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Full text of "Saggi critici di letteratura inglese;"

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SAGGI   CRITICI 


LETTERATURA  INGLESE 


Gli  sciitti  ;iia  comparsi  nella  Nuova  Antologia  (lUi  si  ripubblicano 
per  gentile  concessione  del  Conte  Giuseppe  ProtonotariCampi. 


SAGGI  CRITICI 


DI 


LETTERATURA  INGLESE 


ENRICO    NENOIOlSiI 


COX  PEEFAZIOXE 


GIOSUÈ  CARDUCCI 


Seconda  impressione 


m 


V 


^ 


FIRENZE 
SUCCESSORI   LE   MOXNIEE 

1910 


PEOPKIETA  LETTERARIA. 


Firenze,  1910.  —  Società  Tipografica  Fiorentina,  Yia  S.  Gallo.    33. 


PREFAZIONE 


Gli  amici  di  Enrico  ^encioni,  racco- 
gliendo di  lui  in  pochi  volumi  prose  e  versi 
e  con  più  larga  elezione  ciò  che  scrisse  di 
meglio  intorno  alle  letterature  straniere  e 
alla  nostra,  eleveranno  e  comporranno  il 
più  degno  monumento  e  il  ritratto  più  ve- 
race di  queir  animo  nobilissimo. 

Di  lui  hanno  già  scritto,  fra  molti,  Ga- 
briele d' Annunzio,  Ferdinando  Martini, 
Matilde  Serao,  Francesco  Pera:  un  poeta, 
un  critico,  una  signora  che  divenendo  au- 
tore rimase  donna,  un  maestro  toscano  ben 
cólto  e  modesto:  il  meglio  che  a  punto  ci 
voleva  a  comprendere  e  rendere  tempre  e 
attitudini  varie  di  quell'  ingegno  così  can- 
dido e  pure  così  misto  e  complesso. 


VI  PREFAZIOiNE 

Onorato  dall'invito  degli  editori  ascri- 
vere anch'  io,  non  voglio  preoccupare  il 
luogo  qui  in  questo  primo  volume  :  mi 
parrebbe  quasi  villano,  e  certo  men  pie- 
toso, parlare  prima  dell'  amico  :  rileggendo 
di  lui  mi  voglio  mantenere  l' illusione  che 
quella  voce  soave  dalle  colorite  e  forti  in- 
flessioni, come  io  la  ho  ancora  negli  orec- 
chi, ancora  si  conquisti  e  assoggetti  l' at- 
tenzione. 

Lasciamolo  prima  parlare  lui,  il  caro 
morto.  Io  verrò  poi  nel  secondo  volume. 

5  marzo  1897. 

Giosuè  Carducci. 


ROBERTO  BROWNING 


In  Italia,  dove  si  legge  avidamente  ogni 
scritto  che  viene  di  Francia,  romanzo  e  poesia, 
critica  e  storia,  poco  o  nulla  si  sa  della  letteratura 
inglese  moderna  e  contemporanea.  Se  ne  eccettui 
Byron,  Walter  Scott,  Macaulay,  i  nomi  dei  grandi 
poeti,  dei  grandi  romanzieri,  dei  critici  e  degli  sto- 
rici che  nel  secol  nostro  han  fiorito  e  fioriscono 
in  Inghilterra  sono,  generalmente  parlando,  nomi 
nuovi  in  Italia  :  mentre  forse  di  tutte  le  straniere 
letterature  quella  che  con  maggiore  profitto  po- 
trebbe studiarsi  dagl'  Italiani  è  la  inglese  ;  trovan- 
dosi e  spiccando  negli  scrittori  di  questa  molte 
qualità  che  troppo  s^^esso  a  noi  fan  difetto,  —  os- 
servazione diligente  e  profonda  dell'uomo  morale 
e  della  natura  esteriore,  originalità,  sobrietà,  ele- 
vazione. E  quel  che  più  duole  a  chi  ama  l'arte  e  la 
patria  è  il  vedere  ignorati  o  negletti  quei  poeti 
inglesi  che  tanto  amaron  l'Italia,  che  cantarono 
le  sue  glorie,  le  sue  sventure,  il  suo  risorgimento, 

Cenciosi.  —  Saggi  critici  di  UU.  inglese  1 


2  ROBERTO   BROWNING 

che  qua  vissero  e  qua  morirono,  come  lo  Shelley 
ed  i  Browning. 

L'insigne  poeta  inglese  ch'io  vorrei  far  co- 
noscere ai  lettori,  Roberto  Browning,  è  uno  eli 
quei  rarissimi  poeti  veri  i  quali  fanno  sempre 
fare  un  passo  all'  arte,  iniziatori  e  ispiratori  ad 
un  tempo.  L'influenza  esercitata  da  lui,  prima 
latente  or  manifesta,  nell'  ordine  del  pensiero 
e  in  quello  della  forma,  è  grandissima;  e  solo 
paragonabile  a  quella  esercitata,  in  altra  sfera 
e  con  altri  intendimenti,  da  Tommaso  Carlyle. 
Ambedue  infatti  han  destato  ardenti  simpatie  e 
avversioni  invincibili.  L'attitudine  straordinaria 
di  Browning  a  tutto  osservare  e  comprendere,  a 
identificarsi  colle  cose  e  cogli  uomini,  conservando 
tuttavia  il  proprio  carattere  individuale,  avendolo 
spesso  portato  a  scegliere  soggetti  inusati  e  anco 
strani;  e  la  sua  repugnanza  a  tutto  ciò  che  è  con- 
venzionale e  volgare  facendogli  scegliere  una  forma 
potentemente  originale  ma  elaborata  e  difficile,  e 
per  la  sua  stessa  originalità  spesso  oscura;  fecero 
sì  che  egli  fosse  per  lungo  correre  d'anni  quasi 
negletto  nella  sua  stessa  patria.  I  suoi  successi  in 
teatro,  pochi  e  non  molto  importanti,  non  basta- 
rono a  far  popolare  il  suo  nome.  Vero  è  che  la  fer- 
vente ammirazione  de'  pochissimi  intelligenti  va- 
leva a  consolarlo  della  ingiusta  indifferenza  dei 
tanti  seguitatori  della  corrente.  —  Ma  oggi  è  ve- 
nuto il  suo  tempo:  trent'anni  di  perseveranza son 
coronati.  L' Inghilterra  e  l'America,  i  giovani  spe- 
cialmente, han  riconosciuto  in  Browning  un  gran 


ROBERTO   BROWNING  3 

poeta  filosofo.  Dramatis  Personce  uscito  nel  64  segna 
l'apogeo  della  sua  fama.  Pochi  libri  poetici  hanno 
provocato  tante  discussioni,  destato  tante  simpatie, 
eccitato  tante  ire  quanto  questo  di  Browning.  Con- 
temporaneamente si  ristampano  tutte  le  sue  o- 
pere  poetiche.  Le  edizioni  si  succedono.  Già  due 
scelte  (Selections)  ne  sono  state  fatte  per  sodi- 
sfare più  facilmente  alle  generali  domande;  e  l'ele- 
gante raccolta  di  Moxon  (Miniature  Poets)  ono^ 
rasi  del  nome  di  lui.  Ed  è  naturale.  Dopo  i  tragici 
monologhi  e  il  riso  convulso  di  Byron,  dopo  le 
ardenti  e  generose  utopie  dello  Shelley,  dopo  il 
misticismo  puritano  di  Wordsworth,  e  il  pagane^ 
simo  passionato  di  Keats;  dopo  i  sogni  di  Cole^ 
ridge,  e  le  fantasie  orientali  di  Moore,  e  l' epiche 
visioni  di  Southey,  si  aspettava  il  poeta  che  di* 
pingesse  le  realtà  della  vita  intima  ed  esteriore, 
r  uonio  qual  fu  e  qual  è  nel  tempo  e  nello  spazio, 
studiato  con  amore  ed  inteso  da  una  simpatia  u- 
nivei*sale,  simile  a  quella  dello  scienziato  nella  sua 
imparzialità,  ma  più  delicata  e  più  profonda  ;  si 
aspettava  il  poeta  che  nelle  indagini  psicologiche 
non  dimenticasse  i  corpi  e  le  forme,  ma  le  osser- 
vasse e  le  rendesse  in  tutta  la  loro  sterminata  va- 
rietà, in  tutte  le  differenze  dei  loro  individuali 
caratteri,  —  che,  restando  sempre  poeta,  fosse  in- 
sieme un  filosofo  ed  un  artista.  —  Tutto  ciò  fece 
Browning. 

La  prima  pubblicazione  di  Browning  fu  Paì^a^ 
Celso.  Usci  nel  1835.  L'autore  aveva  ap23ena  venti"^ 
cinque  anni.  Pochi  poeti  han  cominciato  così  glo^ 


4  ROBERTO    BROWNING 

riosamente  la  loro  carriera.  Paracelso  non  par  la- 
voro di  giovane,  ma  di  provetto  artista;  di  uomo 
che  ha  molto  sofferto  e  provato,  osservato  moltis- 
simo, bevuto  fino  alla  sazietà  nella  coppa  della 
scienza  e  della  vita.  Già  là  sono  in  germe,  e  al- 
cune già  in  fiore,  tutte  quelle  rare  qualità  che  poi 
distinsero  Browning  dagli  altri  poeti  contempo- 
ranei, e  fecero  di  lui  un  vero  rivelatore  di  nuove 
regioni  nell'infinito  campo  dell'arte.  E  già  nella 
scelta  dell'argomento  si  annunzia  il  carattere  del 
poeta.  La  curiosità  scientifica,  il  desiderio  di  ten- 
tare sentieri  inesplorati,  il  disj)regio  della  scienza 
tradizionale  e  scolastica  che  si  palesa  nella  vita 
di  Paracelso  dovean  potentemente  tentare  un  j)oeta 
avido  di  comprendere  l'uomo  e  le  cose,  di  andar 
per  vie  non  battute,  di  scrutare  e  toccare  le  più 
occulte  e  delicate  fibre  del  cuore  umano. 

Il  poema  è  diviso  in  quattro  parti.  Nella 
prima,  Paracelso  ispirato  dalla  persuasione  che 
egli  è  un  eletto  dal  Cielo  a  qualche  alta  ed  ardua 
missione,  e  spinto  dalla  sua  sete  di  scienza,  espone 
ai  suoi  amici  le  ragioni  che  lo  han  deciso  a  par- 
tire ed  errare  in  lontani  paesi  a  riacquistare  lo 
verità  già  perdute  e  a  scoprirne  di  nuove.  Ribatte 
gli  argomenti  che  l'affetto  suggerisce  agli  amici 
per  farlo  restare.  L'ardor  di  sapere,  la  sublime 
confidenza  nelle  proprie  forze,  la  grandezza  del 
coraggio,  la  forza  del  volere  umano  non  furon 
mai  con  più  energia  ed  efficacia  descritte  :  i  di- 
scorsi di  Paracelso  sono  squarci  di  eloquenza 
poetica  inarrivabili.  —  Nella  seconda  parte,  Pa- 


ROP.F.r.TO    BROWNING  5 

racelso  è  a  Costantinopoli,  e  s' incontra  in  Aprile^ 
un  poeta,  che  ha  consunto  la  vita  dietro  l'Amore 
e  la  Bellezza,  come  egli  va  a  perderla  dietro  la 
Scienza.  Dal  confronto  di  questi  due  personaggi 
simbolici  esce  un  grande  insegnamento  che  il 
poeta  sembra  svelarci  per  bocca  di  Paracelso  me- 
desimo quando  gli  fa  dire  :  «  Gli  uomini  guardino 
a  me  e  al  poeta  morto  che  troppo  sconsigliata- 
mente amò  :  e  così,  da  noi  premonito,  ^i  formi  un 
terzo  e  meglio  temprato  spirito  umano.  »  La  scienza 
senza  affetto  e  insensibile  al  bello,  la  poesia  tutta 
musica  e  luce,  tutta  voluttà  e  delirii  son  desti- 
nate a  perire.  E  fra  i  pochissimi  hen  temprati  spi- 
riti, in  cui  si  è  fatto  il  felice  connubio  della  scienza 
e  dell'arte,  io  non  saprei,  dopo  Goethe,  chi  metter 
innanzi  all'autore  stesso  del  Paracelso. 

Paracelso  è  da  Aprile  iniziato  al  culto  del 
bello.  I  cento  versi  nei  quali  Aprile  esprime  il 
suo  desiderio,  il  suo  sogno,  di  esercitare  tutte  le 
arti  prima  di  morire,  son  paragonabili  ai  più 
belli  di  Keats,  come  poesia  di  colore  e  rilievo. 
Egli  vorrebbe  esser  prima  scultore,  poi  pittore, 
poi,  posato  lo  scalpello  e  il  pennello,  dipingere 
colla  parola  tutti  gli  affetti  «  dalla  turbolenta 
agitazione  di  un  cuore  pieno  di  desiderii  inquieti, 
al  placido  sonno  dell'  uomo  semplice  nelle  ore  me- 
ridiane, all'ombra  di  un  albero,  presso  una  ci- 
sterna. »  Poi,  «  come  un  luminoso  vapore  unisce  e 
confonde  colle  stelle  le  stelle,  egli  vorrebbe  riem- 
pire ogni  vuoto  colla  musica,  e  con  ineffabili  melo- 
die esprimere  i  più  misteriosi  moti  dell'anima.  » 


6  ROBERTO    BRO\YNL\G 

Aprile  muore.  Paracelso  vorrebbe  profittare 
della  lezione,  —  ma  nuove  e  dolorose  esperienze 
lo  aspettano  al  suo  ritorno.  Morendo  in  uno  spe- 
dale, vittima  della  scienza  come  Aprile  dell'arte, 
è  consolato  dalla  fede  nell'avvenire  della  uma- 
nità ;  e  dalla  coscienza  di  averle  in  qualche  modo 
giovato. 

Se  il  poema  al  suo  primo  apparire  non  ebbe 
l'accoglienza  che  meritava,  non  passò  però  inos- 
servato. La  critica  se  ne  occupò,  e  anche  i  più 
avversi  a  questo  genere  di  poesia  dovettero  am- 
mirare certi  passi  di  una  bellezza  più  unica  che 
rara,  onde  abbonda  quel  capolavoro  giovanile  di 
Browning. 

«  È  solo  quando  ritornano  al  cielo  che  gli 
angeli  vi  si  rivelano:  essi  seggono  tutto  il  giorno 
al  vostro  lato,  e  la  notte  giacciono  presso  a  voi 
che  non  curanti  della  loro  presenza  siete  distratti 
o  dormite:  quand'ecco,  tutt'a  un  tratto,  vi  la- 
sciano, e  allora  gli  conoscete.  » 

Questi  squisiti  versi  si  leggono  nel  Paracelso. 

La  canzone  sul  Fiume  Meno  che  calma  l'agi- 
tato spirito  di  Paracelso  è  un  miracolo  di  poesia 
e  di  stile.  Mai  era  stata  dipinta  con  tanta  effica- 
cia la  quiete  che  spira  dalle  verdi  rive  di  un  bel 
fiume  che  scorre  limpido  e  lento.  Il  verso  che  pro- 
cede con  cadenza  monotona,  la  rima  insistente  pro- 
ducono sull'animo   del  lettore  un  magico  efifetto. 

Fin  dalle  prime  pagine  del  Paracelso  si  ri- 
conosce in  Browning  un  gran  poeta  pittore.  Il 
suo  paesaggio  è  scrupolosamente  reale  ed  esatto, 


ROBERTO    BROWNING  7 

e  al  tempo  stesso  ha  carattere  e  vita  eminente- 
mente poetica.  Ecco  quel  che  lo  distingue  da  tanti 
poeti-fotografi  contemporanei.  In  Paracelso^  nelle 
Liriche^  in  Uomini  e  Donne,  in  Draiiìatis  Perdona', 
in  tutti  i  suoi  versi,  Browning  si  è  rivelato  gran 
pittor  di  paese.  Nessuno  fra  i  poeti  moderni  ha 
meglio  reso  il  colore  locale.  Paragonare  le  descri- 
zioni d'Italia  di  Byron  e  di  Lamartine  con  quelle 
di  Browning  [Pian  di  Sorrento,  De  Gustihus,  Presso 
il  focolare,  In  una  Gondola,  Due  nella  Camjpagna, 
Vecchie  Pitture  in  Firenze,  ecc.,  ecc.)  sarebbe  stu- 
dio fecondo.  Ruskin,  il  gran  critico  d'  arte,  met- 
teva Browning  innanzi  a  tutti  i  poeti  paesisti 
per  efficacia  di  grafica  verità. 

Si  è  detto  e  ripetesi  che  questa  del  dipingere 
è  una  delle  piaghe  della  moderna  poesia,  che  gli 
artisti  della  parola  hanno  invaso  il  campo  deo-li 
artisti  del  colore  e  della  forma,  che  con  tanti  det- 
tagli e  minuzie  poeti  e  romanzieri  mancan  sem- 
pre dell'effetto  voluto,  che  in  certi  loro  ritratti 
una  vena  ed  un  nèo  hanno  il  valore  d'un  occhio 
si  che  spesso  invece  della  bella  donna  che  s'è  vo- 
luta dipingere,  al  confuso  lettore  raffigurasi  un 
mostro,  che  per  ottenere  moltissimo  agli  antichi 
bastavano  pochi  semplici  tratti,  ecc.  Potrebbe  ri- 
spondersi: Non  citate  ad  esempio  chi  ha  ecce- 
duto, ed  è  riprovevole.  Fra  il  dipingere  vago, 
convenzionale,  a  grandi  masse  di  certi  scrittori, 
e  il  minuzioso  e  faticoso  particolareggiare  dei 
Gauthier,  dei  Flaubert,  e  talvolta  dello  stesso 
grande  Balzac,  vi  è  una  strada  di  mezzo.  Vi  è  il 


8  ROBERTO   BROWNING 

passaggio  di  Wordswortli  e  di  Leopardi,  della 
ISand  e  di  Browning,  i  quali  lian  saputo  esser 
pittori  restando  poeti. 

Noi  italiani  con  un  paese  cosi  variato,  cosi 
pittoresco,  non  abbiamo  che  due  grandi  poeti 
paesisti,  Dante  e  Leopardi.  Dal  300  bisogna  pre- 
cipitare all' 800,  per  ritrovare  pitture  naturali, 
còlte  dal  vero,  come:  / 

Passata  è  la  tempesta: 

Odo  augelli  far  festa,  e  la  gallina 

Tornata  in  su  la  via 

Che  ripete  il  suo  verso.  Ecco  il  sereno 

Rompe  là  da  ponente,  alla  montagna; 

E  chiaro  nella  valle  il  fiume  appare. 

Apre  i  balconi 

Apre  terrazze  e  logge  la  famiglia. 

Siede  con  le  vicine 

Su  la  scala  a  filar  la  vecchierella 

Incontro  là  dove  si  perde  il  giorno. 

E  queta  so\'ra  i  tetti  e  in  mezzo  agli  orti 
Posa  la  luna,  e  di  lontan  rivela 
Serena  ogni  montagna  .... 

0  cara  luna,  al  cui  tranquillo  raggio 
Danzan  le  lepri  nelle  selve  .... 

Sono  scrittori  stranieri  che  hanno  dipinto 
l'Italia  in  tutta  la  sua  varia  bellezza.  Goethe  e 
Byron,  Chateaubriand  e  Lamartine,  Shelley  e 
Browning,    Hawthorne   e    Taine,    ecco    i   pittori 


ROBERTO     BROWNING  !) 

della  Campagna  romana,  di  Napoli  e  del  suo 
golfo,  di  Firenze  e  Venezia,  dei  nostri  colli  e  dei 
nostri  laghi,  dei  nostri  monti  e  dei  nostri  mari. 
Vero  è  che  Manzoni,  il  quale  da  sé  solo  ha  ripa- 
rato e  gloriosamente  riempiuto  tanti  vuoti  della 
nostra  letteratura,  nel  suo  immort-ale  romanzo  di- 
pinse stupendamente  la  Lombardia.  Descrittori 
ideali  pur  troppo  ne  abbiamo,  e  uno  grandissimo, 
anzi  unico,  il  divino  Ariosto:  ma  pittori  dal  vero 
non  saprei  dopo  Dante  e  Leopardi  e  Manzoni  chi 
altri  citare;  se  non  forse  alcuni  quattrocentisti 
(come  Lorenzo  de'  Medici)  e  Niccolò  Tommaseo 
in  molte  pagine  di  Fede  e  Bellezza. 

Browning  è  poeta  eminentemente  drammatico 
anche  nella  lirica.  I  titoli  stessi  dei  suoi  volumi 
poetici  ce  lo  dicono:  Lìriche  drammatiche,  Uomini 
e  Donne,  Dramatis  Personoc,  ecc.  Filoso  e  critico, 
egli  studia  un'epoca,  comprende  un'  idea,  analizza 
un  sentimento,  poi  ha  bisogno,  da  vero  artista, 
di  dar  corpo  al  concetto,  di  personificare,  di  dram- 
matizzare. Egli  ha  compreso  e  risentito  l'ardore 
per  le  cose  artistiche,  per  tutti  gli  oggetti  deco- 
rativi che  era  generale  al  tempo  del  Einascimento  ; 
ed  è  al  suo  Vescovo  ordinantesi  la  tomba  in  S.  Pras- 
sede  che  fa  rivelare  lo  spirito  vero  dell'  epoca. 
Egli  ha  osservato  il  singolare  carattere  esterno 
dei  chiostri  e  conventi  meridionali,  ne  ha  indovi- 
nato le  interne  gretterie,  la  sensuale  religione,  le 
sorde  guerre,  le  invidie:  e  interprete  di  questo  suo 
studio  è  un  novizio  che  dalla  finestra  della  cella 
impreca,  irride  e  dipinge  1'  odiato  superiore  che  è 


10  ROBERTO    BROWNING 

giù  nell'orto  a  visitare  i  suoi  fiori  {Spanish  Cloister), 
L'aborrimento  della  volgarità,  il  superbo  disde- 
gno del  merito  negletto,  saranno  espressi  dal  suo 
Pìctor  ignotus  che  avrebbe  potuto  e  non  ha  voluto 
diventare  famoso  seguendo  la  moda,  e  che  oscuro 
e  rassegnato  lavora  coscienziosamente  nella  quiete 
crepuscolare  delle  grandi  navate,  e  non  può  più 
staccarsi  dalle  care  sue  chiese:  è  per  bocca  di  lui 
ch'egli  ferisce  di  amari  sarcasmi  la  leggerezza  e 
la  vanità  dei  dilettanti  e  l'ignoranza  dei  mece- 
nati. Browning  ha  sentito  la  sublimità  della  poe- 
sia ebraica,  la  lirica  primitiva,  i  colori  e  le  forme 
dell'antico  Oriente,  l'uomo  biblico  infine;  e  Da- 
vid che  canta  per  calmar  Saul  sarà  interprete 
delle  sue  vive  impressioni.  In  Saul  infatti  tutto 
il  ciclo  della  vita  orientale  è  percorso,  dalla  ca- 
panna all'altare;  e  questa  è  per  magistero  di  ritmo, 
e  per  colorito,  una  delle  poesie  più  mirabili. 

L'ingegno,  anche  grandissimo,  è  se  non 
spento,  certo  torturato  e  alterato  dalla  passione 
d'amore,  quando  accade  che  questa  passione  è 
provata  per  donna  indegna,  e  che  non  senta  il 
prezzo  enorme  del  sacrificio;  indi  agonie  quoti- 
diane in  questo  essere  nervoso  che  si  chiama 
poeta  ed  artista.  Un  poeta  ordinario  farebbe  di 
questo  argomento  un'  elegia  o  un'  ode  morale. 
Browning  fa  parlare  Andrea  del  Sarto  colla 
troppo  famosa  sua  moglie,  e  in  quel  discorso  c'è 
la  storia  di  un'anima.  Le  profonde  ansietà,  le  cu- 
riosità febbrili  della  decrepita  società,  e  le  im- 
pressioni dei  savi  pagani  alle  prime  notizie  della 


ROBERTO    P.ROWNING  il 

vita  e  della  dottrina  di  Cristo  sono,  con  una  im- 
personalità degna  di  Goethe,  espresse  in  Cleone  o 
in  Karsliisli.  E  che  profondità  di  pensiero  filoso- 
fico si  cela  sotto  il  velo  bizzarro  àoìV  humour  in 
CaUhano  a  Setehos,  e  in  3Ir  Sludge!  Iloly -Cross-Day ^ 
tipo  della  poesia  umoristica  di  Browning  ha  riso 
e  lacrime  e  fremiti.  Era  legge  papale  che  il  giorno 
della  Santa  Croce  un  certo  numero  di  ebrei  fos- 
sero obbligati ,  e  se  occorreva  spinti  per  forza 
a  sentir  una  predica  cristiana  in  San  Pietro:  e 
là  un  monsignore  li  apostrofava  per  convertir- 
li. Browning  fa  parlare  comicamente  fra  loro 
quei  poveri  diavoli  stivati  e  orribilmente  noiati, 
Molti,  rendendo  commedia  per  commedia,  e  visto 
che  c'è  interesse,  simulano  la  conversione.  Ma  al- 
cuni, per  tacita  vendetta  e  conforto,  impiegan 
quel  tempo  ripensando  e  ripetendosi  il  canto  di 
morte  di  Ben-Ezra,  sublime  di  lamento  e  pre- 
ghiera, di  protesta  e  coraggio.  E  la  speranza  è 
■  avvalorata  dai  tormenti  sofferti  «  dalla  tortura 
prolungata  d'età  in  età,  dalla  infamia,  eredità 
d' Israello,  dalla  peste  del  Ghetto,  dalla  ignomi- 
nia degli  abiti,  dalla  gogna,  dalle  fruste  inzup- 
pate del  loro  sangue  innocente  »....  Il  cuore  del- 
l'umanità palpita  sempre  nei  versi  di  Browning. 
La  sua  larga  e  calda  simpatia  tutto  intende  e 
traduce.  Egli  ha  saputo  personificare  e  dramma- 
tizzare le  astrazioni  più  metafìsiche,  i  sentimenti 
più  delicati  e  ineffabili.  Chi  non  ha  in  sua  vita 
saputo  di  qualche  amore  puro  e  segreto  di  un 
uomo  adulto   per   tenera  giovinetta  —  e  non  ha 


12  ROBERTO     BROWNING 

pensato  con  dolore  a  questa  condanna  del  tempo, 
a  questa  fatalità  dell'  anima  giovane  e  ardente  in 
corpo  caducò  ?  —  In  Evelyn  Hope,  Browning  ci 
dipinge  la  cameretta  verginale  dove  giace  morta 
la  bellissima  giovine.  «  Le  imposte  sono  soc- 
chiuse: poco  o  nulla  è  mutato  nella  sua  camera: 
questo  è  il  suo  letto,  quelli  i  suoi  libri.  Evelyn 
avea  colto  quel  fior  di  giranio  che  comincia  a 
morire  anch'  esso  nel  vaso.  Un  uomo  adulto  è 
presso  il  cadavere,  e  parla  ;  le  parla  ora,  sola- 
mente ora,  dell'  infinito  amor  suo,  e  non  dispera 
d'esser  riamato.  L'amore  è  più  forte  della  morte. 
Le  loro  anime  dovran  passar  altre  vite,  molte  al- 
tre vite;  cangeranno  secoli  e  climi,  ma  alla  fine 
si  ritroveranno  e  s'intenderanno.  Ed  egli  prende 
quel  fior  di  giranio,  e  lo  chiude  nella  cara  gelida 
mano,  e:  Ecco,  questo  è  il  nostro  segreto:  ora 
dormi  :  tu  ti  svegiierai,  e  ti  ricorderai  e  inten- 
derai. » 

Questa  varietà  di  soggetti,  questa  straordi- 
naria pieghevolezza  d'  ingegno  non  faccia  nem- 
meno per  un  momento  sospettare  che  Browning 
appartenga  a  quella  famiglia  di  poeti  che,  seguendo 
ed  esagerando  la  pericolosa  e  inumana  teoria  del- 
l' «  arte  per  1'  arte  »,  meritano  più  che  il  nome 
d'artisti  quello  di  dilettanti.  In  tutte  le  opere  di 
Browning,  poema,  lirica  e  dramma,  si  fa  sentire 
e  sopratutto  sentire,  la  incessante  e  solenne  voce 
dell'  umanità. 

E  talvolta  questo  ardore  d'indagini  nella 
mente  e  nel  cuore  umano  lo  fa  incorrere  nei  com- 


ROBERTO    BROWNING  13 

ponìmenti  puramente  drammatici  e  destinati  alla 
scena,  in  veri  difetti,  perchè  certe  qualità  eccel- 
lenti in  altri  generi  di  j)oesia  nuocciono  ai  dram- 
matici effetti.  Chiarezza,  unità,  interesse  sono  i 
primi  pregi  di  un  dramma:  e  Browning  colla  sua 
sottigliezza  d'analisi,  colle  sue  audaci  originalità 
di  stile,  colla  sua  avversione  a  interpretare  le  idee 
e  i  sentimenti  popolari  per  strappare  i  facili  ap- 
plausi, non  poteva  riuscire  e  non  riesci  sulla  scena. 
Ci  vorrebbe  per  apprezzare  e  gustare  i  suoi  drammi 
una  platea  di  poeti  e  d'artisti.  Ma  questa  più  che 
giustificazione  è  condanna.  GÌ'  intelligenti  però 
ammireranno  sempre  alcuni  caratteri  grandemente 
scolpiti  come  il  Lwia,  e  alcune  situazioni  felice- 
mente inventate  in  Straffoixl,  nella  Macchia  del 
Blasone  e  nel  Di  natalizio  di  Colomba. 

Pipjjci  passa^  dramma  lirico  e  fantastico,  è 
forse  il  più  popolare  di  tutti  i  componimenti  poe- 
tici di  Browning. 

Pippa,  una  povera  filatrice  di  seta,  esce  un 
mattino  di  festa  dal  suo  casolare  e  passeggia,  sola, 
cantando,  per  la  campagna:  e  senza  ch'ella  me- 
desima se  ne  avvegga,  il  suo  canto  dov'  ella  passa 
{Pippa  passa)  produce  come  un  magico  effetto,  ed 
è  occasione  allo  scioglimento  di  quattro  piccoli 
drammi.  In  uno  di  questi  è  rappresentato  l'adul- 
tero amore  di  Sebaldo  e  di  Ottima  con  efficacia 
veramente  degna  di  un  compatriotta  di  Sha- 
kespeare. —  Sebaldo  ed  Ottima  si  ricordano  i  più 
drammatici  istanti  del  loro  amore,  e  fra  gli  altri 
il  giorno   quando  :    «  le   colonne    del   firmamento 


Ì4  ROBERTO    BROWNING 

parean  piegarsi  sotto  la  oppressione  del  caldo  e 
la  volta  cupo-azzurra  tutta  pesare  su  noi  ed  at- 
terrarci: e  ci  sdraiammo  nel  bosco,  fìncliè  la  tem- 
pesta scoppiò....  Si  giaceva  come  sepolti  là  dentro  : 
veloce  correa  la  tempesta  sul  nostro  capo  quasi 
cercandoci,  e  tratto  tratto  qualche  viva  candente 
saetta  bruciava  tra  '1  folto  de' pini;  bruciava  or 
qua  or  là,  ti  ricordi?  come  se  la  Giustizia  colla 
sua  spada  frugasse  e  rifrugasse  nel  bosco,  per  tro- 
varci e  colpirci....  Poi  il  tuono,  come  un  intiero 
mare,  scoppiò  sulle  nostre  teste.  » 

In  Christmas-Eoe  and  Easter-Day  (la  notte  di 
Natale  e  il  giorno  di  Pasqua)  poema  filosofico-re- 
ligioso, scritto  parte  in  Firenze,  parte  a  Roma  e 
pubblicato  nel  49,  il  poeta  trattò  (restando  però 
sempre  poeta,  e  poeta  pittore),  le  più  profonde  e 
delicate  questioni  clie  agitano  la  mente  e  la  co- 
scienza dell'uomo  moderno.  Se  ne  toffli  V  humour 
e  i  tocclii  da  artista  di  cui  abbonda  il  poema,  si 
direbbe  l'opera  di  un  pensatore  tedesco:  se  non 
elle  la  mano  dedalea  di  un  vero  poeta  dà  qui  forma 
e  moto  anche  alle  più  vaporose  astrazioni.  Ogni 
intelligente  dell'  arte  sentirà  la  bellezza,  la  verità 
di  certi  passi,  quali  la  descrizione  della  Cappella 
e  suo  atrio  nella  notte  di  Natale,  l'apparizione  lu- 
minosa di  Cristo,  i  versi  sulla  Sistina,  Michelan- 
gelo, le  Catacombe,  ecc.  E  questa  preoccupazione 
dei  grandi  problemi  della  Fede  e  dell'Anima  gli 
ha  ispirato  vari  poemi  filosofici  di  fondo,  e,  al 
solito,  di  forma  drammatici,  come  Morte  nel  de- 
serto^ Cleonej  il  Vescovo  Blougram^  ecc. 


nOBÉRTO   BROWNING  15 

Nell'ultimo  libro  di  Browning  [Dramatis  Per- 
sonce)  V  altezza  del  pensiero  filosofico  predomina 
in  ogni  poesia  ;  dalle  passionate  come  James  Lee, 
alle  umoristiche  come  Mr.  Sludge,  the  Medium. 
Come  saggio  di  magnifica  eloquenza  poetica  veg- 
gasi  Morte  nel  deserto^  dove  san  Giovanni  morente 
discorre  delle  dottrine  evangeliclie  e  della  religione 
dello  spirito:  poesia  elevata  e  profonda  che  parla 
al  cuore  e  all'intelligenza.  Pochi  libri  poetici  con- 
tengono, in  si  poche  pagine,  tante  idee  nuove  e 
grandi,  tanti  caratteri,  tante  pitture;  da  Caliban 
selvaggio,  al  Byron  de  nos  jours,  da  san  Giovanni, 
agli  spiritisti,  da  un  ritratto  di  vergine,  alla  stanza 
mortuaria  della  Morgue,  da  Alt-Vogler^  che  im- 
provvisa sullo  strumento  da  lui  inventato,  alla 
squisita  elegia  d' amore  intitolata  Maggio  e  la 
Morte.  Le  poesie  di  questo  libro  sono  vere  armo- 
nie della  vita. 

Si  sarà  visto  che  uno  dei  caratteri  della  poesia 
di  Browning  è  V humour.  Vario  in  tutto,  Browning 
è  anche  in  questa  sua  qualità  variatissimo.  11  suo 
humour  talora  è  grottesco,  energico,  quasi  brutale 
d'eccessiva  realtà,  come  nella  Tragedia  deWEre- 
tico  e  in  Calihan;  talvolta  sottile  e  raffinato  come 
in  Mr.  Sludge;  talvolta  passionato  come  nella  Que^ 
vela  d\Ln  Amante;  talvolta  l'accento  comico  e  il 
sorriso  inoffensivo  predominano  nei  suoi  versi 
umoristici,  come  in  FraLipjpo  Lìpin.  il  quale  scap- 
pato di  convento,  ed  avendo  abusato  di  Bacco,  vi  è 
riportato  dagli  sbirri  ai  quali  egli;  strada  facendo, 
discorre  della  sua  vita  e  dell'arte  sua;  e  nei  versi 


i6  ROBERTO    BROWNING 

intitolati  Sa  in  villa,  e  giù  in  cittàj  capolavoro 
d' ironia  e  di  descrizione,  genere  nuovo  di  satira, 
in  cui  un  ignorante  signorotto  fa  a  modo  suo  la 
distinzione  fra  la  vita  di  città  e  di  campagna. 
Egli,  costretto  per  economia  a  starsene  in  villa, 
sospira  alla  vita  di  città,  e  la  loda  e  dipinge  nel 
linguaggio  il  più  comico. 

Fra  le  poesie  di  Browning  in  cui  parla  la 
passione  pura,  e  clie  sono  vere  voci  del  cuore,  senza 
mai  diventare  né  convulsi  singhiozzi,  né  urla  for- 
sennate, come  quelle  di  certi  poeti  contemporanei, 
esagerati  percliè  deboli,  e  declamatori  perchè  in- 
sensibili, mi  basti  indicare  Amore  fra  le  mine, 
Presso  il  focolare,  (dove  non  sai  se  più  ammirare 
la  pittura  del  paese,  o  quella  del  sentimento),  l' Ul- 
tima Cavalcata,  In  un  anno,  e  Maggio  e  la  Morte. 

Egli  manifesta  il  profondo  e  squisito  suo  sen- 
timento dell'arte  plastica,  le  sue  simpatie  pei  vec- 
chi maestri  toscani,  pei  grandi  realisti  del  400, 
in  molte  poesie:  e  fra  le  tante  consacrate  alla 
pittura  e  ai  pittori  come  Pictor  iguotus,  Andrea 
del  Sdrto^  Vecchie  pitture  in  Firenze^  mi  piace  ri- 
cordarne qui  una  intitolata  V Angelo  Custodie.  E  ispi- 
rata da  un  quadro  del  Quercino,  che  vedesi  a  Fano, 
rappresentante  un  angelo  in  atto  di  proteggere 
un  fanciulletto.  Conosco  poche  poesie  dove  l'effu- 
sione lirica  sia  cosi  calda,  e  derivi  cosi  spontanea 
dal  soggetto  medesimo.  —  «Caro  e  grande  angiolo, 
vorresti  tu  lasciare  per  me  cotesto  fanciullo?  Io 
sederò  qui  tutto  il  giorno;  e  quando  viene  la  sera, 
X  e  il  tuo  special  ministero  è  compito,  e  tempo  è  già 


nODEUTO    BROWNING  17 

di  ]3artire,  tu  sospendendo  il  tuo  volo,  vedrai  un 
altro  fanciullo  da  custodire,  un  altro  che  ha  biso- 
gno di  pace  e  d'  asilo....  Allora,  io  ti  sentirò  fare 
un  passo,  non  più,  da  dove  tu  sei  a  dove  ora  io 
sono,  ed  ecco  la  mia  testa  ricovrasi  già  sotto  le 
tue  ali....  Colle  salutari  tue  mani  mi  chiuderai  orli 

o 

occhi  accosto  al  tuo  petto,  stringerai  la  mia  fronte 
affaticata  dal  troppo  pensiero,  e  ogni  mio  nervo 
ne  avrà  conforto,  e  sarò  tutto  inondato  di  pace 
ineffabile....  Se  ciò  mi  fosse  concesso,  oh  come  oc:ni 
torto  umano  sarebbe  presto  in  me  riparato!  Con 
che  differenti  occhi  rivedrei  il  cielo,  la  terra  ed  il 
mare!....  »  Peccato  che  questa  poesia  finisca  in 
modo  piuttosto  strano  ed  oscuro.  L'oscarità  è  il 
difetto,  esagerato  dai  suoi  detrattori,  ma  che  pur 
troppo  esiste  nell'opere  di  questo  insigne  poeta.  E 
vero. che  esso  dipende,  in  parte,  dalla  novità  degli 
argomenti,  e  dal  modo  sempre  originale  con  cui  il 
poeta  li  tratta.  Spesso  però  l'oscurità  nasce  da 
inescusabili  eccentricità  di  stile,  come  l'omissione 
dei  pronomi  frequente,  1'  architettura  capricciosa, 
e  arabesca  per  dir  così,  del  periodo  poetico.  Altre 
volte  l'oscurità  vien  dalle  reticenze.  Troppo  egli 
lascia  indovinare,  troppo  esige  dal  suo  lettore. 
Non  tutti  leggendo,  per  esempio,  il  suo  Spanish 
Cloister,  il  suo  Grammarian^ s  Funerale  il  suo  Lij)po 
Lippi  intenderanno  alla  prima  chi  è  che  parla,  ed 
a  chi,  e  dove  siamo.  Il  poema  Sordello  è  23Ìù  di 
tutti  gli  scritti  di  Browning  macchiato  di  questo 
difetto. 

Dai  libri    di   Browning    potranno  i  giovani 

Ke^'cio^'I.  —  Sagijl  criiici  di  leti,  ine/lese  2 


18  ROBÈflTO   BROVVNING 

attingere  insegnamenti  preziosi:  impararvi  a  os- 
servar bene  e  meditar  molto  prima  di  scrivere  ; 
a  serbar  sempre  virilità  di  pensiero  e  d'accento; 
a  evitare  la  volgarità  e  la  leggerezza,  la  declama- 
zione sentimentale  o  politica,  la  poesia  da  alcova 
e  quella  da  piazza;  a  non  adulare  mai  le  opinioni 
e  le  passioni  di  moda,  affrontando'  coraggiosa- 
mente l'impopolarità,  per  amore  e  per  rispetto 
dell'Arte. 

{Nuova  Antologia,  Luglio  1807) 


19 


;  ANELLO  E  IL  LIBRO 


POEMA      ])I      ROBERTO      I.  .lOWNING. 


Vi  è  un  poema  drammatico  psicologico  che 
è  il  capolavoro  di  uno  dei  più  grandi  iutelletti 
che  onorino  l'arte  e  l'umanità.  Questo  poema  fu 
concepito  e  cominciato  in  Firenze.  L'  argomento 
è  una  tragedia  domestica  italiana.  La  scena  è  in 
Roma.  L'ispirazione,  i  caratteri,  il  paesaggio  sono 
italiani.  Questo  poema  è  stato  un  avvenimento 
che  ha  aperto  nuovi  orizzonti  all'  arte  moderna. 
È  un  miracolo  di  evocazione,  di  resurrezione,  di 
poesia  e  di  analisi  psicologica.  I  più  grandi  scrit- 
tori contemporanei  ne  parlano  con  riverente  am- 
mirazione. In  Italia,  non  se  ne  sa  nulla.  La  nostra 
crìtica  non  se  n'  è  occupata  ne  molto  ne  poco.... 
Vorrei  in  parte  riparar  questo  torto:  vorrei  dare 
almeno  una  pallida  idea  del  «  L'Anello  e  il  Libro,  » 


•  The  Ring  and  the  Book,  by  Robert  Browuing,  in  four 
vclumes.  Smith  Elder,  London. 


20  l'  anello  e  il  lip.i;o 

e  occasionalmente  dir  due  parole  sul  carattere 
generale  dell'opera  poetica  di  Roberto  Browning. 

L'uomo  interiore,  il  dramma  che  si  svolge 
nella  mente  e  nel  cuore  prima  di  esprimersi  nel 
dramma  esteriore,  la  storia  o  un  episodio  della 
storia  di  un'  anima,  sono  argomento  al  poetare 
di  Browning.  Più  il  labirinto  dei  pensieri  e  dei 
sentimenti  di  un  dato  individuo,  storico  o  imma- 
ginario, in  una  data  situazione  drammatica,  è  in- 
tricato e  recondito,  e  meglio  il  poeta  riesce  a  met- 
tere in  luce  le  più  ascose  fibre,  i  più  segreti 
motivi  di  un'azione,  e  riesce  così  a  mostrarci  na- 
turali e  logiche  le  più  contradittorie  ed  enigmati- 
che azioni  umane.  Con  un  profondo  conoscimento 
della  natura  umana,  dal  più  fangoso  e  sanguinoso 
baratro  di  viltà  e  di  delitti  alle  cime  sfolgoranti 
del  verginale  candore  e  dell'invitto  eroismo,  egli 
comprende,  penetra,  afferra  con  l'occhio  dello  psi- 
cologo tutte  le  gradazioni  dello  spirito  umano  nel 
tempo  e  nello  spazio;  e  con  la  mano  plastica  e 
colori trice  dell'  artista,  scolpisce  o  dipinge  immor- 
talmente i  suoi  Uomini  e  Donne. 

La  immaginazione  simpatica,  la  potenza  di 
analisi  e  la  emozione  poetica,  vanno  in  lui  con- 
giunte a  una  sovrana  serenità  di  intelletto.  Egli 
fìssa  ed  indaga  con  occhio  profondo  e  tranquillo 
il  gran  mistero  dada  Vita,  e  i  più  disperati  abissi 
della  passione. 

Mai  in  Browning  il  più  remoto  cenno  di  de- 
clamazione, 0  di  convenzionalismo  poetico.  La 
sua  istintiva  repugnanza  a  tutto  ciò  che  è  ripetuto 


I.    ANELLO    E    IL    l.flJRO  -J I 

e  volgare,  gli  suggerisce  talvolta  soggetti  inusi- 
tati e  anche  strani,  e  una  forma  elaborata  e  dif- 
ficile, e  per  la  stessa  sua  originalità  qualche  volta 
un  po'  oscura.  Dico  qualche  volta  :  quelli  che  tro- 
vano Browning  sempre  oscuro,  sono  coloro  pei 
quali  la  poesia  è  come  il  sigaro  d'avana  o  il  sor- 
betto alla  vainiglia  dopo  pranzo....  E  per  questi 
c'è  Moore  sempre  facile,  e  Longfellow  sempre 
chiaro  e  scorrevole....  I  lettori  di  Eschilo,  di  Lu- 
crezio, di  Dante,  di  Shakespeare,  di  uroethe,  sono 
avvezzi  a  pensare  leggendo.  E  per  questi  lettori 
Browning  non  è  oscuro  —  o  lo  è  solo  qualche 
volta. 

Arturo  Symons,  in  un  suo  ammirabile  di- 
scorso sul  carattere  drammatico  di  Browning,  os- 
serva giustamente  che  questi  e  nei  drammi  e  nei 
poemi  drammatici  e  nelle  liriche  drammatiche  — 
da  Paolina  a  Ferislitah.  da  Paracdsus  ai  Dramatic 
Idìjlls  —  ha  per  obbietto  l'analisi  e  la  rivelazione 
del  penskro.  Quando  leggiamo  Shakespeare,  noi 
diciamo:  —  Questa  è  la  Vita^  sorpresa  nella  sua 
azione,  e  fissata  per  sempre  come  in  marmo  im- 
mortale. Quando  leggiamo  Browning,  noi  diciamo 
invece:  —  Questo  è  il  Pensiero,  un  soffio  dell'anima 
umana,  reso  immortale  con  la  parola.  Browning- 
si  interessa  e  ci  interessa  a  ciò  che  pensarono  e 
come  pensarono  i  suoi  personaggi,  piuttosto  che 
a  ciò  che  dissero.  E  lui  che  parla  per  loro;  e  si 
serve  del  suo  linguaggio  poetico,  il  più  ricco  e 
svariato,  il  più  enciclopedico  della  moderna  poesia, 
:)er  analizzare  il  pensiero  dei  suoi  personaggi.  Vi 


"TI  L   ANELLO    E    IL    LIBRO 

è  una  cerfea  somiglianza  nel  modo  con  cui  si  espri- 
mono Mr.  Sludge  e  FraLippo  Lippi,  San  Giovanni 
e  Andrea  del  Sarto,  ma  il  meccanismo  del  pensiero, 
per  dir  così,  di  questi  personaggi  è  così  diverso, 
che  nessuno  pensa  a  accusare  il  poeta  di  mono- 
tonia. Che  cosa  importa  che  lo  stesso  coltello 
anatomico  abbia  fatto  cinque  o  sei  diverse  opera- 
zioni chirurgiche,  se  queste  operazioni  sono  veri 
miracoli  della  scienza? 

Browning  è  essenzialmente  realista,  benché 
profondamente  psicologo.  Poeta  drammatico  e 
metafisico  egli  tratta  sempre  di  visibili  o  invisi- 
bili realtà:  e  siccome  queste  due  realtà  costitui- 
scon  la  Vita,  egli  la  dipinge  più  completamente 
di  ogni  altro  poeta. 

Alcuni  credono  che  Browning  sia  un  poeta 
troppo  astruso,  uno  scienziato  che  si  ostina  a 
esprimersi  in  versi,  un  gran  pensatore  piuttosto 
che  un  vero  poeta.  Quanto  s'ingannano!  Se  mai 
cervello  e  cuore  umano  fu  da  natura  creato  alla 
poesia,  questi  è  Browning.  Egli  ha  in  grado  su- 
premo le  sovrane  doti  poetiche:  intuito  e  com- 
prensione rapida,  elettrica,  immaginazione  evoca- 
trice e  vivificatrice;  il  senso  umoristico  e  il 
sentimento  patetico  :  il  suo  verso  percorre  tutta 
la  gamma  dei  suoni,  tutta  la  scala  dei  colori. 
Nella  sua  opera  colossale  un  popolo  di  viventi  ha 
fisonomia  distinta  e  indimenticabile.  Il  numero  e 
la  vera  vita  dei  suoi  personaggi  fa  quasi  paura 
a  pensarvi.  La  lista  ne  sarebbe  lunghissima.  Ma 
Qual  lettore  di  Browning  non  rammenta  subito 


L    AXELLO    E    IL    I.IDRO  llS 

certi  personaggi  clie  sono  creature  umane  di  cui 
conosciamo  la  fisonomia  e  l'anima,  il  meccanismo 
interiore  e  gli  atti  esteriori,  che  conosciamo  cioè 
più  e  meglio  di  un  intimo  amico  e,  stavo  per 
dire,  di  noi  medesimi?  Ecco  qui  Paracelso,  Saul, 
il  vescovo  Blougram,  Andrea  del  Sarto,  Ottima, 
Evelyn  Hope,  Costanzcì.  Pom pilla,  Giiido,  Pidor 
ignotus,  Abt  Vogier,  Paccliiarotto,  Olive,  Ivan 
Ivanovitch,  il  Baldinucci,  Mr.  Sladge,  Eabbi  ben 
Ezra,  Oristina  di  Svezia,  San  Giovanni,  il  maestro 
G-alluppi,  Miranda,  Aristofane,  e  cento  altri:  ognuno 
un  vero  microcosmo  umano,  una  rivelazione,  una 
risurrezione  ! 

Olii  meglio  di  Browning  ha  sentito  ed  esjDresso 
il  carattere  dei  vecchi  maestri  fiorentini,  gli  af- 
freschi dei  vecchi  chiostri,  l'interno  delle  antiche 
chiese?  (Old  Plctures  in  Florence,  Pictor  ignotus). 
Ohi  meglio  sentita  la  poesia  e  la  fisonomia  di  Ve- 
nezia? {In  a  Gondola,  A  toccata  of  Galluppi).  Ohi 
meglio  dipinto  l'Appennino  e  le  Alpi?  {La  Saisiaz, 
De  Gustihusj  By  the  Fireside).  Campagna  di  Roma 
e  lagune  di  Venezia;  paesaggio  francese,  russo  e 
ungherese:  Medio  Evo  e  Rinascimento;  secolo  di 
Pericle  e  anni"  della  Reggenza;  la  Sinagoga  e  il 
Partenone;  l'areopago  e  l'officina;  lo  spedale  di 
Paracelso  e  la  cameretta  verginale  di  Evelina; 
r  ingenuo  patetico  accento  di  Pompilia  e  il  grot- 
tesco linguaggio  di  Oalibano  o  l'umoristico  di 
Pacchiarotto  e  di  Sludge;  le  devote  del  Sacro 
Onore  e  le  etère  greche;  i  cavalieri  di  Oarlo  e  i 
frati  del  chiostro  spagnuolo;  il  deserto  afìricano 


2i  L  ani:llo  e  il  libro 

e  i  houlevards  di  Parigi;  l'organo  di  Abt  Vogler 
e  l'arpa  di  David;  funamboli  e  filosofi,  regine  e 
cocottes,  le  Catacombe  e  la  Morgue,  i  roghi  e  i 
duLs^  processioni  e  battaglie,  locande  e  teatri, 
baci  e  veleni,  angioli  e  demoni,  tutto  è  com- 
preso nella  portentosa  opera  poetica  di  E-oberto 
Browning. 

Un  giorno  Browning  passando  da  Piazza 
San  Lorenzo  in  Firenze  si  fermò  a  guardare  i  ban- 
chi e  le  mostre  di  roba  usata,  di  vecchi  vestiari, 
il  babelico  hric-à-hrac  di  quel  luogo  caratteristico 
—  e  sopra  un  banco  di  libri  fra  degli  Orazì  scom- 
pleti, delle  vecchie  stampe  dell'Ademollo,  fra  la 
Dame  aux  Camélias  e  dei  volumi  del  Decina,  vide 
un  libro  manoscritto,  un  vieiix  houquin  in  carta- 
pecora, la  «  Storia  e  documenti  del  processo  del 
Conte  Guido  Franceschini,  decapitato  in  Eoma 
nel  1698.  »  11  poeta  comprò  per  una  lira  questo 
curioso  volume;  e  lo  lesse  subito  in  quella  casa 
Guidi  in  via  Maggio,  che  egli  e  la  illustre  sua 
moo-lie  hanno  resa  familiare  e  cara  a  tutti  i  cui- 
tori  della  poesia. 

Era  questo  il  fascio  di  crudi  fatti  dal  quale 
il  poeta  doveva  estrarre  la  scintilla  di  vita,  e 
creare  il  Libro:  era  la  informe  e  greggia  materia 
nella  quale  doveva  trovare  i  filoni  dell'oro,  che 
battuto  e  affinato  serve  a  formare  V Anello. 

11  fatto,  ridotto  ai  suoi  ultimi  termini,  è  que- 
sto. Il  conte  Guido  Franceschini,  aretino,  di  fa- 
miglia antica  e  nobilissima  ma   decaduta,  cerca 


L  ani<:llo   k  il  LHìRO  ^0 

inutilmente  fortuna  in  Roma  presso  la  Corte  pon- 
tifìcia. Là,  a  quarantot Vanni,  gli  viene  offerta  in 
moglie  una  giovinetta  di  tredici  anni,  Pompili  a, 
di  Pietro  e  Violante  Comparini,  bella  e  con  una 
ricca  dote.  Si  fa,  quasi  inconsciente  la  povera 
giovine,  questo  bel  matrimonio^  e  Guido  porta 
con  sé  nell'avito  e  squallido  palazzo  d'Arezzo  la 
sposa  ed  i  suoceri.  Cominciano  le  inevitabili  an- 
tipatie, le  pretese  da  una  parte,  le  sevizie  dall'al- 
tra, e  i  poveri  vecchi  son  costretti  a  tornarsene  a 
Roma.  La  Violante  si  vendica  facendo  sapere  che 
Pompilia  era  una  bambina  da  lei  raccolta  per  ca- 
rità, una  creatura  senza  nome  adottata  come 
fìgliola.  Allora  nel  Franceschini  cresce  l'odio  pei 
suoceri,  e  l'avversione  per  la  giovine  moglie;  av- 
versione che  si  rivela  in  una  costante,  feroce  op- 
pressione di  tutti  i  giorni,  di  tutte  l'ore.  Nello 
spasimo  della  lenta  agonia,  essa  ricorre  inuLil- 
mente  all'autorità  ecclesiastica  e  civile.  Un  solo 
uomo  mostra  di  intenderla,  di  compatirla,  di  am- 
mirarla, di  amarla  di  purissimo  e  santo  amore  -- 
un  prete,  il  canonico  Caponsacchi.  Questi  le  ofìre 
protezione  e  aiuto  efficace  alla  fuga.  Guido  av- 
vertito in  tempo  li  sorprende  in  un  albergo  sulla 
strada  di  Roma,  e  li  fa  arrestare.  Processo  cla- 
moroso: conclusione:  lei  messa  provvisoriamente 
fra  le  Convertite,  Ini  mandato  in  un  convento  a 
far  gli  esercizi  spirituali.  Ma  la  vecchia  e  feroce 
volpe  aretina  non  è  paga:  e  informato  che  a 
Pompilia  era  stato  concesso  di  andare  a  passare 
qualche  settimana  in  una  villa  coi  Comparini,  di 


26  l'anello    e    il    LlbRO 

notte,  con  (quattro  sicari,  va  a  quella  villa,  si  an- 
nunzia per  il  Caponsacchi,  gli  è  aperto,  ed  egli 
entrato  coi  suoi  bravi  finisce  a  coltellate  i  due 
vecchi,  e  ferisce  di  mortali  ferite  la  moglie.  È  ar- 
restato, e  dopo  un  lungo  e  clamoroso  processo, 
condannato  e  decapitato. 

Questi  i  fatti  —  ma  questa  storia  non    è  che 
il  materiale   greggio  al    quale   Browning  ha  data 

0  resa  la  vita.  Quei  nomi  di  un  vecchio  dossier  di 
cancelleria  criminale  diventano  creature  viventi 
nelle  cui  vene  circola  un  caldo  sangue,  il  cui  cer- 
vello ha  un  polso  vitale  come  aveva  due  secoli 
addietro.  Il  fatto  è  poca  cosa:  lo  stesso  poeta  ci 
mostra  che  non  sta  là  la  vera  importanza  del- 
l'opera, avendolo  così  subito  raccontato,  per  filo 
e  per  segno,  fin   dalle  prime  pagine  del  volume. 

1  lettori  a  cui  basta  il  fatto,  il  racconto,  V  intrec- 
cio, posson  fermarsi  alla  metà  del  primo  volume. 
Il  resto  per  loro  non  sarebbe  che  inutile  e  tediosa 
ripetizione.  Invece,  per  Browning  e  pei  lettori 
degni  di  intendere  Browning,  il  grande,  il  vero 
interesse  comincia  do^JO  la  esposizione  del  fatto. 
L'importanza  capitale  dell'opera  consiste  nei 
sette  grandi  monologhi  degli  spettatori  e  attori 
del  dramma.  E  soprattutto  nei  due  discorsi  di 
Guido,  e  in  quelli  del  Caponsacchi,  di  Pompilia 
e  del  Papa.  Sullo  stesso  fondo  e  nello  stesso 
dramma  spiccano  queste  quattro  figure  che  sono 
quattro  miracoli  di  analisi  psicologica.  L'amore 
esaltato  del  Caponsacchi,  l' ingenuità  angelica  di 
Pompilia,  la  casuistica  vile    e   subdola    e   la  mal 


l'  anello  e  il  lii;ro  57 

celata  ferocia  di  Guido,  la  solennità  jeratica  e  la 
visione  di  oltre -tomba  del  vecchio  papa  Pigna- 
telli,  sono  ritratti  unici,  indimenticabili.  Aggiun- 
gete il  gì  ottesco  umorismo  di  quei  discorsi  mezzo 
latini  degli  avvocati  Domùius  Hi/acinthus  de  Ar- 
changelis^  Jiirls  Dodor  Johannes-BdiAista  Bottiìdus^ 
che  danno  un  carattere  cosi  locale,  così  romano, 
cosi  secentistico  alla  tragedia,  e  che  formano  uno 
dei  pregi  caratteristici  di  quest'opera  unica. 

Alcuni  critici  hanno  fatto  appunto  a  Brown- 
ing di  aver  prestato  al  Caponsacchi  un  linguag- 
gio troppo  lirico  e  troppo  poetico,  se  si  pensi 
quando  e  dove  e  a  chi  dirige  la  parola.  E  anch'io 
inclinavo,  confesso,  a  trovar  giusta,  in  parte  al- 
meno, questa  censura.  Ma  una  sera  parlandone 
con  Vernon  Lee,  essa  combattè  quell'accusa  con 
argomenti  che  mi  parvero  vittoriosi,  e  che  presso 
a  poco,  se  ben  ricordo,  son  questi:  —  Il  Capon- 
sacchi è  un'anima  nata  con  un  istintivo  senso  di 
reverenza,  di  culto,  di  adorazione  dell'ideale:  la 
religione,  coni'  era  professata  a  quel  tempo  e  in 
Arezzo,  non  può  appagarlo.  Pompilia  virtuosa, 
bella  e  infelice  diventa  come  una  Beatrice  per  lui. 
Il  dolore  la  sublima,  la  morte,  il  martirio  la  con- 
sacrano ai  suoi  occhi.  Egli  non  vede  che  lei:  essa 
è  la  stella  polare  e  1'  angiolo  raggiante  della  sua 
vita.  E  quando  parla  lei,  il  suo  linguaggio  diventa 
naturalmente  lirico  —  non  parla,  ma  canta.  Il  suo 
monologo  è  come  una  pagina  della  Vita  Nuova. 
Egli  parla  con  gli  occhi  sempre  fissi  in  una  figura 


28  l'  aneli>o  e  il  lip.ro 

di  donna  trasfigurata....  Ma  queste  cose,  dette 
come  lei  sola  sa  dirle,  si  leggeraii  presto  in  un 
nuovo  volume  di  Vernon  Lee,  che  avrà  per  titolo 
Conversatlon  of  Bahìioin. 

Sul  carattere  e  sui  monologhi  di  Guido  Fran- 
ceschiui  mi  duole  di  non  trovarmi  in  tutto-  d'  ac- 
cordo con  la  illustre  scrittrice  di  Eupliorion.  Essa 
trova  reale  sol  fino  a  un  certo  punto  il  France- 
schini:  le  sembra  troppo  grande,  dotato  di  mezzi 
troppo  sproporzionati  al  misero  impiego  della  sua 
vita:  una  macchina  poderosa  attaccata  a  un  carro 
di  paglia.  Guido,  essa  dice,  è  della  stoffa  degli 
Sforza,  dei  Borgia  —  un  uomo  della  statura  di 
Fausto  e  di  Otello  —  e  quest'uomo  passa  la  vita 
nelle  anticamere  dei  prelati,  e  poi  a  torturare  due 
vecchi  e  una  giovinetta,  e  va  con  quattro  sicari  a 
scannarli. 

Ma  appunto  questa  contradizione  è  il  problema 
psicologico  che  Browning  si  è  accinto  a  risolvere. 
Nel  secondo  discorso  di  Guido  la  fiera  mostra  le 
zanne  e  gli  artigli  di  sotto  la  cappa  del  casuista 
e  del  cherico.  Sì,  egli  era  nato  con  un  fondo  di 
spaventosa  energìa:  c'è  la  tigre  nella  volpe  are- 
tina. Ma  come  la  tigre  diventi  volpe,  e  nella  volpe 
ribaleni  la  tigre,  ci  è  spiegato  mirabilmente  nei 
due  discorsi  di  Guido.  —  Il  tipo  del  personaggio 
è  grande,  è  vero,  come  studio  morale:  ma  nella 
realtà  drammatica  è  egualmente  vero?  —  A  mio 
giudizio  si:  e  aggiungo  subito  che  io  credo  ferma- 
mente che  questa  grandezza  tragica,  quasi  epica 
del    conte    Guido,    derivi  e  resulti   in   gran  parte 


l'anello  e  il  Linuo  ^9 

dalla  illusione  ottica  che  produce  in  noi  la  nuova, 
inusata  e  portentosa  analisi  che  fa  di  quell'anima 
il  Browniug.  È  tanto  vero  che  ci  pare  inù  gronda 
del  vero. 

Browning  si  compiace  di  scrutare,  di  appro- 
fondire, di  spiegare  le  anormalità,  i  casi  eccezio- 
nali, le  idiosincrasie  della  vita  umana.  Perchè 
Guido  con  forte  intelletto  e  tenace  volontà  non 
riesce,  dove  tanti  inferiori  a  lui  son  riusciti?  Per- 
chè passa  dalla  viltà  alla  crudeltà,  all'assassinio? 
Browning  ci  spiega  l'interno  lavorio  di  quel  cer- 
vello, le  fibre  complicate  di  quel  cuore,  e  1'  anor- 
male ci  appare  allora  naturale  e  normale:  l'analisi, 
stavo  per  dire  la  vivisezione,  è  fatta  con  una  abi- 
lità così  consumata  e  perfetta,  che  noi  a  ogni  mo- 
mento esclamiamo  ,  compresi  di  ammirazione  : 
Com'è  vero! 

Non  è  tanto  la  parola  quanto  il  pensiero  che 
ci  stupisce  nei  monologhi  di  Guido,  di  Pompilia, 
del  Papa.  ISIon  ciò  che  probabilmente  essi  dissero, 
ma  ciò  che  certamente  pensarono,  questa  è  la 
grande  preoccupazione  di  Browning. 

Browning  è  un  interprete,  non  è  uno  steno- 
grafo. È  probabile,  è  verosimile  che  Guido  pen- 
sasse e  sentisse  così?  Certamente:  ed  è  ciò  che  ci 
fa  dire:  com'è  vero!  —  Se  poi  ci  domandiamo:  è 
possibile,  è  naturale  che  Guido,  che  il  Caponsac- 
chi,  in  faccia  ai  giudici,  parlassero  proprio  in  quel 
modo  con  cui  li  fa  parlar  Browning?  noi  ci  ri- 
spondiamo di  no.  Ma  d'  altra  parte  il  poeta  non 
poteva  servirsi  che  del  suo  linguaggio  enciclope- 


:\0  l'  anello  e  il  Lirjuo 

dico  per  rivelarci,  e  spesso  in  un  lungo  discorso, 
quel  che  un  uomo  ha  pensato  in  un  solo  mo- 
mento—  j^ensiero  istantaneo  —  che  ha  prodotto 
però  atti  di  incalcolabili  conseguenze  —  e  che  era 
esso  stesso  una  logica  conseguenza  di  pensieri  e 
di  azioni  precedenti.  Io  direi,  se  mi  si  conceda 
l'espressione  contradittoria,  che  il  poeta  Browning 
ha  creato  1'  anatomia  psicologica.  E  io  credo  che 
anche  un  volgare  malfattore,  reo  di  omicidio  pre- 
meditato, se  analizzato  nei  più  reconditi  motivi, 
e  seguito  passo  passo  dal  primo  germe  dell'  idea 
all'ultima  esecuzione  del  delitto,  ci  apparirebbe 
tragico  e  quasi  grande.  Per  i  personaggi  del 
dramma  psicologico  non  c'è  bisogno  di  rumorosi 
avvenimenti  e  di  storica  decorazione.  Guido  Fran- 
ceschini  vale  un  Eorgia  e  un  Tiberio. 

A  questa  sovrana  analisi  non  conosco  nulla 
di  superiore  o  di  eguale,  neppure  nel  romianzo 
moderno.  Ciò  che  più  le  si  avvicina  per  potenza 
ed  efficacia,  è  la  prima  parte  di  Sllas  Manier,  o 
un  capitolo  dei  Misérahles — quello  intitolato  Une 
tempète  sous  un  creme. 

Il  lettore  italiano  probabilmente  farà  qui 
un'osservazione.  —  Capisco,  dirà,  che  si  trovi  ma- 
teria a  poesia  nel  carattere  e  nel  linguaggio  del 
cavalleresco  Caponsacchi,  della  angelica  Pompilia, 
e  del  giusto  e  santo  Pontefice.  Ma  che  la  poesia, 
il  linguaggio  degli  Dei,  debba  servire  all'  analisi 
delle  idee  e  dei  sentimenti  di  un  malfattore,  mal 
si  capisce.  Questa  sarà  patologia,  medicina  legale 
in   versi,    ma  non    poesia.  —  Eppure  è  poesia,  è 


L*  ANELLO    E    IL    LII5R0  31 

profonda  ^^oesia!  Poesia  è  ciò  che  vi  è  di  più  ììì- 
timo  in  ogni  cosa.  Anche  nel  calcolo  trascenden- 
tale è  poesia.  Quando  il  cupo,  chiuso,  muto  spi- 
rito del  Franceschini  è  forzato  a  parlare  —  a 
rivelarci  tutte  le  tenebrose  caverne,  tutti  i  sinuosi 
e  perfidi  labirinti  del  suo  spirito,  a  dirci  come  egli 
vedeva  e  giudicava  uomini  e  cose;  quando  questo 
personaggio  sintetizza,  pur  restando  disfiuto  in- 
dividuo, una  classe  di  umane  creature,  e  rappre- 
senta al  tempo  stesso  una  passione,  un  paese  ed 
un'epoca;  —  questa  figura  diventa  altamente  poe- 
tica nella  verità  e  intensità  del  suo  tragico  signi- 
ficato :  è  reale  e  ideale  ad  un  tempo:  vive  ;  e  solo 
Dio  ei  grandissimi  poeti  possono  inspirare  la  vita. 

Al  poema  e  al  romanzo  contemporaneo  è  da 
augurare  un  po' meno  di  fisiologia,  e  un  po'più  di 
psicologia.  Ma  già  una  felice  reazione  incomincia 
coi  Tolstoi,  coi  James,  coi  Bourget.  Ricordiamoci 
che  un  fenomeno  di  coscienza  è  la  causa  di  una 
serie  di  altri  fenomeni,  qualunque  sia  la  modifica- 
zione fisiologica,  e  1'  ambiente  dei  personaggi.  Lo- 
calità, mobilia,  vestiari,  paesaggio,  meritano  di 
essere  esaminati  e  illustrati  solo  in  quanto  l'uomo 
vi  ha  impresso  qualche  cosa  del  suo  intimo. 
L'anima  umana,  Vio  personale,  ha  una  forza  in- 
nata e  assoluta  che  fa  spesso  forza  a  ogni  eredità 
e  ad  ogni  amhiente.  La  volontà  e  la  coscienza 
—  ecco  tutto  l'uomo!  E  la  volontà  e  la  coscienza 
parvero  sparire  dal  romanzo  e  dal  dramma  con- 
temporaneo. Che  cosa  vi  fu  sostituito?  La  ripro- 


:]i>  l'anello  e  il  lidro 

duzione  fotografica  delle  esteriorità  della  vita. 
Avemmo  romanzi  e  poesie  puramente  descrittive: 
una  lotta  disperata  delle  penne  coi  pennelli;  una 
invasione  di  ateliers.  Cominciò  il  Flaubert  (che 
era  però  e  rimase  sempre  un  grande  psicologo)  e 
i  sedicenti  suoi  discepoli  rincararono  la  dose.  A 
qtiesti,  cioè  ai  Goncourt  e  allo  Zola,  si  attenne 
più  o  meno  servilmente  la  novella  e  il  romanzo 
italiano  —  e  avemmo  in  Francia  e  in  Italia  libri 
zeppi  di  inventari  da  tappjezziere,  e  di  cataloghi 
da  venditori  all'asta. 

Si  descrisse  per  descrivere,  e  la  maledetta 
descrizione,  oleografica  o  fotografica,  fu,  e  non  ha 
ancora  cessato  di  essere,  la  crittogama  del  campo 
letterario.  Xella  Page  (Tamour  dello  Zola,  che  è 
pure  uno  dei  più  notevoli  suoi  romanzi,  vi  sono 
cinqtiauta  descrizioni,  ciascuna  per  sé  stessa  un 
capolavoro  di  esattezza  olandese,  ma  tutte  affatto 
inutili  allo  sviluppo  dei  caratteri,  e  allo  svolgi- 
mento dell'azione. 

Nei  momenti  drammatici  dell'azione,  qtiando 
il  lettore  vorrebbe  sapere  che  cosa  ha  pensato  quel 
tal  personaggio  per  agire  così,  l'autore  ci  dice  in- 
vece com'è  vestito.  Io  vorrei  aver  la  chiave  delle 
apparenti  contradizioni  di  quell'uomo  o  di  quella 
donna.  Xo  signore.  Mi  si  informa  invece  sulle 
condizioni  meteorologiche,  e  mi  si  dà  la  nota  del 
restaurant.  Quest'uomo  apparentemente  ha  agito 
così,  quella  donna  si  è  salvata  o  perduta,  perchè 
quel  giorno  spirava  maestrale  invece  di  scirocco, 
perchè  ha   bevuto   del   Lacrytna  Christi  invece  di 


l'anello  e  il  Lir.Ro  33 

una  limonata....  E  la  volontà  e  la  coscienza?  E  la 
lotta  interiore?  E  il  vero  dramma  dell'anima? 
Non  una  parola. 

V'ha  di  più:  non  è  neppure  artistica  e  natu- 
rale, è  anzi  tediosa  ed  illogica  la  descrizione  mi- 
nuta che  fa  fino  a  oggi  di  moda.  Un'personaggio 
entra  in  un  salotto,  e  un  romanziere,  scuola  Gon- 
court  0  Zola,  mi  descrive  subito  questo  salotto  — 
temperatura,  mobilia,  stoffe,  gingilli,  quadri,  ecc. 
È  naturale?  No.  Quando  uno  entra  in  un  salotto 
vede  realmente  e  distintamente  tutte  queste  cose? 
Niente  affatto.  Ne  vede  distintamente  due  o  tre: 
e  due  o  tre  sole  gli  rimangono  nella  memoria.  E 
quelle  sole  bisognava  o  si  poteva  descrivere.  In- 
vece si  direbbe  che  i  personaggi  di  certi  romanzi 
sian  sempre  in  procinto  di  comprare  la  casa,  la 
villa,  la  sala,  il  vestiario  che  si  dipinge,  e  che 
siano  interessati  ad  apprezzar  tutto  e  nulla  di- 
menticare. 

E  questo  si  chiama  realismo  e  naturalismo'^  I 
veri  e  grandi  realisti  son  Browning  e  George 
Eliot,  sempre:  quasi  sempre  Balzac:  Flaubert  in 
Madame  Bovary  solamente.  Oggi  realisti  veri,  cioè 
pittori  delle  realtà  visibili  e  invisibili  della  vita 
—  della  materia  e  della  coscienza  —  son  Tolstoj, 
James  e  Bourget.  E  la  loro  reazione  è  altamente 
benefica,  desiderata  e  salutare.  Alla  lunga,  que- 
sto dipingere  le  azioni  umane  come  dipendenti  da 
un  giro  di  ivalzer^  o  da  una  digestione  più  o  meno 
buona,  demoralizzava  e  nauseava. 

Parlando  dell'^?ie^/o  e  il  Libro — cioè  del  ca- 

lsExciO>'i.  —  Saggi  critici  di  UH.  iìujlese.  3 


34  l'  anello  e  il  libro 

polavoro  sovrano  del  vero  realismo  —  della  più 
meditata,  profonda,  artistica,  efficace  e  completa 
pittura  della  Vita  —  non  credo  inutile  e  fuor  di 
luogo  questa  mia  digressione.  E  giacché  ho  toc- 
cato questo  tasto,  mi  piace  d'insistervi,  ripor- 
tando le  memorande  parole  del  Bourget  sui  danni 
morali  del  fatalismo  fisiologico. 

«  Il  est  arrivé  que  les  romanciers  soumis  à 
l'iniluence  de  Flaubert,  et  partisans  de  sa  mé- 
thode,  ont  exagéré  le  défaut  du  maitre.  Ils  ont 
méconnu  l'existence  des  deux  sortes  d'imagina- 
tions,  et  au  lieu  de  constituer  leurs  personnages 
par  une  doublé  serie  de  petits  faits,  ils  ont  pre- 
sque  uniquement  peint  ces  personnages  comma 
des  étres  d'imagination  phTjsique.  C'est  ainsi  que, 
s'applicant  surtout  à  la  transcription  des  milieux, 
ils  ont  supprimé  de  plus  en  plus  de  leurs  livres 
l'étude  de  la  volente.  Ils  montrent  la  créature 
humaine  dominée  par  les  clioses  ambiantes  et 
quasi  incapahle  de  nkictioìi  personhelle.  De  là  de- 
rive ce  fatalisme  accablé  qui  est  la  philosophie  de 
tonte  l'école  des  romanciers  actuels.  Da  là  ces  ta- 
bleaux  d'une  humanité  à  la  fois  très-réelle  et  très- 
mutilée.  De  là  cette  rénonciation  de  plus  en  plus 
marquée  anx  vastes  espoirs,  aux  généreuses  fiè- 
vres,  à  toiit  ce  que  le  terme  (T Idéal  résumé  de 
croj^ances  dans  notre  energie  intime.  Et,  comme 
no  tre  epoque  est  atteinte  d'une  maladie  de  la  vo- 
lente, de  là  cette  vogue  d'une  littérature  qui  con- 
vient  si  bien  aux  affaiblissements  progressifs  du 
ressort    intérieur.    Lentement,     dans     beaucoup 


l'  anello  e  il  lidro  35 

d'esprits  souinis  à  réducation  des  romans  nou- 
veaiix,  s'élabore  la  conception  que  Veffort  est  inu- 
tile^ et  le  jìouvoir  des  causes  étrangères  irrésistihle. 
Or,  comme  dans  l'ordre  de  la  vie  morale  nous  va- 
lons  en  capacitò  d'energie  juste  anfcant  que  nous 
croyons  valoir,  lentemeiit  aussi  chez  ces  mémes 
personnes  la  volonfcé  se  dósagrège.  Ainsi  les  hé- 
ritiers,  par  Flaubert,  de  ce  romantisme  qui  a  trop 
exigé  de  la  vie,  soiit  les  plus  actifs  ouvriers  de 
cette  désagrégation  de  la  volonté.  Ironie  singu- 
lière  de  la  destinée!  »  —  {Essais  de  Psycliologie  con- 
temporaine^  pag.  166). 

I  veramente  grandi  scrittori,  poeti  o  roman- 
zieri, son  quelli  che  conoscendo  profondamente 
la  umana  natura,  hanno  un'acuta  percezione  del 
gran  problema  della  Yita,  scrutano  gli  abissi  del 
cuore  umano,  eppur  non  disperano;  ma  conser- 
vano intatte,  e  infondono  nei  lettori^  la  energia 
eroica,  la  speranza  e  il  coraggio.  Roberto  Brow- 
ning è  in  prima  fila  tra  questi  benefattori  del- 
l'umanità, tra  questi  artisti  sovrani. 

{}\uova  Antologia,  10  dicembre  1885.) 


ROBERTO  BROWNING  E  L'ITALIA 


Lavoravo  alla  Rassegna  Inglese  per  la  Nuova 
Antologia^  e  scrivevo  appunto  sul  nuovo  volume  di 
Browning,  {Asolando-Fancies  and  Facts)  quando  ri- 
cevei una  lettera  della  signora  Edith  Storj'-Pe- 
ruzzi  che  mi  annunziava  la  morte  del  grande 
poeta.  Fu  in  casa  dell'  illustre  scultore  e  scrittore 
William  Story  che  nella  mia  prima  giovinezza 
ebbi  l'onore  di  conoscere  Roberto  Browning  —  ed 
è  dalla  sua  gentile  figliuola  che  mi  è  venuto  il 
funebre  annunzio. 

Benché  Browning  avesse  compiuto  settantasei 
anni,  la  notizia  della  sua  morte  mi  colpì  doloro- 
samente e  inattesamente  come  quella  di  persona 
rapita  al  mondo  nei  suoi  belli  anni;  tanta  è  l'e- 
nergia e  la  vena  giovanile,  l'acume  e  la  potenza 
d'analisi,  la  freschezza  d'immaginazione,  che  si 
rivelano  in  quel  suo  ultimo  libro  —  e  tanto  il 
vecchio  poeta  mi  era  parso  sano  e  robusto,  e  pro- 
mettente  la   [Àù    tarda   longevità,   quando    nella 


ROBERTO    BROWNING    E    l'  ITALIA  37 

scorsa  estate  andai  col  mio  amico  Carlo  Placci  a 
salutarlo  in  Venezia,  in  casa  della  signora  Bronson, 
alla  quale  è  dedicato  con  sì  affettuose  parole  il 
nuovissimo  volume  del  poeta. 

Povero  Browning!  esclamai  dapprima  com- 
mosso alla  triste  inattesa  notizia.  Ma  dopo  un  mo- 
mento di  riflessione:  —  Perchè  povero?  dissi  a  me 
stesso.  Felice,  dovrei  dire  invece,  felice  poeta!  Dopo 
una  lotta  eroica  di  trent'anni,  conquistò  una  fam.a 
e  una  gloria  mondiale;  el3be  a  compagna  della  vita 
una  creatura  ideale,  genio  ed  angelo  nella  mede- 
sima donna;  visse,  negli  anni  maturi  e  declinanti, 
sano,  ricco,  amato  e  ammirato,  usufruendo  l'espe- 
rienza della  vecchiezza  senza  provarne  i  fisici  e 
morali  languori.  Ed  ora  è  morto  nella  piena  e 
attiva  potenza  del  suo  straordinario  intelletto, 
dopo  brevissima  malattia,  circondato  dalle  cure 
affettuose  della  famiglia  e  degli  amici,  nella  terra 
ideale  da  lui  tanto  amata  e  cantata,  e  nella  più 
bella  città  di  questa  terra  :  è  morto  ijcdnlessly  and 
quietly  —  cosi  scrisse  suo  figlio  —  dopo  aver  rice- 
vuto l'annunzio  del  crescente  successo  del  suo 
ultimo  libro  pubblicato  in  quei  giorni,  come  un 
generale  caduto  sul  campo,  che  spira  fra  i  gridi 
della  vittoria. 

Eoberto  Browning  nacque  nel  1812,  a  Cam» 
berwell.  Figlio  di  un  impiegato  alla  Banca  d'In- 
ghilterra, uomo  eccellente,  rigido  e  positivo,  ere- 
ditò dal  padre  lo  sguardo  sicuro  e  quel  senso 
pratico  della  vita  che  è  come  la  ferma  e  profonda 
radice  da  cui  germogliò  la  svariata  e  magnifica 


38  ROBERTO   BR0^VN1NG   E    L   ITALIA 

flora  della  sua  poesia.  Cominciò  nella  prima  ado- 
lescenza a  ammirare  e  imitare  Byron;  ma  a  dicias- 
sett'anni,  la  lettura  di  Shelley  lo  converti  a  nuovi 
orizzonti  e  nuove  forme  poetiche. 

Il  primo  volume  di  Browning  è  Pauline  (1833) 
- —  e  già  vi  si  annunzia  un  genio  originale,  una 
maniera  di  poetare  nuovissima:  la  psicologia  poe- 
tica, e  la  lirica  drammatica,  già  sono  in  germe  in 
questo  primo  libro  di  versi.  Seguirono  Paracelsus^ 
Strafford,  Bordello^  le  Dramatic  Lyrics^  Drammi  e 
Tragedie,  A  hlot  in  the  Scutclieon^  Pipila  i^asses.... 

Nel  1846,  Browning  sposò  la  poetessa  Elisa- 
betta Barrett,  e  con  lei  venne  in  Italia,  e  presero 
stabile  sede  in  Firenze,  in  quella  ormai  doppia- 
mente famosa  Casa  Gnidi,  in  Via  Maggio.  Questo 
matrimonio  fu  l'unione  di  due  spiriti  straordinari, 
diversamente  e  sovranamente  dotati,  che  si  equi- 
librarono e  coadiuvarono  mirabilmente,  offrendo 
un  esempio  unico  nella  storia  dell'amore  e  dell'arte. 
Nel  1849  nacque  in  Firenze  il  loro  unico  figlio 
Robert  Barrett  Browning  —  oggi  notevole  e  lodato 
pittore. 

In  Italia  Browning  scrisse  gran  parte  di 
Christmas-Eve^  e  Men  andWomen^  il  primo  suo  libro 
che  avesse  incontrastato  successo,  e  in  parte  gli 
desse  quella  fama  e  quella  gloria  che  meritava  da 
tanti  anni. 

Nel  1861,  Elisabetta  Browning  morì.  Il  poeta 
ne  rimase  come  annientato.  Si  chiuse  in  un  pro- 
fondo silenzio,  in  quasi  assoluta  solitudine,  per 
più  di  tre  anni.  Nel  1864  usci  lo  stupendo  volume  di 


ROBERTO    BROWNING   E    l'  ITALIA  39 

Dramatis  Personce^  ammirato  iu  Inghilterra  e  in 
Europa. 

UAnelloe  il  Lihro^  l' opera  capitale  di  Browning, 
fa  pubblicato  nel  1868-69.  Seguirono,  a  brevi  in- 
tervalli, nuovi  volumi  poetici,  fra  cui  i  più  note- 
voli sono  Fìjine  at  the  Fair,  Balaustion''  s  Adventure^ 
Paccliiar otto,  Red  cotton  niglit-ca^  Country,  LaSaisiaz^ 
Dramatic  Idylls,  Aristoplianes  Apologij,  Ferishtah^  s 
Fcuicies,  e  ultimo  in  ordine  di  tempo  non  già  di 
valore,  Asolando. 

11  poeta  è  morto  il  12  dicembre  in  Venezia, 
nel  palazzo  Rezzonico,  proprietà  di  suo  figlio. 

Browning  fu  umano  e  pietoso  ad  ogni  dolore 
come  Hugo,  socievole  come  Dickens,  modesto  come 
Manzoni.  Senti  profondamente  l'amicizia  —  e  la 
ispirò  viva  e  costante  in  alcuni  dei  suoi  più  illu- 
stri contemporanei,  Landor,  Carlyle,  Ruskin,  Di- 
ckens, Rossetti,  Story,  Forster,  Tennyson  —  e  fra 
le  donne  mi  è  caro  di  ricordare  i  nomi  delle  signore 
White  Mario,  Yillari,  Story  Peruzzi,  Zimmern, 
Thackeray,  Sutherland,  Orr,  e  Bronson. 

La  bontà,  la  cordiale  affabilità,  la  costante 
serenità  eroica,  non  si  smentirono  mai  durante  la 
lunga  vita  del  poeta.  Frequentava  la  più  alta  classe 
sociale,  ma  non  sdegnava  la  conversazione  con  gli 
umili.  Ebbe  assidue  e  intime  relazioni  coi  più  in- 
signi pittori  e  musicisti  del  suo  paese.  Gli  fu  fatto 
carico  perchè  con  la  sua  geniale  e  calda  parola 
metteva  un  raggio  di  poesia  tra  le  stereotipate 
etichette  della  high-Iìfe  Londinese.  A  qualche  ri- 
gido Aristarco  dispiacque  la  innocente  mondanità 


40  ROBERTO    BROWNING    E    l'  ITALIA 

del  poeta;  quasi  pretendendo  che  un  poeta  che  si 
rispetti  debba  sempre  pranzare  in  casa  sua,  esser 
sempre  in  veste  da  camera  tra  le  pareti  degli  scaf- 
fali, o  vagare  solitario  e  scapigliato  nelle  solitu- 
dini, interrogando  la  Musa,  inesperto  affatto  del 
mondo,  «  e  degli  vizi  umani  e  del  valore....  »  E  pur 
troppo  vi  sono  di  questi  poeti,  e  anche  famosi: 
—  ma  nella  loro  opera  questa  inesperienza  e  in- 
scienza del  mondo  e  della  vita  si  tradisce  a  ogni 
pagina  —  e  le  loro  poesie  sono,  paragonate  a  quelle 
dei  veri  poeti,  come  mazzi  di  fiori  in  tela  gom- 
mata od  in  cera,  accanto  ai  fiori  naturali,  freschi, 
fragranti,  e  stillanti  rugiada. 

Né  la  geniale  mondanità  turbò  mai  o  offuscò 
in  Browning  lo  sguardo  intuitivo  di  filosofo  e  di 
poeta  sovrano,  ne  ottuse  l'acume  della  sua  incisiva 
penetrazione,  ne  alterò  mai  la  virile  indipendenza 
dei  suoi  giudizi.  E  d'altronde,  il  più  gran  libro  è 
il  mondo  —  e  chi  lo  guarda  solo  dall'abbaino  di 
biblioteca  non  può  comprenderlo  né  dipingerlo. 
Né  Shakespeare,  né  Goethe,  né  Byron,  né  Heine, 
né  Browning  ci  direbbero  e  ci  insegnerebbero 
tanto  e  nel  bene  e  nel  male  della  vita,  se  non  aves- 
sero tanto  visto  e  tanto  osservato. 

La  presente  giovine  generazione  era  avvezza 
a  vedere  nel  Browning  il  trionfatore  felice,  amato 
e  ammirato  in  Europa  e  in  America;  sereno  poeta 
che  godeva  della  preziosa  esperienza  della  vec- 
chiezza, senza  alcuna  delle  sue  infermità,  felice 
come  Leouardo,  come  Goethe,  nei  gloriosi  ultimi 


nODERTO    BROWNING    E    l'  ITALIA  41 

anni.  Ma  vi  fu  un  tempo,  un  lungo  tempo,  in  cui 
i  capolavori  di  Browning  si  succedevano  negletti 
0  derisi,  e  attirando  solo  la  simpatica  ammira- 
zione di  pochissimi  lettori. 

Si  può  dire  che  la  vera  fama  di  Browning 
data  dalla  pubblicazione  di  Men  and  Women  1855; 
e  più  decisamente  da  quella  di  Dramatis  Perso- 
nce,  1864.  Egli  lottò  trent'anui  con  indomabile 
perseveranza:  egli  fu  un  vero  eros  nel  senso  Car- 
lyliano  della  parola.  Lavorò  sicuro  dell'avvenire, 
fidando  nel  tempo,  il  gran  giustiziere;  scrivendo 
e  pubblicando  per  non  esser  letto  che  da  pochi, 
fra  gli  applausi  e  le  centesime  edizioni  prodigate 
ai  facili  versi  dei  melodisti.  Un  po'  di  musica  e 
un  po' d' intreccio  son  sempre  sicuri  di  momenta- 
neo successo.  B  volgo  dei  lettori  naturalmente 
rifugge  da  poeti  come  Eschilo,  Lucrezio,  Dante, 
Groethe,  Browning;  e  adora  i  poeti  armonici  e  va- 
cui, simili  a  quei  terreni  dove  in  qualunque  punto 
si  scavi,  a  due  dita  si  trova  subito  acqua,  nien- 
t' altro  che  acqua;  mai  fuoco  o  granito:...  terreni 
cosi  malleabili  e  fecondabili,  che  ogni  piuma  vo- 
lante, ogni  seme  di  fiorellino,  desta  la  loro  facile 
virtù  produttrice.  Browning  è  precisamente  l'op- 
posto. Lo  ha  detto  egli  stesso. 

«  Il  terreno  dell'eterno  canto  è  la  roccia  dalla 
superfìcie  aspra  e  dura.  Il  sole  e  le  rugiade,  le 
tempeste  ed  i  geli,  vi  adoprano  invano  la  loro 
dolcezza  o  la  loro  rabbia.  Appena  qualche  raro 
fiore  spunta  qua  e  là.  Ma  intanto,  giù  nelle  pro- 
fonde fìssure,  lentamente,    silenziosamente,  si  va 


42  ROBERTO    BRO^YMNG    E    l'  ITALIA 

formando  ciò  che  fra  un  secolo  sarà  un  abete  gi- 
gante —  eredità  di  una  nazione.  » 

Browning,  negletto  o  trionfante,  fece  sempre 
appello  a  lettori  che  amano  approfondire  e  ele- 
varsi. Grande  nella  speculazione  filosofica  come 
nella  emozione  lirica,  scrutò  abissi  dell'  anima 
fino  a  lui  inesplorati,  e  penetrò  col  suo  sguardo 
di  poeta  sovrano  nei  più  disperati  labirinti  del 
cuore.  Filosofo,  pittore,  musicista,  scienziato,  e 
sempre  poeta  —  o  contemplatore,  o  drammatico, 
o  lirico  —  qualunque  regione  scegliesse,  era  re  di 
quel  campo,  e  vi  piantava  e  faceva  sventolare  la 
sua  vittoriosa  e  immacolata  bandiera.  Come  la 
salutavamo  con  gioia!  Essa  era  magnetica  e  irre- 
sistibile, come  gli  occhi  di  una  bella  donna. 

Per  molti  la  prima  lettura  di  Browning  è 
stata  una  rivelazione,  un  avvenimento.  x4.bbiamo 
sentito  l'attuale  presenza  di  un  uomo  e  di  un 
amico.  Certe  sue  pagine,  certi  suoi  versi  hanno  la 
potenza  e  la  influenza  di  uno  sguardo,  o  di  una 
stretta  di  mano:  vi  è  come  una  corrente  elettrica, 
che  io  definirei  volentieri  la  gioia  della  vita. 

L'eroismo  della  volontà  individuale,  e  la  gioia 
della  vita,  sono  infatti  la  precipua  caratteristica 
della  svariata  e  colossale  opera  poetica  di  Ro- 
berto Browning.  Egli  abborriva  egualmente  i 
poeti  elegiaci. e  frementi,  e  i  poeti  scettici  e  di- 
lettanti. Browning,  come  Wordsworth,  Whitman, 
Victor  Hugo,  e  pochissimi  altri;  ma  meglio,  e  più 
profondamente  e  universalmente,  ci  parla 
«  Of  Joy  in  widest  commonalty  spread.  > 


nOBEUTO    BROWNING    E   l'  ITALIA  43 

L'uomo  interiore,  il  dramma  che  si  svolge 
nella  mente  e  nel  cuore  prima  di  rivelarsi  nel 
dramma  esteriore;  la  storia  o  un  episodio  caratte- 
ristico della  storia  di  un'anima,  sono  a^^gomento 
al  poetare  di  Browning.  Più  il  labirinto  dei  pen- 
sieri e  dei  sentimenti  di  un  dato  individuo  sto- 
rico 0  immaginario,  in  una  data  situazione  dram- 
matica, è  intricato  e  recondito  —  e  più  il  poeta 
trionfa  nella  sua  analisi  vittoriosa  e  rivelatrice. 

«  La  mia  poesia,  diceva  egli  nella  dedica  di 
Sordello  all'  amico  Milsand,  nasce  dagli  incidenti 
drammatici  nello  sviluppo  di  un'anima;  poche  al- 
tre cose  son  degne  di  studio.  Io  ho  pensato  sem- 
pre così  —  voi,  0  altri  a  me  noti  od  ignoti,  pen- 
san  cosi  —  altri  penseranno  un  giorno  come  noi.  » 
L'uomo,  infatti,  è  il  più  degno  e  importante  stu- 
dio per  l'uomo  —  anche,  anzi  sovrattutto,  per  il 
poeta  degno  di  questo  nome. 

Un  senso  religioso,  nel  più  alto  e  compren- 
sivo significato  della  parola,  stavo  per  dire  un 
Cristianesimo  universale,  compenetra  l'opera  del 
gran  poeta.  Le  più  esplicite  e  importanti  espres- 
sioni le  abbiamo  in  Saulj  in  Christmas  Eue,  nella 
Sdisiaz,  in  Babbi  ben  Ezra,  in  Abt  Vogler,  in  Evelyn 
Hope^  in  Prospice^  e  in  quella  Beverie  ed  Epilogo  di 
Asolando^  che  sono  come  il  sujDremo  messaggio  — 
messaggio  di  speranza  di  coraggio  e  di  gioia  — 
che  egli  ci  ha  mandato  dalla  soglia  dell'eternità. 
Browning  ha  un  sentimento  vivo  e  perenne  della 
esistenza,  onnipresenza  e  onnipotenza  di  un  Dio, 
creatore  e  giudice   delle   anime  umane  —  e  crede 


44-  ROBERTO    BRO^VMNG    E    l'  ITALIA 

e  confessa  ed  esalta  la  volontà  e  la  libertà  indivi- 
duale. Ha  fede  in  un  futuro  e  definitivo  trionfo 
del  Bene  sul  Male;  come  Schiller,  come  Hugo, 
come  la  Sand,  e  il  Mazzini  e  Michelet.  Ma  egli 
crede  di  più  a  una  scala  di  vita,  a  una  succes- 
sione di  esistenze;  e  che  ogni  creatura  umana 
sarà  premiata  e  punita  non  per  il  bene  e  il  male 
fatto  unicamente  su  questa  terra,  ma  secondo  le 
aspirazioni,  le  lotte,  l'azione  eroica  —  o  il  tor- 
pore, l'inerzia,  e  l'acquiescenza  bestiale  —  ossia 
secondo  lo  sviluppo  che  ogni  anima  avrà  avuto 
attraverso  successivi  stadi  di  esistenze.  (Vedi  in 
pàrticolar  modo  Rahhi  Ben  Ezva^  ed  Aht  Vogler). 
Scopo  della  vita  umana  sulla  terra,  è  1'  es23eri- 
mento  delle  proprie  facoltà,  la  propria  educazione 
e  sviluppo  attraverso  gli  ostacoli,  in  vista  di  ul- 
teriori progressi  in  successive  esistenze.  Cosi  la 
filosofia  della  vita  è  in  Browning  virile  e  fortifi- 
cante ;  aspirare  ardentemente  a  un  grande  ideale, 
e  operare  per  raggiungerlo,  equivale  a  raggiun- 
gerlo —  l' epoca  sarà  differita,  il  teatro  sarà  di- 
verso, ma  il  premio  meritato  sarà  immancabil- 
mente ottenuto. 

Il  grande  arcano  dell'  Universo,  e  le  tenebre 
del  cuore  umano,  abbatterono  e  paralizzarono  gli 
spiriti  più  vigorosi  dell'  età  moderna.  La  loro  pa- 
rola divenne  un  gemito,  un  fremito,  un  sogghi- 
gno, o  una  maledizione.  Bjron,  Leopardi,  Shellej', 
Heine,  Musset,  molti  altri  insigni,  lottarono  di- 
speratamente col  gran  problema  dell'esistenza. 
Alcuni  trovarono  pace  nella  rassegnazione  e  nella 


RODEKTO     imOWMiNG     E     l'  ITALIA  45 

contemplazione  religiosa,  come  il  Manzoni  e  Words- 
\Yorth  —  altri  passarono  alternativamente  dai 
grandi  abbattimenti  agli  ardenti  e  sconfinati  en- 
tusiasmi, come  Schiller,  Victor  Hugo,  Giorgio 
Sand.  Tre  soli  sono  usciti  forti  e  sereni  dall'an- 
tro della  terribile  sfìnge,  e  restarono  calmi,  ope- 
rosi, e  possenti  :  Shakespeare,  Yolfango,  Goethe, 
e  Roberto  Browning. 

La  molteplice  e  sostanziale  opera  poetica  di 
Roberto  Browning  può  dividersi  in  vari  gruppi 
caratteristici.  Poemi  e  poesie  di  carattere  reli- 
gioso, come  Chì'ìstmas-Eve,  Semi,  la  Saisiaz,  A  death 
in  the  Deserf,  Babbi  Ben  Ezra  —  fìlosofìci  e  psico- 
logici, come  Baracelsus,  Sonleììo,  Fìfìne,  The  Blng 
and  the  Book,  —  lirici-drammatici  come  From  Aix 
to  Ghent,  Cristina,  The  lost  Leader — versi  d'amore 
come  Evelyn  Hope,  Love  among  the  Ridns,  By  the 
Fireside,  In  a  Balcony,  In  a  Gondola,  Too  late,  One 
word  more  —  poesie  di  soggetto  artistico,  lette- 
rario, musicale,  come  Old  Pictures  in  Florence,  An- 
drea del  Sarto,  Fra  Lìppo  Lippi,  Pacchiarotto, 
Pictor  ignotus  ;  A  toccata  of  Gcdluppi,  Abt  Vogler, 
Charles  Avison;  Granimarian' s  Funeral,  The  Bishop 
orders  his  Tomb  —  i  piccoli  poemi  drammatici, 
come  The  Flight  of  the  Duchess,  dive,  Ivan  Ivano- 
vitch  —  i  drammi  in  vera  e  propria  forma  dram- 
matica, come  Strafford,  A  blot  on  the  Scutcheon, 
Pippa  passes  —  le  creazioni  puramente  umoristi- 
che, di  un  umorismo  tragico  o  grottesco,  e  sem- 
pre originale  e  possente,  come  the  Heretic's  Tra- 


46  ROBERTO    BROWNING    E    l'  ITALIA 

gedy  ^  Calìban  upon  Setebos  ^  Holy- Cross  Day, 
Mr.  Sludfje  the  Medium. 

Le  parti  più  belle  e  più  sicuramente  durature 
di  quest'opera  colossale,  sono  quella  psicologica 
e  religiosa,  quella  di  argomenti  pittorici  o  musi- 
cali, egli  squisiti  e  profondi  canti  d'amore.  Forse 
la  meno  durevole  è  quella  che  comprende  i  drammi 
destinati  alla  scena.  E  si  spiega.  L' affare  princi- 
pale per  clii  scrive  drammi  per  il  teatro  è  l'azione 
—  il  carattere  umano  già  formato  che  lotta  nel- 
l'azione. L'azione  che  importa  pochissimo  a  Brow- 
ning, importa  moltissimo  al  pubblico  —  indi  i 
disputati  e  incerti  successi  dei  suoi  drammi.  Brow- 
ning intendeva  a  volo  il  drammatico  di  una 
situazione  —  ma  ciò  che  più  lo  preoccupava,  era 
la  remota  origine  della  situazione,  la  formazione 
dei  caratteri,  il  divenire  più  che  1'  essere,  le  forze 
dinamiche  spirituali  che  sono  la  ragione  impul- 
siva del  dramma  umano. 

Un'altra  caratteristi caBrowninghiana,  che  ha 
nociuto  alla  popolarità  di  molte  sue  poesie,  è  una 
curiosa  preferenza  che  il  poeta  ha  sempre  avuta 
per  tipi  umani  singolari,  soggetti  di  casuistica, 
personaggi  di  un  certo  nome  al  loro  tempo,  e 
oggi  affatto  dimenticati.  E  questo  è  uno  dei  prin- 
cipali motivi  della  tanto  rimproveratagli  oscurità. 

Si:  Browning  è  talvolta  oscuro;  perchè  ne- 
garlo? è  il  suo  grave  ed  unico  difetto.  Ma  affret- 
tiamoci a  soggiungere  che  lo  è  solo  talvolta^  e  con 
fortissime  attenuanti.  I  suoi  essenziali  capolavori 
non  sono   oscuri.  Said^   Pi_ppa  passes^   Andrea  del 


ROBERTO    BROWNING    E    l'  ITALIA  47 

Sarto,  n Anello  e  il  Libro,  Evelyn  Ho])e,  Love  among 
the  Rìiins,  Ln  a  Balconi),  Aht  Vogler,  By  the  Fìreside, 
Froìn  Aix  to  Ghent,  Ivan  Ivanovitch,  Olive,  non  son 
più  oscuri  di  una  poesia  di  Tennyson  o  di  Swin- 
burne.  Per  chi  è  avvezzo  a  pensare  leggendo, 
Browning  è  di  rado  oscuro.  E  giustamente  notava 
il  suo  giovine  compagno  d'arte  e  di  gloria  —  Al- 
gernon  Swinburne  —  che  «  accusare  continua- 
mente Browning  di  oscurità  è  presso  a  poco  lo 
stesso  che  accusare  Linceo  di  cecità,  o  lagnarsi 
della  lentezza  del  telegrafo.  Egli  è  troppo  spesso 
i'  opposto  dell'  oscuro  —  è  troppo  luminoso  e  sot- 
tile pei  soliti  lettori  dei  soliti  libri.  Egli  si  muove 
con  una  elettrica  incessante  rapidità,  passando 
dal  centro  alla  circonferenza  di  una  meravigliosa 
tela,  animata  da  un  pensiero  vivente,  tessuta  dal- 
l'inesauribile stoffa  della  sua  percezione,  e  calda 
dell'inesausto  fuoco  della  sua  immaginazione.  Egli 
pensa  sem^^re  a  tutta  carriera;  e  la  velocità  del 
suo  pensiero,  paragonata  a  quella  di  un  altro 
uomo,  è  come  la  corsa  del  vapore  in  confronto  di 
quella  di  un  carro,  o  come  il  volo  del  telegrafo 
paragonato  alla  corsa  del  vapore.  » 

Del  resto,  la  critica  può  discutere  a  suo  pia- 
cere sulla  lucidità  di  linguaggio  con  cui  Brown- 
ing comunicò  all'  Inghilterra  e  al  mondo  il  suo 
eroico  messaggio  di  lotta,  di  coraggio  e  di  gioia. 
Questo  messaggio  si  è  fatto  strada  fra  le  più  com- 
patte tenebre  dei  pregiudizi  religiosi,  sociali,  este- 
tici, e  letterari.  Gli  ci  son  voluti  trentanni  di 
pazienza  e  di  perseveranza  eroica  per  vincere.  Ma 


48  ROBERTO    BROWNING     E     L    ITALIA 

ha  vinto  —  e  ora  splende  sfolgorante  sul  mondo, 
e  come  il  sole,  è  invisibile  soltanto  a  chi  è  cieco, 
o  a  chi  chiude  gli  occhi. 

Quel  che  ho  detto  sulla  relativa  oscurità  di 
Browning  può  dirsi  del  suo  difetto  d'  armonia. 
Browning  è  spesso  aspro  e  duro  perchè  cosi  vuole 
essere,  per  un  estetico  o  etico  motivo  —  mai  per 
impotenza.  Quando  vuole,  è  il  più  melodico  e  sin- 
fonico dei  poeti.  Saul  percorre  tutta  la  gamma 
dei  suoni,  come  una  sinfonia  di  Beethoven  o  una 
partizione  di  Wagner.  La  canzone  sul  Meno,  in 
Paracelso,  è  musicale  come  le  più  musicali  strofe 
di  Coleridge  o  di  Tennyson.  E  quali  note  Belli- 
niane  o  Weberiane  sono  più  dolci  delle  squisite 
melodie  In  a  Gondola  e  Love  among  the  Ruinsf 
Come  in  Dante,  Shakespeare,  e  Victor  Hugo,  una 
suprema  ineffabile  soavità  è  unita  in  Browning 
all'  abituale  forza  sovrana.  Li  forti  dulcedo  —  e 
nella  mascella  del  leone  fu  trovato  il  miele  più 
dolce.  I  poeti  più  forti  sono,  a  momenti,  i  poeti 
più  soavi.  Il  poeta  di  Ugolino  e  di  Capaneo  è  il 
poeta  di  Casella  e  di  Piccarda  ;  il  creatore  di 
Macbeth  e  di  Calibano  è  il  padre  di  Cordelia  e 
di  Ofelia;  Dante  è  più  soave  del  Petrarca  —  Sha- 
kespeare è  più  tenero  di  Racine  —  Victor  Hugo 
e  Roberto  Browning  sono  talora  più  melodici  di 
Lamartine  e  di  Tennyson. 

L'  opera  di  Browning  fu  ingegnosamente  pa- 
ragonata ad  un  grande  edificio  gotico  con  una 
curiosa  e  felice  mistura  di  Rinascimento  italiano. 


ROBERTO  BUOVVNING    E    l/  ITALIA  49 

L'Italia,  un'aura,  un  calore  e  un  colore  italiano 
compeiietra  e  contrassegna  i  venti  volumi  di 
Browning.  Alcuni  dei  suoi  principali  capolavori 
sono  di  origine  o  di  argomento  italiano,  qua 
pensati,  qua  scritti  in  tutto  o  in  parte.  La  nostra 
pittura,  la  nostra  musica.,  il  nostro  Risorgimento, 
rivivono  nelle  maravigliose  pagine  del  poeta. 
Quale  Italiano  non  ha  ammirato  Andrea  del  Sarto, 
Old  Pidures  in  Florence,  A  Grammarian^s  Fune- 
rali —  Christmas  Eoe  fu  in  gran  parte  scritto  a 
Firenze.  Tìie  Ring  and  the  Booh  fu  concepito  in 
quella  fiorentina  Gasa  Guidi  già  illustre  per  il 
poema  della  grande  2)oetessa,  e  memore  ancora 
dei  gemiti  delle  estasi  liriche  di  Aurora  Lelgh,  I 
coniugi  Browning  hanno  ambedue  cantato  l'Ita- 
lia, e  prediletto  Firenze.  Dopo  Firenze,  Venezia 
e  Roma  li  ispirarono.  E  Venezia  vide  morire  il 
poeta  àoiV Anello  e  il  Libro  e  di  Sordello,  come  Fi- 
renze aveva  accolto  l' ultimo  respiro  della  poe- 
tessa di  Aurora  LeigJt,  e  delle  Finestre  di  casa  Guidi. 
Un  vincolo  di  antica  e  viva  simpatia  lette- 
raria lega  la  nobile  Inghilterra  all'Italia.  La 
grande  poesia  britannica  molto  si  giovò  degli 
esempi  dell'arte  nostra,  e  spesso  si  ispirò  alla 
divina  bellezza  della  natura  italiana.  Ma  i  poeti 
inglesi  non  si  mostrarono  ingrati  come  i  più  dei 
francesi  e  dei  tedeschi.  E  splendidi  inni,  e  affet- 
tuosi saluti,  e  sincere  elegìe,  e  ardenti  vaticini  ci 
vennero  d' Inghilterra.  Da  Chaucer  a  Spenser,  da 
Milton  a  Byron,  da  Shelley  a  Swinburne,  è  una 
tradizione  non  interrotta. 

Kexciom.  —  Sciijiji  critici  di  lett.  inglese.  i 


50  ROBERTO    BROWMNfx    E    l'  ITALIA 

Egualmente,  percorrendo  l'intiera  opera  di 
Roberto  Browning,  si  vedrà  che  ispirazione  e 
argomenti  gli  ha  dato  spesso,  si  può. dir  quasi 
sempre  l'Italia.  Le  sue  città  e  le  sue  campagne, 
le  sue  chiese  e  le  sue  ruine,  i  suoi  dolori  e  le 
sue  speranze,  furon  da  lui  costantemente  can- 
tate. Come  egli,  ami  la  terra  che  lo  ispirò,  lo 
provano  le  sue  lunghe  dimore  fra  noi,  e  1'  ac- 
cento commosso,  quasi  d'amante,  con  cui  egli 
parla  del  nostro  caro  paese.  «  Apritemi  il  cuore, 
e  vi  leggerete  inciso  ltalia\  »  Così  egli  esclama 
in  una  delle  sue  più  belle  poesie.  E  negli  anni 
amari  in  cui  il  soldato  austriaco  strascinava  la 
sciabola  vittoriosa  per  le  vie  delle  nostre  città, 
egli  non  che  disperare  delie  nostre  sorti,  o  insul- 
tarci come  altri  poeti  stranieri,  imprecò  ai  nostri 
oppressori,  sperò,  e  vaticinò  la  unità  e  la  indi- 
pendenza d'Italia. 

Ciò  che  è  veramente  nordico  e  di  germa- 
nica origine  nei  poemi  di  Browning,  è  la  pro- 
fonda meditazione,  l'analisi,  e  la  serena  e  impar- 
ziale obbiettività.  Per  vederlo  at  liis  hest  in  questa 
straordinaria  sua  facoltà,  basta  considerare  quel 
poema  unico  nel  suo  genere,  L^ Anello  e   il    Libro. 

E  quel  che  dissi  dei  personaggi  àeìV Anello  e 
il  Lihroj  è  egualmente  applicabile  a  tutti  o  quasi 
tutti  i  j^ersonaggi  dell'intiera  opera  drammatica, 
lirica  ed  epica  di  Roberto  Browning. 

Del  costante,  inalterato,  e  doppiamente  sacro 
amore  di  Browning  per  la   grande  poetessa  che 


ROBEnio  r,no\vNi>'G  e  l'italiv  51 

gli  fu  moglie  amante  per  quindici  anni  felici,  tro- 
viamo splendide  e  toccanti  tracce  in  tutta  l'opera 
di  lui.  Mi  basti  ricordare  By  the  Fireside^  One 
word  7ìiore,  Prospice^  e  la  patetica  apostrofe  alla 
diletta  morta,  nel  primo  volume  del  lite  R'uig 
and  the  Book: 

«  0  lyric  Love,  half-angel  and  half-birrl 
«  And  ali  a  wonder  and  a  wild  desire....    > 

die  rispondono  degnarne ute  ai  passionati  accenti 
che  ella  gli  aveva  consacrati  nei  Sonetti  dal  Porto- 
ghese. 

I  coniugi  Browning,  come  ho  già  detto,  su- 
bito dopo  il  loro  matrimonio,  visitaron  l'Italia, 
e  si  stabilirono  definitivamente  a  Firenze.  Essa 
cliiama  infatti  Fiorentine  il  suo  unico  figlio;  e 
adorò  Firenze,  la  sua  storia,  la  sua  arte,  i  suoi 
monumenti,  le  sue  colline.  La  scena  del  sublime 
ultimo  libro  di  Aurora  Leigh  è  a  Bellosguardo. 
E  la  poetessa  venne  a  morire  in  Firenze,  e  in  Fi- 
renze volle  esser  sepolta.  Il  marito,  e  in  iscritto 
ed  a  voce,  e  in  vita  e  nell'agonia,  espresse  il  de- 
siderio, la  volontà,  che  la  sua  salma  fosse  deposta 
accanto  a  quella  di  lei  —  che  le  sue  ossa  rispo- 
sassero accanto  a  quelle  della  sua  donna-an- 
gelo, nel  cimitero  evangelico  di  Porta  a  Pinti,  in 
Firenze.  Ed  era  davvero  augurabile  che  il  voto 
del  poeta  fosse  religiosamente  obbedito  e  com- 
piuto. Firenze  avrebbe  aggiunto  questa  duplice 
tomba  al  numero  delle  sue  molteplici  attrattive. 
Sarebbe  stata  la  meta  di  un  poetico  ]3ellegr inaggio, 


52  ROBERTO    BROWNING    E    L' ITALIA 

come  in  Roma  la  tomba  gemella  di  Shelley  e  di 
Keats  sotto  la  piramide  di  Caio  Cestio. 

E  deplorabile  che  ciò  non  sia  stato  —  che 
ciò  non  possa  più  essere! 

Il  cimitero  di  Porta  Pinti  era  ormai  chiuso 
per  inesorabile  legge.  Fu  inve^^.e  proposto  di  tra- 
slocare la  salma  della  poetessa  nel  nuovo  Cimitero 
Evangelico  di  Firenze,  e  far  venire,  e  deporvi 
insieme  il  cadavere  del  poeta.  Intanto  alcuni  amici 
di  Browning,  Italiani  ed  Inglesi,  si  adoperavano 
-per  remuover  l'ostacolo,  e,  facendo  eccezione  per 
tanto  uomo,  ottenere  di  inumarlo  nel  vecchio  ci- 
mitero, senza  disturbare  le  ossa  della  sepolta 
poetessa. 

Stando  le  cose  a  questo  punto,  telegrammi 
da  Londra  espressero  al  figlio  di  Browning  il  de- 
siderio e  l'invito  del  popolo  inglese  di  accogliere 
il  gran  poeta  nel  Pantheon  d'Inghilterra,  nell'ab- 
bazia di  Westminster. 

Primi  iniziatori,  Bradley,  decano  di  West- 
minster, Lord  Tennyson,  Algernon  Swinburne 
—  e  con  essi  tutta  Inghilterra,  dalla  regina  Vit- 
toria all'ultimo  dei  Britanni.  E  il  figlio  accon- 
sentì —  e  si  preparano  in  Londra  nazionali  ac- 
coglienze e  splendidi  funerali  al  grande  poeta. 

Ma  il  suo  voto  costante  e  supremo? 

Non  resta  ormai  che  un  mezzo  solo  per  adem- 
pierlo. E  lo  dirò  con  le  parole  che  James  Knowles 
ha  diretto  all'editore  del  Times: 

«  Ci  viene  scritto  oggi  d'Italia  che  sarebbe 
possibile  di  rimuovere  le  reliquie    della   signora 


nOP.KliTO    DROWNING    E    l'  ITALIA  53 

Browning  dal  loro  posto  attuale,  affinchè  potes- 
sero riposare  accanto  a  quelle  di  suo  marito.  Se 
così  è,  perchè  non  trasportarle  all'Abbazia  di 
Westminster  e  così  esaudire  il  desiderio  del  poeta 
morente  di  essere  deposto  nella  stessa  tomba  con 
la  sua  moglie? 

«  Le  autorità  italiane  aiuterebbero  certa- 
mente un  sentimento  cosi  naturale  di  inglese 
pietà,  e  una  debita  e  gloriosa  addizione  sarebbe 
fatta  alle  tombe  dei  nostri  poeti.  » 

Infatti  Elisabetta  Barrett  Browning  ha  diritto 
quanto  Roberto  Browning  di  riposare  nel  Pan- 
theon Inglese.  Essa  è,  dopo  l'unica  SatFo,  la  più 
grande,  anzi  la  sola  veramente  grande  poetessa, 
d'Inghilterra  e  del  mondo. 

{iSuova  Autoìixj'ui,  1  gcijuaiu  18U0.) 


54 


AURORA  LEIGH 


POEMA    DI    ELISABETTA    BARRET    BROWNING 


Rileggendo  questo  poema  di  Elisabetta  Bar- 
rett  Browning,  la  più  grande  poetessa  dell'età  mo- 
derna, anzi  la  sola  veramente  grande  dopo  l'unica 
Saffo,  e  sola  paragonabile  ai  più  insigni  poeti; 
rileggendo,  dico,  questo  libro  nel  quale  la  più 
schietta  poesia  dipinge  anclie  le  umili  realtà  della 
vita,  senza  falsarle  trasfigurandole,  e  senza  mai 
divenire  volgare;  questo  poema  nel  quale  la  vita 
contemporanea  è  rappresentata  in  tutte  le  sue  e- 
spressioni,  dove  il  dialogo  ha  l'arguta  finezza  di 
Thackera^^  e  la  descrizione  l'esattezza  di  Balzac, 
e  dove  pur  non  è  un  verso  che  non  rifletta  un 
raggio  di  poesia;  ho  creduto  che  un  esame  critico 
di  questo  capolavoro  potrebbe  oggi  riuscire  at- 
traente e  opportuno:  e  a  ciò  mi  ha  anche  confor- 
tato il  pensiero  che  su  Aurora  Leigli,  poema  di  ar- 
gomento in  gran  parte  italiano  e  per  i  caratteri  e 
per  il  paesaggio,  nessuno  in  Italia  (che  io  sappia) 
ha  mai  scritto  un  rigo;  e  non  ne  è  stato  tradotto 
un  sol  verso. 


AUROriA   LEKill  5D 

Comincio  dunque,  senza  preoccupare  il  let- 
tore con  altre  considerazioni,  con  l'analisi  del 
poema,  traducendo  via  via,  quasi  letteralmente,  i 
gruppi  di  versi  che  mi  sembrino  più  notevoli  e 
caratteristici.  Esporrò  quindi  alcune  mie  riflessioni 
ed  osservazioni  sull'autore  e  sull'opera  :  e  il  lettore 
che  avrà  avuto  almeno  una  pallida  idea  del  poema, 
potrà  con  cognizione  di  causa  e  con  criterio  pro- 
prio, giudicare  il  libro  e  discuterne  l'apprez- 
zamento. 

Aurora  Leigh  è  nata  a  Firenze  di  padre 
inglese  e  di  madre  italiana.  La  madre  mori  gio- 
vanissima, e  alla  bambina  mancaron  cosi  le  prime 
e  più  soavi  carezze;  le  carezze  materne.  «Ah,  il 
mio  cuore  sentiva  profondamente  la  mancanza 
d'una  madre,  e  mi  trovavo  nel  mondo  come  un 
agnello  restato  fuor  dell'ovile,  che  bela  lasciato 
solo  nel  buio  della  notte;  inquieta  come  un  uc- 
cellino abbandonato  nel  nido  e  che  trema  per 
qualche  cosa  che  non  cajDÌsce  ma  che  sente  man- 
cargli.... Io,  Aurora  Leigh,  ero  nata  per  rendere 
più  triste  mio  padre,  e  me  non  troppo  lieta  dav- 
vero.... Le  madri  sole  conoscono  il  modo  di  alle- 
vare i  bambini,  hanno  certe  maniere  semplici  e 
teneramente  graziose  di  attaccare  una  cintura,  di 
accomodare  delle  scarpette,  di  trovare  delle  parole 
adorabili  che  non  sembran  dir  nulla,  di  metter 
con  un  bacio  un  senso  profondo  in  parole  priv- 
di  senso.  » 

Aurora  nella  sua  prima  giovinezza  resta  eor 


5G  AURORA  LEIGII 

fana  anche  del  padre,  ed  è  mandata  a  vivere  iu 
casa  di  una  zia,  in  Inghilterra.  La  giovinetta  sente 
questo  improvviso  e  brusco  passaggio  dalla  luce 
italiana  alla  nebbia  di  Londra,  con  un  senso  di 
vivo  rammarico.  «  È  questa,  diceva,  è  questa  l'In- 
ghilterra del  padre  mio,  la  gloriosa  e  superba 
isola?  Ma  è  possibile  vivere  in  queste  squallide 
case  rosse  involte  nella  nebbia  e  nella  fuliggine? 
A  Londra  il  cielo  stesso  mi  parve  basso  e  positìuoj 
come  se  si  potesse  toccar  con  la  mano,  tanto  poco 
somigliava  al  celeste  cristallo  del  palazzo  di 
Dio....  » 

Arriva  alla  casa  paterna,  ed  è  accolta  con 
calma  benevolenza  dalla  buona  e  rigida  zia:  vero 
tipo  di  vecchia  zitella  inglese,  disegnato  magi- 
stralmente, ritratto  fisico  e  morale  che  non  si  di- 
mentica più.  «  Mi  venne  incontro  calma  e  dritta, 
vestita  tutta  di  nero,  a  darmi  la  mano.  La  fronte 
un  po' angusta,  i  capelli  strettamente  raccolti, 
quasi  a  reprimere  ogni  pericoloso  capriccio  del 
pensiero;  naso  aguzzo  ma  di  delicato  profilo;  una 
bocca  dalle  labbra  strette  e  sottili,  con  qualcosa 
d'amaro  agli  angoli,  quasi  segno  di  amori  non 
corrisposti;  occhi  di  nessun  colore,  che  forse  una 
volta  aveaii  potuto  sorridere,  ma  che  mai,  oh  mai, 
non  si  erano  dimenticati  in  quel  sorriso;  guance 
nelle  quali  era  ancora  una  rosa  di  morte  estati, 
come  una  rosa  in  un  libro,  serbata  più  per  pietà 
che  per  piacere,  che  se  non  può  più  fiorire,  non 
può  nemmeno  appassire  di  più....  Tutta  la  sua 
vita  si  era  usata  noiosamente,  in  occupazioni  te- 


AunonA  i.Kiriii  57 

diose  e  in  virtà  inutili;  e  simile  a  un  uccello  in 
gabbia,  nato  in  gabbia,  e  che  s'immagini  che  l'ul- 
timo termine  della  feliciiè  ppr  qualunque  uccello 
sia  di  saltare  da  una  stecca  all'altra  e  di  beccar 
tutti  i  giorni  lo  stesso  miglio,  essa  non  sospettava 
neppure  che  l' esistenza  umana  potesse  avere  altro 
modello  o  altra  forma  che  la  decenza  sociale....  » 

La  vita  che  Aurora  conduce  in  campagna,  in 
casa  della  zia,  l'educazione  e  gli  studi,  i  regola- 
menti e  i  programmi,  l'ordine  monastico  nella  di- 
visione e  suddivisione  delle  ore,  non  spengono  in 
lei  il  nativo  focolare  di  poesia  e  di  entusiasmo. 
Essa  resiste  a  queste  influenze  deprimenti,  grazie 
alle  sue  continue  relazioni  con  l'invisibile,  con 
l'ideale;  e  poi  essa  ama  e  ammira  la  natura;  e  in 
ogni  passeggiata  campestre,  in  ogni  mazzo  di  fiori, 
in  ogni  bel  tramonto,  in  ogni  notte  stellata,  essa 
trova  una  consolazione  e  una  rivelazione.  In  quella 
specie  di  convento  protestante,  essa  riceve  dalla 
natura  il  calore  necessario  alla  vita  dell'intelletto 
e  del  cuore;  come  la  terra  che  anche  dove  son 
tenebre  sente  nelle  sue  viscere  il  fuoco  del  sole,  o 
come  il  bambino  che  al  buio  trova  con  sicurezza 
la  mammella  materna.... 

