunciano  i  combattimenti  e  le  stragi,  le  voci  incitatrici,  e  i  plausi, 
e  gli  urli,  e  gli  osceni  scherzi,  e  le  risa  (pag.  158-166,  175).  Qui 
ancora,  come  nel  Trionfo,  la  parola  non  dà  (né  altro  potrebbe  dare) 
che  la  significazione  del  grido  (l).  Bievocare  la  gioja  feroce  delle 
moltitudini  adunate,  con  tal  continuata  potenza  che  l'imagine  dì  essa 


(1)  LB  GRIiyA   DEL  CIRCO 

Yogliam  le  Dirci  ! 

MOLTE  VOCI  LONTANI 

Uccidi!  Ucddi! 

UNA  TOCB 

Non  sa  morir. 

MOLTE  YOCl  YICINR 

Vile!  hai  paura. 

Basta! 
Basta  !  Yogliam  le  Dirci  1  Basta  ! 

UNA  TOOB 

Bravo  ! 

UN*ALTRA  TOCB 

Bel  colpo  ! 

UN  GRIDO  GENERALE 

Basta. 

MOLTE    TOGI 

Morte  al  reziario. 

UNA   TOOE 

Gli  pungi  la  ventraja! 

MOLTE  VOCI    LONTANE 

AirOreo  !  AirOroo  ! 

MOLTE  YOCI    RIDENDO 

Ah  !  Ah  ! 

UBA  VOCE 

La  spada  Dnisa. 

UN*ALTRA 

Lo  staffile  ! 

GRANDI  RISA  X  80B10NAZZI 

Ah  !  Ah  !  Ah  !  Ah  ! 

GRIDA  GBKBRAU 

No!  No!  No!  No!  (s'ode  wwMqmUo) 

MOLTE    YOCI 

Le  Dirci! 


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IL  '  NKRONS  ,  DI  ARRIGO  BOITO  947 

occupi  l'anima  dello  spettatore  pur  tra  il  succedersi  e  lo  svolgersi 
de' diversi  avrenimenti  sa  la  scena,  è  serbato  alla  musica;  alla  quale 
qui  veramente  il  Boito  riconosce  ed  affida  il  compito  di  <  figuratrice 
dell'invisibile  ». 

Così  questa  prima  parte  dell'atto  quarto  è  per  tal  modo  composta, 
che  le  manifestazioni. delle  varie  arti, pur  procedendo  congiunte,  de- 
vono or  l'una  or  l'altra  prevalere  (la  mimica  negli  episodi,  la  parola 
ne'  dialoghi,  la  musica  nell'espressione  dei  sentimenti  e  nella  rievo- 
cazione del  tumulto  del  Circo)  secondo  le  necessità  d*ora  in  ora  mu- 
tevoli dell'azione. 

Ma  altri  momenti  v'ànno  in  cui  l'imagine  e  il  sentimento  ce- 
dono nel  dramma  al  pensiero;  in  cui  per  la  scena,  in  somma, 
ciò  che  più  importa  è  non  la  commozione  o  la  visione  ma  la  no- 
zione. Qui  il  discorso  si  svolge  in  tutta  la  sua  ampiezza  e  secondo 
regole  proprie,  e  il  concetto  si  determina  con  compiuta  efficacia  nella 
parola.  Vedete  l'orazione  studiata  e  preparata  con  arte  che  il  Cesare 
recita  su  la  fossa  ove  à  sepolto  l'urna  del  cenere  materno  (atto  I, 
p.  11-12);  la  descrizione  che  Simon  Mago  fa  della  decadenza  romana 
(atto  I,  p.  89);  1  versi  di  Nerone  declamati  dagli  artisti  dionisiaci 
(atto  I,  p.  57);  l'inno  in  cui  si  dispiega  la  <  Grande  Esposizione  » 
della  teurgia  simoniana  (atto  II,  p.  77-78);  la  parabola  dell'Evan- 
gelo di  Matteo  rifiorita  nel  ricordo  di  Bubria  (atto  III,  p.  116-117); 
tutta  —  fino  al  delirio  —  la  rappresentazione  della  tragedia  eschilèa 
(atto  y,  p.  207-211).  Sono  tratti,  cotesti,  di  vera  e  squisita  lettera- 
tura; a  cui  la  musica  potrà  aggiungere  i  suoi  commenti  (giova  spe- 
rare anche  efficacissimi),  ma  che  in  tanto  si  presentano  in  sé  finiti, 
perchè  —  espressioni  di  concetti  —  traggono  il  lor  valore  dalla  im- 
portanza stessa  delle  cose  significate. 

Altri  momenti  ancora  v'ànno  —  qua  e  là  sparsi,  fugaci  spesso  e 
improvvisi  —  in  cui  la  parola  o  ritrae  un  £Eitto  o  esprime  il  motivo 
d'una  situazione  o  d'un  atto,  e  dovrà  rilevarsi  dalla  trama  musicale, 
nella  declamazione,  nitida  spiccata  scolpita.  Qui  pure  il  linguaggio 
primeggia,  e  l'espression  verbale  si  disegna  in  contomi  precisi  e 
recisi.  Tali  le  formule  del  rito  che  Simone  pronuncia  (atto  I,  p.  17),  la 
richiesta  del  dono  del  miracolo  nella  tentazione  di  Fanuel  (atto  I,  p.  39), 
le  sentenze  di  morte  che  il  Cesare  detta  a  Tigellino  (atto  I,  p.  65), 
gli  ordini  del  Mago  ai  sacerdoti  e  ai  tempieri  (atto  II,  p.  85-88), 


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948  ARTE  CONTEMPORANEA 

tntta  la  fine  dell'atto  secondo,  le  pagine  129-132,  133-137  del  terzo, 
i  dialoghi  coi  dianzi  ò  accennato  del  quarto. 

Ancora.  Oltre  che  precisa,  rapida  e  tutta  cose  è  la  parola  qnando 
Fazione  più  urge  :  lo  stile  sopprime  allora  ogni  imagine  accessoria,  ogni 
proposizione  secondaria,  ogni  inciso  ;  lascia  intera  alla  mimica  e  alla 
musica  Tespression  del  sentimento;  abbozza  di  scorcio  l'idea.  Non 
posso  prodigare  gli  esempi  ;  ne  recherò  uno  solo  :  la  scena  con  cui 
s'apre  la  seconda  parto  del  quarto  atto.  Fanuel  e  Asteria  cercano 
nello  spoUarium  il  corpo  di  Bubrìa,  ch'essi  credono  morta: 

ASTERIA 

Scendi  (FanìM  la  raggiunge.   Entrano  insieme). 
Cerchiam  fra  i  morti. 

FANUàL 

Orror  di  tomba 
Emana  lo  spoliario 


ASTERIA 

Cerchiam. 

(Incomincia  ad  aggirarsi  lentamente  guardando  a  terra  lungo  la  parete 

centrale.  Al  lume  della  torcia  che  tiene  in  mano  s'intravede,  là  dove 

passa,  la  struttura  irregolare  del  sotterraneo,  FanuU  va  frugando  a 

sua  volta  nell'ombra  lungo  la  parete  di  destra.  Si  parlano  a  distanza), 

FANUÌEL 

Cadde  la  prìma. 

ASTERIA 

AUor  qai  giace. 
(Fanuil  s'imbatte  in  un   corpo,  si  china,  lo  tocca,  riconosce  al  tatto  le 
fascie  curuli  d'un  auriga.   Va  oltre), 

ASTERIA 

Ecco  là  dei  cadaveri. 
("Indica  un  gruppo  di  morti  stesi  a  terra  nell'angolo  della  parete  sinistra. 
Fanuèl  accorre  e  li  guarda). 


FANUÈL 

Un  reziario,  due  sanniti,  un  trace. 

ASTERIA  (atterrita), 
Simon  Mago! 


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IL  '  NERONB  ,  DI  ARRIGO  BOITO  949 

FANtJÈL 

Ove? 

« 
ASTERIA 

(indicando  con  ribrezzo,  senza  accostarsi^  il  cadavere  di  Simon   Mago, 
gettato  un  p(f  pii^  lontano,  in  un'insenatura  dd  muro). 

Là. 

FAKUÈL  (dopo  averlo  guardato  fissamente). 
Da  Dio  fu  infranto.  Abbominato  sia. 
(ffawia  verso  U  centro  dd  sotterraneo.  Il  suolo  è  ingombro  (farmi  gla- 
diatorie). 

ASTERIA 

Cerchiam. 
(Fanuèl  scorge,  sopra   un  letto  funebre,  giacente  come  una  morta,  una 
donna  in  veste  bianca). 

FANUÌL   (chiamando  con  voce  agitata). 
Asteria. 

ASTERIA  (accorre  colla  face). 
È  lei? 
FAKutL  (gettandosi  sul  corpo  di  RubriaJ. 
Martire  mia! 
Cieli...  Respirai...  Vivrà! 

(affannosamente). 
Squarciale  i  panni  !  Salvala  I 

(Asteria,  mentre  Fanuèl  parla,  lacera  la  veste  di  Rubria  sul  fianco). 

FANUàL 

È  svenata. 
Cerca  le  sue  ferite.  Io  l'ho  veduta 
Sanguinar  nuda  nel  nembo  infernale  ! 
Salvala!  Cerca...  cerca  sotto  il  core... 
Là...  sotto  il  core  la  feri  lo  strale 
D'un  sagittario. 

Ebben?  (aspettando  ansiosamente). 

ASTERIA 

(guardando  la  ferita  di  Rubria  attraverso  lo  squarcio  ddle  vesti) 

Spavento!  Muore  (1). 


(1)  Atto  lY,  pp.  182-187.  -^  Un  esempio  consimile  è  nello  stesso  atto  dopo  la 
morte  di  Babria,  pp.  195-196. 


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950  ARTI  GONTSMPOaANXA 

La  parola  non  potrebbe  essere  più  sobria.  Dirà  la  musica  l'ansia 
e  l'angoscia  di  quelle  anime;  rivelerà  il  gesto  i  moti  impromsi  di 
terrore  e  d'orrore;  qui  la  poesia  non  isvolge,  enuncia  —  non  scolpisce, 
incide. 

Altrove  in  vece  essa  si  dissolve  ne'  suoni  ;  il  linguaggio  inguaio 
rotto  anelante  ci  rivela  che  il  tragedo  tutto  à  chiesto  alla  pib  far* 
Vida  delle  arti,  e  l'inspirazione  musicale  gli  è  sOrta  e  gli  si  è  im- 
posta con  tal  veemenza  nell'anima  da  travolgere  fin  la  parola  nelle 
sue  leggi.  Sono  i  tratti  del  dramma,  cotesti,  in  cui  la  passione  tra- 
bocca violenta  e,  nella  vertigine,  la  ragione  s'o£Eusca.  Tale,  presso  alla 
fine,  l'ultima  scena  d'amore  tra  Asteria  e  Nerone  : 

ASTERIA  (con  impeto) 
Siam  conginnti  nel  fuoco. 

NERONE 

•E  nell'orrore. 
Stringimi  a  te. 

ASTERIA 

SI. 

NERONE 

Non  abbandonarmi! 

ASTERIA 

Mail  Mail 

NERONE 

Quel  buio  varco  mi  spaventa. 


ASTERIA 

,  Avvincimi 

Tutta...  cosL.. 

NERONE 

Non  lasciarmi. 

ASTERIA 


Son  tua! 


NERONE 

Salvami  se  se'  viva!  Oh  si...  sL..  freme 
La  tua  carne...  Un  uman  pianto  sul  volto 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO 


95i 


Inalbato  dall'estasi  ti  sgorga... 

Ohi  terrìbile  incanto...  strano  incanto... 

n  tao  fioco  pallore  sparge  influssi 

Atrì,  d'astri,  su  le  anime. 

Chi  ti  contempla  lungamente  muore. 

ASTERIA 

Tutto  il  mio  corpo  come  un'arpa  tesa 

Sino  alle  estreme  acri  acutezze  vibra. 

Freme  ogni  fibra 

Ove  la  man  tua  preme.  Tutta  accesa 

In  un  volo  si  stende  l'alma  e  fugge 

Ascendendo  nell'estasi.  Mi  guardi... 

Ah...  pietà...  no...  lo  spasimo  mio  rugge 

Al  fiammar  d^  tuoi  sguardi.  NoL.  tu  m'ardi. 

Ah...  taci...  taci...  taci...  o  U  sogno  sfugge... 

0  U  fascino  s'infrange...  tad...  taci. 

Amor!  Silenzio...  murmure  di  baci. 


Non 

guardar. 

NERONE 

Ah!  su  me  i 

s'awentan  martiri! 

ASTERIA 

La  martire  del  senso  a  te 
Guardala,  è  tua. 

s'avventa  ! 
? 

NERONE 

Che  vuoi 

DaU' 

amor  tuo. 

ASTERIA 
NERONE 

Vieni! 

Morir  distrutta 

ASTERIA 

Sbranami  tutta! 

Pero 

ce  imene! 

NERONE 

ASTERIA 

A  te. 

(baciandolo) 

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ySC  ARTB  GONTEMPORANBA 

NSBOKB 
81... 

(andante  e  addosaata  all'altare  di  Bacco). 

ASTKBIA 

Fa  ch'io  muoja. 

ySBONE 

Le  labbra... 

ASTERIA 

A  te. 

Morir  nel  bacio! 

Ah!  Gioia.. 
(e  ritnane  inerte  neU'amplesso  di  Nerone)  (1). 

Qai,  come  neirinno  d'amore  che  celebra  le  nozze  radiose  dell'Eroe 
con  la  Valchiria,  la  signoria  della  musica  sai  verso  è  palese. 

E  alla  musica  pure  cede  ogni  altra  espressione  in  quelle  scene  la 
cui  significazione  profonda  non  può  essere  rivelata  che  dal  linguaggio 
ideale  del  ritmo.  Tale  il  delirio  del  quinto  atto,  dal  momento  in  cui 
il  Matricida  ritrova  sé  nell'eroe  greco  e  urla  il  nome  di  Agrippina, 
a  quello  in  cui  egli  cade,  folle  di  terrore,  tra  i  sorgenti  fantasmi 
delle  sue  vittime,  mentre  dal  rogo  di  Roma  rievocante  le  fiamme 
di  Sodoma,  e  dalle  luminarie  atroci  e  da'  supplizi,  assoi^^e  n^li 
squilli  e  nelle  grida  la  profezia  apocalittica  dello  sfiioelo  del  Paga- 
nesimo e  dell'Impero  (atto  V,  pagg.  211-225,  237-242).  L'antitesi  che 
nel  concetto  drammatico  è  tra  la  scena  del  Trionfo  e  quest'ultima 
(sì  che  la  tragedia  tutta  si  svolge  fra  l'esaltazione  del  Cesare  e  la 
maledizione  dell'  Anticristo)  si  ripercuote  pur  ne'  mezzi  dell'arte  ;  poi 
che  r  una  si  esprìme  nel  mondo  tutto  determinato  della  plastica 
scenica,  l'altra  si  compone  e  vanisce  nell'infinito  mistero  dei  suoni. 

Ma  il  grido  che  su  la  fine  della  tragedia  suscita  le  apparizioni  degli 
spettri  (da  sette  giorni,  racconta  il  Cesare,  l'urlo  vola  su  l'incendio) 
noi  l'udimmo  fin  dall'  inizio,  in  quella  notte  nella  cui  ombra  si 
svolgono  le  prime  scene.  Notte  d'incanti  e  di  malìe,  di 'presentimenti 
e  di  misteri,  d'amorose  gioie  e  di  terrori.  Tutti  i  profumi  che  la 
Cortigiana  arde  nell'orgia  protratta  impregnano  l'aria.  Giungono»  or 
sì  or  no,  frammenti  di  canzoni  che  il  vento  reca  e  disperde.  Sono 


(1)  Atto  V,  pp.  228-237. 


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IL  '  NKRONX  ,  DI  ARBIOO  BOITO  953 

emistìchi  d'Orazio  e  di  Catullo;  scalpitanti  anapesti  di  Ibico  (1), 
molli  endecasillabi  di  Petronio  (2).  E  i  versi  ricfaiamano  imagini  la- 
scive ;  nomi  di  fanciulle  e  d'amasii  ;  ricordi  d'ebrezze  godute,  attese 
di  ebrezze  promesse.  Al  canto  che  muor  lontanando  per  i  clivi  della 
via  latina,  risponde  pur  da  lungi  la  strofe  sospirosa  di  Saffo  : 

La  luna  e  le  sette  stelle 
tramontano  lungo  il  mare; 
già  Fora  anelata  fugge 
ed  io  solitaria  piango  (3). 

E  altri  canti  rispondono;  treman  nell'aria  un  istante;  dileguano. 
Sono  i  desideri,  gli  aneliti,  gli  struggimenti  del  senso;  le  sparse 
voci  del  piacere  in  cui  Boma  langue,  come  Sibari,  nell'incanto  not- 
turno, tra  le  coppe  e  le  rose.  Ma  dagli  acquedotti  remoti  risuonano 
gli  «  appelli  »  delle  guardie  romane.  Or  s'odono,  nel  vento,  scherzi 
e  rìsa  d'epigrammi  e  d'atellane  che  l'insonne  plebe  dell'Urbe  alterna 
nelle  sue  veglie.  A  un  tratto  una  voce  terrìbile  annunzia  l'astro  dalla 
chioma  di  fuoco,  presagio  di  sventure  e  di  stragi  (4).  Echeggia  dalla 
buja  campagna  la  profezia  del  figlio  di  Hanan;  risponde  da  porta 
Capena  l'esametro  dell'ecloga  vergiliana  che  predice  alle  genti  la 


(1)  È  il  frammento  2*  nella  raccolta  del  Bergk  :   la  traduzione  è  letterale  e 
ritmica. 

(2)  Il  testo  latino  dice: 

qualis  noz  fait  Illa,  di  diaeqae 

haesimas  calentes 

et  transfnndimns  hinc  et  hinc  labellis 

errantee  animas 

ego  BÌc  perire  coepi. 

Il  Boito  à  tradotto  felicissimamente: 

e  Quale  notte  fu  quella  !  0  Divi  !  o  Iddio  ! 


trasfondeva  col  bacio  il  labro  al  labro 
l'anima  errante  !  In  quella  notte  Amore 
a  morir  m'insegnò 

(3)  Letteralmente:  €  È  tramontata  la  luna  e  la  Plejade,  è  mezza  notte,  il 
tempo  passa,  e  io  dormo  sola  * .  La  traduzione  del  Boito  serba  fin  la  melodia 
del  verso. 

(4)  Sybtorio,  Vita  di  Nerone,  XXXVI  :  «  Apparì  allora  per  parecchie  notti 
«  una  cometa,  che  il  volgo  crede  significare  mutamento  di  principi  >  ;  id.  Tà- 
cito, Annali,  XIV,  22. 


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o^i 


954  ARTI  CONTBMPORANBA 

venuta  d'una  nova  progenie  dal  cielo.  E  scoppia  un  lùgubre  grido: 
«  Nerone  Oreste!  Matricida!  »  (1);  tace;  ritorna;  si  ripete;  si 
propaga;  lo  seguono  altre  minaccie  più  cupe:  «  Bidonaci  Britan- 
nico! »,  <  Guai  a  Boma!  >  La  scena  è  ormai  avvolta  nell'ombra  d'un 
sogno.  E  in  questo  sogno  tutti  gli  elementi  del  dramma  son  trave- 
duti, con  la  rievocazione  di  ciò  che  s'è  compiuto  e  col  presentimento 
di  ciò  che  si  deve  compiere  :  ardita  sintesi  che  s'esprime  ne*  suoni, 
e  di  cui  è  fatta  interprete  la  musica  <  rivelatrice  —  essa  sola  — 
dell'anima  dei  fatti  ». 

Ma  più  spesso  la  musica  dovrà  nel  Nerone  continuare  la  poesia, 
e  la  nota  intrecciarsi   alla  parola  in  un'unica  forma  armoniosa  che 
serbi  intera  a  ciascuna  la  propria  virtù  espressiva.  Cercate  in  prova 
le  scene  ove  il  sentimento  è  pensoso  e  raccolto,  e  la  commozione 
non  trascende  in  delirio,  ma  si  diffonde  intima  e  pura  nell'anima, 
penetrandola  senza  turbarla.  Sono  —  tra  le  molte  —  quelle  che  ri- 
traggono la  pace  de'  cristiani  nell'orto  mistico  (atto  III,  pag.  114-119), 
l'idillio  di  Fanuel  e  Bubria   (atto  I,  pag.  32-36,  atto  III,  pagine 
125-129),  l'addio  del  Nazzareno  ai  fratelli  (atto  III,  pag.  137-139), 
la  confessione  accorata  e  l'estrema  soavissima  vision  delia  Martire 
(atto  lY,  pag.  190-194).  Leggendo,  voi   ricevete  l'impressione  come 
d'una  musica  indistinta  e  lontana,  di  cui  vorreste  —  e  non  potete 
—  fermar  nella  mente  i  contorni,   e  che   pure,  mentre  vi  sfugge* 
vi  pervade  i  sensi  col  fascino  d'una  dolcezza  infinita.  Ciò  che  Fran 
Cesco  De  Sanctis  scrisse  di  certe  canzoni  del  Petrarca:  «  che  mentre 
«  la  parola  ti  dà  l'imagine,  il  suono  te  ne  dà  il  sentimento  »,  è  prò 
fondamente  vero,  in  un  più  intenso  grado,  di  queste  pagine,  ove  la 
lirica  è  recata  a  quell'estrema  significazione  oltre  cui  il  passaggio 
dall'una  arte  nell'altra  sembra  non  pur  naturale  ma  necessario.  Qui 
dalle  vaghe  ìmagini  profuse  il  linguaggio  suscita  ad  ora  ad  ora  vi- 
sioni  sconfinanti  nell'indeterminato  del   ricordo   e  del  sogno;  e  il 
verso  s'intesse  de'  più  dolci  suoni  del  nostro  idioma,  traccia  fioriti 
meandri  alla  melodia  nella  strofe.   Qui   veramente   la  musica  inco- 
mincia, come  dice  il  Mazzini,  dove  la  parola  s'arresta.  E  solo  chi 


(1)  È  UDO  appunto  dei  motti  che  corsero  contro  Nerone:  «perone,  Oreste, 
<  Àlcmeone  matricidi.  Nerone  la  nuova  sposa  e  la  madre  uccise.  Chi  dice  che 
«Nerone  non  sia  della  stirpe  del  grande  Enea?  Questi  ha  tolto  via  la  madre» 
«  quegli  portò  via  il  padre  » .  Svetohio,  Vita  di  Nerone,  XXXIX. 


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IL  ^NEEONB,  DI  ARRIGO  BOITO  965 

non  à  senso  d'arte  pnò  non  intendere  che  qaesta  poesia  fu  scritta 
con  l'anima  traboccante  d'armonie,  nel  presentimento  del  canto. 

Aggiungete  a  tutto  ciò  il  prestigio  di  una  decorazione  e  d'un  al- 
lestimento scenico  informati  ad  un'arte  erudita  e  squisita,  studiosa 
dell'esattezza  storica  fin  ne'  particolari  più  minuti  delle  acconciature 
e  delle  foggio;  e  avrete  un'imagine  (se  languida,  mia  colpa)  della 
rispondenza  che  è  in  questa  tragedia  tra  la  vastità  della  concezione 
e  la  varietà  e  la  ricchezza  —  veramente  mirabili  —  delle  forme. 

'*% 

Così,  valendosi  di  tutte  le  espressioni  delle  arti  ritmiche  e  varian- 
done i  modi  ad  ora  ad  ora  secondo  le  diverse  necessità  dell'azionei 
Arrigo  Boito  potè  conseguire  ciò  che  rende  l'opera  sua  singolare  da 
ogni  altra:  la  rievocazione,  in  torno  alle  figure  del  dramma,  del 
mondo  onde  son  circondate  e  di  cui  esse  compendiano  in  sé  e  rive- 
lano alcuni  dei  caratteri  più  importanti. 

Di  parecchi  aspetti  della  vita  pagana  ritratti  nella  tragedia  ò  già 
parlato  accennando  alle  scene  del  Trionfo  e  del   Circo. 

Il  lettore  anche  sa  che  il  delirio  di  superstizioni  onde  fu  travolta 
la  Roma  neroniana  offre  argomento  alla  creazione  di  Simon  Mago. 
Ma  il  taumaturgo  non  è  soltanto  colui  che  placa  i  Mani  d'Agrippina, 
è  anche  il  predicatore  di  una  dottrina  nuova  e  il  sacerdote  di  un  culto. 
E  questa  dottrina  si  enuncia  e  questo  culto  si  svolge  in  tutta  la 
pompa  de'  suoi  riti  nel  secondo  atto  della  tragedia. 

Alcuni  particolari  di  tale  rappresentazione  furono  dal  Boito  attinti 
bIY Assuero  di  Boberto  Hamerling  :  così  i  caratteri  che,  incisi  su 
lamine  d'oro,  descrivono  nel  tempio  la  genealogia  degli  coni  ricor- 
dano le  cifre  misteriose  che  serpono  su  le  pareti  della  stanza  di 
Apollonio  di  Tiana  (1);  così,  ancora  nel  dramma  come  nel  poema, 
il  Negromante  appare  tra  le  nubi  che  vaporano  da  bracieri  accesi, 
compie  il  sacrificio  del  sangue,  suscita  entro  specchi  di  lucido  me- 
tallo apparizioni  di  spettri  (2). 


(1)  Nerone,  atto  II,  pag.  72;  Acmero,  canto  V,  pag.  240.  —  Tradazione  del 
Bettelohi. 

(2)  Nerone,  atto   II,   pp.   75-66;   atto  I,  pag.  17;  atto  II,   pp.  75   e  94; 
Aasvero,  canto  V,  pp.  223,  244  e  segaenti. 

Ri9Ìtia.m*uieal*%tak9M,ym  68 


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056  ARTS  OONTBBCPOaANBA 

Il  resto  è  derivato  direttamente  dalla  leggenda;  dalla  testimoniansa 
di  Qiastino,  dalla  tradizione  raccolta  da  Epifanio  ^  da  Origene,  da 
Tertulliano,  da  Ireneo. 

II  sistema  teurgioo  della  Qroinde  Esposmone,  che  la  letteratora 
cristiana  attribuisce  al  Mago,  pone  in  cima  a  tutte  le  cose  «  Goloi 
<  che  è,  che  è  stato,  che  sarà  »,  il  Jhaveh  Samaritano,  l'Essere  etemo, 
uno,  generantesi  da  sa,  nel  cui  seno  infinito  tutto  esiste  eternamente. 
Il  mondo  si  svolge  in  una  gerarchia  di  principii  astratti,  simili  ai 
rami  dell'albero  cabbalistico  e  agli  coni  della  formula  gnostica.  La 
potenza  divina  si  attua  in  incarnazioni  successive,  maschili  e  fe- 
mìnili,  il  cui  fine  è  la  liberazione  della  creatura  dai  lacci  della 
materia.  La  prima  di  queste  potenze  è  T  Intelligenza  del  Mondo, 
rUniversale  Provvidenza;  e  n'è  incarnazione  Simone.  A  canto  ad  essa 
è  la  potenza  feminile,  il  Grande  Pensiero,  cui  è  dato  il  nome  di 
Elena  a  simboleggiare  l'oggetto  della  etema  ricerca,  la  cagione  perenne 
delle  infinite  discordie  tra  gli  uomini  (1). 

Tutto  ciò  accorda  non  soltanto  —  come  fu  osservato  —  l'esegesi 
allegorica  di  Filone  e  la  cabbala,  ma  anche  le  credenze  astrologiche, 
e  quel  misticismo  mitriaco  che,  già  fiorente  a'  tempi  di  Nerone, 
doveva  più  tardi  contrastar  al  Cristianesimo  l'impero  delle  coscienze. 
Nelle  grotte,  ove  i  seguaci  del  dio  persiano  si  accoglievano,  i  sim- 
boli astrali  rappresentavano  la  v&lta  del  firmamento  e  la  doppia  rivo- 
luzione celeste  —  quella  delle  stelle  fisse  e  quella  dei  pianeti,  sor- 
genti le  prime  di  luce  e  di  splendore,  serbati  gli  altri  alla  trasmi- 
grazione delle  anime.  Alle  due  estremità  erano  jrappresentati  i  tropici 
del  Cancro  e  del  Capricorno  —  la  porta  degli  dei  e  la  porta  degli 
uomini,  per  l'una  delle  quali  le  anime  discendono  a  prender  ferma 
nei  corpi  mortali,  per  risalire  poi  a  traverso  Taltra  alle  loro  origini 
celesti.  Dal  Canoro  al  Capricorno  e  dal  Capricorno  al  Cancro  si  svol- 
gevano le  dodici  costellazioni.  Desiderosa  del  corpo,  l'anima  discen- 
deva, ebra  d'un  miele  che  le  dava  l'oblio  della  luce  etema.  La  ca- 
duta era  graduale.  Da  un  pianeta  all'altro  lo  spirito  perdeva  la  saa 
purità  originaria,  s'impregnava  della  sostanza  siderale,  si  rivestiva 
d'un  involucro  etereo  d'ora  in  ora  pib  visibile,  ricevendo  via  ria  da 
ciascun  pianeta  le  qualità  necessarie  all'esistenza  terrestre;  finché, 


(1)  Renan»  Les  Apótres, 


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IL  '  NBAONB  ,  M  ARIUeO  BOITO  957 

di  caduta  in  caduta,  perveniva  al  mondo  della  vita.  Nell'anabasi 
l'anima  seguiva  il  cammino  opposto,  a  grado  a  grado  spogliandosi 
delle  qualità  umane  e  riconquistando  Torìgine  divina  (1). 

Aggiungete  a  ciò  i  ricordi  de'  culti  sotterranei  (tutte  le  credenze 
aberranti  vennero  dal  Boito  fuse  nel  simonismo  &tto  per  tal  modo 
simbolo  d'ogni  falsa  dottrina  cui  s'oppone  la  purezza  del  sentimento 
cristiano),  e  le  figurazioni  dell'Apocalisse  da  cui  à  attribuita  al  tristo 
Profeta  la  virtù  di  dar  spirito  e  parola  ai  simulacri  e  agli  idoli  (2) 
e  avrete  la  ragione  dei  simboli  del  Tempio  —  ove  tra  statue  d'avorio 
policromo  l'Ecuba  Triforme  impugna  con  le  sei  mani  le  sei  faci  ardenti 
a  illuminar  le  pareti  su  cui  si  svolgono,  in  forma  d'albero,  le  genea- 
logie degli  esseri  —  e  gli  elementi  dell'inno  proposto  da  Gobrias  e 
ripreso  dai  credenti: 

OOBBIAS 

Proàrche,  Bythos,  Sigeh,  Logos,  Anthropos, 
Zoe,  Noùs,  Ecclesia,  eccelsa  Ogdóade; 
Noi  t'adoriamo! 

I  CBBDKNTI 

—  Profondo  Abisso,  imparscrutata  origine 
Degli  Enti  Primi  e  immenso  mar  degli  Esseri  ; 
Noi  t'adoriamo! 

—  Sigizie,  Spirti,  genii,  forme,  Imagini. 
Potenze  assunte  nel  divino  Plérome; 
Noi  t'invochiamo! 

—  Eóni  e  voi  che  date  norme  a*  fulgidi 
Pianeti  in  ciel  dove  han  suo  moto  Tanime; 
Noi  t'imploriamo! 

—  Per  te  preghiam,  per  te  che  gemi  e  sanguini 
Nell'ombra  etema,  agitabonda  Pininikos; 
Per  te  preghiamo! 

—  In  te  speriam,  Simon,  Divin  Paràklito 
Disceso  in  terra  col  celeste  Pnéuma; 
In  te  speriamo! 

—  In  te  crediam,  nel  tuo  Mister,  nel  Calice 
Cruento  che  in  tua  man  ferve  e  s'imporpora; 
In  te  crediamo! 


(1)  Obiowb,  Cantra  CeUum*,  PoRriiuo,  De  attiro  Nympharum;  Microbio,  Jn 
Sommmm  8eifiom$\  A.  M.  Gisqobt,    Le  eulU  de  MUhra. 

(2)  Apocahsse,  XI,  18. 


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%8  ARTI  GONTBMPORANBA 

—  Sull'infinita,  che  s'evolve,  pagina 

Del  elei  ta  scrìvi  il  tuo  pensier  coi  fulmini; 
In  te  crediamo! 

—  Dell'effigiato  Nume  il  bronzo  e  Febure 
Per  te  commosso,  profetizza  e  palpita; 
In  te  crediamo! 

—  Nei  tuoi  potenti  segni  e  nel  battesimo 

Del  sangue  e  della  fiamma  e  nel  tuo  tempio  d'or 
Tu  etemo  vivi  e  regni  e  fendi  l'etere 
Superno  che  s'infiamma  intomo  al  tuo  splendor. 

—  Proàrche,  Bythos,  Sigeh,  Logos,  Anthropos, 
Zoe,  Noùs,  Ecclesia,  eccelsa  Ogdóade; 

Noi  t'adoriamo!  (1). 

E  al  mitraismo  del  pari  si  ricollega  il  sacrificio  del  sangue  che 
nella  tragedia  —  come  del  resto  nella  letteratura  dei  padri  della 
Chiesa  —  acquista  una  particolare  significazione  dal  carattere,  che 
gli  è  dato,  di  falsificazione  d*un  mistero  cristiano  (2).  <  Simon  Mago, 

<  in  mitrìa  e  tiara  d'argento,  col  petto  scintillante  di  gemme,  appare 

<  ai  fedeli  sulla  gradinata  dell'altare  tenendo  tra  le  mani,  coperte  da  ud 
«  drappo  prezioso,  alto  levato  un  calice  d'oro.  Due  sacerdoti  sostengono, 
«  sotto  il  calice,  un  bacino  d'oro.  Quattro  flabelliferì  ergono  dietro  il 

<  Mago  i  loro  flabelli  di  piume  bianche;  due  hieroduli  reggono,  con 
«  le   braccia  alzate  sopra  il  capo,  due  urne  d'oro  da  cui  vaporano 

<  aromati   fumanti  ;  un  altro  innalza  un  vaso  di  bronzo  su  cui  arde 

<  una  fiammella  turchina;  un  altro  tiene  aperto  d'innanzi  al  petto 
«  un  dittico  dove  son  tracciati  dei  simboli.  Ai  piedi  della  gradinata 

<  stanno  alcuni  giovanetti  con  grandi  arpe,  e  cetre,  e  sistri.  Nella 
«  cella  i  devoti  guardano,  in  atto  d'ansiosa  aspettazione,  il  calice  rag- 
«  giante.  D'un  tratto  un  largo  fiotto  di  sangue  trabocca  spumeg- 
«  giando  nel  calice  e  cade  nel  bacino  sottoposto.  Nello  stesso  momento 


(1)  Atto  II,  pp.  77-79. 

(2)  Il  Cristianesimo  fa,  come  è  nofo,  gran  tempo  confaso  con  altri  calli  orientali. 
Ancora  Adriano  non  distingaeva  i  segnaci  di  Gesù  dagli  adoratori  di  Serapide. 
Celso  e  Tertnlliano  notano  le  somiglianze  tra  la  dottrina  cristiana  e  le  mi- 
triache.  Ma  che  Pun  ealto  attingesse  elementi  dalFaltro  par  finvola;  in  ogni 
modo  la  religione  di  Mitra  ebbe  -^  come  la  cristiana  —  la  penitenza,  Pofferta  del 
pane  e  della  coppa,  la  credenza  nella  resnrrezione. 


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IL  'NBRONI,  DI  ARRiaO  BOITO  959 

«  sorge  dal  braciere  ardente  una  densa  colonna  di  fumo  che  invade 
«  il  sacrario  e  nasconde  il  taumaturgo  alla  vista  dei  credenti  »  (1). 
È  la  pioggia  del  sangue  che  nei  riti  della  religione  di  Mitra  rin- 
novellava  i  credenti  in  eterno. 

.  Or  notate:  nel  tempio  di  Simone  non  trovan  quasi  luogo  gli  umili  ; 
SL  pena  v'appar  qualche  schiavo  in  rozza  tunica  con  la  fronte  se- 
cata dallo  stigma  dei  fuggitivari  ;  del  resto,  matrone  adorne  di  vesti 
ricchissime,  liberti  in  pomposa  lacerna,  eleganti  cavalieri  ed  aunghi 
d'ogni  &zione  compongon  la  schiera  de'  devoti  del  Mago  (2).  E  da 
ciò  pure,  come  dal  rafiOronto  tra  la  complicata  sontuosità  di  questo 
culto  e  la  disadorna  purezza  del  cristiano,  sorge  più  vivo  quel  con- 
trasto a  cui  il  Poeta  volle  dar  forma  nella  tragedia. 

Nella  rappresentazione  dell'accolta  cristiana  Arrigo  Boito  à  alcun 
poco  illeggiadrita  la  storia.  Ciò  che  di  torbido  era  in  quegli  animi, 
l'agitazione  d'odio  contro  il  paganesimo  e  l'impero,  non  appare  né 
pur  fugacemente  nel  dramma.  Solo  contro  Simone,  Fanuèl  à  parole 
terribili  (3).  Vero  è  che  soltanto  la  setta  ebionita  partecipava  alle 
passioni  violente  dei  fanatici  della  Giudea,  e  che  gli  Apostoli  non  si 
rimasero  mai  dal  consigliare  il  rispetto  e  l'obedienza  a'  potenti  (4). 
D'altra  parte  il  sentimento  che  si  espresse  nelle  fantasie  apocalit- 
tiche doveva  informare  nella  tragedia  le  visioni  dell'  ultimo  atto, 
e  il  Boito  volle  evitar  forse  la  noja  di  ripetizioni  vane.  Ma  sopra 
tutto,  come  osservò  acutamente  il  Benan,  quel  che  più  importa 
nel  Cristianesimo  è  l'ardente  entusiasmo,  la  sovrumana  arditezza, 
il  sublime  disprezzo  della  vita;  ciò  che  ne  forma  l'incanto  è  la 
parola  nuova  di  speranza  e  d'amore  ch'esso  difiònde  tra  le  genti  (5). 
«  (Je  sont  ces  petits  recueils  de  sentences  et  de  paraboles  que  dé- 
«  daignent  les  traditionistes  exacts  »  —  lasciamo  alla  prosa  dell'amabile 
filosofo  francese  tutta  la  sua  grazia  originale  —  «  ce  sont  ces  aide- 
«  mémoire  où  les  moins  instruits  et  les  nioins  bien  renseignés  dé- 
«  posent  pour  leur  usage  personnel  ce  qu'ils  savent  des  actes  et  des 


(1)  Atto  II,  pp.  74,  75. 

(2)  Atto  II.  pag.  71. 

(3)  Atto  I,  pp.  3540;  atto  III,  pp.  134-139;  atto  IV,  pp.  184. 

(4)  Faolo ai Bomani,Xlll,ì'l, ai FiHppesi,  II,  1246,  ai  Tessaìonieesi,  IV,  11, 
a  Tito,  III,  1  ;  Pietro,  2^  epistola,  III,  13  18. 

(5)  Antéchrist,  introduzione. 


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900 


▲RTB  GONTBICPOBIMBA 


<  piFoles  de  Jesus,  qui  wont  dertinées  à  Atra  la  leetare,  la  ctonie 
«  de  ratenir.  Jesus,  Jésos  seni  eut,  dans  TodaTre  mjsìéntwa  de  la 
«  croisBance  chiétienne,  tonjoiirs  la  grande,  la  triomphante,  la  déci- 
de sive  part.  Chaqae  livre,  chaque  institaiion  chrétienne  Taut  eo  pro- 

<  portion  de  ce  qu'elle  *oontient  de  Jésna.  Las  ÉYangiles  synoptiqttes, 

<  où  Jésos  est  tont,  et  dont  on  peut  dire  en  un  sens  qu*il  est  le 
«  Téritabla  auteur,  seroni  par  excelleoce  la  li?re  chrétian,  la  line 

<  eternai  »  (1). 

Diresta  ohe  il  poeta  siasi  inspirato  a  questo  pansiaro.  Certo  è  che 
pur  ?aIendoei  nel  dramma  di  tutti  gli  elementi,  anche  i  mm  pori, 
dal  GrìstianesiQio,  agli  Tolla  serbare  inalterata  alla  rappreaentarione 
diretta  tutta  la  8oaYit&  dal  sentimento  dell'  Evai^alo.  L' imagina  di 
QeBù  8<MTÌda  qui  dolcissima  nella  visioni  dell'Oriente  natio;  la  pa- 
rola di  Gesti  è  come  diffiosa  nella  luca  onde  s'allieta  il  plaaid*orio. 
Una  serena  gioia,  una  consolaÌ7Ìca  speranza  tengono  gli  animi  in 
quest'asilo  di  pace,  lontano  ai  romori  dell'Urbe,  dove  tra  esortadooi 
e  preghiere  le  donne  e  i  fanciulli  intrecciano  cansoni  e  ghirlande 
per  i  vivi  e  per  i  morti,  per  il  dolore  e  per  l'amore,  per  il  martirio 
e  per  le  nozze.  E  le  voci  suonano  alterne  —  come  negli  inni  della 
Chiesa  da  cui  la  musica  avrà  la  rivelazione,  tutta  cristiana,  dell'ar- 
monia: 


—  A  me  i  ligustri, 
A  te  gli  allori. 

—  Frugan  le  industri 
Dita  nei  fiori 

—  N'escan  corimbi 
D'edera  inserti, 

—  Corone  e  nimbi, 
Ghirlande  e  serti. 

—  A  te  il  viburno 
E  l'amaranto 

—  Rigira  il  canto 
Mutando  turno.* 

—  A  te  il  giacinto 
Che  il  sangue  accoglie 
D'un  vago  estinto 
Nelle  sue  foglie. 


—  Oh  date  a  piene 
Mani  le  rose! 
Vigili  spose, 

Lo  sposo  viene. 

—  Spogliate  i  clivi. 
Le  vaUi  e  gli  orti! 
Fiori  sui  vivi! 
Fiori  sui  morti  I 

—  Fiori  al  delirio 
Pio  dell'amore! 

—  Fiorì  al  dolore! 
Fiorì  al  martirìo! 

—  Fiorì  silvani 
Bianchi  e  vermigli! 

—  0  date  gigli 
A  piene  mani! 


(l)  Antéchmt,  pp.  476,  4-/7. 


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IL  *  NSaom  «  DI  ABBieO  BOITO  9Gi 

—  Casto  un  segreto 
D'amor  ci  leghi. 

—  Canti  chi  è  lieto, 
Chi  è  triste  preghi, 
lieto  è  chi  crede 
Con  fermo  core 

Nel  Dio  verace. 

—  Amore! 

—  Pedel 

—  Amore!  Amore! 

—  Speranza! 

Pace  (1). 
■ 
Si  ripensano  le  parole  della  Visione  di  Giovanni:  «Cantano  nn 

«  canto  nuovo.  Sono  i  puri,  costoro,  che  seguono  TAgnello  dovunque  egli 

«  vada,  che  son  stati  eletti  da  Gesù  tra  gli  uomini  per  essere  offerti 

«  come  primizie  a  Dìo  »  (2). 

n  Boito  anche  comprese  ohe  ogni  rìelaborasione  troppo  personale 
della  poesia  cristiana  non  poteva  che  scemarne  la  casta  bellezza.  Egli 
dunque  non  inventò,  né  ricompose;  derivò  dai  testi  e  tradusse:  al  più 
raccolse  in  poco  il  molto;  e  nella  lìngua  mutata  e  nello  stile  gareggiò 
di  sublime  semplicità  con  l'originale. 

Così  la  preghiera  a  Dio  padre  rìsuona  nel  verso  italiano  purissima  : 

Padre  nostro  che  sei  ne'  cieli,  sia 

Benedetto  il  tuo  nome. 

Venga  il  tuo  Regno  alla  tua  gente  pia, 

Sia  fatto  il  tuo  voler  in  terra,  come 

Nell'Empire  immortale. 

n  nostro  pane  cotldian  ne  dona... 

Liberaci  dal  male  (3). 

E  nel  ricordo  di  Fanuèl  il  sermone  su  la  Montagna  rifiorisce 
nelle  stesse  parole  con  cui  lo  diffonderà  tra  le  genti  Matteo,  «  il  pub- 
blicano scrittore  »  —  dice  il  Buskin  —  «  armonioso  anche  là  dove 
«  Luca  è  formalci  Giovanni  misteriosa,  Marco  breve;  il  cui  libro  sce- 
«  glieremmo  fra  tutti  quelli  della  Bibbia  se  dovessimo  eleggerne  un 
«  solo  per  un  amico  solitario  o  prigioniero  ». 


(1)  Atto  ni,  pp.  117-119. 

(2)  Apoeàlme,  XIV,  4. 
(8)  Atto  I,  pp.  30-31. 


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962  ARTE  CONTKBCPORANKA 

Narra  TEvaiigelista  : 

«  Ed  egli,  vedendo  le  turbe,  salì  sopra  il  monte;  e  postosi  a  se- 
«  dere,  i  suoi  discepoli  si  accostarono  a  lui.  — 

<  Ed  egli  aperta  la  bocca,  li  amuiaestrava  dicendo: 

«  Beati  i  poveri  in  ispirito,  poi  che  per  essi  è  il  regno  dei  Cieli. 
«  Beati  coloro  che  fìinno  cordoglio,  poi  che  saranno  consolati. 
€  Beati  i  mansueti,  poi  che  essi  crederanno  la  terra. 
«  Beati  i  misericordiosi,  poi  che  misericordia  sarà  loro  fiitta. 

<  Beati  i  puri  di  cuore,  poi  che  vedranno  Iddio. 

«  Beati  gli  umili,  poi  che  saran  chiamati  figliuoli  di  Dio. 
«  Beati  coloro  che  son  perseguitati,  poi  che  ad  essi  appartiene  il 
«  regno  de'  Cieli  »  (1). 
E  il  Boito: 

FAKUÌL 


E  vedendo  le  turbe  ad  udir  pronte 

Sali  sul  monte, 

Le  benedisse 

£  disse: 

—  Beati  ì  mansueti, 

Perchè  saranno  della  terra  i  Re. 

LB   DOXNB   OBISTIANE 

Beati  i  mansueti. 

FAKUÀL 

Beati  quei  che  piangono,  perchè 
Saranno  lieti. 

LE  DONNE 

Beati  quei  che  piangono. 

FANUÈL 

Beati  quei  che  vivono  in  desio, 
Perchè  li  udrà  il  Signore. 

GLI   UOMINI 

Beati! 

FANUàL 

Beati  quelli  che  hanno  puro  il  cuore, 
Perchè  vedranno  Iddio. 


(1)  Matteo,  6,  1-11.  Vedi  anche  Luca,  6,  17-24. 


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IL  '  NKRONS  ,  DI  AaRIOO  BOITO  903 

TUTTI 

Beati  ! 

FANUÈL 

E  beati,  fra  ranime  fedeli, 

Tutti  gli  afflitti,  i  poveri,  gli  oppressi. 

Perchè  per  essi 

È  il  Reame  de'  Cieli. 

TUTTI 

Beati!  (1). 

E  da  Matteo  ancora  —  dalla  parabola  delle  vergini  saggie  e  delle 
vergini  folli  —  è  inspirata  Tallegoria  che,  nella  squisita  monodia  di 
Babria,  segue  a  questo  racconto. 

«  Allora  »  —  dice  l'Evangelista  —  <  il  regno  de'  cieli  sarà  simile 
«  alle  dieci  vergini,  le  quali,  prese  le  lor  lampane,  uscirono  fuori 
«  incontro  allo  Sposo. 

«  Or  cinque  di  esse  erano  saggie,  e  cinque  folli. 

«  Le  folli,  prendendo  le  lor  lampane,  non  avevano  preso  seco  l'olio. 

«  Ma  le  saggie  avevano,  insieme  con  le  lampane,  portato  l'olio 
«  ne'  lor  vasi. 

<  Ora,  tardando  lo  Sposo,  tutte  furono  assalite  dal  sonno,  e  si  ad- 
€  dormentarono. 

<  E  su  la  mezza  notte  si  udì  un  grido  :  Ecco  lo  Sposo  viene. 

«  Allora  tutte  le  vergini  si  destarono  e  acconciarono  le  lor  lampane. 

«  E  le  folli  dissero  alle  saggio:-  dateci  del  vostro  olio  poi  che  le 
«  nostre  lampane  si  spengono. 

«  Ma  le  saggie  risposero  e  dissero:  Non  faremo,  che  non  accada 
«  che  non  ve  ne  sia  assai  per  noi  e  per  voi  ;  andate  più  tosto  a  co- 
«  loro  che  ne  vendono,  e  compratene. 

«  Ora,  mentre  quelle  andavano  a  comprarne,  venne  lo  Sposo;  e  le 
«  vergini  saggie  che  erano  apparecchiate  entrarono  con  lui,  e  la  porta 
«  fu  chiusa. 

«  Vennero  poi  le  altre  vergini,  dicendo:  Aprite,  Signore,  Signore. 

«  Ma  egli  rispondendo  disse  :  Io  vi  dico  in  verità  che  non  vi  conosco. 

«Vegliate  dunque;  però  che  non  sappiate  nò  il  giorno  nò  l'ora 
«che  il  Figliuol  dell'Uomo  verrà  ». 

Più  raccolto  —  ma  non  men  soave  —  il  poeta: 


(1)  Atto  III,  pp.  114.115. 


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964  AETI  GOMTBBIPORAmU 

BUBBIA 

Vigiliamo.  È  la  sera.  Arde  la  face. 
D'intorno  ad  essa  ci  aduniamo  in  pace. 
Viene  il  Signore  ma  nessun  sa  quando: 
Beati  quei  che  troverà  vegliando. 

Veglia  la  saggia  vergine, 

Tien  la  sua  lampa  viva, 

Infonde  in  lei  l'aspergine 

Dalla  caduca  oliva. 

Veglia:  lo  Sposo  viene. 

Lieta  sarà  nell'ora  dell'imene 

(depone  la  lampa  sulla  tavola  dei  fiori). 

L'altra  al  riposo  molle 

Cedendo  s'addormenta. 

Dorme  la  vergin  folle 

E  la  sua  lampa  ò  spenta. 

Dorme:  lo  Sposo  viene. 

Mesta  sarà  nell'ora  dell'imene. 

Viene  il  Signor  ma  nessun  sa  quando; 

Beati  quei  che  troverà  vegliando  (1). 

Dove  la  frase  «  Lo  Sposo  viene  »  «  Viene  il  Signore  »,  che  quattro 
volte  si  ripete,  à  pel  dramma,  oltre  l'evangelica,  una  significazione 
profonda  di  annuncio  e  di  promessa,  certa  neiranimo  de*  Cristiani, 
dell'avvenimento  del  regno  dì  Dio. 

