SAGGI CRITICI
LETTERATURA INGLESE
Gli sciitti ;iia comparsi nella Nuova Antologia (lUi si ripubblicano
per gentile concessione del Conte Giuseppe ProtonotariCampi.
SAGGI CRITICI
DI
LETTERATURA INGLESE
ENRICO NENOIOlSiI
COX PEEFAZIOXE
GIOSUÈ CARDUCCI
Seconda impressione
m
V
^
FIRENZE
SUCCESSORI LE MOXNIEE
1910
PEOPKIETA LETTERARIA.
Firenze, 1910. — Società Tipografica Fiorentina, Yia S. Gallo. 33.
PREFAZIONE
Gli amici di Enrico ^encioni, racco-
gliendo di lui in pochi volumi prose e versi
e con più larga elezione ciò che scrisse di
meglio intorno alle letterature straniere e
alla nostra, eleveranno e comporranno il
più degno monumento e il ritratto più ve-
race di queir animo nobilissimo.
Di lui hanno già scritto, fra molti, Ga-
briele d' Annunzio, Ferdinando Martini,
Matilde Serao, Francesco Pera: un poeta,
un critico, una signora che divenendo au-
tore rimase donna, un maestro toscano ben
cólto e modesto: il meglio che a punto ci
voleva a comprendere e rendere tempre e
attitudini varie di quell' ingegno così can-
dido e pure così misto e complesso.
VI PREFAZIOiNE
Onorato dall'invito degli editori ascri-
vere anch' io, non voglio preoccupare il
luogo qui in questo primo volume : mi
parrebbe quasi villano, e certo men pie-
toso, parlare prima dell' amico : rileggendo
di lui mi voglio mantenere l' illusione che
quella voce soave dalle colorite e forti in-
flessioni, come io la ho ancora negli orec-
chi, ancora si conquisti e assoggetti l' at-
tenzione.
Lasciamolo prima parlare lui, il caro
morto. Io verrò poi nel secondo volume.
5 marzo 1897.
Giosuè Carducci.
ROBERTO BROWNING
In Italia, dove si legge avidamente ogni
scritto che viene di Francia, romanzo e poesia,
critica e storia, poco o nulla si sa della letteratura
inglese moderna e contemporanea. Se ne eccettui
Byron, Walter Scott, Macaulay, i nomi dei grandi
poeti, dei grandi romanzieri, dei critici e degli sto-
rici che nel secol nostro han fiorito e fioriscono
in Inghilterra sono, generalmente parlando, nomi
nuovi in Italia : mentre forse di tutte le straniere
letterature quella che con maggiore profitto po-
trebbe studiarsi dagl' Italiani è la inglese ; trovan-
dosi e spiccando negli scrittori di questa molte
qualità che troppo s^^esso a noi fan difetto, — os-
servazione diligente e profonda dell'uomo morale
e della natura esteriore, originalità, sobrietà, ele-
vazione. E quel che più duole a chi ama l'arte e la
patria è il vedere ignorati o negletti quei poeti
inglesi che tanto amaron l'Italia, che cantarono
le sue glorie, le sue sventure, il suo risorgimento,
Cenciosi. — Saggi critici di UU. inglese 1
2 ROBERTO BROWNING
che qua vissero e qua morirono, come lo Shelley
ed i Browning.
L'insigne poeta inglese ch'io vorrei far co-
noscere ai lettori, Roberto Browning, è uno eli
quei rarissimi poeti veri i quali fanno sempre
fare un passo all' arte, iniziatori e ispiratori ad
un tempo. L'influenza esercitata da lui, prima
latente or manifesta, nell' ordine del pensiero
e in quello della forma, è grandissima; e solo
paragonabile a quella esercitata, in altra sfera
e con altri intendimenti, da Tommaso Carlyle.
Ambedue infatti han destato ardenti simpatie e
avversioni invincibili. L'attitudine straordinaria
di Browning a tutto osservare e comprendere, a
identificarsi colle cose e cogli uomini, conservando
tuttavia il proprio carattere individuale, avendolo
spesso portato a scegliere soggetti inusati e anco
strani; e la sua repugnanza a tutto ciò che è con-
venzionale e volgare facendogli scegliere una forma
potentemente originale ma elaborata e difficile, e
per la sua stessa originalità spesso oscura; fecero
sì che egli fosse per lungo correre d'anni quasi
negletto nella sua stessa patria. I suoi successi in
teatro, pochi e non molto importanti, non basta-
rono a far popolare il suo nome. Vero è che la fer-
vente ammirazione de' pochissimi intelligenti va-
leva a consolarlo della ingiusta indifferenza dei
tanti seguitatori della corrente. — Ma oggi è ve-
nuto il suo tempo: trent'anni di perseveranza son
coronati. L' Inghilterra e l'America, i giovani spe-
cialmente, han riconosciuto in Browning un gran
ROBERTO BROWNING 3
poeta filosofo. Dramatis Personce uscito nel 64 segna
l'apogeo della sua fama. Pochi libri poetici hanno
provocato tante discussioni, destato tante simpatie,
eccitato tante ire quanto questo di Browning. Con-
temporaneamente si ristampano tutte le sue o-
pere poetiche. Le edizioni si succedono. Già due
scelte (Selections) ne sono state fatte per sodi-
sfare più facilmente alle generali domande; e l'ele-
gante raccolta di Moxon (Miniature Poets) ono^
rasi del nome di lui. Ed è naturale. Dopo i tragici
monologhi e il riso convulso di Byron, dopo le
ardenti e generose utopie dello Shelley, dopo il
misticismo puritano di Wordsworth, e il pagane^
simo passionato di Keats; dopo i sogni di Cole^
ridge, e le fantasie orientali di Moore, e l' epiche
visioni di Southey, si aspettava il poeta che di*
pingesse le realtà della vita intima ed esteriore,
r uonio qual fu e qual è nel tempo e nello spazio,
studiato con amore ed inteso da una simpatia u-
nivei*sale, simile a quella dello scienziato nella sua
imparzialità, ma più delicata e più profonda ; si
aspettava il poeta che nelle indagini psicologiche
non dimenticasse i corpi e le forme, ma le osser-
vasse e le rendesse in tutta la loro sterminata va-
rietà, in tutte le differenze dei loro individuali
caratteri, — che, restando sempre poeta, fosse in-
sieme un filosofo ed un artista. — Tutto ciò fece
Browning.
La prima pubblicazione di Browning fu Paì^a^
Celso. Usci nel 1835. L'autore aveva ap23ena venti"^
cinque anni. Pochi poeti han cominciato così glo^
4 ROBERTO BROWNING
riosamente la loro carriera. Paracelso non par la-
voro di giovane, ma di provetto artista; di uomo
che ha molto sofferto e provato, osservato moltis-
simo, bevuto fino alla sazietà nella coppa della
scienza e della vita. Già là sono in germe, e al-
cune già in fiore, tutte quelle rare qualità che poi
distinsero Browning dagli altri poeti contempo-
ranei, e fecero di lui un vero rivelatore di nuove
regioni nell'infinito campo dell'arte. E già nella
scelta dell'argomento si annunzia il carattere del
poeta. La curiosità scientifica, il desiderio di ten-
tare sentieri inesplorati, il disj)regio della scienza
tradizionale e scolastica che si palesa nella vita
di Paracelso dovean potentemente tentare un j)oeta
avido di comprendere l'uomo e le cose, di andar
per vie non battute, di scrutare e toccare le più
occulte e delicate fibre del cuore umano.
Il poema è diviso in quattro parti. Nella
prima, Paracelso ispirato dalla persuasione che
egli è un eletto dal Cielo a qualche alta ed ardua
missione, e spinto dalla sua sete di scienza, espone
ai suoi amici le ragioni che lo han deciso a par-
tire ed errare in lontani paesi a riacquistare lo
verità già perdute e a scoprirne di nuove. Ribatte
gli argomenti che l'affetto suggerisce agli amici
per farlo restare. L'ardor di sapere, la sublime
confidenza nelle proprie forze, la grandezza del
coraggio, la forza del volere umano non furon
mai con più energia ed efficacia descritte : i di-
scorsi di Paracelso sono squarci di eloquenza
poetica inarrivabili. — Nella seconda parte, Pa-
ROP.F.r.TO BROWNING 5
racelso è a Costantinopoli, e s' incontra in Aprile^
un poeta, che ha consunto la vita dietro l'Amore
e la Bellezza, come egli va a perderla dietro la
Scienza. Dal confronto di questi due personaggi
simbolici esce un grande insegnamento che il
poeta sembra svelarci per bocca di Paracelso me-
desimo quando gli fa dire : « Gli uomini guardino
a me e al poeta morto che troppo sconsigliata-
mente amò : e così, da noi premonito, ^i formi un
terzo e meglio temprato spirito umano. » La scienza
senza affetto e insensibile al bello, la poesia tutta
musica e luce, tutta voluttà e delirii son desti-
nate a perire. E fra i pochissimi hen temprati spi-
riti, in cui si è fatto il felice connubio della scienza
e dell'arte, io non saprei, dopo Goethe, chi metter
innanzi all'autore stesso del Paracelso.
Paracelso è da Aprile iniziato al culto del
bello. I cento versi nei quali Aprile esprime il
suo desiderio, il suo sogno, di esercitare tutte le
arti prima di morire, son paragonabili ai più
belli di Keats, come poesia di colore e rilievo.
Egli vorrebbe esser prima scultore, poi pittore,
poi, posato lo scalpello e il pennello, dipingere
colla parola tutti gli affetti « dalla turbolenta
agitazione di un cuore pieno di desiderii inquieti,
al placido sonno dell' uomo semplice nelle ore me-
ridiane, all'ombra di un albero, presso una ci-
sterna. » Poi, « come un luminoso vapore unisce e
confonde colle stelle le stelle, egli vorrebbe riem-
pire ogni vuoto colla musica, e con ineffabili melo-
die esprimere i più misteriosi moti dell'anima. »
6 ROBERTO BRO\YNL\G
Aprile muore. Paracelso vorrebbe profittare
della lezione, — ma nuove e dolorose esperienze
lo aspettano al suo ritorno. Morendo in uno spe-
dale, vittima della scienza come Aprile dell'arte,
è consolato dalla fede nell'avvenire della uma-
nità ; e dalla coscienza di averle in qualche modo
giovato.
Se il poema al suo primo apparire non ebbe
l'accoglienza che meritava, non passò però inos-
servato. La critica se ne occupò, e anche i più
avversi a questo genere di poesia dovettero am-
mirare certi passi di una bellezza più unica che
rara, onde abbonda quel capolavoro giovanile di
Browning.
« È solo quando ritornano al cielo che gli
angeli vi si rivelano: essi seggono tutto il giorno
al vostro lato, e la notte giacciono presso a voi
che non curanti della loro presenza siete distratti
o dormite: quand'ecco, tutt'a un tratto, vi la-
sciano, e allora gli conoscete. »
Questi squisiti versi si leggono nel Paracelso.
La canzone sul Fiume Meno che calma l'agi-
tato spirito di Paracelso è un miracolo di poesia
e di stile. Mai era stata dipinta con tanta effica-
cia la quiete che spira dalle verdi rive di un bel
fiume che scorre limpido e lento. Il verso che pro-
cede con cadenza monotona, la rima insistente pro-
ducono sull'animo del lettore un magico efifetto.
Fin dalle prime pagine del Paracelso si ri-
conosce in Browning un gran poeta pittore. Il
suo paesaggio è scrupolosamente reale ed esatto,
ROBERTO BROWNING 7
e al tempo stesso ha carattere e vita eminente-
mente poetica. Ecco quel che lo distingue da tanti
poeti-fotografi contemporanei. In Paracelso^ nelle
Liriche^ in Uomini e Donne, in Draiiìatis Perdona',
in tutti i suoi versi, Browning si è rivelato gran
pittor di paese. Nessuno fra i poeti moderni ha
meglio reso il colore locale. Paragonare le descri-
zioni d'Italia di Byron e di Lamartine con quelle
di Browning [Pian di Sorrento, De Gustihus, Presso
il focolare, In una Gondola, Due nella Camjpagna,
Vecchie Pitture in Firenze, ecc., ecc.) sarebbe stu-
dio fecondo. Ruskin, il gran critico d' arte, met-
teva Browning innanzi a tutti i poeti paesisti
per efficacia di grafica verità.
Si è detto e ripetesi che questa del dipingere
è una delle piaghe della moderna poesia, che gli
artisti della parola hanno invaso il campo deo-li
artisti del colore e della forma, che con tanti det-
tagli e minuzie poeti e romanzieri mancan sem-
pre dell'effetto voluto, che in certi loro ritratti
una vena ed un nèo hanno il valore d'un occhio
si che spesso invece della bella donna che s'è vo-
luta dipingere, al confuso lettore raffigurasi un
mostro, che per ottenere moltissimo agli antichi
bastavano pochi semplici tratti, ecc. Potrebbe ri-
spondersi: Non citate ad esempio chi ha ecce-
duto, ed è riprovevole. Fra il dipingere vago,
convenzionale, a grandi masse di certi scrittori,
e il minuzioso e faticoso particolareggiare dei
Gauthier, dei Flaubert, e talvolta dello stesso
grande Balzac, vi è una strada di mezzo. Vi è il
8 ROBERTO BROWNING
passaggio di Wordswortli e di Leopardi, della
ISand e di Browning, i quali lian saputo esser
pittori restando poeti.
Noi italiani con un paese cosi variato, cosi
pittoresco, non abbiamo che due grandi poeti
paesisti, Dante e Leopardi. Dal 300 bisogna pre-
cipitare all' 800, per ritrovare pitture naturali,
còlte dal vero, come: /
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina
Tornata in su la via
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
E chiaro nella valle il fiume appare.
Apre i balconi
Apre terrazze e logge la famiglia.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella
Incontro là dove si perde il giorno.
E queta so\'ra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna ....
0 cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve ....
Sono scrittori stranieri che hanno dipinto
l'Italia in tutta la sua varia bellezza. Goethe e
Byron, Chateaubriand e Lamartine, Shelley e
Browning, Hawthorne e Taine, ecco i pittori
ROBERTO BROWNING !)
della Campagna romana, di Napoli e del suo
golfo, di Firenze e Venezia, dei nostri colli e dei
nostri laghi, dei nostri monti e dei nostri mari.
Vero è che Manzoni, il quale da sé solo ha ripa-
rato e gloriosamente riempiuto tanti vuoti della
nostra letteratura, nel suo immort-ale romanzo di-
pinse stupendamente la Lombardia. Descrittori
ideali pur troppo ne abbiamo, e uno grandissimo,
anzi unico, il divino Ariosto: ma pittori dal vero
non saprei dopo Dante e Leopardi e Manzoni chi
altri citare; se non forse alcuni quattrocentisti
(come Lorenzo de' Medici) e Niccolò Tommaseo
in molte pagine di Fede e Bellezza.
Browning è poeta eminentemente drammatico
anche nella lirica. I titoli stessi dei suoi volumi
poetici ce lo dicono: Lìriche drammatiche, Uomini
e Donne, Dramatis Personoc, ecc. Filoso e critico,
egli studia un'epoca, comprende un' idea, analizza
un sentimento, poi ha bisogno, da vero artista,
di dar corpo al concetto, di personificare, di dram-
matizzare. Egli ha compreso e risentito l'ardore
per le cose artistiche, per tutti gli oggetti deco-
rativi che era generale al tempo del Einascimento ;
ed è al suo Vescovo ordinantesi la tomba in S. Pras-
sede che fa rivelare lo spirito vero dell' epoca.
Egli ha osservato il singolare carattere esterno
dei chiostri e conventi meridionali, ne ha indovi-
nato le interne gretterie, la sensuale religione, le
sorde guerre, le invidie: e interprete di questo suo
studio è un novizio che dalla finestra della cella
impreca, irride e dipinge 1' odiato superiore che è
10 ROBERTO BROWNING
giù nell'orto a visitare i suoi fiori {Spanish Cloister),
L'aborrimento della volgarità, il superbo disde-
gno del merito negletto, saranno espressi dal suo
Pìctor ignotus che avrebbe potuto e non ha voluto
diventare famoso seguendo la moda, e che oscuro
e rassegnato lavora coscienziosamente nella quiete
crepuscolare delle grandi navate, e non può più
staccarsi dalle care sue chiese: è per bocca di lui
ch'egli ferisce di amari sarcasmi la leggerezza e
la vanità dei dilettanti e l'ignoranza dei mece-
nati. Browning ha sentito la sublimità della poe-
sia ebraica, la lirica primitiva, i colori e le forme
dell'antico Oriente, l'uomo biblico infine; e Da-
vid che canta per calmar Saul sarà interprete
delle sue vive impressioni. In Saul infatti tutto
il ciclo della vita orientale è percorso, dalla ca-
panna all'altare; e questa è per magistero di ritmo,
e per colorito, una delle poesie più mirabili.
L'ingegno, anche grandissimo, è se non
spento, certo torturato e alterato dalla passione
d'amore, quando accade che questa passione è
provata per donna indegna, e che non senta il
prezzo enorme del sacrificio; indi agonie quoti-
diane in questo essere nervoso che si chiama
poeta ed artista. Un poeta ordinario farebbe di
questo argomento un' elegia o un' ode morale.
Browning fa parlare Andrea del Sarto colla
troppo famosa sua moglie, e in quel discorso c'è
la storia di un'anima. Le profonde ansietà, le cu-
riosità febbrili della decrepita società, e le im-
pressioni dei savi pagani alle prime notizie della
ROBERTO P.ROWNING il
vita e della dottrina di Cristo sono, con una im-
personalità degna di Goethe, espresse in Cleone o
in Karsliisli. E che profondità di pensiero filoso-
fico si cela sotto il velo bizzarro àoìV humour in
CaUhano a Setehos, e in 3Ir Sludge! Iloly -Cross-Day ^
tipo della poesia umoristica di Browning ha riso
e lacrime e fremiti. Era legge papale che il giorno
della Santa Croce un certo numero di ebrei fos-
sero obbligati , e se occorreva spinti per forza
a sentir una predica cristiana in San Pietro: e
là un monsignore li apostrofava per convertir-
li. Browning fa parlare comicamente fra loro
quei poveri diavoli stivati e orribilmente noiati,
Molti, rendendo commedia per commedia, e visto
che c'è interesse, simulano la conversione. Ma al-
cuni, per tacita vendetta e conforto, impiegan
quel tempo ripensando e ripetendosi il canto di
morte di Ben-Ezra, sublime di lamento e pre-
ghiera, di protesta e coraggio. E la speranza è
■ avvalorata dai tormenti sofferti « dalla tortura
prolungata d'età in età, dalla infamia, eredità
d' Israello, dalla peste del Ghetto, dalla ignomi-
nia degli abiti, dalla gogna, dalle fruste inzup-
pate del loro sangue innocente ».... Il cuore del-
l'umanità palpita sempre nei versi di Browning.
La sua larga e calda simpatia tutto intende e
traduce. Egli ha saputo personificare e dramma-
tizzare le astrazioni più metafìsiche, i sentimenti
più delicati e ineffabili. Chi non ha in sua vita
saputo di qualche amore puro e segreto di un
uomo adulto per tenera giovinetta — e non ha
12 ROBERTO BROWNING
pensato con dolore a questa condanna del tempo,
a questa fatalità dell' anima giovane e ardente in
corpo caducò ? — In Evelyn Hope, Browning ci
dipinge la cameretta verginale dove giace morta
la bellissima giovine. « Le imposte sono soc-
chiuse: poco o nulla è mutato nella sua camera:
questo è il suo letto, quelli i suoi libri. Evelyn
avea colto quel fior di giranio che comincia a
morire anch' esso nel vaso. Un uomo adulto è
presso il cadavere, e parla ; le parla ora, sola-
mente ora, dell' infinito amor suo, e non dispera
d'esser riamato. L'amore è più forte della morte.
Le loro anime dovran passar altre vite, molte al-
tre vite; cangeranno secoli e climi, ma alla fine
si ritroveranno e s'intenderanno. Ed egli prende
quel fior di giranio, e lo chiude nella cara gelida
mano, e: Ecco, questo è il nostro segreto: ora
dormi : tu ti svegiierai, e ti ricorderai e inten-
derai. »
Questa varietà di soggetti, questa straordi-
naria pieghevolezza d' ingegno non faccia nem-
meno per un momento sospettare che Browning
appartenga a quella famiglia di poeti che, seguendo
ed esagerando la pericolosa e inumana teoria del-
l' « arte per 1' arte », meritano più che il nome
d'artisti quello di dilettanti. In tutte le opere di
Browning, poema, lirica e dramma, si fa sentire
e sopratutto sentire, la incessante e solenne voce
dell' umanità.
E talvolta questo ardore d'indagini nella
mente e nel cuore umano lo fa incorrere nei com-
ROBERTO BROWNING 13
ponìmenti puramente drammatici e destinati alla
scena, in veri difetti, perchè certe qualità eccel-
lenti in altri generi di j)oesia nuocciono ai dram-
matici effetti. Chiarezza, unità, interesse sono i
primi pregi di un dramma: e Browning colla sua
sottigliezza d'analisi, colle sue audaci originalità
di stile, colla sua avversione a interpretare le idee
e i sentimenti popolari per strappare i facili ap-
plausi, non poteva riuscire e non riesci sulla scena.
Ci vorrebbe per apprezzare e gustare i suoi drammi
una platea di poeti e d'artisti. Ma questa più che
giustificazione è condanna. GÌ' intelligenti però
ammireranno sempre alcuni caratteri grandemente
scolpiti come il Lwia, e alcune situazioni felice-
mente inventate in Straffoixl, nella Macchia del
Blasone e nel Di natalizio di Colomba.
Pipjjci passa^ dramma lirico e fantastico, è
forse il più popolare di tutti i componimenti poe-
tici di Browning.
Pippa, una povera filatrice di seta, esce un
mattino di festa dal suo casolare e passeggia, sola,
cantando, per la campagna: e senza ch'ella me-
desima se ne avvegga, il suo canto dov' ella passa
{Pippa passa) produce come un magico effetto, ed
è occasione allo scioglimento di quattro piccoli
drammi. In uno di questi è rappresentato l'adul-
tero amore di Sebaldo e di Ottima con efficacia
veramente degna di un compatriotta di Sha-
kespeare. — Sebaldo ed Ottima si ricordano i più
drammatici istanti del loro amore, e fra gli altri
il giorno quando : « le colonne del firmamento
Ì4 ROBERTO BROWNING
parean piegarsi sotto la oppressione del caldo e
la volta cupo-azzurra tutta pesare su noi ed at-
terrarci: e ci sdraiammo nel bosco, fìncliè la tem-
pesta scoppiò.... Si giaceva come sepolti là dentro :
veloce correa la tempesta sul nostro capo quasi
cercandoci, e tratto tratto qualche viva candente
saetta bruciava tra '1 folto de' pini; bruciava or
qua or là, ti ricordi? come se la Giustizia colla
sua spada frugasse e rifrugasse nel bosco, per tro-
varci e colpirci.... Poi il tuono, come un intiero
mare, scoppiò sulle nostre teste. »
In Christmas-Eoe and Easter-Day (la notte di
Natale e il giorno di Pasqua) poema filosofico-re-
ligioso, scritto parte in Firenze, parte a Roma e
pubblicato nel 49, il poeta trattò (restando però
sempre poeta, e poeta pittore), le più profonde e
delicate questioni clie agitano la mente e la co-
scienza dell'uomo moderno. Se ne toffli V humour
e i tocclii da artista di cui abbonda il poema, si
direbbe l'opera di un pensatore tedesco: se non
elle la mano dedalea di un vero poeta dà qui forma
e moto anche alle più vaporose astrazioni. Ogni
intelligente dell' arte sentirà la bellezza, la verità
di certi passi, quali la descrizione della Cappella
e suo atrio nella notte di Natale, l'apparizione lu-
minosa di Cristo, i versi sulla Sistina, Michelan-
gelo, le Catacombe, ecc. E questa preoccupazione
dei grandi problemi della Fede e dell'Anima gli
ha ispirato vari poemi filosofici di fondo, e, al
solito, di forma drammatici, come Morte nel de-
serto^ Cleonej il Vescovo Blougram^ ecc.
nOBÉRTO BROWNING 15
Nell'ultimo libro di Browning [Dramatis Per-
sonce) V altezza del pensiero filosofico predomina
in ogni poesia ; dalle passionate come James Lee,
alle umoristiche come Mr. Sludge, the Medium.