Romuey  Leigh,  cugino  di  Aurora,  viene  spesso 
a  farle  visita  e  a  discutere  con  la  bella  cugina  di 
argomenti  scientifici  o  letterari,  e  più  volentieri 
di  tesi' religiose  e  sociali.  Ambedue  hanno  mente 
e  cuore  elevati  e  passionati,  ma  vagheggiano  am- 
bedue un  differente  ideale,  e  mirano  a  un  diverso 


TjS  aurora  LEIGH 

scopo  nella  vita.  L'intimità  giorn'^I^éra  fa  loro 
meglio  sentire  le  differenze  che  li  separano. 
Aurora  è  un  poeta  J':;i co.  un  artista  entusiasta, 
che  ha  gli  occhi,  oi  all'oriente  ed  agli  astri; 
E-omney  guar-vk  alla  terra,  ai  dolori  ed  al  sangue, 
alle  plebi  '^offrenti,  alle  iniquità  impunite,  ai  de- 
litti J^gali  che  affliggono  e  disonorano  la  società 
umana.  Egli  vorrebbe  riconciliare  le  classi  ne- 
miche, fare  un  apostolato  di  fraternità,  di  lavoro, 
di  pace:  è  insomma  quel  che  i  filistei  chiamano 
un  pazzo,  un  utopista,  una  testa  pericolosa.  C'è 
in  lui  un'eco  di  Saint-Simon,  di  Fourier,  di  La- 
mennais  e  di  Leroux. 

Romne}^  chiede  la  mano  di  Aurora,  ed  essa 
rifiuta.  «  Siate  il  mio  sostegno,  egli  le  dice,  nella 
lotta  che  imprendo  a  favor  delle  classi  diseredate: 
aiutatemi  nella  mia  opera  santa.  »  —  «  Ciò  che  voi 
amate,  o  Romne}^,  non  è  una  donna,  ma  una  cau- 
sa. Avete  già  una  moglie  che  amate,  la  vostra 
teoria....  Io  non  sono  abbastanza  rassegnata  per 
diventare  la  cameriera  di  una  sposa  legittima. 
Ho  io  forse  l'aria  di  un'Agar?  » 

L'amore  che  sarebbe  stato  il  conciliatore,  il 
divino  dialettico  di  queste  due  nobili  anime,  è 
bandito  da  un  doppio  concetto  sofistico.  Sbagliano 
tutt'e  due:  e  con  che  lunghe  agonie  espieranno 
quest'errore  fatale!  Aurora  non  troverà  mai  né 
schietta  gioia  né  pace  nei  suoi  entusiasmi  egoi- 
stici e  solitari  di  pura  artista,  e  il  suo  cuore  si 
consumerà  nel  culto  di  vane  astrazioni,  e  di  so- 
vrumane affezioni.  Invece  di  stendere  le  sue  mani 


AURORA   li:  10 II  50 

di  donna  e  scaldarle  al  fuoco  della  vita  comune, 
essa  non  pensa  che  al  fuoco  di  Prometeo  o  ai  ba- 
gliori lontani  del  fulmine.  Vuole  l'ideale,  e  lo  di- 
sdegna quando  sotto  forma  reale  le  è  al  fianco. 
Sorride  sempre  di  ciò  che  sogna,  e  piange  sempre 
di  ciò  che  possiede.  Romney  dal  canto  suo  si  ac- 
corgerà a  p:'oprie  speie  che  la  carità  la  quale  si 
limita  a  soddisfare  i  materiali  bisogni  e  non  vuol 
guardare  più  in  là,  che  non  è  guidata  da  uno 
scopo  superiore,  merita  appena  il  nome  di  virtù, 
e  può  far  male  con  intenzione  di  bene 

La  confessione  d'amore  è  stata  fatta  in  una 
splendida  giornata  di  giugno,  quando  la  verde 
campagna  inglese  è  in  tutta  la  sua  freschezza  e 
in  tutta  la  sua  fragranza.  Ma  la  ragione,  o  ciò  che 
essi  chiamano  cosi,  parla  più  forte  dei  loro  cuori. 
Non  si  erano  intesi  finora,  e  non  s'intendono  in 
questo  momento  supremo.  Egli  rimane  triste,  e 
sembra  provare  un  amaro  compiacimento  e  fare 
una  indiretta  vendetta,  descrivendo  alla  bella  idea- 
lista i  veri  reali  affanni,  che  piovono  fitti  e  finora 
inevitabili  sulla  povera  società  umana....  «  Ma  gli 
uccelli  cantavano  fra  le  nuove  foglie  degli  olmi, 
e  io  arrestandomi  e  mostrando  a  dito  tutta  la  pa- 
storale campagna  d'intorno,  notai  a  Romney  che 
comunque  andassero  le  cose,  i  merli  e  i  rosignoli 
cantavano  ancora....  e  come  estatica  dinanzi  a 
tanta  bellezza,  gli  parlai  con  entusiasmo  della 
circostante  campagna  —  e  tutto  ebbe  allora  un 
inno  dalle  mie  labbra:  il  cielo,  le  nuvole,  i  campi,  le 
felici  violette  ohe  rifuggono  dai  battuti  sentieri, 


co  AURORA   LEIGII 

le  pratoliue  che  vi  si  affollano  a  spiegare  il  loro 
vivo  oro,  le  siepi  intricate  dove  le  vacche  frugano 
con  corna  impazienti,  e  con  mansuete  bocche  ru- 
minano fra  i  rami  stillanti;  giardini  fioriti  e  vi- 
venti, popolati  di  uccelli  e  di  grandi  farfalle  bianche 
che  sembrano  fiori  di  maggio  volanti  e  palpitanti 
nell'aria:  colline,  valli,  boschi  velati  da  argenteo 
vapore,  ville,  cascine  sparse  tra '1  verde;  e  mandre 
pascenti  nelle  irrigue  vallate,  e  strisele  sottili  di 
fumo  salenti  dalle  capanne  dei  boschi,  e  odore 
diffuso  dagli  orti,  e  fragranze  spiranti  dai  po- 
mari.... Guardate,  gli  gridai,  come  tutto  è  bello  e 
non  mi  dite  più  che  per  i  poveri  non  c'è  altro  al 
mondo  che  disperazione  e  miseria.  Guardate!  e 
saltando  dove  l'erba  alta  mi  arrivava  ai  ginocchi, 
battei  le  mani  dall'allegrezza.  » 

E  si  separano  apparentemente  tranquilli:  in 
fondo  tristi  ambedue;  e  questa  serena  scena  ru- 
rale, questa  felice  campagna  inglese,  sarà  poi  ri- 
cordata e  meditata  con  rammarico  e  lagrime,  sarà 
rievocata  da  ambedue  sotto  il  grigio  cielo  di  Pa- 
rigi, e  fra  i  roseti  di  Bellosguardo.  Quella  cam- 
pagna, in  quella  giornata  di  giugno,  rimarrà 
consacrata  nella  loro  memoria  come  una  specie 
di  Valchiusa,  di  Meillerie,  o  di  Pamplemousse. 

Cosi  ambedue  amando,  ma  preferendo  qualche 
altra  cosa  alla  persona  amata,  ofifesero  l'amore  e 
l'eterne  sue  leggi,  e  ambedue  furon  puniti. 

La  zia  è  morta,  e  Aurora  prosegue  la  sua 
chimera  di  viver  sola  e  solamente  per  l'Arte.  Ot- 


AURORA   LEIGII  Ul 

tiene  mia  certa  celebrità  letteraria  ma  a  costo  di 
quali  dolori,  di  quali  sacrifizi,  e  a  che  prezzo  pa- 
gata! "Romney  nelle  tempeste  della  vita  politica 
e  nelle  lotte  sociali,  diventa  oratore  famoso,  fonda 
falansteri^  scrive  opuscoli  di  battagliera  filantropia; 
ma  le  disillusioni  non  gli  mancano,  sente  un 
vuoto  che  nulla  può  riempire,  è  solo  tra  le  folle 
irrequiete  di  Parigi  e  di  Londra. 

Ma  la  condizione  della  povera  Aurora  è  anche 
più  dolorosa.  Lavorava,  lavorava  giorno  e  notte^ 
infaticabilmente,  con  una  mano  per  i  librai,  con 
l'altra  per  l'Arte  e  per  sé.  Imparò  che  in  Lighil- 
terra  (e  pur  troppo,  cara  Aurora,  anche  in  Italia 
ed  in  Francia  e  in  Germania  nessuno  può  vivere 
scrivendo  versi  degni  di  vita  :  talché  serbando  la 
poesia  come  un  lusso,  consacrò  gran  parte  del 
giorno  a  scrivere  in  prosa  per  riviste  e  giornali. 
Ma  se  lo  scriver  prosa  l'annoia,  nemmeno  i  versi 
le  sono  sufficiente  conforto;  la  donna  piange  nel- 
l'artista; e  le  sfugge  talora  un  grido  dal  cuore, 
un  grido  femminino  che  arriva  all'anima  e  strappa 
le  lacrime:  — Mio  Dio!  mio  Dio!  o  supremo  artista, 
che  in  compenso  di  tutte  le  maravigiiose  bellezze 
della  tua  opera  non  ci  domandi  che  una  parola, 
che  un  nome — padre  nostro!  oh,  tu  solo  sai 
quanto  sia  terribile  alle  povere  donne  la  solitu- 
dine presso  un  focolare  silenzioso  nelle  lunghe 
sere  d'inverno,  quanto  è  amaro  per  noi  sentir 
l'eco  lontana,  troppo  lontana,  delle  voci  umane 
che  lodano  i  nostri  scritti,  il  nostro  vivo  sentimento 
dell'amore  e  l'abbondante  passione  del  nostro  cuore 


0^  AlT.'irìA  LEIGII 

.di  donna,  del  nostro  cuore,  die  non  potrebbe  palpi- 
tare nei  nostri  versi  siccome  fa,  se  non  fosse  anche 
presente  sulle  nostre  labbra  prive  di  baci,  e  nei 
nostri  occhi  bagnati  di  lacrime  che  nessuno  ra- 
sciuga, poiché  non  vi  è  alcuno  vicino  a  noi  che 
ci  domandi  perchè  son  bagnati....  E-estar  qui  sola, 
assisa  presso  uno  scrittoio,  e  pensare  per  unica 
consolazione,  che  in  questa  stessa  sera  degli 
amanti  fidanzati,  leggendo  in  un  medesimo  libro, 
appressando  i  lor  volti,  e  attenti  al  palpito  ed  al 
respiro  l'uno  dell'altro,  leggeranno  qualcuna  delle 
nostre  pagine,  e  si  fermeranno  con  un  leggiero 
fremito  (come  se  le  loro  gote  si  fosser  toccate) 
quando  qualche  strofa  rispondendo  allo  stato 
della  lor  anima  farà  dir  loro:  «  Cosi  io  sento  per 
te....  —  Ed  io  per  te.  Oh,  come  questo  poeta  co- 
nosce bene  che  cosa  è  amore!  » 

La  Browning  non  è  forse  mai  così  gran  poeta, 
come  quando  si  palesa  cosi  intensamente  donna. 

Lady  Waldemar,  donna  di  carattere  passio- 
nato e  violento,  di  una  tenace  volontà,  e  di  una 
spaventosa  indifferenza  nella  scelta  dei  mezzi  per 
arrivare  al  suo  intento,  s'innamora  di  Romney. 
Tenta  sulle  prime  di  resistere  alla  invadente  pas- 
sione quando  s'accorge  che  non  è  corrisposta;  ma 
invano.  Xon  le  sfugge  che  ogni  giorno  più  Romney 
si  affeziona  a  Marian  Erle,  una  giovane  popolana 
da  lui  protetta  e  salvata  dal  doppio  inferno  della 
corruzione  e  della  miseria.  Lady  Waldemar  riesce 
ad  avvicinare  Aurora,  appena  sa  che  è  cugina  di 


AURORA   LKIGII  03 

Eomney,  e  la  fa  confidente  del  suo  amore  e  della 
sua  umiliazione.  Un  sentimento  misto  di  sorpresa, 
di  dolore,  di  sospetto,  di  gelosia,  tormenta  il 
cuore  di  Aurora.  Vuol  conoscere  Marian.  La  va  a 
trovare:  non  può  a  meno  di  ammirarne  la  rara 
bellezza,  l'espressione  affettuosa  dello  sguardo,  la 
malinconia  dei  rari  sorrisi  e  la  musicale  dolcezza 
della  voce.  Il  primo  incontro  delle  due  donne  è 
di  un  effetto  drammatico.  Marian  racconta  ad 
Aurora  la  dolorosa  sua  storia  —  tanto  dolorosa, 
che  ciò  che  da  altre  infelici  è  riguardato  con  una 
specie  di  terrore,  lo  spedale,  per  lei  fu  il  solo  luogo 
di  refugio,  di  riposo  e  di  pace:  un'ora  di  tregua 
e  di  grazia  dopo  le  spietate  tempeste,  dopo  tanti 
fisici  e  morali  dolori. 

Fu  deposta  allo  spedale  affranta  dal  dolore, 
dalla  stanchezza,  dalla  febbre  —  si  addormentò 
in  un  profondo  e  lungo  letargo  —  e  quando  si 
destò  «  quel  luogo  le  j^arve  nuovo  e  strano  come 
la  morte.  I  bianchi  stretti  letti,  accanto  ad  altri 
stretti  e  bianchi,  come  tombe  scavate  l'una  accanto 
all'altra  a  misurate  distanze;  quelle  persone  tran- 
quille che  camminavano  su  e  giù  pei  corridoi,  par- 
lando sotto  voce  e  camminando  adagio,  e  mostra- 
vano, egual  cura  per  tutti;  l'ordine,  il  silenzio,  la 
regola,  la  stupefecero  sulle  prime.  E  quando  una 
mano  gentile  le  porse  una  tazza,  la  prese  quasi 
devotamente,  fra  lo  stupore  e  la  commozione  — 
non  essendo  mai  stata  avvezza  nemmeno  a  quel 
simulacro  d'amore  che  è  la  benignità  e  la  dolcezza 
dei  modi.  Delicate  bevande,  pane  fino  e  bianco,  a 


04  AURORA  LEIGIl 

cui  guardavano  talvolta  dagli  altri  letti  occhi  di 
moribondi,  la  riebbero  un  poco.  Essa  giaceva  là, 
quieta,  come  in  un  sogno,  e  desiderava,  nei  mo- 
menti in  cui  era  più  consapevole  e  desta,  di  non 
guarir  mai,  se  la  malattia  sola  faceva  mite  e  pie- 
tosa la  gente,  l'ambiente  tranquillo,  e  il  cuore  pa- 
cificato. E  allora  richiudeva  le  palpebre,  incrociava 
le  mani  sul  petto,  e  godeva,  cosi  distesa,  di  un 
inefFabil  riposo.  » 

Romney  l'ama,  propone  sposarla;  tutto  è  fis- 
sato pel  di  delle  nozze,  e  in  quel  giorno  stesso 
Mari  ari  fugge  da  Londra.  Lady  Waldemar  è  riu- 
scita a  persuadere  all'infelice  che  Romney  la 
sposava  per  impegno,  e  che  non  sarebbe  stato 
mai  felice  con  lei.  Aurora  e  Marian  s'incontrano 
a  Parigi,  e  di  là  Aurora  scrive  a  Lady  Waldemar 
una  terribile  lettera,  in  cui  ogni  parola  è  un  bot- 
tone di  fuoco.  Prende  con  se  la  credula  e  generosa 
Marian  Erle,  e  torna  in  Italia,  a  Firenze,  ad  abi- 
tare sui  memori  colli  di  Bellosguardo. 

Là  risente  la  benefica  e  calmante  influenza 
della  campagna.  Un  fondo  di  poesia  rurale,  vir- 
giliana e  v^ordsworthiana,  consacra  le  pagine  di 
Aurora  Leigh. 

—  «  Ripresi  il  tenore  di  vita  degli  antichi 
miei  giorni,  con  tutti  i  loro  toscani  piaceri  ormai 
usati  e  guasti;  come  un  perduto  volume  lasciato 
fra  l'erba  alta  in  una  felice  ora  pomeridiana  d'e- 
state, che  leggemmo  in  compagnia  di  un  amico 
diletto,  e  che  ritroviamo  in  autunno,  quando  l'a- 
mico è  partito,  l'erba  falciata,  cambiata  la  stagione. 


AURORA   I.FJCFI  05 

e  lo  guardiamo  attoniti  e  addolorati....  Riconobbi 
gli  uccelli  vari  di  piume  e  di  canto,  e  i  vari  insetti 
che  sembrano  figli  dei  fiori  ed  emuli  dei  loro  co- 
lori; riconobbi  l'alato  insetto  notturno  dalle  grigie 
ali  che  sembran  tanto  pesargli,  e  le  farfaìle  dal- 
l'ali azzurre  macchiate  di  rossa  brace  che  paiono 
bruciare  e  forare  l'aria  là  dove  volano;  le  melo- 
diose assiòle  dal  monotono  lungo  malinconico  ge- 
mito (se  la  musica  avesse  una  nota  soia,  e  fosse 
triste,  suonerebbe  cosi);  e  il  silenzioso  turbinìo 
dei  pipistrelli  che  van  disegnando  nell'aria  la 
grande  circonferenza  di  qualche  invisibile  cupola; 
e  i  rosignoli  che  rapiscono  in  estasi  i  nostri  cuori 
e  fanno  della  terra  un  soggiorno  etereo  e  divino.... 
Le  biscie  innocenti,  le  rane  dalla  larga  bocca,  ru- 
morose lodatrici  dei  loro  stagni,  le  lucertole,  verdi 
lampi  sulle  muraglie,  le  quali  se  sedete  immobile 
e  trattenete  il  respiro,  vi  fan  l'onoro  di  prendervi 
per  una  pietra,  e  vi  guizzano  familiarmente  sui 
piedi,  guardandovi  con  quei  loro  occhi  prodigiosi 
in  cosi  piccole"  teste...  insomma  tutti  gli  aspetti, 
tutte  le  voci  della  natura,  mi  riparlarono  ai  sensi 
ed  all'anima.  »  — 

Tristi  ambedue,  sopravviventi  a  si  lunghe 
prove,  a  si  amare  delusioni,  affranti  ma  non  sco- 
raggiti, perchè  in  fondo  dell'anima,  e  quasi  senza 
osar  confessarselo,  sempre  amanti  Romne}^  ed 
x\urora  s'incontrano,  si  parlano,  si  spiegano,  si 
amano,  e  la  loro  tarda  felicità  trabocca  nelle  cin- 
quanta ultime  pagine  del  poema  in  una  vera  estasi 

Xencioni.  —  Safjiji  critici  di  lai.  in^lrsc.  o 


06  AUI'.OIIA    LLIGII 

lirica.  Sul  valore  supremo  di  quest'ultima  parte 
del  libro  i  critici  più  severi  d'IngLilteira  e  di 
America  non  liarno  che  parole  di  entusiasmo.  Un 
insigne  critico  francese,  il  Monlégut,  di.?se  che  sor- 
passano in  accento  passionato  tutto  quel  che  è 
stato  scritto  dopo  la  morte  di  Byron.  Leigh  Hunt 
le  dichiarò  pubblicamente  pagine  uniche,  stupende, 
immortali.  Il  Rossetti  scrisse:  non  vi  è  nulla  di 
superiore  alla  conclusione  di  Aurora  Leigh.  Il  Taine 
affermò  che  dopo  venti  letture  la  trovava  sempre 
più  bella.... 

Ma  è  difficile  darne  un'idea  esatta,  con  un 
semplice  estratto.  Mi  limito  a  tradurre  gli  ultimi 
versi,  là  dove,  confessato  il  mutuo  amore  e  i  reci- 
proci errori,  i  due  amanti  confondono  i  loro  baci 
e  le  loro  lacrime. 

Ai  rimproveri  che  Romne}^  fa  a  sé  medesimo 
di  avere  guardato  la  vita  e  la  società  soltanto  dal 
lato  materiale  e  meccanico,  di  aver,  troppo  di- 
menticato gli  astri  del  cielo  nella  sua  pietà  per  i 
vermi  della  terra,  Aurora  risponde  confessando  di 
aver  errato  anche  più.  «  Voi  volevate,  gli  dice, 
salvare  gli  opjiressi  e  i  soffrenti,  redimer  le  plebi 
con  degli  espedienti  puramente  mondani,  e  vedendo 
solo  la  metà  dei  loro  mali  e  dei  loro  bisogni;  ma 
senza  mai  occuparvi  del  vostro  personale  interesse. 
Foste  di  una  ammirabile  abnegazione,  e  viveste 
nella  illusione  del  bene  altrui,  non  nell'egoismo 
dell'amor  proprio.  Ma  io  che  vedevo  la  natura 
umana  nel  suo  duplice  aspetto,  comprendendo 
anche  l'anima,  tradii  l'arte  per  falso  amore  del- 


AUROHA   LFAClì  G7 

l'arte,  e  rovinai  la  mia  vita,  e  avvelenai  la  vostra. 
Sulle  traccio  di  un  orgoglioso  ideale,  dimenticai 
che  da  una  donna  imperfetta  non  può  sorgere  ar- 
tista perfetto.  Come  il  fiore  dalla  radice,  cosi  Io 
spirituale,  nella  vita  e  nell'arte,  non  può  derivare 
che  dal  naturale.  La  immagine  di  Dio  fu  fatta  con 
un  pugno  di  terra:  la  povera,  da  me  spregiata 
terra,  la  salubre  e  odorifera  terra,  perdendo  la 
quale  perdei  il  divino  alito  della  ispirazione,  il 
soffio  che  crea,  e  l'arte  vera.  xHi,  l'arte  è  molto, 
ma  l'amore  è  qualche  cosa  di  più.  L'arte  simbo- 
lizza il  cielo,  ma  l'amore  è  Dio,  e  il  cielo  è  crea- 
tura di  Dio.  Ebbi  il  pazzo  orgoglio  di  non  volere 
essere  una  donna  come  le  altre,  e  ne  fui  punita. 
Non  volli  essere  la  semplice  donna  che  crede  nel- 
r  amore,  e  ne  riconosce  i  diritti,  perchè  ama,  e 
sapendosi  amata,  si  sente  felice:  io  volli  discutere, 
analizzare,  ragionare  l'amore,  come  una  farfalla 
che  rifiutasse  di  volare  e  scaldarsi  al  sole,  finché 
non  è  la  canicola....  Me  sciagurata!  il  primo  raggio 
d'aprile  mi  parve  troppo  piccola  e  povera  cosa, 
ed  ebbi  invece  le  vampe  micidiali  e  le  sabbie  aride 
e  brucianti  del  deserto.  L'ho  meritato,  Romne}^, 

l'ho  meritato 

Le  lacrime  mi  velaron  la  vista  e  più  non  vedevo 
il  suo  volto.  Fui  io  che  m'inclinai  sul  suo  petto, 
0  furon  le  sue  braccia  che  mi  ci  strinsero?  Le  mie 
gote  eran  calde  e  inondate  dalle  mie  o  dalle  sue 
lacrime?  e  quale  dei  nostri  due  cuori  sussultava  e 
mi  scuoteva  cosi?  Non  lo  so.  Vi  furon  parole  pro- 
nunziate appena,  come  fuse  nel  fuoco....  un  am- 


08  Aun(^riA  leigii 

plesso  convulso....  poi  un  bacio,  lungo,  silenzioso, 
come  quella  estatica  notte,  e  i  due  affannosi  av- 
vicinati respiri  che  dicevan  più  di  quinto  possan 

mai  dire  le  parole  ed  i  baci 

Come  potrei  io  ora  scriver  qui  ciò  ch'egli  mi 
disse?  Se  un  angelo  ci  parlasse  nel  tuono,  se  una 
nube  scendesse  ad  avvilupparci  nel  suo  grembo, 
potremmo  noi  ripetere  quella  voce  o  disegnar 
quella  forma?  Il  suo  respiro,  qui  presso  il  mio 
viso,  confondeva  le  sue  parole,  eppur  le  faceva 
più  intense  —  come  quando  una  folata  di  vento 
piega  in  una  stessa  direzione  le  singole  fiamme  di 
cento  lampade,  e  le  confonde  in  una  sola  grande 
striscia  di  fuoco....  0  dolcezza  ineffabile!  o  tepide 
aure  su  quella  terrazza  ov'ei  mi  parlava!  o  taciti 
astri  scintillanti  sulle  nostre  teste,  o  luna  d'oro 
perfetta,  o  estasi  della  notte!  0  gran  mistero  di 
amore,  nel  quale  assorbiti,  la  perdita,  l'afifanno, 
le  passate  infedeltà,  accrescevan  l'ebbrezza!  Mentre 
noi  sedevamo  cosi,  cosi  accanto,  che  gli  stessi  miei 
abiti  parevano  avere  un  fremito  di  elettrica  vita, 
e  le  mie  guance  divt.  ntavano  acc^-se,  e  j^oi  palbde 
al  contatto  dei  miei  capelli  nei  quali  errava  il  suo 
alito,  —  mi  parca  d'esser  presa  da  una  strana  e 
dolce  vertigine;  di  sentire  l'antica  terra  rotear 
nello  spazio,  e  lo  stellato  turbinio  dei  mondi  on- 
deggiarci attorno  in  audibili  giri.  » 

Anche  da  questi  pallidi  ritiessi  in  prosa,  il 
lettore  avrà  indovinato  l'altezza  e  la  efficacia 
poetica  dell'originale.  Dalle  corde  più  personali  e 


AURORA   LEIGIl  (39 

più  intime  del  cuore  umano,  di  rado,  io  credo,  fu- 
ron  cavati  si  penetranti  e  sì  magnifici  accordi. 
Questo  cauto  sublime  di  un  gran  cuore  di  donna 
e  d'artista,  è  modulato  in  uno  stile  poetico  di  un 
genere  nuovo,  che  il  Taine  defini  felicemente  ed 
esattamente  cosi:  «un  style  d'espèce  iinique,  qui 
est  bien  nioins  un  style  qu'une  notation^  la  plus 
hardie,  la  plus  sincère,  la  plus  fidèle,  créée  à  cliaque 
instant  sur  place  et  de  toutes  pièces,  en  sorte  que 
jamais  on  ne  songe  aux  mots  et  que,  directement 
et  comme  face  à  face  on  voit  toujours  jaillir  ]a 
pensée  vivante,  avec  ses  palpitations,  ses  sursauts, 
ses  essors  soudainement  rabattus,  ses  coups  d'aile 
inouis,  depnis  le  sarcasme  et  la  familiarité  du  dialo- 
gale jusqu'à  l'extase:  langage  étrange,  mais  vrai  ju- 
sque  dans  ses  moindres  détails,  seni  capables  de 
traduire  les  liauts  et  les  bas  de  la  vie  intérieure  ».  * 

Ma  la  stessa  Browning  non  sembra  in  questi 
versi  darci  un'esatta  idea  del  proprio  stile  poetico? 
<'  Non  preoccuparsi  troppo  della  forma,  fidarsi  allo 
spirito,  fidarvisi  come  fa  la  sovrana  natura  per 
creare  la  forma,  una  forma  che  non  è  una  prigione 
ma  un  corpo;  partir  sempre  dal  didentro  per 
andare  al  difuori,  e  nella  vita  e  nell'arte  che  è 
l'espressione  della  vita.  » 

Con  questo  stile  eminentemente  moderno  essa 
espresse  i  sentimenti  e  gli  aspetti  della  vita  moderna. 
Infatti  ella  diceva,  e  ripeteva  spesso,  che  se  v'è 
posto  per  i  poeti  in  questo  nostro  mondo  cosi  af- 

^  Ta-IKe,  Notes  sur  V Aìiyleterre, 


70  ALROr.A   LKIGH 

follato,  la  sola  opera  efficace  che  posson  tentare  è 
quella  di  descrivere  la  loro  epoca,  e  non  quella  di 
Carlomagno.  Quest'epoca,  che  vive  con  una  rapi- 
dità vertiginosa  di  vita,  epoca  battagliera,  febbri- 
citante, avida  di  novità  e  di  scienza,  calcolatrice 
e  irrequieta,  piena  di  aspirazioni  e  di  contradizioni, 
prodiga  talora  più  passione  e  più  entusiasmo  fra 
gli  specchi  dei  suoi  salotti,  che  i  paladini  e  le  dame 
d'Arturo'e  di  Carlo  a  Camelot  e  Aquisgrana.  Voltar 
gli  occhi  con  superbo  disdegno  dai  nostri  usi,  dai 
nostri  mobili,  dai  nostri  abiti  neri  e  dalle  vesti 
delle  nostre  donne,  per  rimpiangere  e  descrivere 
le  antiche  toghe  e  i  pittoreschi  velluti,  è  veramente 
cosa  insensata. 

Quasi  contemporaneamente  ad  Aurora  Leigh^ 
si  pubblicava  Maud  di  Alfredo  Tennj^son.  Ed  è 
curioso  a  notarsi  che  nella  pittura  della  vita  mo- 
derna, la  poetessa  ha  osato  infinitamente  più  del 
poeta.  Anche  Maud  è  soggetto  contemporaneo  :  ma 
gli  incidenti  e  i  personaggi  passano  come  ombre, 
immersi  in  una  vaporosa  mezza-tinta,  talché  so- 
migliano più  a  de' fantasmi  che  a  creature  viventi: 
il  ballo,  il  duello,  la  guerra  di  Crimea,  le  confes- 
sioni, le  conversazioni,  tutto  è  accennato  appena, 
come  un'eco  lontana,  e  sembrano  non  essere  che 
un  pretesto  allo  sfoggio,  e  alla  splendida  efflore- 
scenza di  canti  lirici  di  ana  divina  bellezza,  come 
l'appello  a  jMaud  dal  giardino:  «  Come  info  the  gar- 
den^ Maud.  » 

La  Browning  invece  ha  affrontato  diretta- 
mente i  più  prosaici  particolari,  i  più  scabrosi  in- 


AURORA   LKIGH  7i 

ciclenti  della  vita  moderna.  Conversazione  nei  sa- 
lotti e  nei  caffè,  vita  di  spedale,  tuguri  di  poveri, 
lettere,  toilettes^  programmi  di  studi,  traversate  di 
mare,  high  li/e,  ritratti  e  caricature,  c'è  di  tutto 
nel  suo  poema.  Ciò  che  ella  ha  forse  meglio  rap- 
presentato, dopo  le  tempeste  e  l'estasi  dell'amore, 
è  la  scena  straziante  della  miseria  in  Londra;  i 
suoi  poveri  non  son  visti  nei  romanzi  di  Eugenio 
Sue,  o  riprodotti  da  Dickens,  ma  son  ritraiti  fo- 
tografiti dal   vero.   Mi   basti   rammentare  la  de- 
scrizione dei  poveri  che  accorrono  alla  chiesa  ove 
dovea  celebrarsi  il   matrimonio    di   Eomney  con 
Marian.  Non  le  sono  paragonabili  che  le  pagine 
stupende  di  Hawthorne  intitolate  Outside  glimpses 
of  Englìsh  poverty^  e  qualche  pagina  di  Oliver  Twist. 
La  Browning,  come  altri  grandi  artisti  mo- 
derni, ha  ceduto  al  fascino  che  li  attira  a  descri- 
vere le   bolge  dell'inferno   sociale:   forse   perchè 
l'aspetto    dei   miserabili    cenci   e   degli   squallidi 
tuguri  può  essere  orribile  ma  non  è  mai  volgare 
o  noioso,  come  invece  lo  è  talora  un  aristocratico 
salotto.  Ecco  perchè  Hoffman,  Sue,  Hugo,  Dickens, 
Turghénieff,  Gogol  e  tanti  altri  abbondano  in  de- 
scrizioni di  miserabili.  Oltre  una  ragione  demo- 
cratica,   vi   è   spesso   un  istinto    artistico    che  li 
guida. 

Il  difetto  vero  e  grave  di  Aurora  Leigh  consiste 
nella  costruzione  della  favola:  gli  incidenti  si  in- 
crocian  troppo  e  hanno  talora  dell'inverosimile: 
e  qualche  personaggio  secondario  ha  un  po'  l'aria 
di  tipo  convenzionale. 


72  AURORA  LEIGll 

Anche  nella  bellissima  ultima  parte  del  poema 
vi  è  una  cosa  che  a  me  dispiace,  e  che  potrà,  credo, 
piacere  a  pochi:  ed  è  l'avere  acciecato  il  perso- 
naggio principale,  per  renderlo  più  interessante 
ad  Aurora  e  al  lettore....  Si:  quando  Romney  si 
ripresenta  ad  Aurora  è  sempre  giovane  e  bello, 
ed  esteriormente  anche  i  suoi  occhi  sono  immu- 
tati; ma  in  realtà  ha  perduto  la  vista  in  non  so 
quale  incendio,  ov'ei  salva,  da  vero  filantropo, 
parecchie  vite.  Ciò  non  aggiunge  nulla  alla  bel- 
lezza e  all'interesse  del  poema,  anzi  gli  nuoce, 
mettendovi  una  leggera  tinta  di  ridicolo  e  di  me- 
lodrammatico. E  la  trovata  non  è  neppure  origi- 
nale, e  ricorda  troppo  la  catastrofe  di  Jane  Eyre 
e  la  cecità  di  Rochester.  La  vita  aveva  avuto  ba- 
stanti prove  e  disinganni  e  dolori  per  il  povero 
Romney,  perchè  ci  fosse  bisogno  anche  di  torgli 
la  vista.  E  poi  la  pietà  delle  donne  per  i  fisici  do- 
lori d'un  uomo  è  assai  più  comune  che  quella  pei 
suoi  dolori  mentali  e  morali:  talché  la  cecità  di 
Romney  non  aumenta  ma  scema  l'effetto  dram- 
matico, nel  bellissimo  finale  di  Aurora  Leigh. 

Quali  sono  le  principali  caratteristiche  della 
poesia  della  Browning?  Sopra  tutte,  la  ispirazione 
lirica.  In  questa,  non  ha  chi  la  superi  fra  i  contem- 
poranei. E  questo  dono  supremo  che  faceva  dire  a 
Edgardo  Poe:  «  She  has  done  more  in  poetry  than 
any  woman  living  or  dead.  »  —  Poi  il  patetico^ 
l'emozione,  il  dono  delle  lacrime;  dono  potente, 
perchè  vivifica  e  crea;  dono  oggi  rarissimo  e  che 


AURORA   LKIGII  /.j 

il  solo  Michelet  ebbe  in  grado  egualmente  eminente. 
Terza,  la  sincei-ità:  mai  un  effetto  troppo  cercato 
e  voluto,  nulla  da  poeta  dilettante,  nulla  di  arti- 
ficioso, nulla  nemmeno  di  soverchiamente  artistico 
e  che  somigli  a  una  ìnvasion  cVatelier,  che  è  il  pec- 
cato capitale  della  poesia  contemporanea.  Quarta, 
la  musica  del  verso.  La  Browning  è  il  dolcissimo 
e  passionato  violino  della  grande  orchestra  poetica 
inglese.  Essa  ha  l'istinto  musicale  in  cosi  alto 
grado,  che  spesso,  in  grazia  dell'effetto  melodico, 
sacrifica  volentieri  certe  regole  metriche  ormai 
consacrate  dall'uso;  accusa  che  Edgardo  Poe  le 
ripetè  con  soverchia  insistenza,  e  non  giusta- 
mente. 

La  nota  poetica  in  cui  essa  è  sovrana  e  solo 
paragonabile  a  Saffo,  è  la  nota  amorosa.  Bastereb- 
bero i  suoi  Sonetti  a  provarlo  —  basterebbe  anzi, 
questo  solo  sonetto:  «  La  prima  volta  ch'ei  mi  ba- 
ciò, baciò  soltanto  le  dita  di  questa  mano  con  cui 
ora  scrivo:  e  da  quel  giorno  parve  divenire  più 
delicata  e  più  bianca,  restia  ai  saluti  mondani, 
pronta  ai  cenni  delle  cose  celesti.  Un  anello  di 
ametista  non  potrei  portarlo  al  dito  più  visibile 
agli  occhi  miei  di  quel  suo  primo  bacio.  Il  secondo 
cercò  la  fronte,  e  mezzo  si  perse  cadendo  fra  i  miei 
capelli.  0  dono  supremo!  questo  fu  il  crisma  d'a- 
more che  con  santificante  dolcezza  precede  la  vera 
ghirlanda  d'  amore.  Il  terzo  fu  deposto,  perfetto, 
sulla  mia  bocca,  e  fin  d'allora,  superba,  potei 
dire:  0  amor  mio,  mio  veramente!  » 

Questo  accento  di  penetrante  emozione,  para- 


74  AUROUA  LElGll 

goiiabile  all'effetto  die  produce  il  suoii  dell' <^(r- 
monica,  si  ritrova  in  molte  altre  poesie  della 
Brov/ning:  in  Lost  Bower^  in  Bertlia^  in  Geraldine, 
in  Little  Mattie,  nei  versi  a  Flush^  in  Coioper''s  grave, 
e  in  quel  Cvìj  of  the  Children  (Pianto  dei  fanciulli) 
di  cui  il  mio  amico  Chiarini  ci  ha  regalata  una 
eccellente  traduzione  in  versi. 

Elisabetta  Browning  amò  l'Italia  come  una 
seconda  patria,  passò  qua  gran  parte  della  sua 
vita,  qua  morì  e  partecipò  con  simpatia  di  poeta 
e  di  donna  alle  nostre  patriottiche  speranze,  ai 
nostri  dolori,  ai  nostri  lutti,  ai  nostri  trionfi.  Nel 
suo  poema  Le  finestre  di  casa  Guidi  {Casa  Guidi  s 
Windows)  vi  è  un  accento  così  penetrante  di  en- 
tusiasmo e  di  sdegno  che  ci  ricorda  le  più  ardenti 
strofe  del  Berchet.  Dalle  finestre  di  casa  Guiili 
(via  Maggio,  in  Firenze)  essa  avea  visto  sfilare  la 
processione  del  popolo  esultante  per  le  riforme 
liberali,  il  12  settembre  1847.  Le  grida,  gl'inni,  le 
bandiere,  le  coccarde,  i  fiori,  i  baci  di  fratellanza, 
le  lacrime  d'entusiasmo,  di  quella  memoranda 
giornata,  durano  immortali  in  quelle  pagine.  Dalla 
finestra  medesima  essa  vide  poi  nel  1819  passare 
a  ranghi  serrati,  col  mirto  al  cimiero,  gli  austriaci 
restauratori..,,  e  quel  funebre  giorno  rivive  nella 
sua  lugubre  luce  in  questo  poema. 

In  quella  stessa  casa  Guidi  la  insigne  poetessa 
moriva  nel  1861.  Era  nata  nel  1809.  Il  municipio 
fiorentino  vi  faceva  porre  questa  iscrizione  dettata 
da  Niccolò  Tommaseo:  Qui  scrisse  e  morì — Elisa- 
betta Bariìett  BiiowNi]\G  —  che  in  cuore  di  donna 


AL'nor.A    LKKiJ!  J ,j 

conciliava  —  scienza  di  dotto  e  spirito  di  poeta  —  e 
fece  del  suo  verso  aureo  anrdlo  —  fra  Italia  e  In- 
(jliilterra.  —  Pone  questa  lapide  —  Firenze  grata 
—  1861. 

Nell'agosto  del  1859,  il  mio  sguardo  attonito 
per  giovanile  entusiasmo  di  ammirazione^  (senti- 
mento che  mi  onoro  di  conservare  ora  che  il  tempo 
comincia  a  inargentarmi  i  capelli,  e  che  spero  di 
portar  meco  intatto  nel  sepolcro),  potè  a  suo  agio 
contemplare  la  simpatica  figura  della  illustre 
donna.  Fu  verso  sera,  nel  giardino  di  villa  Orr, 
presso  Siena.  Delicatissima,  e  già  malata  di  petto, 
essa  era  in  quell'ora  vespertina  tutta  avvolta  in 
un  ampio  scialle  di  lana,  bianco.  Parlava  poco, 
ed  a  bassa  voce.  Di  tratti  non  regolari:  né  potea 
dirsi  bella:  ma  un  volto  espjrimente  e  indimenti- 
cabile. Bellissimi  e  abbondanti  i  capelli,  che  la- 
sciava liberi  e  sciolti  sulle  pallide  gote  e  pel  collo. 
Ma  soprattutto  mi  colpi  il  suo  sguardo  ;  quei  suoi 
grandi  occhi  neri  non  mi  usciron  più  dalla 
mente.  Ci  vidi  la  passione  e  la  malinconia,  le  pro- 
strazioni e  r  estasi  che  spirano  nelle  pagine  di 
Aurora  Leigh. 

Per  nature  cosi  squisitamente  sensibili,  la  vita 
è  sempre  un  calvario.  E  il  problema  della  vita  che 
essa  osò  guardar  faccia  a  faccia  e  rappresentare, 
la  lasciò  vinta  ed  esausta.  Essa  sopravvisse  di  poco 
alla  pubblicazione  del  suo  poema.  Unire  il  profondo 
conoscimento  della  natura,  l'acuta  percezione  dei 
terribili  destini  umani  a  uno  spirito  di  inaltera- 
bile serenità;  conoscer  gli  uomini  e  non  disperare,  è 


70  AURORA   LEIGH 

dato  a  pochi  eroi  dell'arte  e  dell'umanità.  Fu  dato 
a  Roberto  Browning.  Non  fu  concesso  alla  illu- 
stre sua  moglie.  Egli  appartiene  alla  fanjiglia  di 
Shakespeare;  ed  essa  era  della  infelice  e  adorabil 
famiglia  dei  Cowper  e  degli  Shelley. 

{Xuova  Aiiloloyia^  1   Mnggio   188  k) 


/  / 


EUPHORION 


Atteso  con  impaziente  curiosità  è  uscito  ora  in 
luce  Euphorioìì,  '  nuovo  libro  dell'  illustre  scrittrice 
inglese,  che  adottando   il   nome  di    Vernon   Lee, 

10  ha  reso  caro  a  quanti  amano  l'arte  in  In- 
ghilterra e  in  Italia,  Come  delle  due  prece- 
denti opere  della  stessa  autrice,  il  Settecento  e  Bei- 
caro,  cosi  anche  di  questa  l'  argomento  è  italiano. 

11  simbolico  titolo  di  Euphorion  il  figlio  di  Fausto 
e  di  Elena,  indica  abbastanza  il  carattere  e  1'  in- 
tendimento dei  due  nuovi  volumi.  Sono  uno  stu- 
dio dello  spirito  e  delle  varie  infi.uenz0  dell'  anti- 
chità e  del  medio  evo  sull'arte  del  Rinascimento. 

La  poesia,  la  pittura,  la  scultura,  1'  amore,  i 
costumi,  la  vita  italiana  sono  studiati  con  raro 
acume  d'indagini,  sotto  nuovi   punti  di  vista:  e 


i  Eupìiorion  :  being  studies  of  the  Antique  and  the 
Mediaeval  in  theEenaissance,  by  Vernon  Lee.  2  voi.  London, 
Fisher  Unwin,  1884. 


78  EL'PJIORION 

se  non  sempre  il  lettore  può  trovarsi  d'  accordo 
coi  giudizi  espressi  dall'autore,  è  però  sempre 
costretto  ad  ammirare  la  finezza  analitica,  la  vi- 
vacità della  rappresentazione,  la  singolare  effica- 
cia della  parola  vivente  e  coloritrice.  Yernon 
Lee,  comò  artista  appartiene  più  alla  scuola 
critica  francese  che  a  quella  inglese.  Essa  lia  più 
analogia,  più  affinità  elettive  col  Taine  e  col  Mi- 
chelet, che  con  qualunque  insigne  critico  inglese; 
benché  un  accento  Euskiniano  vi  si  faccia  tal- 
volta sentire,  malgrado  l'autrice....  Come  il  Miche- 
let, Vernon  Lee  ha  la  immaginazione  simpatica, 
la  facoltà  di  rianimare  e  rievocare  personaggi  ed 
epoche  spente;  di  vivificare  le  più  aride  e  astratte 
teorie  con  la  luce  della  poesia  e  col  calore  del- 
l' entusiasmo.  Pur  nonostante  l' Inglese  si  rivela 
a  ogni  tratto,  anche  quando  sostiene  delle  cause 
che  hanno  aria  di  paradossi,  nella  logica  e  serrata 
concatenazione  degli  argomenti,  nello  scrupolo 
delle  investigazioni,  nella  importanza  data  a  espe- 
rienze o  imp)ressioni  personali,  nella  solida  archi- 
tettura della  composizione,  e  in  una  vena  di  umo- 
rismo talora  benigno  e  indulgente,  talora  caustico 
ed  aggressivo. 

Eupliorion  è  il  frutto  di  personali  osserva- 
zioni e  esperienze  più  che  il  resultato  di  studi  e 
di  letture:  o,  per  meglio  dire,  si  sente  a  ogni  pa- 
gina che  nei  gravi  studi  preparatori  di  questo 
suo  lavoro,  l'autrice  non  ha  mai  abdicato  la  pro- 
pria personalità,  né  dimenticato  il  proprio  io  e  il 
proprio   libro   nello    studio  dei   libri   degli  altri. 


KUPIIORION  i[ì 

Essa  osserva  i  fenomeni  psicologici  o  fisici,  gli 
oggetti  naturali   od   artisti(3Ì,  una  storia  cV  amore 

0  una  tempesta,  un  ritratto  di  Raffaello  o  una 
piena  d'  Arno,  un  fiore  o  una  tragedia  di  Webster, 
secondo  i  propri  ocelli,  il  proprio  sentimento,  la 
propria  impressione;  e  secondo  questa  spregiudi- 
cata impressione  afferma  o  nega,  esalta  o  con- 
danna:   anzi,   più  il  giudizio    ha  apparentemente 

1  aria  di  un  paradosso  più  l'accento  si  fa  assoluto, 
dommatico,  quasi  imperativo. 

Leggendo  questo  libro,  ci  par  di  ascoltare  la 
viva  conversazione  di  una  persona  di  rara  e  varia 
coltura  e  di  più  raro  ingegno,  la  quale  sui  più 
diversi  argomenti  porta  il  calore  di  una  profonda 
convinzione  e  di  una  discussione  animata,  —  si 
tratti  della  Beatrice  di  Dante,  o  della  Nencia  di  Lo- 
renzo de'Medici,  dei  Dannati  del  Signorelli  o  degli 
Amori  di  Tristano  —  dei  Syrninetria  prisca^  o  dei 
delitti  del  Valentino.  Li  tutte  le  questioni  essa 
porta  quello  stesso  ardor  di  coscienza,  quella 
earnestness  che  avviva  le  pagine  dei  suoi  primi 
libri:  ma  oso  dire  che  come  in  Etqyhorion  risplen- 
dono in  più  eminente  grado  gli  ammirabili  pregi 
del  Settecento  e  di  Belcaro^  cosi  ve  ne  riappariscono 
anche  i  difetti.  Ma  il  lettore  non  ha  quasi  tempo 
e  modo  di  accorgersene  a  prima  impressione;  una 
maravigli  osa  comprensività  estetica  riunisce  e  fa 
convergere  a  un  punto  centrale,  a  uno  scopo  de- 
terminato, idee  e  fatti  spesso  d'ordine  il  più  di- 
verso. Il  lettpre  si  sente  affascinato,  trascinato, 
stavo   per  dire  travolto,  dalla  piena  onda  incal- 


80  EUPiionioN 

zante  degli  argomenti,  solidi  o  sofìstici,  ma  sem- 
pre esposti  in  uno  sfcile  luminoso,  pittoresco  ed 
irresistibile. 

Sull'amore  nel  Medio  Evo,  sulla  Poesia  rusti- 
cana. Yernon  Lee  ha  scritte  pagine  degne  di  seria 
attenzione,  e  le  cui  conclusioni  a  me  sembrano, 
come  fra  poco  mostrerò,  irrefutabili.  Nelle  pagine 
su  Symmetria  prisca,  in  quelle  sui  Ritratti  scolpiti 
e  dipinti,  in  quelle  sulle  tragedie  inglesi  d'  argo- 
mento italiano,  fra  tante  cose  vere,  giuste,  bene 
osservate,  benissimo  dette,  vi  è  qua  e  là  conio 
una  preoccupazione  di  dir  cose  nuove  o  azzar- 
date, e  di  dirle  in  tono  di  verità  indiscutibili: 
impressioni  personali  ci  son  date  talvolta  come 
canoni  estetici. 

L'autrice  ci  fa  troppo  spesso  rammentare 
quel  che  ci  aveva  accennato  essa  stessa  in  Bei- 
caro,  cioè  che  l'uomo  moderno  sovraccarico  di 
eclettica  coltura,  saturato  d'arte  e  di  critica,  di 
misticismo  e  di  naturalismo,  di  Hegelismo  e  di 
Ruskinisnio,  vuol  troppo  speculare,  raffinare  e 
fantasticare,  svisando  con  idee  speciose  e  siste- 
matiche le  più  vitali  è  semplici  teorie  estetiche, 
e  cercando  lucciole  a  mezzogiorno....  studiando 
insomma  la  Natura  e  l'Arte,  non  per  la  Natura 
e  l'Arte  in  se  stesse,  ma  per  quello  che  possono 
suggerirci  e  sempre  in  vista  di  una  conferenza  da 
tenere  o  di  un  libro  da  scrivere. 

Le  idee  i.uove  che  sopra  ogni  soggetto  espone 
l'autrice  di  Eupìiorioa  basterebbero  a  far  la  for- 
tuna di  dieci  critici:  son  come  i  motivi  nelle  opere 


EUPiionio.x  81 

di  Rossini;  ve  ne  son  troppi....  E  appunto  rj^ue- 
st'abbondanza,  questa  pletora  di  poetiche  imma- 
gini e  di  nuove  idee;  gli  improvvisi  e  inattesi 
raffronti  di  nomi  e  di  cose  che  l'autrice  si  piace 
di  combinare  e  far  cozzare  insieme  per  trarne 
vive  scintille;  cpuesto  aver  troppe  cose  da  dire,  e 
aver  voglia  e  fretta  di  dirle  tutte  in  una  volta, 
affollandole  talora  in  un  solo  lungo  periodo  ma- 
gnificamente architettato,  sfolgorante  di  colori,  e 
di  ardimenti;  questa  scherma  dialettica,  questa 
ginnastica  intellettuale,  finiscono  con  affaticare  e 
confondere  la  mente  del  lettore.  Non  si  può  a 
meno  in  certi  momenti,  di  ripensare  con  desi- 
derio alla  cristallina  limpidità  di  stile  di  un 
Euskin,  alla  calma  riflessiva  e  al  lucido  ordine 
di  un  Pater....  ma  in  fondo  abbiam  torto  di  de- 
siderare che  Vernon  Lee  abbia  delle  qualità  in- 
compatibili con  la  sua  nervosa  e  passionata  in- 
telligenza; come  avremmo  torto  nel  cercare  la 
calma  idillica  in  Byron,  o  la  passione  in  Words- 
worth;  o  nel  deplorare  che  la  vite  non  produca 
dei  fichi,  e  che  il  fico  non  ci  dia  dei  gra23poli 
d'uva. 

In  ogni  modo  —  e  mi  affretto  a  concludere 
questa  lisca  preliminare  di  più  o  meno  gravi  cen- 
sure —  in  ogni  modo,  ai  lettori  di  gusto  delicato 
o  severo,  darà  sui  nervi  l' abuso  della  descri- 
zione questa  esiziale  e  indistruttibile  critto- 
gama del  campo  letterario  contemporaneo  —  la 
quale  ingombra  anche  molte  pagine  dei  due  vo- 
lumi di  Biiplìorion.  Prese  una  ad  una,  queste  de- 

>.'ksciom.  —  iiugo^  critici  di  Utt.  inrjlcse.  G 


82  ELTIIOP.ION 

Scrizioni  sou  tutte  notevoli,  e  alcune  sono  addi- 
rittura stupende:  ma  generalmente  né  la  loro 
opportunità,  né  soprattutto  la  loro  lunghezza,  é 
sempre  giustificata.  Per  esempio,  iu  uno  dei  più 
ammirabili  scritti  del  primo  volume,  The  Outdoor 
Fo.dry.  clie  occupa  solo  cinquanta  pagine,  vi  son 
cinque  o  sei  lunghe  descrizioni.  Si  comincia  con 
una  descrizione  deli'  inverno,  bellissima,  ma  che 
prende  tre  pagine  e  mezzo,  poi  vien  la  descri- 
zione della  coutadina  fiorentina,  poi  della  villa 
fiorentina,  della  Nencia,  della  piena....  Si  direbbe 
che  1'  autrice  le  ha  preparate  innanzi,  ne  ha  una 
collezione,  e  che  le  incastra  all'  occasione  nel  con- 
testo del  suo  discorso....  ma  il  male  è  che  qualche 
volta  il  mosaico  e  l'intarsio  si  vede  e  si  sente,  e 
qualche  rara  volta  l' impazienza  o  la  noia,  queste 
S3ntineìle  del  buon  gusto,  ne  fanno  avvertito  il 
lettore. 

Lo  studio  sulla  poesia  campestre  resta  però, 
nonostante  la  soverchia  fronda  descrittiva,  uno 
dei  più  notevoli  nei  due  volumi.  L'  autrice  si  é 
proposta  di  provare  che  fra  i  poeti  del  Rinasci- 
mento il  solo  Lorenzo  de'  Medici  osservò  dal  vero 
e  riprodusse  con  precisa  ed  efficace  realtà  gli 
aspetti  e  la  vita  de'  campi.  Questo  é  il  punto 
centrale  dello  studio  critico  nel  quale  però  la 
questione  del  paesaggio  nella  poesia  è  magistral- 
mente trattata.  Notevoli  le  pagiue  sulla  scarsità 
e  quasi  nessuna  importanza  del  paesaggio  nel- 
r  arte   e   nella  poesia    del   medio    evo  —  e    sulla 


EUPnonioN  Ho 

prepoucleranza  assorbente  del  medesimo  nelF  arte 
e  nella  poesia  contemporanea.  Notevoli  e  argute 
quelle  sui  paesaggi  conveuzionali,  sulle  architet- 
ture e  i  maccliiìiismi  campestri  dei  poeti  del  se- 
colo XVI  e  XVII  in  Italia  ed  in  Francia.  I  poeti 
Elisabettiani  e  i  poeti  moderni,  hanno  osservata 
e  dipinta  con  amore  e  fedeltà  la  natura:  i  primi 
trattenendosi  volentieri  a  descriverla  nei  minuti 
particolari,  i  secondi  riproducendone  di  prefe- 
renza i  grandi  spettacoli.  Ma  se  Vernon  Lee  rende 
ampia  giustizia  a  Spenser  e  a  Shakespeare,  a 
Shelley  ed  a  Wordsworth  —  se  nota  con  singo- 
lare precisione  il  vario  carattere  del  paesaggio 
nei  poeti  italiani,  e  caratterizza  felicemente  la 
poesia  rusticana  di  Lorenzo  de' Medici;  non  è 
egualmente  giusta  con  Dante,  al  quale,  come  pit- 
tore della  natura,  sembra  farci  intendere  die  si 
accorda  e  concede  dalla  buona  volontà  e  dall'am- 
mirazione del  lettore  più  di  quel  che  realmente 
ei  si  meriti.  Ne  tutti  sapran  perdonarle  in  que- 
sto studio  sulla  poesia  campestre  il  non  aver  nep- 
pur  ricordato  il  nome  di  Rousseau,  dal  quale  pure, 
vogliasi  o  non  vogliasi,  deriva  tutta  la  grande 
scuola  dei  poeti  e  romanzieri  paesisti  moderni  —  e 
al  quale  debbon  pur  molto  gli  Shelley  ed  i  Byron. 
Da  G-oethe  a  Giorgio  Sand,  l' influenza  più  o 
meno  diretta  di  Rousseau  non  è  mai  interrotta. 

Lorenzo  de'  Medici  ci  offre  un  fenomeno  psi- 
cologico e  letterario  singolarissimo.  Questo  grande 
umanista,  questo  insigne  platonico,  questo  pro- 
tettore ed  amico  del  Poliziano  e  del  Ficino,   è  il 


84  EUPIIORION 

più  realista  e  il  più  moderno  dei  poeti  del  Rina- 
scimento. La  Nencla  e  l' Ambra  sono  come  foto- 
grafie dal  vero.  Nessun'  ombra  di  rettorica  e  di 
convenzionale.  Paragonato  a  quello  di  Lorenzo, 
il  paesaggio  del  Poliziano  non  è  che  una  remini- 
scenza classica,  un  mosaico  di  antiche  pitture, 
squisito,  ma  senza  nessun  carattere  e  verità  lo- 
cale, —  un  paesaggio  visto  nei  libri  più  che  in 
campagna.  Lorenzo  non  descrive  che  ciò  che  ha 
visto  e  osservato,  ciò  che  lo  ha  personalmente 
colpito  —  sia  il  ballo  di  una  contadina,  1'  interno 
di  una  osteria,  la  piena  di  un  fiume,  il  lavoro  di 
un  artigiano.  Egli,  come  nota  giustamente  Ver- 
non  Lee,  era  attirato  soprattutto  da  ciò  che  è  più 
opposto  all' esteticismo  accademico,  virgiliano, 
oraziano,  o  petrarchesco  dei  suoi  contemporanei  ; 
egli  è  essenzialmente  un  realista,  e  tutti  gli  ef- 
fetti che  produce,  la  bellezza,  il  fascino,  e  la  bru- 
talità della  sua  opera,  corrispondono  alla  bel- 
lezza, al  fascino  o  alla  brutalità  di  cose  osservate 
9  reali.  Invece  di  farsi  greco,  o  romano,  o  medioe- 
vale come  i  suoi  contemporanei,  preferiva  di  rap- 
presentare i  pensieri  e  i  sentimenti  vari  e  schietti 
che  osservava  nella  gente  illetterata  di  Firenze, 
o  tra  i  contadini.  Questo  dotto,  questo  scettico, 
questo  despota,  fu  il  solo  poeta  naturalista  del 
Quattrocento  :  egli  ruppe  V  incanto  mistico  del 
medio  evo;  egli  interruppe  l'eterno  gorgheggio  dei 
rosignoli,  gli  eterni  gigli  e  rose  di  aprile:  cantò  i 
contadini  tali  quali  sono,  parlò  di  vanghe  e  di 
zappe,  di  paretai  e  di  vendemmie,  di  cieli  autun- 


KITIIORION  ^5 

iiali,  di  ghiacci  e  di  alluvioni  —  e  primo  dij^inse, 
e  quasi  trascrisse  i  veri  asj^elti  della  campagna. 

Nello  studio  snìV Italia  dei  Tragici  Elisahettiani 
è  ammirabile  l'abilità  con  cui  Vernon  Lee  dà  ap- 
parenza di  verità  indiscutibile  se  non  a  un  vero 
paradosso,  certo  a  una  esagerazione.  Essa  j)arte  da 
un  principio  vero:  cioè  che  AVebster,  Tourneur,  e 
altri  poeti  drammatici  inglesi,  gente  in  cui  il  sen- 
timento morale  e  puritano  predominava  quasi 
naturalmente  e  per  istinto  di  razza,  udirono  con 
raccapriccio  le  storie  orribili,  i  mostruosi  delitti 
dell'Italia  del  Rinascimento,  e  la  loro  immagina- 
zione ne  fu  colpita  più  che  da  ogni  spettacolo  di 
lusso  elegante  e  magnifico,  da  bellezze  di  quadri 
o  di  statue,  da  incanto  di  poemi  e  di  romanzi,  da 
splendore  di  natura  e  d'arte  italiana.  Eran  come 
perseguitati  dalla  memoria  di  sì  inandiLi  delitti;  e 
tornati  in  patria,  e  ingigantendo  in  visioni  j^oe- 
tiche  le  tragiche  realtà  italiane,  scrÌA^evano  e  da- 
vano in  spettacolo  al  pubblico  inglese  la  Duchessa 
di  Malfi^^'Coroinhona^  Annabella^  Il  Diavolo  bianco,  ecc. 
Vernon  Lee  spiega  benissimo  perchè  quei 
poeti  inglesi  non  videro  che  quel  lato  sinistro 
dell'Italia  del  Cinquecento,  ha  ragione  nel  notare 
che  quei  personaggi  son  tipi  astratti  di  mostruosa 
ferocia,  meglio  che  viventi  ritratti  di  Italiani  — 
ma  ha  torto,  secondo  me,  quando  cerca  di  trovare 
una  attenuante,  una  spiegazione  alle  infamie  reali 
di  quell'epoca,  e  a  farle  passare  come  un  naturale 
svolgimento,  come  una  storica  necessità.  —  I  per- 


80  EUPllOllION 

sonaggi  di  Webster  son  più  bestiali  che  umani;  e 
Cesare  Borgia  era  invece  un  bello  elegante  inge- 
gnoso cavaliere;  ammirava  i  bei  quadri,  gustava 
i  bei  versi:  e  i  ritratti  italiani  fatti  da  tragici  in- 
glesi son  troppo  foschi  e  unilaterali,  cioè  falsi  e 
sbagliati.  — Verissimo:  ma  non  cessa  però  di  esser 
vero  che  nonostante  i  loro  modi  di  gentiluomo,  i 
loro  gusti  artistici  del  Rinascimento,  e  la  splen- 
dida decorazione  dei  loro  abiti  e  dei  loro  palazzi, 
quei  Borgia,  quegli  Sforza,  quei  Baglioni,  quei 
Farnesi,  quegli  Estensi  erano  moralmente  dei 
mostri,  capaci  di  tutti  i  mostruosi  delitti  raffigu- 
rati nelle  tragedie  inglesi.  Che  la  poesia  e  l'arte 
italiana  non  li  rappresentasse,  che  invece  dipin- 
gesse i  giardini  d'Alcina,  e  le  Ninfe  d'Arcadia, 
che  cosa  prova?  Yuol  dire  che  il  senso  morale 
era  talmente  intorpidito,  che  nemmeno  i  delitti 
eccezionalmente  feroci  di  quell'epoca  splendida  e 
iniqua  facevan  più  viva  o  durevole  impressione. 
Ma  dall'apatia  alla  inconscienza  ci  corre!  Jhe 
great  criminals  of  Italy  (scrive  Vernon  Lee)  icere 
unconscioiis  of  being  criminals.,..  Their  times  were 
monstruous^  not  tìiey....  The  nation  icas  iinconscious 
of  being  sinful.  Gli  individui  dunque  fanno  il  male 
senza  saperlo:  la  na?:ione  peccava  inconsciamente:  il 
male  era  deW epoca:  ma  che  cos'è  che  dà  il  carat- 
tere a  un'epoca,  se  non  i  pensieri  e  le  azioni  de- 
gl'individui e  della  società?  Il  tempo  era  mostruoso  : 
vuol  dire  dunque  che  esistevan  dei  mostri!  negarne 
l'esistenza  sarebbe  assurdo, scusarli  un  deplorevol 
sofisma.  Come!  Essi  erano  inconscii  di  far  male? 


Eui'iioi;!ON  87 

Il  Valentino,  Pier  Luigi  Farnese,  Alessandro  dei 
Medici,  Gian  Paolo  Baglioni,  Francesco  Cenci, 
non  sajjevano  di  commettere  dei  delitti?  Quando 
si  stampava  il  Principe^  mancava  ]a  riflessione 
del  male?  Il  triplice  delitto  consumato  sul  vescovo 
di  Fano,  le  persone  murate  vive  da  Alessandro 
dei  Medici,  i  veleni  e  gli  incesti  dei  Borgia,  son 
cose  commesse  ìLnconsciuusìijì... 

Vernon  Lee  ci  dice:  «Il  sentimento  dell'as- 
soluto potere  e  della  impunità,  insieme  ai  com- 
pleto silenzio  della  coscienza  nel  pubblico  può 
far  commettere  a  un  uomo  cose  strane.  Se  Cesare 
Borgia  è  padrone  di  tirare  alle  lepri  ed  ai  daini, 
perchè  non  tirerà  egualmente  su  quei  prigionieri? 
Chi  lo  biasimerà?  Chi  glielo  ^wh  impedire?  Se 
aveva  per  amante  og-ni  donna  che  gli  piaceva  di 
scegliere,  perchè  non  anche  la  sua  sorella?...  » 

Ma  è  appunto  per  questo  percliè  no?  al  quale 
la  loro  coscienza  tenebrosa  non  voleva  rispondere, 
per  questa  perversità  diabolica  di  obbedire  al  cieco 
istinto  bestiale,  che  quei  mostri  eran  mostri  ! 
Webster  condensò  troppo  esclusivamente  in  uno 
stesso  individuo  istinti  e  atti  mostruosi;  esngerò 
certo,  ma  non  inventò  nulla  nelle  sue  orribili 
rappresentazioni. 

«  Il  solo  dramma  Elisabettiano,  che  fedelmente 
rappresenta  l'Italia  del  Rinascimento,  è  (secondo 
Yernon  Lee)  la  commedia  di  Shakespeare,  di 
Fletcher,  di  Ben  Jonson  e  di  Massinger:  al  Ri- 
nascimento appartengono  quelle  serene  e  soleg- 
giate figure  di  Porzia,  Antonio,  Graziano,  Viola, 


88  EUPIIORION 

Petruccio,  Almira....  Quelli  orribili  personaggi  di 
Webster  e  di  Tourneur,  quei  Bracciano,  Annabella, 
Piero,  Duchessa  di  Malli,  son  meri  orrori  fanta- 
stici, e  sono  falsi.  »  —  No;  son  veri  i  primi  ritratti, 
ma,  se  non  esatti,  son  però  somiglianti  anche  i 
secondi.  Gli  uni  e  gli  altri  rappresentano  un'epoca 
dei  più  grandi  contrasti:  l'epoca  in  cui  pensavano 
e  agivano  Raffaello  da  Urbino  e  Pier  Luigi  Far- 
nese, il  Valentino  e  l'Ariosto,  Michelangiolo  e 
l'Aretino. 

E,  a  proposito  di  jMichelangiolo,  basterebbe 
eo'li  solo  a  provare  che  la  coscienza  morale  della 
nazione  non  era  spenta.  Le  tombe  in  San  Lorenzo^ 
le  pitture  della  Sistina  sono  un  gemito  e  un  fremito, 
un  grido  e  una  protesta  sublime.  Egli  sentì  nella 
grande  e  solitaria  sua  anima  tutti  i  dolori,  tutte 
]e  onte,  tutte  le  tragiche  disperazioni  del  suo  temjDO. 
Durante  la  funesta  guerra  della  Lega,  creò  le  Si- 
bille e  i  Profeti,  quelle  teste  minacciose,  formida- 
bili, illuminate  come  da  una  fornace  interiore, 
tutte  esprimenti  la  rivolta  e  Tindignazione.  quale 
Michelangiolo  dovè  provarla  in  quel  suo  perfido 
tempo  di  tradimenti  e  di  stragi,  di  parricidi  e 
d'incesti,  di  veleni  e  di  saccheggi,  quando  l'Italia 
perdeva  tuUo  il  suo  sangue....  E  dopo  gli  ultimi 
aneliti  della  libertà  fiorentina,  scolpi  la  Adatte,  la 
tenebra  invadente,  e  il  pensoso  Crepuscolo  accanto, 
per  non  disperare  affatto  e  morire. 

L'autrice  concludendo  il  suo  studio  scrive,  come . 
per  provare  ]'à  uìiconscioiisness  dei  grandi  delinquenti 
del  secolo  decìmosesto,  che  Lucrezia  Borgia  gustava 


EUPiionioN  80 

i  sonetti  del  Bembo,  e  che  VAmiìita  e  lo  sdolcinato 
Pasto)'  fido  eran  lettura  gradita  del  Farnesi,  del- 
l'i^ccoramboni  e  di  Francesco  Cenci.  Ma  il  Cenci 
non  leggeva  nulla,  e  pochissimo  gli  altri.  La 
Lucrezia,  per  colpevole  che  fosse,  non  va  confusa 
con  quei  mostri  contemporanei,  ed  era  veramente 
di  una  rara  coltura.  Con  T immaginarsi  i  Borgia, 
i  Baglioni,  i  Farnesi,  ed  i  Cenci,  attenti  come 
innocenti  pastori  d'Arcadia  alle  melliflue  note  di 
madrigali  e  sonetti  amorosi,  si  corre  il  rischio  di 
svisarne  la  vera  fìsonomia  assai  più  dei  tragici 
Elisabettiani,  di  farne  dei  personaggi  paragona- 
bili, in  senso  inverso,  per  barocca  inverosimi- 
glianza, ai  sicari  fiorentini  del  Dumas,  e  ai  ban- 
diti napoletani  di  Anna  B-adclifìe. 

Symmetrìa  7;>r/ò'ca,  la  perfezione  della  forma, 
l'antica  bellezza,  ecco  il  sogno  di  tutti  gii  artisti 
del  Rinascimento,  a  dispetto  dei  diversi  costumi, 
della  religione  diversa.  I  busti,  le  statue  scavate 
aEomafuron  rivelazioni  che  eccitarono  imitazioni, 
adorazioni,  idolatrie.  Questa  ricerca  della  forma, 
questo  studio  della  Symmetria  prisca  in  Italia,  da 
Masaccio  a  Kaifaello,  è  fatto  da  VernonLee  in  niodo 
veramente  magistrale.  Tutto  questo  scritto  è  sa^^ien- 
temente  architettato  e  lucidamente  sviluppato.  I 
vari  tentativi,  i  diversi  risultati  nei  vari  artisti  ita- 
liani in  questa  incessante  e  inquieta  ricerca  della 
perfezione  plastica,  le  varie  pietre  miliari, di  questa 
ascensione,  (se  cosi  deve  chiamarsi)  sono  narrati 
e  descritti  con  evidenza  ed  efficacia  singolare.  Certe 


90  ELTIIOniON 

pagine,  una  volta  lette  non  si  possono  più  dimen- 
ticare: per  esempio  il  paragone  delle  pitture  ita- 
liane dove  è  il  sentimento  dell'antica  forma,  con 
le  pitture  tedesche  nella  loro  magra  e  penosa 
realtà;  la  descrizione  dei  dipinti  del  Signorelli  nel 
Duomo  d'Orvieto;  l'effetto  prodotto  su  tutti  gli 
artisti  contemporanei  dalla  vista  degli  affreschi 
di  Michelangiolo  nella  Sistina;  il  sacro  entusiasmo 
dei  vecchi  maestri  nella  contemplazione  di  un 
busto  recentemente  scavato.  Vernon  Lee  ci  mette 
tutto  sott'occhio,  ci  dà  quasi  l'impressione  fisica 
di  ciò  che  racconta  o  descrive,  con  una  straordi- 
naria facoltà  di  rappresentazione. 

Ma  forse  —  almeno  a  me  pare  —  essa  vuol 
provare  troppo,  e  le  obiezioni  ricorrono,  si  affol- 
lano nella  mente  del  lettore.  «L'antico,  essa  dice, 
perfezionò  l'arte  del  Rinascimento,  non  la  cor- 
ruppe. L'arte  del  Rinascimento  cadde  in  vergo- 
gnosa degradazione  subito  dopo  il  periodo  della 
sua  trionfante  unione  con  l'antico;  e  i  grandi  Dei 
e  Iddie  di  Raffaello,  la  raggiante  Psiche  della 
Farnesina,  sono  troppo  presto  seguìói  dall'Olimpo 
di  Giulio  Romano,  un  Olimpo  di  cortigiane  e  di 
acrobati....  L'arte  antica  non  avrebbe  potuto  con- 
durre a  prematura  morte  l'arte  del  Rinascimento; 
l'arte  del  Rinascimento  decadde  perchè  era  ma- 
tura, e  morì  perchè  avea  vissuto.  » 

Non  vi  è,  credo,  bisogno  di  essere  un  Ruski- 
niano,  per  sentire  che  c'è,  per  lo  meno,  dell'ec- 
cessivo in  queste  affermazioni.  Lo  studio  dell'an- 
tico   ebbe   il   suo   bene   e   il   suo   male    nell'arte 


ELTIlOniON  91 

italiana:  e  il  l)ene  e  il  male  si  contrabbilanciano 
in  modo  che  si  possono  addurre  argomenti  e  per 
provare  che  la  perfezionò,  e  per  provare  che  la 
rovinò.  Alle  ragioni  di  Vernon  Lee  si  possono 
contrapporre  i  validi  ed  eloquenti  argomenti  del 
Ruskin. 

Se  insigni  artisti  per  due  secoli  interi  pre- 
pararono per  diverse  vie  questo  felice  connubio 
della  pittura  moderna  con  la  symmetria  prisca^  e 
appena  compiutosi  con  Raffaello  il  sospii\ato  mi- 
racolo, l'arte  precipitò;  bisogna  pur  dire  che 
un  elemento  di  corruzione  e  di  morte  pur  v'era 
in  questo  supremo  scopo  dell'  arte  del  Rina- 
scimento. 

La  forma  non  è  tutto  nell'arte.  È  moltissimo, 
ma  non  è  tutto.  Nel  sorriso  della  Gioconda  di 
Leonardo,  nello  sguardo  àoìV  ignoto  cavaliere  di 
Tiziano,  nella  luce  d'oro  liquido  ond'è  suffusa  e 
raggiante  V  Assunta^  nella  celeste  grazia  adole- 
scente di  certe  figure  del  Correggio,  nelle  tra- 
giche attitudini  delle  fiere  vergini  di  Michelan- 
giolo,  —  senza  uscire  d'Italia  e  dall'epoca  stessa 
del  Rinascimento  trionfante  e  glorioso  —  non  è 
certo  la  symmetria  prisca  quel  che  più  ammiriamo 
e  sentiamo. 

E  negli  stessi  predecessori  dei  sommi  mae- 
stri, nel  Botticelli,  nel  Lippi,  nel  Perugino,  vi 
sono  qualità  essenziali  che  fanno  la  loro  caratte- 
ristica e  la  loro  gloria,  e  che  hanno  poco  o  nulla 
a  vedere  con  la  symmetria  pìHsca.  È  la  coscienza, 
non   la    scienza  —  è  il    sentimento,  la   sincerità, 


9!>  EUPHORION 

l'anima  in  una  parola.  È  quel  che  Vernon  Lee 
stessa  ammira  nello  stesso  Raffaello  più  assai 
delle  sue  ninfe  e  delle  sue  madonne:  la  verità. 
Poche  pagine  dopo,  l'autrice  parlando  dell'Urbi- 
nate come  ritrattista,  dice:  «  In  Raffaello  ac- 
canto all'  eclettico  idealista  che  combinò  e  bi- 
lanciò la  bellezza  fino  all'insipidità,  c'è  il  più 
terribile  e  inesorabilmente  vero  ritrattista  che  sia 
stato  mai.  » 

In  fronte  a  questo  suo  discutibile  ma  ammi- 
rabile scritto,  l'autrice  ha  posto  l'epitaffio  del  Pla- 
tina a  Leonardo  da  Vinci  : 

Mirator  veterum,  discipiilusque  memor 
Def'iiit  milii  Symmetria  prisca.  Peregi 
Quod  potili.  Veniam  da  mihi,  posteritas. 

E  i  posteri  han  perdonato.  Anzi. molti  di  que- 
sti posteri,  ripensando  che  anche  senza  sì/mmefria 
prisca  Leonardo  potè  dipingere  il  Cenacolo^  la  Me- 
dusa^ e  la  Gioconda^  si  son  rallegrati  con  lui  di 
quella  mancanza  (se  c'era)  come  di  una  vera  for- 
tuna. O  fellx  culpa  ! 

«  Mentre  il  Hinascimento  italiano  ci  dava  nella 
pittura  l'equivalente  di  quel  rigido  idealismo  dei 
Greci,  che  non  ammette  nessuna  riproduzione  del 
volgare  e  del  brutto;  nella  scultura  esso  possedeva 
l'equivalente  di  quel  realismo  di  Velasquez  che 
può  ricavare  il  bello  dal  brutto,  come  il  chimico 
estrae  lo  zucchero  dal  vetriolo.  »  Così  Vernon  Lee 
nel  suo  studio  sui  Ritratti  nel  Rinascimento:  stu- 


KLPiionio.N  93 

dio  importantissimo,  e  notevole  j^er  novità  e  ori- 
ginalità di  vedute,  e,  benché  forse  un  po' troppo 
ingegnoso,  sostanzialmente  vero  e  su <j gestivo.  È 
questo,  che  io  sappia,  il  primo  studio  veramente 
serio  e  coscienzioso  sui  ritratti  in  scultura  del  Ei- 
nascimento;  sul  realismo  vivente,  che  giunge  a 
ottenere  effetti  quasi  i  leali,  di  alcuni  busti  in 
terra  cotta  del  Quattrocento.  Basta  qui  in  Firenze 
visitare  le  sale  di  scultura  toscana  nei  nostri  Mu- 
sei, per  convincersi  della  verità  di  giudizi  e  di 
descrizioni  in  queste  pagine  di  Yernon  Lee.  Sugli 
effetti  di  luce  ottenuti  in  quei  busti  parlanti  del 
Quattrocento,  dove  i  vecchi  maestri  sembrano 
avere  anticipato  di  due  secoli  gli  effetti  ottenuti 
da  Yelasquez  e  da  Eembrandt,  l'autrice  ha  finis- 
sime osservazioni.  Forse  eccede  nel  dare  suprema 
importanza  al  posto  dove  dovea  esser  collocato  il 
busto  o  la  statua  —  alla  luce  viva  o  crepuscolare 
della  chiesa  o  del  palazzo  —  nel  giudicare  la  ese- 
cuzione artistica  del  ritratto.  Non  è  solo  un  se- 
greto di  effetti  di  chiaroscuro  e  di  ottica  ciò  che 
fa  parer  belli  certi  ritratti  in  argilla  o  in  marmo 
di  brutte  e  vecchie  persone,  E  soprattutto  la  co- 
scienziosa riproduzione  delle  forme,  e  l'aver  colto 
a  volo  e  fermato  nella  materia  lo  spirito  di  una 
individuale  fisonomia. 

Sul  realismo  schietto,  efficace  —  quasi  spie- 
tato —  di  certi  ritratti  del  grande  idealista  Raf- 
faello, Vernon  Lee  si  entusiasma  in  modo  da  ren- 
derlo ingiusto  coi  ritratti  di  Yelasquez  adi  Tiziano. 
Una  delle  caratteristiche  di  questa  insigne  scrit- 


94  EUPIIORION 

trice  inglese  è  quella  di  non  poter  mai  esaltare  un 
gran  nome,  senza  deprimerne  un  altro.  Perchè  i  ri- 
tratti di  Leone  X  e  dei  cardinali  Rossi  e  De  Medici 
sono  una  vivente  riproduzione,  fisica  e  morale  ad 
un  tempo,  e  di  una  spaventosa  realtà,  non  mi 
sembra  però  giusto  l'aggiungere  che,  paragonati 
a  quei  ritratti  di  Raffaello,  i  ritratti  Veneziani 
sono  mere  insincere^  enormously  ideallzed  pieces  of 
colour  harmony,  e  che  quelli  di  Velasquez  sono 
mere  hints  given  rapidhj  hy  a  sickened  j>»aùtfer.  Ma 
come!  i  ritratti  di  Tiziano  non  sinceri?  idealiz- 
zate armonie  di  colore?  Velasquez  un  23Ìttore  ma- 
laticcio ?  Ma  vi  sono,  anche  nella  stessa  galleria 
dove  si  ammirano  quei  ritratti  stupendi  di  Raf- 
faello, ritratti  di  Tiziano  ancor  più  stupendi,  pur 
guardando  solo  al  realismo  e  alla  riproduzione  fe- 
dele della  natura.  Tiziano,  come  giustamente  os- 
serva il  Ruskin,  vedeva  in  un  colpo  d'occhio  l'in- 
tera natura  del  personaggio  che  voleva  ritrarre  : 
il  difuori  e  il  didentro  :  forma,  colore,  passione 
e  pensiero.  Alcuni  ritratti  del  Tiziano  fanno  quasi 
paura,  per  la  intensità  di  vita  individuale  che 
esprimono.  Non  si  regge  alla  lunga  lo  sguardo  di 
certi  suoi  personaggi. 

E  chi  potrà  mai  dimenticare  i  ritratti  di  Ve- 
lasquez che  si  vedono  nel  museo  di  Madrid  ? 
Vernon  Lee  ammira  con  ragione  quella  combina- 
zione di  bestiale  e  di  maligno,  di  porco  e  di  volpe, 
di  ferocia  e  di  riserbo,  che  Raffaello  ha  inqua- 
drata in  una  splendida  armonia  di  seta  scarlatta 
e  di  raso  cremisino,  di  purpureo  velluto  e  di  opaco 


EUPHORION  05 

bianco  broccato,  nei  suoi  ritratti.  Ma  anche  il  ri- 
tratto di  Innocenzo  X  del  Velasquez,  nella  galleria 
Doria  a  Roma,  è  vivente  e  ammirabile,  è  opera 
di  un  pit'ore  tutb'altro  che  sickened...  Il  Taine 
lo  chiama  le  chef-cVoeuvre  entre  tous  les  portralts. 
Ammettiamo  anche  che  questo  elogio  sia  iperbo- 
lico. Nonostante,  resterà  sempre  un  ammii'abile 
capolavoro.  Sopra  una  poltrona  rossa,  dinanzi  a 
una  tenda  rossa,  sotto  un  manto  rosso,  con  una 
papalina  rossa,  si  vede  il  rosso  viso,  la  figure 
(come  dice  il  Taine)  cVun  pauvre  niais^  cV un  ctdstre 
ìtsii.  Avolr  fait  aoec  cela  untahleau^  et  qiion  n^oulUe 
Ijlus  ! 

—  «  Il  medio  evo  feudale  dette  all'umanità 
un  amore  più  raffinato  e  spirituale,  un  amore 
tutto  cavalleria,  fedeltà  e  adorazione,  ma  un  amore 
infuso  del  veleno  dell'adulterio.  Salvare  le  pure  e 
nobili  porzioni  di  questo  amore  medievale,  di- 
venne la  missione  dei  poeti  toscani,  di  quella 
strana  scuola  di  amore  platonico  che  nella  sua 
stessa  amabilità  può  talvolta  apparire  sì.  poco  na- 
turale e  si  sterile.  Riducendo  essi  quest'amor  me- 
dievale a  una  pura  passione  intellettuale,  cercando 
nella  donna  soltanto  la  personiti.cazione  delle  loro 
aspirazioni  a  un  ideale  di  perfezione,  essi  cancel- 
laron  via  quell'inveterata  macchia  dell'adulterio; 
quadruplicarono  l' intensità  dell'elemento  ideale  ; 
distillarono  la  vera  essenza  spirituale  della  pas- 
sione poetica  della  quale  sol  poche  goccie,  anche 
diluite  dal  Petrarca,  bastarono,  miste  alla  terrena 


96  EUPHORION 

passione  dei  seguenti  poeti,  per  neutralizzarne 
ogni  basso  ingrediente.  E  questa  poesia  che  ha 
sopravvissuto  a  ogni  altra  poesia  del  medio 
evo,  e  parla  ancora  ai  nostri  cuori  —  questa 
poesia  toscana  del  secolo  XIII  ispirata  da  un 
amore  che  soprattutto  era  un  fervor  d'immagi- 
nazione, rimane  concentrata  nella  Vita  Kuova, 
e  vi  resterà  immortahnente  come  sovrana  purifi- 
catrice. » 

Questa  è  la  tesi  che  Vernon  Lee  ha  preso  a 
svolgere  nello  scritto  intitolato  Amore  medievale^ 
che  è  l'ultimo  del  suo  nuovo  libro.  Ed  Eujyhorion 
non  poteva  concludersi  meglio  che  con  questo 
studio  critico  dove  tutto,  pensieri  e  stile,  la  parte 
storica  e  la  immaginativa,  l'ordine  e  la  lucidezza, 
la  eloquenza  della  dimostrazione  e  la  efEcacia  del 
colorito,  i  documenti  e  la  poesia,  l'argomenta- 
zione e  il  sentimento  — tutto  concorre  a  dare  al 
lettore  uno  di  quei  rari  godimenti  spirituali  in 
cui  r  intelletto  ed  il  cuore  sono  egualmente  ap- 
pagati. Credo  di  non  esagerare  affermando  che  le 
pagine  sulla  Vita  Nuova  son  le  più  belle,  le  più 
giuste,  le  più  eloquenti,  che  siano  state  scritte 
fuori  d'Italia  su  quel  libro  divino. 

Notevoli  son  pur  quelle  sulla  leggenda  degli 
adulteri  amori  medievali  di  Tristano  e  d'Isotta 
—  e  specialmente  quelle  dove  l'autrice  ne  esa- 
mina il  carattere  di  un  interesse  puramente  psi- 
cologico, e  mostra  che  per  trovare  dei  compagni 
nella  storia  letteraria  a  quella  vecchia  leggenda 
di  Goffredo    di    Strasburgo,    biogna    traverssare 


KUPIIORTON  1)7 

tutto  il  medio  evo,  e  venir  diritti  alla  storia  di 
Clarissa  e  alla  Nuova  Eloisa. 

Bisogna  anche  traversare  senza  fermarsi  il 
gran  periodo  della  letteratura  drammatica,  percliè 
anche  in  Shakespeare  alla  parte  psicologica  è 
mista  l'azione  accidentale  o  fatale,  il  caso,  l' in- 
trigo, l'equivoco  che  guidano  spesso  gli  eventi.  Il 
carattere  di  psicologica  analisi,  la  illegittimità 
dell'amore,  e  1'  ardore  della  passione  egoistica, 
ravvicinano  le  storie  di  Tristano  e  di  Lancillotto 
al  romanzo  moderno.  Si  direbbe  che,  attraverso 
i  secoli,  Isotta  e  Ginevra  danno  la  mano  a  Va- 
lentina e  a  Fanny. 

Ma  dove  l'autrice  mostra  un  acume  critico 
anche  più  singolare,  è  quando  ricerca  ed  espone 
le  ragioni  per  le  quali  l'amore  adultero  dei  Min- 
nesinger  e  dei  trovadori,  e  quello  sensuale  dei 
poeti  siciliani,  diventò  fiamma  di  intenso  ma 
puro  fuoco,  una  adorazione  puramente  ideale  nei 
lirici  toscani  del  dugento,  e  nella   Vita  Nuova. 

Insomma,  io  credo  che  questo  scritto  sarà 
letto  in  Italia  e  in  Inghilterra  con  generale  am- 
mirazione —  ed  è,  secondo  me,  la  vera  gemma 
di  Eupìiorion.  Ma  anche  negli  altri  studi  di  cui 
non  posso  oggi  discorrere,  (la  Scuola  del  Bojardo, 
il  Sacrifizio)  vi  sono  pregi  di  prim'ordine  benché 
misti  a  qualche  difetto.  A  tutti  poi  parrà  evidente 
e  ammirabile  la  varietà  e  la  estensione  della 
coltura,  la  pieghevolezza  dello  stile,  mostrate  dal- 
l'autrice ne]  trattare  cosi  diversi  argomenti.  A 
noi  Italiani  resta  poi  un  doppio  debito    di    rico- 

Nencioni.  —Saggi  critici  di  leti,  inglese.  7 


98  EUPiionioN 

noscenza  verso  l' autrice  di  Euphorion,  per  aver 
ora  con  questo  suo  nuovo  lavoro  illustrata  per 
la  terza  volta  la  storia  letteraria  ed  artistica  del 
nostro  paese.  E  i  debiti  di  gratitudine  che  le- 
gano l'Italia  all' Inghilterra  sono  già  molti;  basta 
ricordare  oggi  i  uomi  di  Browning,  di  Ruskin, 
del  Symonds,  del  Pater  e  di  Vernon  Lee. 

{Nuova  Antologìa,  15  giugiio  1884.) 


no 


I  POETI  AMERICANI 


Il  primo  riflesso  di  poesia  americana  venne 
all'Europa  nei  Xatchez  di  Chateaubriand.  Il  nobile 
e  malinconico  Renato  prese  letterariamente  pos- 
sesso del  Nuovo  Mondo,  e  potè  dire  :  «  le  mie  so- 
litudini. »  Primo  vide  e  senti  la  poesia  delle  im- 
mense praterie,  dei  mari  df.  verde^  dei  fiumi-oceani, 
delle  foreste  vergini,  del  gran  fogliame  americano 
come  dice  Wliitman.  Rousseau  aveva  descritto  le 
Alpi,  Bernardin  le  ardenti  isole  indiane.  Chateau- 
briand dipinse  per  il  primo  l' immensità  del  de- 
serto, la  flora  portentosa  e  le  grandi  voci  e  i  grandi 
silenzi  della  foresta  transatlantica.  Fu  la  sua  im- 
mortale conquista.  Il  Nuovo  Mondo  dette  sfolgo- 
ranti colori  e  ineffabili  armonie  alla  sua  prosa 
poetica,  e  servi  di  splendido  fondo  agli  amori 
verginali  di  Atala  e  alle  aristocratiche  malinco- 
nie di  René. 

Un'  eco  anche  più  genuina  della  natura  ame- 
ricana ci  venne  poi  nei  romanzi  di  Cooper.  E  più 


iOO  I    POETI    AMERICANI 

recentemente  si  crede  da  moltissimi  di  conoscer 
l'America,  leggendo  il  più  europeo  dei  poeti  ame- 
ricani, il  Longfeliow.  Ma  egli  rappresenta  assai 
più  la  veccliia  letteratura  feudale,  che  1'  audace, 
nuova  e  democratica  letteratura  americana.  Nei 
suoi  lavori  più  pregiati,  ricorda  quasi  sempre  mo- 
delli tedescLi  o  spaglinoli:  le  sue  ballate  più  po- 
polari sono  echi,  più  o  meno  felici,  di  Uhland,  di 
Novalis,  di  E-iickert,  di  Heine,  o  del  Romancero  o 
del  Cancionero  spagnuoli.  I  suoi  teneri  idilli,  me- 
ritamente ammirati,  Evangelina  e  Mihs  Standishy 
sono  filiazioni  dirette  della  Luisa  del  Voss,  e  del- 
l' Ermanno  e  Dorotea  di  Goethe.  Xel  poema  Hiawa- 
tha,  il  soggetto  leggendario  è  americano,  il  color 
locale  è  americano,  ma  nell'esecuzione  vi  è  la  cer- 
cata e  artificiale  ndiveté  dell'artista  dilettante, 
piuttosto  che  la  naturale  e  schietta  semplicità 
del  vero  poeta  creatore. 

Il  torto  che  molti  poeti  americani  hanno  co- 
mune con  Longfeliow  è  di  rammentar  troppo  da 
vicino  l'arte  anglo-germanica,  invece  di  essere 
specchio  fedele  della  natura  e  della  vita  del  Nuovo 
Mondo.  Nel  suolo  dei  più  stupendi  materiali  poe- 
tici ancora  vergini,  si  fanno  troppe  pallide  copie 
di  poesie  inglesi,  tedesche  e  francesi,  troppe  bal- 
late, troppi  idilli,  troppe  elegie,  troppe  rime  da 
album.  La  poesia  veramente  americana,  i  veri  echi 
del  Mississipì  e  del  Missouri,  della  Virginia  e  del 
Maryland,  hanno  qualche  cosa  di  rude,  di  primi- 
tivo, una.  musica  naturale  e  magnetica  come  quella 
dei  vasti  laghi  e  del  vento  fra  le  liane,   o   impe- 


I    POETI    AMERICANI  101 

tiTOsa  e  violenta  come  quella  delle  grandi  cate- 
ratte assordanti.  I  poeti  genuinamente  americani 
hanno  tutti  un  carattere  di  personalità,  di  demo- 
crazia, di  originalità,  e,  strano  a  dirsi,  di  mistici- 
smo. Un  misticismo  di  nuovo  genere,  poetico  e 
positivo  ad  un  tempo;  qualche  cosa  di  preciso,  di 
matematico  anche  nelle  più  strane  visioni;  un 
po'  di  Legendre  nei  sogni  di  Swedenborg....  Mi 
basti  citare  in  prova  i  Racconti  straordinari  e  il 
Corvo  di  Edgardo  Poe. 

Quali  son  dunque  i  veri  poeti  americani?  A 
me  sembran  questi:  Emerson,  Edgardo  Poe,  Lo- 
well,  Bret  Harte,  Joaquin  Miller  e  Walt  Whit- 
man.  William  Cullen  Bryant,  che  alcuni  critici 
metton  primo  fra  i  poeti  di  America,  ha  un  ma- 
gnifico frasario  classico,  un  fare  largo  e  potente 
come  nei  sublimi  versi  di  Thanatojysis ;  e  talvolta, 
come  nella  poesia  descrittiva  delle  Prairies^  è  emi- 
nentemente americano.  Il  nobile  e  generoso  Whit- 
tier  coi  suoi  ferventi  entusiasmi  per  la  causa 
dell'umanità,  le  sue  eroiche  apostrofi  contro  la 
schiavitù,  la  viva  sensibilità  e  il  dono  delle  lacrime, 
ha  caldi  ammiratori  e  discepoli  nel  nuovo  e  nel 
vecchio  mondo.  Ma  anche  questi  due,  come  tanti 
altri  lodati  poeti  americani  hanno  spesso,  e  nel 
concetto  e  nella  forma,  un  carattere,  un  accento 
troppo  inglesi:  spesso  il  vecchio  meccanismo  poe- 
tico s' intravede  nei  loro  canti  —  e  qualche  rara 
volta  anche  la  vecchia  rettorica  fa  capolino. 

V'ha  di  più.  In  tutta  la  lista  dei  suoi  poeti 
e  dei  suoi  prosatori,  finora  l'America  non  ha  avuto 


102  1    POETI    AMERICANI 

un  genio  di  prim'  ordine,  una  voce  degna  di  lei. 
L'  America  ha  una  nobile  schiera  di  poeti  e  di 
romanzieri,  di  critici  e  di  storici,  di  umoristi  e  di 
pubblicisti  —  ma  anche  ai  più  insigni  di  essi 
manca  qualche  cosa  per  meritare  di  esser  messi 
accanto  ai  veri  geni  completi  ed  indiscutibili.  Nò 
regge  al  paragone  con  la  contemporanea  Inghil- 
terra. L'  America  non  ha  un  poeta  della  forza  e 
della  profondità  di  Roberto  Browning,  ne  della 
perfezione  artistica  di  Alfredo  Tennyson.  Non  ha 
un  lirico  che  possa  competere  per  soffio  d' ispira- 
zione e  per  maravigliosi  effetti  musicali  con  Al- 
gernon  Swinburne.  Non  ha  un  pensatore  come 
Carlyle.  Non  ha  un  critico  paragonabile  al  E-uskin. 
Non  ha  un  maestro  del  pianto  e  del  riso  come 
Carlo  Dickens,  ne  un  umorista  satirico  della  forza 
di  Thackeray,  né  un  romanziere  psicologo  e  na- 
turalista che  regga  al  confronto  di  Giorgio  Eliot. 

No;  — né  il  Poe  col  suo  istintivo  e  squisito 
senso  della  forma,  e  con  la  originalità  delle  sue 
intense  visioni,  delle  sue  dolorose  allucinazioni  — 
né  Hawthorne  con  1'  ammirabile  e  gemmea  per- 
fezione della  sua  prosa  analitica,  col  profondo 
scandaglio  entro  gli  abissi  del  cuore  umano,  con 
l'elegante  e  pessimista  umorismo  —  né  Longfel- 
low,  il  fortunato  Longfellow,  con  tutta  la  mora- 
lità e  popolarità  dei  suoi  facili  canti  -  né  Emer- 
son, né  Brj^ant,  né  Prescott,  possono  emulare, 
nonché  superare,  i  grandi  Inglesi  contemporanei. 

E  fra  questi,  i  due  più  genuinamente  Ameri- 
cani sono,  a  mio  giudizio,  Edgardo  Poe  e  "Walt 


I    POETI    AMERICANI  103 

Whitman.  D'indole  affatto  opposta,  sembrali  essere 
veramente  agli  antipodi  :  ma  gli  accomuna  una 
stessa  stupenda  originalità,  e  una  stessa  mao-ne- 
tica,  inevitabile,  incancellabile  efficacia  sull'animo 
dei  lettori. 

«  Qual  malattia  è  paragonabile  ììÌV  alcool^  » 
E  questa  la  terribile  parola  con  cui  il  Poe  riepi- 
logò le  agonie  della  sua  tragica  vita.  Provò  tutto: 
1'  amore,  1'  ambizione,  la  miseria,  la  prigione,  lo 
spedale,  la  gloria:  soldato,  commerciante,  giorna- 
lista, compendiò  in  trentasei  anni  la  vita  d'un 
secolo,  e  moltiplicò  le  ebbrezze  e  gli  spasimi,  i 
deliri  e  i  singulti  di  questa  vita  paradisiaca  e  in- 
fernale, con  1'  abuso  di  bevande  spiritose;  quanto 
e  ])m  di  Teodoro  Hoffmann. 

Le  jDoesie  di  Edgardo  Poe  rassomigliano  a 
certi  fiori  tropicali,  larghi,  lucidi,  metallici,  belli 
ed  orribili  al  tempo  stesso,  sfolgoranti  e  velenosi. 

L' idea  più  malinconica,  l' idea  della  morte^ 
diviene  nelle  poesie  del  Poe  essenzialmente  poe- 
tica e  patetica,  perchè  sempre  unita  all'  idea  della 
bellezza  (vedi  il  Corvo,  Annahel  Lee,  For  Annié).  Lo 
stile  del  Poe  è  ammirabile  per  la  perfezione  pla- 
stica e  per  la  cristallina  trasparenza.  Questo  so- 
gnatore aveva  il  sentimento  della  forma  come  un 
Foscolo  o  un  Keats.  Ma  in  certe  sottili  oscilla- 
zioni del  pensiero,  in  certi  accenti  che  posson 
dirsi  profeticamente  moderni  pensando  all'  epoca 
in  cui  furono  espressi,  in  certe  ineffabili  sfuma- 
ture di  colori  e  di    suoni,    nella   curiosa  felicitas 


104  1    POETI    AMERICANI 

con  la  quale  traduce  sensazioni  e  sentimenti  clie  si 
credevano  inesprimibili,  egli  è  fra  i  poeti  ameri- 
cani il  solo  paragonàbile  al  divino  e  unico 
Shelley. 

Nelle  poesie  di  Edgardo  Poe,  e'  è  talvolta 
qualche  cosa  di  morboso,  di  languidamente  au- 
tunnale, quello  che  il  Baudelaire  chiamava  la 
'phosjjliorescence  de  la  pourritiire^  quello  che  è  sem- 
pre, o  quasi  sempre,  nei  suoi  Racconti  straordina- 
ri. Vi  incontrate  ogni  tratto  in  visioni  di  una 
bellezza  e  di  una  stranezza  che  hanno  dell'  ange- 
lico e  del  diabolico.  Vi  sono  paesaggi  desolati, 
umidi,  rossastri,  dove  si  respira  un  acre  profumo 
di  fiori  appassiti  e  di  vergini  morte.  Vi  son  la- 
crime isteriche  di  convalescente,  che  fanno  male 
al  cuore,  ma  che  non  vengon  dal  cuore.  E  l' im- 
pressione definitiva  che  prova  il  lettore  somiglia 
al  fascino  penoso  e  al  turbamento  di  un  incubo. 

In  che  cosa  dunque  consiste  1'  americanismo 
di  Edgardo  Poe?  Nel  carattere  di  ardita  investi- 
gazione, nell'audacia  delle  ipotesi,  nel  profondo 
senso  scientifico  che  gli  è  compagno  fin  nelle  più 
strane  allucinazioni,  nella  originalità  della  in- 
venzione e  final  mente  nell'  odio  del  common  place 
e  del  filisteismo  europeo. 

Una  difficoltà  vinta  e  che  pareva  insupera- 
bile, un  enimma  spiegato,  una  miracolosa  sco- 
perta di  polizia,  delitti  senza  nome,  sensazioni 
eccezionali  e  terribili,  cadaveri  galvanizzati  che 
parlano,  di-'perate  avventure  aeree,  tragiche  ine- 
splicabili antipatie,  assurdità  ragionate  come  tee- 


I    POETI    A.MERICAM  105 

remi  geometrici,  cuori  sepolti  che  sussultano 
sotto  la  sedia  dell'  assassino,  corvi  che  gracidano 
un  terribile  mai  a  ogni  umana  e  divina  speranza; 
tali  sono  i  racconti  e  tali  le  poesie  di  questo 
grande  e  singolare  ingegno. 

E  che  dire  dei  suoi  indimenticabili  ritratti 
di  donne?  Elena,  Berenice,  Ligeja,  Eleonora,  Bea- 
trice? Esse  sembrano  respirare  in  un'  atmosfera 
carica  di  elettricismo,  e  ci  sentiamo  aifascinati  a 
guardarle  per  lunghe  ore.  Poi,  chiuso  il  libro, 
l'immagine  ci  resta  vivente  dinanzi.  Quelle  strane 
e  adorabili  figure  di  donna  ci  appariscono  come 
delicati  strumenti,  traverso  i  quali  il  poeta  vede 
e  ci  rivela  il  mistico  legame  ohe  unisce  la  natura 
corporea  alla  spirituale.  Gracili,  nervose,  sembran 
soggette  a  condizioni  di  vita  eccezionali:  pare 
che  sentano  l' impressione  di  agenti  misteriosi, 
non  provata  dal  volgo  degli  uomini;  e  ce  ne  co- 
municano in  una  corrente  magnetica,  la  segreta, 
dolorosa,  irresistibile  influenza.  E  i  morti  di  Ed- 
gardo Poe?  Chi  ha  mai  sorpreso  e  fotografato 
come  lui  quel  solenne  carattere,  quella  trag'ca 
intensità  di  espressione,  quella  nobiltà,  che  la 
morte  imprime  sul  volto  anche  degli  esseri  più 
insignificanti  e  volgari  ?  lo  sguardo  vitreo  che 
fissa  le  regioni  di  un  altro  mondo,  il  sorriso  o  il 
terrore  supremo  sigillati  sulle  labbra  violacee  dal 
sacro  dito  della  morte?... 

Solo  1'  autore  di  Amleto  approfondi,  quanto  e 
più  di  Edgardo  Poe,  il  gran  mistero  della  mor- 
te. Quando  il  Poe  parla  di  morenti   o   di  morti, 


106  1    POETI    AMERICANI 

trova,  al  pari  di  Shakespeare  e  di  Pascal,  l'espres- 
sione che  arriva  all'anima  come  una  lama  di  col- 
tello; l'epiteto  rivelatore,  il  verso  che  fa  paura  ... 
Egli  si  era  talmente  identificato  con  l' idea  di 
morire  che  arrivò,  con  una  realtà  di  fisica  imma- 
ginazione, a  figurarsi  già  morto,  par  conservando 
il  pensiero  e  il  sentimento  di  vivo.  Uditelo  : 

«  Grrazie  al  cielo,  la  crisi,  il  pericolo,  è  pas- 
sato ;  e  la  lenta  malattia  è  cessata  alla  fine  —  e 
la  febbre  chiamata   Vivere  è  vinta  alla  fine... 

«  Mi  sento  malinconicamente  esausto  di  forza, 
ne  muovo  un  sol  muscolo,  mentre  giaccio  cosT  di- 
steso —  ma  non  importa  —  sento  che  sto  meglio 
alla  fine. 

«  E  riposo  cosi  tranquillamente,  ora,  nel  mio 
letto,  che  qualcuno  guardandomi  può  anche  so- 
spettar eh'  io  sia  morto  —  può  riscuotersi  a  un 
tratto,  guardandomi,  credendomi  morto. 

«  I  gemiti  e  i  fremiti,  i  sospiri  e  i  singhiozzi 
sono  ora  acquietati  con  quell'orribile  palpito  al 
cuore  —  ah  !  quell'orribile,    orribile  palpito  !... 

«  Il  male,  la  nausea,  la  pjena  spietata,  sono 
passate  —  con  quella  febbre  che  faceva  impaz- 
zare il  mio  cervello  —  con  la  febbre  chiamata 
Vita^  che  ardeva  nel  mio  cervello...  » 

Se  il  Poe  ci  apparisce  talvolta  un  po'  ricer- 
cato e  manierato  nelle  immagini  e  nell'espressione 
è  però  sempre  umano  e  sempre  ideale.  Egli  è  ve- 
ramente padre  incorrotto  di  corrotti  figliuoli.  Di- 
scepoli n'ebbe,  e  molti,  e   più   in    Europa   che  in 


1    POETI    AMERICANI  107 

America.  Baudelaire,  suo  ammiratore  e  traduttore, 
ne  risentì  la  diretta  influenza.  Ma  fra  il  maestro 
e  il  discepolo  vi  sono  essenziali,  radicali  differenze. 
Il  Baudelaire  con  la  sua  teoria  della  decadenza^ 
con  le  sue  adorazioni  di  scheletri  macabri  e  di 
Veneri  nere,  è  un  sistematico  cercatore  dello  strano 
e  dell'  impossibile.  Il  delirio  dei  sensi  sovrecci- 
tati gli  dà  alla  testa  come  un  odore  tro2)po  forte. 
I  suoi  Fleuvs  diL  Mal  son  fiori  di  cimitero,  anzi  di 
carnaio. 

La  disperazione  è  l'ultima  parola  di  quel  tra- 
gico volume.  Sotto  un  certo  aspetto,  i  Fleuvs  du 
Mal  sono  un  libro  di  alta  moralità,  perchè  vi  è 
la  confessione  sincera  fino  al  cinismo  e  audace 
fino  alla  bestemmia,  delle  inaudite  torture  ohe 
inevitabilmente  succedono,  nèmesi  inesorabile, 
alle  raffinate  e  colpevoli  voluttà  :  i  rimorsi,  la 
tristezza  invincibile,  gli  acri  e  insaziabili  desi- 
deri, la  gelosia  furibonda,  la  noia  feroce,  tutti  i 
dolori  e  tutte  le  vergogne  della  sfrenata  sensua- 
lità. E  un  mazzo  di  fiori  tropicali  che  dà  le  ver- 
tigini :  e  il  poeta  a  momenti  ne  è  spaventato  anche 
lui;  disgustato  ne  è  sempre.  La  voluttà  è  diven- 
tata crudele  ;  i  baci  vi  son  commisti  alle  lacrime 
e  al  sangue... 

I  discepoli  poi,  i  numerosi  Baudeleriani,  an- 
darono anche  più  in  là,  senza  avere  gli  insigni 
pregi  artistici  del  maestro.  «  On  pétrarquisa  sur 
Vimmonde  »  :  e  non  si  volle  sentir  parlare  né  di 
altra  arte,  ne  d'altri  argomenti.  Ogni  vino  puro 
e  generoso  parve  insipido    a  stomachi   guasti  dal 


108  I    rOETI    AMERICANI 

fuoco  liquido  di  micidiali  liquori.  IMa  se  il  Bau- 
delaire è  condannabile  in  parte,  e  i  Baudeleriani 
lo  sono  in  tutto,  sarebbe  solenne  ingiustizia  farne 
risalire  la  colpa  al  nobile,  umano  e  casto  poeta, 
Edgardo  Poe. 

Ralph  AValdo  Emerson,  idealista  e  teosofo 
che  ricorda  a  un  tempo  Carlyle,  Fichte  e  Saint- 
Martin  neir  indole  e  nelle  tendenze  delle  sue  tra- 
scendentali speculazioni,  si  serve  del  linguaggio 
poetico  per  dar  più  nobile  e  memorabile  forma 
ai  suoi  concetti  filosofici.  L'arte  viene  in  aiuto 
alla  scienza.  Egli  e  Whitman  hanno  inaugurato 
in  America  una  scuola  poetica  che  ha  un  fon- 
damento scientifico.  Più  metafìsico  Emerson  — 
e  Whitman  è  più  naturalista  :  ma  in  ambedue 
la  scienza  come  in  Lucrezio,  in  Goethe  ed  in 
Browning,  è  ispiratrice  e  regolatrice  dell'artista; 
e  ambedue  irridono  con  amara  ironia  le  licenze 
poetiche  dei  trovatori  idillici  e  sentimentali.  Fra 
le  più  notevoli  poesie  filosofiche  di  Emerson  basti 
rQ^m.in.e\i\iQiVQ  Astrea^Hamatreya^  n Anima  del  Mondo 
e  le  Xote  forestali. 

Lowell  è  il  più  geniale  dei  poeti  umoristi  di 
America.  I  suoi  Biglow  Papers  scritti  in  dialetto 
Yankee^  sono  una  sorgente  fresca  e  perenne  di 
riso  come,  in  altro  genere,  i  Pìckioick  Papers  di 
Dickens,  o  ili  genere  più  somigliante,  la  Fudge 
familij  in  Paris  e  le  Rliymes  on  the  Read  di  Tom 
Moore.  Ma  né  Dickens,  né  Moore,  né  Hood,  col 
quale  pure  il  Lowell  ha  qualche  analogia  e  come 


1    PULTl    AMERICANI  1 0!J 

un'aria  di  famiglia,  posson  dirsi  i  modelli  dell'u- 
morista americano.  No  :  i  Biglow  Papers  sono 
cosa  eminentemeute  nazionale  ed  americana  ;  e 
a-^sicureranno  fama  durevole  al  Lowell  assai  più 
delle  sue  poesie  di  argomento  grave,  descrittive  o 
elegiache.  Lowell  è  nato  umorista  :  lì  è  la  sua 
forza,  e  questo  è  il  suo  campo.  Le  Disgrazie  del 
signor  Knot  e  il  Credo  di  un  pio  editore,  sono  forse 
le  poesie  umoristiche  meglio  riuscite  di  Lowell,  e 
ricordano  al  lettore  italiano  alcuni  stupendi  e  vi- 
venti capolavori  satirici  ed  umoristici  di  Carlo 
Porta.  Invece  le  sue  poesie  serie,  come  quelle  di 
quasi  tutti  anche  fra  i  più  notevoli  poeti  ameri- 
cani, derivan  troppo  direttamente  dalla  grande 
scuola  inglese  .  paiono  echi  più  o  meno  felici  di 
AVordsAvorih,  di  Shelley,  di  Tennyson,  della 
Browning.  Soliti  argomenti  idillici,  elegiaci,  o 
puramente  musicali.  È  quasi  sempre  poesia  riflessa 
e  ispirazione  imitativa.  Si  direbbe  che  essi  hanno 
poco  o  nulla  da  dirci  di  suo,  e  si  contentano  di 
ripetere  bene  ciò  che  già  fu  detto  benissimo  nella 
vecchia  Inghilterra. 

Bret  Harte,  Joaquin  Miller,  e  sopratutto 
Whitman,  vanno  esenti  da  questo  difetto  —  e 
sono  genuinamente,  e  talora  selvaggiamente  ame- 
ricani. Bret  Harte  è  nome  ormai  notissimo  ai 
lettori  europei  ed  è  popolare  anche  nella  nostra 
Italia.  Joaquin  Miller  di  California,  intrepido  e 
avventuroso  viaggiatore  dell'America  centrale,  ha 
descritto  e  narrato  in  versi  splendidamente  colo- 
riti, e  con  una  energia   veramente  byroniana   ciò 


410  I    POETI    AMERICANI 

che  ha  visto  e  provato.  Chi  può  aver  letto  senza 
ammirazione  e  senza  fremiti  il  suo  Arizonian  ? 

Di  Walt  Whitmau  ebbi  occasione  di  parlare 
altra  volta;  e  credo  essere  stato  il  primo  a  ricor- 
dare il  suo  nome  in  Italia.  Ma  mi  trattenni  a 
parlare  di  lui  come  poeta  soldato  e  rivoluzionario 
—  e  tradussi  dai  suoi  canti  guerreschi  alcune 
ammirabili  strofe.  Oggi  torno  a  discorrere  più 
diffusamente  del  suo  carattere  poetico  —  del  suo 
modo  di  vedere  e  tradurre  i  grandi  spettacoli 
della  natura  e  i  grandi  drammi  della  vita. 

Il  poeta  Swinburne  e  il  critico  Rossetti  hanno 
di  comune  accordo  proclamato  Walt  Whifcman 
la  più  gran  voce  poetica  dell'America.  «  Il  più 
grande,  incomparabilmente  il  più  grande,  dei 
poeti  americani,  e  uno  dei  più  grandi  poeti  vi- 
venti in  qualunque  parte  del  mondo.  »  Cosi  lo 
definisce  il  Rossetti,  autorevole  e  credibile  giu- 
dice di  poesia.  E  lo  paragona  a  un  gigante  che 
non  può  arrestarsi  alle  minuzie  descrittive,  ma  ha 
in  grado  supremo  la  facoltà  di  vedere  in  grandi 
masse  la  vita  umana,  e  di  comprendere  nel  suo 
colpo  d'occhio  i  più  vasti  e  svariati  panorami. 
«  È  nato  (dice)  a  scolpire  le  sfingi  granitiche 
dell'  Egitto,  non  a  cesellare  l'oro  e  le  gemme 
greche.  » 

Durante  la  grande  guerra  di  secessione^  Walt 
Whitman  ardente  unionista,  andò  al  campo  come 
infermiere  e  come  corrispondente  del  New  York 
Times.    Assistè    nel    lungo    corso    della    terribile 


1    POKTl   AMERICANI  111 

guerra  molte  migliaia  di  feriti.  Onorato  poi  dal- 
l'amicizia di  Lincoln  migliorò  le  sue  condizioni 
e  potè  coltivare  la  poesia  con  più  calma,  ed 
eternare  nelle  sue  pagine  le  varie  potenti  impres- 
sioni, le  passioni  osservate  e  provate,  i  grandi 
paesaggi  traversati,  le  lotte  titaniche  di  cui  fu  te- 
stimone ed  attore.  Il  Conway,  un  caldo  ammira,- 
tore  di  Wliitman,  cosìjo  descrive  dopo  una  visita 
fattagli  a  Long  Island  :  «  Il  sole  ardeva  eccessi- 
vamente :  vidi  sdraiato  supino,  e  guardante  fìsso 
al  terribile  cielo  di  fuoco,  l'uomo  che  io  cercavo. 
Con  la  sua  tunica  grigia,  la  camicia  turchina,  i 
capelli  grigio-ferro,  la  faccia  abbronzata,  e  il  collo 
nudo,  arso  dal  sole,  disteso  salTarido  suolo,  fra 
l'erba  secca,  pareva  una  parte  naturale  del  terreno, 
tanto  la  generale  intonazione  era  armonica.  » 
E  tale  è  la  sua  poesia  :  è  come  una  produzione 
naturale ,  una  emanazione  di  vitale  energia  ; 
e  non  ha  nulla  di  letterario  e  di  artificiale. 
E  un  audace  novatore,  e  annunzia  un  nuovo 
mondo  poetico  e  la  fine  della  vecchia  poesia  feu- 
dale. Ma  non  è  che  un  precursore,  un  indicatore, 
un  pioneer.  Lo  dice  da  sé  in  una  bella  poesia  Ai 
2)oeti  futuri  :  «  Io  scrivo  solo  la  parola  indicante 
il  futuro  :  il  di  presente  non  può  ca^^ire  che  cosa 
vogliamo  io  e  la  Democrazia.  » 

L'uomo  e  il  ]3oeta  sono  una  cosa  sola  in  Walt 
Whitman.  La  sua  poesia  è  la  sua  vita  :  la  sua 
vita  è  un  genuino  poema  americano.  Cinque  sono 
le  sue  opere  poetiche  più  notevoli  :  1  canti  demo- 
cratici —  Leaves  of  grass  (Foglie  d'erba)  —  Drum 


115  I    POETI    AMERICANI 

Taps  (Colpi  di  tamburo)  —  Song  of  Parting  -  e 
"un  volume  intitolato  dal  suo  proprio  nome,  perchè 
tutto  di  poesie  personali,   Wali  Wì/itnìan. 

In  questi  volumi,  non  più  amori  romanzeschi, 
elegie,  ballate,  leggende,  romanze,  sonetti  e  vi- 
gnette, come  nei  libri  di  quelli  eh' ei  chiama  ^/i- 
stei^  menestrelli,  e  mezzani  di  rime;  —  ma  l'uomo,  e 
l'uomo  d'America,  sano  ed  energico,'  neìla  sua 
forte  e  rude  attività  primitiva,  e  i  suoi  colossali 
ardimenti,  e  per  paesaggio  gli  immensi  panorami 
del  Nuovo  Mondo.  "Whitman  ha  soppresso  la  rima 
e  la  metrica  regolare,  adottando  un  ritmo  di 
nuovo  genere  che  è  di  una  penetrante  efficacia. 
La  sua  strofa  è  un  periodo  poetico  di  una  gran- 
diosa e  musicale  struttura,  in  cui  sembran  risuo- 
nare i  selvaggi  rumori  delle  foreste  vergini,  del 
vento  fra  le  liane,  e  delle  grandi  onde  del  Missis- 
sipi  e  dell'Ohio. 

L' idea  umanitaria  e  democratica  avea  già 
avuto  potenti  ed  efficacissimi  interpreti  in  Burns, 
Schiller,  Shelley,  Mazzini,  Victor  Hugo,  Heine, 
Swinburne,  che,  per  diverse  vie  e  con  diversi 
mezzi,  hanno  aiutato  il  trionfo  della  moderna  de- 
mocrazia. Ma  chi  ha  compreso  più  largamente 
l'umanità  tutta  quanta,  e  intravisto  con  più  fati- 
dico sguardo  i  suoi  futuri  destini  —  il  pioneer.  il 
profeta  di  una  nuova  società  e  di  un'arte  nuova 
—  il  più  audace  e  radicale  poeta,  esteticamente 
e  socialmente  parlando,  che  abbia  diretto  alle 
masse  una  parola  di  fuoco  è  Walt  Whitman. 

Il  più  gran  poeta,  il  Dante   del  mondo   mo- 


I    POETI    AMERICANI  113 

derno,  sarà  quello  che  dÌ2)ingerà  nel  più  gran 
numero  possibile  di  rappresentazioni  la  Vita  e 
l'Uomo  moderno,  la  democrazia  cosmopolita  che  lo 
caratterizza,  e  le  sue  titaniche  audacie  di  inven- 
tore e  di  -viaggiatore.  Carattere  della  nuova  poe- 
sia sarà  il  movimento,  l'azione,  ]a  formidabile 
agitazione  delle  grandi  moltitudini,  gli  sconfinati 
e  sublimi  spettacoli  della  natura.  Whitman  ha 
intravisto  e  indicato  tutto  ciò  —  ed  è  già  molto. 
E  forse  il  vero  sommo  poeta  moderno,  poeta  e  ar- 
tista completo,  ci  verrà  dal  Nuovo  Mondo  Ame- 
ricano, dalla  patria  di  Washington. 

Wliitman  ha  tracciato,  per  dir  cosi,  il  pro- 
gramma della  futura  poesia  umanitaria.  Questa 
poesia  dipingerà  con  la  stessa  passione  e  con  la 
stessa  realtà  i  grandi  commerci  e  le  Esposizioni 
mondiali,  le  linee  delle  Ande,  le  tempeste  del- 
l'Atlantico e  la  flora  portentosa  dell'  oceano  In- 
diano: descriverà  con  egual  simpatia  l'uomo  di 
Londra  e  il  selvaggio  della  Groenlandia,  l'Ate- 
niese ed  il  Cafro:  abbraccerà  in  una  comprensione 
veramente  Cattolica  tutti  gli  aspetti  e  tutte  le 
voci    della  Terra,  tutte  le  storie  e  tutte  le   razze. 

Letterariamente  parlando,  1'  opera  poetica  di 
"Whitman  ha  gravi  difetti:  e  in  particolar  modo 
quello  dell'  agglomerazione,  della  nomenclatura 
che  spesso  ci  stanca  o  ci  fa  sorridere.  Ma  se  tu 
hai  pazienza  e  seguiti  a  le g  i-ere,  adagio  adagio, 
ti  senti  attratto  come  da  una  forza  magnetica  : 
vedi  gli  immensi  panorami  di  America;  ti  senti 
vivere  della   vita  destinata  naturalmente    all'  uo- 

ISENCioxi.  —  Saggi  critici  di  lett.  inglese  8 


114  I    POETI    AMERICANI 

mo;  dimentichi  il  personaggio  artificiale,  e  ritorni 
ai  sentimenti  patriarcali,  primitivi,  incancella- 
bili. Non  trovi  mai  nei  volumi  di  AVhitman  una 
di  quelle  pitture  da  atelier  con  cui  oggi  gli  scrit- 
tori scimmiottan  gli  artisti  ;  ma  sempre  pitture 
da  poeta.  Non  ricorda  nessuno;  o  se  mai  qualche 
volta,  Omero  e  la  Bibbia. 

La  sua  visione  poetica  è  forse  la  più  estesa 
ed  universale  che  abbia  avuto  alcun  poeta  mo- 
derno. Si  leggano  in  prova  fra  le  sue  poesie  quelle 
intitolate:  Fogliame  Americano^  V  Inno  funehre  per 
Lincoln^  e  Salute  al  Mondo.  In  questa  egli  abbrac- 
cia in  una  ardente  simpatia  umana  tutta  la  Terra 
e  tutte  le  razze. 

«  —  Che  cosa  vedi,  o  AValt  AVhitman?  Chi 
son  coloro  che  tu  saluti  e  che  1'  un  dopo  1'  altro 
salutano  te? 

«  —  Io  vedo  un  globo  maraviglioso  rotare 
nell'aria.  Ne  veggo  una  parte  addormentata  nel- 
1'  ombra  da  un  lato  —  dall'  altro  una  parte  illumi- 
nata dal  sole;  e  noto  il  curioso  tacito  alternarsi 
della  luce  e  dell'  ombra. 

«  Veggo  le  grandi  acque  —  e  i  picchi  dei 
monti:  le  sierre  delle  Ande,  gli  Imalaja,  le  Alpi 
Stirie  e  le  Carniche,  i  Pirenei,  i  Balcani,  i  Car- 
pazi: le  montagne  della  Luna:  le  montagne  della 
Neve:  le  rosse  montagne  del  Madagascar,  e  il 
lungo  nastro  delle  Cordigliere ,  e  sul  mare,  Ecla  e 
Vesuvio. 

«  Vedo  i  vasti  deserti  dell'America  occiden- 


I    POETI    AMERICANI  115 

tale,  e  i  deserti  di  Libia  e  d'Arabia:  vedo  le  acu- 
minate spaventose  ghiacciaie  Artiche  e  Antar- 
tiche. 

«  Vedo  gli  oceani  superiori  e  inferiori, 
l'Atlantico  e  il  Pacifico ,  il  mare  del  Messico,  il 
mar  del  Brasile,  il  mar  del  Perù:  le  grandi  acque 
del  Griappone,  il  mar  della  China,  il  blù-soleg- 
giato  Mediterraneo,  il  mare  verde  della  Groen- 
landia. 

«  Vedo  i  marinari  di  tutto  il  mondo:  chi  al 
timone,  chi  alla  bussola,  chi  in  bonaccia,  chi  in 
lotta  con  r  uragano.  Vedo  le  navi  a  vela  e  a  va- 
pore, quali  raccolte  nei  porti,  quiete,  quali  in 
perpetuo  moto  sui  flutti. 

«  Chi  passa  il  Capo  delle  Tempeste,  chi  il 
Capo  Verde  —  questa  gli  stretti  della  Sonda, 
quella  il  golfo  del  Messico. 