E  la  stessa  idea,  congiunta  all'altra  della  prossima  fine  del  mondo 
da  cui  quell'atteso  miracolo  doveva  essere  preceduto,  ritoma  nelle 
parole  che  Fanuèl,  tradito  da  Simone,  rivolge  ai  compagni.  Ecco  la 
scena: 

I  GBISTIAia 

(si  slanciano  contro  Simon  Mago  gridando:) 

Morte! 

SIMON  MAGO  (chiedendo  aiuto  alle  guardie) 
Olàl 
I  CRISTIANI  (mentre  lo  afferrano) 
Morte  a  Simone! 


(1)  Atto  III,  pp.  116*117. 


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IL  *  NBRONS  ,  DI  A&RIGO  BOTTO  966 

FàlfUÈL 

(interp(mendo8i,  e<m  un  ge$to  pacato,  Ubera  Simon  Mago  daU'asioUo; 
poi  dice  ai  Cristiani:) 
Non  resistete  eX  malvagia  L'esempio 
Ne  dio  il  Signore,  U  Signor  sia  con  voi. 
Nessun  chieda  ragione 
Se  piace  a  Dio  di  far  possente  un  empio 
Per  infrangerlo  poi. 
(Simon  Mago  t^aUontana.  Fanuèl  ripiglia  pia  dólcemente  :J 
Vivete  in  pace  e  in  concento  soave 
D'amore,  mani  aperte  alla  carezza. 
Sia  sulle  vostre  labbra  il  bacio  e  l'Ave 
E  l'allegrezza. 

Siamo  al  vespro  del  mondo  all'ora  incerta, 
Non  cessate  d'orare; 
Forse  doman  sai'ò  come  nn'offerta 
Sparso  sovra  l'altare. 
La  giornata  è  compita 
Pel  fratel  vostro,  e  il  suo  carco  depone, 
Voi  camminate  in  novità  di  vita 
Ed  in  pienezza  di  benedizione. 
Quando  toma  la  sera, 
Col  mesto  incanto  delle  rimembranze, 
Unite  anche  il  mio  nome  alla  preghiera. 
Unite  anche  il  mio  nome  alle  speranze. 
V'amai  dal  di  che  il  cuor  vostro  ho  raccolto, 
Non  so  quale  m'attenda  ora  crudel... 
Ma  so  che  più  non  vedrete  il  mio  volto...  (1). 

Qai  non  Tinspirazione  soltanto  —  la  dolcezza  accorata  e  il  pre- 
sentimento della  morte  —  ma  fino  i  pensieri  e  le  frasi  son  derivati 
dalle  lettere  degli  Apostoli  :  «  Non  siate  vinti  dal  male,  ma  ricevete 
«  il  nude  per  il  bene  »  (2).  «  Chi  resiste  alVautorità  resiste  al  co- 
«  mando  di  Dio  »  (3).  «  Se  pur  ancor  patite  per  giustizia^  beati  voi; 
«  non  vi  contristate  :  ansi  santificate  il  Signore  in  cuor  vostro^  e  siate 
^pronti sempre  a  rispondere  a  chi  vi  domanda  ragione  della  fede 
«  cVè  in  voi  con  mansuetudine  e  con  amore  »  (4).  <  L'amor  fraterno 

(1)  Atto  III.  pp.  137-138. 

(2)  Paolo  ai  Bomani,  XII,  2. 
(8)  PiOLO  ai  Romani,  XIII.  2. 

(4)  i'  Uttera  di  Pietro,  III,  U.  15. 


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986  ARTE  GONTEMPOaANEA 

«  dimori  tra  voi  »  (1).  <  Siate  gli  uni  verso  gli  (diri  benigni  e  mise- 
«  ricardiosi^  parlando  a  voi  stessi  con  salmi  ed  inni  e  laudi  spirituali, 
«  cantando  e  salmeggiando  nel  eiwr  vostro  al  Signore  »  (2).  «  Bai- 
<  legratevi^  fratelU^  siate  consolati,  abbiate  un  medesimo  sentimento, 
«  e  state  in  pace.  Salutatevi  con  un  santo  bado  »  (3).  «  Serviamo  m 
«  novità  di  vita  »  (4).  <  La  salute  è  ora  più  che  non  crediamo  vi- 
«  dna  a  nd:  la  notte  è  avanaata;  il  giorno  già  viene  »  (5).  <  U 
«  tempo  è  ormai  abbreviato  »  (6).  *  Or  la  fine  d'ogni  cosa  è  pros- 
«  dma:  vigilate  aUe  orasioni  »  (7).  «  Quanto  a  me,  io  san  per  essere 
«  sparso  a  guisa  d'offerta  sopra  Voltare.  L'ora  estrema  mi  sovrasta.  Io 
«  ò  combattuto  il  buon  combattimento;  io  ò  finito  U  mio  carso;  io 
«  ò  serbata  la  fede  »  (8).  *  Se  al  sacrificio  della  fede  vostra  deve 
«  giovare  il  mio  sangue,  io  ne  gioisco;  rallegratevene  voi  pure  »  (9). 
I  versi  che  seguono: 

S'agita  retara, 
Palpita  il  voi  degli  angeli  sa  noi: 

Gloria  al  Signore; 

Seguitemi  cantando  un  lieto  canto! 
se  ricordano  quelli  della  tragedia  del  Gazoletti: 

Mi  cinge 

Un'aureola  di  luce Il  paradiso 

Comincia e  voi  piangete?  Or  su,  fratelli, 

Intonate  un  osanna.  Io  vi  precedo, 

anche  richiamano  Tesortazione  agli  Efesi:  «  Inebriatevi  dello  Spirito; 
cantate  e  salmeggiate  al  Signore  ». 

Al  supplizio  Fanuèl  si  avvierà  ripetendo  le  parole  del  Simbolo 
apostolico: 

Credo  in  un  Dio  solo  ed  eterno 


(1)  Paolo  agli  Ebrei,  XIII,  1. 

(2)  Paolo  agli  Efesi,  IV,  32,  V,  19. 

(3)  Paolo  ai  Corìnti,  XIII,  11,  12  (seconda  lettera). 

(4)  Paolo  ai  Bomani,  VII,  6.  —  L'altra  frase  e  in  pieneiza  di  benediiione  >, 
ò  par  della  lettera  ai  Romani,  XY,  29. 

(5)  Paolo  ai  Bomani,  XIII,  11-12. 

(6)  Paolo  ai  Corìnti,  VII,  29. 

(7)  Pietro,  IV,  7. 

(8)  Paolo,  ^»  lettera  a  Timoteo,  V,  6,  7. 

(9)  Paolo  ai  FiUppeei,  II,  17,  18. 


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IL  'IIKRONB,  DI  ARRIGO  BOITO  967 

mentre  in  torno  a  lui  nel  tumulto  plebeo  suoneranno  atroci  le  ca- 
lunnie cui  eran  fatti  segno  i  cristiaui:  ribelli  all'impero,  odiatori 
dell'  uman  genere,  uccisori  di  fanciulli,  avvelenatori  e  incendiari  (1). 
Il  Sermone  della  Montagna:  «  Beati  i  perseguitati  !  »  non  era  dunque 
stato  ricordato  in  vano. 

.  A  questa  eroica  dolcezza  fanno  contrasto  le  scene,  cui  già  accennai, 
con  Simon  Mago,  le  quali  rivelano  in  Fannèl  una  potenza  d'odio  pari 
alla  potenza  d'amore.  L'anatema  scagliato  contro  il  Taumaturgo 
(atto  I,  pag.  40),  la  spietata  risposta:  <  Cosi  non  sia  »  che  nel  se- 
condo dialogo  ricorre  a  ogni  preghiera  di  Simone  (atto  III,  pagine 
133-137),  il  gesto  e  la  parola  che  rievocano  l'inganno  di  Satana  e 
il  ribrezzo  del  serpente  (atto  III,  pag.  137)  sono  d'una  violenza  estrema. 
E  l'ira  è  tale  che  non  la  placa  né  anche  la  morte  :  pur  d'innanzi  al 
cadavere  del  Nemico  Fanuèl  non  ha  una  parola  di  pietà  né  un  pen- 
siero di  perdono;  s'arresta  un  istante,  e  maledice: 

Da  Dio  fu  infranto:  abominato  sia!    (Atto  IV,  pag.  184) 

Tutto  ciò  è  con  profonda  arte  informato  al  linguaggio  e  al  senti- 
mento del  tempo. 

Né  il  caso  di  Bubria  che  nell'indotta  mente  cerca  accordare  due 
fedi  cosi  diverse  e  confondere,  com'ella  dice, 

nella  stessa  vampa 
L'ara  ardente  di  Vesta  e  la  pia  lampa 
Della  vergine  saggia 

parrà  incredibile  a  chi  ricordi  i  molti  esempi  consimili  che  la  storia 
offre  pur  in  età  più  a  noi  vicine  :  Pretestato  quindecimviro,  ponte- 
fice di  Vesta  e  ierofante  di  Iside;  Aconia  Paolina  iniziata  ai  misteri 
di  Bacco  e  di  Cerere,  di  Cora  e  d'Ecate  d*Egina;  Simmaco  pontefice 
di  Vesta  e  del  Sole,  curiale  di  Ercole,  credente  in  Iside  e  in  Mitra. 
Ma  ritorniamo  all'asil  di  pace.  Non  piacque  il  «  mistico  orto  »  a 
un  de'  nostri  critici  più  acuti,  il  quale  osservava  che  <  i  seguaci  di 
«  Gesti  avevano  altri  luoghi  di  riunione  ».  Anche  parve  a  questo 
scrittore  che  il  linguaggio  dei  cristiani  nel  Nerone  fosse  <  troppo 
«materiato  di  paganesimo»;  ond'egli,  in  proposito  dei  versi: 


(1)  Tacito,  AnnàU,  XV,  41-44,  Storie,  V,  6  ;  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  16  ; 
Dione  Cassio,  XXXVII,  17;  Paolo at Eomant, XIII  e  segaenti;  Pietro,  Iniet- 
terà, II,  12,  13,  15,  III,  16. 


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006  ARTS  CONTIMPOaANBA 

0  date  a  piene 
mani  le  rose 

non  senza  arguzia  notava:  <  Così  cantano  i  neofiti  che  evidentemente 
«  sanno  Orazio  ». 

Ora  ecco.  Quanto  al  luogo,  le  catacombe  eran  più  poetiche  forse; 
se  non  che  avanti  la  persecuzione  i  cristiani  avevano  uso  di  raeco- 
gliersi  nelle  case  de'  più  notabili  o  de'  più  agiati  (1).  Parrà  da  vero 
tanto  strano  che  alcuna  di  queste  case  avesse  un  orto?  —  Quanto  al 
linguaggio,  ò  dimostrato  —  panni  —  che  esso  fu  attinto  a  documenti 
cui  mal  si  saprebbe  negar  fede  ;  né  che  vi  si  trovi  qualche  imagine  di 
poeta  classico  (altre  ne  ricorrono  ne'  versi: 


A  te  il  giacinto 
Che  il  sangue  accoglie 
D'un  vago  estinto 
Nelle  sue  foglie 


che  rievocano  le  greche  favole  di  Giacinto  e  di  Ajace»  cantate  da 
Ovidio)  (2)  può  sembrar  strano;  espressioni  e  figure  del  paganesimo  erano 
in  Boma  nel  comun  fondo  della  lingua;  persino  i  canti  sibillini  ne  ab- 
bondano (3)  ;  e  la  stessa  arte  cristiana,  del  resto,  derivò  ancora  per  molti 
anni  dai  miti  latini  ed  ellenici  le  sue  rappresentazioni,  e  all'Ermes 
erioforo  di  Tanagra  chiese  il  simbolo  del  Buon  Pastore,  e  del  gruppo 
di  Eros  e  Psiche  si  valse  a  ritrarre  l'anima  umana  che  s'esalta  nel 
bacio  del  divino  amore  (4).  E  l'imagine  de'  fiori,  ovunque  ei  s'ab- 
battessero a  trovarla,  doveva  essere  tra  tutte  cara  a  quegli  uomini 
che  le  dolcezze  d'una  eterna  primavera  pensavano  serbate  agli  eletti 

Inter  odoratos  flores  et  amoena  vìreta  (5). 

A  ogni  modo  non  si  tratterebbe  d'Orazio;  Temistichio 

Manibus  date  lilia  plenis 


(1)  Paolo  ai  Corinti,  XVI,  19,  ai  JBomam,  XVI,  5,  XIV,  15,  23,  Mti,  XX,  8-9. 

(2)  Metamorfosi,  lib.  X  e  XIII. 

(3)  Renan,  Saint  Paul 

(4)  Venturi,  Storia  deffaHe  iUùiana^  voi.  L  e  Dai  primordi  dell'arte  crìctiaDa 
al  tempo  di  Giastiniano  t . 

(5)  Draconzio,  Be  Beo,  I,  ni,  verso  679. 


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IL  ^NsaoMS,  DI  ÀBRieo  Borro  ^  960 

è  dì  Vergilio,  nel  canto  VI  ieAV Eneide.  Pedanterìe;  non  ò  vero?  Ma 
chi  accasa  un  poeta  d'infedeltà  alla  storia  dovrebbe  almen  provvedere 
—  io  penso  —  di  non  essere,  egli,  infedele  alla  poesia. 


* 
*  * 

Ma  se  Fanuèl  e  Bubria  àn  rilievo  nel  dramma  non  tanto  da'  sen- 
timenti lor  singolari  quanto  dalla  significazione  che  in  essi  acquista 
la  complessa  vita  del  tempo;  se,  creatura  di  sogno,  Asteria  non  esce 
dal  mistero  della  leggenda  che  per  illuminarsi  un  attimo  nell'ardor 
d'una  passione  delirante  e  vanire  ;  se  Tigellino  e  Qobrias  son  ri- 
tratti di  scorcio  e  Sporo  e  Terpnos  e  Lucano  son  muti  ;  la  figura  del 
protagonista  à  tale  intensa  verità  di  caratteri  propn  da  dover  essere 
annoverata  tra  le  più  originali  e  geniali  di  cui  l'arte  moderna  si 
vanti. 

Anche  per  essa  Arrigo  Boito  non  stette  pago  alle  apparenze  più 
note  ;  rifuggi  sopra  tutto  dairastrarre  da  alcune  qualità  del  perso- 
naggio storico  un  tipo.  Egli  non  foggiò  in  somma,  secondo  l'uso  degli 
scrittori  che  l'avevano  preceduto,  l'imagine  d'un  dissimulatore  o  d'un 
feroce  o  d'un  licenzioso  o  d'un  fatuo,  ma  volle  ricercare  qual  fatuo 
qual  feroce  qual  dissimulatore  qual  licenzioso  fosse  stato  Nerone, 
e  tale  rappresentarlo  —  individualità  viva  —  su  la  scena. 

Ora,  a  che  inclinasse  l'anima  del  Cesare  già  in  parte  abbiam  ve- 
duto parlando  della  commedia  di  Pietro  Cessa  ;  per  l'altra  parte,  ecco. 

Nerone  fu  un  degenerato  in  im'età  di  corrotti.  I  vizi  del  tempo  si 
ritrovano  nel  suo  animo  tutti,  ma  impressi  de'  caratteri  che  la  psi- 
chiatria ci  insegna  essere  proprii  a  punto  delle  degenerazioni  intel- 
lettuali e  morali.  In  lui  la  lussuria  è  sadismo,  la  leggerezza  è  im- 
pudenza, la  vanità  è  follia  di  grandezza,  la  crudeltà  è  mezso  di 
compiacimento  estetico  con  mille  sottili  arti  proseguito.  Non  cercate 
ne' suoi  atti  la  logica:  Nerone  è  una  creatura  ibrida,  ambigua, 
contraddittoria.  Disprezza  i  liberti  che  àn  governato  l'impero  sotto 
Claudio,  e  si  lascia  guidare  dai  dissoluti  e  dagli  adulatori  che  gli  son 
da  presso  (1).  Tiene  a  vile  il  denaro  sì  da  voler  tolti  a  un  tratto  tutti 


(1)  Tacito,  Annali,  XIII,  14.  20,  XIV.  8,  57. 


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970  ARTI  CX)NTKMPORANKA 

ì  tributi  diretti  ;  ma  quando  le  sue  pazzie  anno  imporerito  Terario, 
accusa  d*imaginate  congiure  i  più  ricchi  per  aver  pretesto  a  confiscare 
i  lor  beni  (1).  Ama  ripetere  a  ogni  momento  che  il  suo  potere  non 
à  limiti  e  che  tutto  gli  è  lecito;  ma  ogni  moto  della  plebe  lo  ritroya 
pauroso  e  tremante,  pronto  a  concedere  tutto  ciò  che  gli  si  chiede  (2). 
Lo  direste  vile,  e  tale  veramente  vi  si  palesa  in  molti  incontri  ;  pur  nei 
perìcoli  piti  gravi  vi  si  scopre,  contro  ogni  aspettazione  e  fuor  d'ogni 
misura,  confidente  e  incurante:  avuta  in  Napoli  la  notizia  della  ri- 
bellione delle  Gallie,  si  reca  nel  ginnasio  ad  ammirare  con  lieto  volto 
la  lotta  degli  atleti,  e  per  otto  giorni  più  non  risponde  né  al  Senato 
né  ai  familiari,  posta  in  oblìo  la  cosa,  tutto  intento  al  diletto  degli 
spettacoli  e  de'  giochi;  chiamato  a  Roma  da  nuovi  avvisi,  fa  venire 
a  sé  i  suoi  più  fidi  e  disposto  confusamente  di  ciò  che  era  da  farsi 
consuma  il  restante  del  giorno  a  udire  certi  strumenti  musicali  ad 
acqua  allora  allora  trovati,  promettendo  che  ne  avrebbe  pubblicamente 
trattato  in  teatro,  «  se  così  a  Vindice  fosse  piaciuto  »  (3).  Uccide  per 
un  nonnulla  ;  per  una  lode  negatagli,  per  un  epigramma,  per  un'espres- 
sione del  volto  in  cui  gli  paia  di  scorgere  o  sospetti  un  rimprovero; 
ma  risparmia  gli  autori  dei  motti  che  lo  accusano  matricida  e  tiranno, 
e  perdona  agli  insulti  atrocissimi  di  Isidoro  filosofo  e  di  Dato  istrione  (4). 
Si  circonda  di  astrologhi  e  di  maghi,  raccoglie  amuleti,  osserva  su- 
perstizioni ed  auguri;  poi,  fatto  incredulo  a  un  tratto,  insozza  il  si- 
mulacro della  Dea  Siria  cui  serbavasi  da  gran  tempo  devoto  (5)  e 
alterna  ai  sacrifizi  i  sacrilegi  (6). 

Tutto  ciò  rivela,  in  un'indole  naturalmente  malvagia,  le  volubilità 
e  le  incoerenze  e  le  incostanze  che  la  moderna  scienza  à  per  segni 
certissimi  della  dissoluzione  della  psiche  (7).  Nerone  non  riconosce 


(1)  Tacito,  Annali,  XIII,  50,  51,  XV,  18,  72;  Stetohio,  VUa  di  Nerone,!, 
XXX,  XXXII. 

(2)  SvBTONio,  XXXVIl,  XLV;  Tacito,  Annali,  XV,  89. 

(3)  Syetonio,  Vita  di  Nerone,  XL-L. 

(4)  Tacito,  Annali,  XVI.  22,  24;  Syetonio,  Vita  di  Nerone,  XXXVIl,  XXXIX. 

(5)  Veramente  la  parola,  propria  sarebbe  an*altra  :  e  urina  contaminaret  »  dice 

SVETOKIO,  LVI. 

(6)  SvETONio,  Vita  di  Nerone,  XXXVI,  XXXVIII,  XL,  LVI;  Tacito,  AnnaH, 
XV,  57,  36. 

(7)  Sergi,  Degenerasione  :  Pasti,  pp.  64,  65  ;  Lombroso,  Genio  e  FolHa  (primi 
capitoli). 


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IL  *  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  971 

altra  norma  ai  propri!  atti  che  il  muteTole  capriccio  dell'ora.  Manca 
in  lui  non  pure  ogni  armonia  tra  le  facoltà  dello  spirito,  ma  ogni 
serietà  di  sentimento  e  di  pensiero,  fin  la  coscienza  del  vero  e  del 
falso,  del  bene  e  del  male.  Educato  agli  esempi  delle  crudeltà  fred- 
damente meditate  e  dei  delitti,  tra  le  coperte  arti  e  gli  intrighi 
del  palazzo,  con  d'innanzi  agli  occhi  lo  spettacolo  ad  ogni  momento 
rinnovellato  del  sangue;  innalzato  ancor  fanciullo  all'impero  del 
mondo  e  costretto  a  riconoscere  l'inizio  della  sua  fortuna  e  della  sua 
potenza  da  un  parricidio,  Nerone  si  persuade  assai  presto  che  nulla  è 
sacro  nel  mondo,  e  che  la  vita  non  à  valore  che  per  l'ebrezza  dei 
godimento  e  del  dominio.  E  i  suoi  contemporanei  l'odono  in  fatti 
protestare  a  ogni  ora  che  la  virtù  è  una  menzogna,  che  l'uomo 
onesto  è  colui  che  liberamente  e  senza  ambagi  confessa  la  propria 
impudicizia,  che  grande  è  quegli  solo  che  sa  abusare  di  tutto,  tutto 
distruggere,  tutto  dissipare  (1). 

Ma  in  fondo  al  malvagio  bizzarro  è  il  retore:  la  follia  di  Nerone 
fu  sopra  tutto  —  come  avvertì  acutamente  il  Benan  —  una  perver- 
sione letteraria. 

Quello  spirito  prodigiosamente  falso  era  il  più  atto  a  cedere  al 
triste  fascino  d'una  consuetudine  che  traviava  a'  suoi  tempi  anche 
i  migliori.  Nelle*  scuole  retoriche,  mantenute  a  spese  del  pubblico 
erario,  gli  animi  e  gli  ingegni  si  avvezzavano  a  comporsi  senti- 
menti fattizi  per  esercitazione  di  stile,  s'addestravano  a  mentire 
alle  verità  anche  più  salde  per  la  lode  della  sottigliezza  e  per  l^amor 
delia  frase.  Ne  nasceva  un'educazione  al  tutto  falsata;  una  fantasia 
piena  di  casi  ricercati  e  violenti  ;  il  gusto  delle  esagerazioni  e  delle 
cavillazioni  ;  uno  stile  perennemente  anfanante  in  cerca  di  un  me- 
raviglioso che  obbligasse  i  lettori  —  come  diceva  il  poeta  —  ad  al- 
largare i  polmoni  e  ansimare  (2).  L'abito  contratto  negli  anni  in 
cui  il  pensiero  sì  forma  non  era  più  deposto.  Senatori,  uomini  con- 
solari, magistrati  si  sottoponevano  a  ridevoli  cure  per  far  morbida 
e  chiara  la  voce;  invitavano  gli  amici  a  certami  di  dispute,  a  puerili 
academie  di  declamazione:  recitavano  in  pubblico,  dopo  lunghe  pre- 
parazioni, con  gesti  faticosamente  studiati,  i   lor  componimenti. 


(1)  SvBTONio,  loc  cit,  29,  30;  Dionb  Gabbio,  LXI,  4,  5. 

(2)  Perbio,  I;  Raffaello  Vescovi,  Pre fagiane  aUe  e  Satire  »  di  Giovenale. 

Ri9iita  mHtiealt  ftaiiSita.  Vili  63 


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974  ARTB  CONTBMPORANCA 

ei  migri  (l).  A?yisato  da  Elio  liberto,  mentr'egli  attende  a'  giochi 
in  Acaja,  che  le  cose  gli  volgono  contrarie  e  ch'è  necessario  il  suo 
ritorno  in  Berna,  risponde  «  do?er  anzitutto  badare  alla  propria 
€  reputazione  d'artista  »  (2).  Bimane  indifferente  ai  proclami  di  Vin- 
dice, ma  yitnperato  in  uno  di  essi  come  «  tristo  citaredo  »,  raccoglie 
il  Senato  perchè  vendichi  la  sua  fama  (3).  Costretto  a  fuggire,  sarà  sua 
prima  cura  di  trovar  carrette  per  recar  seco  gli  stromenti  musicali 
del  teatro  (4). 

Ma  non  è  tutto. 

L'illusione  del  reale  nell'atto  della  finzione  estetica,  che  nel- 
l'artista sano  di  mente  non   dura  che  un  istante  (e  forse  non  si 
scompagna  mai,  né  pure  un  momento,  dalla  coscienza  —  sia  pure 
attenuata   —   dell'individualità  propria),  fu  continua   in  Nerone. 
Sogno  e  realtà  si  confondevano  nel  suo  delirio.  Vedeva  sé,  le  sue 
donne,  il  suo  mondo  negli  eroi  e  nelle  eroine  delle  tragedie  e  dei 
poemi;  e  recava  per  converso  nella  vita  le  parole,  le  attitudini,  i 
gesti  di  tutte  le  creature  dell'arte  i  cui  sentimenti  egli  aveva  rievo- 
cati nel  canto  o  simulati  sul  teatro.  Per  lui  la  rappresentazione  si 
continuava  oltre  la  scena;  più  vasta  anzi,  poi  che  comprendeva  e  fon- 
deva in  una  sola  infinita  visione  tutte  le  peripezie  e   tutte  le  leg- 
gende, tutte  le  fEivole  e  tutti  i  miti.  Da  ciò  quella  sua  estetica  atroce 
che  lo  traeva  a  plasmare  nel  vero  le  imaginazioni  che  pitture  scul- 
ture drammi  racconti  gli  suscitavano  nel  cervello.  Da  ciò  anche 
quella  falsità  continua  per  cui  pare  ch'egli  reciti  fin  nei  momenti 
più  terribili  della  sua  vita.  Vedete,  in  Svetonio  e  in  Dione  Cassio,  i 
particolari  della  sua  fuga.  Inseguito  dai  soldati  di  Galba,  riparatosi 
nella  valle  di  Faonte,  pur  nell'angoscia  suprema  dell'ora,  Nerone 
cerca  in  ogni  nuovo  caso  che  gli  occorre  argomento  a  confronto  tra 
la  sua  sorte  e  quella  dei  personaggi  più  illustri  della  storia  e  del- 
l'arte;  si   paragona  ad  Edipo;   ricorda  le  parti  di  principi  infelici 
da  lui  rappresentate  sul  teatro;  fa  so  soggetto  di  pompose  sentenze 


(1)  SvETOHio,  Vita  di  Nerone,  XXIII. 

(2)  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  XXIII. 

(3)  SvETOHio,  Vita  di  Nerone,  XLI. 

(4)  Svetonio,  Vita  di  Nerone,  XLIV;  Dione  Cassio,  LXII,  26. 


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IL  '  NBaONB  ,  m  ARRIGO  BOITO  975 

morali;  cerca  espressioni  alla  sua  paura  e  alle  sue  ansie  nella  reci- 
tazione enfatica  di  versi  d'autori  greci  e  latini  (1). 

Tutto  ciò  è  ridevole  e  tristo.  L*istrione  ò  rimasto  nel  Cesare  fino 
all'estremo.  Ma  più  tristo  anche  è  che  Tistrione  prenda  a  materia  delle 
proprie  declamazioni  le  sue  infamie;  che  la  fatuità  retorica  in  lui  si 
unisca  alla  vanità  del  delitto  (2),  ed  egli  melodrammaticamente  si 
compiaccia  della  propria  scelleratezza  neiratteggìamento  di  un  eroe 
che  il  Destino  travolge  e  cui  incalzano  implacate  le  Furie  (3). 

Ora  Arrigo  Boito  à,  con  intuizione  di  poeta  e  di  psicologo,  colto 
il  carattere  essenziale  dell'anima  di  Nerone. 

La  falsità  di  queirindole  si  rivela  con  tanto  più  profonda  evi- 
denza nella  tragedia,  in  quanto  il  fatto  che  occupa  la  conscienza  del 
Cesare  è  tale  che  ogni  più  fredda  anima  ne  sarebbe  straziata  in 
etemo. 

L'uccisione  di  Agrippina  ci  sarà  narrata  dallo  stesso  protagonista 
nel  quinto  atto,  in  pochi  versi  la  cui  terribile  concisione  ricorda 
Tarte  di  Tacito: 

...Tu  tremi,  ammutolisci,  eppure 
Parlare  osasti  quando  mi  narravi 

La^  trace  notte e  là,  snl  lido un'erma 

Gasa  deserta,  ov'arde  un  lame  languido, 

Cogli  altri  rei  varchi  la  soglia Tultima 

Schiava  fagge t'inoltri.  In  solitudine 

Tetra  giacea,  là,  sol  suo  letto desta 

Agrippina (son  tue  parole,  ascolta!) 

£  avea..:..  l'ansia  de'  naufraghi  sul  volto. 
Vile!  e  tu  primo  avventasti  a  quel  lugubre 
Capo  il  colpo  di  mazza  (4). 

Quando  la  tragedia  si  apre,  il  matricidio  è  da  poco  tempo  com- 
piuto. Nerone  erra  per  la  Campania  in  delirio.  Un  grido  di  spavento 
lo  annuncia  ;  ed  egli  irrompe  su  la  scena  ravvolto  in  una  toga  funebre. 


(1)  Syitohio,  Vita  di  Nerone,  XLII,  L;  Dionb  Cassio,  LXIII,  28-80. 

(2)  La  vanità  del  delitto  è  nno  dei  caratteri  più  noti  di  quei  degenerati  che 
il  Lombroso  chiama  nella  sua  classificazione,  ormai  accettata  da  tutti,  «  delin- 
quenti-nati ». 

(3)  Stetonio,  rUa  di  Nerone,  XXXIV,  XLI;  Dione  Cassio,  XLIII,  28. 

(4)  Atto  V,  pag.  217. 


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976  ARTE  CONTCMPORAMCA 

recando  tra  le  braecìa  un'arna  cineraria.  Le  parole  concitate  ch'ei  ri- 
volge prima  a  Tigellino,  poi  a  Simon  Mago,  rìrelano  una  tamnltaosa 
agitazione.  Ma  non  è  dolore  ;  è  terrore.  Il  supenitizioso  Cesare  che  pro- 
diga le  vittime  amane  per  disperdere  i  presagi  del  cielo  (1) ,  che  per 
un  augurio  infausto  si  ritrarrà  subitamente  dal  viaggio,  gran  tempo 
vagheggiato,  di  Alessandria  (2),  e  ristarà  su  la  soglia  del  tempio  di 
Eleusi  impotente  di  attraversarla  poi  che  un  banditore  vieta  agli  scel- 
lerati d*entrarvi  (3)  —  à  paura  dello  spettro  materno,  k  accisa  Agrip- 
pina perchè  la  temeva,  ed  essa  gli  risorge  ora  dinnanzi  più  terribile, 
«poi  che  i  morti  anno  una  ignota  potenza  che  vince  ogni  forza  e 
ogni  le^.  Non  piangere  gli  bisogna  (in  tutta  la  scena  cerchereste 
in  vano  un  pensiero,  anche  improvviso,  una  frase,  anche  fugace, 
d*affetto),  ma  assicurarsi  contro  l'Ombra  che  lo  persegue.  E  non  è 
pietà  che  lo  chiama  a  quell'officio,  cui  ora  s'accinge,  di  dar  sepoltura 
al  cenere  materno,  ma  fede  cieca  nella  magica  efficacia  del  sacrificio, 
nel  poter  delle  formule  e  de'  riti.  Vedete  (poi  che  la  superstizione 
à  questo  carattere  a  punto,  di  dar  alle  pratiche  esteme  l'importanza 
suprema)  con  quanto  riguardosa  osservanza  egli  compia  ogni  atto  della 
cerimonia  espiatoria,  e  ripeta  i  gesti  complicati  e  le  parole  oscure 
del  culto: 

siMOK  MAGO  (porgendo  Vuma  cineraria  a  Nerone) 
Si  sotterri  Tuma. 
A  te;  paventi? 

UTEBOXI 

No. 
TiGELLiMo  (dalTAppia)  ^ 

Presto. 

NERONE 

M'i^uta. 
(Simon  Mago  lo  aiuta  a  calar  l'urna  ndta  fossa). 

SIMON  MAGO 

Là, 


(1)  SvBTONio,  Vita  di  Nerone,  XLIV  ;  Tacito,  Annali,  XV,  47. 

(2)  Tacito,  Annali,  XV,  36  ;  Svbtokio,  Vita  di  Nerùne,  XIX. 

(3)  SvrroKio,  Vita  di  Nerone,  XXXIV. 


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IL  '  NERONE  ,  DI  ARRIGO  BOITO  977 

KERONE 

Più  profondo.  Più  profondo  ancora. 
('Siman  Mago  comprime  Vuma  netta  huca^  poif  eolla  vanga,  la  eapre  di 
terra  finché  la  fossa  è  ricolma). 

SIMON  MAGO 

È  fatto. 

NERONE 

È  fatto.  Nascondi  la  vanga. 
(Simon  Mago  va  a  nascondere  la  vanga  fra  i  ruderi,  poi  rilama; 
prende  dall'acerra  alcuni  grani  d'incenso,  li  sparge  suU'aitk  thnnurìa,  tm- 
merge  Vaspersorio  ndl^idria,  raccoglie  da  terra  il  velo  nero,  lo  distende), 

smoH  MAGO 

Ti  copra  l'atro  vel. 
(Copre  la  testa  e  il  viso  di  Nerone  col  v^y  insino  al  petto). 

Abbassa  il  capo 
,    Sotto  Taspergin  sacra. 

NERONE 

(eseguisce  carne  un  lugubre  automa  gli  ordini  di  Simon  Maga  e  con  voce 
lamentosa  implora  :J 

Ajntal  Ajnta 
L'anima  miai 

SIMON  MAGO 

(tracciando  coll'aspersorio  dei  segni  arcani  néWaria) 

Eedimo  te.  Ti  prostra. 
Amen  rispondi. 

NERONE 

(tutto  prostesa,  toccando  cótta  fronte  la  terra,  ripete) 
Amen* 
(La  luna  si  svolve  dalle  nubi  piò  dense;  la  sua  luce  traspare  velata), 

SIMON  MAGO 

Ti  rialza. 
(La  ajuta  a  sollevare  il  capo  e  il  pettOf  ma  la  mantiene  ancora  genuflesso). 

SIMON  MAGO 

Qaest'ò  l'ora  che  scendono  i  demoni 
Dalla  region  lunare.  Ecate  langae. 
Spargi  i  libami  pria  che  si  nasconda. 
(La  luna  si  fa  più  torbida.  Siman  Maga  s'affretta  a  porgere  a  Nerone 
la  tazza  libatoria). 


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973  ARTE  CONTEMPORANEA 

NERONE 

È  sangue? 

SIMON   MAGO 

È  sangue;  inaffiane  la  fossa, 
Ma  nel  versarlo  torci  il  volto. 

NERONE 

È  giusto. 

Ma  par  neirangoscìa  della  paura  e  neirorror  del  rito  funereo,  per- 
mane il  retore  e  Tistrìone  prevale.  Il  delirio  che  lo  travolge  rievoca 
a  Nerone  altri  deliri  celebrati  nelFarte;  ed  egli  pensa  che  la  sua 
sorte  non  è  senza  grandezza  se  destini  al  suo  consimili  vivono  im- 
mortali nei  versi  e  nelle  musiche  di  tragedi  divini.  Le  espressioni 
che  egli  usa  son  ricercate  eccessive  violente  —  intese  a  dare  del  suo 
turbamento  un'imagine  eroica,  k  incontrato  nella  fuga  Asteria,  e 
l'imaginazione  alterata  gli  à  finto  nella  fanciulla  l'Erinni.  Or  non 
cosi  forse  le  orride  figlie  della  Notte  comparvero  subitamente  ad  Oreste 
dopo  il  matricidio  ?  «  Eccole  »  —  dice  l'eroe  greco  nelle  Coefore^  «  si- 
mili a  Gorgoni,  avvolte  in  negri  panni,  attorte  le  chiome  di  affollate 
serpi  »  (1).  E  a  Tigellino  —  già  fatto  inconscio  plagiario  —  Nerone: 

L'Erinni!  là... 
.     .     ,     ....  La  vidi,  sùrse 
Cinta  di  serpi.  Squassava  una  face, 
Poi  la  ingojò  la  notte. 

E  si  compiace  di  quell'imagine,  come  del  paragone  tra  l'insonnia 
della  plebe  romana  e  l'inquietudine  angosciosa  dei  Cesari,  stirpe  di 
semidei  cui  preme  terribile  il  Fato  (atto  I,  pag.  9). 

Tutto,  del  resto  —  la  notte,  le  luci  incerte  delle  fiaccole,  gli  arcani 
canti  che  il  vento  reca  e  dissolve  —  par  comporgli  da  tomo  una 
fantastica  scena  per  una  qualche  rappresentazione  di  non  più  veduta 
potenza.  Anche  lo  seduce  in  quel  mistero  l'apparato  della  liturgia,  la 
pompa  teatrale  del  rito  cui  egli  s'è  preparato  con  lunga  arte  studiando 
non  pur  i  gesti  e  le  formule,  ma  fin  le  parole  che  dovrà  pronun- 
ciare su  la  fossa. 


(1)  Recherei  la  traduzione  del  Bbllotti  se  essa  non  fosse,  per  le  necessità 
del  verso,  qoa  e  colà  infedele. 


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IL  'NBHONB,   di  ARRIGO   BOITO  979 

Vedete  a  punto  Torazione  funebre. 

Incomincia  con  una  reminiscenza  della  preghiera  eschilèa  :  <  Grande 
messaggero  degli  dei  superni  e  inferi,  sotterraneo  Mercurio,  deh 
m'odi  !  &  ch'io  sappia  che  m'ànno  inteso  i  demoni  custodi  delle  case 
paterne,  e  che  pur  m'à  ascoltato  la  terra,  essa  che  produce  e  nodrisce 
tutte  le  cose  e  tutte  nuovamente  le  riceve  »  (1). 

0  Terra!  0  buona  Dea!  mia  prima  madre! 
Tu  che  cai  labbri  déUe  tue  ferite 
Porgi  ai  figli  crudeli  e  fiori  e  bi^de, 
Ne'  tuoi  misteri  un'ottra  madre  accogli. 

Lo  scolare  di  Seneca  ricorda  i  suoi  autori;  se  non  che,  indulgendo 
al  gusto  corrotto,  guasta  la  libera  imitazione  con  imagini  forzate  e 
con  giochi  vani  di  parole. 

Dopo  l'invocazione,  secondo  il  precetto  della  retorica,  «  l'esposizion 
del  &tto  »,  chiusa  solennemente  da  una  sentenza: 

Queste  ad  un  lido  fatai  insepolte  ceneri  tolsi. 
Qui  le  trassi  dove  stende  Roma  sue  tombe; 
Sacro  sempre  fu  ridonare  agli  estinti  la  patria. 

Poi  si  svolge,  largamente,  il  compianto: 

Non  a  te,  madre  mia,  gli  alteri  tumuli  carchi  * 

D'urne  Domizie. 

Sol  tuo  rogo  affrettato  ambra  non  arse, 

Poeta  non  cantò,  donna  non  pianse 

E  non  fu  conclamato  il  tuo  gran  nome,' 

0  figlia  di  Germanico,  tre  volte 

Imperatoria  ! 

Miseranda!  Io  stesso 
Colgo  la  cieca  notte  e  mi  nascondo 
Per  darti  pace  e  ignota  sepoltura. 

Ecco:  il  delitto  è  ancor  recente;  Nerone  à  poc'anzi  lasciato  il  luogo 
ove  ei  volle  rivedere  la  madre  morta.  Pure  il  ricordo  del  matricidio 
non  suscita  in  lui  un  moto  di  dolore  né  un  fremito;  non  gli  trae 
dall'anima  un  grido.  Non  l'opera  sua  egli  piange,  ma  la  povertà  delle 
esequie  indegne  della  donna  che  fu  sorella  e  consorte  e  genitrice  d'im- 


(l)  È  la  preghiera  di  Elettra  nelle  Coefore, 


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960  ARTX  CONTBMPOaANKA 

peratori.  Chiama  la  madre  «  figlia  di  Qermaiiico  »  «  tra  Yolte  im- 
peratoria». E  freddamente  si  dUetta  a  compor  frasi  eleganti  su  la 
pompa  dei  fanerali  che  le  avrebbe  volato  apprestare,  quasi  che  gli 
incensi  e  i  canti  de*  poeti  e  le  acclamazioni  della  plebe  dovessero 
bastare  a  placar  qnei  Mani  e  sperd^re  fin  la  memoria  delie  scelle- 
ratezze compiute. 
In  fine  Nerone  sMoginoccbia  (à  meditato  ogni  atto)  ed  esclama: 

Ecco  mi  prostro,  m'atterro,  m'accuso. 
Se  degli  estinti  lo  sguardo  penetri 
Nell'alme  nostre,  il  mìo  contempla,  o  madre, 
Interno  orror. 

Quest'è  l'ultimo  vivo 
Di  tua  tragica  stirpe:  in  me  il  Destino 
Tutte  addensa  sue  forze  e  le  óonsuma. 
M'invade  il  Nmne  antico.  È  l'opra  mia 
L'opra  del  foto. 

Ah  ben  dicea  quel  grido:  (ergendosi  fieramente) 
Io  sono  Oreste!  (1). 

Io  sono  Oreste!  Tutto  Nerone  è  in  questo  grido.  Il  Matricida  si 
atteggia  nel  gesto  deireroe  —  sorto,  come  l'ultimo  Atride«  da  una 
tragica  gente,  prescelto  dal  fato  per  un'opera  che  trascende  ogni 
umana  legge.  11  suo  delitto  è  la  sua  grandezza.  E  l'orazione  funebre, 
cominciata  con  una  preghiera,  finisce  in  un'apologia. 

Compiuto  il  rito,  la  triste  cura  è  cacciata.  Ma  un'inquietudine 
assale  l'anima  del  Cesare:  come  rientrerà  in  BomaP  La  plebe,  i  se- 
natori, i  tribuni  accorrono  alla  sua  volta.  Pur  Nerone  esita.  E  non  si 
rianima  se  non  quando  ode  suonare  nel  canto  degli  artisti  dionisiaci 
i  suoi  versi.  Dice  il  carme  i 

I   DIONISIACI. 

L'ebra  MimàUone  già  die  fiato  alla  Bacchica  tromba, 
Sotto  il  secòspite  sta  già  il  tauro  ne'  ceppi  superbo; 
Doma  un  giogo  di  fior  la  lince,  le  Mènadi  ardenti 
•  Evion!  ,  gridano  ed  *  EvTCon!  ,  l'eco  remota  ripete  (2). 

Son  versi,  come  vedete,  miserevoli  ;  gonfi  di  frasi  pretensionose  e 
pompose.  Ma  non  fu  osservato  (ed  è  strano)  che  essi  appartengono  i 


(1)  Atto  I,  pp.  11.13. 

(2)  Atto  I,  pag.  57. 


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IL  *NBaONB,  DI  ARRIGO  BOITO  081 

noa  satira  di  Aalio  Persio:  alla  prima,  a  punto,  in  cui  son  dileg- 
giati gli  ampollosi  poeti  del  tempo.  La  maggior  parte  de'  commen- 
tatori li  attribuisce  anzi  senza  più  a  Nerone  ;  altri,  col  Monti,  inclina 
a  credere  —  e  pare  più  conforme  al  vero  —  che  con  essi  l'animoso 
scrittor  di  Volterra  imitasse  lo  stile  «  del  rìdoTole  yerseggiatore  co- 
ronato »  contro  cui  doveva  poi  hnciare  l'epigramma,  smussato  dalla 
prudenza  di  Anneo  Cornuto:  «  Àuricnlas  asini  Mida  rei  habet».  Eccoli, 
a  ogni  modo,  nell'originale: 

*  Torva  mimalloneis  implerunt  comua  bombis, 
Et  raptum  vitulo  caput  ablatura  superbo 
Bassaris,  et  Ijncem  Msenas  flexura  corymbis 
Evion  ingeminat:  reparabilis  adsonat  Echo  .. 

Nerone  ascolta,  rapito.  «  Cantano  i  versi  miei  »,  à  detto  a  Ti- 
gellino.  «  Plaudono  i  versi  miei  !  »  or  gli  ripete,  invaso  d'immensa 
gioja  mentre  le  acclamazioni  si  propagano  su  l'Appia.  Nella  vanità 
sodisfatta  di  poeta  egli  à  oramai  obliato  ogni  pensiero.  E  quando, 
come  &scinata  dal  carme,  la  plebe  ripete  l'invito  «  Canta  voce  di 
cielo  !  Canta  l'ode  d'amore  !  Canta  !  Canta  !»  e  la  lode  dell'artista 
sovrano  —  cantore  ed  auriga,  ceteratore  ed  attore  —  risuona  nelle 
voci  concordi,  Nerone  rinasce  libero  e  forte,  e  corre  al  Trionfo,  ebbro 
dì  vanagloria,  superbo  di  svelarsi  al  po|)olo  che  l'invoca  nella  sfol- 
gorante improvvisa  apparizione  d'nn  semidio  vittorioso  (1). 

Da  questo  momento  —  e  fino  all'ultimo  atto  —  Agrippina  è  di- 
menticata. 

Il  ricordo  del  matricidio  ricorre,  bensì,  ancora  —  ma'  fatto  ormai 
un  motivo  poetico.  La  Nemesi  è  placata  (2).  Nerone  —  nel  suo  pensiero 
—  è  già  Oreste  dopo  il  sacrificio  all'ara  di  Febo;  à  per  volere  dei 
Numi  compiuto  un'opera  di  terribile  giustizia  (3);  e  la  grandezza 
tragica  del  Destino  lo  circonda  d'un  fascino  immortale.  Curioso  dei 
misteri  soprannaturali,  avido  del  meraviglioso  e  dell'incredibile,  egli 
chiede  ora  a  Simon  Mago  la  rivelazione  d'una  dea  nova.  Crede  alle 
'  fole  del  Taumaturgo,  come  crederà  alle  ciancio  di  Cesellio  scopritor 


(1)  Atto  I.  pp.  57-68. 

(2)  Atto  II,  pag.  91. 

(8)  Le  parole  ch*egU  dice  nel  second^atto  «  Io  non.  senza  ragion  la  madre 
Qccui  »  (pag.  96)  son  qaelle  medesime  di  Oreste  nelle  Coofore  (ultima  scena). 


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983  ARTE  CONTEMPOaANEA 

dei  tesori  nascoti  ne' campi  di  Cartagine  da  Didone  faggi tiva  (1).  Dalla 
snperstizìoDe  del  Cesare,  già  rappresentata  nel  primo  atto  (2),  il 
Boito  trae  qui  argomento  a  rappresentare  il  carattere  del  suo  eroe 
in  nuovi  aspetti.  Il  Matricida,  la  cui  mente  è  piena  di  prodigi  e 
di  miti,  ricorda  la  favola  di  Pigmalione  che  animò  la  statua  plas- 
mata dalle  sue  stesse  mani,  il  folle  sogno  di  Caligola  che  chiamara 


(1)  Tacito,  Annali  XVI,  1,  2,  3, 

(2)  Alla  scena  dell'incantesimo  sono  da  aggiungere  i  particolari  di  qnest'altn 
che  pnre  ritrae  la  credali tà  superstiziosa  del  Cesare: 

(Nerone  guarda  pa%iro8amente  H  sepolcro  dove  sorgeva  Asteria). 

TIGELLINO 

Ebbene?  Sparve. 

KEROME 

(sempre  cogU  occhi  rivolti  al  sepolcro,  cupamente) 
S'ergea  fra  Boma  e  me  ! 

TIOELLINO 

Torci  Panello; 
Sperdansi  i  rei  presagi. 
(Dicendo  queste  ultime  parole  rivolge  il  castone  d'un  suo  anéOo  neìtifUemo 
della  mano;  Nerone  lo  imita), 

TIQBLLINO 

Ed  or  che  guardi? 
NBROHB  (fissando  la  pietra  miUiaria) 
A  qnella  pietra  s'arrestò  Tiberio 
i'aoroso  di  Boma. 

TIQBLLINO 

Erri,  ei  dio  volta 
Al  settimo  milliario  e  Thai  varcato. 

NERONE 

(volge  gli  sguardi  if^uieti  sul  posto  dove  Aa  sotterrata  Puma  ed  esdama 
atterrito:) 

Si  scorge  il  labbro  della  fossa  ! 
(TigéHmo  va  a  calpestare  quelle  MÓUe  per  disperdere  le  traecie  del  seppellimento- 
Nerone  lo  ha  seguito), 

(8'odono  dalla  parte  di  Boma  dei  clamori  lontani). 

TiGELLiNo  (prendendo  per  mano  Nerone) 
Andiamo. 

(Atto  I,  pp.  42  e  43). 


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IL  'NERONE,  DI  ARRIGO  BOITO  983 

anelante  la  nuda  fulva  turgida  luna  al  talamo   imperiale.  Nello 
specchio  oy'^li  tiene  fissi  gli  sguardi  gli  appare  Timagine  di  Asteria. 

(Un  raggio  iridiscente  scende  daUa  voUa  del  Tempio  e  illumina  Asteria 
la  cui  immagine  si  riflette  nello  specchio), 

NERONE 

Ah!  sparisci! 
(Atterrito,  impugna  il  maglio  di  ferro  e  sta  già  per  colpire  lo  scudo, 
ma  sàbito  s'arresta).  ^ 

No No.  Sei  del  miraglio 

L'illuslon.  Ma  ben  ti  ra£Sguro. 

(Avvicina  lo  smeraldo  all'occhio:) 
Voglio  indagar.  Come  mi  guarda  fiso! 
Strano  mister.  Par  specchiato  sembiante. 
(Ravvicina,  con  intensa  curiosità,  allo  specchio  e  lo  tocca;  abbandona  lo 
smeraldo:) 

Oh!  qual  pallor  sul  suo  volto e  sul  mìo! 

Vediam  (si  volge  e  vede  Asteria  sull'altare). 
Ahimè!  La  Dea  vivente!  Asteria!! 
f  Inorridito,  fugge  verso  l'angolo  opposto  a  quello  dello  specchio  e  si  copre 
gli  occhi  colle  mani). 

Pace!  Non  m'accecar! 
(Porta  la  mano  destra  aUe  labbra  in  segno  d'adorazione  e,  sema  osare 
d'alzare  gli  sguardi,  si  avvicina  ai  piedi  della  scalea  e   bacia  il 
primo  gradino). 

T'adoro.  Bacio 
L'altare  tuo,  pallida  Dea,  tremenda 
Protettrice  dei  morti!  Un  giorno  in  Tauri 
Tu  promettesti  pace  a  un  matricida, 
La  stessa  grazia  imploro;  al  par  d'Oreste 
lo  non  senza  cagion  la  madre  uccisi. 
Dal  sno  spettro  mi  salva! 

ASTERIA 

(sempre  immota,  fissandolo,  con  un  accento  languido  di  sogno:) 

Sorgi  e  spera. 