Come saggio di magnifica eloquenza poetica veg-
gasi Morte nel deserto^ dove san Giovanni morente
discorre delle dottrine evangeliclie e della religione
dello spirito: poesia elevata e profonda che parla
al cuore e all'intelligenza. Pochi libri poetici con-
tengono, in si poche pagine, tante idee nuove e
grandi, tanti caratteri, tante pitture; da Caliban
selvaggio, al Byron de nos jours, da san Giovanni,
agli spiritisti, da un ritratto di vergine, alla stanza
mortuaria della Morgue, da Alt-Vogler^ che im-
provvisa sullo strumento da lui inventato, alla
squisita elegia d' amore intitolata Maggio e la
Morte. Le poesie di questo libro sono vere armo-
nie della vita.
Si sarà visto che uno dei caratteri della poesia
di Browning è V humour. Vario in tutto, Browning
è anche in questa sua qualità variatissimo. 11 suo
humour talora è grottesco, energico, quasi brutale
d'eccessiva realtà, come nella Tragedia deWEre-
tico e in Calihan; talvolta sottile e raffinato come
in Mr. Sludge; talvolta passionato come nella Que^
vela d\Ln Amante; talvolta l'accento comico e il
sorriso inoffensivo predominano nei suoi versi
umoristici, come in FraLipjpo Lìpin. il quale scap-
pato di convento, ed avendo abusato di Bacco, vi è
riportato dagli sbirri ai quali egli; strada facendo,
discorre della sua vita e dell'arte sua; e nei versi
i6 ROBERTO BROWNING
intitolati Sa in villa, e giù in cittàj capolavoro
d' ironia e di descrizione, genere nuovo di satira,
in cui un ignorante signorotto fa a modo suo la
distinzione fra la vita di città e di campagna.
Egli, costretto per economia a starsene in villa,
sospira alla vita di città, e la loda e dipinge nel
linguaggio il più comico.
Fra le poesie di Browning in cui parla la
passione pura, e clie sono vere voci del cuore, senza
mai diventare né convulsi singhiozzi, né urla for-
sennate, come quelle di certi poeti contemporanei,
esagerati percliè deboli, e declamatori perchè in-
sensibili, mi basti indicare Amore fra le mine,
Presso il focolare, (dove non sai se più ammirare
la pittura del paese, o quella del sentimento), l' Ul-
tima Cavalcata, In un anno, e Maggio e la Morte.
Egli manifesta il profondo e squisito suo sen-
timento dell'arte plastica, le sue simpatie pei vec-
chi maestri toscani, pei grandi realisti del 400,
in molte poesie: e fra le tante consacrate alla
pittura e ai pittori come Pictor iguotus, Andrea
del Sdrto^ Vecchie pitture in Firenze^ mi piace ri-
cordarne qui una intitolata V Angelo Custodie. E ispi-
rata da un quadro del Quercino, che vedesi a Fano,
rappresentante un angelo in atto di proteggere
un fanciulletto. Conosco poche poesie dove l'effu-
sione lirica sia cosi calda, e derivi cosi spontanea
dal soggetto medesimo. — «Caro e grande angiolo,
vorresti tu lasciare per me cotesto fanciullo? Io
sederò qui tutto il giorno; e quando viene la sera,
X e il tuo special ministero è compito, e tempo è già
nODEUTO BROWNING 17
di ]3artire, tu sospendendo il tuo volo, vedrai un
altro fanciullo da custodire, un altro che ha biso-
gno di pace e d' asilo.... Allora, io ti sentirò fare
un passo, non più, da dove tu sei a dove ora io
sono, ed ecco la mia testa ricovrasi già sotto le
tue ali.... Colle salutari tue mani mi chiuderai orli
o
occhi accosto al tuo petto, stringerai la mia fronte
affaticata dal troppo pensiero, e ogni mio nervo
ne avrà conforto, e sarò tutto inondato di pace
ineffabile.... Se ciò mi fosse concesso, oh come oc:ni
torto umano sarebbe presto in me riparato! Con
che differenti occhi rivedrei il cielo, la terra ed il
mare!.... » Peccato che questa poesia finisca in
modo piuttosto strano ed oscuro. L'oscarità è il
difetto, esagerato dai suoi detrattori, ma che pur
troppo esiste nell'opere di questo insigne poeta. E
vero. che esso dipende, in parte, dalla novità degli
argomenti, e dal modo sempre originale con cui il
poeta li tratta. Spesso però l'oscurità nasce da
inescusabili eccentricità di stile, come l'omissione
dei pronomi frequente, 1' architettura capricciosa,
e arabesca per dir così, del periodo poetico. Altre
volte l'oscurità vien dalle reticenze. Troppo egli
lascia indovinare, troppo esige dal suo lettore.
Non tutti leggendo, per esempio, il suo Spanish
Cloister, il suo Grammarian^ s Funerale il suo Lij)po
Lippi intenderanno alla prima chi è che parla, ed
a chi, e dove siamo. Il poema Sordello è 23Ìù di
tutti gli scritti di Browning macchiato di questo
difetto.
Dai libri di Browning potranno i giovani
Ke^'cio^'I. — Sagijl criiici di leti, ine/lese 2
18 ROBÈflTO BROVVNING
attingere insegnamenti preziosi: impararvi a os-
servar bene e meditar molto prima di scrivere ;
a serbar sempre virilità di pensiero e d'accento;
a evitare la volgarità e la leggerezza, la declama-
zione sentimentale o politica, la poesia da alcova
e quella da piazza; a non adulare mai le opinioni
e le passioni di moda, affrontando' coraggiosa-
mente l'impopolarità, per amore e per rispetto
dell'Arte.
{Nuova Antologia, Luglio 1807)
19
; ANELLO E IL LIBRO
POEMA ])I ROBERTO I. .lOWNING.
Vi è un poema drammatico psicologico che
è il capolavoro di uno dei più grandi iutelletti
che onorino l'arte e l'umanità. Questo poema fu
concepito e cominciato in Firenze. L' argomento
è una tragedia domestica italiana. La scena è in
Roma. L'ispirazione, i caratteri, il paesaggio sono
italiani. Questo poema è stato un avvenimento
che ha aperto nuovi orizzonti all' arte moderna.
È un miracolo di evocazione, di resurrezione, di
poesia e di analisi psicologica. I più grandi scrit-
tori contemporanei ne parlano con riverente am-
mirazione. In Italia, non se ne sa nulla. La nostra
crìtica non se n' è occupata ne molto ne poco....
Vorrei in parte riparar questo torto: vorrei dare
almeno una pallida idea del « L'Anello e il Libro, »
• The Ring and the Book, by Robert Browuing, in four
vclumes. Smith Elder, London.
20 l' anello e il lip.i;o
e occasionalmente dir due parole sul carattere
generale dell'opera poetica di Roberto Browning.
L'uomo interiore, il dramma che si svolge
nella mente e nel cuore prima di esprimersi nel
dramma esteriore, la storia o un episodio della
storia di un' anima, sono argomento al poetare
di Browning. Più il labirinto dei pensieri e dei
sentimenti di un dato individuo, storico o imma-
ginario, in una data situazione drammatica, è in-
tricato e recondito, e meglio il poeta riesce a met-
tere in luce le più ascose fibre, i più segreti
motivi di un'azione, e riesce così a mostrarci na-
turali e logiche le più contradittorie ed enigmati-
che azioni umane. Con un profondo conoscimento
della natura umana, dal più fangoso e sanguinoso
baratro di viltà e di delitti alle cime sfolgoranti
del verginale candore e dell'invitto eroismo, egli
comprende, penetra, afferra con l'occhio dello psi-
cologo tutte le gradazioni dello spirito umano nel
tempo e nello spazio; e con la mano plastica e
colori trice dell' artista, scolpisce o dipinge immor-
talmente i suoi Uomini e Donne.
La immaginazione simpatica, la potenza di
analisi e la emozione poetica, vanno in lui con-
giunte a una sovrana serenità di intelletto. Egli
fìssa ed indaga con occhio profondo e tranquillo
il gran mistero dada Vita, e i più disperati abissi
della passione.
Mai in Browning il più remoto cenno di de-
clamazione, 0 di convenzionalismo poetico. La
sua istintiva repugnanza a tutto ciò che è ripetuto
I. ANELLO E IL l.flJRO -J I
e volgare, gli suggerisce talvolta soggetti inusi-
tati e anche strani, e una forma elaborata e dif-
ficile, e per la stessa sua originalità qualche volta
un po' oscura. Dico qualche volta : quelli che tro-
vano Browning sempre oscuro, sono coloro pei
quali la poesia è come il sigaro d'avana o il sor-
betto alla vainiglia dopo pranzo.... E per questi
c'è Moore sempre facile, e Longfellow sempre
chiaro e scorrevole.... I lettori di Eschilo, di Lu-
crezio, di Dante, di Shakespeare, di uroethe, sono
avvezzi a pensare leggendo. E per questi lettori
Browning non è oscuro — o lo è solo qualche
volta.
Arturo Symons, in un suo ammirabile di-
scorso sul carattere drammatico di Browning, os-
serva giustamente che questi e nei drammi e nei
poemi drammatici e nelle liriche drammatiche —
da Paolina a Ferislitah. da Paracdsus ai Dramatic
Idìjlls — ha per obbietto l'analisi e la rivelazione
del penskro. Quando leggiamo Shakespeare, noi
diciamo: — Questa è la Vita^ sorpresa nella sua
azione, e fissata per sempre come in marmo im-
mortale. Quando leggiamo Browning, noi diciamo
invece: — Questo è il Pensiero, un soffio dell'anima
umana, reso immortale con la parola. Browning-
si interessa e ci interessa a ciò che pensarono e
come pensarono i suoi personaggi, piuttosto che
a ciò che dissero. E lui che parla per loro; e si
serve del suo linguaggio poetico, il più ricco e
svariato, il più enciclopedico della moderna poesia,
:)er analizzare il pensiero dei suoi personaggi. Vi
"TI L ANELLO E IL LIBRO
è una cerfea somiglianza nel modo con cui si espri-
mono Mr. Sludge e FraLippo Lippi, San Giovanni
e Andrea del Sarto, ma il meccanismo del pensiero,
per dir così, di questi personaggi è così diverso,
che nessuno pensa a accusare il poeta di mono-
tonia. Che cosa importa che lo stesso coltello
anatomico abbia fatto cinque o sei diverse opera-
zioni chirurgiche, se queste operazioni sono veri
miracoli della scienza?
Browning è essenzialmente realista, benché
profondamente psicologo. Poeta drammatico e
metafisico egli tratta sempre di visibili o invisi-
bili realtà: e siccome queste due realtà costitui-
scon la Vita, egli la dipinge più completamente
di ogni altro poeta.
Alcuni credono che Browning sia un poeta
troppo astruso, uno scienziato che si ostina a
esprimersi in versi, un gran pensatore piuttosto
che un vero poeta. Quanto s'ingannano! Se mai
cervello e cuore umano fu da natura creato alla
poesia, questi è Browning. Egli ha in grado su-
premo le sovrane doti poetiche: intuito e com-
prensione rapida, elettrica, immaginazione evoca-
trice e vivificatrice; il senso umoristico e il
sentimento patetico : il suo verso percorre tutta
la gamma dei suoni, tutta la scala dei colori.
Nella sua opera colossale un popolo di viventi ha
fisonomia distinta e indimenticabile. Il numero e
la vera vita dei suoi personaggi fa quasi paura
a pensarvi. La lista ne sarebbe lunghissima. Ma
Qual lettore di Browning non rammenta subito
L AXELLO E IL I.IDRO llS
certi personaggi clie sono creature umane di cui
conosciamo la fisonomia e l'anima, il meccanismo
interiore e gli atti esteriori, che conosciamo cioè
più e meglio di un intimo amico e, stavo per
dire, di noi medesimi? Ecco qui Paracelso, Saul,
il vescovo Blougram, Andrea del Sarto, Ottima,
Evelyn Hope, Costanzcì. Pom pilla, Giiido, Pidor
ignotus, Abt Vogier, Paccliiarotto, Olive, Ivan
Ivanovitch, il Baldinucci, Mr. Sladge, Eabbi ben
Ezra, Oristina di Svezia, San Giovanni, il maestro
G-alluppi, Miranda, Aristofane, e cento altri: ognuno
un vero microcosmo umano, una rivelazione, una
risurrezione !
Olii meglio di Browning ha sentito ed esjDresso
il carattere dei vecchi maestri fiorentini, gli af-
freschi dei vecchi chiostri, l'interno delle antiche
chiese? (Old Plctures in Florence, Pictor ignotus).
Ohi meglio sentita la poesia e la fisonomia di Ve-
nezia? {In a Gondola, A toccata of Galluppi). Ohi
meglio dipinto l'Appennino e le Alpi? {La Saisiaz,
De Gustihusj By the Fireside). Campagna di Roma
e lagune di Venezia; paesaggio francese, russo e
ungherese: Medio Evo e Rinascimento; secolo di
Pericle e anni" della Reggenza; la Sinagoga e il
Partenone; l'areopago e l'officina; lo spedale di
Paracelso e la cameretta verginale di Evelina;
r ingenuo patetico accento di Pompilia e il grot-
tesco linguaggio di Oalibano o l'umoristico di
Pacchiarotto e di Sludge; le devote del Sacro
Onore e le etère greche; i cavalieri di Oarlo e i
frati del chiostro spagnuolo; il deserto afìricano
2i L ani:llo e il libro
e i houlevards di Parigi; l'organo di Abt Vogler
e l'arpa di David; funamboli e filosofi, regine e
cocottes, le Catacombe e la Morgue, i roghi e i
duLs^ processioni e battaglie, locande e teatri,
baci e veleni, angioli e demoni, tutto è com-
preso nella portentosa opera poetica di E-oberto
Browning.
Un giorno Browning passando da Piazza
San Lorenzo in Firenze si fermò a guardare i ban-
chi e le mostre di roba usata, di vecchi vestiari,
il babelico hric-à-hrac di quel luogo caratteristico
— e sopra un banco di libri fra degli Orazì scom-
pleti, delle vecchie stampe dell'Ademollo, fra la
Dame aux Camélias e dei volumi del Decina, vide
un libro manoscritto, un vieiix houquin in carta-
pecora, la « Storia e documenti del processo del
Conte Guido Franceschini, decapitato in Eoma
nel 1698. » 11 poeta comprò per una lira questo
curioso volume; e lo lesse subito in quella casa
Guidi in via Maggio, che egli e la illustre sua
moo-lie hanno resa familiare e cara a tutti i cui-
tori della poesia.
Era questo il fascio di crudi fatti dal quale
il poeta doveva estrarre la scintilla di vita, e
creare il Libro: era la informe e greggia materia
nella quale doveva trovare i filoni dell'oro, che
battuto e affinato serve a formare V Anello.
11 fatto, ridotto ai suoi ultimi termini, è que-
sto. Il conte Guido Franceschini, aretino, di fa-
miglia antica e nobilissima ma decaduta, cerca
L ani<:llo k il LHìRO ^0
inutilmente fortuna in Roma presso la Corte pon-
tifìcia. Là, a quarantot Vanni, gli viene offerta in
moglie una giovinetta di tredici anni, Pompili a,
di Pietro e Violante Comparini, bella e con una
ricca dote. Si fa, quasi inconsciente la povera
giovine, questo bel matrimonio^ e Guido porta
con sé nell'avito e squallido palazzo d'Arezzo la
sposa ed i suoceri. Cominciano le inevitabili an-
tipatie, le pretese da una parte, le sevizie dall'al-
tra, e i poveri vecchi son costretti a tornarsene a
Roma. La Violante si vendica facendo sapere che
Pompilia era una bambina da lei raccolta per ca-
rità, una creatura senza nome adottata come
fìgliola. Allora nel Franceschini cresce l'odio pei
suoceri, e l'avversione per la giovine moglie; av-
versione che si rivela in una costante, feroce op-
pressione di tutti i giorni, di tutte l'ore. Nello
spasimo della lenta agonia, essa ricorre inuLil-
mente all'autorità ecclesiastica e civile. Un solo
uomo mostra di intenderla, di compatirla, di am-
mirarla, di amarla di purissimo e santo amore --
un prete, il canonico Caponsacchi. Questi le ofìre
protezione e aiuto efficace alla fuga. Guido av-
vertito in tempo li sorprende in un albergo sulla
strada di Roma, e li fa arrestare. Processo cla-
moroso: conclusione: lei messa provvisoriamente
fra le Convertite, Ini mandato in un convento a
far gli esercizi spirituali. Ma la vecchia e feroce
volpe aretina non è paga: e informato che a
Pompilia era stato concesso di andare a passare
qualche settimana in una villa coi Comparini, di
26 l'anello e il LlbRO
notte, con (quattro sicari, va a quella villa, si an-
nunzia per il Caponsacchi, gli è aperto, ed egli
entrato coi suoi bravi finisce a coltellate i due
vecchi, e ferisce di mortali ferite la moglie. È ar-
restato, e dopo un lungo e clamoroso processo,
condannato e decapitato.
Questi i fatti — ma questa storia non è che
il materiale greggio al quale Browning ha data
0 resa la vita. Quei nomi di un vecchio dossier di
cancelleria criminale diventano creature viventi
nelle cui vene circola un caldo sangue, il cui cer-
vello ha un polso vitale come aveva due secoli
addietro. Il fatto è poca cosa: lo stesso poeta ci
mostra che non sta là la vera importanza del-
l'opera, avendolo così subito raccontato, per filo
e per segno, fin dalle prime pagine del volume.
1 lettori a cui basta il fatto, il racconto, V intrec-
cio, posson fermarsi alla metà del primo volume.
Il resto per loro non sarebbe che inutile e tediosa
ripetizione. Invece, per Browning e pei lettori
degni di intendere Browning, il grande, il vero
interesse comincia do^JO la esposizione del fatto.
L'importanza capitale dell'opera consiste nei
sette grandi monologhi degli spettatori e attori
del dramma. E soprattutto nei due discorsi di
Guido, e in quelli del Caponsacchi, di Pompilia
e del Papa. Sullo stesso fondo e nello stesso
dramma spiccano queste quattro figure che sono
quattro miracoli di analisi psicologica. L'amore
esaltato del Caponsacchi, l' ingenuità angelica di
Pompilia, la casuistica vile e subdola e la mal
l' anello e il lii;ro 57
celata ferocia di Guido, la solennità jeratica e la
visione di oltre -tomba del vecchio papa Pigna-
telli, sono ritratti unici, indimenticabili. Aggiun-
gete il gì ottesco umorismo di quei discorsi mezzo
latini degli avvocati Domùius Hi/acinthus de Ar-
changelis^ Jiirls Dodor Johannes-BdiAista Bottiìdus^
che danno un carattere cosi locale, così romano,
cosi secentistico alla tragedia, e che formano uno
dei pregi caratteristici di quest'opera unica.
Alcuni critici hanno fatto appunto a Brown-
ing di aver prestato al Caponsacchi un linguag-
gio troppo lirico e troppo poetico, se si pensi
quando e dove e a chi dirige la parola. E anch'io
inclinavo, confesso, a trovar giusta, in parte al-
meno, questa censura. Ma una sera parlandone
con Vernon Lee, essa combattè quell'accusa con
argomenti che mi parvero vittoriosi, e che presso
a poco, se ben ricordo, son questi: — Il Capon-
sacchi è un'anima nata con un istintivo senso di
reverenza, di culto, di adorazione dell'ideale: la
religione, coni' era professata a quel tempo e in
Arezzo, non può appagarlo. Pompilia virtuosa,
bella e infelice diventa come una Beatrice per lui.
Il dolore la sublima, la morte, il martirio la con-
sacrano ai suoi occhi. Egli non vede che lei: essa
è la stella polare e 1' angiolo raggiante della sua
vita. E quando parla lei, il suo linguaggio diventa
naturalmente lirico — non parla, ma canta. Il suo
monologo è come una pagina della Vita Nuova.
Egli parla con gli occhi sempre fissi in una figura
28 l' aneli>o e il lip.ro
di donna trasfigurata.... Ma queste cose, dette
come lei sola sa dirle, si leggeraii presto in un
nuovo volume di Vernon Lee, che avrà per titolo
Conversatlon of Bahìioin.
Sul carattere e sui monologhi di Guido Fran-
ceschiui mi duole di non trovarmi in tutto- d' ac-
cordo con la illustre scrittrice di Eupliorion. Essa
trova reale sol fino a un certo punto il France-
schini: le sembra troppo grande, dotato di mezzi
troppo sproporzionati al misero impiego della sua
vita: una macchina poderosa attaccata a un carro
di paglia. Guido, essa dice, è della stoffa degli
Sforza, dei Borgia — un uomo della statura di
Fausto e di Otello — e quest'uomo passa la vita
nelle anticamere dei prelati, e poi a torturare due
vecchi e una giovinetta, e va con quattro sicari a
scannarli.
Ma appunto questa contradizione è il problema
psicologico che Browning si è accinto a risolvere.
Nel secondo discorso di Guido la fiera mostra le
zanne e gli artigli di sotto la cappa del casuista
e del cherico. Sì, egli era nato con un fondo di
spaventosa energìa: c'è la tigre nella volpe are-
tina. Ma come la tigre diventi volpe, e nella volpe
ribaleni la tigre, ci è spiegato mirabilmente nei
due discorsi di Guido. — Il tipo del personaggio
è grande, è vero, come studio morale: ma nella
realtà drammatica è egualmente vero? — A mio
giudizio si: e aggiungo subito che io credo ferma-
mente che questa grandezza tragica, quasi epica
del conte Guido, derivi e resulti in gran parte
l'anello e il Linuo ^9
dalla illusione ottica che produce in noi la nuova,
inusata e portentosa analisi che fa di quell'anima
il Browniug. È tanto vero che ci pare inù gronda
del vero.
Browning si compiace di scrutare, di appro-
fondire, di spiegare le anormalità, i casi eccezio-
nali, le idiosincrasie della vita umana. Perchè
Guido con forte intelletto e tenace volontà non
riesce, dove tanti inferiori a lui son riusciti? Per-
chè passa dalla viltà alla crudeltà, all'assassinio?
Browning ci spiega l'interno lavorio di quel cer-
vello, le fibre complicate di quel cuore, e 1' anor-
male ci appare allora naturale e normale: l'analisi,
stavo per dire la vivisezione, è fatta con una abi-
lità così consumata e perfetta, che noi a ogni mo-
mento esclamiamo , compresi di ammirazione :
Com'è vero!
Non è tanto la parola quanto il pensiero che
ci stupisce nei monologhi di Guido, di Pompilia,
del Papa. ISIon ciò che probabilmente essi dissero,
ma ciò che certamente pensarono, questa è la
grande preoccupazione di Browning.