«  Alcune  si  fanno  penosamente  una  strada 
fra  i  ghiacci  del  Nord;  altre  scendono  lungo 
rObi  e  la  Lena;  altre  fumano  nei  porti  d'Au- 
stralia, o  a  Val  Paraiso,  a  Pio  Janeiro,  a  Panama, 

«  Veggo  le  reti  di  tutte  le  ferrovie  della  terra, 
che  cementano  Scato  a  Stato,  città  con  città,  tra- 
verso l'America  Settentrionale  e  V  Europa. 

«  Vedo  gli  elettrici  telegrafi,  un  aereo  labi- 
rinto di  notizie  di  guerre,  di  morti,  di  perdite  e 
di  guadagni,  di  dolori  e  di  passioni  umane. 

«  Vedo  le  città  della  Terra,  e  mi  fo  cittadino 
di  tutte  :  le  città  d'Aftrica  e  d'Asia,  gli  sciami  di 


116  1    POETI    AMERICANI 

Pekino,  di  Cantori,  di  Jeddo;  il  Turco  che  fuma 
il  suo  oppio  in  Aleppo,  e  le  folle  variopinte  e 
pittoresche  alle  fiere  di  Khiva,  ai  mercati  di 
Herat. 

«  Vedo  i  vapori  che  esalano  da  inesplorate 
contrade  —  veggo  i  tipi  selvaggi,  l'arco  e  la  frec- 
cia, la  scheggia  avvelenata,  e  il  feticcio. 

«  Ecco  1'  Uomo!  —  eccolo  in  tutte  le  prodi- 
giose sue  varietà.  Vedo  la  serena  fratellanza  dei 
filosofi,  gli  inventori  pazienti,  gli  artisti,  i  legi- 
slatori, gli  agricoltori. 

«   Voi,  dovunque  siate,  o  fratelli! 

«  Voi  figli  d' Inghilterra,  e  voi  potenti  tribù 
Slave!  Voi  dalla  misteriosa  origine,  neri  di  pelle 
e  nobili  anime,  xlffricani  dal  cranio  elegante  e 
dalle  armoniche  forme,  o  destinati  a  grandi  cose, 
0  miei  eguali! 

«  Voi  Norvegesi  e  Islandesi;  voi  Francesi  e 
Italiani;  voi  che  bevete  al  Danubio;  operai  del 
Tamigi  e  del  Reno;  bellissimi  Persiani  che  po- 
sati sulle  vostre  selle  eleganti  tirate  con  le  frec- 
cio al  bersaglio,  correndo;  longanimi  vaganti 
Ebrei  che  aspettate  in  tutte  le  terre  il  Messia;  e 
voi  abitanti  delle  innumerevoli  isole  degli  Arci- 
pelaghi — ■  salute  a  tutti,  e  dovunque,  in  nome 
della  mia  America,  non  eccettuato  nessuno! 

«  No  nessuno!  Voi  Ottentotti  dal  gracidante 
palato,  orde  dai  capelli  di  lana,  forme  umane  dal 
profondo,  triste,  indimenticabile  sguardo  di  bruto, 


1    POETI    AiMI'RlCANl  1  17 

io  non  vi  respingo,  non  rinnego  la  mia  fratellanza 
con  voi! 

«  Voi  j)Overi  Koboo,  spregiati  e  derisi,  voi 
aborigeni,  ogni  gioriìo  più  rari,  delle  colline  del- 
l'Oregon  e  della  California;  voi  nani  Kaintschat- 
kan.  Groenlandesi,  Lapponi;  tu  negro  di  Austra- 
lia, nudo,  rossiccio,  dai  labbri  sporgenti,  che 
strisci  per  terra  in  cerca  di  cibo:  voi  Cafri,  voi 
Sudanesi;  tu  inculto,  indomito,  fiero  Beduino; 
io  non  ho  una  parola  contro  di  voi.  Verrete 
avanti  quando  sarà  il  vostro  tempo.  Salute  al 
Mondo!  » 

E  come  il  poeta  è  orgoglioso  di  essere  Ame- 
ricano! In  una  sua  bella  poesia  sul  Eicevhnento 
degli  Ambasciatori  Giapponesi  in  Nuova  York,  egli 
esclama  : 

«  0  superba  Manhattan!  o  camerati  Ameri- 
cani! alla  fine,  ecco,  a  noi  viene  l'Oriente. 

«  A  noi,  o  mia  città,  a  passeggiar  per  le  no- 
stre vie  costeggiate  dai  grandi  edifizi  di  marmo 
e  di  ferro,  vengono  oggi  i  nostri  Antipodi. 

«  Viene  la  sacra  Originatrice,  la  terra  del 
Paradiso,  la  terra  del  Caucaso,  il  nido  natalizio, 
il  nido  delle  lingue,  la  genitrice  di  poemi,  la  razza 
primitiva  dal  florido  sangue,  pensosa,  estatica  nella 
contemplazione,  ardente  di  passioni,  profuniata, 
dagli  ampli  e  fluttuaot'  vestiti,  col  viso  abbron- 
zato, l'anima  intensa,  e  gli  occhi  scintillanti  la 
razza  di  Brama  viene  a  noi,  o  Americani!  » 

E  con  che  passione  egli  l'ama,  la  sacra  terra 
dell'abbondanza  e  della   libertà!  Le   due  Ameri- 


118  I    POETI    AMERICANI 

che,  Nord  e  Sud,  sono  egualmente  esaltate  nei 
suoi  entusiastici  canti.  Ma  egli  prova  una  specie 
di  nostalgia  per  il  Sud;  e  non  può  starne  lunga- 
mente lontano. 

«  0  magnetico  Sud!  o  scintillante,  profu- 
mato Sud! 

«  O  grandi  e  lenti  fiumi  scorrenti  su  sabbie 
argentee  per  migliaia  di  miglia! 

«  Io  torno  in  immaginazione  nella  Florida 
dai  trasparenti  laghi,  e  riattraverso  le  antiche 
dense  foreste. 

«  Oh,  le  grandi  piantagioni  di  cotone,  i  cam- 
pi di  riso  e  di  zucchero!  Il  cactus  custodito  dalle 
sue  spine,  e  i  grandi  fiori  bianchi  e  celesti! 

«  Le  estensioni  infinite,  1'  abbondanza  e  il 
deserto,  i  vecchi  boschi  carichi  di  misthtoe  e  di 
pendenti  liane! 

«  L'odore  resinoso  e  il  crepuscolo  della  foresta 
—  la  sacra  naturale  quiete,  i  solenni  silenzi! 

«  Oh,  lo  strano  fascino  di  quasi  ignote  e 
insuperabili  paludi,  infestate  dai  rettili,  risuo- 
nanti del  muggito  dei  coccodrilli,  dei  lamenti 
notturni  del  gufo  e  del  gatto  selvaggio  —  e  del 
terribile  fruscio  del  serpente  a  sonagli  ;  dove  solo 
si  arrischia  col  suo  fucile  il  filibustiere,  e  na- 
sconde la  sua  mobile  capanna  lo  schiavo  fug- 
giasco.... 

«  Voglio  rivedere  i  campi  di  grano  del  Ten- 
nessee —  r  alto  grano  di  un  verde  lucente,  dalle 
lunghe  foglie  eleganti. 


I    POETI    AMERICANI  119 

«  Voglio  tornare  al  veccliio  Tennessee,  e  non 
lasciarlo  mai  più!  » 


Ma  non  si  creda  che  "Walt  Wliitmaii  sia  un 
grande  poeta  paesista  die  poco  osservi  il  dramma 
e  la  realtà  della  vita.  Le  sue  poesie  di  argomento 
guerresco,  i  Drum  Taps,  ci  mostrano  fino  a  che 
punto  la  fibra  umana  sia  sensibile  nel  suo  gene- 
roso cuore  di  poeta.  E  mi  piace  tradurre  e  ripor- 
tar qui  alcune  sue  brevi  poesie,  nelle  quali  me- 
glio si  rivela  il  profondo  sentimento  umano  che 
informa  e  compenetra  ogni  sua  pagina. 

—  Musica  —  «  Vi  ho  udite,  o  solenni  e  dolci 
canne  dell'  organo,  quando  domenica  mattina  at- 
traversai la  chiesa. 

«  Venti  di  autunno!  Quando  io  passeggiavo 
nel  bosco,  sull'imbrunire,  ho  sentito  i  vostri 
lunghi  sospiri,  salienti  in  alto  così  dolorosa- 
mente.... 

«  Ho  udito  cantare  all'  Opera  il  perfetto  te- 
nore italiano  ~  ho  udito  il  soprano  cantante  in 
mezzo  al  quartetto. 

«  Cuore  del  mio  amore  !  te  pure  ho  sentita 
mormorare  sommessamente  fra  le  tue  dita  presso 
il  mio  viso. 

«  Ho  sentito  i  tuoi  polsi  battere,  nella  gran 
quiete  notturna,  sotto  il  mio  orecchio.  » 

—  A  ìino  che  è  presso  a  morire.  —  «  Io  ho  un 
messaggio  per  te:  tu  stai  per  morire.  Lascia  che 
altri  ti  dica  ciò  che  gli  piace,  io  non  posso  pre- 


120  1    POETI    AMf:n!CAM 

varicare,  io  sono  esatto,  io  sono  spietato;  ma  io  ti 
amo....  Non  c'è  rimedio  per  te. 

«  Io  poso  soavemente  la  mia  destra  su  te  — 
appresso  il  mio  volto  al  tuo,  e  non  discuto  —  mi 
assido  quietamente  al  tuo  fianco,  e  vi  rimango 
fedele.  Io  ti  son  più  che  guardiano,  più  che  vi- 
cino o  parente. 

«  Il  sole  irrompe  nella  stanza;  e  forti  pen- 
sieri e  gran  confidenza  tornano  in  te  —  e  tu  sor- 
ridi! Dimentichi  che  sei  malato  —  non  vedi  più 
le  medicine  —  non  guardi  agli  amici  che  ti  pian- 
gono attorno.... 

«  Ma  io  escludo  ogni  altro  —  e  resto,  io  solo, 
con  te.  Oh,  non  vi  è  nulla  da  commiserare  o  da 
piangere....  Io  mi  congratulo  teco.  » 

—  La  stanza  mortuaria.  —  «  Presso  la  porta 
della  casa  mortuaria,  oziosamente  vagavo  —  quan- 
d'ecco  una  forma  rejetta,  ecco  che  vi  portano  una 
povera  prostituta  morta. 

«  Depongono  il  sao  corpo,  che  nessuno  re- 
clama, lo  depongono  suU'  umido  ammattonato. 
Depongono  quel  corpo  che  io  non  posso  a  meno 
di  fissare  attentamente;  quella  casa  già  piena  di 
bellezza  e  di  passioni  che  cos'è  divenuta!... 

«  Non  la  rigidezza  del  cadavere,  non  l'acqua 
che  lo  lava,  non  i  miasmi  che  ne  esalano,  mi 
fanno  impressione.... 

«  Ma  la  casa  sola,  la  maravigliosa  casa  cor- 
porea, quella  delicata  e  bella  struttura,  quella 
maraviglia,  quella  mina! 

«  Casa  immortale  più  di  tutti  gli  ordini  ar- 


1    POETI    AMERlCAiM  [:>[ 

chitettonici  elevati  dall'arte;  più  del  Campidoglio 
sormontato  da  marmoree  figure;  più  di  tutte  le 
guglie  delle  vecchie  cattedrali! 

«  Questa  piccola  casa  è  più  di  loro;  questa 
povera  infranta  casa,  bella  e  spaventosa  ruina, 
asilo  di  un'anima,  ed  anima  essa  pure! 

«  iSTon  reclamato,  evitato  cadavere!  jDrendi 
nn  sospiro  dalle  mie  labbra  tremanti  di  commo- 
zione: prendi  una  lacrima,  mentre  ti.  lascio,  o 
morta  casa  d'amore,  di  follia  e  di  peccato!  » 

A  questa  ultima  poesìa  di  una  strana  e  pe- 
netrante efficacia  fa  riscontro  sul  vecchio  Conti- 
nente, per  la  profonda  pietà  umana,  la  elegia  di 
Tommaso  Hood  sopra  una  jjovera  e  bella  giovine 
che  si  annegò  nel  Tamigi.  Dopo  il  Canto  della 
Camìcia  dello  stesso  autore,  è  forse  la  più  com- 
movente e  realistica  elegia  del  nostro  tempo.  È 
intitolata:  The  Bridge  of  Siglis  (Il  Ponte  dei  Sospiri). 
La  traduco  quasi  letteralmente. 

«  Un'altra  infelice  stanca  di  respirare,  fiera- 
mente provata,  è  andata  incontro  alla  morte! 

«  Sorreggetela  pietosamente,  alzatela  con  cau- 
tela; così  gracile,  così  giovane,  e  così  bella! 

«  Il  vestito  le  si  attacca  addosso  come  un  su- 
dario, l'acqua  ne  gronda  da  tutte  le  parti.  Solle- 
vatela senza  repugnanza.  amorevolmente. 

«  Non  la  toccate  con  disdegno  o  dis^^regio 
—  pensate  di  lei  gentilmente,  umanamente;  non 
alle  sue  macchie....  tutto  quello  che  rimane  ora 
di  lei  è  pura  donna. 

«  Non  fate  severo  scrutinio  sulle  sue   ribel- 


122  I    POETI    AMERICANI 

lioni....  Pas-t-ato  ogni  disonore  di  colpa,  la  morte 
ha  lasciato  in  lei  solo  il  bello. 

«  Qualunque  siano  stati  gli  errori  di  questa 
figliuola  di  Eva,  asciugate  quelle  sue  povere  lab- 
bra che  gemono  un  umore  viscoso.... 

«  Rialzate  le  sue  trecce,  sfuggite  dal  pettine, 
le  sue  belle  trecce  castagne,  mentre  ci  domandiamo 
con  maraviglia:  —  Dove  stava  di  casa? 

«  Chi  è  suo  padre?  Chi  è  sua  madre?  Ha  una 
sorella?  un  fratello?  0  vi  è  una  persona  anche 
più  cara,  a  lei  più  strettamente  vicina?  — 

«  Ohimè,  com'è  rara  la  cristiana  carità  sotto 
il  sole!  0  miseria!  In  una  popolosa  intera  città, 
essa  non  aveva  un  ricovero. 

«  Sorella,  fratelli,  padre,  madre,  avean  cam- 
biato di  sentimenti  per  lei.  L'amore,  per  crudeli 
prove  e  realtà,  era  precipitato  dalla  sua  altezza: 
anche  la  provvidenza  di  Dio  le  parve  allontanarsi 
e  mancarle. 

«  Là  dove  la  linea  dei  lampioni  si  allunga 
scintillando  sul  fiume,  e  tanti  lumi  splendono  da 
tutti  i  piani  delle  case,  essa  ristette  come  istupi- 
dita, senz'asilo,  di  notte. 

«  11  freddo  vento  di  marzo  la  faceva  tremare 
e  rabbrividire;  ma  non  le  buie  arcate  del  ponte 
e  le  nere  onde  correnti....  Pazza  per  le  agonie 
della  vita,  ^  avida  di  lanciarsi  nel  mistero  della 
morte,  in  qualunque  modo,  pur  di  uscire  da  questo 
mondo, 

«  Si  buttò  giù,  animosa,  nel  gonfio  fiume  che 
rasentava  la  sponda....  0  uomo  dissoluto,  figura- 


I    POETI   AMERICANI  123 

telo,  pensaci,  bagnati  in  quell'acqua,  bevine  ora, 
se  ti  è  possibile! 

«  Sorreggetela  delicatamente,  sollevatela  con 
cautela....  cosi  gracile,  cosi  giovine,  e  cosi  bella! 

«  Prima  che  le  sue  membra  intirizziscano 
troppo  rigidamente,  componetele  con  decenza, 
con  gentilezza:  e  quegli  occhi,  chiudeteli —  que- 
gli occhi  bruttati  di  fango  che  fissano  cosi  sbar- 
rati ed  immobili,  come  quando  disperati  guarda- 
rono per  l'ultima  volta  nel  tenebroso  avvenire! 

«  Incrociate  le  sue  mani  umilmente  sopra  il 
suo  petto,  come  in  una  muta  preghiera. 

«  E  pur  riconoscendo  il  suo  fallo,  lasciate  con 
dolce  fiducia  che  dei  suoi  peccati  sia  giudice  il 
suo  Salvatore.  » 

Se  da  questi  esempi  di  pitture  naturali,  larghe 
e  potenti,  di  accenti  umani  e  patetici,  si  torna  col 
pensiero  alle  condizioni  attuali  dell'Arte,  non  c'è 
davvero  da  rallegrarsi  o  da  insuperbire.  Mai  forse 
il  livello  morale  e  intellettuale  è  sceso  tanto  basso 
in  Europa.  Vi  son  dappertutto  poche  e  tanto  più 
onorevoli  eccezioni,  lo  so  —  ma,  in  generale,  la 
letteratura  è  oggi  in  bassissime  acque.  Pensate 
alla  pleiade  di  grandi  nomi  che  vantava  la  Francia 
della  Restaurazione  e  del  Governo  di  Luglio^  e  pa- 
ragonate coi  nomi  d'oggi  !...  Potete  far  lo  stesso 
per  la  Germania,  per  l'Italia,  per  l' Inghilterra. 
Chi  tiene  ancora  alto  il  vessillo  dell'Arte  sono  i 
vecchi,  o  i  non  più  giovani. 

Trionfa  un'  arte  da  orefici  e  da  chincaglieri, 


124  I    POETI   AMERICANI 

un'arte  bizantina,  di  decadenza  avanzata:  un'arte 
atea,  materialista,  sensuale,  egoista,  da  dilettanti. 
Xel  legger  le  pagine  di  certi  romanzi,  le  strofe 
di  certe  poesie,  vien  voglia  di  gridare  col  veccliio 
re  Lear  :  «  Dammi  o  speziale,  un'oncia  di  zibetto, 
per  profumare  e  puiificare  la  mia  immagina- 
zione! »  vien  voglia  di  spalancar  la  finestra  e 
respirare  una  boccata  d'aria,  come  quando  la 
stanza  è  appestata  dai  fumi  dell'alcool  e  del  ta- 
bacco. 

■  Nei  romanzo  e  nella  lirica  di  moda,  in  Fran- 
cia e  in  Italia,  tutto  si  riduce  oramai  alla  storia 
di  relazioni  sensuali,  o,  per  dir  meglio,  sessuali. 
Con  la  scusa  del  realismo  e  del  naturalismo, 
si  è  soppresso  sistematicamente,  nelle  riprodu- 
zioni dal  vero,  un  lato  intiero  e  il  più  essenziale 
delle  cose  e  della  vita.  Sarebbe  assurdo,  lo  so,  il 
chiedervi  costante  idealità  o  sentimentalità  di 
rappresentazione  :  ma  siccome  le  figure  nobili  e 
pure  sono  anch'esse  una  realtà,  un  fatto  naturale 
—  noi  chiediamo  al  vostro  realismo,  al  vostro 
naturalismo,  di  studiare  almeno  con  egual  cura,  e 
di  rappresentarci  anche  quelle.  Fate  come  Balzac 
che  lodate  tanto  e  leggete  poco.  Dateci  delle 
Marneffe,  sta  bene  :  ma  anche  delle  Eugenie 
Grandet  e  delle  Ursule  Mirouet!  accanto  ai  Gob- 
seck  e  ai  Vautrin,  dipingeteci  come  Ini  dei  Bénassis 
e  dei  Chesnel.  La  vostra  non  è  una  Comédie,  ma  una 
Méaagerie  humaine.  Ricordatevi  che  Balzac  e  Tha- 
ckeray,  Roberto  Browning  e  Giorgio  Eliot,  che 
hanno   dipinta  la   Vita  e    la    Società  in  tutte  le 


I    POETI    AMI'RICAM  125 

loro  sterminate  varietà,  non  hanno  una  sola  pa- 
gina pornogì'ajica  come  quelle  che  disonorano 
quasi  tutti  i  vostri  volumi. 

Né  si  adduca  la  specifica  scusa  dello  speri- 
mentalismo :  parola  che  s'è  imposta  e  ha  fatto  per 
qualche  anno  una  certa  fortuna.  Se  per  romanzo 
sjyerimentale  si  intende  appoggiato  snlVesparienza 
fatta  su  sé  stesso  o  su  gli  altri  —  e  mi  pare  che 
quella  parola  non  possa  avere  altro  significato 
--  allora  non  c'è  di  nuovo  che  la  parola:  la  cosa 
è  vecchia  quanto  7o»i  Jones,  Manon  Lescaut,  e 
Adoljihe... 

V'ha  di  più:  il  romanzo,  in  Francia  e  in 
Italia,  pare  che  abbia  paura  di  descriverci  l'amore 
passione  —  o  se  lo  fa,  è  sempre  in  modo,  dirò 
così,  medicale  :  in  uno  stile  fìsiologico-jDatologico. 
Ma  la  ver'a  passione  è  cosa  spirituale  nella  sua 
essenza.  I  libri,  i  romanzi  che  hanno  immortal- 
mente dipinto  questo  sentimento  umano,  son  casti: 
vedete  Werther,  Valentine,  André,  Adoìpjlie,  Le  Lijs 
dans  la  Vallèe,  The  Mill  on  the  Floss...  E,  per  lo 
meno,  la  passione  è  una  grande  attenuante  :  e  ci 
par  tollerabile  in  Manon  Lescaut  ciò  che  ci  rivolta 
in  Nana.  Molto  sarà  perdonato  ai  romanzieri  fu- 
turi, se  l'accento  sincero,  penetrante,  irresistibile 
della  passione  tornerà  ad  animare,  a  purificare, 
e  in  certo  modo,  a  consacrare  i  loro  volumi. 

Ai  giovani  poeti  d' Italia  e  di  Francia  che  si 
ostinano  nella  monotona  pittura  di  sensazioni 
erotiche  più  che  di  sentimenti  amorosi,  vorrei  ri- 
cordare che  in  tutti  questi  poeti  americani  di  cui 


126  I    POETI    AMERICANI 

ho  parlato,  cosi  liberi  di  ogni  pregiudizio  lette- 
rario, che  nell'audacissimo  Whitman,  per  esempio, 
non  v'è  una  sola  pittura  sensuale  fatta  con  evi- 
dente compiacimento  :  che  Byron  non  è  mai  la- 
scivo, neppure  nel  Don  Giovanili  :  che  non  son  iw.d 
tali  né  Goethe,  né  Schiller,  né  Burns,  né  Shelley, 
ne  Keats,  né  Browning,  né  Tennyson,  ne  E,ii- 
ckert,  né  Uhland,  né  Platen,  né  il  Leopardi,  né 
Victor  Hugo,  né  Lamartine.  La  musa  del  più 
forte  ed  ardito  fra  i  viventi  poeti  italiani,  il 
Carducci,  è  una  musa  casta.  In  Swinburne  e  in 
Heine  la  nota  esclusivamente  erotica  é  rarissima. 
Se  Alfred  de  Musset  ha  qualche  pecca  pornogra- 
fica, la  compensa  e  cancella  con  le  ardenti  umane 
lacrime  delle  Kotti^  con  la  pura  divina  elegia  del 
Souvenir^  coi  patetici  versi  Alla  Malihran. 

La  Vita  é  cosa  seria,  e  di  un  profondo  e  ter- 
ribile significato.  L'Arte,  specchio  della  Vita,  è 
sacra  anch'essa  e  non  si  può,  né  si  deve,  tra- 
scinarla nel  fango. 

(Nuova  Antologia,  10  agosto  1885.) 


157 


I  POETI  INGLESI  MODERNI 

E   I   NUOVI    CANTI    DI    MARY   ROBINSON 


Prima  di  esaminare  i  nuovi  recenti  volumi  ' 
della  giovine  donna  die  rammenta  all'Inghilterra 
e  all'Italia  i  sospiri  melodici  e  gli  accenti  passio- 
nati di  Elisabetta  Browning,  diamo  un  rapido 
sguardo  alle  vicende  e  alle  condizioni  della  poesia 
inglese  moderna  e  contemporanea.  Così  intende- 
remo meglio  certe  note  caratteristiche  della  gio- 
vine scuola  il  cui  eclettismo  fa  ad  un  tempo  la  sua 
forza  e  la  sua  debolezza. 

Dopo  la  magnifica  espansione  di  forza  gio- 
vanile e  di  vita  pagana,  e  il  lusso  di  colori  che 
dà  le  vertigini  nei  primi  poeti  del  Einascimento 
Elisabettiano;  dopo  la  invenzione  feconda,  la  pas- 
sione tragica,   la    profonda    contemplazione   dei- 


*  The  New  Arcadia  and  other  Poems,  by  Mary  Eo- 
Bixsox.  London,  Longmaii  Green,  1836.  —J.n  Italian  Garden. 
A  Book  of  Songs  by  Maky  Robinson.  London,  Fisber  Un- 
win,  1886, 


128  I    POETI    INGLESI    MODERNI 

l' uomo  interiore,  e  le  sfolgoranti  visioni  della 
terra  e  del  cielo  che  fanno  unico  Shakespeare; 
dopo  la  elevazione  morale,  la  biblica  fantasia,  e 
il  solenne  ritmo  sacerdotale  di  Milton  —  la  poesia 
inglese  era  discesa  all'imitazione  servile  di  anti- 
chi modelli,  alle  fredde  e  compassate  eleganze 
di  un'  arte  convenzionale.  Ma  al  movimento  in- 
tellettuale e  all'irresistibile  impulso  che  vien 
d'  Alemagna  nel  presentimento  del  trionfo  della 
democrazia,  all'  appressarsi  della  grande  rivolu- 
zione, sorgono  i  nuovi  poeti  inglesi,  psicologi,  pas- 
sionati, rivoluzionari  e  paesisti:  i  Cowper  e  i 
Burns,  i  Coleridge  e  i  Byron,  gli  Shelley  ed  i 
Wordsworth. 

Di  Burns  ha  recentemente  parlato  ai  lettori 
della  Nuova  Antologia  il  mio  amico  Chiarini  e 
lo  ha  fatto  da  par  suo,  con  tale  competenza  e 
con  tal  perspicacia,  che  mi  pare  inutile  aggiunger 
verbo  a  ciò  che  egli  ha  detto  cosi  bene. 

Quegli  che  ebbe  maggiore  influenza  al  suo 
tempo  non  solo  in  patria,  ma  su  tutta  la  lettera- 
tura d'Europa  fu  Byron.  I  due  che  hanno  eserci- 
tato una  influenza  lenta  ma  crescente,  feconda  e 
durevole  sulla  poesia  del  loro  paese,  sono  Words- 
worth e  Shelley. 

Byron  nato  con  ingegno  piuttosto  unico  che 
raro,  servo  e  vittima  delle  sue  indomate  passioni, 
è  forse  il  più  subiettivo  di  tutti  i  poeti.  Come  l'Al- 
fieri, non  intese  e  non  rese  che  se;  Byron  Aroldo^ 
Byron  Lara,  Byron  Manfredo,  Byron  Don  Gio- 
vanni, ecc.   Originale   sempre,    e    sempre  sincero 


E    I    MOVI    CANTI    DI    MARY    RODINSON  \'l'.) 

anche  nelle  monotone  pitture  delle  sue  tempeste 
interiori,  misantropo  e  violento;  poi  tenero,  soave 
e  patetico,  la  sua  poesia  è  un'azione  continua,  una 
vera  epopea  individuale. 

Byron  (eccetto  nel  Don  Giovanili  ove  trovò 
una  forma  sua  propria  e  maravigiiosa)  è  dal  Iato 
del  ritmo  e  della  forma  tanto  deficiente  quanto  il 
Coleridge,  lo  Shelley  e  il  Keats  son  mirabili  : 
molte  sue  novelle  in  verso  son  veramente  roba 
a  effetto  teatrale,  e  had  stuff  :  le  sue  tragedie  sto- 
riche son  peggio  che  mediocri,  e  notevoli  solo 
per  il  lirismo  di  qualche  monologo.  Ma  il  Prigio- 
niero di  Cliillon  e  il  Mazeppa  son  pitture  sovrane  ; 
ma  il  terzo  e  il  quarto  canto  dCAroldo^  il  Man- 
fredo^ la  scena  aerea  del  Caino^  e  soprattutto  i 
primi  canti  del  Don  Giovanni  sono  creazioni  stu- 
pende ;  ma  la  eloquenza  di  Bj^ron  come  poeta  del 
dolore  è  la  più  magnifica  e  irresistibile  che  siasi 
mai  udita  in  verso  ;  ma  l'onnipotenza  della  sua 
satira  e  il  sibilo  terribile  delle  sue  frecce  d'oro 
durerà  imperituro  gastigo  degli  ipocriti  e  dei 
pedanti. 

E  un  fenomeno  degno  di  studio  il  termometro 
della  fama  di  Byron  in  Inghilterra  dal  venticin- 
que all'ottantacinque.  Nei,  primi  anni  dopo  la  sua 
morte,  la  fama  del  nobile  poeta  si  mantenne  qual 
era  durante  la  vita  di  lui,  cioè  immensa,  inconte- 
stata. Dal  Goethe  all'infimo  giornalista  era  un 
coro  di  ammirazione.  Ma  nel  trenta  già  si  comin- 
ciava a  prender  sul  serio  i  pensosi  idilli  di  Words- 
worth  fino    allora  negletti  o  derisi,  e   i    rari  ma 

Kexcioni.  —  Saggi  critici  di  Ictt.  inglese  0 


130  1    POETI    INGLESI    MODERNI 

eletti  ammiratori  di  Shelley  cominciavano  a 
levare  la  voce.  Browning  nel  suo  primo  la- 
voro, Paolina,  già  si  dichiarava  ardente  ammi- 
ratore del  poeta  di  Beatrice  e  di  Prometeo;  e 
l'apparire  delle  Prime  Poesie  di  Tennyson  (1830) 
con  la  loro  perfezione  ritmica,  il  paesaggio  stu- 
diato dal  vero,  il  ritorno  ai  semplici  affetti  do- 
mestici, e  alle  leggende  cavalleresche  e  religiose, 
eccitarono  prima  la  curiosità,  poi  l'entusiasmo, 
e  fecero  ricercare,  rileggere  e  ammirare  quei 
poeti  che  evidentemente  avevan  contribuito  a 
formare  quello  che  allora  si  chiamò  l'unico  Ten- 
nj'son.  Allora  il  piccolo  cerchio  del  devoti  di 
Wordsworth  divenne  legione  ;  e  si  rilessero  con 
crescente  fervore  le  musicali  e  trascendentali 
fantasie  di  Coleridge  —  e  si  ammirò  la  freschezza, 
il  colorito  e  il  plastico  del  verso  di  Keats.  L'am- 
mirazione per  lo  Shelley  diventò  idolatria  :  fu 
proclamato  unico  e  divino,  il  poeta  lirico  per 
eccellenza,  il  Singing  God  del  mondo  moderno.  Il 
solo  paragonargli  Byron  parve  una  bestemmia 
o  una  sciocchezza.  Ma  dopo  il  sessanta  ci  fu  come 
una  reazione  in  favore  di  Byron.  Euskin,  Ar- 
nold, Swinbunie  cominciarono  a  gridare  all'  in- 
giustizia :  l'arte  realistica  si  vantò  di  aver  pre- 
cursore l'autore  di  Beppo  e  del  Don  Giovanni; 
e  dopo  una  passeggiata  di  mezzo  secolo  tra  i 
fiorie  gli  ortaggi  dell'eterno  idillio  Teimysoniano, 
ci  fu  un  ritorno  alle  audacie  Byroniane.  Swin- 
burne  ne  sa  qualche  cosa... 

Shelley,    sublime   utopista,    visionario    entu- 


l']    I    NUOVI    CANTI    DI    MAIIV    liOIÌLN.SON  1  tM 

siasta,  vagheggiò  e  adorò  fin  dall' infanzia  un 
mondo  ideale  e  edennico;  credè  al  trionfo  imman- 
cabile e  definitivo  di  una  religione  d'Amore  univer- 
sale, di  fraternità,  di  eguaglianza.  Ma  volendo,  nella 
sua  commovente  semplicità  e  sincerità;  uniformare 
alle  sue  idee  la  sua  vita,  passò  d'errore  in  errore,  di 
dolore  in  dolore,  ma  sempre  puro,  sempre  buono, 
sempre  grande  e  sempre  infelice.  L'arte  fu  la  sua 
unica  consolazione,"  la  natura  il  suo  asilo.  La 
contemplazione  delle  sue  visioni  ideali,  la  con- 
templazione dei  grandi  spettacoli  naturali  danno 
alla  sua  poesia  un  accento  primitivo,  solenne.  Le 
realtà  della  vita  sono  (eccetto  nei  Cenci)  assenti 
dai  suoi  poemi.  3Ia  chi  meglio  di  lui  ha  mai  di- 
pinto l'eterne  scene  del  cielo,  della  terra  e  del 
mare?  Esule,  solitario,  vivendo  presso  i  laghi  di 
Svizzera  o  sulle  rive  de'  nostri  mari,  presso 
quelle  acque  eh' ei  tanto  amò,  che  descrisse  sì 
bene,  e  in  cui  dovea  miseramente  perire  a  tren- 
t'anni,  egli  osservava  e  fantasticava  per  lunghe 
ore  ogni  giorno,  poi  traduceva  i  suoi  sogni  uma- 
nitari e  le  sue  contemplazioni  dell'  universo  in 
versi  sublimi.  Deserti  e  montagne,  vulcani  e 
tempeste,  l'aurora  e  il  tramonto,  la  neve  e  la 
pioggia,  la  luna,  le  nubi,  una  stella,  un  fiore, 
una  lodola  sono  i  suoi  soggetti,  anzi  i  suoi  per- 
sonaggi^ perchè  tutto  palpita  e  vìve  e  ha  indi- 
menticabile fisonomia  nei  versi  di  Shelley.  Egli 
ha  la  grande  e  serena  malinconia  dei  con- 
templatori filosofi,  come  ebbero  Lucrezio  e  Spi- 
noza, malinconia  che   poi    si   scalda^    si   fonde    e 


132  I    rOETI    INGLESI    MODERNI 

s' irradia  e  sfolgora  in  ardenti  sinfonie  quando 
prevede  e  dipinge  il  trionfo  dell'  umanità  rige- 
nerata. Metafìsico  e  idealista  nel  concetto,  è  co- 
loritore e  plastico  nello  stile  e  sa  con  immagini 
sensibili  rappresentare  idee  le  più  astratte.  Come 
Dante  egli  sa  dar  corpo  alle  sue  stesse  astrazioni, 
e  ovunque  accenna  mette  la  vita:  indi  la  personi- 
ficazione è  la  sua  figura  favorita,  essa  è  per  lui 
quel  eh' è  la  comparazione  per  Lamarfcine,  e  l'an- 
titesi per  Victor  Hugo.  Tale  infine  è  la  melodia 
del  verso  di  Slielle}',  che  i  suoi  stessi  emuli  e  i 
critici  a  lui  più  avversi,  di  comune  accordo,  lo 
han  proclamato  il  più  armonico  de' poeti.  —  Dopo 
i  suol  sogni  e  dopo  la  natura,  quel  che  Shelley 
più  amò  fu  l'Italia.  Cantò  le  sue  città  e  le  sue 
campagne,  le  sue  glorie  e  le  sue  sventure,  imprecò 
ai  suoi  tiranni,  profetò  il  suo  avvenire.  Qua  visse 
gli  ultimi  anni  della  breve  e  gloriosa  sua  vita,  qua 
cantò  ipiù  divini  suoi  canti,  qua  miseramente  perì. 
L'Italia  che  gli  dovrebbe  una  statua  od  un  libro, 
appena  lo  conosce  e  le  sue  ceneri  dormono  sotto 
la  piramide  di  Cajo  Cestio  non  lontano  da  quelle 
terme  di  Caracalla,  fra  le  cui  pittoresche  e  gi- 
gantesche rovine  egli  concepì  e  in  gran  parte 
scrisse  il  Prometeo, 

Un  vincolo  di  antica  e  viva  simpatia  lette- 
raria lega  la  nobile   Inghilterra  all'  Italia. 

Dal  Milton  al  Swinburne,  dal  Childe  Haróld 
alle  Finestre  di  Gasa  Guidi^  da  Uomini  e  Donne 
di  Browning  a  questo  Giardino  Italiano  della  Ro- 
binson, è  una  tradizione   non  interrotta  di  poeti 


E    1    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROBINSON  Ì  33 

che  hanno  fatto,  secondo  la  efficace  espressione 
del  Tommaseo,  dei  loro  versi  aureo  anello  fra,  V  In- 
ghilterra  e  l'Italia. 

Per  Wordsworth  (come  poi  per  Fichte,  Gian 
Paolo  e  CarJyle)  tutta  la  natura  fu  un  simboli- 
smo vivente,  la  sacra  inconsutile  veste  della  idea 
divina  ed  egli  si  studiò  di  tradurne  il  recondito 
significato  morale.  L' idea  puritana  di  Dio  e  del 
Dovere  fa  di  lui  un  metafìsico  e  un  mistico.  È  un 
poeta  filosofo:  tanto  che  i  suoi  connazionali  ci- 
tano come  libro  di  filosofia  spirituale  il  volume  dei 
versi  suoi.  —  Nessun  poeta  più  educatore,  nessuno 
più  elevato  di  lui,  e  in  un  certo  senso,  nessuno 
più  di  lui  democratico.  Volle  dipingere  la  vita 
e  la  bellezza  morale  anche  sotto  apparenze  vol- 
gari; e  i  più  umili  personaggi  e  gli  avvenimenti 
più  semplici  e  più  ordinari  gli  sono  ispirazione 
e  argomento.  Nella  forma  fece  una  rivoluzione. 
Abbandonò  del  tutto  (Burns  e  in  parte  Cowper 
avevano  già  dato  1'  esempio)  lo  stile  artificiale, 
il  frasario  poetico  consacrato,  e  preferi  sempre 
l'espressione  naturale  ed  ingenua  di  un  intimo 
sentimento.  Ottenne  effetti  potenti.  Spesso  con 
un  semplice  epiteto  vi  fa  pensare,  vi  com- 
muove fino  alle  lagrime.  I  suoi  paesaggi  sono 
d'una  mirabile  verità.  Le  sue  ballate  liriche,  i 
suoi  idilli,  i  suoi  sonetti,  dopo  avere  eccitato 
tante  ire,  e  le  tremende  di  Byron,  finiron  per 
cattivarsi  il  cuore  della  nazione.  AVordsworth 
è  il  poeta  prediletto   della   Gran  Brettagna.  Chi 


\':Vi'  i  P0I':ti  ungliìsi  modehni 

meglio  di  lui  senti  e  tradusse  in  versi  d'ineffabile 
semplicità  la  vita  dei. piccoli,  dei  disprezzati?  Il 
coraggio  nella  sventura  di  un  vecchio  pastore,  la 
nostalgia  di  una  contadina  messa  a  servizio  in 
città,  e  fatti  simili  sono  i  favoriti  suoi  temi.  Ed 
è  spesso  eloquente,  d'una  eloquenza  solenne,  pa- 
triarcale, primitiva.  Quando  poi  il  poeta  è  com- 
mosso, come  alia  fine  del  suo  Old  Cumherland 
Beggar,  il  suo  verso  prende  un'andatura  più  rapida 
e  quasi  affannosa:  sotto  la  calma  del  filosofo  puri- 
tano batte  il  cuore  ardente  d'un  gran  poeta,  come 
nel  Manzoni,  al  quale  sotto  certi  aspetti  somiglia. 
Semplicità,  freschezza,  fedeltà  descrittiva,  sensi- 
bilità, immaginazione,  elevazione  sono  le  qualità 
caratteristiche  della  sua  poesia:  e  in  generale 
Lina  pace  serena,  un'  aura  spirituale  e  benefica 
spira  da  tutti  i  suoi  versi.  Egli  è  in  tutto  1'  op- 
posto di  Byron.  Indi  le  invincibili  antipatie,  e  le 
ire  famose. 

Wordsworth  e  Shelley  sono  i  veri  padri  della 
poesia  inglese  contemporanea  in  due  diverse  cor- 
renti. Dopo  essi,  quelli  che  esercitarono  maggiore 
e  più  durevole  influenza  sono  Coleridge  e  Keats. 
Byròn  fece  scuola  in  Europa,  piuttosto  che  in 
Inghilterra.  Alfred  de  Musset,  Enrico  Heine,  la 
Sand,  il  Guerrazzi,  il  Mickievicz  hanno  del  byro- 
niano più  di  qualunque  poeta  britanno. 

Quando  già  il  paesaggio  fedelmente  inglese 
e  i  pensosi  idilli  di  AVordsworth,  le  sublimi  ideali 
creazioni  e  le  musicali  magnificenze  di  Shelle}^, 
la  melodia  pittrice    di    Coleridge  e  i  vivi  colori 


K    1    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROniNSON  i:>D 

e  le  forme  perfette  di  Keats  cominciavano  ad 
avere  fra  i  giovani  degli  ammiratori  ferventi  — 
e  declinava  rapidamente  il  grande  astro  della 
poesia  Byroniana  —  apparve  sull'  orizzonte  la 
limpida  e  magnetica  stella  di  Tennyson.  Il  pub- 
blico ancora  stordito  dalle  clamorose  apostrofi  di 
Manfredo  e  di  Aroldo,  dai  canti  guerrieri  di 
Walter  Scott,  dalle  epopee  mostruose  diSoutlie}-; 
ancora  abbagliato  dalle  brillanti  fantasmagorie 
orientali  di  Tommaso  Moore,  era  stanco  di  troppo 
forti  commozioni,  di  suoni  troppo  fragorosi,  di 
colori  troppo  vivaci.  I  due  primi  volumi  di  poesie 
di  Tennyson  furono  un'oasi,  un  riposo,  una  ri- 
velazione. Mariana^  Claribel,  la  Lady  of  Shalott,  la 
Regina  di  Maggio,  la  Quercia  parlante^  Dora,  Sir 
Galaad,  furono  pei  lettori  di  quell'epoca  come  un 
bagno  riconfortante  dopo  una  corsa  sfrenata.  La 
squisita  incantevole  melodia  del  verso,  la  quiete 
rurale  e  la  verità  del  paesaggio,  la  varietà  eclet- 
tica degli  argomenti  sedussero  irresistibilmente. 
Nello  stile  aureo  di  Tennyson  si  videro  espressi 
e  messi  sotto  simpatica  luce  i  motivi  poetici  di 
tutti  i  tempi.  Le  bellezze  di  tutti  i  paesi  e  di 
tutti  i  secoli  vi  si  videro  rappresentate  con  eguale 
amorosa  cura,  con  una  perfezione  di  forma  che 
talvolta  può  parere  ricercatezza.  Dalle  lande  pa- 
ludose e  desolate  del  Lincolnsliire  ai  giardini  e 
ai  parchi  lussureggianti,  Tennyson  dipinse  con 
fedele  pennello  tutti  i  paesaggi  britannici.  Leg- 
gende cavalleresche,  racconti  di  fate,  eroi  greci, 
monache,  santi,  artisti,  sultane  e   contadine  rivi- 


136  I    POETI    INGLESI    MODERNI 

vono  in  quei  due  volumi  in  una  piacevole  varietà 
di  magiche  melodie  e  di  miti  colori.  Né  vi  manca 
l'accento  vero  della  passione  moderna.  Il  passio- 
nato ma  virile  lamento  di  Locksley  Hall  preluse 
ai  pii  gemiti  di  In  Memoriam  e  ai  desolati  sin- 
gulti di  Jlaud. 

Tommaso  Hood  è  un  umorista  malato  che  in 
tre  0  (quattro  poesie  toccò  la  fibra  intima  del 
cuore  umano  più  vivamente  e  più  angosciosamente 
di  Tennyson.  Lo  spietato  realismo  del  Ponte  dei 
Sospiri  e  del  Canto  della  Camicia  ci  fa  male  al 
cuore.  Nel  puro  patetico  non  gli  è  superiore  che 
la  Browning.  Sulle  labbra  di  Hood  sembra  errare 
il  sorriso  del  moribondo  Molière  che  recita  nel 
Malato  immaginario  :  egli  ha  il  riso  strano  e  ner- 
voso che  precede  il  singhiozzo  nelle  donne  iste- 
riche e  nei  febbricitanti.  Ha  come  Dickens  la  vi- 
sione rapida,  inevitabile,  intensa  di  situazioni  o 
grottesche  o  strazianti. 

Di  Elisabetta  Browning  il  Poe,  credibile  giu- 
dice, scrisse  che  «  era  incomparabilmente  superiore 
ad  ogni  poetessa  vivente  o  morta.  »  E,  il  Poe  aveva 
mille  volte  ragione.  Nessuna  poetessa  le  è  parago- 
nabile in  nessuna  età  e  in  nessun  popolo.  La  ispira- 
zione lirica,  la  sincerità,  la  passione,  la  musica  del 
verso  son  doti  che  essa  possiede  in  grado  supremo: 
è  ammirabile  anche  come  paesista.  Ma  il  suo 
vero  dono  è  il  patetico^  facoltà  onnipotente,  e  che 
fra  i  moderni,  soli  Dickens  e  Michelet  ebbero  in 
grado  quasi  eguale  al  suo.  Alcuni  suoi  Sonetti,  il 
Lost  Boioer,  BertJia  in  the  lane,  il  Pianto  dei  Barn- 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MAIJY    ROBINSON  \:\1 

lini  e  le  ultime  pagine  di    Aurora  Leitjìi  bastano 
luminosamente  a  provarlo. 

Ma  tutti  questi  poeti,  e  tanti  altri  insigni 
neir  Europa  contemporanea,  empiono  il  secolo 
dei  loro  lamenti.  La  grandezza  delle  facoltà  e  la 
intemperanza  dei  desideri!  e  delle  aspirazioni  ne 
fa  dei  martiri  piuttostochè  dei  sacerdoti  dell'Arte. 
Soli  Wordsworth  e  Manzoni  riescono  ad  acqui- 
stare e  mantenere  una  calma  serena.  Gli  altri  sono 
più  0  meno  desolati  e  intensamente  subiettivi.  11 
grande  cataclisma  della  Rivoluzione  e  le  sangui- 
nose catastrofi  del  Consolato  e  àoiV Impero  avevano 
avvezzate  le  menti  agli  spettacoli  tragici  di  inau- 
dite vicende.  La  ribellione  e  l'audacia  parvero 
virtù  anche  nel  mondo  letterario.  Chi  non  sentiva 
in  se  ne  indole  ne  forza  a  lottare,  chiedeva  di- 
strazione ai  sogni  dorati  della  fantasia,  o  cercava 
il  fuoco  sacro  tra  le  rovine  degli  altari  e  pian- 
geva. I  poeti  parvero  dividersi  in  tre  grandi  ca- 
tegorie :  disperati,  sognatori  e  gementi. 

Dopo  i  tragici  monologhi,  le  ardenti  male- 
dizioni e  il  riso  amaro  di  Byron,  le  splendide  e 
generose  utopie  dello  Shelley,  il  misticismo  poe- 
tico di  AVordsworth,  il  paganesimo  passionato  di 
Keats,  i  sogni  vaporosi  e  iridati  di  Coleridge,  e 
l'epiche  visioni  di  Southey  —  dopo  il  felice  eclet- 
tismo di  Tennyson,  e  le  magnetiche  lacrime  di 
Elisabetta  Browning  —  si  aspettava  il  poeta  che 
dipingesse  le  realtà  della  vita  intima  ed  esteriore, 
Vuomo  qual  fu  e  qiial  è  nel  tempo  e  nello  spazio, 


138  I    POETI    INGLESI    MODEItNl 

studiato  con  amore  e  inteso  danna  simpatia  uni- 
versale, simile  a  quella  dello  scienziato  nella  sua 
obiettiva  imparzialità,  ma  più  delicata  e  più  pro- 
fonda ;  il  poeta  che  nelle  indagini  psicologiche 
O  nel  dramma  dell'anima  non  dimenticasse  i  co- 
lori, i  suoni  e  le  forme  ;  ma  le  osservasse  e  le 
traducesse  in  tutta  la  loro  sterminata  varietà  — 
che  restando  sempre  poeta,  fosse  insieme  scien- 
ziato ed  artista. 

Questo  poeta  fu  E/Oberlo  Browning.' 
Già  in  Paracelso  pubblicato  da  lui  a  venti- 
cinque anni  sono  in  germe,  e  alcune  già  in  splen- 
dido fiore,  le  grandi  qualità  poetiche  che  poi  si 
svilupparono  gloriosamente  nelle  sue  opere  suc- 
cessive. 

Questo  profondo  scrutatore  e  rivelatore  dei 
laberinti  e  degli  abissi  del  cuore  umano,  non  geme 
e  non  dispera  mai:  ma  conserva  intatta,  e  in- 
fonde nel  lettore,  l'energia  eroica  e  il  coraggio 
della  lotta  e  della  vita.  Ai  malati  di  Byronismo  o 
di  Leopardismo,  nessun  antidoto  più  efficace  dello 
studio  di  Goethe  e  di  Browning. 

•  Fino  dal  1844,  dietro  l' impulso  dato  dal 
primo  libro  di  Ruskin  {Modem  Painters),  alcuni 
giovani  artisti  vista  la  piaga  del  convenziona- 
lismo accademico  della  pittura  inglese,  e  persuasi 
che  questo  moderno  convenzionalismo  risaliva  al 


^  Cfr.  Roherio  Brorvnincj ;  7>'  anello  e  il  libro;  lì.  Broic- 
niiig  e  V Italia,  saggi  già  pubblicati  in  questo  volume. 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROniNSON  1  oO 

meccanismo  teatrale  e  al  sontuoso  barocchismo 
in  cui  caLlde  la  grand'arfce  italiana  nella  seconda 
metà  del  Cinquecento  —  vollero  tornare  come  a 
correttivo  e  come  a  ispirazione  pura  e  sincera 
allo  studio  coscienzioso  del  vero  e  a  quei  maestri 
fiorentini  e  veneziani  del  Trecento  e  del  Quattro- 
cento che  più  fedelmente  e  religiosamente  osser- 
varono e  riprodussero  la  natura.  Si  volle  la  verità 
innanzi  tutto;  anche  nei  soggetti  di  pura  imma- 
ginazione si  cercò  come  elemento  essenziale  e  ne- 
cessario la  verosimiglianza  e  la  più  scrupolosa 
esattezza  nei  particolari.  Fu  un  Rinascimento  del 
sentimento  medievale  cristiano  in  opposizione  al 
Rinascimento  classico  pagano.  Ma  il  prerciffael- 
lismo  artistico  inglese  non  va  confuso,  come  da 
taluno  si  è  fatto,  col  Rinascimento  medievale  ger- 
manico, col  romanticismo  poetico  e  artistico  di 
Tieck  e  di  TJhland,  dello  Steinle  e  dell'Overbeck. 
Né  bisogna  figurarsi  i  preraffaellisti  inglesi  come 
tanti  copiatori  di  madonne  di  Giotto  e  dell'An- 
gelico, come  ostinati  riproduttori  di  Vergini  magre 
e  bionde  con  un  giglio  in  mano  e  una  stella  in 
fronte...  Pur  troppo  vi  furono  e  vi  sono  delle 
importanti  mediocrità  che  s' inalzano  sul  piedi- 
stallo della  moda  e  si  chiamano  preraffaellisti^ 
estetici^  imjyressionistij  e  ci  dipingono  dei  brutti 
angioli  e  dei  cieli  apocalittici,  come  sessant'anni 
fa  avrebber  dipinto  sedie  pompejane  e  Achilli  con 
le  fedine... 

Il   preraffaellismo  inglese  fu  la  reazione  di 
giovani   e    coscienziosi  artisti   contro  la  pittura 


MO  I    POETI    INGLESI    MODERNI 

ufficiale  d'accademia  ;  un  ritorno,  non  per  ispirito 
di  imitazione,  ma  per  simpatia  di  intenti  e  di 
metodo,  all'arte  fiorentina  del  Quattrocento.  Fu, 
in  sostanza,  una  applicazione  alle  arti  plastiche 
di  quella  rivoluzione  letteraria  nella  scelta  degli 
argomenti,  di  quel  rinnovamento  nel  linguaggio 
poetico,  già  felicemente  eseguiti  da  Cowper,  da 
Burns,  da  AVordsworth,  da  Coleridge  :  e  in  parte 
anche  da  Keats,  dallo  Scott  e  da  Tennyson. 

E  come  questi  poeti  ebbero  un  visibile  ascen- 
dente e  dettero  un  irresistibile  impulso  alla  gio- 
vine scuola  pittorica  —  così  i  preraffaellisti  in- 
fluirono dal  canto  loro  sulla  nuova  scuola  poetica 
inglese.  L'Arnold,  il  Morris,  Dante  Rossetti,  Cri- 
stina Rossetti,  il  Swinburne  in  alcune  delle  sue 
prime  poesie,  e  oggi  la  Robinson,  tutti  hanno 
qualche  relazione,  tutti  debbono  qualche  cosa  ai 
pittori  preraffaellisti.  I  nuovi  poeti  fraternizza- 
rono con  gli  artisti  ;  e  ci  fu  come  una  gara  fra 
le  penne  e  i  pennelli.  I  soggetti  delle  vecchie 
ballate  inglesi  e  italiane  tornaron  di  moda  sulle 
tele  e  nei  versi.  I  poemi  del  Morris  che  cosa 
sono  se  non  grandi  arazzi  e  affreschi  italiani  ?  E 
alcune  delle  prime  canzoni  e  ballate  del  Swin- 
burne  non  hanno  la  freschezza,  il  colorito,  la 
grazia  e  la  idealità  delle  figure  del  Botticelli  ?  E 
lei  Blessed  Damozel  che  Dante  Rossetti  rivede  nella 
profondità  dell'etere  azzurro  chinarsi  verso  la 
terra  aspetta-i'iolo  —  la  vergine  soave  dagli  occhi 
puri  e  profondi,  dai  folti  e  lunghi  capelli  «  gialli 
come  spighe  mature  »   —  estatica  di  celeste  sta- 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROBINSON  '\A\ 

pere  al  primo  ingresso  nel  Paradiso  —  con  sette 
stelle  in  fronte;  e  che  ha  per  solo  ornamento  alla 
sua  bianca  tunica  di  vergine  e  d'angelo  una  rosa 
bianca,  dono  della  Madonna  —  non  pare  una 
figura  dipinta  su  fondo  d'  oro  dal  Beato  An- 
gelico ? 

Dante  Rossetti  è  un  mistico  contemplatore 
e  adoratore  della  bellezza  femminea  —  un  du- 
gentista  italiano,  nato,  per  capriccioso  anacro- 
nismo della  sorte,  a  Londra,  in  pieno  secolo  de- 
cimonono. Tutta  la  sua  opera  poetica  deriva,  in 
linea  retta,  dalla  Vita  Xuoìxi.  Questo  divino  fiore 
venato  di  sangue,  questa  mistica  Rosa  imj^erlata 
di  lacrime  ha  lasciato  un  profumo  in  tutti  i  versi 
del  Rossetti.  La  bellezza  corporea  e  spirituale 
della  donna  è  il  motivo  di  tutte  le  armonie  Ros- 
settiane.  L'anima  è  sempre  visibile  attraverso  i 
veli  e  la  veste  delle  bellissime  forme.  Una  luce 
interiore  illumina  le  membra  perfette,  e  dà  un  si- 
gnificato trascendentale  agli  sguardi  profondi,  agli 
ineffabili  sorrisi  delle  sue  donne,  cantate  o  di- 
pinte. Ma  forse  il  Rossetti  è  più  grande  come 
poeta  che  come  pittore.  I  centoquattro  suoi  So- 
netti raccolti  sotto  il  simbolico  titolo  di  Casa  di 
Vita  sono  un  poema  d'amore  le  cui  strofe  sono 
sonetti.  È  una  Casa  magica,  dove  giardini  fioriti 
e  fragranti,  e  stanze  silenziose  e  crepuscolari  ; 
fontane  vive,  sonanti  tra  '1  verde,  e  gemiti  di 
viole  e  liuti  ;  stoffe  orientali  damascate  e  gem- 
mate, e  profonde  tristezze  di  vesti  abbrunate  e  di 
narcisi   stillanti    pianto;    splendori    raggianti    e 


l/i2  I    rOETI    INGLESI    MODERNI 

quiete  solenne  di  mezzogiorno,  e  ultimi  raggi  d'oro 
filtranti  tra  le  foglie  rosse  dei  boschi  autunnali, 
si  alternano  con  incantevole  successione.  I  versi 
risuouano  amorosamente  coloriti  e  ritmicamente 
perfetti,  come  diamanti  e  perle  che  rimbalzino  su 
lastre  d'oro  purissimo.  Non  vi  è  narrata  una  vera 
storia  d'amore  :  eppure  vi  è  un  seguito,  un  inte- 
resse crescente  negli  adorabili  episodi  psicologici 
di  questi  Sonetti  —  i  quali  ora  hanno  come  una 
lenta  pausa  elegiaca,  ora  il  trillo  argentino  e  il 
volo  e  la  gioia  della  lodola  mattutina. 

Partiti  da  un  medesimo  punto  a  una  mede- 
sima mèta,  in  che  diverse  vie  hanno  poi  corso,  e 
che  differenti  resultati  hanno  ottenuto  questi  pre- 
raffaellisti  pittori  e  poeti  !  I  pochi  fedeli  alle  aspira- 
zioni e  teorie  primitive  son  restati  come  paraliz- 
zati, cristallizzati.  Chi  più  se  n'  è  distaccato,  e  su 
potenti  e  luminose  ali  d'aquila  ha  percorso  glo- 
rioso e  libero  tutto  il  cielo  poetico  è  Algernon 
Swiiiburne. 

I  vari  caratteri  che  costituiscono  il  genio 
poetico  di  Swinburne  a  me  sembrano  questi  :  il 
senso  del  puro  bello  plastico  antico,  della  grande 
arte  greca  —  i  colori  e  gli  splendori  di  una  im- 
maginazione portentosa  che  ci  rammenta  ipoetici 
miracoli  dell'epoca  Elisabettiana  —  la  musicalità 
del  verso  e  del  periodo  poetico,  quale  non  s'era 
più  udita  dopo  la  morte  di  Shelley,  e  che  va  dal 
sospiro  del  flauto  e  dal  gorgheggio  dell'  usignolo 
al  pieno  canto  dell'organo  e  alle  formidabili  sin- 
fonie dell'oceano  —  una  intelligenza  e   un  senti- 


mento  profondo  della  Natura  contemplata  nelle 
sue  più  splendide  rivelazioni,  nei  grandi  spetta- 
coli del  cielo  e  del  mare  —  la  sincera  devozione 
e  la  eloquente  e  profetica  proclamazione  della 
idea  repubblicana  ed  umanitaria  —  e  insieme  a 
tutti  questi  elementi  lirici,  una  facoltà  critica  e 
drammatica,  in  virtù  della  quale  egli  ricostruisce 
e  rievoca  epoche  e  personaggi  passati,  e  li  anima 
del  soffio  di  una  vita  immortale  che  ci  fa  sentire 
in  lui  il  concittadino  di  Shakespeare.  Né  infatti 
l'Inghilterra,  dopo  la  morte  del  suo  divino  poeta, 
ha  avuto  nuli  a  di  più  Shakespeariano  ed  Elisa- 
bettiano dei  Cenci  di  Shelley  e  della  trilogia 
Stuardiana  di  Swinburne.  Solo  il  Browning , 
sommo  in  tutto,  li  supera  forse  ambedue,  nella 
grande  scena  di  Sehaldo  e  Ottima  (in  Pippa 
passes). 

Swinburne  è  uno  dei  rarissimi  poeti  che 
hanno  dipinto  i  grandi  spettacoli  della  Natura,  e 
nei  cui  versi  sembra  palpitare  il  cuore  della  gran 
madre  Cibèle.  Non  è  un  paesista  contemplatore 
come  è  Wordsworth,  o  coloritore  come  Keats  o 
Tennyson  :  è  un'eco  armoniosa  delle  grandi  voci 
della  Natura,  e  la  ritrae  più  coi  suoni  che  coi 
colori  :  e'  è  più  del  Beethoven  che  del  Tiziano 
nel!'  indole  del  suo  genio  poetico.  Ha  la  melodia 
inttrice  di  Shelle\^,  e  come  lui  è  passionato  nelle 
sue  descrizioni.  Non  osserva  la  natura  con  l'affetto 
riverente  e  pio  di  un  devoto  figliolo,  come  Cowper 
o  Lamartine,  ma  l'ammira  con  l'entusiasmo  di  un 
amante.  Ne  segue  le  tracce  divine   con    quell'ar- 


144-  I    POETI    INGLESI    MODERNI 

dorè  con  cui  gli  antichi  Dei  inseguivano  le  bianche 
Ninfe  nei  boschi,  e  1'  abbraccia  in  un  amplesso 
di  fuoco.  La  sua  descrizione  non  ha  nulla  di  mi- 
niato, di  idillico,  di  didàttico;  somiglia  a  quelle 
di  Victor  Hugo,  e  più  ancora  a  quelle  di  Shelley. 
E  come  lo  Shelley  è  il  sovrano  poeta  pittore  .dei 
cieli,  il  Swinburne  è  insuperato  poeta  pittore  dei 
mari...  Ma  è  tempo  di  parlare  di  Maria  Eobinson, 
e  dei  suoi  nuovi  volumi  di  versi. 

In  generale,  la  giovine  generazione  poetica 
inglese,  la  nuovissima  %Q\\oìà  poetica  ha  troppo  del 
dilettante;  vuole  e  cerca  troppo  l'effetto,  ha  un'ec- 
cessiva idolatria  della  forma,  della  fattura  del 
verso.  E-icorda  troppo  certe  monomanie  di  ritmo, 
di  cesello  e  d' immagini,  che  torturavano  il  cer- 
vello dei  grandi  stilisti  Gautier  e  Baudelaire.  In 
una  parola,  anche  in  Inghilterra  v'è  del  bizanti- 
nismo... Ed  è  per  questo  motivo,  e  come  ammi- 
rabil  contrasto,  che  agli  spregiudicati  amanti 
della  vera  poesia  giunse  e  giunge  cara  la  voce  di 
Maria  Robinson  ;  poetessa  che  dipinge  spiritual- 
mente, e  senza  ricorrere  a  gergo  di  a^e^i'er,  il  pae- 
saggio inglese  e  italiano  —  e  che  ha  il  gemito  e 
il  grido  sincero  della  passione.  La  sua  poesia, 
come  quella  della  Browning,  è  lirica  per  eccel- 
lenza, e  musicale.  Anche  se  tratta  di  vecchi  temi, 
li  ringiovanisce  con  le  maravigliose  sue  variazioni. 
Ha  delle  note  che  arrivano  all'anima  come  il  ge- 
mito di  un  violino.  Ma  il  suo  lirismo  ha  sempre 
la  realtà  della  vita  per  movente  primo  ed  essen- 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MVRY    ROCINSON  145 

ziale.  La  sua  poesia  è  come  una  pianta  deli- 
cata e  fragrante  che  ha  la  realtà  per  radice  e 
V  ideale  per  fioritura.  Una  delicata  e  sf^uisita  in- 
tuizione delle  gradazioni  neììsb  pittura  del  mondo 
sensibile  e  dei  sentimenti  umani  ci  rivela  la 
donna  :  nulla  di  eccessivo,  di  duro  :  ma  s|)esso 
la  poesia  di  una  reticenza  o  di  un  silenzio,  più 
efficaci  di  ogni  parola.  Nelle  sue  pitture  poetiche, 
essa  sa  adoprare  con  eguale  abilità  le  tinte  ar- 
gentee, velate,  perlacee,  e  i  colori  forti  e  vivaci  : 
ha  dei  cieli  vaporosi  che  paiono  descritti  da 
Wordsworth,  ha  dei  luminosi  giardini  che  si  di- 
rebbero dipinti'  da  Heine.  E  Heine  e  il  Rossetti 
son  forse  i  maestri  da  cui  essa  più  direttamente 
deriva.  Il  suo  Giardino  Italiano^  benché  non  vi  sia 
ombra  di  imitazione,  mi  rammenta  spesso  il  Bucli 
der  Lieder.  Ma  anche  Shelley  e  la  Browning 
hanno  lasciata  visibile  traccia  nelle  prime  poesie 
della  Robinson. 

Miss  A.  Mary  Robinson  benché  giovanissima 
ha  già  pubblicato  vari  volumi  diversi  e  di  prosa. 
Alcuni  suoi  articoli  di  critica  artistica  e  la  Vita 
di  Emilia  Brente  la  mostrarono  eccellente  prosa- 
trice,  limpida,  franca,  efficace.  IL  suo  primo  vo- 
lume di  versi  comparve  sotto  il  modesto  titolo  di 
A  Hand.fid  of  Honeysiiclde.  Seguì  una  eccellente 
traduzione  in  versi  dell'  Ippolito  :  e,  a  brevi  di- 
stanze, la  Nuova  Arcadia,  Olivi  Toscani  e  Un  Giar- 
dino Italiano. 

La  Nuova  Arcadia  le  fu  ispirata  da  un'  idea 
generosa.  Essa  sentì,  come  avevan  provato  anche 

Nencioxi.  —  Saggi  critici  di  leit.  inglese.  10 


14-6  T   POETI    INGLESI    MODERNI 

altri  poeti  il  doloroso  contrasto  tra  la  bellezza,  la 
gioventù,  l'ordine  eterno  della  Natura,  e  i  gridi 
e  i  gemiti  discordi  del  nostro  inferno  sociale.  Le 
iDarve  un  sentimento  egoistico  e  colpevole,  un  de- 
litto di  lesa  umanità,  lo  stare  a  contemplare  i  fiori 
egli  astri,  mentre  a  due  passi  da  noi  c'è  chi  muore 
di  crepacuore  o  di  fame:  e  non  solo  nei  grandi 
centri  regna  satanicamente  il  male,  ma  anche  nei 
villaggi  e  nelle  campagne.  Chi  potrà  più  sorridere 
o  allietarsi  al  cospetto  di  tante  ingiustizie,  di 
tanti  dolori  ?  Non  resta  che  morire,  o  denunziare 
il  male  :  fare  appello  dall'uomo  all'umanità,  e  vi- 
vere lottando,  con  qualunque  mezzo,  con  qualun- 
que arme,  contro  il  male  tiranno. 

«  Se  Dio,  e.=;sa  canta,  mi  avesse  dato  una 
spada,  mi  sarei  fatta  avanti  per  combattere  le 
battaglie  di  Bio  ;...  ma  io  non  ho  al  mio  comando 
che  dei  versi,  e  benché  fragile  arme,  mi  servirò  di 
questi  per  la  causa  dell'umanità  e  della  giustizia. 
Dipingerò  a  questi  spensierati  gaudenti,  a  questi 
distratti  egoisti,  le  voluttà  della  Nuova  Arcadia... 
e  forse  si  scoteranno,  e  penseranno,  e  agiranno!  » 

Preludio  sincero,  adi  una  penetrante  efficacia. 
Mi  ha  rammentato  la  Dedica  in  Revolt  of  Islam 
dello  Shelley,  quando  ei  ci  descrive  le  sue  prime 
lacrime  ardenti  al  cospetto  dell'  ingiustizia  e  del- 
l'oppressione : 

Tlionghts  of  great  deeds  wore  mine.  6ear  friend, 

(^wlien  first 

The  cloiuls  wliicli  wrap  this  world  i'rom  3'outh  did 

(pass... 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROBINSON  14/ 

Vi  è  ]a  stessa  intonazione  dolorosa,  ma  so- 
lenne e  virile  :  lo  stesso  senso  di  ardente  indi- 
gnazione, lo  stesso  desiderio  del  bene  e  del  sa- 
crifizio. 

Ma  il  poeaia  corrisponde  al  preludio  ?  Ve- 
diamo davvero  i  dolori  e  i  delitti,  le  viltà  e  le 
agonie  delle  varie  bolge  dell'inferno  sociale?  È 
eccitata  la  nostra  pietà  e  il  nostro  sdegno  ? 

jSTon  oserei  di  affermarlo.  Né  credo  che  la 
Robinson,  e  per  la  saa  giovane  età,  e  per  le  sue 
condizioni  di  vita,  potesse  aver  modo  di  raccorre 
i  terribili  documenti  di  questa  tragica  Nuova  Ar- 
cadia. Cede  a  un  generoso  impulso  di  bontà  nativa, 
e  l'intenzione  fu  nobile  e  generosa.  Ma  l'esecu- 
zione non  corrisponde,  e  forse  non  iwteva  corri- 
spondere al  primitivo  concetto.  Non  che  manchino 
in  New  Arcadia  poesie  belle  e  anche  forti.  The 
hand-hell  ringers,  che  è  la  prima  nell'ordine  del 
libro,  è  anche  la  prima  per  merito  e  per  A'alore. 
Se  le  altre  variando  i  soggetti,  avesser  fatto  ana- 
logo gruppo  a  quella  prima,  l'opera  sarebbe  stata 
più  logica  e  organica.  Ma  le  altre  poesie,  i  rac- 
conti in  verso  di  questo  volume  si  allontanano  dal 
primitivo  concetto,  benché  siano  eccellenti  studi 
l^sicologico-j^oetici.  Potenza,  audacia,  esperienza, 
eloquenza,  quali  ebbero  Dickens  e  Victor  Hugo, 
appena  sarebbero  bastate  a  dipingere  la  nuova 
orribile  Arcadia.  La  "Robinson  è  troppo  giovane, 
troppo  donna,  troppo  lirica  e  melodica,  per  essere 
adatta  al  fiero  compito  :  e  in  fatti  il  libro  finisce 
gorgheggiando  delle  adorabili  liriche  personali.... 


148  1    POETI    INGLESI    MODERNI 

La  nuova  x4.rcaclia  sociale,  preconizzata  da 
tanti  filosofi,  e  conquistata  da  tante  rivoluzioni,  è 
in  realtà  un  mostruoso  Leviathan  che  barcolla, 
senza  base  né  àncora,  sotto  un  cielo  apocalittico 
e  minaccioso.  L'uomo,  ahimè,  è  originariamente, 
e  radicalmente  malato  nella  sua  volontà  e  nella 
sua  sostanza;  in  ipsa  substantia^  come  dice  Hobbes, 
il  terribile  e  logico  osservatore.  Questa  natura 
umana  adulata  dai  filosofi  sentimentali  e  dai  filo- 
sofi positivisti  —  dai  Rousseau  e  vdagli  Spencer 
—  è  pur  troppo  quale  la  videro  e  la  dipinsero 
Machiavelli,  Larochefoucauld,  Hobbes,  Pascal, 
Saint-Simon,  Shakespeare,  Molière  e  Balzaci  e 
chi  ben  s' addentra  in  questo  spaventoso  labe- 
rinto,  in  questo  mistero  di  contradizioni,  in  questo 
imperscrutabile  abisso  del  cuore  umano,  sente 
tutta  la  importanza  e  la  necessità  di  un  soccorso 
dall'alto,  del  gran  rimedio  evangelico.  Fuori  di 
questo,  non  c'è  cura  radicale,  né  consolazione  pos- 
sibile. Non  restan  che  tenebre  ed  illusioni  più  o 
meno  speciose. 

I  delusi  che  pretendono  di  guarire  l'eterno 
malato  o  migliorarne  le  condizioni  sociali  con- 
tradicendo alla  legge  cristiana  o  non  tenendone 
nessun  conto,  mattono  dei  pannicelli  caldi  sopra 
una  cancrena^  o  edificano  sulla  mobile  sabbia  : 
quindi  i  vani  conati  di  individui  e  di  sètte,  e  il 
male  crescente  e  invadente  dopo  la  speranza  e 
la  promessa  del  bene.  Vicari  Savoiardi  e  Culti 
della  Ragione^  Enciclopedie  e  Falansteri^  cluhs  e  bar- 
ricate, Illuminati  e  Sansimoniani,   utilitari   e  so- 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MARY    ROBINSON  140 

cialisti,  Ragion  pura  e  trasformismo,  positivisti  ed 
evoluzionisti,  se  qualche  utile  vero  2)roclamano, 
se  fan  qualche  bene,  è  solamente  quando,  con- 
scienti 0  incoscienti,  riflettono  una  scintilla  dal 
viv^o  sole  evangelico.  Abbandonato  a  sé  stesso  e 
alla  misera,  scarsa  e  orgogliosa  sua  scienza,  l'uomo 
vaneggia  nei  suoi  trenta  o  quarantanni  di  effi- 
mera esistenza  tra  l'infanzia  e  il  sepolcro. 

Ed  è  a  questa  razza  radicalmente  corrotta,  a 
questa  società  scalzata  dai  fondamenti,  e  che 
passa  dal  petrolio  alla  dinamite,  che  il  Renan  ed 
il  Clodd  vorrebbero  oggi  insegnare  il  culto  di 
una  nuova  Triade  di  virtù  !...  «  Invece  di  fede, 
speranza  e  carità  —  scrive  l' illustre  autore  della 
Vita  di  Gesù,  e  gli  fa  eco  l' ingenuo  ottimista 
delle  Credenze  religiose  —  invece  di  quella  vecchia 
trinità,  insegniamo  al  genere  umano  il  culto  del 
buono,  del  hello,  e  del  vero!»  Come  se  non  fosser 
già  inclusi  nella  vecchia  triade  evangelica;  come 
.se  il  buono,  il  bello  ed  il  vero  si  potessero  inse- 
gnare separati  dalla  loro  eteraa  sorgente,  senza 
la  fede  nel  principio  di  ogni  Verità  e  di  ogni 
Bontà  !...  Davvero,  a  contemplare  in  che  disperate 
condizioni  è  il  malato,  e  quanto  è  idillica  e  ar- 
cadica la  futilità  delle  ricette  dei  medici,  torna 
in  mente  la  potente  e  profetica  espressione  di 
San  Paolo  :  Evanuerunt  in  cogitaiionibus  suis. 

La  scienza  atea  che  nega  ogni  sacra  origine 
dell'uomo,  e  ogni  mistero  nella  essenza  dell'  Uni- 
verso, e  termina  il  suo  credo  con  l'ultima  pagina 
del  Manuale  di  fisica  e  di  meccanica,  studia  inu^ 


150  I    POETI    INGLESI    MODERNI 

tilmente  da  un  pezzo  questo  spaventoso  problema 
della  questione  sociale,  antico  come  Gracco  e 
nuovo  come  le  sollevazioni  del  Belgio  ;  —  di  una 
plebe  che  non  crede  più  nulla  e  che  ha  fame  ;  a 
cui  tutti  parlano  di  diritti  e  nessuno  di  doveri; 
alla  quale  non  può  più  bastare  né  il  pane  quoti- 
diano né  l'equa  retribuzione  del  lavoro,  e  che 
anche  pasciuta  resta  insaziata  e  insaziabile  — 
perchè  l'uomo  non  vive  di  solo  pane  —  e  perchè 
le  è  stato  detto  dai  suoi  dottori  che  nessun  Dio 
è  sceso  mai  a  consolare  i  poveri  su  questa  terra; 
e  che  nei  cieli  non  e'  è  padri  né  madri,  ma 
solo  le  stelle  di  Herschell  e  la  coda  delle  co- 
mete.... 

Ad  Italian  Garden  è  l'ultima,  recentissima  e 
più  notevole  produzione  poetica  di  Maria  Robin- 
son. Qui  il  suo  genio  essenzialmente  lirico  si 
esplica  in  una  bella  e  fragrante  fioritura.  E  un 
volume  di  versi  splendido  e  triste  —  come  i  Lieder 
di  Heine.  Il  paesaggio  toscano  reso  con  stupenda 
e  grafica  fedeltà  è  il  fondo  su  cui  vive  e  palpita 
un  dramma  d'amore  —  l'eterno  dramma,  antico 
quanto  il  mondo,  tanto  antico  ma  sempre  nuovo, 
tanto  ripetuto  eppur  sempre  interessante,  di  due 
anime  che  si  credon  fatte  l'una  per  l'altra,  si  in- 
contrano, si  confessano,  s'amano;  finché  una  è 
la  vittima  —  quella  che  amava  di  più!  Dalla  calle 
di  Venezia  al  podere  toscano,  dalle  verdi  acque 
ai  fiori  vermigli,  tutta  la  natura  appar  complice 
della  felice  illusione,  ed  è  fatta  poi  confidente  del 


E    I    NUOVI    CANTI    DI    MARY    HOUINSON  lol 

desolato  rimpianto.  Cominciata  in  Tuscan  Olives, 
la  breve  e  lirica  tragedia  di  uu  cuore,  il  patetico 
monodramma  si  sviluppa  e  finisce  nei  repressi 
singulti  dell'  Italicui  Garden. 

Vorrei  darne  una  pallida  idea  traducendo 
qualcuno  di  questi  canti  :  e  mi  ci  sono  provato. 
E  addirittura  impossibile.  Io  die  ho  tanto  tra- 
dotto da  poeti  inglesi  ed  americani,  che  ho  supe- 
rate alla  meglio  le  grandi  difficoltà  di  tradurre 
da  Browning  e  da  Swinburne,  ho  invano  tentato 
di  tradurre  i  Lieder  della  Robinson,  come  invano 
mi  provai  a  tradurre  i  /S'oi^ief fi  di  Dante  Rossetti. 
Altri  di  me  più  abile  o  fortunato  si  provi.  Ma 
io  lo  credo  tentativo  disperato.  Troppo  eterea, 
spirituale,  musicale  vi  è  la  frase  poeti '3a:  troppo 
essenzial  cosa  la  rima  :  certi  versi  del  Rossetti, 
certe  strofe  della  Robinson  son  perle  preziose 
che  tradotte  si  convertono  in  gocciole  d'acqua  — 
son  fiori  delicatissimi  che  bisogna  odorare  sulla 
pianta,  e  non  comporli  in  ghirlanda. 

Mi  basti  indicare  ai  moltissimi  lettori  che 
conoscon  l' inglese,  le  ammirabili  poesie  Remem- 
brance^  Venetian  Kocturne,  Livocation^  Popìar  Leaves^ 
Aubade  triste  e  Art  and  Life^  e  gli  squisiti  canti, 
le  perfette  brevi  elegie  che  comincian  coi  versi: 
«  I  am  so  pale  to-night,  so  mere  a  ghost  —  Love 
me  to-day,  and  think  not  on  to-morrow  —  Teli 
me  a  story,  dear,  that  is  not  true  —  I  know  3'ou 
love  me  not;  I  do  not  love  you  —  I  sowed  the 
field  of  Love  with  many  seeds  —  Let  us  forget 
we  loved  eacli  other  much..,  » 


Ì52  I    POETI    INGLESI    MODEHNl 

Questi  ultimi  due  canti  furou  tradotti  nel 
divino  universale  linguaggio  della  musica  dal 
sig.  Hatton  —  e  di  rado  le  note  corrisposero  cosi 
perfettamente  e  ammirabilmente  allo  spirito  delle 
parole. 

La  gentile  poetessa  del  Giardino  Italiano 
sembra  non  potere,  non  volere  alzare  da  terra 
le  iridate  sue  ali  —  sembra  non  creder  più  al- 
l' ideale  e  all'  amore.  Si  direbbe  che  anch'  essa 
grida  gemendo,  come  Alfred  de  Musset  : 

Pourquoi  promenez-vous  ces  spectres  de  lumière 
Devant  le  rideau  noir  de  nos  nuits  sans  sommeil? 
Puisqu'il  faut  qu'ici  bas  tout  songe  alt  son  reveil, 
Et  puisque  le  désir  se  sent  cloué  sur  terre, 
Gomme  un  aigle  blessé  qui  meurt  dans  la  poussière, 
L'aile  ouverte    et  les  yeux  fìxés  sur  le  soleil  ? 

Essa  prova  come  una  dolce  e  amara  voluttà 
a  contemplare  il  suo  cuore  ferito,  ad  assaporare 
le  sue  lacrime  : 

Oh!  laissez-moi  sans  trève  écouter  ma  blessure, 
Aimer  mon  mal,  et  ne  vouloir  que  lui! 

Debolezza  morale,  se  volete,  ma  che  fa  l'in- 
canto e  la  forza  magnetica  della  sua  poesia.  Essa 
ci  parla  2)or  la  hoca  de  su  lierida^  e  ci  commuove, 
e  rapisce.  Pur  troppo  Oar  sweetest  songs  are  those 
tltat  teli  of  saddest  thoiights  !...  Ma  non  imjDorta... 
non  si  piange  mai  invano  su  questa  terra  !  La 
giovine  poetessa  del  Giardino  Italiano  risorgerà 
a  volo  più  sublime,  ad  aura  più  pura.  E  se  i 
conforti  umani  e  le  consolazioni  dell'Arte  doves- 


E    I    NUOVI    CXXn    DI    MARY    IIODINSON  15^ 

sero  mancarle,  o  parerle  un  giorno  povera  cosa, 
ascolti  quella  piccola  voce  —  ma  più  potente  del 
tuono  —  che  sola  penetra  i  cuori,  che  guarisce  e 
consola... 

Concludendo,  1'  ideale  e  1?^ passione  (rarissima 
unione)  sono  la  doppia  aureola  di  questo  libro 
di  Canti.  La  passione  ;  questa  reietta  dell'  Arte 
fisiologica  trionfatrice  —  questa  reietta  che  si 
vendica  col  farsi  ogoi  di  più  desiderare  nei  nostri 
cuori  e  nei  nostri  libri  !... 

Se  è  irrevocabilmente  passato  il  tempo  di 
interessare  un  gran  numero  di  lettori  a  tipi  ideali 
e  poetici  ;  se  la  Princesse  de  Clèues  e  Clarissa^  se 
Delpliine  e  Jalie  non  sono  più  possibili  —  almeno, 
o  poeti  e  romanzieri  contemporanei,  la  nota  vera 
e  sincera  della  passione  riscaldi  le  vostre  pagine! 
La  vera  passione  anche  nei  libri  è  una  grande 
attenuante  :  e  ci  par  tollerabile  in  Manon  Lescaut 
quel  che  ci  rivolta  nella  Curée.  Rendeteci  i  gridi 
di  Byron,  i  singhiozzi  delle  Kuits  di  Musset,  le 
lacrime  di  Valentine  ~  magari  anche  le  gelosie 
di  Fanny  e  le  fughe  di  Jane  Eyve...  purché  spaz- 
ziate via  questo  sudiciume  di  acri  voluttà  senza 
amore;  purché  l'accento  sincero,  penetrante,  ir- 
resistibile della  passione  rianimi,  jDurifichi  e  con- 
sacri le  vostre  pagine. 

{Nuova  Antologia,  16  giugno  1886.) 


454 


LE  «  LETTURE  SU  GLI  EROI 


11  titolo  preciso  eli  questo  libro,  il  più  ca- 
ratteristico del  gran  pensatore  scozzese,  vera- 
mente è  questo  :  «  Su  gli  Eroi,  il  culto  degli 
Eroi,  e  r  Eroico  nella  storia  —  Letture  di  Tom- 
maso Carlyle.  »  *  La  nuova  e  splendida  edizione 
del  Chapman  {Library  edition)  mi  porge  occasione 
a  discorrere  del  prezioso  volume  :  e  lo  fo  volen- 
tieri perchè  credo  opportuno  raccomandare  oggi 
in  Italia  libri  spiranti  virile  energia  e  indomita 
fede    neir  ideale. 

Il  pensiero  fondamentale,  l' idea-madre  di 
quest'  opera ,  deriva  dal  concetto  filosofico  di 
Fichte,  che  Gian  Paolo  poetizzò  nei  romanzi,  e 
che  Carlyle  ha  applicato  alla  storia  e  alla  cri- 
tica: cioè  che  tutte  le  cose  che  noi  vediamo  su 


'   On  Ileroeri,  Hero-  Wurslnpy  ond  the  Herolc  in  Hisiorì/, 
hy  Tuo.MAs  CAiiLyi.K.  London,  Chapman  and  Hall, 


LK    "letture    su    gli    EKUl  "  155 

questa  terra,  specialmente  noi  stessi  e  tutto  il 
genere  umano,  sono  come  una  veste  di  sensibile 
Apparenza^  sotto  la  quale  è  riposta  la  loro  es- 
senza, cioè  la  «  Divina  Idea  del  Mondo  »,  che  è  la 
loro  Realtà.  Per  il  maggior  numero,  questa  Di- 
vina Idea  non  è  riconoscibile  :  essi  vivono  fra  la 
superficialità,  le  pratiche  giornaliere,  le  mostre 
del  mondo,  senza  neppur  sognare  che  anche  esse 
sono  simboli  visibili  di  una  invisibile  realtà  : 
che  l'uomo  è  una  divina  apparizione,  e  che  la 
natura,  nella  sua  intima  essenza,  è  sopranna- 
turale. 

Noi  veniamo  in  questo  mondo  visibile  da 
un  altro  invisibile  dove  dobbiamo  tornare  :  vi- 
viamo pochi  anni  su  questo  pianeta,  forniti  di 
ciò  che  arrechiamo  con  noi,  cioè  la  luce  della  co- 
scienza, e  di  ciò  che  troviamo  quaggiù,  cioè  pene 
e  piaceri.  Gli  uomini  posson  dividersi  in  tre  grandi 
classi:  —  quelli  che  sottomettono  ciò  che  portano 
in  sé  a  quel  che  trovano  sulla  terra,  che  sacrifi- 
cano l'eterno  al  perituro,  l'anima  alla  materia; 
e  questi  sono  i  geni  del  male  :  —  quelli  (e  sono 
i  più)  che  schiavi  delle  sensuali  apparenze  pur 
serbano  qualche  orma  fugace,  qualche  confuso  ri- 
cordo della  Idea  Divina  ;  pei  quali  la  vita  è  come 
una  lanterna  magica  di  successive  effimere  scene, 
e  passano  i  giorni  fra  le  convenzioni,  le  incita- 
zioni, le  pretensioni  e  le  ipocrisie  sociali;  uomini- 
fantasma,  piuttosto  che  divine  realtà  :  —  e  quelli 
finalmente  che  considerano  la  vita  come  cosa  di 
seria,  intensa,  tragica  importanza  —  come  il  ter- 


150  LE 

ribile  ponte  del  Tempo  sospeso  fra  due  Eternità; 
che  soffrono  e  godono  nella  profonda  coscienza 
della  invisibile  presenza  divina^  e  nella  costante 
preoccupazione  del  Dovere  e  della  Responsabilità: 
soldati  della  Verità  e  della  Giustizia,  il  cui  con- 
cetto ha  per  base  granitica  la  rivelata  parola  di 
Dio.  Questi  sono  il  vero  sale  della  terra,  i  veri  e 
legittimi  leaders  delle  nazioni  :  e  questi  sono  gli 
Eroi  di  Carlyle.  Profeti,  legislatori,  filosofi,  poeti, 
capitani,  re,  si  rassomigliano  tutti  nel  profondo 
sentimento  della  realtà,  visibile  ed  invisibile  ; 
nell'odio  e  nella  guerra  a  tutto  ciò  che  è  vana 
mostra,  equivoco,  fantasma  e  menzogna;  si  chiami 
machiavellismo,  o  gesuitismo,  o  parlamentarismo, 
o  dilettantismo  ;  a  tutto  quel  che  è  «  vanità  che 
par  persona  »  in  religione,  in  politica,  in  arte. 
Tipo  supremo  dell'eroe-realtà,  Cromwell  :  del- 
l'uomo-fantasma,  Luigi  decimoquinto. 

Secondo  il  Carlyle,  i  popoli  cercano  invano 
la  loro  salute  nelle  rivoluzioni,  costituzioni,  di- 
scussioni parlamentari,  e  in  tutte  le  promesse  del 
liberalismo,  della  scienza  e  della  filantropia.  In 
materia  di  governo,  egli  non  riconosce  che  la  su- 
periorità dell'individuo  eroico  —  dell'uomo  prov- 
videnziale ;  al  quale  si  deve  obbedire,  come  a 
una  realtà  naturale  in  opposizione  con  le  finzioni 
sociali. 

La  storia  universale  non  è  per  Carlyle  che 
una  serie  di  hiograjie  degli  eroi.  Tutto  quello  che 
fu  stabilmente  fondato  nel  mondo  è  opera  loro  : 
e  il  resultato  materiale  è   l' incarnazione  dei  loro 


'^   LK  LETTUP.E    SU    GLI    EKOl  ''  '157 

pensieri.  L'eroe  «  deriva  direttamente  dalla  realtà 
primordiale  ed  è  una  vivente  rivelazione.  »  Gli 
eroi  individui  creano  essi  soli  le  epoche  storiche; 
e  il  culto  degli  eroi  è  un  culto  nazionale  e  co- 
smopolita. Essi  sono  i  veri  creatori  di  tutto  ciò 
che  la  moltitudine  collettiva  riesce  a  fare  obbe- 
dendo ad  essi.  Maometto,  Lutero,  Cromwell.  Dante, 
—  ecco  l'Arabia,  la  G-ermania,  l'Inghilterra  e  l'I- 
talia !  Insomma  il  Carlyle  è  precisamente  l'op- 
posto di  Herder,  di  Schiller  e  del  Mazzini,  pei 
quali  i  grandi  uomini  non  sono  che  gli  interpetri 
del  pensiero  nazionale,  la  sintesi  non  la  sorgente 
del  concento  umano,  le  pietre  miliari  della  via 
sacra  deirUmanità,  i  sacerdoti  della  sua  rei  io-ione. 
Il  sentimento  religioso,  un  sacro  stuj)ore  in 
faccia  al  divino  e  impenetrabile  mistero  dell'Uni- 
verso, il  senso  profondo  e  sincero  della  realtà,  la 
perseveranza  nel  lavoro,  e  la  virtù  del  silenzio, 
«  l' eroico  silenzio  preparatore  e  maturatore  di 
ogni  cosa  grande  »,  —  sono  le  infallibili  caratte- 
ristiche dell'  eroe.  Ecco  perchè  il  Carlyle  ama 
tanto  ed  esalta  i  profeti,  i  puritani,  gli  uomini 
d'azione,  i  poeti,  la  cui  poesia  è  sangue  e  anima 
come  Dante  e  Burns,  gli  eroici  lottatori  e  lavora- 
tori come  Johnson  e  Gian  Paolo.  Ecco  perchè  gli 
sfuggono  tanti  aspetti  storici  o  estetici  della  Vita 
e  dell'  Arte.  Andate  a  parlargli  della  poesia  e 
della  pittura  del  Rmascimeato^  del  P^  tra 'ca  o  del- 
l'Ariosto, del  Botticelli  o  di  Raffaello  —  della 
musica  di  Mozart  o  del  Rossini  —  di  un  romanzo 
passionato  della  Sand,  o  delle    eloquenti  maledi- 


158  LE  "letture  su  gli  eroi" 

zioni  di  Byroii,  o  delle  panteistiche  visioni  di 
Shelley....  Carlyle  vi  risponderà  con  un  sorriso 
di  compassione,  o  con  un  feroce  sarcasmo. 

Egli  odia  ed  impreca  a  ciò  clie  fa  l'orgoglio 
della  società  contemporanea.  Le  sue  apostrofi 
contro  la  scienza  atea,  contro  le  Camere  costitu- 
zionali, contro  la  letteratura  sentimentale  o  bi- 
zantina, sono  assidue,  eloquenti,  feroci.  —  Eccone 
un  saggio  : 

«  La  scienza  atea  chiacchiera  miserabilmente 
di  questo  universo,  con  le  sue  classificazioni,  i 
suoi  esperimenti,  come  se  esso  fosse  una  mac- 
china geometrica,  una  povera  cosa  morta.  E  in- 
vece una  cosa  vivente,  simbolica,  ineffabile  e  di- 
vina, innanzi  alla  quale  con  ^,utta  la  scienza  che 
abbiamo  ammassato  da  Platone  a  Hegel,  da  Em- 
pedocle a  Herschell,  la  sola  attitudine  logica  e 
razionale  è  l' ammirazione  e  la  venerazione.  E 
l'uomo,  quale  prodigio!  C'è  un  io  misterioso  sotto 
questo  vestimento  di  carne:  profondo  è  il  suo 
ascondimento  sotto  questo  strano  vestito  fra  i 
suoni,  i  colori  e  le  forme  —  e  tuttavia  questo  ve- 
stito medesimo  è  tessuto  nel  cielo,  e  imperscru- 
tabilmente divino  nella  sua  essenza.  L'  uomo  che 
di  nulla  stupisce,  che  trova  tutto  spiegabile  e 
classificabile,  quand'  anco  fosse  il  presidente  di 
cento  Società  Eeali,  e  avesse  in  testa  tutta  la 
meccanica  celeste,  e  tutte  le  filosofie  germaniche, 
e  il  riassunto  delle  esperienze  di  tutti  i  labora- 
tori ed  osservatori,  non  è  altro  che  un  paio  d'oc- 
chiali dietro  i  quali  non  vi  son  occhi.  L'universo, 


M-:    *'  LI^TTIT.E    SU    GII    EROI  "  150 

nella  minima  delle  sue  provinca,  è  letteralmente 
la  città  dì  Dio. 

«  La  nostra  letteratura.  1'  arte  contempora- 
nea, poesia,  pittura,  romanzo,  teatro,  non  è,  in 
ultima  analisi,  che  una  apologia,  una  deificazione 
della  Voluttà.  Non  avendo  più  il  Dovere  ancorato 
al  centro  della  nostra  volontà,  ricorriamo  a  ogni 
sorta  (li  ricette  economiche,  positi\dste  e  porno- 
grafiche, per  distrarci,  godere  e  stordirci.  La  Vita 
non  è  più  un  tempio  augusto,  ma  una  sala  di  ri- 
creazione. 

«  L'  uomo  è  nato  per  lavorare  e  non  per  go- 
dere. Chiudete  il  vostro  Bj^ron,  e  aprite  un 
po'  Goethe.  L'  ideale  sta  in  voi:  1'  ideale  è  il  mo- 
mento attuale,  se  lavorerete  in  tutta  coscienza. 
Lavorate  e  producete  —  sia  pure  la  più  misera  e 
infinitesimale  frazione  di  un  prodotto  —  produ- 
cete! Ogni  genere  di  lavoro,  dal  più  intellettuale 
al  più  manuale,  è  sacro,  e  dà  pace  allo  spirito 
umano.  Tacere  e  lavorare,  ecco  le  due  virtù  eroi- 
cìie  dell'  umanità.  Solo  il  silenzio  è  grande  e  pa- 
tetico. Xoi  viviamo  sospesi  fra  due  solenni  si- 
lenzi —  il  silenzio  degli  astri  e  il  silenzio  delle 
tombe.  Anche  le  nazioni  tacciono,  finché  non 
parla  per  loro  il  genio,  che  è  la  loro  voce  e  rap- 
presentanza. Com'  è  grande  il  silenzio  degli  anti- 
chi Romani!  Il  Medio  Evo  pure  ebbe  un  solenne 
silenzio,  che  scoppiò  poi^  nel  più  sublime  cantb 
umano,  la  Divina  Commedia.  Ecco  le  vere  voci 
delle  nazioni!  E  quando  una  di  esse  si  fa  udire, 
la  nazione  per  la  quale  essa  parla  è  una  nazione 


160  LE 

consacrata:  è  redimibile  anche  se  soggiogata,  smem- 
brata, avvilita.  L'Italia  oppressa  dall'Austria  era 
sempre  grande  e  una,  perchè  aveva  Usuo  Dante: 
le  era  concesso  parlare,  e  un  giorno  si  è  fatta  in- 
tendere. La  Russia  è  un  colosso  formidabile,  con 
tante  baionette  e  cannoni,  ma  ancora  non  può 
parlare:  finora  non  è  che  un  muto  enorme  mo- 
stro.... ma  presto  avrà  anche  lei  la  sua  voce,  una 
voce  eroica.  » 

Ho  riportato  questi  frammenti  anche  per 
dare  un'  idea  dello  stile  strano,  ma  di  magnetica 
efficacia,  con  cui  scrive  il  Carljde.  Delle  tre  più 
grandi  immaginazioni  del  tempo  nostro — Victor 
Hugo,  Carlyle,  Michelet  —  il  Carlyle  è  la  più  vio- 
lenta ed  apocalittica.  Un  sof&o  ardente  di  poesia 
ebraica  gli  viene  attraverso  la  tradizione  purita- 
na, e  fa  di  lui  una  specie  di  profeta,  di  veggente, 
in  pieno  secolo  decimonono.  In  Victor  Hugo  pre- 
domina la  magnifica  e  splendida  visione  plastica 
e  colorita  —  in  Michelet  la  emozione  contagiosa, 
il  grido  oil  gemito  lirico,  joassionato  —  in  Carlyle 
il  terrore  biblico,  la  mistica  tenebra  Rembran- 
diana,  illuminata  qua  e  là  da  un  raggio  sinistro 
o  dal  fulmine. 

La  potenza  evocatrice  e  resurrettrice  di  sto- 
rico è  suprema  in  Carlyle,  e  fors'  anche  superiore 
a  quella  prodigiosa  di  Michelet.  Nelle  sue  tre 
grandi  opere  storiche  su  CromiveU,  sulla  liivolu- 
zione  francese^  sul  Gran  Federigo  —  come  pure  in 
queste  letture  su  gli   Erol^   epoche  e   personaggi 


LE   "letture    su    gli    EROI  11)1 

defunti  rivivono  di  vita  palpitante  e  attuale.  Ma 
la  immaginazione  simpatica  e  ricostruttrice  è  te- 
nuta in  freno,  è,  per  dir  cosi,  controllata^  dal  senso 
pratico  inglese.  Lontano  dalle  vaporose  metafisi- 
cherie dei  Tedeschi,  come  dai  brillanti  paradossi 
dei  Francesi,  la  immaginazione  di  Car'h'le  lavora 
sopra  un  fondo  positivo  di  reali  documenti.  Le 
frasi  più  azzardate  e  più  liriche  delle  sue  storie 
sono  spesso  convalidate  a  pie  di  pagina  da  una 
nota  erudita.  Ma  coi  materiali  dove  uno  storico 
archivista  non  ricaverebbe  che  lettera  morta  di 
cronologica  narrazione,  ricomponendo  con  fran- 
tumi d'  ossa  uno  scheletro,  il  Carljde,  con  l' in- 
tuito del  genio,  ricrea  il  personaggio  e  gli  alita 
in  volto  la  vita.  Maometto  e  Cromwell,  Mirabeau 
e  Federigo,  parlano  e  agiscono  dinanzi  a  noi  come 
viventi  creature.  Le  carte  tarlate  e  l' inchiostro 
ingiallito  di  lettere  scritte  secoli  addietro  da  dita 
che  ora  son  polvere,  pensate  da  teste  ove  batteva 
febbrile  il  polso  della  vita  e  che  ora  son  teschi  se- 
polti —  per  Carlyle,  come  per  Michelet,  erano 
rivelazioni  e  resurrezioni.  Un  fatto  ordinario  della 
vita  giornaliera,  una  data,  un  conto,  un  abito,  un 
appunto,  una  frase  di  barbaro  latino,  son  cose  di 
capitale  importanza  nel  processo  di  questa  arti- 
stica resurrezione.  Facendosi  contemporaneo  delle 
passate  generazioni,  Carljde  assume  la  loro  ma- 
niera di  vedere  e  di  sentire,  e  con  la  sua  capa- 
cità di  emozione  resuscita,  raccoglie  ed  esprime 
sentimenti  che  parevano  distrutti,  o  sepolti  fra  le 
pergamene  muffite.  Vedansi  le  ammirabili  pagine 

Xkxcioxi.  —  (S'rt^.'//  cìiiici  di  Ictt.  inglese.  11 


16^  LE  "letture  su  gli  eroi" 

suir Islamismo,  sui  Puritani,  sugli  avi  di  Fe- 
derigo. 

Il  suo  processo  di  preparazione  scorica  e  il 
suo  materiale  non  differiscono  da  quelli  dei  col- 
lezionisti, dei  diplomatici,  dei  genealogisti — de- 
gli eruditi,  in  una  parola:  ma  Carlyle  se  ne  serve 
come  di  medium  per  comunicare  con  lo  spirito 
dello  storico  personaggio:  la  cosa  vera,  impor- 
tante, essenziale,  è  per  lui  il  sentimento  interiore 
degli  uomini  che  han  vissuto,  lì  fatto  è  questo: 
sta  bene  :  ma  come  nacque,  quali  pensieri,  quali 
sentimenti  precederono  e  accompagnarono  l'azio- 
ne? qual  dramma  interiore  dà  spiegazione  e  va- 
lore al  dramma  esteriore?  Né  il  Carljde  resta 
spettatore  indifferente  delle  proprie  resurrezioni; 
ma  le  interroga,  le  apostrofa,  e  comunica  il  suo 
ardore  e  il  suo  interesse  al  lettore;  il  quale,  un 
po' soffre,  un  po' stupisce,  ma  è  incantato  e  com- 
mosso e  trascinato  dai  movimenti  bruschi  e  po- 
tenti di  questo  mago:  è  una  ispirazione  affasci- 
nante, è  una  parola  contagiosa.  Con  uno  sguardo 
rapido  e  sagace,  con  una  intuizione  istintiva, 
Carlyle  sa  discernere  subito  fra  mille  documenti, 
fra  tanta  inutile  e  polverosa  fronda  parassita  di 
materiale  storico,  il  documento  capitale,  sostan- 
ziale e  rivelatore —  lo  tocca,  lo  afferra,  e  ce  lo 
pone  sotto  gli  occhi  in  una  luce  cosi  forte  e  vio- 
lenta, che  noi  partecipiamo  alla  intensità  della 
sua  visione,  e  ci  è  impossibile  dimenticarla. 

Cromwell  è  l'eroe  prediletto  di  Carlyle.  L'idea 
religiosa  e  politica,  la  fede  e   1'  azione,   la   spada 


LE    "LETTURE    SU    GLI    EROI  "  163 

(li  Dio  e  il  creatore  della  grandezza  politica  del- 
l' Ingliilterra,  tutto  gli  è  egualmente  ammirabile 
in  questo  suo  eroe  prediletto.  Tutto  —  fino  alla 
crudele  sottomissione  dell'Irlanda  !  Parlando  della 
Rivoluzione  Francese^  Carlyle  forse  la  giudica  da 
un  punto  di  vista  troppo  puritano  ed  inglese.  La 
giudica  secondo  le  ardenti  sue  simpatie  e  anti- 
patie, incoraggiando,  esaltando,  gemendo  e  impre- 
cando, come  un  vero  attore  di  quella  grande  tra- 
gedia. Ma  nei  credenti  nella  Enciclopedia  ed  in 
Rousseau,  cerca  troppo  spesso  e  troppo  spesso 
rimpiange  i  credenti  nella  Bibbia  e  in  Gesù  Cri- 
sto. Nonostante,  le  pagine  sull'  eroe  Mirabeau, 
suir  anemia  della  Francia  sotto  Luigi  decimo- 
quinto e  quelle  sul  Terrore  sono  ammirabili. 

«  La  storia  è  jDatetica  »  —  scrisse  Hegel 
(poco  sospetto  di  sentimentalismo).  E  patetica  è 
la  natura  umana.  Una  infinita  pietà  accompagna 
la  tragica  narrazione,  la  sanguinosa  fantasmago- 
ria di  Carlyle,  Homo  sum  —  e  Sunt  lacrymae  re- 
rum, potrebbe  essere  la  doppia  epigrafe  di  questa 
storia.  j\Ia  il  vero  eroe  ne  è  Mirabeau.  Sono  stu- 
pende le  pagine  sul  suo  carattere  e  sulla  sua  in- 
fluenza: specialmente  dove  si  esamina  il  gran 
problema  di  quella  vita  nei  suoi  ultimi  giorni. 
Mirabeau  sperò,  tentò  realmente  di  conciliare  la 
monarchia  e  la  libertà,  e  di  salvarle  ambedue  ? 
Fin  dove  giunsero  le  sue  relazioni  e  i  suoi  patti 
con  quella  misera  Corte?  Forse  egli  non  mori  a 
tem]  per  la  sua  gloria  ;  forse  la  sua  morte  fu 
una  calamità  nazionale.  Ma  se  la  sua  politica  ri- 


iÙ  LE 

mane  ancora  un  enimma,  la  sua  parola,  la  sua 
titanica  eloquenza  risuoiia  ancora  come  una  delle 
grandi  voci  della  Natura.  La  eloquenza  di  Mira- 
beau  non  fu  eguagliata  che  dalla  sua  operosità. 
Qna  formidabile  attività  consumò,  come  una  ca- 
micia di  Nesso,  questo  Ercole  della  Rivoluzione. 
Dal  giorno  della  prima  riunione  a  Versailles  fino 
al  momento  in  cui  il  tonante  oratore  perde  la 
parola  per  sempre,  e  scrive  con  mano  tremante  : 
oj^fpio  !  dormire  !  una  vertiginosa  operosità  lo  agi- 
tò, lo  trascinò,  lo  sbattè  senza  posa,  come  in  una 
bufera,  in  una  ruina  infernale....  La  sua  eloquenza 
era  una  corruscante  artiglieria  di  parole,  una  for- 
midabile sequela  di  tuoni  e  di  fulmini.  Quando 
riuscivano  ad  irritarlo,  diventava  sublime.  Fu 
detto  che  la  collera  gli  stava  bene  «  come  la  tem- 
pesta all'  Oceano.  »  Faceva  tremare,  e  talvolta 
faceva  ridere.  ]\[a  quando  gettava  il  freddo  sar- 
casmo dalla  sua  bocca  leonina  era  anche  più  spa- 
ventoso di  quando  scuoteva  la  sua  criniera  di 
Sansone  e  gli  occhi  gettavano  fiamme  sulla  sua 
faccia  mostruosa  ed  eroica.  Quando  lo  vollero 
spaventare  con  lo  spauracchio  della  forza  armata, 
dicendogli:  <'  Lafaj^ette  a  une  armée  ».  rispon- 
deva: «  Et  moi,  j'ai  ma  téte!  »  L'Assemblea  Na- 
zionale cominciava  un  indirizzo  al  re,  dicendo  : 
»  L'Assemblée  apporte  aux  pieds  de  Votre  Maje- 
sté  une  ofPrande....  »  —  «  La  majesté  n'a  pas  de 
pieds  »  —  interrompe,  brontolando,  Mirabeau. 
Un'  altra  volta  l'Assemblea  dichiara  che  «  elle  est 
ivre  de  la  gioire  de    son   roi.  »  E    Mirabeau  col 


1()5 

suo  riso  di  titano  sarcastico:  «  Y  pensez-vous  ? 
Des  gens  qui  font  des  lois,  et  qui  sont  ivres!....  » 

Dopo  l'anemico  e  putrido  regno  di  Luigi  de- 
cimoquinto, e  dopo  le  pagine  distruttrici  di  Vol- 
taire e  quelle  ardenti  di  Diderot  e  di  Rousseau, 
doveva  inevitabilmente  venire  il  giorno  del  bat- 
tesimo per  la  Democrazia,  e  quello  dell'olio  santo 
per  il  Feudalismo.  E  venne.  Aurora  boreale,  cinta 
di  nuvole  apocalittiche,  sanguinosa,  tremenda  — 
ma  Aurora,  ma  luce,  ma  corrente  d'aria  nuova  e 
libera,  contro  i  bassi  e  fìtti  strati  di  tenebre  se- 
colari che  asfissiavano  l'umanità. 

Si  accusa  il  Cari  vie  come  il  Michelet,  di  aver 
fatto  una  epopea  lirica  — ■  o,  se  più  vi  piace,  un 
poema  drammatico,  della  storia  della  Rivoluzione. 
A  torto,  secondo  me:  perchè  quella  storia  è  j^er 
sé  stessa  una  spaventosa  ed  eroica  tragedia  —  un 
poema  in  azione. 

La  Rivoluzione  ha  avuto  nel  suo  seno  dei 
mostri,  dei  monomaniaci  omicidi,  che  la  disono- 
rano :  i  Marat,  i  Barère,  i  Carrier,  i  Collot,  i  Le- 
bon....  E  la  Francia  fu  difesa  e  salvata  non  da 
loro,  ma  malgrado  loro.  Ma  accanto  a  questi  be- 
stiali profili  di  carnassiersj  che  folta  e  magnifica 
schiera  di  luminose  figure!  Da  Mirabeau  a  Yer- 
gniaud,  da  Danton  a  Madama  Roland,  da  Barnave 
a  Condorcet,  da  Bailly  a  Carlotta  Corday,  da  La- 
fayette  a  Kleber,  da  Marceau  a  Hoche,  da  Desaix 
a  Buonaparte!  e  con  essi  i  centomila  eroi  volon- 
tari del  novantadue!  Le  vittime  stesse  hanno 
un'  aria  solenne  di  tragica  grandezza,  o  di  prò- 


166  LE 

fondo  patetico.  Chi  potrà  ricusare  un  saluto  di 
umana  simpatia  e  di  ammirazione  a  Maria  Anto- 
nietta, a  Madama  Elisabetta,  alla  Contessa  di 
Lamballe  ?... 

Il  movimento  vertiginoso,  vulcanico  della 
Rivoluzione,  sfugge  alla  fredda  analisi  e  diso- 
rienta il  filof  0  b  e  lo  statista.  Al  naturalismo,  alla 
teoria  del  divenire  che  Taine  ha  ricevuta  da  Hegel, 
repugna  una  Costituzione  che  a  un  tratto  vuol 
disfare  e  creare:  come  i  colpi  audaci  e  l'occhio 
d'aquila  di  Buonaparte  disorientavano  le  calco- 
late strategie  dei  vecchi  generali  austriaci  e 
prussiani. 

Certo,  il  vero  futuro  storico  della  grande  Ri- 
voluzione non  sarà  né  un  mistico  come  Carlyle. 
né  un  p)oeta  come  Michelet  o  Lamartine,  ne  un 
diplomatico  come  Thiers.  né  un  settario  come 
Louis  Blanc,  né  un  apologista  come  Esquiros, 
né  un  filosofo  naturalista  come  il  Taine;  ma 
dovrà  in  ogni  modo  avere,  per  intendere  il  ca- 
rattere della  Rivoluzione,  un  raggio  di  poesia 
nella  mente  e  nel  cuore:  perchè  quella  grande 
tragedia  non  può  essere  rappresentata  da  chi  non 
sia  capace  di  risentirne  il  contagioso  entusiasmo. 
Un  freddo  archivista  non  potrà  mai  capire  Dan- 
ton!  Come  certi  improvvisi  sentimenti  del  cuore 
umano  sfuggono  ad  ogni  analisi,  così  certi  mo- 
vimenti elettrici  delle  nazioni  sfuggono  alle  ra- 
gionate classificazioni  dei  dottrinari:  sono  cosa 
divina,  e  che  perciò  appartiene  al  dominio  della 
poesia.  Quindi  è  che  il  poeta  Michelet  e  il  poeta 


LE    "LETTUI'.E    su    gli    EliOl  "  l(j7 

Carlyle  hanno  visto  e  Ietto  nella  liivolnzione 
francese  meglio  e  più  addentro  del  positivista 
Taine  e  del  dottrinario  Guizot. 

Napoleone  «  ingigantito  sui  trampoli  delle 
enormi  e  spesso  inutili  vittorie  »  pare  a  Carlyle 
un  eroe  di  men  solida  tempra  di  Cromwell  e  di 
Federigo.  BuUettini  eloquenti,  marce  prodigiose, 
stragi  colossali,  grandi  sciabole  e  grandi  mustac- 
clii,  TEurojja  ridotta  a  caserma,  immenso  strepito 
come  di  fuochi  d'  artifizio,  scoppi  e  gran  fumo,  e 
al  primo  soffio  di  vento  tutto  sparisce,  tutto  tace 
- —  e  il  sangue  di  due  o  tre  milioni  di  creature 
umane  non  ha  fondato  nulla,  e  ha  messo  la 
Francia  sotto  il  bastone  dei  Cosacchi  e  degl'In- 
glesi. 

Cromwell  invece  ha  fatto  la  grandezza  del- 
l' Inghilterra  Federigo  ha  creato  la  Prussia,  e 
quindi  la  gran  patria  tedesca!  Dunbar  e  Worce- 
ster, Rosbach  e  Liegnitz  sono  battaglie  di  una 
importanza  incalcolabilmente  più  grande  delle 
epiche  Austerlitz,  Wagram,  Moscowa,  che  abba- 
gliarono il  mondo,  e  non  lasciaron  nulla  di  sta- 
bile dopo  loro. 

L'  orgoglio  fu  il  suo  acciecamento  e  la  sua. 
punizione.  Credè  di  potere  impunemente  umiliare 
i  popoli  come  i  re,  e  s' ingannò.  Difensore  di  una 
bandiera  che  proclamava  i  diritti  e  l'indipendenza 
dei  popoli,  fini  col  non  tenerne  più  nessun  conto, 
e  col  creare  una  nuova  Corte  bizantina,  e  una 
lotteria  di  Corone,  egli  il  figliolo  dell'  ottantcuiove, 
e  la  spada  della  E/ivoluzione!  Ma  Bajona   conte- 


408  LE    "letture    su    gli    EROI"' 

neva  in  se  Waterloo,   e   Sant^ Elena   vendicava  la 
tradita  Polonia. 

Napoleone  fu  eroe  per  il  senso  profondo  della 
realtà  che  ebbe  fra  quei  metafìsici  del  Direttorio, 
per  la  indomata  energia  del  volere,  per  le  crea- 
zioni continue  e  fulminee  del  suo  genio  militare 
e  organizzatore,  per  la  idea  divina  che  benché 
annebbiata  e  offuscata  non  lo  abbandonò  mai  del 
tutto,  e  brillò  sulla  sua  bella  fronte  di  Console, 
di  Cesare  e  di  martire,  in  Egitto,  a  Tilsitt,  a 
Sanfc'  Elena. 

Come  appariscono  gli  eroi  negli  affari  umani 
—  sotto  che  forma  si  presentano  nella  storia  — 
che  pensano  di  loro  le  nazioni  —  qual  è  l'essenza 
della  loro  opera  varia  ed  immensa  ?  Questo  cerca  e 
studia  Carlyle  nelle  sue  Letture.  Al  primo  apparir 
sulla  terra  gli  eroi  fondano  le  religioni,  e  la  prima 
forma  d'  eroismo  è  la  divinità.  Alla  giovane  uma- 
nità ogni  cosa  pare  miracolo  —  quindi  Odino,  il 
dio  e  l'eroe  Scandinavo.  L'ammirazione  trascen- 
dentale per  un  eroe  è  il  fondamento  di  ogni  reli- 
gione. Anche  del  Cristianesimo,  aggiunge  auda- 
cemente Carlyle.  «  Il  più  grande  di  tutti  gli  eroi 
è  uno  che  non  osiamo  qui  nominare.  »  Odino  è  la 
consacrazione  del  valore:  Maometto  è  il  profeta 
monoteista,  genio  creatore  e  organizzatore,  sincero 
nel  suo  feroce  entusiasmo,  e,  come  Cromwell,  in- 
giustamente accusato  di  impostura  e  di  ipocrisia 
dai  secoli  scettici  ed  analitici  che  non  potevano 
intenderlo. 


1(iU 

Il  dio  e  il  profeta  appartengono  alla  vecchia 
età:  il  poeta  è  di  tutti  i  tempi.  Il  vero  poeta  è 
un  veggente^  un  eroe  che  vede  meglio  degli  altri 
neir  intima  essenza  delle  cose,  nella  Natura  e 
neir  anima  umana.  Il  vero  poeta  è  la  sintesi  del- 
l' eroico.  Vi  è  in  lui  il  profeta,  il  guerriero,  il  fi- 
losofo. Come  ci  è  della  poesia  in  Mirabeau  e  in 
Napoleone,  cosi  ci  è  un  rivoluzionario  in  Burns, 
e  un  politico  in  Dante.  La  poesia  è  varia  come  la 
natura,  e  infinita  come  la  musica.  Essa  si  perso- 
nifica sovranamente  in  due  geni  immensi.  Dante 
e  Shakespeare. 

Dante  è  la  voce  e  la  sintesi  del  Medio  Evo 
—  è  l'espressione  musicale  di  un  mondo  che 
muore.  Il  poema  di  Dante  è  il  più  sincero  e  il 
più  intenso  di  tutti  i  poemi;  è  come  fuso  nell'ar- 
dente fornace  della  sua  anima.  Ma  udiamo  Car- 
lyle: 

«  —  Il  mondo  soprannaturale  prese  corpo 
all'  occhio  di  Dante  con  determinata  certezza  di 
scientifica  forma.  Dante  credeva  alla  esistenza 
dell'  Inferno,  ai  bui  cerchi  e  agli  alti  guai^  come 
noi  siamo  sicuri  che  vi  è  Costantinopoli,  e  che 
per  vederlo  non  occorre  che  andarvi.  Il  mondo 
terrestre  lo  aveva  respinto  da  sé,  e  obbligatolo  a 
un  continuo  pellegrinaggio:  quindi  tanto  più  pro- 
fonda l'impressione  che  faceva  su  lui  il  Mondo 
Eterno;  quella  tremenda  realtà  sulla  quale  fluttua 
come  un'  ombra  inconsistente  questo  mondo  del 
Tempo,  con  tutte  le  sue  Firenze,  con  tutti  i  suoi 
esili.  —  Tu,   o   Dante,   non  rivedrai  Firenze,  ma 


170 

vedrai  distintamente  l'Inferno,  il  Purgatorio,  il 
Paradiso.  La  tua  grande  anima,  senza  asilo  sopra 
la  terra,  farà  sempre  più  sua  dimora  il  terribile 
mondo  di  là....  La  Divina  Commedia  è,  come  la  Xa- 
tura,  svariata  nelle  sue  profonde  armonie.  Il  vero 
ritmico  canto  è  1'  eroismo  della  parola.  Tutti  gli 
antichi  poemi,  Omero,  Giobbe,  sono  autentici 
canti.  Ma  solo  quando  il  cuore  d'  un  uomo  è  ra- 
pito in  vera  passione,  e  il  suo  accento  diventa 
naturalmente  melodico  per  la  grandezza,  la  pro- 
fondità e  la  musica  dei  suoi  pensieri,  noi  gli  con- 
cediamo il  diritto  di  cantare,  e  lo  cliiamiamo  un 
jjoeta^  e  lo  ascoltiamo  con  religiosa  attenzione 
come  l'eroico  dei  parlatori....  Smettiamo  i  lamenti 
sulle  sventure  di  Dante.  Se  tutto  gli  fosse  andato 
a  seconda,  egli  sarebbe  stato  un  buon  rimatore 
del  dolce  stile^  un  priore^  un  potestà  qualunque  di 
Firenze,  riverito  ed  amato  —  e  al  mondo  sarebbe 
mancata  la  più  grande  parola  clie  mai  sia  stata 
detta  o  cantata.  Firenze  avrebbe  avuto  un  pro- 
spero magistrato  di  più,  e  dieci  secoli,  muti  fino 
allora,  avrebber  continuato  a  rimaner  senza  voce; 
e  tutti  i  secoli  successivi  non  avrebber  potuto 
ascoltare  la  Divina  Commedia.... 

«  Come  Dante,  l' uomo  Italiano,  venne  al 
mondo  per  incorporare  musicalmente  la  Religione 
del  Medio  Evo,  la  Eeligione  della  nostra  moderna 
Europa,  e  la  sua  intima  Vita;  —  così  Shakespeare 
ci  rappresenta  la  esterna  Vita  di  Europa,  le  sue 
cavallerie,  cortesie,  umori,  ambizioni,  e  ogni  ma- 
niera di  pensare,  di  agire,  di  guardar  V  uomo  e  le 


Lt:  "lhttuke  su  gli  eroi"  171 

cose,  che  si  aveva  allora.  Come  con  Omero  pos- 
siamo ricostruire  1'  antica  Grecia,  cosi  per  mezzo 
di  Dante  e  di  Shakespeare,  anche  dopo  migliaia 
d'  anni,  sarà  sempre  leggibile  che  cosa  era  la  mo- 
derna Europa  in  Fede eàin  Pratica.  Quando  il  te- 
nore cavalleresco  di  vita  stava  per  cessare  affatto, 
venne  questo  poeta  sovrano  col  suo  occhio  onni- 
veggente, con  la  sua  perenne  melorlica  voce,  per 
lasciarcene  immortale  ricordo.  Dante  è  profondo, 
e  terribile  come  il  fuoco  centrale  della  Terra  — 
Shakespeare  è  largo,  diffuso,  sereno  come  il  Sole, 
la  luce  del  mondo.  Una  di  queste  voci  mondiali, 
r  ha  prodotta  l' Italia  :  noi  Inglesi  avemmo  l'onore 
di  produrre  1'  altra.  » 

La  conclusione  della  Lettura  su  Shakespeare 
è,  che  considerato  nel  suo  insieme,  egli  è  il  pia 
grande  di  tutti  i  poeti.  «  La  Natura  anche  a  lui 
parve  divina,  ineffabile.  E  lui  che  disse;  We  are 
sudi  staff  as  Dreams  are  raade  of.  Ma  Shakespeare 
cantava,  non  predicava,  eccetto  musicalmente. 
Abbiamo  chiamato  Dante  il  melodico  sacerdote 
del  Medio  Evo  Cattolico.  Non  si  potrebbe  chia- 
mare Shakespeare  il  melodico  sacerdote  di  un  più 
vero  Cattolicismo,  della  Chiesa  universale  del  futuro, 
e  di  tutti  i  tempi?  Non  più  misere  superstizioni, 
né  duro  ascetismo,  né  intolleranza,  e  fanatica  cru- 
deltà; ma  una  Rivelazione  luminosa  dei  milioni  di 
bellezze  e  divinità  che  asconde  in  se  la  Natura.... 
Vi  sono  dei  passi  in  Shakespeare  che  sembrano 
scender  su  noi  come  splendori  del  Cielo;  fasci  di 
raggi  che  illuminano  il  vero  cuore  delle  cose.  Voi 


17-2  LI-:  "letture  su  gli  eroi" 

dite:  Ciò  è  vero;  detto  una  volta,  è  detto  per 
l'eternità!...  E  com'è  ammirabile  la  serena  tran- 
quillità di  quest'  uomo!  Non  faremo  certo  un  bia- 
simo a  Dante  della  sua  tristezza:  la  sua  è  batta- 
glia senza  vittoria  —  ma  vera  ed  eroica  battaglia; 
e  questa  è  la  cosa  principale  ed  indispensabile. 
Tuttavia  io  credo  Shakespeare  più  grande  di 
D'ante,  ^Der  questo,  che  egli  combattè  e  vinse.  Non 
dubitate:  egli  pure  ebbe  i  suoi  grandi  dolori.  I 
suoi  Sonetti  ci  attestano  in  che  torbide  e  profonde 
acque  avea  dovuto  affondare  e  nuotare,  lottando 
per  la  sua  vita.  A  me  è  sempre  parsa  una  stupida 
affermazione  quella  generalmente  accettata  da  noi 
che  egli  fosse  come  un  uccello  posato  sul  verde 
ramo  che  canta  sempre  sereno  e  libero,  immune 
dalle  cure  e  tormenti  degli  uomini.  Non  è  così  :  non 
è  cosi  per  nessuna  creatura  umana  —  e  tanto  meno 
per  Shakespeare!  Non  si  passa  senza  1'  esperienza 
di  grandi  dolori  dalla  caccia  di  contrabbando  a  scri- 
vere tragedie  come  Ee  Lear.  E  come  gli  sarebbe 
stato  possibile  il  dipingere  un  Amleto,  un  Corio- 
lano,  un  Macbeth,  e  tanti  altri  cuori  eroici  e  sof- 
frenti, se  1'  eroico  suo  cuore  non  avesse  sofferto 
mai?  E  poi,  in  contrasto  con  tutto  ciò,  osservate 
la  sua  giocondità,  il  suo  schietto  amore  del  riso. 
Se  in  qualche  cosa  Shakespeare  esagera,  è  nella 
vena  comica  ed  umoristica.  Fiere  apostrofi,  parole 
che  penetrano  e  bruciano,  si  trovano  in  Shake- 
speare, ma  in  una  certa  misura.  Il  suo  riso  in- 
vece scaturisce  a  flutti  —  egli  ride  con  tutto  il  suo 
cuore:  il  creatore  di  Lear  ha  creato  Falstaff.... 