NERONE 

(sollevando  la  testa  e  gli  occhi  poco  a  poco  insino  ad  Asteria.) 
Oh!  come  viene  a  errar  presso  il  mio  core 
La  tua  parola!  Al  par  d'un  bronzo  echèo 
Risponde  il  core. 


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984  ARTE  CONTK31PORANKA 

(8org9  ìenUxmenU  e,  •  guardando  Asteria,   si  toglie  dal  eoUo  U 

di  smeraldi}  tnentr^egli  compie  quest^atto,  Asteria  con  eguale  Im- 
tezza  e  cogli  occhi  fissi  su  Nerone  si  toglie  dal  coUo  le  serpi  awoUe 
e  le  lascia  cadere  neUa  cista  mystìca  che  le  sta  d^aceanto). 

NBBONB 

Ta  dal  sen  dianodi 
La  vivente  lorica,  io  sorgo  e  getto 
L'offerta  ai  piedi  tuoi. 
(Getta  la  collana  di  smercddi  sul  tripode  dell'altare,  alla  portata  della 
mano  d'Asteria). 

Più  che  ti  miro, 
Più  fatale  m'appari  e  arcana  e  beUa 
Nel  tao  fùlgido  nimbo!  E  t'ho  confusa 
Co'  miei  sozzi  fantasmi  !  Or  riconosco 
La  tua  divinità!  Da  quella  notte 
Che  m'apparisti  fra  le  tombe  io  vivo 
Con  te,  con  te  soffro,  sogno,  deliro, 
Siam  da  temici  nodi  avvinti  insieme 
Viscere  e  cor  e  tu  nel  cor  mi  rodi. 
Sul  volto  ho  il  tuo  paUor,  son  la  tua  preda, 
Estreme  infliggi  angoscie  a  me!  mia  Dea,  * 

Perchè  m'annodi  egro  così,  perchè?/ 

(con  parola  sempre  piU^  infiammata:) 
Forse  un  immenso  spasimo  d'amore 
È  quél  che  grida  in  noi,  mio  paUidHncuho, 
E  fama  il  Matricida  e  in  lui  ti  béiL. 
Taffascina  del  sangue  il  bel  cinabro... 
Dammi  U  tuo  morso!  estatico  l'attendo 
E  e  offro  U  labro!! 
(poi  seguendo  collo  sguardo  le  movenze  d'Asteria,  prosegue:) 

Ecco:  la  Dea  si  china. 
Coglie  il  monil.  Il  sen  s'ingemma.  Bella 
Fra  i  lividi  smeraldi!! 

Ah!  scendi!  scendi 
Sul  sognator  d^  prodigiosi  imeni! 
Come  sciolta  dal  ciel  cade  una  stella, 
3cendi  vèr  me,  Selène!  Ecate!  Asteria! 
Vago  Eòne  lunar!  Magica  Iddia 
Dai  niiUe  nomi,  scendi!  ognun  di  quelli 
Sarà  un  nome  d'amor! 


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IL  'NEBONB,  DI  ABR160  BOITO  986 

Ma  immota  resti, 

Dea  degli  alti  silenzi,  al  par  dell'astro 

D'onde  tu  migri  nell'ore  incantate. 

No nel  tuo  core uman  sangue  non  pulsa, 

Ma  il  fii^do  icore  de'  Celesti.  Guarda  I 

Io rapito  dal  senso,  amor  spirando, 

Qui  giacio 

(S^è  geUcUo  sui  gradini  dell'altare  sempre  cogli  occhi  fissi  in  Asteria  e 
eoUe  braccia  tese  verso  di  lei.  Essa  rimane  immòbile  presso  alTara 
cóUa  tesia  ammeseiata;  come  irrigidita  deiPestasi), 

KEBONE 

Ohi  duolo l  Una  immortai  tu  sei! 
Donna  ti  voglio  e  anelante  nei  fremiti 
Fieri  del  bacio!!  Ah!  ch'io  non  maledica 
La  tua  Divinità!!  Già  U  sacrilegio 
Portai  su  Vesta  aUor  che  a  forza  avvinsi 

Bubria,  vergine  sacra,  a  pie  dell'ara 

Ma  delitto  pia  nuovo  e  assai  più  forte 
Consumerò!! 


L'oracol  grida  invan  su  me,  non  temo. 

Vedi  che  inerte  giacio  agonizzando 

Sotto  i  tuoi  piedi,,.  Ah!  dammi  U  bacio,,,  il  bacio 

Blando,,.,  lento..,,  che  muor  col  sogno  e  bea 

L'alma...,  e  dissonna  U  senso,.,.  Oh!  Amore.,,. 

La  fantasia  di  chi  legge  rievoca  le  tede  nuziali  accese  per  Tin- 
faniìa  di  Sporo,  il  sangue  di  cui  si  tinse  Taltare  di  Vesta,  le  ultime 
parole  di  Agrippina  al  sicario.  Anche  qui  è  tutto  Nerone.  È  il  «  cu- 
«  pitor  incredibilium  »  in  quel  folle  sogno  dell'imeneo  con  la  Dea.  È 
la  vanità  del  delinquente  e  del  pazzo  in  quell'ostentato  ricordo  delle 
turpi  nozze  e  del  sacrilegio  e  del  matricidio,  quasi  che  Taver  violata 
ogni  piti  pura  norma  di  vita  facesse  del  Cesare  un  nume  degno  del- 
l'amore d'un'immortale.  È  il  pervertimento  dei  sensi  in  quell'acre 
desiderio  del  morso  nelle  labbra  sanguigne,  in  quella  brama  di  vio- 
lente ebbrezze  struggitrici,  in  quel  pensiero  che  finge  imagini  di  spas- 
mosa  lussuria  cercando  nella  stessa  freddezza  della  dea  un  incita- 
mento di  saper  novo,  in  quel  delirante  linguaggio  che  associa  il 
piacere  all'angoscia,  l'amore  all'agonia. 

Pure  basta  che  Asteria  si  riveli  donna,  e   ogni   incanto  sensuale 


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V^OO  ARTB  GONTEÌCPORANKA 

vanisce.  Per  uno  di  quei  contrasti  improvvisi  che  bizzarramente  s'it- 
vicendano  nel  suo  spirito,  Nerone,  fitto  in  un  sùbito  incredalo,  or  si 
diletta  ad  infrangere  le  imagini  che  poc'anzi  gli  inspiravano  nn  re- 
ligioso timore.  Lo  sprezzatore  delle  religioni  risorge.  Anche  riappare 
il  crudele.  Già  lo  udimmo  nel  primo  atto  dettar  freddamente  le 
sentenze  di  morte,  comprendendo  tra  i  condannati  anche  Burrhus  sol 
per  compiacere  a  Tigellino,  anche  Trasea  non  per  altro  che  per  fa- 
stidio del  volto  burbero  e  accigliato  (1).  Le  pene  che  egli  trova  ora  per 
la  fanciulla  e  per  Simone  rivelano  una  crudeltà  ingegnosa  che  si  com- 
piace di  sottili  accorgimenti. 

NERONE  {a  Simon  Mago  deridendolo) 
0  Gran  Forza  di  DioI  {al  Decurione) 

Libero  ei  sia; 
Costor  dai  ceppi  han  gloria,  {a  Simon  Mago) 

0  Paracletol 
Già  udii  narrar  di  te  che  t'ergi  a  volo 
Pe*  cieli.  Ebben,  ah!  ah!  tu  volerai 
Nel  Circo  il  dì  delle  Lucane. 


NERONE 

{al  Decurione,  indicando  Asteria  che  s'è  riavuta) 

Decurione 

Questa,- degli  angui  amor,  falsarda  Erinni, 
Nel  vivano  dei  serpi. 

A  questi  comandi  Nerone  mesce  giochi  di  parole,  ironici  motti, 
atroci  derisioni.  È  il  beffardo  feroce  che  oltraggia  la  memoria  di 
Claudio  (2),  che  alla  zia  ammalata  la  quale  accarezzandogli  la  barba 
gli  dice:  «  com'io  la  vedrò  rasa  sarò  contenta  di  morire  »  risponde: 
«  la  farò  radere  tosto  »  (3),  che  a  Burro  promette  di  mandare  on 
rimedio  per  la  gola  e  gli  manda  un  veleno  (4),  che  raccomanda  ai 
medici  «  di  curar  senza  indugio  i  condannati  »  significando  in  tal  modo 
con  lugubre  scherzo  Tatto  del  tagliar  loro  le  vene  (5). 


(1)  Tacito,  Annali,  XVI,  22;  Sybtomio,  XXIII. 

(2)  SVETONIO,  loc.   Cit. 

(3)  SvBTONio,  Vita  di  Nerone,  XXXIV. 

(4)  SvETOXio,  Vita  di  Nerone,  XXXV  ;  Tacito,  XIV,  51. 

(5)  SvsTOifio,  loc.  cit.. 


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IL  '  NXRONK  ,  DI  ABRIOO  BOITO  967 

Poi  un'altra  volta  il  retore  fatuo  trionfa.  Nerone  à  distrutto  qualche 
simulacro,  e  senz'altro  si  gloria  vittorioso  degli  Iddìi.  Sale  su  l'altare: 

KEBONK 

Or  che  %  Numi  san  vinti,  a  me  la  cetra, 

A  me  l'aitar! 
iGFobri(M  prende  daUa  mensa  una  corona  d'alloro  e  glida  porge.  'Nerone 
s'incorona.  —  Oóbrias,  Tigellino,  Terpnos,  i  Pretoriani  si  schierano 
davanti  aU'aUaré). 

NBR0K1& 

Udite. 

TioKLLiNo  {agli  altri) 
Udite  I 

NERONX 

Io  canto. 
{ff atteggia  come  ^Apollo  Musagete  e  incomincia  a  preludiare). 

Bi troviamo  l'artista  nel  Circo  (atto  IV);  non  più,  come  dianzi,  il 
poeta  e  il  citaredo,  —  ma  Tordinator  di  spettacoli  e  il  corego.  Con 
geniale  arditezza,  Arrigo  Boito  ritrae  il  Cesare  nello  stesso  fervore 
della  sua  creazione  perversa,  nell'ansia  della  rappresentazione.  Giochi 
e  supplizi  che  dovranno  tradurre  in  vive  imagini  le  complicate  e  vio- 
lente fantasie  della  decadenza  greca  sono  opera  sua.  L'ordine  degli 
spettacoli  reca: 

"  I  gladiatori  di  Preneste 

*  Il  supplizio  di  Dirce,  pantomima 

"  Coi  tori  e  i  veltri  e  con  la  morte  vera 

*  Di  femine  cristiane  „  (pag-  153). 

Nerone  compare  nell'Oppidum  mentre  si  svolge  nell'arena  il  com- 
battimento dei  mirmilloni  e  dei  reziari.  À  la  testa  cinta  dalla  corona 
radiata  e  i  capelli,  d'un  biondo  ramigno,  cincinnati  su  la  fronte,  ar- 
ricciati con  arte  somma,  lunghi  dietro  il  collo  (1).  I  suoi  calzari  son 
coperti  di  perle.  Porta  una  piccola  mappa  verde  assicurata  alla  cin- 
tura; tiene  tra  le  dita  il  suo  smeraldo  volgendo  a  torno  lo  sguardo 


(1)  €  Circa  caltam  habitamqae  adeo  pndendas  nt  comam  semper  in  gradns  for- 
matam,  peregrinatione  etiam  pone  Terticdm  sommiserit  > .  —  Stetomio,  Vita  di 
Nerone,  LI. 

Binila  muiieaU  UaUana,  VIU.  M 


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068  AaTB  GONTKMPOEAICBA 

incerto  de'  miopi.  Or  egli  tende  l'orecchio  alle  grida  della  molti- 
tudine nel  Circo.  Plaudono  le  morti  sapienti,  dileggiano  la  indotte. 
Subitamente  erompe  una  voce:  €  Vogliamo  le  Dirci!  »;  altre  toci 
rispondono;  il  clamore  si  propaga.  «Non  odi  —  dice  Nerone  i 
«  Tigellino  —  la  plebe  che  ruggeP  »  e  si  aggira  concitato  verso  il 
cripto-portico.  Scorto  Alitnro  —  l'arcimimo  —  l'imperatore  lo  chiama: 

Olà,  presto,  Alituro,S 

S'affirettì  la  tragedia  {AlUuro  esce  correndo  e  sean^pare). 

NIRONB 

{ad  alcune  guardie  che  sopraggiungonó) 

E  Toi  scacciate 
Quei  gladiatori.  Allo  spoliario  i  morti! 
Date  le  Dirci  al  popolo!  Via!  Presto! 
{Affaccendato  come  un   ordinatore  di  spettaceli,  chiede  a  Ocbriae  ed  a 
Terpnoa  con  grande  concitazione:) 

Son  pronti  i  tori?  e  le  funi?  e  la  scena 
Del  Giterone?  e  1  veltri?  e  i  sagittari? 
{Chiamando  con  forte  voce  come  ad  appdlo:) 
I  personaggi  d'Anfione  e  Zeto! 

aoBRiAS  {indicandoli  tosto) 
Davanti  a  te. 
(i  due  personaggi  si  presentano:  Zeto  porta   una  dava   e   ddle  funi. 
Anfione  una  cetra), 

NEBOKB 

{ad  Anfione  strappandogli  la  maschera) 
Giù  la  maschera,  Yàlens. 
{strappando  la  maschera  a  Zeto) 
Giù  la  maschera,  Cnèo.  Si  mostri  il  volto 
Di  due  patrizi  pantomimi  al  sole. 
Via  presto!  In  scena!  Le  Dirci!  Le  Dirci! 

E  come  il  corteo  tristissimo  giunge,  l'imperatore  lo  contempli  con 
quello  stesso  avido  sguardo  con  cui  scruterà  l'agonia  di  Asteria  nel 
baratro  dei  serpi  (1).  Poi,  quando,  svelata  Bubrìa  (alla  vista  delU 
fiBinciulla  ch'egli  à  contaminata  Nerone  non  à  un  fremito:  la  nomiflc 


(1)  Atto  V. 


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IL  *  NKROMS  ,  DI  AARIOO  BOITO  989 

prima  —  raTTisandoIa  —  freddamente,  poi  la  derìde  beflhrdo)  (1), 
le  Dirci  s'avviano  tra  squilli  feroci  al  martirio,  il  Cesare  conduce 
Ali  turo  e  Vàlens  davanti  al  marmo  rodiano: 

NIROKB 

A  noi! 
La  Tragedia  ne  chiama.  In  scena!  In  scena! 
Balzan  già  i  tori  nel  Circo  !  Istrioni  I 
Questa  è  l'effigie  del  supplizio,  (a  Vedetta  :) 

Guarda! 
Tebe  una  Dirce  ed  io  ne  uccido  cento. 
Cento  aspetti  ha  la  scena! 
(Scoppia  un  altr'urlo  farmidabUe  nel  Cireo). 

Udite!  Udite 

L'urlo  di  Roma!  B  gran  delirio  irrompe! 

Mano  aUe  funij  aUe  belve^  aUe  donne! 

Tutte  un  Eroe  denudator  le  abbranchi. 

Le  avvinca  nude  in  groppa  al  furtale 

Nembo  d^  tauri,  ebòre  d^orror,  fugate 

Dai  veltri  in  caccia,  irte  di  dardi,  esangui 

BeUe,  riverse,  i  grembi  al  sol,  nd  cerchio 

Dd  concavo  smeraldo  agonizzanti, 

LA   PLEBE  E  OLI   ISTBIONI 

Gloria  a  Nerone! 

NERONE  {avviandosi  al  podio) 
Il  Mostruoso  è  il  Bello! 

Qui  è  qualche  cosa  più  che  l'impeto  e  la  bellezza  —  a  ogni  modo 
tnirabili  —  del  verso;  è  la  sovrana  virtù  della  parola  che  crea. 

L'estetica  di  Nerone  è  ben  questa;  il  delirio  d'una  fantasia  ebra 
di  sogni  violenti,  l'arte  d'un  pazzo  atroce  e  lussurioso  —  in  cui  ri- 
vivono gli  istinti  atavici  della  ferina  lotta  con  la  femina,  e  pel 
quale  le  ferite  son  vivide  labbra  invitanti  ai  baci,  e  sono  incita- 
mento al  piacere  le  nude  carni  straziate  ed  il  sangue. 

Ma  un  più  vasto  spettacolo  si  ripromette  l'artista,  —  mille  volte 
sognato  nella  lettura  dei  versi  di  Yergilio  e  d' Omero.  A  Tigellino 
ohe  gli  parla  della  congiura,  risponde  imperiosamente:  <  Taci  ».  Poi 
lo  conduce  in  disparte: 


(1)  Atto  IV,  pag.  173. 


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990  ARTI  CONTEMPORANEA 

NERONE 

Astuto  Agrigentino  e  non  t'avvedi 
Ch'io  già  tatto  sapea?  Guai  se  l'incendio 
Tenti  stornar  ch'il  caso  m'offre.  Goail 

TIOELLINO 

Crolli  il  mondo  me  morto. 

NERONE 

No!  me  vivo, 
Me  vivo  crolli!  Abbia  V immenso  esodio 
Me  spettator. 

TIGBLLINO 

E  poi? 

NERONE 

Poi  ciò  che  struggo 
Risorge.  H  mondo  è  mio.  Pria  di  Nerone 
Nessun  sapea  quanto  osar  può  chi  regna. 

Qui  non  bisognano  commenti.  Noterò  solo  che  il  sentimento  — 
tutto  neroniano  —  di  questa  scena  à  rilievo  da  frasi  storiche.  €  Id- 
«  superbito  dei  trionfi  »  —  narra  Svetonio  —  «  soleva  dire  che 
<  nessun  principe,  prima  di  lui,  aveva  conosciuto  quanto  poten 
«  fare  »(!).«  Dicendosi  in  certo  discorso  familiare  '  morto  io  vada 
«  la  terra  in  fiamme  *,  *  Anzi  '  soggiunse,  *  me  vivo  '  >  (2). 

Dopo  il  corego,  l'attore.  Imaginate  l'orribile  angoscia  d'un  sur- 
tista  drammatico  cui  una  strana  somiglianza  di  casi  tra  il  soo 
passato  e  la  finzione  poetica  costringa  a  rivivere  su  la  scena 
tutti  i  momenti  d'un'ora  d'in&mia  trascorsa.  Pure  Nerone  à  scelto 
non  per  leggerezza  soltanto  ma  con  meditato  proposito  V  Orestiade, 
Gli  è  che  in  lui  la  fatuità  dell'  istrione  si  associa  alla  lugubre  va- 
nità del  delinquente  folle:  egli  vuole  recare  nella  rappresentazione 
il  triste  privilegio  d'una  esperienza  tanto  più  rara  quanto  più  scel- 
lerata, e  s'è  inoltre  da  gran  tempo  avvezzato  a  veder  sé  in  Oreste  e 
la  propria  grandezza  nel  suo  delitto.  E  osservate:  della  Trilogia  ei 
sceglie  a  punto  il  terzo  dramma,  dal  quale  —  placate  le  Furie  — 
l'eroe  greco  esce  non  pur  libero  mjà  glorificato.   Le  prime  parole 


(1)  Syetokio,  Vita  di  Nerone,  XXXVIII. 

(2)  SvETOKio,  Vita  di  Nerone,  XXXVII. 


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IL  *  NBRONK  ,  DI  ARRIGO  BOITO  991 

ch'egli  dovrà  dire  non  sono  forse  queste:  <  Regina  Athena,  io  vengo 
a  te,  mandato  da  Lozias.  Accogli  benigno  un  infelice,  non  più  reo 
da  che  à  espiata  la  colpa»?  Anzi  non  fa  né  pur  colpa:  quando 
le  Erinni  gli  domanderanno:  <  Ài  tu  uccisa  la  madre?  »,  egli  potrà, 
non  senza  orgogliosa  fierezza,  rispondere:  «Siami  testimone  Apollo: 
merHamente  Vò  uccisa  ».  La  rappresentazione  àeWOresiiade  dev'essere 
dunque  per  il  Cesare  un  altro  trionfo,  di  attore  e  di  eroe,  che  egli 
prepara  a  se  stesso. 

Ma  Nerone  —  vedemmo  —  è  vile  quanto  è  vano.  E  allorché  nel 
coro  delle  Eumenidi  risuona  l'urlo  «  Matricida  »,  la  paura,  ch'ei 
credeva  vinta  dopo  l'espiazione  per  sempre,  lo  riprende,  così  vio- 
lenta ora  da  travolgerlo  negli  orrori  d'una  allucinazione  delirante  e 
mostruosa.  Dovrebbe  rispondere:  «  Pensi  che  il  suo  sangue  sia  stato 
senza  ragione  versato?  »  (1),  e  gli  prorompe  in  vece  dall'anima  il 
grido: 

Atroce  Madre! 
Fiera  murena  al  mio  scettro  annodata! 

Orido  dell'  anima,  certo,  ma  che  pur  s' esprime  con  una  remini- 
scenza poetica  (2)  —  tanto  il  retore  à  piena  di  frasi  letterarie  la 
mente.  D^  questo  momento  il  turbine  della  follia  si  abbatte  sul 
Matricida.  Bisorgono  nella  fantasia  di  Nerone,  ad  uno  ad  uno, 
i  particolari  del  suo  delitto,  e  una  forza  invincibile  (la  stessa  che 
trae  i  colpevoli  sul  luogo  del  malefìcio)  lo  costringe  a  ridirli  tutti. 
E  la  scelleratezza  rievoca  altre  infamie,  e  il  delirio  non  à  più 
tregua  (pag.  215-242).  E  tuttavia  osservate:  anche  nel  vaneggiamento, 
se  la  ragione  è  sconvolta,  il  folle  orgoglio  del  Cesare  non  si  placa: 
il  suo  è  —  per  lui  —  l'immenso  dolore  d'un  immortale;  ed  egli  è 
ancora  ai  propri  occhi  «  un  Nume  »,  «  un  Nume  che  crea  fan- 
tasmi »,  un  dio  che  —  turbato  —  uccide  (3). 


(1)  Eumenidi  QaeUa  che  Nerone  recita  è,  in  parte,  una  riduzione  della  tra- 
gedia eschilèa. 

(2)  «  Certo  ella  era  una  murena  o  una  vipera  che  avvelenava   tutto  ciò  che 
toccava».  Così  Oreste  nelle  Coefore, 

(3)  Asteria,  bada!  LMnsania  riarde. 

Tu  regni  sagli  spettri  ed  io  li  creol 
Bada,  ò  tremendo  cader  nelle  mani 
D'un  Dio  vivente!... 


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ARTE  CONTBMPORANBA 


Che  la  bellezza  di  una  concezione  psicologicamente  e  poetìcament» 
cosi  geniale,  come  questa  della  figura  di  Nerone  nel  dramma  del 
Boito,  sia  stata  disconosciuta  dalla  maggior  parte  dei  crìtici,  può 
parere  —  ed  è  certo  —  assai  strano. 

Né  io  ribatterò  le  troppe  censure. 

Parve  ai  più  che  l'anima  del  protagonista  fosse  dominata  da  im 
sentimento  unico,  mentre  è  certo  in  vece  che  essa  si  ritela  —  come 
vedemmo  —  nella  tragedia  non  pure  in  quel  pib  profondo  carattere 
che  la  fa  singolare  da  ogni  altra,  ma  in  tutta  la  varietà  delle  com- 
plesse e  mutevoli  attitudini  sue. 

Si  scambiò  la  paura  col  rimorso  e  si  volle  far  colpa  ad  Arrigo 
Boito  d'aver  attribuito  a  Nerone  un  sentimento  che  contraddicen 
alla  perversità  della  sua  indole;  quasi  che  la  lettura  del  dramma 
non  bastasse  a  persuadere  che  il  Cesare  non  è  mai  pentito  —  né 
pure  un  istante  —  del  suo  delitto. 

La  voluta  freddezza  retorica  deirorazìone  su  la  tomba  di  Agrippina 
fu  apposta  a  manchevolezza  del  poeta  che  non  sapesse  esprìmere  eoo 
imagini  convenienti  il  dolore;  ed  era  in  vece  accorgimento  consape- 
vole di  arte  sottile  e  sapiente. 

Si  credette  che  un  sentimento  di  pietà  persuadesse  a  Nerone  di 
dar  sepoltura  alla  madre,  e  si  confrontarono  i  versi  del  Boito  alla 
divina  poesia  di  Sofocle  nelV ^.n^^one  :  paragone  assurdo,  poi  cbe 
non  la  gentilezza  del  sentimento  né  Y  affetto  inducono  il  Cesare  a 
quell'atto,  ma  la  superstizione. 

L'esagerazione,  ricercata  a  disegno,  dei  gesti  e  delle  parole  di 
Nerone  fu  recata  a  difetto  dell'  educazione  romantica  (già,  si  disse 
anche  questo)  di  Arrigo  Boito.  E  pure,  quanto  alla  mimica,  la  con- 
suetudine del  recitare  enfatico,  anche  fuor  di  scena  (1),  notissima 
agli  studiosi  della  vita  del  Cesare  —  doveva  al  meno  esser  tenata 
in  qualche  conto  anche  da  quei  critici  i  quali  non  avessero  ricordato  (e 
non  è  da  credere)  i  costumi  d'un  tempo  in  cui,  per  non  citare 
che  qualche  esempio,  i  patrocinatori  conducevano  tra  alti  lai  in- 
nanzi al  giudice  i  loro  clienti  in  vesti  di  lutto,  coperti  il  capo  di 


(1)  Anche  oggi,  che  la  recitazione  ò  tanto  più  aobrìa,  gli  artisti  drammatid 
si  rivelano  faólraente  alPosserratore  per  la  prontesxa  e  Tabbondania  e  feaagera- 
zione  dei  gesti. 


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IL  *  tXMROHM  ,  DI  ABBIOO  BOITO  003 

polvere,  o  —  interrotta  rarringa  —  straodavano  loro  in  nn  sùbito 
impeto  la  tunica  perchè  la  vista  delle  cicatrici  inducesse  a  compas- 
sione gli  astanti,  e  una  patrìzia  per  iscolparsi  da  un'accusa  capi- 
tale poteva  irrompere  seguita  dai  consaguinei  nel  pubblico  teatro 
mentre  fervevano  i  giuochi  commovendo  gli  animi  coi  disperati  atti 
e  coi  lamenti.  Quanto  alle  imagini,  a  persuadere  che  il  Boito  era 
stato  sobrio  anche  troppo,  sarebbe  bastata  la  lettura  di  qualche 
passo  di  Seneca  o  di  Lucano.  Questo,  ad  esempio: 

Hic  nocte  coeca  gemere  ferales  deos 
Fama  est;  catenis  Incus  excassis  sonat 
niulantque  Manes.  Quidquid  audire  est  metus 
mie  videtnr:  errat  antiqnis  vetus 
Exnissa  bustis  turba,  et  insultant  loco 
Majoris  notis  monstra.  Qnin  tota  solet 
Micare  fiamma  silva,  et  excelsae  trabes 
Ardent  sine  igne.  Saepe  latrata  nemas 
Trino  remugìt;  saepe  simnlacris  domas 
Attonita  magnis.  Nec  dies  sedat  metnm. 
Nox  propria  luco  est,  et  superstitio  infemm 
In  luce  media  regnat  (1). 

Il  gusto  del  tetro,  la  predilezione  per  un  orrido  fantastico,  l'abuso 
delle  apparizioni  di  larve  e  di  spettri  erano  nello  stile  dei  tempi: 
che  se  certe  aberrazioni  della  scuola  romantica  ricordano  i  peggiori 
esempi  della  letteratura  decadente  latina,  non  par  giusto  recarne  la 
causa...  ad  Arrigo  Boito. 

Al  quale  più  d'uno  volle  &re  anche,  amorevolmente,  qualche  lezione 
di  storia. 

E  poi  che  Nerone,  parlando  della  madre,  esclama:  «  Morì  maledi- 
cendomi! »  si  osservò  che  questo  contraddice?a  alla  verità  narrata  da 
Tacito,  secondo  cui  Agrippina  <  avrebbe  pdrto  serenamente  il  ventre  di- 
«  cendo  al  sicario  *  qui  ferisci  ';  oltre  che  la  parola  e  il  gesto  della  male- 
«  dizione  sono  parola  e  gesto  cristiani».  Veramente,  ecco,  non  parrebbe: 
il  verbo  makdicere  nel  senso  di  imprecare  è  della  latinità  classica 
(maledicere  alicuì  à  Cicerone,  e  Plinio  —  siamo  ai  tempi  di  Ne- 
rone —  à  il  participio  makdiehm);  e  in  questo  significato  a  punto 


(])  Seneca,  Tteste,  Tersi  666-675. 


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994  àrtb  gontbmporansà 

l'osa  il  Matricida  nella  tragedia.  Né  la  frase  riferita  da  Tacito,  che 
a  ogni  modo  a  serenità  non  accenna  (il  «  serenamente  »  è  un'aggiunta 
assai  libera  del  commentatore)  toglie  che  il  Cesare  potesse  credere 
che  a  lui  avesse  imprecato  in  pensiero  Agrippina  morendo.  Del  resto 
neìVOetavia  —  opera  d'un  imitatore  di  Seneca  —  le  parole  dell' Au- 
gosta  sono  così  riportate:  «  Hie  est,  hie  est  foeéUendus,  monatrum  qui 
qui  tale  tulit  ».  Ora  ciò  che  fu  lecito  al  tragedo  antico,  in  tempi 
in  cui  il  ricordo  del  delitto  era  vivo,  dovrà  esser  vietato  al  moderno 
per  l'autorità  d'un  racconto  storico  interpretato  a  caprìccio? 

Anche  si  disse  che  «pontefice  massimo  della  religione  trìon&le» 
Nerone  non  poteva  tremare  «  davanti  a  un  Mago  celebrante  inespri- 
mibili riti  ».  Ma  l'esser  pontefice  massimo  della  religione  trionfale 
(chiamiamola  pure,  se  vi  piace,  così)  non  impedì  a  Nerone  di  <  tre- 
mare per  tutte  le  sue  membra  »,  assalito  da  improvviso  sbigottimento 
nel  tempio  di  Vesta  ov'erasi  recato  per  pregare  propizia  la  dea  alla 
sua  gita  in  Egitto  (1). 

<  U  ricordo  del  delitto  »  —  sì  aggiunse  —  <  non  dette  mai  a 
«  Nerone  il  terrore  che  il  Boito  gli  attribuisce  da  principio  per  la 
«  supposizione  che  Roma,  il  Senato  e  la  plebe  lo  accolgano  con  fieri 
«  propositi  di  vendetta  ».  Ecco:  di  fieri  propositi  di  vendetta  Nerone 
nella  tragedia  non  parla;  dice,  dubitoso  tuttavia  e  tremante: 

Se  rìvarco  le  mora  a  chi  mi  volgo, 
Al  Senato  o  alla  plebe? 

e  le  parole  rendono  esattamente  la  narrazione  di  Tacito:  <  Tamen 
<  cunctari  in  oppidis  Campaniae  quonam  modo  urbem  ingrederetur, 
«  an  obsequium  Senatus,  an  studia  plebis  repererit  anxius  »  (2). 

In  fine  la  verità  storica  parve  anche  tradita  in  danno  di  un  poeta 
insigne  —  Lucano  —  che  il  Boito  pone  tra  i  fEuniliari  del  Cesare 
nel  convito  dell'ultimo  atto:  «  tale  non  fu  »  —  si  sentenziò  — 
«  l'uomo  che  poetò  e  morì  da  filosofo  ».  Mi  dispiace  per  i  dilettanti 
della  sentimentalità  poetica:  Marco  Anneo  Lucano  fu  proprio  tale. 
Celebrò  le  virtù  singolari  di  Nerone,  da  cui  fu  nominato  questore, 
poi  augure.   Proibitogli  di  legger  versi   in  pubblico,  se  ne  risentì 


(1)  Tacito.  Annali  libro  XV,  36. 

(2)  Tacito,  AnnaU,  XIV,  13. 


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IL  *NSRONX,  DI  ARaiOO  BOITO  996 

profondamente,  lanciò  epigrammi  contro  l'imperatore  e  prese  parte 
alla  congiura  dei  Pisoni.  Condannato  a  morte,  si  mostrò  altrettanto 
Tigliacco  quanto  era  stato  ?iolento;  pianse  ai  piedi  del  Cesare,  pregò 
gli  fosse  risparmiata  la  vita,  trascorse  sino  a  macchiarsi  deU'in&mia 
più  turpe  accusando,  per  salvar  sé  stesso,  la  madre.  Né  la  stoica 
morte  può  cancellare  queste  vergogne. 

Ma  io  avevo  promesso  di  non  ribattere  le  censure.  Basta,  dunque 
—  non  è  vero? 

Ed  ora  dovrei  parlare  della  forma  letteraria. 
Ma  qualche  cosa  già  ne  ò  detto  esaminando  1  rapporti  che  nella 
tragedia  del  Boito  la  poesia  à  con  le  altre  arti.  E  poi,  tra  i  lettori 
della  Bhista  quanti  mi  avranno  seguito  fin  qui?  Sarò  dunque,  anche 
per  amor  dei  pochi  che  rimangono,  brevissimo. 

«  Un  style  dramatique  p  —  scrive  il  Sainte-Beuve  —  <  c'est 
«  quelque  chose  de  vif,  d'entrecoupé,  qui  se  déploie  et  se  brìse,  qui 
<  monte  et  redescend,  qui  change  sans  effort  en  passant  (f  un  per- 
«  sonnage  à  Vautre,  et  varie  dans  k  méme  personncye  selon  les 
«  tnomenis  de  la  passion  ».  E  tale  a  punto,  ricco,  vivo ,  pieghevole 
è  lo  stile  del  Nerone.  Una  semplicità  soavissima  (già  ne  vedemmo 
gli  esempi)  perennemente  informa  il  linguaggio  de*  cristiani.  Pom- 
poso in  véce  e  fastoso,  scintillante  d'imagini  e  adorno  e  sovraccarico 
di  risonanze  e  di  rime  —  come  di  rabeschi  e  di  gemme  una  stoffa 
sontuosa  —  è  il  discorso  del  Mago.  Come  in  questo  passo  della 
Tentazione: 

S'avanza  una  gran  nube 

Di  turbe,  Echeggian  trionfali  tube. 

È  il  matricida,  ei  vien  col  suo  corteo 

D'istrioni  e  d'Eumenidi  all'assalto 

Del  mondo  reo. 

Per  te,  per  te  fulgida  un'oi*a  ascende! 

Dammi  la  fé  che  spiri  e  quella  Grazia 

Che  sol  l'impronta  di  tue  palme  accende 

E  afferriamo  quest'ora! 


Guarda  quaggiù:  Pel  sangue  che  l'inonda 


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096  àRTB  GpNTBlfPORAiniA 

L'arca  d'oro  di  Gesare  sprofonda, 
Furibonda  roìiia  e  precipizio; 
Plebi  nefande  confase  nel  vizio 
Plaudono  a  Roma  che  canta  e  che  crolla. 
Tremano  tutti:  Cesare,  la  folla, 
Le  coarti.  Fischiò  negli  angiporti 
Già  il  grecalo  rubel.  Cadono  i  morti 
Nel  Circo  e  cadon  nel  triclinio  i  tìtì 
E  i  Numi  in  eid!  Con  me  su  quei  captivi 
Del  fango  e  della  porpora  distendi 
Le  tue  mani,  la  tua  Magia  mi  vendi; 
Due  Sovraumani  vedrà  il  mondo  allor! 
Vendi  i  prodigi  tuoi,  t'offro  dell'or. 

E  mentre  tutta  fantasiosa  e  fiorita  d'orientali  vaghezze  è  la  pa- 
rola d'Asteria,  mirabilmente  varia  ad  ora  ad  ora  risuona  quella  del 
Gesare:  quando  imperiosa  e  recisa,  quando  incomposta  e  violenta, 
quando  compiacentesi  nelle  ambagi  d'uno  stil  ricercato  ed  ornato  — 
ambizioso  di  sottili  eleganze,  di  artifici  retorici,  di  parole  rare  e 
preziose.  Per  questo  riguardo  molto  giovò  ad  Arrigo  Boito  lo  stadio 
(che  ogni  pagina  del  suo  lavoro  rivela  profondo)  de'  corrotti  scrittoli 
vissuti  nell'età  di  Nerone.  Lo  scolare  di  Seneca,  quando  il  capriccio 
0  l'impeto  della  passione  non  lo  fa  dimentico  dell'educazione  lette- 
raria (quando  l'oblia,  la  sua  natura  prorompe  —  e  pnr  ne  vedemmo 
esempi  moltissimi  —  in  una  estrema,  persin  brutale  talora,  vivacità 
di  linguaggio),  si  esprime  veramente  nelle  forme  che  la  letteratura 
de'  suoi  tempi  ebbe  più  care.  Disdegna  allora  la  frase  che  corre 
immediata  all'idea,  e  si  gingilla  nelle  pompe  di  un'enfasi  preten- 
ziosa e  studiata.  Chiama  «  labbra  delle  ferite  della  terra  >  i  solchi 
(pag.  12),  «  vivente  lorica  »  il  gruppo  di  serpi  che  Asteria  à  avvolti 
in  tomo  al  collo  (pag.  97);  prega  che  la  dea  discenda  fino  a  lui 

Come  sciolta  dal  elei  cade  una  stella, 

paragona  a  <  spiranti  anime  »  le  luci  oscillanti  de'  ceri  (pag.  101); 
volendo  significare  (un  pensiero,  come  vedete,  assai  comune)  che  la 
parola  della  fanciulla  trova  un'intima  rispondenza  nel  suo  core,  cerca 
un'imagine  remota  nei  «suoni  de'  bronzi  echèi»  (pag.  98);  si  di- 
letta di  giochi  di  parole:  icore  e  core  (pag.  99),  astri  ed  atri 
(pag.  232);  persegue  epiteti  strani  e  inconsueti:  «  ne&rio  orrore» 


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IL  ^NXaONB,  DI  ARRIGO  BOITO  097 

(pag.  101),  €  ebrioso  compare  »  (pag.  106),  «  immenso  esodio  » 
(pag.  166),  <  falsarda  erìnni  »  (pag.  108),  «  volto  inalbato  dall'estasi  » 
(pag.  232),...  e  così  via. 

Or  tutta  questa  varietà  di  espressioni  (a  pena  Vò  potata  accen- 
nare perchè  m'affretto  alla  fine)  à  efficace  rilievo  dalla  varietà  — 
pur  grandissima  —  de*  ritmi.  Poi  che  nell'opera  di  Arrigo  Boito  la 
metrica  è  creata  sempre,  in  ogni  sua  forma,  non  dal  capriccio  del 
poeta  0  del  musicista,  ma  dalla  qualità  stessa  e  dall'intimo  del  sen- 
timento e  del  pensiero. 

Così  era  nella  tragedia  greca.  Vedete  nélY Agamennone  la  scena 
di  Cassandra.  Due  momenti  diversi  della  passione,  impetuosa  prima 
e  incomposta,  poi  raccolta  e  riflessa;  e  —  correlativamente  —  due 
forme.  E  tutte  le  gradazioni  in  queste  forme.  Da  prima  quattro 
coppie  di  strofi  offrenti  la  vicenda  del  canto  e  della  declSimazione  mi- 
surata: alle  grida  della  Veggente  il  corifeo  risponde  freddamente  in  due 
trimetri.  Poi  la  regolarità  della  composizione  metrica  si  turba:  atterrito 
dalla  insistenza  della  profezia,  il  Coro  incomincia  a  commoversi,  e  il 
distico  è  seguito  da  versi  cantati.  In  fine,  come  il  delirio  di  Cas- 
sandra accenna  a  placarsi,  pur  continuando  a  significare  nel  canto 
la  sua  visione,  essa  fa  seguire  la  monodia  da  due  versi  declamati; 
e  la  recitazione  passa  dal  Coro  alla  Veggente.  Quindi  si  svolge  — 
terribilmente  lucida  e  calma  —  la  predizione  in  trimetri.  —  Vedete, 
ancora,  come  nei  Sette  a  Tebe  il  terrore  delle  vergini  si  esprìma  nel 
ritmo  ineguale  dei  versi  docmiachi;  come  nel  Jane  la  vicenda  dei 
suoni  accompagni  il  lamento  di  Creusa  rivelante  la  violenza  patita 
dair  amante  divino  poi  prorompente  nelle  imprecazioni  contro  il  sedut- 
tore —  insensibile,  nella  sua  serenità  olìmpica,  alla  disperazione 
della  donna  che  à  tradito;  come  nelle  Supplici  il  compianto  funereo 
assuma  a  volta  a  volta  la  forma  corale,  la  forma  del  commos^  la 
forma  del  canto  alterno  nei  semicori  delle  madri  e  dei  fanciulli.  E 
potrei  prodigare  gli  esempì.  L'infinita  varietà  de'  ritmi  trovati  dai 
poeti  lirici  risfolgorò  nel  dramma  di  Eschilo,  di  Sofocle  e  di  Euri- 
pide: l'anapesto  di  Tirteo  misurò  il  passo  degli  Eupatridi;  il  dat- 
tilo grave  e  pomposo  degli  innografi  esaltò  Dario  tornante  dal  regno 
dei  morti  a  confortar  di  suo  consiglio  la  propria  stirpe  umiliata;  nella 
melodia  triste  del  treno  si  effuse  il  presentimento  dei  Persiani  ser- 
bati all'onta  di  Salamina;  e  a  ogni  più  vario  atteggiarsi  del  metro 
die  norma  sempre  la  volubile  necessità  dell'azione. 


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998  ABTB  CONTEMPORANEA 

Così  è,  del  pari,  nell'opera  di  Bìccardo  Wagner.  Nella  Trilogia 
e  ne'  Maestri  Cantori^  nel  Tristano  e  nel  Parsifal  le  forme  nie- 
trìche  sorsero  a  un  tempo  stesso  con  Fimagine  e  col  pensiero.  E  non 
per  altro  se  non  perchè  tutti  i  sentimenti  vi  si  avvicendano,  noi  vi 
scorgiamo  prodigati  tutti  i  modi  della  poesia:  e  versi  rimati  e  versi 
assonanti  succedere  a  versi  regolati  dalle  tesi  e  dalle  arsi,  e  i  ritmi 
ascendenti  alternarsi  ai  ritmi  discendenti,  e  le  dipodie  alle  tripodie, 
e  ai  decasillabi  i  dodecasillabi;  e  l'allitterazione,  or  fuggevole  e  irre- 
golare, or  prolungata  e  ostinata,  suscitare  ad  ora  ad  ora  dalle  parole 
somiglianze  di  concetti  e  contrasti;  e  dove  più  languido  e  molle  si 
effonde  l'affetto  ivi  fiorire  ricchissima  la  lusinga  della  rima.  Vedete 
come  nella  strofe  di  Parsifal  si  ripercotano  i  suoni  che  il  Puro 
Folle  à  poc'anzi  appreso  dal  linguaggio  delle  Seduttrici.  Vedete 
come  all'imprecazione  di  Brunilde  accresca  violenza  l'allitterazione 
ostinata  della  consonante  più  aspra.  Vedete  come  la  canzone  di 
Segfried,  ingenua  splendida  rude,  appaja  tutta  regolata  dal  ritmo 

stesso  del  lavoro  a  cui  attende,  gioivo,  l'eroe.  Vedete Ma  non 

posso,  dicevo,  troppo  indugiare  negli  esempi. 

E  così  è  ancora  in  questo  Nerone^  ove  l'endecasillabo  sciolto  —  usato 
dal  Boito  nel  dialogo  discorsivo,  come  il  trimetro  giambico  e  il  te- 
trametro trocaico  dai  tragici  greci  —  cede  via  via  ne'  momenti  più 
lirici  ai  ritmi  agili  rapidi  brevi,  ai  settenari  e  ai  quinari,  e  alle 
strofe  animate  mosse  irrompenti  ove  la  .passione  più  incalza;  e  le 
più  varie  forme  si  disegnano,  persistono,  si  dissolvono,  si  ricompon- 
gono, mutevoli  e  ricche  come  la  stessa  visione  del  poeta. 

Aggiungete  che  mentre  il  linguaggio  de'  cristiani  suona  sempre  in 
quel  verso  sillabico  e  rimato  che  ebbe  poi  dagli  inni  della  liturgia 
nova  le  prime  forme  regolari,  i  personaggi  del  paganesimo  —  Nerone 
in  ispecie  —  si  valgono  per  contro  unicamente  dello  sciolto  o  del 
verso  armonizzato  di  antichi  ritmi. 

E  in  proposito  di  questa  ritrovata  armonia,  so  che  alcuni come 

dire? alcuni  (diciamo  così)  professori  di  metrica  si  son  data  vana 

faccenda  per  iscoprire  le  lunghe  e  le  brevi  negli  esametri  e  nei  tri- 
metri del  Nerone. 

Pace,  austeri  intelletti! 

non  si  trattava  di  questo.  Se  Arrigo  Boito  si  scostò  dall'esempio  del 
nostro  lirico  più  grande,  le  cui  odi  riproducono  il  suono  dei  versi 


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IL  '  NSRONK  ,  DI  ÀRRIQO  BOITO  999 

greci  e  latini  Ietti  secondo  Taccento  grammaticale,  non  si  smarrì 
né  anche  a  cercare,  come  già  il  Tolomei  e  la  sua  scuola  in  Italia  e 
gli  scrittori  della  Plejade  in  Francia,  le  arbitrarie  leggi  di  una  quan- 
tità di  cui  le  lingue  moderne  àn  perduta  ogni  traccia.  Fece  ciò  che 
ì  poeti  moderni  inglesi  e  tedeschi  avevan  fatto:  prese,  cioè,  a  fon- 
damento della  quantità  Taccento  della  parola,  e  sostituì  la  sillaba 
accentata  all'arsi,  Tàtona  alla  tesi.  <  Tutti  sanno  »  —  scriveva  nel 
1878  Giuseppe  Chiarini  (non  so  se  tutti  veramente  sapessero  allora, 
certo  oggi  molti  àn  dimenticato)  <  che  i  metri  classici,  particolar- 
ie mente  Tesametro,  sono  da  oltre  un  secolo  adoperati  in  Germania  ; 
«  e  forse  per  ciò  alcuni  han  creduto  erroneamente  che  la  lingua  te- 
«  desca  sia  quantitativa  al  modo  della  greca  e  della  latina.  S*inse- 
«  guano,  è  vero,  nei  trattati  di  metrica  tedesca  le  regole  per  distin- 
«  guere  la  quantità  delle  sillabe  ;  ma  questa  quantità  ha  poco  o  niente 
«  che  fare  con  l'antica,  ha  poco  o  nessun  valore  nel  verso,  il  cui  ritmo 
«  riposa  unicamente  sull'accento.  Anche  i  versi  di  metro  antico  sono 
«  nella  lingua  tedesca  versi  ritmici,  in  quanto  la  loro  armonia  risulta 
«  dagli  accenti  della  parola,  non  dalla  quantità  ;  e  sono  formati  con 
«  le  regole  medesime  praticate  dagli  inglesi  i  quali  le  appresero  forse 
«  da  loro.  Chi  apre  un  libro  di  metrica  inglese  o  tedesca,  e  ci  trova 
«la  stessa  nomenclatura  de'  trattati  di  metrica  classica  antica,  s'in- 
«  ganna  a  partito  se  argomenta  da  ciò  che  un  giambo  o  un  trocheo 
«  inglese  o  tedesco  siano  la  medesima  cosa  che  un  giambo  o  trocheo 
«  greco  0  latino.  In  questo  la  quantità  è  indipendente  dall'accento, 

<  in  quello  è  determinata  sopra  tutto  dall'  accento  ».  Erano  apparse 
allora  (o  primavera  italica  così  presto  vanita!)  le  prime  Odi  Bar- 
bare; e  il  Chiarini  aggiungeva:  «  Si  può  scommettere  cento  contro 
«  uno  che,  se  il  Carducci  nel  comporre  i  metri  delle  sue  Odi  avesse 

<  seguito  il  sistema  tedesco  e  fosse  riuscito  a  riprodurre  la  metrica 
«  antica  con  la  fedeltà  maggiore  possibile  in  una  lingua  moderna,  la 
«  più  gran  parte  dei  lettori  italiani  (e  ci  metto  anche  quelli  che 
«  hanno  studiato  tanto  quanto  un  po'  di  latino  nelle  scuole,  anzi  ce 
«  li  metto  per  primi)  avrebbe  giudicato  i  suoi  versi  molto  più  bar- 
«  bari  che  non  quelli  delle  Odi  Barbare.  Ma  questo  non  conta.  Io 

<  sento  gli  ostacoli  immensi  da  vincere  per  rendere  accettabili  agli 
«  orecchi  italiani   altre  armonie  di  verso  da  quelle  cui   sono  assue- 

<  &tti;  sento  altre  difficoltà  grandi  e  non  poche  che  dovrebbe  aSron- 


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1000  ARTE  GONTBIIPOBANIA 

<  tare  chi  volesse  riprodurre  piU  esattamente  nella  nostra  lingua,  col 

<  metodo  dei  tedeschi,  la  metrica  antica;  sento  quanto  in  cotesto 
«  metodo  c'è  d'incerto  per  la  questione,  non  ancora  definita,  delle  arsi 
«  principali  e  delle  secondarie  nel  verso  latino;  e  ciò  non  pertanto 

<  credo  che  la  cosa,  almeno  per  alcuni  metri,  non  sia  impossibile, 

<  credo  anzi  che  sarebbe  utile  e  bello  il  tentarla  >  (1). 

E  la  tentava  il  Carducci  stesso  in  una  sua  lirica  («  Nevicata  >), 
poi  esso  il  Chiarini,  e  il  Mazzoni,  e  il  Fraccaroli,e  il  Morici,  e  altri 
e  altri.  E  la  tenta  oggi,  in  una  più  vasta  opera,  Arrigo  Boito. 
Le  norme  da  lui  seguite  si  possono  compendiare  così: 
I.  Del  verso  antico  son  serbati  il  numero  dei  piedi,  la  regolare 
vicenda  delle  arsi  e  delle  tesi,  e  la  cesura. 

IL  Dove  cadono  in  quello  le  arsi  principali,  cade  nel  verso  ita- 
liano un  accento  acuto,  o  un  grave  de'  più  segnalati. 

Ili.  Le  sillabe  che  nel  verso  greco  e  nel  latino  sono  in  tesi,  sono 
prive  d'accento  neUMtaliano  o  anno  al  più  racconto  grave  se  quella 
in  arsi  à  Facuto. 
Ecco  alcuni  esempi. 

Gli  esametri  del  Boito  anno  quasi  tutti  la  cesura  eemiquinaria 
(TT€vOimifji€p/)0  —  dopo  Tarsi  del  terzo  piede;  come  questo: 

L'ébra  MimdUone  |  già  ||  die  \  fiato  aUa  \  Bàcchica  \  trómba  (2) 

che  riproduce,  esattamente,  la  melodia  del  greco 

Mf)vtva|€ib€  Ocld    II  TTnlXiiidlbcù)  *Axt|Xf)o(; 

letto  secondo  gli  accenti  ritmici. 