Browning è un interprete, non è uno steno-
grafo. È probabile, è verosimile che Guido pen-
sasse e sentisse così? Certamente: ed è ciò che ci
fa dire: com'è vero! — Se poi ci domandiamo: è
possibile, è naturale che Guido, che il Caponsac-
chi, in faccia ai giudici, parlassero proprio in quel
modo con cui li fa parlar Browning? noi ci ri-
spondiamo di no. Ma d' altra parte il poeta non
poteva servirsi che del suo linguaggio enciclope-
:\0 l' anello e il Lirjuo
dico per rivelarci, e spesso in un lungo discorso,
quel che un uomo ha pensato in un solo mo-
mento— j^ensiero istantaneo — che ha prodotto
però atti di incalcolabili conseguenze — e che era
esso stesso una logica conseguenza di pensieri e
di azioni precedenti. Io direi, se mi si conceda
l'espressione contradittoria, che il poeta Browning
ha creato 1' anatomia psicologica. E io credo che
anche un volgare malfattore, reo di omicidio pre-
meditato, se analizzato nei più reconditi motivi,
e seguito passo passo dal primo germe dell' idea
all'ultima esecuzione del delitto, ci apparirebbe
tragico e quasi grande. Per i personaggi del
dramma psicologico non c'è bisogno di rumorosi
avvenimenti e di storica decorazione. Guido Fran-
ceschini vale un Eorgia e un Tiberio.
A questa sovrana analisi non conosco nulla
di superiore o di eguale, neppure nel romianzo
moderno. Ciò che più le si avvicina per potenza
ed efficacia, è la prima parte di Sllas Manier, o
un capitolo dei Misérahles — quello intitolato Une
tempète sous un creme.
Il lettore italiano probabilmente farà qui
un'osservazione. — Capisco, dirà, che si trovi ma-
teria a poesia nel carattere e nel linguaggio del
cavalleresco Caponsacchi, della angelica Pompilia,
e del giusto e santo Pontefice. Ma che la poesia,
il linguaggio degli Dei, debba servire all' analisi
delle idee e dei sentimenti di un malfattore, mal
si capisce. Questa sarà patologia, medicina legale
in versi, ma non poesia. — Eppure è poesia, è
L* ANELLO E IL LII5R0 31
profonda ^^oesia! Poesia è ciò che vi è di più ììì-
timo in ogni cosa. Anche nel calcolo trascenden-
tale è poesia. Quando il cupo, chiuso, muto spi-
rito del Franceschini è forzato a parlare — a
rivelarci tutte le tenebrose caverne, tutti i sinuosi
e perfidi labirinti del suo spirito, a dirci come egli
vedeva e giudicava uomini e cose; quando questo
personaggio sintetizza, pur restando disfiuto in-
dividuo, una classe di umane creature, e rappre-
senta al tempo stesso una passione, un paese ed
un'epoca; — questa figura diventa altamente poe-
tica nella verità e intensità del suo tragico signi-
ficato : è reale e ideale ad un tempo: vive ; e solo
Dio ei grandissimi poeti possono inspirare la vita.
Al poema e al romanzo contemporaneo è da
augurare un po' meno di fisiologia, e un po'più di
psicologia. Ma già una felice reazione incomincia
coi Tolstoi, coi James, coi Bourget. Ricordiamoci
che un fenomeno di coscienza è la causa di una
serie di altri fenomeni, qualunque sia la modifica-
zione fisiologica, e 1' ambiente dei personaggi. Lo-
calità, mobilia, vestiari, paesaggio, meritano di
essere esaminati e illustrati solo in quanto l'uomo
vi ha impresso qualche cosa del suo intimo.
L'anima umana, Vio personale, ha una forza in-
nata e assoluta che fa spesso forza a ogni eredità
e ad ogni amhiente. La volontà e la coscienza
— ecco tutto l'uomo! E la volontà e la coscienza
parvero sparire dal romanzo e dal dramma con-
temporaneo. Che cosa vi fu sostituito? La ripro-
:]i> l'anello e il lidro
duzione fotografica delle esteriorità della vita.
Avemmo romanzi e poesie puramente descrittive:
una lotta disperata delle penne coi pennelli; una
invasione di ateliers. Cominciò il Flaubert (che
era però e rimase sempre un grande psicologo) e
i sedicenti suoi discepoli rincararono la dose. A
qtiesti, cioè ai Goncourt e allo Zola, si attenne
più o meno servilmente la novella e il romanzo
italiano — e avemmo in Francia e in Italia libri
zeppi di inventari da tappjezziere, e di cataloghi
da venditori all'asta.
Si descrisse per descrivere, e la maledetta
descrizione, oleografica o fotografica, fu, e non ha
ancora cessato di essere, la crittogama del campo
letterario. Xella Page (Tamour dello Zola, che è
pure uno dei più notevoli suoi romanzi, vi sono
cinqtiauta descrizioni, ciascuna per sé stessa un
capolavoro di esattezza olandese, ma tutte affatto
inutili allo sviluppo dei caratteri, e allo svolgi-
mento dell'azione.
Nei momenti drammatici dell'azione, qtiando
il lettore vorrebbe sapere che cosa ha pensato quel
tal personaggio per agire così, l'autore ci dice in-
vece com'è vestito. Io vorrei aver la chiave delle
apparenti contradizioni di quell'uomo o di quella
donna. Xo signore. Mi si informa invece sulle
condizioni meteorologiche, e mi si dà la nota del
restaurant. Quest'uomo apparentemente ha agito
così, quella donna si è salvata o perduta, perchè
quel giorno spirava maestrale invece di scirocco,
perchè ha bevuto del Lacrytna Christi invece di
l'anello e il Lir.Ro 33
una limonata.... E la volontà e la coscienza? E la
lotta interiore? E il vero dramma dell'anima?
Non una parola.
V'ha di più: non è neppure artistica e natu-
rale, è anzi tediosa ed illogica la descrizione mi-
nuta che fa fino a oggi di moda. Un'personaggio
entra in un salotto, e un romanziere, scuola Gon-
court 0 Zola, mi descrive subito questo salotto —
temperatura, mobilia, stoffe, gingilli, quadri, ecc.
È naturale? No. Quando uno entra in un salotto
vede realmente e distintamente tutte queste cose?
Niente affatto. Ne vede distintamente due o tre:
e due o tre sole gli rimangono nella memoria. E
quelle sole bisognava o si poteva descrivere. In-
vece si direbbe che i personaggi di certi romanzi
sian sempre in procinto di comprare la casa, la
villa, la sala, il vestiario che si dipinge, e che
siano interessati ad apprezzar tutto e nulla di-
menticare.
E questo si chiama realismo e naturalismo'^ I
veri e grandi realisti son Browning e George
Eliot, sempre: quasi sempre Balzac: Flaubert in
Madame Bovary solamente. Oggi realisti veri, cioè
pittori delle realtà visibili e invisibili della vita
— della materia e della coscienza — son Tolstoj,
James e Bourget. E la loro reazione è altamente
benefica, desiderata e salutare. Alla lunga, que-
sto dipingere le azioni umane come dipendenti da
un giro di ivalzer^ o da una digestione più o meno
buona, demoralizzava e nauseava.
Parlando dell'^?ie^/o e il Libro — cioè del ca-
lsExciO>'i. — Saggi critici di UH. iìujlese. 3
34 l' anello e il libro
polavoro sovrano del vero realismo — della più
meditata, profonda, artistica, efficace e completa
pittura della Vita — non credo inutile e fuor di
luogo questa mia digressione. E giacché ho toc-
cato questo tasto, mi piace d'insistervi, ripor-
tando le memorande parole del Bourget sui danni
morali del fatalismo fisiologico.
« Il est arrivé que les romanciers soumis à
l'iniluence de Flaubert, et partisans de sa mé-
thode, ont exagéré le défaut du maitre. Ils ont
méconnu l'existence des deux sortes d'imagina-
tions, et au lieu de constituer leurs personnages
par une doublé serie de petits faits, ils ont pre-
sque uniquement peint ces personnages comma
des étres d'imagination phTjsique. C'est ainsi que,
s'applicant surtout à la transcription des milieux,
ils ont supprimé de plus en plus de leurs livres
l'étude de la volente. Ils montrent la créature
humaine dominée par les clioses ambiantes et
quasi incapahle de nkictioìi personhelle. De là de-
rive ce fatalisme accablé qui est la philosophie de
tonte l'école des romanciers actuels. Da là ces ta-
bleaux d'une humanité à la fois très-réelle et très-
mutilée. De là cette rénonciation de plus en plus
marquée anx vastes espoirs, aux généreuses fiè-
vres, à toiit ce que le terme (T Idéal résumé de
croj^ances dans notre energie intime. Et, comme
no tre epoque est atteinte d'une maladie de la vo-
lente, de là cette vogue d'une littérature qui con-
vient si bien aux affaiblissements progressifs du
ressort intérieur. Lentement, dans beaucoup
l' anello e il lidro 35
d'esprits souinis à réducation des romans nou-
veaiix, s'élabore la conception que Veffort est inu-
tile^ et le jìouvoir des causes étrangères irrésistihle.
Or, comme dans l'ordre de la vie morale nous va-
lons en capacitò d'energie juste anfcant que nous
croyons valoir, lentemeiit aussi chez ces mémes
personnes la volonfcé se dósagrège. Ainsi les hé-
ritiers, par Flaubert, de ce romantisme qui a trop
exigé de la vie, soiit les plus actifs ouvriers de
cette désagrégation de la volonté. Ironie singu-
lière de la destinée! » — {Essais de Psycliologie con-
temporaine^ pag. 166).
I veramente grandi scrittori, poeti o roman-
zieri, son quelli che conoscendo profondamente
la umana natura, hanno un'acuta percezione del
gran problema della Yita, scrutano gli abissi del
cuore umano, eppur non disperano; ma conser-
vano intatte, e infondono nei lettori^ la energia
eroica, la speranza e il coraggio. Roberto Brow-
ning è in prima fila tra questi benefattori del-
l'umanità, tra questi artisti sovrani.
{}\uova Antologia, 10 dicembre 1885.)
ROBERTO BROWNING E L'ITALIA
Lavoravo alla Rassegna Inglese per la Nuova
Antologia^ e scrivevo appunto sul nuovo volume di
Browning, {Asolando-Fancies and Facts) quando ri-
cevei una lettera della signora Edith Storj'-Pe-
ruzzi che mi annunziava la morte del grande
poeta. Fu in casa dell' illustre scultore e scrittore
William Story che nella mia prima giovinezza
ebbi l'onore di conoscere Roberto Browning — ed
è dalla sua gentile figliuola che mi è venuto il
funebre annunzio.
Benché Browning avesse compiuto settantasei
anni, la notizia della sua morte mi colpì doloro-
samente e inattesamente come quella di persona
rapita al mondo nei suoi belli anni; tanta è l'e-
nergia e la vena giovanile, l'acume e la potenza
d'analisi, la freschezza d'immaginazione, che si
rivelano in quel suo ultimo libro — e tanto il
vecchio poeta mi era parso sano e robusto, e pro-
mettente la [Àù tarda longevità, quando nella
ROBERTO BROWNING E l' ITALIA 37
scorsa estate andai col mio amico Carlo Placci a
salutarlo in Venezia, in casa della signora Bronson,
alla quale è dedicato con sì affettuose parole il
nuovissimo volume del poeta.
Povero Browning! esclamai dapprima com-
mosso alla triste inattesa notizia. Ma dopo un mo-
mento di riflessione: — Perchè povero? dissi a me
stesso. Felice, dovrei dire invece, felice poeta! Dopo
una lotta eroica di trent'anni, conquistò una fam.a
e una gloria mondiale; el3be a compagna della vita
una creatura ideale, genio ed angelo nella mede-
sima donna; visse, negli anni maturi e declinanti,
sano, ricco, amato e ammirato, usufruendo l'espe-
rienza della vecchiezza senza provarne i fisici e
morali languori. Ed ora è morto nella piena e
attiva potenza del suo straordinario intelletto,
dopo brevissima malattia, circondato dalle cure
affettuose della famiglia e degli amici, nella terra
ideale da lui tanto amata e cantata, e nella più
bella città di questa terra : è morto ijcdnlessly and
quietly — cosi scrisse suo figlio — dopo aver rice-
vuto l'annunzio del crescente successo del suo
ultimo libro pubblicato in quei giorni, come un
generale caduto sul campo, che spira fra i gridi
della vittoria.
Eoberto Browning nacque nel 1812, a Cam»
berwell. Figlio di un impiegato alla Banca d'In-
ghilterra, uomo eccellente, rigido e positivo, ere-
ditò dal padre lo sguardo sicuro e quel senso
pratico della vita che è come la ferma e profonda
radice da cui germogliò la svariata e magnifica
38 ROBERTO BR0^VN1NG E L ITALIA
flora della sua poesia. Cominciò nella prima ado-
lescenza a ammirare e imitare Byron; ma a dicias-
sett'anni, la lettura di Shelley lo converti a nuovi
orizzonti e nuove forme poetiche.
Il primo volume di Browning è Pauline (1833)
- — e già vi si annunzia un genio originale, una
maniera di poetare nuovissima: la psicologia poe-
tica, e la lirica drammatica, già sono in germe in
questo primo libro di versi. Seguirono Paracelsus^
Strafford, Bordello^ le Dramatic Lyrics^ Drammi e
Tragedie, A hlot in the Scutclieon^ Pipila i^asses....
Nel 1846, Browning sposò la poetessa Elisa-
betta Barrett, e con lei venne in Italia, e presero
stabile sede in Firenze, in quella ormai doppia-
mente famosa Casa Gnidi, in Via Maggio. Questo
matrimonio fu l'unione di due spiriti straordinari,
diversamente e sovranamente dotati, che si equi-
librarono e coadiuvarono mirabilmente, offrendo
un esempio unico nella storia dell'amore e dell'arte.
Nel 1849 nacque in Firenze il loro unico figlio
Robert Barrett Browning — oggi notevole e lodato
pittore.
In Italia Browning scrisse gran parte di
Christmas-Eve^ e Men andWomen^ il primo suo libro
che avesse incontrastato successo, e in parte gli
desse quella fama e quella gloria che meritava da
tanti anni.
Nel 1861, Elisabetta Browning morì. Il poeta
ne rimase come annientato. Si chiuse in un pro-
fondo silenzio, in quasi assoluta solitudine, per
più di tre anni. Nel 1864 usci lo stupendo volume di
ROBERTO BROWNING E l' ITALIA 39
Dramatis Personce^ ammirato iu Inghilterra e in
Europa.
UAnelloe il Lihro^ l' opera capitale di Browning,
fa pubblicato nel 1868-69. Seguirono, a brevi in-
tervalli, nuovi volumi poetici, fra cui i più note-
voli sono Fìjine at the Fair, Balaustion'' s Adventure^
Paccliiar otto, Red cotton niglit-ca^ Country, LaSaisiaz^
Dramatic Idylls, Aristoplianes Apologij, Ferishtah^ s
Fcuicies, e ultimo in ordine di tempo non già di
valore, Asolando.
11 poeta è morto il 12 dicembre in Venezia,
nel palazzo Rezzonico, proprietà di suo figlio.
Browning fu umano e pietoso ad ogni dolore
come Hugo, socievole come Dickens, modesto come
Manzoni. Senti profondamente l'amicizia — e la
ispirò viva e costante in alcuni dei suoi più illu-
stri contemporanei, Landor, Carlyle, Ruskin, Di-
ckens, Rossetti, Story, Forster, Tennyson — e fra
le donne mi è caro di ricordare i nomi delle signore
White Mario, Yillari, Story Peruzzi, Zimmern,
Thackeray, Sutherland, Orr, e Bronson.
La bontà, la cordiale affabilità, la costante
serenità eroica, non si smentirono mai durante la
lunga vita del poeta. Frequentava la più alta classe
sociale, ma non sdegnava la conversazione con gli
umili. Ebbe assidue e intime relazioni coi più in-
signi pittori e musicisti del suo paese. Gli fu fatto
carico perchè con la sua geniale e calda parola
metteva un raggio di poesia tra le stereotipate
etichette della high-Iìfe Londinese. A qualche ri-
gido Aristarco dispiacque la innocente mondanità
40 ROBERTO BROWNING E l' ITALIA
del poeta; quasi pretendendo che un poeta che si
rispetti debba sempre pranzare in casa sua, esser
sempre in veste da camera tra le pareti degli scaf-
fali, o vagare solitario e scapigliato nelle solitu-
dini, interrogando la Musa, inesperto affatto del
mondo, « e degli vizi umani e del valore.... » E pur
troppo vi sono di questi poeti, e anche famosi:
— ma nella loro opera questa inesperienza e in-
scienza del mondo e della vita si tradisce a ogni
pagina — e le loro poesie sono, paragonate a quelle
dei veri poeti, come mazzi di fiori in tela gom-
mata od in cera, accanto ai fiori naturali, freschi,
fragranti, e stillanti rugiada.
Né la geniale mondanità turbò mai o offuscò
in Browning lo sguardo intuitivo di filosofo e di
poeta sovrano, ne ottuse l'acume della sua incisiva
penetrazione, ne alterò mai la virile indipendenza
dei suoi giudizi. E d'altronde, il più gran libro è
il mondo — e chi lo guarda solo dall'abbaino di
biblioteca non può comprenderlo né dipingerlo.
Né Shakespeare, né Goethe, né Byron, né Heine,
né Browning ci direbbero e ci insegnerebbero
tanto e nel bene e nel male della vita, se non aves-
sero tanto visto e tanto osservato.
La presente giovine generazione era avvezza
a vedere nel Browning il trionfatore felice, amato
e ammirato in Europa e in America; sereno poeta
che godeva della preziosa esperienza della vec-
chiezza, senza alcuna delle sue infermità, felice
come Leouardo, come Goethe, nei gloriosi ultimi
nODERTO BROWNING E l' ITALIA 41
anni. Ma vi fu un tempo, un lungo tempo, in cui
i capolavori di Browning si succedevano negletti
0 derisi, e attirando solo la simpatica ammira-
zione di pochissimi lettori.
Si può dire che la vera fama di Browning
data dalla pubblicazione di Men and Women 1855;
e più decisamente da quella di Dramatis Perso-
nce, 1864. Egli lottò trent'anui con indomabile
perseveranza: egli fu un vero eros nel senso Car-
lyliano della parola. Lavorò sicuro dell'avvenire,
fidando nel tempo, il gran giustiziere; scrivendo
e pubblicando per non esser letto che da pochi,
fra gli applausi e le centesime edizioni prodigate
ai facili versi dei melodisti. Un po' di musica e
un po' d' intreccio son sempre sicuri di momenta-
neo successo. B volgo dei lettori naturalmente
rifugge da poeti come Eschilo, Lucrezio, Dante,
Groethe, Browning; e adora i poeti armonici e va-
cui, simili a quei terreni dove in qualunque punto
si scavi, a due dita si trova subito acqua, nien-
t' altro che acqua; mai fuoco o granito:... terreni
cosi malleabili e fecondabili, che ogni piuma vo-
lante, ogni seme di fiorellino, desta la loro facile
virtù produttrice. Browning è precisamente l'op-
posto. Lo ha detto egli stesso.
« Il terreno dell'eterno canto è la roccia dalla
superfìcie aspra e dura. Il sole e le rugiade, le
tempeste ed i geli, vi adoprano invano la loro
dolcezza o la loro rabbia. Appena qualche raro
fiore spunta qua e là. Ma intanto, giù nelle pro-
fonde fìssure, lentamente, silenziosamente, si va
42 ROBERTO BRO^YMNG E l' ITALIA
formando ciò che fra un secolo sarà un abete gi-
gante — eredità di una nazione. »
Browning, negletto o trionfante, fece sempre
appello a lettori che amano approfondire e ele-
varsi. Grande nella speculazione filosofica come
nella emozione lirica, scrutò abissi dell' anima
fino a lui inesplorati, e penetrò col suo sguardo
di poeta sovrano nei più disperati labirinti del
cuore. Filosofo, pittore, musicista, scienziato, e
sempre poeta — o contemplatore, o drammatico,
o lirico — qualunque regione scegliesse, era re di
quel campo, e vi piantava e faceva sventolare la
sua vittoriosa e immacolata bandiera. Come la
salutavamo con gioia! Essa era magnetica e irre-
sistibile, come gli occhi di una bella donna.
Per molti la prima lettura di Browning è
stata una rivelazione, un avvenimento. x4.bbiamo
sentito l'attuale presenza di un uomo e di un
amico. Certe sue pagine, certi suoi versi hanno la
potenza e la influenza di uno sguardo, o di una
stretta di mano: vi è come una corrente elettrica,
che io definirei volentieri la gioia della vita.
L'eroismo della volontà individuale, e la gioia
della vita, sono infatti la precipua caratteristica
della svariata e colossale opera poetica di Ro-
berto Browning. Egli abborriva egualmente i
poeti elegiaci. e frementi, e i poeti scettici e di-
lettanti. Browning, come Wordsworth, Whitman,
Victor Hugo, e pochissimi altri; ma meglio, e più
profondamente e universalmente, ci parla
« Of Joy in widest commonalty spread. >
nOBEUTO BROWNING E l' ITALIA 43
L'uomo interiore, il dramma che si svolge
nella mente e nel cuore prima di rivelarsi nel
dramma esteriore; la storia o un episodio caratte-
ristico della storia di un'anima, sono a^^gomento
al poetare di Browning. Più il labirinto dei pen-
sieri e dei sentimenti di un dato individuo sto-
rico 0 immaginario, in una data situazione dram-
matica, è intricato e recondito — e più il poeta
trionfa nella sua analisi vittoriosa e rivelatrice.
« La mia poesia, diceva egli nella dedica di
Sordello all' amico Milsand, nasce dagli incidenti
drammatici nello sviluppo di un'anima; poche al-
tre cose son degne di studio. Io ho pensato sem-
pre così — voi, 0 altri a me noti od ignoti, pen-
san cosi — altri penseranno un giorno come noi. »
L'uomo, infatti, è il più degno e importante stu-
dio per l'uomo — anche, anzi sovrattutto, per il
poeta degno di questo nome.
Un senso religioso, nel più alto e compren-
sivo significato della parola, stavo per dire un
Cristianesimo universale, compenetra l'opera del
gran poeta. Le più esplicite e importanti espres-
sioni le abbiamo in Saulj in Christmas Eue, nella
Sdisiaz, in Babbi ben Ezra, in Abt Vogler, in Evelyn
Hope^ in Prospice^ e in quella Beverie ed Epilogo di
Asolando^ che sono come il sujDremo messaggio —
messaggio di speranza di coraggio e di gioia —
che egli ci ha mandato dalla soglia dell'eternità.
Browning ha un sentimento vivo e perenne della
esistenza, onnipresenza e onnipotenza di un Dio,
creatore e giudice delle anime umane — e crede
44- ROBERTO BRO^VMNG E l' ITALIA
e confessa ed esalta la volontà e la libertà indivi-
duale. Ha fede in un futuro e definitivo trionfo
del Bene sul Male; come Schiller, come Hugo,
come la Sand, e il Mazzini e Michelet. Ma egli
crede di più a una scala di vita, a una succes-
sione di esistenze; e che ogni creatura umana
sarà premiata e punita non per il bene e il male
fatto unicamente su questa terra, ma secondo le
aspirazioni, le lotte, l'azione eroica — o il tor-
pore, l'inerzia, e l'acquiescenza bestiale — ossia
secondo lo sviluppo che ogni anima avrà avuto
attraverso successivi stadi di esistenze. (Vedi in
pàrticolar modo Rahhi Ben Ezva^ ed Aht Vogler).
Scopo della vita umana sulla terra, è 1' es23eri-
mento delle proprie facoltà, la propria educazione
e sviluppo attraverso gli ostacoli, in vista di ul-
teriori progressi in successive esistenze. Cosi la
filosofia della vita è in Browning virile e fortifi-
cante ; aspirare ardentemente a un grande ideale,
e operare per raggiungerlo, equivale a raggiun-
gerlo — l' epoca sarà differita, il teatro sarà di-
verso, ma il premio meritato sarà immancabil-
mente ottenuto.