173 

«  L'umanità  era,  è,  e  sarà  come  Shakespeare 
1'  ha  veduta  —  egli  ha  del  divino.  E  nonostante 
r  affievolito  senso  che  abbiamo  pel  culto  degli 
Eroi,  considerate  che  cosa  è  per  noi  questo  Shake- 
speare! A  quale  grimde  Inglese,  a  quanti  milioni 
di  Inglesi  non  si  rinunzierebbe,  piuttosto  che  a 
questo  contadino  di  Stratford?  Non  vi  è  gerar- 
chia delle  più  alte  Dignità  che  non  fossimo  pronti 
a  sacrificare,  per  serbar  lui.  Egli  è  la  più  gran 
cosa  che  l' Inghilterra  abbia  fatto.  Se  ci  si  doman- 
dasse: Volete,  o  Inglesi,  cederci  l'Impero  dell'In- 
die 0  il  vostro  Shakespeare?  non  aver  mai  avuto 
le  Indie,  o  non  avere  avuto  mai  Shakespeare?... 
certo  sarebbe  una  grave  questione....  e  il  mondo 
officiale  risponderebbe  senza  dubbio  in  termini 
molto  officiali....  ma  noi,  e  con  noi  il  popolo,  ri- 
sponderemmo: India  o  non  India,  non  si  può  star 
senza  Shakespeare.  L' Impero  dell'  India,  prima  o 
dopo,  ci  sfuggirà;  ma  questo  Shakespeare  rimarrà 
eternamente  nostro.  » 

Anche  le  religioni  si  trasformano  e  si  rige- 
nerano —  e  anche  il  Riformatore  è  sacerdoce. 
Nessuna  religione  è  affatto  immune  di  idolatria, 
perchè  la  nozione  che  essa  dà  della  divinità  è  pure 
un  simbolo  —  e  a  poco  a  poco  questo  finisce  per 
esser  creduto  e  adorato  per  se  stesso,  e  non  come 
simbolo:  il  formalismo  invade  la  religione  —  non 
si  crede  più,  ma  si  crede  di  credere.  La  Riforma 
del  secolo  XVI  ha  inaugurato  1'  era  del  giudizio 
privato;  ha  detto  che  ciascuno  dev'essere  il  prò- 


174  LE    "letture    su    gli    EUOl' 

prio  papa.  Fu  ima  rivolta  contro  la  Sovranità  ec- 
clesiastica stabilita.  —  Il  puritanismo  si  attaccò 
anche  alla  autorità  politica  —  e  la  sua  opera  fu 
continuata  dalla  Rivoluzione  Francese,  e  dura 
ancora....  L'eroe  del  protestantismo  è  Lutero,  l'eroe 
del  puritanismo  è  Knox.  Il  protestantismo  di  Lu- 
tero porta  allo  scetticismo  come  ultima  e  logica 
conseguenza:  il  puritanismo  di  Knox  ha  creato 
la  fede  di  Cromwell,  e  la  Nuova-Inghilterra  : 
egli  volle  il  regno  di  Dio  sulla  terra:  lottò,  con- 
quistò ,  fondò  ;  —  ed  è  la  grande  simpatia  di 
Carlyle. 

Più  ci  avviciniamo  all'età  moderna,  più  l'arte 
di  scrivere,  aiutata  dalla  stampa,  acquista  in- 
fluenza e  importanza.  Una  nuova  forma  d'eroismo 
è  possibile;  il  ^rand'uomo  scrittore,  l'eroe  lette- 
rato: quell'eroe  di  cui  Carlyle  sceglie  a  tipi  John- 
son, Rousseau  e  Burns.  Forse  a  Johnson  egli  dà 
troppa  importanza;  e  Burns  ci  pare  che  fosse  più 
al  suo  posto  tra  i  poeti,  che  tra  gli  uomini  di  let- 
tere. Nonostante,  le  pagine  su  Burns  sono  tra  le 
più  belle,  vere  e  eloquenti  che  il  Carlyle  abbia  scritto. 
E  bellissime  quelle  sull'  apostolato  delle  lettere, 
sulla  dignità  dello  scrittore.  Sarebbe  curioso  e  op- 
portuno raffrontare  le  parole  di  Carlyle  con  quelle 
del  Foscolo,  di  Schiller  e  del  Mazzini,  sullo  stesso 
argomento.  Uno  scrittore  popolare  e  degno  di  que- 
sto nome,  un  Rousseau,  un  Manzoni,  un  Victor 
Hugo,  è  una  potenza  più  grande  di  quella  del- 
l'università, del  pergamo  e  della  tribuna  —  egli  è 
per  mezzo  della   stampa,   la  prima   potenza   mo- 


LE    "letture   su    gli   EROI  "  175 

derna;  e  la  sua  parola  «  tuona  più  alto  e  tira  più 
lontano  di  qualunque  artiglieria.  » 

Lo  spazio  non  mi  concede  di  tradurre  intera 
la  lettura  su  Burns,  una  delle  più  belle  del  libro. 
Nemmeno  il  Taine,  nel  suo  ammirabile  saggio, 
ha  parlato  di  Burns  uomo  con  tanta  verità  e  pro- 
fondità quanto  il  Carlyle.  Povero  grande  simpa- 
tico Burns!  il  più  eroico  degli  Inglesi  nel  secolo 
più  anemico  prosaico  e  scettico  della  letteratura 
e  della  vita  Inglese!  Da  lui,  da  questo  povero 
contadino  di  Scozia,  assai  più  che  da  Cowper,  si 
inizia  il  gran  movimento  intellettuale  che  produsse 
la  gloriosa  pleiade  poetica  Inglese.  Da  lui,  come  da 
duplice  ricca  sorgente,  procedono  egualmente 
Wordsworth  e  Bjron.  Grande  come  uomo,  grande 
come  poeta.  Figlio  schietto,  sincero,  della  Natura, 
vede  e  canta,  sempre  ispirandosi  al  vero.  Amori, 
passioni,  paesaggi,  son  sempre  dipinti  per  attuale 
esperienza,  e  visti  coi  propri  occhi,  non  attraverso 
i  libri.  Fervido  e  patetico,  con  che  umana  e  larga 
e  magnetica  simpatia  ama  e  compiange  i  poveri, 
i  soffrenti,  tutte  le  torture  fisiche  e  morali  del- 
l'uomo!  La  sua  simpatia  si  estende,  egualmente 
calda  e  patetica,  agli  esseri  inferiori,  ai  poveri 
animali,  alle  creature  tutte,  come  quella  di  Vir- 
gilio, e  del  poverello  d'  Assisi. 

Leggete  la  sua  vita.  Da  Giuseppe  Chiarini 
fu  poco  fa  raccontata  efficacemente  la  ^^ietosa 
tragedia.  Pensate  a  cìii  era  Burns,  e  a  cosa  fu  con- 
dannato per  vivere!  In  quale  ufficio  la  libera  e 
ricca  Inghilterra  adoprò  il  genio    del   suo   eroico 


170  LE  "letture  su  gli  eroi" 

figliuolo!  Non  vi  par  di  vedere  l'alato  cavallo  Pe- 
gasèo  attaccato  a  una  diligenza^  Eppure,  ^ome 
Shakespeare,  egli  mantenne  per  tutta  la  vita  un 
fondo  inesauribile  di  eroica  giocondità  :  il  suo 
franco  e  suonante  riso  affascinava  ostesse  e  du- 
chesse.... Nonostante  le  dolorose  realtà  della  sua 
vita,  Burns  non  è  mai  un  poeta  elegiaco.  Un  pal- 
lido raggio  di  sole  gli  basta  per  scuoter  da  sé  il 
fardello  dei  suoi  dolori,  per  farlo  cantare  con  voce 
vibrante  e  pura,  come  un  uccello  dopo  la  burra- 
sca. E  il  poeta  della  realtà  e  del  coraggio.  Il  suo 
umorismo  e  la  sua  satira  g"ono  eminentemente  ri- 
voluzionari. In  altro  paese,  in  altro  campo,  sa- 
rebbe stato  un  Carlo  XII,  o  un  Mirabeau. 

La  Lettura  su  Rousseau  è  breve  e  severa; 
forse,  in  parte,  ingiusta.  Nonostante,  vi  sono  dei 
passi  di  una  forza  e  di  una  verità  veramente 
notevoli.  Ne  traduco  alcuni: 

«  Di  E/Ousseau  e  del  suo  eroismo  non  posso 
dire  quanto  dissi  di  Johnson.  Egli  non  è  quel 
che  io  chiamo  un  uomo  forte.  E  un  uomo  mor- 
bido, eccitabile,  spasmodico:  è  intenso  piuttosto- 
chè  forte.  Egli  non  aveva  il  gran  talento  del 
Silenzio:  prezioso  talento,  che  pochi  Francesi, 
anzi,  a  dir  vero,  pochissimi  uomini,  posseggono 
ai  nostri  tempi.  L'  uomo  che  soffre  dovrebbe  con- 
sumare il  suo  proprio  fumo,  perchè  non  mette 
conto  esalare  del  fumo  prima  d' averlo  conden- 
sato e  TÌàotto  R  fuoco....  Rousseau  non  aveva  suf- 
ficiente profondità  e  forza  per  lottare  contro  le 
difficoltà,  prima  caratteristica   della    vera    gran- 


LE    "letture    su    gli    EROI  "  177 

dezza.  È  un  capitale  errore  quello  di  cliiamar 
forza  la  veemenza  o  la  rigidezza.  Un  uomo  che 
ha  le  convulsioni  non  è  un  uomo  forte,  benché 
allora  sei  uomini  non  bastino  a  tenerlo.  Chi  può 
camminare  sotto  il  più  grave  peso  senza  barcol- 
lare, quello  è  un  uomo  forte....  Guardate  il  ri- 
tratto. Una  faccia  piena  di  patimento;  qualcosa 
d' ignobile,  di  volgare,  redento  solo  dalla  inten- 
sità: la  faccia  di  un  fanatico,  un  eroe  tristamente 
contraffatto.  Ma  noi  lo  mettiamo  qui  fra  gli  eroi, 
perchè  con  tutti  i  suoi  difetti,  e  son  molti,  egli 
ha  la  prima  essenziale  caratteristica  di  un  Eroe; 
egli  è  cordialmente  intento  al  suo  scopo.  Arden- 
temente e  seriamente,  come  nessuno  di  quei  Fi- 
losofi Francesi  fu  mai.  Anzi  il  suo  zelo  fu  ec- 
cessivo per  la  sua  sensitiva  e  piuttosto  debole 
natura,  e  alla  fine  lo  condusse  alle  più  strane 
incoerenze  e  quasi  al  delirio.  li  difetto  e  la  mi- 
seria di  Rousseau  fu  1'  egoismo  :  sorgente  e  com- 
pendio di  ogni  difetto  e  miseria.  Non  si  era  per- 
fezionato nel  trionfo  dei  propri  desideri.  Una 
magra  fame  era  troppo  spesso  il  motivo  delle 
sue  azioni  —  la  fame  delle  lodi  degli  uomini.... 
E  tutta  la  sua  natura  ne  restò  /jome  avvelenata; 
e  quindi  il  sospetto,  l' isolamento,  i  suoi  modi 
selvaggi. 

«  Eppure  questo  Rousseau  coi  suoi  passio- 
nati appelli  alle  Madri,  col  suo  Contratto  sociale^ 
con  le  sue  celebrazioni  della  Natura,  anche  della 
vita  selvaggia  in  Natura,  senti  e  accennò  la 
Realtà,  lottò  in  vista  della  Realtà:  ed  esercitò  la 

Xencioxi.  —  ^aggi  crilici  di  lett.  ingUne.  12 


178  LE  "letture  su  gli  eroi" 

funzione  di  profeta  al  suo  Tempo.  Come  egli  po- 
teva, e  come  il  suo  Tempo  concedeva.  Strana- 
mente, traverso  quel  suo  sfiguramento,  quella  de- 
gradazione, quasi  pazzia,  vi  è  nell'intimo  cuore  del 
povero  Rousseau  una  scintilla  di  vero  fuoco  ce- 
leste. Anco  una  volta,  dagli  elementi  dell'arido  e 
beffardo  Filosofismo,  Scetticismo,  risorse  in  que- 
st'uomo l' indistruttibile  sentimento  e  la  coscienza 
che  questa  nostra  Vita  è  cosa  vera:  non  uno  Scet- 
ticismo, un  Teorema,  un  i^ersiflage;  ma  un  Fatto, 
una  tremenda  Realtà.  La  Natura  glielo  rivelò  e 
gli  ordinò  di  confessarlo  —  ed  egli  obbedì.  » 

Verissimo:  e  si  potrebbe  aggiungere  che  non 
solo  egli  sentì,  unico  fra  quei  Filosofi,  che  la  Vita 
è  una  tremenda  Realtà  e  non  una  partita  di  pia- 
cere —  ma  che  primo  senti  e  dichiarò  che  il  Do- 
vere è  una  religione.  Fra  quegli  scettici  gaudenti 
ha  una  /ec/e,  e  sa  che  la  parola  è  un  apostolato. 
Egli  che  provò  le  miserie  reali  della  vita,  imparò 
da  esse  la  profonda  pietà  per  gli  oppressi  e  pei 
poveri;  quella  pietà  che  fu  Tarme  sua  più  potente, 
che  gli  fu  arme  e  leva  per  colpire  ed  abbattere 
il  mostruoso  edifizio  feudale,  e  fece  di  lui  il  prin- 
cipale e  più  efficace  iniziatore  della  Rivoluzione. 
Infatti,  Mirabeau  e  Robespierre,  Vergniaud  e 
Madama  Roland,  Gironda  e  Montagna  giurarono 
egualmente  sulla  sua  parola:  parola  unica  che 
sorprende,  convince,  commuove,  agita,  trascina  e 
comanda.  E  non  basta.  Bisogna  anche  ricordare 
che  in  quell'  epoca  fu  il  primo  a  parlare  di  Dio 
e  dell'Anima,  non  col  linguaggio  freddo  del  me- 


Ì.F.    'M.ETTURE    SU    GLI    EROI  "  '170 

tafisico  0  scolastico  del  teologo,  ma  con  l'ardore 
dell'  uomo,  con  l' infallibile  istinto  del  cuore.  E, 
benché  ottenebrate  dai  miasmi  del  putrido  secolo, 
balenarono  ai  suoi  occhi  la  Luce  e  la  Verità  del 
Vangelo  —  e  fu  cristiano  di  sentimento  e  di  aspi- 
razioni, se  non  di  fede  e  di  culto. 

Un  falso  concetto  della  Vita  e  dell'Arte  ha 
prodotto  ultimamente  in  Francia,  e  per  contrac- 
colpo in  Italia,  una  letteratura  dalla  quale  è  si- 
stematicamente bandito  ogni  sentimento  del- 
l' ideale  e  dell'  eroico.  Noi  siamo  ancora  circondati 
dal  bizantinismo,  e  dal  dilettantismo  trionfante. 
Un  indifferentismo  inumano  e  spietato,  larvato  col 
nome  di  scienza  e  di  naturalismo  domina  il  mo- 
derno romanzo,  e  minaccia  il  teatro.  Mai  come 
oggi  lo  studio  e  il  culto  degli  Eroi  fu  così  urgen- 
temente raccomandato.  La  gradazione,  se  ben  si 
guarda,  è  spaventosa.  Dal  naturalismo  al  mate- 
rialismo, al  pessimismo,  al  fatalismo,  all'  indiffe- 
rentismo —  e,  in  xlrte,  al  dilettantismo  ! 

Notate  bene:  il  pessimismo  è  il  fondo  so- 
stanziale di  famosi  libri  recenti  anche  i  più  ap- 
parentemente sereni  e  obiettivi.  Scrittori  diversi 
d'indole,  di  genere,  di  ingegno,  di  tendenze,  di 
stile,  in  una  cosa  si  somigliano  tutti  ;  nel  dipin- 
gere la  vita  e  le  azioni  umane  fatalmente  incep- 
pate o  paralizzate  da  influenze  indipendenti  dalla 
volontà,  e  dalla  volontà  insuperabili.  La  creatura 
umana  si  agita  invano  nel  cerchio  fatale  dell'a?»- 
hieìite  e  della   eredità  fisiologica.   L' idea  che  ogni 


180  LE  ''letture  su  gli  eroi'' 

sforzo  è  inutile,  che  la  potenza  delle  cause  este- 
riori ed  estranee  è  irresistibile, paralizza  ogni  forza 
sj^irituale.  Come  volete  che  concepisca  l' eroe  e 
1'  eroismo^  che  afferri  il  concetto  di  uno  Schiller 
o  di  un  Carlyle,  una  gioventù  malata  di  questa 
malattia  della  volontà?  E  dalla  paralisi  della  vo- 
lontà —  cioè  della  personalità  umana  —  derivano 
le  altre  malattie  morali,  come  rivi  corrotti  da 
una  putrida  gora. 

Ciò  che  essenzialmente  manca  a  questa  let- 
teratura che  si  chiama  e  non  è  naturalista  —  è  la 
naturale  simpatia  umana  che  caratterizza  tutti  i 
veramente  grandi  drammatici  e  romanzieri ,  da 
Shakespeare  a  Browning,  da  Cervantes  a  George 
Eliot  ed  a  Tolstoi.  I  naturalisti  Francesi  h  e  li- 
brano invece  provare  un'acre  voluttà  nel  dipin- 
gere il  lato  vile  e  cariato  della  natura  umana:  e 
ci  presentano  V  uomo  come  guardato  dall'  alto,  e 
quasi  sempre  degno  della  loro  commiserazione. 
D'  onde  vien  loro  questa  inumana  indifferenza? 
Perchè  si  atteggiano  a  olimpici  semidei  che  osser- 
vano, numerano  e  classificano  degli  animali  in- 
feriori? In  nome  di  qual  principio?  Trattare 
l'anima  umana  con  la  indifferenza  scientifica  del 
chimico,  del  botanico,  del  mineralogista,  è  peggio 
che  un  errore  artistico;  è  un  sacrilegio.  Per  ve- 
rità di  osservazione  e  di  riproduzione,  credete 
che  George  Eliot,  Thackera^^,  Turghenieff,  Tol- 
stoi, valgan  meno  del  Flaubert  e  dello  Zola?  Ma 
George  Eliot  e  i  romanzieri  russi  mi  fanno  sen- 
tire che   i   loro  personaggi  i  più   umili,  anche  i 


LE    "LETTURE    SU    GLI    EROI  181 

grotteschi  e  ridicoli,  sono  creature  umane  —  e  che 
agli  atti  più  insignificanti  della  vita  e  più  vol- 
gari, è  sempre  presente  un  formidabile  benché 
invisibile  giudice.  L'  uomo  è  materia  e  spirito, 
luce  e  fango.  Dipingeteci  pure  il  fango  umano; 
tutte  le  debolezze,  le  miserie,  le  vergogne,  le 
viltà  dell'  animale  umano  —  ma  perchè  soppri- 
mer la  luce,  l'anima,  la  lotta,  il  dramma  eroico 
della  volontà  e  del  dovere?  «  Voi  ci  rappresen- 
tate, scriveva  poco  fa  il  Yoglié,  quel  che  ci  è 
dell'  uomo  in  una  clinica,  ma  non  è  tutto  1'  uomo; 
anzi,  r  essenziale  vi  manca.  »  Ma  ciò  che  umilia 
il  carattere  umano  e  vuol  mutilare  le  eterne  spe- 
ranze dell'anima,  può  divertire  un'  ora,  ma  è  de- 
stinato a  perire. 

Grià  da  molti  fra  i  giovani  innamorati  del- 
l'Arte, si  cerca,  si  chiede,  si  aspetta  qualcosa  di 
nuovo...  Uno  spirito  inquieto  tormenta  i  cuori  a 
cui  non  basta  più  quest'arte  da  fotografi  e  da 
chincaglieri.  Non  voglion  più  convenzioni  ele- 
ganti, ma  non  voglion  più  putridume.  Il  romanzo 
psicologico  comincia  a  esser  gustato  e  preferito 
alle  brutali  fisiologie  e  patologie  di  certi  libri 
francesi  e  nostri.  Insomma  si  ha  fame  di  un  nu- 
trimento più  sano  e  più  sostanziale. 

E  poiché  ho  rivolto  la  parola  ai  giovani, 
colgo  l'occasione  per  dar  loro  un  avvertimento  e 
un  consiglio.  Smettano  di  scrivere  tanti  versi, 
per  carità  !  Non  passa  giorno  che  alle  direzioni 
delle  nostre  riviste  e  dei  nostri  giornali  non  ar- 
rivi una  valanga  di  volumi  di  versi  —  la   mag- 


182  LE  "letture  su  gli  eroi 

gior  parte  mediocri,  molti  addirittura  cattivi. 
Ecco  :  se  voi  avete  acquistato  la  difficile  abilità 
di  esprimere  in  semplice  e  virile  prosa  schietto  e 
intero  il  vostro  pensiero  ;  coltivatela  e  perfezio- 
natela. Se  non  l'avete  ancora,  studiate,  lavorate 
per  ottenerla.  Ma  perchè  perdere  il  tempo  a  vo- 
lerci cantare  i  vostri  pensieri  ?  Di  versi  mediocri 
ne  abbiamo  troppi  in  Italia.  Quel  che  ci  abbi- 
sogna è  una  parola  chiara,  limpida  e  intelligi- 
bile. Lo  dirò  con  le  parole  stesse  di  Carlyle  :  «  In 
questa  battagliera,  e,  in  gran  parte  anarchica 
epoca  nostra,  abbiamo  urgente  bisogno  di  udire 
chiare  e  savie  parole  di  consiglio  e  di  comando, 
e  non  monotone  salmodie,  o  serenate  musicali,  o 
melodiche  svenevolezze.  »  Meno  odi  alcaiche  e 
meno  bozzetti  !  e  dateci  un  po'  più  di  studi  filo- 
sofici e  storici.  Su  mille  giovani  che  hanno  il  con- 
tagioso prurito  del  bozzetto  e  dei  versi,  ve  n'è 
appena  uno  che  studi  e  ami  la  storia.  Ed  è  pure 
in  lei  che  si  formano  i  pensatori  e  gli  eroi...  Verso 
i  quali,  sarebbe  desiderabile  che  il  popolo  e 
la  gioventù  d'Italia  ravvivasse  il  suo  culto.  Il 
senso  nobile,  disinteressato,  e  veramente  divino, 
della  ammira^zione  e  della  venerazione,  va  sce- 
mando fra  noi.  E  un  brutto  segno,  e  lo  deplo- 
rava amaramente  nei  suoi  ultimi  anni  Giuseppe 
Mazzini. 

Concludendo,  l'eroe,  re,  sacerdote,  legisla- 
tore, capitano,  filosofo  o  poeta,  che  ha  coscienza 
e  timore  della  invisibile  presenza  divina  ;  che 
guarda  con    occhio  di    riverente  contemplazione 


LE  "lkttuiì!':  su  (ìli   KItOI  "  18o 

t'juesDO  divino  Universo  ;  che  opera  secondo  le 
eterne  leggi  della  Verità  e  della  Natura,  facendo 
guerra  a  ogni  larva,  a  ogni  equivoco,  a  ogni 
formalismo,  a  ogni  menzogna  ;  che  sa  soffrire  e 
tacere,  lavorare  e  aspettare  ;  questi  è  il  vero 
leader  delle  Nazioni.  Guai  al  popolo  che  lo  disco- 
nosce, lo  rinnega,  o  lo  dimentica  !  Non  volendo 
ammirare  e  seguire  una  divina  realtà^  sarà  raggi- 
rato per  ciechi  laberinti,  e  sbattuto  da  incessanti 
tempeste,  come  i  dannati  del  cerchio  «  ov'è  Dido  », 
dietro  a  uomini-fantasmi^  dietro  a  fosforescenti  e 
vane  apparenze  :  «  tratterà  l'ombre  come  cosa 
salda  »  e  vivrà  per  secoli  nel  crepuscolo  e  nel- 
l'equivoco. Insigni  esempi  non  mancano....  Ma  non 
basta  ammirare  gli  Eroi:  bisogna  anche  imitarli. 
La  vera  Libertà  consiste  in  una  razionale  Obbe- 
dienza. 

Quell'altra  malintesa  Libertà,  è  buona  per  la 
rettorica  di  un   meeting  in  qualche  arena  diurna 
—  o  per  fornire  una  rima  tronca  alle  poesie  pa- 
riottiche  di  qualche  Strenna. 

{Nuova  Anloh<jiu,  16  dicembre  1886.) 


184 


ROMA  E  GLI  SCRITTORI  INGLESI 


Credo  ohe  possa  essere  uno  studio  curioso  ed 
attraente  quello  delle  diverse  impressioni  che  i 
vari  e  molteplici  aspetti  di  Roma  hanno  fatto 
sull'animo  dei  più  insigni  poeti  e  romanzieri  In- 
glesi ed  Americani.  Non  si  spaventi  il  lettore. 
Non  terrò  nessun  conto  di  quegli  scrittori  stra- 
nieri, che  dacché  Roma  è  italiana  non  sanno  ve- 
dervi che  desolazione;  che  datano  l'origine  di 
Roma  da  Romolo,  e  la  sua  distruzione  dalla 
breccia  di  Porta  Pia...  Già  costoro  vengono  a 
Roma  con  opinioni  e  giudizi  confezionati  ;  e  im- 
parano dal  loro  Baedeker  ciò  che  bisogna  sapere, 
sentire,  e  ammirare  nella  eterna  città.  —  Non 
che  abbian  sempre  torto,  badiamo  :  pur  troppo  dei 
vandalismi  furon  commessi:  e  basti  rammentarne 
uno  recente  ;  l'atroce  e  imperdonabile  scempio  di 
Villa  Ludovisi. 

Ma  per  quei  cari  estetici  visitatori  tutto  è 
malcj    orrore,    profanazione,    in    Roma    capitale 


ROMA    E    GLI    semi  TORI    INGLESI  185 

d' Italia.  Per  costoro  l' Itiilia  dovrebbe  essere 
sempre  un  Museo,  uieut'altro  che  un  Museo,  del 
quale  noi  Italiani  siamo  i  custodi  responsabili  e 
nulla  più.  Metterebbero  a  tutti  in  capo  un  largo 
cappello  abruzzese  —  ci  fascerebbero  i  piedi  coi 
lacci  e  coi  sandali  dei  ciociari,  per  farci  j)/?V  Ita- 
liani^ cioè  più  pittoreschi.  Un  contadino  che  bal- 
lasse la  Tarantella  con  una  Trasteverina  sopra 
una  Gondola  alla  musica  di  un  Piiferaro  —  questo 
sarebbe  il  loro  Ideale  italiano...  «  Possibile  ?  — 
essi  esclamano  tra  stupefatti  e  furiosi —  questi 
rinnegati  Italiani  non  hanno  più  ne  colore,  ne 
costume  locale  —  non  più  serenate,  né  musici,  né 
banditi,  né  processioni,  né  barberi!  Oh  spavento! 
la  città  eterna,  Valma  metter,  ha  ora  un  servizio 
di  tramwuys  tra  Porta  del  Popolo  e  Ponte  Molle  ; 
e  nutre  a  petrolio  le  sue  faci  notturne...  Ha 
forse  delle  velleità  Americane  la  nostra  vec- 
chia locanda  ?»  —  Così  é,  amici  pellegrini.  Che 
ci  volete  fare  ?  Tout  lasse,  toni  casse,  tout  passe  ; 
anche  le  Italie  della  Corinna,  ài  Madama  Radcliffe. 
e  di  Lamartine.  Ma  consolatevi  :  vi  restano  in- 
tatte nei  keepsakes  e  sui  paraventi. 

Eppure  anche  Roma  capitale  d' Italia  ha 
avuto  fra  i  romanzieri  Inglesi  ed  Americani  chi 
r  ha  studiata  e  dipinta  senza  preconcetti  e  senza 
ire  di  parte.  Non  sfuggì  all'acuto  ingegno  di  En- 
rico James  che  la  nostra  vita  odierna,  leggera  e 
cosmopolita,  appare  in  Roma  come  un  gruppo  di 
profili  irrequieti  sopra  un  fondo  scuro  e  solenne 
di  marmorea  solidità.  L'assenza  di   ricordi   clas- 


180  liO.MA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI 

sici  e  di  critica  artistica,  è  forse  più  un  pregio 
che  un  difetto  nei  nuovi  romanzi  di  vita  romana. 
Quelli  scritti  prima  del  Settanta,  sono  troppo 
gremiti  di  Sìstine^  di  Campagne^  di  Beatrici  Cenci 
e  di  Cecilie  Metelle.  Le  pagine  alla  Taine  o  alla 
E-uskin  sono  come  una  desolante  crittogama  che 
affoga  il  racconto.  Il  romanzo  romano  moderno 
ci  dipinge  la  vita  contemporanea,  la  Eoma  di 
Montecitorio,  del  Costauzi,  e  di  via  Nazionale; 
una  vita  di  lotte  politiche,  di  burocrazia  e  di 
corruzione,  di  eleganza  e  di  noia,  di  dilettanti  e 
di  giornalisti,  di  intriganti  e  di  cocottes  —  una  al- 
luvione da  ogni  provincia  d' Italia,  falange  mista 
e  diversa  ove  fermentano  i  più  svariati  elementi, 
e  che  pure  assume  in  Eoma  un  certo  carattere 
nuovo,  quasi  omogeneo  —  tanto  Eoma  si  im- 
pone con  la  sua  storia,  coi  suoi  edifizi,  col  suo 
clima,  ed  esercita  su  tutti  una  irresistibile  in- 
fluenza. Le  tante  Eome  che  sono  in  Eoma,  cor- 
rispondono e  armonizzano  con  tutti  i  sentimenti 
dell'anima  umana  ;  dalla  rosea  serenità,  alla  tetra 
malinconia,  alla  tristezza  invincibile.  Eoma  e 
Venezia  sono  variabili  all'  infinito,  come  il  viso 
di  una  bellissima  donna  nervosa.  Il  tempo  e  la 
simpatia  ci  rivelano  gli  aspetti  sempre  nuovi  di 
una  stessa  bellezza.  Eoma  varia  con  le  stagioni, 
quasi  varia  con  le  ore  ;  è  sempre  attraente,  benché 
sempre  triste  —  ed  ha  talora,  benché  raramente, 
una  fresca  grazia  primaverile:  è  una  città  che  si  fa 
amare  come  una  persona ,  che  si  può,  forse,  an- 
che odiare,  ma  che  non  lascia  mai    indifferenti. 


ROMA    E    (JLI    SCIilTTUUl    INGLESI  187 

Roma  è  ]a  città  unica,  urbs  et  orhis^  che  sim- 
boleggia e  comprende  le  cose  più  disparate.  Vi 
sono  in  E-oma  cinque  o  sei  Rome,  che  hanno  il 
loro  carattere  particolare  e  i  loro  speciali  ammi- 
ratori e  visitatori.  Winckelmann  e  Overbeck, 
Goethe  e  Chateaubriand,  Shelley  e  Lamartine, 
Byron  e  Veuillot,  1'  hanno  adorata  con  eguale  en- 
tusiasmo. Dall'Apollo  di  Belvedere,  ai  graffiti  e 
ai  mosaici  Bizantini  ;  dal  semplice  altare  scavato 
nel  tufo  delle  Catacombe,  alle  magnificenze  li- 
turgiche di  San  Pietro  ;  dal  palazzo  dei  Cesari, 
dal  Colosseo  e  dalle  Terme,  alle  Chiese  dei  Ge- 
suiti e  ai  palazzi  e  alle  fontane  del  Bernini;  dalla 
desolata  e  pittoresca  solitudine  della  Campagna, 
ai  i^arterres  ricamati  e  agli  alberi  pettinati  delle 
Ville  principesche  ;  esistono  in  Roma  i  più  spic- 
cati contrasti.  E  la  città  dialettica  per  eccellenza. 
Essa  concilia  tutte  le  espressioni  della  storia  e 
della  vita,  nella  solenne  unità  della  sua  grandezza 
e  nella  infinita  malinconia  delle  sue  memorie. 

E  forse  appunto  per  questo,  che  Roma  ha 
acquietato  nella  sua  pace  solenne  i  disastri  dei 
popoli  e  le  tragedie  dei  re  ;  e  che  essa  è  il  più 
sicuro  asilo  alle  anime  devastate  dalla  passione. 
Borboni  e  Stuardi,  Sobiesky  e  Bonaparte,  tutti 
ha  accolti  e  pacificati  la  città  madre.  Chi  molto 
ha  pensato,  amato,  sofferto,  adora  Roma.  Essa 
è  la  consolati' ix  affi idorum  di  tutti  i  tempi;  è  l'asilo 
e  il  conforto  supremo  di  ogni  decaduta  grandezza 
e  di  ogni  speranza  delusa. 

Chi  ha  più  intensamente  sentito  e  meglio  ri- 


188  *HO>JA    E    GLI    SCKlTTOril    INGLESI 

prodotto  nelle  sue  opere  lo  spirito  di  Roma  pa- 
gana, è  senza  dubbio  Volfango  Goethe.  Leggete 
in  prova  le  3 f emorie,  le  Elegie,  la  Ifigenia.  Se  vo- 
lete sapere  fino  a  che  punto  egli  s'era  immedesi- 
mato in  Roma,  come  il  suo  grande  intelletto  n'era 
stato  compenetrato  e  trasformato,  rileggete  nelle 
sue  Memorie  (Viaggio  in  Italia)  le  pagine  in  cui 
ci  descrive  la  sua  ultima  notte  in  Roma,  la  pas- 
seggiata notturna  a  lume  di  luna  tra  le  mine  del 
Foro  e  del  Colosseo,  e  il  suo  ultimo  addio  alla 
eterna  città. 

Ma  chi  più  di  Goethe  stesso  ha  sentito  ed 
espressa  la  tragica  poesia  delle  rovine  romane,  è 
senza  dubbio  Giorgio  Bj^rou. 

Byron  visitò  Roma  nel  maggio  del  1817. 
Scriveva  al  Murray  «  Sono  innamorato  di  Roma. 
Mi  ha  fatto  più  impressione  della  stessa  Grecia. 
Come  insieme,  antica  e  moderna,  sujoera  la  Grecia, 
Costantinopoli  e  tutto  quello  che  ho  visto  nei  miei 
viaggi.  Non  posso  descrivervi  nulla  per  ora:  le  mie 
impressioni  son  forti  e  confuse...  poi  la  mia  memo- 
ria riordinerà,  sceglierà,  e  ve  ne  dirò  qualche  cosa.  » 
E  lo  disse,  non  al  Murray,  ma  all'  attonito 
mondO;  in  quel  sublime  quarto  canto  del  Childe- 
Harold  —  che  è  contemplazione^  elegia,  inno  e 
tragedia  ad  un  tempo.  Il  canto  è  all'altezza  del- 
l'argomento. Mai  Roma  fu  cantata  cosi  romana- 
mente :  mai  più  sublimemente  salutata. 

«  0  Roma,  o  mia  patria,  o  città  dell'anima  ! 
Gli  orfani  del  cuore  debbono  rivolgersi  a  te, 
madre  solitaria  di  estinti  imperi  ;  e  chiudere  nei 


ROMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI  189 

loro  petti  i  loro  meschini  dolori.  Che  cosa  sono 
le  nostre  angosce  ?  Venite  a  vedere  il  cipresso,  a 
udire  il  gafo,  a  farvi  a  stento  una  via  fra  questi 
avanzi  di  troni  sj^ezzati,  e  di  templi.  Voi,  le  cui 
agonie  son  dolori  di  un  giorno  —  un  mondo  è 
qui  ai  nostri  piedi,  fragile  come  la  nostra  creta... 
La  Niobe  delle  nazioni!  eccola  qui  nel  suo  muto 
dolore,  senza  figli  e  senza  corona:  una  vuota  urna 
è  nelle  sue  scarne  mani,  la  cui  cenere  sacra  fu  di- 
spersa da  secoli...  I  Goti,  i  Cristiani,  il  Tempo, 
la  Gruerra,  le  alluvioni,  gli  incendi,  son  passati 
su  lei...  L'Oceano  ha  una  carta,  le  stelle  una 
mappa  ;  ma  Roma  è  come  il  Deserto.  —  Caos  di 
mine  !  Chi  leggerà  in  queste  ammucchiate  reli- 
quie, chi  getterà  una  pallida  luce  lunare  su 
questi  sparsi  frammenti  ?  chi  potrà  dire  :  «  qui 
fu,  qui  è,  »  dove  tutto  è  impenetrabile  notte  ?  » 

Le  stanze  sulle  grandi  rovine  hanno  un  ca- 
rattere tragico,  e  un  incrociarsi  di  immagini  su- 
perbe e  grandiose,  come  i  titanici  avanzi  che 
esse  cantano.  Il  Colosseo  così  possentemente  e 
graficamente  descritto  nel  magnifico  monologo 
del  Manfredo  —  atto  III  —  Scena  IV  —  nel 
C/uYcZe-^aro^f/ è  ripopolato  dalla  fantasia  del  poeta, 
e  tutti  abbiamo  assistito  piangendo  e  fremendo 
all'agonia  del  Gladiatore. 

Ma  accanto  alle  note  epiche  e  tragiche  vi 
sono  in  questa  stupenda  e  veramente  unica  sin- 
fonia romana  altre  parti  più  miti,  ora  dolcemente 
malinconiche,  ora  ineffabilmente  patetiche,  ora 
pittorescamente    rurali.    Chi    non    rammenta    le 


190  ROMA   E   GLI   SCRITTORI    INGLESI 

stanze  sul  Clitunno,  sulla  Ninfa  Egeria,  sulla 
tomba  di  Cecilia  Metella  ?  E  infine  il  poeta  fa  di 
questo  immenso  teatro  la  scena  della  propria 
vendetta.  Con  rapida  e  lirica  associazione  di  idee, 
chiama  un  tratto  a  raccolta  i  suoi  dolori,  e  i  di- 
singanni, e  le  ire  —  e  grida  la  formidabile  apo- 
strofe a  Nemesi. 

Lo  Shelley  fu  a  Roma  nel  1819.  Le  sue  prime 
impressioni  son  de*scritte  in  una  lunga  bellissima 
lettera  a  T.  L.  Peacock  in  data  del  23  marzo  1819. 
In  essa  chiamaRoma  «  l'eterna  capitale  del  mondo.» 
Descrive  alcune  delle  scene  più  ammirabili,  parti- 
colarmente la  Campagna  al  tramonto,  il  Colosseo, 
le  Terme  di  Caracalla,  il  Campidoglio,  Monte  Ca- 
vallo. Il  Cimitero  Inglese  gli  ispira  una  pagina 
tutta  poesia,  musicale  come  una  lirica.  Si  direbbe 
che  un  funebre  e  profetico  presentimento  gliela 
ha  dettata.  A  tutte  le  famose  rovine,  compreso  lo 
stesso  Colosseo,  Shelley  preferisce  quelle  delle 
Terme  di  Caracalla  —  e  le  descrive  con  una  po- 
tenza non  mai  raggiunta  dai  successivi  descrit- 
tori di  quella  stupenda  ruina.  Le  due  pagine  di 
Shelley  in  prosa,  e  1'  ode  barbara  del  Carducci, 
sono  le  due  più  stupende  riproduzioni  di  quello 
spettacolo  unico  al  mondo.  Il  Ruskin,  il  Taine, 
rHawthorne,  ce  ne  hanno  dato  ammirabili  pit- 
ture; ma  le  due  più  possenti  e  adeguate  al  sog- 
getto son  quelle  del  Carducci  e  di  Shelley. 

Roma  parve  allo  Shelle^^,  e  ce  lo  dice  egli 
stesso  in  Adonais  «  un  paradiso  e  una  tomba,  una 
città  ed  un  deserto.  »  Fra  le  tante  lettere  che  egli 


Roma  e  gli  scniiToni  inglesi  191 

scrisse  da  Roma  su  Roma,  sono  notevoli  quella 
sul  Vaticano,  quella  su  Michel  angiolo  e  Raffaello, 
quella  sul  Foro.  «  Il  Foro  Romano,  egli  scrive,  è 
una  specie  di  deserto,  pieno  di  mucchi  di  pietre 
e  di  fossi  :  e  benché  vicinissimo  alle  abitazioni 
dell'uomo  è  il  più  desolato  luogo  del  mondo.  Ro- 
vine di  templi  lo  empiono  e  lo  circondano.  I  tem- 
pli di  Giove,  della  Concordia,  della  Pace,  del  Sole, 
di  Vesta,  son  tutti  a  breve  distanza....  Roma  è  la 
città  della  morte  —  o  piuttosto  la  città  di  quelli 
che  non  posson  morire,  e  che  sopravvivono  alle 
miserabili  generazioni,  le  quali  occupano,  pas- 
sando,il  posto  che  essi  consacrarono  eternamente.» 
E  lo  stesso  sentimento  che  provarono  Bja'on  e 
Chateaubriand,  Lamennais  e  Lamartine,  Platen  e 
il  Leopardi. 

I  rudi  enormi  palazzi  medioevali  di  Roma,  e 
il  tragico  eschiliano  paesaggio  che  la  circonda, 
non  ebber  poca  parte  nella  creazione  Shelleiana 
dei  Cenci.  E  fra  le  pittoresche  rovine  delle  Terme 
di  Caracalla  fu  scritto  il  Prometeo  disciolto j  come 
ci  avverte  il  poeta  medesimo  :  «  Questo  poema 
drammatico  fu  da  me  scritto  in  gran  j^arte  sulle 
montuose  rovine  dei  Bagni  di  Caracalla,  tra  i 
grandi  cespi  fioriti,  e  i  gruppi  di  odorose  piante 
selvatiche  che  crescono  su  quelle  immense  piatta- 
forme, su  i  colossali  archi  sospesi  in  aria.  Lo  splen- 
dido cielo  azzurro  di  Roma,  e  1'  effetto  del  vigo- 
roso risveglio  della  primavera  in  quel  clima  di- 
vino, la  vita  nuova  con  cui  essa  impregna  i  nostri 
spiriti  fino    ad    inebriarcene,  furon  le  principali 


i92  ROMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI 

ispirazioni  di  questo  mio  dramma.  »  —  E  infatti 
nessuno  spettacolo  è  al  mondo  più  originale,  più 
stupendo,  più  unico  di  questa  immensa  mina.  Essa 
ha  tutta  la  poesia  dell'inatteso,  dell'arcano,  del- 
l' indefinito....  Archi  rotti  e  sospesi  come  per  pro- 
digio nell'  aria;  colonne  spezzate;  pavimenti  sfon- 
dati; mattoni  e  mosaici,  marmo  e  granito;  grandi 
fiori  selvaggi  e  lunghe  erbe  ondeggianti;  il  volo 
e  il  grido  dei  falchi  rompenti  a  intervalli  il  so- 
lenne pauroso  silenzio;  e  la  grande  malinconia 
del  passato  e  dell'  infinito.  Ecco  un  insieme  unico 
al  mondo!  E  perciò  questa  stupenda  mina  ha 
ispirato  tanti  fra  i  più  insigni  poeti  moderni. 
Peccato  che  Victor  Hugo  non  sia  mai  stato  a 
E/oma!  Il  Colosseo  e  le  Terme  di  Caracalla  eran 
degno  tema  pel  suo  titanico  genio. 

Diffìcile  a  credersi,  ma  pur  troppo  vero,  e 
dettoci  da  lui  medesimo,  è  che  a  Shelley  fecero 
poca  0  non  buona  impressione  i  colossi  dipinti  o 
scolpiti  da  Michelangiolo.  Egli  negava  «  il  senso 
della  bellezza  »  al  pittore  di  Eva  e  della  giovine 
Sibilla^  allo  scultore  della  Pietà  e  della  Notte.  Pare 
incredibile  !  Quei  miracoli  della  Sistina  che  ispi- 
rarono il  genio  del  giovine  Milton,  lasciaron  freddo 
lo  Shelley.  Egli  pregiò  e  sentì  degnamente  Raf- 
faello e  Leonardo.  Chi  non  ricorda  i  divini  versi 
sulla  Medusa?  Ma  pur  troppo  egli  ammira  con 
quasi  eguale  entusiasmo,  ed  esalta  con  iperboli- 
che lodi  i  Caracci  e  Salvator  Rosa....  e  va  in 
estasi  dinanzi  al  viso  slavato  e  al  bianco  turbante 
della  Beatrice  Cenci  di  Guido. 


ROMA    E    GLI    SCRITTOni    INGLESI  1 0.^j 

A  Shelley  piacquero  molto  le  donne  romane. 
«  Mi  piaccion  tanto,  scriveva  al  Peacock,  perchè 
nella  loro  assoluta  mancanza  di  coltura,  e  nella 
loro  innocente  naiveté,  mi  sembrano  delle  ingenue 
bambine  o  delle  amabili  selvagge.  »  È  un  curioso 
motivo  di  simpatia.... 

Il  San  Pietro  cantato  con  sì  solenni  note  da 
Byron,  non  piacque  allo  Shelley.  Ne  scrive  così: 
«  San  Pietro  è  in  perfetta  antitesi  e  col  buon  gu- 
sto antico  e  con  la  severa  idea  Cristiana.  Più  lo 
vedo,  più  lo  trovo  inferiore  alla  sua  fama.  La 
piazza  è  stupenda.  Non  v'  è  1'  eguale  in  tutta  Eu- 
ropa. ^>  E  certo,  dal  suo  punto  di  vista,  lo  Shelley 
ha  ragione  :  come  hanno  ragione  il  Ruskin  e  il 
Taine  ai  quali  l' interno  di  San  Pietro  appare 
come  una  enorme  combinazione  di  effetti  barocchi: 
grandiosa  ma  teatrale,  potente  ma  enfatica.  Una 
grande  opera  architettonica  dev'  essere  come  una 
parola  sincera,  come  un  grido  che  esprima  imme- 
diatamente un  sentimento.  E  vero:  ed  è  anche 
innegabile  che  il  carattere  del  Cristianesimo  è 
meglio  espresso  dai  chiaroscuri,  dalle  tenebre  mi- 
stiche, dai  vetri  colorati,  e  dalle  selve  di  colonne 
e  di  guglie  di  una  cattedrale  gotica:  che  senza 
uscire  d'Italia,  come  opere  d'arte  una  e  perfetta, 
Santa  Maria  del  Fiore,  San  Marco,  il  Duomo  di 
Pisa,  il  Duomo  di  Milano,  son  superiori  al  San 
Pietro.  Ma  guardiamo  San  Pietro  da  altro  punto 
di  vista.  Non  vi  cerchiamo  ne  i  terrori  ne  le  te- 
nerezze mistiche  della  Chiesa  soffrente  e  militan- 

ISE^"C10^'I.  —  Saggi  critici  di  leti,  inglese.  13 


194  noMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI 

te;  ma  lo  splendore  della  Chiesa  trionfante  e  cat- 
tolica. Allora  esso  ci  apparirà  come  a  Byron.  come 
a  Chateaubriand,  come  a  Hawthorne,  la  vera 
Cattedrale  del  mondo;  e  in  certi  momenti  di  rito 
solenne,  ci  parrà,  come  a  Browning,  sovrumana- 
mente sublime.  Ascoltiamo  il  poeta  di  Christmas- 
Ève  and  Easter-Day: 

«  Che  cosa  è  questa  mole  che  si  eleva  su  co- 
lonne di  prodigiosa  larghezza?  E  realmente  sulla 
terra  questo  stupendo  Duomo  di  Dio?  Il  metro 
misuratore  dell'  angiolo  che,  gemma  per  gemma, 
numerò  i  cubiti  della  Nuova  Gerusalemme,  lo  ha 
forse  misurato,  e  i  figliuoli  degli  uomini  hanno  ese- 
guito ciò  ch'egli  delineò? — disponendo  cosi  in 
giro  i  fusti  del  colonnato  che  apre  le  grandi  brac- 
cia come  invitando  l'umanità  a  cercare  un  rifu- 
gio in  qaesto  tempio?...  A  quest'ora,  io  vedo  la 
intera  Basilica  piena  e  vivente  come  un  popoloso 
alveare.  Uomini  ai  balaustri,  nel  centro,  nelle  na- 
vate; uomini  sugli  architravi  delle  colonne,  sulle 
statue,  sulle  tombe  che  chiudono  papi  e  re  nel 
loro  grembo  di  porfido  —  tutti  ansiosamente 
aspettando  il  momento  della  consumazione  dal- 
l'aitar  maggiore:  perchè,  vedete,  il  gran  mo- 
mento è  vicino  in  cui  al  miglior  frutto  della 
terra  si  mescola  il  cielo  ;  i  grandi  ceri  palpita- 
no, le  giranti  spire  di  bronzo  sollevano  più  su- 
perbo il  baldacchino;  i  respiri  dell'incenso  finora 
compressi,  esalano  in  nuvole;  l'organo  muggendo 
e  trascinandosi  in  bassi  suoni,  trattiene  la  voce 
possente  dei  bassi,  come  se  il  dito  di  Dio  lo  ac- 


ROMA    E    GLI    SCniTTOni    INGLESI  195 

chetasse,  sfiorandolo;  ed  ecco,  al  suono  argentino 
del  campanello,  il  pavimento  è  improvvisamente 
coperto  dalle  facce  adoranti  della  moltitudine  pro- 
sternata. » 

Forse  nessuno  lia  espresso  meglio  di  Haw- 
tliorne  il  carattere  cattolico  di  San  Pietro.  Leggete 
in  TraìisforrnatioH  l'ammirabile  capitolo  intitolato 
La  Cattedrale  del  Mondo.  E  non  credo  d'esagerare 
aggiungendo  che  in  nessun  libro  meglio  che  in 
questo  romanzo  di  Hawthorne  sono  efficacemente 
riprodotti  i  varii  aspetti  di  Roma,  nella  sua  sem- 
pre solenne  eppur  sempre  mutabile  fìsonomia.  Chi 
poi  vuol  conoscere  bene  la  Roma  degli  ultimi 
anni  di  governo  papale  (non  parlo  però  in  senso 
politico,  intendiamo  bene),  legga  il  libro  di  Haw- 
thorne: la  Roma  dal  '50  al  '60,  durante  l'occupa- 
zione francese,  rivive  in  quelle  artistiche  pagine: 
e  vi  rivive  tutta.  Stupendi  i  capitoli  sul  Museo 
Capitolino  (il  Fauno)  —  le  Catacombe —  Villa  Medici 
—  Il  cimitero  dei  Cappuccini  —  la  Campagna  — 
Gita,  a  lume  di  luna. 

Come  pittura  vivace  ed  artistica  degli  usi  e 
costumi  romani,  o  meglio  romaneschi,  che  ogni  dì 
più  vanno  dileguandosi  dinanzi  all'invadente  co- 
smopolitismo, raccomando  il  libro  dello  scultore 
Story,  Roba  di  Roma.  E  un  libro  alla  Stendhal, 
più  lo  stile  di  un  vero  artista.  La  parziale  muta- 
zione di  Roma  divenuta  capitale  d'Italia  ha  sce- 
mato importanza  ad  alcune  parti  dell'  opera  :  o 
per  meglio  dire,  ha  ridotto  a  documenti  del  pas- 
sato pagine  che  erano  riproduzioni  del  presente. 


196  ROMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI 

Ma  quelle  sui  cafìè,  sulle  inarionettej  sui  giuochi, 
sui  teatri,  sul  Ghetto,  e  sul  Trastevere;  la  Caccia 
alla  vol^JCj  Pasquino,  le  Fontane,  si  leggeranno  sem- 
pre con  vivo  interesse.  È  in  questo  libro  del  si- 
gnor Story  che  si  trovano  le  bellissime  e  giustis- 
sime pagine  su  la  Rachel,  la  Ristori,  e  Tommaso 
Salvini  (neir  Otello  e  nel  Saul). 

Vi  è  in  Roma  focolare  e  alimento  per  tutte 
le  gradazioni  e  i  caratteri  della  devozione  cri- 
stiana: dalla  primitiva  e  severa  fede  degli  apo- 
stoli e  dei  martiri,  dall'ascetismo  ardente  e  vi- 
sionario del  medio-evo,  alle  regolate  e  disciplinate 
devozioni  degli  Exercitia,  e  alle  tenerezze  misti- 
che della  Filotea.  Lia.  fede  di  Chateaubriand  e 
quella  del  ciociaro  vi  sono  egualmente  appagate  : 
a  breve  distanza,  possono  qui  inginocchiarsi  il 
puritano  e  il  gesuita:  chiunque  s'inchina  alla 
Croce,  ha  in  Roma  una  patria.  Aggiungete,  che 
il  rituale  cattolico  qui  dispiegato  in  tutta  la  sua 
immensa  varietà  e  in  tutta  la  sua  pittoresca  ma- 
gnificenza, tocca  il  cuore  del  credente,  e  colpisce 
1'  occhio  dell'  artista.  Dalla  messa  cantata  nella 
Sistina,  alla  tragica  tumulazione  di  un  cappuc- 
cino, che  galleria  di  quadri  viventi  offre  la  Roma 
cattolica!  Lo  stesso  Goethe  non  sfaggi  a  queste 
impressioni  —  sentì  la  poesia  del  rito  cattolico,  e 
gli  fu  motivo  a  molte  delle  più  belle  scene  del 
Fausto.  Le  campane  di  Pasqua;  il  tabernacolo 
dell'Addolorata;  1'  organo  e  il  dies  irae  nella  scena 
della  Cattedrale;  gli  anacoreti,  le  penitenti,  gli 
angioli  e  la  Mater  gloriosa   nelle   stupende    scene 


nOMA    E    GLI    SCfllTTORI    INGLESI  197 

mistiche  clie  concludono  il  poema,  son  tutti  motivi 
cattolico-romani:  la  scena  sublime  della  Catte- 
drale fu  scritta  da  Goethe  proprio  in.  Roma,  e 
precisamente  in  villa  Borghese,  dopo  aver  sen- 
tito della  musica  sacra  in  San  Pietro. 

Fra  gli  scrittori  non  credenti  che  pure  inte- 
sero e  tradussero  in  splendide  pagine  la  poesia  di 
Roma  cattolica,  van  ricordati,  oltre  il  sommo 
Goethe,  la  Sand,  Stendhal,  Renan,  Taine,  Caste- 
lar.  Ma  nei  libri  e  nelle  tele  dei  veri  credenti,  la 
fede  dà  alla  parola  e  al  colore  un  accento  ricono- 
scibile e  più  penetrante:  e  forse  Roma  cattolica 
non  fu  mai  cosi  efficacemente  interpetrata  come 
nelle  belle  e  veramente  angeliche  lettere  di  Ales- 
sandrina De  la  Ferronnaye.  (vedi  Récit  cfune 
Soeur). 

Una  vivente  espressione  della  Roma  divota^ 
io  r  ebbi,  venti  anni  fa,  in  una  visita  che  feci  allo 
studio  del  pittore  Overbeck.  Disegnava  quel  giorno 
un  cartone  di  soggetto  evangelico  —  la  vocazione 
di  San  Matteo.  Non  scorderò  mai  quella  figura 
tedesca,  severa  ed  ascetica;  in  perfetta  armonia 
con  le  linee  un  po'  dure,  ma  caste  e  spirituali  dei 
suoi  disegni.  Mi  parve  un  Santo  di  Alberto  Du- 
rerò, o  della  vecchia  scuola  senese.  Egli  ci  illu- 
strò il  suo  cartone  in  tono  quasi  compunto,  ma 
nobile  nell'  accento  e  nei  gesto.  Aveva  un  lungo 
soprabito  nero,  i  capelli  lunghi  raccolti  dietro  le 
orecchie  sotto  una  papalina  di  velluto.  I  suoi  oc- 
chi verdi-grigi  mi  rammentaron  quelli  di  San  Luca 
di  Yelasquez.  Fu  gentile  con  tutti  i  numerosi  vi- 


108  ROMA    E    GLI    SCRlTTOni    INGLESI 

sitatori:  ma  in  special  modo  con  un  povero  cap- 
puccino che.  pareva  proprio  mortificato  di  tanto 
onore....  e  che  non  sapendo  come  corrispondervi 
in  miglior  modo,  offrì  al  pio  artista  una  presa  cU 
tabacco.  Overbeck  accettò,  e  gli  sorrise  con  un 
sorriso  fine  di  prete  e  d'  artista  —  degno  di  esser 
notato  da  Sterne. 

La  grave,  blasonica,  pontificale  Roma  del  Se- 
cento  rivive  immortale  in  alcuni  poemi  di  Brow- 
ning: soprattutto  nell'  Anello  e  il  Libro,  e  in  Cen- 
ciaia. E  questa  Roma  dal  barocco  grandioso  e 
triste,  è  quella  che  più  apparisce,  e  direi  quasi  s^im- 
'pone,  a  chi  per  la  prima  volta  visita  l' eterna 
città.  Né  la  democratica  vita  contemporanea,  né 
il  movimento  sociale  e  politico  della  capitale  d'Ita- 
lia, hanno  minimamente  alterato  quel  carattere 
di  una  grandissima  parte  di  Roma.  Noi  rivediamo 
anche  oggi  tal  quale  la  Roma  delle  vecchie  stam- 
pe, che  facevan  tanto  fantasticare  Goethe  fan- 
ciullo: anzi,  nelle  vecchie  incisioni  ritroviamo 
Roma  più  vera  e  rassomigliante  che  nelle  mo- 
derne fotografie.  Una  fotografia  è  cosa  troppo  bella, 
troppo  nuova,  troppo  lustra,  per  rappresentarci 
la  vecchia  solenne  Roma  blasonica.  Quelle  im- 
mense piazze  con  un  obelisco  o  una  fontana  nel 
mezzo,  traversate  da  carrozzoni  stemmati  a  quat- 
tro cavalli,  e  da  qualche  cavaliere  in  cappa,  spada 
e  parrucca  —  quelli  scaloni  popolati  di  mendi- 
canti —  quei  muraglioni  di  convento  da  cui  s'af- 
faccia la  punta  di  qualche  cipresso  nero  come  il 


ROMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI  199 

carbone  —  quei  palazzi  scuri  ed  enormi  come 
fortezze,  dai  cui  cancelli  di  ferro  ragginosi  s' in- 
travedono delie  rose,  e  si  ode  il  pacifico  murmure 
di  una  fontana  —  quei  mucclii  di  rovine  tra  cui 
sono  sdraiati  dei  bufali  —  quelle  architetture 
strane  e  barocche  ma  grandiose  ed  indimentica- 
bili; periodi  ciceroniani  scanditi  in  pietra  ed  in 
marmo  —  tutte  queste  romanità^  non  si  posson 
sentire  e  gustare  che  nelle  vecchie  stampe. 

Ma  se  la  vecchia  incisione  riproduce  efficace- 
mente il  guscio  dell'  animale  sparito  —  mi  si  per- 
doni r  espressione  —  e  lo  scheletro  fossile  di  una 
vita  che  è  durata  quasi  tre  secoli;  i  poemi  di 
Browning  hanno  rievocato  e  riprodotto  quell'ani- 
male e  quella  vita.  Aggiungasi  in  lode  di  questo 
incomparabile  poeta,  che  egli  è  anche  il  più  grande 
e  più  fedele  pittore  del  paesaggio  romano.  Solo  gli 
è  paragonabile  il  E-uskin  in  alcune  pagine  dei 
Modem  Painters^  di  Proserpina^  e  di  Praeferita. 

Lo  Story  nei  Graffiti  cV  Italia,  e  Hawthorne 
in  Trans/ or mation^  son  quelli  che  han  meglio  sen- 
tito il  carattere  particolare,  il  magnetico  charme 
delle  Ville  romane.  Essi  meglio  di  ogni  altro 
hanno  saputo  esprimerci  la  poesia  delle  elei  se- 
colari, delle  terrazze  di  marmo  ingiallito,  dei  se- 
dili muscosi  presso  le  vecchie  fontane;  la  pace 
dei  loro  autunnali  riposi,  il  silenzio  e  la  luce  d'oro 
dei  loro  tramonti. 

I  tramonti!  Avete  mai  notata  la  ineffabile 
poesia,  il  sublime  pittoresco  dei  tramonti  roma- 
ni? Né  Firenze,    né    Genova,    né    Napoli    stessa, 


200  ROMA   E   GLI    SCRITTOUI    INGLESI 

presentai!  mai  così  divino  spettacolo.  Solo  Vene- 
zia, qualche  volta,  può  reggere  al  paragone.  Bi- 
sogna veder  Roma  in  un  tramonto  di  settembre 
o  di  ottobre,  dalla  terrazza  del  Pincio.  Essa  è 
come  trasfigurata  in  una  apoteosi  di  luce.  La 
cupola  di  San  Pietro  giganteggia,  circonfusa 
d' una  raggiera  d' oro,  sulle  altre  moli  romane 
scintillanti  nel  passeggero  incendio  vespertino. 
In  lontananza,  i  monti  Albani,  il  Soratte,  si  tin- 
gono di  un  color  rancio  che  lentamente  sfuma 
nel  roseo  —  colore  indefinito,  diafano,  di  una 
mollezza,  di  una  tenerezza,  di  una  pace  ineffabile. 

Altre  volte,  specie  iu  autunno,  i  tramonti 
romani  sono  tragici,  apocalittici,  spaventosi  e 
sublimi.  La  città  pare  una  smisurata  Pompei 
sotto  la  cenere.  Blocchi  giganteschi  di  nuvole 
color  di  rame  si  affollano  a  oriente  —  a  occidente, 
è  una  immensa  tenda  di  fuoco  incandescente. 
Qua  e  là,  sparsi  pel  sinistro  cielo,  immani  forme 
di  mostri,  tizzoni  fumanti,  strisele  di  sangue,  ro- 
vine babiloniche,  confusi  avanzi  di  enormi  nau- 
fragi. 

Il  Swinburne  nei  Songs  hefore  Sitìirise  can- 
tando la  Eoma  rivoluzionaria  e  repubblicana, 
Mazzini  e  i  Cairoli,  Mentana  e  la  Mater  triumijìia- 
lisj  ha  dipinto  i  queti  o  tumultuosi  paesaggi  ro- 
mani, con  la  potenza  del  genio. 

Ciò  che  più  di  tutto  .apparisce  evidente, 
scorrendo  i  volumi  su  Roma  degli  scrittori  In- 
glesi—  e  non  solo  degli  Inglesi,  ma  d'ogni  altra 


ROMA    E    GLI    SCniTTOMI    INGLl'SI  ^01 

nazione  —  è  che  il  vedere  Roma  è  un  avveni- 
mento; lasciar  Roma  è  un  dolore,  una  nostalgia. 
Ma  intendiamo  bene;  per  provare  questo  senti- 
mento, bisogna  esser  rimasto  in  Roma  almeno 
per  un  anno.  Chi  vi  si  è  trattenuto  solo  per  pochi 
giorni  —  le  famose  dieci  o  venti  giornate  delle 
stupide  Guide  —  generalmente  parlando,  la  lascia 
Senza  rimpianto.  Ma  chi  vi  ha  din] orato  più  di  un 
anno,  ne  parte  a  malincuore,  e  la  ricorda  sempre 
con  desiderio. 

Quanti  amici  miei  che  maledicevano  i  gravi 
inconvenienti  di  Roma  come  città  moderna ,  e 
sospiravano  a  Torino,  a  Milano,  a  Firenze,  ab- 
bandonaron  Roma  allegramente,  si  accorsero  poi 
con  maraviglia  che  la  rimpiangevano,  e  sareb- 
bero stati  felici  di  ritornarvi!  Si:  nonostante  le 
strade  sudicie  e  la  micidiale  cucina;  i  ciociari  e 
gli  archeologhi,  le  modelle  e  i  giornalisti,  i  cice- 
roni e  i  pellegrini  ;  nonostante  il  purgatorio  dei 
suoi  ciottoli,  e  l'inferno  delle  sue  febbri;  Roma 
ci  resta  in  cuore  come  una  sacra  memoria,  e  ci 
ispira  un  irresistibile  sentimento  di  devozione 
filiale. 

Molte  sono  le  ragioni  di  questo  fascino  che 
esercita  Roma  ;  so^^ra  tutto,  la  saa  varietà.  Ripeto: 
vi  sono  in  Roma  sei  o  sette  diverse  Rome  :  la  cu- 
riosità è  eccitata  continuamente,  e  il  mutamento 
di  impressioni  rende  impossibile  la  sazietà.  La 
prima  impressione  che  fa  Venezia  è  suj^rema, 
indimenticabile.  Leggete  le  lettere  scritte  subito 
dopo  il  loro  arrivo  a  Venezia,  da  Byron,  da  Shel- 


202  ROMA    E    GLI    SCRITTORI    INGLESI 

ley,  da  Ruskiii,  da  Dickens,  da  George  Eliot  — 
per  non  citare  die  degli  Inglesi.  La  poesia  di 
Venezia  è  come  una  nota  deliziosa  ed  intensa, 
ma  unica.  Lo  stesso  si  può  dire  di  Firenze  e  di 
Genova.  Napoli  è  un  paradiso  —  ma  un  mono- 
tono paradiso.  Quando  avete  contemplato  quel 
panorama  divino  che  si  gode  da  Ghiaia  e  da  Po- 
silipo  —  quando  siete  saliti  al  Vesuvio  —  o  avete 
percorsa  la  via  di  Sorrento,  siete  come  inebriati 
e  saziati  di  luce  e  di  voluttà  !  Ma  Roma  !  Se  siete 
un  disilluso,  un  malato  che  cerca  la  solitudine  e 
la  meditazione  tranquilla,  Roma  vi  offre  più  luo- 
ghi d'  una  solitudine,  di  un  silenzio,  di  una  pace 
infinita,  come  là  presso  San  Giovanni  Laterano. 
Li  mezz'  ora,  potete  trovarvi  tra  il  movimento 
fragoroso  del  Corso  e  del  Pincio.  Dal  tumulto  di 
Montecitorio,  in  venti  minuti,  potete  rievocare  i 
cavalieri  in  parrucca  e  le  dame  in  guardinfante, 
tra  le  elei  e  i  bossoli  di  villa  Pamphili.  lì  tram 
della  nuova  ed  allegra  Via  Nazionale  vi  mette 
sulla  via  che  vi  condurrà  al  palazzo  dei  Cesari  e 
ai  titanici  avanzi  della  Roma  Imperiale. 

Uscite  dalle  mistiche  tenebre  delle  Cata- 
combe e  siete  sulla  Via  Appia.  Il  pavimento,  a 
grandi  pietre  scure,  è  di  Roma  repubblicana;  le 
tombe  schierate  lungo  la  via  riepilogano  la  ro- 
mana epopea.  Da  un  lato,  avete  le  grandi  linee 
della  desolata  Campagna,  dall'  altro  s' intravede 
il  mare.  Si  cammina  fra  due  immensità.  Abbiamo 
accanto  le  tombe  degli  Eroi;  sotto  i  piedi  le  ossa 
dei  Martiri.  La  Natura  e  la  Storia    riunite,    non 


ROMA    E    GLI    SCniTTOrn    INGLKSI  ^Oo 

hanno  combinato  in  nessuna  parte  della  terra 
una  si  prodigiosa  armonia.  Siete  un  artista?  Ec- 
covi il  Vaticano  colle  sue  migliaia  di  statue,  e  i 
miracoli  di  Raffaello  e  di  Miclielangiolo.  Eccovi 
i  convegni  di  artisti  contemporanei  a  Villa  Me- 
dici, all'Accademia  di  Spagna.  Uu  Winckelmann, 
un  Goethe,  vivono  in  Roma  felici  tra  i  Fori,  le 
Terme,  gli  Archi,  e  le  mille  statue  belle  di  greca 
bellezza.  Un  Overbeck  vi  è  beato,  pregando  nelle 
vecchie  chiese  primitive,  o  sul  marmo  delle  grandi 
Basiliche,  e  nella  penombra  delle  Catacombe.  Uno 
Chateaubriand  vi  adora  le  magnificenze  jeratlche 
e  liturgiche  di  San  Pietro,  di  Santa  Maria  Mag- 
giore, di  San  Paolo.  11  patrio tta  vi  segue  le 
tracce  delle  eroiche  disperate  difese  di  Garibal- 
di, e  s'inginocchia  nel  Pantheon  innanzi  alla 
tomba  del  Re.... 

E  per  ultimo,  se  volete  avere  un'  idea  esatta 
della  sterminata  varietà  di  Roma,  pensate  che 
1'  hanno  amata,  esaltata,  desiderata,  e  rimpianta 
con  eguale  buona  fede  e  con  eguale  entusiasmo, 
Goethe  e  Chateaubriand,  AVinckelmann  e  Ruskin, 
Shelley  e  Lamartine,  Stendhal  e  Veuillot,  Renan 
e  Silvio  Pellico,  Hawthorne  e  Andersen,  Browning 
e  Castelar,  Gregorovius  e  Alessandro  Dumas.... 
Mi  pare  una  lista  abbastanza  eloquente:  né  certo 
se  ne  potrebbe  fare  una  simile  per  altre  città 
d' Italia  e  d'  Europa. 

{Nuova  Antologia,  1  luglio  1888.) 


• 
204 


IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 


Da  un  pezzo  in  qua,  le  due  parole  più  spesso 
pronunziate  e  stampate  sono  Pace  e  Guerra.  Si 
direbbe  die  il  titolo  del  gran  romanzo  di  Tol- 
stoi  abbia  lasciato  milioni  d'echi  in  Europa.  La 
guerra  !  Posta  la  questione  nel  campo  storico  e 
pratico,  forse  hanno  ragione  Hobbes  e  De  Mai- 
stre,  Swift  e  Cattaneo,  Moltke  e  Carducci  (  «  spa- 
ventosa concordia  in  un  desio...  »  ).  Ma  in  fondo 
all'intima  sua  coscienza,  1'  Umanità  sente  che  la 
guerra  per  se  stessa  è  un  male,  nonostante  il 
bene  che  qualche  rara  volta  ha  ^^rodotto  —  un 
male  divenuto  forse  necessario,  perchè  logica  e 
immediata  conseguenza  di  altri  mali  —  ma  un 
male;  e  bello  e  santo  è  ogni  tentativo,  ogni 
sforzo  che  fanno  i  popoli  per  liberarsene. 

È  vero  però,  e  curioso  a  notarsi,  che  questo 


i  Wai.t  WiiitmaXj  Drinn  Taps.  — Id.  Uemocratic  Visfas, 
li).  Specimen  Dai/s  in  Americai 


II,  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA     505 

male,  come  tanti  altri  che  affliggono  la  ^^overa 
umanità,  ha  una  tremenda  attrazione  magnetica, 
stavo  per  dire  estetica,  per  l'immaginazione  po- 
polare. Senza  uscire  dal  nostro  secolo,  la  Guerra 
ha  dato  un  gran  contingente  alla  poesia,  al  ro- 
manzo, al  teatro,  alla  pittura,  alla  musica.  Basti 
ricordare  i  nomi  di  Byron,  W.  Scott,  Campbell, 
Korner,  Rlickert,  Berchet,  Mameli,  Stendhal, 
Hugo,  Tolstoi,  Whitman,  Bret  Harte,  Eckermann, 
De  Amicis,  Deroulède,  Zola,  Kipling,  Yernet,  De- 
taille,  Neuville,  Vereschagin,  AYagner,  Liszt... 
Ogni  guerra  al  nostro  secolo  si  è  portata  dietro 
una  fioritura  di  letteratura  e  pittura  che  la  rap- 
presenta —  e  in  generale  è  stata  un  fondo  facile  e 
utile  di  scenario  romantico,  di  effetto  sicuro.  Ma 
quelli  che  hanno  schiettamente  e  profondamente 
sentito  la  tragica  poesia  della  guerra,  son  pochi; 
Byron,  Tolstoi,  Detaille,  Whitman,  Vereschagin, 
sono  forse  i  più  grandi. 

La  guerra  civile  d'America  è  unica  nella 
storia  ;  e  per  V  importanza  sociale  di  un  sacro  di- 
ritto inumanamente  oppugnato  ed  eroicamente 
difeso,  e  per  l'immensa  vastità  e  varietà  del  teatro 
in  cui  quella  lotta  titanica  fu  combattuta.  La 
schiavitù  prosperante  in  una  sola  metà  della  Re- 
pubblica aveva  creato  due  mondi  ostili:  le  forme 
apparenti  di  governo  eran  le  stesse  ;  ma  i  costumi, 
gl'interessi,  gl'ideali  eran  diversi:  l'antagonismo 
fra  il  Nord  e  il  Sud  diventava  ogni  giorno  più 
palese,  più  minaccioso.  Il  quadro  drammatico  dei 
patimenti  di  milioni  di  creature    umane,  pittore- 


20G     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

scamente  e  pateticamente  descritto  nel  semplice 
ed  eloquente  libro  della  Beecher  Sfcowe,  commosse 
r  Europa  intera.  Ma  più  che  il  martirologio  dei 
Negri,  colpi  e  fermò  l'attenzione  di  ogni  pensa- 
tore d'  Europa  e  d'America  un  fatto  evidente  e 
costante,  cioè  che  anche  tra  i  proprietari  più 
umani,  in  regioni  dove  lo  schiavo  viveva  relativa- 
mente bene,  una  fatale  demoralizzazione  era  il 
giusto  gastigo  che  lo  schiavismo  infliggeva  a 
coloro  stessi  che  ne  traevano  profitto  e  potenza. 
Il  conte  di  Parigi,  nella  sua  classica  e  monumen- 
tale storia  della  Gran  Guerra,  nota  con  ragione 
che  «  la  istituzione  servile,  violando  la  legge  su- 
prema dell'umanità  che  riunisce  con  indissolubile 
vincolo  le  due  parole  lavoro  e  progresso,  e  fa- 
cendo anzi  del  lavoro  medesimo  un  mezzo  di  av- 
vilimento, non  degradava  soltanto  lo  schiavo,  ma 
portava  seco  necessariamente  la  depravazione  del 
proprietario;  perchè  il  dispotismo  di  una  razza 
intera  finisce  sempre,  come  il  dispotismo  di  un 
solo  uomo,  per  turbar  la  ragione  e  il  senso  mo- 
rale di  chi  lo  esercita.  » 

La  grande  lotta,  dall'attacco  del  forte  Sunter 
alla  presa  di  Richmond  e  alla  resa  del  generale 
Lee  con  tutto  il  suo  esercito,  durò  poco  più  di 
quattro  anni.  Nell'ultim'anno,  costò  tre  milioni  di 
dollari  al  giorno  ;  lasciò  gli  Stati  Uniti  con  un 
debito  di  due  bilioni  e  ottocento  milioni  di  dol- 
lari. Vi  morì  mezzo  milione  di  uomini:  il  numero 
dei  feriti  è  incalcolabile.  Ma  l'ingente  prezzo  non 
parrà  troppo  caro  se  si  pensi  ai  due   risultati  ot- 


IL    POETA    DELLA    GUEriRA    AMERICANA  207 

tenuti  — l'abolizione  della  schiavitù,  e  la  indivisi- 
bilità della  Repubblica. 

Il  primo  fra  i  molti  eroi  della  grande  epoca, 
Lincoln,  nel  discorso  inaugurale  fatto  presso  al 
finir  della  guerra,  pronunziava  queste  memorande 
parole  :  «  Dio  voglia  che  cessi  al  più  presto 
questa  grande  calamità  della  guerra  ;  ma  se  è 
sua  volontà  che  essa  seguiti  finche  non  siano 
esaurite  tutte  le  ricchezze  accumulate  per  dugento 
cìnquant'  anni  dal  lavoro  senza  compenso  degli 
schiavi,  e  finché  ogni  goccia  di  sangue  umano 
sparsa  dallo  staffile  non  sia  vendicata  col  sangue 
versato  dalla  spada .  seguiteremo  a  ogni  costo 
nella  terribile  lotta.  » 

Ecco  la  guerra  feconda,  utile  e  santa:  l'anti- 
tesi perfetta  delle  abominevoli  e  disastrose  guerre 
di  Luigi  XIV,  e  di  quelle  del  primo  Impero^ 
tanto  ingiuste,  tanto  sanguinose,  e  tanto  inutili 
a  Napoleone  e  alla  Francia. 

Nella  guerra  Americana  sono  enormi  le  pro- 
porzioni ;  ma  anche  il  resultato  è  immenso  ed 
incalcolabile.  Mai  si  combattè  su  più  sconfinato 
teatro.  Il  genio  militare  creò  nuovi  mezzi  di  di- 
struzione e  per  terra  e  per  mare.  Si  guerreggiò 
fra  le  nevi  della  montagna,  fra  le  paludi,  sui 
laghi,  sul  mare,  in  grotte  sotterranee  e  in  altezze 
vertiginose...  Ragazzi  di  quindici  anni  marcia- 
rono intrepidi  sotto  la  mitraglia,  accanto  ai  vete- 
rani del  Potomac.  Si  combattè  per  notti  intere 
fra  selve  incendiate,  o  sotto  pioggie  torrenziali  e 
gelate.  Si  patì  la  fame  (fome  a  Grerusalemme  o  a 


208     II.  POETA  DELLA  GUERnA  AMEFUCANA 

Saragozza  ;  e  le  febbri  miasmatiche  e  la  dissen- 
teria decimarono  interi  corpi  d'armata.  I  volon- 
tari della  Unione  furon  grandi  come  i  volontari 
francesi  del  Novantadue.  Nel  seguito  di  quelle 
battaglie  di  giganti,  più  volte  migliaia  di  gio- 
vani correvano  a  morte  sicura,  e  sapevano  di  sa- 
crificarsi. 

L'America  dovrebbe  alzare  un  monumento 
ai  suoi  eroi  igìioti.  Essi  spiegarono  il  più  grande 
di  tutti  i  coraggi  —  quello  di  morire  senza  Ja 
speranza  che  il  proprio  nome  sia  almeno  ricor- 
dato dalla  patria  per  cui  si  muore. 

Ma  Nord  e  Sud,  Unionisti  e  Separatisti,  van- 
tano nomi  illustri  fra  i  combattenti  della  gran 
lotta.  Ed  eccettuata  la  tragica  ed  unica  epoca 
della  Rivoluzione  Francese,  in  nessun  dramma 
della  Storia  si  può  rievocare  una  moltitudine  di 
nomi  cosi  insigne  e  diversa:  Lincoln,  Grant,  Mac 
Clellan,  Lee,  Ferragut,  Foster,  Sherman,  Sheri- 
dan,  Bragg,  Scott,  Smith,  Banks,  Hooker,  Ho- 
ward, Franklin,  Johnson,  Jackson,  Macpherson,  e 
tanti  altri... 

Il  poeta  della  gran  Guerra  Americana,  è 
Walt  Whitman. 

Se  il  genio  non  fosse,  com'  è,  una  straordi- 
naria e  meravigliosa  conciliazione  di  ragione  e  di 
immaginazione,  di  fantasia  e  di  euritmia,  in  uno 
stesso  intelletto  ;  se  bastasse  il  divus  afflatus^  la 
visione  infinita,  l'entusiasmo  umanitario,  "Walt 
AVhitman    potrebbe   collocarsi    accanto    ai  pochi 


IL    POETA    DKLT-.V    GUEnnV    AMERICANA  209 

2:>oeti  sovrani  E  nonostante  i  suoi  difetti,  non  so  chi 
potrebbe  contrastargli  in  America  il  primato  della 
poesia.  È  senza  alcun  dubbio  il  più  forte,  il  più 
originale,  il  più  caratteristicamente  ed  essenzial- 
mente Americano.  La  potenza  del  suo  ingegno  è 
cosi  magnetica  che  si  è  attirato  l'ammirazione  dei 
più  autorevoli  critici  inglesi,  del  Ruskin,  del 
Rossetti,  del  Symonds,  di  Vernon  Lee  ;  e  l' inno 
del  più  gran  lirico  contemporaneo,  il  Swinburne. 
Egli  lo  esalta  come  un  diretto  interpetre  delie 
grandi  voci  della  natura,  e  come  il  poeta  della 
democrazia  e  dell'umanità.  E  curioso  vedere  l'au- 
tore di  Atalanta,  il  più  squisito  cultore  delle  forme 
perfette,  inchinarsi  quasi  a  questo  colossale  e  rude 
Yankee.  Il  Rossetti  lo  paragona  a  un  gigante  che 
non  può  arrestarsi  alle  minuzie  descrittive,  ma 
ha  in  grado  supremo  la  facoltà  di  vedere  in 
grandi  masse  la  vita  umana,  e  di  comprendere 
nel  suo  colpo  d'occhio  i  più  vasti  e  svariati  pano- 
rami. «  E  nato  (dice)  a  scolpire  le  sfingi  grani- 
tiche, non  a  cesellare  l'oro  e  le  gemme.  » 

La  poesia  di  Whitman  è  come  una  produ- 
zione naturale,  una  emanazione  di  vitale  energia. 
Egli  odia  tutto  ciò  che  è  vecchio  e  convenzionale, 
nell'arte  e  nella  vita;  e  canta  i  funerali  della 
vecchia  poesia  feudale  con  cui  si  diverte  ancora 
la  vecchia  Europa. 

La  comprensione  più  larga  e  cosmopolita 
della  idea  democratica  è  quella  di  Whitman.  «  A 
quali  storici  eventi  andiamo  incontro  !  (egli  grida). 
Le  questioni   più  vitali  ed  ardenti  son  vicine  a 

Xexcioxi.  —  Sar/fji  critici  di  leti.  i>^lese  H 


210     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

risolversi  :  da  ogni  parte  soii  rotti  i  confini  e  le 
barriere  delle  vecchie  aristocrazie.  Il  piede  au- 
dace dell'uomo  è  sulla  terra  e  sui  mare  ;  ei  co- 
lonizza il  Pacifico  e  gli  Arcipelaghi  ;  col  vapore, 
col  telegrafo,  con  le  macchine,  col  giornale,  con- 
fonde ogni  divisione  geografica  e  allaccia  tutte 
le  nazioni.  Fra  poco,  tutto  il  nostro  globo  avrà 
un  cuore  solo.  » 

Whitman  dipinge  con  eguale  passione  le 
Ande  e  il  Missouri,  le  Esposizioni  e  i  commerci, 
l'uomo  di  Parigi  e  il  selvaggio  :  accetta  ed  ab- 
braccia tutte  le  espressioni  della  natura  e  della 
vita,  tutte  le  storie  e  tutte  le  razze.  «  Nessuno 
sarà  eccettuato,  (esclama  in  un  canto  che  ho  già 
tradotto)  nessuno!  Nemmeno  voi,  forme  umane  dal 
profondo,  triste,  indimenticabile  sguardo  di  bruto; 
neppur  voi,  negri  d'Australia,  che  strisciate  per 
terra  in  cerca  di  cibo  ;  ne  tu,  miserabile  abori- 
geno delle  colline  dell'Oregon  e  della  California. 
Verrà  il  vostro  giorno  —  verrete  avanti  anche 
voi.  Salute  al  mondo  !  » 

Walter,  (o  Walt,  com'egli  ha  sempre  scritto) 
nacque  presso  New  York  nel  maggio  del  1819. 
Suo  padre  era  ingegnere  navale,  di  severi  costumi; 
la  madre  olandese  d'origine.  AValt  cominciò  dopo 
gli  studi  scolastici  più  elementari,  una  vita  varia, 
agitata,  avventurosa.  Le  tristi  e  severe  lezioni 
della  vita  non  gli  mancarono,  fino  dalla  prima  sua 
gioventù  :  fu  stampatore,  maestro  di  scuola,  gior- 
nalista, viaggiatore,  poi  di  nuovo  tipografo,  poi 
ingegnere  navale  come    suo    padre.    La    prima  e 


Il  poeta  della  guerra  americana        211 

]a  più  importante  delle  opere  poetiche  di  Wliitman 
è  Leaves  of  Grass  [Foglie  cVerha)^  titolo  sotto  il 
quale  comprese  poi  tutte  le  sue  opere  poetiche 
successive.  Egli  fu  spinto  a  comporre  quel  libro 
da  un  sentimento  di  indignazione  e  di  rivolta 
contro  il  filisteismo  dei  poeti  americani  suoi  con- 
temporanei, da  tante  pallide  imitazioni  di  poesie 
inglesi  e  tedesche,  fatte  nella  terra  dei  più  grandi 
materiali  poetici  che  presenti  la  Natura.  Vi  è  un 
superbo  dispregio  di  ogni  tradizione  letteraria  : 
vi  è  una  esuberanza  che  trabocca,  nomenclature 
che  fanno  sorridere  ;  vi  son  pagine  da  illuminato^ 
e  pagine  di  materialista  —  ma  non  importa  — 
quel  libro  fu  una  voce  nuova,  fresca,  americana: 
vi  si  sente  circolare  il  vento  che  agita  le  liane, 
l'aura  delle  grandi  correnti  dell'Ohio  e  del  Mis- 
sissipi.  Emerson  esclamò  leggendolo  :  «  Alla  fine, 
ecco  un  uomo  !  y>  —  I  giovani  ne  furono  entusia- 
smati... 

Dopo  Leaves  of  Grass.  la  raccolta  poetica  più 
notevole  di  Whitman  è  quella  intitolata  Drum 
Tajps  (Colpi  di  tamburo)  e  della  quale  intendo  spe- 
cialmente occuparmi  in  questo  mio  studio.  I 
Drum  Tai^s  furono  ispirati  dalla  grande  Guerra 
di  Secessione.  Whitman,  ardente  Unionista,  andò 
al  Campo  come  corrispondente  del  New  York  Ti- 
mes^ e  prestò  le  sue  cure  ai  feriti  come  infermie- 
re. Ne  assistè  a  migliaia,  soldati  del  Nord  e  del 
Sud,  indistintamente.  Nei  Drum  Taps  ha  consa- 
crate e  eternate  le  sue  personali  impressioni  ;  i 
grandi  paesaggi  traversati,  le   fasi   e  le  vicende 


212     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

terribili  della  gran  guerra,  gli  arruolamenti,  le 
ambulanze,  le  terribili  marce,  i  disperati  com- 
battimenti. 

Come  infermiere  di  ambulanza,  Whitman  è 
leggendario  in  America.  John  Burroughs,  l'amico 
e  biografo  del  poeta,  scrive  in  proposito  queste 
parole:  «  Il  suo  magnetismo  era  incredibile,  ine- 
sauribile —  ed  il  vocabolo  magnetismo  non  è  in 
questo  caso  linguaggio  figurato,  ma  un  fatto  rea- 
le, intraducibile  con  la  parola.  L'  occhio  del  lan- 
guente si  ravvivava  al  suo  cospetto  —  le  sue  più 
comuni  parole  erano  un  tonico  riconfortante  ^>. 
Assisteva  infatti  nelle  operazioni  più  dolorose; 
trovava  la  parola  giusta  e  vera  in  ogni  occasione  ; 
ai  convalescenti  portava  fiori  di  campo  e  frutta, 
faceva  loro  qualche  lettura  consolante  e  fortifi- 
cante. E  finalmente,  nel  quarto  anno  di  questa 
vita  eroica  ed  evangelica,  si  ammalò  di  febbre 
miasmatica  ed  infettiva  —  della  quale  non  guari 
mai  interamente. 

Nel  volume  dei  Driim  Taps  rivive  la  guerra 
americana  in  tutte  le  sue  fasi,  e  vi  ritroviamo  tutte 
le  impressioni  personali  del  poeta.  Scelgo  e  tra- 
duco letteralmente  (quanto  è  possibile  farlo  senza 
alterare  l' indole  del  linguaggio  italiano,  e  diven- 
tar ridicoli  o  barbari  per  scrupolo  di  fedeltà),  le 
più  caratteristiche  fra  queste  poesie,  seguendo  un 
certo  ordine  di  soggetto  e  di  tempo.  Cominciamo 
dal  primo  risveglio  guerriero  di  Nuova  York: 

«  0  superba,  o  mia  incomparabile,  o  fortis- 


IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA     ^13 

sima  neir  ora  del  pericolo  e  della  crisi,  o  più 
salda  e  più  schietta  dell'  acciaio  !  Come  ti  slanci, 
come  butti  via  con  mano  indiiFerente  gli  abiti 
della  pace  ! 

«  Ecco  oggi  a  un  tratto  Manhattà  (Nuova 
York)  insonne  fra  le  sue  navi,  fra  le  sue  incalco- 
labili ricchezze,  con  milioni  di  figliuoli  attorno, 
riuniti  nel  momento,  nel  cuor  della  notte,  alle 
prime  notizie  del  Sud — s'infiamma  e  pesta  indi- 
gnata il  terreno. 

«  La  notte  ne  senti  1'  elettrica  scossa;  e  al- 
l'alba, il  nostro  immenso  alveare  riversò  fuori  le 
sue  miriadi  con  un  infinito  ronzio.  E  dalle  case,  e 
dalle  botteghe,  e  da  tutte  le  porte,  irruppero  tu- 
multuose.... 

«  Al  suon  del  tamburo,  s'  armano  gli  operai 
abbandonando  febbrilmente  cazzuola,  squadra  e 
martello.  Il  legale  lascia  l' ufizio,  e  si  arma;  il 
cocchiere  salta  giù  da  cassetta,  buttando  le  redini 
sul  collo  a' cavalli;  mercanti,  portieri,  librai,  da 
ogni  parte,  si  raccolgono  in  gruppi  e  si  armano. 

«  Le  nuove  reclute  (ci  son  dei  ragazzi,  ed  i 
più  vecchi  insegnano  loro  a  portar  l'armamento) 
già  affibbiano  il  sacco  con  diligenza.  Fasci  di  fu- 
cili brillano  in  tutte  le  case,  in  tutte  le  strade. 

«  Reggimenti  armati  arrivano,  traversano  la 
città,  vanno  a  imbarcarsi.  Come  son  belli  coi  loro 
fucili  a  spalla,  le  facce  brune  bagnate  di  sudore, 
gli  zaini  polverosi,  marcianti  a  rango....  Vien  vo- 
glia di  abbracciarli. 

«  Armi  !  è  il  grido  generale.  La  gran  città 


214        IL  poi:ta  della  gui-hra  amkiiicana 

ha  il  sangue  alla  testa.  Le  bandiere  sventolano 
sui  campanili,  da  tutti  i  pubblici  edifìzi,  dalle 
finestre  delle  case. 

«  La  madre  bacia  il  volontario  che  parte;  il 
figlio  bacia  la  madre  :  lenta  è  la  madre  a  stac- 
carsi da  lui....  ma  non  una  sola  parola  per  trat- 
tenerlo ! 

«  Partono  a  sciami.  File  di  jjolicemen  prece- 
dono, facendo  largo  a  fatica.  L'  entusiasmo  non 
ha  più  limiti:  grida  frenetiche  manda  la  folla  ai 
suoi  favoriti. 

«  L'  artiglieria,  i  silenziosi  cannoni,  lucidi 
come  oro,  saltan  leggieri  sul  selciato  ;  presto, 
staccati,  cominceranno  il  loro  rosso  lavoro.... 

«  Preparativi  in  massa,  servizi  di  ambulanza, 
fasce,  filacce,  medicine  ;  le  donne  s'offrono  volon- 
tarie infermiere;  è  la  guerra  sul  serio,  non  più  da 
parata  ;  una  razza  armata  che  s'  avanza  per  non 
tornar  più  addietro....  Sia  per  settimane,  per  mesi, 
per  anni,  ciò  poco  importa  ». 

A  momenti,  il  poeta,  tra  il  tumulto  civico 
e  militare,  prova  come  un  sentimento  nostalgico 
di  silenzio  e  di  quiete,  e  aspira  al  suo  ^^l'inii- 
tivo  ideale:  è  1'  eterno  «  o  ras!  »  —  1'  eterno  «  0 
uhi  campi  »,  di  tutti  i  poeti;  ma  questa  nota  an- 
tica, in  bocca  americana  ci  suona  nuova  : 

«  Datemi  lo  splendido  tacito  sole,  sfolgorante 
con  tutti  i  suoi  raggi;  datemi  i  succulenti  frutti 
d'  autunno,  maturi,  rossi  nei  pomari  ;  datemi  un 
campo  dove  non  mietute  crescano  alte  e  fresche 
erbe;  datemi  messi  e  grani,  e  animali  serenamente 


IL  POKTA  DELLA  GUERUA  AMERICANA     215 

moventisi  e  respiranti  pace;  datemi  le  notti  per 
fettameute  quiete  in  riva  al  j\lississipì,  guardando 
le  placide  stelle  ;  datemi  un  giardino  di  bei  fiori, 
tutto  fragranze  quando  il  sole  si  leva,  dov'io 
possa  passeggiare  non  disturbato;  datemi  una 
donna  dall'  alito  fresco  e  soave,  della  quale  io  non 
sia  stanco  mai;  e  che  io  n'abbia  un  perfetto  bam- 
bino, lontano  di  qui,  lontano  dai  rumori  del  mon- 
do !  —  oli,  sì,  una  rurale  domestica  vita  !  E  da- 
temi di  mormorare  spontanei  canti,  solo,  a  modo 
mio,  unicamente  per  i  miei  orecchi;  datemi  la 
solitudine,  la  Natura,  e  le  sue  salubrità  primi- 
tive.... » 

«  Ma  no,  (soggiunge  subito  il  poeta)  non  è 
questo  il  momento  di  tali  voti.  Ora  mi  giova  ve- 
der visi  e  strade,  fantasmi  incessanti  incalzantisi 
sui  marciapiedi  :  interminabili  processioni  di  uo- 
mini e  donne,  camerati  a  migliaia.  Nuovi  visi 
ogni  giorno,  nuove  conoscenze,  nuove  strette  di 
mano. 

«  Nelle  grandi  strade,  i  soldati  in  marcia,  a 
suon  di  tamburo  o  di  tromba.  Quelli  stan  per 
partire  —  impazienti,  accesi  in  volto,  ridenti: 
questi,  tornano  dal  campo,  a  fila  diradate,  gio- 
vani con  aria  di  adulti,  magri,  consunti,  non 
guardando  nulla,  severi.  Oh,  datemi  la  vita  di 
New  York,  le  navi  che  si  armano,  le  fiaccolate 
notturne,  i  vagoni  militari  che  partono,  gì'  inni 
patriottici,  il  popolo  senza  fine,  con  le  sue  folle, 
le  sue  passioni,  i  suoi  gridi:  il  rullo  dei  tamburi, 
lo  scattar  dei  moschetti^   la   vista   d^i   feriti  che 


216     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICA>A 

passano,  le  bandiere  ai  balconi  ed  agli  alberi  delle 
navi,  —  bandiere  bagnate  nel  profumo  della 
guerra  —  bandiere  magnetiche  come  gli  occhi  di 
una  bella  donna!  » 

Ma  il  posto  del  poeta  è  alle  ambulanze,  negli 
spedali  improvvisati,  fra  i  feriti  e  gli  agonizzan- 
ti.... Quanti  spettacoli  tragici  e  patetici  ha  visto, 
nei  quattro  lunghi  anni  della  terribile  guerra! 

Eccone  uno  veramente  Rembrandtiano,  di 
una  spaventosa  efficacia,  indimenticabile: 

«  Una  marcia  forzata,  a  ranghi  serrati,  per 
ignota  strada,  traverso  un  fitto  bosco,  a  sordi 
passi,  nel  buio;  il  nostro  esercito  sconfìtto,  con 
perdite  severe,  e  i  tristi  suoi  avanzi  in  ritirata! 
—  finché  a  mezza  notte  si  scorge  vicino  un  edi- 
fizio  fescamente  illuminato,  e  facciamo  alto. 

«  E  un'  antica  e  vasta  chiesa,  che  ora  è  di- 
venuta spedale  provvisorio. 

«  Vi  entro,  e  vedo  uno  spettacolo  che  vince 
ogni  descrizione  poetica,  ogni  pittura. 

«  Ombre  di  un  profondo  nero,  qua  e  là  il- 
luminate da  mobili  candele  e  da  lanterne,  e  da 
una  gran  torcia  di  resina  con  una  selvaggia 
rossa  fiamma  e  nuvoli  di  fumo.  E  attorno  gruppi 
di  forme  umane  che  vagamente  distinguo,  sdra- 
iati sul  pavimento,  distesi  sulle  panche  della 
chiesa. 

«  Ai  miei  piedi,  più  distintamente,  vedo  un 
soldato,  un  ragazzo,  in  pericolo  imminente  di 
morire  d'  emorragia  (è  ferito  nell'  addome)  e  gli 
ristagno  momentaneamente  il   sangue,  (la   faccia 


II.    POETA    DELLA    GL'ERHA    AMERICANA  *2 1 7 

del  giovinetto  è  bianca  come  un  giglio)  —  e  poi, 
prima  di  rientrare  nelle  file  do  un'  ultima  occliia- 
ta,  per  afferrare  tutta  la  scena. 

«  E^^pre3sioni  diverse  di  volti,  positure  inde- 
scrivibili di  morenti  e  di  morti,  —  alcuni  nel 
buio;  chirurghi  che  operano,  aiutanti  che  fanno 
lume,  l'odore  dell'  etere,  l'odore  del  sangue.... 

«  E  la  folla,  oh  la  folla  di  tante  forme  in- 
sanguinate di  soldati  (anche  il  sacrato  fuori  della 
chiesa  ne  è  pieno),  alcuni  sulla  nuda  terra,  alcuni 
su  delle  assi,  altri  su  delle  brande,  alcuni  già 
inondati  di  freddo  sudore  e  fra  gli  spasimi  del- 
l' agonia. 

«  Di  tanto  in  tanto,  fra  i  gemiti,  un  urlo  ; 
e  ordini  concitati  dati  a  alta  voce;  e  alla  luce 
delle  lanterne  e  della  gran  torcia  a  vento,  il  luc- 
cichio dei  piccoli  strumenti  d' acciaio  dei  chi- 
rurghi. 

<  Ma  di  fuori  ecco  il  grido  :  x4.vanti  solda- 
ti! —  e  io  mi  chino  sul  moribondo  giovinetto, 
che  apre  gli  occhi  e  mi  fa  un  mezzo  sorriso,  poi 
adagio  adagio  li  richiude....  e  riprendo  il  mio  po- 
sto nelle  file,  e  si  riparte,  marciando  fra  le  te- 
nebre. » 

Talvolta  la  pittura  diventa  una  réverìe,  una 
reminiscenza  triste  e  acutamente  poetica,  come 
in  questi  Sogni  di  guerra  : 

«e  Di  tanti  visi  di  soldati  in  battaglia,  del 
primo  sguardo  di  chi  è  ferito  mortalmente  —  di 
queir  indescrivibile  sguardo  —  dei  morti  distesi 
supini,  a  braccia  aperte....  io  sogno,  sogno,  sogno. 


218  IL    POETA    DKLLA    GUERRA    AMERICANA 

«  Di  scene  naturali,  di  campi  e  montagne 
di  cieli  tanto  belli  e  limpidi  dopo  la  burrasca 
della  luna  cosi  spiritualmente  scintillante,  men 
tre  da  noi  si  scavano  in  silenzio  delle  trincee 
e  s' alzano  dei  terrapieni....  io  sogno,  sogno 
sogno.  » 

Questo  vero  poeta,  amante  del  popolo  e  cre- 
dente nel  popolo,  ebbe  la  gioia  e  il  trionfo  di 
vederlo  resistere  alle  più  dure  prove  restando 
sempre  puro  ed  eroico.  Popolani  delle  officine  e 
delle  campagne  furono  egualmente  ammirabili 
nelle  grandi  marce,  nelle  battaglie  micidiali,  nei 
lunghi  assedi  e  nei  lunghi  dolori  degli  spedali, 
sopportando  intrepidi  le  amputazioni,  le  febbri, 
la  immobilità  nel  letto  angoscioso,  senza  un  la- 
mento codardo,  senza  ombra  di  dubbio  o  dispe- 
razione della  santa  causa  che  difendevano.  E 
quando  arrise  finalmente  la  vittoria,  e  la  Libertà, 
e  1'  Unione  furono  salve;  quei  degni  figliuoli  di 
America  tornarono  semplici  e  fieri  alle  loro  bot- 
teghe, al  paterno  aratro,  alle  officine  ed  ai  porti, 
riassorbiti  nelle  pacifiche  industrie  della  gran  ma- 
dre patria. 

Sul  terreno  sanguinoso,  sotto  le  mobili  ten- 
de, sotto  il  tetto  degli  spedali,  Walt  Whitman 
medicò,  assistè,  confortò  feriti  e  malati  d'ogni  ge- 
nere; con  V  apparente  impassibilità  del  chirurgo, 
e  con  la  simpatia  e  1'  ardore  del  poeta.  Udite  lui 
stesso: 

«  .  .  .  .  Seguito  da  un  letto  all'  altro,  non 
trascuro  nessuno.  Con  ginocchia  piegate  e  mano 


IL  rOKTA  DELLA  GUEnRA  AMERICANA     219 

sicura,  medico  ogni  ferita,  con  fermezza,  con  ap- 
parente durezza  —  i  dolori  sono  acuti,  ma  inevi- 
tabili.... Ecco  uno  che  mi  guarda  con  occhi  sup- 
plichevoli. Povero  ragazzo!  Io  non  ti  ho  mai 
conosciuto,  eppure  credo  che  in  questo  momento 
darei  volentieri  la  mia  vita  per  salvare  la  tua. 

«  A  un  altro  letto.  Questi  ha  la  testa  sfra- 
cellata (povere  mani  convulse,  non  strappate  la 
fascia!)  Ecco  un  soldato  di  cavalleria:  esamino  la 
ferita  del  collo  —  è  trapassato  a  parte  a  parte  da 
una  palla.  Il  respiro  è  già  rantoloso,  1'  occhio  è 
annebbiato;  ma  la  vita  del  giovine  lotta  energi- 
camente ancora.  Vieni,  o  bella  Morte,  non  indu- 
giar troppo,  per  carità! 

«  A  quest'  altro,  fu  amputata  la  mano.  Muto 
le  filacce  aggrumate  al  tronco  del  braccio,  lavo  e 
rifascio.  Egli  giace  riverso,  la  testa  piegata  sul 
guanciale,  guardando  dalla  parte  opposta,  Tien 
gli  occhi  chiusi,  ha  pallidissimo  il  viso,  non  osa 
guardare  il  moncherino  sanguinoso  —  e  ancora 
non  lo  ha  guardato.... 

«  Io  son  fedele;  nulla  mi  fa  indietreggiare. 
La  coscia  fratturata,  la  spalla  forata,  il  piede  tra- 
fitto, il  cranio  spaccato,  la  ferita  all'  addome,  la 
divorante  cancrena,  putrida,  nauseabonda....  tutto 
io  esamino  e  medico  con  mani  impassibili  —  ma 
qui,  qui  dentro,  sento  un  fuoco  che  mi  consuma, 
una  fiamma  che  mi  divora!  » 

Talvolta  in  questo  bello  e  terribile  volume 
un  episodio  patetico  spicca  e  si  distingue  e  ci  at- 
tira  magneticamente.   Io    conosco    poche    poesie 


220        IL  poi:ta  dklla  guerra  americana 

nella  moderna  letteratura  europea  di  un  patetico 
così  realistico  e  penetrante  come  La  lettera  dal 
canipo^  di  Whitman.  E  degna  di  stare  accanto  al 
Canto  *della  Camicia^  e  al  Ponte  dei  Sosj>iri,  di  Tom- 
maso Hood.  Eccola: 

«  Accorri  dai  campi,  padre,  e  tu,  madre, 
scendi  alla  porta  di  casa.  C  è  una  lettera  del  vo- 
stro caro  figliuolo. 

«  E  1'  autunno;  e  gli  alberi  muovono  le  scarse 
foglie  sempre  più  gialle  e  rosse  al  mite  vento 
d'  ottobre  attorno  ai  villaggi  dell'  Ohio.  Le  mele 
maturano  nei  pomari  e  i  grappoli  tra  i  festoni 
delle  viti.  Non  sentite  1'  odore  dell'  uva  nella  vi- 
gna, e  la  fragranza  della  saggina  su  cui  ronzan 
le  api  ?  —  Disopra,  il  cielo  è  così  calmo,  cosi  tra- 
sparente dopo  la  pioggia,  sparso  di  nuvole  mara- 
vigliose.  Sotto,  tutto  è  tranquillo,  bello,  e  vitale 
—  e  la  campagna  prospera  divinamente. 

«  Sì,  giù  nei  campi  tutto  va  bene....  ma  ora 
accorri  dai  campi,  o  padre;  e  tu,  madre,  scendi 
alla  porta  immediatamente. 

«  Essa  s'  affretta  quanto  può  —  con  qualche 
presentimento  —  con  passi  vacillanti....  non  si 
trattiene  a  ravviare  i  suoi  capelli  bianchi,  ne  ad 
aggiustarsi  il  cappello. 

«  La  busta  è  presto  aperta.  Oh!  non  è  lo 
scritto  del  nostro  figliuolo,  non  e'  è  che  la  firma 
di  sua  mano:  una  mano  estranea  ha  scritto  per 
lui.  Che  colpo  al  cuore  della  madre!  Tutto  vacilla 
e  ondeggia  al  suo  sguardo  -  •  scintille  e  tenebre 
le  abbagiian  la  vista.  Essa  può   solo   distinguere 


Il  poeta  della  GUEnnA  americana        221 

qualche  parola,  qualche  rotta  frase:  ferita  di  ca- 
rabina —  assalto  cavalleria  —  nel  petto  — portato  al. 
V  ospedale  —  molto  aggravato  —  presto  sarà  meglio- 

«  Ahimè,  povero  ragazzo  !  Egli  non  può  più 
star  meglio  —  ne  forse  ha  bisogno  di  star  meglio 
quella  brava  e  semplice  anima.  Mentre  son  lì  a 
piangere  presso  1'  uscio  della  sua  casa,  egli  spira. 
Il  figliuolo  unico  è  morto. 

«  Chi  ha  bisogno  di  star  meglio  è  la  madre. 
Dimagrata  a  un  tratto,  vestita  di  nero,  il  giorno 
mangia  appena,  la  notte  dorme  agitata:  si  veste 
piangendo,  smaniando  in  un  acuto  desiderio....  oh, 
di  potersene  andare,  sparire,  senza  che  nessuno 
in  casa  se  ne  accorga  —  sfuggire  alla  vita  e  spa- 
rire.... e  andargli  dietro,  cercarlo,  ritrovarlo,  e 
star  sempre  con  lui,  col  suo  figliuolo  unico,  morto!  » 

Ma  tanto  eroismo,  tanti  sacrifizi,  furono  alfine 
compensati  dalla  più  splendida  delle  vittorie.  E 
quando  a  queste  tenne  dietro  il  grande  atto  di 
giustizia,  che  la  Natura  e  l'Umanità,  il  Diritto  e 
il  Vangelo  imponevano,  un  altro  poeta  americano, 
John  Whittier  intonava  questi  entusiastici  e  po- 
polarissimi versi: 

«  Suonate,  o  campane!  ogni  vostro  colpo  an- 
nunzi esultando  la  sepoltura  del  gran  delitto. 
Lungamente,  profondamente,  che  tutti  possano 
udire,  suonate  per  ogni  orecchio  che  ascolta  nel 
Tempo  e  nell'Eternità. 

«  Inginocchiamoci!  In  queste  squille  parla 
oggi  Dio  stesso;  e  questa  nostra  terra  oggi  è  sa- 
cra.  Compiuto  è  il  grand'  atto.   Nel   circuito  del 


222     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

sole  tutti  ora  lo  sp.nno:  e  questo  evangelo  fa  lieti 
i  tristi,  eloquenti  i  muti,  e  fascia  la  Terra  con  una 
zona  di  luce  e  di  festa.  » 

E  Wliitman  vide  e  cantò  il  Eitorao  degli 
Eroi  : 

«  Passate,  passate,  o  brigate  altere,  dalle 
forti  gambe  muscolose,  dalle  spalle  quadrate  e 
robuste,  coi  vostri  sacchi,  coi  vostri  moschetti! 

«  Ma  ecco  rimbombano  ancora  i  tamburi  — 
e  un  altro  esercito  s'agita  in  vista;  un  altro  af- 
follato esercito,  trascinantesi  alla  retroguardia  ; 
spaventevole  reduce  esercito,  di  reggimenti  che 
fan  pietà,  afflitti  da  mortale  diarrea,  dalle  febbri.... 

«  E  voi,  o  prediletti,  o  figliuoli  mutilati  della 
mia  terra,  con  le  fasce  ancor  sanguinose,  appog- 
giati alle  grucce.... 

«  Io  vidi  il  giorno  che  tornaron  gli  eroi  — 
ma  gli  eroi  non  mai  sorpassati  non  tornano  più — 
e  in  quel  dì  non  li  vidi. 

«  Né  io  vi  dimentico,  o  Dipartiti;  non  vi  di- 
mentico in  nessuna  stagione.  E  spesso,  quando, 
come  ora,  sto  all'  aria  aperta,  e  che  il  mio  spirito 
è  in  pace  perfetta,  le  vostre  memorie,  come  cari 
fantasmi,  mi  passano  accanto  splendide  e  silen- 
ziose. » 

E  nel  pensiero  dei  cari  morti,  il  poeta  ode  la 
madre  Natura  che  li  raccomanda  alla  Terra. 

«  Assorbiscili  bene,  o  mia  Terra,  te  lo  co- 
mando. Non  perdere  un  solo  dei  miei  figliuoli  — 
non  ne  perdere  un  atomo. 

«  E  voi,  ruscelli,  bevete  il  loro  caro  sangue. 


IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA     2^3 

Terra  e  aria,  essenze  vegetali,  letti  profondi  dei 
fiumi,  montagne,  boschi  dove  il  sangue  dei  miei 
figliuoli  corse  rosso  a  torrenti — e  voi,  alberi,  giù 
nell'  intime  vostre  radici,  assorbite  i  miei  morti, 
i  bei  corpi  dei  miei  giovani  morti.  Serbatemeli 
fedelmente:  fra  anni,  fra  secoli,  me  li  renderete 
in  essenze  invisibili,  in  odorose  vegetazioni,  in 
zeffiri  scorrenti  sui  prati.  Mi  renderai,  o  Terra,  i 
miei  diletti,  i  miei  eroi;  mi  farai  respirare  di 
nuovo  il  loro  alito....  senza  che  un  atomo  solo  vada 
disperso.  » 

Quattro  sono,  a  mio  parere,  le  più  grandi 
immaginazioni  poetiche  contemporanee:  Carljde, 
Michelet,  Victor  Hugo,  Walt  Whitman.  In  Carlyle 
è  più  violenta  ed  apocalittica;  un  soffio  ardente  di 
poesia  ebraica  gli  viene  attraverso  la  tradizione 
puritana,  e  fa  di  lui  una  specie  di  profeta,  di  veg- 
gente. In  Victor  Hugo,  predomina  la  magnifica  e 
splendida  visione,  che  è  al  tempo  stesso  plastica, 
colorita  e  sinfonica.  In  Michelet,  la  emozione  con- 
tagiosa, il  grido  e  il  gemito  lirico,  passionato. 
In  Whitman,  la  gioia  eroica  della  vita  indivi- 
duale, e  il  sentimento  e  1'  entusiasmo  della  vita 
universale;  dall'ala  di  una  lodola  agli  splendori 
dell'Orsa  Maggiore. 

Tutti  e  quattro  si  distinguono  per  un  senti- 
mento profondo,  filiale,  religioso  della  natura,  e 
per  una  potenza  maravigliosa  di  sintesi.  «  La 
Natura,  la  vera  Natura,  da  tanto  tempo  assente 
nella  nostra  arte,   deve   compenetrare    colla    sua 


224-     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

sana  e  larga  atmosfera  ogni  poesia,  ogni  este- 
tica composizione.  Né  intendo  per  Natura  solo  i 
verdi  e  molli  sentieri,  e  le  margheritine  e  i  rosi- 
gnoli  dei  poeti  Inglesi  —  mail  globo  intero  con 
la  storia  geologica;  il  gran  Cosmos,  con  le  sue 
nevi  e  i  suoi  fuochi,  che  rotea  traverso  le  illimi- 
tabili aree,  leggiero  come  una  piuma,  benché  pesi 
bilioni  di  tonnellate  »...  Son  parole  di  Whitman. 

E  per  lui  l'Universo  é  cosa  sacra,  vivente, 
simbolica  ed  adorabile.  Che  differenza  dal  vec- 
chio mondo  dei  poeti  metafisici,  il  quale  non  è 
che  una  concezione  geometrica  e  meccanica,  e 
pare  cristallizzato  in  una  spaventosa  monotonia. 
E  per  Whitman,  come  per  Carljde,  la  contempla- 
zione dell'Universo  é  più  spesso  mìstica  che  scien- 
tifica: la  tradizione  orientale  si  riflette  in  questi 
due  grandi  ingegni  moderni.  Ecco  una  breve 
poesia  di  Whitman,  significantissima  in  questo 
senso: 

«  Quando  udii  il  dotto  Astronomo  —  quando 
le  prove,  le  figure,  furono  allineate  in  colonne  di- 
nanzi a  me:  —  quando  mi  si  mostrarono  le  carte, 
i  diagrammi,  e  si  addizionò,  si  divise,  si  misurò; 
—  quando  sedendo  udii  il  dotto  Astronomo  di- 
scorrere fra  grandi  applausi  nella  Sala  della  Con- 
ferenza; —  oh,  come  presto  divenni  stanco  e  ma- 
lato! —  Finché  alzatomi,  e  chetamente  uscito, 
vagai  da  me  solo  —  nella  mistica  umida  aria 
della  notte;  e  di  quando  in  quando  —  alzando  gli 
occhi,  guardavo,  in  perfetto  silenzio,  le  stelle.  » 

Oggi  che  le  dottrine  pessimistiche  e  fatali- 


IL  POETA  DELLA  GUEURA  AMERICANA     2^25 

sticlie  trionfano  in  quasi  tutta  la  letteratura  eu- 
ropea, la  lettura  di  Browning,  di  Tolstoi,  di  Whit- 
man,  è  un  tonico  salutare  —  pel  quale  svaniscono, 
come  sogni  cattivi  all'Aurora,  la  poesia  e  la  filO' 
sofia  della  disperazione,  il  disgusto,  la  sazietà,  la 
noia,  e  lo  scetticismo. 

Per  molti,  la  prima  lettura  di  Whitman  è 
stata  una  rivelazione,  un  avvenimento  decisivo 
nella  vita.  «  Dacché  leggo  Whitman,  scriveva  la 
signora  Gillchrist,  non  posso  leggere  altri  libri: 
mi  tiene  assolutamente  in  suo  dominio,  come  in- 
cantata; e  lo  leggo  e  rileggo  con  crescente  diletto 
e  maraviglia.  Non  avrei  mai  sognato  che  le  pa- 
role potesser  cessare  di  esser  parole  per  divenire 
correnti  elettriche,  come  queste  di  Whitman.... 
Le  sue  poesie  non  sono  la  biografia  di  un  uomo, 
ma  la  sua  attuah  presenza.  Egli  ha  ragione  quando 
dice  —  Camerata,  questo  non  è  un  libro.  Chi  lo 
tocca,  tocca  un  uomo.  —  Egli  ha  trasfuso  tal- 
mente la  sua  personalità  nelle  sue  parole,  che 
ogni  lettore  sente  di  essere  in  immediata  rela- 
zione con  lui.  Le  sue  parole  ci  attirano  e  affer- 
rano più  di  ogni  sguardo,  più  di  ogni  stretta  di 
mano.  Se  le  sue  poesie  non  son  tutte  di  egual 
bellezza  e  grandezza,  son  però  tutte  vitali  —  si 
direbbe  che  non  furon  fatte^  ma  che  vegetano  come 
una  pianta.  »  Quest'ultima  osservazione  è  giustis- 
sima; e  non  è  applicabile  fra  tutti  i  poeti  moderni 
che  ad  altri  due  —  Burns,  e  la  Browning. 

Le  Leaves  of  Grass  somigliano  infatti  più 
un'opera  naturale  che   una   produzione   artistica 

Nencioni.  —  Saggi  critici  di  lett.  inglese  I9 


226     IL  POETA  DELLA  GUERP.A  AMERICANA 

—  più  lina  foresta,  che  una  cattedrale.  Si  direbbe 
che  vi  circola  il  vento,  vi  si  ode  il  ritmico  respiro 
dell'Oceano,  vi  odora  la  grande  flora  americana, 
e  vi  batte  la  pioggia,  e  vi  sfolgora  il  sole.  Altro 
gran  pregio  e  caratteristica  di  questo  poeta  è  il 
suo  sentimento  del  mondo  moderno,  del  Presente. 
Quello  che  più  fa  indietreggiare  cerbi  poeti  feu- 
dalì,  più  attira  AVhitman.  La  vecchia  Terra  ha 
sempre  per  lui  la  freschezza  della  gioventù;  anzi,  e 
nella  natura  e  nella  storia,  Whitman  preferisce 
sempre  il  Presente  al  Passato.  Noi  siamo  gli  eredi 
del  tempo  (egli  canta)  e  le  nostre  generazioni  son 
meno  malate  e  meno  infelici  di  quelle  passate. 

Letto  in  faccia  al  mare,  o  al  cospetto  delle 
Alpi,  o  in  una  primitiva  foresta,  o  sotbo  un  cielo 
stellato,  ogni  poema  rimpiccolisce.  I  più,  anche 
notevoli,  ci  fan  sorridere  di  compassione.  —  «  Per 
giudicare  del  merito  intrinseco,  sostanziale  di  un 
poema,  figuriamoci  che  cosa  ne  direbbero  il  mare, 
gli  astri  —  che  cosa  ne  direbbero  i  morti  ?  »  —  E 
un  pensiero  di  Whitman  stesso  che  mi  fa  tanto 
pensare....  Quali  poesie  reggerebbero  alla  formi- 
dabile prova?  Ben  poche:  ma  alcune,  si.  Giobbe, 
Isaia,  Omero,  Eschilo,  Lucrezio,  Dante,  Shake- 
speare, son  grandi  come  le  Alpi,  profondi  e  im- 
perscrutabili come  l'Oceano  e  il  sepolcro.  Ma 
do2:)o  loro?  Fra  i  moderni,  chi?  —  Forse,  Goethe, 
Shelley,  Browning,  Victor  Hugo  e  AYalt  Whitman. 

Non  mi  parrebbe  aver  dato  un'idea  adeguata 
di  questo  poeta,  e  mi  parrebbe  troppo  incompleto 


IL    POETA    DELLA    (iUEIlllA    AMEIIICANA  ^27 

questo  mio  studio,  se  non  dessi  qualche  saggio  delle 
poesie  essenzialmente  democratiche  e  americane 
di  AVhitman.  L'imbarazzo  è  nella  scelta....  Eccone 
una  sul  vascello  della  democrazia  e  sul  palazzo 
di  una  Esposizione  mondiale. 

«  Voga,  voga  a  gonfie  vele,  o  vascello  della 
Democrazia!  —  Tu  porti  un  carico  prezioso,  tu 
porti  con  te  il  Presente  e  il  Passato.  —  Coi  tesori 
dei  continenti  dell'Ovest,  navigano  sulla  tua  chi- 
glia le  reliquie  delle  nazioni  anteriori,  con  tutte 
le  loro  antiche  lotte,  martiri,  eroi,  guerre,  epopee. 
—  Guida  con  mano  ferma  e  con  occhio  sicuro,  o 
pilota!  —  La  venerabile  Asia  sacerdotale  fa  oggi 
vela  con  te;  con  te  la  regia  Europa  feudale.  » 

Il  simbolico  vascello  va  alle  rive  dell'Ovest, 
là  dove  il  cervello  moderno  j)uò  concepire  libera- 
mente; dove  il  braccio  moderno  non  è  vincolato 
da  secolari  pregiudizi;  dove  l'azione  tien  dietro 
immediatamente  al  pensiero.  Là,  in  un  colossale 
edifizio  di  cristallo  e  di  ferro,  si  esporranno  le 
maraviglie  della  industria  universale.  Questo  pa- 
lazzo sarà  «più  alto,  più  bello,  più  vasto  di  quanti 
ne  furon  mai.  Maraviglia  della  terra  moderna, 
vincendo  di  gran  lunga  le  sette  antiche  maraviglie, 
slanciando  al  cielo,  piano  su  piano,  le  sue  grandi 
facciate  di  cristallo  e  di  ferro,  rallegrando  il  sole 
ed  il  cielo,  raggiante  dei  più  vivaci  colori,  lilla, 
rosa,  verde  marino,  cremisi,  avrà  un  aureo  tetto, 
sul  quale  sventolerà  il  tuo  sacro  stendardo,  o  Li- 
bertà, e  attorno  le  bandiere  di  tutti  i  paesi  del 
mondo.  » 


228     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

Egli  ha  coscienza  intera  e  perfetta  del  mes- 
saggio ch'ei  porta,  come  uomo  e  come  poeta,  al- 
l'America. Egli  sa  di  essere  il  jjìoneer  di  un  nuovo 
mondo  sociale  e  poetico;  la  voce  della  Democrazia 
e  della  futura  America.  Uditelo.  Sono  accenti  di 
una  novità  unica,  e  di  una  indiscutibile  potenza: 

«  Come  un  grande  uccello  dalle  libere  ali, 
lieto,  fendendo  i  larghi  spazi  del  cielo;  tale  sa- 
rebbe il  pensiero  che  vorrei  indirizzarti. 

«  Io  non  ti  porto  le  affettazioni  dei  poeti  di 
altre  terre  —  ne  i  teneri  complimenti  che  duran 
da  secoli  —  ne  le  rime,  nà  i  classici,  né  il  pro- 
fumo delle  corti  e  delle  biblioteche. 

«  Ma  l'odore  delle  foreste  di  pini  del  Maine, 
l'alito  delle  praterie  dell' Illinois,  l'aria  libera  della 
Virginia,  della  Georgia  e  del  Tennessee;  o  degli 
altipiani  del  Texas,  o  dalle  boscaglie  della  Flo- 
rida; —  le  nere  correnti  del  Saguenay,  e  la  larga 
estensione  azzurra  dell' Uron.... 

«  E  mormorante  al  disotto,  penetrante  ogni 
cosa,  il  murmurc  continuo  del  mare;  il  suono  che 
suona  eternamente  dai  due  Grandi  Mari  del 
mondo.  » 

Nel  medesimo  canto,  son  queste  belle  e  fre- 
sche e  sane  parole: 

«  Ancora  la  primavera!  Ancora  la  freschezza 
e  gli  odori,  e  il  cielo  terso  della  Virginia,  dal  blu 
trasparente  e  argentino. 