E  il  Boito  li  intrecciò  ne'  più  diversi  modi  :  ne  fece  di  tutti  dat- 
tili (salvo  Tultimo  piede)  come  questo: 

ÉvYon  I  gridano  ed  |  Evl'on  \  Téco  rejmóta  ri | spónde: 
variò  la  vicenda  dei  gruppi  bisillabi  e  trisillabi,  come  in  questi  altri: 

Sótto  il  se|céspite  |  sta  ||  già  il  j  tàuro  ne'  |  céppi  supèrbo. 
Dòma  un  |  giógo  di  |  fior  ||  la  |  lince  le  |  Mènadi  arldéntl 


(1)  GioBBPPE  Ohiarihi,  I  Critici  italiani  e  le  prime  Odi  Barbare, 

(2)  Segno  con  Tacoento  le  sillabe  in  arsi,  lascio  senta  accento  qndle  in  tea. 


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IL  *  NBRONB ,  DI  ABRIOO  BOITO  1001 

Oànta  I  róde  d'a{mór  ||  non  |  prima  a{dita  dal  |  móndo. 
Qui  le  I  trassi  |  dóve  i  stènde  ||  Bóma  sue  i  tómbe  (1). 
Ave  Ne|róne  a  |  nói  ||  tua  |  lièta  |  stélla  ri|fiilga. 
Una  Yelstàle  a  giajràr  ||  non  s^ajstrìnge.  Per  |  Giòve; 

intese  in  somma  con  ogni  più  sottile  artificio  ad  ottener  la  ricchezza 
de'  suoni  che  gli  antichi  avoTano  raggiunta  in  questo  meraviglioso 
lor  metro. 

Nella  traduzione  dell'Ode  di  Saffo,  la  tetrapodia  hgaediea  con 
anacrusi 

\j   \    J.  \^  \j    I    J.  \j  X  sj 

ta  resa  con  perfetta  rispondenza  d'accenti  ritmici:  le  arsi  e  le  tesi 
del  verso 

bclbuKC    fiì^v  I  &a€Xdvva  (2) 
si  ritrovano  esattamente  in  questo  vaghissimo  : 

La  I  luna  e  le  |  sètte  stélle 

e  negli  altri  che  seguono: 

tra|móntano  |  lungo  il  mare 
già  I  Torà  ane|làta  fugge 
ed  I  io  solijtària  piàngo  (3). 

E  il  trimetro  giambico 

SjJ.yjl.\sjJLsjL\s^JLs^± 

rivisse  —  talora  con  la  cesura  semiquinaria  (dopo  la  terza  tesi)  — 

(Su  té  quell'in|no||  che  incatéjna  Tànime) 
—  talora  con  la  cesura  semisettenaria  (dopo  la  quarta  tesi) 
(Mi  narra  cójme  uccisa  ||fd|.  Con  quésta  man) 


(1)  In  qaesto  esametro  la  cesura  è  posta  dopo  il  quarto  piede  OouKoXiicfi). 

(2)  Saffo,  frammento  52. 

(8)  LUndole  deUa  nostra  lingua  (e  TosBervazione  vale  anche  per  il  trimetro 
giambico  e  il  tetrametro  trocaico  di  cui  dirò  subito)  non  consenti  al  Boito  di 
&r  distinzioni  tra  arsi  principali  e  arsi  secondarie.  Tutte  le  arsi  —  così  le  prin- 
cipali come  le  secondarie  —  vennero  rese  con  Taccento  ritmico.  La  distinzione 
potrà  ristabilirla  la  musica  facendo  cadere  sulle  principali  il  tempo  forte. 


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1002  ARTI  GONTBMPOaAlfBA 

più  spesso  senza  cesura  —  nei  versi  tradotti  da  Eschilo  che  Nerone 
recita  nel  quinto  atto.  Eccone  alcuni: 

ETJMENIDI 

*  Oreste!  Oréjste!  Uccisa  hai  tu  |  la  madre  ! 

ORESTS 

Si. 

SUMEIODI 

*  Mi  nÀrra  có|me  uccisa  fu.  | 

OBBSTB 

Con  quésta  man, 

*  Con  qnést'acùjto  glàdio. 

SUMSNIDI 

Né  I  ti  penti? 

OBXSTE 

Nó.| 

BUMKNIDI 

■  Eppur  a  té  I  die*  vita. 

OBXSTB 

Quinidi  giusta  fu 

■  Sua  morte  ,. 

Ed  ecco  in  fine  il  tetrametro  trocaico  catalettico  con  la  dieresi 
dopo  il  primo  dimetro 

(come  nell'esempio: 

k\jLfpipr\y    elxoioa    fiop<pav||KXf)l(;    dvalitdra    (i)i* 
nel  dialogo  di  Simone  e  di  Gfobrias  nell'atto  terzo: 

SIMON  ItAOO 

Ricomincia  il  |  tao  laménto).  || 

OOBBIAS 

Ahi  PieU  d'un  i  cièco! 


(1)  Saffo,  frammento  85. 


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IL  *•  NERONB  ,  DI  ARRIGO  BOITO  1003 

SIMON  ItAOO 

(Or  t'inoltra  |  lènto,  lènto  ||  camminando  |  mèco. 

OOBBIAS 

Scémo  due  fi|gare  umane  ||  chiuse  in  bruno  amimànto. 

SIMON  MAGO 

Sento  un  suón  di  |  vóci  arcane.  ||Tóma  al  tuo  comjpiÀnto. 

Né  a  questa  ricchezza  di  suoni  si  stette  pago  il  Boito.  Tentò  VaU 
litteraeianey  di  cui  nella  lingua  nostra  erano  già  esempi  (ne  die  dei 
bellissimi  il  Parini  —  come  questo: 

lieve  lieve  per  l'aere  lambendo); 

alla  rima  al  meego  —  eoA  cara  ne'  versi  de'  dugentisti  e  del  Pe- 
trarca —  aggiunse  la  rima  iniziale;  e  seppe  anche  trovare  intreccia- 
menti  novi  di  ritmi  diversi  in  una  stessa  melodia,  serbando  a  un 
tempo,  or  in  fuggevoli  risonanze  or  in  serie  ordinate  di  strofi,  i  suoni 
deirendecasillabo  e  del  settenario. 
Co^  in  questi  versi: 

Tremano  tutti:  Cesare  la  folla 
Le  coorti:  fischiò  negli  angiporti 

Oià  il  greculo  rubel 

.  .  .  .  Con  me  su  que'  captivi 
Del  fango  e  della  porpora  distendi 
Le  tua  mani,  la  tua  Magia  mi  vendi  (1). 


Sul  volto  ho  il  tuo  pallor,  son  la  tua  preda. 
Estreme  infliggi  angoscie  a  mei  Mia  dea, 
Perchè  m'annodi  egro  cosi,  perchè? 


(1)  Atto  I,  pag.  39.  Eccoli  in  settenari: 

Tremano  totti:  Cesare 
La  folla  le  coorti, 
Fischiò  negli  angiporti 
Già  il  greculo  mbel. 
Con  ma  sa  qoei  captivi 
Distendi  le  tae  mani. 
La  toa  Magia  mi  vendi. 

Ri9i»ia  muiicaU  %UiUana,  Vili  ^^ 


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1001  ARTE  CONTIMPORàNBA 

Forse  un  immenso  spaaimo  d'amore 
È  quel  che  grida  in  noi»  mio  pallid'inoabo 
E  t'ama  il  Matricida  e  in  Ini  ti  bei. 
T'a£Eia8CÌna  del  sangue  il  bel  cinabro. 
Dammi  il  tuo  morso!  estetico  Tattmdo 
E  t'oflfro  il  labro  (1). 

E  così  questi  altri:  i  pib  belli,  forse,  die  abbia  composto  il  Boito. 
e  tra  ì  più  eletti,  certo,  della  lirica  nostra  moderna: 

aUBBIA 

Narrami  ancora,  mentre  m'addormento, 
Del  m^r  di  Tiberiade,  tranquilla 
Onda  che  varca  in  Galilea... 

FAKuMi  (quasi  cuttandola) 
Laggiù, 
Fra  i  giunchi  di  Oenèsaretìi,  oscilla 
Ancor  la  barca  ove  pregò  Gesù. 
Quella  cadenza  placida  di  cuna 
Invita  a  stormi  i  bimbi  sulla  prora... 
Dormi  quieta,  dormi. 

SUBBIA  (con  un  fU  di  voce) 
Ancóra...  ancóra. 

FAKUÈL 

Lenta  salta  dal  Libano  la  luna, 

Era  quell'ora  in  cui  soigon  gl'ineantL.. 


(1)  Atto  II,  pag.  98. 

Saonano  in  settenari  cosi: 

Sol  volto  ho  il  tao  pallor, 
Soa  la  tua  preda:  ettrame 
infliggi  angoscia  a  me! 
Mia  dea,  perchè  m'annodi 
Egro  ood,  perchè? 
Forse  un  immenso  spasimo 
D*amore  è  quel  ohe  grida 
In  noi,  mio  palld'incQbo  ! 
E  t*ama  il  Matricida 
E  in  lai  ti  bèi.  Taffl^dna 
Del  sangue  il  bel  cinabro. 
Dammi  il  tno  morso!  Estatico 
L'attendo  e  Voffro  U  labro. 


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IL  *BnUIOini,  IN  ABAieO  BOITO  1006 

BUBBIA 

Ancóra...  ancóra... 

VANVÈL 

Uscian  le  turbe  erranti 
Per  la  lunare  aurora;  udiasi  allor, 
Nel  yespero,  vagar  parole  pie 
Di  pace  e  vooi  oranti... 

BUBBIA 

Amore!  Amor! 

FANT7ÌL 

E  per  le  vie  di  Màgdala,  fra  i  fior. 
Cantare  infanti  e  sospirar  Marie  (1). 


(1)  Atto  lY,  pag.  193. 

Sono,  par  in  gettenari  (parte  accoppiati),  vaghissimi: 


Del  mar  di  Tiberìade  tranquilla  onda  che  taroa 
In  Galilea... 

rmuÈL 

Lifcggiù, 
Fra  i  giunchi  di  Genèiareth,  oscilla  ancor  la  barca 
Ove  pregò  Gesù. 

Qaella  cadenza  placida  di  cuna  invita  a  stonni 
I  bimbi  sulla  prora.  Dormi  quieta,  dormi. 
Lenta  salìa  dal  Libano  la  luna;  era  quell'ora 
In  cui  sorgon  gli  incanti. 

BUBBIA 

Ancóra...  ancóra... 

FAHVftL 

Uscian  le  tnrhe  erranti  per  la  lunare  aurora; 

Udiasi  allor  nel  vespero  vagar  parole  pie 

Di  pace  e  voci  oranti. 

E  per  le  vie  di  Màgdala,  fra  i  fior  cantare  in&nti 

E  sospirar  Marie. 


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1006  ASLTB  CONTBMPORANBA 


E  cos),  concludendo... 

No;  concluderemo  poi,  quando  ci  sarà  nota  la  musica. 
Pedanti  amici  e  nemici,   riprenderemo  allora  —   vi  do  fin  da 
oggi  convegno  —  la  nostra  cicalata  or  interrotta.  Volete? 

BOMUALDO   GUNL 


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GIURISPRUDENZA  TEATRALE 


I  PALCHETTISTI  DEL  TEATRO  VITTORIO  EMANUELE  H 
CONTRO  IL  COMUNE  DI  RIMINI 

(Trìb.  cìt.  di  Forlì,  1015  maggio  1901). 

Fatto  e  vicende  della  causa. 


V-^oll'ingegno  dell'architetto  Poletti  e  col  denaro  del  pubblico,  co- 
struivasì,  or  sono  cinquantanni,  dal  Municipio  di  Bimini  un  Teatro 
monunoientale  che  fu  poi,  dopo  il  risorgimento  d'Italia,  dedicato  al 
nome  dì  Vittorio  Emanuele  IL 

Nel  1856,  ayyicinandosi  il  momento  deirinaugurazione  ed  essendosi 
dal  Municipio  stabilito  di  vendere  la  maggior  parte  dei  palchi  al 
doppio  scopo  di  sollevarsi  alquanto  dall'ingenti  spese  sopportate  e  di 
procurare  anche  col  contributo  dei  palchettisti  nelle  spese  annue  degli 
spettacoli  una  congrua  dotazione,  costituivasi  una  specie  di  società 
dei  condomini  palchettisti,  ed  a  norma  dei  rapporti  fra  loro,  si  for- 
mava in  data  10  settembre  di  queiranno  uno  Statuto  o  Regolamento 
che  ebbe  vita  fino  al  25  aprile  1900,  giorno  in  cui  si  deliberarono 
dalla  società  importanti  modifiche,  delle  quali  è  opportuno  riferire 
il  tenore: 

Gli  articoli  P  e  2<>  premettono  che  il  fabbricato  del  teatro  è  di 
ragione  del  Municipio,  e  che  i  palchi  coi  relativi  camerini  sono  degli 
acquirenti  o  condomìni  con  divieto  di  qualsiasi  innovazione. 


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iWè  ARAE  GONTBMPORANIA 

30  e  4<>.  —  Biguardano  le  adunanze  dei  palchettisti,  che  si  di- 
chiarano valide  se  interviene  la  metà  dei  condomini,  e  nella  terat 
convocazione  qualunque  sia  il  numero  degli  intervenuti. 

7<^  —  Ogni  palchettista  avrà  altrettanti  voti  quanti  saranno  i 
palchi  di  sua  ragione;  ed  il  Sindaco,  echi  ne  &  le  veci,  avrà  cinque 
voti,  in  corrispondenza  dei  cinque  palchi  prescrìtti  dallo  stesso  Co- 
mune per  le  rappresentanze. 

IQo  —  XiO  deliberazioni  in  seduta  saranno  prese  dai  condomini 
a  pluralità  di  voti  a  scrutinio  segreto,  e  saranno  obbligatorie  per  tutti 
i  palchettisti  sebbene  non  intervenuti,  qualunque  ne  sia  l'oggetto. 

18^  —  La  dote  del  teatro  è  formata  dal  contributo  annuo  dei 
palchettisti,  di  un'annua  assegnazione  in  contante  per  parte  del  Mu- 
nicipio (da  votarsi  ed  assegnarsi  dal  generale  Consiglio  nella  circo- 
stanza in  cui  formasi  la  tabella  preventiva  dell'annata),  ed  anche 
dalle  corrisposte  d'affitto  di  quei  palchi  che  dopo  l'esperimento  d'asta 
rimanessero  invenduti. 

Successivamente  è  detto  che  il  contributo  dei  palchettisti  sia 
riscosso  dall'Esattore  comunale  col  procedimento  di  mano  regia;  che 
tutti  i  pagamenti  si  facciano  con  mandati  da  emettersi  dall'Ammi- 
nistrazione comunale;  che  il  Municipio  curi  l'affitto  dei  palchi  in- 
venduti, ed  il  prodotto  aumenti  la  dote  per  lo  spettacolo,  e  che  non 
riuscendo  l'affitto,  si  cedano  all'impresa. 

Le  aste  diedero  per  risultato  la  vendita  di  58  palchi,  sei  rimasero 
invenduti,  cioè  di  proprietà  del  Municìpio  insieme  a  tutto  il  resto  del 
fabbricato,  come  si  è  detto  sopra,  ed  ai  cinque  palchi  riservatisi  per 
comodo  delle  rappresentanze  comunale,  governativa  e  militare.  —  Dì 
seguito  altri  15  palchi  ritornavano  in  proprietà  del  Comune  per 
cessione  fatta  da  palchettisti,  che  preferirono  disfieirsene  per  non  sot- 
tostare al  pagamento  del  contributo  e  delle  tasse  relative,  restando 
il  teatro  per  lo  più  chiuso,  od  aprendosi  con  spettacoli  meschini. 

Nel  1899  deliberandosi  sulla  proposta  d'un  contributo  per  un  de- 
coroso spettacolo  musicale  nella  stagione  estiva,  si  convenne  dai  con- 
domini di  apportare  modificazioni  al  Regolamento,  e  di  ciò  si  incaricò 
una  Commissione  con  mandato  di  riferire  nel  1900. 

Dì  fatto  l'adunanza  25  aprile  1900  coU'intervento  di  27  palchet- 
tisti si  teneva  per  deliberare  sulle  modificazioni  al  Regolamento  e 
sul  contributo  per  spettacolo  in  musica  nella  stagione  estiva. 


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OniBISPRUDENZA  TEATRALE  1009 

In  quella  seduta  à  approvarono  le  modificazioni  allo  Statuto,  delle 
quali  ora  giova  solo  ricordare  quella  dell'art  7,  per  cui  si  apportò 
limitazione  al  numero  dei  voti  spettanti  ai  proprietari  di  più  palchi 
fissandolo  a  due,  tanto  pel  Sindaco  che  per  qualsiasi  altro  privato. 

La  discussione  sul  secondo  oggetto  che  era  alFordine  del  giorno 
fu  rinviata  al  28  aprile;  e  fu  aperta  con  28  intervenuti. 

Dopo  la  discussione,  essendosi  dal  Sindaco  dichiarato  che  inten- 
deva disporre  di  voti  26  in  base  al  disposto  dell'art.  7  del  Begola- 
mento  vecchio  per  essere  il  Municipio  proprietario  di  26  palchi, 
quindici  dei  condomini  abbandonarono  la  sala  delle  adunanze. 

Rimasero  12,  oltre  al  Sindaco  che  votò  con  26  voti:  Tesito  della 
votazione  fu  di  37  voti  favorevoli  al  proposto  concorso  di  L.  5000 
per  lo  spettacolo  del  1900,  essendosi  astenuto  dal  votare  uno  dei 
presenti. 

n  Consiglio  comunale,  nella  seduta  8  maggio  1900,  approvava 
Foperato  del  Sindaco  neiradunanza  dei  palchettisti  del  28  aprile,  e 
riconoscendo  l'obbligo  nei  palchettisti  di  contribuire  allo  spettacolo 
musicale  nella  misura  stabilita  nell'adunanza  stessa,  dava  facoltà 
alla  Giunta  di  provvedere  per  il  reparto  e  di  concedere  la  dote. 

Ai  palchettisti  dissidenti,  che  avevano  per  lettera  protestato,  fu  data 
partecipazione  della  deliberazione  consigliare. 

Apertosi  il  teatro  con  spettacolo  d'opera,  i  palchettisti  dissidenti 
in  data  4  agosto  notificavano  al  Sindaco  una  protesta  dichiarando  di 
voler  far  uso  dei  palchi  anche  durante  Vattuaìe  spettacolo  in  musica, 
senza  che  tale  fatto  suonasse  approvazione  alla  deliberazione  suddetta. 

Terminato  poi  il  corso  delle  rappresentazioni,  e  dopo  aver  pagato 
metà  del  contributo,  protestando  però  di  ciò  fare  unicamente  per  evitare 
atti  esecutivi,  fecero  notificare  in  data  26  agosto  un  atto  di  citazione 
al  Sindaco  ed  altri  11  soci  votanti  nell'adunanza  28  aprile  1900,  per 
comparire  davanti  al  Tribunale  di  Forlì,  chiedendo  dichiararsi  nulla 
la  deliberazione  suddetta,  e  parimenti  priva  d'ogni  efficacia  per  gli 
eflTetti  del  pagamento  del  contributo  teatrale  la  conforme  delibera- 
zione 8  maggio  1900  del  Consiglio  comunale  di  Bimini,  e  conse- 
guentemente non  tenuti  ed  obbligati  essi  istanti  e  gli  altri  palchet- 
tisti non  intervenuti,  al  pagamento  della  proporzionale  quota  ripartita 
sulla  somma  di  L.  5000  e  deliberata  nella  suddetta  illegale  adunanza, 
con  la  condanna  solidale  dei  convenuti  alle  spese  del  giudizio. 


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1010  ARTS  GONTUiPOBANEA 

Dai  conveDuti  si  sollevarono  anzitutto  eccezioni  pr^odiziali  ;  in 
merito  si  concluse  per  ottenere  tenuti  i  palchettisti  dissidenti  a  pagare 
le  stesse  quote  di  contributo,  in  quanto  avevano  usato,  e  nonostante 
le  proteste,  del  loro  palco,  e  si  erano  perciò  in  tale  modo  avvantag- 
giati indebitamente  d^li  spettacoli. 

Il  Tribunale  di  Forlì,  prima  di  entrare  nel  merito  delle  questioni 
sollevate,  giustamente  ha  osservato  che  conveniva  definire  l'indole  e 
gli  scopi  della  Società  dei  condomini  palchettisti,  per  inferirne  quali 
norme  erano  da  assumersi  per  la  definizione  della  controversia. 

<t  Non  è  neppure  il  caso,  osserva  la  sentenza,  di  soffermarsi  ad 
«  esaminare  se  sia  una  Società  commerciale,  ed  è  anche  manifesto 
<  che  non  è  una  comunione  di  beni  quell'aggregato  di  piccole  prò- 
«  prietà,  in  cui  si  potrà  ravvisare  una  specie  di  finalità  comune,  ma 
«  dove  ciascun  palco  resta  di  assoluta  proprietà  ed  uso  individuale 
«  coi  diritti  ed  obblighi  inerenti. 

«  Del  pari  esulano  gli  estremi  della  società  civile  nel  senso  giù- 
«  ridico  della  parola  qual'è  disciplinata  dalle  disposizioni  del  titolo  X, 
«  capo  I  del  Codice  civile,  difettando  i  due  requisiti  della  comunione 
«  e  del  guadagno. 

4(  Si  tratta  invece  d'una  società  sui  generis  che  si  è  formata  allo 
«  scopo  di  procurare  in  un  sol  vantaggio  morale  e  materiale  dei 
«  soci,  coU'uso  proficuo  e  naturale  delle  singole  proprietà  aggregate, 
«  anche  il  decoro,  il  diletto  e  Teducazione  artistica  della  cittadinanza, 
«  per  mezzo  di  convenienti  spettacoli  musicali. 

<  Simili  società  possono  dirsi  extra  legem^  nel  senso  che  alle  stesse 
<i  la  Legge  non  ha  dato  norme,  ma  vanno  disciplinate  e  governate 
«  nel  loro  svolgimento  dagli  statuti  e  regolamenti  che  i  soci  si  sono 
<c  liberamente  dati.  Il  Regolamento  approvato  e  accettato  da  tutti  i 
«  membri  deirAssociazione,  ne  costituisce  la  legge,  essendo  una  specie 
«  di  convenzione,  che  come  tutte  le  convenzioni  tien  luogo  di  legge 
«  tra  le  parti,  quando  riunisca  i  caratteri  essenziali  voluti  dal  Co* 
«  dice  civile. 

«  E  non  si  deve  dimenticare  ciò  che  la  giurisprudenza  è  venata 
«  affermando  in  ordine  alle  controversie  sorte  tra  i  soci  di  tali  società, 


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OIURI8PRUDKNZA    TEATRALE  lOll 

«  cbe  cioè  i  Tribunali  ordinari  non  possano  essere  consultati  allorché 

<  si  tratta  di  amministrazione  interna  e  di  interpretazione  o  modi- 
«  Reazione  di  regolamento,  ma  solo  allorquando  vi  sia  questione  di 
«  proprietà,  di  attacco  al  diritto  patrimoniale,  potendosi  in  casi  simili 
«  giudicare  sulla  regolarità  della  deliberazione  da  cui  un  socio  o  più 

<  soci  derivano  la  lesione  di  un  loro  diritto  patrimoniale  ». 
Venendo  poi,  dopo  aver  rigettato  le  eccezioni  pregiudiziali  sol- 
levate dal  Comune  di  Rimini,  alla  questione  di  merito,  il  Tribunale 
ha  ritenuto  la  irregolarità  della  votazione  per  mancanza  del  numero 
legale,  e  ciò  tanto  coirapplicazione  del  vecchio  che  del  nuovo  Rego- 
lamento approvato  nella  precedente  seduta  del  25  aprile. 

Restando  nell'applicazione  del  Regolamento  vecchio,  tutta  la  que- 
stione verteva  sulla  interpretazione  deirarticolo  7  soprariferito. 

11  Sindaco  (e  con  lui  gli  altri  undici  votanti)  aveva  ritenuto  di 
poter  disporre  di  26  voti,  o  quanto  meno  di  21,  quanti  sarebbero  1 
palchi  di  proprietà  del  Municipio. 

Si  sosteneva  dai  convenuti  che  altro  erano  i  palchi  invenduti^  altro 
i  palchi  ritornati^  ma  la  sentenza  ha  rigettato  questa  distinzione  con- 
siderando che  tanto  gli  uni  che  gli  altri  erano  di  proprietà  muni- 
cipale, e  al  Sindaco  non  potevano  in  ogni  modo,  per  Tarticolo  7  dello 
Statuto,  spettare  più  di  cinque  voti,  perequanti  palchi  potessero  re- 
stare invenduti  e  di  proprietà  municipale. 

Applicando  poi  il  regolamento  nuovo,  ossia  le  modificazioni  appor- 
tate al  vecchio  nella  seduta  del  25  aprile,  il  numero  dei  votanti 
nella  seduta  del  28  aprile  si  assottigliava  ancor  più,  poiché  al  Sin- 
daco, come  ad  ogni  altro  proprietario  di  più  palchi,  erano  stati  riser- 
vati due  voti  soltanto. 

Restava  da  combattere  un'ultima  eccezione,  sostenendo  i  convenuti 
che  i  palchettisti,  avendo  usato  dei  palchi  durante  gli  spettacoli,  ave- 
vano con  ciò  ratificato  il  deliberato  che  ora  impugnavano.  Ma  evi- 
dentemente di  ratifica  non  si  poteva  parlare  dal  momento  che  essi 
avevano  protestato  contro  le  deliberazioni. 

Quanto  al  fatto  del  loro  intervento  agli  spettacoli,  che  era  stato 
messo  a  base  della  riconvenzionale  dai  convenuti,  la  sentenza  pur  non 
riconoscendo  che  a  questa  si  attagliasse  la  figura  della  negotiorum 
gestio  né  Vactio  mandati  diveda^  in  quanto  queste  non  potevano  sus- 
sistere di  fronte  alle  proteste  dei  palchettisti,  ha  ritenuto  però  che 


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1012  ARTE  CONTKXPORANEA 

non  si  potesse  negare  al  Municìpio  Tesperìmento  delI*atione  de  in 
rem  verso^  in  quanto  nel  caso  ne  ricorrevano  gli  estremi. 

Oiova  riportare  estesamente  quella  parte  della  sentenza  che  a  questo 
punto  importante  si  riferisce.  Dopo  avere  con  molta  dottrina  esposto 
la  teorica  dell'o^^to  de  in  rem  verso  per  determinarne  gli  estremi, 
la  sentenia  prosegue:  «  L'impresa  cittadina  non  avrebbe  aperto  il 
«  Teatro  Y.  E.  a  decoroso  spettacolo  musicale,  se  non  otteneva  dal 
€  Comune  e  dalla  Società  dei  palchettisti  una  dotazione  di  L.  8000, 

<  quale  somma  fu  versata  dal  Comune  nella  convinzione  di  emgerla 
€  poi  dai  palchettisti  per  la  loro  quota. 

«  Ora  se  il  Municipio  non  avesse  rimborso  alcuno  di  ciò  che  ha 
«  erogato  pei  palchettisti,  niun  dubbio  che  la  cassa  comunale  ne 
«  subirebbe  danno. 

«  D'altro  lato,  per  il  fatto  delVapertura  del  Teatro  a  decoroso  spot- 
«  taccio,  i  palchettisti  tutti  hanno  risentito  un  vantaggio  o  morale  o 
«  materiale,  perchè  hanno  potuto  godere  lo  spettacolo  colle  fiuniglie, 
«  0  lucrare  affittando  il  palco,  ciò  che  non  sarebbe  avvenuto  se  il 
«  Teatro  restava  chiuso,  come  i  dissidenti  avrebbero  dimostrato   di 

<  volere  colle  loro  proteste  dirette  al  Manicipio  perchè  non  desse 
<i  esecuzione  alla  deliberazione  28  aprile. 

<  Ricorrono  dunque  i  due  estremi  del  vantaggio  da  una  parte  e 
«  corrispondente  danno  dall'altra,  che  fanno  luogo  airesercizio  del* 
€  razione  de  in  rem  verso  che  vuole  ristabilito  VequiUbrio  tra  le  parti. 

«  Ma  si  obbietta  dagli  attori  che  non  può  parlarsi  di  vantaggio 
«  indebito  allorché  si  usa  del  proprio  diritto,  come  avrebbero  fatto 
«  i  palchettisti  coll'usare  del  loro  palco  ;  e  in  appoggio  alla  loro  ecce- 
«  zione  citano  il  trattato  deirAscoli,  La  giurisprudensa  teatrale,  ove 
«  è  scritto:  «  Ogni  palchettista,  come  il  proprietario,  può  aprire  il 
«  Teatro  a  spettacoli,  anche  senza  il  consenso  degli  altri  palchettisti: 
€  ma  in  tal  caso  chi  apre  il  teatro  non  ha  diritto  di  far  concorrere 
«  gli  altri  nelle  spese  ». 

<  Al  che  giova  rispondere  che  il  diritto  del  palco  senza  lo  spetta- 
le colo  dato  col  danaro  anticipato  dal  Municipio  valeva  un  bel  nulla, 
«  ed  i  proprietari  del  palco  non  avrebbero  tratto  diletto  morale  e 
4c  lucro  materiale  coiraffittarlo.  Dunque  bisogna  distinguere  il  diritto 

<  del  palco,  dalla  rappresentazione  scenica  che  a  quel  diritto  apporta 
«  0  quanto  meno  aumenta  il  valore.  E  ciò  era  ben  noto  ai  palchet* 


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GIURISPRUDBNZA  TEATRALB  1013 

<€  tisti,  essere  cioè  poco  apprezzabile  il  diritto  di  palco  senza  lo  spet- 
«  taccio,  poiché  sìa  per  disposizioDo  del  Begolamento  sociale,  come  per 
«  consuetudine  longeva,  hanno  sempre  pensato  a  renderlo  fruttifero 
«  col  contribuire  pecuniariamente  alla  messa  in  scena  d'uno  spetta- 
<K  colo  musicale  che  senza  il  contributo  dei  palchettisti  non  avrebbe 
«  potuto  espletarsi. 

«  Né  nella  stessa  assemblea  del  28  aprile  1900,  in  cui  fu  presa 
«  quella  disgraziata  deliberazione,  gli  attuali  attori  espressero  mai 
«  ridea  di  non  Tolere  concorrere  alla  dotazione,  ma  solo  ne  fecero 
«  questione  di  modo,  e  di  quantitatiTO.  Per  cui  non  si  comprende 
«  come  (dopoché  gli  altri  palchettisti  tutti,  anche  i  non  intervenuti 
«  all'assemblea,  hanno  col  fatto  del  pagamento  riconosciuto  l'obbligo 
«  consuetudinario  di  concorrere  nella  dote),  soltanto  gli  attori  si  rifiu- 
4:  tino  ad  ogni  concorso,  pur  avendo  goduto  lo  spettacolo  avversato. 

«  Il  caso  prospettato  dall'Ascoli  non  è  analogo  all'attuale.  Un  pal- 
«  chettìsta  qualunque,  se  vorrà  aprire  il  teatro  a  spettacolo  senza  aver 
«  avuto  il  consenso  ed  il  contributo  degli  altri,  saprà  che  lo  sfogo  d'un 
«  simile  capriccio  è  a  tutto  suo  rischio  e  pericolo,  saprà  in  anticipa- 
«  zione  che  niuno  deve  concorrere  nella  spesa  :  e  in  tal  caso  non  si 
«  potrà  dire  giuridicamente  aver  egli  risentito  il  danno,  0  quanto  meno 
«  si  dovrà  conchiudere  che  egli  alla  spesa  fatta  ebbe  compenso  nella 
«  soddisfazione  d'un  capriccio  e  nella  gratitudine  degli  accorsi. 

€  Ma  qui  la  cosa  corre  ben  diversa.  Senza  il  contributo  dei  palchet- 
«  tisti,  l'opera  non  si  dava  assolutamente  e  il  Teatro  restava  chiuso. 
«  Non  ci  fu  soddisfazione  di  capriccio:  l'impresa  aprì  il  Teatro  perchè 
«  dopo  le  proposte  fatte  da  una  deliberazione  sociale,  le  vennero  dal 
«  Municipio  sborsate  in  anticipo  le  L.  8000. 

<  Non  è  un  impresario  matto  che  venga  posteriormente  a  chiedere  ai 
«  palchettisti  di  contribuire  ad  uno  spettacolo  che  esso  fantasiosamente 
«e  capricciosamente  volle  darsi  il  lusso  di  ammanire:  è  l'Ente  Co- 
«  mune  che  —  sia  pure  erroneamente  —  ha  creduto  di  fare  un  anticipo 
«  per  conto  ed  incarico  dei  palchettisti,  e  ciò  non  per  capriccio,  ma 

<  nell'interesse  pubblico,  convinto  che  la  erogazione  gli  sarebbe  poi 

<  proporzionalmente  rimborsata  da  condomini  palchettisti. 

<  Né  si  ricorra  infine  alla  volgare  osservazione  che  di  tal  guisa  rien- 
«  trerebbe  per  la  finestra  ciò  che  fu  cacciato  dalla  porta.  Di  chi  la 


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1014  ARTE  CONTEMPORANEA 

<  colpa?  Sono  evidentemente  gli  attori  che  hanno  dato  laogo  alla  rien- 
«  tratura.  Se  essi  non  intervenivano  al  Teatro  mostrando  una  coerenza 
«  sdegnosa  e  disinteressata  di  condotta,  i  votanti  del  28  aprile  avreb- 

<  bere  dovuto  giuggiolarsi  la  spesa  e  il  danno  consecutivi  all'esecuzione 

<  dell'illegale  deliberato  :  ma  dal  momento  che  sul  danno  altrui  i  dis- 
«  sidenti  hanno  voluto  innestare  il  loro  profitto,  il  Tribunale  crederebbe 

<  di  venir  meno  ai  dettami  di  una  scrupolosa  onestà  se  cresimasse 
€  questo  utilitarismo  sbocciato  sul  danno  di  altri.  Quindi  un  rimborso 
«  è  dovuto  dagli  attori  che  hanno  profittato  dello  spettacolo,  non  certo 
«  oltre  i  limiti  del  vantaggio  da  essi  risentito,  e  nei  confini  dettati 
«  dal  Regolamento,  niun  caso  dovendosi  fare  del  contributo  stabilito 
«  dalla  deliberazione  28  aprile  irregolare  e  nulla  ». 

Appunti  ceitico-giuridici. 

Il  Tribunale  di  Forlì  ha  risolto  molte  ed  eleganti  questioni  di 
diritto  teatrale,  e  con  grande  chiarezza  ed  acume  giuridico.  Diamo 
quindi  una  lode  sincera  alla  Sentenza  che  commentiamo,  della  quale 
è  estensore  l'egregio  giudice  aw.  Oiov.  Yitt.  Talice  e  che  segna  una 
deroga,  purtroppo  isolata,  a  quel  laconismo  in  cui  si  rinchiudono  le 
decisioni  della  nostra  magistratura  quando  si  tratti  di  questioni  atti- 
nenti al  teatro,  quasi  che  i  rapporti  cui  dà  origine  l'esercizio  di 
questi  luoghi  di  divertimento  e  insieme  di  educazione,  non  meritas- 
sero la  protezione  della  legge. 

Non  possiamo  a  meno  però  di  notare  come,  tra  le  varie  questioni^ 
quella  più  importante,  in  quanto  ferma  un  principio  generale,  non 
fu  forse  studiata  e  sviluppata  come  meritava.  Alludiamo  a  quella 
actio  de  in  rem  verso^  a  quell'azione  cioè  di  indebito  arricchimento, 
che  il  Tribunale  ha  ammesso  in  favore  del  Comune  di  Rimini,  in 
quanto  questi,  nonostante  la  nullità  della  deliberazione,  pretendeva 
dai  palchettisti  dissidenti  un  compenso  corrispondente  all'utile  che 
avevano  ricavato  dall'uso  dei  loro  palchi. 

Ed  esponiamo  subito  la  nostra  opinione  al  riguardo. 

Acciocché  si  possa  parlare  di  obbligazione  nascente  da  un  gua- 
dagno senza  legittima  causa,  in  altrui  danno,  rìchiedesi  il  cumula- 
tivo concorso  di  tre  estremi  essenziali  (1)  : 


(1)  Giorgi,  Obbligazioni,  VI,  n.  9. 


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GIURXSPRUOBNZA  TEATRALE  1013 

A)  La  locupletazione; 

B)  La  mancanza  di  causa  giusta; 

C)  Il  danno  del  terzo. 

Che  locupletazione  vi  sia  stata  nel  caso  in  esame,  non  è  a  porsi 
in  dubbio,  consistendo  essa  nelFaver  i  palchettisti  dissidenti  goduto 
dello  spettacolo;  ma  cosi  non  è  a  dirsi  della  causa  ingiusta^  che  invece 
difetta  completamente. 

<  Locupletazione  ingiusta,  diremo  ancora  col  Giorgi  (op.  e  voi.  cit., 
«  pag.  12),  vale  locupletazione  conseguita  senza  averne  il  diritto. 
«  —  Ora,  senza  diritto  deve  dirsi  un  arricchimento  quando  manca 
«  volontà  0  colpa  di  colui  alle  spese  del  quale  si  opera,  né  concorre 
«  obbligazione  preesistente  o  testo  di  legge  sul  quale  fondarla. 

<  Volontà  del  danneggiato,  perchè  volenti  non  fit  iniuria:  onde  è 
«  che  egli  pretenderebbe  a  torto  lagnarsene,  quando  avesse  con  piena 
«  coscienza  e  capacità  rinunziato,  anche  tacitamente,  al  suo  diritto. 
«  Colpa,  perchè,  se  il  danno  fosse  imputabile  al  danneggiato,  non 
«  avrebbe  diritto  a  verun  compenso,  reputandosi  non  esistente:  qui 
«  culpa  sua  damnum  sentii^  non  intelligitur  damnum  sentire  ». 

Ora,  di  fronte  a  questi  principii,  come  si  può  sostenere  che  i  pal- 
chettisti dissidenti  si  siano  arricchiti  senza  diritto  ?  Non  esisteva  forse 
nel  Comune  di  Bimini  la  volontà  e  la  colpa  nel  sostenere  le  spese 
dì  cui  chiedeva  proporzionalmente  il  rimborso?  Dal  momento  che  i 
palchettisti  dissidenti  avevano  dichiarato  che  in  base  ad  una  delibe- 
razione nulla  non  avrebbero  pagato  il  canone,  se  il  Municipio  per- 
sistette nel  mandarla  in  esecuzione,  non  rinunciò  con  questo  tacita- 
mente al  suo  diritto  verso  di  loro?  Né  vale  il  dire  che  il  Comune 
aveva  convinzione  di  esigere  da  essi  la  quota  :  non  basta  la  convin- 
eioncj  è  necessario  il  diritto.  E  d'altra  parte  il  Comune  se  un  danno 
ha  risentito,  deve  imputarlo  a  sua  colpa^  essendo  evidente  che  non 
avrebbe  dovuto  dare  esecuzione  ad  una  deliberazione  che  non  aveva 
virtù  di  obbligare  la  Società. 

E  veniamo  al  danno. 

La  sentenza  lo  fa  consistere  nel  fatto  che  se  il  Municipio  non 
avesse  rimborso  alcuno  di  ciò  che  ha  erogato  pei  palchettisti,  niun 
dubbio  che  la  cassa  comunale  ne  risentisse  danno. 

Ma  come  si  può  parlare  di  danno,  se  questo  deriva  da  colpa  del 
danneggiato  ? 


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1016  ARTR  CONTSMPORANXA 

Il  Municipio  poteva  ben  aspettarsi  che  il  rimborso  non  anebbe 
a?ato  luogo,  dal  momento  che  non  sussisteva  la  condizione  essenziale 
a  renderlo  obbligatorio,  ossia  una  deliberazione  valida,  e  se  non  volle 
riconoscere  il  suo  errore,  ne  incolpi  se  stesso.  AmnMttefido  il  contrario 
si  cade  evidentemente  in  una  contraddizi<me:  se  la  deliberazione  è 
nulla  nei  riguardi  dei  dissidenti,  come  si  può  poi  mettere  in  eseca- 
zione,  e  chiedere  da  essi  il  rimborso? 

La  nullità  e  la  validità  hanno  adunque  i  medesimi  effetti,  la  stessa 
forza  obbligatoria! 

E  d*altronde,  come  ben  osservava  l'egregio  aw.  comnL  Francesco 
Yendemini  difensore  dei  palchettisti  dissidenti,  non  si  può  parlare 
di  vantaggio  indebito  allorché  si  usa  del  proprio  diritto. 

E  i  palchettisti,  usando  del  loro  palco,  hanno  appunto  usato  del 
loro  diritto  e  nulla  più  ;  né  basta  l'opporre  in  ecmtnurio  che  il  diritto 
di  palco,  senza  lo  spettacolo  dato  col  danaro  anticipato  dal  Municipio, 
valeva  un  bel  nulla. 

Bisogna,  osserva  il  Tribunale,  distinguere  il  diritto  del  paleo^  dalla 
rappresentazione  scenica  che  a  quel  diritto  apporta  o  quanto  meco 
aum^ta  il  valore;  e  la  distinzione  é  giusta,  ma  non  é  approfondita. 

D  diritto  del  palco  non  consiste,  nella  sua  finalità  utHe^  Ae  nel 
diritto  di  godere  delle  rappreueniasioni  che  si  daranno  nel  teatro 
secondo  la  destiamone  sua^  da  un  luogo  speciale  che  appunta  si 
denomifia  palco  (1). 

Il  diritto  di  palco  non  é  adunque  in  sostanza  che  un  diritio  di 
godimento.  Ora,  in  difetto  di  patti  speciali,  il  palchettista  ha  diritto 
di  godere  del  suo  palco  tutte  le  volte  che  nel  teatro  si  diano  degli 
spettacoli,  ed  é  anzi  questo  il  solo  modo  che  gli  é  concesso  di  uaare 
della  proprietà  che  ha  sul  palca 

Può  poi  il  palchettista  esser  tenuto  a  concorrere  nelle  spese  per 
gli  spettacoli,  il  che  avviene  appunto  quando  sussista  fra  i  titolari 
del  diritto  di  palco  e  il  proprietario  del  teatro  un  vincolo  sociale  ; 
ma  questo  è  un  rapporto  ben  diverso  e  regolato  dalle  norme  stata- 
tarie.  Si  pobrà  perciò  far  questione  se  il  palchettista  abbia  TobUigo 
di  contribuire  alle  spese  d'apertura,  ma  é  indiscutibile  che  egli  ha 


(1)  Vedi  sulla  natura  giuridica  del  DinUo  di  pàho  li  nostra  mosofrafift  in 
<:orso  di  pubblicazione  nella  Oazgetta  Musicale  di  Milano. 


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OlUaiSPRUDSNZil  TEATIULE  1017 

in  ogni  caso  il  diritto  d^assistere  agli  spettacoli,  a  meno  di  an  patto 
contrario  esplicito,  il  che  si  verifica  appanto  quando  sia  stato  dichia- 
rato nello  statato  che  il  palchettista  che  non  vuole  sobbarcarsi  al- 
l'onere del  contributo,  debba  lasciare  il  palco  a  disposizione  deirim- 
prcfsa,  come  avviene  per  il  Comunale  di  Bologna.  Ma  quando  questo 
patto  manchi,  non  si  può  presumere,  importando  rinuncia  ad  un  diritto. 

Nel  caso  di  Kimini,  i  palchettisti  avevano  quindi  indubbiamente 
il  diritto  di  assistere  agli  spettacoli  dal  loro  palco  per  il  solo  fatto 
che  il  Teatro  era  aperto:  si  poteva  discutere  suU'obbligo  del  con- 
tributo, ma,  come  vedemmo,  la  sentenza  ha  dichiarato  che  questo 
non  sussisteva  per  la  nullità  della  deliberazione.  Accettando  la  tesi 
sostenuta  dalla  sentenza,  sarà  osservazione  volgare  la  nostra,  come  la 
chiama  il  Tribonalet  ma  non  per  questo  meno  vera,  rientrerebbe  per 
la  finestra  ciò  che  ò  uscito  per  la  porta,  e,  in  altri  termini,  una  de- 
liberazione nulla  avrebbe  Teffetto  di  vincolare  i  palchettisti  dissidenti 
come  una  efficace. 

Né  si  dica  in  contrario  che  i  palchettisti  non  dovevano  intervenire 
al  teatro  mostrando  una  coerenMa  sdegnosa  e  disiftieressaia  di  con- 
dotta, e  che  in  tale  caso  il  danno  subito  dal  Municipio  non  sarebbe 
stato  risarcibile.  Sono  queste  frasi  e  non  prìncipii. 

Non  si  tratta  qui  né  di  coerenza,  né  di  sdegno,  né  di  disinteresse, 
ma  di  sapere  se  i  palchettisti  avevano  diritto  di  usare  del  loro  palco, 
e  Taffermasione  non  ci  pare  dubbia. 

In  una  incoerenza,  invece  ad  palchettisti,  è  incorso  il  Tribunale 
quando^  pure  ammettendo  coirAsooli  che  il  palchettista  che  apre  di 
sua  Yolontà  e  sema  il  consenso  degli  altri  il  Teatro,  non  ha  il  di- 
ritto di  farli  concorrere  nelle  spese,  ha  poi  disconosciuto  che  tale 
principio  si  attaglia  perfettamente  al  caso  in  questione. 

Sta  bene  che  il  palchettista  sapeva  in  anticipazione  che  gli  altri 
non  avrebbero  concorso  nelle  spese,  ma  anche  il  Comune  prima  di 
dar  lo  spettacolo  non  doveva  sapere  che  la  deliberazione  presa,  essendo 
nulla,  sarebbe  stata  inefficace  di  fronte  ai  dissidenti? 

E  se  per  persuaderlo  di  ciò  ci  volle  ufta  sentenza,  di  chi  è  la  colpa? 

E  del  resto  perchè  il  Comune  ha  voluto  fare  degli  anticipi  a  chi 
non  ne  voleva? 

Non  è  il  caso  di  dire:  donasse  videtur!  La  teoria  del  Tribunale 
evidentemente  non  regge  ai  colpi  di  una  sana  critica. 


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1018  ARTE  CONTKMPORAIIBA 


IL  BAEITONO  BELLETTI 

CONTRO 

L'IMPRESA  DEL  TEATRO  COMUNALE  DI  BOLOGNA 

(Trib.  cìt.  di  Bologna,  11  luglio  1901). 

Fatto  e  vicende  della  causa. 

Neiraprìle  u.  s.  l'Impresa  del  Comunale  di  Bologna,  dovendo  alle- 
stire snlle  scene  di  quel  teatro  la  Manon  di  Massenet,  scritturava 
nella  qualità  di  secondo  baritono  e  per  la  parte  di  Bretigny,  il  signor 
Attilio  Belletti.  Incominciate  il  21  aprile  le  prove  dell'opera,  il  Bel- 
letti vi  prese  parte  con  soddis&zione  dell'Impresa  fino  al  2  maggio, 
ma  improvvisamente  il  giorno  successivo  fu  dall'Impresa  protestato. 
AUa  mattina  del  4  venivano  affissi  in  tutta  Bologna  e  nelle  città 
vicine  i  manifesti  annunzianti  la  première  della  Ma»um^  e  nella  com- 
pagnia di  canto,  benché  sciolto  da  ogni  vincolo  coU'Impresa,  figurava 
anche  il  nome  del  Belletti  come  quello  che  doveva  sostenere  la  parte 
di  Bretigny.  Per  tale  fatto  il  Belletti,  da  noi  patrocinato,  citò  l'im- 
presa avanti  al  Tribunale,  il  quale  con  sua  elaborata  sentenza  redatta 
dall'egregio  giudice  avv.  Mario  Galassi  ha  cod  deciso  la  questione: 

«  Considerato  che  la  prova  proposta  in  via  subordinata  dal  oonve- 

<  nuto  si  appalesa  senz'altro  inutile  perchè  il  &tto  asserito  dal  Zeni, 

<  di  avere  cioè  affisso  nell'atrio  del  teatro  un  cartello  indicante  k 
«  sostituzione  del  Belletti  per  la  prima  rappresentazione,  è  ammesso 

<  pienamente  dall'attore,  il  quale  non  senza  fondamento  afferma  che 

<  l'avviso  anziché  entro  il  teatro  avrebbe  dovuto  essere  posto  fuori, 
«  onde  gli  accorrenti  allo  spettacolo  avessero  avuto  notizia  della  so- 
«  stituzione  prima,  anziché  dbpo  ricevuto  il  biglietto. 

«  Considerato  che  il  Belletti  in  sostanza  basa  la  sua  domanda  su 

<  questo  fatto,  e  cioè  che  sebbene  fino  dal  8  maggio  lo  Zeni  sapesse 
€  di  avere  sciolto  il  contratto  col  Belletti,  permise  che  il  nome  di 

<  costui  figurasse  nel  cartellone,  e  dice  che  ciò  fu  fatto  ad  arte  dal- 


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GIUBnPHUDBMZA   TBATBALB  1019 

«  rimpresario  per  la  certezza  ohe  il  debutto  di  esso  Belletti  avrebbe 
«  richiamato  ìd  teatro  maggior  numero  di  ooncittadini. 

«  Prescindendo  da  quest'  ultima  affermazione,  della  quale  mancò 
«  ogni  elemento  di  prova,  e  che  sembrerebbe  anche  poco  fondata  attesa 
«  la  brevità  e  poca  importanza  della  parte  che  il  Belletti  avrebbe 
«  sostenuta,  sta  in  fiitto  che  lo  Zeni  usò  del  nome  del  Belletti  quando 
«  non  aveva  pib  diritto  di  furio.  Dato  anche  per  ammesso,  ciò  che 
«  lo  Zeni  è  venuto  affermando,  e  cioè  che  egli  non  fu  in  tempo  a 
«  rettificare  il  cartellone  già  stampato,  e  che  fu  affisso  la  mattina 
«  del  4  maggio,  certo  si  è  che  egli  doveva  almeno  con  un  avviso 
«  sovrapposto  al  cartellone  dare  notizia  al  pubblico  dell'avvenuto  cam- 
«  biamento.  Il  non  averlo  &tto,  anche  trattandosi  di  parte  non  prin- 
«  cipale,  si  risolve  in  una  negligenza  dello  Zeni,  che  lo  costituisce  in 
«  colpa,  e  lo  rende  responsabile  delle  conseguenze  della  omissione, 
«  come  quegli  che  anche  con  l'avviso  dato  la  sera  airinterno  del 
«  teatro,  efficace  fino  ad  un  certo  punto,  solo  per  quelli  che  andavano 
«  ad  assistere  allo  spettacolo,  non  aveva  &tto  tutto  ciò  che  la  pru- 
«  denza  richiedeva. 