Il grande arcano dell' Universo, e le tenebre
del cuore umano, abbatterono e paralizzarono gli
spiriti più vigorosi dell' età moderna. La loro pa-
rola divenne un gemito, un fremito, un sogghi-
gno, o una maledizione. Bjron, Leopardi, Shellej',
Heine, Musset, molti altri insigni, lottarono di-
speratamente col gran problema dell'esistenza.
Alcuni trovarono pace nella rassegnazione e nella
RODEKTO imOWMiNG E l' ITALIA 45
contemplazione religiosa, come il Manzoni e Words-
\Yorth — altri passarono alternativamente dai
grandi abbattimenti agli ardenti e sconfinati en-
tusiasmi, come Schiller, Victor Hugo, Giorgio
Sand. Tre soli sono usciti forti e sereni dall'an-
tro della terribile sfìnge, e restarono calmi, ope-
rosi, e possenti : Shakespeare, Yolfango, Goethe,
e Roberto Browning.
La molteplice e sostanziale opera poetica di
Roberto Browning può dividersi in vari gruppi
caratteristici. Poemi e poesie di carattere reli-
gioso, come Chì'ìstmas-Eve, Semi, la Saisiaz, A death
in the Deserf, Babbi Ben Ezra — fìlosofìci e psico-
logici, come Baracelsus, Sonleììo, Fìfìne, The Blng
and the Book, — lirici-drammatici come From Aix
to Ghent, Cristina, The lost Leader — versi d'amore
come Evelyn Hope, Love among the Ridns, By the
Fireside, In a Balcony, In a Gondola, Too late, One
word more — poesie di soggetto artistico, lette-
rario, musicale, come Old Pictures in Florence, An-
drea del Sarto, Fra Lìppo Lippi, Pacchiarotto,
Pictor ignotus ; A toccata of Gcdluppi, Abt Vogler,
Charles Avison; Granimarian' s Funeral, The Bishop
orders his Tomb — i piccoli poemi drammatici,
come The Flight of the Duchess, dive, Ivan Ivano-
vitch — i drammi in vera e propria forma dram-
matica, come Strafford, A blot on the Scutcheon,
Pippa passes — le creazioni puramente umoristi-
che, di un umorismo tragico o grottesco, e sem-
pre originale e possente, come the Heretic's Tra-
46 ROBERTO BROWNING E l' ITALIA
gedy ^ Calìban upon Setebos ^ Holy- Cross Day,
Mr. Sludfje the Medium.
Le parti più belle e più sicuramente durature
di quest'opera colossale, sono quella psicologica
e religiosa, quella di argomenti pittorici o musi-
cali, egli squisiti e profondi canti d'amore. Forse
la meno durevole è quella che comprende i drammi
destinati alla scena. E si spiega. L' affare princi-
pale per clii scrive drammi per il teatro è l'azione
— il carattere umano già formato che lotta nel-
l'azione. L'azione che importa pochissimo a Brow-
ning, importa moltissimo al pubblico — indi i
disputati e incerti successi dei suoi drammi. Brow-
ning intendeva a volo il drammatico di una
situazione — ma ciò che più lo preoccupava, era
la remota origine della situazione, la formazione
dei caratteri, il divenire più che 1' essere, le forze
dinamiche spirituali che sono la ragione impul-
siva del dramma umano.
Un'altra caratteristi caBrowninghiana, che ha
nociuto alla popolarità di molte sue poesie, è una
curiosa preferenza che il poeta ha sempre avuta
per tipi umani singolari, soggetti di casuistica,
personaggi di un certo nome al loro tempo, e
oggi affatto dimenticati. E questo è uno dei prin-
cipali motivi della tanto rimproveratagli oscurità.
Si: Browning è talvolta oscuro; perchè ne-
garlo? è il suo grave ed unico difetto. Ma affret-
tiamoci a soggiungere che lo è solo talvolta^ e con
fortissime attenuanti. I suoi essenziali capolavori
non sono oscuri. Said^ Pi_ppa passes^ Andrea del
ROBERTO BROWNING E l' ITALIA 47
Sarto, n Anello e il Libro, Evelyn Ho])e, Love among
the Rìiins, Ln a Balconi), Aht Vogler, By the Fìreside,
Froìn Aix to Ghent, Ivan Ivanovitch, Olive, non son
più oscuri di una poesia di Tennyson o di Swin-
burne. Per chi è avvezzo a pensare leggendo,
Browning è di rado oscuro. E giustamente notava
il suo giovine compagno d'arte e di gloria — Al-
gernon Swinburne — che « accusare continua-
mente Browning di oscurità è presso a poco lo
stesso che accusare Linceo di cecità, o lagnarsi
della lentezza del telegrafo. Egli è troppo spesso
i' opposto dell' oscuro — è troppo luminoso e sot-
tile pei soliti lettori dei soliti libri. Egli si muove
con una elettrica incessante rapidità, passando
dal centro alla circonferenza di una meravigliosa
tela, animata da un pensiero vivente, tessuta dal-
l'inesauribile stoffa della sua percezione, e calda
dell'inesausto fuoco della sua immaginazione. Egli
pensa sem^^re a tutta carriera; e la velocità del
suo pensiero, paragonata a quella di un altro
uomo, è come la corsa del vapore in confronto di
quella di un carro, o come il volo del telegrafo
paragonato alla corsa del vapore. »
Del resto, la critica può discutere a suo pia-
cere sulla lucidità di linguaggio con cui Brown-
ing comunicò all' Inghilterra e al mondo il suo
eroico messaggio di lotta, di coraggio e di gioia.
Questo messaggio si è fatto strada fra le più com-
patte tenebre dei pregiudizi religiosi, sociali, este-
tici, e letterari. Gli ci son voluti trentanni di
pazienza e di perseveranza eroica per vincere. Ma
48 ROBERTO BROWNING E L ITALIA
ha vinto — e ora splende sfolgorante sul mondo,
e come il sole, è invisibile soltanto a chi è cieco,
o a chi chiude gli occhi.
Quel che ho detto sulla relativa oscurità di
Browning può dirsi del suo difetto d' armonia.
Browning è spesso aspro e duro perchè cosi vuole
essere, per un estetico o etico motivo — mai per
impotenza. Quando vuole, è il più melodico e sin-
fonico dei poeti. Saul percorre tutta la gamma
dei suoni, come una sinfonia di Beethoven o una
partizione di Wagner. La canzone sul Meno, in
Paracelso, è musicale come le più musicali strofe
di Coleridge o di Tennyson. E quali note Belli-
niane o Weberiane sono più dolci delle squisite
melodie In a Gondola e Love among the Ruinsf
Come in Dante, Shakespeare, e Victor Hugo, una
suprema ineffabile soavità è unita in Browning
all' abituale forza sovrana. Li forti dulcedo — e
nella mascella del leone fu trovato il miele più
dolce. I poeti più forti sono, a momenti, i poeti
più soavi. Il poeta di Ugolino e di Capaneo è il
poeta di Casella e di Piccarda ; il creatore di
Macbeth e di Calibano è il padre di Cordelia e
di Ofelia; Dante è più soave del Petrarca — Sha-
kespeare è più tenero di Racine — Victor Hugo
e Roberto Browning sono talora più melodici di
Lamartine e di Tennyson.
L' opera di Browning fu ingegnosamente pa-
ragonata ad un grande edificio gotico con una
curiosa e felice mistura di Rinascimento italiano.
ROBERTO BUOVVNING E l/ ITALIA 49
L'Italia, un'aura, un calore e un colore italiano
compeiietra e contrassegna i venti volumi di
Browning. Alcuni dei suoi principali capolavori
sono di origine o di argomento italiano, qua
pensati, qua scritti in tutto o in parte. La nostra
pittura, la nostra musica., il nostro Risorgimento,
rivivono nelle maravigliose pagine del poeta.
Quale Italiano non ha ammirato Andrea del Sarto,
Old Pidures in Florence, A Grammarian^s Fune-
rali — Christmas Eoe fu in gran parte scritto a
Firenze. Tìie Ring and the Booh fu concepito in
quella fiorentina Gasa Guidi già illustre per il
poema della grande 2)oetessa, e memore ancora
dei gemiti delle estasi liriche di Aurora Lelgh, I
coniugi Browning hanno ambedue cantato l'Ita-
lia, e prediletto Firenze. Dopo Firenze, Venezia
e Roma li ispirarono. E Venezia vide morire il
poeta àoiV Anello e il Libro e di Sordello, come Fi-
renze aveva accolto l' ultimo respiro della poe-
tessa di Aurora LeigJt, e delle Finestre di casa Guidi.
Un vincolo di antica e viva simpatia lette-
raria lega la nobile Inghilterra all'Italia. La
grande poesia britannica molto si giovò degli
esempi dell'arte nostra, e spesso si ispirò alla
divina bellezza della natura italiana. Ma i poeti
inglesi non si mostrarono ingrati come i più dei
francesi e dei tedeschi. E splendidi inni, e affet-
tuosi saluti, e sincere elegìe, e ardenti vaticini ci
vennero d' Inghilterra. Da Chaucer a Spenser, da
Milton a Byron, da Shelley a Swinburne, è una
tradizione non interrotta.
Kexciom. — Sciijiji critici di lett. inglese. i
50 ROBERTO BROWMNfx E l' ITALIA
Egualmente, percorrendo l'intiera opera di
Roberto Browning, si vedrà che ispirazione e
argomenti gli ha dato spesso, si può. dir quasi
sempre l'Italia. Le sue città e le sue campagne,
le sue chiese e le sue ruine, i suoi dolori e le
sue speranze, furon da lui costantemente can-
tate. Come egli, ami la terra che lo ispirò, lo
provano le sue lunghe dimore fra noi, e 1' ac-
cento commosso, quasi d'amante, con cui egli
parla del nostro caro paese. « Apritemi il cuore,
e vi leggerete inciso ltalia\ » Così egli esclama
in una delle sue più belle poesie. E negli anni
amari in cui il soldato austriaco strascinava la
sciabola vittoriosa per le vie delle nostre città,
egli non che disperare delie nostre sorti, o insul-
tarci come altri poeti stranieri, imprecò ai nostri
oppressori, sperò, e vaticinò la unità e la indi-
pendenza d'Italia.
Ciò che è veramente nordico e di germa-
nica origine nei poemi di Browning, è la pro-
fonda meditazione, l'analisi, e la serena e impar-
ziale obbiettività. Per vederlo at liis hest in questa
straordinaria sua facoltà, basta considerare quel
poema unico nel suo genere, L^ Anello e il Libro.
E quel che dissi dei personaggi àeìV Anello e
il Lihroj è egualmente applicabile a tutti o quasi
tutti i j^ersonaggi dell'intiera opera drammatica,
lirica ed epica di Roberto Browning.
Del costante, inalterato, e doppiamente sacro
amore di Browning per la grande poetessa che
ROBEnio r,no\vNi>'G e l'italiv 51
gli fu moglie amante per quindici anni felici, tro-
viamo splendide e toccanti tracce in tutta l'opera
di lui. Mi basti ricordare By the Fireside^ One
word 7ìiore, Prospice^ e la patetica apostrofe alla
diletta morta, nel primo volume del lite R'uig
and the Book:
« 0 lyric Love, half-angel and half-birrl
« And ali a wonder and a wild desire.... >
die rispondono degnarne ute ai passionati accenti
che ella gli aveva consacrati nei Sonetti dal Porto-
ghese.
I coniugi Browning, come ho già detto, su-
bito dopo il loro matrimonio, visitaron l'Italia,
e si stabilirono definitivamente a Firenze. Essa
cliiama infatti Fiorentine il suo unico figlio; e
adorò Firenze, la sua storia, la sua arte, i suoi
monumenti, le sue colline. La scena del sublime
ultimo libro di Aurora Leigh è a Bellosguardo.
E la poetessa venne a morire in Firenze, e in Fi-
renze volle esser sepolta. Il marito, e in iscritto
ed a voce, e in vita e nell'agonia, espresse il de-
siderio, la volontà, che la sua salma fosse deposta
accanto a quella di lei — che le sue ossa rispo-
sassero accanto a quelle della sua donna-an-
gelo, nel cimitero evangelico di Porta a Pinti, in
Firenze. Ed era davvero augurabile che il voto
del poeta fosse religiosamente obbedito e com-
piuto. Firenze avrebbe aggiunto questa duplice
tomba al numero delle sue molteplici attrattive.
Sarebbe stata la meta di un poetico ]3ellegr inaggio,
52 ROBERTO BROWNING E L' ITALIA
come in Roma la tomba gemella di Shelley e di
Keats sotto la piramide di Caio Cestio.
E deplorabile che ciò non sia stato — che
ciò non possa più essere!
Il cimitero di Porta Pinti era ormai chiuso
per inesorabile legge. Fu inve^^.e proposto di tra-
slocare la salma della poetessa nel nuovo Cimitero
Evangelico di Firenze, e far venire, e deporvi
insieme il cadavere del poeta. Intanto alcuni amici
di Browning, Italiani ed Inglesi, si adoperavano
-per remuover l'ostacolo, e, facendo eccezione per
tanto uomo, ottenere di inumarlo nel vecchio ci-
mitero, senza disturbare le ossa della sepolta
poetessa.
Stando le cose a questo punto, telegrammi
da Londra espressero al figlio di Browning il de-
siderio e l'invito del popolo inglese di accogliere
il gran poeta nel Pantheon d'Inghilterra, nell'ab-
bazia di Westminster.
Primi iniziatori, Bradley, decano di West-
minster, Lord Tennyson, Algernon Swinburne
— e con essi tutta Inghilterra, dalla regina Vit-
toria all'ultimo dei Britanni. E il figlio accon-
sentì — e si preparano in Londra nazionali ac-
coglienze e splendidi funerali al grande poeta.
Ma il suo voto costante e supremo?
Non resta ormai che un mezzo solo per adem-
pierlo. E lo dirò con le parole che James Knowles
ha diretto all'editore del Times:
« Ci viene scritto oggi d'Italia che sarebbe
possibile di rimuovere le reliquie della signora
nOP.KliTO DROWNING E l' ITALIA 53
Browning dal loro posto attuale, affinchè potes-
sero riposare accanto a quelle di suo marito. Se
così è, perchè non trasportarle all'Abbazia di
Westminster e così esaudire il desiderio del poeta
morente di essere deposto nella stessa tomba con
la sua moglie?
« Le autorità italiane aiuterebbero certa-
mente un sentimento cosi naturale di inglese
pietà, e una debita e gloriosa addizione sarebbe
fatta alle tombe dei nostri poeti. »
Infatti Elisabetta Barrett Browning ha diritto
quanto Roberto Browning di riposare nel Pan-
theon Inglese. Essa è, dopo l'unica SatFo, la più
grande, anzi la sola veramente grande poetessa,
d'Inghilterra e del mondo.
{iSuova Autoìixj'ui, 1 gcijuaiu 18U0.)
54
AURORA LEIGH
POEMA DI ELISABETTA BARRET BROWNING
Rileggendo questo poema di Elisabetta Bar-
rett Browning, la più grande poetessa dell'età mo-
derna, anzi la sola veramente grande dopo l'unica
Saffo, e sola paragonabile ai più insigni poeti;
rileggendo, dico, questo libro nel quale la più
schietta poesia dipinge anclie le umili realtà della
vita, senza falsarle trasfigurandole, e senza mai
divenire volgare; questo poema nel quale la vita
contemporanea è rappresentata in tutte le sue e-
spressioni, dove il dialogo ha l'arguta finezza di
Thackera^^ e la descrizione l'esattezza di Balzac,
e dove pur non è un verso che non rifletta un
raggio di poesia; ho creduto che un esame critico
di questo capolavoro potrebbe oggi riuscire at-
traente e opportuno: e a ciò mi ha anche confor-
tato il pensiero che su Aurora Leigli, poema di ar-
gomento in gran parte italiano e per i caratteri e
per il paesaggio, nessuno in Italia (che io sappia)
ha mai scritto un rigo; e non ne è stato tradotto
un sol verso.
AUROriA LEKill 5D
Comincio dunque, senza preoccupare il let-
tore con altre considerazioni, con l'analisi del
poema, traducendo via via, quasi letteralmente, i
gruppi di versi che mi sembrino più notevoli e
caratteristici. Esporrò quindi alcune mie riflessioni
ed osservazioni sull'autore e sull'opera : e il lettore
che avrà avuto almeno una pallida idea del poema,
potrà con cognizione di causa e con criterio pro-
prio, giudicare il libro e discuterne l'apprez-
zamento.
Aurora Leigh è nata a Firenze di padre
inglese e di madre italiana. La madre mori gio-
vanissima, e alla bambina mancaron cosi le prime
e più soavi carezze; le carezze materne. «Ah, il
mio cuore sentiva profondamente la mancanza
d'una madre, e mi trovavo nel mondo come un
agnello restato fuor dell'ovile, che bela lasciato
solo nel buio della notte; inquieta come un uc-
cellino abbandonato nel nido e che trema per
qualche cosa che non cajDÌsce ma che sente man-
cargli.... Io, Aurora Leigh, ero nata per rendere
più triste mio padre, e me non troppo lieta dav-
vero.... Le madri sole conoscono il modo di alle-
vare i bambini, hanno certe maniere semplici e
teneramente graziose di attaccare una cintura, di
accomodare delle scarpette, di trovare delle parole
adorabili che non sembran dir nulla, di metter
con un bacio un senso profondo in parole priv-
di senso. »
Aurora nella sua prima giovinezza resta eor
5G AURORA LEIGII
fana anche del padre, ed è mandata a vivere iu
casa di una zia, in Inghilterra. La giovinetta sente
questo improvviso e brusco passaggio dalla luce
italiana alla nebbia di Londra, con un senso di
vivo rammarico. « È questa, diceva, è questa l'In-
ghilterra del padre mio, la gloriosa e superba
isola? Ma è possibile vivere in queste squallide
case rosse involte nella nebbia e nella fuliggine?
A Londra il cielo stesso mi parve basso e positìuoj
come se si potesse toccar con la mano, tanto poco
somigliava al celeste cristallo del palazzo di
Dio.... »
Arriva alla casa paterna, ed è accolta con
calma benevolenza dalla buona e rigida zia: vero
tipo di vecchia zitella inglese, disegnato magi-
stralmente, ritratto fisico e morale che non si di-
mentica più. « Mi venne incontro calma e dritta,
vestita tutta di nero, a darmi la mano. La fronte
un po' angusta, i capelli strettamente raccolti,
quasi a reprimere ogni pericoloso capriccio del
pensiero; naso aguzzo ma di delicato profilo; una
bocca dalle labbra strette e sottili, con qualcosa
d'amaro agli angoli, quasi segno di amori non
corrisposti; occhi di nessun colore, che forse una
volta aveaii potuto sorridere, ma che mai, oh mai,
non si erano dimenticati in quel sorriso; guance
nelle quali era ancora una rosa di morte estati,
come una rosa in un libro, serbata più per pietà
che per piacere, che se non può più fiorire, non
può nemmeno appassire di più.... Tutta la sua
vita si era usata noiosamente, in occupazioni te-
AunonA i.Kiriii 57
diose e in virtà inutili; e simile a un uccello in
gabbia, nato in gabbia, e che s'immagini che l'ul-
timo termine della feliciiè ppr qualunque uccello
sia di saltare da una stecca all'altra e di beccar
tutti i giorni lo stesso miglio, essa non sospettava
neppure che l' esistenza umana potesse avere altro
modello o altra forma che la decenza sociale.... »
La vita che Aurora conduce in campagna, in
casa della zia, l'educazione e gli studi, i regola-
menti e i programmi, l'ordine monastico nella di-
visione e suddivisione delle ore, non spengono in
lei il nativo focolare di poesia e di entusiasmo.
Essa resiste a queste influenze deprimenti, grazie
alle sue continue relazioni con l'invisibile, con
l'ideale; e poi essa ama e ammira la natura; e in
ogni passeggiata campestre, in ogni mazzo di fiori,
in ogni bel tramonto, in ogni notte stellata, essa
trova una consolazione e una rivelazione. In quella
specie di convento protestante, essa riceve dalla
natura il calore necessario alla vita dell'intelletto
e del cuore; come la terra che anche dove son
tenebre sente nelle sue viscere il fuoco del sole, o
come il bambino che al buio trova con sicurezza
la mammella materna....
Romuey Leigh, cugino di Aurora, viene spesso
a farle visita e a discutere con la bella cugina di
argomenti scientifici o letterari, e più volentieri
di tesi' religiose e sociali. Ambedue hanno mente
e cuore elevati e passionati, ma vagheggiano am-
bedue un differente ideale, e mirano a un diverso
TjS aurora LEIGH
scopo nella vita. L'intimità giorn'^I^éra fa loro
meglio sentire le differenze che li separano.
Aurora è un poeta J':;i co. un artista entusiasta,
che ha gli occhi, oi all'oriente ed agli astri;
E-omney guar-vk alla terra, ai dolori ed al sangue,
alle plebi '^offrenti, alle iniquità impunite, ai de-
litti J^gali che affliggono e disonorano la società
umana. Egli vorrebbe riconciliare le classi ne-
miche, fare un apostolato di fraternità, di lavoro,
di pace: è insomma quel che i filistei chiamano
un pazzo, un utopista, una testa pericolosa. C'è
in lui un'eco di Saint-Simon, di Fourier, di La-
mennais e di Leroux.
Romne}^ chiede la mano di Aurora, ed essa
rifiuta. « Siate il mio sostegno, egli le dice, nella
lotta che imprendo a favor delle classi diseredate:
aiutatemi nella mia opera santa. » — « Ciò che voi
amate, o Romne}^, non è una donna, ma una cau-
sa. Avete già una moglie che amate, la vostra
teoria.... Io non sono abbastanza rassegnata per
diventare la cameriera di una sposa legittima.
Ho io forse l'aria di un'Agar? »
L'amore che sarebbe stato il conciliatore, il
divino dialettico di queste due nobili anime, è
bandito da un doppio concetto sofistico. Sbagliano
tutt'e due: e con che lunghe agonie espieranno
quest'errore fatale! Aurora non troverà mai né
schietta gioia né pace nei suoi entusiasmi egoi-
stici e solitari di pura artista, e il suo cuore si
consumerà nel culto di vane astrazioni, e di so-
vrumane affezioni. Invece di stendere le sue mani
AURORA li: 10 II 50
di donna e scaldarle al fuoco della vita comune,
essa non pensa che al fuoco di Prometeo o ai ba-
gliori lontani del fulmine. Vuole l'ideale, e lo di-
sdegna quando sotto forma reale le è al fianco.
Sorride sempre di ciò che sogna, e piange sempre
di ciò che possiede. Romney dal canto suo si ac-
corgerà a p:'oprie speie che la carità la quale si
limita a soddisfare i materiali bisogni e non vuol
guardare più in là, che non è guidata da uno
scopo superiore, merita appena il nome di virtù,
e può far male con intenzione di bene
La confessione d'amore è stata fatta in una
splendida giornata di giugno, quando la verde
campagna inglese è in tutta la sua freschezza e
in tutta la sua fragranza. Ma la ragione, o ciò che
essi chiamano cosi, parla più forte dei loro cuori.