«  Ancora  la  porpora  mattutina  delle  colline; 
ancora  l'erba  immortale,  cosi  silenziosamente  dolce 
e  verde.  ..  ,  . 


IL    POETA    DELLA    nUl-HRA    AMERICANA  22f3 

«  Ancora  le  rose  fiorite,  rosse  come  sangue. 
«  Profumato  questo  mio  libro,  o  rose  rosse 
come  il  sangue!  Pofcomac,  bagnane  delicatamente 
ogni  verso  con  le  tue  acque!  Dammi  qualche  cosa 
di  te,  o  Primavera,  prima  che  io  lo  chiuda,  per 
mettere  fra  le  sue  pagine.  » 

Infatti  nelle  Leaves  of  Grass^  il  fondo,  il  ma- 
teriale poetico  è  solo  la  Natura  e  la  Democrazia. 
Ogni  tema  vecchio  medievale,  è  sparito.  Nessuna 
ornamentazione  di  stilista,  nessuna  esercitazione 
rettorica,  nessuna  classica  reminiscenza.  Se  non 
ci  fosse  stato  un  sol  libro  al  mondo,  Whitmaii 
avrebbe  pensato,  sentito  e  sentito  egualmente  il 
suo  libro.  Non  vi  son  duelli,  né  adulteri,  nò 
grandi  personaggi,  ne  donne  isteriche,  né  leg- 
gende, né  romanze,  né  eufemismi,  né  rime. 

Il  libro  somiglia  l'uomo;  anzi  è  l'uomo.  Del 
quale,  ecco  il  ritratto:  —  e  con  questo,  chiudo 
questo  mio  studio,  che  so  incompleto,  ma  che 
spero  sia  suggestivo,  e  che  perciò  raccomando  in 
particolare  ai  giovani. 

«  Ho  amato  la  terra,  il  sole,  gli  animali;  ho 
disprezzato  le  ricchezze.  Ho  fatto  sempre  l'ele- 
mosina a  chi  me  l'ha  chiesta;  ho  trovato  una  pa- 
rola anche  per  i  pazzi,  ed  i  rei;  ho  consacrato  il 
mio  lavoro  e  speso  i  miei  guadagni  per  gli   altri. 

«  Ho  odiato  i  despoti;  non  ho  mai  disputato 
di  Dio;  non  ho  fatto  di  cappello  né  a  uomini  né 
a  cose.  Ho  avuto  simpatia  e  frequentato  di  pre- 
ferenza-, le  persone  di  temperamento  possente  ed 
inculto,  j  giovani,  le  madri  di  famiglia. 


280     IL  POETA  DELLA  GUERRA  AMERICANA 

«  Mi  leggo  ora  queste  pagine  all'aria  aperta, 
ne  rivedo  le  stampe  allo  stormir  delle  fronde, 
sotto  un  bel  cielo,  presso  l'acque  correnti. 

«  Ho  respinto  seraj^re  da  me  tutto  ciò  clie 
avviliva  la  mia  anima,  o  macchiava  il  mio  corpo. 
Non  ho  reclamato  per  me  cosa  alcuna  che  io  non 
abbia  reclamato  per  gli  altri. 

«  Son  corso  al  Campo  —  vi  ho  trovato  e  ac- 
cettato ed  amato  camerati  a  migliaia,  venuti  da 
tutti  gli  Stati. 

«  Questa  mano,  questo  braccio,  questa  voce, 
hanno  rialzato,  richiamato  in  vita,  nutrito,  con- 
fortato molti  corpi  prostrati.  Le  braccia  di  mille 
volontari  si  sono  incrociate  al  mio  collo,  e  vi 
hanno  trovato  riposo  —  molti  baci  di  soldati  son 
rimasti  su  queste  labbra  barbute  —  sul  mio  petto, 
più  di  un  soldato  morente  ha  appoggiato  il  capo 
spirando.   » 

E  semplice  e  grande. 

È  un  ritratto  da  far  rizzare  i  capelli  a  tutti  gli 
Estetici  —  e  da  far  venire  un  colpo  apoj)lettico  a 
tutti  i  Parnassiens  e  a  tutti  i  Decadenti  di  quest;i 
fine  di  secolo. 

{Nuova  Antologia,  1  dicembri^  1891.) 


231 


UNA  NUOVA  POETESSA  AMERICANA 


Non  si  è  mai  scritto  tanti  versi  in  Europa  e 
in  America  quanto  in  questa  fine  di  secolo^  e  mai 
vi  è  stata  tanta  scarsità  di  vera  poesia.  L'abilità 
tecnica  e  ritmica^  l'artifìcio  del  verso,  hanno  rag- 
giunto il  colmo  del  raffinamento  —  si  son  visti 
dei  toiirs  de  force  maravigliosi  ;  la  fantasia  si  è 
spinta  fino  alle  stravaganze  grottesche  dell'alluci- 
nazione ;  si  è  consumata  e  avvilita  iu  desideri 
insaziati  e  insaziabili  di  voluttà  senza  nome  — 
ma  la  poesia  non  ha  quasi  mai  risposto  all'ap- 
pello. Pochissime  e  tanto  più  ammirabili  ecce- 
zioni non  infirmano  la  mia  asserzione.  Si  è  fatto 
del  bizantinismo,  dell'archeologia  poetica,  e  si  è 
avuto  echi  ingegnosi  piuttosto  che  viventi  voci 
poetiche.  Naturalisti,  veristi,  parnassiens^  estetici, 
simbolisti,  impressionisti,  decadenti,  vibrisLi,  tutti 
gli  ismi  e  gli  isti  delle  nuove  scuole,  dai  pro- 
grammi cosi  presuntuosi,  non  hanno  dato  un  solo 
vero  e  grande  poeta,  paragonabile  ai   sommi  che 

'  Lyrics,  by  Cora  Fahbrf.  —  Harper   and    Bruthcrs  — - 
Kew  York,  1892. 


ì:]^2  Una  nuova  poetessa  americana 

fiorirono  nella  prima  metà  del  secolo  —  a  uno 
Shelley,  a  un  Byron,  a  un  Tennyson,  ai  due 
Browning,  a  un  Victor  Hugo,  a  un  Heine,  a  un 
Leopardi.  Questi  nuovi  poeti  stilisti  sudano  come 
ciclopi  nella  caverna;  torna  in  mente  \\ parturient 
montes...  ma  il  mus  che  nasce  non  è  neppur  vivo 

—  è  un  aborto.  Mai,  o  quasi  mai,  una  strofa  di 
pura  vena,  ispirata,  una  immagine  naturalmente 
poetica,  un'espressione  creata  e  non  penosamente 
cercata.  Perciò,  quando  accade  il  miracolo  di 
udire  una  nota  pura  e  schietta  di  vera  lirica,  bi- 
soorna  salutarlo  riconoscenti,  e  richiamarvi  l'at- 
tenzione  dei  distratti  e  degli  indifferenti. 

Ecco  oggi  da  Nuova  York  un  volume  di  Li- 
riclie  di  Cora  Fabbri,  giovine  donna  appena  ven- 
tenne, morta  tre  mesi  fa  in  Italia,  a  San  Remo. 
È  un  libro  dove,  nonostante  alcuni  difetti  pura- 
mente tecnici,  alcune  debolezze  e  ripetizioni,  e 
qualche  reminiscenza,  la  vera  poesia  abbonda 
limpida  e  pura  come  una  sorgente    di   montagna 

—  una  poesia  che  si  direbbe  venuta  naturalmente, 
come  cresce  una  bella  pianta,  come  butta  una 
limpida  fontana  :  della  vera  e  schietta  e  sana 
poesia,  quale  non  s'era  più  udita  in  lingua  in- 
glese, dopo  V  Italian  Garden  di  Mary  Robinson 
e  dopo  i  Lieder  di  Amj^  Levy.  Ma  la  Robinson, 
e  la  Bevy,  come  la  loro  grande  preceditrice  la 
Browning,  hanno  nei  loro  cauti  la  passione  e  il 
dramma  del  rosignolo  :  la  Cora  Fabbri  ha  il  sem- 
plice trillo  argentino  della  lodola  mattutina. 

Aprite    a   caso  il  volume,  a    qualunque   pa- 


tJNA  NUOVA  poetf:ssa  americana  ^53 

gina  vi  troverete  immagini  ed  espressioni  essen- 
zialmente poetiche  e  liriche,  e  che  sono  per  lo 
più  intraducibili,  come  ogni  strofa  veramente  lì- 
rica. In  questo  mio  ritratto  lett^Tario,  spero  poter 
dare  una  idea  della  poesia  di  Cora  Fabbri  tradu- 
cendo letteralmente  varie  note  delle  sue  armonìe: 
ma  vi  sono  qua  e  là  espressioni  cosi  eteree,  spi- 
rituali e  musicali,  la  frase  poetica  è  cosi  intima- 
mente legata  alla  rima,  che  è  impossibile  ogni  ten- 
tativo di  tradazione.  Certe  poesie  delia  Brownino-, 
di  Swinburne,  del  Rossetti,  della  Robinson,  della 
Fabbri,  son  fiori  delicatissimi  che  bisogna  odorar 
sulla  pianta.  Pei  lettori  a  cui  è  familiare  la  lin- 
gua Inglese,  cito  subito  ad  esempio  alcuni  squisiti 
versi  di  Cora  che  perdono  troppo  in  una  tradu- 
zione, sì  libera  che  letterale. 

The  tangled  viues  held  roses  — 
Pale  buds  with  folded  leaf — 
Set  deep  in  thorns,  like  pleasures 
Born  from  a  bed  of  grief, 


Over  the  AVest  there  the  moon  is  afloat 
On  a  pale-green  sea  in  a  silver  boat. 
She  has  set  on  fire  her  Night-bird's  throat, 
That  grows  more  perfect  with  every  note. 

The  sleeping  woods,  whose  birds  are  spoken  dreams. 

E  chi  non  avrebbe  scrupolo  di  alterare  i  se- 
guenti versi  traducendoli,  cioè  guastandoli  ? 

Lady,  tliine  e3'es'eclipse  hath  drawn  the  rare 
White  moon  of  joy  behiud  a  cloud,  and  stole 


234  UNA    NUOVA    POETESSA    AMERICANA 

Its  star-tide;  yet  thy  meraory  is  there 
To  shed  its  soft  light  where  the  sh.idows  roll. 
I  lean  out  l'rom  the  window  of  my  Soul, 
And  see  my  whole  sky  luminous  and  fair. 

Per  chi  ha  il  sentimento  della  poesia,  e  fa- 
miliarità coi  poeti  Inglesi,  apparirà  da  questi  soli 
versi  che  Cora  Fabbri  aveva  quel  sacro  dono, 
istintivo  e  misterioso,  che  non  si  acquista  e  non 
si  comunica, 

«  The  consecration,  and  the  poet'3  dream  » 

e  che  ai  suoi  attoniti  occhi  splendeva  spesso 
«  The  light  that  never  was  ou  sea  or  land.  » 

L'elemento  puramente  lirico  compenetra  tutto 
il  volume,  che  nella  sua  unità  è  abbastanza  va- 
rio. Le  poesie  potrebber  dividersi  in  varie  distinte 
sezioni  :  paesaggio,  ritratti,  lieder,  ballate,  elegie, 
e  meditazioni  poetiche.  Alcune  son  paesaggio  e 
ballata  ad  un  tempo,  come  White  Eoses.  Note 
passionate,  pure  ma  intense,  piangono  nelle  Minor 
Notes.  Nella  poesia  Heart  Songs  risplende  la  leg- 
genda orientale,  come  nei  canti  di  Riickert.  Se 
la  Lady  Maud  è  complicata  e  drammatica,  Anita 
è  semplice  e  rurale  come  un  quadro  di  Millet. 
In  molte  è  presente  il  funebre  presagio  della 
morte  immatura,  come  in  Dead  Leaves,  Peace^ 
With  the  LinuetSj  Died  Young. 

Nella  famiglia  dei  poeti  Americani  essa  non 
rammenta  mai  le  vere  voci  xArnericane,  quali 
Bryant,  Emerson,  Poe,  Miller,  Whitman  ;  ma  ri- 
corda quei  poeti  del  Nuovo  Mondo  che  ha  a  tolto 


UNA    NUOVA    rOETI'SSA    AMERICANA  235 

isi^irazioni  e  forme  dalle  ti'adizioni  poetiche  della 
vecchia  Euroi^a  —  da  poeti  Inglesi  e  Tedeschi 
soprattutto.  Si  sente  che  essa  ha  letto  e  ama  Keats, 
Shelley,  la  Browning,  Swinburne,  Rùckert  e 
Heine...  e  si  sente  che  essa  è  nata  in  America  di 
padre  italiano,  e  che  ha  vissuto  vari  anni  in  Ita- 
lia. (Vedi  le  poesie  Firenze,  Colline  Toscane,  Stor- 
nelli, Minor  A^otes,  Anita^  ecc.) 

In  tutte  le  pagine  di  questo  ammirabile  libro 
respira  vivo  e  schietto  il  sentimento  e  l'amore 
della  Natura  :  della  Natura  vista  direttamente  e 
non  attraverso  i  libri:  le  descrizioni  vi  sonora- 
rissime, e  sempre  di  carattere  poetico  ;  mai  abuso 
di  colorito,  o  frasi  da  atelier;  essa  non  descrive 
per  descrivere,  ma  perchè  vede  e  sente  ;  procede 
per  via  d'immagini  e  di  similitudini,  come  la 
Browning  e  come  Lamartine,  e  ottiene  più  ef- 
fetto che  eoi  soliti  sfoggi  di  tavolozza.  Forse 
perchè  doveva  vivere  tanto  poco  su  questa  nostra 
terra,  le  bellezze  naturali  la  colpivano  sempre 
come  una  adorabile  novità.  Aveva  il  sentimento 
della  natura  e  della  bellezza  in  una  intensità 
straordinaria.  Leggendo  i  suoi  versi,  si  direbbe 
sempre  che  ella  vede  ^oer  la  prima  volta  il  mare, 
la  luna,  i  fiori,  i  boschi,  le  stelle,  tanta  è  l'estasi 
lirica  con  cui  li  contempla.  Guarda,  sorpresa  ed 
attonita,  le  cose  belle,  con  la  maraviglia  di  una 
bambina  e  col  sorriso  di  un  angelo. 

Come  Keats,  che  era  il  suo  prediletto  poeta, 
e  col  quale  essa  ha  tante  affinità,  —  anche  nella 


236  UNA    NUOVA    POETESSA    AMERICANA 

morte  —  Cora  Fabbri  vedeva  sotto  il  divino  velo 
della  bellezza  anche  le  cose  più  dolorose  e  più 
lugubri  ;  vedeva  tutto  trasjifjurato  col  suo  occhio 
di  poeta.  La  morte  stessa,  la  morte  nel  fior  degli 
anni,  è  cantata  da  lei  con  adorabili  immagini, 
con  un  sentimento  tutto  greco  della  bellezza,  in 
una  poesia  che  essa  dettò  pochi  mesi  prima  di 
morire,  quasi  presaga.  La  traduco  letteralmente  : 

«  E  ora  essa  dorme  senza  sognare,  —  indif- 
ferente alle  lodi  o  ai  biasimi  umani.  —  11  suo 
nome  non  è  per  il  mondo  altro  che  un  nome,  — 
lo  dimenticheranno  domani,  o  anche  prima.  — 
Oggi  essa  è  cosi  pallida,  che  il  suo  viso  somiglia 
—  un  piccolo  fiore  illuminato  dalla  luna. 

«  Le  sue  palpebre  velano  i  suoi  soavi  quieti 
occhi  —  come  foglie  chiuse  attorno  a  due  mam- 
mole morte.  —  Quegli  occhi  non  guarderajino  più 
attoniti,  —  ne  il  dolore  li  toccherà,  né  li  offu- 
scheranno le  lacrime.  —  E  morta  cosi  giovine, 
come  neve  che  rimane  appena  —  un'ora  su  la 
terra,  per  esser  troppo  pura  e  troppo  bianca. 

«  Se  essa  potesse  di  nuovo  parlare,  che  cosa 
direbbe  ?  —  Di  quali  bianchi  giorni,  in  quali 
obliate  primavere  ?  —  Quali  improvvisi  augelli 
con  l'estate  su  le  loro  ali?  —  Quali  pensieri  troppo 
puri  per  qualunque  nostra  dimora?  —  Essa  cadde 
addormentata  così  presto  su  la  via,  —  con  gli 
occhi  ancora  pieni  di  segai,  e  le  mani  di  fiori. 

«  Mori  troppo  giovine,  per  conoscere  i  lan- 
guidi anni  —  di  fallaci  e  incomplete  felicità.  — 
0  cara  fanciulla  morta,    tu  non   avrai    da  doler- 


UNA    NUOVA    POKTKSSA    AMEFilCANA  537 

tene,  —  né  vedrai  piombare  le  tenebre  dove  bril- 
lava il  raggio  del  sole,  —  nò  perderai  di  vista  le 
tue  stelle  per  avere  gli  occhi  pieni  di  lacrime.  — 
Essa  era  troppo  giovine,  per  sapere  che  i  suoi 
sogni  eran  sogni... 

«  0  occhi  pieni  di  pace,  noi  siamo  più  savi 
di  voi  —  perchè  sappiamo  che  ogni  sogno  sva- 
nisce —  e  che  il  male  ci  è  sopra  anche  quando 
preghiamo  —  e  il  dolore  ci  è  presso  anche  mentre 
sorridiamo.  —  Ahimè  !  sotto  un  cielo  così  puro  ed 
azzurro,—  quanto  male,  e  quanto  affanno  continuo! 

«  Noi  impariamo  le  verità  della  vita  diven- 
tando savi  traverso  i  dolori.  —  Vediamo  gli  uo- 
mini seminare  perchè  altri  raccolga  —  vediamo 
gente  che  ride,  mentre  altri  piangono  accanto 
—  e  il  bene  e  il  male  respirare  1'  un  presso 
all'altro.  —  Ma  voi  siete  molto  più  savi,  o  occhi 
pieni  di  pace,  —  perchè  voi  già  conoscete  il  Mi- 
stero della  morte.   » 

La  morte  vicina  sembra  aver  dato  un'  aria 
solenne  alle  ultime  strofe,  che  non  era  nel  carat- 
tere di  Cora  Fabbri.  Essa  era  naturalmente  lieta 
ed  operosa,  e  pareva  godere  la  vita  come  una 
festa,  come  un  bel  giorno  di  primavera.  I  suoi 
occhi  eran  davvero  se"ì2^'e  pieni  di  bei  sogni,  e 
le  mani  di  freschi  fiori.  Essa  aveva,  come  Evelyn 
Hope^  «  grate  occupazioni  e  piccole  cure  e  doveri, 
ed  ora  era  quieta  ora  attiva,  finché,  d'improvviso, 
la  mano  di  Dio  ha  fatto  un  cenno  —  e  quella 
soave  fronte  bianca  è  tutto  ciò  che  resta  di  lei.  » 


j.:j8  UNA    NUOVA    POETESSA    AMERICANA 

Aveva  bellissimi  occhi  ;  e  nello  sguardo  suo 
si  leggeva  l'ingegno  singolare,  e  la  bontà  rara 
deiranima.  Adorava  la  famiglia,  la  natura,  la 
poesia,  e  la  sua  Firenze  che  ha  cantato  con  amore 
e  con  entusiasmo  d' italiana. 

La  malattia  polmonare  che  la  rapì  alla  fa- 
miglia ed  all'arte,  la  colse  improvvisa,  e  resistè 
ad  ogni  cara.  Non  valse  nessun  cambiamento  dì 
clima.  Era  sacra  alla  morte  —  e  più  la  morte  si 
avvicinava,  più  si  affinava  e  si  spiritualizzava  in 
lei  il  senso  della  bellezza  e  della  poesia.  Come 
Keats  moribondo,  essa  vedeva  negli  ultimi  giorni 
visioni  di  eterea  bellezza,  da  desta  e  sognando. 
—  «  Lasciatemi  dormire  —  diceva  alla  madre  e 
alle  sorelle  desolate  —  io  vedo  cose  tanto  mara- 
vigliose  nei  miei  sogni  !  »  Una  mattina,  pochi 
giorni  prima  di  morire,  a  San  Remo,  disse  sve- 
oliandosi  che   «  era  stata   in    un    altro    mondo  : 

o 

anche  i^iù  bello  del  nostro,  dove  non  era  più  ma- 
lata. »  È  là  forse  che  ella  vide  gli  ivhite  days  of 
forgotten  Springs,  e  i  sudden  lirds  lolth  Summer  on 
their  loings,  che  essa  ha  cantato... 

Quando  venne  il  momento  fatale,  quando 
dopo  un  trabocco  di  sangue  si  sentiva  finire,  ac- 
cettò serena  la  morte,  e  consolò  eroicamente  chi 
l'assisteva.  «  Cara  mamma,  diceva,  perchè  piangi  ? 
Io  sono  felice  di  morire  cosi,  fra  le  tue  braccia,  e 
aver  qui  le  mie  sorelle.  Quante  infelici  muoiono 
invece  sole  negli  spedali!  Ci  rivedremo.  Non  pian- 
gete. /  am  going...  » 

E  furon  l'ultime  sue  parole. 


UiNA    NUOVA    POKTIvSSA    AMUIUCANA  239 

La  salma  fu  trasportata  a  Firenze,  e  ri^DOsa 
nel  Cimitero  Evangelico. 

La  mattina  della  sepoltura,  il  cielo  era  ve- 
lato da  fitta  nebbia  la  quale  pesava  su  Firenze 
da  più  di  quindici  giorni.  E  ciò  aumentava  la 
mestizia  della  funebre  cerimonia.  Ma  vi  fu  un 
momento  in  cui  il  sole  brillò  improvviso,  e 
parve  salutare  la  tomba  della  giovine  poetessa 
che  lo  avea  tanto  amato  e  cantato.  Tornavano 
iu  mente  le  parole  della  Vita  Nuova:  «  Guar- 
davo verso  il  cielo  e  pareami  vedere  moltitudine 
di  Angeli  i  quali  tornassero  in  suso,  ed  avessero 
dinanzi  a  loro  una  nuvoletta  bianchissima  ;  epa- 
reami  che  questi  Angeli  cantassero  gloriosamente.» 

Ho  detto  che  essa  amava  Firenze,  dove  ebbe 
fissa  dimora  nei  suoi  tre  ultimi  anni.  Ne  son  prova 
le  varie  poesie  che  essa  le  ha  consacrate  {Tuscan 
Hillsj  In  Florence,  Rispetti).  In  Florence  è  una  delle 
più  notevoli  del  volume,  per  la  precisione  grafica 
della  descrizione,  restando  pur  sempre  lirica  d'in- 
tonazione e  di  forma.  E  un  ricordo  di  Firenze 
nei  bei  mesi  dell'  anno.  «  Chi  non  ha  passato  una 
primavera  in  Firenze,  non  può  dire  di  conoscer 
r  Italia  in  tutta  la  sua  divina  bellezza  »  scriveva 
il  Leopardi  —  e  aveva  ragione  —  e  se  ne  ricordò 
nei  versi  ad  Aspasia.  Tre  poetesse  hanno  sentita 
e  tradotta  quella  divina  poesia:  Elisabetta  Brow- 
ning, Maria  Robinson  e  Cora  Fabbri. 

Traduco  alcuni  deliziosi  versi  di  quest'  ul- 
tima, 


240  UNA    NUOVA    POETESSA   AMERICANA 

«  Ricordo,  o  Firenze,  il  tuo  languido  silen- 
zio vespertino  appena  interrotto  dal  debole  suono 
di  campana  di  un  lontano  convento,  dal  murmure 
dell'  Arno  corrente. 

«  A  oriente,  1'  ombra  opaca  e  grigia,  illumi- 
nata aj)pena  da  una  stella  solitaria  ;  e  in  qualche 
parfce,  verso  ponente,  il  trillar  di  un  uccello. 

«  Rammento  la  finestra  di  dove  i  miei  oc- 
chi vedevano  il  Ponte  Vecchio  con  la  sua  antica 
fìsoiiomia,  come  una  gemma  preziosa  incastonata 
nel  tuo  cuore  d' oro. 

«  E  Fiesole  vaporosa,  dalle  pallide  nuvole, 
dal  verde-grigio  fogliame  degli  oliveti,  che  si  per- 
dono e  sfamano  all'  orizzonte. 

«  Ecco  r  antico  Duomo  col  suo  svelto  cam- 
panile, che  suona  l'ora  meridiana  —  Entrai:  tutto 
era  grigio  crepuscolo. 

«  Yi  era  un  debole  nuvolo  d' incenso  nel- 
l'aria, e  si  udiva  il  basso  monotono  mormorio  dei 
preti  che  dicon  messa. 

«  Che  pace  provai  entrando,  dopo  lo  stre- 
pito della  città  ;  coni'  era  solenne  la  voce  dell'  or- 
gano!... Io  non  pregai.  Il  silenzio  era  una  pre- 
ghiera. 

«  Poi  uscii  fuori  al  sole  ;  una  pioggia  di 
raggi  d'  oro  inonda  tutta  1'  allegra  piazza  :  un  nu- 
volo di  bianche  ali,  uno  stormo  di  colombi. 

«  Come  un  dolce  tumulto  di  parole  d'amore, 
svolazzano  e  scendono,  attraverso  la  splendida 
luce,  a  beccare  i  grani  d'  oro  in  qualche  mano 
pietosa.  ,     .   . 


UNA  NUOVA'  POETESSA  AMERICANA      241 

«  E  risalgo  il  viale  dei  Colli,  e  arrivo  a  quel 
punto  da  dove  ti  si  vede  tutta,  distesa,  come  un 
libro  aperto,  tra  '1  verde.  » 

Queste  terzine,  cosi  fiorentine  di  disegno  e  di 
colorito,  mi  fanno  tornare  in  mente  ^U  stupendi 
e  veramente  unici  versi  della  Browning  su  la 
campagna  che  riportai  già  tradotte  in  Aurora 
Leigli. 

Tanto  1'  antica  quanto  la  nuova  poetessa  si 
contentano  di  rendere  esattamente,  ma  poetica- 
mente, una  impressione  ricevuta  :  con  piccoli 
mezzi,  ottengono  grandi  effetti.  Oggi,  in  gene- 
rale, dipingendo  la  natura,  abbiamo  troppo  au- 
daci e  strane  pretese....  Si  vuol  descriver  tutto, 
assorbirla,  competere  con  lei.  E  non  pensiamo 
che  essa  fa  appello  contemporaneamente  all'  oc- 
chio, all'  orecchio,  ali'  intelletto,  al  cuore,  e  a 
tutti  i  sensi  dell'uomo:  che  ha  i  metodi  e  i  ma- 
teriali di  tutte  le  arti.  Competere  con  la  Natura, 
il  cui  sole,  come  scriveva  ieri  un  arguto  critico 
inglese,  non  possiamo  guardar  fissi  un  istante 
senza  abbagliare  —  con  la  Vita,  le  cui  passioni 
ci  consumano  e  ci  uccidono!  quale  delirio!  Noi 
non  possiamo  che  ascoltare  religiosamente  qual- 
cuna delle  grandi  voci  della  Natura,  afferrare 
qualche  nota  sparsa  della  formidabile  sinfonia, 
riprodurre  qualche  riflesso  dei  tesori  di  colori  e 
di  forme  che  questo  miracoloso  e  terribile  Uni- 
verso offre  ai  nostri  deboli  occhi. 

E  poi,  cosa  curiosa,  mentre  non  si  parla  che 
di  natura,  di  vero,   di    riprodurre    la    vita,  ecc., 

Kexcioxi.  —  Saggi  crilici  di  leti,  inglese.  IG 


24-2  UiNA   NUOVA   POETESSA   AMERICANA 

mai  è  stato  cosi  raro  com'oggi  il  trovare  poeti 
e  scrittori  che  amino  davvero  la  natura,  la  con- 
templino, la  vagheggino,  la  studino  direttamente. 
Le  nostre  descrizioni  naturali  si  preparano  coi 
materiali  trovati  nei  libri.  Si  adora  la  campagna 
nei  salons,  e  nei  gabinetti  di  lettura.  Scommet- 
terei che  molti  poeti  veristi  di  Francia  e  d' Ita- 
lia non  hanno  mai  visto  levarsi  il  sole  sulle 
Alpi  0  sul  mare.  Già  lo  diceva  il  vecchio  Words- 
worth  : 

The  World  is  too  mudi  witli  us  ;  late  and  soon, 
Getting  and  spending,  we  lay  waste  our  powers; 
Little  we  see  in  Xature  that  is  ours  ; 
"We  bave  given  our  hearts  away,  a  sordid  boon  ! 

E  quando,  dopo  tanto  attrito  di  mondo,  vo- 
gliamo ritornare  alle  salubrità  rurali  e  primitive, 
noi  ci  troviamo  out  oftune  con  la  bellezza  e  l'or- 
dine delle  cose;  come  il  povero  poeta  Mikhaél. 
Uditelo  : 

Maintenant  j'ai  revu  les  foréts  et  les  plaines, 

Et  j'ai  marche  dans  les  pàturages  herbeux  ; 

Ma  gorge  a  respirò  les  puissantes  haleines 

Qui  montent  du  sol  roux  blessé  par  les  grands  boeufs. 

Mais  corame  un  empereur  parrai  les  foules  viles, 
Je  suis  passe  dans  la  campagne  indifférent  ; 
Car  toujours,  en  mon  coeur  Tira  pur  amour   des  villes 
Chantait  plus  haut  que  la  forét  et  le  torrent. 

Quand  un  vent  balsamique  arrivait  des  vallées, 
J'avais  des  souvenirs  pervers  de  parfums  lourds  ; 
Et  les  soleils  épars  dans  les  nuits  constellées 
N'étaient  pour  moi  que  des  bijoux  sur  du  velours. 


UNA   NUOVA    POETESSA   AMERICANA  243 

Ho  detto  e  ripeto  che  le  poesie  più  essen- 
zialmente liriche  e  musicali  di  questo  nuovo  vo- 
lume sono  intraducibili.  Ma  scelgo  fra  esse  al- 
cune che  a  me  pare  possano  perder  meno  della 
loro  fragranza  ;  e  le  offro  al  lettore,  come  un 
eco  ammortito,  ma  fedele  dell'originale. 

Ecco  un  delizioso  apologo  che  rammenta, 
per  colorito  e  per  sentimento,  le  Oestliche  Rosen 
di  Rùckert. 

«  Là  su  la  muraglia  rampicava  una  bianca 
rosa  selvatica,  una  bianca  rosa  dal  viso  delicato 
—  e  saliva  e  saliva,  finché  a  tarda  sera  arrivò  a 
una  finestra.  Forse  —  ohi  sa?  —  l'aveva  scelta 
per  suo  luogo  di  riposo  —  e  piegò  la  testa  sul 
davanzale. 

«  E  a  quella  finestra,  per  tutta  la  primavera, 
stava  appeso  un  uccello,  in  un  triste  riposo.  Disse 
l'errante  rosa:  «  0  non  canti  mai?  »  Rispose  il 
mesto  uccello  :  «  Ma  di  che  dolci  cose  vuoi  tu,  o 
folle  rosa,  ch'io  canti?  Debbo  cantare  la  mia  so- 
litudine di  tutti  i  giorni?  o  la  mia  prigionia  in 
questa  gabbia  d'oro  ? 

«  La  lodola  canta  all'alba  rosata;  il  rosignolo 
canta  alle  argentee  stelle.  Io  non  vedo  mai  il 
primo  mattino,  e  quando  a  sera  nascon  le  stelle, 
vedo  solo  attraverso  queste  sbarre.  E  perciò,  io 
sono  sempre  mesto  e  taciturno.   » 

«  E  la  bianca  rosa  selvatica,  appena  l'uccello 
ebbe  finito  il  doloroso  lamento,  allargò  tanto  i 
suoi  petali   che   toccò    la    prigione    d'oro  —  e  il 


24 i      UNA  NUOVA  POETESSA  AMERICANA 

delicato  viso  della  bianca  rosa  arrossì  e  quel 
lieve  rossore  le  scese  al  cuore.  La  bianca  rosa  ar- 
rossì mentre  mormorava  ;  «  Guardami  !  Non  son 
bella  abbastanza  perchè  tu  canti  per  me  ?  » 

«  Allora  una  gran  gioia  venne  al  piccolo  au- 
gello —  una  gioia  che  esplose  dalla  sua  trepida 
gola  nella  più  dolce  musica  che  mai  si  fosse  sen- 
tita. I  cuori  che  la  udirono  furono  stranamente 
commossi  dall'amore  e  dalla  passione  di  quelle 
note.  «  D'onde  viene  questa  musica?  *>>  dicevano. 
«  Chi  lo  sa?  »  —  Ma  nessuno  s'era  accorto  della 
rosa  bianca. 

«  Quando  l'autunno  dalla  veste  purpurea 
venne  sulle  distanti  colline  a  tinger  di  fuoco  gli 
alberi  dei  campi  e  dei  boschi,  nella  piccola  gabbia 
regnava  un  triste  silenzio  ;  e  il  bruno  augello  era 
triste  ed  immobile.  «  Come  mai  questo  silenzio  ? 
Chi  sa?  »  dicevano;  e  nessuno  s'accorse  che  la 
rosa  bianca  era  morta.  » 

L' idea  della  morte  accompagna  sempre  i 
motivi  lirici  di  Cora  Fabbri,  come  una  sommessa 
funebre  orchestra.  Ma  è  sempre  associata  all'idea 
di  bellezza  e  di  pace,  come  in  Novalis  e  nella 
Browning.  Non  canta  la  morte  quale  asilo  e 
cessazione  di  patimenti,  come  Edgardo  Poe  e  Gia- 
como Leopardi.  Per  questi,  la  morte  era  il  su- 
premo rifugio.  Come  l'alcione  ferito  batte  le  ali 
stanche  sulla  gran  distesa  dell'  acque  in  tumulto, 
finché  non  trova  riposo  sulla  punta  ferrigna  di 
una    scogliera,    così    il    pensiero    di    questi    due 


UNA  NUOVA  POETESSA  AMERICANA      245 

grandi  infelici  non  trovava  tregua  che  fissandosi 
nella  morte.  Cora  canta  la  morte  come  un  pas- 
saggio da  cose  belle  a  cose  più  belle.  Ha  negli 
orecchi  il  canto  dei  rosignoli,  negli  occhi  il  co- 
lore dei  fiori  e  i  raggi  della  luna,  è  inebriata  di 
luce  e  di  profumi,  ma  spera  e  sa  dì  veder  presto 
un  più  poetico  mondo,  del  quale  la  Morte  sola  ha 
la  chiave. 

Eccone  un  esempio  :  ^ 

«  Un  rosaio  crebbe  cosi  alto  e  bianco  con  le 
sue  sette  rose,  che  pareva  una  nuvola  fra  la  terra 
e  il  cielo. 

«  Una  delle  sette  rose  cresceva  solitaria  sul 
ramo  più  alto,  come  una  bianca  stella  caduta  dal 
cielo. 

«  Io  la  colsi,  perchè  non  fosse  sfiorata  dalla 
pioggia  e  dal  vento  —  la  colsi  in  tutta  la  sua 
candida  verginità. 

«  V'era  una  fanciulla  morta  in  una  oscura 
camera,  in  un  luogo  solingo  —  due  candele  accese 
ai  suoi  piedi  e  alla  testa. 

«  Le  sue  pallide  labbra  sorridevano  in  una 
solenne  perfetta  pace,  come  non  sorridono  mai  le 
nostre  labbra. 

«  Io  diedi  la  mia  bianca  rosa  alla  morta  — 
pareva  meno  bianca  di  quella  giovine  fronte. 
Gli  altri  piangevano.  —  Ahimè  !  —  dicevano  — 
ahimè  ! 

«  Io  diedi  la  mia  bianca  rosa  alla  fanciulla 
—  ambedue  erano  state  colte  nella  loro  giovine 


246       UNA  NUOVA  POETESSA  AMERICANA 

purità...  E  mentre  tutti  gli  altri  piangevano  —  io 
sorridevo.  » 

Talora  essa  ha  quasi  un  desiderio,  un'aspira- 
zione alla  morte,  come  in  questa  lirica  intitolata 
Dead  Leaves. 

«  0  Rondine,  al  tempo  delle  foglie  morte, 
tu  voli  via.  Questo  nido  è  freddo,  quell'albero  è 
muto,  e  questo  cielo  sopra  noi  è  cosi  grigio  !  Ma 
dove  tu  sei  volata,  la  vita  è  tutta  una  giornata 
gioconda,  e  tu  dimentichi  che  queste  foglie  son 
morte. 

«  Così  i  cuori,  0  Rondine,  hanno  i  loro  giorni 
d'autunno,  e  foglie  che  muoiono.  Potessi  io  seguir 
te,  oh,  seguir  te,  e  arrivare  a  quell'altro  cielo  più 
caldo,  ed  essere,  in  qualche  nuovo  mondo,  felice  ! 
Ma  tutte  le  mie  foglie  son  morte,  ed  io  debbo 
rimanere...  Le  mie  foglie  son  morte,  e  ancora  non 
posso  volare  via...  » 

Qua  e  là  nel  volume  son  dei  ritratti,  schiz- 
zati con  una  bravura  e  una  leggerezza  di  tocco 
singolari  —  questo,  per  esempio  : 

«  Un'abbondanza  di  riccioli,  spioventi  da 
una  piccola  testa;  due  grandi  occhi,  né  azzurri, 
né  grigi,  come  il  cielo  fra  il  giorno  e  la  notte, 
una  piccola  bocca  rossa  —  e  tutto  é  detto. 

«  Nient'  altro  che  una  parola  piccante,  o 
un'occhiata  ;  una  mano  data  a  baciare  —  nul- 
l'altro  che  un  ricciolo,  un  nastro  tra  i  capelli  — 


UNA   NUOVA    POETESSA   AMERICANA  VH 

un  fiore,  fresco  ed  azzurro  —  e  pensare  che  cosa 
faranno  gli  uomini,  solo  per  questo  !  » 

Gli  fa  contrasto  il  ritratto  Una  vecchia  zit- 
tella^ dove  tra  le  altre  è  notevole,  per  patetica 
verità,  questa  strofa  : 

«  Dov'essa  siede,  tutto  è  quieto  :  non  v'  è 
mai  orma  di  piedini,  né  balocchi  rotti  lasciati  ca- 
dere da  mani  di  bimbi:  non  parole  d'amore, non 
pegni  d'amore,  né  liete  e  cordiali  risa...  Ah,  ^o- 
vero  cuore,  che  non  hai  mai  palpitato  udendo  un 
noto  passo  su  per  le  scale...  ^> 

Mi  son  riserbato  di  tradurre  per  ultime  al- 
cune brevi  poesie  passionate  intitolate  Note  mi- 
nori, e  che  ricordano  i  canti  popolari  Toscani. 
Sono,  a  mio  giudizio,  ammirabili  per  sentimento 
delicato  ed  intenso,  per  originalità  e  spontaneità 
d'  immagini,  e  per  ineifabi 
anche  in  una  traduzione  e 
vivo  il  sentimento  dell'arte. 


e  melodia.  Credo  che 
ebban   colpire  chi  ha 


«  Il  fiore  della  mia  vita  fiorì  in  amore  ed  in 
canto  quando  io  lo  incontrai  sotto  gli  olivi:  era 
cosi  bello  e  così  forte  l'amor  mio  !  Egli  ruppe  un 
ramo  d'olivo  e  lo  dette  a  me  :  me  lo  diede  in 
segno  di  tutto  il  suo  amore...  Il  ramo  d'olivo  è 
sempre  qui  —  ma  egli  dov'è  ?  I  miei  occhi  son 
pieni  di  lacrime.  Non  posso  vedere... 

«  Se,  0  diletto,  potessi  scegliere  un  dono  per 
te,  non  sceglierei  le  cose  più  belle  in  oro  ed  in 
gemme,  ma  sceglierei  per  te  una  giornata  To- 
scana e  la  manderei  a  te  lontano  :  un  giorno  To- 


248  UNA    NUOVA   POETESSA   AMERICANA 

scano,  eli'  è  cosa  si  dolce,  che  insegnerebbe  al 
tuo  cuore  Inglese  a  palpitare;  un  giorno  Toscano, 
che  è  si  dolce  cosa,  quando  è  colto  dal  cuore  della 
Primavera. 

«  Vidi  una  tomba  sotto  un  cipresso,  dimen- 
ticata, senza  croce,  senza  nome,  senza  preghiera. 
Ma  la  primavera  riparava  all'oblio  degli  uomini, 
e  vi  avea  deposti  i  suoi  fiori,  come  sorrisi  di 
bianchi  angeli.  Gli  allegri  uccelli  vi  passavan 
sopra  cantando,  e  dove  non  si  fermavano  gli  uo- 
mini, si  fermavan  essi  a  cantare:  dove  gii  uo- 
mini non  pregavano,  il  lume  della  luna  era  una 
preghiera...  Vorrei  che  quella  tomba  fosse  mia,  e 
che  io  fossi  là  dentro. 

«  Qualche  volta,  in  primavera,  ho  delle  strane 
fantasie.  Penso  che  gli  uccelli  che  ascoltiamo 
hanno  rubato  da  cuori  di  poeti  i  canti  che  can- 
tano, prima  che  le  labbra  dei  poeti  li  abbiano 
espressi  con  le  parole.  Penso  che  i  candidi  e  de- 
licati fiori  che  vedo  sul  mio  cammino  sono  dolci 
pensieri  perduti,  e  bei  sogni  svaniti.  E  i  rosolacci 
così  fragili  e  rossi  credo  sian  lacrime  di  sangue 
versate  da  cuori  infranti. 

«  Lascio  i  campi  con  tutti  i  loro  superbi  e 
splendidi  fiori,  coi  loro  tepidi  soli  e  il  mormorio 
dei  ruscelli,  per  cercare  la  pace  dei  boschi  che 
hanno  calme  ore  crepuscolari  —  i  boschi  dormenti, 
dove  gli  uccelli  sono  come  sogni  parlati.  Io  lascio 
i  campi  a  chi  sorride  e  a  chi  canta,  a  chi  trova 
nuove  gioie  in  ogni  primavera  novella.  Io  lascio 
le  esultanze  primaverili  ai  giovani  prati,  e  porto. 


UNA    NUOVA    POETESSA   AMERICANA  249 

le   mie   vecchie    morte   gioie    tra    gli  alberi  an- 
tichi. » 

Chi  non  s'accorge  che  son  qui  alcuni  versi 
degni  di  qualunque  insigne  poeta?  Che  vi  è  vera 
vena  lirica,  fresca,  schietta,  melodica  ?  —  Che  cosa 
non  avrebbe  potuto  fare  la  giovine  donna  che 
scriveva  questi  versi  o.  diciannove  anni?  —  Questi 
fiori  d'aprile  e  di  marzo,  di  qual  maggio  e  di  qual 
giugno  eran  promessa!  In  qual  mondo  poetico 
scioglierà  ora  i  suoi  canti,  la  poetessa  morta  ?  — 
Per  quali  nuove  vie  si  rivelerà  la  sua  anima  d'ar- 
tista ?  —  Non  so,  ma  certo 

somewbere,  oiit  of  human  view, 

Whatè'  er  her  hands  are  set  to  do, 
Is  wrouglit  with  tumult  of  acclaim. 

Il  libro  porta  in  fronte  questa  semplice  e 
toccante  dedica  : 

COME    UN    SEMPLICE    SEGNO 

DI  TUTTO    l'amore    E    LA    GRATITUDINE 

CHE    SERBO    IN    CUORE    PER    LUI 

IO    DEDICO 

QUESTO    VOLUME    A    MIO    ZIO 

EGISTO    P.    FABBRI. 

E  ora,  addio,  Cora,  addio  vero  poeta  !  Io  de- 
pongo sulla  tua  tomba  recente  queste  mie  parole, 
come  un  mazzo  di  fiori  imperlato  di  lacrime.  Ma 
no  --  per  te  non  si  deve  piangere. —  tu  sei  spa- 
rita «  con   gli  occhi  sempre  pieni   di  sogni,  e  le 


250      UNA  NUOVA  POETESSA  AMERICANA 

mani  di  fiori.  »  Amo  meglio  salutarti,  o  gentile 
poetessa,  con  le  parole  di  un  gran  poeta.  L'anima 
tua  luminosamente  serena  anche  quaggiù,  a  me 
piace  evocarla,  bella  e  raggiante,  con  questo  ap- 
pello passionato  di  Tennyson  : 

«  Vieni,  quando  le  rosee  ciocche  e  le  azzurre 
adornano  gli  orti  fragranti,  vieni  e  appariscimi! 
La  speme  dei  non  compiuti  anni  risplenda  lucida 
e  larga  sulla  tua  fronte!  Fra  le  rose  d'estate,  fra 
le  migliaia  di  onde  del  grano  intorno  alla  solitaria 
villa,  che  io  ti  riveda!  Non  già  nelle  paurose 
vigilie  della  notte,  ma  dove  il  raggio  del  sole 
ferve  più  caldo,  vieni,  bella  nella  tua  nuova 
forma,  e  come  una  luce  più  fulgida  in  mezzo  alla 
luce!  » 

{^'uova  Antoloijia,  16  febbraio  1892). 


251 


NEL  PRIMO  CENTENARIO  DI  PERCY  BYmii  SHELLEY 

(4  AGOSTO   1792-1892) 


Negli  anni  1819-22,  ultimi  della  breve  o 
straordinaria  vita  di  Shelley,  egli  era  nel  pieno 
sviluppo,  nel  pieno  fulgore  del  suo  genio  poetico. 
In  questi  anni,  scrisse  il  Prometeo  ed  1  Cencio  Ado- 
nais  e  Epiiosycìiiclion^  la  Lodola  e  la  Nuvola,  VOde 
al  vento  occidentale  e  la  Pianta  sensitiva;  otto  capo- 
lavori della  moderna  poesia.  E  in  quegli  anni  la 
critica  inglese  parlava  di  lui  come  di  uno  strava- 
gante ed  empio  poeta  di  decim'  ordine.  Nella  fa- 
mosa Piramide  in  cui  Byron  assegnava  il  grado 
ai  poeti  inglesi  contemporanei,  lo  Shelley  occupa 
il  penultimo  posto.  Quando  fu  pubblicato  il  Pro- 
metheus  Unhound^  il  Campbell  faceva  il  noto  epi- 
gramma: «  Questo  poema  rimarrà  sempre  sciolto 
{unhound)  perchè  chi  volete  che  sciupi  il  denaro 
per  rilegarlo?  »  —  Della  grande  tragedia  1  Cencio 
il  dramma  più  shakesj) eariano  del  nostro  secolo, 
non  si  venderono,  in  un  anno,  che  sole  dieci  copie; 
degli  Amori  degli  Angioli  di  Tommaso  Moore,  cen- 
tomila. 


252  NEL    PRIMO    CENTENAIUO 

Ma  il  tempo  è  il  gran  giustiziere.  Venti  anni 
dopo,  lo  Shelley  era  riconosciuto  come  il  princi- 
pale ispiratore  della  moderna  poesia  inglese,  anche 
più  di  Wordsworth  e  di  Coleridge  e  di  Keats.  In- 
fatti, Tennj^son  e  la  Browning,  Roberto  Brown- 
ing e  Swinburne  derivano   in   gran  parte  da  lui, 

0  almeno  ne  hanno  subito  l'irresistibile  fascino. 

Dal  cinquanta  in  poi,  Shelley  è  il  poeta  ideale 
dei  giovani,  il  poeta  ammirato  e  adorato.  Yi  è 
come  un  crescendo  di  ammirazione  e  di  studi 
shelleiani. 

Le  edizioni  si  succedono,  di  ogni  genere,  in 
ogni  formato,  a  tutti  i  prezzi:  dalle  edizioni  cri- 
tiche del  Forman  e  del  Rossetti,  all'  edizioni  po- 
polari, complete,  a  due  scellini.  Le  biografìe  sono 
innumerevoli,  e  su  tutte  ammirabile  e  veramente 
definitiva,  la  recente  del  Dowden.  Vi  è  una  Shelley- 
Society  che  ha  per  iscopo  di  illustrare  e  diffondere 
l'opera  del  gran  poeta. 

/  Cenci^  Eliade^  sono  stati  rappresentati  dai 
primi  artisti  e  con  sfarzo  unico  di   mise  en  scène. 

1  critici,  i  commentatori,  i  traduttori  più  o  meno 
felici,  abbondano  in  Francia,  in  Germania,  in 
Italia.  E  oggi  il  primo  centenario  di  Shelley  si 
festeggia  a  Londra  e  a  Edimburgo,  a  Parigi  ed  a 
Boston,  a  Oxford  ed  a  Viareggio. 

Su  gli  idtimi  giorni  di  Shelley^  su  la  sua  tragica 
fine,  la  cremazione  e  la  sepoltura,  è  uscito  ora  un 
libro  ricco  di  nuovi  documenti,  e  che  porta  la  luce 
su  vari  punti  discussi  finora  ed  incerti.  È  scritto 
da  Guido  Biagi,  e  n'è  editore  il  Civelli  in  Firenze. 


DI    PERCY    BYSSIIK    SHELLEY  ^53 

E  un  elegante  volume  con  accurate  e  pregevoli 
illustrazioni  del  Corcos  e  del  Formilli.  Questo  li- 
bro italiano  riempie  le  lacune  e  corregge  qualche 
inesattezza  della  celebre  opera  del  Trelawny  su 
gli  Ultimi  giorni  di  Ijyvon  e  di  Shelley.  È  un  no- 
bile e  degno  tributo  reso  alla  memoria  del  gran 
poeta,  che  ha  divinamente  cantato  l'Italia.  Il  vo- 
lume è  dedicato  «  A  Lady  Shelley  —  consapevole 
erede  —  di  una  gloria  immortale.  » 

Il  Biagi  ha  ritrovato  negli  Archivi  di  Stato 
di  Lucca  documenti  curiosissimi  riguardanti  la 
scoperta  del  vascello  su  cui  naufragò  il  poeta,  la 
cremazione  del  cadavere,  ecc.,  e  questi  e  altri 
documenti  cercati  e  raccolti  negli  Archivi  di  Fi- 
renze e  di  Livorno  gii  hanno  dato  modo  di  ap- 
purare diversi  fatti  finora  contradittori  e  confusi. 
Venne  poi  in  mente  al  Biagi  stesso,  due  anni  fa, 
di  indagare  se  del  bruciamento  del  cadavere  e  del 
ricupero  àoìV Ariel  vi  fossero  ricordanze  o  testi- 
moni oculari.  «  Dopo  sessantotto  anni,  egli  ci 
dice,  non  tutti  dovevano  esser  morti  gli  spettatori 
della  indimenticabile  scena;  e  fra  i  vecchi  che, 
con  la  pipa  in  bocca,  vedevo  accovacciati  sulla 
banchina  del  molo,  o  seduti  presso  all'  uscio  di 
quelle  casette  viareggine  che  apron  sulla  strada 
la  loro  povera  intimità,  ve  n'era  certo  taluno  vi- 
cino alla  novantina.  »  Messosi  quindi  d'  accordo 
col  distinto  ufficiale  di  marina  Pietro  Anselmi, 
consultarono  i  ruoli  della  Riserva  Navale,  e  tro- 
varono i  nomi  dei  più  vecchi  marinai,  cioè  dei 
più  j)robabili  testimoni.  E,  infatti,  alcuni  vecchi 


254  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

ottantenni  e  novantenni,  di  cui  nel  volume  si  ve- 
dono con  curioso  interesse  i  ritratti,  interrogati 
dal  Biagi  e  dall' Anselmi,  concordarono  nell'  indi- 
care i  luoghi  precisi  del  ritrovamento  deW Ariel  e 
del  bruciamento  del  cadavere.  Questo  accadde  in 
un  luogo  detto  Le  due  fosse.  Di  fianco  all'Ospizio 
Marino  Vittorio  Emanuele  ^  è  un  vasto  arenile 
chiuso  dal  lato  di  ponente  dalla  linea  della  Pi- 
neta. In  cotesta  piaggia,  fra  l'Ospizio  eia  Pineta, 
a  circa  250  metri  dal  mare,  è  il  luogo  in  cui  fu 
arso  il  cadavere  di  Percy  Bj^sshe  Shelley,  il  16  ago- 
sto 1822. 

In  tutto  ciò  che  attiene  al  poeta  del  «  libe- 
rato mondo,  »  scrive  il  Biagi,  spira  semplice  e 
vera  la  solenne  grandezza  del  Pathos  antico.  E  il 
Biagi  lo  ha  sentito,  e  ce  lo  fa  sentire,  nella  sua 
bella  e  particolareggiata  narrazione;  notevoli  so- 
pra tutto  le  belle  e  toccanti  pagine  in  cui  descrive 
le  ansietà,  le  agonie  delle  due  povere  donne,  la 
moglie  di  Shelley  e  la  moglie  di  Williams,  che 
aspettavano  invano  il  ritorno  dei  mariti,  là  in 
quella  tragica  villa  Magni,  che  il  Mantegazza  ha 
descritta  con  pittoresca  evidenza. 

Nel  volume  è  fotografata  la  tomba  di  Shelley 
in  Roma.  Questa  fotografia  mi  ha  rimesso  sott'  oc- 
chio, in  un  baleno,  quel  poetico  e  indimenticabile 
Cimitero  dove  riposano  accanto  il  poeta  di  Pro- 
meteo  e  quello  di  Endimione.  Il  Trelawnj^,  raccolte 
in  un'  urna  le  ceneri  di  Shelley,  le  fece  seppellire 
nel  Camposanto  inglese  di  Roma,  presso  la  pira- 
mide di  Caio  Cesti o.  Tra  l'erba  e  i  fiori  biancheg- 


DI   PERCY    DVSSIIE    SHELLEY  555 

già  un  marmo  dove  si  leggono  queste  parole  tanto 
eloquenti  nella  loro  semplicità: 

PERCY    BYSSHE    SHELLEY 
con    CORDIUM 

Il  poeta  di  Alastor^  il  più  grande  pittore  dei 
grandi  spettacoli  della  Natura,  ha  qui  una  tomba 
degna  di  lui.  E  non  lontane  di  qui  sono  quelle 
Terme  di  Caracallafra  le  cui  sublimi  e  pittoresclie 
rovine  io  Shelley  scrisse  gran  parte  del  Prometìieus 
Unhound. 

Anche  nella  lettura  di  questo  nuovo  libro  su 
Shelley,  vien  fatto  di  domandarsi  se  le  donne 
amate  da  lui  ebbero  buona  o  cattiva  influenza  su 
la  sua  vita  e  sul  suo  genio.  Le  pagine  che  ilBiagi 
consacra  a  Enrichetta,  a  Mary,  alla  Clairmont  e 
alla  Williams,  ritraggono  le  varie  loro  fìsonomie 
con  rara  abilità,  e  le  rivediamo  animate  e  viventi. 

La  morte  di  Enrichetta  è  la  vera  incancel- 
labile macchia  nella  vita  del  gran  poeta  —  è  la  sua 
vera  colpa  —  nonostante  le  attenuanti  del  carat- 
tere, della  passione  e  delle  circostanze  eccezionali. 

Questo  han  sentito  tutti  i  biografi  del  poeta; 
e  anche  i  più  caldi  e  ferventi  ammiratori  ed  apo- 
logisti, come  il  Rossetti  ed  il  Rabbe,  son  costretti 
o  a  tacere,  o  a  svisare  i  fatti,  o  a  ricorrere  a  dei 
cavilli;  giudicando  le  azioni  degli  uomini  straor- 
dinari con  un  nuovo  codice  di  morale,  differente 
da  quello  col  quale  si  giudicano  le  azioni  degli 
altri  uomini.  Ma  il  male  non  cessa  di  esser  male, 
anche  se  commesso  da  un  Groethe,  da  uno  Shelley, 


256  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

da  un  Byron,  da  un  Napoleone,  anzi,  la  gran- 
dezza dell'intelletto  aggrava,  piuttosto  che  sce- 
marlo, il  peso  e  la  responsabilità  della  colpa.  E 
la  colpa  si  trae  dietro  inevitabilmente  la  pena  —  e 
Shelley  dopo  il  disperato  suicidio  della  derelitta 
Eurichetta  non  ebbe  più  pace,  in  tutto  il  corso 
della  breve  e  visionaria  sua  vita;  e  fini  tragica- 
mente annegato  come  l'innocente  sua  vittima. 
Dico  innocente,  perchè  se  anche  fosse  provato, 
che  è  ben  lungi  dall'  esserlo,  che  essa  dojjo  V  in- 
giusto abbandono  avesse  avuto  un  amante  che  la 
lasciò,  il  vero  motivo  distruttore  della  sua  felicità 
e  istigatore  al  suicidio,  fu  il  tradimento  e  1'  ab- 
bandono di  Shelley,  e  la  gelosia  della  fortunata 
rivale.  Il  Biagi  osserva  giustamente  che  «  sulla 
vita  dello  Shelley  incombe  uno  strano  destino  a 
cui  egli  stesso  sente  di  non  poter  sottrarsi:  egli  è 
protagonista  di  un  dramma  reale  che  si  svolge 
secondo  un  arcano  disegno...  La  morte  della  po- 
vera Harriet  abbandonata  con  goethiana  indif- 
ferenza gli  pesava  forse  sull'anima;  e  la  immagine 
dell'infelice  velò  di  un'ombra  dolorosa  i  sei  anni 
in  cui  nell'affetto  e  nei  baci  di  Mary  e  nelle  pla- 
toniche adorazioni  di  altri  ideali  cercò  sollievo  e 
conforto.  »  Belle  e  giuste  parole,  confermate  da 
alcuni  significantissimi  versi  di  Shelley:  «  Non 
ho  pace  mai,  nò  dentro  me,  né  dintorno  a  me  — 
E  più  facile  che  abbian  pace  e  riposo  le  acque 
del  mare,  che  il  cuore  di  Shelley  —  La  distru- 
zione che  mi  consuma  mi  avvolge  come  un'atmo- 
sfera, e  infetta  ogni  cosa  che  mi  appartiene.  » 


DI    PERCY    BYSSfJE    SHELLEY  557 

Il  fatto  nella  sua  cruda  realtà  è  questo.  Shelley 
si  accorse  che  la  sua  già  aclorata  Enrichetta  che 
egli  aveva  rapita  alla  casa  paterna,  non  era  anima 
e  intelletto  corrispondente  al  suo,  ma  una  pura 
ingenua  e  bella  creatura  capace  solo  di  devozione 
e  di  amore.  In  quel  tempo  stesso,  conobbe  la 
splendida,  affascinante,  coltissima  figliuola  di 
Godwin,  entusiasta  e  audace  come  lui,  e  se  ne 
innamorò  perdutamente.  Allora  si  separò  dalla 
moglie,  non  per  un  mutuo  consenso,  ma  abban- 
donandola addirittura,  non  rea  di  nulla,  e  già 
madre  due  volte.  Fu  una  specie  di  soppressione 
dell'unico  ostacolo  alla  sperata  felicità  con  1'  al- 
tra.... Shelley  scappò  conia  Godwin^  e  Enrichetta 
si  suicidò.  Tre  settimane  dopo  il  suicidio  di  En- 
richetta, il  poeta  sposava  Maria. 

Unica  attenuante,  la  forza  di  una  passione 
subitanea,  violenta,  indomabile,  sullanima  di  un 
ardente  poeta  poco  più  che  ventenne.  Ma  la  scusa 
che  lo  Shelley  volle  addurre  a  se  stesso  ed  agli 
altri  è  sofistica  e  atrocemente  egoistica.  «  Chiun- 
que mi  conosce,  scriveva  ai  Peacock,  capirà  che 
la  compagna  della  mia  vita  deve  essere  una  donna 
che  senta  la  poesia  e  intenda  la  filosofia.  Harriet 
era  un  nobile  e  bello  animale  incapace  dell'  una 
cosa  e  dell'altra.  » 

Si  capisce,  leggendo  queste  parole,  che  il 
grande,  onesto  e  umano  Eoberto  Browning  po- 
tesse dire  che  ammirava  Shelley  come  poeta  so- 
vrano, ma  gli  repugnava  come  carattere. 

Pochi  anni   dopo,  in    Pisa,  ebbe  a  accadere 

Nexcioni.  —  Hagrji  critici  di  lett.  inglese.  17 


258  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

qualche  cosa  di  somigliante;  e  la  seconda  moglie 
corse  un  bel  rischio...  Il  poeta  si  innamorò  della 
bellissima  giovinetta  Emilia  Viviani,  da  lui  visi- 
tata nel  monastero  di  Sant'Anna.  Essa  fu  una 
specie  di  Beatrice  per  lo  Shelley,  e  la  mistica  e 
ardente  poesia  che  le  consacrò^  Epipsychidion.,  po- 
trebbe dirsi  la  Vita  Nuova  del  secolo  decimonono. 

Mary  che  conosceva  bene  il  poeta  marito, 
salvò  se  e  lui,  secondando  questo  amore  intel- 
lettuale-mistico-platonico, proponendo  perfino,  con 
calcolata  audacia,  di  rapir  di  convento  l'Emilia... 
ma  il  poeta  si  contentò  di  averla  cantata  —  e  la 
divina  Emilia  fu  poi  la  buona  borghese  signora 
Biondi,  disperazione  del  marito  e  della  suocera,  e 
mori  di  malaria  in  Maremma,  come  la  Pia...  O 
ironie  della  vita  ! 

Jane  AVilliams  è  la  donna  più  slielleiana  amata 
da  Shelley — è  una  visione  delicata  ed  eterea,  la 
vera  lady  della  Pianta  sensitiva^  musicista  magne- 
tizzatrice:  «  Dormi,  dormi,  dimentica  il  tuo  dolore 
—  la  mia  mano  è  sulla  tua  fronte  —  il  mio  spi- 
rito sul  tuo  cervello,  la  mia  pietà  sul  tuo  cuore, 
povero  amico.  —  Dormi,  oh  dormi,  e  in  questo 
sonno  — simile  a  quello  della  morte  e  dell'annien- 
tamento —  dimentica  la  vita  e  l'amore  —  dimen- 
tica che  dovrai  svegliarti  per  sempre  —  dimentica 
il  grave  oltraggio  del  mondo  —  la  salute  perduta 
e  i  divini  sentimenti  morti  nel  breve  mattino 
della  giovinezza  —  e  dimentica  me  pure,  perchè 
io  non  potrò  esser  mai  tua.  » 

Sarebbe    uno    studio   interessante    e  curioso 


DI    PERCY    RYSSHE    SHELLEY  259 

quello  dei  diversi  caratteri,  dei  diversi  tipi  di 
donne,  ammiratrici  e  devote  dei  grandi  scrittori, 
o  amate  da  loro.  Potrebbe  per  prima  cosa  affer- 
marsi, come  regola  generale  e  che  soffre  poche  ec- 
cezioni, che  le  donne  amate  da  poeti  uomini  di 
mondoj  comeByron,  Foscolo,  Miisset,  Enrico  Heine, 
eran  belle  —  quelle  cantate  da  poeti  idealisti  e  let- 
terati di  professione,  eran  brutte:  le  Rousseauiane, 
reveuses  ed  eroiche  ad  un  tempo  —  le  devote  di 
Chateaubriand,  incerte  tra  l'alcova  e  la  sagrestia 
—  le  Foscoliane,  sentimentalmente  sensuali  —  le 
Heiniane,  tenere  e  birichine  —  le  Balzacchiane, 
tutte  di  una  certa  età,  dai  languidi  e  dolorosi  tra- 
monti —  le  Zollane,  sboccate  e  ciniche,  ma  sin- 
cere.... 

Tra  le  poesie  di  Shelley  ve  ne  sono  alcune, 
come  La  Nuvola  o  V  Ode  ed  vento  d^Ovest,  che  sono 
poesie  di  i^ura  natura^  nelle  quali  l'oggetto  natu- 
jale  è  come  isolato  da  ogni  relazione  o  analogia 
umana,  e  studiato  e  inteso  nelle  sue  forme  elemen- 
tari. La  vita  della  Nuvola,  per  esempio,  è  descritta 
come  poteva  essere  milioni  di  anni  prima  che 
l'uomo  apparisse  su  questo  pianeta.  Shelley  è  un 
gran  pittore  di  paesaggi  celesti:  l'unico  che  gli  si 
possa  paragonare  in  questa  rarissima  facoltà  è  un 
gran  prosatore  inglese  —  John  Huskin  —  e  qua 
e  là,  nella  sua  colossale  opera  poetica,  Victor 
Hugo.  Nessuno  meglio  di  Shelley  ha  rappresen- 
tato nel  verso  i  cieli  in  tutti  i  loro  molteplici 
aspetti,  nelle   infinite   sfumature   dei  loro    colori, 


260  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

nella  mutabile  architettura  delle  loro  scene  su- 
blimi: all'alba  e  al  tramonto,  nella  pioggia  e  nella 
tempesta,  inondati  di  sole  o  luminosi  di  plenilu- 
nio, sconvolti  dal  vento  o  solcati  dal  fulmine. 

Come  poeta  del  mare,  Slielley  è  dei  primi  — 
non  primo.  E  inferiore  a  Enrico  Heine,  al  Cole- 
ridge, e  al  Swinburne;  che  a  me  sembrano  i  tre 
più  ammirabili  poeti  di  marine.  La  solenne  e  cla- 
morosa apostrofe  di  Byron  all'Oceano  si  direbbe 
scritta  in  vista  di  un  pubblico  plaudente  —  il 
pubblico  di  Bond- Street  —  tanto  vi  è  cercato  V ef- 
fetto. Solo  nei  primi  canti  delZ>o?i  Giovanni.^  Byron 
ci  dà  il  sentimento,  anzi  la  sensazione,  e  come 
l'odore  del  mare.  Shelley  lo  idealizza  troppo,  lo 
sente  e  rende  nella  massa,  di  rado  nei  particolari 
caratteristici.  Ne  interpetra  lo  spirito,  piuttosto 
che  rappresentarne  la  vita  e  la  fìsonomia. 

Nessuno  ha  inteso  e  tradotto  la  misteriosa 
poesia  dei  mari  solitari,  come  Coleridge  —  nes- 
suno ha  reso  la  varietà  nella  unità  della  vita  del 
mare,  come  Swinburne  e  Heine.  Quest'ultimo  è 
forse  il  più  grande  tra  quanti  hanno  dipinto  il 
mare  con  la  parola  poetica.  Le  grandi  onde,  le 
bianche  nuvole,  le  vecchie  leggende  del  porto,  il 
vaporoso  silenzio  del  mezzogiorno,  le  rosee  letizie 
dell'aurora  e  le  grandi  malinconie  del  tramonto,  le 
candide  vele  e  i  bianchi  alcioni,  il  plenilunio  dif- 
fuso su  le  onde  terse  e  pacificate,  o  i  singhiozzi  e 
i  ruggiti  fra  le  tenebre  dell'equinozio;  il  mare,  in 
una  parola,  vive  e  palpita  nelle  larghe'  e  luminose 
strofe  delle  Nordsee. 


DI    rERCV    P.YSSIIE    SHELLEY  201 

Lo  Shelley  è  il  più  magnetico  dei  poeti  ingle- 
si, e  il  più  costantemente  ispirato  dei  moderni  li- 
rici. Dalle  stellate  celesti  altezze  all'  umile  fiore 
dei  campi,  tutta  la  natura  palpita  nei  suoi  versi. 
Dalla  scena  tragica  all'idillio,  dal  coro  degli  astri 
al  sospiro  d'una  violetta,  dal  ruggito  dell'uragano 
al  trillo  di  una  lodola  —  egli  risponde  a  tutta  la 
^serie  dei  motivi  poetici,  e  percorre  tutta  la  gamma 
dei  suoni.  E  poeta  musicista  per  eccellenza.  Nes- 
suna sinfonia  di  Beethoven  può  dirsi  superiore 
alla  grande  sinfonia  Shelleiana  del  quarto  atto 
del  Prometeo.  Ne  "Weber  ne  Bellini  hanno  accenti 
di  una  dolcezza  più  penetrante,  di  un  sentimento 
più  intenso  di  quello  che  spira  da  certe  brevi  li- 
riche dello  Shelley. 

I  paragoni  che  si  son  fatti  tra  lo  Shelley  e 
gli  altri  grandi  poeti  inglesi  suoi  contemporanei, 
son  privi  di  base.  Lo  Shelley  è,  sotto  troppi 
aspetti,  unico  e  incompar abile.  Quelli  che  per  ori- 
ginalità, potenza  e  efficacia  più  gli  si  avvicinano, 
sono  Wordsworth,  Coleridge,  Byron,  e  Keats. 
Questi  quattro  in  alcune  doti  poetiche  e  artisti- 
che gli  son  superiori;  ma  lo  Shelley  li  vince 
tutti  nell'  insieme  e  nel  magnetismo  della  sua 
opera  maravigliosa. 

Ciò  che  distingue  "Wordsworth  da  Shelle}^  e 
da  tutti  gli  altri  poeti  inglesi,  è  che  egli  si  ispira 
ai  sentimenti  più  universali;  osserva  e  canta  la 
più  oscura  e  negletta  porzione  della  società,  e 
vede  sotto  poveri  travestimenti  e  sotto  umili  for- 


262  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

me,  la  eterna  bellezza  morale.  Egli  ci  rivela  i 
primitivi  sentimenti,  le  immutabili  affezioni  del- 
l' anima  umana.  Egli  ci  prova  che  la  bellezza  non 
è  un  privilegio  limitato  a  ciò  che  è  raro,  nuovo, 
e  lontano;  ma  che  è  profusa  su  tutta  la  madre 
terra,  e  brilla  anche  nei  più  ignoti  recessi  rurali, 
e  nel  cuore  e  nelle  azioni  della  più  umile  gente. 
Il  sentimento  della  natura,  e  più  specialmente 
della  natura  quieta  e  solenne,  della  pace  rurale 
e  silvestre,  AVordsworth  lo  ha  in  grado  supremo. 

Ciò  che  è  veramente  bello  e  ammirabile  e 
durevole  nell'  opera  ineguale  del  Coleridge,  cioè 
Cristabella^  V Antico  Marinaro^  e  Kuhla  Khaiij  è  un 
prodotto  di  pura  artistica  fantasia  velato  da  un'om- 
bra di  misticismo.  In  Coleridge  è  come  la  quintes- 
senza della  poesia;  si  direbbe  un  poeta  che  scrive 
solo  per  dei  poeti.  Oggi  in  Italia  possiamo  degna- 
mente apprezzarlo  nelle  belle  traduzioni  recenti 
di  Emilio  Teza. 

Byron  è  affatto  l'opposto  dello  Shelley  che  è  il 
musicista  per  eccellenza,  della  poesia  inglese.  Per 
Byron,  le  parole  anche  in  poesia  non  eran  che 
segni  precisi  delle  cose  —  e  il  suo  obbietto  era 
quello  di  dire  chiaramente  ed  energicamente  quello 
che  aveva  da  dire.  Le  finezze,  i  ceselli  dell'arte,  le 
variazioni  melodiche  gli  erano  ignote  o  le  dete- 
stava. 

Gli  Inglesi,  è  inutile  sconfessarlo,  non  amano 
Byron;  e  credo  per  due  forti  ragioni:  una,  che 
egli  non  amò  punto  loro;  e  disse  cose  atroci,  e 
imperdonabili  perchè  indimenticabili,  sul  loro  ca- 


DI    PERCY    BVSSUE    SHELLEY  263 

rattere  e  le  loro  istituzioni  sociali  —  1'  altra,  che 
Byroii  come  artefice  di  versi  fu  eclissato  dalle 
forme  perfette  e  dalle  incantevoli  melodie  di 
Shelley  e  di  Coleridge,  di  Iveats  e  di  Tennyson. 

Come  descrittore  di  situazioni  anormali,  or- 
ribili o  mostruose,  non  è  chi  lo  superi.  La  vita 
di  Byron  somiglia  la  sua  poesia:  una  vita  che  si 
slancia  attraverso  gli  ostacoli  con  la  fulminea 
rapidità  di  un  proiettile  —  un  magnifico  edilizio 
che  s'incendia  e  consuma' sfolgorando  e  tuonando. 
Solo  la  vita  del  Foscolo  rassomiglia,  in  minori 
proporzioni,  alla  sua.  ISTei  petti  di  ambedue  rug- 
giva un  indomabile  sjjìrito  guerriero. 

Come  satirico,  Byron  non  ha  in  tutta  Eu- 
ropa che  un  competitore,  o  superiore,  Enrico 
Heine.  L'onnipotenza  della  satira  Byroniana, 
specialmente  nel  Don  Giovanni^  il  sibilo  terribile 
delle  sue  frecce  d'oro,  durerà  imperituro  gastigo 
dei  tiranni,  degli  ipocriti  e  dei  pedanti. 

Il  poeta  inglese  contemporaneo  di  Shelley 
che  ha  veramente  qualche  analogia  con  lui  è  John 
Keats.  In  ambedue  è  vivo  il  sentimento  della  na- 
tura e  del  bello  plastico;  in  ambedue  è  schietta 
e  costante  la  visione  e  l'estasi  lirica;  ambedue 
son  maestri  insuperabili  di  armonia.  Ma  Keats  è 
forse  pittore  più  preciso  e  impeccabile;  Shelley 
più  vario  e  grande  melodista.  Keats  vede  forse 
meglio  le  forme  —  Shelley  vede  più  addentro  nel- 
l'anima delle  cose. 

Keats,  dal  primo  al  suo  ultimo  verso,  è  re- 
stato  sempre   il   poeta   adoratore   della    bellezza. 


264  NEL    PRIMO    CENTENARIO 

«  Il  Bello  solo  è  vero  »  era  la  sua  divisa.  Perfe- 
zionare la  forma,  fu  lo  scopo  costante  della  sua 
brevissima  e  gloriosa  vita  d'artista.  E  ciò  che  ve- 
ramente ci  fa  stupire  non  è  che  egli  scrivesse  un 
capolavoro  a  diciannove  anni.  Altri  lo  han  fatto, 
prima  e  dopo  di  lui.  Ma  il  miracolo  è  che  in  un 
tempo  in  cui  Shelley  stesso  qualche  rara  volta 
peccava  per  sovrabbondanza  o  negligenza  di  stile, 
e  Moore  e  Byron  erano  i  poeti  più  letti  e  ammi- 
rati, Keats,  poco  più  che  ventenne,  potesse  rag- 
giungere la  sovrana  armonia  di  composizione,  la 
suprema  perfezione  di  forma  dell'ode  A  un''  urna 
greca,  di  quelle  al  Roslgnolo  e  ?i\V Autunno,  e  del 
sublime  frammento  d' Ijyerione. 

Vagheggiando  il  Bello  antico  e  cantando  le 
antiche  favole,  Keats  vi  aggiunse  l'elemento  mo- 
derno della  passione,  come  più  tardi  il  Swinburne, 
e  la  vivacità  e  la  efflorescenza  di  un'immagina- 
zione prodigiosamente  feconda.  Tanta  prodigalità 
di  tesori  poetici  non  si  era  vista  da  Spenser  in 
poi.  La  poesia  di  Keats,  nella  sua  prima  maniera, 
è  come  una  foresta  vergine,  dove  i  larghi  foglia- 
mi, le  liane,  i  fiori  larghi  e  sfolgoranti  s'intral- 
ciano in  fantastici  arabeschi  ;  e  i  colori,  gli  splen- 
dori, i  profumi  e  la  musica  vi  abbagliano  e  vi 
inebriano.  Ma  nelle  Odi  ci  appare  poi  squisita- 
mente perfetto;  e  in  Ilyperion,  seppe  esser  sem- 
plice, austero  e  grande.  Hyperion  è  un  gruppo  an- 
tico gettato  in  bronzo  corintio. 

Keats  è  in  comunione  diretta  con  la  Natura. 
Egli  ha  l'aria  di  veder  per  la  prima  volta    i    fiori, 


DI    PERCY    BYSSIIE    SHELLEY  ^05 

i  boschi,  le  fontane,  il  mare,  le  stelle....  Il  meravi- 
glioso spettacolo  appare  a  lui  sempre  nuovo;  e  lo 
canta  col  divino  infantile  sorriso  dei  poeti  pri- 
mitivi. 

Ho  detto  clie  lo  Shelley  qualche  rara  volta 
pecca  per  sovrabbondanza  d'immagini  e  indeter- 
minatezza di  espressione.  Nessuno  fra  i  tanti  cri- 
tici dello  Shelley  ha  rilevato  questi  difetti  con 
più  precisione  ed  acume  di  Giuseppe  Chiarini  in 
un  suo  bello  studio  su  Shelley.  '  Altro  addebito 
che  si  fa  al  grande  poeta  è  che  la  sua  poesia 
è  troppo  spesso  astratta,  metafisica,  inisuhstan- 
tial]  deficente  nella  rappresentazione  dramma- 
tica del  reale,  un  po'  troppo  eterea  e  vaporosa. 
A  questo  addebito  il  poeta  potrebbe  rispondere 
trionfalmente  citando  alcuni  suoi  capolavori 
come  /  Cenci,  Giuliano  e  Maddalo,  dove  il  reale 
è  reso  con  una  energia  degna  di  un  Rembrandt 
e  di  uno  Shakespeare.  E  affrettiamoci  ad  ag- 
giungere che  la  vera  e  continua  sostanza  della 
poesia  shelleiana  sta  nel  costante  servizio  che 
essa  rese  alla  causa  dell'umanità:  è  in  ciò  che 
si  trova  quella  gravità  e  serietà  di  sostanza  e 
di  argomento  che  certi  critici  desiderano  nella 
poesia  di  Shelley.  Il  signor  Stopford  Brooke  os- 
servava poco  fa  giustamente  che  «  la  materia  di 
Shelley  non  è  quella  di  "Wordsworth  o  Tennyson. 
Egli  non  si  occupa  altro  che  raramente  della  vita 
umana  quale  essa  è:  ma  cosa  per  noi  di  grandis- 


*■  G.  Chiarini,   Ovibre  e  figure. 


266 


NEL    PRIMO    CENTENARIO 


sima  importanza,  della  vita  umana  come  dovrebbe 
essere^  una  volta  liberata  dai  mali  che  la  tormen- 
tano o  paralizzano.  Lo  Shelley  ci  rappresentò 
questi  mali,  li  descrisse  con  la  vivacità  del  suo 
odio  generoso,  e  fu  ed  è  cagione  che  un  grande 
e  sempre  crescente  numero  di  persone  li  detesti 
e  li  combatta.  Nessuno,  in  poesia,  ha  fatto  più 
di  lui  per  correggere  il  falso  concetto  della  divi- 
nità, per  rovesciare  i  fondamenti  dell'  ingiustizia, 
della  superstizione,  del  dispotismo,  delle  caste, 
della  schiavitù  corporale  e  spirituale  dell'uomo. 
Questa  è  in  gran  parte,  la  sostanza,  ora  distrut- 
tiva, ora  costruttiva  della  poesia  dello  Shelley.  » 

Se  lo  Shellej^  non  fosse  tragicamente  sparito 
nel  fiore  degli  anni,  i  Cenci  non  sarebber  rimasti 
il  solo  dramma  scritto  nella  grande  maniera  Eli- 
sabettiana. Egli  già  meditava  il  Carlo  /,  e  i  fram- 
menti che  ne  rimangono  attestano  un  potere 
drammatico  straordinario.  I  segni  del  vero  inge- 
gno drammatico  sono  in  questi  e  nei  Cenci  così 
chiari  e  così  indiscutibili,  come  quelli  del  genio 
lirico  nella  Lodola^  in  Adonaisj  nella  Nuvola  e 
nella  Sensitiva.  Lo  Shelley  era  uomo  capace  di  af- 
frontare la  luce  del  cielo  e  quella  dell'inferno, 
nella  loro  antitesi  eterna.  Ed  è  infatti  la  lotta 
fra  le  tenebre  e  la  luce  che  ha  aiFascinato  Shelle^^ 
nella  storia  di  Beatrice  Cenci:  la  grande  anti- 
tesi del  Bene  e  del  Male,  Beatrice  e  Francesco. 

Francesco  Cenci  è  una  terribile  figura  alla 
Webster,  ritratta  con   pochi    e   grandi   tocchi.  E 


DI    Pi:nCY    BYSSHE   SHELLEY  267 

l'ideale  del  genio  satanico,  il  trascendentalismo 
Dell'empietà  e  nella  mostruosità:  è  un  ammira- 
bile studio  sintetico  del  male  in  un'anima  umana; 
come  quello  di  Guido  Franceschini,  nel  gran 
poema  di  Browning,  è  uno  stupendo  studio  ana- 
litico. Il  Cenci  dello  Shelley  è  una  creazione  idea- 
listica; quello  di  Browning  è  un  ritratto  reali- 
stico—  ma  del  grande  e  spirituale  realismo  dei 
Balzac,  dei  Browning,  dei  George  Eliot,  e  dei 
Tolstoi;  che  è  cosa  ben  differente  dal  crudo  e  fa- 
cile realismo  di  certi  poeti  e  romanzieri  contem- 
poranei.... 

Che  dire  del  Prometheus  Unbound?  Per  subli- 
mità di  etico  e  di  estetico  concepimento;  per 
splendore  d'ideale  bellezza;  per  la  marmorea 
scultoria  maestà  dei  personaggi;  per  la  vas£a 
comprensione  dell'universo  intero  cooperante  al 
trionfo  e  al  benessere  deHnitivo  dell'umanità  ri- 
generata; per  la  magnifica  scala  ritmica  che  lo 
percorre  e  compenebra,  dalle  più  ineffabili  tenere 
melodie  al  ijienissimo  formidabile  di  una  orche- 
stra maravigliosa;  per  la  sinfonia  eterea  degli 
Astri  nell'atto  quarto,  dove  lo  Shelley  ha  espresso 
quel  che  finora  si  era  creduto  inesprimibile  dalla 
umana  parola;  — per  tutte  queste  rarissime  doti 
e  per  tante  altre  che  taccio  —  è  veramente  unico 
e  divino,  e  resterà  il  più  grande  esempio  di 
dramma  lirico  nel  secolo  decimonono. 

I  grandi  capolavori  di  Shelley  furon  quasi 
tutti  meditati  e  scritti  in  Italia.  A  Roma,  il  Pro- 
meteo; nel  Veneto,  Giuliano  e  Maddalo  e  i  versi  su 


268  MEL    PRIMO    CENTENARIO,    ECC. 

i  CoW  Euganei]  a  Firenze,  VOde  al  Vento  d^ Ovest., 
\Zo  Medusa.,  il  quarto  atto  e  i  cori  del  Prometeo]  a 
Livorno,  i  Cenci  (in  villa  Valso  vano)  e  la  Lettera 
a  Alarla  Gisborne,  e  la  Lodola  (in  casa  Ricci). 

Ancora  una  volta,  noto  con  vivo  piacere,  e 
con  tal  pensiero  concludo  questo  ricordo  di 
Shelley  in  occasione  del  primo  suo  Centenario, 
che  una  viva  simpatia  letteraria  ebbe  l' Inghil- 
terra per  l'Italia,  fin  dai  tempi  di  Chaucer;  dal 
Milton  al  Byron,  dallo  Shelley  a  Elisabetta 
Browning,  da  Roberto  Browning  a  Landor,  dal 
Swinburne  alla  Eobinson. 

(Nìwva  Antologia,  1  agosto  1892.) 


-2Cil 


LORD  TENNYSON 


È  degna  di  nota  nella  storia  della  moderna 
letteratura  la  longevità  di  alcuni  grandi  poeti,  e 
la  persistenza  del  genio  creatore  nella  più  tarda 
vecchiezza,  come,  ad  esempio,  in  Goethe,  Words- 
worth  Uhland,  Victor  Hugo,  Browning  e  Ten- 
nyson. 

Quest'  ultimo  ha  cessato  di  vivere  la  notte 
del  6  ottobre  a  Haslemere,  Aldworth  House,  nella 
età  di  ottantatre  anni.  Si  è  spento  tranquilla- 
mente, nella  sua  solitaria  e  poetica  residenza, 
circondato  dalla  famiglia,  senza  dare  alcun  segno 
di  patimento,  sereno,  nel  pieno  possesso  della 
sua  intelligenza. 

La  malattia,  se  così  può  chiamarsi,  è  durata 
appena  una  settimana.  Il  giorno  precedente  a 
quello  della  morte  del  poeta,  fu  di  eccezionale 
splendore  —  un  sole  glorioso  in  un  cielo  intensa- 
mente azzurro,  come  di  rado  si  vede  in  Inghil- 
terra. Il  poeta  si  senti  un  po'  sollevato,  e  chiese 
il    suo    Shakespeare.    Lo    aperse  e  lesse  qualche 


270  LORD    TE>"NYSON 

scena  del  Cymheliae^  guardando  alternamente  il 
cielo  splendido  e  il  libro.  Il  Sole  e  Shakespeare 
furono  le  due  ultime  visioni  di  Alfredo  Tennyson 
su  questa  terra.  Poi  si  assopì.  Destatosi,  senti 
vicina  la  morte:  somse  ai  suoi  cari  piangenti 
intorno  al  funebre  letto,  e  mormorò  all'orecchio 
della  sua  vecchia  e  santa  compagna  alcune  pa- 
role —  le  ultime.  Non  ebbe  agonia,  non  lotta  pe- 
nosa.  Tennyson  si  addormentò  nella  morte. 

Nella  camera  dove  sj)irò  il  gran  poeta  e  dove 
la  famiglia  piangeva,  non  furono  portati  lumi. 
La  piena  luna  di  ottobre  inondava  colla  sua  pla- 
cida e  mistica  luce  la  stanza— -e  metteva  un'au- 
reola Rembrandiana  sul  volto  del  poeta  morto. 
Non  conosco  più  bella,  toccante  e  solenne  morte 
di  poeta,  dopo  quella  di  "Walter  Scott. 

Verso  il  1830,  la  popolarità  di  Byron  co- 
minciava a  decrescere  in  Inghilterra,  benché  re- 
stasse sempre  viva  e  diffusa  nel  resto  d'Europa. 
Poeti  di  minore  potenza,  ma  più  abili  artefici  di 
verso,  e  lirici  più  immaginosi  e  melodici,  come 
Coleridge  e  Keats,  si  leggevano  con  nuovo  pia- 
cere, misto  a  maraviglia  di  non  gli  aver  fino  allora 
degnamente  apprezzati.  In  questo  momento  di 
reazione  antibj^roniana  apparve  sull'orizzonte  poe- 
tico d'  Inghilterra  la  stella  di  Alfredo  Tennyson. 
Ed  è  curioso  a  pensare  che  nella  sua  adolescenza 
Tennj'son  era  stato  un  adoratore  e  un  imitatore  di 
Byron.  Il  giorno  che  giunse  la  notizia  della  morte 
di  lui,  Tennyson,  che  aveva  allora  sedici  anni,  ne 


LORD    TI'NNYSON  271 

fu  colpito  come  dal  fulmine.  «  Credei,  narrò  poi 
da  se  stesso,  credei  che  il  mondo  dovesse  finire. 
Byron  era  morto....  tutto  il  resto  non  imj^ortava 
più  nulla.  Mi  ricordo  che  andai  a  passeggiarcela 
me  solo,  e  che  tracciai  col  bastone  sulla  sabbia 
queste  parole:  Byron  è  morto!  »  Belli  e  sacri  en- 
tusiasmi giovanili,  lacrime  di  ammirazione  pei 
grandi  poeti,  indizio  sicuro  di  vera  futura  gran- 
dezza, voi  divenite  ogni  dì  più  rari  in  questa 
stanca  e  sterile  Europa  contemporanea.... 

Ma  Byron  non  ha  lasciata  traccia  veruna 
nell'opera  poetica  di  Tennyson  —  se  non  forse 
in  qualche  accento  virilmente  passionato,  come 
Locksley  Hall.  I  poeti  predecessori  che  hanno  avuto 
qualche  influenza  sul  genio  di  Tennyson  sono 
visibilmcAte  Wordsworth  e  Keats. 

Alfredo  Tennyson  nacque  il  5  agosto.  1809 
a  Somersby,  villaggio  del  Lincolnshire,  dal  reve- 
rendo George  Clayton  Tennj^son,  rettore  di  So- 
mersby, e  da  Elisabetta  Fj^tche,  donna  di  squi- 
sita sensibilità  e  di  viva  immagiii  azione,  come  la 
madre  di  Lamartine.  Studiò  a  Cambridge,  e  an- 
cora adolescente  pubblicò  i  primi  suoi  versi  in 
società  col  fratello  Carlo  {Poesie  di  due  fratelli). 
Ma  la  pubblicazione  del  primo  volume  di  poesie 
sotto  il  solo  suo  nome,  nel  1830,  segna  un'epoca 
memorabile  nella  vita  di  lui  e  nella  storia  della 
letteratura  inglese.  Questo  primo  volume,  benché 
contenesse  alcune  squisite  poesie  come  il  Cigno 
morente.,  Clarihella^  Mariana^  e  fosse  maraviglioso 
come  opera  di  un  giovane  di  vent' anni,  non  fu 


273  LORD    TENNYSON 

subito  apprezzato  degnamente.  Ne  comparve  un 
secondo  nel  1832,  nel  quale  si  leggono  la  Si- 
gnora  di  Shalott,  la  Regina  di  Maggio^  il  Palazzo 
delVArte,  la  Visione  delle  Belle  Donne,  i  Lotofagi,  e 
questo  attirò  l'attenzione  del  pubblico  e  della  cri- 
tica, e  se  ebbe  acri  detrattori  ebbe  anche,  in 
special  modo  fra  i  giovani,  ammiratori  ferventi. 
Ma  il  libro  che  assicurò  e  consacrò  la  fama  e  la 
popolarità  di  Tennyson,  fu  il  volume  pubblicato 
nel  184:"2,  col  titolo  di  Idilli  inglesi  ed  aitile  Poesie. 
Qui  sono  dei  capolavori  come  Ulisse,  il  Castello 
di  Locksley.  la  Quercia  parlante,  Dora,  San  Simone 
Stilita.  Allora  si  rilessero,  si  gustarono,  si  ammi- 
rarono anche  i  due  volumi  precedenti;  e  Ten- 
nyson fu  riguardato  per  unanime  consenso  come 
il  primo  poeta  vivente  dell'  Inghilterra. 

Dal  30  al  42,  accadde  dunque  un  curioso  fe- 
nomeno. Il  pubblico  gustava  già  AVordsworth  e 
Keats,  voleva  la  verità  nella  descrizione,  la  realtà 
anche  nella  fantasia,  la  perfezione  delle  strofe  e 
del  verso.  Tennyson  fu  una  vera  rivelazione. 

Locksley  Hall  è  forse  la  più  popolare  ti%  le 
poesie  di  Tgnnj^son.  Yi  è  in  questa  poesia,  unica 
nel  suo  genere,  una  felice  unione  di  forma  elabo- 
rata e  di  accenti  semplici  e  primitivi,  di  melodie 
perfette  e  di  gl'idi  strazianti,  di  lirismo  e  d'iro- 
nia, di  patetico  e  di  satira,  di  umorismo  e  di  elo- 
quenza. Il  poeta  vi  canta  il  suo  primo  disinganno, 
il  disinganno  d'amore;  e  rivisitando  i  memori 
luoghi,  non  trova  conforto  che  nel  confondersi 
cuore  e  mente  con  le  aspirazioni  umanitarie  del 


LOKD    TENNYSON  27;3 

SUO  tempo.  E  l' elegia  si  converte  in  inno,  il  sin- 
gulto in  entusiasmo,  nel  contemplare  i  presenti 
progressi  e  i  futuri  miracoli  della  Scienza.  Yi  è, 
come  nel  quarto  atto  del  Prometeo  di  Shelley, 
l'apoteosi  dell'Umanità.  Amy,  l'adorata  cugina, 
ha  mancato  al  suo  giuramento  di  amore,  ha  ob- 
bedito alle  fredde  ragioni  della  madre,  e  ha  spo- 
sato un  altro...  un  buon  filisteo^  che  il  poeta  indi- 
gnato marca  cosi  col  suo  strale  d'oro: 

«  Tale  il  marito,  tale  la  moglie:  tu  sei  ac- 
coppiata a  un  gaglioffo,  e  la  rozzezza  del  suo  ca- 
rattere avrà  peso  da  farti  piombare  in  basso,  al 
suo  stesso  livello.  Egli,  a^^pena  smussata  la  prima 
forza  della  passione,  ti  terrà  come  qualche  cosa 
di  meglio  del  suo  cane,  e  gli  sarai  un  poco  più 
cara  del  suo  cavallo.  Che  c'è?  ecco,  i  suoi  occhi 
son  gravi  e  j)esanti...  non  credere  che  sia  effetto 
del  vino...  va' a  lui,  è  tuo  dovere;  bacialo,  prendi 
nella  tua  la  sua  mano.  Forse  il  tuo  signore  è 
stanco,  il  suo  cervello  è  affaticato  —  divertilo 
con  le  tue  più  fini  fantasie,  carezzalo  coi  più  de- 
licati pensieri.  Egli  ti  risponderà  a  pro^^osito  cose 
molto  facili  a  capire...  Oh,  meglio  tu  mi  fossi  ca- 
duta morta  dinanzi,  ti  avessi  uccisa  io  stesso  con 
le  mie  mani!...  Penserò  io  a  lei  come  a  una  mor- 
ta, e  l'amerò  ancora  per  l'amore  che  mi  portò? 
—  No  —  essa  non  mi  amò  mai  veramente  —  il 
vero  amore  è  amore  j^er  sempre.  » 

Ed  ecco  la  famosa  visione  del  trionfo  del- 
l'areonautica  che  cambia  gli  aspetti  e  le  sorti 
della  Società  umana. 

^■K^•C10^•I.  r-  Sa^gi  critici  di  Utt.  inglese  18 


274  LORD   TENNVSON 

«  ...  Io  mi  immergevo  nel  futuro  quanto  pro- 
fondamente occhio  umano  può  scorgere:  vedevo 
la  visione  del  mondo  e  le  future  sue  maraviglie 
—  i  cieli  pieni  di  commerci,  galere  con  magiche 
vele,  piloti  del  purpureo  oriente  scendenti  con 
preziosi  carichi.  Udivo  empirsi  i  cieli  di  grida,  e 
piovere  una  orribil  rugiada  dalle  aeree  navi  delle 
nazioni  lottanti  nell'azzurro  centrale;  e  tra  l'im- 
menso caldo  soffio  dei  venti  del  Sud,  le  bandiere 
dei  popoli  lanciarsi  attraverso  la  tonante  tempe- 
sta... finche  il  tamburo  della  guerra  non  si  sentiva 
più  battere,  e  gli  stendardi  delle  battaglie  erano 
ripiegati  e  sospesi  nel  Parlamento  dell'umanità, 
nella  Federazione  del  mondo.  » 

Questa  visione  profetica  dei  mutati  destini 
dell'umanità  nel  trionfo  dell' areonautica,  l'hanno 
avuta  egualmente  il  Monti  e  Shelley,  Whitman  e 
Victor  Hugo. 

Sessant^  anni  dopo^  il  poeta  ricantò  Locksley 
Hall  —  ma  come  l'intonazione  è  cambiata!  Una 
solennità  sacerdotale,  un  accento  di  mistica  acquie- 
scenza son  succeduti  ai  fremiti  battaglieri,  e  ai 
gridi  della  passione.  Il  poeta  da  ottimista  utopi- 
sta è  diventato  un  acre  censore  e  un  sinistro  mi- 
nacciatore  della  società  contemporanea.  Il  secondo 
Locksley  Hall  si  direbbe  la  palinodia  del  primo. 

La  Principessa^  poema  pubblicato  nel  1847, 
parrebbe  scritto  da  un  giovane  immaginoso  del- 
l'epoca^ Elisabettiana.  Vi  sono  la  profusione  e  la 
efflorescenza  del  Rinascimento  inglese.  I  personaggi 
paion  quelli  di  una  féerie  sentimentale;  caldi  di 


LORD    TENNYSON  27d 

emozioni,  eccessivamente  lirici  di  sentimento,  di 
linguaggio  e  di  azione.  Non  si  sa  a  che  epoca  ap- 
partengono, di  dove  vengono,  né  precisamente 
che  cosa  vogliono.  La  bella  Ida  figlia  del  re  di 
Gama,  superba  bellezza  michelangiolesca,  è  figura 
indimenticabile.  Ma  il  dramma  è  assurdo  e  intral- 
ciato, una  vera  fantasmagoria  di  carnevale.  Vi  si 
discutono  le  più  vitali  questioni  sociali  —  l' eman- 
cipazione della  donna.  Vi  è  una  spece  di  club  di 
emancipate  che  avrebbe  dato  materia  di  eterno 
riso  a  Enrico  Heine....  e  per  esser  giusto,  mi  af- 
fretto a  dire  che  anche  il  poeta,  a  momenti,  sem- 
bra sorridere  del  suo  soggetto,  ma  non  abbastanza. 
Ciò  che  salva  e  serba  immortale  questo  poema  è 
la  scena  d'amore  finale,  cosa  veramente  divina,  e 
le  squisite  deliziose  liriche  che  vi  sono  sparse  come 
preziosissime  gemme;  alcune  delle  quali  sono  fra 
le  più  ammirate  e  popolari  di  Tennyson. 

Questo  poema  tutto  visioni  sfolgoranti  di 
orientale  bellezza  fu  scritto  da  Tennyson  tra  le 
nebbie  di  Londra,  tra  il  sudicio  fumo  di  Lincoln's 
Hill.  Lo  ricordino  quei  Parnassiens,  Estetici^  deca- 
denti, bizantini,  dilettanti,  che  oggi  non  potreb- 
bero scrivere  un  rigo  se  non  assisi  su  molli  divani, 
circondati  di  fiori,  di  gingilli,  di  stoffe,  di  quadri, 
come  le  eleganti  adultere  di  Bourget.  Tennyson 
evocò  visioni  di  celeste  bellezza  dalle  tenebre  di 
Lincoln's  Hill.  —  Gian  Paolo  scrisse  i  suoi  primi 
romanzi  in  una  povera  stanza  dove  le  donne 
stiravano  e  i  bambini  piangevano.  —  Hoffmann 
scrisse  il  Vaso  d^oro^  capolavoro  ammirato  da  Bai- 


276  LORD    TENNVSON 

zac  e  tradotto  da  Carlyle,  in  una  soffitta  di  Dre* 
sda,  alla  vigilia  della  battaglia  di  Lipsia,  tra  il 
rombo  dei  cannoni  degli  Alleati.  —  Burns  cantò  i 
suoi  ultimi  tre  canti  immortali,  con  la  morte  e  i 
creditori  alla  porta.... 

Il  1850  può  dirsi  V anmis  mirabiUs  della  vita 
di  Tennyson.  In  quest'  anno  pubblicò  In  Memoriamo 
fu  eletto  a  succedere  a  Wordswortb.  come  poeta 
Laureato j  prese  moglie,  e  si  ritirò  a  Farringford. 

Vorrei  dare,  per  quanto  i  limiti  di  questo  ar- 
ticolo me  lo  permettono,  una  esatta  idea  di  In 
Memoriam^  scegliendo  e  traducendo  letteralmente 
qualche  passo  dei  più  notevoli. 

Arturo  Hallam,  figlio  dell'  illustre  storico, 
amico  intimo  di  Tennyson  e  fidanzato  alla  sorella 
di  lui,  mori  quasi  improvvisamente  a  Vienna.  Il 
volume  lìi  Memorlam  si  compone  di  centotrenta 
brevi  poesie,  tutte  nel  medesimo  metro,  consacrate 
alla  memoria  del  morto  amico.  La  monotonia  del- 
l'argomento e  della  versificazione  parrebbe  do- 
vesse ingenerare  nel  lettore  stanchezza  e  tedio;  e 
può  parer  anche,  a  prima  impressione  poco  virile 
•e  poco  naturale  tanta  vena  elegiaca  sul  sepolcro 
di  un  amico.  Ma  se  il  soggetto  è  sempre  lo  stesso, 
se  ogni  particolare  è  raccolto  nella  funebre  unità 
del  poema;  vi  è  però  tanta  varietà  di  descrizioni, 
di  commoventi  memorie,  di  lìriche  ispirazioni,  di 
pensieri  e  di  sentimenti;  vi  è  tanta  venustà  e 
spesso  tanta  larghezza  e  magnificenza  di  forma, 
che  non  solo  questo  libro  si  legge  volentieri,  ma 
va  classificato  fra  quei  pochissimi  che  si  tornano  a 


LORD    TEXNYSON  277 

leggere  e  meditare,  trovandovi  sempre  nuove  ve- 
rità, e  nuove  bellezze. 

Chi  era  quest'uomo  che  destò  si  vivo  entu- 
siasmo e  lasciò  si  acuto  rammarico  nel  cuore  di 
un  poeta  come  Tennyson?Era  un  nobile  e  gene- 
roso carattere,  una  natura  magnetica  dalle  pronte 
e  benefiche  influenze,  un  giovine  che  senza  aver 
lasciato  opere  insigni  e  nome  famoso,  apparteneva 
tuttavia  alla  nobile  famiglia  dei  Sidney,  degli 
Schiller,  e  degli  Shellej^: 

«  ...  Parola  che  sgorgava  dal  cuore,  da  intime 
sorgenti  mai  esauste;  il  critico  acume  di  un  occhio 
che  avea  visto  tutte  le  luminose  vie  delle  Muse; 
una  logica  ardente  che  vinceva  i  dubbi  dell'uomo, 
e  trascinava  l'uditore  nel  suo  irresistibile  corso; 
una  natura  elevata,  innamorata  del  bene,  ma 
franca  d'ogni  ascetica  debolezza;  amore  di  libertà, 
raramente  sentito,  non  un  turbolento  fanatismo 
da  scolari,  ne  il  cieco  isterismo  dei  Celti;  virile 
proposito  fuso  con  grazia  femminea,  in  modo  che 
vedendolo  i  fanciulli  spontaneamente  gli  pren- 
devan  la  mano,  e  godevano  a  guardar  nel  suo 
volto...  » 

Il  poeta  lo  sa,  e  lo  confessa,  che  anche  questi 
modulati  lamenti  son  vanità;  né  canta  perchè 
speri  lode  dagli  uomini;  ma  vuole  assaporar  1& 
sue  lacrime,  écouter  sa  hlessure,  e  trova  nel  triste 
meccanico  esercizio  del  verso  un  assopimento  al 
proprio  dolore.  «  Queste  pagine,  ei  dice,  serviranno 
forse,  tra  pochi  anni  a  ricuoprire  un  libro,  a  fode- 
rare una  scatola,  a  far  papillottes  per  le  signore....  »; 


578  LORD   TENNYSON 

ma  che  importa  al  poeta?  ai  suoi  giorni  ottene- 
brati è  conforto  il  malinconico  ritmo;  e  parlare 
del  suo  dolore  gli  è  più  caro  di  ogni  plauso  e  di 
ogni  fama. 

In  questo  costante  pensiero  del  defunto  amico, 
egli  si  sente  trasfigurato  e  fatto  migliore:  perchè 
solo  i  puri  di  cuore  e  sani  di  mente  possono  aver 
comunione  coi  morti. 

«  ....  Essi  si  rivelano  alle  anime  silenziose  e 
calme,  amano  le  immaginazioni  quiete  e  serene, 
le  memorie  simili  a  cieli  senza  nuvole,  le  co- 
scienze tranquille  come  un  mare  in  riposo:  ma 
quando  il  cuore  è  pieno  di  tumulto  e  di  dubbi? 
essi  si  affacciano  ad  ascoltare,  e  poi  si  ritirano.  » 

Ammaestrato  dai  nobili  esempi  del  morto,  e 
purificato  dal  proprio  dolore,  il  poeta  gli  parla 
egli  si  confida:  ma  sempre  in  tono  d'inferiorità, 
con  un  accento  di  affettuosa  e  timida  riverenza  — 
«  come  una  povera  ragazza  innamorata  di  un 
gran  signore,  la  quale,  mentre  accudisce  alle  gior- 
naliere faccende  nell'  umile  casetta  ov'  è  nata, 
pensa  e  sospira  a  lui,  cosi  superiore  e  cosi  di- 
stante da  lei.  I  vicini  la  canzonano  tutto  il  giorno, 
e  la  notte  nella  sua  solitudine  essa  piange  e  con- 
fessa: quanto  son  vana!  come  potrebbe  egli  amare 
una  così  umil  creatura?  » 

Ma  ecco  la  nave  che  riporta  in  patria  il  caro 
e  sacro  peso.  Il  poeta  la  vede  e  la  sorveglia  con 
ansietà  angosciosa  e  con  terrori  d'amante  :  —  «  Tu 
riporti,  o  nave,  il  marinaro  alla  sua  moglie,  i 
viaggiatori  da  terre  lontane  alla  patria;  tu   porti 


LOUD   TENNYSON  279 

delle  lettere  che  saranno  aperte  con  mani  tre- 
manti, e  il  funebre  peso  di  una  vita  svanita. 
Ma  pure  riportalo,  o  nave;  noi  abbiamo  dei  vaghi 
terrori  —  a  noi,  schiavi  dell'  abitudine,  par  più 
dolce  di  riposare  sotto  la  terra  fiorita  che  beve  i 
raggi  del  sole  e  la  pioggia;-  e  mi  si  stringe  il 
cuore  al  pensiero  che  egli  potesse  essere  som- 
merso con  te,  e  che  quelle  mani,  cosi  spesso  strette 
fra  le  mie,  restassero  intricate  fra  le  conchiglie  e 
1'  alghe  marine.  » 

E  aspettaudo  la  nave,  a  momenti  gli  pare 
impossibile  che  debba  riportargli  un  cadavere, 
invece  del  vivente  e  giovine  Arturo.  E  su  questo 
pensiero  tanto  naturale,  e  provato  tante  volte  da 
chiunque  ha  perduto  una  cara  persona,  ecco  cin- 
que strofe  di  un'  ammirabile  semplicità  e  perfe- 
zione di  forma. 

«  Se  qualcuno  mi  recasse  1'  annunzio  che  tu, 
0  nave,  oggi  hai  toccato  terra,  ed  io  mi  avviassi 
alla  spiaggia,  e  ti  trovassi  ancorata  nel  porto  — 
e  standomene  li  tutto  chiuso  nel  mio  dolore,  ve- 
dessi i  tuoi  passeggeri  scender  giù  in  fila  cer- 
cando con  gli  occhi  i  lor  conoscenti  —  se  insieme 
ad  essi  io  vedessi  venire  1'  uomo  che  per  me  fu 
una  creatura  quasi  divina,  e  mi  stringesse  a  un 
tratto  la  mano,  e  mi  domandasse  mille  cose  di 
casa  nostra  —  io  gli  raccontassi  quanto  ho  sof- 
ferto, e  come  la  mia  vita  fu  presso  a  mancare;  ed 
egli  compatisse  al  mio  3fcato,  e  stupisse  di  questa 
fissazione  del  mio  cervello  —  e  io  non  riscon- 
trassi nessun  segno  di  mutamento,  nessun  iildizio 


280  LORD    TENNVSOIV 

di  morte  in  tutta  la  sua  persona,  ma  lo  trovassi 
in  tutto  e  per  tutto  lo  stesso;  non  mi  parrebbe 
cosa  strana  e  impossibile.  » 

Ma  pur  troppo  questo  non  è  che  un  sogno,  e 
quelle  labbra  già  si  eloquenti  sono  sigillate  per 
sempre  dal  dito  della  morte.  Il  poeta  nelle  buie 
mattinate  di  Londra  ricerca  istintivamente  i  luo- 
ghi ove  era  usato  conversar  con  l'amico;  ma  il 
pensiero  che  non  lo  troverà  più,  mai  più,  accre- 
sce il  suo  spasimo. 

Il  dolore  e  il  desiderio  del  caro  estinto  si 
fanno  anche  più  vivi  e  sensibili  quando  ricorrono 
certe  feste  dell'  anno  —  Natale,  Capo  d'  anno,  Pa- 
squa. Allora  le  memorie  si  affollano  nel  cuore 
esulcerato:  e  negli  occhi  della  sorella,  vedova 
prima  che  sposa,  il  poeta  vede  riflesso  il  proprio 
dolore.  Le  campane  squillanti  per  V  anno  nuovo 
sono  liricamente  apostrofate  in  questi  nobili  versi  : 

«  0  campane  squillanti  pel  diffuso  cielo,  suo- 
nate via  le  fuggenti  nubi,  la  gelida  luce;  l'anno 
se  ne  muore  nella  notte;  suonate,  o  campane,  e 
lasciatelo  morire. 

e  Suonate  via  il  vecchio  —  suonate  nel  nuo- 
vo :  suonate,  felici  campane,  di  contro  alla  neve  : 
l'anno  se  ne  va;  vada  pure:  suonate  via  il  falso, 
suonate  alla  verità. 

«  Suonate  via  una  causa  ormai  vinta,  ma  che 
stenta  a  finire  — -  le  vecchie  forme  di  fazioni  e  di 
lotte:  suonate  a  più  nobile  tenore  di  vita,  con  co- 
stumi più  dolci,  leggi  più  pure. 

«  Suonate  via  il  bisogno,  la  cura,  il  peccato; 


LORD    TENNYSON  381 

la  spietata  freddezza  dei  tempi:  suonate  via  le 
mie  funebri  rime;  suonate  al  nuovo  e  più  per- 
fetto poeta. 

«  Suonate  via  ogni  antica  forma  di  luridi 
mali;  la  vile  cupidigia  dell'oro:  suonate  via  le 
mille  guerre  passate;  suonate  ai  mille  anni  di  pace 
avvenire. 

«  Suonate  al  nuovo  uomo,  libero  e  forte,  dal 
cuore  più  largo,  dalle  mani  più  generose.  Su(j- 
nate  via  tutte  le  tenebre  della  terra;  suonate  al 
Cristo  che  ha  da  venire!  » 

Finché  almeno  ci  è  dato  abitare  nei  luoghi 
pieni  dei  ricordi  di  un  caro  estinto,  si  può  tro- 
vare sollievo.  E  il  dolore  di  Tennyson  crebbe  il 
giorno  che  la  sorte  lo  staccò  per  semjDre  dalla 
memore  villa.  Quando  saliva  su  la  più  alta  delle 
circostanti  colline,  da  un  punto  all'altro  del  pae- 
saggio che  aveva  sott'  occhio,  non  vedea  luogo 
che  non  gli  ispirasse  qualche  memoria  del  morto 
amico:  non  vi  era  vecchia  grigia  fattoria,  non 
bassa  solitaria  palude  dai  mormoranti  canneti, 
non  semplici  siepi  da  campo  a  campo,  non  pasto- 
rali ruscelli  che  seguono  le  curve  dei  prati,  che 
non  sembrassero  rammentarsi  di  essere  stati  os- 
servati ed  amati  da  queir  occhio  intelligente  e 
sereno,  ora  per  sempre  chiuso  ad  ogni  scena  ter- 
restre.... —  «  Chi  ci  verrà  dopo  noi,  dice  il  poeta, 
è  uno  straniero,  a  cui  tutto  sarà  muto  e  indiffe- 
rente; finché  poi,  o  eterne  vicissitudini!  dal  giar- 
dino e  dal  bosco  spireranno  nuove  simpatie  e 
nuove  memorie;  e  anno  per  anno,  il  paesaggio  di- 


^82  LORD    TENNYSON 

verrà  familiare  ai  figliuoli  dello  straniero  —  men- 
tre, anno  per  anno,  il  contadino  rivolta  le  con- 
suete glebe  0  pota  le  antiche  piante;  ed  anno  per 
anno,  la  nostra  memoria  svanisce  da  tutto  il  cer- 
chio delle  colline.  » 

Altre  volte  il  poeta  ha  un  grido  passionato 
di  invocazione.  Chiama  1'  estinto,  senza  terrori, 
nella  piena  luce  del  giorno  : 

«  Vieni,  quando  le  rosee  ciocche  e  le  azzurre 
adornano  gli  orti  fragranti,  vieni  e  appariscimi» 
La  speme  dei  non  compiuti  anni  risplenda  lucida 
e  larga  su  la  tua  fronte!  Fra  le  rose  d'  estate,  fra 
le  migliaia  d'  onde  del  grano  intorno  alla  solitaria 
villa,  che  io  ti  riveda!  Non  già  nelle  paurose  vi. 
gilie  della  notte,  ma  dove  il  raggio  del  sole  ferve 
più  caldo,  vieni,  bello  nella  tua  nuova  forma,  e 
come  una  luce  più  fulgida  in  mezzo  alla  luce  !  » 

Ma  le  lacrime  e  le  visioni,  le  apostrofi  dolo- 
rose e  passionate,  questi  tumulti  di  un  cuore  fe- 
rito, sono  elevati  e  purificati,  e  convertiti  in  can- 
tico di  rassegnazione  e  di  contemplazione,  nel 
religioso  concetto  di  una  ragionata  acquiescenza 
al  divino  volere: 

«  Tuoi,  o  Amore  immortale,  tuoi  sono  questi 
mondi  di  luce  e  di  ombra:  tu  hai  fatto  la  Vita 
nell'uomo  e  nel  bruto,  e  tu  hai  fatto  la  Morte.... 
I  nostri  piccoli  sistemi  hanno  il  loro  giorno, 
hanno  il  loro  giorno,  e  poi  cessano  d'  essere:  essi 
non  son  altro  che  luci  riflesse  di  te  —  ma  tu,  o 
Signore,  sei  più  di  loro.  Noi  siamo  tutti  o  pazzi 
d' orgoglio,  o  leggieri,  e  ci  burliamo  di  te,  quando 


LORD    TENNYSON  383 

non  ti  temiamo.  Aiuta  le  tue  fragili  creature, 
aiuta  i  tuoi  vani  mondi  a  sopportar  la  tua  luce!... 
Perdonami  ciò  che  in  me  parve  peccato,  e  ciò 
che  in  me  parve  merito,  da  quand'io  nacqui  — 
perchè  il  merito  esiste  da  uomo  a  uomo,  e  non 
dall'  uomo  a  te,  o  Dio.  Perdona  il  mio  dolore  per 
un  estinto,  una  tua  creatura  che  ho  amata  e 
ammirata.  Io  credo  che  egli  viva  ora  in  te,  e 
in  te  confido  di  ritrovarlo,  anche  più  degno  d'  es- 
sere amato.  » 

Cosi  le  lacrime  della  separazione  si  conver- 
tono in  sorriso  di  contemplazione  nella  fede  di 
una  vita  futura,  alla  quale  Tennjson  ha  sempre 
fermamente  creduto. 

Tennyson  dopo  il  suo  matrimonio  lasciata 
l'antica  residenza  nel  Lincolnshire,  si  stabili  nel- 
r  isola  di  AVight  a  Farringford  —  in  una  abita- 
zione essenzialmente  inglese  e  poetica.  E  come 
nelle  sue  prime  poesie  troviamo  il  riflesso  del  ma- 
linconico paesaggio  del  Lincolnshire,  così  nelle 
seguenti  opere  troviamo  la  luce  gioconda,  la  fra- 
granza e  il  colore,  dei  giardini  e  dei  parchi  che 
il  poeta  aveva  in  vista  ad  ogni  ora. 

Ma  della  sua  vita  a  Farringford,  delle  sue 
abitudini,  dei  suoi  amici,  dirò  fra  poco.  Ora  vo- 
glio prima  dare  un'  idea  sommaria  delle  due  opere 
poetiche  che  portarono  al  grado  supremo  la  fama 
poetica  del  Laureato  :  Maiid^  e  gli  Idilli  del  Re. 

Le  fedeli  pitture  della  vera  passione  son  rare, 
e  se  ne  fa  presto   la  lista.    Gli    accenti   di   fuoco 


58-4  Lord  tennyson 

della  misera  Saffo  hanno  traversato  i  secoli;  e, 
di  generazione  in  generazione,  il  patetico  orrore 
della  Fedri  di  Euripide  fa  ancora  fremere  e  pian- 
gere. Didone,  Arianna,  Francesca,  Giulietta,  Te- 
cla, Margherita,  Clara,  —  Otello  e  Roxane  —  son 
tipi  immortali  di  amorosa  passione  e  di  tragica 
gelosia.  Più  vicino  a  noi,  Manon  Lescaut^  e  Clarissa, 
le  lettere  della  Lespinasse,  alcune  pagine  della 
Nuova  Eloisa,  Werther,  Adolfo:  poi  le  Notti  di 
Musset,  Valentiìie  di  Griorgio  Sand,  i  Sonetti  della 
Browning,  il  Consalvo  del  Leopardi,  il  Chastelard 
di  Swinburne  hanno  accenti  di  vero  singulto,  il 
grido  inimitabile  e  sacro.  A  questa  lista  va  ag- 
giunto Maud  di  Alfredo  Tennyson,  pubblicato 
nel  1855. 

Maud  (Matilde)  è  una  storia  d'  amore  raccon- 
tata in  versi,  o  meglio,  cantata,  gridata  e  pianta 
in  ardenti  strofe  liriche.  Si  sente  che  tutto  è 
stato  visto,  e  studiato  dal  vero  e,  in  parte,  perso- 
nalmente provato;  ma  al  tempo  stesso,  tutto  vive 
•  e  si  muove  in  un'  atmosfera  poetica. 

Questo  monologo  poetico,  questo  monodramma, 
come  lo  chiama  1'  autore,  è  il  giornale  intimo  di  un 
giovine  che,  malinconico  per  natura,  irritato  da 
grandi  sciagure  domestiche  e  da  lunghe  solitarie 
meditazioni,  s'innamora —  dopo  avere  previsto 
e  temuto  ed  evitato  invano  l' accendersi  della  pas- 
sione —  di  una  bellissima  signorina  aristocra- 
tica, Maud.  e  n'  è  riamato.  Sorpreso  una  notte  in 
colloquio  con  essa  nel  giardino,  sorpreso  e  insul- 
tato dal  fratello  di  lei,  lo  uccide  in  duello,  e  perde 


LORD    TENNVSON  585 

per  sempre  1'  amore  di  Maud.  Fugge,  ed  erra  sma- 
nioso  e  disperato  nella  babilonica  Londra:  finche 
una  causa  generosa  e  liberale  lo  attira  in  Crimea, 
e  l'azione  guarisce  quel  cuore  esulcerato  ma  na- 
turalmente  virile. 

La  favola,  come  vedete,  è  povera  cosa;  ma  la 
poesia  è  stupenda.  Come  inventore  e  costruttore 
drammatico  Tennyson  è  men  che  mediocre.  E  lo 
provano,  pur  troppo,  i  suoi  veri  drammi,  Becket, 
Araldo,  la  Regina  Maria  —  roba  mediocre;  e  me' 
diocre  in  poesia  è  sinonimo  di  cattivo.  Tennyson 
è  poeta  essenzialmente  lirico,  o  epico -lirico.  E 
Maud  è  una  pittura  di  costumi  e  al  tempo  stesso 
una  meravigliosa  efflorescenza  di  lirica.  Le  parole 
della  conversazione  ordinaria,  i  minuti  particolari 
della  vita  domestica,  descrizioni  di  toelette,  di  ball  , 
di  pranzi,  frasi  satiriche,  ritratti  e  caricature,  si 
alternano  con  magnifiche  pitture  dei  grandi  spet» 
tacoli  della  natura,  con  l'estasi  dell'amore,  coi 
gridi  angosciosi  del  dolore  e  della  gelosia:  e  tutto 
ci  è  messo  sott' occhio  dalla  magia  del  colorito  e 
del  ritmo.  L'amante  di  Maud  è  di  pura  origine 
romantica  —  e  il  suo  carattere  ha  una  parentela 
non  molto  lontana  con  Werther,  Renato,  Childe-^ 
Harold  e  Obermann:  ma  è  una  natura  essenzial- 
mente inglese,  con  un  fondo  di  selvaggia  energia, 
e  di  humour  sinistro,  che  soli  hanno,  credo,  fra 
gli  innamorati,  i  compatriotti  di  Swift  e  di  Byron. 

Ecco  tradotta  una  delle  più  belle  liriche  del 
poema  —  forse  la  più  bella. 

Maud  ha  promesso  all'  amante  di  scendere  in 


286  LORD    TENNYSON 

giardino  appena  finite  le  danze,  cosi  com'era  ve- 
stita da  ballo  — e  il  felice  amante,  aspettando,  la 
invoca  con  questi  incantevoli  accenti: 

«  Vieni  nel  giardino,  o  Matilde,  che  già  la 
notte,  nero  pipistrello,  è  fuggita;  vieni  nel  giar- 
dino, o  Matilde,  io  son  qui  solo,  al  cancello;  e 
l'aroma  del  caprifoglio  già  si  spande  all'intorno, 
e  il  muschio  delle  rose  già  esala... 

«  Aleggia  una  brezza  mattutina,  e  il  pianeta 
d'Amore  è  nell'alto,  cominciando  a  illanguidire 
nella  luce  che  ama,  sovra  un  letto  di  celeste  asfo- 
dèlo —  a  languire  nella  luce  del  sole  che  ama,  a 
languire  nella  sua  luce  e  morire. 

«  Tutta  la  notte  le  rose  hanno  udito  il  flauto 
e  i  violini  —  tutta  la  notte  i  gelsomini  del  balcone 
hanno  tremato  al  passo  cadenzato  dei  danzatori  — 
finché  è  successo  un  silenzio  col  destarsi  del  primo 
uccello,  e  una  pausa  al  tramontar  della  luna. 

«  Ho  detto  al  giglio:  Non  c'è  che  una  per- 
sona sola  con  cui  essa  può  esser  lieta:  quando 
questi  ballerini  la  lascieranno  in  pace?  Essa  è 
stanca  di  frastuono  o  di  danze.  Ma  una  metà  se 
ne  sono  andati  quando  la  luna  svaniva,  e  gli  altri 
al  primo  spuntare  del  giorno  e  già,  sorde  sulla 
sabbia  e  fragorose  sulle  pietre,  le  ruote  dell'  ul- 
tima carrozza  echeggian  lontane... 

«  E  le  rose  tutta  la  notte  sono  state  deste 
per  te,  sapendo  la  promessa  che  tu  mi  hai  fatto; 
i  gigli  e  le  rose  eran  desti,  sospirando  all'aurora 
ed  a  te. 

«  0  rosa  regina  del  verginale  giardino  delle 


I.OHD    TENNYSON  287 

fanciulle,  vieni,  ora  che  il  ballo  è  finito,  vieni  lu- 
cente di  raso  e  di  perle,  giglio  e  rosa  ad  un  tempo; 
vieni  a  brillare,  o  vaga  fronte,  nei  tuoi  splendidi 
ricci,  a  brillar  come  un  solo  su  questi  fiori! 

«  Qna  lacrima  luminosa  è  caduta  dal  calice 
del  fior  di  passione...  Essa  viene,  la  mia  colomba, 
il  mio  amore  —  essa  giunge,  la  mia  vita,  il  mio 
fato!  La  rosa  rossa  dice:  Essa  è  vicina  —  e  la  rosa 
bianca  piange:  Essa  indugia.  Il  tulipano  in  ascolto 
dice:  lo  la  sento,  io  la  sento  —  ed  il  giglio  mor- 
mora: Io  aspetto. 