«  Che  nella  specie  l'omissione  sia  imputabile  allo  Zeni  è  fuori  di 
«  dubbio,  perchè  egli  era  pienamente  consapevole  dei  suoi  atti  e  pie- 
«  namente  libero  di  eseguirli  od  ometterli. 

«  Che  il  fatto  sia  colposo,  non  può  essere  dubbio,  dal  momento 
«  che  la  indicazione  del  nome  del  Belletti  nel  cartellone  fu  l'effetto 
«  della  negligenza  dello  Zeni,  che  è  tenuto  anche  per  la  colpa  lie- 
«  rissima. 

«  Che  il  fatto  fosse  illecito  non  si  potrebbe  neppure  contestare,  perchè 
«  dal  momento  che  lo  Zeni  usò  del  nome  del  Belletti  quando  questi 
«  era  già  stato  protestato,  violò  un  diritto  del  Belletti  stesso,  in  quanto 
«  il  nome  fa  parte  del  patrimonio  di  una  persona  e  come  ogni  altro 
«  bene  patrimoniale  deve  dalla  legge  essere  protetto. 

«  Che  finalmente  il  &tto  sia  causa  di  danno,  non  pare  meno  chiaro, 
«  perchè  sebbene  nella  specie  non  sia  molto  facile  poter  stabilire  con 
«  certezza  l'entità  del  danno  sia  patrimoniale  che  morale,  e  questo 
«  danno,  data  la  poca  grarità  del  fatto,  possa  in  definitiva  essere  liqui- 
«  dato  in  misura  assai  minore  di  quella  che  il  Belletti  osi  sperare, 
«  tuttaria  non  potrebbe  a  priori  escludersi,  perchè  la  ommissione 
«  dello  Zeni  era  certamente  atta  a  produrlo. 

BMBia  imuieak  Ualùma,  TIII.  66 


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10^  ÀBTB  GONTBMPORANKA 

<  Come  risulta  dalla  esposizione  del  &tto  è  ayyeirato  questo,  che 
€  l'avere  lasciato  sul  cartellone  il  nome  del  Belletti,  produsse  l'equi- 

<  voce  in  cui  cadde  il  giornale  II  Besio  del  Carlino  di  aver  ritenuto 
€  che  l'artista  che  aveva  agito  sotto  le  spoglie  di  Bretigny  fosse  il 
€  Belletti,  ed  il  cronista  affermò  che  se  Fera  cavata  discretamente, 

€  Il  fittto  poi  che  solo  dopo  la  prima  rappresentazione  il  nome  del 
«  Belletti  fu  sostituito  nei  carteUoni  afiKssi  per  la  città,  era  tale  cer- 
«  tamente  da  indurre  la  persnasione,  anche  di  fronte  al  silenzio  d^li 

<  altri  giornali  della  città  intomo  al  nome  del  Belletti,  che  questi 
«  avesse  debuttato  poco  felicemente.  Come  si  vede,  un  danno,  sia  pure 

<  semplicemente  morale,  il  Belletti  dovette  risentire  e  dì  questo  danno 
«  lo  Zeni  deve  rispondere  perchè  avrebbe  potuto  con  maggiore  dili- 
«  gonza  evitarlo. 

<  Considerato  che  pel  concorso  di  tutti  gli  elementi  voluti   dalla 

<  legge,  essendo  accertato  il  diritto  in  genere  al  Belletti  del  rìsar- 

<  cimento  del  danno,  il  Collegio  crede  che  se  ne  possa  senz'altro  &re, 
«  secondo  equità,  la  liquidazione  senza  uopo  di  rinviare  le  partì  ad 
«  un  separato  giudizio. 

<  E  qui  occorre  subito  osservare  che  sebbene,  come  si  è  veduto,  il 
«  fatto  dello  Zeni  abbia  potuto  produrre  al  Belletti  un  danno  morale, 
«  in  quanto  egli  aveva  ragionevole  argomento  di  ritenere  che  i  con- 

<  cittadini  dopo  quel  fatto  lo  considerassero  come  artista  che  avesse 

<  infelicemente  debuttato,  questo  danno  non  può  essere  liquidato  che 

<  in  misura  molto  tenue,  perchè  se  anche  Io  Zeni  avesse  operato  la 
e  sostituzione  nel  cartellone  e,  peggio,  se  avesse,  con  una  fascia  incol- 
€  lata  sul  cartellone  stesso,  avvertito  il  pubblico,  l'impressione  pel 
«  valore  del  Belletti  non  sarebbe  stata  molto  favorevole   e  qualche 

<  dubbio  non  sarebbe  certo  mancato  anche  se  al  pubblico  fossero 
«  stati  ignoti  i  rapporti  fra  lo  Zeni  e  il  Belletti  e  la  Commissione 
«  degli  spettacoli. 

<  Il  collegio  poi  non  crede  che  il  fatto  abbia  prodotto  conseguenze 

<  materiali,  o  quanto  meno  gravi  per  le  speranze  del  Belletti,  perchè 

<  nell'opera  del  Massenet  egli  rappresentava  una  parte  poco  impor- 

<  tante  e  poco  adatta  a  far  conoscere  agli  intelligenti  e  sopratotto 

<  agli  impresari  i  suoi  meriti  o  demeriti,  tanto  è  vero  che  i  croni^ 
«  teatrali  deìV Avvenire  e  della  QoBBetta  deU Emilia,  come  del  resto 

<  sogliono  fare  tutti,  diedero  relazione  in  massa  dell'esito  dello  spot- 


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QIURIflPRUDKMZA  TEATRALB  1021 

«  taoolo  per  ciò  che  rìgaardava  le  parti  minori,  senza  distinzione  di 

<  sorta,  e  quanto  al  Besto  del  Carlino^  dicendosi  dal  cronista  che  il 

<  Belletti  cantò  discretamente  non  si  disse  che  avesse  cantato  asso- 

<  latamente  male,  e  che  il  giudizio  del  pubblico  in  teatro  fosse  corn- 
ac pletamente  sfavorevole.  Vagliate  queste  circostanze,  il  Collegio  crede 

<  che  il  danno  preteso  dal  Belletti  possa  essere  equamente  compen- 

<  sato  > 

Appunti  critico-giuridici. 

Che  il  nome  riguardato  come  espressione  della  personalità  e  dello 
stato  di  famiglia,  costituisca  un  diritto  individuale  in  grado  eminente, 
è  universalmente  ammesso  in  ogni  paese  civile.  E  invero  esso  si  con- 
fonde col  diritto  stesso  della  personalità  umana,  col  diritto  del  cit- 
tadino di  non  esser  confuso  con  altri,  affinchè  ad  ognuno  si  ascriva 
il  merito  o  il  demerito  delle  proprie  azioni.  Il  nome  costituisce  ap- 
punto il  miglior  modo  per  attuare  questo  diritto  a  distinguersi,  onde 
la  necessità  di  una  protezione  giuridica  contro  le  sue  violazioni.  E 
tale  protezione  ognuno  intende  come  debba  più  severamente  appli- 
carsi nei  casi  ove  la  proprietà  del  nome,  non  va  scevra  di  un  con- 
tenuto patrimoniale,  quando  cioè  si  tratti  dì  locatori  di  opere  o  di 
commercianti,  i  quali  si  siano  acquistata  col  tempo  e  col  lavoro  una 
fama,  una  reputazione,  cosicché  l'usurpazione  del  loro  nome  si  risolva 
in  una  usurpazione  di  clientela.  L'artista  di  teatro  è  appunto  un  lo- 
catore di  opera,  e  ognuno  intende  quali  gravi  pregiudizii  possa  por- 
tare la  usurpazione  del  suo  nome  che  venga  fatta  da  altri,  e  ciò 
molto  più  poi  quando  si  attribuiscano  a  lui  i  demeriti  di  chi  abbia 
agito  in  vece  sua.  Ciò  è  accaduto  appunto  al  signor  Attilio  Belletti. 
Egli  aveva  locato  Topera  sua  all'Impresa  del  Comunale,  e  questa 
naturalmente  acquistava  anche  il  diritto  di  far  figurare  il  suo  nome 
nella  compagnia  di  canto.  Se  non  che,  prima  ancora  dell'andata  in 
iscena  dello  spettacolo,  il  contratto  di  scrittura  fu  risolto,  e  venne 
meno  conseguentemente  anche  il  diritto  dell'Impresa  di  usare  il  nome 
dell'artista.  Invece  i  manifesti  annuDzianti  la  première  della  Manon 
che  ebbe  luogo  il  giorno  successivo  alla  protesta,  poi*tavano  il  nome 
del  Belletti,  e  l'Impresa  si  rendeva  così  responsabile  di  un  vero  e 
proprio  ctbuso  di  nome,  in  quanto,  appunto  nel  momento  in  cui  ve- 
niva usato,  il  Belletti  non  faceva  più  parte  della  compagnia  di  canto. 


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1022  ARTB  GONTBMPOBANKA 

Che  di  tale  abuso  doTesse  rispondere  Tlmpresa,  è  cosa  che  non  ha 
bisogno  di  essere  dimostrata,  in  quanto  in  ogni  modo  la  ommessa 
canceUazione  del  nome  importava  quella  mancanza  di  diligenza,  quella 
colpa  che  basta  dì  per  sé  a  dar  vita  ad  un'azione  di  risarcimento  di 
danni.  Né  ad  escluderla  o  renderla  meno  grave  poteva,  come  osservò  la 
sentenza,  influire  il  fatto  che  nella  sera  del  4  maggio  H  manifesto  affisso 
neJTiNTEKNG  del  teatro  non  portava  il  nome  del  Belletti,  ma  bend  quello 
del  baritono  Ferretti  che  fu  chiamato  a  sostituirlo,  che  appare  anzi  più 
evidente  la  mala  fede  dell'Impresa  la  quale  avrebbe  dovuto  annan- 
ciare  la  sostituzione  al  pubblico  prima  di  entrare  in  teatro  e  non 
dopo  che  era  già  entrato.  D'altra  parte  è  sulla  fede  degli  avvisi  esposti 
fuori  del  teatro  che  il  pubblico  acquista  i  biglietti:  quelli  collocati 
néiVintemo  non  hanno  di  fronte  a  lui  alcun  valore,  quando  anche 
importino  delle  variazioni  nella  compagnia  di  canto,  e  per  ciò  non  è 
tenuto  a  consultarli.  E  in  vero  la  base  giuridica  del  contratto  che 
interviene  fra  l'Impresa  e  gli  acquirenti  di  biglietti  non  può  essere 
costituita  che  dagli  avvisi  attaccati  per  la  città,  perchè  solo  di  questi, 
e  non  di  quelli  messi  nello  intemo  del  teatro,  il  pubblico  può  pren- 
dere conoscenza.  —  L'Impresa,  d'altronde,  se  avesse  voluto  evitare 
l'equivoco,  doveva  eseguire  la  sostituzione  in  tutti  i  manifesti  (né  le 
mancò  il  tempo  per  farlo,  poiché  la  protesta  fu  resa  nota  al  Bei- 
letti  il  mattino  del  3  maggio  e  la  rappresentazione  ebbe  luogo  la 
sera  del  4)  e  non  limitarsi  a  quello  posto  neU'intemo  del  teatro,  che 
non  ha  di  fronte  al  pubblico  alcun  valore. 

Nicola  Tabanblll 


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IIBCÌEIJSI05I 


Storia. 

JV«/.  EUeEiriO  DE*  BUABIKONI,  Beiamione  9%U  Congresto  intemm&ionate  di 
sUrim  éétU  muHca  t«aato«4  «  Parigi  W  IMO;  lOiiifUro  dtUa  PibbUea  IfinisioM  (Alr«Mi 
dal  Sufpkmmiù  al  BolkOino  uj/Mak  del  18  aafgio  1901).  —  Boa»,  1001.  L.  CeeehiaL 

Una  relazione  simile,  pel  Ministero  della  Istruzione  Pubblica,  e 
inserita  in  un  Bollettino  ufficiale,  è  qualche  cosa  che  ci  fa  strabi- 
liare. Non  eravamo  avvezzi  airapparizione  di  interessamenti  in 
Gavore  della  storia  della  musica  per  conto  di  chi  siede  suirìstruzione 
in  Italia!  Questo  ci  affida  sui  sentimenti  di  simpatia  che  certo  avranno 
penetrato  il  cuore  del  signor  Ministro  alla  lettura,  e  conseguente 
ponderazione,  delle  belle  pagine  colle  quali  Tegregio  Professore  Gua- 
rinoni  adempì  il  suo  officio. 

L*autore  della  relazione  infatti  ha  dettagliato  con  tutta  diligenza 
e  dottrina  molte  delle  questióni  musicali  che  al  Congresso  di  Parigi 
ebbero  ampio  svolgimento;  noto  specialmente  quelle  che  si  riferi- 
scono alla  musica  greca,  alKinterpretazione  dei  neumi,  e  in  gene- 
rale airarte  del  cinquecento. 

Ma  ho  sottocchio  anche  i  Procès-verbaicx  sommaires  del  Con- 
grès  Memational  d'hisioire  comparée  tenu  à  Paris  du  23  au 
28  julUet  i900,  e  con  ricerche  e  confronti  nella  huUième  section 
(histoire  de  la  musiqìiej  scorgo  che  non  di  tutto  ciò  che  vi  fu 
trattato  il  Prof.  Guarinoni  diede  ragguaglio  al  nostro  Ministro  di 
Pubblica  Istruzione.  Ecco  gli  argomenti  da  lui  omessi: 

Séance  du  jeudi  26  juillet  (soir). 

M.  TiERSOT  Ut  une  communication  de  M.  Sàint-Saens  relative 
à  la  Notation. 

M.  R.  RoLLAND  Ut  une  notice  de  M.  Schedlock  sur  Purcell 
et  Bach. 

M.  Bonaventura  lit  une  notice  de  M.  Ghilesotti  sur  Besard. 


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1024  RBGIN8I0NI 

Séance  du  samedi  28  juUlet. 

M.  LiONBL  Dauriag  parie  de  la  Pensée  musicale. 

M.  Rollano  Ut  un  mémoire  de  M.  Lindgrbn  sur  YHistoire  de  la 
polonaise. 

Il  Ut  ensuite  une  notice  de  M.  Brenet  sur  Éloy  d'Amerval. 

M.  R.  Ck)MBARiEn  Ut  un  mémoire  de  M.  Landormy  sur  la  for- 
mation  d*une  ligue  pour  protéger  la  musique. 

M.  Lalot  lit  une  communication  de  M.  Meerens  sur  Diterses 
questions  d'acottstique. 

In  compenso  egli  solo  parla  del  sig.  Federico  Hellouin ,  il  cai 

<  lavoro  —  Appunti  pet^  la  storia  del  metronomo  in  Francia  — 

<  a  tutti  parve  chiaro,  netto,  preciso,  sostanziale,  e  certo,  fornisce 
€  una  pagina  molto  interessante  al  resoconto  ed  alla  storia  generale 
€  della  musica  ».  Mi  lusingo  che  alla  Minerva  se  ne  resterà  con- 
vinti ;  ma  io  non  capisco  il  perchè  della  relazione  incompleta.  Forse 
fautore  ha  creduto  che  per  una  prima  volta  non  conveniva  Sssare 
troppo  a  lungo  e  troppo  in  largo  Tattenzione  del  lettore;  e  ciò  va 
bene.  Se  non  che  allora  perchè  servirgli  il  Toni^  peregrinus  e 
gli  i[%o{  bizantini  piuttosto  che  la  Storia  della  polonese  o  Purcell 
et  Bachi    ' 

Intanto  i  musicisti  dovranno  sempre  attendere  da  Parigi  il  vo- 
lume ufficiale  degli  Atti  del  Congresso  per  apprezzare,  come  si 
conviene,  il  lavoro  compiutovi.  0.  C 

Congrès  imiernaticnal  dPhUtoire  de  la  mm«<«m«  tMa  à  Paris  à  la  BibUotkif^  àt  VOftre 
da  88  an  29  Jollièt  1900  (YIII*  Section  do  Congrès  d*m8tolre  eomparée).  J^oeumonU,  me* 
iNoirt*,  «t  WBuoD,  pttMiés  par  Us  toint  de  M.  J%dee  Cembarieu-,  Dinetavr  da  la  Bmm 
d'hiitoir*  4t  et  criUjm  muticaUe,  dólégoé  par  la  Comité  da  Congrèa.  —  SoUtim»,  1901.  Imfri- 
miTM  SiKhd'Pkrr; 

Attendevo  con  impazienza  questa  pubblicazione,  annunziata  da 
qualche  mese,  perchè  le  relazioni  apparse  in  vari  periodici  sulla 
Sezione  musicale  del  Congresso  storico  di  Parigi,  quantunque  in- 
complete, parziali  e  troppo  vacue,  lasciavano  scorgere  che  vi  si 
erano  trattate  questioni  interessanti.  Il  bel  volume,  edito  per  cura 
di  M.  Jules  Combarieu,  non  mi  ha  deluso  nell'aspettazione;  The 
letto  attentamente  col  più  vivo  piacere,  provando  solo  il  ramma- 
rico di  non  aver  potuto  assistere,  per  motivi  sui  quali  ormai  è 
inutile  ritornare,  alle  discussioni  che  certi  argomenti,  che  oggi 
appassionano  gli  studiosi,  hanno  sollevato  fra  i  congressisti.  Su  tali 
discussioni  M.  Combarieu  tagliò  corto,  accennandovi  appena. 

Credo  che  non  sia  erronea  l'impressione  che  ricevetti  dal  com- 
plesso delle  memorie  lette  al  Congresso:  ristrette  per  necessità  a 
piccola  mole,  esse  rappresentano  nella  maggior  parte  sunti  di  la- 


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RBCBNSIONI  1025 

Yorì  compiuti  0  studi  preparatori  a  lavori  da  compiersi,  ed  anche 
aggiunte  a  temi  già  svolti  in  articoli  speciali  o  considerazioni  nuove 
su  essi. 

Non  è  dunque  il  caso  di  riassumere  scritti  per  sé  stessi  molto 
compendiosi:  non  potrei  riescirvi  senza  guastarli;  d'altronde  alcuni 
furono  già  inseriti  nella  eccellente  Revtie  d'histofre  et  de  critique 
musiccUes  diretta  da  M.  Gombarieu: 

RoMAiN  RoLLAND,  Noies  suT  V<  Orfeo  »  de  Luigi  Rossi  A  sur 

les  musfciens  itaUens  à  Paris,  sous  Mazarin; 
L.  Lalot,  Le  gente  enharmonique  des  Grecs; 
Michel  Brenet,    Un  poète-musicien  du  XV  siede:  Eloy 

d'Amerval; 
D'  0.  Chilesotti,  Mi^siCiens  frangais:  Jean-Baptiste  Besard 

Si  les  luihistes  du  XV r  siede; 
R.  P.  Thibaut,  Les  notations  byzantines; 
Th.  Gerold,   De  la  valeur  des  petites  notes  d'agrément  <k 

d'expression  ; 
P.  AuBRY,  La  legende  dorée  du  jongleur; 
Arnaldo  Bonaventura,  Progrès  <fc  nalionalité  dans  la  mu- 

sique; 
R.  P.  Thibaut,  AsstmUations  des  <  Èchoi  p  byzantfns  ik  des 

modes  latins  avec  les  anciens  tropes  grecs. 

Darò  l*elenco  delle  altre  memorie,  permettendomi  solo  qualche 
osservazione. 

Della  musica  greca  si  occuparono:  E.  Rublle  {Le  Chantgno- 
stico-magique  des  sept  voyelles  grecques)  ;  Elie  Poirée  {Chant  des 
sept  voyelles.  Analise  musicale),  e  Th.  Reinach  {Vharmonie  des 
sphères),  F.  Tiersot,  Th.  Reinach  ed  Elie  Poirée  parlarono  anche 
sulle  diverse  interpretazioni  dei  due  Inni  ad  Apollo,  recentemente 
scoperti. 

Circa  l*arte  bizantina  Dom  Hugues  Gaisser  spiega  L'origine  éb  la 
vraie  nature  du  mode  dit  <  Chromatique  orientai  ». 

Sulla  musica  del  medio  evo  abbiamo  due  memorie  di  G.  Houdard 
concernenti  la  notazione  neumatica;  egli  le  aveva  già  date  alle 
stampe  subito  dopo  la  chiusura  del  Congresso.  Dom  Hugues  Gaisser 
vi  contrappone  le  Observations  sur  la  communication  de  M.  Hou- 
dard, e  presenta  pure  Vorigtne  du  «  Tonus  peì^egrmus  ».  Segue 
lo  scritto,  veramente  notevole,  di  Liborio  Sacchetti,  Le  chant  re- 
ligieux  de  VÉglise  orthodoxe  russe. 

Un  argomento  assai  importante  riguardo  le  origini  deirarte  mo- 
derna svolse  al  Congresso  J.  Tiersot:   Des  transformations  de  la 


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1Q26  axciNSiONi 

tonaliié  éb  du  róle  du  dièze  A  du  bómol  depuis  le  mayen  dge 
jtfsq'au  X VII*  siede;  ma  qui  egli  riduce  il  suo  studio  ad  un  Résumé 
di  poche  pagine.  Mi  auguro  che  M.  Tiersot  sia  ora  intento  ad  am- 
pliare il  lavoro  ed  a  corredarlo  degli  esempi  opportuni  per  chiarire 
definitivamente  la  questione  che  egli  ha  saputo  trattare  con  tanta 
dottrina. 
Ck)ntinuo  a  citare: 

Shbdlogk,  PurceU  4b  Bach  (2  pagine); 

A.  LoNGo,  Observaikms  sur  la  vcUeur  historique  des  compo- 

sittons  pour  davecin  de  Dominique  Scarlatli  (2  pagine); 
Adolf  Lindgrbn,  Contribuilon  à  Vhisiotre  de  la*  Polonese  >. 

Qui  leggo:  <  Dans  le  livre  de  luth  de  Besardus  {Thesaurus  har- 
€  monicus,  —  CJologne,  1603)  se  trouvent  quelques  <  choreae  polo- 

<  nicae  »,  mais  elles  montrent,  du  propre  aveu  de  Squire  (autore 
€  deirart.  Polonaise  nel  <  Dictionary  »  de  Greve),  very  slightly  the 

<  rythm  and  peculiarities  of  Polish  national  music,  A  sont  poor 
«  la  plupart  composées  par  un  Vénitien  naturalisé  sous  le  règne  de 
«  Sigismund  III  (1587-1632)  ».  Farò  11  nome  del  Vénitien  naturalisé: 
Diomede  Catone,  liutista  e  cantante  molto  abile.  Non  è  a  maravi- 
gliarsi che  le  sue  Choreae  polonicae  non  sieno  ciò  che  s*intende 
oggi  per  polonese,  perchè  al  tempo  di  Catone  Diomede  la  polonese 
non  era  ancora  nata;  ma  non  arrivo  a  capire  per  qual  ragione  non 
sieno  da  prendere  in  esame  e  considerazione  come  tipo  di  danze 
polacche  le  danze  polacche  scritte  (e  perchè  no  raccolieì)  in  Po- 
lonia da  un  veneziano  naturalizzato  polacco.  Io  le  conosco,  e  le  ho 
trovate  cod  originali  che  nessun  altro  genere  di  ballo  può  esser 
loro  paragonato.  E  poi  curioso  che  tutu  gli  altri  esempi  presentati 
dal  Lindgren  {Vaccompagnemeni  est  suppriméfìl)  non  hanno  alcun 
carattere  di  somiglianza  colla  moderna  polonese.  Ma  allora  tanto 
valeva  studiare  anche  il  Thesaurus  harmonicus! 

Seguono  circa  la  musique  moderne: 

G.  HuMBERT,  Les  principes  naturels  de  revolution  musicale; 

Ilmari  Krohn,  De  la  mesure  à  5  temps  dans  la  musique 
finnoise  (spiega  nel  solo  modo  persuasivo  questo  ritmo  stra- 
nissimo) ; 

P.  Landormy,  Des  moyens  d'organiser  en  France  une  ligue 
pour  la  proiection  et  le  développement  de  Vari  musical 

Nella  parte  V  {Varia)  noto:  Mberens,  Réforme  du  système tmh 
sical. 
L*  autore,  riferendosi  ad  alcune  sue  pubblicazioni  suir  acustica 


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RKGBNaiOMI  1087 

musicale,  deplora  che  non  si  sia  badato  alla  scala  musicale,  da  lui 

27  25  27 

fissata  colla  4*  nel  rapporto  -^,  la  6»  min.  -^  e  la  6'  magg.  -^. 

Non  conosco  le  opere  del  Meerens;  tuttavia  non  esito  a  qualiS- 
care'sbagliata  la  sua  scala.  Se  nella  scala  di  «o/?n^n.  il  fa  resta  nel 

27 

rapporto  -^  col  do,  che  non  è  tonica,  si  tratta  sempre  di  qnei 

casi  che  rendono  impraticabile  nella  modulazione  la  scala  naturale 
per  rimpossibile  alterazione  di  un  comma  in  certe  noto.  E  poi  se 

27 

il  do  quarta  di  sol  è  preso  nel  rapporto  di  -^,  il  fa,  settima  mi- 
nore di  sol,  non  resta  più  nello  stosso  intervallo  col  do.  D'altronde 
provi  il  Sig.  Meerens  a  mettere  la  4»  -g-  sulla  5»  (-|-X-|5-  =  ^) 

e  sentirà  quale  deliziosa  8*  ne  risulti.  Troppo  si  è  discusso  sugli 
altri  intervalli  proposti  dal  Meerens  per  ritornare  sopra  una  que- 
stione che  non  ò  più  questione.  La  quale,  del  resto,  dal  lato  pra- 
tico è  oziosa:  fino  a  che  Tarte  avrà  per  base  la  modulazione  nessuno 
saprà  impiegarvi  suoni  diversi  da  quelli  della  scala  temperata. 

Né  credo  che  il  sig.  Meerens  sia  più  avveduto  nella  sua  pro- 
posta di  notazione  musicale:  4  linee  e  3  spaz!  per  i  sette  suoni, 
con  un  numero  quale  indice  delFottava  a  cui  si  riferiscono.  Pare 
impossibile  che  non  si  voglia  capire  come  nel  nostro  sistema  di 
notazione,  ormai  perfetto,  la  lettura  non  presenti  punto  difficoltà, 
mentre  le  difficoltà  sorgono  solo  neiresecuziòne  di  ciò  che  rocchio 
e  rintelligenza  leggono  facilmente  1 

Tra  le  altre  memorie  della  parte  V*  cito  come  più  importanti 
VHistoire  du  métronome  en  France  ii  Hèlouin  e  Le  Vandalisme 
nmsical  di  Julbs  Gombaribu,  che,  se  ben  ricordo,  trattò  questo 
tema,  su  cui  dovrebbe  fissarsi  Tattenzione  d*ogni  serio  cultore  del- 
Tarte,  anche  nella  Rivista  Musicale  Italiana  deiranno  scorso. 

Il  programma  del  Concerto  Storico,  organizzato  da  M."  Julien 
Tiersot  e  Charles  Bordes  ed  eseguito  nelle  sale  del  palazzo  del  prin- 
cipe Roland  Bonaparte,  e  i  voti  espressi  nel  Congresso  chiudono  il 
volume.  0.  C. 

P.  AXTBnYf  MuHeoloifU  médiévaU^  HUtoire  et  méOioiUs.  Fkg.  ti-IM,  ia-S»  gr.  ^ 
Parw,  1900.  WolUr.  —  Fn.^20. 

In  questo  elegante  volume,  che  è  il  primo  di  una  serie  di  Me' 
langes  de  Mtisicologie  critique,  Tautore  ha  raccolto  il  suo  corso  di 
10  lezioni  professato  M'InslìiiU  Catholique  di  Parigi  nel  1898-1899. 
Non  è,  come  avverte  il  dotto  A.  nella  prefazione,  nn^opera  di  po- 
lemica :  e  meglio  avrebbe  potuto  dire  che  non  è  colpa  sua  se  questa. 


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1028  RBCXNSIONl 

come  ogni  opera  di  musicologia  sacra  rigidamente  condotta  con 
metodi  scientifici,  sembrerà  precisamente  una  polemica  appassionata. 
Senonchè,  per  fortuna,  la  logica  dei  fatti  ha  una  forza  dialettica 
che  nò  si  sminuisce  con  le  parole,  né  si  distrugge  con  privilegi,  da 
qualunque  Autorità  essi  emanino. 

E  qui  i  Catti  sono  non  solo  ordinatamente  ma,  direi,  elegantemente 
esposti  come  si  conviene  in  un  corso  di  insegnamento  superiore. 
Naturalmente  non  tutte  le  osservazioni  dell'A.,  in  un  libro  che  ne 
è  cosi  ricco,  potranno  essere  condivise  dai  lettori;  ma  le  discre- 
panze parziali  non  tolgono  ch*esso  non  sia  un  modello  di  corso  su- 
periore di  storia  musicale.  Io  son  sicuro  che  i  corsi  di  Storia  delia 
Musica  che  si  tengono  nei  nostri  istituti  musicali  non  sono  da  meno, 
nò  per  copia  di  erudizione,  nò  per  ordine  e  limpidità  di  dettato: 
ò  sol  da  dolersi  che  non  se  ne  pongano  in  pubblico  prove  simili  a 
questa. 

La  prolusione  parte  da  un'osservazione  vera  ed  acutamente  di- 
mostrata: il  considerare  la  Musica  come  scienza  non  ò  unMdea  no- 
vissima: è  al  contrario  perfettamente  medievale.  Che  poi  della 
scienza,  e  dell'essenza  sua  e  de*  suoi  metodi,  il  concetto  moderno 
(approfondire  una  specialità)  e  il  concetto  medievale  (armonizzare 
in  un  vasto  insieme  le  specialità  tutte  quante)  siano  antitetici,  è  ovvio 
e  naturale.  Ma  ciò  non  toglie  che  questa  idea  fondamentale  deve 
guidarci  sempre,  quando  s*ha  a  trattare  con  testi  e  con  autori  del 
Medio  Evo.  E  perciò  non  ò  un  paradosso  il  cercare  e  trovare,  in 
quella  età,  le  rispondenze  fra  la  musica  e  le  arti  architettoniche 
(qua  e  là  rargomento  gli  prende  la  mano,  però:  le  alte  guglie  e 
leggiere  dei  templi  gotici  non  mi  paiono  responsabili  deirelevazione 
più  acuta  delle  voci  nelle  sequenze,  in  paragone  del  canto-piano  !  ): 
e  cosi  fra  la  musica  e  la  lingua  {liturgica  dice  TA.,  ma  ò  epiteto 
non  buono,  perchò  queste  relazioni  variano  specialmente  col  variare 
della  lingua  dal  latino  ai  diversi  volgari,  e  specialissimamente  anzi 
nella  musica  profana);  e  infine  tra  la  musica  e  le  scienze.  La  effi- 
cacia profonda  (e  disastrosa,  a  mio  avviso)  che  ebbe  sulle  teorie 
musicali  la  Filosofia  scolastica  ò  qui  brevemente  ma  limpidamente 
toccata;  che  quest*efi1cacia  però  dalle  teorie  astratte  passasse  allora 
nella  pratica  comune  profana,  e  che  anzi  si  debba  far  sentire  per^ 
fino  nelle  traduzioni  in  notazione  moderna,  è  per  me  inconcepibile. 
Ma  di  ciò  altrove. 

Le  quattro  lezioni  che  seguono  sono  più  spiccatamente  storiche. 
Le  due  prime  mettono  in  luce  Topera  intelligente  di  Pier  Benedetto 
Jumilhac  (1611-1682)  e  di  Giovanni  Lebeuf  (1687-1760)  per  venir 
poscia  a  D.  Martino  Gerbert  [1720-1793]  il  dotto  autore  del  De  Ccmiu 


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RECENSIONI  1029 

et  musica  sacra  (1774)  e  benemerito  collettore  della  grande  rac- 
colta degli  Scriptores  de  mimica  medii  aevi  (1784).  Il  continuatore 
della  collezione  Gerbertina,  il  De  Coussemaker  (1805-1876)  occupa 
la  quarta  lezione,  che  tutta,  e  ben  giustamente,  ò  un  ragionato 
elogio  del  suo  metodo  storico-critico  e  delle  opere  sue  principali, 
ancora  non  invecchiate,  a  cominciare  dalla  Hisloire  de  rHarmonie 
au  moyen  dge,  nella  qual*  opera  per  la  prima  volta  si  spiegò  se- 
condo verità  la  natura  della  notazione  neumatica.  Si  sa  che  il  Nisard 
ne  rivendicò  la  priorità,  ma  giustamente  TA.  ricorda  qui  lo  studio 
del  Gombarieux,  che  ridusse  al  vero  le  querimonie  del  Nisard  (in 
questa  Rivista,  II,  185)  scrivendo  uno  dei  capitoli  più  interessanti  e 
curiosi  della  storia  musicale  moderna.  Complemento  necessario 
della  Hist.  de  l'Harm.  è  il  volume,  più  maturo  e  più  concludente, 
VArt  harmonique  attx  XIP  et  XIII^  siècles;  ma  il  monumento 
più  insigne  dell'operosità  del  De  Couss.  è  formato  dai  4  grossi  vo- 
lumi degli  Scriptorum  de  musica  medii  aevi,  nova  series.  Nella 
stessa  lezione  è  trattato  del  Fétis  (1784*1861),  Taccanito  rivale  del 
De  Coussemaker,  e  ne  è  messa  in  rilievo  tutta  la  farraginosa  e 
(frettolosa  attività,  senza  metodo,  senza  critica,  senza  scrupoli.  Non 
sarà  mai  abbastanza  ricordato  (specie  in  Italia  dove  la  Biographie 
universelle  des  musiciens  e  la  Histoire  generale  de  la  musique 
occupano  ancora  un  posto  troppo  onorevole  negli  scaffali  delle  bi- 
blioteche musicali),  che  se  la  Biographie  è  comoda  perchè  mette 
sotto  mano  un  numero  immenso  di  notizie,  non  c*è  mai  da  fidarsi 
di  alcuna  di  esse  se  non  la  si  controlli  prima  accuratamente;  e 
quanto  alla  Hisloire  non  ò  che  un  paradooce  en  cinq  volumes, 
una  grossa  pietra  apportata  au  monument  tmposanl  el  loujours 
inachevè  de  la  bélise  humaine. 

Le  due  lezioni  che  seguono  sulle  Edizioni  dei  libri  di  canto  li- 
turgico, e  suìVOpera  dei  Benedettini  sono  due  capitoli  interessanti 
e  istruttivi  per  la  nota  questione  della  restituzione  del  vero  canto 
gregoriano,  e  sulle  benemerenze  acquistate  in  questo  campo  dai  Bene- 
dettini di  Solesme,  gli  editori  della  grandiosa  Paiéographie  musicale. 

L*ottava  e  la  nona  lezione  rientrano  nel  terreno  della  metodo- 
logia pura,  runa  sul  Metodo  filologico,  l'altra  sul  Metodo  storico 
nella  musicologia,  o  in  altre  parole  sono  una  esposizione  limpida 
dei  criteri!  che  debbono  guidare  prima  nella  ricostruzione  e  pub- 
blicazione di  un  testo  micsicale  medievale,  poi  nell'apprezzamento 
che  di  esso  testo  deve  fare  la  scienza;  e  infine  dei  sussidii  che  a 
questo  apprezzamento  debbono  dare  le  scienze  affini,  la  diplomatica 
e  le  arti  figurative.  Chiude  il  volume  un  capitolo  sugli  Elementi 
di  bibliografia  musicale:  utilissimo  per  quanto  dà,  sebbene  non  dia 


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1030  BLECWtfSlOìil 

quanto  si  desidererebbe  ;  ma  Tepiteto  di  confido  non  è  Catto,  pur- 
troppo, per  gli  studi  blbliogi*aflci,  qualunque  ne  sta  Toggetto  e  lo 
scopo.  In  complesso,  un  buono  e  utile  libro.  A.  Rkstori. 

A.  JBAimOT,  X.  BRAKOnr  €•  P.  AUBItT,  Zmi»  et  l>9M»rt9  frmnfmU  dm  XIII* 
MUeU.  Texie  9t  «MMigiM.  —  F^.  zxit-171  in-4*  gr.  —  Paria.  1901.  Waltw.       Pza.  M. 

È  questo  il  quarto  volume  dei  Mèlanges  de  Musicologie  cri- 
tique,  la  cui  pubblicazione  fu  intrapresa  dairAubry,  e  del  primo 
del  quali  rendemmo  conto  qui  sopra.  Questo  quarto  volume  è  il 
frutto  di  una  volenterosa  collaborazicne,  in  cui  Tarchivista  Brandin 
si  occupò  più  particolarmente  della  parte  paleografica  e  della  esalta 
riproduzione  dei  codici;  mentre  TAubry  curò  la  parte  musicale  e 
Jeanroy,  il  chiaro  professore  dell'Università  di  Tolosa,  tenne  per  sé 
rillustrazione  filologica  e  letteraria  dei  testi.  Questa  collaborazione, 
che  farebbe  presupporre,  già  da  so  sola,  un  ottimo  risultato,  fu  in- 
vece, pel  modo  con  cui  s'è  svolta,  il  vizio  radicale  dell'opera.  Come 
ò  lealmente  detto  fin  dalle  prime  parole,  mancava  allo  Jeanroy 
ogni  nozione  musicale:  «  sans  dotde  mon  exceUeni  collaborateur^ 
M.  Aubry,  eut  pu  me  foumir  sur  ce  sujet  toules  ìes  lumtòres 
qui  me  manquent;  mais  nous  avons  travcUUé  à  cUstance^  et  une 
perpélueUe  consultalion  n'eut  poini  èie  sans  difflciUtés.  Tai  donc 
pris  le  parli  de  kUsser  M.  Aubry  iirer  de  l'elude  des  mélodies 
ioutes  les  conclusions  qu'il  jugera  convenahles  et  me  suis  bomé 
à  Cexamen  des  textes  ».  Da  ciò  un  distacco  irrimediabile,  e  se 
anche  le  conclusioni  collimano,  la  trattazione  non  cessa  dall'essere 
nettamente  separata;  noi  non  abbiamo  qui  un'opera,  ma  due  mo> 
nografie  rilegate  insieme.  Il  che  ò  tanto  più  spiacevole  in  un  genere 
còme  il  discordo  dove  parole  e  musica,  ragioni  metriche  e  melo- 
diche, non  si  sovrappongono  soltanto  (come  negli  altri  generi  lirici 
alto-ft^ancesi  e  provenzali)  ma  veramente  si  fondono  in  un  tutto 
indissociabile.  11  difetto  è  sensibile  anche  nella  disposizione  tipo- 
grafica. Noi  abbiamo  prima  il  testo  dei  lais  e  descorls  dato  nelle 
forme  strofiche  e  con  l'apparato  delle  varianti  pag.  [1-73];  poi  il 
medesimo  testo  ò  ripetuto  a  linea  intera  sotto  il  r^o  musicale 
[pag.  74-162],  e  cosi  chi  legge  la  melodia  perde  di  vista  necessa- 
riamente la  struttura  strofica,  e  riesce  penosissimo  fame  il  con- 
fronto. Non  era  difllcile,  in  tanto  lusso  di  edizione,  fondere  una 
cosa  e  l'altra  e  dare  insieme  il  testo  stroficamente  disposto  con  la 
melodia  verso  per  verso:  questa  disposiziono  avrebbe  anche  rispar- 
miato airAubry  la  frequentissima  superflua  ripetizione  di  una  stessa 
tVase  musicale.  Per  es.  questa  semplice  cadenza  [XXV,  6]: 


M  1  1  1  1^ 


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RBGXN8I0NI  1031 

è  ripetuta  sedici  volte  ;  se  i  versi  fossero  in  colonna,  bastava  porla 
sai  primo.  E  lo  stesso  dicasi  pei  ritomi  simmetrici  della  frase  nel- 
Ilntemo  della  strofa,  e  pel  ripetersi  della  melodia  tra  strofe  con- 
secutive. 

La  parte  letteraria  di  quest'opera  consta  di  due  capitoli.  Nel 
primo  si  dimostra  che  lai  e  descort  non  sono  che  due  nomi  diversi 
di  un  solo  genere  poetico,  e  se  ne  studia  la  struttura  nelle  strofe, 
nelle  rime,  nei  versi.  Io  dò  questa  dimostrazione  per  concludente, 
perchè  volendo  limitarmi  alla  parte  musicale  non  vi  trovo  argomenti 
per  dimostrare  con  certezza  il  contrario.  Osservo  però  che  sono 
chiamati  espressamente  descort  nella  rubrica  o  nel  testo  poetico  i  nove 
(non  8  come  dice  l'A.  a  pag.  vi)  numeri  :  T,  II,  III.  VI,  VIII-XI,  XIII  ; 
e  sono  detti  lai  i  14  numeri:  XII.  XIV,  XVI-XVIII,  XX-XXVII, 
XXX;  [i  numeri  V,  XV,  XIX,  XX Vili,  XXIX  non  hanno  alcuna  ap- 
pellazione, il  IV  è  detto  iVote,  e  il  VII  cfiarU  e  chanson\.  Or  è  un 
bel  caso  che  tutti  senza  eccezione  i  descort  sieno  di  padre  conosciuto, 
mentre  i  lai  sono  quasi  tutti  anonimi  (9  contro  5).  Questo  potrebbe 
indicare  che,  data  pure  Tidcntità  fondamentale,  descorts  è  il  nome 
assunto  fra  i  poeti  d*arte,  e  la  musica  appoggia  quest'osservazione  ; 
essa  nei  descorts  è  più  ornata  e  melismatica,  meno  tonale,  e  non 
ha  quell'impronta  popolare  e  quei  ritorni  simmetrici  che  paiono 
propri  dei  lais^  come  si  vedrà  negli  schemi  posti  più  oltre  e  tutti 
fomiti  dai  lais.  Ck)munque,  pure  accomunando  lai  e  descort^  le  di- 
visioni strofiche  introdotte  dairautore  sono  dì  non  poca  importanza, 
perchè  su  esse  si  basano  le  deduzioni  relative  alla  natura  e  all'origine 
di  questo  genere.  Ora  l'A.  stesso  ha  osservato  che  non  sempre  la 
ragione  stroflca  è  data  dalle  rime,  o  dagli  aggruppamenti  metrici  o, 
infine,  dalle  maiuscole  colorate  dei  capoversi  segnati  nei  codici. 
Unico  criterio  è  il  mutamento  dell'unità  musicale;  la  fine  del  periodo 
musicale  non  è  controversa;  dopo  di  esso  o  si  cangia  melodia  e 
strofa,  0  si  ripete  la  melodia  con  altra  strofa  di  egual  costruzione 
e,  quasi  sempre,  di  eguali  rime.  Non  dirò  che  questo  criterio  mu- 
sicale non  oVlvdi  qua  e  là  qualche  dubbiezza,  ma  infinitamente  meno 
d'ogni  altro.  Ora,  lo  Jeanroy  (p.  xvii,  nota)  e  l'Aubry  (p.  xix)  affer- 
mano che  fra  le  divisioni  strofiche  e  le  musicali  la  concordance  s'esl 
faite  aisément  et  comme  d'elte-méme.  Mi  sia  permesso  dubitare 
che  il  musicista  ha  qui  subito  la  suggestione  del  letterato,  mentre, 
come  ho  detto,  avrebbe  dovuto  avvenire  il  contrario.  E  appoggio 
subito  con  una  prova  di  fatto  questo  dubbio  che,  altrimenti,  pec- 
cherebbe d'insolenza  ;  il  laiXXlV  è  diviso  in  nove  strofe,  il  lai  XXVIII 
in  diciassette:  orbene  questi  due  lais  sono  elicali  ed  hanno  V identica 
melodia;  è  evidente  che,  se  è  vera  una  divisione,  è  falsa  l'altra,  e 


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1032 


RBCKN8I0NI 


viceversa.  Al  Jeanroy  rìesciva  più  difficile  acc(»rgersi  dell*  identità 
perchè,  specialmente  alle  strofe  i,  2,  3,  il  XXIV  ha  alcuni  versi 
maschili  cui  corrispondono  nel  XXVIII  versi  femminili;  ma  Tidentìtà 
musicale  è  tanto  più  rimarchevole  in  quanto  la  melodia  dei  due  iais 
è  tratta  da  due  codici  diversi  e»  credo,  indipendenti. 

Ma  v*ha  di  più  ;  questa  stessa  melodia  ci  ritoma  innanzi  una 
terza  volta  nel  lai  XXVII,  presa  dallo  stesso  codice  del  XXTV;  la 
triplice  concordanza  è  data  dallo  schema  seguente  : 


(1)  XXIV,  -'. 


=  1 

=  XXVIII, 

=,   1+  2 -XXVII, 

=         1+2 

2 

= 

3+4        

3  +  4 

3': 

= 

5+  6*Ì      = 

6  +  6  =  7+8 

4.: 

= 

7+  8.: 

5 

= 

9  +  10          = 

9^10 

6 

=s«— 1    = 

11  +  12=     = 

11  +  12 

7 

13 

= 

13+14 

8  + 

8Mi 

s=— '    = 

14  +  15  =  -J  = 

15  +  (16  +  17)  +  18 

=  9 

= 

-  =  16  +  17 

— 

19 

Dopo  quest*esempio,  non  mi  perito  di  porre  altre  poche  osserva- 
zioni, specialmente  su  queste 'divisioni  stroflche,  cosi  come  le  feci 
alla  lettura:  rifare  e  controllare  tutto  non  è  possibile.  In  massima 


(1)  In  questi  schemi  la  doppia  =  è,  al  solito,  eguaglianza,  la  sempb'ce  —  (non 
accompagnata  da  =)  è  QD*estr6ma  somiglianza,  la  punteggiata ...  indica  nna  rela- 
zione meno  stretta.  Le  strofe  XXIV:  1,  2,  8  (e  le  rispettive  di  XXVII  e  XXVIII) 
hanno  questa  particolarità  che  la  frase  melodica  è  distica,  AB,  e  che  i  versi  pari 
di  tutte  tre  hanno  sempre  la  frase  B,  mentre  i  dispari  nella  seconda  mutano 
alquanto,  À':  e  così  nella  terza,  A''  ;  il  che  potrehhe  indicare  il  tutto  come  uni 
strofe  unica  (di  30  versi)  tripartita.  Notisi  anche  che  XXVin  :  14,  è  di  sei  versi, 
mentre  la  parte  corrispondente  XXIV  :  8,  ne  ha  di  più,  perchè  ripete  la  stessa 
cadenza  musicale  (la  quale  esige  che  i  versi  79,  83,  87,  sieno  segnati  come  rime 
al  mezzo,  non  come  versetti  indipendenti).  Lo  stesso  avviene  di  XXVII  :  17,  che 
è  una  meccanica  ripetizione  di  16.  È  evidente  che  ripetere  la  stessa  frase  melo- 
dica qualche  volta  di  più  o  di  meno,  non  turha  l'eguaglianza  musicale  :  press*! 
poco  (per  un  esempio  a*  profani)  come  avviene  nelle  ehansans  de  gestCt  ove  le 
lasse  non  sono  mica  musicalmente  diverse  tra  loro,  perchè  ahhiano  didotto  o 
sedici  anziché  dieci  od  otto  versi.  Come  sopra  è  indicato  XXVII  :  7  +  8  =5 -f-6, 
e  potrehhe  aver  ragione,  perchè,  tranne .  una  o  due  note ,  anche  XXIV  :  4,  e 
XXVIII  :  7  +  8,  sono  identiche  alle  rispettive  8  e  5  +  6.  Infine  XXVII  :  19  è  uni 
sola  frase  musicale  di  5  versi,  mentre  XXIV  :  9  e  XXVIII:  16  -f  17  la  ripetono 
talquale  (10  versi). 


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RXGBNSIONI  1033 

credo  che  quando  il  periodo  musicale  è  finito»  senza  ritorni  di  frasi 
0  cadenze,  si  debba  segnare  una  strofa  nuova.  Cosi  la  strofa  XVII,  2 
che  ò  detta  di  56  versi  (pag.  ix,  linea  12)  mi  pare  da  dividere 
in  due,  27-56*»**  (perchè  manca  un  verso  in  -aM^)  =  57-82  (2). 
Anzi  la  melodia  non  vieterebbe  di  dividere  in  quattro,  perchè 
27-41  :  42-56»>i«  :  :  57^  ;  67-82.  Anche  XVII,  7,  potrebbe  dividersi  in 
due  [ai  vv.  235-54  e  255-62J,  ma  la  continuità  del  senso  e  il  perdu- 
rare, con  lievi  varianti,  della  stessa  frase  di  cadenza,  inducono 
anche  me  ad  ammettere  una  strofa  unica  (3);  ma  i  vv.  263  alla 
fine  sono  una  vera  coda  finale. 

Nella  struttura  della  strofa,  notisi  ancora  che  in  Vili  :  ì,  la  me- 
lodia pare  segnare  una  divisione,  1  (vv.  1-10)  e  1*>^«  (vv.  11-22);  e 
altrettanto,  malgrado  la  continuità  delle  rime,  sembra  necessario 
nella  IX  :  6,  cioè  dividere  in  60-73  e  74-83.  Quanto  alla  identità  fra 
strofe,  segnalata  dalKA.  a  pag.  xii,  di  regola,  ma  non  sempre,  le 
corrisponde  identità  melodica;  per  es.  Teguaglianza  fra  le  strofe  5  e  6 
di  XI  è  di  struttura  ma  non  di  musica.  Era  poi  da  notare  che  la 
strofa  esastica  II  :  2  (pag.  ix,  linea  1),  ha  la  rimalmezzo  in  -ór  ai 
versi  pari,  la  quale  nella  musica  è  nettamente  accusata  con  la  ri- 
petizione del  1*"  emistichio  musicale;  al  v.  12  è  dunque  correzione 
certa  :  Dont  n'iert  ia  ior  la  paine  achievée. 

Tornando  alla  divisione  dei  lais,  date  le^ precedenti  osservazioni, 
11  lai  XVII  mi  pare  offra  lo  schema  seguente: 


(4)  XXII: 

—  = 

1    =1*^ 

2      =2W» 

3      =4 

r'^  5 

5W»  - 

-==  6 

7     J 

_=  7Mf 

(2)  Anche  qai  la  frase  melodica  dei  vv.  27-31  è  ripetuta  tre  volte  nella  prima 
strofa,  e  solo  dne  nella  corrispondente  parte  della  seconda  (vv.  57-66;  v.  nota 
preced.).  Una  conferma  che  si  tratta  di  due  strofe  egaali  e  consecutive,  è  il  fatto 
che  sopra  la  seconda  il  copista  ha  creduto  superfluo  di  scrivere  la  notazione  mu- 
sicale. —  U  V.  64  mancante  era  forse  :  Volans  et  isneaua  (cfr.  v.  39). 