Non si erano intesi finora, e non s'intendono in
questo momento supremo. Egli rimane triste, e
sembra provare un amaro compiacimento e fare
una indiretta vendetta, descrivendo alla bella idea-
lista i veri reali affanni, che piovono fitti e finora
inevitabili sulla povera società umana.... « Ma gli
uccelli cantavano fra le nuove foglie degli olmi,
e io arrestandomi e mostrando a dito tutta la pa-
storale campagna d'intorno, notai a Romney che
comunque andassero le cose, i merli e i rosignoli
cantavano ancora.... e come estatica dinanzi a
tanta bellezza, gli parlai con entusiasmo della
circostante campagna — e tutto ebbe allora un
inno dalle mie labbra: il cielo, le nuvole, i campi, le
felici violette ohe rifuggono dai battuti sentieri,
co AURORA LEIGII
le pratoliue che vi si affollano a spiegare il loro
vivo oro, le siepi intricate dove le vacche frugano
con corna impazienti, e con mansuete bocche ru-
minano fra i rami stillanti; giardini fioriti e vi-
venti, popolati di uccelli e di grandi farfalle bianche
che sembrano fiori di maggio volanti e palpitanti
nell'aria: colline, valli, boschi velati da argenteo
vapore, ville, cascine sparse tra '1 verde; e mandre
pascenti nelle irrigue vallate, e strisele sottili di
fumo salenti dalle capanne dei boschi, e odore
diffuso dagli orti, e fragranze spiranti dai po-
mari.... Guardate, gli gridai, come tutto è bello e
non mi dite più che per i poveri non c'è altro al
mondo che disperazione e miseria. Guardate! e
saltando dove l'erba alta mi arrivava ai ginocchi,
battei le mani dall'allegrezza. »
E si separano apparentemente tranquilli: in
fondo tristi ambedue; e questa serena scena ru-
rale, questa felice campagna inglese, sarà poi ri-
cordata e meditata con rammarico e lagrime, sarà
rievocata da ambedue sotto il grigio cielo di Pa-
rigi, e fra i roseti di Bellosguardo. Quella cam-
pagna, in quella giornata di giugno, rimarrà
consacrata nella loro memoria come una specie
di Valchiusa, di Meillerie, o di Pamplemousse.
Cosi ambedue amando, ma preferendo qualche
altra cosa alla persona amata, ofifesero l'amore e
l'eterne sue leggi, e ambedue furon puniti.
La zia è morta, e Aurora prosegue la sua
chimera di viver sola e solamente per l'Arte. Ot-
AURORA LEIGII Ul
tiene mia certa celebrità letteraria ma a costo di
quali dolori, di quali sacrifizi, e a che prezzo pa-
gata! "Romney nelle tempeste della vita politica
e nelle lotte sociali, diventa oratore famoso, fonda
falansteri^ scrive opuscoli di battagliera filantropia;
ma le disillusioni non gli mancano, sente un
vuoto che nulla può riempire, è solo tra le folle
irrequiete di Parigi e di Londra.
Ma la condizione della povera Aurora è anche
più dolorosa. Lavorava, lavorava giorno e notte^
infaticabilmente, con una mano per i librai, con
l'altra per l'Arte e per sé. Imparò che in Lighil-
terra (e pur troppo, cara Aurora, anche in Italia
ed in Francia e in Germania nessuno può vivere
scrivendo versi degni di vita : talché serbando la
poesia come un lusso, consacrò gran parte del
giorno a scrivere in prosa per riviste e giornali.
Ma se lo scriver prosa l'annoia, nemmeno i versi
le sono sufficiente conforto; la donna piange nel-
l'artista; e le sfugge talora un grido dal cuore,
un grido femminino che arriva all'anima e strappa
le lacrime: — Mio Dio! mio Dio! o supremo artista,
che in compenso di tutte le maravigiiose bellezze
della tua opera non ci domandi che una parola,
che un nome — padre nostro! oh, tu solo sai
quanto sia terribile alle povere donne la solitu-
dine presso un focolare silenzioso nelle lunghe
sere d'inverno, quanto è amaro per noi sentir
l'eco lontana, troppo lontana, delle voci umane
che lodano i nostri scritti, il nostro vivo sentimento
dell'amore e l'abbondante passione del nostro cuore
0^ AlT.'irìA LEIGII
.di donna, del nostro cuore, die non potrebbe palpi-
tare nei nostri versi siccome fa, se non fosse anche
presente sulle nostre labbra prive di baci, e nei
nostri occhi bagnati di lacrime che nessuno ra-
sciuga, poiché non vi è alcuno vicino a noi che
ci domandi perchè son bagnati.... E-estar qui sola,
assisa presso uno scrittoio, e pensare per unica
consolazione, che in questa stessa sera degli
amanti fidanzati, leggendo in un medesimo libro,
appressando i lor volti, e attenti al palpito ed al
respiro l'uno dell'altro, leggeranno qualcuna delle
nostre pagine, e si fermeranno con un leggiero
fremito (come se le loro gote si fosser toccate)
quando qualche strofa rispondendo allo stato
della lor anima farà dir loro: « Cosi io sento per
te.... — Ed io per te. Oh, come questo poeta co-
nosce bene che cosa è amore! »
La Browning non è forse mai così gran poeta,
come quando si palesa cosi intensamente donna.
Lady Waldemar, donna di carattere passio-
nato e violento, di una tenace volontà, e di una
spaventosa indifferenza nella scelta dei mezzi per
arrivare al suo intento, s'innamora di Romney.
Tenta sulle prime di resistere alla invadente pas-
sione quando s'accorge che non è corrisposta; ma
invano. Xon le sfugge che ogni giorno più Romney
si affeziona a Marian Erle, una giovane popolana
da lui protetta e salvata dal doppio inferno della
corruzione e della miseria. Lady Waldemar riesce
ad avvicinare Aurora, appena sa che è cugina di
AURORA LKIGII 03
Eomney, e la fa confidente del suo amore e della
sua umiliazione. Un sentimento misto di sorpresa,
di dolore, di sospetto, di gelosia, tormenta il
cuore di Aurora. Vuol conoscere Marian. La va a
trovare: non può a meno di ammirarne la rara
bellezza, l'espressione affettuosa dello sguardo, la
malinconia dei rari sorrisi e la musicale dolcezza
della voce. Il primo incontro delle due donne è
di un effetto drammatico. Marian racconta ad
Aurora la dolorosa sua storia — tanto dolorosa,
che ciò che da altre infelici è riguardato con una
specie di terrore, lo spedale, per lei fu il solo luogo
di refugio, di riposo e di pace: un'ora di tregua
e di grazia dopo le spietate tempeste, dopo tanti
fisici e morali dolori.
Fu deposta allo spedale affranta dal dolore,
dalla stanchezza, dalla febbre — si addormentò
in un profondo e lungo letargo — e quando si
destò « quel luogo le j^arve nuovo e strano come
la morte. I bianchi stretti letti, accanto ad altri
stretti e bianchi, come tombe scavate l'una accanto
all'altra a misurate distanze; quelle persone tran-
quille che camminavano su e giù pei corridoi, par-
lando sotto voce e camminando adagio, e mostra-
vano, egual cura per tutti; l'ordine, il silenzio, la
regola, la stupefecero sulle prime. E quando una
mano gentile le porse una tazza, la prese quasi
devotamente, fra lo stupore e la commozione —
non essendo mai stata avvezza nemmeno a quel
simulacro d'amore che è la benignità e la dolcezza
dei modi. Delicate bevande, pane fino e bianco, a
04 AURORA LEIGIl
cui guardavano talvolta dagli altri letti occhi di
moribondi, la riebbero un poco. Essa giaceva là,
quieta, come in un sogno, e desiderava, nei mo-
menti in cui era più consapevole e desta, di non
guarir mai, se la malattia sola faceva mite e pie-
tosa la gente, l'ambiente tranquillo, e il cuore pa-
cificato. E allora richiudeva le palpebre, incrociava
le mani sul petto, e godeva, cosi distesa, di un
inefFabil riposo. »
Romney l'ama, propone sposarla; tutto è fis-
sato pel di delle nozze, e in quel giorno stesso
Mari ari fugge da Londra. Lady Waldemar è riu-
scita a persuadere all'infelice che Romney la
sposava per impegno, e che non sarebbe stato
mai felice con lei. Aurora e Marian s'incontrano
a Parigi, e di là Aurora scrive a Lady Waldemar
una terribile lettera, in cui ogni parola è un bot-
tone di fuoco. Prende con se la credula e generosa
Marian Erle, e torna in Italia, a Firenze, ad abi-
tare sui memori colli di Bellosguardo.
Là risente la benefica e calmante influenza
della campagna. Un fondo di poesia rurale, vir-
giliana e v^ordsworthiana, consacra le pagine di
Aurora Leigh.
— « Ripresi il tenore di vita degli antichi
miei giorni, con tutti i loro toscani piaceri ormai
usati e guasti; come un perduto volume lasciato
fra l'erba alta in una felice ora pomeridiana d'e-
state, che leggemmo in compagnia di un amico
diletto, e che ritroviamo in autunno, quando l'a-
mico è partito, l'erba falciata, cambiata la stagione.
AURORA I.FJCFI 05
e lo guardiamo attoniti e addolorati.... Riconobbi
gli uccelli vari di piume e di canto, e i vari insetti
che sembrano figli dei fiori ed emuli dei loro co-
lori; riconobbi l'alato insetto notturno dalle grigie
ali che sembran tanto pesargli, e le farfaìle dal-
l'ali azzurre macchiate di rossa brace che paiono
bruciare e forare l'aria là dove volano; le melo-
diose assiòle dal monotono lungo malinconico ge-
mito (se la musica avesse una nota soia, e fosse
triste, suonerebbe cosi); e il silenzioso turbinìo
dei pipistrelli che van disegnando nell'aria la
grande circonferenza di qualche invisibile cupola;
e i rosignoli che rapiscono in estasi i nostri cuori
e fanno della terra un soggiorno etereo e divino....
Le biscie innocenti, le rane dalla larga bocca, ru-
morose lodatrici dei loro stagni, le lucertole, verdi
lampi sulle muraglie, le quali se sedete immobile
e trattenete il respiro, vi fan l'onoro di prendervi
per una pietra, e vi guizzano familiarmente sui
piedi, guardandovi con quei loro occhi prodigiosi
in cosi piccole" teste... insomma tutti gli aspetti,
tutte le voci della natura, mi riparlarono ai sensi
ed all'anima. » —
Tristi ambedue, sopravviventi a si lunghe
prove, a si amare delusioni, affranti ma non sco-
raggiti, perchè in fondo dell'anima, e quasi senza
osar confessarselo, sempre amanti Romne}^ ed
x\urora s'incontrano, si parlano, si spiegano, si
amano, e la loro tarda felicità trabocca nelle cin-
quanta ultime pagine del poema in una vera estasi
Xencioni. — Safjiji critici di lai. in^lrsc. o
06 AUI'.OIIA LLIGII
lirica. Sul valore supremo di quest'ultima parte
del libro i critici più severi d'IngLilteira e di
America non liarno che parole di entusiasmo. Un
insigne critico francese, il Monlégut, di.?se che sor-
passano in accento passionato tutto quel che è
stato scritto dopo la morte di Byron. Leigh Hunt
le dichiarò pubblicamente pagine uniche, stupende,
immortali. Il Rossetti scrisse: non vi è nulla di
superiore alla conclusione di Aurora Leigh. Il Taine
affermò che dopo venti letture la trovava sempre
più bella....
Ma è difficile darne un'idea esatta, con un
semplice estratto. Mi limito a tradurre gli ultimi
versi, là dove, confessato il mutuo amore e i reci-
proci errori, i due amanti confondono i loro baci
e le loro lacrime.
Ai rimproveri che Romne}^ fa a sé medesimo
di avere guardato la vita e la società soltanto dal
lato materiale e meccanico, di aver, troppo di-
menticato gli astri del cielo nella sua pietà per i
vermi della terra, Aurora risponde confessando di
aver errato anche più. « Voi volevate, gli dice,
salvare gli opjiressi e i soffrenti, redimer le plebi
con degli espedienti puramente mondani, e vedendo
solo la metà dei loro mali e dei loro bisogni; ma
senza mai occuparvi del vostro personale interesse.
Foste di una ammirabile abnegazione, e viveste
nella illusione del bene altrui, non nell'egoismo
dell'amor proprio. Ma io che vedevo la natura
umana nel suo duplice aspetto, comprendendo
anche l'anima, tradii l'arte per falso amore del-
AUROHA LFAClì G7
l'arte, e rovinai la mia vita, e avvelenai la vostra.
Sulle traccio di un orgoglioso ideale, dimenticai
che da una donna imperfetta non può sorgere ar-
tista perfetto. Come il fiore dalla radice, cosi Io
spirituale, nella vita e nell'arte, non può derivare
che dal naturale. La immagine di Dio fu fatta con
un pugno di terra: la povera, da me spregiata
terra, la salubre e odorifera terra, perdendo la
quale perdei il divino alito della ispirazione, il
soffio che crea, e l'arte vera. xHi, l'arte è molto,
ma l'amore è qualche cosa di più. L'arte simbo-
lizza il cielo, ma l'amore è Dio, e il cielo è crea-
tura di Dio. Ebbi il pazzo orgoglio di non volere
essere una donna come le altre, e ne fui punita.
Non volli essere la semplice donna che crede nel-
r amore, e ne riconosce i diritti, perchè ama, e
sapendosi amata, si sente felice: io volli discutere,
analizzare, ragionare l'amore, come una farfalla
che rifiutasse di volare e scaldarsi al sole, finché
non è la canicola.... Me sciagurata! il primo raggio
d'aprile mi parve troppo piccola e povera cosa,
ed ebbi invece le vampe micidiali e le sabbie aride
e brucianti del deserto. L'ho meritato, Romne}^,
l'ho meritato
Le lacrime mi velaron la vista e più non vedevo
il suo volto. Fui io che m'inclinai sul suo petto,
0 furon le sue braccia che mi ci strinsero? Le mie
gote eran calde e inondate dalle mie o dalle sue
lacrime? e quale dei nostri due cuori sussultava e
mi scuoteva cosi? Non lo so. Vi furon parole pro-
nunziate appena, come fuse nel fuoco.... un am-
08 Aun(^riA leigii
plesso convulso.... poi un bacio, lungo, silenzioso,
come quella estatica notte, e i due affannosi av-
vicinati respiri che dicevan più di quinto possan
mai dire le parole ed i baci
Come potrei io ora scriver qui ciò ch'egli mi
disse? Se un angelo ci parlasse nel tuono, se una
nube scendesse ad avvilupparci nel suo grembo,
potremmo noi ripetere quella voce o disegnar
quella forma? Il suo respiro, qui presso il mio
viso, confondeva le sue parole, eppur le faceva
più intense — come quando una folata di vento
piega in una stessa direzione le singole fiamme di
cento lampade, e le confonde in una sola grande
striscia di fuoco.... 0 dolcezza ineffabile! o tepide
aure su quella terrazza ov'ei mi parlava! o taciti
astri scintillanti sulle nostre teste, o luna d'oro
perfetta, o estasi della notte! 0 gran mistero di
amore, nel quale assorbiti, la perdita, l'afifanno,
le passate infedeltà, accrescevan l'ebbrezza! Mentre
noi sedevamo cosi, cosi accanto, che gli stessi miei
abiti parevano avere un fremito di elettrica vita,
e le mie guance divt. ntavano acc^-se, e j^oi palbde
al contatto dei miei capelli nei quali errava il suo
alito, — mi parca d'esser presa da una strana e
dolce vertigine; di sentire l'antica terra rotear
nello spazio, e lo stellato turbinio dei mondi on-
deggiarci attorno in audibili giri. »
Anche da questi pallidi ritiessi in prosa, il
lettore avrà indovinato l'altezza e la efficacia
poetica dell'originale. Dalle corde più personali e
AURORA LEIGIl (39
più intime del cuore umano, di rado, io credo, fu-
ron cavati si penetranti e sì magnifici accordi.
Questo cauto sublime di un gran cuore di donna
e d'artista, è modulato in uno stile poetico di un
genere nuovo, che il Taine defini felicemente ed
esattamente cosi: «un style d'espèce iinique, qui
est bien nioins un style qu'une notation^ la plus
hardie, la plus sincère, la plus fidèle, créée à cliaque
instant sur place et de toutes pièces, en sorte que
jamais on ne songe aux mots et que, directement
et comme face à face on voit toujours jaillir ]a
pensée vivante, avec ses palpitations, ses sursauts,
ses essors soudainement rabattus, ses coups d'aile
inouis, depnis le sarcasme et la familiarité du dialo-
gale jusqu'à l'extase: langage étrange, mais vrai ju-
sque dans ses moindres détails, seni capables de
traduire les liauts et les bas de la vie intérieure ». *
Ma la stessa Browning non sembra in questi
versi darci un'esatta idea del proprio stile poetico?
<' Non preoccuparsi troppo della forma, fidarsi allo
spirito, fidarvisi come fa la sovrana natura per
creare la forma, una forma che non è una prigione
ma un corpo; partir sempre dal didentro per
andare al difuori, e nella vita e nell'arte che è
l'espressione della vita. »
Con questo stile eminentemente moderno essa
espresse i sentimenti e gli aspetti della vita moderna.
Infatti ella diceva, e ripeteva spesso, che se v'è
posto per i poeti in questo nostro mondo cosi af-
^ Ta-IKe, Notes sur V Aìiyleterre,
70 ALROr.A LKIGH
follato, la sola opera efficace che posson tentare è
quella di descrivere la loro epoca, e non quella di
Carlomagno. Quest'epoca, che vive con una rapi-
dità vertiginosa di vita, epoca battagliera, febbri-
citante, avida di novità e di scienza, calcolatrice
e irrequieta, piena di aspirazioni e di contradizioni,
prodiga talora più passione e più entusiasmo fra
gli specchi dei suoi salotti, che i paladini e le dame
d'Arturo'e di Carlo a Camelot e Aquisgrana. Voltar
gli occhi con superbo disdegno dai nostri usi, dai
nostri mobili, dai nostri abiti neri e dalle vesti
delle nostre donne, per rimpiangere e descrivere
le antiche toghe e i pittoreschi velluti, è veramente
cosa insensata.
Quasi contemporaneamente ad Aurora Leigh^
si pubblicava Maud di Alfredo Tennj^son. Ed è
curioso a notarsi che nella pittura della vita mo-
derna, la poetessa ha osato infinitamente più del
poeta. Anche Maud è soggetto contemporaneo : ma
gli incidenti e i personaggi passano come ombre,
immersi in una vaporosa mezza-tinta, talché so-
migliano più a de' fantasmi che a creature viventi:
il ballo, il duello, la guerra di Crimea, le confes-
sioni, le conversazioni, tutto è accennato appena,
come un'eco lontana, e sembrano non essere che
un pretesto allo sfoggio, e alla splendida efflore-
scenza di canti lirici di ana divina bellezza, come
l'appello a jMaud dal giardino: « Come info the gar-
den^ Maud. »
La Browning invece ha affrontato diretta-
mente i più prosaici particolari, i più scabrosi in-
AURORA LKIGH 7i
ciclenti della vita moderna. Conversazione nei sa-
lotti e nei caffè, vita di spedale, tuguri di poveri,
lettere, toilettes^ programmi di studi, traversate di
mare, high li/e, ritratti e caricature, c'è di tutto
nel suo poema. Ciò che ella ha forse meglio rap-
presentato, dopo le tempeste e l'estasi dell'amore,
è la scena straziante della miseria in Londra; i
suoi poveri non son visti nei romanzi di Eugenio
Sue, o riprodotti da Dickens, ma son ritraiti fo-
tografiti dal vero. Mi basti rammentare la de-
scrizione dei poveri che accorrono alla chiesa ove
dovea celebrarsi il matrimonio di Eomney con
Marian. Non le sono paragonabili che le pagine
stupende di Hawthorne intitolate Outside glimpses
of Englìsh poverty^ e qualche pagina di Oliver Twist.
La Browning, come altri grandi artisti mo-
derni, ha ceduto al fascino che li attira a descri-
vere le bolge dell'inferno sociale: forse perchè
l'aspetto dei miserabili cenci e degli squallidi
tuguri può essere orribile ma non è mai volgare
o noioso, come invece lo è talora un aristocratico
salotto. Ecco perchè Hoffman, Sue, Hugo, Dickens,
Turghénieff, Gogol e tanti altri abbondano in de-
scrizioni di miserabili. Oltre una ragione demo-
cratica, vi è spesso un istinto artistico che li
guida.
Il difetto vero e grave di Aurora Leigh consiste
nella costruzione della favola: gli incidenti si in-
crocian troppo e hanno talora dell'inverosimile:
e qualche personaggio secondario ha un po' l'aria
di tipo convenzionale.
72 AURORA LEIGll
Anche nella bellissima ultima parte del poema
vi è una cosa che a me dispiace, e che potrà, credo,
piacere a pochi: ed è l'avere acciecato il perso-
naggio principale, per renderlo più interessante
ad Aurora e al lettore.... Si: quando Romney si
ripresenta ad Aurora è sempre giovane e bello,
ed esteriormente anche i suoi occhi sono immu-
tati; ma in realtà ha perduto la vista in non so
quale incendio, ov'ei salva, da vero filantropo,
parecchie vite. Ciò non aggiunge nulla alla bel-
lezza e all'interesse del poema, anzi gli nuoce,
mettendovi una leggera tinta di ridicolo e di me-
lodrammatico. E la trovata non è neppure origi-
nale, e ricorda troppo la catastrofe di Jane Eyre
e la cecità di Rochester. La vita aveva avuto ba-
stanti prove e disinganni e dolori per il povero
Romney, perchè ci fosse bisogno anche di torgli
la vista. E poi la pietà delle donne per i fisici do-
lori d'un uomo è assai più comune che quella pei
suoi dolori mentali e morali: talché la cecità di
Romney non aumenta ma scema l'effetto dram-
matico, nel bellissimo finale di Aurora Leigh.
Quali sono le principali caratteristiche della
poesia della Browning? Sopra tutte, la ispirazione
lirica. In questa, non ha chi la superi fra i contem-
poranei. E questo dono supremo che faceva dire a
Edgardo Poe: « She has done more in poetry than
any woman living or dead. » — Poi il patetico^
l'emozione, il dono delle lacrime; dono potente,
perchè vivifica e crea; dono oggi rarissimo e che
AURORA LKIGII /.j
il solo Michelet ebbe in grado egualmente eminente.
Terza, la sincei-ità: mai un effetto troppo cercato
e voluto, nulla da poeta dilettante, nulla di arti-
ficioso, nulla nemmeno di soverchiamente artistico
e che somigli a una ìnvasion cVatelier, che è il pec-
cato capitale della poesia contemporanea. Quarta,
la musica del verso. La Browning è il dolcissimo
e passionato violino della grande orchestra poetica
inglese. Essa ha l'istinto musicale in cosi alto
grado, che spesso, in grazia dell'effetto melodico,
sacrifica volentieri certe regole metriche ormai
consacrate dall'uso; accusa che Edgardo Poe le
ripetè con soverchia insistenza, e non giusta-
mente.
La nota poetica in cui essa è sovrana e solo
paragonabile a Saffo, è la nota amorosa. Bastereb-
bero i suoi Sonetti a provarlo — basterebbe anzi,
questo solo sonetto: « La prima volta ch'ei mi ba-
ciò, baciò soltanto le dita di questa mano con cui
ora scrivo: e da quel giorno parve divenire più
delicata e più bianca, restia ai saluti mondani,
pronta ai cenni delle cose celesti. Un anello di
ametista non potrei portarlo al dito più visibile
agli occhi miei di quel suo primo bacio. Il secondo
cercò la fronte, e mezzo si perse cadendo fra i miei
capelli. 0 dono supremo! questo fu il crisma d'a-
more che con santificante dolcezza precede la vera
ghirlanda d' amore. Il terzo fu deposto, perfetto,
sulla mia bocca, e fin d'allora, superba, potei
dire: 0 amor mio, mio veramente! »
Questo accento di penetrante emozione, para-
74 AUROUA LElGll
goiiabile all'effetto die produce il suoii dell' <^(r-
monica, si ritrova in molte altre poesie della
Brov/ning: in Lost Bower^ in Bertlia^ in Geraldine,
in Little Mattie, nei versi a Flush^ in Coioper''s grave,
e in quel Cvìj of the Children (Pianto dei fanciulli)
di cui il mio amico Chiarini ci ha regalata una
eccellente traduzione in versi.