«  Eccola,  la  mia  donna  adorata!  Bencliè  aereo 
il  suo  passo,  il  mio  cuore  la  sentirebbe  e  batte- 
rebbe, se  fosse  già  terra  dentro  un  letto  di  terra. 
La  mia  polvere  la  sentirebbe  e  palpiterebbe  se 
fossi  morto  da  un  secolo  —  si  commoverebbe  tre- 
mando sotto  i  suoi  piedi,  e  germoglerebbe  in 
fiori  di  porpora.  » 

Gli  Idilli  del  Re  (1860-75)  sono  l'opera  poetica 
più  lunga  e  importante  di  Tennyson,  la  quale  in 
certo  modo  consacrò  la  sua  fama.  Questi  idilli  ca- 
vallereschi, collegati  fra  loro  in  modo  da  formare 
una  epopea,  non  son  altro  che  la  leggenda  di  Ar- 
turo, di  Merlino,  e  dei  cavalieri  della  Tavola  Ro- 
tonda. Tennj^son  ha  rivissuto  fra  quella  gloriosa 
compagnia  «  il  fiore  degli  uomini  »,  e  si  è  fatto 
semplice  e  antico  nell'epica  pittura  di  quei  per- 
sonaggi e  di  quelle  imprese  meravigliose.  Tra  le 
armi  brunite  e  i  grandi  elmi  d'  oro,  le  bandiere 
di  seta  e  le  lance,  brillano  come  bianchi  fiori  le 


288  LORD    TENNYSON 

più  pure  e  ideali  figure  di  vergini;  le  più  toccanti 
storie  d'amore. 

In  generale,  questi  Idilli,  benché  ammirabili 
per  delicatezza,  grazia,  melodia,  e  spesso  antica 
semplicità  di  stile,  mancano  di  quel  forte  rilievo, 
di  quel  colore  locale  che  abbonda  nelle  poesie  me- 
dievali di  Roberto  Browning,  e  che  sovrabbonda 
nelle  poesie  cavalleresclie  della  Legende  des  Sièdes. 
Il  Re  e  i  paladini  di  Tennyson  sono  un  po'  troppo 
belli,  un  po' troppo  buoni,  tanto  che  un  illustre 
poeta  vivente  ebbe  a  dire:  «  Questi  sono  gli  Idilli 
del  Principe  Consorte,  e  non  gli  Idilli  del  Re 
Arturo.  »  Ma  se  Elaine,  Vivien^  son  talvolta  mo- 
dernamente eleganti,  Ginevra,  la  Sacra  Coppa  e  la 
Morte  d' Arturo  son  semplici  come  cosa  antica,  e 
senza  nessuna  raffinatezza  di  concetto,  di  senti- 
mento e  di  stile. 

Chi,  letti  una  volta,  potrà  dimenticare  i  versi 
nei  quali  è  descritto  il  Re  morente  che  restituisce 
la  spada  Escalibar  alle  Fate  del  mare  da  cui  l'avea 
ricev.  ta? 

È  la  sera  della  gran  battaglia  che  tutto  il 
giorno  ha  infuriato  sulle  montagne,  lungo  il  mare, 
d'inverno.  Tutti  i  cavalieri  d'Arturo  son  morti; 
egli  stesso  è  caduto  col  cranio  aperto  da  un  colpo 
di  scure;  e  il  suo  ultimo  scudiere  lo  ba  portato 
sulle  spalle  vicino  alla  spiaggia.  Scintilla  in  cielo 
freddamente  la  luna  piena.  Arturo  ordina  allo 
scudiero  di  lanciar  sull'acque  la  spada,  perchè 
l'ebbe  dalle  Fate  marine,  e  nessun  uomo  vivente 
deve  impugnare  l'elsa  della  spada  del  Re. 


LORD    TENNVSON  289 

«  La  grande  S2Dada  lanciata  in  aria  gettò  lampi 
al  lume  della  lana,  descrivendo  un  grande  arco 
scintillante,  come  il  raggiare  di  un'  aurora  bore- 
ale fra  gli  urti  delle  isole  di  ghiaccio  o  i  rumori 
del  mare  del  Nord.  Ma  prima  che  la  spada  rica- 
dendo avesse  toccata  la  superfìcie,  s'alzò  dall'ac- 
que un  braccio  coperto  di  velluto  bianco,  mistico, 
meraviglioso,  e  afiferrò  la  spada,  la  brandì  per  tre 
volte,  e  disparve  con  essa  nel  mare....  Poi  si  avvi- 
cinò una  gran  barca,  fosca,  tutta  abbrunata,  come 
una  funebre  sciarpa,  da  prua  a  poppa.  Sul  ponte 
era  un  gruppo  di  forme  maestose,  in  nere  vesti, 
con  neri  cappucci,  come  si  vedon  talvolta  so- 
gnando —  ma  presso  loro  si  distinguevano  tre 
regine,  con  le  corone  d'oro;  e  dalle  loro  labbra 
usci  un  gemito  che  sali  fino  alle  stelle  palpitanti 
nell'alto  —  e  poi,  come  una  sola  voce,  si  udì  un 
coro  di  lamentazioni,  simili  a  un  vento  che  gema 
tutta  la  notte  in  una  landa  deserta  dove  non  sia 
nessuno,  dove  nessuno  sia  stato  mai,  fin  dal  prin- 
cipio del  mondo....  Allora  il  Re  mormorò  con 
fievole  voce  :  «  Deponimi  nella  barca  »  e  le  tre 
regine  stesero  le  mani,  e  sorressero  il  Re.  E  la 
più  alta  e  più  bella  fra  loro  adagiò  nel  suo  grembo 
la  testa  d'Arturo,  gli  disciolse  l'elmo  spezzato,  e 
lo  chiamava  per  uome,  piangendo  dirottamente...  » 

Ma  il  più  ammirabile  di  questi  Idilli  è,  anche 
a  giudizio  dell'i^rnold  e  del  Rossetti,  Ginevra.  Più 
di  ogni  lode  e  più  di  ogni  commento,  varrà  a  dare 
una  qualche  idea  del  poema  questo  frammento 
che  traduco,  nel  quale  è  descritta  l'ultima  appa- 

Nencioni.  —Saggi  critici  di  lett.  inglese.  19 


290  LORD    TENNYSON 

rizione  e  l'ultimo  addio  del  Re  alla  colpevole 
moglie,  relegata  in  un  convento,  dopo  il  dramma 
doloroso  della  sua  passione  per  Lancillotto. 

«....  Un  mormorio  corse  per  tutto  il  mona- 
stero, e  poi  s'udì  un  subito  grido,  «il  E.e!....  » 
Essa  sedeva  immobile,  stordita,  ascoltando;  ma 
quando  senti  un  rumore  di  piedi  armati  traver- 
sare il  lungo  corridoio,  e  avvicinarsi  sempre  più 
all'uscio  della  sua  cella,  si  lasciò  cadere  a  terra 
in  ginocchio,  e  chinò  la  faccia  sul  pavimento;  e 
con  le  onde  della  sua  chioma  e  con  le  sue  bian- 
chissime braccia  nascose  il  volto  allo  sguardo 
del  Re.  Nell'oscurità,  sentì  il  suo  piede  armato 
fermarsi  lì  accanto  a  lei....  poi  vi  fu  un  silenzio, 
230Ì  si  udì  una  voce  monotona  e  profonda  come 
di  uno  spettro,  ma,  benché  cambiata,  quella  del  Re. 

«  Così  dunque  giaci  qui  a  terra,  o  figliuola 
dell'uomo  da  me  tanto  onorato,  e  che  ebbe  la  for- 
tuna di  morire  prima  della  tua  vergogna!....  Bene 
sta  che  nessun  figliuolo  sia  nato  da  te:  i  figli  di 
te  nati  sono  la  spada  ed  il  fuoco,  le  ardenti  ro- 
vine, le  leggi  violate,  i  domestici  tradimenti,  e  lo 
sciame  di  pagani  nemici  che  si  avanzano  ora  sul 
mare  del  Nord;  i  quali  io,  quando  ancora  sir  Lan- 
cillotto era  meco  glorioso  e  onorato  Cavaliere,  ho 
dispersi  e  fugati  in  questa  terra  di  Cristo,  in  do- 
dici grandi  battaglie.... 

«  Qui  tacque;  e  durante  quella  pausa,  essa, 
strisciando  a  terra,  gli  si  avvicinò  un  poco  j^iù,  e 
posò  le  sue  mani  attorno  ai  piedi  del  Re. 

«  Di  lontano,  si   udì  un  solitario  squillo  di 


Lord  tennyson  591 

tromba:  il  destriero  armato  che  aspettava  alla 
porta  del  convento  rispose  nitrendo  come  alla 
voce  di  nn  amico....  Il  Re  seguitò  cosi: 

«  Non  creder  però  che  io  venga  qui  a  rinfac- 
ciarti la  tua  colpa,  che  io  venga  a  maledirti,  o 
Ginevra!  io  cJie  mi  sento  morire  dall'immensa 
pietà  di  vederti  umiliar  nella  polvere,  ai  miei 
piedi,  quell'aurea  testa,  orgoglio  dei  miei  anni 
felici.  Il  furore  che  dapprima  mi  fé'  pensare  ai 
tormenti  ed  al  rogo  è  passato:  lo  spasimo  che 
mi  fece  versar  lacrime  ardenti,  quando  parago- 
navo il  tuo  cuore  col  mio,  è  pure  in  parte  cessato: 
ed  io,  ecco,  io  ti  perdono  come  Iddio  eterno  per- 
dona: tu  fa'  il  resto  per  la  salute  dell'anima  tua.... 
0  amaro  ultimo  congedo  da  tutto  quello  che  ho 
amato!  o  chiome  d'oro,  con  le  quali,  inconsape- 
vole, io  soleva  scherzare  !  0  forme  imperiali^  o 
bellezza  qual  mai  non  ebbe  altra  donna!  Io  non 
posso  toccar  le  tue  labbra;  esse  non  sono  mie, 
ma  di  Lancillotto  —  anzi,  non  son  mai  state  del 
Re....  Io  non  posso  stringere  la  tua  mano:  quella 
pure  è  carne,  e  nella  carne  fu  il  tuo  delitto....  e 
nondimeno,  o  Ginevra,  io  t'amo  ancora:  tale  è  il 
mio  fato:  e  se  tu  purificherai  l'anima  tua,  se  ti 
affiderai  alla  paterna  misericordia  di  Cristo,  un 
giorno,  in  quel  mondo  dove  tutti  son  puri,  noi 
due  ci  incontreremo,  dinanzi  all'alto  Iddio,  e  tu 
mi  correrai  incontro,  mi  chiamerai  tuo,  e  saprai 
che  son  io,  il  tuo  marito,  non  uno  spirito  minore, 
non  Lancillotto,  non  altri!.... 

«  Ma  è  già  tempo  che  io  parta.    Attraverso 


292  LORD    TENNYSON 

la  fitta  notte,  sento  squillare  la  tromba.  Essi  chia- 
mano me,  il  loro  Re,  a  guidar  1'  esercito  laggiù  a 
quella  grande  battaglia  dove  io  dovrò  colpire  il 
figlio  di  mia  sorella  e  i  cavalieri  del  Cavallo  Bianco, 
suoi  collegati  —  ed  ucciderli  —  e  incontrare  io 
stesso  la  morte,  o  non  so  quale  altro  misterioso 
destino....  Tu  qui  rimani:  qui  saprai  i  tragici 
eventi:'  ma  non  mi  vedrai  più,  io  non  verrò  più 
qui,  non  giacerò  mai  più  al  fianco  tuo,  non  ti  ve- 
drò più....  addio  !... 

«  E  mentre  essa  restava  prona  e  come  annien- 
tata ai  suoi  piedi,  sentì  1'  alito  del  Re  errar  sul 
suo  collo,  e,  fra  le  tenebre,  s'accorse,  dal  nrovi- 
mento  delle  mani  del  Ee  su  la  china  sua  testa, 
che  egli  la  benedisse. 

«  Allora  sentito  1'  ultimo  suono  dei  passi  di 
lui  che  si  allontanava,  la  pallida  Regina  si  alzò  da 
terra,  e  sperando  di  rivedere  il  volto  del  Re  senza 
esser  vista,  guardò  da  una  grata  della  finestra. 

«  Egli  era  là,  già  rimontato  a  cavallo,  alla 
porta  del  monastero  :  e  intorno  a  lui  le  monache 
stavano  tristi  e  riverenti,  ciascuna  con  un  cero 
acceso  in  mano;  ed  egli  dette  loro  ordine  di  nu- 
trire e  custodir  la  Regina;  e  mentre  parlava  alle 
monache,  abbassava  il  gran  cimiero  a  cui  sor- 
montava il  drago  d'  oro  di  Britannia;  talché  essa 
non  potè  discernere  il  viso  del  Re,  che  era  allora 
come  quello  di  un  angelo,  ma  vide  solo,  bagnato 
dalla  nebbia  e  percosso  dal  lume  dei  ceri,  scintil- 
lare il  gran  dragone  dell'elmo,  e  fumar  nella  notte 
come  un'accesa  meteora.   » 


LORD    TENNYSON  293 

Teiiiiysoii  era  alto  di  statura,  largo  di  spalle, 
ma  piuttosto  magro.  Nel  profilo,  ricordava  Dante  ; 
nell'  ampia  fronte,  Shakespeare.  Aveva  occhi  neri, 
profondi,  indagatori  —  voce  ammirabile,  che  pas- 
sava dalle  note  più  soavi  alle  più  altosonanti,  e 
faceva  di  lui  un  lettore  di  versi  maraviglioso.  E, 
nell'intimità,  fra  vecchi  amici,  Tennyson  leggeva 
volentieri  le  sue  poesie.  Alla  Browning  lesse  ma- 
noscritto il  poema  Maud:  ed  essa  restò  colpita 
dal  modo  di  leggere  del  poeta  quanto  dalla  bel- 
lezza di  quelle  strofe  famose.  Quando  egli  leggeva 
Ginevra^  arrivato  al  momento  del  perdono  e  della 
benedizione,  si  commoveva  fino  alle  lacrime;  cosa 
rara  in  lui  che  fu  di  tempra  virile  e  aborrente  da 
ogni  scena  sentimentale.  Leggeva  senza  alcun  ge- 
sto, compostamente,  in  tono  un  po'  solenne  e  mo- 
notono; ma  aveva  uno  charme^  un  magnetismo  suo 
proprio  —  e  chi  lo  aveva  udito  leggere,  non  di- 
menticava mai  l' impressione  ricevuta. 

Era  di  modi  e  abitudini  semplici  e  patriarcali. 
Rifuggiva  dal  tumulto  della  città,  dai  piccoli 
interessi  e  dagli  egoistici  divertimenti  del  bel 
mondo,  dalle  conversazioni  eleganti  —  contento 
di  vivere  tra  campi  e  giardini,  con  la  famiglia 
adorata,  lieto  di  qualche  rara  visita  di  provati 
amici.  Amava  i  fiori;  e  nelle  sue  abitazioni  di 
Farringford  e  di  Aldworth  ve  n'erano  a  profu- 
sione. I  boschi  di  Farringford  che  a  primavera  si, 
empion  di  anemoni  e  di  primole,  i  campi  ove  al> 
bondano  i  narcisi,  gli  erano  cari  —  e  di  prima 
mattina  si   vedeva  il  poeta  col   suo  tradizionale 


20/i-  LORD    TENNYSON  * 

cappello  di  feltro  dalla  larga  tesa,  e  il  gran  man- 
tello grigio,  con  la  eterna  pipa  corta  in  bocca, 
seguito  dal  fido  cane  Siberiano,  assidersi  sul  ru- 
stico banco,  e  inalzare  ad  Apollo  alate  strofe  e 
nuvoli  di  fumo. 

Amò  di  tenero,  inalterato  affetto,  la  sua  de- 
gna compagna,  e  a  lei  furono  rivolte  le  sue  su- 
preme parole.  Fra  gli  amici  ebbe  carissimi  Hallam, 
Gkdstone,  Ruskin  e  Roberto  Browning  —  e  man- 
tenne sempre  vivi  l'affetto  e  la  riverenza  per  ii 
terribile  Carlyle.  Ebbe  molto  cari  il  vecchio  Lan- 
dor,  il  Rossetti  e  Longfellow. 

Un  avvenimento  notevole  nella  uniforme  vita 
di  Tenn3^sou,  fu  la  visita  clie  gli  fece  il  generale 
Garibaldi  nel  64.  Il  gran  capitano  e  il  gran  poeta 
eran  fatti  per  intendersi  l'un  l'altro.  Ambedue 
eran  figli  sinceri  e  primitivi  della  natura,  due  vi- 
venti realtà,  due  leaders,  due  eroi  —  non  uomini- 
fantasmi,  non  larve  orpellate  di  falsa  grandezza... 
Garibaldi  piantò  con  le  sue  mani  un  albero  nel 
giardino  di  Tennyson;  toccante  ricordo,  e  simbolo 
poetico  del  loro  comune  amore  per  la  natura. 

Tennj^son  ebbe  sempre  una  costante  predi- 
lezione per  i  bambini,  come  il  suo  grande  con- 
temporaneo Victor  Hugo.  E  mi  piace  finire  que- 
sto mio  ricordo  di  Tennyson  con  la  traduzione 
di  una  sua  poesia  che  rivela  la  squisita  tenerezza 
del  poeta  per  l'infanzia,  e  che,  nella  sua  ineffabile 
semplicità,  è  di  un  patetico  cosi  penetrante  che 
divien  doloroso.  E  intitolata  :  Xello  spedale  dei  ham- 
lini.  (E  una  infermiera  che  parla;. 


LORD    TENNYSON  2(J5 

«  ....  Si  passò  nella  sala  dove  giacciono  i 
bambini  più  piccoli.  Ecco  il  letto  della  nostra 
orfana,  la  nostra  cara  soave  donnina:  vuoto,  come 
vedete,  da  poco....  Paziente  nei  dolori,  benché  de- 
licata come  una  sensitiva,  coi  suoi  ingenui  di- 
scorsi spesso  mi  ha  fatto  j^iangere:  aveva  il  cuore 
più  riconoscente  che  io  abbia  trovato  in  bambine 
della  sua  età.  —  Ma  già  ve  ne  ricordate  della  vo- 
stra Emraina;  eravate  solita  di  mandarle  dei  fiori. 
Come  sorrideva  a  quei  fiori!  Ci  giocava,  parlava 
con  loro  per  delle  ore.  Ah,  chi  può  a  suo  talento 
vagare  dove  meglio  si  rivelano  le  grandi  opere 
del  Signore,  non  indovina  che  gioia  può  procu- 
rare un  fiorellino  di  campo:  i  fiori  dicono  a  que- 
ste piccole  anime  prigioniere  tutto  quello  che 
esse  posson  sapere  della  primavera;  rinfrescano 
e  profumano  queste  sale  come  il  remeggio  del- 
l' ala  di  un  angelo.  Ed  essa  giaceva  tenendo  un 
fiore  tra  le  magre  manine  incrociate  sul  petto, 
pallidissima,  ma  bella  come  il  cuore  può  deside- 
rare; e  credemmo  che  riposasse  quietamente  ad- 
dormentata —  così  quietamente,  che  il  medico 
disse  senza  riguardi:  «  Povera  creatura!  domani 
le  va  fatta  l'operazione:  ma  temo  che  non  potrà 
sopravvivere.  »  Accompagnai  il  dottore  fino  a 
capo  di  scala,  poi  tornai  nella  stanza  senza  che 
la  bimba  se  ne  accorgesse. 

«  Da  quando  fo  l'infermiera,  non  ho  avuto 
mai  un  tal  dolore,  un  tal  turbamento.  L'  Emmina 
aveva  udite  le  parole  del  chirurgo....  Chiamò  dol- 


296  LORD   TENNYSON 

cernente  dal  suo  lettino  a  quello  accanto,  e  disse  : 

—  «  Annina  ha  detto  che  non  potrò  sopravvivere: 
che  devo  fare  ?  »  —  L'  Annina  riflettè  un  poco,  e 
«  Se  io  fossi  in  te,  disse  poi,  chiederei  alato  al 
caro  Signore  Gesù:  perchè  vedi,  Emmina,  quel 
che  è  scritto  là  su  quel  quadro:  Lasciate  che  i 
piccoli  vengano  a  me  ».  «  Si,  lo  farò  disse  l'Em- 
rnina,  ma  quando  chiamo  il  Signore,  come  farà  a 
sapere  che  sono  io  ?  ci  sono  tanti  letti  qui  in  fila!  » 

—  L'  Annina  rimase  un  po'  imbarazzata.  Eiflettè 
di  nuovo  un  momento,  e  poi  disse  :  «  Emmina,  tu 
devi  metter  fuori  le  braccia,  e  tenerle  stese  sul 
letto.  Il  Signore  h.a  tanto  da  vedere....  ma  tu  devi 
dirgli  che  sei  quella  bambina  che  tiene  le  braccia 
fuori,  sulla  coperta.  >> 

«  Avevo  fatto  nottata  alla  bimba  tre  volte  di 
seguito  —  non  avrei  potuto  vegliarne  una  quarta: 
il  cervello  cominciava  a  girarmi,  sentivo  che  non 
potevo  più.  Quella  dunque  doveva  essere  la  mia 
notte  di  riposo;  ma  mi  parve  che  non  finisse  mai. 
Vi  fu  un  colpo  di  fulmine,  a  un  tratto  —  poi  il 
crepitar  della  grandine  sui  cristalli  —  e  mentre 
io  mi  rivoltavo  smaniosa  nel  letto,  sentii  un  ge- 
mito di  fuori,  il  belato  di  un  agnellino  che  ha 
smarrito  la  madre  e  si  trova  tra  la  burrasca  nel 
]jii[o  —  poi  il  mio  dormire  fu  interrotto  dal  sogno 
dell'  orribile  coltello  chirurgico,  dal  terrore  che 
la  mia  Emma  vi  avrebbe  probabilmente  lasciato 
la  vita....  Ma  nella  prima  grigia  luce  dell'alba, 
mi  parve  di  vedermela  accanto,  e  che  sorridesse.... 


LORD   TENNYSON  597 

Il  medico  vecne    la   mattina,    e    andammo  a  ve- 
dere la  bimba. 

«  Egli  aveva  portato  con  se  i  suoi  spaven- 
tosi strumenti.  La  credemmo  ancora  addormen- 
tata. I  suoi  cari,  lunghi,  magri  braccini  eran  di- 
stesi sulla  coperta.,..  —  Dicono  clie  il  giorno  di 
Dio  è  tramontato.  Ah,  perchè  curarci  di  ciò  che 
essi  dicono  ?  —  Il  Signore  dei  bambini  1'  aveva 
ascoltata,  1'  Emmina  era  morta.  » 

Nello  stesso  volume  dove  si  legge  questa  toc- 
cante poesia  {Ballads  and  otlier  Poems,  1881;  è  da  am- 
mirarsi Elzpah,  una  delle  più  originali  e  forti  cose 
di  Tennyson  :  e  dove  il  poeta  rivelò  una  sua  nuova 
facoltà  e  potenza  —  il  tragico  familiare.  Swin- 
burne,  cosi  autorevole  e  credibile  giudice  di  poesia, 
ne  fu  entusiasta,  e  ne  parlò  iii  questi  termini  : 
«  Mai  le  due  gemelle  passioni,  terrore  e  pietà, 
furono  più  divinamente  fuse  in  immortali  parole, 
e  in  più  assoluta  e  sublime  identità.  Mai  visse 
poeta  sulla  terra  —  tale  almeno  è  il  mio  mode- 
sto e  cordiale  convincimento  —  la  cui  gloria  non 
sarebbe  accresciuta  divenendo  autore  di  questa 
poesia.  Essa  ci  prova  una  volta  di  più  che  i 
grandi  poeti  sono  bisessuali  ;  maschi  e  femmine 
a  un  tempo,  madri  e  padri  istintivamente,  dal 
giorno  in  cui  Omero  mise  Astia  natte  nelle  brac- 
cia di  Ettore,  a  quello  in  cui  Victor  Hugo  rac- 
colse la  più  dolce  delle  cantilene  su  le  labbra 
della  moribonda  Fantina.  E  fra  tutti  loro,   nes- 


298  LORD    TENNYSON 

Simo,  neppure  lo  stesso  Victor  Hugo,  ha  mai  fatto 
vibrare  la  corda  umana  con  più  divina  forza  di 
tenerezza  che  Tennyson  in  questa  poesia.  Sarà 
ora  finita  la  discussione  se  Tennyson  sia  un 
grande  poeta,  o  soltanto  un  grazioso,  delicato,  e 
squisito  poeta.  Se  fra  mille  anni,  ogni  traccia 
delle  sue  poesie  fosse  svanita  dall'  umana  me- 
moria, fuori  che  questi  novanta  versi  di  Riz- 
vah^  resterebbero  prova  positiva  e  ampia  e  so- 
vrabbondante che  un  grande  poeta  era  vissuto 
fra  gli  uomini.  »  Elogio  in  gran  parte  meritato, 
ma,  come  tutti  gli  elogi  e  le  censure  di  Swin- 
burne,  un  po'  esagerato.  Prima  di  Rlzpaìi^  a  pro- 
vare che  Tennyson  sapeva  essere  grande  e  forte 
poeta,  eran  comparsi  Ulysses^  Locksley  Hall^  Le 
Sorelle^  San  Simone  Stilita^  Ginevra  e  Alorte  di 
Arturo. 

A  proposito  di  Rizpaìi^  rimando  il  lettore  alla 
eccellente  traduzione  in  versi  che  ne  dette  nella 
Nuova  Antologia  Francesco  Rodriguez,  autore  di 
tre  pregevoli  studi  biografìco-critici  su  Alfredo 
Tennyson,  William  Cowper,  e  Longfellow.  E  mi 
piace  ricordare  le  belle  traduzioni  poetiche  di 
Giovanni  Faccioli,  il  quale  ci  ha  dato  nel  suo  vo- 
lume una  buona  scelta  dell'opera  poetica  di  Ten- 
nyson, e  la  bella  traduzione  di  Dora,  dataci  da 
Giuseppe  Chiarini. 

L'ultimo  volume  di  versi  di  Tennyson  fu 
pubblicato  nel  1889,  col  titolo  Demeter  and  other 
Poems.  Le  due  gemme  del  volume  sono  Demeter^ 
e  Crossing  the  Bar  {La  diga  estrema). 


LORD    TENNVSON  299 

Demeter  è  di  genere  tragico  sofocleo.  Negli 
accenti  passionati  della  madre  alla  figlia,  vi  è 
quell'armonia,  quella  perfetta  euritmia,  quell'equi- 
librio felice  del  senso  e  del  sentimento,  che  i  tra- 
gici Greci  e  Virgilio  conobbero  meglio  di  ogni 
altro  poeta  antico  e  moderno.  Non  vi  è  forse  in 
tutta  la  greca  mitologia  una  storia  più  toccante 
e  patetica  di  quella  di  Demetria  e  Persefone.  La 
madre  derelitta  richiama  con  accenti  di  disperato 
singulto,  a  cui  fa  eco  la  Natura  intera,  la  diletta 
figlia  dalle  basse  regioni  infernali  alla  lieta  luce 
del  sole.  La  dea  della  Terra  dimentica,  nel  di- 
sperato affanno  per  la  figlia  rapitale,  la  terra 
stessa.  E  la  terra  diventa  una  desolazione.  Quando 
poi  la  madre  riabbraccia  la  figliuola  recuperata, 
che  si  desta  nella  luce  del  sole  e  nell'amplesso 
materno,  il  verso  di  Teunyson  diventa  ineffabil- 
mente musicale  e  ^^atetico. 

Crossing  the  Bar,  mi  pare,  dopo  Demeter^  la 
poesia  più  significante  e  ammirabile  del  volume. 
Il  poeta  contempla  e  dipinge  il  tranquillo  abban- 
donarsi dell'anima  nel  gran  mare  dell'eternità,  fi- 
dando nel  celeste  pilota.  Vi  è  in  questa  poesia 
una  larga  e  profonda  serenità,  come  nelle  acque 
azzurre  dell'oceano  centrale.  Sarebbe  curioso  pa- 
ragonare il  Crossing  the  Bar  di  Tennyson  col  Pro- 
spice  di  Roberto  Browning.  Il  soggetto  è  quasi 
identico.  Ma  come  diversamente  trattato!  In  Ten- 
nyson, la  contemplazione,  la  calma  solenne,  la 
nota  armonica:  in  Browning,  l'azione,  la  lotta 
eroica,  la  speranza  indomabile,  e  il  trionfo  tra- 


300  LORD   TENNYSON 

scendentale  dell'anima.  Tali  le  due  poesie,  e  tali 
i  due  poeti. 

Ora  essi  dormono  accanto,  nella  pace  sacra  e 
solenne  dell'abbazia  di  Westminster  —  e  rimane 
incontrastato  e  incomparabile  re  della  poesia  In- 
glese, il  poeta  di  Atalanta  e  di  Maria  Stuarda, 
Carlo  Algernon  Swinburne. 

{Xuova  Anioldijia,  16  ottobre  1802.) 


301 


RASSEGNE  DI  LETTERATURA  L\GEESE 


Alla  fine,  dopo  tante  preghiere,  insistenze  e 
quasi  minacce,  la  famiglia  Shelley  si  decise  a  le- 
vare il  sigillo  e  togliere  di  clausura  i  molti,  vari 
e  preziosi  documenti  sulla  vita  del  sommo  poeta. 
Solo  sessantacinque  anni  dopo  la  morte  di  lui,  i 
materiali  più  importanti  a  narrare  la  storia  della 
sua  vita  cosi  avventurosa,  cosi  piena  di  generose 
imprudenze  e  di  eroismo,  di  entusiasmi  e  di  la- 
crime, di  estasi  e  di  rimorsi,  sono  fatti  di  pub- 
blica ragione,  e,  depositati  nelle  sicure  e  abili 
mani  del  prof.  Dowden,  compongono  oggi  i  due 
grossi  volumi  della    Vita  di  Percy  Bysshe  Shelley. 

Ma  non  esisteva  dunque  nessuno  studio  bio- 
grafico sul  gran  poeta  di  Prometeo  e  della  Cenci^ 
sul  Singing god  della  moderna  Inghilterra?  Oh,  ve 
n'erano  anche  troppi!  —  Quella  povera  vita  era 
stata  «  dilacerata  a  brano  a  brano  »  da  storici  e 
critici  romanzieri,  in  Inghilterra  ed  in  Francia. 
Ma  fra  tanta  farragine  biografica  Shelleyana,  tre 


30^  DOWDEiy,    VITA    DI    SIIELLEV 

soli  libri  avevano  attirato  l'attenzione,  e  destata 
la  simpatia,  e  fino  a  un  certo  punto  1'  ammira- 
zione dei  devoti  al  poeta.  La  Vita  di  Shelley  di 
Hogg  —  Gli  ultimi  giorni  di  Shelley  del  Trelawny 
—  e  la  Memoria  di  Shelley  di  Michele  Rossetti. 
Tre  opere,  nel  loro  genere  e  secondo  i  loro  di- 
versi intendimenti,  capitali  e  sostanziali  per  lo 
studio  di  Slielle}^  uomo  e  poeta:  e  che  unite  alle 
Note  con  cui  Mrs.  Shelley  illustrò  le  opere  del 
marito,  alla  edizione  critica  del  Forman,  e  alle 
Lettere  del  poeta,  bastavano  a  darcene  quasi  in- 
tera la  raggiante  figura. 

Il  pregio  incontestabile  di  questi  due  nuovi 
volumi  consiste  nelle  elucidazioni  e  rettificazioni 
su  vari  punti  contestati  e  discussi  della  vita  di 
Slielle}^  11  solo  Dowden  ha  avuto  in  mano  mate- 
riali sufficienti  per  poter  dire  l'ultima  parola  su 
certi  fatti,  e  per  troncare  certe  eterne  questioni. 
La  storia  della  povera  Enrichetta,  fino  a  che 
punto  Shellej^  è  responsabile  di  quella  tragica 
morte,  oggi  è  narrata  con  incontestabili  docu- 
menti. —  Sulla  giovine  e  bella  Pisana  che  ispirò 
Epipsycìiidion^  e  su  quel  bravo  matto  del  prof.  Pac- 
chiani abbiamo  curiose  notizie.  La  prima  volta 
troviamo  qualche  plausibile  spiegazione  sulla  mi- 
steriosa aggressione  di  Tanj^rallt.  La  narrazione 
biografica  è  sempre  accompagnata  da  estratti  di 
corrispondenze  e  da  preziosi  diari  di  Shelley  e  di 
Mrs.  Shelley.  Miss  Clairmont  acquista  in  questa 
nuova  biografia  una  importanza  nuova  nella  vita 
di  Shelley;  e   altri  personaggi  che  eravamo  abi- 


DOWDEN,    VITA    DI    SHELLEY  SOS 

tuati  a  creder  tanto  infliieuti  su  lui,  si  perdono 
invece  nell'ombra.  L'opera  abbonda  di  curiosi 
aneddoti,  particolarmente  durante  il  soggiorno  di 
Shelley  in  Italia.  E  speravo  di  sentir  raccontato 
un  po' più  equamente  e  umanamente  il  brutto 
fatto  del  povero  sergente  Masi.  3Ia  il  filisteismo 
e  l'orgoglio  inglese  hanno  messo  una  benda  anche 
agli  occhi  del  professor  Dowden.  Egli  non  fa  che 
ripetere  presso  a  poco  la  narrazione  di  Bj^ron  nella 
sua  lettera  a  Walter  Scott.  Ma  Byron  era  troppo 
passionato,  interessato  e  pregiudicato  espositore... 
Eppure  anche  stando  al  racconto  di  Byron  e  alla 
ripetizione  del  Dowden,  appare  evidente  il  coraggio 
del  povero  dragone,  e  la  prepotenza  dei  sei  suoi 
assalitori;  e  poi  il  vile  assassinio  dell'infelice,  as- 
salito a  tradimento  e  alle  spalle  dal  servo  di 
Byron. 

Il  libro  è  scritto  con  una  calma  di  esposizione 
che  se  fa  onore  all'impassibilità  dello  storico,  nuoce 
un  po'  allo  scrittore.  Parlando  di  Shelley  che  fu 
in  una  continua  earnestness.  ci  vorrebbe  un  po'  più 
di  calore,  un  po'  più  di  vita  —  e  dove  si  tratta 
de' suoi  capolavori  un  po' più  d'entusiasmo.  Il 
prof.  Dowden  somiglia  Vliomme  de  neige  che  tratta 
del  Vesuvio  e  dell'Etna...  Anche  sulla  genesi  e  sul 
progresso  dei  lavori  principali  del  poeta  si  desi- 
dererebbero maggiori  particolari.  E  però  assai 
notevole  il  giudizio  complessivo  sul  Prometheus 
Unbound. 

Insomma,  un  libro  importante,  leggibile  da 
capo  a  fondo,   una   raccolta  di   sostanziali  docu- 


304  DOWDEN,    VITA    DI    SHELLEY 

menti,  dalla  quale  la  simpatica  figura  di  Shel- 
ley esce  sempre  pura  e  raggiante  di  gioventù  e 
di  poesia.  La  sola  macchia  di  quella  nobile  vita, 
nonostante  le  moltissime  attenuanti,  è  l'abban- 
dono della  disgraziata  prima  moglie.  Ma  essa  fu 
vendicata.  Shelley,  novello  Oreste,  fu  sempre  agi- 
tato da  quella  memoria,  da  quel  fantasma,  vera 
Nemesi  della  sua  vita. 

A  proposito  di  Shelle}^,  vedo  con  piacere, 
sui  giornali  e  sulle  riviste  inglesi,  che  la  Shelleij 
Society  gareggia  con  la  Browning  Society  di  opero- 
sità e  di  zelo  per  l'incremento  di  gloria  del  suo... 
Santo.  Gli  Shelleyani,  come  i  Brov^ninghiani,  il- 
lustrano nelle  loro  adunanze  i  lavori  del  poeta,  e 
pubblicano  negli  Atti  della  Società  i  migliori 
studi  critici  che  vengon  letti.  Curano  nuove  edi- 
zioni del  poeta,  pubblicano  a  loro  spese  edizioni 
critiche,  illustrate,  edizioni  di  lusso  dei  singoli 
poemi.  Hanno  già  fatto  rappresentare  Hellas  mu- 
sicato nei  suoi  stupendi  corali  —  e  i  Cenci^  ove  Miss 
Alma  Murray  entusiasmò  il  pubblico  nella  parte 
di  Beatrice. 

Cose,  io  pensavo  con  una  certa  mortificazione 
nazionale,  che  si  posson  fare  in  Inghilterra,  dove 
il  popolo  dei  lettori  è  cosi  numeroso,  dove  la  col- 
tura letteraria  è  così  generale,  e  abbonda  il  buon 
volere,  la  perseveranza  e  il  denaro  :  ma  che  sareb- 
bero, almeno  per  ora,  inattuabili  in  Italia.  Yi 
figurate  una  Società  Manzoni^  per  esempio,  che 
facesse  rappresentare   Adelchi   a  sue  spese?  Dato 


LA   "SHELLEY    SOCIETY"  305 

il  caso,  certo  noi  potremmo  veder  sulla  scena  nu 
x4.delchi,  e  fors' anche  una  Ermengarda,  quali  ncn 
posson  vantare  altri  teatri  d'Europa  —  ma,  in 
ogni  modo,  vi  figurate  la  decorazione,  la  mise  en 
scène,  i  cori  della  Tragedia?  Io,  si,  me  li  figuro,  e 
prego  Dio  che  al  cantore  di  Ermengarda  e  di 
Napoleone  sia  risparmiato  l'orribile  strazio... 

Il  discorso  inaugurale  diretto  alla  Società  da 
Mr.  Stopford  Brooke,  è  notevolissimo.  Matthew 
Arnold,  poeta  e  critico  valente,  aveva  scritto  una 
solenne  eresia  (paragonabile  all'  altra  sua  che 
Maurice  de  Guérin  è  più  poeta  di  Keats,  e  che 
gli  valse  il  feroce  gastigo  di  una  risposta  di 
Swinburne  a  proposito  delle  poesie  di  Shelley. 
Aveva  cominciato  col  metter  lo  Shelley  troppo 
al  disotto  di  Wordsworth,  e  concluse  col  dire  che 
le  prose  di  Shelley,  lettere  e  saggi,  valgon  più  dei 
suoi  versi,  condannando  la  poesia  Shelleyana  per 
la  <'  incurabile  mancanza  di  sostanziali  argomen- 
ti »  e  come  vaporosa  e  vuota,  e  priva  di  umano 
interesse.  La  risposta  del  signor  Brooke  è  trion- 
falmente eloquente.  Se  qualche  cosa  di  vaporoso, 
di  unsuhstantial  è  nell'opera  poetica  di  Shelley,  è 
solo  nelle  sue  poesie  personali.  Ma  la  Beatrice 
Cenci  —  e  Giuliano  e  Maddalo  —  e  le  -sue  liriche 
puramente  naturali ^  la  Lodala^  la  Nuvola  —  come 
potè  dimenticarle  il  signor  Arnold  ?  E  il  Brooke 
conclude  facendo  una  giusta  e  profonda  distin- 
zione. 

«  La  reale  sostanza  della  poesia  Shelleyana 
sta  nel  costante  servigio  che  essa  rese  alla  causa 

!Ne>'C10>'I.  — Saggi  critici  di  leti,  inglese.  20 


oOG                         LA    "SHELLEY    SOCIETY 
dell'umanità 


Egii  non  solo  combattè  la  ingiusti- 
zia —  ma  amò  la  giustizia,  non  come  vaga  astra- 
zione, ma  come  cosa  in  azione  ed  universale.  La 
Libertà  e  l'i^more  son  la  doppia  fonte  delle  sue 
ispirazioni;  e  la  sua  umana  poesia  è  immersa  in 
esse,  come  un  giardino  estivo  nella  luce  del  sole.  » 
Belle  e  sante  parole!  La  passione  deìV umanità 
fu  la  vera  Musa  di  Shelley;  come  era  stata  di 
Schiller,  e  come  dopo  fu  di  Victor  Hugo.  Ma  i 
poeti  cesellatori  e  i  critici  dilettanti  non  sanno, 
o  non  vogliono  persuadersene.  Il  signor  Brooke 
avrebbe,  a  nostro  giudizio,  potuto  rispondere  an- 
che un'altra  cosa;  cioè,  che  da  Eschilo  e  Lucrezio 
in  poi,  nessuno  ha  dipinto  i  grandi  e  terribili 
spettacoli  della  Natura,  come  lo  Shelley. 

Il  signor  Stor}^,  noto  agl'Italiani  come  insi- 
gne scultore  e  come  scrittore  di  Boba  di  Eoma^ 
non  è  egualmente  noto  come  poeta;  benché  l'autore 
di  Graffiti  cV  Italia  abbia  preso  quasi  sempre  ispi- 
razione ai  suoi  versi  da  soggetti,  paesi,  personaggi 
italiani,  e  soprattutto  romani.  Simile  in  questo 
al  grande  poeta  inglese  Roberto  Browning,  col 
quale  ha  moltissime  analogie,  e  dal  quale  deriva, 
non  tanto  nella  scelta  degli  argomenti  quanto 
nel  metodo   drammatico-psicologico  di  trattarli. 

La  poesia  genuinamente  Americana,  i  veri 
echi  del  Mississipi  e  del  Missouri,  della  Virginia 
e  del  Maryland,  hanno  qualche  cosa  di  rude,  di 
primitivo,    una    musica    selvaggia    e    magnetica 


VERSI  E  PROSE  DI  W  STORY        807 

come  quella  del  vento  fra  le  liane,  o  impetuosa  e 
violenta  come  quella  delle  grandi  cateratte  assor- 
danti: oppure  hanno  un  carattere  di  personale  e 
strana  originalità^  di  democrazia,  e,  strano  a  dirsi, 
di  misticismo.  Un  misticismo  di  nuovo  genere  — 
poetico  e  positivo  ad  un  tempo;  qualche  cosa  di 
preciso,  di  matematico  anche  nelle  più  strane  vi- 
sioni —  un  grado  di  Legendre  misto  ai  sogni  di 
Swedenborg.  Mi  basti  citare,  in  prova,  due  nomi: 
Walt  Whitman  e  Edgardo  Poe. 

Ma  insieme  con  questi  poeti  essenzialmente 
Americani,  vi  son  quelli  (ed  è  il  maggior  nume- 
ro) che  restano  fedeli  alle  tradizioni  dell'arte  in- 
glese, e  sono  più  Europei  che  Americani.  A  que- 
sti, dei  quali  Longfellow  è  il  più  popolare  fra  noi, 
appartiene  anche  Jo  Story.  L'Americanismo  però 
traspare  anche  nei  versi  di  lui,  dal  carattere  di 
ardita  investigazione,  nell'audacia  delle  ipotesi, 
nella  originalità  della  invenzione,  e  nel  profondo 
senso  scientifico  di  certe  poesie;  come,  ad  esem- 
pio, quella  intitolata  Un  legale  romano  in  Gerusa- 
hiume^  nella  quale  si  discute  con  americana  libertà 
e  con  filosofico  humour  sul  delitto  di  Giuda;  e  l'al- 
tra, egualmente  originale  e  profonda.  Un  Rabbino 
in  Roma  nel  secolo  XV. 

Come  Browning  nei  suoi  libri  fa  parlare  e 
studia  obiettivamente  i  personaggi  più  differenti, 
e  passa  da  San  Giovanni  al  Galluppi,  da  Saul  a 
Calibano,  da  Aristofane  a  Andrea  del  Sarto  —  cosi 
il  signor  Story  nei  suoi  Ritratti^  Pergamene^  Monolo- 
ghi^ fa  parlare  personaggi  dell'antichità,  del  medio 


308  VERSI    E    PROSE    DI    W.    STORY 

evo  e  contemporanei,  dichiarando  che  tutte  queste 
poesie  son  drammatiche  nel  loro  carattere,  espres- 
sioni di  personaggi  storici  o  immaginari,  e  non 
manifestazioni  di  opinioni  o  sentimenti  dell'au- 
tore. La  curiosità  scientifica  e  psicologica  è  il  mo- 
tivo di  queste  poesie,  ma  l'esecuzione  è  artistica 
in  sommo  grado.  Fra  quelle  di  soggetto  antico, 
notevolissima  la  epistola  di  Fidia  a  Pericle.  Nelle 
poesie  di  soggetto  medievale  è  ammirabile  il  senti- 
mento profondo  dell'epoca,  e  il  rude  colorito  locale. 
Radicofaìiij  per  esempio,  è  di  uua  precisione  foto- 
grafica, restando  pur  sempre  poetica:  è  un  pae- 
saggio dantesco:  e  il  poeta  fa  spiccare  su  questo 
squallido  fondo  la  terribile  figura  di  Ghino  di 
Tacco. 

Le  poesie  di  soggetto  moderno  ritraggono, 
quasi  tutte,  vari  aspetti  della  vita  romana,  e  al- 
cune, come  per  esempio  Gìannone,  hanno,  oltre 
l'intrinseco  merito  artistico,  un  valore  storico  per 
gli  ultimi  anni  di  Roma  papale.  Fra  le  molte 
poesie  romane  del  signor  Story,  son  notevoli  Mon- 
signor Galeotto,  V Abate,  NeW  anticamera  di  Monsi- 
gnor del  Fiocco,  e  sopratutte  quella  deliziosa,  ma- 
linconica e  veramente  romana  poesia  su  Villa  Conti. 
Nell'insieme,  può  dirsi  che  Roma  è  la  fonte  delle 
più  felici  ispirazioni  di  questo  poeta:  la  Roma  pa- 
pale specialmente,  la  Roma  di  Pio  IX  —  quella 
che  Hawthorne  ha  immortalmente  dipinta  in 
Transformation. 

Venuto  a  Roma  ancor  giovanissimo,  per  una 
semplice   visita  da   artista  alla  città  eterna,    lo 


VERSI    E   PROSE    DI   W.    STORY  309 

Story  finì  per  rimanervi  stabilmente,  allettato  dal 
fascino  magnetico  della  città  unica.  E  in  Roma, 
nel  palazzo  Barberini,  o  nel  suo  bello  studio  al 
Maccao,  egli  ha  scolpito  le  sue  più  belle  statue, 
come  la  Cleopatra,  il  Saul,  Washington  —  e  scritto 
i  Graffiti  cV  Italia  e  Roba  di  Roma. 

La  lunga  consuetudine  e  il  grande  amore  per 
le  cose  romane  e  italiane  han  preservato  il  signor 
Story  dal  dipingere  quella  Italia  convenzionale, 
quegli  Italiani  da  coreografia,  da  melodramma  o 
da  paravento,  che  ci  fanno  tanto  ridere  nelle 
poesie  e  nei  romanzi,  spesso  celebratissimi,  di 
molti  autori  inglesi  ed  americani.  I  suoi  Romani, 
i  suoi  Italiani,  sono  creature  animate  nel  cui  cer- 
vello e  nel  cui  cuore  batte  il  palpito  della  vita 
reale. 

Le  poesie  veramente  nuove  nei  due  nuovi  vo- 
lumi che  ho  qui  dinanzi  non  sono  molte;  ma  sono 
fra  le  più  belle.  Il  poemetto  intitolato  Lui  e  Lei 
—  e  il  racconto  Fiammetta  sono  novissimi.  Il 
primo  è  un  misto  di  dialogo  e  di  liriche:  nel  quale 
ungalo,  benevolo  e  arguto  umorismo  accompagna 
la  lettura  che  egli  fa  a  lei  delle  più  diverse  poesie, 
nelle  più  diverse  occasioni  e  disposizioni  di  spi- 
rito. Il  signor  Story  non  è  più  giovane  —  ma 
questa  è  forse  l'opera  sua  più  giovanilmente  fre- 
sca e  fragrante. 

Fiammetta  è  un  racconto  campestre,  puro  e 
patetico  —  di  una  fattura  semplice,  poetica  e  ve- 
ramente Saudiana.  Le  ultime  pagine  del  volume 
mi  hanno  ricordato  certi  passi  indimenticabili  di 


810  VERSI    E    PROSE    DI    W.    STORY 

Andì-é.  E  una  nota  fresca  e  pura,  fra  tanto  fra- 
stuono e  tanto  sudiciume  di  scrofolosi  romanzi 
contemporanei. 

(Nuova  Antologia,   16  gennaio  1887.) 


L'illustre  storico  dei  Rinascimento  in  Italia^ 
quasi  a  intervallo  e  riposo  della  sua  maggiore 
opera,  ofPre  al  mondo  letterario  delle  eccellenti 
monografie,  degli  studi  biografici  nei  quali  rivi- 
vono alcune  delle  più  caratteristiclie  e  simpatiche 
fisonomie  inglesi  —  lo  Shelley  per  esempio  —  e 
oggi  la  nobile  ed  eroica  figura  di  Sir  Philip  Sid- 
ney. Era  cosa  ben  difficile  dir  tanto,  e  cosi  bene, 
e  con  tanto  ordine  e  limpidità  sulla  vita  eie  opere 
dell'illustre  poeta,  filosofo  e  cavaliere  Elisabet- 
tiano, come  ha  fatto  il  Symonds  in  questo  breve 
e  sostanziale  volumetto.  Egli  ha  saputo  mandare 
di  pari  passo,  e  fondere,  per  dir  così,  felicemente 
lo  studio  dell'uomo  e  del  letterato,  del  soldato  e 
del  poeta.  L'analisi  àoiV Arcadia  e  dei  Sonetti  è 
fatta  magistralmente.  Notevoli  le  considerazioni 
su  la  Difesa  della  Poesia. 

Leggendo  questo  volumetto  del  Symonds, 
mille  pensieri  ci  afiollano  la  mente.  E  primo  di 
tutti,  quello  della  possente  organizzazione  degli 
uomini  del  E-inascimento  Inglese.  Le  loro  vile 
sono  epopee  e  tragedie  maravigliose.  Nelle  bio- 
grafie, come  nei  poemi  e  nei  drammi  di  questi 
nordici,  vi  è  una  sovrabbondanza  di  vita  sfrenata, 


SIR    niILlP    SIDNEY    DEL    SYMONDS  311 

mia  pletora  di  immaginazione,  un  impeto  di  at- 
tività che  fa  quasi  spavento.  La  razza  germanica 
non  è  contenuta  e  un  po'  mansuefatta  come  la 
razza  latina  dal  sentimento  e  dal  gusto  istintivo 
delle  forme  armoniose,  e,  come  recentemente  os- 
servò un  critico  arguto,  preferisce  l'impressione 
forte  alla  espressione  hella. 

Che  il  Sidney,  nel  breve  corso  di  trentadue 
anni,  potesse  fare  quanto  fece,  appare  addirittura 
miracoloso.  Nipote  del  conte  di  Leicester,  fu  l'idolo 
del  suo  tempo,  di  cui  fu  forse  il  più  vero  e  il  più 
nobile  rappresentante.  Bello  ed  intrepido,  elegante 
e  magnanimo,  poeta  e  guerriero,  politico  ed  uma- 
nista, viaggiatore  e  scienziato,  amante  passionato 
e  temerario  soldato,  la  sua  vita  sembra  la  sintesi 
della  sua  epoca.  Viaggiò  in  Francia,  in  Grermania, 
in  Italia:  e  come  filosofo  e  come  poeta,  deve 
molto  all'Italia.  In  Italia  acquistò  ampia  cogni- 
zione della  coltura  antica  e  delle  nuove  scoperte 
astronomiche.  Il  Bruno,  che  gli  fu  amico,  dedicò 
a  lui  le  sue  speculazioni  metafìsiche.  Studiò  a 
Venezia  astronomia  e  geometria,  meditò  su  le 
tragedie  greche,  studiò  e  postillò  Platone  e  Ari- 
stotile. Nel  tempo  stesso  leggeva  Pastorali  e  So- 
netti, V Arcadia  del  Sannazzaro,  le  poesie  amorose 
di  Ronsard,  e  i  cavallereschi  drammi  spagnuoli. 
Poi,  uomo  di  mondo,  favorito  di  Elisabetta,  idolo 
della  Corte,  ma  senza  mai  abbassarsi  o  avvilirsi: 
quindi  compagno  di  Drake  nelle  sue  audaci  e  glo- 
riose spedizioni  marittime....  Alla  fine,  generale 
di  cavalleria,  sacrificò  la  vita,  per   salvare   nelle 


312  SIR    PHILIP    SIDNEY   DEL   SYMONDS 

Fiandre  l'esercito  inglese.  A  Gravelines,  ferito 
mortalmente,  e  morendo  di  sete,  gli  fu  da  mano 
pietosa  appressata  alle  labbra  una  coppa  piena 
d'acqua,  ed  egli  volle  che  prima  di  lui  ne  bevesse 
un  povero  soldato  agonizzante  che  guardava  con 
disperata  angoscia  quell'acqua....  E,  per  ultimo 
contrasto,  ebbe  nella  sua  vita  dei  periodi  di  ma- 
linconia, di  solitudine,  di  rèverie  ideale  ed  ardente, 
come,  più  di  due  secoli  dopo,  lo  Shelley;  il  quale 
ha  col  Sidney  molte  analogie,  e  nel  carattere,  e 
nell'indole  dell'ingegno. 

Che  uomo!  e  che  vita!  Quante  cose  in  soli 
trentadue  anni!  Che  epoca  portentosa  questa  del 
Rinascimento  Inglese!  Si  direbbe  che  l'uomo, 
anima  e  corpo,  fosse  differente  da  quello  che  è 
oggi.  Pensate  un  momento  a  ciò  che  hanno  ope- 
rato e  scritto  il  Sidney  e  lo  Spenser.  Pensate  alle 
angoscie  supreme  di  Shakespeare,  alle  tempeste 
di  passioni  e  di  visioni  che  traversarono  il  suo 
cervello;  e  poi  alla  sua  serena  e  veramente  divina 
impersonalità.  Quali  moderni  reggerebbero  a  tali 
prove?  Anche  i  più  forti,  come  Burns  e  Byron, 
sono  rimasti  vinti.... 

Dal  volume  del  Symonds  questa  bella,  sim- 
patica, nobile  ed  eroica  figura  balza  su,  piena  di 
gioventù  e  di  vita  —  e  quando  siamo  giunti  al- 
l'ultima pagina,  il  rincrescimento  di  aver  finito 
la  gradita  lettura  -è  temperato  dalla  gioia  di  aver 
fatto  più  intima  conoscenza  con  uno  degli  uomini 
che  più  onorano  la  natura  umana.  Non  posso  ter- 
minare questo  mio  rapido  cenno,  senza  citare  le 


SIR    PIIILIP    SIDNEY    DEL    SYMONDS  313 

parole  con  cui  si  conclude  il  prezioso  volume: 
«  La  morte,  e  il  nobil  modo  della  sua  morte,  mi- 
sero il  sigillo  al  diploma  di  immortalità  che  l'e- 
spettazione  dei  contemporanei  avea  già  vergato 
per  Sidney.  Egli  fu  sottratto  alle  contese  di  que- 
sta terra,  prima  che  il  tempo  e  l'opportunità  con- 
fermassero o  compromettessero  la  sua  eminente 
posizione.  Egli  passò  gloriosamente  nella  sfera 
delle  idealità:  e  come  un  ideale,  egli  è  per  sem- 
pre vivo  e  per  sempre  ammirabile.  Yi  è  qualcosa 
di  Greco  nella  sua  buona  fortuna;  qualche  cosa 
che  lo  assimila  in  certo  modo  alla  eterna  gioventù 
dell'Eliade,  e  agli  adolescenti  eroi  della  mito- 
logia. » 

Su  Mary  Stuart,  tanto  ormai  è  stato  detto 
in  prosa  e  in  rima,  che  davvero  parrebbe  impos- 
sibile si  riescisse  a  scriver  di  lei  cose  nuove.  Ma 
il  nuovo  libro  dello  Stevenson  si  ferma  sopra  un 
periodo  della  vita  di  lei,  sul  quale  anche  gli  sto- 
rici più  scrupolosi  come  il  Mignet,  e  i  critici 
più  curiosi  come  il  Dargaud,  non  avevano  ab- 
bastanza portata  luce  e  scandagliato  con  esame 
imparziale:  voglio  dire  i  primi  diciotto  anni  della 
agitata,  colpevole  e  tragica  vita  della  infelice  re- 
gina. Lo  Stevenson  nel  suo  importante  studio 
intitolato  Mary  Stuart:  Narrazione  dei  primi  di- 
ciotto  anni  della  sua  vita,  fatta  su  documenti  origi- 
nali —  ci  prova  quanto  sia  ingiusta  l'opinione 
messa  in  giro  dai  censori  sistematici  della  Stuarda, 
e  ormai  generalmente  accreditata,  che  essa,  fino 


314       MARY  STUART  DELLO  STEVENSON 

dal  principio  della  sua  fatale  carriera,  avesse 
guasto  e  corrotto,  e  avvelenato  per  dir  cosi  alla 
sorgente,  il  proprio  carattere,  sotto  l'inflv.enza  di 
Caterina  de' Medici.  Lo  Stevenson  ci  j^rova  invece 
luminosamente  e  incontestabilmente  che  Caterina 
non  ebbe  parte  alcuna  nell'educazione  della  sua 
nuora;  che  anzi  nutriva  per  lei  una  fortissima 
antipatia.  La  sua  educazione  fu  fatta  in  special 
modo  dai  Guisa  e  da  Antonietta  di  Borbone. 
Durante  l'epoca  della  sua  residenza  in  Francia, 
Maria  non  fu  mai  censurata  pubblicamente:  non 
una  voce  si  alzò  contro  lei,  né  da  fanciulla,  né  da 
sposa,  ne  da  vedova.  E  lo  Stevenson,  il  cui  scopo 
palese  è  rivendicare  il  carattere  di  Maria  Stuart 
dalle  molteplici  accuse  scagliate  contro  di  lei  ne- 
gli ultimi  anni  della  sua  vita,  si  attiene  ed  insi- 
ste nell'esame  della  sua  giovinezza,  per  dedurne 
che  essa  non  era  nata  perversa,  né  fu  pervertita 
da  una  corruttrice  educazione;  e  che  i  suoi  sba- 
gli, i  suoi  dolori,  le  sue  colpe,  derivano  dall'es- 
sersi  essa  trovata,  sola,  a  diciannove  anni,  senza 
fidi  e  sinceri  amici,  sul  torbido  e  procelloso  mare 
della  politica  scozzese;  e  senz'avere  né  occhio 
abbastanza  vigile,  né  mano  abbastanza  sicura  da 
reggere  il  timone  del  governo. 

Cosa  curiosa  !  Il  poeta,  in  questo  concetto  e 
in  questo  giudizio,  fa  eco  allo  storico  e  al  critico. 
II  Swinburne  nella  meravigliosa  ultima  scena  del 
Bothwell,  quando  ci  rappresenta  Maria  che  sorda 
a  ogni  consiglio,  circondata  da  nemici  religiosi  e 
politici,  decide  di  abbandonare  la   Scozia^  con  la 


MARY  STUART  DELLO  STEVENSON       315 

speranza  di  tornar  poi  più  possente  a  vendicarsi 
e  punire  —  le  fa  dire  in  liriche  espressioni  ciò 
che  resulta  dal  freddo  e  documentato  libro  di 
Stevenson  : 

«  ...  Sette  anni  fa  io  presi  congedo  dalla  mia 
bella  Francia,  la  mia  allegra  madre,  la  madre 
d'ogni  mia  gioia,  e  la  lasciai  piangendo  :  invece 
ora  con  tanti  dolori  e  le  tenebre  di  sette  anni 
framezzo,  io  parto  da  questa  turbolenta  e  snatu- 
rata terra  che  mi  rigetta  orfana  ;  e  mi  avanzo  su 
questo  grigio,  amaro,  sterile  mare  senza  lacrime 
e  senza  riso,  ma  con  im  cuore  che  dalla  più  dolce 
tempra  del  suo  sangue  si  è  convertito  in  fuoco  ed  in 
ferro.  Se  io  vivo,  se  Dio  non  strappa  ogni  spe- 
ranza dalla  mia  mano,  io  che  me  ne  vado,  tornerò 
indietro  a  mina  degli  uomini  ;  come  una  fiamma 
che  il  vento  deprime,  ma  che  cresce  poi  contro 
il  vento,  e  dilatata  lo  avvince  con  larghe  mani,  e 
lo  doma,  e  si  fa  strada  e  trionfa....  Io  farò  da  mare 
a  mare  una  sola  fornace  di  questa  terra.  » 

E  il  poeta  anche  nei  versi  seguenti  sembra 
commentare  le  prove  storiche  che  ci  mostrano  an- 
che in  Maria  giovinetta  la  zelante  cattolica  e  l'ar- 
dente apologista  della  sua  fede. 

«  ...  Farò  guerra  spietata  a  questa  setta  be- 
stemmiatrice  che  indice  guerra  ai  monarchi. 
Iddio  mi  vedrà  regnare,  com'  Egli  regnerà  ac- 
canto a  me,  vedendo  i  suoi  e  i  miei  nemici  stesi 
insieme  ai  miei  piedi.  Eegni  e  regnanti  prende- 
ranno animo  dal  mio  cuore,  e  accenderanno  i 
loro  spiriti  al  mio  ;  attingendovi  nuovo  zelo  per 


316       MARY  STUART  DELLO  STEVENSON 

divorar  come  preda  l'empia  razza  che  volea  far 
preda  di  loro,  strappare  il  Sacramento  dagli  al- 
tari di  Dio,  e  la  corona  dalle  teste  dei  re  :  spo- 
gliando a  un  tempo  i  troni  e  le  chiese.  Io  rialzerò 
questi  antichi  simboli  della  sua  santità,  che  ora 
son  minacciati  o  abbattuti  ;  e  spezzerò  sotto  i 
regali  miei  piedi  quest'  empie  novità  inventate 
dagli  uomini...  » 

Questo  bel  libro  dello  Stevenson,  apologetico 
senza  passione,  spregiudicato,  e  tutto  basato  su 
documenti  —  ci  è  una  prova  di  più  del  vario,  ine- 
splicabile ,  complicatissimo  carattere  di  Mary 
Stuart.  Essa  ci  apparisce  come  la  donna  più 
donna  che  presenti  la  storia.  Bella,  sensibile  e  vo- 
luttuosa; impressionabile  come  una  francese,  e 
tenace  come  una  scozzese;  cattolica  e  regina  — 
e  regina  e  cattolica  del  secolo  decimosesto  ;  de- 
stinata a  provare  e  ispirare  odii  e  amori  egual- 
mente fatali  ;  capricciosa  e  leggera  con  Chaste- 
lard,  crudele  con  Darnley,  passionata  con  Bothwell, 
patetica  a  Fotheringay,  sublime  sul  patibolo,  essa 
è  rimasta  una  devozione  per  i  cattolici,  e  una 
magnetica  simpatia  per  i  poeti  e  gli  artisti  a 
qualunque  confessione  appartengano.  Ed  essa 
resta  sempre  essenzialmente  e  tipicamente  donna; 
dal  primo  capriccio  galante,  all'  ultimo  singulto 
sul  palco  :  da  quando,  sirena  trionfatrice,  sa  e 
sente  che  una  bellezza  come  la  sua  equivale  al 
genio  e  alla  forza,  ed  è  inebriata  e  saziata  della 
sua  plastica  perfezione  e  della  sua  irresistibile 
onnipotenza,  —  fino  all'ora  di  sangue  in  cui  mette 


MARY    STUART    DKIJ.O    STKVENSON  317 

sul  ceppo  le  bianclie  perfette  mani  per  farsene 
guanciale  al  delicato  volto;  e  mormora,  con  quelle 
labbra,  i  cui  baci  costavano  la  vita,,  i  penitenti 
Salmi  di  David. 

(Nuova  Anloìogia,  1   marzo  1887.) 


The  collected  Works  of  Dante  Gabriel  Rossetti 
—  edited  loitli  Preface  and  Notes  hy  William  M. 
Rossetti.  —  Sono  due  volumi  desiderati,  e  fino  dal 
primo  annunzio  aspettati  con  impazienza  da 
quanti  amano  1'  arte  in  Inghilterra  e  in  Italia.  Al 
famoso  volume  dei  Poems  pubblicato  nel  1870 
successero,  dieci  anni  dopo,  i  due  volumi  conte- 
nenti quasi  tutta  l'opera  poetica  di  Dante  Ros- 
setti: ma  si  sapeva  che  non  era  tutta^  e  il  pub- 
blico aspettava  una  edizione  definitiva,  critica  e 
completa,  contenente  anche  i  pensieri  staccati  e 
gli  scritti  critici  dell'  insigne  artista.  Questi  due 
bei  voliw?ii  pubblicati  ora  dall'  EUis,  possono  ap- 
pagare il  più  scrupoloso  e  incontentabile  Rosset- 
ti ano.  L'edizione  che  fu  preparata  ed  è  stata 
condotta  a  cura  di  Guglielmo  Rossetti,  fratello 
del  poeta,  consiste  dell'  intero  contenuto  dei  tre 
precedenti  volumi  (1870-1881);  comprende  le  tra- 
duzioni, riviste  e  aumentate,  dei  Primi  poeti  ita- 
liani^ pubblicate  nel  1871  sotto  il  titolo  Dante  e 
il  suo  gruppo  ;  poesie  e  frammenti  di  poesie  ine- 
dite ;  scritti  critici  ;  e  abbozzi  e  progetti  in  prosa 
per  future  poesie.  Cosi  in  due  compatti  e  bei  vo- 
lumi   abbiamo,    diligentemente    raccolto,  quanto 


318     OPERE  DI  DANTE  GABRIELE  ROSSETTI 

pensò  e  scrisse  uno  dei  più  originali  e  simpatici 
artisti  del  nostro  secolo.  E  non  è  ultimo  pregio 
di  questa  edizione  la  bella,  accurata  e  interessante 
Prefazione^  die  è  un  eccellente  studio  biografico 
e  critico  del  pittore-poeta. 

il  E^ossetti  è  gloria  inglese  e  italiana  ad  un 
tempo.  È  figlio  del  poeta  dei  Salmi  e  del  Veggente 
in  solitudine j  del  patriotta  ardente  che  morì  esule 
e  cieco  a  Londra,  di  quel  Grabriele  Rossetti  che  in- 
dagò nella  Commedia  di  Dante  i  futuri  destini  d'Ita- 
lia, e  scrisse  un  commento  che  se  ha  talvolta  del 
sibillino,  spesso  è  luminosamente  profetico. 

E  l'origine  e  il  sangue  italiano  si  riconosce 
e  si  sente  in  ogni  poesìa,  in  ogni  quadro  di  Dante 
Rossetti.  Scorrendo  questi  due  volumi  della  com- 
pleta sua  produzione  letteraria,  sempre  più  ci  ap- 
parisce chiara,  evidente  la  italianità  del  suo  mi- 
sticismo poetico. 

Egli  fu  per  tutta  la  vita  un  contemplatore  e 
adoratore  della  ideale  e  spirituale  bellezza  feminea, 
come  il  Guinicelli  e  Dante. 

Egli  fu  uno  dei  primi  e  più  efficaci  iniziatori 
del  movimento  preraffaellista. 

Il  j)reraffaellismo  fu  in  sostanza  l'applica- 
zione alle  arti  plastiche,  di  quel  movimento  ri- 
voluzionario che  avevano  impresso  alla  j^o^sia  e 
al  linguaggio  poetico  Wordsworth  e  Coleridge,  e 
che  prima  di  loro  avevano  iniziato,  in  parte, 
Cowper  e  Barns.  Al  movimento  preraffaellista  si 
collegano  i  nomi  degli  artisti  Hunt,  Burne  Jones, 
Madox  Brown,  Millais,  Woolner,  Rossetti  e  varii 


OPERE  DI  DANTE  GABRIELE  ROSSETTI     319 

altri  —  e  il  grande  critico  Ruskin,  e  i  poeti  Ros- 
setti, Cristina  Rossetti,  il  Morris  e,  in  parte,  Al- 
gernon  Swinburne.  In  poesia  c'era  meno  da  rin- 
novare, dopo  AVordsworth,  Coleridge,  Keats, 
Tennyson,  Elisabetta  Barrett  Browning  e  Ro- 
berto Browning.  Ma  i  nuovi  giovani  poeti  fra- 
ternizzarono coi  giovani  artisti,  e  in  certo  modo 
aiutarono  e  illustrarono  il  preraffaellismo  con  la 
loro  preferenza  pei  soggetti  medioevali,  le  vecchie 
ballate,  il  pittoresco  locale  della  rappresentazione, 
la  fedeltà  nei  particolari,  e  dando  e  ricevendo 
impulso  scambievole  di  ispirazioni.  Infatti  i  poemi 
del  Morris  somigliano  a  grandi  arazzi  o  affreschi 
italiani;  le  prime  poesie  del  Rossetti  paiono  figure 
su  fondo  d'oro  di  Giovanni  Angelico  ;  e  certe 
ballate  giovanili  del  Swinburne  hanno  la  grazia 
e  la  idealità  delle  figure  del  Botticelli. 

Le  Ballate  del  Rossetti  che  in  questa  defini- 
tiva edizione  critica  si  leggono  logicamente  di- 
stribuite, arricchite  di  note  e  varianti,  reggono  a 
una  nuova  e  ripetuta  lettura,  e  alcune  sono  vere 
gemme  della  moderna  poesia  inglese.  Ma  sono 
state  forse  troppo  lodate,  troppo  esaltate  dai  cri- 
tici inglesi  contemporanei.  A  chi  non  abbia  letto,  o 
non  rammenti  la  Christahel  e  VAncient  Marhier  di 
Coleridge,  le  poetiche  leggende  di  Keats,  la  Lady 
of  Shalott  di  Tennyson,  e  il  magico  Lay  of  the 
Broìon  Rosary  della  Browning,  le  Ballate  dei  Ros- 
setti debbon  parer  cosa  molto  più  originale  e 
caratteristica  di  quel  che  sono  realmente.  La 
nota  veramente  nuova,  e  modulata  con  arte  unica 


320     OPERE  DI  DANTE  GABRIELE  ROSSETTI 

dal  Rossetti,  è  la  nota  di  amore  nei  Sonetti  e  nei 
Canti:  è  il  suo  estatico  e  lirico  culto  della  fem- 
minile bellezza  —  delle  forme  perfette  illuminate 
e  spiritualizzate  dalla  luce  interiore  dell'anima. 
E  come  poeta  e  come  pittore  è  uomo  del  Medio 
Evo,  e  del  Medio  Evo  italiano.  E  quando  egli  si 
è  provato  a  rappresentare  la  vita  reale,  moderna 
e  contemporanea,  ba  mancato  il  segno  in  poesia 
ed  in  pittura.  La  sua  Jenny  finisce  per  somigliare 
a  una  Blessed  Dcunozel...  Pensate  all'effetto  che 
avrebbe  saputo  trarre  da  un  argomento  come 
quello  della  Jenny,  un  poeta  che  abbia  vivo  il 
sentimento  della  vita  moderna,  un  Heine,  un 
Browning,  un  Musset! 

Dante  Gabriele  Rossetti  visse  quasi  sempre 
nella  solitudine,  in  campagna,  con  la  bellissima 
donna  che  prima  lo  ispirò,  e  morta,  lo  lasciò  in- 
consolabilmente vedovo  e  triste  a  languire  per 
pochi  anni  prima  di  ricongiungersi  a  lei.  Essa  è 
1'  eterno  modello  di  tutte  le  donne  cantate  o  di- 
pinte dal  Rossetti  :  le  quali  sembran  tutte  parlarci 
di  una  vita  futura,  di  una  seconda  nascita.  Umili 
e  belle,  tenere  e  tranquille,  profondamente  tran- 
quille come  un  purissimo  lago,  tutte  levano  da 
terra  il  nostro  pensiero.  La  donna  amata  fu  per 
il  Rossetti  r  eterna  calamita  del  cielo  —  e  ci  ri- 
corda la  divina  Beatrice,  e  la  trasfigurata  Mar- 
gherita nel  finale  mistico  del  Fausto.  Tutte  ci  fanno 
ripetere  :  • 

Das  Ewig-Weibliche 
Zielit  uns  hinan! 


OPERE  DI  DANTE  GABRIELE  ROSSETTI     321 

La  Blessed  Damozel  può  dirsi  il  tipo  di  queste 
poetiche  visioni  di  resurrezione.  Si  :  la  Beata  Don- 
zella è  per  il  Rossetti  poesia,  conforto,  e  delizioso 
tormento.  Egli  rivede,  adorando,  nella  profondità 
dell'  etere  azzurro  e  immacolato,  la  sua  diletta  che 
s' inchina  verso  la  terra,  aspettandolo.  Rivede  i 
suoi  occhi  puri  e  profondi,  i  folti  e  lunghi  capelli 
gialli  come  spighe  mature....  Essa  è  estatica  di 
celeste  stupore  al  primo  ingresso  del  paradiso. 
Sette  stelle  le  brillano  in  fronte;  la  sua  tunica 
di  vergine  e  di  angelo  ha  un  solo  ornamento  :  una 
rosa  bianca,  dono  della  Madonna.  Essa  conversa 
ora  con  altre  beate  sorelle,  i  cui  nomi  sono  cinque 
dolci  melodie  :  Cecilia,  Gertrude,  Maddalena,  Ro- 
salia, Margherita.... 

Il  Rossetti  era  veramente  nato  poeta-pittore. 
I  suoi  detrattori,  ne  ebbe  e  ne  ha  ancora,  lo  chia- 
mano artista  di  genere  neutro.  Come  pittore,  di- 
cono, è  troppo  poeta;  e  per  poeta,  è  troppo  pit- 
tore. Il  fatto  è  che  egli  era  nato  pittore  e  poeta 
ad  un  tempo.  Ed  è  tanto  vero  che  egli  era  pittore 
nato,  che  quando  ha  voluto  trasportar  sulla  tela 
alcune  delle  sue  creazioni  poetiche,  le  ha  modifi- 
cate, e  direi  quasi  trasfigurate,  per  obbedire  a 
certe  leggi  di  colorito  e  d'  effetto.  Per  esempio  la 
eterea  Damozel  della  poesia  è  venezianamente  co- 
lorita nel  quadro,  e  rammenta  più  il  Tintoretto 
che  Giotto.  E  fu  giustamente  notato  da  Vernon 
Lee  che  il  colorito  del  Rossetti,  in  particolar  modo 
nelle  sue  ultime  opere,  è  vivo,  ardente,  quasi  senza 
sfumatura,  talvolta  un  po'  duro,  come  un  mosaico 

Xexcioxi.  —  Saggi  critici  di  leti,  inglese.  ™1 


322  OPERE    DI    DAxNTE    GABRIELE    ROSSETTI 

bizantino;  e  in  perfetto  contrasto  coi  primi  suoi 
lavori  in  cui  era  notevole  una  delicata  gradazione 
di  tinte. 

Le  pagine  di  critica  letteraria  e  artistica  che 
si  leggono  in  questi  due  volumi  delle  Opere  com- 
plete di  Dante  Rossetti  non  sono  certo  all'altezza 
del  nome  del  loro  autore,  e  ci  aspettavamo  di  più. 
Notevole  la  illustrazione  del  gran  quadro  di  Ma- 
doxBrown  —  Chaucer  che  legge  un  suo  Racconto 
a  Edoardo  III  —  ma,  in  generale,  al  Rossetti  cri- 
tico manca  quella  larga  e  universale  simpatia  che 
fa  intendere  ed  accettare  ogni  espressione  del- 
l' arte  che  sia  un  sincero  riflesso  della  vita.  Per 
esempio,  mi  pare  evidente  che  il  Rossetti  non 
senti  mai,  non  simpatizzò  mai  con  l' umorismo 
di  Rabelais,  con  la  grandiosità  serena  di  Rubens, 
con  l' intensa  e  ardente  visione  di  Rembrandt  o 
di  Byron. 

Alle  cure  del  professor  Norton  dobbiamo  il 
bel  volume  della  Corrispondenza  fra  Goethe  e  Car- 
iale. Il  Carlyle,  fino  dal  1840,  aveva  raccolte  in 
un  pacco  suggellato  tutte  le  lettere  avute  da 
Goethe.  Questo  pacco  restò  sepolto  in  fondo  a  una 
cassa  di  carte  e  documenti  che  servirono  alla  sto- 
ria di  Cromwell:  si  credè  smarrito;  e  solo  qual- 
che anno  dopo  la  morte  di  Carljde  fu  ritrovato. 
Le  lettere  di  Carlj'le  a  Goethe  si  conservano  nel- 
l'Archivio Goethiano  a  Weimar.  Il  signor  Norton 
ha  fatto  fare  esatte  copie  delle  due  corrisponden- 
ze, riscontrandole  sugli  originali,  avutone  gentil- 


CORRISPONDENZA    FR.V   GOETHE    E   CARI.YLE      32 


JÙO 


mente  il  permesso  dalla  signora  Alexander  Car- 
lyle,  e  dalla  Granduchessa  di  Weimar,  Ed  oggi  le 
pubblica,  corredate  di  note,  sommari,  appendici, 
indice  copioso,  e  dandoci  delle  lettere  di  Goethe 
il  testo  originale  e  la  traduzione  inglese. 

Leggendo  queste  lettere  scritte  negli  anni 
1824-30,  si  intende,  e  non  troviamo  più  tanto 
singolare,  la  simpatia,  anzi  il  culto,  di  Carlyle 
per  Goethe.  Finora,  anche  a  critici  insigni  come 
il  Sainte-Beuve,  il  Taine,  l'Arnold,  lo  Scherer,  era 
parsa  assai  strana  la  devozione  del  gran  Puritano 
Scozzese  per  il  grande  Pagano  Tedesco.  Lo  Sche- 
rer non  può  trattenersi  dal  riderne.  Certo  è  dif- 
fìcile trovare  nella  storia  dell'arte  due  nature 
così  diverse,  due  scrittori  cosi  opposti  di  fede,  di 
gusto,  d' indole,  di  stile,  come  1'  autore  di  Sartor 
Eesartus  e  il  poeta  di  If  genia  e  delle  Elegie  Romane. 
L'uno  adoratore  dell'eroismo  individuale,  con- 
templante con  mistico  terrore  1'  universo  e  la  sto- 
ria, puritano  ed  iconoclasta,  avverso  allo  spirito 
democratico,  detrattore  delle  Arti  belle  e  della 
musica  moderna,  entusiasta  ed  intollerante,  de- 
ploratore eloquente,  minaccioso  profeta,  scrittore 
più  unico  che  raro,  originale  fino  alla  stravagan- 
za, a  balzi  e  scatti,  spesso  visionario  ed  apocalit- 
tico, sempre  eloquente  e  magnetico.  L'altro,  genio 
universale,  comprendente  tutto,  e  tutto  assimi- 
landosi nella  sua  olimpica  tranquillità;  interes- 
sandosi a  tutto,  e  tutto  studiando  con  una  curiosità 
scientifica  e  artistica  a  un  tempo  ;  accettando  tutti 
X  motivi  poetici  e  artistici   nella   sua  panteistica 


324-      CORRISPONDENZA    FRA    GOETHE    E   CARLYLE 

indifferenza  —  Giove  e  gli  Arcangeli,  Elena  e  la 
Mater  gloriosa^  le  Grazie  e  le  Streghe;  occupan- 
dosi di  storia,  di  politica,  di  economia,  di  botani- 
ca, di  ottica,  di  mineralogia  —  di  attori  e  di  can- 
tanti, di  quadri,  di  statue,  di  musica;  passando 
dal  Wertlier  dÀV Ifigenia  ^  da  Eginont  sì'  Wilhelm 
Meister,  adii  Lieder  ?i^i  Epigrammi  ;  trattando  «  con 
fronte  calma  e  mani  ardenti  »  i  suoi  personaggi; 
bello,  nobile,  impassibile,  felice. 

Quale  misteriosa  relazione,  qual  simpatia 
poteva  unire  queste  due  così  differenti  nature  ? 
Che  Goethe,  il  quale  nella  sua  vecchiaia  si  inte- 
ressava ad  ogni  movimento  intellettuale  d'  Euro- 
pa, che  leggeva  e  ammirava  e  traduceva  il  Man- 
zoni, che  incoraggiava  i  giovani  poeti  di  Francia, 
provasse  curiosità  e  simpatia  per  il  giovane  scoz- 
zese che  rivelò  all'Inghilterra  tante  glorie  lette- 
rarie tedesche,  per  l'autore  della  Vita  di  Schiller, 
per  il  traduttore  del  Wilhelm  Meister  —  s' intende 
facilmente.  Ciò  che  mal  si  capiva  finora  era 
1'  amore  e  1'  ammirazione  di  Carlyle  per  Goethe. 
Questo  volume  ci  dà  la  chiave  di  questo  mistero, 
il  motto  di  questo  enigma.  L' immenso  benefìzio 
fatto  da  Goethe  a  Carlyle  fu  di  avergli,  in  un  mo- 
mento decisivo  di  crise,  rivelato  lo  scopo  della  vita 
e  dell'Arte,  e  d'averlo  guarito,  con  la  parola  e  con 
1'  esempio,  dal  dubbio,  dalla  noia,  dal  sentimen- 
talismo elegiaco.  Ciò  che  Goethe  gli  persuase  in- 
dimenticabilmente, fu  questo  :  —  L'  uomo  è  nato 
all'  azione  :  è  nato  per  lavorare,  non  per  godere. 
La  felicità  può  trovarsi,  per  via  indiretta,  nel  li- 


bero  esercizio  delle  proprie  facoltà,  nell'  azione, 
nel  lavoro.  L' ideale  è  in  noi,  non  fuori  di  noi. 
'U  ideale  è  il  momento  attuale^  per  chi  lavori  con 
tutta  coscienza,  secondo  le  proprie  attitudini.  La- 
vorate e  j^roducefce  —  sia  pure  la  più  misera  e  in- 
finitesimale frazione  di  prodotto  —  producete! 
Ogni  genere  di  lavoro,  dal  più  intellettuale  al 
più  manuale,  è  sacro,  e  dà  pace  allo  spirito 
umano.  — • 

Fu  una  vera  conversione,  della  quale  il  Car- 
lyle  si  mostrò  grato  a  Goethe  in  tutti  i  suoi 
scritti  e  per  tutta  la  vita.  Imparò  da  lui  a  edu- 
care se  stesso,  a  volere  fortemente  e  perseveran- 
temente operare  :  ad  apprezzare  degnamente  la 
vita,  e  il  supremo  valore  del  tempo. 

Vorrei  che  queste  lettere  fossero  oggi  molto 
lette  dalla  gioventù  di  Francia  e  d' Italia. 

Il  materialismo  larvato  coi  nomi  di  posiviti- 
smo  e  di  naturalismo  ha  ridotto  la  letteratura  di 
questi  ultimi  venti  anni  a  una  trascrizione  di 
ambienti,  a  uno  studio  puramente  fisiologico  di 
piccole  cause,  di  impulsi  ereditari,  che  fanno  la 
creatura  umana  incapace  di  reazione  e  di  resi- 
stenza individuale,  e  in  cui  la  volontà  non  agi- 
sce più  perchè  paralizzata  dal  fatalismo.  —  Per- 
chè, infatti,  volere  e  lottare,  se  una  forza  fuori  di 
me,  indipendente  da  me,  inevitabile  e  irresistibi- 
le, è  quella  che  mi  fa  agire?  —  Vedete  il  roman- 
zo, questa  forma  letteraria  che  è  la  confessione 
della  società!  E  diventato  un  bric-à-brac  di  curio- 
sità bizantine  e   archeologiche,  una  illustrazione 


326   CORRISPONDENZA  FRA  GOETHE  E  CARLYLE 

della  moda,  un  boudoir^  un'  alcova,  e  qualche 
volta  anche  un  j^^^f'c  aux  cerfs  della  letteratura.... 
Alla  formula  virile  e  feconda:  «  L'uomo  è 
nato  all'  azione  »  si  è  sostituito  quella  gretta, 
sterile  e  egoistica  :  «  l' uomo  è  nato  per  gode- 
re. »  E  paralizzata  1'  energia  della  volontà  e 
dell'  azione ,  il  dramma  umano  intorpidisce  o 
si  riduce  a  moti  galvanici  e  isterici.  La  vita 
non  è  più  un  fiume  corrente  e  suonante,  ma  una 
muta  e  putrida  gora.  Essa  si  risolve  o  in  una 
vana  e  faticosa  e  snervante  réverie  —  o  in  una 
caccia  affannosa  ai  diletti  sensuali,  raffinati  fino 
al  delirio,  fino  alla  crudeltà;  e  si  conclude  col  ne- 
gare ogni  possibile  felicità  sulla  terra.  Errore. 
L'  uomo  è  felice  quando  sa  rinunziare  alla  felici- 
tà; ossia  quando  la  cerca  indirettamente  nella 
azione,  nel  lavoro.  Gli  nomini,  nelle  più  diverse 
condizioni,  che  hanno  potuto  esercitare  le  loro 
facoltà  naturali,  perfezionandole  con  perseverante 
applicazione,  sono  stati,  e  si  sono  dichiarati,  fe- 
lici. Esempi  insigni  :  Leonardo,  Raffaello,  Galileo, 
Gustavo  Adolfo,  Voltaire,  Goethe,  Rossini,  Cu- 
vier,  e  tanti  altri.  —  «  Au  nom  de  l'humanitó, 
Sire,  daignez  penser  que  l'homme  est  libre  dans 
ses  actes  »  —  scriveva  Voltaire  a  Federigo  li  ; 
e  quando  questi  ne  fu  convinto,  lo  scettico  suona- 
tore di  flauto  diventò  il  vincitor  dell'Europa,  e  il 
creatore  della  Prussia  o  della  moderna  Germania. 

Ecco  due  nuove  edizioni  (inglese  e   america- 
na)  dei  Comici   della   Restaurazione:    commedie 


POETI    COMICI    DELLA    RESTAURAZIONE  327 

scelte  di  Wycherley,  Congreve,  Farquhar,  Van- 
brugh.  Le  considerazioni  che  ci  vengon  fatte  ri- 
leggendo queste  commedie  son  tristi,  e  sono  ine- 
vitabili certi  raffronti.... 

La  restaurazione  del  regio  potere  con  Carlo 
II  Stuart,  ponendo  fine  al  dominio  dei  Puritani, 
ruppe  le  ferree  dighe  che  essi  avevano  inalzato 
contro  ogni  sensualità;  e  il  torrente,  fino  allora 
contenuto,  irruppe  violento  e  allagò  dapper- 
tutto.... 

I  Puritani,  profondamente  convinti  delle  ve- 
rità rivelate  nella  Scrittura;  certi  che  il  minimo 
di  essi  era  destinato,  prima  che  cielo  e  terra  fos- 
ser  creati,  a  felicità  ineffabili  o  pene  atroci  che 
durerebbero  eterne,  secondo  le  loro  azioni  su  que- 
sta terra  ;  sicuri  della  assidua  presenza  e  inter- 
vento dello  spirito  di  Dio  nelle  vicende  umane  ; 
esaltati  dalla  continua  fervente  lettura  delle  tre- 
mende pagine  dei  Profeti  e  della  Apocalisse,  o 
dal  lirico  entusiasmo  dei  Salmi;  prendevano  alla 
lettera  i  versetti  del  Vecchio  Testamento,  e  sop- 
primendo nell'  uomo  la  parte  materiale,  le  gioie 
sensuali,  lo  riducevano,  creatura  tutta  spirituale 
ed  ascetica,  a  non  vivere,  a  non  pensare,  a  non 
agire  che  in  vista  di  Dio.  Xel  loro  entusiasmo 
consisteva  la  loro  forza  —  e  una  forza  eroica.  Cit- 
tadini, politici,  soldati,  se  spesso  fecero  cose  ridi- 
cole, più  spesso  ne  fecero  delle  grandi.  Essi  fu- 
rono con  Cromwell  i  creatori  della  grandezza 
politica  dell'Inghilterra,  e  i  primi  fondatori  delle 
repubbliche  americane.    Si  battevano  il  petto,  e 


328     POETI  COMICI  DELLA  RESTAURAZIONE 

cantavano  salmi  con  voce  nasale  prima  della  bat- 
taglia—  ma  combattevano  da  eroi:  e  all'occa- 
sione seppero  tollerare  senza  un  gemito  le  più 
raffinate  torture.  Intolleranti,  ma  logici  nella  loro 
fede,  ne  accettarono  le  ultime  conseguenze;  e  ar- 
rivati al  potere,  le  imposero.  Iconoclasti  e  mora- 
listi, bandirono  anche  i  divertimenti  innocenti. 
Commedie  amorose,  quadri  voluttuosi,  poesie  pro- 
fane parvero  veri  delitti.  I  teatri  si  chiusero.  Nella 
domenica  fu  proibito  persino  il  bacio  e  1'  am- 
plesso materno.  La  Bibbia  e  la  spada  furono  le 
consolazioni  uniche  di  quei  feroci.  Erano  soldati 
o  teologi  —  e  spesso  1'  una  cosa  e  1'  altra  ad  un 
tempo,  come  il  vecchio  Oliviero.  La  letteratura 
era  ridotta  ad  un'  enciclopedia  biblica,  a  una  ter- 
ribile foresta  teologica.  I  grandi  trattati  politico- 
teologici  scritti  in  latino  da  Milton  fanno  spa- 
vento.... 

La  reazione  fu  eccessiva,  incredibile,  se  non 
ci  facessero  fede  della  verità  di  certi  particolari 
le  relazioni  contemj)oranee  e  il  teatro.  Alle  riu- 
nioni ove  si  cantavano  Salmi  e  si  aspettava 
l' ispirazione  dell'Altissimo,  successero  i  notturni 
conviti,  in  cui  mangiare  fino  alla  nausea  e  ruzzo- 
lare briachi  sotto  la  tavola,  uomini  e  donne,  parve 
cosa  spiritosa  e  galante.  Il  conte  di  Rochester 
osò  cose,  e  se  ne  vantò,  che  non  si  osarono  a  Pa- 
rigi, sotto  la  Reggenza.  Il  re  divideva  le  carezze 
di  Miss  Stewart  e  della  duchessa  di  Cleveland 
con  gente  di  teatro,  con  saltatori  di  corda.  La 
contessa  di  Arlington  si  faceva  dipinger  nuda  da 


POETI    COMICI    DELLA    RESTAURAZIONE  829 

Lely,  e  teneva  questo  ritratto  appeso  alla  parete 
del  suo  salotto.  Afra  Behn,  miss  Jenning,  lady 
Castelmaine,  usavano  abitualmente  un  linguaggio 
die  rammenta  quello  dei  vetturini  toscani.... 

Questa  società  si  rivela  nelle  poesie,  nelle 
lettere,  nei  racconti;  ma  più  e  meglio,  nel  teatro 
comico  di  queir  epoca.  Davenant,  Crowne,  Con- 
greve, Wycherley  sovra  tutti,  ce  ne  offrono  i  più 
variati  particolari  con  una  audacia  di  rappresen- 
tazione, con  una  crudezza  di  espressioni  e  di  so- 
stantivi da  fare  arrossire  Nana.  Si  direbbe  che 
il  commediografo  si  diverte  a  rotolare  nel  fango 
i  suoi  personaggi,  ad  avvilire  con  scene  da  farsa 
i  più  nobili  e  naturali  sentimenti  dell'  uomo  :  li 
mantiene  nel  fango  come  nel  loro  vero  stato  nor- 
male, non  come  per  effetto  di  una  caduta  :  e  si 
compiace  nella  lotta  bestiale  dei  loro  istinti  sfre- 
nati. «  Ils  présentent  le  ménage  comme  une  pri- 
son,  le  mariage  comme  une  guerre,  la  femme 
comme  une  révoltóe,  l'adultere  comme  une  issue, 
et  le  désordre  comme  un  droit.  »  Il  teatro  di 
"Wycherley  fu  definito  «  uno  stecconato  di  ani- 
mali immondi,  di  faine,  di  iene,  e  di  muli.  »  I 
suoi  personaggi  son  più  brutali  che  spiritosi,  e  in 
fondo  a  queste  comiche  orgie  vi  è  una  amara  e 
acre  tristezza....  Quanto  siamo  lontani  dal  fine, 
poetico,  lieto  e  sano  riso  delle  commedie  di 
Shakespeare  ! 

Volete  conoscere  i  mariti  di  quel  teatro?  Ec- 
cone uno  :  John  Brute  —  e  ve  lo  descrive  la  mo- 
glie: «  La  sera   ruzzola   in    camera,   barcollando 


830  POETI    COMICI   DELLA   RESTAURAZIONE 

come  se  avesse  il  mal  di  mare,  entra  brutalmente 
a  letto,  coi  piedi  gelati  come  la  neve,  il  fiato 
caldo  come  una  fornace,  con  le  mani  e  il  viso 
unti  come  la  lana  del  suo  odioso  berretto  da 
notte,  butta  all'  aria  il  lenzuolo,  se  lo  tira  tutto 
dalla  sua  parte,  mi  lascia  mezza  ignuda  e  si  mette 
a  russare....  >■> 

Le  mogli  si  levano  alle  due  pomeridiane,  man- 
dano, appena  deste,  due  o  tre  imprecazioni  al 
marito,  come  preghiera  del  mattino,  e  passano 
la  giornata  a  dire  o  ascoltare  delle  oscenità,  a 
giocare,  ballare,  e  fare  all'amore. 

Ecco  i  patti  che  mistress  Millamant  pone  a 
Mirabell,  sventolandosi  col  ventaglio  e  gingillan- 
dosi coi  fiocchi  di  seta  del  suo  falhalas  :  —  «  Caro, 
appena  sposati,  badate,  io  non  voglio  più  quei 
noiosi  vezzeggiativi  gìoja  mia.^  cuore  mio,  nina  mia, 
e  tutto  quel  brutto  gergo  di  nau.-eabonda  fami- 
liarità fra  marito  e  moglie.  No,  caro  Mirabell,  non 
ci  rendiamo  ridicoli  ai  nostri  propri  occhi  con 
r  esser  teneri,  neppure  nei  momenti  della  più  in- 
tima intimità.  Verrò  a  desinare  quando  mi  pia- 
ce..., il  mio  gabinetto  sarà  inviolabile,  e  in  qua- 
lunque stanza  io  mi  trovi,  busserete  sempre  alla 
porta,  prima  d'  entrare.  » 

Nella  Sj^osa  campagnola  il  signor  Horner  tor- 
nato da  Parigi  spande  voce  che  non  farà  più 
torti  ai  mariti.  La  società  galante  se  ne  commuo- 
ve.... Le  signore  commentano  in  dialoghi  aretine- 
schi  la  situazione,  e  gli  invadon  la  casa....  Il  re- 
sto non  si  può   neppure  accennare.   I   discorsi  di 


POETI    COMICI    DELLA    RESTAURAZIONE  331 

Olivia  nel  Maestro  di  hallo,  il  monologo   di   lady 
Flippant  nel  parco,  son  cose  inaudite,  incredibili. 
E  mi  pare  che  basti  —  se  non  ho    già  detto 
troppo.... 

(Nuova  Antolo(jia,  1  giugno  1887.) 


I  soggetti  del  nuovo  libro  di  Vernon  Lee  son 
quasi  tutti  italiani.  Il  Rinascimento  e  il  Settecento^ 
che  l'autrice  ha  studiati  con  tanta  intelligenza  ed 
acume,  e  che  le  dettero  materia  alle  più  belle 
pagine  di  Belcaro,  degli  Studi  e  di  Eupliorion,  of- 
frono argomento  anche  a  molti  di  questi  Juvenilia. 
Di  pittura  infatti  o  di  musica  vi  si  parla  quasi  a 
ogni  pagina. 

E  anche  in  questo  nuovo  libro  la  originalità, 
talvolta  la  ingegnosità  del  concetto,  è  sempre  av- 
vivata dalla  parola  pittoresca  ed  artistica.  La  di- 
scussione estetica  si  accojDpia,  senza  confondersi 
e  anzi  giovandosene,  al  ritratto  e  al  paesaggio, 
alla  satira  e  d^XV humour.  E  un  genere  di  scritti 
che  ha  dello  sketch,  del  criticai  essai/  e  del  round- 
about  ijaper  al  tempo  stesso.  Vi  è  lo  spirito  di  os- 
servazione e  di  analisi  inglese,  unito  a  un  vivo 
sentimento  meridionale,  della  forma,  dei  colori  e 
dei  suoni. 

Vernon  Lee  ha  la  immaginazione  simpatica, 
cioè  la  rarissima  e  sovrana  facoltà  di  rievocare 
personaggi  ed  epoche  spente;  di  vivificare  le  più 
aride  o  metafisiche  questioni  col  calore  dell' entu- 


o32  JUVENILIA    DI   VERNON    LEE 

siasmo  e  con  la  luce  della  poesia.  Ciò  che  vi  ha 
di  più  caratteristicamente  inglese  nei  libri  di 
Yernon  Lee,  anche  in  questi  volumi  di  Juvenìlia, 
è  la  logica  e  serrata  concatenazione  degli  argo- 
menti (anche  quando  sostiene  delle  cause  che 
hanno  aria  di  paradossi),  e  l'umorismo,  talora 
benigno  e  j^idulgente,  più  spesso  caustico  ed  ag- 
gressivo. 

Leggendo  questi  nuovi  volumi,  mi  è  parso 
di  ascoltare  la  viva  conversazione  dell'autrice:  \i 
ho  ritrovato  la  stessa  vivacità  ed  efficacia  di 
espressione,  la  stessa  earnestness  di  discussione.  Ma 
spesso,  anche  in  questi  volumi,  l'autrice  ci  fa  ri- 
cordare che  l'uomo  moderno  sovraccarico  di  col- 
tura eclettica,  saturato  d'arte  e  di  critica,  di  mi- 
sticismo e  di  naturalismo,  di  Hegelismo  e  di 
Euskinismo,  vuol  troppo  speculare,  raffinare, 
fantasticare;  svisando  talvolta  con  speciose  e 
sistematiche  idee,  le  più  semplici  e  vitali  teorie 
estetiche;  cercando,  come  suol  dirsi,  lucciole  a 
mezzogiorno  —  studiando  insomma  la  Natura  e 
1'  Arte,  non  per  la  Natura  e  l'Arte  in  sé  stesse, 
ma  per  quello  che  possono  suggerirci;  e  quasi 
sempre  in  vista  di  una  conferenza  da  tenere,  o  di 
un  ]ibro  da  scrivere. 

Gli  scritti  più  notevoli  di  questi  due  volumi 
mi  sembrano  quelli  sul  Botticellì  e  sul  Gallupin^ 
il  Don  Giovanni^  Colorito  Lombardo^  C/iristkindcheUj 
Il  signor  Curiazio,  e  Perigot. 

Studiare  con  attenta  curiosità  il  Botticelli, 
par  diventata  una  moda  in  Lighilterra.  Da  quando 


J  LI  VENI  LIA    DI    VERXON    LEE  333 

se  ne  innamorarono  i  poeti  e  i  pittori  preraffael- 
listi,  si  può  segnalare  un  seguito  di  ammirabili 
studi  critici  sul  Botticelli.  Notevolissimi  quelli  del 
Ruskin  nella  sua  Ariadne  Fiorentina,  quello  del 
Pater,  e  i  recenti  del  Symonds  e  di  Vernon  Lee. 

Compagno  di  una  potente  generazione  di 
pittori  naturalisti,  il  Botticelli  ba  raffigurato  fiori 
e  prati  e  ruscelli  con  un  delicatissimo  sentimento 
della  grazia  e  della  intima  vita  degli  oggetti  na- 
turali più  belli  e  poetici.  Ma  egli  è  un  pittore 
visionario  senza  cessare  di  essere  realista.  Pare 
contradizione,  ed  è  verità.  In  questa  straordina- 
ria e  felice  fusione  dell'ideale  col  reale,  il  Botti- 
celli  somiglia  a  Dante.  Di  più:  egli  ha  la  poesia, 
il  mistero  e  la  freschezza  delle  ore  mattutine, 
nella  storia  dell'Arte;  e  di  qua  il  fascino,  il  ma- 
gnetismo che  esercita,  e  la  curiosità  che  eccita  in 
noi  moderni. 

La  Immortalità  del  maestro  Gallupin  è  il  più 
caratteristico  se  non  il  più  bello  di  questi  Juveni- 
lia.  Più  cose  vi  sono  notevoli:  la  felice  evocazione 
del  Settecento  —  la  pittura  di  ardito  ed  efficace 
realismo,  una  vera  acquaforte,  di  una  festa  vene- 
ziana, delle  solite  feste  semiofficiali  dei  nostri 
giorni  —  e  l'arguto  e  al  tempo  stesso  malinconico 
accento  umoristico,  a  proposito  delle  vecchie  arie 
dimenticate. 

Ecco  tradotti  alcuni  frammenti  di  questo 
ammirabile  sketch'.  «  Xel  1770,  d'agosto,  Baldas- 
sarre Galluppi,  detto  il  Buranello,  maestro  di 
cappella   di   San   Marco,   direttore   della  Scuola 


334  JUVENILIA    DI   VERNON   LEE 

musicale  delle  Incurabili,  con  trenta  e  più  anni 
di  gloria   sulle  spalle,  faceva  vedere  ad  un  suo 
entusiasta  inglese  la  stanzuccia  col  cembalo,  che 
gli  serviva   di  scrittoio,   dicendo  modestamente: 
«  Qui  c'insudicio  della  carta.  »  Figuriamoci  la  ri- 
sata beatamente  sonora  dell'ammiratore  inglese; 
le  risate   un   po'  meno   sonore    degli  ammiratori 
veneziani,   che   avran    sentita    altre    volte  quella 
modesta  facezia;  il  sorriso  del  buono  illustre  vec- 
chietto; le  grandi  scappellate  col  tricorno,  i  grandi 
inchini  fino   a   terra,  tutta   quella   ginnastica  di 
garbatezze  che  spari  dal  mondo  insieme  col  «  Si- 
gnore, vi  son  schiavo,  »  e  simili  gentilezze  goldo- 
niane; una  scenetta  di  entusiasmo  e  di  modestia 
sull'uscio  di  quella  stanzuccia,  con  la  spinetta  in 
fondo,  i  mobili  dipinti  a  mazzetti,   e   la   finestra 
sul  canale;  abiti  lilla  e  verde  pisello,  e  toghe  nere, 
e  parrucche  a  anella  e  parrucche  a  codino;  una 
scenetta  insomma   degna  del  pennello  di  Pietro 
Longhi.... — Affettazioni,    civetterie   d'uomo    av- 
vezzo ai  trionfi,  direte  voialtri.  Può  darsi:  ma  a 
me,  vedete,  piace  credere  che  in  quelle  parole  del 
buon  Galluppi  ci  fosse,  insieme  a  un  po'  di  ironia, 
di  molta  sincerità;  il  dubbio  per  lo  meno  che  un 
giorno  quei  preziosi  spartiti  tanto  ammirati  di- 
venterebbero, agli  occhi  dei  posteri,  un  mucchio 
di  carta  rigata,  già  bianca,  ora  sudicia,  e  buona 
per  un  fondo  di  archivio,  o  per   il   banco   d'un 
pizzicagnolo...  Ma  il  maestro  Galluppi  aveva  torto. 
Gli  Dei,  e  più  specialmente  i  loro  rappresentanti,  i 
sindaci  e  gli  assessori  municipali,  son  sempre  amici 


JLJVENIM.V    ni    VKRNON    F.EK  335 

del  genio,  ne  lo  lasciano  annegare  «  nelle  nere  onde 
di  Lete,  »  come  si  sarebbe  detto  nel  1770.... 

«  Da  Barano  ci  giunge  il   suono   delle   cam- 
pane, lo  squillo  della  banda  che  rallegra  la  piaz- 
za. C  è  festa  grande  in  onore  dell'immortale  Gal- 
luppi.    I   bragozzi   da    pesca    con   le   vela  rance 
ripiegate,  e  le  reti  brune  stese  al  sole,  sono  schie- 
rati, custoditi  dal  solito  canino  che  abbaia  notte 
e  giorno,  nel  piccolo  porto.  Sugli  usci   delle  cu- 
cine, dove  luccica  tra  'i  buio  la  piatteria  d'  ottone 
fregiata  di  santi  e  di  dogi,  sono  sedute  le  nonne, 
sibille  o  parche  michelangiolesche,  e  i  vecchi  pe- 
scatori col  berretto  rosso  da  gondoliere  del  Quat- 
trocento, con  la  pelle  rugosa  come  quella  de' coc- 
codrilli;   bronzi    o   terre    cotte   viventi,    da   fare 
invidia  alla  buon'  anima  di  Donatello   o  del  Pol- 
lajolo...  La  folla  s'urta,  si  pesta,  ride,  e  bestemmia. 
La  banda   suona  il  duetto    del   Ruy-Blas^   il   pot- 
pourri  dell' J.ù/rt,    e  la  marcia  reale.  Le   campane 
squillano  a   distesa   nel  campanile  rosso.    Si   son 
fatti    bellissimi   discorsi,  vi  sarà   banchetto   con 
bellissimi  brindisi,  si  manderanno   telegrammi  a 
Venezia,  a  Roma,  al  Ministro  della  pubblica  istru- 
zione, al  maestro  Verdi.  E  tutto  questo  per  cele- 
brare il  fatto  che  centot  tanta  due  anni  fa  «  venne 
alla  luce,  »  come   dicono   i  biografi,  in   Durano, 
umile  isola   della   Laguna,    un    certo  tale  che   si 
chiamò  Baldassarre  Galluppi.  E  poi  mi  vengano  a 
dire  che  l' immortalità  non  è  sempre  accordata  al 
genio!...  Cosa  curiosa,  in  questa  festa  centenaria 
del  Galluppi,  non  si  è  sentito  del  Galluppi  nean- 


336  JUVENILIA    DI    VERNON    LEE 

che  una  nota  !  Cosa  da  rattristare?  Nossignori. 
Piuttosto  da  ridere:  il  fatto  è  troppo  singolare 
perchè  sia  triste...  L'immortalità?  Ebbene,  l'im- 
mortalità, se  il  buon  maestro  la  desiderava,  l'ha 
avuta.  Oggi  hanno  messa  una  lapide  sulla  casa 
dove  egli  è  nato... 

«  Avete  mai  pensato  alle  vecchie  melodie  di- 
menticate? Passate,  svanite,  come  il  rosseggiare 
del  tramonto  di  ieri,  come  le  foglie  delle  rose  di 
un  anno  fa.  Le  rose  tornano,  tornano  i  vivi  colori 
del  tramonto;  ma  quest'altre  cose,  che  pur  sono 
state  belle  al  pari  di  loro,  non  tornano.  Sono  sva- 
nite con  la  memoria  di  quegli  uomini  e  di  quelle 
donne  nella  cui  rimembranza  avevano  l' unica 
vera  esistenza.  Pensiero  strano  e  difficile  ad  affer- 
rare. Eppure  c'è  qualche  cosa  di  -più  strano  an- 
cora, di  più  inconcepibile  dalla  nostra  debole  im- 
maginazione; ed  è  il  pensiero  di  tutte  le  menti 
in  cui  risuonarono  quelle  melodie;  di  tutti  i  cuori 
che  ebbero  al  loro  suono  divino  un  fremito  di 
piacere  o  di  dolore;  il  pensiero  di  tutta  quella 
vita  insomma  che  ora  è  morta  —  di  quel  presente 
di  una  volta,  che  ora  è  il  passato,  e  dietro  il  qua- 
le, mentre  ascoltiamo  anche  noi  le  melodie  dei 
nostri  giorni,  si  precipita  questo  presente  che 
diverrà  passato.  Le  altre  arti,  architettura,  pit- 
tura, scultura,  rimangono;  e  poi,  esse  sono  sem- 
pre, più  0  meno,  esterne  alla  nostra  vita.  La  sola 
musica  esiste  assolutamente  in  noi  che  la  ascol- 
tiamo; anzi  non  ha  esistenza  all' infuori  della  no- 
stra; e  perciò  la  musica  muore... 


JUVENILIA    DI    VERNON    LEE  337 

«  Pensateci  un  momento.  Vi  sono,  per  esem- 
pio, due  arie,  nessuna  delle  due  vecchia  di  un 
secolo,  —  l'aria  «  Quelle  pupille  tenere  »  del  Ci- 
marosa,  e  la  cavatina  «  Di  tanti  palpiti  »  nel 
Tancredi  del  Eossini;  arie  che  furono  ai  loro  tempi 
le  più  famose,  cantate  e  zufolate  in  tutte  le  case, 
in  tutte  le  strade.  Riflettete  un  poco  a  ciò  che  si- 
gnifica il  fatto  che  di  queste  due  arie,  una  volta 
su  tutte  le  bocche,  non  se  ne  rammenta  una  per- 
sona fra  mille;  anzi,  dell'aria  del  Cimarosa  nean- 
che una  fra  ventimila.  Riflettete.  Significa  la  morte 
non  solo  di  quelle  melodie,  cioè  di  una  determi- 
nata quantità  di  bellezza,  d' individualità  di  pia- 
cere; ma  anche  la  morte  di  quegli  innumerevoli 
uomini  e  donne  che  hanno  sentito  e  goduto  quel 
piacere  e  quella  bellezza.  » 

Questo  vecchio  maestro  Galluppi  è  stato  for- 
tunato. Ha  ispirato  prose  e  poesie  di  primo  ordi- 
ne. Chi  non  rammenta  la  famosa  Toccata  del  Gal- 
luppi in  Uomini  e  Donne  di  Browning? 

Browning  nelle  sue  poesie  che  trattano  di 
pittura  0  scultura  è  stato  il  primo  a  cantare  di 
cose  d'arte  da  vero  artista,  cioè  come  è  verosi- 
mile che  si  esprimerebbe  un  pittore  o  uno  scul- 
tore, se  ci  rivelasse  la  sua  anima  con  la  parola  e 
col  ritmo,  invece  che  con  le  forme  e  i  colori.  Ma 
nessun  poeta  antico  o  moderno  lo  supera  nel  tra- 
durre in  versi  i  sentimenti  e  gli  istinti  di  un  mu- 
sicista. Alt  Vogler  è  la  più  ricca,  la  più  profonda, 
la  più  intensa  poesia  di  argomento  musicale  che 
sia  stata  scritta  in  Europa.  'E  in  A  Toccata  of  Gal- 

Nekcioxi.  —  Saggi  critici  di  Ictt.  inglese.  22 


ÓÓQ  JUVENILIA    DI   VERNÒN    LEE 

lujpjpiSy  egli  ha  magistralmente  rievocata  e  dipinta 
la  futile  e  gaia  vita  veneziana  del  Settecento,  i 
languori  sentimentali  dei  Florindi  e  delle  Rosau- 
re,  e  interpetrata  la  musica  da  Camera  di  quel 
tempo. 

Le  commedie  del  Goldoni,  certe  ville  romane, 
alcune  poesie  di  Browning,  e  alcune  pagine  di  Ver- 
non  Lee,  ci  rimetton  vivente  dinanzi  agli  occhi 
il  Settecento.  Rivediamo  i  cavalieri  con  le  lunghe 
mazze  dal  pomo  cesellato,  col  nicchio  sotto  il 
braccio,  che  fanno  inchini  e  complimenti  alle 
dame  in  abiti  damascati  e  gonfìanti  su.  dei  lyaniers 
che  hanno  quaranta  piedi  di  circonferenza. 

Che  abisso  fra  quella  gente  e  noi!  La  Eivo- 
iuzione  Francese,  come  la  eruzione  formidabile  di 
un  vulcano,  ha  spezzato  e  separato  due  mondi: 
di  mezzo  vi  corre  oggi  un  terribile  mare  che  non 
sarà  mai  superato. 

0  incipriati  e  gallonati  e  profumati  cicisbei 
del  Settecento,  dame  dai  nei  e  dai  x^oufs^  dai  vo- 
lants  e  dai  guardinfanti,  come  vi  rivedo  in  certe 
pagine  di  Vernon  Lee!  —  Ah!  essi  non  usavano, 
non  logoravan  la  vita,  quei  nostri  cari  antenati: 
e  quando  lei  mordeva  dalla  stizza  il  raso  nero 
della  maschera;  o  lui  batteva  per  gelosia  con  la 
punta  delle  dita  sull'elsa  dorata  dell'innocente 
spadino  —  erano  i  momenti  più  tragici  della 
spensierata  lor  vita.  Ahimè!  che  cosa  n'è  stato 
di  quelle  belle  creature  rosee  e  fresche,  tutte  seta 
e  trine  e  nastri  e  cipria  e  perle  e  piume  e  mu- 
sica e  baci  ?... 


JtJVENILlA    DI    VERNON    LEE  339 

Non  avevano,  quei  fortunati,  ne  letteratura 
naturalista,  né  teatro  a  tesi,  né  discorsi  delle  Ca- 
mere, né  musica  dell'avvenire.  E  prima  che  l'ipo- 
condriaco Eousseau  mettesse  alia  moda  1'  aurora, 
si  levavano  sempre  a  mezzogiorno.  Le  passioni 
erano  capricciosi  volani  scambiati  a  leggeri  colpi 
di  racchetta.  Il  buon  Goldoni  lo  attesta. 

Eppure,  nel  cuore  del  StUecento,  fiori  in  Ita- 
lia un  teatro  veramente  italiano,  e  scevro  di  ogni 
servile  imitazione,  di  carattere  nazionale  come 
l'inglese  Elisabettiano,  e  lo  spagnuolo  di  Lope  di 
Vega:  dramma  musicale  col  Metastasi o,  commedia 
realista  e  popolare  col  Goldoni,  fantastica  e  umo- 
ristica con  Carlo  Gozzi.  Nel  Settecento,  l'Italia 
prodigò  al  mondo  attonito  e  consolato  i  suoi  te- 
sori di  musica  sacra  e  profana.  In  un  secolo  in 
cui  il  mondo  era  immerso  in  filosofiche  specula- 
zioni, l'Italia  trovò  una  nuova  forma  dell'arte  — 
l'opera,  seria  e  buffa,  che,  per  certi  rispetti,  più 
che  restaurazione  e  rinascimento,  è  vera  creazione 
del  Settecento  :  e  che  prova  la  inesausta  fecondità 
di  questo,  magna  2>cirens  destinata  sempre  a  istruire 
o  confortare  l'umanità. 

Se  poi  dall'Italia  giriamo  lo  sguardo  a  tutta 
Europa,  il  Settecento  allora  da  leggero  si  trasforma 
in  colossale,  imponente,  specialmente  seguendolo 
fino  ai  suoi  ultimi  anni,  così  tragici  ed  epici.  Se- 
colo fantastico  e  positivo  nel  tempo  stesso,  non 
è  ancora  abbastanza  indagato  né  conosciuto.  Esso 
é  la  sfìnge  dei  secoli.  Pieno  dei  più  strani  con- 
trasti, ineffabilmente  magnetico  per  i  poeti,  i  ro- 


340  JUVENILIA   DI   VERNON   LEE 

manzieri  e  gli  artisti,  comincia  con  delle  canzo- 
nette e  finisce  con  una  formidabile  rivoluzione. 
Tutto  si  rimescola  e  s'agita  nel  suo  fatidico  seno: 
Voltaire  e  Cagliostro,  Federico  II  e  Rousseau,  gli 
Illuminati  e  gli  Enciclopedisti,  Metastasio  e  Di- 
derot, Goethe  e  Goldoni,  Schiller  e  Casanova, 
Cimarosa  e  Robespierre  :  la  ragione  e  il  mistici- 
smo, la  musica  e  la  strategia,  il  magnetismo  e  le 
matematiche,  le  parrucche  e  la  ghigliottina.  Se- 
colo che  canta,  ride,  medita,  calcola,  declama,  de- 
lira, uccide  —  e  finalmente  trionfa  fra  sangue  e 
rovine  inaudite,  e  inizia  una  nuova  epoca  del- 
l' umanità. 

Ed  è  perciò  naturale  che  avendo  il  Settecento 
dato  il  primo  impulso  agli  studi  e  il  primo  argo- 
mento ai  libri  di  Yernon  Lee  —  si  riaffacci  poi 
con  le  sue  eterne  questioni  e  coi  suoi  problemi  in 
tutte  le  altre  opere  dell'illustre  scrittrice;  e  anche 
in  questi  due  volumi  di  Juvenilia,  benché  qui  l'in- 
tonazione sia  più  leggera  e  vi  predomini  un  tono 
familiare  come  di  vivace  conversazione  fra  amici. 
L'Autrice  infatti  ha  dedicato  questi  nuovi  scritti 
al  suo  giovane  amico  Carlo  Placci. 

In  Christkindchen  (Gesù  hamlino)  l'autrice  rie- 
voca le  soavi  memorie  d'infanzia,  i  giorni  passati 
in  Roma,  la  poesia  del  Natale^  dei  regali  delle  fe- 
ste —  di  quel  mondo  poetico  delle  anime  semplici 
e  dei  bambini,  che  Teodoro  Hoffmann  ha  osser- 
vato e  descritto  in  tutti  i  suoi  incantevoli  aspetti. 

Don  Giovanni  con  Stenterello  è  pure  di  ispira- 
zione   e  di  esecuzione   Hoffmanniana  —  ma  con 


jrVKNILIA    DI    VERNON    LEF  341 

descrizione  più  precisa  e  moderna:  e  il  serio  e  il 
comico,  il  terribile  e  il  grottesco,  gii  effetti  di 
luna  sulla  città  deserta  e  il  vestiario  e  i  modi  dei 
Filistei  di  platea,  si  succedono  e  si  mescolano  in 
una  strana,  umoristica  e  piacevole  combinazione. 
Nulla  di  più  graficamente  vero  e  fiorentino  della 
descrizione  di  piazza  della  SS.  Annunziata,  della 
statua  equestre  di  Ferdinando  tra  la  nebbia  e  il 
vago  albore  lunare. 

Fra  gli  scritti  di  argomento  musicale  mi  sem- 
brano in  particolar  modo  notevoli  in  questi  vo- 
lumi Il  signor  Curiazio,  e  Musica  i:irosaica  e  Musica 
poetica.  In  ambedue  è  istituito  un  confronto,  e 
analizzato  il  carattere  della  vecchia  e  della  nuova 
opera  —  e  notate  argutamente  le  diverse  impres- 
sioni provate  ascoltando,  con  l'intervallo  di  un 
sol  giorno,  il  Mefistofele  e  il  Matrimonio  Segreto. 
Sul  carattere  e  la  influenza  della  musica  di  Wa- 
gner, pochi  han  parlato  eoa  tanta  competenza  e 
con  una  critica  così  equa  e  spregiudicata.  Anche 
nel  Signor  Curiazio  spira  un'aura  Hoffmanniana  — 
come  in  quasi  tutti  gli  scritti  nei  quali  Vernon 
Lee  tratta  di  musica.  Dopo  Michelet  e  Euskin, 
credo  che  lo  scrittore  che  ha  più  influito  su  Ver- 
non Lee,  sia  Teodoro  Hoffmann.  Mi  preme  però 
di  notare  che  nonostante  la  influenza,  spesso  evi- 
dente, di  Michelet,  di  Euskin  e  di  Hoffmann, 
Vernon  Lee  resta  sempre,  in  sostanza,  uno  dei 
più  originali  scrittori  contemporanei. 

In  Perigot  vi  sono  finissime  considerazioni  e 
distinzioni   sul    dramma.  Ma    talvolta  la  finezza 


SA^  JUVENILIA    DI    VERNON    LEE 

diventa   raffinatezza^  e  ricorda  i  vecchi    distinguo 
degli  Scolastici. 

Nello  scritto  sul  Colorito  Lombardo,  sono  di 
rara  efficacia  le  pitture  della  Certosa  di  Pavia 
nei  giorni  del  solleone  —  e  la  descrizione  dell'ul- 
timo monaco  certosino. 

Rococò  è  un  malinconico  confronto  tra  la 
poesia  della  immaginazione  infantile  e  adolescente, 
che  alle  prime  letture  si  appassiona  per  personaggi 
e  epoche  morte  come  per  cose  e  persone  viventi 
—  e  l'artificiale  ricostruzione  del  critico  adulto. 
Yernon  Lee  paragona  la  visione  e  il  sentimento 
del  Settecento^  della  musica  di  Cimarosa  e  delle 
Fiabe  del  Gozzi,  delle  mode  e  delle  feste  di  quel 
secolo  spento,  che  essa  provò  nella  sua  adole- 
scenza, alla  descrizione  letteraria  e  artistica  che 
poi  ne  fece  da  adulta  nel  suo  celebre  libro.  «  Ahi- 
mè, conclude,  tutta  questa  fraseologia  della  mo* 
derna  critica  voleva  dire  che  il  mio  diletto  secolo 
avea  per  me  cessato  di  vivere,  e  che  era  divenuto 
un  cadavere  ch'io  mi  preparavo  a  anatomizzare.  » 

La  lettura  di  questo  nuovo  libro  di  Vernon 
Lee  mi  fa  fare  delle  considerazioni  tutt'  altro  che 
lusinghiere  per  noi  Italiani.  Penso  che  le  più  esatte, 
artistiche  ed  efficaci  pitture  di  paesaggio  italiano,  le 
più  ammirabili  ricostruzioni  di  epoche  morte,  i  più 
belli  e  profondi  studi  sulla  pittura  e  sulla  mu- 
sica italiana,  ci  vengon  d'oltralpe.  Roma,  Firen- 
ze, Venezia,  antiche  e  moderne,  bisogna  cercarle 
nelle  pagine  di  Goethe,  di  Euskin,  di  Browning, 
di  Hawthorne,  di  James,  del  Taine,  del  Symonds, 


JUVENIMA    DI    VERNON    LEE  34-3 

di  Vernon  Lee.  Noi  siamo,  in  generale,  fatte  po- 
che e  tanto  più  onorevoli  eccezioni,  troppo  pura- 
mente eruditi,  archeologi,  ed  archivisti.  Si  vede 
e  si  giudica  troppo  dalla  nostra  stanza  di  stu- 
dio, dalla  penombra  delle  biblioteche,  e  si  vede 
tutto,  paesaggi,  uomini  e  cose,  tra  la  polvere  dei 
vecchi  scaffali.  Il  letterato,  il  professore,  uccide 
in  noi  troppo  spesso  l'uomo  e  l'artista;  e  un 
fondo  di  rettorica  e  di  pedanteria  ci  avvelena,  e 
paralizza  le  nostre  forze. 

Lo  Scribner^s  Magazine  ha  pubblicato  nei  suoi 
ultimi  numeri  una  Raccolta  di  lettere  inedite  di 
Thackeray.  Anche  l'ultima  recente  edizione  del- 
l'epistolario di  Dickens  è  arricchita  di  lettere  inedite. 