(3)  A  questa  strofa  XVII,  7  (e  non  a  XXVII,  7)  rimanda  la  nota  6,  pag.  ix. 
Così  pare  nella  nota  1,  stessa  pagina,  TXI,  1  non  parmi  rinvìo  esatto. 

(4)  1  w»  =.  vv.  15-26 .  2  w«  =  vv.  57-82 .  5  *«  =  vv.  185-214 . 7  Wi  =  vv.  263-72. 
La  relazione  tra  5^  e  7  sta  neiridentità  della  frase  iniziale,  e  dei  vv.  finali 
207-14  identici  con  i  w.  255-62. 


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1034 


RICBN8I0NI 


Come  il  preoedente,  il  lai  XVIII  ha  carattere  narrativo,  ed  è  no 
séguito  di  frasi  melodiche  di  estrema  semplicità,  e  tutte,  quasi,  di- 
stiche; esso  ha  questo  schema: 


(5)XVni: 


.1-2 

1 3=  6 

_i 4—7 

_: 6—   8 

1 9  =.13 

lOJ  =14  =  17  —  20 
llj  =.15»18»21 
12;  »16»19  —  22 


Nel  lai  des  Amants  (XX),  anch'esso  di  melodia  assai  semplice 
e  che  si  direbbe  d'indole  più  narrativa  che  lirica,  Teguaglianza  fra 
1  =  2,  3  =  4  è  confermata  dalla  musica.  Nel  XXI  la  melodia  esige 
una  divisione  alquanto  diversa,  perchè  la  1*  strofa  deve  esser  divisa 
in  due:  1  (vv.  1-9)  e  i^^*  (vv.  10-17).  Ciò  rivela  una  costruzione  assai 
elegante  (6): 

1 

—  =    ìbis 

2»   8»   4 

—  =   5 
6=   7=   8 

—  =   9 
10=11  =  12 


(5)  Basterebbero,  sempre,  lievi  correzioni  per  ottenere  fra  le  frati  unite  eoo 
linea  semplice  la  eguaglianza.  Le  relazioni  punteggiate  tono  queste  ;  nella  me- 
lodia distica  della  9  (e  13)  la  frase  A  ò  identica  alla  B  della  3  e  6.  La  parte 
monorìma  della  23  ha  l'andamento  melodico  preciso  della  1,  a  una  sol  nota  di 
distanza:  ma  poi  23  termina  con  una  cadenza  finale  presa  d*altra  fonte.  Gran 
parte  di  questa  notazione  musicale  fu  felicemente  restituita  dall^Aubry,  per^ 
le  indicazioni  metricbe  sono  semplici  e  chiare.  Vedremo  più  oltre  che  anche  k 
melodia  di  questo  lai  non  è  originale. 

(6)  Per  Tequazione  lOea  11  =»  12  deyesi  notare  chela  melodia  dei  tt.  152-^ 
deT*e8sere  invertita  (e  il  senso  non  vieterebbe  di  invertire  i  veni  stean),  e  dopo 
il  153  molto  probabilmente  manca  qualcosa.  La  formula  melodica  154-6  data 
una  volta  nella  10  è  ripetuta  tre  volte  nelle  11  e  12  (v.  nota  1).  Notisi 
infine  cbe  la  13  è  una  vera  coda  perchò  tutta  formata  della  2*  parte  d^ 
10-11-12. 


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RECENSIONI  1035 

Il  lai  del  Kiecrefuel  malgrado  l' identità  di  struttura  di  molte 
strofe  non  ha  eguaglianze  musicali  se  non  1  =  2,  12  =  13.  Invece 
la  melodia  del  lai  des  Piu:elles  (XXIII)  rivela  divisioni  diverse  dalle 
segnate  ed  è  peccato  che  manchi  la  fine  della  musica,  perchè  pro- 
babilmente anche  qui  avevamo  una  costruzione  simmetrica  (7): 

1 

2  =  3  =  4 

5 
5»«=7 
6  =  7W»  • 

8=^9 

Di  una  simmetria  assai  semplice  risulta  il  lazs  d'Aelis  (XXV) 
quando  si  divìdano,  come  credo  si  debba,  in  strofe  distinte  le  iden- 
tiche 4»  e  8*: 

1 

2  —  3 

-  =  4  =  4Wf 

5 

6 

7 

=  8  =  8Wt=r9 

Queste  divisioni,  e  molte  altre  che  potrebbero  forse  essere  in  altri 
lais,  aflfermano  limpidamente  che  in  questo  genere  poetico  i  soli 
criterii  filologici  non  bastano  a  stabilire  la  struttura  metrica;  ma 
non  infirmano,  io  credo,  le  conclusioni  del  Jeanroy  contro  il  Wolf. 
che  cioè  tra  il  lai  e  la  seqtcenza  o  prosa  non  ci  sia  eguaglianza 
né  derivazione.  I  lai,  musicalmente  studiati,  rivelano  delle  interne 
simmetrie  (non  tutti,  a  dir  vero,  ma  le  elaborazioni  artificiose  di 


(7)  La  5Mt  a  Yv.  83-98  e  la  7  &^  »  tv.  129-37.  Questo  schema  risalta  rispet- 
tando la  costruzione  strofica  data  dal  Jeanroy,  e  la  restituzione  melodica  del- 
PAubry  pel  lungo  tratto  101-137;  ma  il  testo,  con  non  maggiori  mutamenti,  si 
presterebbe  ad  una  restituzione  musicale  che  rendesse  5=s6  =  7.  Insomma  è 
questo  il  solo  caso  in  coi  il  copista  ha  lasciato  in  bianco  un  tratto  di  cui  non 
è  limpido  il  modo  di  restituzione;  ciò  è  forse  spiegabile  pensando  che  Tama- 
nuense  stesso  ayesse  innanzi  un  originale  poco  chiaro,  e  ne  sarebbe  una  conferma 
Tessersi  egli  stancato  e  aver  smesso  di  copiare  la  musica  verso  la  fino  del  lai, 

Rintta  mu8ieai§  italiana.  Vili.  67 


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1036  ascsN8io:«i 

Adam  de  Givenci,  Gaatier  de  Dargies  e  Guillaame  le  Vinier  non 
possono  esser  chiamate  in  causa  in  questa  ricerca);  pure  queste 
simmetrie  son  ben  più  libere  e  variate  che  non  nelle  sequenze 
rigidamente  astrette  alla  l^ge  del  parallelismo.  Io  inclino  quindi 
airopinione  del  Jeanroy,  ma  non  la  credo  co^  matematicamente 
provata  che  non  valga  la  pena  di  rimetterla  sul  tavolo  anatomico 
della  musicologia  filologica;  e  non  nego  che  una  dissezione  minuta 
e  compiuta  non  possa  portare  a  inaspettate  conclusioni. 

Escluso  che  il  lai  o  descort  derivi  dalla  sequenza^  lo  Jeanroy 
propugna  un'orìgine  celtica.  A  questa  derivazione  TAubry  ha  ore- 
4uto  di  portare  per  parte  sua  una  conferma,  osservando  che  molti 
lai  hanno  conservata  nei  mss.  tutta  la  notazione  musicale,  mentre 
altri  sette,  anonimi,  hanno  larghi  tratti  in  bianco  da  lui,  con  sicuri 
criterii,  restituiti  ;  egli  inoltre  ha  creduto  vedere  tra  i  primi  e  i 
secondi  una  differenza  estetica:  più  ricercati  e  fioriti  i  primi,  piii 
semplici  e  popolari  i  secondi;  sicché  specialmente  in  questi  ultimi 
s*avrebbe  a  cercare  non  certo  gli  originali  ma  le  derivazioni  o  al- 
meno le  imitazioni  delle  melodie  dei  lais  di  Bretagna,  tanto  celebrate 
e  amate  nel  Medio  evo.  —  Mi  sia  permesso  di  diro  che  la  conclu- 
sione può  essere  esatta,  perchè  se  il  ^  deriva  da  esemplare  celtico 
è  molto  probabile  che  Teco  più  fedele  ne  sia  conservata  nelle  me- 
lodie più  facili  e  popolareggianti;  ma  le  premesse  sono  inesatta. 
Anzitutto  Taver  lasciato  in  bianco  dei  tratti  di  rigo  musicale  di- 
pende semplicemente  da  questo,  che  il  copista  si  è  accorto  in  tempo 
di  avere  innanzi  la  ripetizione  esatta  di  una  frase,  di  un  periodo  o 
di  una  strofa  precedente  e  s*è  risparmiato  T  inutile  fatica  di  rico- 
piarla. Io  dò  di  ciò  la  dimostrazione  in  nota  (8)  e  davanti  al  fatto 


(8)  Tatti  i  tratti  lasciati  in  bianco  (pag.  xxii)  sono  i  segaonti  : 

XYII:  82-42  e  55-63:  ripetizioni  immediate  della  frase  precedente  —  58^: 
ripetizione  della  strofa  precedente  (cf.  nota  2)  —  90-10«{  :  ripetizione  immediata, 
che  realmente  dovrebbe  cominciare  col  t.  88;  il  copista  se  n*ò  accorto  solamente 
dopo  tre  versi  e  allora  interruppe  rinatile  copiatura  —  124>65  :  rìpet  della  strofii 
preced.  —  172-81:  rip.  immediata  della  frase  preced.  — 225-72:  qui  i  vv.  225-34 
ripetono  la  frase  immediatamente  precedente,  àoUanto  %  tw.  ^5-64  ripetono  tre 
voUe  ìa  fra$e  185-9,  I  ?y.  255  alla  fine  ripetono  la  prima  atrofia  dd  laL 

XVIIl:  vedi  noU  5. 

XX:  12-23,  42-51:  rìpetiuoni  immediate  ed  eridenii;  anche  qai  dovrebbe 
cominciare  col  v.  37  ;  il  copista  se  n'ò  accorto  5  veni  dopo  —  145-9^  152-7:  ripe- 
tizione immed.  della  frase  preced. 

XXI:  33-47,  48-62:  duplice  ripetizione  deUa  strofe  18-32;  99-148:  i 
vv.  95-115,  116-136  sono  rip.  conseoutive  della  str.  74-94;  mÀUmio  Ì99. 137-48 


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BKGKNBIOHI  1037 

non  po9sono  esserci  obiezioni.  Solo  mi  si  potrebbe  chiedere:  perchè 
altre  volte  ci  so&  pur  ripetizioni  di  frasi  e  di  strofe  e  il  copista  ha 
scritto  tutta  la  notazionef  al  che  io  osserverei  che  nessuno  di  noi 
può  farsi  mallevadore  della  intelligenza,  della  attenzione  e  nò  meno 
della  coerenza  logica  degli  scrivani  medievali.  E  del  resto  io  ho 
notato  altrove  esempi  di  amanuensi  che  s*accorgevano  troppo  tardi, 
o  anche  non  s'accorsero  afiGitto,  delle  varie  ripetizioni  delle  melodie 
che  copiavano  (0). 

In  secondo  luogo  la  differenza  estetica  fra  queste  melodie  di  lais 
francesi,  la  sento  anchMo  :  ma  non  proprio  esclusivamente  fra  la 
serie  dei  tutto-notati  e  dei  parte-notati.  Questi  ultimi  sono,  è  vero, 
di  modulazione  piana  e  sillabica  e  perciò  d*ìndole  popolareggiante, 
ma  non  sono  ì  soli:  ve  ne  hanno  dei  simili,  e  forse  ancor  più  ca- 
ratteristici, pur  nella  serie  a  notazione  intera:  e  fra  tutte  queste  me- 
lodie e  più  di  tutte  la  notazione  eguale  dei  lata  XXIV-XXVII-XXVm. 

A  questo  proposito,  infatti,  parmi  molto  significativa  la  constata- 
zione ch*io  feci  della  identità  della  musica  in  questi  tre  lais,  di  cui 
due  sono  profoni  e  uno  religioso.  L*  ipotesi  che  uno  dei  tre  abbia 
servito  di  modello  agli  altri  due,  dev'essere  assolutamente  scartata; 
il  XXVII  ha  un  passo  che  non  sfuggi  airacutezza  del  Jeanroy: 

102.  —  El  lai  des  Hermins 
Ai  mia  reton  roumanee,  ecc. 

nel  quale,  come  vedesi,  il  poeta:  oppose  au  lai  lui-méme  (c'esi-à- 
dire  à  la  melodie,  gt^e  l'auteur  a  trouvée  toule  fatte)  la  raisoh 


ripetono  la  strofa  5  (w,  63-7 3) ^  ma  la  ripetizione  ò  resa  evidente  dalla  iden- 
tità delle  rime. 

XXII:  tatte  ripetizioni  immediate  dell|^  frase  melodica  che  è  sempre  dìstica, 

AB.  Il  copista  sistematicamente  ha  scritto  la  mosica  di  tre  Tersi  :  AB,  A 

lasciando  in  bianco  il  resto  delle  lasse. 

XXIII:  40-67:  ripetizione  duplice  della  str.  antecedente  --  101-37:  t.  nota  7 
— 160-80:  rip.  della  strofib  precedente. 

XXV:  17-25,  81-37,  61-67:  rip.  immediate  della  frase  distica  pncedente; 
45-53:  ripete  il  periodo  37-44;  69-81:  rip.  della  stessa  frase  monorima 
—  84-89:  daplice  rip.  di  81-83;  98-)  13:  duplice  rip.  della  stro&  antecedente. 
Son  dnnqae  due  casi  soli  in  cai  la  ripetizione  non  ò  immediata,  quelli  che  io 
scrissi  sopra  in  corsivo,  ma  in  XXI:  137-48  essa  è  resa  evidente  dalle  rime. 
Riroane  XYII:  285-54,  e  sopra  un  caso  solo  non  appoggerei  una  teoria  di  vasta 
portata  :  preferisco  credere  a  una  eccezionale  accuratezza  del  copista^  o  semplice- 
mente che  egli  trovasse  nel  suo  esemplare  ravviso  che  quel  tratto  era  una  ri- 
petizione. 
(9)  Si  veda  questa  Biviata,  II,  p.  23  e  segg. 


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1038  RECENSIONI 

ROMANCE,  c'esUàrdire  les  paroles  franoaises  qu'U  y  a  adaptées.  Il 
modello  dunque  musicale  di  tutti  tre  i  lais  è  il  lai  des  Hermins, 
or  perduto,  ma  che  rimanderebbe,  secondo  il  Jeanroy  a  origine 
celtica,  perchè  «  les  Hbrmins,  doni  fati  mention  notre  pièce,  ne 
soni  pas  évidemment  les  habitants  de  V Armenie,  mais  ceux  de 
celie  Ermonie  ou  Ermenie  qui  aurait  élé  la  patrie  de  Trislan  ». 
E  il  fatto  che,  malgrado  tanta  povertà  di  testi,  per  ben  tre  volte 
ci  viene  innanzi  questa  notazione  e  in  lais  dandole  cosi  diversa, 
dimostra  all'evidenza  trattarsi  d*una  melodia  conosciuta  e  amata, 
fluttuante  per  cosi  dire  fì*a  la  moltitudine:  e  alla  mercè  di  chiunque 
sapesse  aggiustare  una  novella  reson  roumance  sulle  note  del  canto 
antico  (10). 

Ma  v*èdi  meglio;  questo  fatto  si  ripete  una  seconda  volta,  e  in 
circostanze  non  meno  curiose  e  significanti.  In  un  ms.  d'origine  in- 
glese noi  troviamo  una  poesia  latina  intitolata  Cantus  de  Domina 
e  un  lai  francese  à  la  Vierge  di  struttura  identica,  con  notazione 
musicale  (n**  XXX);  essendo  queste  due  poesie  un  evidente  ricalco 
runa  dell'altra,  per  noi  è  inutile  la  questione  quale  fu  scritta  prima  e 
qual  dopo:  musicalmente  esse  sono  una  sola  unità  (11).  Or  questo  laih, 
nel  codice,  cosi  rubricato:  Cantus  de  domina  post  cantum  AaHz.  Noi 
abbiamo  un  lai  amoroso  d'Aelis  (XXV),  ma  con  questo  cantus  non 
ha  nulla  a  che  fare  né  per  la  metrica  né  per  la  musica.  Invece 
opportunamente  il  Jeanroy  ricorda  (p.  xv)  che  noi  troviamo  men* 
zione  di  un  antico  lai  d'Aeliz  cantato  da  un  irlandese,  e  però  si- 
curamente  celtico.  0  non  potrebbe  il  cantus  de  domina  essere  ri- 
petizione 0  almeno  eco  fedele  della  vecchia  melodia?;  esso  è  una 


(10)  Non  ò  possibile,  e  non  ha  molta  importanxa,  deddore  qaale  dei  tre  hm 
ci  rispecchi  con  maggior  precisione  la  fonte  cornane  (ìai  des  Hermms),  lì  mio 
riseryatissiroo  parere  ò  favorevole  al  lai  devoto,  anzichò  ai  dae  profani;  per  qaeste 
ragioni:  1<>  nelle  strofe  1-2-3  oye,  come  già  dissi,  il  XXIY  e  XXVII  hanno 
alcune  rime  maschili  che  il  XXVIII  ha  femminili,  la  cadenza  che  rìpercoote 
sempre  Taltima  nota  s*aggÌQsta  più  nataralmente  alle  femminili;  2»  lo  ite«o 
afTiene  nei  versi  XXVIII:  81,  84,  che  sono  femminili  (e  qui  concorda  anche  il 
XXVII:  79  e  simili),  mentre  sono  maschili  i  corrispondenti  XXIV:  79 -{-80» 
83-f-84,  87  +  88.  Inoltre  già  avvertii  che  questi  versetti  79,  83,  87  devono 
essere  vere  rimalmesso  (v.  nota  1),  ma  siccome  la  melodia  non  lo  indica  meno> 
inamente,  mi  pare  sia  più  schietto  e  più  originale  il  XXVllI  (e  XXVII)  che  non 
le  hanno,  mentre  quello  del  XXIV  pare  uno  sfoggio  inutile  e  posteriore. 

(11)  Cfr.  note  a  pag.  16J  e  162;  ivi  TAubry  attserisce  che  il  prototipo  sia  il 
Ìai3  latino,  ma  la  verità  ò  che  non  ne  sappiamo  niente  e  che  non  abbiamo  argo- 
monti  neppure  per  istituire  un  calcolo  di  probabilità. 


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RECENSIONI  1039 

serie  di  sei  motivi  melodici,  graziosi,  facili  e  tonali.  La  frase  post 
canlum  Aaliz  vale  certamente  come:  dietro  la  melodia,  secondo 
la  melodia  (il  J.  per  intuito  tradusse;  sur  le  chant  d'Aélis),  e  non 
nel  senso  di  segtìendo  o  accompagnando  la  melodia,  quasi  fosse 
un  discanlus  o  una  seconda  voce  adattata  al  canto  di  Aeliz.  Vieta 
di  pensare  a  ciò  Tandamento  della  melodia,  spontaneo  e  per  nulla 
tormentato  come  soleva  essere  dai  barbari  discantores;  e  di  più  le 
troppo  noie  indicazioni  tecniche,  che  sono  tenor  e  gontra,  non 
POST  (12).  Ma  è  ozioso  perdersi  in  minuzie,  quando  possediamo  la 
prova  provata  che  le  melodie  di  questo  canile  appartengono  anche 
esse  al  vecchio  e  comun  patrimonio  musicale  del  popolo.  Infatti  un 
francese,  Ernoul  le  Vieux,  in  un  lai  de  Vancien  et  du  nouveau 
Tesiament  (XVIII)  d'indole  affatto  narrativa  (e  perciò  più  affine 
agli  antichi  lais  di  Bretagna),  usa  di  questi  motivi  melodit^i,  adat- 
tandoli a  suo  talento  su  versi  svariati  ;  sicché  cogliamo  qui  sulfatto 
la  disinvoltura  medievale  (e  medievale  soltanto?)  con  cui  altri 
appropriavasi  e  trattava  la  roba  non  propria.  Per  gli  opportuni 
riscontri  si  paragonino  le  frasi  iniziali  dì  ambedue;  mentre  la  ca- 
ratteristica successione  XXX  :  4,  Vzrge  pure surm^ontez  è 

ripresa  tal  quale  neir ultima  strofa  di  Ernoul:  Par  baptesme  . . . 
cuilé  (si  cfr.  nota  5).  La  strofa  2  del  canius  è  Tesemplare  melodico 
di  Ernoul  3  e  6;  e  la  terza  del  cantus,  di  Ernoul  4  e  7  e  più  an- 
cora 11  =  15  =  18  =21  (si  veda  lo  schema  del  XVIII  a  pag.  1034). 
La  quarta  melodia  del  canti^  è  resa  monostica  in  Ernoul  5,  e  distica, 
lievissimamente  alterata,  in  8  e  12  =:  16  ecc.  La  quinta  del  cantus  è 
una  variante  della  quarta,  che  in  Ernoul  non  parmi  adottata.  Non 
è  probabile  che  Ernoul  sì  sìa  valso  proprio  di  questo  cantus  de 
domina;  hanno  attinto  entrambi  a  una  comune  fonte  melodica  {lai 
d'Aeliz),  che  il  canttcs  ci  offre  più  schietta  e  limpida,  Ernoul  più 
intorbidata. 

Altri  argomenti,  e  non  senza  valore,  porta  lo  Jeanroy  a  prò  della 
derivazione  celtica.  E  musicalmente  io  non  vedo  quali  difficoltà  si 
oppongano  ad  accettarne  le  conclusioni;  il  fatto  di  adattare  parole 
nuove  a  melodie  vecchie,  cosi  strano  per  noi,  era  de'  più  comuni 


(12)  Questo  senso  potrebbe  essere  invece  quello  della  rabrìca  nel  lai  XYI  di 
Gualtiero  di  Coincl,  che  è  detto:  iin«  ìai$  de  nostre  dame  contre  ìe  ìaimarkiol 
Qui  il  vedere  se  trattasi  di  un  discanto,  oppure  di  un  semplice  imprestito,  sa- 
sebbe  fiftcile  airAubry,  poiché  la  melodia  del  lai  Markioì  ci  è  conservata  nei  can- 
zonieri W  (=  parigino  844)  al  foglio  212,  eò  (=  par.  12615)  al  fol.  72.  Duolmi 
non  conoscere  questa  notazione. 


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1010  RSCIK8I0MI 

nella  tecnica  medievale,  e  possiamo  constatarlo  dalle  liriche  più  an- 
tiche {Qrundriss:  210, 7)  ai  tardi  precetti  delle  Leis  d'Amor,  secondo 
le  quali  anzi,  quasi  una  metà  dei  generi  poetfci  doveva,  o  almeno  po- 
teva, far  uso  di  melodie  preesistenti.  Né  è  poi  da  credere  che  questi 
suoni  di  Bretagna  che  tanto  piacevano  in  Francia,  fossero  qualcosa 
di  essenzialmente  o  recisamente  diverso  dalle  melodie  più  semplici 
e  popolari  che  noi  conosciamo  in  altri  generi  lirici.  Se  è  lecito  giu- 
dicarne da  questi  lais,  essi  erano  un  séguito  di  frasi  melodiche, 
distiche,  tristiche  o  tetrastiche,  spontanee  ed  eleganti,  ripetute  due, 
tre  0  più  volte  (13),  in  una,  due  o  tre  strofe,  e  poi  abbandonate  del 
tutto  per  passare  ad  altra  frase,  e  cosi  via  di  séguito.  Ora,  s'io  non 
m'inganno,  appunto  questo  seguirsi  di  melodie  variate  e  diverse 
per  la  misura,  pel  tono  e  per  Tespressione,  ripetute  sufficientemente 
da  poterle  capire  e  gustare,  ma  non  tanto  da  ingenerare  sazietà, 
era  quello  che  di  speciale  e  di  affascinante  dovevano  trovarvi  gli 
uditori,  avvezzi  alla  lunga  monotonia  dei  poemi  e  puossi  dire  anche 
degli  altri  generi  lirici  con  molte  strofe  sempre  metricamente  e 
musicalmente  identiche  Tuna  all'altra.  E  questa  varietà  appunto 
era  e  rimane  la  caratteristica  essenziale  del  laU  caratteristica  che 
agli  artificiosi  e  compassati  Provenzali  doveva  sembrare  una  vera 
BOOfnjcordanza,  donde  il  nome  di  descort;  sicché,  parmi,  queste  os- 
servazioni vengono  a  corroborare  quelle  del  Jeanroy  per  ben  altra 
via  ottenute  (14). 

Se  tale  era  la  natura  originaria  e  popolare  dei  lai  o  descort, 
agli  artisti  desiderosi  di  provarsi  in  esso  genere  ma  con  maniere 
virtuosità  non  erano  aperte  che  due  vie,  e  vi  sì  misero  con  impegno 


(18)  Se  ho  cercato  bene,  le  ripetizioni  maggiori  sono:  4  Tolte  per  nna  frate 
tetrastica  (XXIII:  33-98  e  corrispondente  113-128),  ma  i  versi  sono  oortlasimi  ; 
4  Tolfe,  spesso,  per  tristici  pare  di  versi  corti;  8  volte  per  ana  frase  dìstica 
[16  versi  A^B*]  in  XVII:  215-80;  e  16  volte  la  frase  monorima  già  dUta  a 
pagina  1030. 

(14)  Cfr.  pag.  VI  e  segg.»  xjy,  n.  2.  Perciò  resta  dimostrata  la  deflniiione  del 
deaeort  data  dal  rimario  del  Donale  (cfr.  Appel,  Vom  De»cart,  in  Zeits*  fSr 
rom,  Philt  ^I»  P-  210),  che  cioò  esso  sia  una:  catUikna  habens  8<mo8  divenoi, 
e  questa  è  la  ratio  sine  qua  non  del  discordo.  Che  poi  gli  ani  nella  varietà  delle 
strofe  abbian  veduto  o  cercato  Tespressione  dei  vari  e  tarbinosi  sentimenti  d'amore; 
che  altri  intaoni  un  discordo  perchè  è  in  disaccordo  con  la  dama,  mentre  cante- 
rebbe un  accordo  se  Amore  gli  fosse  benevolo;  e  così  di  ségaito,  fino  a  osar  varie 
favelle  nella  stessa  poesia  per  esagerare  la  discordanza  ;  mi  paiono  tatte  eotti- 
glieize  e  ricami  e  oonoetti  posteriori,  ohe  non  furono  causa  né  della  cosa  in  tè 
né  del  nome,  ma  anzi  suggeriti  da  quella  e  da  questo. 


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RECENSIONI  1041 

degno  di  miglior  causa.  Gli  uni,  per  maggiore  varietà,  abolirono  o 
quasi  il  ritorno  delle  Arasi  simmetriche  cadendo  nella  melopea  sle- 
gala e  stranamente  contrastante  coi  vincoli  minuti  della  struttura 
metrica;  è  il  difetto  che  i  maestri  d'artificio  come  Folchetto  e 
G.  Faidìt  non  seppero  evitare  pur  nella  melodia  delle  canzoni.  Gli 
altri  allungarono  assai  la  strofa  con  piccoli  membretti  e  con  frasi 
melodiche  diverse,  la  quale  dà  cosi  Tiroprcssione  del  descort:  ma 
poi  la  poesìa  intera  ò  composta  di  ripetizioni  successive  di  essa 
lunga  strofa  e  relativa  melodia,  e  questo  snatura,  anzi  distrugge 
l'essenza  del  descort,  e  ne  fa  una  vera  canzone  a  strofe  lunghe  di 
versi  corti.  Tale  è  per  es.  il  lai  XV  di  Gautier  de  Goincl  composto 
di  3  strofe  di  36  versi  ciascuna,  e  pochi  altri  esempi  fornisce  la 
lirica  provenzale  (15).  Per  questi,  data  tale  struttura  della  strofa, 
forse  all'alio  pratico  la  impressione  musicale  non  era  distinguibile 
dal  vero  descori:  ma  in  pura  teoria  credo  che  non  abbiano  diritto 
ad  esser  chiamati  cosi.  Singolare  poi  fra  tutte  è  la  poesia  10,  45 
dì  Àimerico  da  Pegulhan;  essa  si  compone  di  3  strofe  di  43  versi 
ciascuna  (16)  rigorosamente  identiche,  seguendo  cosi  le  tradizioni 
della  studiata  lirica  provenzale:  la  melodia  invece  varia  da  strofa 
a  strofa  secondo  la  regola  del  lai;  sicché,  avuto  riguardo  al  doppio 
aspetto  metrico  e  musicale,  la  poesia  merilerebbe  il  bizzarro  e  con- 
tradditorio nome  di  chanso-4escorts. 

E  per  finire,  due  parole  su  la  parte  più  propriamente  musicale. 
Nessuno  porrà  In  dubbio,  data  la  competenza  specialissima  dell'Aubry, 
la  natura  della  notazione  musicale  :  «  la  mtcsiqtce  des  lais  appartieni 
à  /'ars  mensorabilis  du  douzième  et  du  treizième  siècle.  Ce  soni 
des  mélodies  mesurèes  en  rythme  temaire  et  avec  les  valeurs  ftxes 
de  la  docirine  franconienne*.  Cosi  infatti  è  scritto;  ma  io  non  credo 
che  cosi  debba  essere  eseguito.  Non  bisogna  mai  dimenticare  che  la 
monodia  profana  del  Medio  Evo  non  ebbe  mai  una  notazione  sua  pro- 
pria; quando  incominciò  a  parere  degna  d'esser  raccolta  e  scritta 
(tardi,  purtroppo!)  s'acconciò  a  quella  notazione  che  usava  la  scienza 
officiale,  cioè  le  scholae  delle  abbazie  e  dei  chiostri  ;  e  cosi  dapprima  la 
scrittura  neumatica,  poi  i  neumi  su  uno,  due,  e  infine  quattro  righe  ; 


(15)  Vedi:  Appsl,  artic.  dt.,  pag.  215. 

(16>  Così  contò  il  Diez,  ed  ogni  altra  disposizione  strofica  è  erronea.  Anche  i 
versi  monosillabi  sono  separati  dagli  altri  da  dae  pause  mnsicali  sempre  segnate 
nel  ms.  e  tono  sempre  note  per  sé  stanti,  non  ripetendo  mai  la  nota  del  ?erso 
precedente.  Avverto  però  ch'io  conosco  soltanto  la  notazione  che  questa  poesia 
ha  in  W,  e  ignoro  quella  di  R. 


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1042  RECENSIONI 

ossia  la  notazione  del  canto  gregoriano.  Che  figura  facciano  i  mo- 
tivi melodici,  cosi  simmetrici,  cod  tonali,  del  popolo,  nella  grave 
scrittura  del  canto-piano,  ce  n'è  un  esempio  calzante  e  direi  perfino 
esilarante  nel  grazioso  canltcs  de  domina  già  citato.  D*altra  parte 
frattanto  il  bisogiio  dei  discantores  e  della  nascente  polifonia  aveva 
reso  necessario  di  misurare  le  note  (perchè  senza  di  ciò  è  impos- 
sibile far  camminare  d'accordo  due  o  più  voci)  e  quindi  di  archi- 
tettare un  sistema  grafico  che  indicasse  la  misura.  La  quale  deve 
essere  ternaria,  perchè  tre  sono  le  persone  della  santissima  Trinità!; 
e  basti  questo  a  caratterizzare  un  sistema  polifonico  che  è  un  con- 
tinuo compromesso  fra  gli  apriorismi  sofo-teologici  e  la  forza  delie 
cose.  Per  fortuna  la  melodia  non  è  una  creazione  di  scienza  come 
la  polifonia;  essa  nasce  spontanea  e  porta  con  so  il  proprio  ritmo 
e  la  propria  divisione,  essa  vola  su  le  ali  del  verso,  e  queste  ali 
non  s*hanno  a  strappare  o  a  stroppiare,  perchè  chi  scrisse  ha  usato 
la  notazione  senza  misura  del  canto  fermo  o  quella  a  misura  spesso 
ripugnante  della  polifonia.  E  dico  ripugnante,  perchè  vorrei  sentire 
Francone  in  persona  a  cantare  una  serie  di  versi  pari  in  misura 
dispari  senza  snaturarli;  tanto  che,  del  resto,  TAubry  stesso  concede 
que  peul'éire  ces  mxmodies,  théoriquement  mesuréeSy  étaienl  dans 
la  pratique  chantées  assez  libremenL  Cosi  è  :  la  verità  ha  la  forza 
della  natura:  expeUa^  purea  iamen  usque  recurretl  (17), 

Dopo  ciò,  lo  confesso,  mi  hanno  sorpreso  assai  queste  palmole: 
nous  ne  donnons  pas  ici  la  traduction  de  ces  cantilènes  en  no- 
taiion  moderne,  parce  que  c'est  un  travail  facile  que  iout  lecieur 
pourra  (aire.  Io  non  so  se  in  Francia  sia  eoa  estesa  la  cognizione 
dei  meandri  della  scrittura  franconiana;  in  Italia,  credo,  siamo 
assai  più  indietro.  Ma  la  questione  non  è  di  indietro  o  di  avanti: 
non  è,  cioè,  di  quello  che  i  lettori  potranno  o  non  potranno  fore 
da  sé  con  maggiore  o  con  minore  facilità;  è  invece  di  quello  che 
un  pubblicatore  di  testi  medievali  dovrebbe  fare  a  prò  di  tutti  i 
suoi  lettori,  e  non  per  uno  o  due  o  dieci  o  dodici.  Così  non  si  ha 
una  pubblicazione  di  melodie  medievali,  ma  una  pura  e  diligente 
riproduzione  tipografica  dei  manoscritti;  nel  qual  caso  per  quei 
dieci  o  dodici  che  sanno  da  sé  leggervi  e  studiarvi  addentro,  era 
meglio,  molto  meglio,  dar  tutto  in  fac-simile,  come  quei  tre  sped- 
mens  splendidamente  eseguiti  che  furono  intersecati  al  volume. 


(17)  11  citato  eanius  de  domina  che  è  in  canto-piano  al  n.  XXX  e  in  misura 
franconiana  nel  ìai  XVIII  di  Emoul,  è  un  esempio  eloquente  della  poca  impor- 
tanza che  ha  il  sistema  di  notazione  in  queste  monodie. 


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BECBNSIONI  1043 

Un  piccolo  problema  è  dato  dai  due  lai  (XXII)  del  Kievrefuel  o 
(XXIX)  de  la  Vierge;  essi  hanno  identica  strottura  stroQca,  sicché 
Fano  è  evidente  ricalco  delFaltro,  mentre  la  melodia  è  differente; 
è  an  caso  singolare  che  avrebbe  meritato  qualche  osservazione. 
Certe  linee  melodiche  mi  sembra  che  concorderebbero  con  poco 
sforzo,  specialmente  con  trasporti  di  chiave  (che  è  la  correzione 
più  attendibile,  perchè  gli  sbagli  di  chiave  sono  i  più  facili  e  i  più 
frequenti  nei  codici  musicali  medievali);  ma  non  ne  vorrei  trarre 
alcuna  conclusione:  soltanto  con  Tesame  del  ms.  e  col  confronto  di 
varie  lezioni,  se  la  melodia  è  conservata  in  altri  codici,  potrebbesi 
chiarire  questa  singolarità.  A.  Restori. 

Critica. 

JS.  HEUBBRQBM^  IfH  JPV»|^«r,  Otumaelto  Emys  flber  du  Operarepsrtoire  dtr  Oegtnwart. 
—  Lripsig,  1901.  Htrmaan  Stenuum  Nachfblgvr. 

In  questo  volume  THeuberger  ha  raccolto  le  critiche  scritte  negli 
ultimi  dodici  anni  per  diversi  giornali  tedeschi.  Il  suo  libro  ci  porge 
cosi  una  rivista  dei  principali  e  più  importanti  avvenimenti  che  si 
riferiscono  al  teatro  lirico  di  Vienna  e  Monaco,  dall'opera  tedesca 
alla  czeca  e  airitaliana,  con  qualche  saggio  sulle  apparizioni  spo- 
radiche di  opera  francese,  spagnuola  e  russa.  Sono  in  realtà  queste 
critiche  abili  e  diligenti  lavori.  Obbiettive  in  massima  parte,  esse 
si  addentrano  a  bastanza  neir  indole  della  moderna  opera,  quella 
cai  parmi  che  Tingegno  dello  scrittore  si  applichi  con  miglior  suc- 
cesso. Esse  hanno  altresì  il  pregio  di  designarne  con  chiarezza  le 
qualità  e  i  difetti  con  intuito  sicuro  e  indipendenza  e  di  presentarci 
un  quadro  assai  più  che  cronologico  di  questo  importante  movi- 
mento, che  preludia  forse  ad  un  assetto  più  duraturo  e  rispettabile 
dell'opera  avvenire. 

É  impossibile  rilevare  qui  i  punti  di  vista  secondo  i  quali  il  let- 
tore spregiudicato  può  trovarsi  in  pieno  disaccordo  coirfleuberger. 
Bgli  è,  del  resto,  un  ecclettico  di  tale  elasticità  di  apprezzamenti, 
che  a  tutti  forse  più  che  allo  scrivente  può  facilitare  questo  compito. 
Nei  casi  più  opposti  egli  ha  sempre  evitato  un  giudizio  che  potesse 
comprometterlo  nell* avvenire  incerto.  Egli  si  è  cautelato.  Ma  si  è 
sempre  fatto  vedere  buon  conoscitore  del  tema  che  ha  trattato,  non 
ponendosi  troppe  obbiezioni  circa  il  valore  dell'opera  d'arte  presa 
a  giudicare  e  difendendo  nei  miglior  modo  i  luoghi  più  scoperti 
delle  sue  recensioni.  La  parte  in  cui  questo  equilibrio  è  meglio 
riuscito  parmi  la  critica  dell'opera  tedesca  che  l'Heuberger  vera- 
mente predilige,  difende  e  protegge,  meno  poche  eccezioni.  Del- 


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1044  RECENSIONI 

Topera  dei  veristi  nostri  egli  ha  scritto  col  compiacimento  e  la  sa- 
perRcialità  che  vengono  da  un'anima  gentile;  se  non  che  le  sue 
critiche,  ristampate  e  rilette,  mal  reggono  già  e  peggio  reggeranno 
all'opera,  sia  pur  breve,  del  tempo.  L.  Th. 

T.  Kit  A  USB,  Ueber  Musih  und  Mutiker,  Dr«l  B«d«n.  I.  Anf  Robert  Badadce.  IL  Anf  Allwrt 
LOMhboni.  lU.  su  JahriiundOTtiraiidi.  —  BarUn,  1900.  Bnwt  SiegfHed  Ifitttor  urna  Sokn. 

I  primi  due  discorsi  sono  apologetici,  in  onore  del  distinto  diret- 
tore d'orchestra  e  compositore  Roberto  Radecke  e  del  Lòschhom, 
famoso  insegnante  di  pianoforte.  Il  terzo  discorso  è  una  rassegna 
degli  avvenimenti  musicali  compresi  nel  secolo  XJX  in  (Germania. 
In  quest'ultima  parte  specialmente,  lo  stile  è  un  po'  gonfio  e  qualche 
esagerazione  fa  capolino.  Ma  come  ricordi  di  una  vita  in  gran  parte 
vissuta  in  mezzo  agli  avvenimenti  e  agli  artisti,  non  son  prive 
queste  pagine  di  qualche  interesse  retrospettivo. 

Questi  discorsi  furono  tenuti  all'Istituto  accademico  per  la  mu- 
sica sacra  di  Berlino.  L.  Th. 

Estetica. 

M.  KHBTSSSOBMAR,  Binige  BemerkHnffen  liber  den  Vortrag  alter  BrumUc*   — 

L«ipsif,  1901.  VerUg  toh  C.  F.  Poten. 

Enrico  Panzacchi,  discorrendo  meco  un  giorno  di  cose  d'arte,  ebbe 
a  dirmi  come  egli  intendesse  una  vivificazione  delle* antiche  opere  mu- 
sicali al  pari  di  quelle  dell'antica  pittura.  Esse  in  realtà  potrebbero 
ofirire  un  godimento  nuovo,  potrebbero,  dovrebbero  anzi  penetrare 
nella  nuova  pratica  come  gU  antichi  capolavori  delle  altre  arti.  Egli 
è  purtroppo  così  che  solo  per  la  musica  ciò  non  succede;  è  cosi 
che  di  tutto  un  tesoro  di  opere  d'arte  noi  vediamo  di  quando  in 
quando  solo  una  esumazione,  la  quale  lascia  il  tempo  che  trova  — 
e,  mi  perdoni  il  Kretzschmar,  cosi  succederebbe  dell'opera  del 
Quantz  sul  Flauto  traversiere  qualora  si  ripubblicasse  —  e  si  sot- 
terrano per  la  seconda  volta  il  più  spesso  le  opere  stesse  che  si 
pretende  esumare,  sia  che  si  pubblichino  per  le  stampe,  sia  che  si 
eseguiscano  dinnanzi  al  pubblico.  Il  primo  inconveniente  è  che  il 
musicista  pratico  non  conosce  e,  se  conosce,  non  apprezza  le  edi- 
zioni rinnovate  di  quegli  antichi  monumenti;  ai  giovani  si  consiglia 
purtroppo  di  non  annettervi  importanza  alcuna,  almeno  in  Italia. 

Ben  dice  il  Kretzschmar  avvisando  V accompaffnamenio  (l'im- 
provvisazione sui  basso  continuo)  come  il  punto  principale  in  cui  la 
pratica  degli  antichi  ha  bisogno  di  essere  studiata.  Ma  altro  il  dire, 
altro  il  fare;  la  stessa  erudizione  tedesca  è,  a  questo  proposito,  de- 
boluccia  anzi  che  no,  e  il  Kretzschmar  è  fra  quelli  che  avrebbero 


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RECENSIONI  1045 

potuto  fare  dì  più.  Nella  quisticne  deiraccompagnamento  abbiam 
visto  uomini  colti  sul  serio,  provvisti  di  ingegno  e  d*energia  essere 
tuttavia  in  preda  dei  più  grossolani  errori,  ed  altri  musici  pratici 
commettere  arbitrii  solo  giustificati  dalla  loro  perfetta  ignoranza 
del  mezzi  stabiliti  ed  autorizzati,  i  quali  ad  una  determinata  epoca 
artistica  si  convengono.  Così  la  ricostituzione  di  lavori  bellissimi  e 
pur  di  alcune  semplicissime  pagine  abbiam  visto  diventare  una  stu- 
pida, indecento  mascherata. 

Anche  la  conformazione  deirorchestra  è  argomento  d*ìmportanza 
capitalo  toccato  dal  Kretzschmar.  Oggi  si  eseguisce  la  musica  an- 
tica con  tutti  i  mezzi  consentiti  dal  senso  moderno,  con  tutti  i  rin- 
forzi, i  coloriti,  la  dinamica  propria  del  nostro  periodo.  Che  genere 
di  riproduzione  sia  questo  non  si  capisce;  a  noi  semplicemente  ri- 
pugna. Chi  guida  lorchestra  ha  ragione  di  considerarsi  padre  di 
quello  opere,  che  del  loro  autore  non  hanno  più  che  scheletri  ri- 
conoscibili a  pena.  Completare,  migliorare,  elaborare  opere  antiche: 
qual  brutto  compito  riservato  al  leggero  musicista  d'oggidì:  forse 
riprodurre  è  men  brutto,  ma  è  insudiciente  e  da  per  tutto  manca 
il  senso  per  ciò:  trasfondervi  la  vita  che  è  lor  propria,  ecco  ciò  che 
resta  a  farsi:  ma  occorre  genio  e  studio.  Rivivere  nello  spirito  di 
queste  opere  è  facoltà  di  pochi,  ma  è  negato  ai  musici  industri  e  ai 
facili  raccoglitori  di  cose  piccanti  pel  piccolo  mercato.  Ora  quei 
pochi  non  hanno  Taiuto  che  meriterebbero;  ma  farebbero  certo  e 
molto  se  coloro  che  possono  dall'alto,  passassero  dalle  parole,  essi  pei 
primi,  ai  fatti. 

Al  congresso  di  Storia  della  musica  tenutosi  Taltr^estate  a  Parigi 
mi  consta  che  Vincenzo  D*Indy  ebbe  parole  di  rimprovero  e  di 
sdegno  per  quei  musicisti  che  manomettevano  i  capolavori  dei  grandi 
maestri  con  riduzioni  arbitrarie,  aggiunte,  rimedii  e  cambiamenti. 
Egli  fece  dei  nomi  e  citò  anche  la  Passione  di  San  Matteo  di  Bach 
elaborata  dal  Qevaert,  per  dimostrare  quali  maestri  si  siano  abban- 
donati a  questa  volgare  manipolazione,  che  per  molti  ha  assunto 
il  carattere  di  un'orgia  impudente  sulle  opere  dei  grandi  padri  della 
musica.  Come  il  Kretzschmar  ha  già  cominciato  con  qualche  pic- 
colo esempio,  scopra  e  vada  toccando  più  forte  nella  piaga,  esponga 
i  nsultati  delle  sue  ricerche,  consigli  pure  ed  ammaestri,  ma  defe- 
risca al  pubblico  senza  pietà  i  profanatori  ;  che  in  caso  contrario 
noi  vedremo  prender  voga  un  sistema  di  vivificazione  delle  opere 
musicali  antiche,  che  non  è  per  nuli'affatto  quello  cui  accennavami 
Enrico  Panzacchi.  Ne  sono  ben  certo.  L.  Th. 


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1046  RECENSIONI 

Opere  teoriche. 

F.  BICCT,  Solfeggi  per  tutte  le  voci  (7.  fudoolo  precedente). 

Edimburgo,  21  agosto  '01. 
Stimalissimo  Signore, 

Ricevo  in  questo  momento  copia  della  Recensione  apparsa  nel- 
Tultlmo  numero  della  Rivista  Mìisicale,  sul  primo  volume  della 
mia  «  Collezione  di  Solfeggi  per  Canto  di  antichi  autori  italiani  ». 

Oltremodo  grato  a  Lei  per  la  sua  cortesia  ed  alFegregio  critico 
per  le  lusinghiere  espressioni  usate  a  mio  riguardo  al  principio  ed 
alla  fine  deirarticolo,  mi  affretto  a  risolvere  un  dubbio  che,  non 
ostante  debba  apparire  gratuito  e  ingiustificato  per  quelli  che  mi 
conoscono,  potrebbe  ledere  presso  tutti  gli  altri  la  mia  riputazione 
di  artista. 

Sulla  duplice  premessa  che  i  tempi  corrono  «  ben  tristi  per  gli 
ingenui»  e  che  1* Inghilterra  è  il  paese  «per  eccellenza  deiraffa- 
rismo  e  del  traffico  »,  il  sig.  G.  S.  mi  chiede  di  precisare  la  pro- 
venienza dei  manoscritti  da  cui  ho  tratto  la  massima  parte  dei 
Solfeggi.  La  domanda  è  onesta,  la  curiosità  giustissima  ed  io,  con- 
sapevole del  modo  che  si  pratica  nei  casi  di  esumazione  di  vecchi 
manoscritti  a  scopo  di  erudizione,  mi  sarei  fatto  un  dovere  di  pre- 
venire questo  suo  desiderio,  se  non  ci  fossero  state  due  ragioni  che 
me  ne  hanno  ritenuto.  La  prima  si  è  che  indirizzandosi  il  mio 
lavoro  agli  studiosi  del  canto  per  puro  scopo  didattico,  mi  sembrò 
che  rintrinseca  bontà  dei  Solfeggi  avesse  per  lo  scolare  un'impor- 
tanza molto  maggiore  (se  non  dico  esclusiva)  della  cognizione  biblio- 
grafica del  loro  luogo  di  origine.  La  seconda  si  riferisce  invece  alla 
«  nequizia  dei  tempi  »  lamentata  dalfegregio  scrittore.  Quest'opera 
infatti,  sia  per  la  sua  mole,  sia  per  la  ristrettezza  del  tempo  che  mi 
concedono  i  miei  doveri  d'insegnante,  non  potrà  esser  compiuta  che 
fra  qualche  anno;  ed  io  ho  creduto  bene  di  provvedere  al  mio  inte- 
resse col  non  indicare  ad  altri  la  strada  tenuta  sinora,  prima  di 
averla  tutta  percorsa.  Ora  la  mia  intenzione  era  appunto  (com'è 
sempre)  di  far  seguire  all'ultimo  volume  dei  Solfeggi  un'appendice 
dove,  notato  il  loro  luogo  di  origine,  avrei  chiarito  anche  il  cri- 
terio che  mi  ha  diretto  nell'ordinari!  e  presentarli  nella  forma 
attuale  agli  scolari  come  materia  di  studio.  Di  fronte  però  al  so- 
spetto avanzato  dalla  Rivista  che  essi  possano  essere  apocrifi,  mi 
affretto  a  dichiarare  che,  valendomi  di  uno  speciale  permesso,  io 
trassi  tutti  quelli  —  meno  tre  —  che  fanno  parte  del  primo  libro, 
da  vecchi  manoscritti  appartenenti  alla  Biblioteca  del  R.  Istituto 
Musicale  di  Firenze. 


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RIOBNSIONI  1047 

Un*altra  domanda  cortesemente  mi  dirìge  il  sig.  C.  S.  :  «  di  sco- 
prire —  cioè  —  //  nome  di  quelVantico  compositore  o  cantante 
che  si  nasconde  sotto  il  doppio  panno  del  suo  Anonymtcs  e  che 
si  presenta  per  ben  22  volte  nel  primx)  libro. 

Ecco:  prìma  di  tutto  non  è  colpa  mia  se  per  ragioni  didattiche 
ho  dovuto  nel  primo  volume  far  larga  parte  agli  Anonimi  invece 
che  ai  Solfeggi  segnati  da  chiari  compositori  (che  appariranno  del 
resto  nelle  successive  Serie),  come  sarebbe  stato  forse  mio  interesse 
di  fare.  Poi  debbo  confessare  che,  alieno  come  sono  da  ogni  ricerca 
bibliografica  che  sia  fine  a  sé  stessa,  non  conosco  il  nome  di  questi 
autori,  né  mi  son  troppo  stillato  il  cervello  per  conoscerlo;  ma 
sarei  ben  grato  a  quel  paziente  ricercatore  che,  una  volta  o  Taltra, 
volesse  illuminare  la  mia  ignoranza.  Quello  che  posso  dire  è  questo» 
che  nei  mss.  compulsati  da  me  nella  Biblioteca  di  Firenze  ho  tro- 
vato parecchie  Raccolte  di  Solfeggi  «  di  Autore  Anonimo  »;  che  di 
queste  Raccolte  talune  mi  sono  ricapitate  sott*occhio  in  altri  volumi 
(anche  spostate  per  servire  ad  altre  voci)  andando  sempre  sotto 
la  stessa  designazione,  e  che  perfino  singoli  solfeggi  appartenenti 
a  queste  collezioni,  trovati  a  caso  qua  e  là  in  altri  libri,  conser- 
vavano sempre  la  denominazione  di  Anonimo.  L'essere  dunque  tali 
Raccolte  inserite  fra  altre  manoscritte  di  chiari  compositori  antichi. 
Taverne  lo  stesso  stile,  lo  stesso  sapore  e  la  stessa  purezza  melo- 
dica, mi  fecero  chiudere  un  occhio  sulla  loro  paternità  sconosciuta, 
tanto  più  essendo  noto  che  molti  solfeggi  buttati  giù  alla  buona  dai 
nostri  vecchi  maestri  e  rimasti  nelle  scuole,  sono  stati  poi  in  molti 
casi,  senza  nome  e  senz'ordine,  copiati  in  volume. 