Elisabetta Browning amò l'Italia come una
seconda patria, passò qua gran parte della sua
vita, qua morì e partecipò con simpatia di poeta
e di donna alle nostre patriottiche speranze, ai
nostri dolori, ai nostri lutti, ai nostri trionfi. Nel
suo poema Le finestre di casa Guidi {Casa Guidi s
Windows) vi è un accento così penetrante di en-
tusiasmo e di sdegno che ci ricorda le più ardenti
strofe del Berchet. Dalle finestre di casa Guiili
(via Maggio, in Firenze) essa avea visto sfilare la
processione del popolo esultante per le riforme
liberali, il 12 settembre 1847. Le grida, gl'inni, le
bandiere, le coccarde, i fiori, i baci di fratellanza,
le lacrime d'entusiasmo, di quella memoranda
giornata, durano immortali in quelle pagine. Dalla
finestra medesima essa vide poi nel 1819 passare
a ranghi serrati, col mirto al cimiero, gli austriaci
restauratori..,, e quel funebre giorno rivive nella
sua lugubre luce in questo poema.
In quella stessa casa Guidi la insigne poetessa
moriva nel 1861. Era nata nel 1809. Il municipio
fiorentino vi faceva porre questa iscrizione dettata
da Niccolò Tommaseo: Qui scrisse e morì — Elisa-
betta Bariìett BiiowNi]\G — che in cuore di donna
AL'nor.A LKKiJ! J ,j
conciliava — scienza di dotto e spirito di poeta — e
fece del suo verso aureo anrdlo — fra Italia e In-
(jliilterra. — Pone questa lapide — Firenze grata
— 1861.
Nell'agosto del 1859, il mio sguardo attonito
per giovanile entusiasmo di ammirazione^ (senti-
mento che mi onoro di conservare ora che il tempo
comincia a inargentarmi i capelli, e che spero di
portar meco intatto nel sepolcro), potè a suo agio
contemplare la simpatica figura della illustre
donna. Fu verso sera, nel giardino di villa Orr,
presso Siena. Delicatissima, e già malata di petto,
essa era in quell'ora vespertina tutta avvolta in
un ampio scialle di lana, bianco. Parlava poco,
ed a bassa voce. Di tratti non regolari: né potea
dirsi bella: ma un volto espjrimente e indimenti-
cabile. Bellissimi e abbondanti i capelli, che la-
sciava liberi e sciolti sulle pallide gote e pel collo.
Ma soprattutto mi colpi il suo sguardo ; quei suoi
grandi occhi neri non mi usciron più dalla
mente. Ci vidi la passione e la malinconia, le pro-
strazioni e r estasi che spirano nelle pagine di
Aurora Leigh.
Per nature cosi squisitamente sensibili, la vita
è sempre un calvario. E il problema della vita che
essa osò guardar faccia a faccia e rappresentare,
la lasciò vinta ed esausta. Essa sopravvisse di poco
alla pubblicazione del suo poema. Unire il profondo
conoscimento della natura, l'acuta percezione dei
terribili destini umani a uno spirito di inaltera-
bile serenità; conoscer gli uomini e non disperare, è
70 AURORA LEIGH
dato a pochi eroi dell'arte e dell'umanità. Fu dato
a Roberto Browning. Non fu concesso alla illu-
stre sua moglie. Egli appartiene alla fanjiglia di
Shakespeare; ed essa era della infelice e adorabil
famiglia dei Cowper e degli Shelley.
{Xuova Aiiloloyia^ 1 Mnggio 188 k)
/ /
EUPHORION
Atteso con impaziente curiosità è uscito ora in
luce Euphorioìì, ' nuovo libro dell' illustre scrittrice
inglese, che adottando il nome di Vernon Lee,
10 ha reso caro a quanti amano l'arte in In-
ghilterra e in Italia, Come delle due prece-
denti opere della stessa autrice, il Settecento e Bei-
caro, cosi anche di questa l' argomento è italiano.
11 simbolico titolo di Euphorion il figlio di Fausto
e di Elena, indica abbastanza il carattere e 1' in-
tendimento dei due nuovi volumi. Sono uno stu-
dio dello spirito e delle varie infi.uenz0 dell' anti-
chità e del medio evo sull'arte del Rinascimento.
La poesia, la pittura, la scultura, 1' amore, i
costumi, la vita italiana sono studiati con raro
acume d'indagini, sotto nuovi punti di vista: e
i Eupìiorion : being studies of the Antique and the
Mediaeval in theEenaissance, by Vernon Lee. 2 voi. London,
Fisher Unwin, 1884.
78 EL'PJIORION
se non sempre il lettore può trovarsi d' accordo
coi giudizi espressi dall'autore, è però sempre
costretto ad ammirare la finezza analitica, la vi-
vacità della rappresentazione, la singolare effica-
cia della parola vivente e coloritrice. Yernon
Lee, comò artista appartiene più alla scuola
critica francese che a quella inglese. Essa lia più
analogia, più affinità elettive col Taine e col Mi-
chelet, che con qualunque insigne critico inglese;
benché un accento Euskiniano vi si faccia tal-
volta sentire, malgrado l'autrice.... Come il Miche-
let, Vernon Lee ha la immaginazione simpatica,
la facoltà di rianimare e rievocare personaggi ed
epoche spente; di vivificare le più aride e astratte
teorie con la luce della poesia e col calore del-
l' entusiasmo. Pur nonostante l' Inglese si rivela
a ogni tratto, anche quando sostiene delle cause
che hanno aria di paradossi, nella logica e serrata
concatenazione degli argomenti, nello scrupolo
delle investigazioni, nella importanza data a espe-
rienze o imp)ressioni personali, nella solida archi-
tettura della composizione, e in una vena di umo-
rismo talora benigno e indulgente, talora caustico
ed aggressivo.
Eupliorion è il frutto di personali osserva-
zioni e esperienze più che il resultato di studi e
di letture: o, per meglio dire, si sente a ogni pa-
gina che nei gravi studi preparatori di questo
suo lavoro, l'autrice non ha mai abdicato la pro-
pria personalità, né dimenticato il proprio io e il
proprio libro nello studio dei libri degli altri.
KUPIIORION i[ì
Essa osserva i fenomeni psicologici o fisici, gli
oggetti naturali od artisti(3Ì, una storia cV amore
0 una tempesta, un ritratto di Raffaello o una
piena d' Arno, un fiore o una tragedia di Webster,
secondo i propri ocelli, il proprio sentimento, la
propria impressione; e secondo questa spregiudi-
cata impressione afferma o nega, esalta o con-
danna: anzi, più il giudizio ha apparentemente
1 aria di un paradosso più l'accento si fa assoluto,
dommatico, quasi imperativo.
Leggendo questo libro, ci par di ascoltare la
viva conversazione di una persona di rara e varia
coltura e di più raro ingegno, la quale sui più
diversi argomenti porta il calore di una profonda
convinzione e di una discussione animata, — si
tratti della Beatrice di Dante, o della Nencia di Lo-
renzo de'Medici, dei Dannati del Signorelli o degli
Amori di Tristano — dei Syrninetria prisca^ o dei
delitti del Valentino. Li tutte le questioni essa
porta quello stesso ardor di coscienza, quella
earnestness che avviva le pagine dei suoi primi
libri: ma oso dire che come in Etqyhorion risplen-
dono in più eminente grado gli ammirabili pregi
del Settecento e di Belcaro^ cosi ve ne riappariscono
anche i difetti. Ma il lettore non ha quasi tempo
e modo di accorgersene a prima impressione; una
maravigli osa comprensività estetica riunisce e fa
convergere a un punto centrale, a uno scopo de-
terminato, idee e fatti spesso d'ordine il più di-
verso. Il lettpre si sente affascinato, trascinato,
stavo per dire travolto, dalla piena onda incal-
80 EUPiionioN
zante degli argomenti, solidi o sofìstici, ma sem-
pre esposti in uno sfcile luminoso, pittoresco ed
irresistibile.
Sull'amore nel Medio Evo, sulla Poesia rusti-
cana. Yernon Lee ha scritte pagine degne di seria
attenzione, e le cui conclusioni a me sembrano,
come fra poco mostrerò, irrefutabili. Nelle pagine
su Symmetria prisca, in quelle sui Ritratti scolpiti
e dipinti, in quelle sulle tragedie inglesi d' argo-
mento italiano, fra tante cose vere, giuste, bene
osservate, benissimo dette, vi è qua e là conio
una preoccupazione di dir cose nuove o azzar-
date, e di dirle in tono di verità indiscutibili:
impressioni personali ci son date talvolta come
canoni estetici.
L'autrice ci fa troppo spesso rammentare
quel che ci aveva accennato essa stessa in Bei-
caro, cioè che l'uomo moderno sovraccarico di
eclettica coltura, saturato d'arte e di critica, di
misticismo e di naturalismo, di Hegelismo e di
Ruskinisnio, vuol troppo speculare, raffinare e
fantasticare, svisando con idee speciose e siste-
matiche le più vitali è semplici teorie estetiche,
e cercando lucciole a mezzogiorno.... studiando
insomma la Natura e l'Arte, non per la Natura
e l'Arte in se stesse, ma per quello che possono
suggerirci e sempre in vista di una conferenza da
tenere o di un libro da scrivere.
Le idee i.uove che sopra ogni soggetto espone
l'autrice di Eupìiorioa basterebbero a far la for-
tuna di dieci critici: son come i motivi nelle opere
EUPiionio.x 81
di Rossini; ve ne son troppi.... E appunto rj^ue-
st'abbondanza, questa pletora di poetiche imma-
gini e di nuove idee; gli improvvisi e inattesi
raffronti di nomi e di cose che l'autrice si piace
di combinare e far cozzare insieme per trarne
vive scintille; cpuesto aver troppe cose da dire, e
aver voglia e fretta di dirle tutte in una volta,
affollandole talora in un solo lungo periodo ma-
gnificamente architettato, sfolgorante di colori, e
di ardimenti; questa scherma dialettica, questa
ginnastica intellettuale, finiscono con affaticare e
confondere la mente del lettore. Non si può a
meno in certi momenti, di ripensare con desi-
derio alla cristallina limpidità di stile di un
Euskin, alla calma riflessiva e al lucido ordine
di un Pater.... ma in fondo abbiam torto di de-
siderare che Vernon Lee abbia delle qualità in-
compatibili con la sua nervosa e passionata in-
telligenza; come avremmo torto nel cercare la
calma idillica in Byron, o la passione in Words-
worth; o nel deplorare che la vite non produca
dei fichi, e che il fico non ci dia dei gra23poli
d'uva.
In ogni modo — e mi affretto a concludere
questa lisca preliminare di più o meno gravi cen-
sure — in ogni modo, ai lettori di gusto delicato
o severo, darà sui nervi l' abuso della descri-
zione questa esiziale e indistruttibile critto-
gama del campo letterario contemporaneo — la
quale ingombra anche molte pagine dei due vo-
lumi di Biiplìorion. Prese una ad una, queste de-
>.'ksciom. — iiugo^ critici di Utt. inrjlcse. G
82 ELTIIOP.ION
Scrizioni sou tutte notevoli, e alcune sono addi-
rittura stupende: ma generalmente né la loro
opportunità, né soprattutto la loro lunghezza, é
sempre giustificata. Per esempio, iu uno dei più
ammirabili scritti del primo volume, The Outdoor
Fo.dry. clie occupa solo cinquanta pagine, vi son
cinque o sei lunghe descrizioni. Si comincia con
una descrizione deli' inverno, bellissima, ma che
prende tre pagine e mezzo, poi vien la descri-
zione della coutadina fiorentina, poi della villa
fiorentina, della Nencia, della piena.... Si direbbe
che 1' autrice le ha preparate innanzi, ne ha una
collezione, e che le incastra all' occasione nel con-
testo del suo discorso.... ma il male è che qualche
volta il mosaico e l'intarsio si vede e si sente, e
qualche rara volta l' impazienza o la noia, queste
S3ntineìle del buon gusto, ne fanno avvertito il
lettore.
Lo studio sulla poesia campestre resta però,
nonostante la soverchia fronda descrittiva, uno
dei più notevoli nei due volumi. L' autrice si é
proposta di provare che fra i poeti del Rinasci-
mento il solo Lorenzo de' Medici osservò dal vero
e riprodusse con precisa ed efficace realtà gli
aspetti e la vita de' campi. Questo é il punto
centrale dello studio critico nel quale però la
questione del paesaggio nella poesia è magistral-
mente trattata. Notevoli le pagiue sulla scarsità
e quasi nessuna importanza del paesaggio nel-
r arte e nella poesia del medio evo — e sulla
EUPnonioN Ho
prepoucleranza assorbente del medesimo nelF arte
e nella poesia contemporanea. Notevoli e argute
quelle sui paesaggi conveuzionali, sulle architet-
ture e i maccliiìiismi campestri dei poeti del se-
colo XVI e XVII in Italia ed in Francia. I poeti
Elisabettiani e i poeti moderni, hanno osservata
e dipinta con amore e fedeltà la natura: i primi
trattenendosi volentieri a descriverla nei minuti
particolari, i secondi riproducendone di prefe-
renza i grandi spettacoli. Ma se Vernon Lee rende
ampia giustizia a Spenser e a Shakespeare, a
Shelley ed a Wordsworth — se nota con singo-
lare precisione il vario carattere del paesaggio
nei poeti italiani, e caratterizza felicemente la
poesia rusticana di Lorenzo de' Medici; non è
egualmente giusta con Dante, al quale, come pit-
tore della natura, sembra farci intendere die si
accorda e concede dalla buona volontà e dall'am-
mirazione del lettore più di quel che realmente
ei si meriti. Ne tutti sapran perdonarle in que-
sto studio sulla poesia campestre il non aver nep-
pur ricordato il nome di Rousseau, dal quale pure,
vogliasi o non vogliasi, deriva tutta la grande
scuola dei poeti e romanzieri paesisti moderni — e
al quale debbon pur molto gli Shelley ed i Byron.
Da G-oethe a Giorgio Sand, l' influenza più o
meno diretta di Rousseau non è mai interrotta.
Lorenzo de' Medici ci offre un fenomeno psi-
cologico e letterario singolarissimo. Questo grande
umanista, questo insigne platonico, questo pro-
tettore ed amico del Poliziano e del Ficino, è il
84 EUPIIORION
più realista e il più moderno dei poeti del Rina-
scimento. La Nencla e l' Ambra sono come foto-
grafie dal vero. Nessun' ombra di rettorica e di
convenzionale. Paragonato a quello di Lorenzo,
il paesaggio del Poliziano non è che una remini-
scenza classica, un mosaico di antiche pitture,
squisito, ma senza nessun carattere e verità lo-
cale, — un paesaggio visto nei libri più che in
campagna. Lorenzo non descrive che ciò che ha
visto e osservato, ciò che lo ha personalmente
colpito — sia il ballo di una contadina, 1' interno
di una osteria, la piena di un fiume, il lavoro di
un artigiano. Egli, come nota giustamente Ver-
non Lee, era attirato soprattutto da ciò che è più
opposto all' esteticismo accademico, virgiliano,
oraziano, o petrarchesco dei suoi contemporanei ;
egli è essenzialmente un realista, e tutti gli ef-
fetti che produce, la bellezza, il fascino, e la bru-
talità della sua opera, corrispondono alla bel-
lezza, al fascino o alla brutalità di cose osservate
9 reali. Invece di farsi greco, o romano, o medioe-
vale come i suoi contemporanei, preferiva di rap-
presentare i pensieri e i sentimenti vari e schietti
che osservava nella gente illetterata di Firenze,
o tra i contadini. Questo dotto, questo scettico,
questo despota, fu il solo poeta naturalista del
Quattrocento : egli ruppe V incanto mistico del
medio evo; egli interruppe l'eterno gorgheggio dei
rosignoli, gli eterni gigli e rose di aprile: cantò i
contadini tali quali sono, parlò di vanghe e di
zappe, di paretai e di vendemmie, di cieli autun-
KITIIORION ^5
iiali, di ghiacci e di alluvioni — e primo dij^inse,
e quasi trascrisse i veri asj^elti della campagna.
Nello studio snìV Italia dei Tragici Elisahettiani
è ammirabile l'abilità con cui Vernon Lee dà ap-
parenza di verità indiscutibile se non a un vero
paradosso, certo a una esagerazione. Essa j)arte da
un principio vero: cioè che AVebster, Tourneur, e
altri poeti drammatici inglesi, gente in cui il sen-
timento morale e puritano predominava quasi
naturalmente e per istinto di razza, udirono con
raccapriccio le storie orribili, i mostruosi delitti
dell'Italia del Rinascimento, e la loro immagina-
zione ne fu colpita più che da ogni spettacolo di
lusso elegante e magnifico, da bellezze di quadri
o di statue, da incanto di poemi e di romanzi, da
splendore di natura e d'arte italiana. Eran come
perseguitati dalla memoria di sì inandiLi delitti; e
tornati in patria, e ingigantendo in visioni j^oe-
tiche le tragiche realtà italiane, scrÌA^evano e da-
vano in spettacolo al pubblico inglese la Duchessa
di Malfi^^'Coroinhona^ Annabella^ Il Diavolo bianco, ecc.
Vernon Lee spiega benissimo perchè quei
poeti inglesi non videro che quel lato sinistro
dell'Italia del Cinquecento, ha ragione nel notare
che quei personaggi son tipi astratti di mostruosa
ferocia, meglio che viventi ritratti di Italiani —
ma ha torto, secondo me, quando cerca di trovare
una attenuante, una spiegazione alle infamie reali
di quell'epoca, e a farle passare come un naturale
svolgimento, come una storica necessità. — I per-
80 EUPllOllION
sonaggi di Webster son più bestiali che umani; e
Cesare Borgia era invece un bello elegante inge-
gnoso cavaliere; ammirava i bei quadri, gustava
i bei versi: e i ritratti italiani fatti da tragici in-
glesi son troppo foschi e unilaterali, cioè falsi e
sbagliati. — Verissimo: ma non cessa però di esser
vero che nonostante i loro modi di gentiluomo, i
loro gusti artistici del Rinascimento, e la splen-
dida decorazione dei loro abiti e dei loro palazzi,
quei Borgia, quegli Sforza, quei Baglioni, quei
Farnesi, quegli Estensi erano moralmente dei
mostri, capaci di tutti i mostruosi delitti raffigu-
rati nelle tragedie inglesi. Che la poesia e l'arte
italiana non li rappresentasse, che invece dipin-
gesse i giardini d'Alcina, e le Ninfe d'Arcadia,
che cosa prova? Yuol dire che il senso morale
era talmente intorpidito, che nemmeno i delitti
eccezionalmente feroci di quell'epoca splendida e
iniqua facevan più viva o durevole impressione.
Ma dall'apatia alla inconscienza ci corre! Jhe
great criminals of Italy (scrive Vernon Lee) icere
unconscioiis of being criminals.,.. Their times were
monstruous^ not tìiey.... The nation icas iinconscious
of being sinful. Gli individui dunque fanno il male
senza saperlo: la na?:ione peccava inconsciamente: il
male era deW epoca: ma che cos'è che dà il carat-
tere a un'epoca, se non i pensieri e le azioni de-
gl'individui e della società? Il tempo era mostruoso :
vuol dire dunque che esistevan dei mostri! negarne
l'esistenza sarebbe assurdo, scusarli un deplorevol
sofisma. Come! Essi erano inconscii di far male?
Eui'iioi;!ON 87
Il Valentino, Pier Luigi Farnese, Alessandro dei
Medici, Gian Paolo Baglioni, Francesco Cenci,
non sajjevano di commettere dei delitti? Quando
si stampava il Principe^ mancava ]a riflessione
del male? Il triplice delitto consumato sul vescovo
di Fano, le persone murate vive da Alessandro
dei Medici, i veleni e gli incesti dei Borgia, son
cose commesse ìLnconsciuusìijì...
Vernon Lee ci dice: «Il sentimento dell'as-
soluto potere e della impunità, insieme ai com-
pleto silenzio della coscienza nel pubblico può
far commettere a un uomo cose strane. Se Cesare
Borgia è padrone di tirare alle lepri ed ai daini,
perchè non tirerà egualmente su quei prigionieri?
Chi lo biasimerà? Chi glielo ^wh impedire? Se
aveva per amante og-ni donna che gli piaceva di
scegliere, perchè non anche la sua sorella?... »
Ma è appunto per questo percliè no? al quale
la loro coscienza tenebrosa non voleva rispondere,
per questa perversità diabolica di obbedire al cieco
istinto bestiale, che quei mostri eran mostri !
Webster condensò troppo esclusivamente in uno
stesso individuo istinti e atti mostruosi; esngerò
certo, ma non inventò nulla nelle sue orribili
rappresentazioni.
« Il solo dramma Elisabettiano, che fedelmente
rappresenta l'Italia del Rinascimento, è (secondo
Yernon Lee) la commedia di Shakespeare, di
Fletcher, di Ben Jonson e di Massinger: al Ri-
nascimento appartengono quelle serene e soleg-
giate figure di Porzia, Antonio, Graziano, Viola,
88 EUPIIORION
Petruccio, Almira.... Quelli orribili personaggi di
Webster e di Tourneur, quei Bracciano, Annabella,
Piero, Duchessa di Malli, son meri orrori fanta-
stici, e sono falsi. » — No; son veri i primi ritratti,
ma, se non esatti, son però somiglianti anche i
secondi. Gli uni e gli altri rappresentano un'epoca
dei più grandi contrasti: l'epoca in cui pensavano
e agivano Raffaello da Urbino e Pier Luigi Far-
nese, il Valentino e l'Ariosto, Michelangiolo e
l'Aretino.
E, a proposito di jMichelangiolo, basterebbe
eo'li solo a provare che la coscienza morale della
nazione non era spenta. Le tombe in San Lorenzo^
le pitture della Sistina sono un gemito e un fremito,
un grido e una protesta sublime. Egli sentì nella
grande e solitaria sua anima tutti i dolori, tutte
]e onte, tutte le tragiche disperazioni del suo temjDO.
Durante la funesta guerra della Lega, creò le Si-
bille e i Profeti, quelle teste minacciose, formida-
bili, illuminate come da una fornace interiore,
tutte esprimenti la rivolta e Tindignazione. quale
Michelangiolo dovè provarla in quel suo perfido
tempo di tradimenti e di stragi, di parricidi e
d'incesti, di veleni e di saccheggi, quando l'Italia
perdeva tuUo il suo sangue.... E dopo gli ultimi
aneliti della libertà fiorentina, scolpi la Adatte, la
tenebra invadente, e il pensoso Crepuscolo accanto,
per non disperare affatto e morire.