Quelle  di  Thackeray,  illustrate  da  schizzi  e 
profili  e  macchiette  di  Thackeray  stesso,  hanno 
un  carattere  di  bonomìa,  di  indulgenza  quasi  se- 
nile, che  contrasta  in  modo  curioso  col  carattere 
tremendamente  satirico  di  Vanity  Fair  e  di  Pen- 
dennis.  Vi  sono  degli  adorabili  enfantillages^  tanto 
più  toccanti  perchè  segno  di  naturale  bontà  e 
schietta  semplicità  nei  più  acuto  e  profondo  e  spie- 
tato scrutatore  dei  laberinti  del  cuore  umano,  e 
delle  piaghe  sociali  del  nostro  secolo.  Cito  un 
esempio.  Thackeray  aveva  già  scritto  metà  di  Va- 
nity Fair  senza  trovargli  un  titolo  che  lo  sodisfa- 
cesse: e  pensando  che  i  destini  di  un  romanzo,  o 
almeno  la  prima  impressione,  la  prima  accoglienza 
del  pubblico  dipende  spesso  dal  titolo,  se  ne  pre- 
occupava assai.  «  Una  notte,  racconta  egli  in  una 


344     LETTERE  INEDITE  DI  TIIACKERAY  E  DI  DICKENS 

di  queste  lettere  inedite,  proprio  all'improvviso, 
e  quando  meno  vi  pensavo,  mi  parve  udire  una 
voce  mormorarmi  all'oreccliio:  Vanity  Fair!  — 
Saltai  da  letto,  e  feci  tre  volte  il  giro  della  ca- 
mera, gridando  entusiasticamente:  Vanity  Fair! 
Vanity  Fair  !   Vanity  Fair  !  » 

Leggendo  queste  buone,  affettuose  lettere  del 
grande  umorista,  comprendiamo  meglio  l'inten- 
dimento dei  suoi  romanzi.  Nell'uomo  che  batte 
così  terribilmente  la  sferza,  e  scaglia  W. fuoco  greco 
del  suo  sarcasmo,  sulle  ipocrisie  e  le  viltà  aristo- 
cratiche; nel  tremendo  satirico  della  high  life  di 
Londra,  vi  era  una  bontà  semplice,  affettuosa, 
patriarcale:  e  l'ideale  dell'umanità  gli  era  sempre 
presente. 

Infatti,  notate  bene,  le  follie,  e  i  vizi  son  da 
lui  descritti  in  modo  da  far  capire  e  sentire  al 
lettore  che  sono  anormalità  e  deviazioni:  all'op- 
posto di  Balzac,  di  Flaubert,  e  di  Zola,  che  di- 
pingendo la  corruzione  sociale  lo  fanno,  o  almeno 
sembrano  farlo,  con  un  contagioso  compiacimento. 
Nella  pittura  fedele  che  Thackera}^  fa  della  so- 
cietà come  è,  si  sottintende,  e  non  si  perde  mai  di 
vista,  la  società  quale  potrebbe  e  dovrebbe  essere. 
Nel  dipingere  con  tinte  si  vive,  con  ironia  tanto 
amara,  con  si  precisa  e  inesorabile  realtà  Vanity 
Fair^  egli  avea  sempre  dinanzi  agii  occhi  V  Eden 
passato  e  futuro,  possibile  e  sperabile  dell'umanità. 

Le  poche  lettere,  finora  inedite,  di  Dickens, 
sono  come  una  esplosione  di  razzi  vivaci  dopo  la 
quieta  e  serena  illuminazione  di  Thackeray.  L'è- 


LETTERE   INEDITE  DI   THACKERAY   E   DI   DICKENS     34-5 

pistolario  di  Dickens  è  forse,  dopo  quello  di  By- 
ron  il  più  interessante  epistolario  inglese  mo- 
derno. Noi  Italiani  sentiamo  pur  troppo  tutto  il 
granitico  peso-tonnellata  di  questa  parola,  Episto- 
lario! Quanti  massi  della  Gonfolina  son  precipi- 
tati sulle  nostre  teste  in  forma  di  Epistolari!  Qui 
invece,  in  queste  lettere  di  Carlo  Dickens,  in  ogni 
pagina,  cose  importanti  o  amene,  aneddoti,  ritratti, 
paesaggi,  osservazioni  argute  e  profonde,  una  vena 
inesauribile  di  onesta  e  sana  allegria,  le  gioie  e 
gli  entusiasmi  dell'artista  creatore,  i  lampi  del 
genio,  le  lacrime  e  il  riso  dell'umorismo.  Volete 
sapere  come  Dickens  inventava  i  suoi  personaggi, 
come  procedeva  nella  architettura  dei  suoi  ro- 
manzi? volete  sotto  l'artista  conoscere  e  amare 
l'uomo  nel  suo  più  nobile  tipo?  Leggete  le  sue 
lettere.  Egli  le  scriveva,  con  lo  stesso  calore  con 
cui  scriveva  i  suoi  immortali  romanzi:  e  perciò 
esse  sono  tanto  attraenti  e  significanti  per  i  let- 
tori d'oggi,  come  per  gli  amici  a  cui  eran  dirette. 
Questo  gran  maestro  del  comico  e  del  patetico  si 
abbandonava  a  tutto  l'impeto  dell'ispirazione,  e 
si  gettava  nella  sua  opera  deciso  ed  armato  come 
Curzio  nella  voragine.  Sappiamo  da  queste  let- 
tere che,  mentre  componeva  il  Christmas  Carol, 
piangeva  e  rideva  da  se  come  un  matto;  e  faceva 
quindici  miglia  di  notte  camminando  a  rapido 
passo  per  le  oscure  vie  di  Londra,  quando  tutti  i 
savi  borghesi  erano  a  letto,  assorto  nella  sua 
opera,  e  senza  sentir  più  bisogno  di  sonno  o  di 
cibo.  E  però  le  sue  pagine,  scritte  nella  febbre 


34G     LETTERE  INEDITE  DI   TlIACKERAY  E  DI   DICKENS 

della  creazione,  sono  ancor  calde  e  palpitanti  — - 
e  ci  fanno  anche  oggi  irresistibilmente  ridere  o 
piangere. 

(Nuova  Antologia,  1  settembre  1887.) 


hsi  '  leggenda  storica,  cioè  la  ispiratrice  dei 
più  insigni  drammi,  àa\V  Edijw  al  Macheth,  dal  Re. 
Lear  alla  Cenci,  ha  dato  materia  alla  nuova  tra- 
gedia di  Swinburne.  Il  re  Locrine  già  fidanzato 
a  Guendolen  s'innamora  di  Estrilde,  una  princi- 
pessa sua  prigioniera;  e  anche  dopo  il  matrimo- 
nio con  Guendolen  mantiene  relazione  amorosa, 
con  la  bella  sua  schiava,  e  ne  ha  una  figliuola. 
Quando  Guendolen  che  ama  passionatamente  il 
marito  s'accorge  del  tradimento,  fugge  alla  casa 
paterna  e  istiga  padre  e  figlio  alla  vendetta,  e 
arma  un  esercito.  Locrine  muore  trafitto  in  bat- 
taglia: Estrilde  e  la  giovinetta  sua  figlia  cadono 
nelle  furibonde  mani  di  Guendolen,  e  son  fatte 
annegare  nella  Saverna.  Tale  il  fatto,  ossia  la 
leggenda.  Ora,  ciò  che  il  poeta  ha  voluto  soprat- 
tutto dipingerci  è  la  metamorfosi  d'amore  in  odio 
nel  cuore  di  una  donna  passionata  e  mortalmente 
offesa  —  ciò  clie  dovette  agitarsi  anche  in  petto 
della  Veronica  Cybo,  dall'ultimo  giorno  in  cui, 
inconsapevole,  baciò  l'infedele  marito,  a  quello 
in  cui  con  le  bianche  e  delicate  sue  mani  segò  la 
gola  all'infelice  Caterina  Canacci  —  la  rivolta 
cioè  della  sposa  e  la  vendetta  dell'amante.  E  in 


LOCHINE   DI    SWINT.URNE  347 

questo,  il  poeta  elio  con  tanto  acume  lesse  negli 
intricati  laberinti  e  nei  tenebrosi  abissi  del  cuore 
di  Mary  Stuart,  è  riuscito  felicemente,  magistrale 
mente.  Guendolen  è  altamente  poetica  appunto 
per  la  verità,  la  intensità  del  suo  tragico  signifi^ 
cato  —  è  reale  e  ideale  ad  un  tempo:  vive;  e  solo 
Dio  e  i  grandissimi  poeti  possono  inspirare  la 
vita.  Il  dramma  che  si  è  svolto  nella  mente  e  nel 
cuore  di  Guendolen  prima  di  rivelarsi  nel  dramma 
esteriore,  ci  è  sempre  presente  in  ogni  scena  di 
questa  nuova  tragedia. 

Se  dovessi  citare  le  scene  dove  meglio  questa 
profonda  rivelazione  psicologica  si  unisce  alla  più 
ammirabile  poesia,  ricorderei  le  prime  scene  del- 
l'atto primo,  le  ultime  dell'ultimo  atto,  e  soprat- 
tutto l'intero  atto  quarto,  ammirabile  non  so  se 
più  come  dramma  o  come  poesia. 

Ma  per  giudicare  equamente  questa  tragedia, 
non  bisogna  dimenticare  che  essa  è  un  poema  in 
forma  drammatica,  come  la  trilogia  su  Maria 
Stuarda  dello  stesso  Swinburne:  è  uno  studio  di 
caratteri  più  che  uno  svolgimento  di  azione:  e 
principalmente  è  la  rivelazione  di  uno  stato  psi- 
cologico-tragico  di  un  cuore  di  donna.  Infatti, 
Guendolen  è  la  figura  che  eclissa  col  suo  potente 
rilievo  tutte  le  altre.  Il  dramma  interno  di  Guen- 
dolen è  qui  il  vero  soggetto.  Come  architettura, 
come  composizione  e  svolgimento  drammatico, 
Locrine  ha,  a  mio  giudizio,  poco  valore. 

Si  dirà:  ma  allora  perchè  scrivere  una  tra- 
gedia? Perchè  non  preferire  altra  forma  lettera- 


348  LOCHINE    DI   SWÌNBURNE 

ria,  il  poema  narrativo  o  il  romanzo  ?  —  Analisi 
psicologica  unita  a  profondo  patetico  e  a  effetti 
drammatici,  non  si  poteva  ottenere  con  altra 
forma?....  E  si  potranno  citare  gli  Idilli  del  Ee,  e 
The  Bride  of  Lammermoor^  e  The  Scarlet  Letter.  Si 
potrà  anche  dire:  Vedete  il  Macheth,  vedete  il 
Lear,  vedete  il  ìFaUenstein  —  ecco  i  veri  drammi, 
saj^ientemente  costrutti,  rappresentabili,  e  dove 
l'interesse  scenico  va  unito  alla  profonda  intui- 
zione e  alla  felice  espressione  dei  caratteri. 

Vero:  ma  vero  anche,  che  la  critica  non  ha 
il  diritto  di  domandare  al  poeta  perchè  ha  prefe- 
rito una  forma  ad  un'altra,  se  è  riuscito  ad  otte- 
nere il  precipuo  scopo  che  si  era  prefisso.  Locrine, 
come  la  trilogia  Stuardiana,  sono  due  studi  di 
donna  fatti  da  un  gran  poeta.  Guendolen  e  Mary 
Stuart  sono  due  creature  viventi.  Questo  è  già 
tanto,  che  io  non  oserei  davvero  rimproverare  al 
loro  creatore,  se  accanto  ad  esse  ha  messo  delle 
figure  di  cera.  Io  lo  ringrazio,  ed  ammiro.  Credo 
anche  che  il  Guido  Franccschini  di  Browning  e  la 
Mary  Stuart  di  Swinbarne  siano  le  due  creazioni 
più  stupende  della  moderna  letteratura  poetica 
inglese.  Come  credo  che,  anche  come  poesia  essen- 
zialmente drammatica  e  di  effetto  scenico,  l'in- 
contro di  Bothwell  e  di  Maria  presso  il  cadavere 
di  Darnley  —  la  scena  della  prigione  nel  Chastelard 
—  e  la  scena  fra  Guendolen  e  Locrine  nel  quarto 
atto  di  questa  nuova  tragedia,  siano  fra  le  più 
intensamente  drammatiche  del  moderno  teatro. 
Né  so  por  termine  a  questo  breve  cenno  sul 


LOCRINE   DI   SWINBURNE  349 

nuovo  lavoro  di  Swinburne,  senza  una  parola  di 
invito  ai  lettori  italiani  di  leggere  attentamente 
la  grande  trilogia  Swinburniana  —  Cliastelard  — 
Bothicell  —  Mary  Stuart. 

Ne  la  pazienza  degli  archivisti,  né  l'acume 
degli  storici,  né  V  analisi  dei  romanzieri,  né  la  in- 
tuizione dei  poeti  lirici  e  drammatici,  ci  aveva 
saputo  dare,  fino  all'apparire  di  questa  trilogia, 
il  vero  vivente  ritratto  di  Maria  Stuarda.  Questo 
carattere  cosi  complicato,  sinuoso,  essenzialmente 
femminino,  fu  studiato  dal  Swinburne  in  tutte  le 
sue  fasi,  in  tutte  le  sue  contradizioni.  Nulla  di 
idealizzato  come  nella  Stuarda  di  Scliiller;  ma  la 
nuda,  terribile,  eppur  poetica  verità;  in  tutte  le 
scene  di  questo  triplice  poema  drammatico,  la  po- 
tenza analizzatrice,  animatrice  e  pittoresca  di  Swin- 
burne non  languisce  un  solo  momento.  Maria  é  la 
sua  creazione  sovrana.  Si  direbbe  clie  egli  la  co- 
nosce come  Bothwell,  e  l'ama  come  Chastelard. 
—  Ma  dopo  il  carattere  di  Maria,  la  più  mirabile 
evocazione  drammatica,  il  più  acuto  e  profondo 
studio  psicologico  del  poeta  di  Atalanta  e  di  Pvo- 
serjnna,  è  questa  figura  di  donna  passionata  e  ter- 
ribile —  questa  Guendolen  della  nuova  tragedia. 

Alla  fine,  in  questo  fervore  di  lotta,  in  que- 
sto avvicendarsi  di  espressioni  d'odio  antico  e  di 
amore  indomato ,  clie  desta  la  causa  irlandese, 
vedo  ripubblicati  i  Pamphlets  del  suo  terribile 
campione  di  quasi  due  secoli  addietro.  E  pur 
troppo  le  condizioni  della  povera  Irlanda  non  so* 


850  OPUSCOLI    IRLANDESI    DI    SWIFT 

no,  nelle  più  vitali  questioni,  molto  mutate  da 
quando  Gionata  Swift  scriveva  le  Lettere  di  un 
mercante  di  i^anni^  e  la  Modesta  proposta.  Nella  col- 
lezione dei  Camelot  Classics^  in  edizione  accurata 
ed  economica,  sono  stati  ripubblicati  a  cura  di 
Walter  Lewin  gli  scritti  vari  in  prosa  di  Swiffe 
' —  ed  oggi  il  dottor  Daly  sotto  il  titolo  V  Irlanda 
m  tempi  di  Swift,  riproduce  gli  Irish  Tracts  del  fe- 
roce umorista,  con  una  bella  introduzione  critica, 
piena  di  ammirazione,  anzi  di  devozione  all'au- 
tore che  illustra.  Né  si  capisce  come  un  fervido 
ammiratore  di  Swift,  quale  si  dimostra  il  signor 
Daly,  abbia  poi  usato  con  tanta,  disinvoltura 
le  forbici  di  editore,  mutilando  quei  capolavori 
di  satira  e  di  humour.  Forse  per  non  ofiender  la 
pazienza  o  il  gusto  delicato  dei  lettori  inglesi  dei 
nostri  giorni?  Ma  come  non  ha  capito  il  signor 
Daly  che  un  Swift  ad  usam  Delphini  è  cosa  ri- 
dicola ? 

Tutte  le  piaghe  della  povera  Irlanda  sono 
messe  a  nudo  in  quelle  terribili  pagine.  L'indi- 
gnazione bolle  in  cuore  di  Swift,  e  una  violenta 
tempesta  interiore  lo  agita  —  ma  egli  con  su- 
premo sforzo  sa  contenersi,  e  accomoda  la  bocca 
a  un  sogghigno,  e  ogni  parola  che  gli  esce  dalle 
labbra  è  come  una  punta  avvelenata.  Il  suo  sar- 
«^casmo  è  freddo  e  crudele:  vi  si  sente  l'ira  e  l'odio 
condensati,  distillati,  per  dir  cosi.  Se  poi  gli  ac- 
cade di  perder  la  calma,  e  montare  in  furore,  la 
sua  collera  è  spaventosa:  ogni  periodo  è  un  cre- 
scendo di  argomenti  e  di  invettive  —  un  vero  e 


OPtfSCOI.I    IRLANDESI    DI    SWIFT  351 

proprio  assalto.  Thackeray  lo  paragona  a  San- 
sone tra  i  filistei  —  Taine  a  un  gran  palazzo  che 
sfolgora  nell'incendio.  E  tutto  Swift  è  in  questi 
•opuscoli  irlandesi,  che  furono,  fino  dal  primo  ap- 
parire, il  terrore  del  Governo  inglese  e  l'ammira- 
zione del  mondo.  L'atroce  scherzo,  il  riso  funebre, 
il  convulso  fremito  di  quella  prosa,  non  hanno  ri- 
scontro, in  Inghilterra,  che  in  qualche  pagina  di 
Giorgio  Bj^ron;  e  da  noi,  in  alcuni  dialoghi  del 
Leopardi:  per  esempio,  in  quello  della  Katura  e 
di  un  Islandese. 

Il  Colvin,  il  Rossetti,  ed  altri  critici  inglesi 
hanno  recentemente  trattato  della  vita  e  delle 
opere  del  poeta  di  Iperione.  Lo  studio  biografico - 
critico  di  Sidney  Colvin  è  eccellente.  I  due  punti 
capitali,  e  che  offrono  curiosa  materia  di  discus- 
sione, sono  l'origine  e  l'effetto  dei  selvaggi  attac- 
chi della  Quarterly  e  del  Blackwood  contro  il  gio- 
vane poeta  —  e  le  fasi  successive  del  poetico 
ingegno  di  Keats:  la  storia,  per  dir  così,  delle  sue 
tre  diverse  maniere. 

Sidney  Colvin  inclina  a  credere  che  le  bru- 
tali parole  del  Blackwood  fossero  del  Lockart,  o 
suggerite  ad  altri  da  lui:  tiene  anche  per  molto 
probabile  che  lo  Scott  ne  sapesse  qualcosa,  perchè 
in  seguito  mostrò  sempre  vivo  dolore  e  un  po'  di 
confusione  quando  la  conversazione  cadeva  su 
quel  penoso  incidente.  Io  non  esito  a  credere  che 
le  crudeli  parole  fossero' del  Lockart,  1'  amaro  cen- 
sore, il  filibustiere  della  critica,   soprannominato 


352  JOHN   KEATS    DI    COLYIN. 

meritamente  Scorpione  —  ma  non  so  persuadermi 
che  il  grande,  il  nobile,  l'onesto,  il  gentiluomo 
Walter  Scott,  potesse,  anche  indirettamente,  aver 
parte  al  codardo  attacco.  Del  resto  poi,  si  è  dato 
e  si  dà  dai  biografi  e  dal  pubblico  troppa  impor- 
tanza a  quelle  due  crudeli  recensioni.  I  due  versi 
di  Byron  nel  Don  Giovanni  e  la  eloquente  e  tre- 
menda maledizione  di  Shelley  nella  elegia  in  morte 
di  Keats,  hanno  fatto  credere  che  a  Keats  fosse 
data  o  affrettata  la  morte  da  un  articolo  di  Rivi- 
sta. "Ma  non  fu  cosi.  Certo  le  parole  del  Blackwood 
sono  crudeli:  e  quando  pensiamo  alla  giovinezza, 
alla  sensibilità,  e  soprattutto  al  genio  di  Keats, 
e  leggiamo:  «  Meglio  un  dottore  affamato  che  un 
miserabile  poeta:  lasciate  le  Muse,  caro  signor 
Giovanni  Keats,  e  tornate  a  bottega,  medico  o 
speziale  che  siate,  tornate  ai  vostri  impiastri,  alle 
vostre  pillole,  alle  vostre  bottiglie  di  unguento: 
ma  per  amor  del  cielo  non  siate  tanto  prodigo  di 
lassativi  e  di  narcotici  nella  vostra  professione, 
come  lo  siete  nella  vostra  poesia  » — vile  allusione 
alla  professione  di  medico  che  Keats  aveva  lasciata 
per  consacrarsi  tutto  alle  lettere  e  all'arte  —  ci 
par  naturale  che  il  giovine  poeta  se  ne  accorasse, 
tanto  più  &e  rammentiamo  l'importanza  che  aveva 
allora  quella  Eivista.  Ma  dal  dispiacere  una  cosa 
al  morirne,  ci  corre.  Certo  il  poeta  non  si  sarà  ral- 
legrato del  selvaggio  articolo  —  ma  lettere  auten- 
tiche provano  clie  egli  ne  rimase  assai  più  sor- 
preso che  addolorato  o  avvilito.  Merita  di  essere 
ben  considerato  ciò  che  egli  scriveva  precisamente 


JOHN    KCATS   DI    COLMN  3D5 

in  quel  tempo  a  un  suo  intimo  Hmico:  «  Io  non  ho 
il  minimo  sentimento  di  umiltà  verso  il  pubblico, 
o  qualsiasi  altra  cosa  esistente,  eccetto  l'Ente 
Supremo,  il  Bello,  e  la  memoria  dei  grandi  uomi- 
ni. Non  ho  mai  scritto  un  verso  solo  con  l'idea 
del  pubblico  dinanzi  a  me.  La  mia  propria  critica 
mi  ha  dato  pene  incomparabilmente  maggiori  di 
quelle  che  tutti  i  Blackwood  e  tutte  le  Quarterly 
di  questo  mondo  possan  mai  darmi...  Io  credo  fer- 
mamente che,  dopo  la  mia  morte,  sarò  annoverato 
fra  i  poeti  dell'Inghilterra.  » 

Il  nuovo  biografo  di  Keats  conferma  con 
fatti  ed  esempi  quel  che  già  accennò  un  insigne 
critico  inglese,  cioè  che  Keats  nei  suoi  due  ultimi 
anni  di  vita  si  era  avvicinato  alla  scuola  roman- 
tica. Infatti  La  Belle  Dame  sans  merci  —  La  vigi- 
lia di  San  Marco  —  altre  Ballate  —  e  la  rifusione 
di  Iperione  in  Visione^  ce  lo  mostrano  molto  affine 
al' poetare  di  Coleridge.  Così  il  poeta  esuberante 
di  Endimione  era  divenuto  il  più  perfetto  scrittore 
di  poema  e  ode  classica  {Iperione^  A  un''urna  greca^ 
L Autunno^  A  Psiche)  e  finiva  per  volgersi  con  cre- 
scente simpatia  al  mondo  maraviglioso  della  leg- 
genda romantica  come  lo  Scott  e  il  Coleridge. 

Eileggendo  questo  volume  del  Colvin,  pro- 
viamo due  particolari  impressioni:  rimpianto  di 
quanto  il  mondo  poetico  perde  per  la  morte  im- 
matura di  Keats  —  ammirazione  e  stupore  per 
quanto  egli  compì  in  una  età  in  cui  gli  altri  ap- 
pena cominciano  a  scrivere. 

Come  più  tardi  il  Rossetti  espresse  nel  verso 

Kexcioxi.  —  Saggi  critici  di  lett.  inglese,  23 


354  JOHN  KEATS  DI  COLVIN 

inglese  i  mistici  sentimenti  d'amore  del  Medio  Evo 
italiano,  così  Keats  aggiunse  al  vasto  e  vario  campo 
della  poesia  inglese  un  giardino  di  greca  fragranza. 
Egli  è  nella  storia  della  poesia  inglese  ciò  che  fu  il 
Foscolo  per  noi,  e  Andrea  Chénier  pei  Francesi.  Ma 
più  del  Foscolo  e  più  di  Chénier,  egli  ebbe  vivo, 
intenso,  profondo,  il  sentimento,  l'amore  della  Na- 
tura. Egli  ha  dei  versi-poema  che  sono  come  voci 
della  gran  madre  Cibele.  Fu  detto  giustamente  e 
argutamente  che  egli  ha  l'aria  di  vederle?-  la 
prima  volta  i  boschi,  le  fontane,  i  fiori,  il  mare, 
il  cielo  stellato.  Il  maraviglioso  spettacolo  gli  ap- 
pare sempre  nuovo;  e  lo  canta  con  il  divino  in- 
fantile sorriso  dei  poeti  primitivi.  C'è  qualcosa 
di  sensuale  e  di  religioso  ad  un  tempo,  nella  sua 
comunione  con  la  vita  universale. 

Le  ultime  pagine  di  questa  bella  biografia  ci 
riportano  a  Roma,  dove  il  poeta  morì  e  dov'ebbe 
sepoltura.  Gli  estremi  giorni  di  Keats  son  pieni 
di  particolari  strazianti.  Un  amore  passionato  e 
infelice,  uno  scoraggiamento  di  artista,  una  tra- 
gica e  completa  disperazione  ne  sono  il  lugubre 
fondo.  Solo  l'amicizia  gli  porse  qualche  consola- 
zione —  e  a  tutti  gli  ammiratori  di  Keats  è  cara 
e  sacra  la  memoria  del  pittore  Severn  che  usò 
cure  assidue  e  veramente  materne  al  moribondo 
poeta. 

Keats  fu  sepolto  nel  Cimitero  Protestante, 
presso  la  piramide  di  Cajo  Cestio.  A  chiunque 
abita  o  visita  Roma,  e  ama  1'  Arte,  questo  cimi* 
tero  dovrebbe  essere  la  mèta  di  un  pietoso  pelle- 


JOHN   KEATS    DI   COLVIN  355 

grinaggio.  Anche  la  strada  che  vi  conduce  è  fu- 
nebremente  poetica.  Per  tutta  la  via  che  si  per- 
corre andando  dall'arco  di  Giano  Quadrifronte  al 
ponte  Fabricio,  la  grande  malinconia  e  la  solenne 
desolazione  di  Roma  ci  invadono  la  mente  ed  il 
cuore.  Basiliche  e  templi,  circhi  e  terme,  archi  e 
sepolcri,  ponti  e  catacombe  si  succedono  a  brevi 
intervalli  per  questo  via  solitaria.  D' ogni  parte  si 
elevano  le  voci  del  passato  e  le  mute  elegie  delle 
grandi  rovine.  Nessuno,  neppure  il  sereno  a  pagano 
Goethe,  ha  potuto  intieramente  sottrarsi  a  questa 
impressione  di  solenne  tristezza. 

Fra  Porta  San  Paolo  e  il  monte  Testacelo, 
elevasi  una  piramide  incrostata  di  marmo,  eretta 
sulle  ceneri  di  Cajo  Cestio.  Presso  di  essa  sono  i 
due  Cimiteri  Protestanti.  In  questi  Cimiteri  ripo- 
sano le  reliquie  di  Percy  Bysshe  Shelley  e  di  John 
Keats.  Nel  primo  di  essi  dormono  nel  sonno 
eterno  molti  insigni  artisti  e  scrittori  tedeschi  — 
fra  gli  altri  il  Carstens,  il  Reinhard,  il  Reinhold, 
il  Kellermann,  il  Waiblinger,  il  figlio  di  Goethe. 
E  nel  punto  più  elevato,  come  dominando  e  con- 
sacrando con  lo  splendore  di  un  nome  immortale 
tutta  questa  famiglia  di  estinti  —  ai  piedi  di 
una  antica  torre  mozza,  nera  ed  informe,  bian- 
cheggia tra  le  fìtte  gramigne  un  marmo  dove  si 
leggono  queste  parole:  Percy  Bysshe  Shelley.  Cor 
Cordium. 

Accanto  al  cimitero  dov'è  la  tomba  di  Shel- 
ley ve  n'è  un  altro  più  antico  —  il  vecchio  cimitero 
—  in  cui  prima  d'ogni  altra  si  presenta  all'occhio 


356  JOHN    KEATS    DI    COLVIX 

del  visitatore   una   lapide  con   una   iscrizione   in 
memoria  di  Keats.  dove  si  legge  questo  verso: 

Qui  giace  uno  il  cui  nome  fu  scritto  sull'acqua. 

Questa  iscrizione  che  indica  tanta  amarezza 
e  tanta  sfiducia  nella  giustizia  del  tempo,  la  pa- 
tetica e  sublime  elegia  dello  Shelley  in  morte  di 
Keats  (Adonais),  e  i  due  versi  famosi  di  Byron, 
hanno  fatto  credere  per  molto  tempo  che  Keats 
morisse  vittima  della  selvaggia  censura.  Ma  più 
sopra  abbiamo  provato  con  una  lettera  del  poeta 
la  insussistenza  di  tal  supposizione:  e  tutti  i  più 
credibili  biografi  di  Keats,  da  Houghton  al  Ros- 
setti ed  al  Colvin,  sono  ormai  d'accordo  nelF at- 
tribuire la  sua  morte  a  etisia  polmonare  eredi- 
taria. 

E  allora  come  si  spiega  quella  epigrafe?  — 
La  coincidenza  dello  attacco  selvaggio  e  del  peg- 
gioramento che  precede  di  poco  la  morte  del  j)oeta 
ingannò  molti  anche  fra  i  più  intimi  amici  di 
Keats.  Ed  è  un  fatto  innegabile  che  in  un  mo- 
mento di  sujDrema  angoscia,  nella  sua  lenta  ago- 
nia di  tre  mesi  in  Roma,  egli  raccomandò  al  pit- 
tore Severn  di  fare  incidere  quel  verso  sfiduciato 
su  la  pietra  del  suo  sepolcro. 

In  uno  degli  ultimi  giorni  della  sua  vita,  il 
poeta  destatosi  da  un  breve  ma  quieto  sonno, 
disse  con  un  sorriso  ineffabile:  «  Ho  sentito  le 
margherite  spuntar  sul  mio  corpo...  »  Ed  ora  i 
fiori  e  r  alta  erba  romana  crescon  vivaci  su  la  tua 
tomba,  caro  ed  infelice  poeta!  e  ai  primi  aliti  di 


JOHN    KRATS    DI    COLVIN  o57 

primavera,  margherite  e  mammole  e  pervinche 
profumano  il  letto  del  tuo  riposo,  talché  «  la 
Morte  sorride  qui  col  sorriso  di  Amore.  »  Dormi 
in  pace  accanto  al  tuo  grande  amico  Shelley,  che 
a  te  consacrò  un  divino  suo  canto,  il  quale  durerà 
finché  sarà  parlata  ed  intesa  la  lingua  di  Shake- 
speare; e  che,  pochi  momenti  prima  di  essere  som- 
merso negli  abissi  del  mare  sconvolto,  leggeva  i 
tuoi  ultimi  versi,  e  contemplava  le  belle  imma- 
gini da  te  evocate.  Il  tuo  nome  è  ogni  giorno  più 
raggiante  di  luce,  di  eterna  giovinezza,  e  di  vita; 
e  la  sferza  che  i  pedanti  vollero  alzare  contro  te 
è  diventata  un'eterna  flagellazione  dei  loro  nomi! 
Vagheggiando  il  Bello  antico  e  cantando  le 
antiche  favole,  Keats  vi  aggiunse  l'elemento  mo- 
derno della  passione,  e  la  vivacità  e  l' efflorescenza 
di  una  giovanile  immaginazione  prodigiosamente 
feconda.  Tanta  prodigalità  di  tesori  poetici  come 
in  Endymion  non  s'  era  vista  da  Spenser  in  poi, 
né  si  rivide  fino  all'apparire  di  Swinburne.  La 
poesia  di  Keats  nella  sua  prima  maniera  è  come 
una  foresta  vergine  dell'America,  dove  i  larghi 
fogliami,  le  liane,  i  fiori  larghi  e  sfolgoranti  s'in- 
tralciano in  arabeschi  fantastici  —  e  i  colori,  gli 
splendori,  i  profumi  e  la  musica  vi  abbagliano  e 
vi  inebriano.  Ma  nelle  Odi  ci  apparve  poi  squisi- 
tamente perfetto;  e  in  Hyperion  seppe  esser  sem- 
plice, austero  e  grande.  Hyperion  é  un  gruppo  an- 
tico gettato  in  bronzo  corintio.  Nessuno  dei  più 
precoci  poeti  moderni  (e  l'Inghilterra  può  van- 
tarne parecchi)  ha  compiuto   alla   età  di  ventun 


358  JOHN    KEATS    DI    COLVIN 

anno  un  capolavoro  perfetto  come  V  Ipevione  di 
Keats.  «  Questo  poemetto  scriveva  lord  Byron 
cosi  avaro  di  lodi  ai  poeti  contemporanei  —  è  una 
cosa  veramente  straordinaria;  sembra  ispirato  dai 
Titani,  e  scritto  da  Eschilo.  » 

{Nuova  Antologia,  1  gennaio  1888.) 


La  stampa  inglese  è  unanime  nel  riconoscere 
che  la  recente  improvvisa  morte  di  Arnold  è  una 
j)erdita  grave  e  deplorabile  —  ma  al  solito  si  è 
ecceduto  nelle  postume  lodi  :  leggendo  certi  ar- 
ticoli si  crederebbe  che  si  parli  della  morte  di 
Tennyson  o  di  quella  di  Ruskin.  Si  fa  costante 
abuso  della  parola  grande.  No  :  Matthew  Arnold 
non  fu  né  un  gran  poeta,  né  un  gran  critico. 
Era  un  delicato  e  nobile  moralista,  uno  scrittore 
eletto  e  purissimo,  un  elegante  e  spesso  efficace 
versificatore.  Come  critico  letterario,  il  suo  giu- 
dizio è  quasi  sempre  dettato  da  una  impressione 
personale,  da  una  simpatia  o  antipatia  spesso 
irragionata  e  spesso  irragionevole.  E  lui  e  non 
altri  che  mise  Maurice  De  Gruérin  molto  al  di- 
sopra di  Keats  ;  che  inscrisse  nella  lista  dei  sommi 
poeti  il^Filicaja  ;  che  affermò  che  le  lettere  e  le 
prose  di  Shelley  valgono  assai  più  e  vivranno  più 
lungamente  delle  sue  poesie  !  !...  Nonostante,  anche 
come  critico  letterario,  ebbe  pregi  assai  rari.  In- 
trodusse in  Inghilterra  il  metodo  di  Sainte- 
Beuve,  mise  alia    moda   la    causerie  letteraria,   e 


MATTHEW   ARNOLD  359 

studiando  uu  libro,  ne  studiò  l'autore  nella  fa- 
miglia e  nella  società  —  elevando  cosi  l'arida  di- 
scussione dei  pregi  e  difetti  di  un'opera,  al  grado 
di  produzione  letteraria  ed  artistica  ;  grazie  al- 
l'elemento personale  e  al  carattere  psicologico  che 
seppe  dare  ai  suoi  Saggi. 

Se  non  ha  l' intuito  e  la  poesia  riuniti  al- 
l'osservazione precisa  e  alla  immensa  e  svariata 
dottrina  di  un  Sainte-Beuve  —  ne  la  sintesi  pos- 
sente e  la  parola  efficace  di  un  Taine  —  ne  lo  stile 
magico  e  vivente,  e  la  originalità  di  pensiero,  e 
la  pittoresca  descrizione  di  un  Euskin  —  né  il 
genio  creatore  o  ricostruttore,  e  la  parola  profe- 
tica di  un  Carlyle  —  ha  però  una  forza  continua 
di  simpatia  per  tutto  ciò  che  è  elevato  e  spiri- 
tuale, e  nel  senso  più  largo,  religioso  e  cristiano: 
ha  una  certa  parentela  con  Ernesto  Renan.  ISTe- 
mici  ambedue  di  ogni  volgarità,  di  ogni  fUsteismo, 
hanno  nell'  indole  dell'  ingegno  qualche  cosa  di 
aristocratico,  di  eletto,  di  delicato  —  quel  non 
so  che,  che  diviene  ogni  giorno  più  raro,  in  tanta 
invasione  di  forza  brutale  e  di  trionfante  fisio- 
logia. 

Nello  stato  di  lotta  tra  le  idee  della  prima 
metà  del  nostro  secolo  e  quelle  del  nostro  tempo, 
Matthew  Arnold  ha  fatto  in  Inghilterra  quel  che 
fece  in  Francia  Sainte-Beuve  ;  ha  attenuato  le 
asprezze  del  conflitto,  ha  fatta  la  parte  d' inter- 
mediario benevolo  e  intelligente,  di  autorevole 
conciliatore. 

Come  poeta  ha  toccata  talvolta  con  intensità 


360  MATTHEW    ARNOLD 

la  corda  intima  del  sentimento  —  e  i  versi 
«  Obermann  once  more  »  meritarono  le  lodi  e  la 
traduzione  del  Sainte-Beuve.  Anche  in  questa 
poesia  si  palesa  il  carattere  dialettico  e  conci, 
liatore  di  Arnold.  Dopo  l' inno  a  Senancour  vi 
è  l'appello  ardente,  quasi  guerriero,  alla  vita  di 
azione:  e  il  poeta  dapprima  rèveur  come  Ober- 
maun,  si  mostra  nell'ultime  strofe  armato  e  pronto 
alla  inevitabile  battaglia  della  vita.  Come  versi- 
ficatore, ha  talora  versi  e  gruppi  di  verso  per- 
fetti, scolpiti  nel  marmo  parlo  o  tagliati  nel  più 
puro  diamante,  che  ricordano  quelli  di  Landor. 
Ma  son  rari  —  e  anche  in  quelli  manca  il  soffio 
vitale,  il  fuoco  sacro  dei  veri  grandi  poeti.  Fra  i 
poeti  di  terzo  ordine  ha  un  posto  notevole.  Para- 
gonarlo, come  lirico,  a  Alfredo  Tennyson,  alla 
Browning,  a  Swinburne,  sarebbe  un  vero  delirio. 

La  letteratura  inglese  è  ricca  di  Biografie 
quanto  la  francese  di  Memorie.  Ai  nostri  giorni 
alcuni  dei  più  insigni  scrittori  iaglesi  ci  hanno 
dato  eccellenti  Vite  dei  loro  predecessori.  Ammi- 
rabile sopra  tutti  il  recente  libro  di  Sidney  Colvin 
su  Walter  Savage  Landor  :  ammirabile  come  lu- 
cida e  perfetta  narrazione  di  una  delle  vite  più 
romanzesche,  eccentriche,  e  talvolta  eroiche,  che 
ricordi  la  storia  letteraria  ;  e  come  studio  critico 
degli  scritti  di  Landor.  Del  Gehir^  del  Pentameron^ 
delle  Conversazioni  imaginarie,  degli  Idilli  eroici^ 
nessuno  aveva  parlato  finora  con  tanto  amore,  con 
tanta  competenza,  con  tanta  coscienza. 


COLVIN,    BIOGRAFIA    DI    LANDOR  361 

È  un  volume  che  si  legge  d'un  fiato:  ha  l'iu' 
teresse  di  un  romanzo,  e  il  patetico  di  una  tra- 
gedia. Bisognerebbe  tradurlo  in  italiano:  sarebbe 
quasi  un  dovere  per  noi.  Landor  ha  amata,  can- 
tata l'Italia  —  scritto  qua  nella  sua  diletta  villa 
a  Fiesole,  le  più  belle  sue  opere  —  avuta  rela- 
zione di  amicizia,  o  battaglia  di  polemica,  con 
alcuni  dei  nostri  insigni  scrittori  ;  e  qua  ha  pas- 
sata, nell'immeritato  abbandono,  solitario  e  po- 
vero, gli  ultimi  anni  della  sua  fortunosa  e  trava- 
gliata esistenza.  In  quella  cas uccia  di  via  della 
Nunziatlna  in  Firenze,  l'autore  quasi  centenario 
del  Gehir  ricevè  la  visita  e  l'ardente  omaggio  del 
ventenne  poeta  à!Atalanta.  E  Swinburne  immor- 
talò questo  incontro  in  una  delle  sue  più  squisite 
e  toccanti  poesie. 

Le  parti  più  belle  del  libro  del  signor  Colvin 
mi  sembrano  i  capitoli  V  e  YIII,  ove  tratta  della 
vita  di  Landor  a  Firenze  e  delle  Conversazioni 
imaginarie  —  e  del  secondo  esilio  e  degli  ultimi 
giorni  del  poeta.  L'analisi  degli  scritti  vi  è  feli- 
cemente fusa  con  la  narrazione  dei  fatti  ;  e  l'acume 
del  critico  fa  degno  riscontro  alla  serena  equità 
del  biografo.  Il  signor  Colvin,  senza  tirades  e 
senza  violenti  recriminazioni,  ha  detto  la  verità, 
tutta  la  verità,  cosi  dolorosa  e  cosi  tragica,  sugli 
ultimi  anni  di  questo  vecchio  Lear  dei  poeti...  e 
la  semplice  e  nuda  esposizione  dei  fatti  ha  in 
questo  caso  una  eloquenza  demostenica  irresi- 
stibile. 

Landor  che  ci  appariva  si  grande  dalle  sue 


3G2  COLYIN,    BIOGRAFIA    DI    LANDOR 

opere,  sorge  gigante  da  questa  fedele  narrazione 
del  signor  Colvin  :  e  si  capisce  come  egli  facesse 
una  possente  indimenticabile  impressione  su  Car- 
lyle,  Dickens,  Browning  e  Swinburne  :  s'intende 
meglio  la  entusiastica  apostrofe  della  Browning 
al  vecchio  indomato  leone  e  queste  pittoresche  pa- 
role di  Carlyle  :  «  Avete  letto  l'ultima  Conversa- 
zione  di  Landor  ?  Credereste  che  è  stata  scritta 
proprio  ora  dal  gran  vecchio  Pagano  ?  Suona 
come  lo  squillo  di  una  spada  Romana  su  gli  elmi 
dei  barbari  !  L' indomabile  vecchio  E/Omano,  il 
nostro  Landor  !   » 

Nella  storia  della  poesia  inglese,  Landor  è 
una  figura  a  parte,  solitaria  :  «  E  solo  in  parte 
vidi  il  Saladino.  »  In  questa  unicità  di  carat- 
tere, di  vicende,  e  di  arte,  non  gli  si  posson  pa- 
ragonare ohe  Milton  e  Swift,  nel  corso  di  tanti 
secoli.  Egli  ha  incorporato  le  più  ardenti  e  rivo- 
luzionarie utopie  nel  più  puro,  greco,  perfetto 
linguaggio.  Come  uomo  e  come  scrittore,  ei  fu 
veramente  quel  che  gli  Inglesi  chiamano  a  suhstan- 
tial  man  :  una  vera  e  possente  realtà  fra  tanti 
fantasmi.  La  sua  poesia,  come  la  sua  prosa,  ha 
il  disegno  preciso,  la  forma  spiccata,  nulla  di 
vaporoso  o  di  incerto  :  mai  un  epiteto  ozioso. 
Landor  di  tutti  i  poeti  inglesi  moderni  è  il  più 
naturalmente  classico,  il  più  immune  d'ogni  in- 
fluenza romantica  ;  anche  più  del  poeta  d' Ipe- 
rione. 

La  posizione  personale  e  intellettuale  di 
Landor  tra  i  due  opposti  partiti  in  cui    si  divi- 


COLVIN,    BIOGRAFIA    DI    LA-NDOR  363 


devano  al  tempo  suo  le  più  grandi  forze  crea- 
trici dell'  Inghilterra  letteraria,  è  indicata  magi- 
stralmente dal  signor  Colvin  —  e  credo  far  cosa 
grata  al  lettore  traducendo  questa  notevole  pa- 
gina: 

«  Uno  di  questi  partiti  era  conservatore  e 
conformista  —  l'altro  era  un  partito  d'espansione 
e  di  rivolta.  Al  campo  conservativo  appartene- 
vano i  Giacobini  convertiti,  Wordsworth,  Sou- 
tliey,  Coleridge  ;  e,  da  un  punto  differente  di 
partenza,  Walter  Scott  :  mentre  gli  uomini  della 
rivoluzione  erano  primo  di  tutfci  Byron,  allora 
nel  pieno  fulgore  della  sua  fama  mondiale,  e 
Shelley  il  cui  nome  e  i  cui  scritti  erano  compa- 
rativamente quasi  ignorati.  Ma  l'opera  di  ogni 
intelletto  creatore  tende  a  lungo  andare  alla 
espansione  ;  ad  arriccliire  la  vita  umana,  ad  al- 
largare gli  ideali  umani.  Wordsworth  col  rive^ 
lare  le  viventi  affinità  tra  l'uomo  e  la  natura,  e 
la  dignità  delle  semplici  gioie  e  passioni,  — Co 
leridge  con  introdurre  nella  inerte  massa  della 
ortodossia  e  del  litteralismo  inglese  il  lievito 
della  speculazione  trascendentale  tedesca,  — •  Wal- 
ter Scott  col  ridestare  la  dormente  simpatia  dello 
spirito  moderno  coi  secoli  e  i  costumi  passati, 
fecero  forse,  ognuno  nella  sua  via,  per  arricchire 
la  vita  e  allargare  le  idee  degli  uomini,  quanto 
lo  Shelley  con  le  sue  aurorali  visioni  di  futura 
emancipazione,  o  Bj^ron  con  la  sua  brillante  il- 
lustrazione personale  del  principio   di  ribellione. 

«  La   naturale   posizione    di    Landor    fu  in 


364  COLYIN,   BIOGRAFIA   DI    LANDOR 

mezzo  a  questi  due  punti  opposti.  Da  una  parte, 
egli  era  incapace  della  rusticità  parrocchiana  e 
della  grettezza  di  giudizio  di  Wordsworth  su 
tutto  ciò  che  sfuggiva  al  diretto  intuito  del  suo 
genio  ;  o  della  vaga  e  metafisica  conciliazione 
fra  il  reale  e  l' ideale,  onde  appagavasi  Cole- 
ridge ;  o  della  cieca  opposizione  di  Southey  ad 
ogni  novità  ;  o  della  romantica  parzialità  dello 
Scott  per  forme  ed  usi  feudali  e  regali.  Ma  dal- 
l'altro canto,  Landor  vedeva  la  natura  umana 
non  nella  eterea,  incorj^orea,  iridescente  sem- 
bianza con  cui  essa  appariva  alla  immaginazione  di 
Shelley  ;  ma  nei  suoi  pratici  attributi  di  carne 
e  sangue  —  e  se  divideva  con  Byron  l'odio  di. 
ogni  politica  tirannia,  e  il  dispregio  di  ogni  con- 
venzionale o  ipocrito  pregiudizio,  non  aj^provava 
ne  il  suo  cinismo  né  le  sue  violente  e  spesso  in- 
giuste aggressioni.  » 

Chiunque  ha  letto  Bleak  House  di  Dickens, 
ricorderà  l'eccentrico  e  simpatico  Boythorn  ;  il 
focoso  tempestatore  dalla  voce  di  tuono,  che 
adora  i  bambini  e  carezza  un  canarino....  Tutti 
sanno  in  Inghilterra  che  Boythorn  è  il  ritratto 
di  Landor.  Ma  gli  animali  preferiti  da  Landor 
furono  due  canini  pomer  :  —  Fornero  e  Giallo.  Po' 
mero  fu  il  diletto  compagno  di  Landor  fino  dal 
1844.  Il  poeta  conversava  umoristicamente  con 
esso  in  italiano  e  in  inglese  ;  lo  consultava  prima 
di  scrivere,  e  mentre  scriveva,  E  quando  riceveva 
amici  0  stranieri,  e  si  animava  nella  conversa- 
zione, e  alzava  la  sua   voce   di    tuono,    Pomero  si 


COLVJN,   BIOGRAFIA    DI    LANDOR  365 

metteva  ad  abbaiare  ;  familiarmente  diceva  Landor, 
furiosamente  dicevano  i  visitatori. 

Morto  e  lungamente  pianto  Fornero^  gli  suc- 
cesse Giallo^  regalato  al  poeta  da  William  Story. 
Giallo  fu  noto  a  tutti  i  fiorentini  dal  1858  al  64. 
Tutti  conoscevano  «  il  bel  vecchio  inglese  col  bel 
canino.  » 

E  anch'  io  mi  rammento  di  Giallo^  anno  1859, 
ex-Consule  Fianco. ..  Ero  in  una  villa  presso  Siena, 
a  Marciano  De  Grori.  Li  presso,  in  villa  Orr, 
abitava  William  Story.  E  a  pochi  passi,  a  Mar- 
ciano Spannocchi,  Roberto  ed  Elisabetta  Brow- 
ning e  con  essi  il  vecchio  Landor.  Un  giorno  fui 
presente  a  una  vivace  conversazione  fra  Landor 
e  il  professore  Matteucci,  a  proposito  di  Gari- 
baldi. Il  vecchio  poeta  parlava  con  giovanile  en- 
tusiasmo .  di  Garibaldi  ;  il  Matteucci  azzardò 
qualche  obiezione,  qualche  riserva.  Landor  co- 
minciò a  riscaldarsi,  e  ad  alzar  la  voce  ;  e  Giallo 
a  abbaiare...  familiarmente.  Ma  il  povero  Mat- 
teucci assordito  se  ne  venne  via  dicendomi  sor- 
ridendo: «  Tutti  matti  questi  Inglesi,  tutti  matti!  » 
A  Giallo  il  poeta  consacrò  alcuni  bellissimi  e  pa- 
tetici versi.  «  Giallo  ed  io,  »  soleva  dir  sempre  ;  e 
lo  battezzò  come  «  il  migliore  dei  critici,  e  il  più 
infallibile  dei  filosofi...  » 

Da  Landor  a  Schopenhauer  il  passaggio  è  un 
po'  brusco.  Ma  dalla  eccellente  biografia  del 
Colvin  passo  volentieri  al  notevole  studio  della 
signora  Elena  Zimmern. 


3G6 

È  un  bel  volume,  con  un  bel  ritratto,  edito 
a  Londra  dal  Longman.  Forse  il  titolo  —  Arturo 
Schopenhauer  :  la  sua  vita,  e  la  sua  filosofia  —  è 
un  po' ambizioso.  Se  il  libro  corrisponde  alla 
prima  parte  di  questo  titolo,  lascia  a  desiderare 
per  la  seconda.  I  capitoli  V  e  X  consacrati  al  si- 
stema filosofico  morale  ed  estetico  di  Schopenhauer, 
non  sono  certo  i  più  belli  e  completi  dell'opera. 
In  essi,  come  in  tutte  le  analisi  del  sistema  Scho- 
penhaueriano,  fatte  fuori  di  Germania,  vi  è  un 
accento  come  di  inconscia  ironia.  E  curioso 
che  nessun  critico  francese,  inglese  o  italiano 
abbia  saputo  evitarla!  Tutti  quelli  che  esaminano 
le  ultime  conseguenze  della  famosa  teoria  del 
Wille,  sembran  ridere  sotto  i  baffi,  anche  se  assu- 
mono l'aria  più  seria  e  la  più  filosofica.  Ne  volete 
degli  esempi  ?  Leggete  la  esposizione  del  si- 
stema di  Schopenhauer  fatta  dai  più  caldi  suoi 
discepoli  di  Francia.  A  un  tratto  si  crederebbe  di 
udire  il  rìcanement  di  Voltaire.  E  la  protesta  del 
buon  senso  latino  contro  le  nuvole  mistico-meta- 
fìsico-indo-germaniche. 

Vi  ricordate  il  dialogo  del  nostro  De  Sanctis  ? 
quel  capolavoro  di  buon  senso  e  di  fine  umo- 
rismo ?  Rileggiamone  insieme  un  frammento,  e  si 
farà  più  chiaro  il  mio  concetto  e  la  mia  affer- 
mazione : 

A.  —  E  la  morale  ?  e  il  dovere  ? 

D.  —  Il  dovere,  dice  Schopenhauer,  è  una  astrazione. 
Nessuno  ha  il  diritto  di  dire:  tu  devi;  e  uno  dei  difetti 
di  Kant  è  l'esser  venuto  fuori    col  suo  categorico  impe. 


ZIMMERN,   A.    SCHOPENHAUER  36? 

rativo.  Dovere  e  non  dovere  suppone  una  libertà  di  scelta 
che  contraddice  al  concetto  dell'uomo.  Dimmi  pure  :  non 
devi  ammazzare;  io  ammazzerò  se  il  mio  carattere  porta 
cosi,    e  quindi  non  farò  peccato. 

A.  —  E  se  t'impiccano  ? 

D.  —  M'impiccano  giustamente. 

A.  —  Come!  E  perchè  mi  hanno  da  impiccare?  Dove 
non  ci  è  colpa,  non  ci  è  pena.  Di  che  cosa  dovrò  rispon- 
dere io  ? 

D,  —  Non  della  tua  azione,  ma  del  tuo  carattere. 
Perchè  sei  fatto  cosi. 

A.  —  Oh  bella!  e  che  c'entro  io?  È  il  WiUe ;  quel 
birbone  del  Wille  che  mi  ha  fatto  cosi. 

D.  —  E  se  t' impiccano,  in  realtà  non  è  te  che  impic- 
cano, ma  il  tuo  Wille. 

A.  —  Ma  il  dolore  lo  sento  io. 

D.  —  Vale  a  diro  lo  sente  il  WiUe;  perchè  quello 
che  è  in  te  di  vero,  reale  è  il  WiUe:  tutto  l'altro  è  fe- 
nomeno. 

A.  —  Ma  il  WiUe  clie  è  in  me,  è  lo  stesso  WiUe 
che  è  in  colui  che  mi  impicca. 

D.  —  Sicuro! 

A.  —  Allora  il  WiUe  che  impicca,  è  lo  stesso  che  il 
WiUe  che  è  impiccato.... 

D.  —  Sicuro  ! 

A.  —  Comincia  a  venirmi  il  capogiro. 

D.  —  Anzi,  questa  è  la  base  della  morale  di  Scho- 
penhauer.... 

Il  fatalismo  filosofico  portò  Schopenhauer  al 
pessimismo,  e  all'ascetismo  orientale.  L'astensione 
e  la  modificazione  del  cenobita,  il  nirvana  del  con- 
templatore indiano,  son  per  lui  i  supremi  ideali 
della  vita  :  filosofia  della  inazione  che  farebbe 
marcire  in  mezzo  secolo  tutta  Europa,  come  la 
Spagna  della  fine  del  Secento. 


368  ZIMMERN,   A.    SCHOPENHAUER 

Ma  leggendo  la  biografia  della  Zimmern,  ve- 
diamo che  il  filosofo  della  riniìnzia,  dell'  asten- 
sione, deirindirerentismo,  fu,  specie  nei  suoi  ul- 
timi anni,  sensibilissimo  alle  lodi  ed  ai  biasimi, 
alla  fama  in  questo  basso  mondo.  Voleva  gli 
fosse  mandato  ogni  giornale  dove  si  parlasse  bene 
o  male  di  lui.  Era  beato  delle  visite  di  ammiratori 
stranieri. 

Quanto  dissimile  dal  Leopardi,  col  quale  fu 
spesso  paragonato  —  e  col  quale  non  ha  che  delle 
apparenti  e  non  sostanziali  analogie.  «  Il  Leopardi 
chiama  illusioni  l'amore,  la  gloria,  la  virtù  ;  e  te 
ne  accende  in  petto  un  desiderio  inesausto.  Non 
puoi  lasciarlo,  senza  sentirti  migliore....  L'ozio  per 
Leopardi  è  una  abdicazione  dell'umana  dignità  ; 
Schopenhauer  consiglia  l'occupazione  sol  come  un 
mezzo  di  conservarsi  in  buona  salute.  E  se  vuoi 
con  un  solo  esempio  misurare  l'abisso  che  divide 
queste  due  anime,  pensa  che  per  Schopenhauer 
tra  lo  schiavo  e  l'uomo  libero  corre  una  differenza 
più  di  nome  che  di  fatto  ;  la  qual  sentenza  se 
avesse  letta  il  Leopardi,  avrebbe  arrossito  di  es- 
sere, come  WiUe,  della  stessa  natura  di  Scho- 
penhauer  E  se  caso  o  fortuna,  o  destino  vo- 
lesse che  Schopenhauer  facesse  capolino  in  Italia, 
troverebbe  Leopardi  che  gli  si  attaccherebbe  ai 
piedi  come  una  palla  di  piombo,  e  gli  impedi- 
rebbe di  andare  innanzi.  »  (De  Sanctis,  Saggi  cri- 
tici, 298.) 

La  parte  più  interessante  di  questi  studi  bio- 
grafici,   è    quella    aneddotica.  I  fatti  son  narrati 


369 

con  una  vena  felice  di  umorismo,  e  con  una  spi- 
gliatezza ammirabile.  Ve  ne  son  dei  curiosissimi 
e  di  una  singolare  eccentricità.  Schopenhauer, 
come  Landor,  era  affezionatissimo  al  diletto  suo 
cane  Atma,  che  egli  chiamava  Homo  quando  vo- 
leva punirlo  e  mortificarlo,  e  passava  delle  ore 
alla  finestra  con  lui.  I  gamins  di  Francoforte  di- 
cevano allora  di  aver  visto  affacciati  i  due  Scho- 
penhauer. 

In  Roma,  al  Caffè  Greco,  dove  convenivano 
i  poeti  ed  i  pittori  tedeschi,  Riickert  e  Hoffmann 
e  Scheter,  Schopenhauer  fu  l'elemento  mefistofe- 
lico e  dissolvente.  Una  sera  ne  fu  cacciato  per 
aver  detto  col  suo  caustico  riso  :  «  La  nazione 
tedesca  è  la  più  stupida  delle  nazioni  ;  ma  è  su- 
periore all'altre  in  una  cosa;  nel  saper  fare  a  meno 
di  religione.  » 

A  Dresda,  pranzando  a  tahle  cVJióte,  seguitò 
per  dei  mesi  a  mettere  un  napoleone  accanto  al 
suo  piatto  appena  entrava,  e  rimetterlo  in  tasca 
quando  si  alzava  da  tavola.  Interrogato  da  un 
curioso,  rispose  :  «  Questo  napoleone  è  destinato 
ai  poveri  il  primo  giorno  che  sentirò  a  parlare  da 
quei  signori  ufficiali  di  qualunque  cosa  fuorché 
di  cavalli,  cani  e  cocottes.  » 

Con  le  donne  Schopenhauer  era  tanto  defe- 
rente in  pratica,  quanto  brutale  in  teoria.  Ascol- 
tatelo :  «  Quando  la  natura  divise  l'umanità  in 
maschi  e  femmine,  la  sua  sezione  non  fu  precisa- 
mente una  bisezione....  la  donna  ha  diritto  alla 
nostra  indulgenza,  non  al  nostro  culto....  Il  trat- 

2sE>'Cl0>"l.  —  Saggi  critici  di  leti,  inglese.  24 


370  ZIMMERN,    A.    SCHOPENHAUER 

tamento  della  donna  in  Oriente  è  assai  più  razio- 
nale di  quello  usato  fra  noi...  La  donna  è  sem- 
pre soggettiva  :  quindi  è  impossibile  una  donna  di 
genio.  » 

Quando  egli  scriveva  queste  sentenze,  vive- 
vano in  Europa  Giorgio  Sand,  Carlotta  Bronté, 
Elisabetta  Browning  e  George  Eliot. 

(Ntiova  Antologia,  16  maggio  1888.) 


L'uomo  è  lo  studio  più  importante  per  l' uomo. 
Quindi,  nessun  libro  più  interessante,  più  uma- 
namente utile  e  dilettevole,  di  una  buona  bio- 
grafìa. Essa  è  scienza,  storia,  e  dramma  ad  un 
tempo  —  è  un  riflesso  e  una  lezione  della  vita 
comune.  Il  libro  per  eccellenza,  la  Bibbia,  è  come 
una  serie  di  biografie.  La  Storia  —  quella  che 
merita  questo  nome;  non  quella  cattedratica  a 
gergo  metafisico,  o  quella  d'archivio  a  filze  di 
date  e  di  nomi  —  la  Storia  è  una  sintesi  biogra- 
fica; è  1'  epopea  degli  eroi  che  hanno  creato 
o  redento  le  varie  nazioni.  Ogni  buona  biografia 
ha  un  doppio  interesse,  scientifico  e  poetico:  jDer- 
chè  ogni  creatura  umana  ha  da  risolvere  un  pro- 
blema di  esistenza  individuale  e  al  tempo  stesso 
universale,  e  quindi  di  simpatia  e  di  interesse 
comune  ;  e  perchè  ogni  singola  vita  ci  rappre- 
senta la  lotta  della  volontà  contro  la  forza  degli 
ostacoli,  e  ci  descrive  una  finale  tragedia  o  un 
finale  trionfo.  Le  biografìe  dei  poeti,  degli  artisti, 


371 

ci  allettano  più  specialmente,  perchè  leggendo  i 
loro  libri  o  guardando  i  loro  lavori,  già  ci  era- 
vamo immaginato  l'uomo;  e  ci  è  caro  vedere 
fin  dove  la  realtà  corrisponde  alla  nostra  divina- 
zione. 

In  questo  genere  letterario  gli  Inglesi  sono 
i  più  ricchi.  Abbondano  nella  letteratura  inglese 
le  eccellenti  biografie,  come  nella  francese  le 
eccellenti  memorie.  Le  biografie  inglesi  di  grandi 
scrittori  e  di  artisti  sono  aumentate  di  numero  e 
di  valore  in  questi  ultimi  anni.  Ora  ne  ho  qui 
sul  tavolino  quattro  o  cinque  recentissime,  e 
tutte,  per  diversi  pregi,  notevoli.  Esaminiamone 
alcuna,  e  cominciamo  da  quella  di  Dickens. 

E  scritta  da  Frank  Marziais,  con  ardente 
simpatia  pel  gran  romanziere,  ma  senz'  ombra  di 
esagerazioni  rettoriche  e  senza  inutili  reticenze  o 
silenzi  sui  difetti  delio  scrittore  e  dell'uomo.  La 
parte  critica  vi  è  felicemente  fusa  con  la  parte 
narrativa  ;  talché  questo  volume  del  Marzials  si 
fa  leggere  volentieri  anche  da  chi  conosce  la  dif- 
fusa e  voluminosa  vita  di  Dickens  scritta  dal 
Forster.  Dirò  di  più.  Su  certi  particolari  interes- 
santi, il  Marzials  è  più  esplicito  e  più  abbondante 
di  notizie  del  Forster  stesso.  Per  esempio,  nello 
scabroso  episodio  del  divorzio  e  nei  tragici  parti- 
colari del  disastro  ferroviario  di  Staplehurst.  La 
figura  del  romanziere  balza  su,  viva  umana  sim- 
patica, dalle  calde  pagine  del  Marzials  ;  e  insieme 
alla  fisonomia  dell'autore  vi  troviamo  ritratte  con 
singoiar  fedeltà  le  caratteristiche  dei  suoi  princi- 


872  MARZIALS,    VITA    DI    DICKENS 

pali  romanzi.  L'analisi  di  Pickwick,  di  Martin 
Cimzzleivit^  di  Domhey^  di  Hard  Times  è  veramente 
notevole.  E  benissimo  esaminato  il  momento  della 
apparizione  di  Pickwick^  a  che  è  da  attribuirsi  il 
suo  enorme  successo,  e  le  condizioni  della  lette- 
ratura inglese  in  generale  e  del  romanzo  in  par- 
ticolare, quando  Dickens  esordi  nella  sua  gloriosa 
carriera. 

È  anche  notevole  l'apologia  che  il  Marzials 
fa  di  certi  caratteri  essenzialmente  umoristici  che 
hanno  delle  singolarità  da  allucinato,  che  ci  fan 
sorridere  e  ci  commovono,  come  M.^  Dick,  Miss 
Flite,  jI.^'  Toofcs,  e  tanti  altri,  che  il  Taine  chiama 
orribili.  L'  immaginazione  di  Dickens  è  troppo 
spesso,  secondo  il  Taine,  l' immaginazione  di  un 
monomaniaco;  e  certi  tipi  popolari  in  Inghilterra, 
benché  divertenti  a  prima  vista,  al  Taine  sem- 
brano orribili.  Il  Marzials  combatte  questo  giu- 
dizio :  ma,  ha  dimenticato,  secondo  me,  quale  ne 
è  la  vera  origine.  Il  Taine  ha  scritto  una  Storia 
della  letteratura  inglese  in  cinque  volumi,  la  quale, 
nonostante  molte  inesplicabili  lacune  e  spropor- 
zioni; è  un  grande  lavoro.  Certe  parti,  come  il 
Rinascimento,  la  Riforma,  sono  ammirabili  —  ma 
la  cosa  di  cui  il  Taine  mostra  per  mille  prove  di 
non  avere  idea  o  sentimento,  è  quella  che  costi- 
tuisce appunto  il  fondo  della  letteratura  inglese, 
cioè  Vumorismo.  Il  Taine  capisce  e  simpatizza  con 
quell'umorismo  che  confina  o  somiglia  allo  spi- 
rito 0  alla  satira  ;  ma  del  vero  genuino  umorismo, 
del  sorriso  che  cela  una   lacrima,   dell'umorismo 


MARZIALS,    VITA    DI    DICKENS 


di  Stern  e  di  Dickens,  non  sembra  avere  ade- 
guata notizia.  Dopo  aver  consacrato  più  di  ottanta 
pagine  a  Swift,  si  sbriga  in  tre  pagine  dell'im- 
mortale autore  del  Tristram  Sìiandy  !  Nel  lungo 
studio  su  Dickens,  appena  un  cenno  sulla  sua 
predominante  caratteristica,  l'umorismo. 

E  quindi  naturale  che  certi  tipi  essenzial- 
mente umoristici  di  Sterne  e  di  Dickens,  al  Taine 
sembrino  orribili.  Invece  essi  sono  la  delizia  di 
chi  ha  vivo  il  senso  del  vero  humour:  cioè  di 
quella  rarissima  e  preziosissima  qualità  che  il 
Carlyle  definì  «  un  sublime  alla  rovescia  »  perchè 
eleva  ed  esalta  nel  nostro  cuore  ciò  che  appare 
inferiore  alla  nostra  mente  —  come  l'altro  su- 
blime ci  fa  sentire  ciò  che  appar  superiore  e  mi- 
sterioso alla  nostra  intelligenza. 

Tutti  sappiamo  che  Dickens  raccolse  tesori 
con  le  pubbliche  letture  dei  suoi  romanzi.  Il  Alar- 
zials  ci  dà  curiosi  ragguagli  su  queste  letture,  e 
ha  due  pagine  eloquenti  sul  loro  straordinario  ef- 
fetto. Chiunque  ascoltò  una  lettura  di  Dickens,  la 
ricorda  indelebilmente  per  tutta  la  vita.  Carlyle 
l'udì  una  «ola  volta,  e  uscì  commosso  dalla  sala  e 
diceva  che  nessuno  attore,  neppure  Macready,  era 
paragonabile  a  Dickens.  «  E  un  teatro  tragico, 
eroico  e  comico,  che  vediamo  in  azione  mentre 
Dickens  legge.  »  E  il  Marzials  che  aveva  assistito 
ad  alcune  letture  di  Thackeray,  fa  un  confronto 
fra  i  due  romanzieri.  Thackeray  leggeva  sempli- 
cemente, audibilmente,  accennando  appena  le  dif- 
ferenze di  carattere  e  di  personaggio;  gli  bastava 


374. 

di  esser  perfettamente  udito  e  perfettamente  in- 
teso, cosi  che  la  innata  bellezza  e  purezza  del  suo 
stile  fosse  bene  apprezzata.  Dickens  invece  met- 
teva tutta  la  sua  anima  nella  lettura  come  ve 
l'aveva  messa  scrivendo.  Thackeray  era  un  lettore 
letterario  ;  Dickens  un  lettore  drammatico  —  ma 
nel  vero  e  buon  senso  della  parola.  Sobrio  di 
gesti,  otteneva  j)i^odigiosi  effetti  col  solo  tono 
della  voce.  Uaccento  era  tutto.  Dallo  scoppio  di 
risa  dei  dialoghi  di  Sam  AYeller,  all'ultimo  gemito 
della  povera  Nancj^  sotto  il  bastone  di  Sykes,  egli 
riproduceva,  moltiplicate  nei  suoi  uditori,  le  im- 
pressioni già  procurate  ai  suoi  lettori. 

Eaccomando  anche  le  pagine  su  Dickens  at- 
tore. Egli  fu,  a  giudizio  di  Landor,  il  più  ammi- 
rabile dei  dilettanti.  E  son  curiosi  i  particolari 
su  Dickens  camminatore  —  sulle  sue  straordinarie 
passeggiate  diurne  e  notturne,  in  Londra  e  nei 
sobborghi  di  Londra.  A  tutti  i  conduttori  di  omni- 
hus  era  famigliare  la  faccia  rugosa,  la  barba  briz- 
zolata di  Dickens.  C%hs  e  musei,  chiese  e  taverne, 
prigioni  e  teatri,  tuguri  e  botteghe,  caserme  e  ba- 
stimenti, nulla  sfuggiva  alle  sue  giornaliere  osser- 
vazioni, alla  sua  pittura  universale.  Aveva  l'aria 
di  un  marinaro  ;  lo  sguardo  pronto  ed  acuto,  e 
in  tutta  la  fìsonomia  una  mobilità  nervosa  che 
lo  mostrava  capace  di  provare  in  certo  modo  e  di 
esprimere  tutti  i  sentimenti  umani. 

Il  Marzials  insiste  a  ragione  sui  fatti  che 
più  provano  la  innata  bontà  dell'autore  di  Copper- 
field  :  V  impulso  e  l'efficace  aiuto  dato  alla  fonda- 


VITA    DI    DICKI-NS  375 

zione  di  uno  Spedale,  per  i  hamh'uii^  e  la  guerra 
fatta  ai  feroci  tiranni  dell'  infanzia,  i  così  detti 
maestri  e  maestre,  che  al  suo  tempo  vincevano 
di  crudeltà  gli  aguzzini  delle  galere.  Mi  è  grato 
ricordar  qui  al  lettore  italiano  che  un  insigne 
scrittore  italiano,  Pietro  Giordani,  faceva  eco, 
forse  senza  sapere  del  suo  collaboratore  umani- 
tario, alla  crociata  di  Dickens  ;  e  accusava  con 
parole  roventi  i  torturatori  dei  bambini,  e  denun- 
ziava quei  crudeli  impìiniti,  e  fin  allora  protetti 
carnefici,  al  tribunale  della  pubblica  opinione  ;  e 
perorava  con  accenti  Demostenici  ta  «  causa  dei 
ragazzi.  » 

Alcuni  romanzi  di  Dickens,  come  ad  esempio 
il  Christmas  Carol  e  Hard  Times,  hanno  giovato 
alla  causa  degli  oppressi  e  degli  umili  più  di 
cento  trattati  economici  e  di  cento  discorsi  poli, 
tici.  Fu  detto  che  il  solo  CJiristmas  Carol  ispirò 
atti  di  carità  generosa  più  di  tutti  i  pulpiti  e 
confessionali  riuniti. 

Un  altro  segno  della  rara  bontà  di  Dickens  è 
l'amicizia  sincera  per  i  romanzieri  contempora- 
nei. Egli  era  il  primo  a  esaltare  con  parole  di 
lieto  entusiasmo  i  capolavori  di  Thackeray.  Non 
solo  non  seppe  mai  che  cosa  fosse  invidia  —  ma 
quando  sull'orizzonte  dell'Arte  vedeva  sorgere  un 
nuovo  astro,  era  il  primo  a  salutarlo  cordialmente, 
a  richiamare  su  lui  l'attenzione  distratta  del  pub- 
blico. Cosa,  in  uno  scrittore,  più  singolare  che 
rara.  In  generale,  l'astro  meridiano  o  declinante 
non  ama  dar  segno  neppur  di  accorgersi  dell'astro 


376  MARZIALS,    VITA   DI    DICKENS 

sorgente....  Dickens  invece  era  felice  di  scoprire 
un  nuovo  genio,  e  basti  in  prova  la  lettera  a 
Giorgio  Eliot,  esordiente  con  le  Scenes  of  Clerical 
Life.  Dopo  averle  fatto  capire  che  egli  s'è  accorto 
che  lo  scrittore  è  una  donna,  (e  notate  che  Dickens 
fu  il  primo  ad  accorgersene)  le  scrive  cosi  :  «  Vi 
scrivo  per  esprimervi  la  mia  ammirazione.  I  vostri 
racconti  hanno  un  merito  straordinario.  La  squi- 
sita delicatezza,  la  verità  nell'  lucmour  e  nel  pate- 
tico, è  tale  che  io  non  conosco  nulla  che  oggi  le 
si  possa  paragonare.  L' impressione  che  ne  ho  ri- 
cevuta è  si  forte,  che  non  trovo  parole  ad  espri- 
mervela.  Vostro  servo  ed  ammiratore  —  Carlo 
Dickens.  » 

Sopra  un  fatto  capitale  della  vita  di  Dickens, 
messo  in  ombra  o  quasi  taciuto  dal  Forster,  il  di- 
vorzio, abbiamo  notizie  e  documenti  importanti 
in  questa  nuova  biografia  del  Marzials.  E,  dob- 
biamo pur  confessarlo,  non  stanno  in  favore  di 
Dickens  :  anzi  questo  è  il  solo  punto  fosco  della 
sua  splendida,  gloriosa  e  benefica  vita.  Dalle  let- 
tere, dai  discorsi  di  Dickens,  resulta  chiaro  che 
motivo  vero  di  separarsi  dalla  sua  compagna,  la 
cui  fedeltà,  la  cui  devozione  aveva  provata  per 
venti  anni,  Dickens  non  lo  aveva.  G-li  ci  vollero 
venti  anni  per  accorgersi  di  una  incompatibilità  di 
carattere'^...  Il  pubblico  spiegò  la  cosa  incolpando 
la  cognata  di  Dickens,  Miss  Hogarth.  Due  fatti 
darebbero  un  certo  peso  all'accusa  :  quello  che 
dopo  la  separazione  dei  due  coniugi.  Miss  Ho- 
garth restò  in  casa  di  Dickens,  padrona  in  luogo 


MARZIALS,   VITA    DI    DICKENS  377 

della  sorella  —  e  l'altro  clie  Dickens  si  risentì 
con  eccessivo  furore  di  quella  accusa,  e  insistè  in 
spiegazioni  e  apologie  che  nessuno  direttamente 
gli  aveva  domandate.  Ma  certe  leggi  di  eterna 
giustizia  morale  non  si  violano  mai  impunemente: 
e  la  stessa  Nemesi  che  perseguitò  Shelley  dopo  il 
suicidio  della  povera  Enrichetta,  non  dette  più 
pace  a  Dickens  dopo  la  fatale  separazione.  Si  di- 
rebbe perseguitato  da  un  invisibile  demone.  Ha 
delle  parole  terribilmente  rivelatrici  :  «  Lavoro 
senza  prender  respiro,  perchè  ho  paura  di  pensare 
a  me  stesso  —  Se  non  mi  stordissi  sempre,  scop- 
pierei,  credo,  e  sarebbe  finita.  —  Non  trovo  tregua 
che  nell'azione  ;  son  diventato  incapace  di  ri- 
poso »  —  e  il  lavoro  gli  diviene  ardua  fatica, 
mentre  prima  gli  era  un  sollievo.  Paragonate  i 
manoscritti  di  prima  e  dopo  il  1858.  I  primi 
sembrano  scritti  a  dettatura  ;  i  secondi  son  pieni 
di  pentimenti  e  di  cancellature  :  la  scrittura  franca 
e  limpida  è  diventata  un  tremolante  geroglifico  : 
l'ispirazione  feconda  ha  ceduto  il  posto  alla  osti- 
nata volontà. 

E  la  morte  venne,  improvvisa  :  la  fornace 
troppo  riscaldata,  scoppiò.  Dickens  finì  come  Bal- 
zac,  come  Thackeray.  Morirono  tutti  e  tre  presso 
a  poco  nella  medesima  età,  cioè  varcata  di  poco 
la  cinquantina.  Balzac  fu  colpito  al  cuore  —  Tha- 
ckeray e  Dickens  al  cervello.  Così,  tutto  a  un 
tratto,  un  soffio  misterioso  spengeva  questi  tre 
meravigliosi  fornelli  dove  si  elaborarono  tante 
idee,  tanti  drammi,  tante  figure  !  Il  divino  meo- 


378 

canisino  di  quegli  intelletti  si  fermò  all'improv- 
viso :  e  milioni  d'anime  umane  mancarono  da 
quel  giorno  di  gradite  e  feconde  lezioni,  e  di  un 
abituale  conforto  nelle  noie  inevitabili  della  vita. 
Alcuni  critici  e  romanzieri  contemporanei 
ripetono  a  sazietà  contro  1'  autore  di  Xickleby^  di 
Chuzzlewit,  di  Domhey  e  di  Copperfield^  le  vecchie  ac- 
cuse del  Lewis:  esagerazione,  caricatura,  enfasi,  sen- 
timentalismo, mancanza  di  esatto  studio  dal  vero, 
troppa  immaginazione,  poca  o  punta  esperienza. 
Questa  vita  del  Marzials,  porterebbe  nuovi  docu- 
menti, se  ce  ne  fosse  bisogno,  per  provare  il  con- 
trario. Dickens  era  un  arguto,  acuto,  profondo  e 
instancabile  osservatore  :  ma  uomini  e  cose  ve- 
deva nella  lucidità  intensa,  nel  bagliore  di  un 
lampo.  Dickens,  diceva  Arturo  Helps,  vede  otto 
o  dieci  cose,  e  le  vede  perfettamente,  nel  mo- 
mento stesso  che  io  ed  altri  ne  vediamo  appena 
due,  e  confusamente.  Non  aveva  bisogno  di  tanti 
documenti  e  appunti  e  cataloghi  per  descrivere 
un  paesaggio  o  una  figura  umana,  e  inciderli  in- 
delebilmente nella  nostra  memoria.  Vedeva  con 
l' intuito  e  la  visione  del  genio  ;  come  vedeva  il 
suo  grande  compatriotta  Gruglielmo  Shakespeare 
—  e  come  Shakespeare  è  maestro  del  pianto  e  del 
riso,  Dickens  è  grande  nel  burlesco  e  nel  tragico. 
Leggete  un  discorso  di  Sam  Weller,  o  di  Mrs. 
Gamp,  o  di  Micawber  —  e  poi  leggete  la  fuga  di 
Syke,  la  morte  di  Paolo  Dombey,  o  di  Dora  —  e 
ditemi  se,  dopo  Shakespeare,  trovate  un  altro 
che  superi  o  si  agguagli   a  Dickens,  nel  passare 


379 

dal  riso  umoristico  al  patetico  ed  al  terribile.  E 
la  vita  dei  suoi  romanzi  !  Si  direbbe  che  vi  cir- 
cola un  sangue  caldo  come  in  membra  giovani 
e  sane. 

La  sola  accusa  giusta  e  fondata  che  può  farsi 
all'opera  stupenda  di  Dickens,  è  l'abuso  del  co- 
mico, del  grottesco,  e  qualche  volta  certe  pagine 
più  lacrimose  che  toccanti.  Ma  l'altra  accusa  che 
i  suoi  personaggi  son  tijn  incarnati,  piuttosto  che 
uomini  e  donne  viventi,  è  ingiusta  ed  assurda.  11 
pubblico  che  conosce  i  personaggi  di  Dickens 
come  vecchie  conoscenze  —  talché  certi  soli  nomi, 
come  quelli  di  Weller,  Dick,  Micawber,  Dora. 
PecksnifiP,  i  Crummles,  Squeers,  Fagin,  Neil, 
Dombey,  bastano  a  eccitare  o  un  inestinguibile 
riso,  od  una  profonda  pietà,  o  l'odio,  o  il  disprezzo 
—  il  pubblico,  dico,  risponde  trionfalmente  alla 
ingiusta  censura.  E  poi,  siamo  giusti,  se  la  ripe- 
tizione di  certe  parole  e  di  certi  atti  deve  subito 
togliere  ad  un  personaggio  la  fede  di  nascita  e  di 
vita,  e  relegarlo  fra  i  tipi  —  credete  voi  che  si 
salverebbero  alcuni,  e  fra  i  più  ammirati,  perso- 
naggi dello  stesso  Balzac  ?  Se  Pecksniff  è  un  tipo, 
allora  è  un  tipo  anche  Grandet,  anche  Brideau, 
e  soprattutto  il  barone  Hulot,  tanto  ammirato  dai 
severi  censori  di  Dickens. 

Pongo  termine  alla  rassegna  di  questo  bel 
libro  del  Marzials  riportando  le  sue  giuste  e  ar- 
gute osservazioni  sul  carattere  dell'  humour  di 
Dickens,  e  sulla  creazione  di  Sam  Weller,  che  è 
l'ultimo  nato  di  quella  famiglia   cosmopolita  alla 


380 

quale  appartengono  egualmente  Falstaff,  Sancho 
Panza,  lo  zio  Tobia,  il  capitano  Costigan,  e  Don 
Abbondio. 

«  Neil'  humour  di  Dickens  non  vi  è  mai  l'acre 
cinico  sogghigno  sulle  piaghe  dell'umanità,  né  il 
crudele  compiacimento  di  trovare  un  fondo  di 
male  anche  nei  cuori  migliori.  Dickens  invece 
gode  a  osservare  qualche  tratto  gentile,  qualche 
speranza,  qualche  consolante  memoria,  qualche 
atto  di  disinteressata  devozione,  anche  nei  carat- 
teri i  più  guasti  induriti  e  perduti...  Ogni  più  fa- 
moso romanziere,  di  qualunque  tempo  e  nazione, 
potrebbe  esser  superbo  di  aver  creato  Sam  Wel- 
ler.  Io  credo,  a  momenti,  che  qualche  cosa  del 
sangue  di  Dickens  passasse  in  questa  sua  singo- 
lare progenitura.  Fu  detto  irriverentemente  che 
Falstaff  potrebbe  rappresentarci  Shakespeare  «  fra 
i  colmi  nappi  »  e  Amleto  raffigurarcelo  nei  mo- 
menti di  solitudine  e  di  meditazione.  Ed  io  ho 
sempre  avuto  questa  fantasia,  che  Sam  "Weller 
sia  una  specie  di  Dickens  in  una  bassa  sfera  so- 
ciale, un  Dickens  illetterato,  ma  con  tutta  le 
vena  esuberante,  la  letizia  di  vita,  lo  spirito,  a 
la  bontà  di  cuore  del  gran  romanziere.  » 

Passiamo  da  uno  dei  più  grandi  pittori  della 
vita  reale,  al  più  metafisico  e  trascendentale  dei 
moderni  poeti  inglesi  —  da  Dickens  a  Cole- 
ridge. 

La  nuova  biografia  di  Samuele  Taylor  Co- 
leridge scritta  da  Hall  Caino  è  soprattutto  lode- 


CAINI',    VITA    DI    COLERIDGE  381 

vole  per  il  lucido  ordine  con  cui  racconta  una 
delle  vite  più  eccentriche  e  disparate.  Coleridge 
è  una  natura  cosi  complicata  che  sfugge  all'ana- 
lisi ,  ma  molti  lati  oscuri  e  sibillini  delle  sue 
opere  sono  illustrati  dalla  sua  biografia.  E  un 
genio  trascendentale  a  cui  la  Natura  die  tutto, 
fuorché  il  senso  della  realtà  come  artista,  e  la 
volontà  come  uomo.  È  l'Amleto  della   letteratura. 

Tutta  la  parte  narrativa  nel  volume  del 
Caine  è  eccellente.  La  parte  critica  non  lo  è, 
parmi,  altrettanto.  Non  mi  pare  che  sia  abba- 
stanza indicato  il  posto  che  Coleridge  tenne  fra  i 
poeti  inglesi  contemporanei  —  uè  fino  a  che  punto 
subì  la  influenza  del  genio  di  Wordsworth.  Uno 
studio  comparativo  dei  vari  poeti  Laghisti  non 
era  forse  inopportuno  in  una  vita  di  Coleridge. 
E  forse  era  bene  di  insistere  sul  carattere  essen- 
zialmente romantico  della  sua  opera  poetica  — 
carattere  che  solo  lo  Scott  ebbe  in  modo  cosi  ac- 
centuato. Queste  considerazioni  critiche  sono  più 
accennate  che  svolte  nella  biografìa  del  Caine. 
Ma  vi  son  però  pagine  di  critica  arguta  ;  e  nes- 
suno finora  aveva  parlato  con  tanta  chiarezza 
dell'origine  e  del  carattere  delle  Lyrical  Ballach 
—  del  carattere  oratorio  della  conversazione  di 
Coleridge  —  delle  influenze  del  misticismo  ger- 
manico sul  suo  genio  poetico. 

Sui  tre  capolavori  poetici  di  Coleridge  — 
Christahel,  The  Ancient  Mariner^  Kuhla  Khan  —  il 
nuovo  biografo  ci  dice  l'origine,  ma  non  ci  dà 
il  suo  giudizio,  né  quello  dei  contemporanei  e  dei 


382  CAlNEj    VITA    DI    COLERIDGE 

più  credibili  critici  inglesi.  Mentre  poi  sulle  av- 
venture giovanili  di  Coleridge,  soldato,  viaggia- 
tore, utopista,  predicatore  —  sulla  sua  fatale  abi- 
tudine di  prender  oppio  e  altri  narcotici  —  sulle 
sue  variazioni  fìlosoficlie  —  sulle  improvvisazioni 
oratorie  in  casa  dei  Gillmanns  —  abbiamo  inte- 
ressanti e  bellissime  pagine. 

Vi  è  un  fenomeno  curioso  nella  storia  del- 
l'Arte. A  parità  di  iiigegno  e  di  A^alore  intrin- 
seco di  produzione,  avviexie  spesso  che  di  un 
autore  che  ha  prodotto  poco  si  loda  spesso  la 
fecondità  —  di  un  altro  che  ha  prodotto  sempre  e 
molto,  si  deplora  che  ha  fatto  poco,  che  non  ha 
dato  la  misura  del  suo  ingegno,  e  altre  simili 
frasi.  Così  si  dice  in  Italia  del  Tommaseo,  cosi  in 
Inghilterra  di  Coleridge.  Il  suo  nuovo  biografo 
rettifica  l' ingiusta  asserzione,  e  cita  le  belle  e 
autorevoli  parole  del  Talfourd.  Di  questo  scrit- 
tore che  ha  fatto  «  tanto  poco  »  io  ho  qui  una 
edizione  americana  in  sette  grossi  volumi  di  sei- 
cento pagine  l'uno.  Questo  scrittore  che  «  non 
ha  dato  la  misura  del  suo  ingegno  »  ha  scritto 
due  Tragedie,  ha  tradotto  il  Wallenstein,  ha  scritto 
The  Ancient  Mariner^  Christabel,  le  Foglie  sibilline, 
un  altro  volume  di  Liriche;  la  Biograjphia  Litera- 
ria,  The  Friend,  gli  SUidi  su  Shakespeare,  oltre  a 
centinaia  di  opuscoli  e  di  discorsi. 

Se  Coleridge  negli  ultimi  anni  della  sua  vita 
agitatissima,  vecchio  e  malato,  preferi  di  span- 
dere i  tesori  della  sua  straordinaria  dottrina  e 
della   sua   portentosa    immaginazione  dalla  viva 


CAINF,    VITA    DI    COLERIDGE  38.j 

sorgente  delle  sue  labbra  invece  che  affidarli  alla 
stampa  ;  —  se  parlò  invece  di  scrivere  —  glie  ne 
faremo  una  colpa  ?  IL  Taltburd  nota  giustamente 
che  la  sovrana  e  veramente  ìtnica  eloquenza  di 
Coleridge  era  secondo  lo  spirito  dei  vecchi  Bardi 
Greci,  con  una  nobile  inditTerenza  per  sé  mede- 
simo, intento  solo  ad  esprimere  e  propagare 
il  divino  spirito  che  lo  animava...  «  Chi  è  che 
udito  Coleridge  una  sola  volta,  ha  mai  potuto 
dimenticare  la  sua  soave  benignità,  1'  illimitata 
varietà  della  sua  dottrina,  le  rapide  e  belle  evo- 
cazioni della  sua  immaginazione,  la  infantile 
semplicità  con  cui  dal  più  arido  e  umile  argo- 
mento si  sollevava  alla  più  sfolgorante  magnifi- 
cenza di  pensiero  e  di  immagini,  versando  sul- 
l'anima dei  suoi  uditori  un  raggio  di  bellezza 
e  di  saggezza  che  li  educava  e  li  arricchiva 
per  tutta  la  vita?  I  germi  di  poesia,  i  materiali 
filosofici  che  egli  spargeva  cosi  profusamente  nei 
suoi  eloquenti  discorsi,  non  sono  stati  dispersi  e 
non  periranno.  Il  ricordo  della  fama  di  Coleridge 
non  è  solamente  nei  libri  —  ma  nei  giovani  cuori 
che  lo  ascoltarono,  e  che  palpitavano  al  suono 
magnetico  della  sua  voce.  » 

La  famosa  e,  bisogna  confessarlo,  stupenda 
descrizione  di  Coleridge  parlatore,  che  ha  fatto  il 
Carlyle  nella  sua  Vita  di  Sterling^  è  in  tono  piut- 
tosto caustico,  ironico,  quasi  ostile.  Eppure  anche 
da  quella  si  sente  che  la  impressione  che  faceva 
la  parola  di  Coleridge,  era  affascinante,  irresi- 
stibile. 


384-  CALNE,    VITA    DI    COLERIDGE 

Il  nuovo  biografo  comincia  il  suo  libro  con 
citare  parole  di  autorevoli  scrittori  attestanti  la 
grandezza  del  poeta.  Son  nominati  Wordsworth, 
Southey,  W.  Scott,  De  Quincej',  Landor.  —  Come 
mai  vi  sono  dimenticati  due  dei  più  autorevoli, 
convinti,  ed  eloquenti  lodatori  di  Coleridge  —  lo 
Shelley,  nella  Lettera  in  versi  a  Maria  Gisborne, 
e  il  Swinburne  nel  suo  magnifico  Saggio  su  Co- 
leridge ? 

La  vita  di  Carlotta  Brente  è  una  vita  eroica 
nel  vero  senso  Carijdiano  della  parola.  Figlia  di 
un  povero  ministro  evangelico  della  Yorksliire, 
in  numerosa  famiglia,  dovè  lottare  fino  dai  primi 
anni  con  la  povertà^  col  rigido  clima,  coi  dolori 
domestici,  con  la  indifferenza,  con  ostacoli  di 
ogni  genere.  Perseguitata  crudelmente  da  chi  più 
doveva  i^roteggerla,  piangeva  le  lunghe  notti  in- 
sonni, solitaria,  inconsolabile.  Eppure  non  abban- 
donò mai  l' idea  di  scrivere,  di  farsi  un  nome 
per  amore  della  gloria  e  dell'  arte,  e  anche  per 
guadagnare  e  migliorare  le  condizioni  disgraziate 
della  famiglia.  Fece  da  sé  stessa  la  sua  educa- 
zione, la  sua  istruzione.  Giovinetta  ancora,  fu 
governante  e  maestra.  A  sedici  anni  aveva  com- 
posto vari  racconti  e  poesie.  Più  tardi,  dei  ro- 
manzi che  offerti  agli  editori  di  Londra  le  furono 
spietatamente  respinti.  Non  si  perde  mai  di  co- 
raggio. Dopo  avere  osservato,  meditato,  e  com- 
posto un  romanzo  ;  dopo  averlo  scritto  e  ricopiato 
tutto   di  sua  mano,   nelle   lunghe  e  gelide  notti 


BIRRELL,    VITA    DI    CARLOTTA    CRONTE  385 

del  Nord,  se  lo  vedeva  rimandato  con  un  rigo  di 
disa]3provazione  e  di  freddo  rifiuto.  Non  importa: 
il  giorno  stesso  cominciava  a  pensare  a  un  nuovo 
lavoro,  e  ne  scriveva  le  prime  pagine.  Finalmente, 
il  capolavoro  di  Jane,  Eyre^  accettato  e  pubblicato 
a  Londra,  la  sollevò  a  un  tratto  sino  all'altezza 
dei  Thackeray  e  dei  Dickens  ;  e  fece  di  questa  po- 
vera ignorata  giovane  un  nome  glorioso  e  di  fama 
europea. 

Il  Birrell  in  questa  nuova  Vita  di  Carlotta 
Bronte  ha  condensato  quella  ormai  giustamente 
celebre  scritta  da  Mrs.  Gaskell,  aggiungendo 
nuove  notizie  importanti  sulla  famiglia  Bronte, 
particolarmente  sul  padre  e  sulla  sorella  Emilia, 
e  dando  cosi  un  quadro  completo  di  questo  gruppo 
di  personaggi  eminentemente  nordici  e  inglesi. 
Questa  vita  è  un  romanzo  ed  un  dramma,  e  si 
legge  con  la  curiosità  e  l'ansietà  con  cui  si  legge 
un  romanzo  od  un  dramma.  La  parte  critica  vi 
è  trattata  sobriamente,  forse  troppo,  perchè  le 
poche  ma  eccellenti  pagine  di  esame  critico  ci 
fanno  desiderare  che  ve  ne  fossero  molte  più. 
Notevole  il  capitolo  IX  su  Jane  Eyre  :  ove  in 
pochi  tratti  efficaci  se  ne  mostrano  le  essenziali 
caratteristiche. 

Jane  Eyre  è  uno  dei  più  insigni  e  vitali  ro- 
manzi inglesi.  Nonostante  alcuni  difetti,  da  at- 
tribuirsi soprattutto  alla  inesperienza  sociale  del- 
l'autrice, resta  ancora,  come  analisi  e  pittura  di 
caratteri,  insuperato.  La  superba  energia,  la  vi- 
rile sicurezza  con  cui  sono  scandagliati   i  motivi 

Nencioxi.  --  Sagui  critici  di  IcU.  inglcae.  25 


386  BIRRELL,    VITA   DI    CARLOTTA   BRONTÉ 

invisibili  del  dramma  palese,  non  ha  riscontro 
che  in  qualche  poema  drammatico  di  Roberto 
Browning.  George  Eliot  è  cento  volte  più  grande 
artista  di  Carlotta  Bronté  ;  Giorgio  Sand  è  cento 
volte  più  poeta  di  lei;  ma  la  creazione  dei  due 
caratteri,  Jane  e  Rochester,  è  di  una  tale  perfe- 
zione di  vita,  che  per  trovarne  dei  simili,  biso- 
gna ricorrere  a  Shakespeare.  I  ritratti,  i  caratteri 
dei  più  insigni  romanzieri,  paragonati  a  questi 
due,  sono  quel  che  è  una  figura  riflessa  in  uno 
specchio  accanto  a  una  figura  guardata  faccia  a 
faccia.  E  ciò  non  sfuggi  all'acuto  sguardo  di 
Swinburne,  il  quale  nel  suo  splendido  (e  talvolta 
un  po'  iperbolico  ed  enfatico)  Saggio  su  Carlotta 
Bronte,  insiste  sul  valore  supremo  della  creazione 
di  quei  due  caratteri. 

L'antologia  inglese  degli  scritti  del  Mazzini 
si  compone  più  specialmente  di  scritti  letterari 
e  filosofici.  La  parte  politica  è  come  in  seconda 
linea.  Primeggiano  gli  studi  su  Carlyle,  sulle 
opere  minori  di  Dante,  su  Lamennais,  su  Eenan. 
Alcuni  di  questi  articoli  furon  dal  Mazzini  scritti 
originalmente  in  inglese,  altri  tradotti  da  lui 
medesimo,  aUri  furon  tradotti  espressamente  per 
questa  edizione.  Il  raccoglitore,  signor  Clarke,  ha 
premesso  alla  sua  scelta  uno  studio  biografico 
sul  Mazzini,  breve  ma  sostanziale.  In  questa 
scelta  mi  sarebbe  piaciuto  di  veder  accolto,  tra- 
dotto in  inglese,  l'ammirabile  scritto  del  Mazzini 
su  la  Musica^  composto  nel  1836,  e  dedicato  Ignoto 


DEL    MAZZINI  uO/ 

Numùii.  In  nessun  altro  scritto  il  Mazzini  si  ri- 
vela cosi  giusto  e  profondo  critico  —  in  nessuno 
ha  cosi  prevenuto  i  tempi,  ed  è  stato  veramente 
profeta  come  in  quelle  pagine.  Tutti  i  Wagne- 
riani dovrebbero  saperle  a  memoria.  Il  Mazzini, 
mezzo  secolo  addietro,  vide  e  indicò  ciò  che,  ri- 
petuto ai  giorni  nostri,  è  parso  novità  teme- 
raria. 

Su  Tommaso  Carlyle  non  è  stato  mai  scritto, 
neppure  dopo  la  sua  morte,  da  nessun  critico, 
cose  più  giuste  e  più  efficaci  di  quelle  espresse 
dal  Mazzini  sul  «  Genio  e  Tendenze  »  dell'illustre 
Scozzese.  Nemmeno  il  magistrale  e  vivente  ri- 
tratto del  Taine  potrà  eclissare  o  far  dimenticare 
le  potenti  pagine  del  Mazzini  ;  il  quale  aveva 
col  Carlyle  grandi  affinità  e  grandi  divergenze  ad 
un  tempo.  Mentre  il  Mazzini  sembra  un'eco  di 
Carlyle  quando  inveisce  contro  lo  scetticismo,  il 
materialismo,  l' industrialismo  della  moderna  so- 
cietà; quando  oppone  all'idea  del  godimento 
l'idea  del  dovere,  —  egli  poi  si  distacca  a  infi- 
nita distanza  da  lui,  nel  giudicare  la  importanza 
dell'individuo  umano.  Per  Carlyle  l'individuo  è 
tutto.  La  storia  non  è  che  una  serie  di  biografìe. 
Gli  eroi  individui  creano  le  epoche  storiche  e  i 
destini  delle  nazioni  :  il  culto  degli  Eroi  è  il  culto 
razionale  e  cosmopolita  che  salverà  l'umanità.  La 
nazionalità  dell'  Italia  sta  tutta  nella  gloria  di 
aver  prodotto  Dante,  Colombo,  Machiavelli,  Mi- 
chelangiolo,  Galileo.  La  nazionalità  della  Germa- 
nia consiste  in  Lutero,  Goethe,  Beethoven,  Kant. 


388  CLARKE,    SCRITTI    SCELTI    DEL    MAZZINI 

—  Shakespeare,  Bacone,  Elisabetta,  Cromwell, 
Pitt,  Nelson,  son  l' Inghilterra...  Per  il  Mazzini 
invece  questi  giganti  non  sono  che  gì'  interpreti 
del  pensiero  nazionale,  le  pietre  miliari  della 
via  che  segue  V  Umanità,  i  sacerdoti  della  sua 
religione.  E  questa  religione  è  qualcosa  più,  anzi 
molto  più,  dei  suoi  sacerdoti  :  è,  per  usare  le  pa- 
role stesse  del  Mazzini,  «  l' idea  suprema  e  divina 
rappresentata  progressivamente  dall'  insieme  del 
genere  umano.  »  In  nome  delle  tendenze  demo- 
cratiche del  nostro  secolo,  il  Mazzini  protestò 
sempre  contro  questa  aristocrazia  di  culto  predi- 
cata dal  Carlyle  ;  come  scrisse  sempre  ardente- 
mente, eloquentemente,  contro  la  teoria  dell'Arte 
per  l'Arte.  «  C'è,  diceva  il  Mazzini,  qualche  cosa 
di  più  grande,  e  più  divinamente  misterioso,  di 
tutti  i  grandi  individui  —  ed  è  la  Terra  che  li 
sostiene,  la  razza  umana  che  li  comprende  in 
sé,  e  il  pensiero  di  Dio  che  si  agita  in  essi,  e  che 
solo  l'opera  collettiva  di  tutti  può  tradurre  in 
fatto  pratico  ed  in  norme  di  vita.  » 

E  molto  da  lodare  il  signor  Clarke  di  aver 
pubblicato  tradotto  in  questa  eccellente  Antologia 
V  importante  scritto  del  Mazzini  in  risposta  a 
quello  del  Renan  su  la  «  Réforme  intellectuelle 
et  morale.  »  E  l'ultimo  lavoro  di  molta  impor- 
tanza uscito  dalla  penna  di  Mazzini.  La  questione 
che  vi  si  dibatte  è  tuttora  ardente,  discussa,  at- 
tuale e  vitale.  Ed  è  bene  che,  per  mezzo  di  una 
lingua  ormai  universale  come  la  inglese  si  dif- 
fondano sempre  più  le  dottrine  umane  e  spirituali 


CLARKE,    SCRITTI    SCELTI    DEL    MAZZINI  389 

sostenute  dal  Mazzini  contro  l' invadente  scetti- 
cismo critico,  materialismo  e  fatalismo  filosofico, 
e  indifferentismo  politico. 

Il  Mazzini  ha  fotografato  le  dolorose  condii 
zioni  della  Letteratura  e  dell'Arte  in  Europa  dal 
Sessanta  in  poi.  E  quel  che  egli  più  ardente- 
mente combatte  è  lo  scettico  indifferentismo,  la 
contemplazione  egoistica,  il  dilettantismo.  Dopo 
aver  riportate  molte  sentenze  del  Renan  in  favore 
della  inerte  filosofia  contemplante,  della  scienti- 
fica impassibilità  e  indifferenza  nel  giudicare  uo- 
mini e  cose,  il  Mazzini  scrive  queste  memorande 
parole  che  oggi  sono  di  una  importanza,  e  di  una 
opportunità  anche  più  attuali  ed  urgenti.  «  Pur 
troppo  il  Fatalismo  è  conseguenza  necessaria  di 
tale  scuola  filosofica.  E  conseguenza  del  Fata- 
lismo sono  la  giustificazione  del  male,  e  la  con- 
templazione egoistica  sostituita  all'azione.  A  che 
la  condanna,  se  tutto  s' incatena  in  una  serie  di 
fenomeni  che  sono  effetto  e  cagione  ad  un  tempo 
in  virtù  di  forze  e  leggi  della  materia,  immuta- 
bili perchè  non  intelligenti?  Abbiamo  infatti 
veduto  e,  vediamo  scrittori  tedeschi,  inglesi, 
francesi  e  italiani,  farsi  dottamente  apologisti 
di  ogni  vizio  e  di  ogni  tirannide,  con  le  riabili- 
tazioni di  Siila,  di  Caligola,  di  Xerone,  di  Mes- 
salina, dei  Borgia....  L'anima  nostra  si  solleva  a 
sdegno  contro  questo  nuovo  quietismo  delle  Lettere 
e  della  Filosofìa.  Le  questioni  alle  quali  con  beata 
tranquillità  accenna  il  Renan,  costarono  lacrima 
Q  sangue  all'Umanità  ;  e  nessun  pensatore  ha  di' 


390  CLARKE,    SCRITTI    SCELTI    DEL    MAZZLM 

ritto  di  guardare  ad  esse  come  a  puro  soggetto 
d'analisi  e  di  ginnastica  intellettuale...  L'intel- 
letto è  un  tesoro,  un  sacro  deposito  affidato  da 
Dio  al  pensatore,  perch'  ei  lo  distribuisca  al  po- 
polo di  fratelli,  che  non  potrebbero  soli  e  abban- 
donati raggiungere  il  fine.  Ammetto  che  il  ti- 
ranno ed  il  martire,  l'accusatore  e  la  vittima, 
abbiano  ambedue  la  loro  ragione  di  essere  —  ma 
a  patto  che  da  noi  si  condanni  la  memoria  del 
primo,  e  si  veneri  la  memoria  dell'altro.  Il  Male 
è  strumento  indiretto,  inconsapevole,  di  progresso 
nel  mondo  ;  ma  a  patto  di  essere,  in  nome  ap- 
punto del  Progresso,  combattuto,  schiacciato,  eli- 
minato a  poco  a  poco  dal  mondo.  Non  siamo 
quaggiù  per  contemplare  il  creato,  ma  per  fondare 
sulla  terra,  per  quanto  possiamo,  una  immagine 
del  regno  di  Dio  ;  non  per  ammirarne  i  contrasti. 
L'egoismo  è  quasi  sempre  al  fondo  della  inerte 
contemplazione.  Il  mondo  non  è  uno  spettacolo^ 
ma  è  un  campo  di  battaglia  ;  nel  quale  quanti 
hanno  a  cuore  il  Giusto,  il  Vero,  il  Bello,  devon 
compiere,  soldati  o  capi,  vincenti  o  martiri,  la 
loro  parte.  » 

Parole  d'oro,  che  vorrei  veder  tradotte  non 
solo  in  inglese,  ma  in  ogni  lingua,  e  meditate 
dalla  gioventù  di  ogni  paese  ;  come  antidoto 
contro  l' invadente  materialismo,  larvato  oggi  con 
speciosi  nomi  scientifici. 

Contro  questa  piaga,  contro  questa  paralisi, 
hanno  scritto  pagine  di  fuoco  i  più  nobili  e 
grandi  ingegni  moderni  —  da  Schiller  a  Shedev, 


CLARKK,    SCRITTI    SCELTI    DEL    MAZZINI  301 

da  Carlyle  a  Michelet,  da  Manzoni  a  Victor  Hugo. 
Il  Mazzini  non  è  dei  meno  eloquenti.  Ma  tutti  po- 
trebbero dire  :  Xos  canlmus  surdis... 


(^uova  Antologia,  IG  agusto  1888.) 


L'epistolario  del  grande  emancipatore  irlan- 
dese è  oggi  materia  di  vivaci  discussioni  in  In- 
ghilterra e  in  America.  I  giudizi  della  stamj^a  sono 
in  generale  passionati,  pregiudicati,  hanno  carat- 
tere o  di  requisitoria  o  di  panegirico.  O'Connell, 
come  Napoleone,  è  anche  oggi  «  segno  —  d' ine- 
stinguibil  odio  —  e  d'indomato  amor.   » 

La  verità  è  che  da  queste  lettere,  raccolte  con 
devozione  di  discepolo,  e  illustrate  con  uno  ec- 
cellente studio  biografico  del  signor  Patrick,  Da- 
niele O'Connell  ci  apparisce  dotato  delle  due 
grandi  caratteristiche  dei  veri  eroi,  la  bontà  e  la 
forza.  La  indomata  energia  del  tribuno,  l'ardente 
simpatia  umanitaria,  la  lotta  viva  e  quotidiana, 
non  spensero  né  intiepidirono  mai  nel  cuore  di 
O'Connell  gli  affetti  di  marito  e  di  padre.  Le  sue 
lettere  alla  moglie  son  calde  d'amore  tutte  —  dalle 
prime  scritte  in  piena  luna  di  miele  (e  di  queste 
si  capisce)  a  quelle  che  dirigeva  a  lei  dopo  venti- 
cinque anni  di  matrimonio. 

Lontano  da  lei,  nel  fervore  della  sua  batta- 
glia politica  — e  di  qual  battaglia!  —  attaccato 
da  nemici  formidabili  ed  accaniti,  tormentato 
dai  dissesti  economici,  preoccupato  dell'  esito  di 


392 

cinque  elezioni,  trova  il  tempo  di  scrivere  pa- 
role toccanti  e  eloquenti  alla  sua  cara  Mary,  alla 
sua  sioeetest  Mary  —  e  comincia  le  lettere  con 
queste  parole:  My  oivn  and  only  Love!  tanto  è 
vero  che  «  la  bonté  fait  le  fond  des  natures 
augustes.  » 

I  mondani,  i  cosi  detti  positivisti,  gli  scettici, 
i  dilettanti,  gli  opportunisti,  ridono  di  questi  sen- 
timentalismi degli  uomini  eroici.  Eppure  una  te- 
nerezza profonda,  un'ardente  simpatia  umana,  di- 
stingue gli  eroi,  gli  uomini-realtà,  dalla  gran 
massa  degli  uomini-fantasmi.  Maometto,  Dante, 
Cromwell,  Mirabeau,  O'Connell,  Garibaldi,  hanno 
talora  espressioni  quasi  femminili  per  isquisita 
dolcezza  di  affetto  —  e  chi  potrà  negare  che  siano 
fra  le  più  possenti  ed  energiche  figure  che  ci  pre- 
senti la  storia? 

E  curioso  vedere  i  giornalisti  inglesi  che  di- 
scutono oggi  la  grandezza  di  O'Connell,  e  dubi- 
tano perfino  della  durabilità  del  suo  nome!  Si  ca- 
pisce che  per  lui  nessuno  potrà  più  avere  l'entu- 
siasmo febbrile  dei  contemporanei.  Certi  suoi  doni 
personali  di  grande  oratore,  la  magnifica  e  melo- 
dica voce,  il  gesto  potente,  lo  sguardo  irresistibile, 
la  sua  tremenda  e  fulminea  vitalità  e  operosità, 
moltiplicavano  1'  efficacia  della  eloquente  parola. 
Ma  in  ogni  modo,  certi  suoi  discorsi,  letti  oggi 
stampati,  e  a  distanza  di  più  di  mezzo  secolo,  ci 
commuovono,  ci  agitano,  come  la  parola  di  De- 
mostene, del  Savonarola,  di  Lutero,  di  Mirabeau, 
di  Yergniaud,  di  Burke,  di  Fox,  di    tutti  i  veri 


CORRISPONDENZA   DI   O'CONNELL  393 

grandi  oratori.  E  il  grande  oratore  si  ritrova  an- 
che in  alcune  di  queste  lettere. 

10  non  so  che  cosa  muova  più  a  sdegno,  se 
le  grossolane  invettive  contro  O'Connell  dei  gior- 
nali suoi  contemporanei  —  il  l^imes  arrivò  fino  a 
domandare:  E  fino  a  quando  un  tal  miserabile 
ciarlatano  sarà  tollerato  fra  la  gente  civile?  »  — 
o  la  scettica  analisi  e  il  freddo  calcolo  di  certa 
stampa  inglese  dei  nostri  giorni.  La  tartaruga 
non  è  giudice  competente  del  fulmine  —  né  un 
timido  filisteo  può  capire  e  parlare  degnamente 
di  un  O'Connell,  o  di  un  Mazzini. 

11  fatto  è  che  O'Connell  è  l'incarnazione  del- 
l'Irlanda.  La  parola  di  O'Connell,  come  prima 
quella  di  Swiffc,  è  un  gemito  e  un  grido,  è  la  voce 
delle  lagrime  e  del  sangue  irlandese. 

O'Connell,  è  fra  i  pochissimi  legittimi  leaders 
delle  Nazioni  —  un  eroe  che  ricevè  il  suo  diploma 
di  nobiltà  direttamente  da  Dio.  Egli  ebbe  fede 
invincibile  nella  giustizia  di  Dio,  e  nella  giusti- 
zia della  causa  irlandese,  ebbe  un  profondo  sen- 
timento delle  realtà  visibili  ed  invisibili  —  una 
profonda  avversione  per  tutto  ciò  che  è  vana  mo- 
stra, equivoco,  o  menzogna:  fu  un  uomo  provvi- 
denziale; uno  dei  pochi  a  cui  si  deve  obbedire, 
come  a  una  realtà  naturale  in  opposizione  con 
le  finzioni  sociali. 

Invano  la  stampa  inglese  cerca  mettere  in  om- 
bra la  grande  figura  del  Liberatore.  Le  pietre  stesse 
parlerebbero  di  lui,  oggi  che  la  questione  irlandese 
in  tutta  la  sua  tragica  evidenza  e  importanza  si 


394 

impone  alla  vecchia  Inghilterra.  L' Irlanda  è  la 
grande  attualità  sotto  tutti  gli  aspetti.  La  poesia, 
il  teatro,  il  romanzo,  la  tribuna  ed  il  pulpito,  ne 
sono  come  saturati.  Tutti  i  vecchi  libri  sulla  que- 
stione irlandese  si  ristampano,  si  rileggono,  si 
commentano.  Ho  qui  sul  tavolino  una  nuova  edi- 
zione popolare  degli  Irish  Tracts  di  Swift....  Qual 
libro!  Comparato  ad  O'Connell,  Swift  è  come 
l'acido  corrosivo  paragonato  alla  fiamma  distrug- 
gitrice.  Si  sente  che  una  violenta  indignazione 
bolle  nel  cuore  di  Swift....  Ma  come  sa  contenersi! 
Accomoda  le  labbra  a  un  sogghigno,  e  ogni  pa- 
rola che  gli  esce  di  bocca  è  come  una  punta  av- 
velenata. Nei  suoi  sarcasmi  vi  è  1'  odio  conden- 
sato, distillato,  per  dir  così.  E  nella  santità  della 
causa  che  difesero,  il  misantropo  Swift  dà  la 
mano  all'umanitario  e  magnanimo  O'Connell. 

AVilliam  Story  sembra  con  gli  anni  acqui- 
stare nuovo  vigore  e  più  feconda  operosità;  egli 
ha  ora  pubblicato  un  suo  lavoro  su  Micìielangiolo, 
che  come  studio  biografico  e  critico,  ha  un  singo- 
lare valore. 

W.  Story  è  un  americano  la  cui  vita  è  pas- 
sata in  grandissima  parte  in  Italia.  E  1'  arte  di 
Story  ha  quasi  sempre  ispirazione  e  soggetto 
Italiano. 

Egli  è  anche  un  eloquente  oratore:  e  rappre- 
sentando recentemente  alle  grandi  feste  di  Bolo- 
gna r  xlccademia  di  Scienze  del  suo  paese,  ebbe 
parole  calde  di  simpatia,  pittoresche,  e  applaudi- 


395 

tissime,  sull'antico  e  sacro  legame  che  unisce 
l'Italia  e  rxlmeiica.  Parte  di  questo  scritto  su 
Michelangiolo  fu  letto  nella  scorsa  estate  in  una 
Conferenza  da  lui  fatta  in  Londra,  dinanzi  a  un 
pubblico  composto  di  artisti  e  di  scrittori,  e  del 
fiore  dell'aristocrazia  Londinese;  ed  ebbe  grande 
successo.  Era,  credo,  la  prima  volta  che  uno  sc?^?- 
fo?'e parlava  di  Michelangiolo;  che  sul  più  grande 
rappresentante  dell'Arte,  prendeva  la  parola  un 
artista. 

Leggendo  ora  questo  studio  critico,  ciò  che 
più  ci  colpisce  è  appunto  la  competenza  artistica 
e  la  scienza  del  suo  soggetto,  che  lo  Story  ci  mo- 
stra a  ogni  pagina.  E  anche  è  notevole  che  dopo 
il  Ruskìn,  il  Michelet, il  Grimm,  il  Pater,  il  Taine..  . 
lo  Story  abbia  trovato  cose  nuove  da  dire  su  que- 
sto argomento.  Ma  le  ha  trovate^  parlando  e  giu- 
dicando come  scultore. 

Le  parti  più  notevoli  di  questo  studio  sono 
quelle  sui  due  Rinascimenti  Italiani^  sul  carattere 
di  Michelangiolo  come  uomo  e  come  cittadino,  e 
su  le  statue  della  Cappella  Medicea.  Traduco  una 
di  queste  ultime  pagine,  a  conferma  di  quanto  ho 
detto,  e  sicuro  di  far  cosa  gradita  a  ogni  lettore 
italiano. 

«  ....  Dal  corridoio  si  entra  nella  Cappella.  E 
solenne,  fredda,  nuda,  bianca,  illuminata  dall'alto 
per  una  lanterna  aperta  sul  cielo.  Non  vi  è  colore 
perchè  la  parte  in  basso  è  di  marmo  bianco,  e  la 
parte  superiore  è  di  stucco.  Un  senso  di  freddo  vi 
penetra  nelle  ossa  appena  entrati  —  la  Cappella 


396  STORY,    MICHELANGELO 

è  come  incantata  in  un  gran  silenzio,  da  quelle 
maestose  e  solenni  figure.  Vi  sentite  subito  sotto 
una  seria,  grande,  potente  influenza;  snbìte  un 
fascino  di  un  carattere  affatto  diverso  da  quello 
che  qualunque  altra  opera  scultoria  antica  o  mo- 
derna aveva  finora  prodotto  in  voi.  Qualunque 
possano  essere  i  difetti  di  queste  grandi  opere,  e 
son  molti  e  evidenti,  si  sente  che  qui  un  sovrano 
intelletto  e  una  suprema  possanza  hanno  lottato, 
e  si  sono,  per  dir  così,  aperte  una  via  dentro  il 
marmo,  per  estrarre  dall'insensato  blocco,  gigan- 
tesche e  quasi  soprannaturali  figure.  Non  è  la 
Natura  che  qui  Michelangiolo  si  è  curato  di  imi- 
tare e  di  esprimere,  ma  ha  voluto  dar  corpo  a  un 
pensiero,  dar  forma  a  concetti  che  oltrepassano  i 
limiti  della  natura  ordinaria.  È  inutile  voler  appli- 
car qui  le  rigide  regole  del  realismo.  Le  attitudini 
sono  forzate,  quasi  impossibili.  Nessuna  figura  pò-' 
trebbe  mantenersi  per  più  di  un  minuto  nell'atti- 
tudine in  cui  è  scolpita  la  Notte;  e  dormire  in 
quella  posizione  è  addirittura  impossibile.  Eppure 
un  enorme  peso  di  sonno  grava  su  questa  figura  ; 
e  la  solennità  della  notte  la  circonda.  Cosi  anche 
il  Giorno  somiglia  più  un  titano  primitivo  che  un 
essere  umano.  L'azione  della  testa,  per  esempio, 
non  è  naturale.  La  testa  stessa  è  solamente  sboz- 
zata, appena  ne  sono  indicate  le  fattezze.  Ma  que- 
sto è  appunto  un  tratto  di  genio;  perchè  la  sag- 
gestione  di  mistero  in  quel  vago  e  non  finito  volto 
ci  fa  una  impressione  di  gran  lunga  maggiore  di 
quella   che  ci   farebbe   la  testa  più   lavorata    e 


397 

finita....  Lo  stesso  carattere  hanno  V Aurora  e  il 
Crei^uscolo.  Non  sono  un  uomo  e  una  donna,  ma 
due  tipi  di  idee.  Una  alza  la  testa,  perchè  è  presso 
il  mattino  —  l'altro  l'abbassa,  perchè  si  addensa 

già  il  buio  della  sera Non  vi  è  segno  di  gioia 

in  nessuno  dei  due:  sono  oppressi  da  una  profonda 
tristezza.  U Aurora  non  sorride  all'apparir  della 
luce;  non  è  lieta,  ha  poca  speranza,  ma  guarda  al 
nascer  del  giorno  con  una  terribile  stanchezza, 
quasi  con  disperazione:  essa  vede  poca  promessa, 
e  assai  più  dubbi  e  terrori  che  speranze.  Il  6Ve- 
puscolo  si  piega  sdegnosamente  al  riposo;  il  giorno 
non  ha  prodotto  nulla,  è  stato  infecondo  di  ogni 
bene  —  e  oppresso  e  disperato  vede  addensarsi 
le  tenebre. 

«  Che  cosa  volle  Michelangiolo  significare  e 
incarnare  in  queste  statue,  è  sempre  una  con- 
gettura ;  ma  certo  non  potè  essere  un  comune 
concetto.  Egli  non  cercò  di  esprimere  né  la  bel- 
lezza, ne  la  grazia,  né  la  verità  naturale.  Nello 
scolpire  quelle  figure,  il  peso  del  grande  enimma 
della  vita  dovè  gravargli  sul  cuore;  la  lotta  del- 
l'umanità contro  forze  superiori  l'opprimeva.  Egli 
mise  in  quelle  statue  i  dubbi,  i  timori,  la  pos- 
sanza e  r  indomita  volontà  della  sua  grande 
anima.  Esse  non  possono  quindi  esser  riguardate 
come  espressione  della  naturale  giornata  del 
mondo  —  della  gloria  del  sole  sorgente,  della  te- 
nerezza del  tramonto,  dell'aperta  letizia  del  giorno 
del  calmo  riposo  della  notte:  ma  invece  come  le 
stagioni  e  le   epoche  dello   spirito    umano  —  coi 


398  STORY,  MICHELANGELO 

suoi  dubbi  e  coi  suoi  "terrori,  coi  suoi  dolori  e  con 
le  sue  aspirazioni.  » 

Vere  e  belle  ed  eloquenti  parole!  perle  quali 
ogni  Italiano,  ogni  artista,  deve  essere  ricono- 
scente all'autore.  Forse  Story  non  ha  abbastanza 
indicato  una  delle  fonti,  la  più  efficace,  credo,  di 
quelle  tragiche  ispirazioni  ~  cioè  le  condizioni  po- 
litiche dell'Italia.  Per  me  non  vi  ha  dubbio  che 
gli  affreschi  della  Sistina  e  le  tombe  di  San  Lo- 
renzo^ sono  un  gemito  e  un  fremito,  una  protesta 
e  una  profezia;  come  i  canti  di  Dante,  come  le 
prediche  del  Savonarola. 

Durante  la  funesta  guerra  della  Lega,  Mi- 
chelangiolo  creò  le  Sibille  e  i  Profeti^  quelle  figure 
minacciose  e  formidabili,  quelle  teste  illuminate 
come  da  una  fornace  interiore,  tutte  esprimenti 
la  rivolta  e  l'indignazione,  quale  Michelangiolo 
dovè  provarla  in  quel  suo  perfido  tempo  di  tra- 
dimenti, di  sacrilegi,  di  stragi,  di  saccheggi,  di 
veleni;  il  tempo  dei  banditi  coronati,  quando 
l'Italia  perdeva  tutto  il  più  vitale  suo  sangue.  E 
dopo  gli  ultimi  aneliti  della  libertà  Fiorentina, 
scolpì  il  pensoso  Crejmscolo^  e  le  invadenti  tenebre 
della  Notte... 

Dio,  la  coscienza  umana,  e  la  forma  umana 
nelle  attitudini  di  profonda  passione,  furono  gli 
eterni  soggetti  di  Michelangiolo.  Le  bellezze  della 
natura  esteriore  o  non  curò,  o  non  lo  consolarono; 
e  parve  non  badarvi  mai  nemmeno  nelle  sue  pit- 
ture. I  campi,  i  boschi,  i  fiori,  le  nuvole,  i  monti, 
il  mare,  che  vediamo  rappresentati  nelle  opere  di 


STORY,  MICHELANGELO  399 

Leonardo,  di  Tiziano,  del  Correggio,  del  Tinto- 
retto,  spariscono,  e  rimane  solo  ciò  che  è  del  do- 
minio esclusivo  dell'anima  umana.  Appena  qual- 
che rara  volta  egli  ritrae  grigie  linee  di  nude 
rupi,  e  misteriose  forme  vegetali,  che  sembrano 
appartenere  a  un  mondo  primordiale,  avanti  i 
giorni  della  Creazione.  —  Uomo  veramente  unico, 
e  al  quale  solo,  dopo  Dante,  può  darsi  giusta- 
mente il  titolo  di  divino.  La  sua  grande  e  nobile, 
bella  e  sublime,  patetica  e  tragica  figura,  rivive  in 
tutta  la  intensità  della  sua  terribile  fisonomia,  in 
queste  pagine  di  William  Story. 

{Suova  Antologia,  16  dicembre  1888.) 