Pur  troppo  —  duro  destino  degli  eruditi . . .  ingenui  come  me!  — 
una  brutta  sorpresa  mi  attendeva.  Ultimamente,  quando  il  primo 
volume  dei  Solfeggi  era  già  stampato,  mi  capitò  tra  mano  un  vec- 
chio libro  intitolato:  «  Solfèges  d'Italie  »  (1),  dove  trovai  pubblicati  — 
col  basso  solo  s'intende  —  diversi  dei  solfeggi  raccolti  con  tanta 
fatica  a  Firenze  ed  altri  che  non  conoscevo,  appartenenti  anch'essi 
agli  stessi  maestri.  Non  farà  meraviglia  se  dico  che  ho  approfittato 
di  questo  libro  per  arricchire  la  mia  (Collezione  di  nuovo  materiale, 
se  non  inedito,  pure  pochissimo  conosciuto,  riserbandomi  di  modi- 
ficare nel  successivi  volumi  il  cenno  riguardante  i  mss. 

Ancora  due  parole  ed  ho  finito.  Il  sig.  G.  S.  fa  speciale  menzione 
del  numero  10  segnato  <  A.  Neumane  »,  supponendo  che  abbia 
Catto  confusione  col  Niemann.  Questo  solfeggio  —  il  solo  del  primo 
volume  non  tratto  dai  mss.  —  si  trova  in  un  vecchio  libro  a  stampa 


(1)  Londra.  Presso  Monzani  e  C. 


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1018  ABCCN8I0N1 

appartenente  ali* Istituto  Musicale  di  Firenze,  intitolato:  «A.  Neu- 
mane  —  Istradamento  al  Canto.  Esercizi  e  Solfeggi.  —  Firenze  — 
Calcoprafla  Musicale  F.  I/orenzi  ». 

A  diro  il  vero,  non  mi  riusci  di  trovare  il  nome  delKA.  in  nes- 
suno dei  dizionari  musicali  più  noti  che  consultai.  Mi  decisi  però 
a  scegliere  uno  de*  suoi  studi,  perchè  al  punto  in  cui  ne  feci  dso 
rispondeva  al  disegno  didattico  del  libro,  e  perchè,  al  tempo  stesso, 
non  mi  parve  che  né  per  lo  stilo  né  per  l'epoca  uscisse  dalle  linee 
generali  del  lavoro. 

Con  perfetta  stima 

Suo  (a>bL^ 
ViTTOHio  Ricci. 

JEL  BBLLBRMANN^  J>9r  ComtrmpuMkt,  Mit  uUraiditD  in  Un  Test  gedrakten  Kotankii- 
fpielen  nnd  ftlnf  LithognpUerten  Tftf«lii  in  Farbendrack.  Viert«  Anflaga.  Un  voi.  in*8l*,  di 
pnf.  480.  —  Berlin,  1901.  Verlif  von  Jalint  Sprintar. 

Scriveva  il  Bellermann  nella  prefazione  alla  prima  edizione  di 
questo  suo  libro  (1861):  «  Io  presento  al  pubblico  uno  scritto  sul 
Contrappunto  nel  quale  ho  esposto  l'andamento  degli  studi  che  deve 
fare  il  compositore  principiante  quando  voglia  riescire  al  sicuro 
possesso  di  una  condotta  scorrevole  e  sicura  delle  voci.  Per  guanto 
oggi  si  componga  e  per  quanto  varie  siano  le  cose  che  si  compongono, 
è  raro  il  caso  che  in  questo  ramo  importantissimo  della  tecnica 
musicale  della  composizione,  cioè  nella  condotta  delle  parti,  si  fac- 
ciano gli  studi  necessari,  —  anzi  noi  non  possediamo  neppure 
un  opera  de'  tempi  recenti  la  quale  impartisca  il  necessario  insegna- 
mento 3>. 

É  eccessivo  pessimismo,  è  smania  di  rilevare  tutto  il  male  pos- 
sibile negli  ordinamenti  pedagogici  de'  nostri  Gonservatorii  di  mu- 
sica, l'affermare  che  lo  studio  del  contrappunto  vi  è  in  generale 
negletto  al  massimo  grado,  cosi  che  il  giovine  musicista  il  più  delle 
volte  copre  malamente  con  un  mucchio  di  effetti  esteriori  nella 
istrumentazione  e  nel  colorito  armonico  la  mancanza  di  fondamento 
e  di  scorrevolezza  nella  condotta  delle  voci,  lio  sappiamo,  è  ecces- 
sivo pessimismo,  è  smania  di  dir  male  di  tutto,  e  c'intendiama  — 
Ma  non  si  neghi  che  oggi  si  vuole,  negli  studi  teorici,  saltare  ge- 
neralmente dall'armonia  alla  composizione,  pretendendo  compensare 
con  l'uso  e  l'abuso  della  polifonia  la  mancanza  di  cognizioni  e  di 
esercizio  nel  contrappunto.  Da  simile  errore  ne  è  conseguito  uno 
spostamento  di  principi,  un  continuo  decadere  di  quelle  discipline 
che  hanno  costituita  la  forza  de*  più  grandi  maestri  e  ne  hanno 
rinvigorito  il  genio,  un  continuo  precipitare  di  errore  in  errore. 
Ultima  conseguenza  di  questo  sistema:  si  accumulano  e  si  mettono 


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RSGBNSIONI  1049 

Tun  dietro  air  altro  più  serie  di  accordi  finiti,  invece  di  pensare 
che  gli  accordi  sono  primieramente  la  conseguenza  della  simollanea 
unione  di  più  parti  condotte  in  modo  melodico.  È  la  melodia  che 
deve  da  sovrana  dettar  la  legge.  È  in  ciò  che  consiste  la  vera  plu- 
ralità della  parti;  così  si  ò  sviluppata  la  nostra  musica  dopo  il  se- 
colo decimoterzo. 

Da  questo  concetto  guidato,  il  Bellermann  ha  impreso  a  trattare 
del  Contrappunto,  e  del  Contrappunto  ha  discusso  nel  duplice  modo 
storico  e  scientifico  specialmente  nella  parte  preliminare  della  sua 
opera,  che  si  può  chiamare  una  storia  esemplificata  e  documentala 
del  Contrappunto.  E  se  1*  innalzare  il  suo  edificio  sulle  basi  dei 
maestri  cinquecentisti  significa  essere  antiquato,  rappresentare  un 
punto  di  vista  antiquato  o  che  so  io.  come  qualcuno  ha  detto,  ciò, 
stia  tranquillo  il  Bellermann,  fo  molto  onore  al  libro  e  a  chi  Tha 
scritto.  In,  ogni  modo,  la  presente  quarta  edizione  del  suo  lavoro, 
edizione  richiesta  e  necessaria,  è  una  risposta  eloquente,  anzi  è 
Tunica  risposta  ad  una  osservazione  che  ha  in  sé  tutti  i  caratteri 
classici  di  una  peregrina  ignoranza. 

Coloro  che  realmente  vogliono  sapore  che  sia  il  contrappunto, 
come  si  pratichi,  di  quafarte  stupenda  egli  sia  informatore  fecondo, 
dovrebbe  consultare  le  composizioni  dei  quattro-  e  cinquecentisti 
innanzi  tutto.  Il  concetto  della  cantabilità  e  combinabilità  artistica  di 
diverse  melodie  nella  loro  disposizione  verticale  non  fu  mai  più  cosi 
bello  e  cosi  pieno  di  vivo  efi*etto.  Chi  non  comincia  da  Dunstable  e 
Dufoy  non  avrà  mai  un*idea  esatta  di  che  cosa  sia  la  genialità  del 
musicista  melodico  e  né  anche  comprenderà  mai  Tufflcio  vero  del 
sincero  e  forte  compositore  moderno.  Lo  stile  a  capella  ha  queste 
mosse  genuine  e  questi  semplici  caratteri,  e  quello  stile  per  la  mu- 
sica fu  ed  è  tutto.  Ora  egli  è  appunto  dai  fondamenti  di  questo  stile 
che  il  Bellermann  si  diparte  nelKesposizione  della  sua  teoria,  delle 
regole  e  dei  rispettivi  esempi:  la  teoria  d'un  uomo  veramente  colto, 
una  pratica  autorevole  e  conquidente. 

Bisogna  persuadersi  che  il  contrappunto  è  melodia,  è  Tunione  di 
più  melodie.  Questa  persuasione  vincerà  molte  contrarietà,  specie 
nei  giovani  discenti,  che  la  scuola  barbara  e  fiacca  d'oggidì  non 
vince.  Il  contrappunto  è  ritmo,  e  sul  ritmo  ancora,  come  sulla  me- 
lodia, ben  vengano  lo  ricerche  del  Bellermann,  mature  sulla  scorta 
della  storia  e  della  pratica  secolare.  Il  contrappunto  è  determinato 
da  rapporti  acustici  e  questi  rapporti  medesimi  esso  pure  determina 
—  ed  ecco  ancor  qui  il  Bellermann  pronto  a  darci  una  splendida 
prova  del  senso  di  modernità  cui  egli  ha  praticamente  applicato  la 
ricerca  scientifica,  rimandando  lo  studioso  al  suo  concetto  del  con- 


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1050  RECENSIONI 

trappuntodetermiQato  dalla  melodia  o  determinante  alla  sua  volta 
l'accordo  armonico. 

Dalla  fissazione  degrintervalli  egli  perviene  alla  propria  notazione 
e  ne  passa  in  rassegna  critica  le  diverse  specie,  poscia  ai  s^^ì 
traspositori  e  alle  tonalità.  Le  specie  delle  tonalità  antiche  sono 
tutto  per  la  comprensione  deirarte  antica,  dei  suoi  canoni,  delia  sua 
forma  melodica  e  dei  suo  sentimento;  e  quest'arte  antica  è  una  buona 
volta  la  l>ase  dello  studio.  Essa,  per  una  ricorrenza  tutt'altro  che 
casuale,  si  riannoda  alFarte  delle  primitive  civiltà,  alla  sua  espres- 
sione ed  al  suo  carattere.  Si  potrebl>e  dire,  in  questa  parte,  rias- 
sunta Tessenza  storica  del  contrappunto  di  cui  il  Bellermann  fa  la 
base  del  suo  lavoro,  ciò  che  medesimamente  si  dovrebbe  pur  fare 
oggidì  dai  docenti  e  dai  discepoli,  se  gli  uni  e  gli  altri  si  prefig- 
gessero di  trarre  un  godimento  artistico  da  ciò  che  essi  troppo  fa- 
cilmente, anzi  volgarmente,  credono  una  disciplina  pesante  e  una 
afflizione  cronica.  Quale  errore!  Essa  è  Tuno  e  Taltro  perchè  co^ 
la  vogliono,  non  perchè  lo  sia. 

Ed  ora  il  Bellermann  entra  propriamente  nel  dominio  della  tecnica 
pura  del  contrappunto. 

Sulla  essenza  del  contrappunto  semplice  esplicata  dal  Bellermann 
poco  vi  è  da  dire.  È  eminentemente  istruttivo  il  veder  fissati  con 
tale  chiarezza  i  concetti  originali  delle  consonanze  e  delle  disso- 
nanze su  documenti  della  storia,  per  cui  di  tutta  una  luce  di  con- 
vinzione e  di  fondamento  scientifico  appare  circonfusa  Tesposizione 
teoretica.  Essa  è  in  realtà  raflbrzata  altresì  da  continue  prove  di 
fatto.  Tali  prove  documentano  gli  esempi  e  partono  dall'epoca  dei 
discantisti  e  mensuralisti  per  far  capo  ai  fiamminghi  maggiori  ed 
agli  Italiani  del  secolo  d*oro,  il  decimosesto. 

Anche  il  Bellermann  tien  conto  della  classificazione  sistematica 
del  contrappunto  semplice  nelle  sue  cinque  specie  a  seconda  che 
egli  è  a  due,  a  tre  o  quattro  parti.  L*aver  adottato  la  denomina- 
zione e  il  modo  delle  antiche'  tonalità  non  è  inutile  sfoggio  di  eru- 
dizione, ma  una  conseguenza  necessaria  e  precisa  dell'impiego  di  un 
determinato  canius  firmics.  Il  musicista  riceve  cosi  il  fondamento 
più  solido  della  sua  cultura  e  si  avvezza  ad  imprimere  nelle  to- 
nalità specifiche  il  carattere  distinto  che  esse  ebbero  nella  loro 
origine  storica,  comprendendo  bene  che  la  tonalità  è  strettamente 
collegata  all'indole  della  melodia. 

Si  deve  perdonare  alla  mezza  cultura  di  un  Luigi  Cherubini  la 
ostinazione  con  la  quale  egli  formò  leggi  a  suo  modo  in  fatto  di  con- 
trappunto, anche  contro  le  approvazioni  dell'orecchio  e  del  sentimento» 
che  nella  musica  dovrebbero  essere  tutto,  là  dove  l'orecchio  e  il 


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RECENSIONI  1051 

sentimento,  sia  il  moderno,  sia  Tantico,  dovrebbero  essere  la  guida 
migliore  per  lo  meno.  Tutti  sanno,  per  esempio,  con  quale  eccessiva 
pedanteria  egli  proscrisse  Tuso  di  quelle  note  di  passaggio,  che  si 
trovano  in  rapporto  dissonante,  anche  contro  Tappoggio  dei  migliori 
esempi,  contro  Tautorità  stessa  di  un  Palestrina.  É  perciò  notevole, 
a  questo  proposito,  un  capitolo  nel  libro  del  Bellermann,  in  cui, 
dietro  più  sano  consiglio,  gli  scrupoli,  le  pretese  licenze  od  errori 
che,  al  dire  del  Cherubini,  esistevano  nelFuso  di  tali  note  di  pas- 
saggio suirultimo  quarto  della  misura  pari,  sono  confutati. 

Io  non  starò  a  dire  del  materiale  successivamente  trattato  prima 
di  giungere  alla  esplicaelone  delle  forme  di  fkiga  e  canone.  Solo 
noterò  che  bisognerebbe  nella  scuola  procedere  con  simile  riparti- 
zione e  regolarità,  pure  a  costo  di  qualche  lentezza  nello  svolgi- 
mento di  tutta  questa  materia,  per  riescire  con  sicuro  successo  a 
dominare  le  forme  di  imitazione,  le  quali,  purtroppo,  allo  stato  degli 
studi  come  si  praticano  oggidì,  per  il  discente  sono  come  una  so- 
vrapposizione di  nuovo  cibo  in  uno  stomaco  carico  di  roba  non  an- 
cora digerita. 

Nella  introduzione  del  capitolo  sulla  fuga  ho  assai  apprezzato  la 
teoria  e  la  esemplificazione  delle  risposte  al  soggetto  ;  essa  è  chiara, 
varia,  ricca,  ricercata  ingegnosamente  per  ogni  suo  modo  di  essere 
e  con  precisione  di  termini  e  di  contrasti.  Questo  trattamento  della 
risposta  al  tema  è  ottima  base  alla  teoria  della  imitazione.  Siste- 
mato ed  appoggiato  che  esso  sia  alle  opere  de*  grandi  maestri, 
acquista  unMmportanza  reale  e  s'adorna  di  una  bellezza  che  è  sfug- 
gita purtroppo  a  molti  dei  teoretici  nostri. 

Dopo  che  l'allievo  si  sarà  esercitato  neirinvenziooe  e  nelle  risposte 
ai  temi,  passerà  a  comporre  la  fuga  a  due  parti.  Ma  quanto  sia  ne- 
cessario insistere  anzi  tutto  nella  prima  delle  due  pratiche,  lo  dicono 
gl'intenti  della  scuola  moderna  sempre  più  e  con  molta  ragione 
convinta  che  Tinvenzione  dei  temi  debba  lasciarsi  interamente  al- 
lallievo. 

Ed  ora  il  Bellermann  seguita  e  completa  lo  svolgimento  della  fuga 
con  esemplificazioni  da  due  a  quattro  parti,  ciò  che  preludia  al  con- 
trappunto doppio  all'ottava,  alla  decima  ed  alla  duodecima.  Ognun 
sa  che  l'importanza  di  questi  modi  del  contrappunto  è,  per  le  suc- 
cessive specie  della  fiiga,  grandissima.  Sviluppate  poscia  le  regole 
per  l'imitazione,  le  forme  del  canone  e  successivamente  trattato  il 
periodo  da  cinque  ad  otto  voci  e  la  fuga  moderna  vocale  e  stru- 
mentale, il  volume  ha  la  sua  chiusa. 

Importa  notare  che  gli  esempi  contenuti  in  questo  trattato  sono  di 
fonte  autorevolissima  e  pura.  Il  giovane  intelligente,  affidandovi  la 

R%9Ì9Ìa  muiicalt  ttalitMa^  Vili  08 


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1052  RECENSIONI 

sua  educazione  musicale,  sarà  certo  di  fondarsi  bene  con  scienza  e 
pratica  in  una  disciplina  che  è  la  base  delia  composizione. 

L.  Th. 

cT.  fEMBA  UBt  Hartnonie-  und  MelodieUhre.  Pnkiisches  Lehrbnch  mit  rielen  Beispielea 
der  herrorragendgten  Komponitten.  2.  Aaflage.  ~  Leipzig.  Verlag  Hermann  Seemsnn  Nac)ilblg«r. 

Non  potendo  riformare  la  materia  d'insegnamento  dell'armonia, 
non  potendo  sconvolgerne  Tordine  e  la  graduale  successione,  è  mira 
costante  di  molti  trattatisti  d'oggidì  quella  di  raggrupparvi  attorno 
le  maggiori  cognizioni  possibili,  un  pò*  troppo  ammucchiate  forse, 
facendovi  coincidere  il  massimo  delle  applicazioni  collaterali  e  degli 
svolgimenti  successivi  ;  cosi  che  dal  campo  della  teoria  assoluta  essi 
passano  volentieri,  e  spesso  saltano  a  pie  pari,  in  quello  della  com- 
posizione, evitando  con  ogni  sforzo  quello  del  contrappunto  o  fa- 
cendolo apparire  come  un  campo  a  sé,  situato  quando  più  innanzi, 
quando  a  lato  di  quello  dell* armonia.  Dappoiché,  essi  dicono,  le 
norme  della  condotta  libera  e  rigorosa  delle  voci  si  riferiscono  al 
periodo  polifonico  e  questo  par  quasi  ritengano  faccia  da  sé. 

Ck)si  si  nota,  nel  trattato  del  Pembaur,  la  tendenza  a  non  eser- 
citare Tallievo  solo  con  esempi  di  unioni  di  accordi,  ciò  che  equi- 
varrebbe airassoluta  teoria,  ma  a  dar  loro  più  praticamente  la 
forma  ritmica,  figurata  e  melodica  e  a  far  che  il  discente  accosti 
il  più  che  sia  possibile  il  caso  concreto  della  caratteristica  armo- 
nizzazione moderna.  Non  si  é  contenti  di  riuscire  a  fargli  contrarre 
una  certa  famigliarità  con  un  ramo  della  composizione,  ma  si  vuole 
che  egli  penetri  subito  nella  officina  del  compositore.  Su  questo  si- 
stema ò  fondato  il  metodo  del  Pembaur.  E,  ammettiamo  pure,  fino 
a  che  si  tratti  degli  accordi  armonici  e  delle  loro  classificazioni,  il 
il  suo  intento,  a  parte  Topportunità  o  meno  di  certi  dettagli,  dietro 
la  guida  sagace  di  un  buon  maestro,  può  essere  raggiunto.  Di  fronte 
però  a  certe  esemplificazioni  che  presuppongono  neirallievo  la  co- 
noscenza sicura,  se  non  il  dominio  assoluto,  di  quelle  leggi  che  re- 
golano il  moto  delle  parti,  T  allievo  potrà  trovarsi  incerto  e  per^ 
plesso,  tanto  più  poi  quando  abbia  a  trarre  profitto  dalla  qui  esposta 
teorica  della  melodia.  Le  forme  di  questa  non  sono  disgiunte  da 
quella  concomitanza  continua  di  parti  mobili  che  la  determinano,  la 
esplicano  e  le  conferiscono  carattere  e  senso.  Per  cui  il  suo  isola- 
mento plastico  sul  fondo  deirarmonia,  la  sua  esistenza  quasi  come 
astrazione  può  guidare  a  concezioni  imperfette  e  a  proprii  errori. 

Io  espongo  il  mio  dubbio,  pur  convenendo  che  il  trattato  del 
Pembaur  sia  opera  rimarchevole  di  sintesi  teorico-pratica,  la 
quale  potrà  determinare,  assieme  ad  altre  congeneri,  una  certa 
evoluzione  negli  studi  dell'armonia  e  della  composizione.  Siamo  lon* 


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RECENSIONI  1053 

tanì  ancora  dai  giorno  in  cui  questo  desiderio  di  somma  concisione 
e  praticità  debba  essere  coronato  da  veri  successi  ;  non  credo  che 
ì  due  anni,  ai  quali  il  Pembaur  restrìnge  lo  studio  deirarmonia  e 
della  melodia,  rappresentino  un  vero  risparmio;  ma  può  essere  non 
fuor  di  luogo,  anzi  può  valer  la  pena  che  la  pedagogia  musicale 
prenda  nota  di  una  tendenza  che  cerca  di  farsi  strada  negli  studi  da 
qualche  tempo,  e  che  la  disciplini  e  la  regoli  meglio.  L.  Tu. 

J.  HSLMy  Die  Portnen  der  musikaiisehen  Kompoaition  in  ihren  GrandsOgen  systema- 
lUch  and  leichtfanlich  dargestellt.  Yierte,  dorchgesehene  Aoflage.  —  Erlangen  a.  Leipzig,  1901. 
A.  Deiebert. 

Dopo  aver  descritte  e  praticamente  dimostrate  le  forme  del  con- 
trappunto, l'À.  offre  un  prospetto  analitico  ed  esemplificato  delle 
principali  forme  della  composizione.  La  struttura  dei  singoli  com- 
ponimenti può  essere  benissimo  appresa  con  la  scorta  di  questo 
libro,  il  quale  da  ultimo  contiene  ancora  un  breve  cenno  storico 
su  la  musica  ed  i  compositori.  L.  Th. 

Stramentazione. 

Cataioffo  della  collezione  etnognflco-masicale  Kraos  in  Firenze.  Sezione  Istrumenti  mnsicali.  — 
Pirente,  1901.  Landi. 

« credo  far  cosa  utile  e,  a  quanto  io  sappia,  non  ancora 

«posta  in  effetto,  pubblicando  oggi  la  nota  degli  strumenti  della 
<  nostra  collezione,  classificali  secondo  il  concetto  etnografico,  esclu- 
«  dendone  quegli  esemplari  che  hanno  un  valore  puramente  storico- 
«  musicale  ». 

Cosi,  scrive  A.  Kraus  figlio  per  spiegare  la  pubblicazione  del  pre- 
sente opuscolo.  Il  quale  non  può  che  far  nascere  nei  musicisti  vivis- 
simo il  desiderio  di  vedere  illustrata  con  qualche  dettaglio  la  pre- 
ziosa raccolta  di  strumenti  musicali  (1076)  formala  dai  signori  Kraus 
in  Firenze,  almeno  in  quella  parte  che  riguarda  la  storia  dell'arte 
moderna.  Non  spelta  a  noi  rilevare  quanta  utilità  possano  trarre 
da  essa  gli  studi  etnografici.  Di  fronte  al  catalogo  gentilmente  in- 
viatoci dal  sig.  Kraus,  noi  non  sappiamo  che  invidiargli  i  liuti,  gli 
arciliuti,  le  tiorbe,  le  chitarre  e  i  violoncelli  antichi  che  egli  pos- 
siede, e  consigliare  a  quanti  musicologhi  passano  per  Firenze  la 
visita  deirinteressanlissimo  Museo  di  via  Cerretani,  n.  10.  0.  C. 

e  WASSMANN,  EtUdeokuttgen  zur  Erleichterung  und  Etteeiterung  der  Viotin- 
teehnik  dureh  trelbatftndige  Ausbilduitg  dea  Taatgrfilhls  der  Fhiger,  2.  veibea- 
serte  Anflage.  —  Heilbronn,  1901.  C.  F.  Schmidt. 

In  questo  scritto  sono  sviluppati  teoricamente  e  praticamente  i 
due  concetti  fondamentali  di  una  più  precisa  tecnica  e  scuola  del 


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1054  RBGBNSIONI 

violino:  il  sistema  di  doppio  attacco  delle  quinte  e  la  divisioiie  della 
diteggiatura,  cioè  Tadozione  di  dodici  posizioni  in  luogo  di  sette. 
Da  ciò  pare  all'autore  si  ottenga  un  miglioramento  notevole  anche 
neirintonazione.  Simili  tentativi  non  sono  nuovi;  già  THermann  e 
k)  Schróder,  nei  loro  trattati,  diedero  ampie  e  serie  prove  che  la 
nuova  tecnica  del  violino  ha  ragione  di  essere  preferita,  per  quanto 
non  abbia  ancora  raggiunto  Io  scopo.  É  certo  che  la  divisione  delle 
posizioni  della  mano  è  razionale.  Adottando  le  sole  sette  posizioni, 
le  distanze  sono  troppo  grandi  e  in  uno  spazio  che  comprende  tutte 
le  tonalità  sono  necessari  altri  punti  di  fermata. 

Gli  esercizi  e  gli  studi,  che  a  questi  concetti  corrispondono,  sono 
chiari  e  in  numero  sufficiente.  L.  Th. 


Bieerehe  seientiflehe. 

J'IEBBB  BONNIER,  1?  audiHon  {BibUothèqw  mtfmationaU  de  ptffchoìotfié  txpirimmtais^ 
normaU  §1  patkoìogiqw).  —  Paris,  1901.  OcUre  Doin. 

Pierre  Bonnier  è  autore  già  salito  in  bella  fama  per  altri  lavori 
sull'argomento,  inseriti  in  periodici  scientiQcì.  Del  libro,  che  oggi 
riassume  le  principali  questioni  circa  il  fenomeno  deirudito,  non  si 
può  fare  la  recensione:  l'opera  acquista  tale  importanza  che,  a 
comprenderne  il  significato,  deve  esser  letta  e  studiata  attentamente 
pagina  per  pagina.  D'altronde  non  riguarda  l'arte  musicale  che  da 
un  lato  molto  ristretto,  estendendosi  invece  nella  parte  che  si  nTe- 
risce  alla  storia  naturale  della  funzione,  alla  fisiologia  dell'organo 
nell'uomo  ed  alle  speculazioni  filosofico-naturali  relative  al  senso. 

Tuttavia  citerò  qualcuno  dei  principi  fondamentali  che  informano 
il  libro,  affinchè  il  lettore  si  faccia  un  concetto  preciso  sul  finissimo 
spirito  critico  con  cui  il  Bonnier  svolse,  in  maniera  nuova  e  con- 
vincente, un  tema  che  dopo  Helmholtz  poteva  sembrare  esaurito  ! 

Suono  e  rumore,  fenomeni  d'ordine  fisiologico  e  psichico  (quindi 
soggettivi),  sono  due  sensazioni  diverse,  corrispondenti  a  forme  dif- 
ferenti d'un  solo  fenomeno  fisico,  YébranlemenL  €  C'est  la  simpli- 
.€  cité  ou  la  complexité  de  la  forme  du  phénomène  qui  éveille  en 
«  nous  la  sensation  de  son  ou  celle  de  bruit  ». 

Intensità,  altezza  e  timbro  sono  qualità  comuni  al  suono  ed  al 
rumore. 

Il  timbro  ha  dato  origine  ad  una  strana  confusione  tra  la  nozione 
di  forma  e  quella  di  composizione.  Semplici  o  complesse  le  vibra- 
zioni hanno  sempre  una  forma  ;  la  loro  semplicità  o  la  loro  com- 
plessità è  precisamente  una  qualità   della  loro  forma,  che  viene 


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axcxMSiONi  10G6 

determinata  nella  complessità  dalla  composizione  degli  armonici. 
Il  timbro  dipende  dunque  dalla  forma  àeXYèbranlemenL 
€  Le  Umbre  d'un  son  compose  risulte  de  la  combinaison  des 

<  timbresrespectifsdessons,  — fondamental  et  harrnonique^  —  qui 
<le  composent 

<  Le  timbro  d'un  son  simple  est  Timpression  aensorielle  que  laiase 

<  dans  notre  oreille  la  forme  de  l'ébranlement  périodique,  comme 
€  la  hauteur  est  celle  que  laisse  sa  périodicité,  Tintensité  celle  que 
«laisse  son  amplitude. 

<  Le  timbro  d*un  bruit  est  colui  d*une  vibration*  composée  d*un 
«  nombre  variable  de  vibrations  pendulaires  qui  n*ont  entro  elles 
«  que  des  rapports  de  ooincidence  et  non  des  rapports  harmoniques 

<  simples  ». 

L*analisi  scompone,  distrugge  la  forma,  cambia  profondamente  la 
natura  dell'oggetto  esaminato.  «  Ce  que  l*on  trouve  dans  l*analyse 

<  n*est  pas  ce  qui  existait  dans  la  synthèse...  G*est  Toreille  qui  dé- 
€  finit  le  Umbre,  et  il  est  bien  certain  qu*elle  ne  le  dóflnit  que  par 

<  la  forme,  que  Tébranlement  soit  simple  ou  complexe,  car  l*oreille 

<  est  fncapable  de  décomposer,  et  en  cela  elle  se  comporte  abso- 
€  luroent  comme  toos  nos  autres sens,  dérivés  dn  tact  comme  elle». 

L*autore  finisce  presentando  dettagli  interessanti  circa  fatti  paUv 
logici,  assai  curiosi,  concernenti  Taudizione  ;  e  in  un'appendice  ri- 
porta una  discussione  che  ebbe  a  sostenere  con  M.  Bgger,  alla 
Société  de  biologie,  a  proposito  della  orientazione  auditiva ,  tema 
che  attrasse  sempre  in  ispecialità  le  osservazioni  del  Bonnier. 

0.  C. 

e  STUMFI*  und  K,  X.  SCHAEFER,  TontabeUen  efUhaltend  di€  8ehwinin'$%g*' 
gahten  der  19  •  ttuflgen  temperirten  und  der  95  -  stn/lgen  enharmonisehen 
X0««r  4Èuf  C  inn^rhatò  10  Octmwn  in  8  Stimmungem.  ~  Uipzlf ,  1901.  VarUf  nm 
Joluna  Ambrosiai  BarUi. 

Come  contributo  all'acustica  e  alla  scienza  della  musica,  queste 
tabelle  numeriche  delle  vibrazioni  corrispondenti  ai  suoni  della 
scala  di  dodici  gradi,  temperata  ed  armonica,  sono  di  positivo  e 
reale  vantaggio;  rappresentano  anzi  una  vera  acquisizione  impor- 
tante. Noi  non  possedevamo  fino  ad  oggi,  a  questo  proposito,  delle 
tavole  complete  ed  esatte.  Non  lo  sono  in  fatti  né  quelle  del  Preyer 
nò  quelle  del  Riemann.  Il  bisogno  pratico  negli  studi  acustici  è  tale 
che  esso  ha  suggerito  le  tabelle  presenti,  più  ampie  e  precìse  di 
quelle  che  si  sogliono  vedere  nei  libri  di  fisica. 

Esse  sono  nove.  Le  tre  prime  contengono  il  numero  esatto  delle 
vibrazioni  per  ognuno  dei  dodici  suoni  della  scala  temperata  CCdo)^ 
=  i6,  a  (lay  =  430,  «.  |  C,  =  i6,  n,  a' =  435.  \  C,  =  i6,  ss,  a*  = 


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ÌOdò  RECENSIONI 

440.  Le  sei  altre  rappresentano  il  numero  delle  vibrazioni  corri- 
spondente ad  ogni  suono  della  scala  enarmonica  per  C,  =  16,  a^  = 
426  */,.  I  C,  =  i6,  a*  =  426,  e?  (=  tab.  IV  con  firazioni  decimali)  | 
C,  =  i6  ^/^g ,  a*  =  435  \  C,  =  16.  ai,  a* = 435  (=?  tab.  VI  con  frazioni 
decimali)  \C^  =  16  */,.  a'  =  440.  \  C^=i6,5,  a^=440(=  tab.  Vin 
con  frazioni  decimali). 

Sul  metodo  seguito  nella  composizione  di  dette  tabelle  e  sulla 
precisione  del  calcolo  il  riferimento  dello  Scbaefer  è  sufficiente- 
mente esplicativo,  come  pure  lo  è  la  precedente  dettagliata  espo- 
sizione dello  Stumpf  circa  lo  scopo  e  la  ripartizione  del  lavoro. 
Sopra  tutto  interessante  è  la  dimostrazione  dei  rapporti  numerici 
che  determinano  i  puri  accordi  perfetti  contenuti  nelle  sei  ultime 
tabelle  enarmoniche.  Cosi  dicasi  del  calcolo  che  regge  la  deriva- 
zione dei  suoni  e  del  metodo  logaritmico  seguito  per  ottenere  le 
tabelle  della  scala  temperata  e  quelle  successive  della  intonazione 
pura. 

L*idea  degli  egregi  autori  si  è  dunque  affermata  in  un  ben  pra- 
tico modo  e  agli  studi  deiracustica  essi  hanno  costantemente  offerto 
un  contributo  prezioso.  Sarà  gran  tempo  risparmiato  agli  studiosi, 
e  della  precisione  raggiunta,  insieme  allo  sviluppo  maggiore  nella 
applicazione  del  calcolo,  la  scienza  si  varrà  assai  meglio  dì  prima. 

L.  Th. 

TTagrneriana. 

E,  KLOSSy  Wagner,  wie  er  war  und  teard.  —  Berlin,  1901.  Verlsg  von  Otto  EL«ii«r. 

Queste  poche  pagine  del  Kloss  vogliono  stabilire  una  specie  di 
linea  fondamentale,  secondo  la  quale  il  Wagner  deve  essere  giu- 
dicato come  uomo.  L*A.  ce  lo  dipinge  prima  nelle  circostanze  più 
modeste  della  sua  vita,  scopre  colla  maggiore  serenità  possibile  le 
sue  qualità  e  i  suoi  difetti,  chiarisce  il  suo  carattere  e  Timmagine 
della  sua  vita,  ce  Io  rappresenta  generoso,  prodigo,  non  curante 
gVinteressi  materiali,  violento,  eccessivo,  superbo  e  però  simpatico 
sempre  e  grande  attraverso  le  necessità  e  le  esigenze  del  genio. 
Ancora  il  Kloss  discute  e  chiarisce  alcuni  punti  controversi  sul 
caso  Nietzsche  e  su  la  posizione  e  la  parte  che  verso  Tarte  del 
Wagner  assunsero  la  moglie  Gosima,  Liszt  e  il  giovane  Re  di  Ba- 
viera. In  complesso  una  brochure  interessante,  che  avvicina  urna* 
namente  il  maestro  agli  amici  suoi.  L.  Th. 

H.  BÉLABTf  B.  Wagner  in  Zarieh  (1849-1858).  —  Leiptig,   1001.   Heniuon  Senaaaa 
Nachfolger. 

Si  tratta  di  un  opuscolo  in  cui  l'A.  racconta  come  originarono  gli 
scritti  e  le  opere  di  Wagner  create  dal  1849  al  1858  nelFasilo  di 


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BXCEMSIONI  1057 

Zurigo.  In  ultimo  il  Bélari  contrappone  a  questo  periodo  di  lotta  e 
di  concentramento  Tevoluzione  degli  anni  di  Bayreuth.  Per  conse- 
guenza la  narrazione  muove  dall*anno  in  cui  il  Wagner  dovette 
abbandonare  la  vita  pubblica  deirarte,  di  cui  era  nauseato»  per  vi- 
vere gli  anni  deiresiglio,  dell*incerta  ^stenza  e  della  miseria. 

Il  Bélart  ci  presenta  il  Wagner  come  scrittore  e  musicista;  lo 
considera  nella  sua  famigliarità,  nellMntimità,  in  quanto  ^li  fece 
neirinteresse  di  Zurigo  e  nelle  sue  relazioni  personali.  Egli  ba  per 
moltissima  parte  attinto  agli  scritti  ed  alle  lettere  del  maestro.  Con- 
siderato cronologicamente,  Topuscolo  contiene  una  raccolta  di  infor- 
mazioni combinata  con  diligente  uniformità  e,  poiché,  in  massima 
parte,  a  lato  deirasserzione  presuntiva  ci  vediamo  il  documento  sto- 
rico, francamente  non  ci  possiamo  non  contentare.  Sulla  parte  degli 
apprezzamenti  al  Bélart  deve  essere  spesso  mancata  Topportunità  e 
il  tempo  di  assodare  i  suoi  concetti.  In  fatti  ciò  che  egli  afferma 
sulla  filosofia  dello  Schopenhauer  in  astratto,  non  regge  alla  più 
innocente  critica:  egli  è  rimasto  per  lo  meno  assai  superficiale. 
Come  pure  il  concetto  del  supentomo  del  Nietzsche,  cosi  grosso- 
lanamente esposto  in  quattro  righe,  è  confuso  e  poco  comprensibile. 
Generalmente  si  vuol  comprendere  Wagner  nel  movimento  attivo 
filosofico  di  un  periodo  del  quale,  giudicando  a  mente  sana,  egli  non 
subì  che  un  riflesso  come  artista  entusiastico.  Sarebbe  bastato  al 
Bélart  di  circostanziare  questa  posizione  assunta  dal  Wagner  ri- 
spetto alla  filosofia,  prima  di  Schopenhauer,  poi  di  Nietzsche.  Tut- 
tavia nella  sua  sostanza  principale  Topuscolo  ha  un  significato  pro- 
prio e  fra  tutti  quelli  che  si  scrivono  letteralmente  carichi  di  fidasi 
inutili,  questo  almeno  ci  richiama  al  periodo  di  Zurigo  con  una 
rappresentazione  complessiva  di  circostanze,  che  ne  fanno  un  tutto 
obbiettivamente  e  praticamente  inteso.  L.  Th. 

B.  SEOXrTZ^  B.  Wagner  und  ZMptdg  (1813-1833).  —  Leipzig,  1901.  Hermann  Seemann 
Nachfolfer. 

Il  Segnitz  ha  sviluppato  qualche  punto  della  biografia  del  Glase- 
napp  —  un  contatto  che  era  inevitabile  —  e  taraltro  ancora  della 
Mittheilung  an  meine  Freunde  dello  stesso  Wagner.  Però  egli 
ci  ha  dato  un  quadro,  o  per  meglio  dire,  diversi  quadretti  della 
vecchia  Lipsia  musicale  e  borghese  della  fine  del  secolo  XVIII  e 
del  principio  del  XIX,  che  sono  proprie  ricostruzioni  interessanti 
della  vita  cittadina  in  mezzo  a  cui  si  svolge  Tinfanzia  del  Wagner, 
eccezion  fetta  di  un  breve  intermezzo  vissuto  a  Dresda. 

L'A.  ha  ricordato, al  suo  proposito,  molte  note  vicende  del  giovine 
Wagner  studente  e  nvusicus  in  fieri,  documentando  tutto  diligen- 
temente ed  ha  sopra  tutto  proceduto  secondo  verità  a  presentarci 


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1068  RBCXNSIONt 

rincipìente  compositore  uscito  dalla  scuota  del  Weinlig,  vestito  e 
calzato  della  più  vetusta  e  grassoccia  pedanteria,  un  Wagner  qua- 
drato  e  melenso  al  punto,  nelle  sue  prime  musiche  —  una  suonata, 
una  polonese^  due  sinibnie  e  un*opera  «  Ld  Nozze  »  —  da  non  la- 
sciare neppure  lontanamente  supporre,  noux  dirò  il  musicista  che 
muove  alla  conquista  del  mondo,  ma  né  anche  un  felice  e  contento 
conservatore  della  scuola  Lipsieae  del  *40  e  del  *50. 

Il  Segnitz  ha  però  sorvolato  a  qualche  punto  de^o  di  maggior 
interessamento  cronologico  e  biografico  e  forse  non  privo  di  qualche 
dettaglio  curioso.  Wagner  amò  Lipsia  come  il  fumo  negli  occhi. 
Oli  è  che  imparò  presto  a  conoscervi  queiristinto  di  contrarietà  — 
divenuta  poi  persecuzione  —  che  doveva  renderlo  sempre  più  in- 
viso alle  artistiche  conventicole  cittadine.  La  seconda  sua  sinfonia 
—  in  do  —,  ricalcata  snW eroica  e  la  nona,  gli  disse  quel  ch*egli 
chiamò  la  bontà  dei  Upsiesi,  la  quale  doveva  diventare  più  tardi 
la  guerra  al  suo  nome,  guerra  accademica  e  borghese  che  ebbe  il 
suo  culmine  più  ridicolo  in  una  ormai  famosa  esecuzione  del  pre- 
ludio dei  Maestri  Cantori  al  concerto  del  Oewandhaus.    L.  Th. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI 


ITALIANI 

Gmsietta  Maaieale  (Milano). 
N.  28.  —  F.  PoKTANA,  Antonh  GkiàlanzonL  —  A.  ZimcRN,  Da  Londra. 
K.  39.  —  Db  OuABiKon,  Congreiw  mtematùmaHe  di  «tori»  della  mu8iea, 

Parigi  1900.  Relazione  al  Ministero  della  Pubblica  Ittnizioiie.  —  Tabanelli,  H 

diritto  di  palco  nei  teatri. 
K.  30.  —  E.  Dblphin,  Cfinevra  musicale,  —  Tabaitblli,  17  diritto  di  paleo, 
N.  81.  —  E.  Delphih,  Cfinevra  mueieale, — Le  aniicìèe  canini  popolari  ita- 

liane,  —  Db  Quarivoni,  Congresso  intemaz.,  ece. 
N.  32.  —  E.  Delphin,  Ginevra  musicale,  —  Tabanelli,  Il  diritto  di  palco, 
N.  33.  —  P.  Ohighoni,  «  In  soìio  tubne  et  choro  ».  —  Chilbsotti»  2ki  scala 

naturale  ed  il  sistema  di  53  gradi, 

N.  34.  —  Checchi,  I  capricci  della  cronaca, 

N.  35.  —  Cbilbsotti,  La  soda  naturale  ed  il  sistema  di  53  gradi, 

N.  36.  —  Pucci,  Sulh  musica  teatrale  ridotta  per  banda,  —  Monacehsis, 
IdinauguroMione  del  teatro  Principe  Beggente  a  Monaco, 

X.  37.  ~  Sbnbb,  Il  centenario  di  V'incenso  Bellini. 

N.  38.  —  Lozzi,  Due  sopranisti  celebri  contro  un  trionfante  soprtmista.  — 
Cambiasi,  Per  il  centenario  BtUiniano, 

N.  39.  —  Maktovani,  Mozart  a  Milano,  —  Lezzi,  2>Me  sopranisti,  ecc. 

N.  40.  —  Fedeli,  Il  centenario  di  Bellini. 

N.  41.  —  Mantoyani,  Mozart  a  Milano,  —  Adelaide  Borghi-Mamo, 

Il  Saggiatore.  Rivista  di  scienze,  lettere  ed  arti  (Pisa). 

N.  1.  —  G.  BoK,  Il  «  Nerone  »  di  A,  Boito  e  la  critica.  —  E.  Camobsi,  Le 
«  Suites  éP orchestre  >  di  J.  Massenet. 

N.  2.  —  L.  Torri,  Un  grande  dimenticato  (Luca  Marenzio).  —  A.  Bona- 
YBBTURA,  Il  fonografo  e  la  musica  popolare. 

N.  3.  —  Q.  BoN,  Oiowmni  Bardi  dei  Conti  di  Vemio, 

N.  6.  —  L.  Torri,  Compositrici  italiane  dei  secoli  XVI  e  XVII, 


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1060  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

La  Cronaca  Musicale  (Pesaro). 
N.  5-6.  —  P.  Azzurri,  Commemorazione  di  Giuseppe  Verdi,  —  B.  Campaxa, 
Ai  direttore  della  e  Cronaca  Musicale  »  (sulTarte  del  canto). 

La  Nuora  Musica  (Firenze). 

N.  66.  —  L.  Torrigi-Heiroth,  Ancora  alcune  parole  sui  ^vocaKjrsi*.  — 
A.  Falconi,  I  trattati  di  8.  Jadassohn. 

N.  67.  —  A.  Bonaventura,  L'arte  del  clavicembalo,  —  L.  Viyarblli,  Unul- 
tima  parola  suUa  questione  dei  <  vocaHssi  ».  —  A.  Falconi,  I  trattati ecc 

Le  Cronache  mosicall.  Rivista  illustrata  (Roma). 

N.  19.  —  **  Luigi  MancineUi.  —  Gasperini,  I  problemi  musicali  di  Ari- 
stotele, 

N.  20.  —  Bonaventura  e  Falbo,  Per  la  tutela  delle  opere  nmsicaK, 

N.  21.  —  Falbo,  Giovanni  Sgambati,  —  Gasperini,  I  problemi  musieàUài 
Aristotele,  —  Varino,  Alfredo  Piatti,  —  Italo,  17  teatro  gratuito. 

N.  22.  —  Sgambati,  A  scanso  di  equivoci.  -^IncAQUkri,  Il  giubileo  di  Bay- 
reuth.  —  Foà,  Per  la  tutela  deUe  opere  musicaU, 

N.  23.  —  Top.,  Il  caso  LeoncavaUo.  —  ***  Camillo  Saént-Sa^ns,  —  Montb- 
PIGRE,  A  proposito  di  commemorasioni, 

N.  24.  —  Cardamone,  Alfonso  Bendano.  —  Di  Giacomo,  La  cansonetta  di 
Piedigrotta, 

N.  25.  —  Gentili,  Per  gU  studi  classici,  —  ***  Per  la  tutela  delle  opere 
musicali, 

Mosica  sacra  (Milano). 

N.  7.  —  Leone  XIII  a  Soksmes.  —  Musica  «  amica  tempUs  *  ?  —  Orgtm 
vecchi  ed  organi  nuovi,  —  Organisti  ed  Organari, 

N.  8.  —  I  decreti  della  8.  C,  dei  Biti  in  materia  di  musica  sacra.  —  Tra 
gU  Apennini.  —  Organi  vecchi  ed  organi  nuovi.  — >!  vescovi  e  la  musica  sacra. 

N.  9.  —  I  decreti  della  8.  C.  dei  Biti.  —  Un'accademia  Gregoriana  a  Fri- 
burgo. —  Certi  giornaU..,..  a  Napoli  ed  altrove!  —  Organisti  ed  organari^ 
Una  scuola-modello  di  canto  Gregoriano. 

FRANCESI 

La  Tribane  de  Saint-Gervais  (Paris). 

N.  6.  —  A.  Gastoué,  Les  transformations  des  timbres  Uturgiques.  —  M.  Beenst, 
Jacques  Mauduit  —  R.  P.  Lhoméau,  Des  mélodies  à  rgthme  Kbre. 

N.  7,  8.  —  Gastoué,  Les  transformations  des  timbres  Uturgiques.  —  C.  Bexoit, 
La  grande  messe  en  si  mineor  de  J.  8.  Bach.  —  H.  Gaisseb,  La  riforme  re 
maine  du  plain-chant  après  le  Concile  de  Trente,  —  A.  db  la  ROb,  Deux 
textes  sur  Vécriture  de  la  mesure  vere  1700.  —  V.  dIndt,  La  question  grégo- 
rienne  en  Allemagne.  —  A.  Gastoué,  Le  beau  dans  Vart  grégorien.  —  M.  Breiiet, 
AddiU'ons  inédites  de  Dom  JumUhac. 


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SPOGLIO  DEI  PERIODICI  1061 

La  Yoix  parlée  et  ehantée  (Paris). 

Jnillet.  —  A.  Lenoél  Zevort,  L'enseignement  du  chant,  de  la  mimiqtie  et 
de  la  di^ion  au  XX^  siècle.  —  J.  Belen,  La  cansonne  x  et  aes  différentes  formes 
d*artieulation, 

Aoùt  —  À.  ScHiFF,  Dea  rapporta  entre  le  nes  et  les  organea  aexuela  de  la 
(emme. 

Septembre.  —  J.  Micbelson,  Cervean  et  hngage,  —  J.  Belen,  A  propoa  de 
vocahaation, 

Octobre.  —  J.  Belen,  Le  profeaaeur  de  chant.  Définition  de  la  fonction 
airtiatìqtie. 

Le  Gonrrier  mnsioal  (Paris). 

N.  13.  —  LooARD,  Lea  maUrea  contemporaina  de  VOrgue.  —  J.  Marnold, 
B,  Wagner  et  Tceuvre  de  Beethoven, 

N.  14.  —  M.  Daubressb,  Vaudition  coìorée.  —  J.  Marhold,  B.  W,  et  Vceuvre 
de  B.  —  P.  E.  Ladmirault,  A  propoa  de  «Falataffp. 

N.  15.  —  L.  Db  la  Laurercie,  A  propoa  de  critique  muaieale, —  E.  Dbstramobs, 
Lieder  contemporainea. 

N.  16.  —  Ch.  Malhbrbb,  Mimque  frangaiae  et  preaae  étrangère. 

Le  Guide  Musical  (Bruxelles). 

N.  27-28.  —  C.  Mauclair,  La  religion  de  la  muaique  (seguito  e  fine).  — 
Ch.  Marteks,  La  SainteChdelive  d'Edgard  Tinel. 

N.  27-28,  29-30.  —  H.  Imbert,  Aaaociation  dea  muaieiena  auiaaea. 

N.  29-30.  —  M.  KuFFERATH,  Bayreuih,  —  H.  Fjerkms-Gbvabrt,  La  mtmque 
frangaiae  du  XIII^  au  XX*  siede. 

N.  31-32.  —  Anselmb  Vikée,  Easai  d'un  ayatème  general  de  muaique,  — 
M.  K.,  A  Bayreuih. 

N.  33-40.  —  E.  Destranqep,  «  VOuragan  »,  de  M,  Alfred  Bruneau.  Étude 
analjtiqae  et  tbématiqne. 

N.  33-34.  —  H.  DE  OuRzoN,  Le  Comervatoire  de  Paria.  Voyage  géograpbiquo 
à  trayers  les  lanréats  du  siècie.  —  P.  Dukas,  Le  preatige  de  Bayreuth. 