L'autrice concludendo il suo studio scrive, come .
per provare ]'à uìiconscioiisness dei grandi delinquenti
del secolo decìmosesto, che Lucrezia Borgia gustava
EUPiionioN 80
i sonetti del Bembo, e che VAmiìita e lo sdolcinato
Pasto)' fido eran lettura gradita del Farnesi, del-
l'i^ccoramboni e di Francesco Cenci. Ma il Cenci
non leggeva nulla, e pochissimo gli altri. La
Lucrezia, per colpevole che fosse, non va confusa
con quei mostri contemporanei, ed era veramente
di una rara coltura. Con T immaginarsi i Borgia,
i Baglioni, i Farnesi, ed i Cenci, attenti come
innocenti pastori d'Arcadia alle melliflue note di
madrigali e sonetti amorosi, si corre il rischio di
svisarne la vera fìsonomia assai più dei tragici
Elisabettiani, di farne dei personaggi paragona-
bili, in senso inverso, per barocca inverosimi-
glianza, ai sicari fiorentini del Dumas, e ai ban-
diti napoletani di Anna B-adclifìe.
Symmetrìa 7;>r/ò'ca, la perfezione della forma,
l'antica bellezza, ecco il sogno di tutti gii artisti
del Rinascimento, a dispetto dei diversi costumi,
della religione diversa. I busti, le statue scavate
aEomafuron rivelazioni che eccitarono imitazioni,
adorazioni, idolatrie. Questa ricerca della forma,
questo studio della Symmetria prisca in Italia, da
Masaccio a Kaifaello, è fatto da VernonLee in niodo
veramente magistrale. Tutto questo scritto è sa^^ien-
temente architettato e lucidamente sviluppato. I
vari tentativi, i diversi risultati nei vari artisti ita-
liani in questa incessante e inquieta ricerca della
perfezione plastica, le varie pietre miliari, di questa
ascensione, (se cosi deve chiamarsi) sono narrati
e descritti con evidenza ed efficacia singolare. Certe
90 ELTIIOniON
pagine, una volta lette non si possono più dimen-
ticare: per esempio il paragone delle pitture ita-
liane dove è il sentimento dell'antica forma, con
le pitture tedesche nella loro magra e penosa
realtà; la descrizione dei dipinti del Signorelli nel
Duomo d'Orvieto; l'effetto prodotto su tutti gli
artisti contemporanei dalla vista degli affreschi
di Michelangiolo nella Sistina; il sacro entusiasmo
dei vecchi maestri nella contemplazione di un
busto recentemente scavato. Vernon Lee ci mette
tutto sott'occhio, ci dà quasi l'impressione fisica
di ciò che racconta o descrive, con una straordi-
naria facoltà di rappresentazione.
Ma forse — almeno a me pare — essa vuol
provare troppo, e le obiezioni ricorrono, si affol-
lano nella mente del lettore. «L'antico, essa dice,
perfezionò l'arte del Rinascimento, non la cor-
ruppe. L'arte del Rinascimento cadde in vergo-
gnosa degradazione subito dopo il periodo della
sua trionfante unione con l'antico; e i grandi Dei
e Iddie di Raffaello, la raggiante Psiche della
Farnesina, sono troppo presto seguìói dall'Olimpo
di Giulio Romano, un Olimpo di cortigiane e di
acrobati.... L'arte antica non avrebbe potuto con-
durre a prematura morte l'arte del Rinascimento;
l'arte del Rinascimento decadde perchè era ma-
tura, e morì perchè avea vissuto. »
Non vi è, credo, bisogno di essere un Ruski-
niano, per sentire che c'è, per lo meno, dell'ec-
cessivo in queste affermazioni. Lo studio dell'an-
tico ebbe il suo bene e il suo male nell'arte
ELTIlOniON 91
italiana: e il l)ene e il male si contrabbilanciano
in modo che si possono addurre argomenti e per
provare che la perfezionò, e per provare che la
rovinò. Alle ragioni di Vernon Lee si possono
contrapporre i validi ed eloquenti argomenti del
Ruskin.
Se insigni artisti per due secoli interi pre-
pararono per diverse vie questo felice connubio
della pittura moderna con la symmetria prisca^ e
appena compiutosi con Raffaello il sospii\ato mi-
racolo, l'arte precipitò; bisogna pur dire che
un elemento di corruzione e di morte pur v'era
in questo supremo scopo dell' arte del Rina-
scimento.
La forma non è tutto nell'arte. È moltissimo,
ma non è tutto. Nel sorriso della Gioconda di
Leonardo, nello sguardo àoìV ignoto cavaliere di
Tiziano, nella luce d'oro liquido ond'è suffusa e
raggiante V Assunta^ nella celeste grazia adole-
scente di certe figure del Correggio, nelle tra-
giche attitudini delle fiere vergini di Michelan-
giolo, — senza uscire d'Italia e dall'epoca stessa
del Rinascimento trionfante e glorioso — non è
certo la symmetria prisca quel che più ammiriamo
e sentiamo.
E negli stessi predecessori dei sommi mae-
stri, nel Botticelli, nel Lippi, nel Perugino, vi
sono qualità essenziali che fanno la loro caratte-
ristica e la loro gloria, e che hanno poco o nulla
a vedere con la symmetria pìHsca. È la coscienza,
non la scienza — è il sentimento, la sincerità,
9!> EUPHORION
l'anima in una parola. È quel che Vernon Lee
stessa ammira nello stesso Raffaello più assai
delle sue ninfe e delle sue madonne: la verità.
Poche pagine dopo, l'autrice parlando dell'Urbi-
nate come ritrattista, dice: « In Raffaello ac-
canto all' eclettico idealista che combinò e bi-
lanciò la bellezza fino all'insipidità, c'è il più
terribile e inesorabilmente vero ritrattista che sia
stato mai. »
In fronte a questo suo discutibile ma ammi-
rabile scritto, l'autrice ha posto l'epitaffio del Pla-
tina a Leonardo da Vinci :
Mirator veterum, discipiilusque memor
Def'iiit milii Symmetria prisca. Peregi
Quod potili. Veniam da mihi, posteritas.
E i posteri han perdonato. Anzi. molti di que-
sti posteri, ripensando che anche senza sì/mmefria
prisca Leonardo potè dipingere il Cenacolo^ la Me-
dusa^ e la Gioconda^ si son rallegrati con lui di
quella mancanza (se c'era) come di una vera for-
tuna. O fellx culpa !
« Mentre il Hinascimento italiano ci dava nella
pittura l'equivalente di quel rigido idealismo dei
Greci, che non ammette nessuna riproduzione del
volgare e del brutto; nella scultura esso possedeva
l'equivalente di quel realismo di Velasquez che
può ricavare il bello dal brutto, come il chimico
estrae lo zucchero dal vetriolo. » Così Vernon Lee
nel suo studio sui Ritratti nel Rinascimento: stu-
KLPiionio.N 93
dio importantissimo, e notevole j^er novità e ori-
ginalità di vedute, e, benché forse un po' troppo
ingegnoso, sostanzialmente vero e su <j gestivo. È
questo, che io sappia, il primo studio veramente
serio e coscienzioso sui ritratti in scultura del Ei-
nascimento; sul realismo vivente, che giunge a
ottenere effetti quasi i leali, di alcuni busti in
terra cotta del Quattrocento. Basta qui in Firenze
visitare le sale di scultura toscana nei nostri Mu-
sei, per convincersi della verità di giudizi e di
descrizioni in queste pagine di Yernon Lee. Sugli
effetti di luce ottenuti in quei busti parlanti del
Quattrocento, dove i vecchi maestri sembrano
avere anticipato di due secoli gli effetti ottenuti
da Yelasquez e da Eembrandt, l'autrice ha finis-
sime osservazioni. Forse eccede nel dare suprema
importanza al posto dove dovea esser collocato il
busto o la statua — alla luce viva o crepuscolare
della chiesa o del palazzo — nel giudicare la ese-
cuzione artistica del ritratto. Non è solo un se-
greto di effetti di chiaroscuro e di ottica ciò che
fa parer belli certi ritratti in argilla o in marmo
di brutte e vecchie persone, E soprattutto la co-
scienziosa riproduzione delle forme, e l'aver colto
a volo e fermato nella materia lo spirito di una
individuale fisonomia.
Sul realismo schietto, efficace — quasi spie-
tato — di certi ritratti del grande idealista Raf-
faello, Vernon Lee si entusiasma in modo da ren-
derlo ingiusto coi ritratti di Yelasquez adi Tiziano.
Una delle caratteristiche di questa insigne scrit-
94 EUPIIORION
trice inglese è quella di non poter mai esaltare un
gran nome, senza deprimerne un altro. Perchè i ri-
tratti di Leone X e dei cardinali Rossi e De Medici
sono una vivente riproduzione, fisica e morale ad
un tempo, e di una spaventosa realtà, non mi
sembra però giusto l'aggiungere che, paragonati
a quei ritratti di Raffaello, i ritratti Veneziani
sono mere insincere^ enormously ideallzed pieces of
colour harmony, e che quelli di Velasquez sono
mere hints given rapidhj hy a sickened j>»aùtfer. Ma
come! i ritratti di Tiziano non sinceri? idealiz-
zate armonie di colore? Velasquez un 23Ìttore ma-
laticcio ? Ma vi sono, anche nella stessa galleria
dove si ammirano quei ritratti stupendi di Raf-
faello, ritratti di Tiziano ancor più stupendi, pur
guardando solo al realismo e alla riproduzione fe-
dele della natura. Tiziano, come giustamente os-
serva il Ruskin, vedeva in un colpo d'occhio l'in-
tera natura del personaggio che voleva ritrarre :
il difuori e il didentro : forma, colore, passione
e pensiero. Alcuni ritratti del Tiziano fanno quasi
paura, per la intensità di vita individuale che
esprimono. Non si regge alla lunga lo sguardo di
certi suoi personaggi.
E chi potrà mai dimenticare i ritratti di Ve-
lasquez che si vedono nel museo di Madrid ?
Vernon Lee ammira con ragione quella combina-
zione di bestiale e di maligno, di porco e di volpe,
di ferocia e di riserbo, che Raffaello ha inqua-
drata in una splendida armonia di seta scarlatta
e di raso cremisino, di purpureo velluto e di opaco
EUPHORION 05
bianco broccato, nei suoi ritratti. Ma anche il ri-
tratto di Innocenzo X del Velasquez, nella galleria
Doria a Roma, è vivente e ammirabile, è opera
di un pit'ore tutb'altro che sickened... Il Taine
lo chiama le chef-cVoeuvre entre tous les portralts.
Ammettiamo anche che questo elogio sia iperbo-
lico. Nonostante, resterà sempre un ammii'abile
capolavoro. Sopra una poltrona rossa, dinanzi a
una tenda rossa, sotto un manto rosso, con una
papalina rossa, si vede il rosso viso, la figure
(come dice il Taine) cVun pauvre niais^ cV un ctdstre
ìtsii. Avolr fait aoec cela untahleau^ et qiion n^oulUe
Ijlus !
— « Il medio evo feudale dette all'umanità
un amore più raffinato e spirituale, un amore
tutto cavalleria, fedeltà e adorazione, ma un amore
infuso del veleno dell'adulterio. Salvare le pure e
nobili porzioni di questo amore medievale, di-
venne la missione dei poeti toscani, di quella
strana scuola di amore platonico che nella sua
stessa amabilità può talvolta apparire sì. poco na-
turale e si sterile. Riducendo essi quest'amor me-
dievale a una pura passione intellettuale, cercando
nella donna soltanto la personiti.cazione delle loro
aspirazioni a un ideale di perfezione, essi cancel-
laron via quell'inveterata macchia dell'adulterio;
quadruplicarono l' intensità dell'elemento ideale ;
distillarono la vera essenza spirituale della pas-
sione poetica della quale sol poche goccie, anche
diluite dal Petrarca, bastarono, miste alla terrena
96 EUPHORION
passione dei seguenti poeti, per neutralizzarne
ogni basso ingrediente. E questa poesia che ha
sopravvissuto a ogni altra poesia del medio
evo, e parla ancora ai nostri cuori — questa
poesia toscana del secolo XIII ispirata da un
amore che soprattutto era un fervor d'immagi-
nazione, rimane concentrata nella Vita Kuova,
e vi resterà immortahnente come sovrana purifi-
catrice. »
Questa è la tesi che Vernon Lee ha preso a
svolgere nello scritto intitolato Amore medievale^
che è l'ultimo del suo nuovo libro. Ed Eujyhorion
non poteva concludersi meglio che con questo
studio critico dove tutto, pensieri e stile, la parte
storica e la immaginativa, l'ordine e la lucidezza,
la eloquenza della dimostrazione e la efEcacia del
colorito, i documenti e la poesia, l'argomenta-
zione e il sentimento — tutto concorre a dare al
lettore uno di quei rari godimenti spirituali in
cui r intelletto ed il cuore sono egualmente ap-
pagati. Credo di non esagerare affermando che le
pagine sulla Vita Nuova son le più belle, le più
giuste, le più eloquenti, che siano state scritte
fuori d'Italia su quel libro divino.
Notevoli son pur quelle sulla leggenda degli
adulteri amori medievali di Tristano e d'Isotta
— e specialmente quelle dove l'autrice ne esa-
mina il carattere di un interesse puramente psi-
cologico, e mostra che per trovare dei compagni
nella storia letteraria a quella vecchia leggenda
di Goffredo di Strasburgo, biogna traverssare
KUPIIORTON 1)7
tutto il medio evo, e venir diritti alla storia di
Clarissa e alla Nuova Eloisa.
Bisogna anche traversare senza fermarsi il
gran periodo della letteratura drammatica, percliè
anche in Shakespeare alla parte psicologica è
mista l'azione accidentale o fatale, il caso, l' in-
trigo, l'equivoco che guidano spesso gli eventi. Il
carattere di psicologica analisi, la illegittimità
dell'amore, e 1' ardore della passione egoistica,
ravvicinano le storie di Tristano e di Lancillotto
al romanzo moderno. Si direbbe che, attraverso
i secoli, Isotta e Ginevra danno la mano a Va-
lentina e a Fanny.
Ma dove l'autrice mostra un acume critico
anche più singolare, è quando ricerca ed espone
le ragioni per le quali l'amore adultero dei Min-
nesinger e dei trovadori, e quello sensuale dei
poeti siciliani, diventò fiamma di intenso ma
puro fuoco, una adorazione puramente ideale nei
lirici toscani del dugento, e nella Vita Nuova.
Insomma, io credo che questo scritto sarà
letto in Italia e in Inghilterra con generale am-
mirazione — ed è, secondo me, la vera gemma
di Eupìiorion. Ma anche negli altri studi di cui
non posso oggi discorrere, (la Scuola del Bojardo,
il Sacrifizio) vi sono pregi di prim'ordine benché
misti a qualche difetto. A tutti poi parrà evidente
e ammirabile la varietà e la estensione della
coltura, la pieghevolezza dello stile, mostrate dal-
l'autrice ne] trattare cosi diversi argomenti. A
noi Italiani resta poi un doppio debito di rico-
Nencioni. —Saggi critici di leti, inglese. 7
98 EUPiionioN
noscenza verso l' autrice di Euphorion, per aver
ora con questo suo nuovo lavoro illustrata per
la terza volta la storia letteraria ed artistica del
nostro paese. E i debiti di gratitudine che le-
gano l'Italia all' Inghilterra sono già molti; basta
ricordare oggi i uomi di Browning, di Ruskin,
del Symonds, del Pater e di Vernon Lee.
{Nuova Antologìa, 15 giugiio 1884.)
no
I POETI AMERICANI
Il primo riflesso di poesia americana venne
all'Europa nei Xatchez di Chateaubriand. Il nobile
e malinconico Renato prese letterariamente pos-
sesso del Nuovo Mondo, e potè dire : « le mie so-
litudini. » Primo vide e senti la poesia delle im-
mense praterie, dei mari df. verde^ dei fiumi-oceani,
delle foreste vergini, del gran fogliame americano
come dice Wliitman. Rousseau aveva descritto le
Alpi, Bernardin le ardenti isole indiane. Chateau-
briand dipinse per il primo l' immensità del de-
serto, la flora portentosa e le grandi voci e i grandi
silenzi della foresta transatlantica. Fu la sua im-
mortale conquista. Il Nuovo Mondo dette sfolgo-
ranti colori e ineffabili armonie alla sua prosa
poetica, e servi di splendido fondo agli amori
verginali di Atala e alle aristocratiche malinco-
nie di René.
Un' eco anche più genuina della natura ame-
ricana ci venne poi nei romanzi di Cooper. E più
iOO I POETI AMERICANI
recentemente si crede da moltissimi di conoscer
l'America, leggendo il più europeo dei poeti ame-
ricani, il Longfeliow. Ma egli rappresenta assai
più la veccliia letteratura feudale, che 1' audace,
nuova e democratica letteratura americana. Nei
suoi lavori più pregiati, ricorda quasi sempre mo-
delli tedescLi o spaglinoli: le sue ballate più po-
polari sono echi, più o meno felici, di Uhland, di
Novalis, di E-iickert, di Heine, o del Romancero o
del Cancionero spagnuoli. I suoi teneri idilli, me-
ritamente ammirati, Evangelina e Mihs Standishy
sono filiazioni dirette della Luisa del Voss, e del-
l' Ermanno e Dorotea di Goethe. Xel poema Hiawa-
tha, il soggetto leggendario è americano, il color
locale è americano, ma nell'esecuzione vi è la cer-
cata e artificiale ndiveté dell'artista dilettante,
piuttosto che la naturale e schietta semplicità
del vero poeta creatore.
Il torto che molti poeti americani hanno co-
mune con Longfeliow è di rammentar troppo da
vicino l'arte anglo-germanica, invece di essere
specchio fedele della natura e della vita del Nuovo
Mondo. Nel suolo dei più stupendi materiali poe-
tici ancora vergini, si fanno troppe pallide copie
di poesie inglesi, tedesche e francesi, troppe bal-
late, troppi idilli, troppe elegie, troppe rime da
album. La poesia veramente americana, i veri echi
del Mississipì e del Missouri, della Virginia e del
Maryland, hanno qualche cosa di rude, di primi-
tivo, una. musica naturale e magnetica come quella
dei vasti laghi e del vento fra le liane, o impe-
I POETI AMERICANI 101
tiTOsa e violenta come quella delle grandi cate-
ratte assordanti. I poeti genuinamente americani
hanno tutti un carattere di personalità, di demo-
crazia, di originalità, e, strano a dirsi, di mistici-
smo. Un misticismo di nuovo genere, poetico e
positivo ad un tempo; qualche cosa di preciso, di
matematico anche nelle più strane visioni; un
po' di Legendre nei sogni di Swedenborg.... Mi
basti citare in prova i Racconti straordinari e il
Corvo di Edgardo Poe.
Quali son dunque i veri poeti americani? A
me sembran questi: Emerson, Edgardo Poe, Lo-
well, Bret Harte, Joaquin Miller e Walt Whit-
man. William Cullen Bryant, che alcuni critici
metton primo fra i poeti di America, ha un ma-
gnifico frasario classico, un fare largo e potente
come nei sublimi versi di Thanatojysis ; e talvolta,
come nella poesia descrittiva delle Prairies^ è emi-
nentemente americano. Il nobile e generoso Whit-
tier coi suoi ferventi entusiasmi per la causa
dell'umanità, le sue eroiche apostrofi contro la
schiavitù, la viva sensibilità e il dono delle lacrime,
ha caldi ammiratori e discepoli nel nuovo e nel
vecchio mondo. Ma anche questi due, come tanti
altri lodati poeti americani hanno spesso, e nel
concetto e nella forma, un carattere, un accento
troppo inglesi: spesso il vecchio meccanismo poe-
tico s' intravede nei loro canti — e qualche rara
volta anche la vecchia rettorica fa capolino.
V'ha di più. In tutta la lista dei suoi poeti
e dei suoi prosatori, finora l'America non ha avuto
102 1 POETI AMERICANI
un genio di prim' ordine, una voce degna di lei.
L' America ha una nobile schiera di poeti e di
romanzieri, di critici e di storici, di umoristi e di
pubblicisti — ma anche ai più insigni di essi
manca qualche cosa per meritare di esser messi
accanto ai veri geni completi ed indiscutibili. Nò
regge al paragone con la contemporanea Inghil-
terra. L' America non ha un poeta della forza e
della profondità di Roberto Browning, ne della
perfezione artistica di Alfredo Tennyson. Non ha
un lirico che possa competere per soffio d' ispira-
zione e per maravigliosi effetti musicali con Al-
gernon Swinburne. Non ha un pensatore come
Carlyle. Non ha un critico paragonabile al E-uskin.
Non ha un maestro del pianto e del riso come
Carlo Dickens, ne un umorista satirico della forza
di Thackeray, né un romanziere psicologo e na-
turalista che regga al confronto di Giorgio Eliot.
No; — né il Poe col suo istintivo e squisito
senso della forma, e con la originalità delle sue
intense visioni, delle sue dolorose allucinazioni —
né Hawthorne con 1' ammirabile e gemmea per-
fezione della sua prosa analitica, col profondo
scandaglio entro gli abissi del cuore umano, con
l'elegante e pessimista umorismo — né Longfel-
low, il fortunato Longfellow, con tutta la mora-
lità e popolarità dei suoi facili canti - né Emer-
son, né Brj^ant, né Prescott, possono emulare,
nonché superare, i grandi Inglesi contemporanei.
E fra questi, i due più genuinamente Ameri-
cani sono, a mio giudizio, Edgardo Poe e "Walt
I POETI AMERICANI 103
Whitman. D'indole affatto opposta, sembrali essere
veramente agli antipodi : ma gli accomuna una
stessa stupenda originalità, e una stessa mao-ne-
tica, inevitabile, incancellabile efficacia sull'animo
dei lettori.
« Qual malattia è paragonabile ììÌV alcool^ »
E questa la terribile parola con cui il Poe riepi-
logò le agonie della sua tragica vita. Provò tutto:
1' amore, 1' ambizione, la miseria, la prigione, lo
spedale, la gloria: soldato, commerciante, giorna-
lista, compendiò in trentasei anni la vita d'un
secolo, e moltiplicò le ebbrezze e gli spasimi, i
deliri e i singulti di questa vita paradisiaca e in-
fernale, con 1' abuso di bevande spiritose; quanto
e ])m di Teodoro Hoffmann.
Le jDoesie di Edgardo Poe rassomigliano a
certi fiori tropicali, larghi, lucidi, metallici, belli
ed orribili al tempo stesso, sfolgoranti e velenosi.
L' idea più malinconica, l' idea della morte^
diviene nelle poesie del Poe essenzialmente poe-
tica e patetica, perchè sempre unita all' idea della
bellezza (vedi il Corvo, Annahel Lee, For Annié). Lo
stile del Poe è ammirabile per la perfezione pla-
stica e per la cristallina trasparenza. Questo so-
gnatore aveva il sentimento della forma come un
Foscolo o un Keats. Ma in certe sottili oscilla-
zioni del pensiero, in certi accenti che posson
dirsi profeticamente moderni pensando all' epoca
in cui furono espressi, in certe ineffabili sfuma-
ture di colori e di suoni, nella curiosa felicitas
104 1 POETI AMERICANI
con la quale traduce sensazioni e sentimenti clie si
credevano inesprimibili, egli è fra i poeti ameri-
cani il solo paragonàbile al divino e unico
Shelley.
Nelle poesie di Edgardo Poe, e' è talvolta
qualche cosa di morboso, di languidamente au-
tunnale, quello che il Baudelaire chiamava la
'phosjjliorescence de la pourritiire^ quello che è sem-
pre, o quasi sempre, nei suoi Racconti straordina-
ri. Vi incontrate ogni tratto in visioni di una
bellezza e di una stranezza che hanno dell' ange-
lico e del diabolico. Vi sono paesaggi desolati,
umidi, rossastri, dove si respira un acre profumo
di fiori appassiti e di vergini morte. Vi son la-
crime isteriche di convalescente, che fanno male
al cuore, ma che non vengon dal cuore. E l' im-
pressione definitiva che prova il lettore somiglia
al fascino penoso e al turbamento di un incubo.