A  tutti  i  cultori  della  poesia  inglese  è  noto 
e  caro  il  nome  di  Eugenio  Lee-Hamilton,  l'autore 
di  Apollo  e  Marsia  e  della  Nuova  Medusa.  Oggi, 
con  questo  volume  di  Imaginary  SonnetSj  egli 
conferma  la  sua  bella  fama  di  forte  poeta,  e 
acquista  un  nuovo  titolo  alla  nostra  ammirazione. 
Il  carattere  di  questi  Sonetti  è,  come  quello  dei 
precedenti  poemi,  essenzialmente  drammatico.  Per- 
sonaggi storici  di  ogni  età,  di  ogni  clima  e  di 
ogni  condizione,  da  Ezzelino  a  Santa  Teresa,  da 
Donna  Bella  a  Latude,  da  Stradivarius  a  Kotz- 
sciusko,  espjrimono  in  un  monologo,  o  apostro- 
fando altro  personaggio,  uno  stato  d'animo  ecce- 
zionale di  una  condensata  energia.  E  una  poesia 
psicograjìca  tutta  pensiero  e  sentimento,    e  di  una 


400  LEE   HAMILTON,   IMAGINARY    SONNETS 

sconfinata  varietà  di  pensieri  e  di  sentimenti.  La 
forma  del  sonetto  adottata  costantemente  diventa 
forse  un  po'  faticosa  nella  sua  monotonia.  E  vero 
che  un  libro  di  questo  genere  non  si  legge  di 
seguito  come  un  poema,  un  dramma  o  un  ro- 
manzo ;  tuttavia  io  credo  che  un  po'  di  varietà 
nel  metro  avrebbe  meglio  secondato  la  varietà 
degli  argomenti. 

Ciò  che  caratterizza  soprattutto  questi  sonetti 
è  la  virile  energia  dello  stile  :  ogni  vocabolo  è  di 
una  precisione  e  di  un  significato  efficace  ed 
inevitabile.  Alcuni  paiono  acque-forti  di  Rem- 
brandt,  nel  loro  tragico  accento  crepuscolare, 
come  quelli  di  La  Balue,  di  TiUfj,  di  Ezzelino  ; 
altri  sono  illuminati  splendidamente,  meridional- 
mente, come  quello  di  Santa  Teresa  alle  Porte  del 
Cielo.  Ve  ne  sono  dei  profondamente  tristi,  come 
quello  della  Pia  dei  Tolomei,  dov'è  notevole  la 
precisione  del  paesaggio  maremmano,  e  quello 
bellissimo  su  Lorenzo  Be'  Medici  che  contempla  il 
suo  ultimo  autunno  da  una  finestra  della  villa  di 
Careggi  ;  e  ve  ne  sono  dei  soavemente  malinco- 
nici, come  quello  di  Giovanna  Grey  ai  Fiori  e  agli 
Uccelli.  In  alcuni  vi  è  1'  entusiasmo  eroico  della 
fede  o  del  sacrifizio,  come  in  quelli  di  Galileo 
alla  Terra^  e  di  Mademoiselle  de  Somhreicil  alla  Li- 
hertà;  in  altri  predomina  una  tremenda  ironia 
(Latude  ai  suoi  topi)  o  un  tragico  sarcasmo  {La 
Duchessa  Salviati).  In  tutti  una  poteDza  di  analisi 
e  di  espressione,  che  ci  rammenta  spesso  che  l'au- 
tore è  un  compatriotta  di  Roberto  Browning. 


LEE    HAMILTON,    LMAGINARY    SONNETS  401 

Eccone  iu  saggio  qualcuno,  die  io  traduco 
il  più  letteralmente  che  sia  possibile. 

Venere  a  Tannliduser 

—  Tu  sei  il  raggio  di  sole  fra  i  boschi  d'a- 
bete ;  tu  sei  la  suonante  voce  del  ruscello,  e  il 
murmure  dell'ape  selvatica;  tu  sei  la  fragranza 
della  gomma  stillante,  che  profuma  il  mattino 
come  mirra  montana. 

—  La  tua  forza  è  come  quella  della  neve 
quando  il  piò  della  Primavera  smuove  gli  adden- 
sati mucchi  che  precipitano  col  fragore  del  tuono. 
La  tua  voce  è  come  l' invito  che  desta  le  cose  as- 
sopite, quando  Aprile  riempie  i  boschi  col  ronzìo 
degi'  insetti. 

—  Adone  fu  per  me  la  palpitante  onda  del 
Sud,  il  molle  lambente  fulgore  ai  miei  piedi,  l'alito 
di  cedro  che  spira  dalle  isole  greche. 

—  Ma  tu,  forte  brezza,  ineffabilmente  più 
cara,  pungente  con  l'acre  odore  delle  nordiche 
selve,  tu  lo  hai  sbalzato  dal  mio  cuore,  e  vi  regni 
sovrano. 

Latucle  ai  suoi  toj)i 

—  Ho  trovato  un  pezzo  di  legno  e  me  ne  son 
fatto  un  flauto.  Topi  del  mio  carcere,  che  volete 
voi  eh'  io  vi  suoni  ?  Volete  il  canto  dei  ruscelli 
che  scorrono  fra  l'alte  erbe,  ove  strisciano  e  ro- 
teano le  allegre  rondini  ? 

—  0  vi  dirò  i  tappeti  di  musco  a   pie  degli 

ifEXCiONl.  —  Saggi  critici  di  leti,  inglese.  26 


402  LEE    HAMILTON,    LMAGINARY    SONNETS 

alberi  della  foresta  dai  grandi  rami  pendenti  —  o 
i  pomari  di  autunno,  splendenti  nel  mite  sole  e 
rosseggianti  di  frutta  ? 

—  0  debbo  modularvi  soavemente  quanto 
mai  buono  è  l'uomo,  qui  su  questa  terra,  dove 
nessun  dolore  perdura,  dove  non  si  ode  un  sin- 
ghiozzo, dove  non  si  versa  una  lacrima  ; 

—  Dove  nessuno  giornalmente  invoca  come 
liberatrice  la  morte  ;  dove  non  allignò  mai,  dal 
principio  delle  cose,  la  tirannia;  dove  il  dolore 
ci  morde  con  denti  non  più  acuti  dei  vostri  ? 

Santa  Teresa  alle  Porte  del  Cielo. 

—  Le  glorie  del  sole  che  tramonta  son  nulla 
in  paragone  di  quelle  della  mia  nuda  cella,  le  cui 
pareti  si  aprono  come  nuvole  che  si  dividono,  e 
danno  passaggio  al  mio  spirito,  che  sale  fino  alle 
porte  del  Cielo  fatte  di  fiammante  topazio. 

—  In  quell'abisso  di  gloria  che  trascende  il 
pensiero,  come  effimere  bolle  in  una  corrente 
d'oro  ri  splendono  visi  di  angioli,  e  turbinano  mol- 
tiplicati, e  spariscono  appena  1'  occhio  li  vede. 

—  Poi  da  quel  varco,  come  dalla  porta  spa- 
lancata di  una  gran  cattedrale,  piovono  in  flutti 
di  gloria  antifone  celesti  che  vincono  ogni  umana 
espressione  ; 

—  Finche,  inebriata  di  luce  e  di  suono,  e 
languida  dal  digiuno,  il  corpo  si  accascia,  lo  spi- 
rito non  ha  più  forza  di  sollevarsi,  eie  pareti  della 
cella  mi  si  richiudono  attorno. 


LEE    HAMILTON,    IMAGINARY    SONNETS  403 


La  Duchessa  Salviatl  a  Caterina  CanaccL 

—  E  così,  sua  Eccellenza  il  mio  sposo  ama 
di  passare  dell'ore  intere  ai  tuoi  piedi;  e  tu  di- 
sciogli i  capelli,  ed  egli  immerge  le  dita  nel  ru- 
scello d'oro  che  ti  ondeggia  sulle  spalle,  mia  dolce 
ragazza  ? 

—  Egli  ora  non  ama  più  la  massa  d'  ebano 
nero  blu  dei  miei  ;  e  le  mie  gote  olivastre  gli 
paiono  avvizzite;  ne  più  loda  i  miei  denti  che son 
più  bianchi,  mi  dicono,  di  quei  della  vipera  in 
mezzo  all'erba. 

—  Sgualdrina,  io  ho  un  capriccio  per  lo 
fila  d' oro  :  vuoi  darmi  un  tuo  biondo  ricciolo 
per  divertirmi,  mentre  seggo  qui  nel  solitario 
mio  letto  ? 

—  Ma  prima  che  tu  tagli  quel  ricciolo,  chi 
sa  eh'  io  non  ti  chiegga  anche  la  testa,  e  dia  un 
compito  oggi  stesso  ai  miei  bravi! 

Emilio  Hennequin  in  un  recentissimo  vo- 
lume intitolato  Études  de  Critique  scientijìque  esa- 
mina l'opera  dei  più  insigni  «  Ecrivains  Fran- 
cisés  »  —  Dickens ,  Heine ,  Tourguénieff,  Poe , 
Dostoiewski,  Tolstoi.  Applica  alla  letteratura  le 
teorie  Spenceriane,  e  fra  molte  deduzioni  forzate 
e  discutibili  affermazioni,  fra  molto  dogmatismo 
scientifico  e  sistematico,  ha  delle  vedute  nuove  e 
profonde,  ha  una  analisi  acuta,  e  apre  ed  esplora 
arditamente  nuovi  orizzonti.  Gli  studi  su  Heine  e 


404'  HENNEQULX,   DICKENS    E    POE 

Tolstoi  sono  veramente  ammirabili.  Oggi,  scrìvendo 
una  Rassegna  di  Letteratura  Inglese,  mi  sia  con- 
cesso prender  la  parola  a  proposito  dei  giudizi  su 
Dickens  e  su  Poe  —  giudizi  di  cui  già  si  preoccupa 
la  stampa  inglese  ed  americana. 

Sul  geniale  autore  di  David  Copperfield^  Emi- 
lio Hennequin  è  eccessivamente,  e  a  mio  giudizio 
ingiustamente,  severo.  Si  compiace  a  mettere  in 
luce  meridiana,  in  evidente  rilievo,  i  difetti  di 
Dickens  —  e  certo  ne  ha  molti;  ma  non  tiene 
conto,  quasi  sopprime,  in  un  certo  modo,  i  pregi 
sovrani  del  gran  romanziere.  Già  Dickens  è  di- 
ventato da  qualche  tempo  la  bète  noire  della  cri- 
tica naturalista  e  scientifica.  Dagli  appunti  ri- 
spettosi e  dalle  riserve,  miste  però  a  sincera 
ammirazione,  dei  Lewis  e  dei  Taine,  siamo  pas- 
sati all'  assoluto  deprezzamento,  alla  ingiusta  re- 
quisitoria di  Hennequin.  Tutti  gli  scrittori  che 
hanno  carattere  di  larga  umana  simpatia,  in  cui 
predomina  il  senso  della  pietà,  sono  fatti  bersaglio 
della  critica  nuova:  nessuno  si  salva;  né  la  Sand, 
ne  Hugo,  né  Michelet,  né  Tourguéniefi*.  Ora  co- 
minciano le  ostilità  anche  verso  Tolstoi.... 

La  maggior  colpa  che  si  fa  a  Dickens  è  quella 
di  commoversi  e  di  commoverci  —  è  quella  di 
amare  i  poveri,  i  diseredati,  gli  oppressi.  «  L'arte 
di  Dickens,  scrive  Hennequin,  è  un'  arte  morale  ; 
ed  è  in  virtù  di  certe  regole  precise,  di  una  spe- 
ciale veduta  delle  cose  di  questo  mondo,  che  egli 
biasima  o  loda....  Persone  senza  educazione,  senza 
capacità,  senza  carattere,  ridicole,  stupide,  brutte 


IIENNEQUIN,   DICKENS    E    POE  405 

di  corpo,  deboli  di  spirito,  totalmente  nulle,  sono 
amate  da  Dickens  purché  non  facciano  male  a 
nessuno.  »  Verissimo;  ma  invece  di  colpa  gliene 
va  fatto  merito  grande.  Una  creatura  umana  non 
è  mai  nulla:  è  un'anima,  un  riflesso,  sia  pure 
oscurato,  di  Dio.  Almeno  tale  era  per  Dickens;  e 
su  queste  povere,  umili,  strane,  ma  buone  e  inno- 
centi creature,  egli  riversava  il  suo  giocondo  e 
simpatico  umorismo  :  e  il  lettore  sente  che  anche 
quei  poveri  diavoli  in  fondo  sono  zcommij  e  s' in- 
teressa alle  loro  umili  storie.  Di  più  :  per  1'  umo- 
rista, e  Dickens  è  essenzialmente  umorista^  non  vi 
sono  grandi  e  piccoli  avvenimenti.  Un  incidente 
inconcludente  può  assumere  un  profondo  e  intenso 
significato.  La  critica  francese,  compreso  lo  stesso 
Taine,  giudicando  Dickens,  dimentica  sempre  che 
si  tratta  di  un  umorista,  e  gli  fa  colpa  dei  suoi 
più  vitali  e  ammirabili  pregi. 

«  In  Dickens,  in  tutti  i  particolari  della  sua 
opera,  si  palesa  l'attività  costante  di  una  potenza 
di  sensibilità  estrema,  poco  variata  ma  sempre 
desta,  di  modo  che  un  minimum  di  immagini  e 
di  pensieri  basta  ad  alimentare  l'attività  tutta 
morale  di  questo  romanziere,  mentre  tutto  il  resto 
gli  è  fornito  dalla  propria  emozione.  »  —  Sia 
pure:  ma  allora  bisogna  dire  che  la  emozione  gli 
dà  un  intuito  di  una  potenza  suprema,  se  essa 
sola  è  bastata  a  fargli  scrivere  la  fuga  di  Sikes  e 
la  morte  di  Dora;  a  creare  personaggi  viventi  come 
Micawber,  Steerfort,  Sam  Weller,  Pecksnilf  e 
Mistress  Gamp.  ' 


406  HENNEQUIN,    DICKENS   E   POE 

«  Se  ne  togliete  l'aspetto  che  il  mondo  pre- 
senta a  una  inconsiderata  pietà,  Dickens  non  vi 
trova  nulla  che  lo  commova.  Sono  esclusi  tutti 
gli  spettacoli  che  esso  fornisce  di  sensualità  e  di 
pura  intelligenza....  Non  penetra  la  violenta  bel- 
lezza delle  passioni,  i  grandi  slanci  dell'ambizione, 
della  lussuria,  dell'amore,  della  collera;  i  sordi 
conflitti  delle  idee  e  dei  sentimenti,  delle  convin- 
zioni e  degli  atti,  che  la  vita  ci  impone.  »  —  Prima 
di  tutto,  se  Dickens  non  ci  ha  dipinto  gli  impeti 
della  lussuria  —  les  élans  de  la  luxure  —  ha  fatto 
benissimo.  —  Vi  è  in  Francia  chi  ce  li  dipinge 
anche  troppo!...  Ma,  dato  e  non  concesso,  che  ve- 
ramente Dickens  non  abbia  descritto  tutte  le  sud- 
dette cose,  che  vuol  dire?  Vuol  dire  che  quello 
non  era  il  suo  campo,  o  non  volle  occuparsene. 
Ma  ha  descritto  invece,  e  in  modo  unico  ed  im- 
mortale, tante  altre  cose.  Ed  è  da  queste  che  va 
giudicato. 

Quando  poi  Hennequin  aggiunge  che  «  la 
natura,  il  cielo  e  il  mare,  i  drammi  cangianti  della 
luce,  le  nuvole,  la  notte  non  hanno  attrattive  per 
Dickens  »  è  assolutamente  ingiusto.  Tutti  i  più 
grandi  descrittori  di  paesaggio  e  critici  d'arte,  il 
Carlyle,  il  Euskin,  il  Taine,  riconoscono  in  Di- 
ckens un  paesista  di  primo  ordine.  Basterebbero 
a  provarlo  le  stupende  descrizioni  naturali  di  ogni 
genere  che  si  ammirano  in  Copperfield^  in  Martin 
Chuzzleioit,  in  Great  Exjjectations,  in  Our  Common 
Friend. 

Dickens  è  un  osservatore  anche  troppo  acuto 


IIENNEQUIN,    DICKENS    E    POE  407 

ed  intenso.  Persone  e  cose  son  viste  da  lui  come 
nella  netta  e  precisa  visione  di  un  lampo.  Non 
trascrive,  ma  dipinge.  E  se  anche  spazia  nei  campi 
della  fantasia  e  di  un  poetico  umorismo,  non 
perde  di  vista  la  realtà,  mai.  Il  Cliristmas  Carol, 
per  esempio,  è  fantastico  come  un  racconto  di 
Hoffmann,  ed  è  vero,  solido  e  umano  come  una 
pagina  di  Channing.  Grande  e  buono:  dopo  Wal- 
ter Scott,  nessuno  meritò  meglio  di  Dickens  que- 
sta gloriosa  denominazione.  Coloro  che  in  arte 
vorrebbero  escluse  elevazione  e  bontà,  provano 
un  sentimento  di  repulsione  per  l'autore  di  i)ayò(^ 
Copperfield]  ed  è  naturale. 

Lo  studio  su  Poe  a  me  pare  di  gran  lunga 
superiore.  Anzi,  preso  nel  suo  insieme,  io  lo  credo 
il  più  forte  e  coscienzioso  studio  critico  scritto 
finora  sul  poeta  e  novelliere  americano.  ]\Ia  a 
molti  parrà  per  lo  meno  esagerata  la  impassibi- 
lità obiettiva,  la  predominanza  intellettuale,  che 
Hennequin  riscontra  ed  ammira  nell'  opera  di 
Edgardo  Poe. 

«  Ogni  violenta  commozione  dell'  anima,  se 
chi  la  prova  si  sforza  di  esaminarla  e  padroneg- 
giarla, cessa  di  impressionare  la  coscienza  come 
emozione,  e  diventa  conoscenza.  Così  fa  costante- 
mente Edgardo  Poe,  ed  in  virtù  di  questa  fa- 
coltà le  sue  opere  hanno  acquistato  una  forma 
cristallina  e  geometrica,  acuta  e  definitiva,  e 
sono  perfette,  glaciali,  precise.  In  Poe  le  emozioni 
si  trasformano  costantemente  in  j^ensieri....  Come  non 
è  necessario  a  un  professore    per    inventare    un 


408  HENNEQUIN,    DICKENS    E    POE 

problema  di  risentir  l'imbarazzo  che  cagionerà  ai 
suoi  scolari;  come  un  attore  sa  simulare  la  gioia 
e  il  dolore  senza  provarli;  come  un  fabbricante 
di  giocattoli  non  è  obbligato  a  divertirsi  nel  fare 
cerchi  e  trottole  perchè  queste  possano  divertire 
i  ragazzi  ;  così,  ad  artisti  commossi  dalla  loro 
proj)ria  opera,  potranno  succedere  artisti  appas- 
sionati e  non  passionanti....  » 

Per  approvare  completamente  il  giudizio  cri- 
tico di  Hennequin  su  Edgar  Poe  bisognerebbe 
ammettere  come  indiscutibili  queste  sue  idee.  A 
me  non  riesce.  Come  è  possibile,  io  mi  domando, 
di  esaminare  in  se  una  violenta  emozione  ì  L'esame 
esclude  subito  la  violenza:  son  termini  contradit- 
tori.  Né  le  opere  di  Poe  son  mai  glaciali.  Né  è 
vero  che  un  attore  non  provi  punto  le  gioie  e  i 
dolori  che  rappresenta  sulla  scena;  anzi  i  gran- 
dissimi attori,  Talma  e  Salvini,  Rachel  e  Ristori, 
fino  a  un  certo  punto  li  provano.  Il  paragone 
del  professore  e  del  baloccaio  é  più  ingegnoso 
che  esatto:  troppo  ci  corre  tra  un  poema  e  un 
romanzo,  e  un  cerchio  e  una  trottola....  E  se  in 
Poe  era  davvero  questo  supremo  dominio  del- 
l'intelletto e  della  volontà  su  tutto  ciò  che  è  emo- 
zione, passione,  istinto,  ecc.,  come  mai  egli  non 
seppe  punto  regolare  la  sua  vita,  egli  così,  geo- 
metrico ordinatore  della  sua  arte? 

Ad  altro  motivo  io  credo  si  j)ossa  attribuire 
la  perfetta  visione  e  il  lucido  ordine  dei  racconti 
del  Poe  :  cioè  allo  stato  patologico  del  suo  cer- 
vello. L'abuso  alcoolico  gli  aveva  dato  una  specie 


HENNEQUIN,    DICKENS   E    POE  4U9 

di  follia  lucida,  e  le  sue  immagini  diventavano 
fissazioni.  Eg-li  aveva  la  lucidità  nella  allucina- 
zione. Un  fatto,  un  caso  straordinario  che  lo  pre- 
occupava, assorbiva  tutto  il  suo  essere;  egli  non 
era  distratto  da  immagini  subiettive  e  secondarie, 
da  idee  relative;  ma  in  uno  stato  di  iperestesìa 
cerebrale,  vedeva  più  addentro  e  più  in  là  di  quel 
che  comunemente  si  vede  anche  dai  più  insigni 
analizzatori.  Certe  sue  pagine  sembrano  rivela- 
zioni magnetiche:  e  senza  averle  sentite,  e  inten- 
samente sentite,  non  era  possibile  scriverle.  Non 
già  che  egli  scrivesse  in  uno  stato  di  ebbrezza, 
come  fu  scioccamente  creduto  da  taluno  —  ma 
l'abuso  alcoolico  aveva  modificato  le  sue  facoltà 
cerebrali,  paralizzandone  alcune,  e  sovreccitan- 
done altre  fenomenalmente. 

Nella  collezione  di  biografie  di  Grandi  scrittori 
edite  dal  professore  Robinson,  è  stata  pubblicata 
la  Vita  di  Goethe  di  James  Sime.  È  un  libro  sotto 
ogni  aspetto  eccellente,  e  che  raccomandiamo  cal- 
damente ai  lettori.  Non  è  una  delle  solite  compi- 
lazioni, ma  è  il  frutto  di  lunghi  e  coscienziosi 
studi  su  la  vita  e  le  opere  di  Volfango  Goethe. 
Tutto  quello  che  di  più  sostanziale  è  stato  scritto 
sul  gran  poeta,  da  Schlegel  a  Taine,  da  Ecker- 
mann  a  Lewis,  da  Sainte-Beuve  a  Cart,  è  riepi- 
logato in  questo  volume.  Sobrio,  esatto,  ordinato, 
è  un  vero  modello  di  biografia.  Notevolissima  la 
storia  della  gioventù  e  delle  prime  opere  di  Goe- 
the —  le  origini  del  Goetz  e  del   Werther.  Belle  ed 


4-10  SIME,    VITA    DI    GOETHE        • 

esatte  le  pagine  sul  viaggio  di  Goethe  in  Italia, 
lontane  dalle  acri  ironie  di  Menzel,  come  dagl'inni 
e  dal  feticismo  di  Blaze  e  di  Daniel  Stern. 

Il  libro  si  conclude  con  una  rapida  e  densa 
sintesi  dell'opera  Goethiana.  «  Come  scienziato, 
scrive  il  Sinie,  Goethe  va  annoverato  fra  i  più 
avanzati  investigatori  della  sua  età.  Egli  è  un 
precursore,  un  annuuziatore  di  ciò  che  è  la  cor- 
rente centrale  del  pensiero  moderno  —  l'idea 
della  evoluzione...  Come  critico  d'arte  fu,  dopo 
Winckelmann,  il  più  gran  rivelatore  e  spiegatore 
dell'arte  antica  e  nel  suo  studio  dell'arte  moderna 
egli  si  rivolgeva  con  istintiva  simpatia  a  quei 
pittori  e  scultori  la  cui  tecnica  abilità  era  ado- 
perata in  servizio  di  alte  e  immaginative  idee. 
Nessun  critico  mostrò  con  più  insistenza  e  con 
più  efficacia  di  Goethe  che  l'arte  la  quale  fa  di- 
vorzio da  seri  e  nobili  e  umani  pensieri,  non  può 
dare  che  misere  ed  effimere  produzioni. 

«  Quasi  ciascun  elemento  della  vita  umana 
è  toccato  nelle  poetiche  creazioni  di  Goethe;  ep- 
pure i  suoi  scritti  debbon  riguardarsi  come  parti 
di  un'unica  Confessione.  Per  remoti  che  sembrino, 
a  primo  aspetto,  dalla  personale  esperienza  del 
poeta,  son  tutti,  direttamente  o  indirettamente, 
basati  su  avvenimenti  della  sua  storia  personale. 
Quindi,  la  straordinaria  vitalità  di  quelle  idee. 
Egli  non  può  tuttavia  esser  considerato  come  un 
realista,  se  per  realista  s'intende  chi  non  fa  altro 
che  rappresentare  esattamente  ciò  che  ha  visto  o 
sentito.  Prendendo  la  realtà  come  a  fondamento 


SIME,    VITA    DI    GOETHE  4-11 

dell' edifizio  ideale,  Goethe  ne  separò  ogni  associa- 
zione di  temporaneo  o  accidentale  interesse.  La 
mise  in  nuove  relazioni,  la  toccò  col  magico  po- 
tere della  immaginazione,  e  dette  a  fatti  indivi- 
duali un  significato  iinicerscde:  e  perciò  le  sue 
opere  sono  oggi  giovani  e  fresche  come  il  dì  che 
furono  scritte.  » 

Notevoli  anche  le  pagine  1:1  elle  quali  il  Sime 
parla  di  Goethe  come  critico  letterario,  della  sua 
perspicacia,  della  sua  divinazione  nel  riconoscere 
e  salutare  il  genio  nascente  dello  Scott,  di  Byron, 
di  Manzoni,  di  Victor  Hugo,  di  Carlyle.  E  a  pro- 
posito di  quest'ultimo,  in  questo  nuovo  libro  sem- 
pre più  si  mostrano  in  evidenza  le  ragioni  logiche 
e  naturali  del  culto  di  Carlyle  per  Goethe  — 
culto  che,  a  prima  impressione,  e  giudicando  un 
po'  superficialmente,  è  parso  a  molti  una  contra- 
dizione e  una  mistificazione. 

Il  nuovo  studio  biografico-critico  su  Vittoria 
Colonna,  di  Alethea  Lawley  è  diviso  in  tre  parti. 
La  prima  tratta  della  vita  di  V.  Colonna  sino 
alla  vedovanza  (1525).  La  seconda  va  sino  alla 
morte  di  lei.  La  terza  discorre  delle  poesie,  e 
del  loro  valore.  L' autrice  non  ha  pretensioni  : 
ma  ha  composto  un  volume  sostanziale  e  co- 
scienzioso, tutto  basato  su  certi  e  preziosi,  e 
talvolta  rari  0  nuovi  documenti.  E  un  libro  scritto 
con  semplicità,  con  ordine,  con  grande  amore. 
Porta  in  fronte  il  ritratto  di  Vittoria  tolto  da 
quello  che  è  nella  Galleria  Colonna  a  Eoma.  Belle 


415  LMYLEY,   VITTORIA    COLONNA 

le  pagine  ove  si  tocca  dei  primi  tre  anni  del 
matrimonio  di  Vittoria,  della  compagnia  da  lei 
trovata  nella  duchessa  di  Francavilla,  e  della 
educazione  da  lei  intrapresa  di  Alfonso  Del  Vasto. 

La  seconda  parte  rivela  meglio  della  prima 
la  poetessa  e  la  scrittrice.  E  vi  si  leggon  tra- 
dotte fedelmente,  e  spesso  felicemente,  E-ime  in 
morte  del  marito,  e  E/ime  religiose.  Eccellente 
la  traduzione  del  Sonetto  che  incomincia  :  «  Non 
dee  temer  del  mondo  affanni  o  guerre.  » 

Nella  terza  parte  si  riportano  tradotti  alcuni 
dei  Sonetti  più  notevoli  per  eleganza  e  squisitez- 
za, e  dei  quali  non  fu  parlato  nelle  altre  due 
parti,  perchè  non  hanno  apparente  connessione 
con  la  biografia. 

In  fine  si  danno,  per  la  prima  volta,  tre  So- 
netti da  un  Codice  della  Marciana,  e  in  Appen- 
dice, la  lettera  di  Carlo  V  alla  Marchesa,  dopo  la 
battaglia  di  Pavia,  e  la  risposta  di  lei  all'Impe- 
ratore. Però,  la  lettera  di  Carlo  V  era  stata  già 
pubblicata  dal  Eeumont  nel  suo  libro  su  Vittoria 
Colonna. 

Qualche  svista  vi  è:  ma  son  rare  e  non  troppo 
gravi.  Notiamone  alcuna.  La  morte  del  Marchese 
di  Pescara  accadde  il  2  dicembre  1525,  e  non  il 
25  di  novembre  come  scrive  l'autrice.  Ciò  è  pro- 
vato da  A.  Luzio  con  indiscutibili  documenti.  A 
pag.  43-44  l'autrice  sembra  confondere  il  cosi 
detto  insulto  dei  Colonnesi,  che  fu  nel  1526,  col 
sacco  di  Eoma,  1627.  E  alla  battaglia  navale  di 
Salerno,  Andrea  Dori  a    combattè  per  i  Francesi 


LAWLEY,    VITTORIA    COLONNA  413 


'all' 


contro  gli  Spagnuoli,  e  non  contro  questi  e  i  Fr 
cesi^  come  si  dice  a  pag.  40,  facendo  così  Spagnuoli 
e  Francesi  alleati. 

La  poetessa,  la  donna  religiosa,  la  gran  si- 
gnora, son  tratteggiate  abilmente  in  questo  nuovo 
studio  biografico,  che  si  fa  leggere  dalla  prima 
all'ultima  pagina  con  vivo  e  crescente  interesse. 
Ciò  che  avrei  voluto  veder  messo  più  in  luce,  è 
il  sublime  platonico  legame  che  uni  i  cuori  di 
Vittoria  e  di  Michel  angiolo.  Eppure  non  mancano 
documenti  e  particolareggiate  relazioni  del  primo 
incontro,  delle  loro  conversazioni,  del  bene  che  il 
nuovo  affetto  fece  all'anima  esulcerata  del  Buo- 
narroti. Fra  i  geni  trascendentali,  Michelangiolo 
fu  il  meno  infelice  perchè  trovò  un'anima  che  lo 
comprese,  un'anima  sorella  ;  la  trovò  tardi,  ma 
la  incontrò  —  e  fu  Vittoria'  Colonna.  Dante 
Shakespeare,  Beethoven,  non  la  trovarono  mai 
Beatrice  è  un  angelo,  non  è  una  confidente. 

Quante  volte,  quando  abitavo  in  Roma,  mi 
fermai  a  guardare  quella  chiesa  di  S.  Silvestro 
nella  cui  sagrestia  conversarono  di  fede,  di  poesia 
e  d'arte,  Vittoria  Colonna  e  Michelangiolo  Buo- 
narroti! E  ripensavo  alle  divine  consolazioni 
date  da  tale  donna  a  tanto  uomo  !  alla  gioia  pura 
e  tranquilla,  come  d'un  bel  tramonto  d'ottobre 
in  Roma,  che  essa  diffuse  su  quella  tragica  e  de- 
solata esistenza  ;  a  quel  Crocefisso  disegnato  da 
lui  i^er  lei^  non  in  atto  languente  e  abbattuto,  ma 
sorridente,  col  viso  rivolto  al  cielo,  quasi  raggiante 
nell'esalare  il  supremo  sospiro.., 


414  LAWLEY,    VITTORIA    COLONNA 

Il  dolore,  lo  stoicismo,  una  religione  terribile, 
la  religione  dei  Profeti  e  del  Savonarola,  avean 
temprato  l'anima  di  Michel  angiolo.  Eepnbblicano 
costretto  a  *  servire  i  principi,  sfigurato  da  un 
amico,  nato  ad  amare  e  sempre  solitario  e  incom- 
preso, non  ebbe  che  una  consolazione,  il  lavoro  — 
che  uu  idolo,  l'arte.  E  lavorò  sempre,  e  sempre 
sotto  l' impulso  di  una  ispirazione  passionata  e 
violenta.  Poco  sonno;  vitto  da  anacoreta;  più 
volte  tentò  di  morire....  Durante  la  funesta  guerra 
della  Lega,  creò  le  Sibille  e  i  Profeti;  opera  su- 
blime di  dolore,  di  protesta,  di  libertà.  Dopo  il 
sacco  di  Roma,  e  dopo  gli  ultimi  aneliti  della  li- 
bertà Fiorentina,  scolpi  la  Kotte^  la  Tenebra  inva- 
dente l'Italia,  e  accanto,  una  terribile  J irrora,  per 
non  disperare  affatto  o  morire... 

Beatrice  Portioari  è  la  vergine  ispiratrice 
del  genio,  nell'aprile  dei  suoi  giorni  —  Vittoria 
Colonna  è  la  donna  già  matura  e  consacrata  dagli 
anni  e  dal  dolore,  che  lo  ricrea  e  lo  consola  nel 
triste  novembre  della  vita.  Le  j^arole  dette  e 
scritte  da  Vittoria  a  Michelangiolo  mansuefecero 
il  terribile  artista  ;  gli  riaccesero  in  seno  un  sen- 
timento di  pace  e  di  speranza  cristiana,  lo  rife- 
cero poeta:  e  l'aquila  altera  cantò  col  canto  del 
cigno  le  sue  ultime  gioje  terrene,  e  le  celesti  spe- 
ranze. Quando  Vittoria  mori,  Michelangiolo  le 
baciò  le  gelide  mani,  e  pianse.  E  son  forse  le  più 
pure  e  sublimi  lacrime  che  occhio  d'artista  abbia 
versato  su  questa  terra. 

Fa  bene  il  fermare  il  pensiero  ogni  tanto  su 


LWVLEV,    VITTORIA    COLONNA  415 

queste  grandi  e  nobili  figure,  per  consolarsi  della 
invadente  e  trionfante  volgarità.  E  ogni  libro 
consacrato  alla  loro  memoria  è  opera  bella  e  santa. 
Memorie  gloriose,  il  cui  riflesso  ci  scalda  ancora 
e  ci  esalta  : 

0  temps  évanouis,  ò  splendeurs  éclipsées, 
0  soleils  descendus  derrière  l'horizon! 

{^'uova  Antologia,  1  maggio  1889.) 


Il  nuovo  volume  di  Walter  Pater  rammenta, 
con  più  varietà,  e  con  meno  unità  di  argomenti 
e  di  intendimenti,  l'altro  famoso  dello  stesso  au- 
tore sul  Rinascimento.  Lo  ricorda  nel  carattere  pu- 
ramente estetico,  nello  stile  squisitamente  artistico, 
nel  ritmo  melodico  del  periodo,  e  nell'aborrimento 
da  ogni  convenzionalismo.  Come  nel  libro  prece- 
dente, il  Pater  riguarda  tutti  gli  oggetti  della  sua 
critica,  ciascuna  opera  d'arte,  le  più  belle  forme 
della  natura  e  della  vita  umana,  come  poteri  o 
forze  producenti  piacevoli  sensazioni  di  un  genere 
più  0  meno  particolare  ed  unico.  Egli  sente,  spiega 
e  analizza  con  amore  questa  influenza,  riducendola 
ai  suoi  primitivi  elementi.  Per  lui  un  quadro,  un 
personaggio,  una  pianta,  una  poesia,  hanno  spe- 
ciale valore  e  meritano  essere  analizzati  solo  in 
quanto  hanno  facoltà  di  procurarci  una  distinta 
e  indimenticabile  impressione  di  piacere.  Egli  è 
nel  campo  della  critica  quel  che  fu  Dante  Ros- 
setti nel  campo  poetico;  un  raffinato,   un  aristo- 


4-16  PATER,    APPRECIATIONS 

cratico,  e  se  la  parola  non  avesse  spesso  an  senso 
troppo  odioso,  direi  anche  un  finissimo  e  delica- 
tissimo dilettante. 

Dilettantismo  e  pessimismo,  ecco  le  due  grandi 
correnti  della  letteratura  contemporanea.  Non  vi 
è  quasi  nome  di  scrittore  famoso  che  non  possiate 
oggi  classificare  sotto  una  di  queste  categorie.  Il 
Pater  è  un  dei  più  eletti  e  squisiti  rappresentanti 
della  prima.  Egli  è  troppo  spesso  l'antitesi  di 
quella  critica  umana  e  feconda  che  guarda  con 
amore  e  rispetto  e  terrore  in  tutte  le  espressioni 
della  esistenza,  per  cui  la  natura  e  la  storia,  le 
forme  e  la  vita,  sono  simboli  di  j^rofondo  e  incal- 
colabile significato  ;  quale,  ad  esempio,  la  critica 
di  Carlyle  e  di  Michelet. 

E  il  Pater  ha  un  po'  il  vizio  di  tutti  gli  este- 
tici —  quello  cioè  di  dire  tutto,  anche  talvolta 
cose  tutt'  altro  che  nuove  ed  originali,  in  tono  di 
oracolo  e  di  rivelazione.  Si  potrebbe  dire  di  lui 
ciò  che  fu  detto  dei  taciturno  Giacobino  :  «  porta 
]a  testa  come  il  Santissimo  Sacramento.  »  Spesso 
infatti,  anche  in  questo  nuovo  volume,  il  Pater 
ha  l' aria  di  aver  troppo  sottilmente  meditato  e 
combinato  ciò  che  vuol  dire,  perchè  lo  vuol  dircj 
e  fino  a  che  punto,  e  in  che  precisi  termini  lo 
dirà....  è  insomma,  troppo  meticolosamente  co- 
scienzioso, e  troppo  poco  spontaneo  ed  istintivo. 
Certe  sue  pagine,  come  certi  sonetti  del  Rossetti, 
sono  circonfuse  di  un  mistico  vapore  ;  e  per  ca- 
pirle bene,  bisogna  essere  un  po'  iniziaiL... 

Nonostante  questi  difetti,  la  critica  e  la  prosa 


417 

del  Pater  si  raccomandano  per  qualità  di  prim' or- 
dine. Negli  scritti  su  Pico  della  Mirandola,  sulla 
Gioconda,  su  Sandro  Botticelli,  negli  Studi  sul  Ri- 
nascimento —  e  in  questo  nuovo  volume  le  pa- 
gine su  Wordsworth,  quelle  sulla  Poesia  estetica^ 
quelle  su  Coleridge  e  sul  Rossetti,  sono  fra  le  più 
belle  e  perfette  della  moderna  prosa  inglese;  que- 
sta prosa  maravigliosa  clie  vanta  i  Carlyle,  i 
Ruskin,  i  Thackera}',  i  Macaulay  ed  i  Newman; 
e  che  può  controbilanciare  la  gloria  e  lo  splen- 
dore della  prosa  francese,  e  i  nomi  di  Chateau- 
briand, di  Michelet,  di  Sainte-Beuve,  di  Giorgio 
Sand,  di  Renan. 

E  qui  mi  permetto  di  notare  una  cosa.  I  più 
insigni  critici  moderni  e  contemporanei  di  Europa 
sono  nei  loro  scritti,  anche  nelle  più  dotte  e  filo- 
sofiche pagine,  artisti  della  parola;  e  fanno  vera- 
mente opere  d''  arte:  tali  Guglielmo  Schlegel,  Car- 
lyle, Ruskin,  Michelet,  Sainte-Beuve,  Taine, 
Renan. 

Come  va  che  da  noi,  fatte  pochissime  e  tanto 
più  lodevoli  eccezioni,  un  libro  di  critica  lette- 
raria, artistica,  o  storica,  è  quasi  sempre  scritto 
barbaramente,  in  stile  da  Monitore  Ufficiale,  senza 
vita,  senza  calore,  senza  colorito,  senza  alletta- 
mento veruno;  grigio  ed  uggioso  come  un  tetto 
di  lavagna  in  novembre?  Io  credo  che  derivi,  al- 
meno in  parte,  da  questo.  Il  critico  italiano  ha 
una  sacrosanta  paura  di  passar  da  ijoeta  —  e  che 
gli  si  addebiti  di  non  esser  abbastanza  serio  e 
scientifico.  Ed  è  un  assurdo.  Ogni  vera  critica  è, 

NtNcioxi.  -  Saggi  critici  di  lett.  inglese.  27 


418  '  PATER,    APPRECIATIONS 

o  dovrebb'  essere,  una  resurrezione,  o  una  inter- 
pretazione di  vita:  ma  per  esprimer  la  vita  biso 
2:na  aver  vita  —  e  i  morti  non  hanno  mai  resu- 
scitato  nessuno.  E  chi  ha  fiori  o  gemme  da  oiFrire, 
non  li  presenta  certo  sotto  un  mucchio  di  pruni, 
o  fra  la  stoppa  e  gli  stecchi.  Ma  chiudiamo  la  pa- 
rentesi, e  torniamo  al  Pater. 

Lo  scritto  su  Wordsworth  è  il  più  bello  giu- 
sto e  suggestivo  che  io  conosca  sul  gran  poeta  con- 
templatore —  superiore  a  quelli  notevolissimi  del 
Palgrave,  del  Rossetti,  dell'Arnold,  dello  Scherer. 
Questo  articolo  del  Pater,  e  le  cinquanta  pagine 
sulle  Lyrical  Ballads  nella  Biograpliia  Literaria  di 
Coleridge  sono  ciò  che  di  più  fine  e  profondo  è 
stato  scritto  su  Wordsworth. 

Poeta  veramente  grande  e  benefico  !  Vorrei 
che  anche  in  Italia  si  estendessero  i  suoi  benefici 
effetti;  che  si  traducessero  alcune  delle  sue  più 
insigni  poesie  {Tlnfern  Ahhey^  Michael^  Old  Cum- 
berland  Beggar^  Ruth^  Resolution  and  Independence). 

Nel. a  serie  di  belli  e  utili  libri  pubblicati 
da  Elena  Zimmern  —  La  Vita  di  Lessing^  la  Vita 
di  Schopenhauer^  i  Racconti  eroici  da  Firdusi,  — 
questo  sulle  città  Anseatiche  (TJie  Hansa  Toions) 
trattando  un  argomento  così  importante  e  cosi 
curioso  ad  un  tempo,  ed  essendo  artisticamente 
composto  e  scritto  in  modo  franco  e  brillante, 
è  destinato,  credo,  a  meritato  successo.  Ho  detto 
e  ripeto  che  il  libro  è  scritto  in  modo  brillante 
e  attraente,  ma  non  si  deduca  da  ciò  che  questo 


ZIMMERN,    THE    IIANSA    TOWNS  410 

studio  storico  sia  superficiale  e  leggiero.  È  opera 
d'artista  die  medita:  e  le  lezioni  che  la  umanità 
può  trarre  da  questa  storia  di  una  Lega  secolare, 
sono  indicate  diligentemente  ed  efficacemente.  La 
potenza  formidabile  della  forza  di  Confederazione, 
di  associazione,  aiutata  dalla  perseveranza  e  dalla 
disciplina,  mai  forse  rifulse  di  si  viva  luce  come 
nella  storia  delle  città  Anseatiche.  Un  oscuro 
cittadino  di  Magonza,  immagina  nel  1247  di  unire 
in  lega  (Hansa)  le  città  commerciali  tedesche  nella 
mutua  tutela  dei  loro  interessi.  Cento  anni  dopo, 
la  Lega  si  stende  dal  Reno  alla  Livonia  ;  e  nel 
1364  ottantacinque  città  sono  confederate.  La 
Lega  era  signora  del  Baltico,  allestiva  flotte,  era 
arbitra  di  guerre  e  di  paci.  Alla  fine  del  secolo  XY 
comincia  la  decadenza  —  e  le  cagioni  storiche 
sono  studiate  dalla  Zimmern  con  raro  acume  ed 
espresse  con  felice  evidenza.  L' argomento  del  li- 
bro interessantissimo  è  nuovo  o  quasi  nuovo  in 
Italia;  e  gioverebbe  che  qualche  nostro  intelli- 
gente editore  ne  ordinasse  la  traduzione  italiana. 
Elena  Zimmern  mentre  compone  coscienzio- 
samente i  suoi  libri,  collabora  a  riviste  e  gior- 
nali inglesi,  tedeschi  e  italiani,  occupandosi  in 
particolar  modo  di  critica  d'arte.  I  suoi  articoli 
sui  pittori  e  poeti  inglesi  moderni  e  contempo- 
ranei sono  eccellenti;  e  io  conosco  poche  pagine 
di  critica  cosi  equa,  illuminata  e  competente, 
come  qnelle  di  Elena  Zimmern  su  Alma  Tadema, 
Uberto  Herkomer,  Roberto  Burns  e  Roberto 
Browning. 


AW  LEYY,    A    LONDON    PLANE-TREE,    ECC. 

A  London  Plane-Tree,  and  other  Verse,  è  il  ti- 
tolo del  secondo  e,  pur  troppo,  ultimo  volume  di 
poesie  di  Amy  Levy,  giovinetta  poco  più  che 
ventenne,  la  quale  si  è  uccisa  in  Londra  pochi 
mesi  addietro:  si  è  uccisa  benché  la  famiglia 
e  l'arte,  gli  affetti,  la  fortuna  e  la  fama  le  sorri- 
dessero: si  è  uccisa,  per  sottrarsi  alla  visione 
del  male  trionfante  ed  irreparabile,  che  ella  ve- 
deva e  contemplava  fissamente,  disperatamente, 
nella  società  umana,  e  nella  natura.  Vi  era  in  lei 
del  Swift  e  dello  Schopenhauer,  dell'  Heine  e  del 
Leopardi.  Pensava  come  filosofo  pessimista,  sen- 
tiva come  poeta  lirico  ed  elegiaco.  L' Inghilterra 
ha  perduto  in  lei  una  vera  poetessa,  una  voce  ori- 
ginale che  prometteva,  che  aveva  già  espresse, 
ammirabili,  penetranti,  patetiche  note.  Ah!  se  in- 
vece di  tutti  quei  pessimisti,  prosatori  e  poeti, 
di  cui  essa  nutriva  1'  anima  amareggiata  e  l'agi- 
tata sua  mente,  ella  avesse  amato  e  ammirato 
qualche  grande  poeta  religioso,  un  Wordsworth, 
un  Lamartine,  un  Manzoni;  —  o  elei  poeti  e  pen- 
satori umanitari,  dal  largo  e  caldo  soffio  che  esalta 
e  fortifica  —  uno  Schiller,  un  Victor  Hugo,  un 
Browning  —  un  Carlyle  od  un  Emerson  —  la  po- 
vera Amy  sarebbe  anche  oggi  vivente  e  felice 
nello  amplesso  materno  —  ne  pochi  carboni  ac- 
cesi avrebbero  atrofizzato  per  sempre  una  delle 
più  belle  intelligenze  contemporanee! 

Mi  ricordo  di  averla  vista  la  prima  e  unica 
volta  in  Firenze,  tre  anni  fa,  in  casa  di  Vernon 
Lee.  Era  una  figurina    simpatica,    piuttosto  pie- 


LEVV,    A    LONDON    PLANK-TRKE,    ECC.  -121 

cola  e  gracile,  biauco-vestita;  parlava  poco  e  con 
soavissima  voce,  e  aveva  negli  occhi  una  pro- 
fonda immedicabile  malinconia. 

Il  libro  che  ho  qui  dinanzi  è  come  il  suo  te- 
stamento di  dolore  e  di  amore.  Ne  rivide  le  bozze 
una  settimana  prima  di  accendere  il  micidiale 
fornello.  E  un  libro  che  sa  di  sepolcro.... 

A  Minor  Poet  and  otJier  Veì\se,  è  il  titolo  del 
precedente  volume  della  Levy.  Vi  son  cose  note- 
voli e  forti;  per  esempio:  Xaniippe  e  Medea:  ma, 
almeno  nell'intonazione,  essa  ricorda  altre  grandi 
voci  poetiche  —  Browning,  Swinburne,  Tenn^^- 
son.  Invece,  nel  secondo  e  nuovissimo  libro,  cioè 
in  questo  Platano  di  Londra^  è  lei  in  tutta  la  in- 
dividualità della  sua  dolorosa  e  magnetica  fiso- 
nomia.  Solo  qua  e  là  vi  è  qualche  vago  ricordo 
di  Heine  e  Musset.  In  generale,  sono  accenti  ori- 
ginali, penetranti,  che  arrivano  al  cuore  come  le 
note  passionate  di  un  violino. 

Essa  ha  un  senso  plastico  della  realtà,  che  è 
veramente  singolare  in  una  giovinetta.  Le  sue 
pitture  Londinesi,  il  suo  paesaggio  semplice  e  ru- 
rale, sono  di  una  verità  grafica  maravigliosa.  Ha 
l'arte  di  condensare  in  puro  diamante  le  sue  la- 
crime, di  trovare  la  parola,  l'epiteto  preciso  ed 
inevitabile,  di  ottenere  effetti  potenti  con  sempli- 
cissimi mezzi.  Mai  ombra  di  frasario,  di  tirade, 
di  poesia  da  lucerna....  E  che  sincerità  di  tri- 
stezza, di  amarezza!  Come  si  sente  che  ella  non 
poteva  più  vivere!  Il  Lazaro  di  Heine,  il  Joseph 
Delorme  di  Sainte  Beuve,  e  qualche  volta  il  Leo- 


4-2^ 

23ardi,  posson  soli  dare  un'  idea  di  tanto  e  cosi 
immedicabile  spasimo.  Si  veggano  in  prova  le 
poesie  intitolate  Ultime  Parole^  Nella  Foresta  Kera^ 
I  Due  Terrori^  Fine  del  giorno^  e  La  Promessa  del 
Sonno. 

Quando  essa  parla  della  Morte,  il  suo  ac- 
cento diviene  di  una  tenerezza  ineffabile;  somi- 
glia ad  una  carezza,  ad  una  preghiera.  Anche 
essa  sembra  come  il  nostro  Leopardi,  aspettare 
con  avida  impazienza  il  momento  di  «  piegare 
addormentata  il  volto  nel  suo  virgineo  seno.  » 

Questa  infelice  giovinetta  a  momenti  cercava 
e  aspettava  la  redenzione  della  società  e  dell'  in- 
dividuo dalla  scienza  —  vagheggiava  una  Vita 
Nuova  a  base  Spenceriana,  un  Eden  positivista.... 

Nelle  sue  pitture  e  bozzetti  della  vita  di 
Londra,  la  Levy  mi  fa  ricordare  Tommaso  Hood, 
E  ripenso  ai  diversi  destini  di  questi  due  poeti. 
Anche  Hood  vedeva  e  sentiva,  quanto  potè  sen- 
tirlo la  Levy  o  il  Leopardi,  il  dolore;  e  lo  con- 
templava nella  natura  e  nell'uomo.  Ma  Tommaso 
Hood  credeva  in  Dio,  poteva  pregare.  E  Tommaso 
Hood  co' polmoni  affranti,  la  povertà  alla  porta, 
torturato  da  fisici  e  morali  patimenti,  non  si 
uccise;  ma  lottò  eroicamente,  di  giorno  in  giorno, 
di  anno  in  anno,  fino  al  momento  supremo. 

Vari  anni  fa,  io  scrissi  su  questo  singolare 
e  ammirabile  poeta,  e  invitavo  i  lettori  a  procu- 
rarsi le  sue  Poesie,  le  serie  e  le  umoristiche;  e 
oggi  ripeto  volentieri  l'invito.  Il  buono,  l'umano, 
l'onesto,  il  nobile  Hood!  dal  riso  sempre  innocente, 


LEVY,  A  LONDON  PLANE-IREE,  ECC.      423 

dalle  lacrime  sempre  generose,  —  gentile  con  tutto 
e  con  tutti;  anche  con  la  povertà  e  col  dolore,  con 
la  malattia  e  con  la  morte. 


(Nuova  Antoloyla,  16  febbraio   1800.) 


Francesco,  nipote  di  Pico  della  Mirandola, 
scrisse  in  latino  una  vita  dello  zio  che  a  sir  Tho- 
mas More,  quel  «  grande  amatore  della  coltura 
italiana  »  parve  degna  di  esser  tradotta.  E  que- 
sta traduzione  si  trova  infatti,  nel  suo  antiquato 
e  caratteristico  inglese,  tra  le  opere  del  More.  Il 
«  Conte  della  Mirandola  e  gran  signore  d'Italia  » 
era  simpatico  al  More  soprattutto  per  le  sue  aspi- 
razioni religiose,  per  il  suo  poetico  misticismo, 
per  il  connubio  dell'idea  Platonica  col  sentimento 
Cristiano.  La  tentata  conciliazione  del  mondo 
Greco  e  del  mondo  Cristiano,  caratterizza,  in  gran 
parte,  l'opera  filosofica  e  letteraria  del  secolo  XV; 
e  informa  anche  i  lavori  di  insigni  artisti,  come 
Leonardo,  Mantegna,  Donatello,  e  sopra  tutti  il 
Botticelli. 

Il  signor  Rigg  ci  dà  in  questo  bel  volume  la 
traduzione  del  More  riprodotta  accuratamente 
dalla-  edizione  princeps  —  e  in  una  dotta  introdu- 
zione e  nelle  abbondanti  Xote^  tratta  delle  specu- 
lazioni teologiche  dell'ardente  e  audace  giovane, 
©  si  trattiene  su  tutte  le  opere  che  ci  rimangono 
di  quella  singolarissima  «  Fenice  degl'ingegni.  » 

Il  signor  Eigg,  come  già  il  Pater,  e  da  noi 


424         MORE,    VITA    DI    PICO    DELLA    MIRANDOLA 

il  Villari  e  il  Settembrini,  insiste  sul  carattere 
orientale  del  concepito  e  dell'opera  di  Pico — e  in- 
dica in  che  e  perchè  le  sue  tesi  dovean  parere  ed 
erano  eterodosse.  Con  Pico  della  Mirandola  fini- 
scono i  grandi  scopritori  del  mondo  greco-ro- 
mano, i  veri  latinisti,  e  cominciano  gli  studi  e  le 
scoperte  del  mondo  orientale. 

Questa  Introduzione  del  Rigg,  e  il  saggio  del 
Pater,  nel  suo  bel  libro  sul  Rinascimento  in  Italia^ 
sono,  in  diverso  genere  e  con  intendimenti  di- 
versi, due  eccellenti  monografie.  La  figura  di  Pico 
ci  si  ripresenta  vivente  in  tutta  la  sua  magnetica 
originalità. 

Leggere  la  vita  di  lui,  o  una  qualunque  pa- 
gina delle  sue  opere,  fa  oggi  a  noi  la  stessa  im- 
pressione che  guardare  oggetti  di  età  preistori- 
che, o  vedere  la  prima  volta  il  dissepolto  mondo 
antico  a  Pompei.  Si  direbbe  che  da  lui  a  noi  ci 
corrano  non  quattro,  ma  quattordici  secoli.  Ep- 
pure sotto  alcuni,  e  non  pochi  aspetti,  egli  è  es- 
senzialmente moderno.  E  moderno  nell'ardita  cu- 
riosità teologica  e  scientifica,  e  nella  triste  sazietà 
dei  piaceri. 

Nei  primi  anni  giovanili,  aveva  abusato  di 
voluttà  amorose;  ma  prima  che  il  Savonarola  fa- 
cesse il  famoso  incendio  delle  vanità^  Pico  aveva 
già  distrutto  i  suoi  versi  d'amore  in  volgare,  che 
sarebbero  stati  come  un'oasi  fiorita  nello  stermi- 
nato deserto  delle  sue  dissertazioni  teologiche.  Di 
scritti  d'amore  in  volgare  non  ci  resta  di  lui  che 
il  commento    alla    Canzone  del  Divino  Amore  del 


MORE,    VITA    DI    PICO    DELLA    MIRANDOLA         4-25 

Benivieni,  in  cui  mettendo  a  contribuzione  la 
Cabala  (3  l'Astrologia,  Omero  e  la  Bibbia,  tenta 
descrivere  i  graduali  passaggi  dell'anima  umana 
dalla  terrena  e  sensibile  alla  incorporea  e  invisi- 
bile bellezza. 

Attratto  dalla  fama  del  Magnifico  Lorenzo, 
venne  a  Firenze  e  vi  si  stabili.  Sapeva  e  scriveva 
il  greco,  l'arabo,  l'ebraico,  il  caldaico.  Poeta  e 
filologo,  filosofo  e  mistico,  ebbe  un'ardente  curio- 
sità dell'ignoto,  del  miracoloso,  cercando  il  so- 
prannaturale nella  stessa  Natura,  come  poi  Pa- 
]*acelso.  Giovine  ancora  trasse  dai  suoi  immensi 
studi  novecento  tesi  di  fìsica,  filosofia,  teologia, 
astrologia,  magia  naturale,  comprendenti  quasi 
tutto  lo  scibile  del  suo  tempo,  e  le  pubblicò,  in 
Roma,  proferendosi  pronto  cavallerescamente  a 
sostenerle  contro  chiunque  avesse  osato  oppu- 
gnarle. Accusato  di  eresia,  scriveva  la  propria 
Apologia^  e  condannato  da  Papa  Innocenzo  Vili, 
era  poi  assoluto  da  Alessandro  VI.  Il  signor  Higg 
ci  dà  chiara  idea  e  delle  tesi  e  delle  controversie 
che  suscitarono. 

Bella  e  toccante  è  l'amicizia  che  Pico  serbò 
viva  e  costante  per  Marsilio  Ticino  e  pel  Savo- 
narola. Al  primo  dei  quali  rassomiglia  assai  nel- 
l'indole dell'ingegno,  ma  se  gli  è  superiore  j  er 
varietà  di  studi,  gli  è  inferiore  in  solidità  di  do  - 
trina  e  di  erudizione.  Epoca  ed  uomini  veramente 
singolari.  Il  Ficino,  canonico  di  San  Lorenzo,  te- 
neva accesa  una  lampada  al  busto  di  Platone!  Del 
Ficino  e  di  Pico,  parla  ammirabilmente  il  Villari 


426         MORE,    VITA    DI    riCO    DELLA    MIRANDOLA 

nel  suo  Savonarola  e  nel  Machiavelli',  e  credo  im- 
possibile trovare  altro  libro  ove  sia  condensato 
così  magistralmente  in  poche  parole  il  carattere 
storico  e  filosofico  di  quei  due  personaggi. 

«  Fin  dai  più  teneri  anni,  dice  il  Villari  par- 
lando di  Pico,  fecero  in  lui  maraviglia  la  precoce 
intelligenza,  e  la  portentosa  memoria.  Avanzatosi 
negli  stendi,  frequentò  le  principali  Università 
d'Italia  e  di  Frància,  lavorando  con  febbrile  ar- 
dore. Non  contento  di  scrivere  il  latino  e  il  greco 
più  facilmente  che  l'italiano,  fu  il  primo  che  si 
desse  allo  studio  delle  lingue  orientali  e  di  tutte 
quelle  per  le  quali  potè  trovare  un  maestro  o  una 
prammatica,  tanto  che  ebbe  fama  di  conoscerne 
ventidue.  E  come  nelle  lingue,  così  nelle  scienze 
sperava  di  essere  universale,  pensando  di  potere 
abbracciare  tutto  lo  scibile  dei  suoi  tempi.  Dotto 
nella  teologia  e  nella  filosofia,  voleva  fra  loro 
conciliarle,  conciliando  anche  Paganesimo  e  Cri- 
stianesimo. »  E  dopo  aver  fatto  una  buona  tara 
a  ciò  che  v'era  di  esagerato  nella  sua  fama 
di  enciclopedico  e  di  linguista,  il  Villari  segue  a 
dire:  «  Egli  diede  l'esempio  di  una  operosità  in- 
stancabile nel  culto  delle  lettere,  di  un  principe 
che  rinunziava  gli  onori  del  suo  grado  per  vivere 
da  eguale  fra  gli  studiosi.  Il  suo  facile  ingegno  ; 
la  portentosa  memoria;  le  maniere  nobili  e  gen- 
tili: la  bella  e  giovanile  presenza;  i  biondi  capelli 
che  profusamente  inanellati  gli  cadevano  sulle 
spalle;  tutto  in  lui  destava  simpatia,  e  aiutava  a 
diffondere  il  suo  nome,  >? 


MORE,    VITA    DI    PICO    DELLA    MIRANDOLA         4-27 

Passato  appena  il  trentesimo  anno,  le  ten- 
denze religiose  e  il  sentimento  cristiano  divennero 
in  Pico  della  Mirandola  sempre  più  vivi  :  e  la 
conversazione  col  Savonarola  dette  precisione  e 
forma  ortodossa  alle  sue  vaghe  e  mistiche  specu- 
lazioni. Aspirò  al  riposo,  al  raccoglimento  e  alla 
contemplazione  claustrale  ;  e  chiese  di  vestire 
l'abito  di  San  Domenico.  Ma  la  morte  lo  sorprese 
nella  fresca  età  di  trentadue  anni.  Spirò  fra  le 
braccia  del  Savonarola,  il  giorno  stesso  in  cui 
Carlo  Vili  entrava  in  Firenze.  Fu  sepolto  in 
San  Marco,  presso  la  tomba  dei  Poliziano.  La 
epigrafe  che  vi  si  legge  fa  curiosa  testimonianza 
della  prodigiosa  sua  fama,  e  della  entusiastica 
ammirazione  dei  contemporanei: 

JOHANNES  JACET   HIC  MIRANDOLA. 

CAETERA   NORUNT 

ET  TAGUS   ET   GANGES,   FORSAN    ET   ANTIPODES. 

Rileggendo  la  vecchia  Vita  rÌ23rodotta  oggi 
nella  versione  inglese  dal  signor  Rigg  —  scor- 
rendo le  pagine  del  Pater  e  del  Villari  —  medi- 
tando un  poco  su  quell'epoca  unica  e  quei  singo- 
larissimi uomini  ;  l'impressione  ultima  e  definitiva 
è  questa  :  Pico  della  Mirandola  rimane  la  più 
originale  e  la  più  attraente  figura  tra  i  grandi 
umanisti  del  Rinascimento.  I  suoi  contemporanei 
lo  chiamarono  una  Fenice,  Per  i  posteri,  è  Fenice 
soprattutto  in  questo  —  che  fu  un  Erudito  poetico. 
Non  è  facile  trovarne  un  secondo... 


428 

Balzac  è  sfcato  fortunato  nei  saoi  biografi  e 
critici.  Il  Sainte-Bsuve,  lo  Scherer,  lo  Zola,  il 
il  Bourget,  il  Caro,  il  James,  il  Vogùé,  da  noi  il 
Capuana,  e  oggi  Federico  Wedmore  in  Inghil- 
terra, ne  hanno  parlato  con  più  o  meno  simpatia 
e  ammirazione,  ma  tutti  con  coscienza,  con  abilità, 
e  con  competenza.  Il  signor  Wedmore  all'accu- 
ratezza biografica  unisce  una  rara  analisi  critica. 
Egli  contraddice  vittoriosamente  molti  addebiti 
fatti  a  Balzac  :  per  esempio,  quando  nell'esame 
del  Médicin  de  campagne^  rispondendo  al  Taine 
ed  al  James,  prova  che  in  Balzac  era  schietto  e 
profondo  il  sentimento  della  inetà  umana  ;  e 
quando,  parlando  di  Séraphita  e  del  Lys  dans  la 
Vallèe  trova  nel  gran  realista  una  larga  vena  di 
poetico  misticismo. 

Rileggendo  questo  volume  su  Balzac,  si  af- 
follano le  idee  sul  carattere,  e  la  influenza  di 
questo  scrittore,  il  quale,  nonostante  i  suoi  molti 
e  gravi  difetti,  e  considerato  nel  formidabile  in- 
sieme della  sua  opera,  rimane  sempre  il  più  grande 
dei  romanzieri  moderni.  Il  più  forte  ed  efficace 
impulso  direttivo  al  romanzo  contemporaneo  è 
venuto  da  lui.  Da  lui,  in  grado  più  o  meno  di- 
stinto, derivano  e  Tourguénieff  e  Zola  e  Daudet  e 
Tolstoi.  Anche  in  George  Eliot,  anche  in  Dickens 
e  in  Thackeray,  vi  son  tracce  evidenti  della  sua 
inevitabile  influenza. 

Quale  vita  !  e  quale  opera  !  Seguendola  passo 
a  passo  nella  Corrispondenza^  e  in  questa  biografìa 
del  Wedmore,  un  senso  profondo  di  rispetto  e  di 


459 

ammirazione  ci  prende  per  la  eroica  volontà  e 
perseveranza  di  questo  titanico  lavoratore. 

Nelle  eloquenti  parole  che  Victor  Hugo  disse 
nel  cimitero  del  Pére  Lachaise  sulla  tomba  del- 
l'amico, è  condensato  in  germe,  per  dir  cosi,  tutto 
ciò  elle  di  più  giusto  fu  poi  scritto  dai  critici  sul 
gran  romanziere.  E  vi  è  già  indicata  una  cosa 
alla  quale  i  critici  non  lian  posto  abbastanza 
mente,  se  ne  eccettuiamo  il  Voglie  e  oggi  il  AVed- 
more,  cioè  che  Balzac  era  un  grande  poeta  nel 
tempo  stesso  che  era  un  grande  realista  :  «  Ce  tra- 
vailleur  puissant,  ce  genie,  ce  poète^  à  travers  les 
réalités  brusquement  etlargement  dechirées,  laisse 
entrevoir  tout  à  coup  le  plus  pur  ou  le  plus  tra- 
gique  idéal.  Tous  ses  livres  ne  forment  qu'un 
livre  ;  livre  vivant,  profond,  lumineux,  où  l'on 
volt  aller  et  venir  et  marcher  et  se  mouvoir, 
avec  je  ne  sals  qitol  d'effaré  et  de  terrible  mèle 
au  réel,  notre  société  contemporaine  ;  livre  qui 
est  en  méme  temps  l'observation  et  Vimagina- 
tion.  » 

Infatti,  in  Balzac,  accanto  al  realista  vi  è  non 
solo  un  poeta,  ma  un  visionario  ed  un  mistico. 
C'è  in  lui  del  Ballanche,  del  Saint-Martin,  e  dello 
Swedenborg.  Spesso  anche  nei  romanzi  suoi  più 
realistici,  la  fortuna  rapida  e  inesplicata  di  un 
personaggio,  una  mobilia  impossibile  anche  in 
appartamenti  imperiali,  una  metamorfosi  di  ca- 
rattere improvvisa  e  spesso  illogica,  come  quella 
di  Filippo  Brideau,  o  una  trasfigurazione  shake- 
speariana come  quella  della  Cousine  Bette  ci  av- 


4-30  WEDMORE,    0.    BAL2AC 

vertono  che  sotto  il  realista  vi  è  una  vulcanica 
immaginazione  di  poeta. 

Il  Voglie  scriveva  queste  giuste  e  notevoli 
parole  :  «  Balzac,  cet  ouvrier  clu  réel,  demeure  le 
plus  fougueux  idéaliste  de  notre  siècle,  le  voyant 
qui  a  vécu  toujours  dans  un  mirage  ;  mirage  des 
millions,  du  pouvoir  absolu,  de  l'amour  pur,  et 
tant  d'autres.  Les  héros  de  la  Comédie  humaine  ne 
sont  parfois  que  des  interprètes  de  leur  pére, 
chargés  de  nous  traduire  les  systèmes  qui  han- 
tent  son  imagination.  Ses  personuages  de  premier 
pian  sont  poussés  tout  entiers  vers  une  seule  pas- 
sion  —  voyez  le  pére  Grandet,  Hulot,  Nucingen, 
Balthazar  Claés,  Beatrix,  Madame  de  Mortsauf.... 
Certes  Balzac  nous  donne  l'illusion  de  la  vie  ; 
mais,  bien  souvent,  d'une  vie  mieux  composée  et 
plus  ardente  que  celle  de  tous  les  jours  :  ses 
acteurs  sont  vrais  et  uaturels,  mais  du  naturel 
qu'ont  les  bons  acteurs  à  la  scéne.  Quand  ils  agis- 
sent  et  parlent,  ils  se  savent  regardés,  écoutés.  » 

Vero  —  ma  la  sua  potenza  di  rappresenta- 
zione fu  tale,  die  i  suoi  lettori,  e  soprattutto  le 
sue  lettrici,  si  modellavano  sui  tipi  descritti  da 
lui.  —  Le  lettrici!  Esse  hanno  fatto  la  gran  pro- 
paganda balzacchiana,  specialmente  dal  1830  al 
18G0,  assai  più  di  tutti  i  critici.  Le  donne  amano 
Balzac  anche  per  un  sentimento  di  gratitudine. 
Egli  ha  prolungato  la  gioventù  della  donna.  Egli 
ha,  per  il  primo,  accaparrata  al  romanzo  la  donna 
di  trenta,  di  quarant'anni,  purché  la  fisonomia  e 
la  toelette  possano    supplire   alla  perfezione  delle 


WEDMORE,    0.    RALZAC  AS\ 

forme  e  alla  freschezza  della  prima  gioventù.  Egli 
dorò  e  carezzò  i  languidi  e  dolorosi  tramonti  delle 
femmes  ahandonnées,  delle  nervose,  delle  convale- 
scenti. Sentì  ed  espresse,  come  nessun  altro  ro- 
manziere, la  poesia  di  un  profumo,  di  un  guanto, 
di  una  trina,  di  uno  scialle  di  cachemire,  di  un 
mazzo  di  fiori.  Contesse  delP  Impero^  e  duchesse 
della  Restaurazione,  pare  che  tutte  gli  abbiano 
rivelato  i  più  riposti  e  intimi  segreti  del  loro 
cuore  -r-  anche  certe  cose  che  le  donne  dicon  sol- 
tanto al  medico  e  al  confessore... 

Ciò  che  sopratutto  ci  colpisce  leggendo  questa 
nuova  biografia  di  Balzac,  è  il  modo  con  cui  fu 
inalzato  pietra  con  pietra,  marmo  su  marmo  il 
colossale  edifizio  della  Comédie  humaine  ;  è  la  con- 
dizione di  spirito  ^n  cui  si  trovava  l'artista  — 
stato  psicologico  che  avrebbe  paralizzato  ogni 
altro  scrittore,  e  che  dette  invece  una  sovrumana 
energia  e  la  febbre  della  creazione  a  Balzac.  Egli 
fu  per  tutta  la  vita  oppresso  dai  debiti,  tormen- 
tato dagli  usurai  e  dagli  uscieri  di  tribunale.  Gli 
appunti  delle  scadenze  di  cambiali  si  alternano 
nel  suo  diario  con  le  note  e  i  sommari  per  qual- 
che capitolo  della  Peau  de  chagrin,  o  dei  Parents 
pauvres.  Eppure,  la  sua  potenza  e  perseveranza  di 
lavoro  non  fu  mai  interrotta  ;  e  solo  la  morte 
potè  arrestare  improvvisamente  il  complicato  e 
fulmineo  lavoro  della  possente  macchina  cere- 
brale che  elaborò  la  Comédie  humaine. 

Se  Balzac  avesse  condotto  una  vita  tran- 
quilla tra  i  sorrisi   della    fortuna,    non   avremmo 


432 

avufco  ne  il  Pére  Goriot,  ne  la  Cousine  Bette.  Bi- 
sognava che  Balzac  giovane  e  passionato  fosse 
vissuto  in  una  soffitta  di  Parigi,  avesse  provato  i 
morsi  atroci  e  tutte  le  umiliazioni  della  povertà, 
camminando  nel  fango  con  la  scarpe  rotte,  e 
mangiando  il  desinare  a  ima  lira,  per  sentire  tutta 
l' importanza  del  denaro,  il  grande  agente,  la 
forza  motrice  della  nostra  società  d' industriali  di 
ogni  genere....  Bisognava  avere  avuto  la  prospet- 
tiva della  prigione,  e  gli  uscieri  in  casa,  per 
fare  gli  immortali  ritratti  di  Marcas,  di  Gobseck, 
di  Birotteau. 

Egli  viveva  talmente  della  sua  opera,  che  i 
personaggi  dei  suoi  romanzi,  le  loro  avventure, 
le  loro  finanze,  le  loro  passioni,  il  loro  vestiario, 
erano  divenuti  per  lui  cosa  più  reale  della  stessa 
realtà.  Era  come  inebriato  del  suo  lavoro.  Un 
giorno  Sandeau  lo  incontra,  e  sfoga  con  lui  il 
suo  dolore  per  la  malattia  d'una  diletta  sorella. 
Balzac  ascolta,  dice  due  parole  di  conforto  al- 
l'amico, e  poi  :  «  Parliamo  ora  di  cose  reali.  Sa- 
pete come  è  finito  l'affare  Nuncingen  ?  e  che  cosa 
ha  deciso  Rastignac  ?  » 

Lavorava  spesso  di  notte;  per  dodici,  tal- 
volta per  quindici  ore  di  seguito,  senza  interru- 
zione: e  così  lavorò  per  tutta  la  vita,  senza  riposo 
ne  tregua  mai.  Nei  rari  intervalli  in  cui  si  per- 
metteva qualche  divertimento,  era  preso  da  ac- 
cessi di  rimorso,  e  si  batteva  la  fronte  gridando  : 
«  Infame  mostro  !  in  queste  ore  perdute  avresti 
potuto  scrivere  trenta  cartelle...  » 


WEDMORE,    0.    BALZAC  433 

Ma  non  è  umanamente  possibile  far  ciò  clie 
fece  Balzac,  e  sopravvivere.  Mori  a  cinquant'anni, 
fulminato  al  cuore,  come  Dickens  più  tardi  mori 
fulminato  al  cervello.  Al  povero  Balzac  cessò  ap- 
punto la  vita,  quando  cominciava  a  sorridergli  la 
fortuna.  Aveva  sposato  la  donna  amata  e  deside- 
rata per  tanti  anni.  Le  sue  finanze  erano  finalmente 
assestate.  Il  teatro  prometteva  di  essergli  una 
miniera  più  aurea  dello  stesso  romanzo.  La  sua 
fama  era  divenuta  mondiale;  i  suoi  romanzi  si 
traducevano  in  tutte  le  lingue.  Era  sempre  viva 
la  sua  vecchia  madre  che  egli  amava  tanto.  Nuovi 
progetti  fermentavano  in  quella  sua  testa  prodi- 
giosa. Aveva  annunziato  la  Monographie  de  la 
Vertu,  la  Pathologie  de  la  Vie  Sociale,  e  tre  drammi. 
Gautier  gli  disse  sorridendo  :  «  Finite  queste 
opere,  avrai  almeno  ottant'  anni.  »  —  «  Quatre- 
vingts  ans  !  rispondeva,  haìt!  cesi  la  fleur  de  Vàge.  » 
Tre  settimane  dopo,  era  morto.  Quando  Balzac 
poteva  cominciare  a  goder  la  vita,  la  vita  l'ab- 
bandonava :  la  lampada  aveva  consumato  fino 
all'ultima  goccia  l'olio  vitale.  Una  terribile  indu- 
stria, frutto  di  una  tragica  necessità,  aveva  deva, 
stato  il  terreno,  aveva  forzata  la  vita  :  e  l'ec- 
cesso, il  troppo,  è  ciò  che  la  Natura  non  consente 
e  non  perdona  mai,  né  agli  uomini,  nò  alle  cose. 

Il  signor  Wedmore,  nel  principio  del  suo 
libro,  mette  Balzac  nel  numero  di  quei  cinque 
grandi  scrittori,  che  nel  nostro  secolo  ebbero  e 
promettono  aver  sempre,  la  più  efficace  influenza. 
Gli  altri  quattro  sono,  secondo  lui,  Goethe,  Words- 

Nexciom.  —\Saggi  critici  di  leti.  iivjUa-.  28 


434  WÈDMORE,   0.    BALZAC 

worch,  Dickens  e  Browning.  Grandi  nomi  certo 
—  ma  queste  preferenze  e  affermazioni  recise 
hanno  sempre  del  dommatico  e  dell'esclusivo. 
Perchè  quei  cinque,  e  quei  soli  cinque  ?  Goethe, 
non  è  esatto  classificarlo  fra  i  grandi  del  nostro  se- 
colo ;  perchè,  benché  vissuto  fino  al  '32,  la  parte 
più  importante  e  vitale  delle  sue  opere  appar- 
tiene al  secolo  passato.  Wordsworth  ebbe  certo 
larga,  e  feconda,  e  benefica  influenza:  ma  Shelley 
non  ne  ha  forse  oggi  una  maggiore  e  sempre 
crescente  ?  E  Victor  Hugo,  per  esempio,  e  Enrico 
Heine,  e  Giorgio  Eliot,  non  ebbero  e  hanno  in- 
fluenza per  lo  meno  paragonabile  a  quella  di 
Dickens  ? 

La  Vita  dì  Kalaniele  Hawthorne  scritta  dal 
signor  Moncure  D.  Conwa}^,  è,  sotto  ogni  aspetto, 
pregevolissima.  Le  lotte  segrete  e  palesi  di  Haw- 
thorne per  acquistarsi  la  meritata  fama  ;  la  sua 
vita  ufficiale  d' impiegato  in  disaccordo  con  la 
sua  vita  d'artista  ;  il  romanzo  del  suo  amore  e 
del  suo  matrimonio  ;  il  viaggio  in  Italia  ;  le  sue 
relazioni  coi  Browning,  con  Story,  con  Longfel- 
iow  ;  la  influenza  che  esercitò  su  lui  Roma  ; 
l'amicizia  col  Pierce,  e  le  sue  conseguenze  ;  il 
soggiorno  di  Hawthorne  in  Londra  ;  l'analisi  del 
suo  pessimismo  e  delle  sue  idiosincrasie  ;  la  cri- 
tica breve,  rapida,  ma  succosa  e  efficace  delle 
opere  principali  del  gran  romanziere  americano, 
tutto  è  descritto,  narrato,  spiegato,  con  lucido 
ordine  e  con  vivo  e  crescente  interesse. 


AWTiioriNE  435 

Noi  italiani  dobbiamo  vivissima  gratitudine 
a  HaTvthorne  per  il  suo  romanzo  Transformation. 
In  nessun  libro  sono  così  efficacemente  riprodotti 
i  vari  aspetti  di  Roma,  nella  sua  sempre  solenne 
eppur  sempre  mutabile  fìsonomia.  Olii  poi  vuol 
conoscer  bene  la  Roma  degli  ultimi  anni  di  go- 
verno papale  (non  parlo,  s' intende,  in  senso  po- 
litico) legga  il  libro  di  Hawthorne.  La  Roma  dal 
1850  al  1870,  rivive  in  quelle  artistiche  pagine, 
e  vi  rivive  tutta.  Stupendi  i  capitoli  sul  Museo 
Capitolino^  le  Catacombe^  Villa  Medici^  il  Cimitero 
dei  Cappuccini^  la  Campagna.  E  certo  nessuno  ha 
espresso  meglio  di  Hawthorne  il  carattere  essen- 
zialmente cattolico  di  San  Pietro^  nel  vero  senso 
etimologico  della  parola.  Leggete  in  prova  l'am- 
mirabile capìtolo  intitolato  :  La  Cattedrale  dd 
Mondo. 

Tra  i  vari  giudizi  sui  vari  romanzi  di  Haw- 
thorne, trovo  giustissime  queste  parole  su  The 
Scarlet  Letter  :  «  Sembra  d'assistere,  come  gli  stu- 
denti del  famoso  quadro  di  Rembrandt,  a  una  le- 
zione di  anatomia  »,  dice  il  signor  Conway,  e 
analizza  magistralmente  quel  romanzo,  che  vi  fa 
male,  senza  che  possiate  mai  avere  uno  sfogo  di 
lacrime.... 

E  già  il  signor  Percy  "Whipple  aveva  notato 
in  un  eccellente  articolo  pubblicato  nello  Scribner 
(Dicembre  1887)  che  in  un  certo  ristretto  dominio 
di  immaginazione,  Hawthorne  ha  sorpassato  tutti 
i  suoi  compagni  d'arte.  Egli  ci  mostra  con  una 
vivida  distinzione   la   eccessiva    malignità    delle 


436 

colpe  umane.  Walter  Scott  disse  un  giorno  che 
vi  sono  nella  natura  umana  degli  abissi  che  è 
malsano  di  scandagliare  ;  ed  è  appunto  nel  ten- 
tare questo  scandaglio,  che  Hawthorne  dispiegai 
suoi  maravigliosi  doni  di  intuito  e  di  analisi. 
Nella  sottigliezza  e  nell'accurata  precisione,  nella 
penetrazione  e  sicurezza  del  suo  sguardo  per  entro 
i  morbosi  fenomeni  dell'anima  umana;  nel  rive- 
larci l'operazione  delle  più  delicate  leggi  di  at- 
trazione e  di  repulsione  a  cui  va  soggetta  l'umana 
natura  ;  nella  capacità  di  atterrire  i  lettori  con 
la  consapevolezzza  delle  loro  latenti  possibilità 
per  ogni  male,  talché  provino  un  senso  di  ri- 
brezzo e  di  istintiva  repugnanza,  come  delinquenti 
sorpresi  in  flagrantij  alle  sue  spietate  rivelazioni 
—  in  questa  facoltà  più  unica  che  rara,  Haw- 
thorne  è  assolutamente  sovrano  ;  e  al  suo  para- 
gone, non  solo  romanzieri  eleganti  e  trasparenti 
come  il  Daudet  ed  il  Bourget,  ma  anche  forti  e 
sostanziali  come  Thackeray  e  Flaubert,  ci  appa- 
iono, relativamente,  superficiali. 

Si  :  Scarlet  Letter  è  un  libro  unico  nel  suo 
genere.  E  che  stile  !  Magnetico,  incomparabile. 
Libro  triste  e  attraente  come  il  peccato  —  den- 
samente fosco,  con  qua  e  là  dei  vivaci  colori 
smaglianti  come  di  uccello  del  Paradiso. 

Non  mi  pare  che  il  signor  Conway  renda 
abbastanza  giustizia  ai  Saggi  e  alle  Novelle  di 
Hawthorne.  Our  old  Home  mi  sembra  giudicato 
troppo  severamente,  e  da  un  punto  di  vista  troppo 
esclusivamente  inglese.  Certo,  non   vi   si    rende 


CONWAY,    N.    lìAWTIIORNE  437 

abbastanza  giustizia  alla  magica  perfezione  di 
quella  prosa,  paragonabile  a  quella  delle  più 
belle  pagine  di  Ruskin;  e  della  quale  il  solo 
Henry  James  conserva,  tra  i  viventi  scrittori 
americani,  il  difficile  segreto  e  l'invidiabile 
eredità. 

(Nuova  Aniologia,  i(j  ngosto  1890.) 


Nei  volumi  del  Reid  su  Monckton  Milnes 
(Lord  Houghton)  ciò  che  più  attrae  ed  interessa 
è  la  corrispondenza  coi  più  illustri  contemporanei 
quasi  tutti  amici  del  nobile  Lord.  Il  libro  infatti 
è  intitolato  :  La  vita,  le  lettere  e  le  amicizie  di 
Monckton  Milnes.  Non  è  la  storia  di  un  grande 
autore  né  di  un  gran  politico  —  ma  è  la  vita  di 
uno  scrittore  di  raro  ingegno  e  di  gusto  finissimo, 
di  un  gentile  poeta,  di  un  politico  onesto  e  uni- 
versalmente stimato.  Il  suo  nativo  humour^  le  sue 
brillanti  qualità  personali,  il  suo  inalterabile  buon 
umore  —  e  forse  anche  la  sua  stessa  aurea  me- 
diocrità che  non  destava  emulazioni  né  invidie 
—  lo  fecero  simpatico  e  amato  dalle  celebrità 
contemporanee  più  diverse.  Egli  fu  l'amico,  il 
confidente,  di  Wordsworth  e  di  Carlyle,  di  Landor 
e  di  Sydney  Smith,  di  Palmerston  e  di  Thacke- 
ray,  di  Tennyson  e  di  Gladstone.  Con  Wordsworth 
fece  un  viaggio  in  Grecia.  Intimo  e  familiare  con 
Landor,  passò  vari  mesi  nella  sua  deliziosa  villa 
di  Fiesole.  Dette  savi,  e  miracolosamente  ascoltati 


4-38  HEID,   LORD    nOUGIITON 

consigli  a  Carlyle.  Protesse  e  avviò  giovani  scritto- 
ri e  poeti.  Fu  lui  che  annunziò  al  mondo,  e  apprezzò 
subito  degnamente  Atalaata  in  Calydon  del  Swin- 
burne  —  fu  lui  che  presentò  Swinburne  a  Landor  ; 
il  più  giovane,  al  più  vecchio  poeta  d' Inghilterra. 

La  biografia  del  Reid  è  sotto  ogni  aspetto 
eccellente.  E  siccome  contiene  tante  lettere  e 
pensieri  ed  aneddoti  dei  più  insigni  contempora- 
nei, è  una  lettura  di  vivo  e  continuato  interesse. 
Vi  si  trovano  spesso  giudizi  e  apprezzamenti  cri- 
tici veramente  notevoli.  Quando  mori  improvvi- 
samente il  gran  romanziere  Thackeraj-,  Carlyle 
ne  scrive  in  questi  termini  al  Milnes  :  «  Povero 
Thackeray  !  Lo  vidi  dieci  giorni  fa.  Cavalcavo 
verso  sera  lungo  la  Serpentina  e  Hyde  Park, 
quando  mi  venne  un  diluvio  di  saluti  da  una  car- 
rozza dov'erano  un  signore  e  una  giovinetta.  Era 
Thackeray  con  la  figlia.  Fu  l'ultima  volta  che  lo 
vidi  in  questo  mondo...  Un  uomo  che  aveva  molte 
belle  qualità  ;  ogni  astuzia,  ogni  malignità  gli 
era  ignota:  grande  stofìfa,  ma  senza  relativa  forza  ; 
c'era  in  lui  una  vena  di  vero  genio  che  lottava 
per  rivelarsi....  Nessuno,  io  credo,  ha  scritto  ai 
giorni  nostri  con  tanta  perfezione  di  stile.  »  — 
Giudizio  nell'insieme  più  severo  che  benevolo,  ma 
con  un  fondo  notevole  di  verità. 

E  colgo  l'occasione  per  osservare  che,  in  ge- 
nerale; i  giudizi  critici  di  Tommaso  Carlyle  nella 
loro  forma  brusca  e  rude  son  più  giusti  di  quel 
che  pare  a  prima  impressione.  Spogliateli  di  certa 
causticità,  di  certa    iperbole    di   linguaggio  ;   fate 


439 

le  debite  tare  ;  sappiateli  leggere  con  discrezione 

—  e  vedrete  che  un  fondo  di  verità  c'è  sempre, 
e  sempre  originalmente  e  indimenticabilmente 
espressa.  Eccone  alcuni  —  e   il   lettore    giudichi. 

—  Walter  Scott  ha  il  gran  merito  di  aver  trovato 
la  poesia  nella  storia,  ma  non  è  mai  profondo  ; 
una  abilissima  mostra  scenica  ;  ma  son  romanzi 
da  dilettanti.  —  Lo  Shelley  agita  splendidamente 
delle  larghe  ali  iridate,  ma  non  può  volare  ;  non 
ha  scopo,  e  si  perde  nel  vuoto.  —  Keats  ha  forze 
eccessive  per  il  piacere,  per  ogni  genere  di  pia- 
cere ;  e  nessuna  forza  per  niente  altro  :  noi  ado- 
riamo in  Keats  le  nostre  sensualità. — InWords- 
worth,  il  valore  intrinseco,  benché  sia  molto,  non 
corrisponde  alla  sua  presunzione  ;  egli  si  contem- 
pla e  si  adora,  parla  come  un  oracolo,  non  vi 
striDge  cordialmente  la  mano,  ma  vi  offre  solen- 
nemente un  dito;  e  benché  acutissimo  osservatore, 
non  ha  il  senso  della  realtà  al  grado  che  l'ebbe 
Burns.  —  Macaulay  è  corazzato  di  cani  e  di  offi- 
cialità,  tutto  lingua  e  parole  ;  il  suo  periodare  è 
un  continuo  Jew  de  bascule;  nella  sostanza,  poco 
o  nulla:  un  terreno  dove  si  trova  subito  acqua, 
mai  fuoco  o  granito.  —  Il  Mazzini  è  nobile  e 
schietto  come  l'acciaio,  ma  sogna,  a  uso  Volney, 
un  mondo  di  soli  e  di  vulcani  :  tenace  come  i 
Liguri,  illude  sempre  se  stesso,  in  buona  fede  : 
pieno  di  melodie  e  di  entusiasmi  :  devoto  di  Vol- 
ney;  del  marchese  di  Posa,  dei  Giacobini,  e  di 
Giorgio  Sand...  La  ISFatura  ne  aveva  fatto  un 
poeta  lirico  di  terz'ordine  della  scuola  romantica. 


440  REID,   LORD    IIOUGIITON 

e  nulla  più.  —  E  basfcin  questi  giudizi  che  primi 
mi  tornano  in  mente.  Ma  dalle  opere  di  Carlyle, 
soprattutto  dalle  Lettere^  dalle  Miscellanees,  dalla 
Vita  di  Sterling,  e  dai  volumi  del  Fronde  sa  Car- 
lyle, se  ne  potrebbe  fare  una  curiosa,  e  qualche 
volta  scandalosa  raccolta. 

Quel  che  risulta  evidente  dalla  lettura  di 
questa  Vita  e  Corrispondenza  di  Lord  Houghton, 
come  dalla  lettura  dei  lavori  biografici  del  Fronde, 
del  Forster,  e  di  altri  —  è  che  si  vuol  troppo 
raffinare  e  «  cercare  il  pel  nell'uovo  »  nei  nostri 
moderni  giudizi,  nei  modi  di  apprezzamento  este- 
tico, usati  e  più  in  voga,  in  Inghilterra  come 
in  Germania  e  in  Francia  e  in  Italia.  L'uomo 
moderno  sopraccarico  di  eclettica  coltura,  satu- 
rato d'arte  e  di  critica,  di  misticismo  e  di  na- 
turalismo, di  Hegelismo  e  di  Ritskinismo^  e  di  vari 
altri  ismi,  vuol  troppo  speculare,  raffinare  e  fan- 
tasticare, svisando  spesso  con  idee  preconcette  le 
più  vitali  quistioni,  sfigurando  i  più  noti  perso- 
naggi della  storia  e  dell'arte,  cercando  insomma, 
come  diciamo  in  Toscana,  «  lucciole  a  mezzo- 
giorno. »  Si  dimentica  troppo  spessO;  per  esem- 
pio, che  la  pittura  deve  innanzi  tutto  appagare 
l'occhio,  e  la  musica  l'orecchio  —  e  che  tutto  il 
resto  divien  secondario,  né  è  mai  categorica- 
mente necessario  ;  e  che  la  stessa  poesia,  benché 
per  saa  natura  implichi  l'etica,  può  in  alcuni 
casi  non  esser  altro  che  un'armoniosa  espressione 
di  pure  sensazioni,  senza  ombra  di  concetto  mo- 
rale ;  ed  esser  nonostante  eccellente  poesia. 


AM 

A  questo  proposito  mi  piace  ricordare  la  bou- 
tade di  un  argntissimo  critico  inglese  che  pecca 
anch'esso  di  sottigliezze  e  di  ingegnosità  raffinate, 
ma  che  si  riconosce  spesso  in  difetto,  e  lo  confessa 
sinceramente:  «  Il  nostro  modo  di  apprezzare  e 
gustare  la  grand'  arte  dei  tempi  passati,  sembra 
oggi  consistere  nel  non  curarsi  di  quell'  arte  per 
sé  medesima,  ma  solo  per  quello  che  ci  può  sugge- 
rire. Ma  i  vecchi  prosaici  maestri  che  lavoravano 
a  un  quadro,  a  una  statua,  a  uno  spartito  musi- 
cale, come  un  buon  calzolaio  lavora  coscienzio- 
samente a  un  buon  paio  di  scarpe,  non  pensa- 
vano a  suggerirci  nulla  :  essi  producevano  cose 
sostanziali,  intrinsecamente  preziose,  figure  ben 
modellate,  tele  riccamente  colorite,  note  poten- 
temente modulate  :  produrre  queste  e  nuU'altro 
era  stato  il  loro  intendimento  ;  e  ai  loro  con- 
temporanei bastava,  ed  erano  sodisfatti.  La  loro 
arte  era  il  loro  mestiere,  esercitato  coscienziosa* 
mente,  diligentemente,  talvolta  con  quel  grado 
di  intelligenza  e  di  amore  che  noi  chiamiamo 
genio.  Tutto  quel  che  vedevano,  e  godevano  di 
vedere,  era  che  la  loro  opera  riusciva  bene,  era 
bella.  Del  resto,  eran  gente  terribilmente  pro- 
saica, preoccupati  del  meccanismo  della  loro  arte 
e  degli  interessi  materiali  della  loro  vita:  come 
si  può  vedere  leggendo  spregiudicatamente  le 
Vite  del  Vasari  —  le  biografie  di  Haendel,  di  Bach, 
di  Haydn,  di  Mozart,  e  dell'ultimo  dei  veri  anti- 
poetici maestri^  il  Rossini...  » 

La  teoria  è  un  po'  troppo  spinta,  l'afferma- 


442  REID,    LORD    HOUGHTON 

zione  troppo  assoluta  ;  ma  c'è  un  gran  fondo  di 
verità  in  queste  parole.  E  quando  si  leggono 
certe  pagine  sibilline  di  critica  moderna  sugli 
intendimenti  estetici  di  Raffaello,  su  la  Sistina^ 
sulla  filosofia  del  Gargantua,  sul  trascendenta- 
lismo di  Beethoven,  sul  misticismo  di  Goethe, 
sui  fini  politico-sociali  del  Don  Chisciotte  e  del 
Misantlirope^  verrebbe  voglia  di  troncar  tante 
chiacchiere,  affermando  recisamente  con  Enrico 
Heine  che  in  arte,  Fesecuzione  è  tutto. 

La  Vita  di  Slieridan,  scritta  dal  signor  San- 
ders,  è  una  delle  più  ammirabili  biografie  nella 
bella  serie  dei  Grandi  scrittori,  edita  dal  professore 
Robinson.  Il  drammaturgo  e  il  jDolitico  vi  sono 
studiati  con  eguale  acume,  e  con  eguale  serenità 
di  giudizi.  Il  signor  Sanders  descrive  le  origini 
e  il  carattere  della  nuova  commedia  Sherida- 
niana  ;  e  nota  da  quale  teatro,  da  quali  romanzi 
ha  ricevuto  l' impulso  e  V  ispirazione.  E  una 
storia  curiosa  e  piena  di  psicologici  insegnamenti 
questa  della  commedia  inglese  :  si  passa  di  rea- 
zione in  reazione. 

In  Francia  il  bigottismo  degli  ultimi  anni 
di  Luigi  XIV  fomentato  da  Madama  di  Mainte- 
non,  aveva  imposto  alla  Corte  e  al  paese  una 
falsa  aria  di  devozione,  che  alla  morte  del  Roi- 
soleil  si  trasmutò  a  un  tratto  nelle  orgie  della 
Reggenza.  In  Inghilterra,  al  terrorismo  dei  Pu- 
ritani, successero  i  baccanali  della  Restaurazione. 
Ma  azione  e   reazione  furon   più  violente  e  sfre- 


SANDERS,   VITA   DI    SIIERIDAN  443 

nate  fra  la  razza  nordica,  in  cui  l' istinto  ani- 
male è  più  naturalmente  selvaggio,  ne  era  smus- 
sato come  in  Francia  da  una  raffinata  cultura. 
La  reazione  in  Inghilterra  fu  eccessiva,  addirit- 
tura incredibile.  Se  non  ce  ne  facessero  fede 
documenti  di  ogni  genere,  e  scrittori  di  ogni 
tempo  e  di  ogni  scuola,  da  Robertson  a  Gui- 
zot,  da  Cartyle  a  Leigli  Hunt,  da  Southey  a 
Macaulay. 

Il  Parlamento  puritano  aveva  fatto  chiudere 
i  teatri,  frustare  gli  attori,  proibire  i  balli,  per- 
fino quello  degli  orsi...  I  reab'sti  trionfanti  spaz- 
zaron  via  con  la  devozione  fanatica  anche  1'  one- 
stà e  la  virtù.  Uomo  alla  moda,  e  invidiato  da 
tutta  la  gioventù  elegante  di  Londra,  fu  il  conte 
di  Rochester,  che  visse  per  cinque  anni  continui 
in  stato  più  o  meno  di  ebbrezza,  che  fece  il  gio- 
catore, il  ciarlatano,  il  locandiere,  l' astrologo, 
per  meglio  truffare  o  sedurre.  Il  re,  presente 
tutta  la  Corte,  divorava  di  baci  per  un  quarto 
d'ora  Miss  Stewart,  la  quale  poi  gli  tingeva  il 
viso  di  nero  con  del  grasso  di  candela.  La  con- 
tessa d'  Arlington  e  le  sue  dame  di  compagnia 
formavano  con  Enrico  Killigrew  la  società  dei 
hallers  «  che  libito  fé'  lecito  in  sua  legge  »  fino 
al  punto  di  ballare  insieme  nel  costume  dell'Eden. 

Ma  al  carattere  inglese  che  è  naturalmente 
liberale,  religioso,  e  coscienzioso,  doveva  alla 
lunga  ripugnare  un  tale  teatro.  La  nazione  che 
aveva  dato  Amleto  e  il  Paradiso  i^erduto^  As  you 
lìke  itj  e  ComuSj  non  poteva  trattenersi,    compia- 


444  SANDERS,   VITA    DI    SIIERIDAN 

cersi,  nel  fango.  Collier,  Addison  attaccano  quel 
teatro.  Dick  Steele  comincia  la  reazione  morale 
e  sentimentale.  Ed  ecco  il  suo  Eroe  Cristiano^  il 
Marito  affettuoso^  e  altre  simili  produzioni  nel  ge- 
nere lacrimoso  di  Diderot,  e  di  alcuni  drammi 
del  nostro  G-oldoni.  Ma  Foote  e  Goldsmith  bat- 
tono in  breccia  il  sentimentalismo  convenzionale  : 
si  trova,  e  si  prova,  che  nelle  scabrose  commedie 
di  Wycherley  vi  era  molta  più  vena  e  arte  co- 
mica clie  nei  Sermoni  sceneggiati  dello  Steele  — 
e  compare  allora  sulla  scena  inglese  lo  She- 
ridan. 

E  un  eclettico  di  genio,  un  maccliinista  ma- 
raviglioso,  e  uno  spirito  dei  più  brillanti.  Prende 
da  tutte  le  parti  situazioni,  caratteri,  intrecci  ; 
dai  comici  anticld  e  moderni,  dai  romanzi  di 
Smollet,  dai  satirici  contemporanei,  dai  geniali 
libri  di  Fielding  —  e  tutto  fonde  nella  fornace 
del  suo  genio  assimilatore,  e  fa  accettare  tutto 
dal  pubblico. 

I  suoi  due  lavori  più  applauditi  sono  /  Rivali 
e  La  Scuola  dello  Scandalo.  Il  dialogo  vi  è  vivo, 
l'intreccio  abilissimo,  il  movimento  scenico  ma- 
raviglioso.  È  un  fuoco  di  fila  di  epigrammi  e  di 
giuochi  di  parole.  Sono  le  più  divertenti  com- 
medie di  società  del  teatro  Inglese  ;  brillanti,  di- 
vertenti ;  ma  superficiali  e  artificiali  —  quindi, 
artisticamente  parlando,  sono  capolavori  in  un 
genere  secondario  e  inferiore.  Lo  Sheridan  co- 
nosceva fin  dove  poteva  arrivare,  e  non  ol- 
trepassò   mai    il   suo    campo    prestabilito.    Ciò  è 


SANDERS,    VITA    DI    SllEP.lDAN  445 

provato  con  finezza  ed  acume  critico  dal  signor 
Sanders.  Notevoli  la  storia  e  l'analisi  che  egli 
fa  della  Scuola  dello  Scandalo^  nel  giudicare  la 
quale  si  trova  in  gran  parte  d'accordo  col  Taine 
—  che  COSI  ne  aveva  scritto  :  «  Sheridan  a  pris 
deux  personnages  de  Fielding,  Blifit  e  Tom  Jo- 
nes ;  deux  pièces  de  Molière,  le  Mysantliroije  et  le 
Tartufe  et  de  ces  deux  substances  puissantes, 
condensées  et  combinées  avec  une  dexterité  ad- 
mirable,  il  a  fait  un  feu  d'artifice,  le  plus  brillant 
qu'on  ait  jamais  vu.  » 

La  creazione  poetica,  il  vero  carattere  d'o- 
pera d'arte,  ecco  quel  che  manca  in  generale  al 
moderno  teatro  comico  in  tutta  Europa.  Non 
abbiamo  più  il  riso  franco  e  schietto,  la  bono- 
mia serena  arguta  e  gioviale  della  Commedia 
Goldoniana  —  nò  la  profondità  filosofica  e  1'  iro- 
nia gastigatrice  e  rivelatrice  di  Molière  —  ne  la 
comica  fantasia  di  Aristofane,  di  Lope  de  Yega, 
di  Carlo  Gozzi  —  né  la  eterea  poesia  e  i  deli- 
ziosi arabeschi  di  Shakespeare  e  di  Cervantes, 
Abbiamo  invece  un  teatro  didattico-moralista 
con  dei  Sermoni  per  Prefazione;  e  uno  didattico- 
naturalista,  con  delle  lunghe  dissertazioni  scien- 
tifiche per  Appendice.  Accanto  a  questi  due 
teatri  comici  seri,  c'è  il  teatro  comico  fotogra- 
fico, a  riproduzione  meccanica,  pensato  con  l'oc- 
chialetto,  e  scritto  coi  piedi.  E  siamo  arrivati  al 
punto,  che  andare  alla  Commedia  è  diventato 
cosa  più  penosa  ed  uggiosa  che  andare  in  sala  di 
disciplina... 


440 

La  narrazione  della  vita  di  Sheridan  è  fatta 
dal  signor  Sanders  con  grande  abilità  —  e  la 
conclusione  dove  si  descrivono  gli  ultimi  tragici 
giorni  del  drammaturgo,  senza  frasario  stilistico, 
ma  con  la  nuda  e  severa  esposizione  dei  fatti, 
ci  strappa  le  lacrime.  Che  vita,  questa  di  Sheri- 
dan !  Un  vulcano  in  permanente  eruzione  !  Av- 
venture galanti  e  passioni,  duelli,  satire,  pole- 
miche, melodrammi,  commedie  trionfali....  Senza 
un  soldo,  compra  un  teatro,  improvvisa  successi 
e  benefizi,  arricchisce,  fa  vita  da  gran  signore. 
Entra  alla  Camera  dei  Comuni,  gareggia  coi  più 
eminenti  oratori,  combatte  Pitt,  accusa  Warren 
Hastings,  sostiene  gloriosamente  la  parte  più 
difficile  e  più  liberale.  La  sua  conversazione  è 
cosi  brillante  da  far  stupire  lord  Bjron:  e  le  sue 
maniere  cosi  affascinanti,  che  già  presso  alla  cin- 
quantina, innampra  una  bellissima  giovinetta,  e 
la  sposa.  Poi  vengono  —  ossia  seguitano,  cre- 
scono e  si  moltiplicano,  i  debiti  ;  poi  le  malattie, 
r  ingratitudine  del  mondo,  l'oblio  ;  la  miseria.  Il 
suo  teatro  brucia,  gli  uscieri  non  danno  tregua, 
gii  portano  via  persino  le  lenzuola  del  letto  —  e 
l'autore  della  Scuola  dello  Scandalo,  l'oratore  emulo 
di  Pitt,  di  Burke  e  di  Fox,  il  gran  liberale,  l'am- 
mirato, l'adorato  Sheridan,  muore  nella  più  squal- 
lida miseria....  Al  convoglio  funebre,  duchi,  conti, 
vescovi  accompagnavano  la  bara  :  pubbliche 
splendide  esequie,  monumento,  edizioni  illu- 
strate, ecc.,  ecc.  —  0  eterna  commedia  umana! 
Sui  due  famosi  discorsi   di    Sheridan  contro 


SANDERS,    VITA    DI    SHEPJDAN  4-47 

AVarren  Hastings,  abbiamo  in  (questa  nuova  bio- 
grafia minuti  particolari,  e  il  giudizio  contempo- 
raneo e  successivo  dei  critici.  II  primo  discorso 
alia  Camera  dei  Comuni  fu  giudicato  superiore 
—  ma  non  ce  ne  rimane  che  un  frammento. 
Burke  lo  dicbiarò  «  il  più  stupendo  sforzo  di  elo- 
quenza, argomentazione  e  spirito  insieme  uniti, 
di  cui  restasse  tradizione  o  ricordo.  »  Fox  con- 
fessò che  «  tutto  quel  che  aveva  udito  o  letto, 
diventava  un  nulla  al  paragone  di  tanta  elo- 
quenza. »  Pitt  arrivò  a  dire  che  «  con  quel  di- 
scorso Sheridan  avea  sorpassato  ogni  oratore  an- 
tico 0  moderno,  e  che  possedeva  tutto  ciò  che  il 
genio  0  l'arte  può  dare  per  commuovere  o  gover- 
nare le  menti  umane.  »  Poi  venne  la  grande 
udienza  in  Westminster  Hall,  immortalmente  de- 
scritta da  Macaulay  nel  suo  Saggio  su  Warren 
Hastings.  Rimando  il  lettore  a  quelle  pagine  indi- 
menticabili ;  e  vedrà  in  qual  teatro  lo  Sheridan 
trionfò  e  qual  pubblico  tenne  sospeso  per  due 
giorni  dalle  sue  labbra  !  In  tutta  l'opera  storica 
e  critica  di  Macaulay,  non  conosco,  non  esiste, 
credo,  j^asso  più  splendido.  ^Memorie,  patriottismo, 
230esia,  pittura,  eloquenza,  vi  sono  fuse  in  modo 
ammirabile  ed  unico.  Quando  lo  Sheridan  alla 
fine  della  sua  brillante  perorazione,  si  lasciò  ca- 
dere esausto  fra  le  braccia  di  Burke,  (e  fu  uno 
dei  suoi  effetti  scenici  meglio  riusciti)  questi 
disse,  rivoltosi  a  Fox  :  «  Ecco  il  vero  stile  ora- 
torio ;  qualche  cosa  fra  la  prosa  e  la  poesia,  e 
miglior    d'ambedtie.    »    Ma  l'arguto  Fox  rispose 


448  SANDERS,    VITA    DI    SlIERIDNV 

prontamente  —  e  mi  pare  clie  avesse  ragione  — 
che  «  una  tal  mistura  non  giova  né  alla  poesia 
né  alla  prosa  ;  perchè  produce  o  della  prosa 
poetica,  0  quel  che  è  peggio  della  poesia  pro- 
saica. » 

Fra  i  sommi  oratori  inglesi  contemporanei 
lo  Sheridan  fu  senza  dubbio  il  più  brillante,  e  il 
più  immediatamente  efficace  sull'  uditorio.  Ma 
aveva  i  difetti  delle  sue  qualità  :  era  cioè  un 
po'  retorico  e  artificioso  ;  gli  mancava  la  solidità 
e  la  profondità  di  Burke,  e  il  grido  passionato  di 
Fox.  Nonostante ,  egli  rimane  «  del  bel  nu- 
mer'  uno  »  fra  gli  ammirabili  oratori  della  fine 
del  secolo  decimottavo,  ed  è  degno  di  stare  in 
compagnia  di  Burke,  di  Pitt,  di  Fox,  di  Mirabeau, 
di  Barnave,  di  Danton,  di  Vergniaud.  Quale  epoca, 
e  quali  nomi!  —  E  i  grandi  oratori  della  nostra 
fin  de  siede  quali  sono  '?... 

Ma  passiamo  ai  romanzi.  The  Master  of  BaU 
lantrae  dello  Stevenson  è  uno  dei  più  notevoli 
romanzi  pubblicati  in  Inghilterra  nell'ultimo  de- 
cennio. Ad  una  felice  e  feconda  immaginazione, 
a  un  raro  dono  di  acuta  e  precisa  osservazione 
psicologica,  lo  Stevenson  unisce  uno  stile  lim- 
pido ed  efficace,  che  ci  rammenta  alcuni  dei  più 
puri  scrittori  inglesi  del  settecento.  E  nel  caso 
presente,  trattandosi  appunto  di  un  romanzo  sto- 
rico, e  la  scena  essendo  in  Scozia  verso  la  metà 
del  secolo  scorso,  lo  stile  stesso  della  narrazione 
contribuisce  ad   aggiungere    efficacia   alla  verità 


STEVENSON,  THE   MASTER  OF  CALLANTRAE        449 

del  colore  locale.  Come  la  Guerra  e  la  Pace  del 
Tolstoi,  il  Master  of  Ballantrae,  è  uno  di  quei 
rarissimi  romanzi  storici  nella  lettura  dei  quali 
non  siamo  urtati  dalla  coiitradizione  evidente  e 
continua  tra  l'ambiente  archeologico  e  i  caratteri 
moderni.  Questo  difetto  ci  salta  agli  occhi  in 
alcuni  romanzieri  tedeschi,  i  quali  a  guisa  di  ve- 
stiaristi teatrali,  si  divertono  a  truccare  certi  perso- 
naggi molto  germanici,  molto  contemporanei,  ora 
da  Egiziani,  ora  da  Romani,  ora  da  Scandinavi  pri- 
mitivi. Al  contrario,  i  personaggi  dello  Steven- 
son, come  quelli  del  Tolstoi,  hanno  prima  di 
tutto  il  vantaggio  di  non  appartenere  a  epoche 
e  civiltà  tanto  remote,  e  hanno  di  più  un  carat- 
tere cosi  essenzialmente  umano,  che  toglie  loro 
ogni  ombra  di  anacronismo.  Sono  così  veri  e  cosi 
finamente  analizzati,  che  ci  pare  di  averli  già 
incontrati  e  conosciuti,  e  nonostante  parlano  e 
agiscono  sempre  come  era  verosimile  che  parlas- 
sero e  agissero  al  tempo  delle  guerre  Napoleo- 
niche in  Russia,  o  della  insurrezione  Giacobita 
in  Iscozia.  Cosi  il  metodo  psicologico  dello  Ste- 
venson somiglia  più  a  quello  del  Tolstoi  che  a 
quello  del  James  e  del  Bourget.  Questi  insistono 
troppo  sopra  ogni  minuzia,  vogliono  analizzare 
tutto,  spiegare  troppo,  e  spesso  ci  stancano  o 
annoiano.  Lo  Stevenson  invece  ottiene  i  mag- 
giori effetti  con  qualche  indicazione  sottile  e 
suggestiva. 

Ma  la  vera  originalità  di   questo  romanziere 
consiste    nello    avere  usata  la  sua  potenza  tutta 

ZSTenciom.  —  Sagpi  critici  di  lett.  inglese  29 


450       STEVENSON,    THE  MASTER  OF   BALLANTRAE 

moderna  di  analisi  in  un  racconto  di  avventure 
stravaganti,  appartenenti  a  un  genere  che  pa- 
reva morto,  e  che  egli  ha  avuto  l'arte  di  far  ri- 
vivere nel  più  simpatico  modo.  Le  avventure  del 
Master  of  Ballantrae^  un  tipo  alla  Callot,  uno 
cliarnieur  spadaccino  e  un  infame  persecutore,  son 
descritte  in  modo  indimenticabile.  Il  senso  d'an- 
sietà e  di  martirio  che  prova  la  famiglia,  la  quale 
non  riesce  a  liberarsi  dal  suo  tormentatore,  è 
contagioso.  Leggendo,  soffriamo  con  loro  ;  a  ogni 
pagina  vorremmo  vedere  annichilito  chi  è  cagione 
di  tanti  ingiusti  e  inevitabili  patimenti.  Le  sof- 
ferenze di  Enrico,  il  fratello  secondogenito,  e  la 
lotta  interna  di  sua  moglie  (che  da  giovine  ha 
amato  il  cognato)  sono  strazianti.  La  verità  e 
profondità  d'analisi  è  tale,  che  finita  la  lettura  e 
chiuso  il  libro,  ci  pare  impossibile  che  tanto  te- 
soro di  fatti,  di  esperienze,  di  osservazione  psi- 
cologica, sia  racchiuso  in  un  volumetto  di  tre- 
cento pagine. 

I  Pialli  Tales  from  the  Hills  di  E-udj^ard 
Kipling  han  levato  in  Inghilterra  un  grido  che 
mi  pare  sproporzionato  al  loro  intrinseco  merito. 
Si  tratta  di  novelle  realistiche  della  vita  anglo- 
indiana, di  cui  militari  e  impiegati  inglesi  sono 
i  protagonisti.  Il  merito  di  questa  specie  di  boz- 
zetti consiste  nella  condensata  e  rapida  narra- 
zione ;  che  è  come  una  reazione  contro  gli  indugi 
e  le  lungaggini  del  romanzo  soverchiamente  ana- 
litico. Il  Kipling  è  nato  raccontatore  e  racconta 


KIPLING,   PLAIN   TALES   FROM   THK    IIILLS  451 

con  abilità  ed  efficacia  :  ma  il  sao  modo  di  nar- 
rare è  brusco,  troppo  rapido,  aneddoti  troppo  fri- 
voli, poca  acutezza  di  osservazione.  L'autore  non 
ha  saputo  trarre  abbastanza  partito  dagli  splen- 
didi materiali  che  aveva  tra  mano.  Il  grande  e 
incontestabile  successo  si  spiega,  secondo  m^-^ 
pensando  al  gran  contingente  di  lettori  britan- 
nici che,  scorrendo  questi  racconti,  amano  di  ri- 
cordare i  vecchi  tempi,  gli  anni  vissuti  nell'  In- 
dia, e  vi  assaporano  la  poesia  del  passato.  Yi 
ritrovano  con  grata  sorpresa  cento  piccoli  tratti 
locali,  nelle  descrizioni  di  paese,  nei  caratteri 
degli  individui,  e  nelle  citazioni  in  lingua  indi- 
gena. Si,  signori  :  come  se  non  bastassero  le  no- 
iose parlate  dialettali  di  molti  romanzi  inglesi^ 
ci  tocca  adesso  a  ingoiare  interi  brani  d' indosta- 
nico....  Allo  scozzese,  all'  inglese  corrotto  delle 
diverse  provincie,  al  gergo  moro  degli  Stati-Uniti, 
s'aggiunge  ora  l' indiano.  Se  andiamo  innanzi  di 
questo  passo,  il  linguaggio  barbaro  delle  colonie 
africane  e  d'Australia  entrerà  nel  repertorio  let- 
terario —  e  per  gustar  bene  certi  romanzi  in- 
glesi, bisognerà  essere  un  Miiller  o  un  Mezzo- 
fanti. Basta  —  faremo  una  cosa,  li  anderemo  a 
leggere  negli  uffici  di  Propaganda^  e  mescoleremo 
così  l'utile  al  dolce.  Letta  una  dozzina  di  questi 
romanzi,  potremo  avere  guadagnatissimo  il  di- 
ploma di  missionario  e  tutti  i  selvaggi  ci  capi- 
ranno. 

Lasciando   lo  scherzo,  non  è  solo    in   questi 
Plain    Tales   che  scorgiamo  una  evidente  ricerca 


■452  KIPLING,  PLAIN   TALES   FROM   THE  HILLS 

del  nuovo,  del  piccante,  dell'esotico,  per  stuzzi- 
care il  gusto  blasé  dei  lettori,  e  ridestare  un  po' d'ap- 
petito. Prima  che  la  Jlu  de  siede  finisca  davvero^ 
ne  vedremo  delle  belle.  Intanto  in  Francia  vanno 
alla  seconda  e  terza  edizione  romanzi  scritti  in  un 
gergo  sibillino  tale,  che  quello  delle  Précieuses  di 
Molière  è,  al  paragone,  più  semplice  di  quello  dei 
Fioretti  di  San  Francesco....  Abbiamo  avuto  reali- 
sti, positivisti,  naturalisti,  sperimentali,  decadenti, 
impressionisti:  ma  i  buoni  e  durevoli  romanzi  si 
contano  ancora  sulla  punta  delle  dita!  Una  delle 
grandi  e  più  strombazzate  novità  parve  lo  spe- 
rimentalismo. Ma  se  per  romanzo  sperimentale  si 
intende  appoggiato  su  l'esperienza  fatta  su  sé 
stesso  o  sugli  altri;  allora  non  vi  è  di  nuovo  che 
la  parola;  la  cosa  è  vecchia  per  lo  meno  quanto 
Tom  Jones.,  Manon  Lescaut  e  Adolphe.  E  quale  rea- 
lista moderno  ha  avuto  il  senso  della  realtà  cosi 
intenso,  da  illudere  completamente  il  lettore,  come 
De  Foe,  Smollet,  e  Fieldiug? 

Paragonate,  per  esempio,  il  Caso  di  M.  Walde- 
mar  di  Edgardo  Poe,  alla  Relazione  della  appari- 
zione di  Mrs  Veal  di  Daniele  De  Foe.  Il  primo  è 
un  pittore  anatomista;  il  calcolo  e  l'arte  si  rive- 
lano ad  ogni  passo;  ogni  minuzia  è  messa  sott'oc- 
chio,  proviamo  un  senso  di  ammirazione  per  l'ar- 
tista, una  impressione  curiosa  di  sorpresa  e  di 
pena  ;  ma  V  illusione  non  è  completa.  Nel  racconto 
di  De  Foe  fatto  con  un  sentimento  innato  e  si- 
curo (non  acquisito  e  inoculato)  della  realtà,  l'il- 
lusione è  completa.  Poe  è  un  artista  malato,  De 


KIPLING,    PLAIN   TALES   FROM   TJIE   IIILLS         Ado 

Foe  è  un  osservatore  infallibile.  E  con  che  sem- 
plici mezzi  quei  vecchi  realisti  ottenevano  pos- 
senti effetti! 

In  tutto  Adoljjlie^  Tunica  descrizione  di  pae- 
saggio è  di  mezza  pagina.  Oggi,  la  descrizione  è 
la  crittogama  devastatrice  del  nostro  romanzo.  E 
ieri  era  anche  peggio....  Sì,  in  questo  v'è  pro- 
gresso in  meglio.  E  se  V  impressionismo^  ora  di 
moda  varrà  a  liberarci  dai  cataloghi  e  inventari 
di  tappezzeria,  archeologia,  chincaglieria,  scude- 
ria, alcova,  cucina,  boudoir,  salotto,  magazzini, 
teatro,  ferrovie,  ecc.  che  ci  addolorano  gli  occhi  e 
il  buon  gusto  da  più  di  vent'anni,  ben  venga  l'im- 
pressionismo! Sarà  un  tanto  di  guadagnato. 

Dirò  di  più.  Se  la  scuola  impressionista  sa- 
prà davvero  condensare  luce  e  interesse  nel  punto 
veramente  caratteristico,  si  tratti  di  un  ritratto 
o  di  un  paesaggio,  di  un  sentimento  o  di  un 
dramma,  —  sarà  più  vicina  delle  scuole  che  im- 
mediatamente l'hanno  preceduta,  alla  Natura  e 
perciò  alla  vera  arte.  La  cosa  infatti  che  più 
manca  al  romanzo  contemporaneo  è  la  difficile 
-arte  di  condensare.  E  giacché  sono  in  vena  di  re- 
quisitoria, aggiungerò  che  manca  un'altra  cosa 
essenziale  ai  romanzieri  attuali,  anche  ai  più  in- 
signi: 1'  architettura,  la  composizione  del  romanzo. 
Se  Dumas,  E.  Sue,  Souliè,  dettero  troppa  e  quasi 
esclusiva  importanza  alla  charyente,  al  macchini- 
smo del  romanzo,  bisogna  convenire  che  i  roman- 
zieri contemporanei  gliene  danno  troppo  poca. 
Non  esigeremo  che  ogni  romanzo  sia  edificato  sa- 


-Ì5-4  KIPLING,   PLAIN   TALES   FROM   TUE  HILLS 

pientemeiite,  solidamente,  e  armonicamente,  come 
quei  tre  miracoli  di  Tom  Joìies,  di  Vanity  Fair^  e 
dei  Promessi  Sposi;  ma  che  un  legame,  una  com- 
posizione ci  sia!  Questa  lacuna  non  può  esser  so- 
stenuta e  compensata  che  da  una  finissima  ana- 
lisi umoristica,  come  nel  Tristram  Sliaìidy  —  o  da 
una  profonda  analisi  psicologica,  come  in  Mid- 
dlemarch  e  in  Anna  Karenine. 

{Nuova  Antoloijia^,  1  gennaio  1891.) 


Fi'^'E. 


I  N  I  )  l  C  1^: 


Prefazionk Pag.  V 

SAGGI    CRITICI    Di    I^KXXKBATUIIA    INGLESE 

Roberto  Browning 1 

L'anello  e  il  libro,  poema  di  Roberto  Browning- 19 

Boberto  Browning  e  l' Italia 36 

Aurora  Leigh,  poema  di  Elisabetta  Barret  Browning. .  54 

Euphorion  di  Vernon  Lee ,  ; 77 

I  poeti  americani 99 

I  poeti  inglesi  moderni  e  i  nuovi    canti  di  Mary  Ro- 

binson    i27 

Le  Letture  su  gli  eroi,  di  Carlyle 154 

Roma  e  gii  scrittori  inglesi 184 

II  poeta  della  guerra  americana  (Walt-Whitman) 204 

Una  nuova  poetessa  americana  (Cora  Fabbri) 231 

Nel  primo  centenario  di  Percy  Byssbe  Shelley  (4  Ago- 
sto 1892) 251 

Lord  Tennyson 269 

RASSEGNE    DI    LETTERATCRA    INGLESE 

Dowden,  Vita  di  P.  B.  Shelley 301 

La  «  Shelley  Society  » 304 

Versi  e  prose  di  W.  Story 306 

Sir  Philip  Sidney  del  Symonds 310 

Mary  Stuart  dello  Stevenson 313 

Opere  di  Dante  Gabriele  Rossetti 317 

Corrispondenza  fra  Goethe  e  Carlyle 322 

Poeti  comici  della  Restaurazione 326 

Juvenilia  di  Vernon  Lee 331 

Lettere  inedite  di  Thackeray  e  Dickens 343 

Locrine  di  Swinburne 346 


456  INDICE 

Opuscoli  irlandesi  di  Swift Pag.  349 

John  Keats  di  Colvin 351 

Matthew  Arnold 358 

Colvin,  Biografìa  di  Landor 360 

Zimmern,  A.  Schopenhauer 365 

Marzials,  Vita  di  Dickens 370 

Caine,  Vita  di  Coleridge 330 

Birrel,  Vita  di  Carlotta  Bronte 384 

Clarke,  Scritti  scelti  del  Mazzini 386 

Corrispondenza  di  O'  Connell 391 

Story,  Michelangelo 394 

Lee  Hamilton,  Imaginary  Sonnets 399 

Hennequin,  Dickens  e  Poe 403 

Sime,  Vita  di  Goethe 409 

Lawley,  Vittoria  Colonna 411 

Pater,  Appreciations 415 

Zimmern,  The  Hansa  Towns 418 

Levy,  A  London  Plane-Tree,  ecc 420 

More,  Vita  di  Pico  della  Mirandola 423 

Wedrnore,  O.  Balzac 42B 

Conway ,  N.  Hawthorne 434 

E.eid,  Lord  Houghton 437 

Sanders,  Vita  di  Sheridan 442 

Stevenson,  The  Master  of  Ballantrae 448 

Kipling,  Plain  Tales  from  the  Hills 450 


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