N.  35-36.  —  H.  DE  CuRZON,  Croquis  d^artiatea,  M**  De  Nuovina. 

N.  37-38.  —  G.  Samazehilh,  Lea  repréaentaiiona  de  Béeiera. 

N.  40.  —  H.  DE  CuRzoH,  Jenny  Lind.  —  Lettre  de  Mozart. 

N.  41.  —  E.  B.,  Une  lettre  de  B.  Wagner  [Diretta  al  critico  A.  Stahr; 
riguarda  la  concezione  del  carattere  di  Lohengrin].  —  E.  E.,  A  Vaurore  du  aiècle 
[Riferisce  alcune  amene  asserzioni  del  filosofo  Biscbner  sulla  musica]. 

Le  Ménestrel  (Paris). 

N.  28-39.  —  L'art  musical  et  uà  mterprètea  deputa  deux  aiècles,  p.  P.  d'Estrées 
(cont.). 

N.  27,  29,  31,  32,  34,  35,  37,  38.  —  Le  tour  de  France  en  muaique,  par 
E.  Ncnkomm  (cont.). 


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1062  SPOGLIO  DEI  PBBIODICX 

N.  31,  39.  —  Pensées  et  Aphorismes  cFAniùime  Bubimiem  (coai). 

N.  32-36,  38,  39.  —  N<^e8  cTeihnogrttphie  musicaìe  [Articoli  interenuiti 
dettati  da  quel  diligente  munoografo  che  è  J.  Tienof  ed  in  coi  finora  ai  dìseorre 
della  magica  indiana  e  dei  canti  deirArmenia]. 

N.  35-37.  —  Courte  monographie  de  ìa  Sanate,  par  A.  Pongin  [Non  contiene 
cose  nnove,  ma  è  nn  riassonto  conciso  ed«istrntti?o  della  materia]. 

N.  28,  33,  34,  36-39.  —  Nella  sene  d'articoli  intitolati:  Petitee  hoUm  ìom 
portée,  Raymond  Boayer  discorre  di  parecchie  cose:  e  così  deirammirazione  di 
Wagner  verso  Mozart;  delle  memorie  di  Maria  Bashkirtseff;  di  Mozart  a 
Parigi,  ecc. 

Le  Théàtre  (Paris). 

Jnillet.  II. — Aeadémie  Nation.  de  Mutiqu/e,  DatiMs  de  jadie  et  de  nagmin, 

Aoftt.  I.  —  A.  JuLuia,  «  Mòreitte  »  à  TOpéra-Comique,  —  Ds  Cuiuoa, 
M^  Lucy  Berihet  de  T Aeadémie  NaHotude  de  Mueique. 

Aoùt  IL  —  Db  Gurzom,  <  Carmen  »  aux  Arèttes  de  Ntmee, 

Septembre.  L  —  Le  théàtre  Antoi/%e. 

Septembre.  II.  —  Le$  eoneoure  du  eonservatoire.  —  A.  Jullibn,  c  GuiOawme 
TeU  >  à  VOpéra.  ~  G.  Jolt,  c  Le  Vaieeeau  Faniàme  >  à  Bayreuih. 

Octobre.  I.  —  M.  Monnet-SuUy. 

Lm  Annales  de  la  Masiqne  (Paris). 

N.  7.  —  Dauriac,  La  critique  mueieale.  —  Db  Billt,  La  ktngtie  vuìgake  à 
VÉglise,  —  H.  Etmirn,  Éttide  aur  la  décentraliiation  mueieale.  ^  Db  Fatb,  Dee 
Jurée  de  Coneoure, 

N.  8.  —  F.  Hbllouix,  Hietoire  du  Métronome  en  FVanee.  —  Db  Fati,  Dei 
Jurée  de  Coneoure. 

N.  9.  —  L.  Dauriac,  Critique  mueicak.  —  Oh.  Malhxrbe,  A  propoe  de  h 
partition  <f  e  Isie  >  de  LutU,  —  Db  Fatb,  Dee  Jurée  de  dmeoure, 

Beyae  d'Art  dramatlqne  (Paris). 
Joiliet-Aoùt.  —  H.  Lbcohtb,  Hietoire  du  théàtree. 
Septembre.  —  J.  Lorbhtowicz,  VOpéra  en  Pdtogne, 

Beyae  dea  Deax  Monde»  (Paris), 
l*"  Septembre  —  C:  Bellaiode,  Un  poète  musicfen.  ^  Franz,  GrUìparMer. 
l'  Octobre.  —  Bbllaigdb,  Un  opera  national  eapagnol^  «  Loe  Pùrùteae*» 

Berne  d'histoire  et  de  critiqne  mnsleale  (Paris). 

N.  7.  —  J.  CoMBARisn,  «7*.  /.  Boueeeau  et  h  méìodrame,  —  C.  Jovrdaji,  A 
propoe  du  ckant  natiofial  du  14  juiUet, 

N.  8.  —  P.  Waqvek,  Thèsee  grégoriennee.  —  P.  Thibault,  Lee  Eehoi  òy- 
zantine.  —  A.  Bonaventura,  Progrèe  et  nationalité. 


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SPOaUO  DEI  PBRIODICI  1063 

Berme  det  Remes  (Paris). 
U  Aoùt  —  C.  Mauclair,  Jjh  S^ola  Cantorum  et  Véducaiùm  marak  des 
musieiens. 

Reme  Franeo-Boamalne  (Paris). 
N.  4.  —  Ch.  MiLHERBE,  Mu9ique  frangaise  et  presse  étrangère, 
N.  5.  —  H.  Klikg,  L'ouverture  de  «  Don  Jtum  »  de  Mozart.  —  S.  Golb- 

ITBIKU,  «  Petru  Maree  »  [Premier  opera  ronmain  representé  le  1'  noyembre  1900 

à  Bucarest].  —  Db  Curzon,  Madame  de  Nuovina, 

TEDESCHI 

Masikallsches  Woehenblatt  (Leipzig). 
N.  29.  —  Otto    Waldappeì:   Einige  Beinerkungen  und  Funàamentaleàtze 
einer  ausserhietorischen  Musiktheorie  [Tratta  di  questioni  d^armonìa  teorica]. 
N.  30.  —  Vor  fiinfundzwamig  Jahren  [Pel  giabileo  di  Bayreuth]. 
N.  81-83.  —  Recensioni  e  critiche. 

N.  34,  35.  —  Zur  Verstàndigung  Uber  Johannen  Brahms, 
N.  36.  —  Osservazioni  di  L.  Wathmann  all'articolo  di  0.  Waldappeì  (N.  29). 
N.  87-39.  ~  Recensioni  e  crìtiche. 

Neae  Mnslkalische  Presse  (Wien). 

N.  26-27.  —  Director  Anton  Benneuntz,  —  Unsere  deutschen  Meister  Bach, 
Mosart,  Beethoven,  Wagner. 

N.  28,  29.  —  CongresB  ungarischer  Mueiker  in  Budapest 

N.  30,  81.  —  Die  metaphisischen  Urgesetze  der  Meìodik  [Osservazioni  sopra 
un  libro  di  À.  Mey]. 

N.  34-87.  —  Zur  Krise  in  Conservatorium. 

N.  38.  —  Arthur  Seidl:  Modemer  Oeist  in  der  deutschen  Tonkunst.  — 
JBUehard  Wagner.  —  Credo  [Osservazioni  a  libri  dello  Seidl]. 

N.  39.  —  Die  DarsUìlung  des  Todes  in  der  Musik,  di  W.  Mauke. 

Nene  Mnsik-Zeitniig  (Stattgart-Leipzig). 

N.  13,  14,  16.  —  Richard  Strauss  Liederkomposiiionen  v.  B.  R.  [Si  parla 
distesamente  dell'abbondante  produzione  vocale  dello  S.]. 

N.  13,  14,  16.  —  Berlioe  v.  Karl  Omnsky  [Rassegna  crìtica  delle  composi- 
zioni  berlioziane]. 

N.  18,  14.  —  Aus  der  WeU  des  BaUets  bis  gegen  Ende  des  19^  Jahrhun- 
derts  ▼.  Ernst  Kreowski  [Seguito  di  un  articolo  di  contenuto  un  po' frìvolo], 

N.  18.  —  Zur  Charakteriitik  Cari  Maria  v.  Webers  t.  Dr.  Schtlz  [Conti- 
nuazione  e  fine  di  uno  studio  psicologico  sul  W.].  ~  Drittes  sehwabisehes  Mu- 
nkfest  in  Augsburg  v.  A.  H.  —  D<is  78*ttn  Niederrheinische  Musikfest  v.  Karl 
Wolff  [Resoconti  di  fesHvaìs  musicali  sì  numerosi  ed  importanti  in  Grermania]. 


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1064  SPOGLIO  DEI  PERIODICI 

—  Dos  eraU  deutsche  Musikfest  und  dessen  Schopfer  v.  A.  v.  Winterfeld 
[Sguardo  retrospettivo  sul  primo  festivcd  tedesco  tennto  io  Frankenhaasen  Del  1810 
ed  organizzato  da  G.  F.  Bischofif]. 

N.  14,  16.  —  Emanuel  Schikaneder  v.  Georg  Richard  Erose  [In  occasione 
del  150>  natalizio  dello  S.,  uditore  drammatico,  impresario  e  librettbta]. 

N.  14.  —  Bei  den  tanzenden  JDerwischen  v.  Ferdinand  Pfohl  [Geniale  arti- 
colo sulla  musica  e  danze  dei  dervìsci].  —  Vom  Tondiehter  der  «  Carmen  » 
▼.  prof.  Hermann  Ritter  [Schizzo  aneddotico].  —  Alìerìei  aus  dem  KunstlebeH 
Budapest  v.  Arthur  Schfinemann  [Uno  dei  soliti  interessanti  articoli]. 

N.  15.  —  È  esclusivamente  dedicato  al  Wagner  ed  a  Bayreuth  in  occasione 
del  25*  anniversario  delle  rappresentazioni  wagneriane. 

N.  16.  —  Joseph  Joaehim  v.  A.  Eccarius  Sieber  [Per  il  TO'  anniversario  del 
grande  violinista].  —  Dos  erste  LorUsing  Denkmàl  [Resoconto  deirinaugnrazione 
del  primo  monumento  del  L.  in  Pyrmont]. 

Nene  Zeitsehrift  fUr  Mnsik  (Leipzig). 
N.  28.  —  Prof.  Serikg,   Der  OesangurUerrickt  an  den  deutschen  Lehrer- 
seminaren. 

N.  29.  —  Dos  Meìophantasma,  eine  neue  Kunstform,  —  Rustoh  ,  Dos 
Preissingen  Sdchsischer  Mànnerchóre  aus  jP.  JuU  im  AussteUungspaìast  su 
Dresden, 

N.  30  31,  32-33.  —  A.  N.  Harzen-MAller,  MusikaUs(^èes  aus  der  Grossen 
BerUner  KunstaussteUung  1901, 

N.  32  33.  —  E.  Neroda,  Das  Pyrmonter  LortzingfesU 

N.  34  35.  —  B.  Geiger,  €  Nerone  »  von  A,  Botto.  —  A.  W.  Gottschalg, 
Etn  neues,  gane  bemerkenswertlies  Orgelwerk  in  Neudictendorf,  —  E.  Kcbujìo, 
Nichi  die  Totenmaske,  sondern  die  Gesichtsmaske  Beethoven's  aus  dem  Leben. 

—  P.  Reber,  Die  Musile  des  Stamberger  Sees. 

N.  36  39.  —  H.  Kling,  Hector  BerUoe  in  Genf. 

N.  36.  —  P.  Hiller-KOln,  Zur  Froge  der  zwanweisen  Landestrauer  der 
Biihne  und  Musik. 

N.  37.  —  P.  Reber,  Das  Miinchner  Prinz  Begenten-Theater, 

N.  38.  —  Dr.  Ad.  Mirus,  Die  Meisterschuìe  von  Busoni  su  Weimar.  — 
P.  Killer,  Vom  Juhildum  der  Polyhymnia  und  dem  damit  verbundenen 
Wettsingen. 

N.  40,  41.  —  Max  Rikoff,  Autographiana. 

N.  40.  —  W.  Pischer-Briepe,  J.  Seb.  Bach*s  an  den  Bat  su  Pìanen. 

N.  41.  —  G.  Rotter,  Auch  «  Etwas  *  Uber  Verdi. 

Zeitsehrift  der  International en  Masikgesellsohaft  (Berlino). 
Luglio.  —  Die  Mitarbeit  der  Frau  auf  dem  Feìde  der  musiAoUschen  Er- 
ziehung  der  Jugend  [L.  Mailer  indica  il  campo  di  attività  della  donna  nellMs- 
segnamento   della   musica].  —  Stanford^ s   New    Opera  («  Much   Ada  about 


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SPOGLIO  DBI  PERIODICI  1065 

Nothing  »),  di  Cb.  Maclean.  —  Théàtres  ìyriques  et  grands  coneerts  à  Fari8, 
di  M.  Chassang. 

Agosto.  —  Dos  Musikìeben  in  Bmsland  1900-1901  [Interessante  rassegna 
di  N.  Findeisen].  —  The  Bach  Festival  at  Bethìehem^  Pennsylvania,  U.  S,  A. 
—  Music  in  London. 

Settembre.  —  Bayreuther  Eindriicke  [Riflessioni  sa  particolari  difettosi  della 
direzione  scenica  di  Bayreath].  —  The  London  opera  season.  —  A.  Travelìer's 
Note  from  Delphi, 

Ottobre.  —  Wagner-Akten,  di  G.  Mnnzer  [Docamenti  che  meglio  precisano 
i  concetti  di  Wagner  come  nomo  e  come  artista].  —  Das  rómische  MusikUeben 
im  Jahre  1901,  di  F.  Spiro  [Crìtica  sfavorevole  degli  avvenimenti  musicali  di 
Boma  nel  1901].  —  Mu9ih  in  Stockholm, 

INGLESI 

Monthlj  Musical  Record  (Londra). 

Agosto.  —  Some  reactions  :  E.  Baughan  nota  alcune  incoerenze  deiraltimo 
stile  mosicale,  specialmente  riferendosi  all'opra.  —  J.  S.  S,,  in  Poets  and  Mur 
sicianSt  discorre  delle  varie  inclinazioni  e  del  carattere  di  alcuni  grandi  poeti 
tedeschi  e  inglesi,  dimostrando  la  tendenza  dei  musicisti  della  nazione  tedesca  a 
fimigliarìzzare  con  gli  altri  artisti.  —  The  philosophical  side  of  some  lavos  of 
harmony,  di  L.  B.  Proath  (coutin.).  —  Tschaìkowsky  as  a  songswriter,  di 
£.  Newmann;  è 'un  interessante  articolo  sui  caratteri  delie  liriche  dello  Tschai- 
kowsky.  —  Revietos  of  New  Music  and  New  Editions.  —•  Rassegna  dei  concerti 
e  delle  opere  nella  stagione  londinese  —  Musical  Notes.  —  Musica. 

Settembre.  —  Stands  music  where  it  did?\  rassegna  critica,  di  E.  Baug^han, 
sullo  stato  attuale  della  musica.  —  The  philosophical  side  of  some  laws  of 
harmony,  di  B.  Prouth  (coni).  —  Comelius  Ousìitt  (notizia  bibliografica).  —  The 
concert  season.  A  retrospect  —  Solite  rubriche.  —  Musica. 

Mnsic,  a  Monthly  Magazine  (Chicago). 

Giugno.  —  Beminùcences  of  the  season  :  breve  ma  diligente  rassegna  della 
stagione  musicale  di  Boston.  —  The  rise  of  program  music:  è  un'interessante 
contribuzione  alla  storia  della  musica  descrittiva.  —  The  art  of  accompanying, 
by  B.  Gluckenberger.  —  Women's  amateur  musical  clubs,  by  R.  Fay  Thomas  ; 
lettura  sull'associazione  femminile  dei  dilettanti  di  musica.  —  Theodore  Thomas; 
a  sketch,  by  an  old  admirer:  schizzo  biografico  sul  celebre  direttore  d'orchestra 
T.  T.,  lavoro  imparziale  e  ben  fatto.  —  Editorial  Bric-a-Brac.  —  Things 
here  and  there.  —  Altri  articoli  d'importanza  locale. 

Luglio.  —  Thayer,  the  Beethoven  Biographer:  schizzo  cronologico  sul  Tlmyer 
e  l'opera  della  sua  vita:  la  biografia  di  Beethoven.  —  A  New  contribuiion  to 
musical  esthetics,  di  B.  Swayne.  —  The  rise  of  programme  music,  di  E.  B.  Hill, 
note  sul  progresso  attuale  della  musica  a  programma.  —  Theodore  Thomas:  a 
Sketch  (cont.).  —  Leaves  from  my  student  days  (by  Gene).  —  Music  in  the 
insect  worìd  (dal  Signale  di  Lipsia).  —  Editorial  Bricca- Brac.  Things  here 
and  there. 


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1066  SPOGLIO  DII  PERIODICI 

The  Musical  Timea  (LoDdn). 

Agosto.  —  Eaton  Famng:  sehino  biografico  del  chiaro  mnsicista  inglese.  — 
HandèTs  borrmoingi  (cont.).  —  Ocea$ùmal  Notes.  —  Charìe»  Stdanum  f 
(schizzo  biografico).  —  Alfredo  Piatii  f  (schizzo  biografico).  —  Corrispondense  — 
Rassegna  —  Musica. 

Settembre.  —  MmUbran  and  MuUow,  notevole  articolo  di  F.  6.  E^  quasi 
tatto  riferentesi  a'  più  interessanti  aspetti  del  talento  ddla  Malibran.  —  Noiet 
on  the  worda  of  Beethoven*8  choraì  Symphony.  —  Schuberfe  eettmg  of  ihe 
twènty-ihìrd  peakn,  ^  Hander$  òorrowmgs  (oont).  —  Solite  rmbriche. 

Ottobre.  —  Aìfired  flòJKfW,  schizzo  biografico.  —  F)rieérieh  Chrywmder  f 
(note  biografiche). 


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I^OIPIZIB 


Opere  nuove  e  Concerti» 

^^  XJn*opera  in  due  atti  intitolata  Urvasi  del  compositore  Dlussky,  eseguita 
privatamente  a  Pietroburgo  con  considerevole  effetto,  sarà  adita  in  pubblico  nella 
prossima  stagione. 

«%  Due  nuovi  lavori,  A  la  VHÌa  Medieia  di  E.  Busser  e  un  Cantico  per  due 
flauti  ed  archi  di  liassenet,  furono  eseguiti  a  Yicby  con  pieno  successo. 

^%  Come  prima  novità  della  Grande  Opera  di  Parigi  si  annuncia  Topera 
Les  Barbares  di  C.  Saint-Sa3ns. 

9*^  La  censura  russa  ha  tolto  il  divieto  di  rappresentare  Topera  di  Rubin Stein 
«  Il  mercante  di  KcUasehnikoff  > . 

4%  L'Opera  Comique  avrà  una  novità:  La  troupe  Jolic<Bur  di  À.  Goquard  ; 
Le  Boi  d'Ye  di  E.  Lalo  e  GriseHdis  di  Massenet. 

^*,  L*  opera  biblica  SulanUta  di  S.  Goldfaden  ebbe  un  qualche  successo  a 
Trieste. 

4c%  L*opera  Nausikaa  di  A.  Bungert  è  in  preparazione  al  teatro  di  Amburgo. 

«%  A  Vienna  avrà  luogo  la  prima  rappresentazione  della  nuova  opera  di 
A.  Dvorak,  BtMsalka. 

^•^  Dona  Meda  è  il  titolo  di  una  nuova  opora  dì  Oscar  da  Silva,  rappresen- 
tata con  successo  a  Lisbona. 

Monumenti* 

«%  Il  modello  da  erigersi  a  Baden  al  compositore  Carlo  MillOcher  fu  esposto 
al  pubblico.  È  dello  scultore  Bock. 

Varie. 

^\  Ermanno  Zumpe  è  stato  nominato  Direttore  àéìVAccademia  musicale  di 
Monaco. 

«%  La  Società  milanese,  che  si  era  costituita  per  eseguire  gli  Oratori  del 
Perosi,  ha  chiuso  il  suo  primo  anno  d*affari  con  una  perdita  di  28.000  lire. 

Rieiil't  musPiaU  italiana^  Vili.  69 


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1068  NOTIZIE 

t 

^*«  L^orchestra  Kaim  di  Monaco  ripeterà  a  Parigi,  dal  17  al  20  aprile  1902 
sotto  la  direzione  del  Weingartner,  Tesecazione  delle  nove  sinfonie  di  Beethoven 
contenute  nel  programma  della  festa  musicale  di  Mainz  in  onore  di  Beethoven. 

«*,  E.  Colonne,  il  direttore  dei  Concerti  dello  Chàtelet  di  Parigi,  ai  reca  colU 
sua  orchestra  in  Germania  per  dar?!  oogcerti  nelle  principali  città. 

^*^  La  scuola  magistrale  di  Pianoforte  al  Conservatorio  di  Vienna  avrà  a  primi 
professori  Alfredo  Grùnfeld  ed  Emilio  Saaer. 

,*,  Il  Gran  premio  di  Boma  fa  assegnato  al  signor  M.  Caplet 

^*^  L'orchestra  Kaim  di  Monaco  darà  concerti  in  primavera  nelle  principali 
città  dltalia. 

«%  A  P}  rmont  avrà  luogo  nel  prossimo  anno  una  gran  festa  musicale  dedicata 
esclusivamente  a  Edoardo  Qrieg. 

^•^  Il  violoncello  di  Alfredo  Piatti  fu  venduto  per  80.000  marchi  al  banchiere 
Mendelsohn  di  Heriino,  che  è  un  abile  violoncellista. 

,*^  Al  GewandhauB  di  Lipsia  si  eseguiranno  nella  prossima  stagione  lavori 
dei  principali  sinfonisti  moderni.  Fra  i  solisti  notiamo  il  violinista  A.  Fiedemann, 
la  pianista  M.  Girod,  i  pianisti  Backhaus  e  Pugno. 

Necrologie. 

^•^  Edmondo  Polignac,  nato  nel  1834,  scolaro  di  Beber,  uno  dei  primi  parti- 
giani di  Wagner,  compositore  di  numerosi  lavori  vocali  ed  istruroentali. 

«%  Edmondo  Audran,  compositore  delle  operette  Les  Noces  cTOUveUe  e  La 
Mascotte,  di  anni  59. 

^*«  Riccardo  Eleinmichel,  nato  a  Posen,  compositore  e  pianista,  editore  dei 
Signaie,  è  morto  a  Berlino  in  età  di  54  anni. 

^^  Isabella  Galletti  Gianoli,  rinomata  cantante,  ò  morta  a  Milano. 

^^  Federico  Chrysaader,  musicologo,  è  morto  a  Bergsdorf  pi^aso  Ambuigo. 


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BLEI^CO  DEI  MBKI 


ITALIANI 

AJbiclni  A.,  VeréUt  parole  coramemoratiTe  dette  la  sera  del  7  febbraio  1901 
nel  Teatro  Comaoale  di  Forlì.  In-4.  —  Forlì,  Tipog.  G.  B.  Groppi. 

Ambrosio  (D')  E.,  Beìasùme  del  Liceo  MutioaU  EoMmt  di  Pesaro.  In-8.  — 
Pesaro,  A.  Nobili. 

.irmuario  dei  R.  Conservatorio  di  musica  di  Parma  per  Vanno  scolastico  1699- 
1900,  In-8.  —  Parma,  Battei. 

Botto  A.,  Nerone.  Tragedia  in  5  atti.  In-16.  —  Milano,  Treves.  —  L.  5. 

Gamblast  P.,  NoUsia  sìéRa  vita  e  sulle  opere  di  Domenico  Cimarosa.  In-8 

Milano,  6.  Ricordi.  —  L.  2. 

Carraglia  C,  Musica  ekusica  e  romantica.  Conferenza.  In- 16.  —  Parma,  Tip. 
A.  Bartolì. 

Cioci  A.,  Cansone  a  CHtéseppe  Verdi.  In-8.  —  Pistoia,  Tip.  G.  Fiori. 

Gasparella  G.,  Filippo  Filippi,  musicista  e  critico  d'arte  [In  <  Atti  dell* Acca- 
demia Olimpica  di  Vicenza  »,  Voi.  XXXII]. 

Ghignoni  A.,  Per  Griuseppe  Verdi.  I  caratteri  deW opera  immortale.  Conferenza. 
In-8.  —  Genova,  Tip.  della  Gioventù. 

M acciò  D.  e  Rossi  G.  F.,  In  memoria  di  Giuseppe  Verdi.  Commemorazioni. 
In-8.  —  Firenze,  Tip.  G.  Bencini.  —  L.  0,50. 

Musatti  C,  Drammi  musicali  di  Carlo  Ooldoni  e  d^aUri,  tratti  daUe  sue  com- 
medie. In-8,  2*  ediz.  —  Bassano,  G.  Pezzato. 

OJetti  U.,  Elogio  di  Giuseppe  Verdi.  Inl6.  —  Spezia,  Tip.  dell'Iride. 

Front  E.,  Strumentazione.  Versione  ital.  di  G.  Ricci.  In-16,  2*  ediz.,  riveduta. 
—  Milano,  U.  Hoepli.  —  L.  2,60. 

Spinelli  A.  G.,  NoOsie  spettanti  alla  Storia  della  musica  in  Carpi.  In-8.  — 
Carpi,  Tip.  Comunale. 

Stomi  Trovlsan  M.,  Nel  primo  centenario  di  Domenico  Cimarosa  (note  bio- 
grafiche). In-8.  —  Venezia,  Tip.  succ.  M.  Fontana. 

Tillanls  L.  A.,  L'arte  del  ekmcemhato.  In-16,  leg.  —  Torino,  Bocca.  —  L.  8. 

Zoccoli  E.,  V  estetica  di  Arturo  Schopenhauer:  propedeutica  al  Inestetica  Wag- 
neriana. In-16.  —  Milano,  G.  Agnelli.  —  L.  1,50. 

FRANCESI 

Bonnier  P.,  Vaudition,  In-18.  —  Paris,  Doin.  —  Fr.  4. 
DTrelshanvers-Der j  F.  V.,  <  Le  Vaisseau  fantóme  »  de  B,  Wagner,  Faits, 
appréciations,  et  analjse  thématiqae.  In-8,  2*  édit  —  Leipzig,  C.  Wild. 

Riditia  m%uieaU  italiana^  Vili.  69* 


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1070  ELENCO  DEI  UBRI 

Lai8  et  Descorts  Frangais  du  XIII^  siècie.  Texte  et  mnsiqoe,  pnbliés  par 
A.  Jeanroy,  L.  Brandin  et  P.  Aabry  (3™*  voi.  dea  €  Mélanges  de  Musicologie 
critique  >).  In-8.  —  Paris,  H.  Welter.  —  Pr.  BO. 

Mémoires  de  Musicologie  Sacrée,  las  anz  assises  de  tnasique  relìglease  les  27, 
28,  29  septembre  1900  à  la  Schola  Cantornm.  In-8.  ~  Paris»  H.  Welter. 

-  Pr.  5. 

Saint- Ylctor,  Les  prpses  de.  Texte  et  musique.  Précédées  d^ane  étade  critiqae 
par  E.  Misset  et  P.  Aubry  (B^e  volume  des  «  Mélange»  de  Musicologie  cri- 
tique»)- In-8.  —  Paris,  H.  Welter.  —  Fr.  30, 

TEDESCHI 

ÀSKtalod  E.»  Aus  meinem  KUnsterìeben  àU  Primadonna  in  DetUscMand, 
Oesterreich  u.  Italien.  In-8'.  —  Hamburg,  Verlagsanstalt  u.  Druckerei. 

Batka  R ,  Studien  zur  Geschichte  der  Musih  in  Bóhmen,  In-8.  ->  Prag, 
J.  G.  Calve. 

Bellermann  H.,  Der  Contrapunkt.  Mit  zahlreichen  in  dero  Text  gedr.  Noten- 
beispielen  u.  5  lith.  Taf.  in  Parbendr.  In-4.  4.  Aufl.  —  Berlin,  J.  Springer. 

Challler  £.,  Qrosser  Mdnnergesang  Katalog.  Hilfregister  zum  Hauptband.  In4. 

—  Giessen,  E.  Challier. 

Eckardt  A.,  Sammìung  v.  Prdlitdien,    ChoralbearbeUungen  u.  Uebergànge% 

Nachspielen,  Tonsatzen  tn.  freiem  Motiv  u.  Arien  m.  Orgelbegìeitung  -rw» 

gottesdienstlichen-  sowie  Koneertgebrauche.  In-8.  —  Essen,  6.  D.  Baedeker. 
Emerich  F.,  Der  Kunst-Gesang  in  Deutschland,  In-S.  —  Berlin,  Harmonìe. 
Festgabe  des  Wagners-  Vereins  Berlin  zu  Feier  des  2Sòdrigen  Bestehends  der 

Bayreuiher  Festspieìe   In-8.  —  Berlin,  P.  Thclen. 
Hehrenfels  C.   F.,  Die  WertscMtzung  der  Kumt  bei  Wagner,  Ibsen  und 

Tolstoj,  In-S.   —  Prag,   Bericht   der  Lese-  und  Redehalle  der  deutscben 

Studenten. 
Helm  J.,  Die  Formcn  der  Musikaìischen  Komposition,  in  ihren  GrundzOgen 

systematisch  ti.  ìeichtfassUch  dargesteUt.  In.8.  4.  Aufl.  —  Leipzig,  A.  Deichert 

Nachf. 
Heinze  L.  u.  Osbarg  W.,  Theoretiseh'praìUiaehe  HarmonieMire  naeh  pddtt- 

gogischen  Grundsàtzen,  nebst  speAeUer  u.  ausfiihrì,  Behandig,  der  Hanna- 

nicen  der  Kirchentonarten  bearb.  In  8. 12.  Aufl.  —  Breslau,  H.  Handel. 
Heaberger  B.,  Im  Foyer,  Gesamroeltc  Essays  tìb.  das  Operarepertoire  der  Gè- 

genwart.  In-8.  —  Leipzig,  H.  Seemann. 
Hofmann   B.,   Praktische  Instrumentationsìehre,   In-4.  2.  Aufl.   —  Leipzig, 

DOrffling  u.  Franke. 

Jahrbuch  der  Musikbibliothek  Peters  f,  1900,  P.  Jahrg.  In-8.  —  Leipzig, 
G.  P.  Peters. 

Kloss  E.,  Wagner,  wie  er  war  und  ward,  Ein  Wort  zur  Klàrg.  Uh,  den  Mcbter 
als  Menschen.  In  8.  —  Berlin,  0.  Elsner. 


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ELENCO  DEI  UBBI  1071 

Kotschedoff  Y.,  Hiìfbuch  /*.  den  Kìavierìehrer.  In-8,  —  Berlin,  G.  Plothow 

in  Komm. 
Krause  T.,  Ueber  Mwnk  u,  Musiker.  In-8.  —  Berlin,  Mittler  a.  Sohn. 
Kretzschmar  H.,  Einige  Bemerkungen  Ub.  den  Vortrag  aUer  Musik.  In-8.  — 

Leipzig,  6.  P.  Peters. 
Marx  A.  B.,  Beethoven.  5.  Àufl.  —  Berlin,  Janke. 
Herian  H.,  Ge$eJUchte  d.  Musik  im  19.  Jahrh,  —  Leipzig,  H.  Seeroann. 
Pembaar  J.,  Harmonie  und  Melodieìehre,  Praktisches  Lehrbnch   m.  vielen 

Beispielen   der  hervorragendsten  Komponisten.    In-4.  2.  Anfl.  —  Leipzig, 

H.  Seemann. 
Belnhardt  E.  T.  a.  Jensen^  CJMràUmch  eum  evangeHschen  Qtsanghuch  fikr 

Obì-  u,  Westpreussen,  In-4.  —  EOnigsberg,  Grftfe  n.  Unger. 
Sakolowskl  P.,  Ernst  v.  Schuch.  In*8 —  Leipzig,  H.  Seemann. 
Straass  F.,  Erinnerungen  aus  meinem  Lében.  In  8.  —  Hamburg,  Verlagsanstalt 

u.  Drackerei.. 
Stnmpf  C.  a.  Schaefen  K.  L.,  Tontabelìen,  enth.  die  SchwingungssàKUn  der 

12'Stuf,   temperirten  u.  der  26stuf.   enharmon,   Leiter  auf  C  innerhaìb 

10  Octaven  in  3  Stimmgn.  In-8.  —  Leipzig,  J.  A.  Barth. 
Wassmann  C,  Enideckungen  sur  Erleichterung  u.  Ertoeiterung  der  VioUn- 

technik  durch  selbstàndige  AusbUdung  des  Tastgefiihls  der  Finger,  In-4. 

2.  Anfl.  —  Heilbronn,  C.  P.  Schmidt. 
Verseichniss  der  im  J,  1900  erschienenen  Musikalien,   auch  musikàiischen 

Schriften  m.  Abbiìdungen  w.   Anseige  der  Verleger  u.  Preise,   In  8.   — 

Leipzig,  P.  Hofmeister. 
Wegtoeiser,  pràktiseher ,  fUr  Bagreuther  Fef^ielbesucher,  m.  e,    Titelbiìd 

R.  Wàgners  von  V.  Lenbach,  —  bajreath,  Nierenheim  n.  Bayerlein. 
Wild  F.,  BayretUh  190L  Praktisches  Handbach  f.  Festspielbesacher.  In-8.  — 

Leipzig.  C.  Wild. 
Wonderlich  9.,  Anleitung  sur  Instrumentierung  v.  Choràlen,  Chorìieden  u. 

OesangstUcken  jeder  Ari.  In-8.  2.  Aufl.  —  Leipzig,  C.  Merseburger. 
Zerlett  J.  B.,  Chorgesangschule,  1.  2.  Tb.  In-b.  —  Hannoyer,  C.  A.  Gries. 

INGLESI 

Blackbnm,  Ternon,  Bayreuth  and  Munich,  A  travelling  record  of  German 

operatic  art.  In-12.  —  New- York,  Mansfield  and  Co.  —  Doli.  0,75. 
Henderson  W.  J.,  What  is  good  Music?   Saggestions  to  Persone  desiring  to 

coltivate  a  Taste  in  musical  art  In-8^.  —  London,  F.  Murray. 
Marchesi  M.,  Ten  singing  lessons.  Preface  by  Mad.  Melba.  In-8.  —  New-York, 

Harper.  —  Doli.  1,50  net. 
Sbarp,  B.  Farqnharson,  Makers  of  Music.  Biographical  sketches  of  the  great 

composers,   witb   chronological   sommaries   of  their   works  etc.  In-12.  — 

New-York,  Scribner.  —  Doli.  1,75. 


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BLBIÌ60  DBLL^  IQUSIG^ 


Autori  nu>demi. 

Cieognani  €(•  —  Op.  23.  Pagine  sparse.  6  pezzi  per  p.forte:  Musette  —  Ca- 
priccio —  Serenata  —  Piceoia  dansa  —  Momento  musicale  —  Jf eloncoma. 
—  Firense.  Ediiioni  della  <  Nuova  Musica  » . 
La  ricerca  dei  particolari  sembra  preoceapare  più  che  Teffetto  complenÌTo  della 

composizioDe,  nò  il  pensiero  è  sempre  sostenuto  ;  oiò  senza  far  torto  alla  serietà 

deirautore. 

Jadassohn  S«  — Op.  138.  Moments  Musieaux:  Preambolò;  Allegretto  eu^pHc' 
doso;  Cansone;  Ballata.  —  London.  W.  Bosworth. 

Koptlaieff  À.  —  ComposiMÙmi  per  P. forte. 
Op.  8.  N.  L  ÉUgie.  —  N.  2.  Fo&e. 
Op.  9.  Seènes  du  bài  masqué. 

MendelSBOhn  Arnold,  —  «  Der  Sehneider  in  der  HÓUe  > ,  humorisUsche  Bài- 
lode  aus   «  Des  Knahes  Wundsrhom  >    filr   Tenor  solo,    vienHmmMgen 
Mànnerchor  und  Orchester,  —  Leipzig.  Bob.  Forberg. 
La  Tivacità  dei  ritmi  e  Teffetto  strumentale  rendono  questa  composizione  ab- 
bastanza caratteristica  e  mascherano  la  scipitezza  del  testo. 

({aartero  Antonio,  —  Missa  brevis  in  honorem  S.  Caeciliae,  a  sei  Tod  Tirili 
in  dne  cori  —  Proprietà  deirautore.  —  Torino.  Stab.  M.  Capra. 
Senza  pretendere  a  profondità  di  pensiero  VA.  bada  aopratutto  a  esser  melo- 
dico; lo  stile,  quantunque  non  sempre  omogeneo,  è  semplice  e  alieno  da  effetti 
teatrali. 

SchnltKe-Blesantx  Clemens.  —  Composisioni  per  P^forte:  Patìieticon  — 
CouJeurs  —  Course  foUe  —  Marche  humaristique  —  Métamorphoses  * 
Aventurier,  —  Collection  Litolff. 
Non  senza  effetto,  ma  di  carattere  superficiale  e  di  poca  originalità. 

Zenoni  Baldi,  —  Op.  4.  Zwei  geistìiche  Ch&re  (0  bone  Jesu  —  Tend^rae  faeiae 
sunt)  fiir  gemischten  Chor  a  cappella. 
Op.  5.  Vier  Trias  fìtr  Orgél.  —  Leipzig.  J.  Bieter-Biedermann. 
Primi  saggi  che  presentano  fayoreyolmente  il  compositore. 


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BLENCO  DILLA   MUSICA  1073 


AutoH  afUUM. 

Baeh  J.  L.  —  Sonata  C-moU  fUr  die  Orgél  Traserisione  per  P.forte  a  2  mani, 
di  Auo.  Straoal.  —  Leipxig.  Editìon  Schaberth. 
Non  occorre  ripetere  le  lodi  e  raccomandare  le  magnifiche  trascrizioni  dello 
Stradai. 

Simone  Majr  G.  —  Annunciamo  la  ristampa  della  Smfama  e  di  dne  Arie 
per  canto  e  piano  tratte  dall'opera  Cfinevra  di  8eoMÌa,  editore  Carlo  Schroidl 
di  Trieste. 


->»•(«• 


Giuseppe  Maorini,  OeretUe  respotisoòtZe. 


Toamo  —  Ymonizo  Bona,  Tip.  di  S.  M.  e  de*  RR.  Principi. 


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INDICE  DELLE  OPERE  RECENSITE 


Aubry  P.,  Musicologie  medievale. 
Histoire  et  méthodes,  1027. 

*•  Giuseppe  Verdi  (Biblioteca  del 
popolo),  727. 

Aversa  a  Domenico  Cimarosa  nel 
primo  centenario  della  sua  morte, 
491. 

Aymar  de  Nessiry,  Robert  Schu- 
^mann,  221. 

Banister  H.  C,  The  art  of  modu- 
lating,  486. 

Battke  jf.,  Primavista.  Eine  Me- 
thode,  Yom  Blatt  singen  zu  ler- 
nen,  482. 

Bélart  IL,  R.  Wagner  in  Zarich 
(1849-1858),  1056. 

Bellermann  fT.,  Der  Contrapunkt, 
1048. 

Bergmans  C,  Le  Conservatoire 
Royal  de  musique  de  Gand,  786. 

Biblioteca  (La)  del  R.  Istituto  mu- 
sicale di  Firenze,  492. 

Bohn'scher  Oesangverein  in  Breslau, 
Historische  concerte,  479. 

Boise  0.  B.,  Harmony  made  prac- 
tical,  486. 

Boni  0.,  Verdi.  L'uomo,  le  opere, 
l'artista,  780. 

Bonnier  P.,  L'audition,  1054. 

Bossi  E.,  Canti  lirici  a  una  voce, 
490. 

BoUazzo  L.,  Messa  a  Gesù  Reden- 
tore, 487. 

Bottazzo  L.  e  Ravanello  0.,  L'ar- 
monium quale  strumento  litur- 
gico, 733. 

Boutroux  L,,  La  generation  de  la 
gamme  diatonique,  227. 

Brenet  3f.,  Les  concerts  en  France 
sous  l'ancien  regime,  216. 

Cornetti  A,,  Bellini  a  Roma,  218. 


Canevazzi  O.,    Papa   Clemente   IX 

poeta,  214. 
Catalogo  della   collezione   etnogra- 

fico-musicale  Kraus   in   Firenze, 

1053. 
Charley  F.,  The  new  opera  glass, 

494. 
Checchi  K,  Verdi,  1813-1901,  472. 
Chilesotti  0.,  J.    B.   Besard   et   les 

luthistes  du  XVI*  siede,  464. 
Congrès  intemational  d'histoire  de 

la  musique,  1024. 
Conti  A.,  La  beata  riva,  475. 
De'    Ouarinoni   E.,    Relazione    sul 

Congresso  intemazionale  di  storia 

della  musica,  102S. 
Denkmàler  der  Tonkunst  in    Oes- 

terreich,  736. 
De  Roberto  /.,  L'arte,  222. 
De  Simone  Brouwer  F.,  Don  Saverio, 

220. 
Èngelmann    E.,   Parzival    und   Lo- 
hengrin, 230. 
Forster  Apthorp.    TT.,    The   Opera 

Past  and  Present,  472. 
Oenée    R.,    Mittheilungen    fflr   die 

Mozart-Gemeide  in  Berlin,  217. 
Oenée    i?.,   Mittheilungen    fìir    die 

Mozart-Gemeide  in  Berlin,  464. 
Ouiltnant  A.,  Archives  des  Maitres 

de  rOrgue,  489. 
Guilmant  A.,  Archives  des  Maitres 

de  rOrgue,  735. 
Hausliek  E.,  Aus  neuer   und   neu- 

ester  Zeit,  474. 
Hanstein     A.    von ,     Musiker    und 

Dichter-Briefe  an  Paul  Eucziuski, 

729. 
Helm  J.,  Die  Formen  der  musika- 

lischen  Komposition,  1053. 
Heuberger  R.,  Im  Foyer,  1043. 


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1076 


INDICE  DELLX  OPKRE  RECBNBITB 


Rocker  (?.,  Das  grosse   Dreigestim 

Haydn,  Mozart,   Beethoven,  216. 
Imbert    H,,    La    syinphonie   après 

Beethoven,  477. 
Ippavich  O,  L.,  Trattatello  sol  modo 

dì  ben  cantare,  482. 
Jadas8ohn  5.,  Der  Generalbass,  484. 
Jeanroy  A.,  Brandin  L.  et  Àubry 

P.,  Lais  et  Descorts  fran9aÌB  dii 

XII  I«  siècle.  Texte   et   musique, 

1030. 
Klo88  E.f  Wagner,  wie  er  war  und 

ward,  1056. 
Kotìie  B.,  Abriss  der  Musikgéschì- 

chte,  466. 
Kralik  R.  wn,  Altgrìechische  Mu- 

sik,  218. 
Krebs  C,  Dittersdorfiana,  217. 
Kretzsehmar  If.,  Einige  Bemerkun- 

gen  ùber  den  Vortrag  alter  Ma- 

8ik.  1044. 
La  Mara,   Franz  Liszt's  Briefe  au 

C.  Sayn- Wittgenstein,  465. 
Loewengard  M.y  Lehrboch  der  EEar- 

monie,  226. 
Molitor  È,,  Die  Nach-Tridentinische 

Choral-Beform  za  Rom,  735. 
Muhlenhein  J.,  Ueber  Choralgesang, 

488. 
M&nzer    O,,  Heinrich    Marschner, 

780. 
MUmer  G.,    Zar  EinfQhrang  in  R. 

Wagners  Ring,  488. 
Ouvretise  (V)  du  cirque  d'été,    Gar- 

9on,  Taadition!  221. 
Padovan  A.,   I    figli    della  gloria, 

219. 
Pembaur  J.,  Harmonie-  and   Melo- 

dielehre,  1052. 
Fercy  OoeUchius,   The  Theory  and 

practice  of  tone-relations,  486. 
Perinelìo  C,  Giaseppe  Verdi,  474. 
PfoM  jP.,  Arthar  Nickisch,  222. 
Piumati  G.,  Musikalisches   Fremd- 

wOrterbach,  493. 
Plalania  P.,  Psalmas  LXVII:  Exsur- 

gat  Deas,  489. 
Pou^n  A,,  J.  J.  Roasseaa,  459. 
Promiz  A.j   Compendiam  der  Mu- 

sikgeschichte,  467. 
Eicci  V.,  Solfeggi  per  tatte  le  voci, 

731,  1046. 


Riemann  iJ.,  Katechismas  der  Har- 
monie und  Modulationslehre,  485. 

Riemann  H.,  Geschichte  der  Musik 
seit  Beethoven  (1800-1900),  468. 

Rietnann  H,j  Vademecam  der  Phra- 
sierang,  485. 

Sagìéa  A^  Manuale  del  pianista, 
226. 

Scalinger  G,  if.,  L'estetica  di  Raskin, 
224. 

ScheringA.f  Bach's  Textbehandlnng, 
218. 

Schroeder  t?.,  Katechismas  dee  Di- 
rigierens  and  Taktierens,  484. 

SchiUz  A,,  Zar  Aesthetik  der  Ma- 
sik,  224. 

Setneria  G.,  La  masica  degli  Ebrei, 
215. 

Segnitz  E.^  R.  Wagner  und  Leipzig 
(1813-1833),  1057. 

Sforni-  Trerisan.  M^  Nel  primo  cen- 
tenario di  D.  Cimarosa,  215. 

Sighele  5..  L'arte  e  la  folla,  477. 

Soffredini  A.,  Le  opere  di  Verdi  731. 

SoUfiière  E.  de,  1800-1900.  Cent  an- 
nées  de  masique  fran9aÌ8e,  727. 

Statistischer  Rackblick  auf  die  E5- 
niglichen  Theater  za  Berlin,  Han- 
nover, Eassel  and  Wiesbaden, 
280. 

Stumpf  C.  and  Schaefer  K.  L.,  Ton- 
tabellen  enthaltend  die  schwin- 
gangszahlen  der  12  —  stafigen 
temperirten  und  der  25  —  stu- 
figen  enharmonischen  Leiterauf 
C  innerhaJb  10  Octaven  in  8  Stim- 
mangen,  1055. 

TabaneUi  N.,  lì  codice  del  teatro, 
490. 

Taccone  Gallucci  N,,  L'evoluzione 
dell'arte  italiana  nel  secolo  XIX, 
478. 

Wassmann  C,  Entderkangen  lur 
Erleichterung  and  Erweiterang 
der  Violintecnnik  durch  selbst&n- 
dige  Ausbildang  des  TastgefShls 
der  Finger,  1053. 

WiUing  C,  Geschichte  der  Violin»- 
piels,  227. 

WoUfuenne  A,,  Catalogne  de  la  Bi- 
bliothèque  duconservatoire  Royal 
de  mxisique  de  Bruxelles,  463. 


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INDICE  ALFABETICO 


Albertis  D.,  15. 

Arefiti  F.,  10. 

Barbella  E.,  15. 

Basili  A,,  36. 

Beccatelli  F.,  15. 

Bencini  Cr.,  15. 

Bertoni  F.,  29. 

Bibliografia  Verdiana,  378. 

Campeggi  F.,  15. 

Canti  Bulgari,  763. 

Canti  della  Chiesa  greca,  579. 

Canto  (arte  del),  137,  613. 

Casa  di  riposo  pei  musicisti,  368. 

Cirri  J.,  36. 

Concorsi.  508. 

Critica,  219,  472,  730,  1043. 

Della  Ciaia,  12. 

Divertimento,  11. 

Durante  F.,  11. 

Edizioni  musicali,  674. 

Estetica,  222,  475,^  1044. 

Ferracci  ^  10. 

Oaluppi  B.,  30. 

Genesi  della  musica,  560. 

Giurisprudenza  teatrale,  441,   703, 

1007. 
Intervalli,  157,  413. 
Istituti  musicali,  504,  745. 
Legislazione  e  Giurisprudenza,  490. 
Le  Maschere  di  Mascagni,  178. 
Marcello  B.,  15. 
Martini  G.  B.,  16. 
Melodia,  575. 

MìSKRERE  di  Jacopo  Tomadini,  784. 
Modonesi  F.,  11. 
Monocordo,  854. 
Monumenti,  245,  509,  748,  1067. 


Monza  C,  36. 

Musica,  489,  735. 

Musica  sacra,   43,   487,    735,    763, 

784. 
Musica  Scandinava,  101,  255. 
Necrologie,  246,  512,  755,  1068. 
Nebone  di  A.  Boito,  861. 
Nuove  pubblicazioni,  241,  509. 
Opere  nuove  e  Concerti,  240,  506, 

746,  1067. 
Opere  teoriche,  226,  482,  731,  1046. 
Pescetti  G.  B.,  29. 
Picciuni  N.,  75. 
Pontus  de  Tyard,  846. 
Predieri  G.  B.,  10. 
Proprietà    letteraria    ed    artistica, 

6y0. 
Beichardt  J.  F,  806. 
Ricercare,  14. 

Ricerche  scientifiche,  227,  1054. 
Ritmo,  560. 
Romanza,  637. 
BiUini  G.  M.y  20. 
Bulini  G.  F.,  29. 
Sacchini  A.,  39. 
Salutini  F.  15. 
Scala  (Teatro  alla),  181. 
Scarlatti  A.,  11. 
Scarlatti  /),  11. 
Schiller  F.,  802. 
Schumanny  656. 
Scrittura  musicale,  122. 
Secolo  XVI,  1. 
Secolo  XVn,  1. 
Secolo  XVI li,  1,  519. 
Secolo  XIX,  255. 
Serini  G.  i?.,  29. 


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1078 


INDICE  ALFABETICO 


SoLiTAiRE    Sbcomd    di    Poiitus    de 

Tyard,  847. 
Sonata,  12. 

Storia,  212,  459,  727,  1028. 
Strumentazione,  733,  1053. 
Stadio,  12. 

Teatro  lirico  nazionale,  690. 
Tomadini  J.,  784 
Varie,  230,  245,  491,  509,  736,  748. 

1067. 


Verdi  (?.,  BibliograBa.  Le  date,  378, 

408. 
Verdi  (7.,  Carioatora,  32  G. 
Verdi  (?.,  L'opera  di  G.  Verdi  e  i 

suoi  caratteri  principali,  279. 
Verdi  G.,  Ricordi,  860. 
Wagneriana,    230,  241,  488.   508. 

747,  1056. 
Zipoli  D.,  2  e  seg. 


•DOC^ 


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(MVCKSm  or  MICHitA* 


BOUND 

NOV  14  194* 


3  9015  02335  7836 


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