In che cosa dunque consiste 1' americanismo
di Edgardo Poe? Nel carattere di ardita investi-
gazione, nell'audacia delle ipotesi, nel profondo
senso scientifico che gli è compagno fin nelle più
strane allucinazioni, nella originalità della in-
venzione e final mente nell' odio del common place
e del filisteismo europeo.
Una difficoltà vinta e che pareva insupera-
bile, un enimma spiegato, una miracolosa sco-
perta di polizia, delitti senza nome, sensazioni
eccezionali e terribili, cadaveri galvanizzati che
parlano, di-'perate avventure aeree, tragiche ine-
splicabili antipatie, assurdità ragionate come tee-
I POETI A.MERICAM 105
remi geometrici, cuori sepolti che sussultano
sotto la sedia dell' assassino, corvi che gracidano
un terribile mai a ogni umana e divina speranza;
tali sono i racconti e tali le poesie di questo
grande e singolare ingegno.
E che dire dei suoi indimenticabili ritratti
di donne? Elena, Berenice, Ligeja, Eleonora, Bea-
trice? Esse sembrano respirare in un' atmosfera
carica di elettricismo, e ci sentiamo aifascinati a
guardarle per lunghe ore. Poi, chiuso il libro,
l'immagine ci resta vivente dinanzi. Quelle strane
e adorabili figure di donna ci appariscono come
delicati strumenti, traverso i quali il poeta vede
e ci rivela il mistico legame ohe unisce la natura
corporea alla spirituale. Gracili, nervose, sembran
soggette a condizioni di vita eccezionali: pare
che sentano l' impressione di agenti misteriosi,
non provata dal volgo degli uomini; e ce ne co-
municano in una corrente magnetica, la segreta,
dolorosa, irresistibile influenza. E i morti di Ed-
gardo Poe? Chi ha mai sorpreso e fotografato
come lui quel solenne carattere, quella trag'ca
intensità di espressione, quella nobiltà, che la
morte imprime sul volto anche degli esseri più
insignificanti e volgari ? lo sguardo vitreo che
fissa le regioni di un altro mondo, il sorriso o il
terrore supremo sigillati sulle labbra violacee dal
sacro dito della morte?...
Solo 1' autore di Amleto approfondi, quanto e
più di Edgardo Poe, il gran mistero della mor-
te. Quando il Poe parla di morenti o di morti,
106 1 POETI AMERICANI
trova, al pari di Shakespeare e di Pascal, l'espres-
sione che arriva all'anima come una lama di col-
tello; l'epiteto rivelatore, il verso che fa paura ...
Egli si era talmente identificato con l' idea di
morire che arrivò, con una realtà di fisica imma-
ginazione, a figurarsi già morto, par conservando
il pensiero e il sentimento di vivo. Uditelo :
« Grrazie al cielo, la crisi, il pericolo, è pas-
sato ; e la lenta malattia è cessata alla fine — e
la febbre chiamata Vivere è vinta alla fine...
« Mi sento malinconicamente esausto di forza,
ne muovo un sol muscolo, mentre giaccio cosT di-
steso — ma non importa — sento che sto meglio
alla fine.
« E riposo cosi tranquillamente, ora, nel mio
letto, che qualcuno guardandomi può anche so-
spettar eh' io sia morto — può riscuotersi a un
tratto, guardandomi, credendomi morto.
« I gemiti e i fremiti, i sospiri e i singhiozzi
sono ora acquietati con quell'orribile palpito al
cuore — ah ! quell'orribile, orribile palpito !...
« Il male, la nausea, la pjena spietata, sono
passate — con quella febbre che faceva impaz-
zare il mio cervello — con la febbre chiamata
Vita^ che ardeva nel mio cervello... »
Se il Poe ci apparisce talvolta un po' ricer-
cato e manierato nelle immagini e nell'espressione
è però sempre umano e sempre ideale. Egli è ve-
ramente padre incorrotto di corrotti figliuoli. Di-
scepoli n'ebbe, e molti, e più in Europa che in
1 POETI AMERICANI 107
America. Baudelaire, suo ammiratore e traduttore,
ne risentì la diretta influenza. Ma fra il maestro
e il discepolo vi sono essenziali, radicali differenze.
Il Baudelaire con la sua teoria della decadenza^
con le sue adorazioni di scheletri macabri e di
Veneri nere, è un sistematico cercatore dello strano
e dell' impossibile. Il delirio dei sensi sovrecci-
tati gli dà alla testa come un odore tro2)po forte.
I suoi Fleuvs diL Mal son fiori di cimitero, anzi di
carnaio.
La disperazione è l'ultima parola di quel tra-
gico volume. Sotto un certo aspetto, i Fleuvs du
Mal sono un libro di alta moralità, perchè vi è
la confessione sincera fino al cinismo e audace
fino alla bestemmia, delle inaudite torture ohe
inevitabilmente succedono, nèmesi inesorabile,
alle raffinate e colpevoli voluttà : i rimorsi, la
tristezza invincibile, gli acri e insaziabili desi-
deri, la gelosia furibonda, la noia feroce, tutti i
dolori e tutte le vergogne della sfrenata sensua-
lità. E un mazzo di fiori tropicali che dà le ver-
tigini : e il poeta a momenti ne è spaventato anche
lui; disgustato ne è sempre. La voluttà è diven-
tata crudele ; i baci vi son commisti alle lacrime
e al sangue...
I discepoli poi, i numerosi Baudeleriani, an-
darono anche più in là, senza avere gli insigni
pregi artistici del maestro. « On pétrarquisa sur
Vimmonde » : e non si volle sentir parlare né di
altra arte, ne d'altri argomenti. Ogni vino puro
e generoso parve insipido a stomachi guasti dal
108 I rOETI AMERICANI
fuoco liquido di micidiali liquori. IMa se il Bau-
delaire è condannabile in parte, e i Baudeleriani
lo sono in tutto, sarebbe solenne ingiustizia farne
risalire la colpa al nobile, umano e casto poeta,
Edgardo Poe.
Ralph AValdo Emerson, idealista e teosofo
che ricorda a un tempo Carlyle, Fichte e Saint-
Martin neir indole e nelle tendenze delle sue tra-
scendentali speculazioni, si serve del linguaggio
poetico per dar più nobile e memorabile forma
ai suoi concetti filosofici. L'arte viene in aiuto
alla scienza. Egli e Whitman hanno inaugurato
in America una scuola poetica che ha un fon-
damento scientifico. Più metafìsico Emerson —
e Whitman è più naturalista : ma in ambedue
la scienza come in Lucrezio, in Goethe ed in
Browning, è ispiratrice e regolatrice dell'artista;
e ambedue irridono con amara ironia le licenze
poetiche dei trovatori idillici e sentimentali. Fra
le più notevoli poesie filosofiche di Emerson basti
rQ^m.in.e\i\iQiVQ Astrea^Hamatreya^ n Anima del Mondo
e le Xote forestali.
Lowell è il più geniale dei poeti umoristi di
America. I suoi Biglow Papers scritti in dialetto
Yankee^ sono una sorgente fresca e perenne di
riso come, in altro genere, i Pìckioick Papers di
Dickens, o ili genere più somigliante, la Fudge
familij in Paris e le Rliymes on the Read di Tom
Moore. Ma né Dickens, né Moore, né Hood, col
quale pure il Lowell ha qualche analogia e come
1 PULTl AMERICANI 1 0!J
un'aria di famiglia, posson dirsi i modelli dell'u-
morista americano. No : i Biglow Papers sono
cosa eminentemeute nazionale ed americana ; e
a-^sicureranno fama durevole al Lowell assai più
delle sue poesie di argomento grave, descrittive o
elegiache. Lowell è nato umorista : lì è la sua
forza, e questo è il suo campo. Le Disgrazie del
signor Knot e il Credo di un pio editore, sono forse
le poesie umoristiche meglio riuscite di Lowell, e
ricordano al lettore italiano alcuni stupendi e vi-
venti capolavori satirici ed umoristici di Carlo
Porta. Invece le sue poesie serie, come quelle di
quasi tutti anche fra i più notevoli poeti ameri-
cani, derivan troppo direttamente dalla grande
scuola inglese . paiono echi più o meno felici di
AVordsAvorih, di Shelley, di Tennyson, della
Browning. Soliti argomenti idillici, elegiaci, o
puramente musicali. È quasi sempre poesia riflessa
e ispirazione imitativa. Si direbbe che essi hanno
poco o nulla da dirci di suo, e si contentano di
ripetere bene ciò che già fu detto benissimo nella
vecchia Inghilterra.
Bret Harte, Joaquin Miller, e sopratutto
Whitman, vanno esenti da questo difetto — e
sono genuinamente, e talora selvaggiamente ame-
ricani. Bret Harte è nome ormai notissimo ai
lettori europei ed è popolare anche nella nostra
Italia. Joaquin Miller di California, intrepido e
avventuroso viaggiatore dell'America centrale, ha
descritto e narrato in versi splendidamente colo-
riti, e con una energia veramente byroniana ciò
410 I POETI AMERICANI
che ha visto e provato. Chi può aver letto senza
ammirazione e senza fremiti il suo Arizonian ?
Di Walt Whitmau ebbi occasione di parlare
altra volta; e credo essere stato il primo a ricor-
dare il suo nome in Italia. Ma mi trattenni a
parlare di lui come poeta soldato e rivoluzionario
— e tradussi dai suoi canti guerreschi alcune
ammirabili strofe. Oggi torno a discorrere più
diffusamente del suo carattere poetico — del suo
modo di vedere e tradurre i grandi spettacoli
della natura e i grandi drammi della vita.
Il poeta Swinburne e il critico Rossetti hanno
di comune accordo proclamato Walt Whifcman
la più gran voce poetica dell'America. « Il più
grande, incomparabilmente il più grande, dei
poeti americani, e uno dei più grandi poeti vi-
venti in qualunque parte del mondo. » Cosi lo
definisce il Rossetti, autorevole e credibile giu-
dice di poesia. E lo paragona a un gigante che
non può arrestarsi alle minuzie descrittive, ma ha
in grado supremo la facoltà di vedere in grandi
masse la vita umana, e di comprendere nel suo
colpo d'occhio i più vasti e svariati panorami.
« È nato (dice) a scolpire le sfingi granitiche
dell' Egitto, non a cesellare l'oro e le gemme
greche. »
Durante la grande guerra di secessione^ Walt
Whitman ardente unionista, andò al campo come
infermiere e come corrispondente del New York
Times. Assistè nel lungo corso della terribile
1 POKTl AMERICANI 111
guerra molte migliaia di feriti. Onorato poi dal-
l'amicizia di Lincoln migliorò le sue condizioni
e potè coltivare la poesia con più calma, ed
eternare nelle sue pagine le varie potenti impres-
sioni, le passioni osservate e provate, i grandi
paesaggi traversati, le lotte titaniche di cui fu te-
stimone ed attore. Il Conway, un caldo ammira,-
tore di Wliitman, cosìjo descrive dopo una visita
fattagli a Long Island : « Il sole ardeva eccessi-
vamente : vidi sdraiato supino, e guardante fìsso
al terribile cielo di fuoco, l'uomo che io cercavo.
Con la sua tunica grigia, la camicia turchina, i
capelli grigio-ferro, la faccia abbronzata, e il collo
nudo, arso dal sole, disteso salTarido suolo, fra
l'erba secca, pareva una parte naturale del terreno,
tanto la generale intonazione era armonica. »
E tale è la sua poesia : è come una produzione
naturale , una emanazione di vitale energia ;
e non ha nulla di letterario e di artificiale.
E un audace novatore, e annunzia un nuovo
mondo poetico e la fine della vecchia poesia feu-
dale. Ma non è che un precursore, un indicatore,
un pioneer. Lo dice da sé in una bella poesia Ai
2)oeti futuri : « Io scrivo solo la parola indicante
il futuro : il di presente non può ca^^ire che cosa
vogliamo io e la Democrazia. »
L'uomo e il ]3oeta sono una cosa sola in Walt
Whitman. La sua poesia è la sua vita : la sua
vita è un genuino poema americano. Cinque sono
le sue opere poetiche più notevoli : 1 canti demo-
cratici — Leaves of grass (Foglie d'erba) — Drum
115 I POETI AMERICANI
Taps (Colpi di tamburo) — Song of Parting - e
"un volume intitolato dal suo proprio nome, perchè
tutto di poesie personali, Wali Wì/itnìan.
In questi volumi, non più amori romanzeschi,
elegie, ballate, leggende, romanze, sonetti e vi-
gnette, come nei libri di quelli eh' ei chiama ^/i-
stei^ menestrelli, e mezzani di rime; — ma l'uomo, e
l'uomo d'America, sano ed energico,' neìla sua
forte e rude attività primitiva, e i suoi colossali
ardimenti, e per paesaggio gli immensi panorami
del Nuovo Mondo. "Whitman ha soppresso la rima
e la metrica regolare, adottando un ritmo di
nuovo genere che è di una penetrante efficacia.
La sua strofa è un periodo poetico di una gran-
diosa e musicale struttura, in cui sembran risuo-
nare i selvaggi rumori delle foreste vergini, del
vento fra le liane, e delle grandi onde del Missis-
sipi e dell'Ohio.
L' idea umanitaria e democratica avea già
avuto potenti ed efficacissimi interpreti in Burns,
Schiller, Shelley, Mazzini, Victor Hugo, Heine,
Swinburne, che, per diverse vie e con diversi
mezzi, hanno aiutato il trionfo della moderna de-
mocrazia. Ma chi ha compreso più largamente
l'umanità tutta quanta, e intravisto con più fati-
dico sguardo i suoi futuri destini — il pioneer. il
profeta di una nuova società e di un'arte nuova
— il più audace e radicale poeta, esteticamente
e socialmente parlando, che abbia diretto alle
masse una parola di fuoco è Walt Whitman.
Il più gran poeta, il Dante del mondo mo-
I POETI AMERICANI 113
derno, sarà quello che dÌ2)ingerà nel più gran
numero possibile di rappresentazioni la Vita e
l'Uomo moderno, la democrazia cosmopolita che lo
caratterizza, e le sue titaniche audacie di inven-
tore e di -viaggiatore. Carattere della nuova poe-
sia sarà il movimento, l'azione, ]a formidabile
agitazione delle grandi moltitudini, gli sconfinati
e sublimi spettacoli della natura. Whitman ha
intravisto e indicato tutto ciò — ed è già molto.
E forse il vero sommo poeta moderno, poeta e ar-
tista completo, ci verrà dal Nuovo Mondo Ame-
ricano, dalla patria di Washington.
Wliitman ha tracciato, per dir cosi, il pro-
gramma della futura poesia umanitaria. Questa
poesia dipingerà con la stessa passione e con la
stessa realtà i grandi commerci e le Esposizioni
mondiali, le linee delle Ande, le tempeste del-
l'Atlantico e la flora portentosa dell' oceano In-
diano: descriverà con egual simpatia l'uomo di
Londra e il selvaggio della Groenlandia, l'Ate-
niese ed il Cafro: abbraccerà in una comprensione
veramente Cattolica tutti gli aspetti e tutte le
voci della Terra, tutte le storie e tutte le razze.
Letterariamente parlando, 1' opera poetica di
"Whitman ha gravi difetti: e in particolar modo
quello dell' agglomerazione, della nomenclatura
che spesso ci stanca o ci fa sorridere. Ma se tu
hai pazienza e seguiti a le g i-ere, adagio adagio,
ti senti attratto come da una forza magnetica :
vedi gli immensi panorami di America; ti senti
vivere della vita destinata naturalmente all' uo-
ISENCioxi. — Saggi critici di lett. inglese 8
114 I POETI AMERICANI
mo; dimentichi il personaggio artificiale, e ritorni
ai sentimenti patriarcali, primitivi, incancella-
bili. Non trovi mai nei volumi di AVhitman una
di quelle pitture da atelier con cui oggi gli scrit-
tori scimmiottan gli artisti ; ma sempre pitture
da poeta. Non ricorda nessuno; o se mai qualche
volta, Omero e la Bibbia.
La sua visione poetica è forse la più estesa
ed universale che abbia avuto alcun poeta mo-
derno. Si leggano in prova fra le sue poesie quelle
intitolate: Fogliame Americano^ V Inno funehre per
Lincoln^ e Salute al Mondo. In questa egli abbrac-
cia in una ardente simpatia umana tutta la Terra
e tutte le razze.
« — Che cosa vedi, o AValt AVhitman? Chi
son coloro che tu saluti e che 1' un dopo 1' altro
salutano te?
« — Io vedo un globo maraviglioso rotare
nell'aria. Ne veggo una parte addormentata nel-
1' ombra da un lato — dall' altro una parte illumi-
nata dal sole; e noto il curioso tacito alternarsi
della luce e dell' ombra.
« Veggo le grandi acque — e i picchi dei
monti: le sierre delle Ande, gli Imalaja, le Alpi
Stirie e le Carniche, i Pirenei, i Balcani, i Car-
pazi: le montagne della Luna: le montagne della
Neve: le rosse montagne del Madagascar, e il
lungo nastro delle Cordigliere , e sul mare, Ecla e
Vesuvio.
« Vedo i vasti deserti dell'America occiden-
I POETI AMERICANI 115
tale, e i deserti di Libia e d'Arabia: vedo le acu-
minate spaventose ghiacciaie Artiche e Antar-
tiche.
« Vedo gli oceani superiori e inferiori,
l'Atlantico e il Pacifico , il mare del Messico, il
mar del Brasile, il mar del Perù: le grandi acque
del Griappone, il mar della China, il blù-soleg-
giato Mediterraneo, il mare verde della Groen-
landia.
« Vedo i marinari di tutto il mondo: chi al
timone, chi alla bussola, chi in bonaccia, chi in
lotta con r uragano. Vedo le navi a vela e a va-
pore, quali raccolte nei porti, quiete, quali in
perpetuo moto sui flutti.
« Chi passa il Capo delle Tempeste, chi il
Capo Verde — questa gli stretti della Sonda,
quella il golfo del Messico.
« Alcune si fanno penosamente una strada
fra i ghiacci del Nord; altre scendono lungo
rObi e la Lena; altre fumano nei porti d'Au-
stralia, o a Val Paraiso, a Pio Janeiro, a Panama,
« Veggo le reti di tutte le ferrovie della terra,
che cementano Scato a Stato, città con città, tra-
verso l'America Settentrionale e V Europa.
« Vedo gli elettrici telegrafi, un aereo labi-
rinto di notizie di guerre, di morti, di perdite e
di guadagni, di dolori e di passioni umane.
« Vedo le città della Terra, e mi fo cittadino
di tutte : le città d'Aftrica e d'Asia, gli sciami di
116 1 POETI AMERICANI
Pekino, di Cantori, di Jeddo; il Turco che fuma
il suo oppio in Aleppo, e le folle variopinte e
pittoresche alle fiere di Khiva, ai mercati di
Herat.
« Vedo i vapori che esalano da inesplorate
contrade — veggo i tipi selvaggi, l'arco e la frec-
cia, la scheggia avvelenata, e il feticcio.
« Ecco 1' Uomo! — eccolo in tutte le prodi-
giose sue varietà. Vedo la serena fratellanza dei
filosofi, gli inventori pazienti, gli artisti, i legi-
slatori, gli agricoltori.
« Voi, dovunque siate, o fratelli!
« Voi figli d' Inghilterra, e voi potenti tribù
Slave! Voi dalla misteriosa origine, neri di pelle
e nobili anime, xlffricani dal cranio elegante e
dalle armoniche forme, o destinati a grandi cose,
0 miei eguali!
« Voi Norvegesi e Islandesi; voi Francesi e
Italiani; voi che bevete al Danubio; operai del
Tamigi e del Reno; bellissimi Persiani che po-
sati sulle vostre selle eleganti tirate con le frec-
cio al bersaglio, correndo; longanimi vaganti
Ebrei che aspettate in tutte le terre il Messia; e
voi abitanti delle innumerevoli isole degli Arci-
pelaghi — ■ salute a tutti, e dovunque, in nome
della mia America, non eccettuato nessuno!
« No nessuno! Voi Ottentotti dal gracidante
palato, orde dai capelli di lana, forme umane dal
profondo, triste, indimenticabile sguardo di bruto,
1 POETI AiMI'RlCANl 1 17
io non vi respingo, non rinnego la mia fratellanza
con voi!
« Voi j)Overi Koboo, spregiati e derisi, voi
aborigeni, ogni gioriìo più rari, delle colline del-
l'Oregon e della California; voi nani Kaintschat-
kan. Groenlandesi, Lapponi; tu negro di Austra-
lia, nudo, rossiccio, dai labbri sporgenti, che
strisci per terra in cerca di cibo: voi Cafri, voi
Sudanesi; tu inculto, indomito, fiero Beduino;
io non ho una parola contro di voi. Verrete
avanti quando sarà il vostro tempo. Salute al
Mondo! »
E come il poeta è orgoglioso di essere Ame-
ricano! In una sua bella poesia sul Eicevhnento
degli Ambasciatori Giapponesi in Nuova York, egli
esclama :
« 0 superba Manhattan! o camerati Ameri-
cani! alla fine, ecco, a noi viene l'Oriente.
« A noi, o mia città, a passeggiar per le no-
stre vie costeggiate dai grandi edifizi di marmo
e di ferro, vengono oggi i nostri Antipodi.
« Viene la sacra Originatrice, la terra del
Paradiso, la terra del Caucaso, il nido natalizio,
il nido delle lingue, la genitrice di poemi, la razza
primitiva dal florido sangue, pensosa, estatica nella
contemplazione, ardente di passioni, profuniata,
dagli ampli e fluttuaot' vestiti, col viso abbron-
zato, l'anima intensa, e gli occhi scintillanti la
razza di Brama viene a noi, o Americani! »
E con che passione egli l'ama, la sacra terra
dell'abbondanza e della libertà! Le due Ameri-
118 I POETI AMERICANI
che, Nord e Sud, sono egualmente esaltate nei
suoi entusiastici canti. Ma egli prova una specie
di nostalgia per il Sud; e non può starne lunga-
mente lontano.
« 0 magnetico Sud! o scintillante, profu-
mato Sud!
« O grandi e lenti fiumi scorrenti su sabbie
argentee per migliaia di miglia!
« Io torno in immaginazione nella Florida
dai trasparenti laghi, e riattraverso le antiche
dense foreste.
« Oh, le grandi piantagioni di cotone, i cam-
pi di riso e di zucchero! Il cactus custodito dalle
sue spine, e i grandi fiori bianchi e celesti!
« Le estensioni infinite, 1' abbondanza e il
deserto, i vecchi boschi carichi di misthtoe e di
pendenti liane!
« L'odore resinoso e il crepuscolo della foresta
— la sacra naturale quiete, i solenni silenzi!
« Oh, lo strano fascino di quasi ignote e
insuperabili paludi, infestate dai rettili, risuo-
nanti del muggito dei coccodrilli, dei lamenti
notturni del gufo e del gatto selvaggio — e del
terribile fruscio del serpente a sonagli ; dove solo
si arrischia col suo fucile il filibustiere, e na-
sconde la sua mobile capanna lo schiavo fug-
giasco....
« Voglio rivedere i campi di grano del Ten-
nessee — r alto grano di un verde lucente, dalle
lunghe foglie eleganti.
I POETI AMERICANI 119
« Voglio tornare al veccliio Tennessee, e non
lasciarlo mai più! »
Ma non si creda che "Walt Wliitmaii sia un
grande poeta paesista die poco osservi il dramma
e la realtà della vita. Le sue poesie di argomento
guerresco, i Drum Taps, ci mostrano fino a che
punto la fibra umana sia sensibile nel suo gene-
roso cuore di poeta. E mi piace tradurre e ripor-
tar qui alcune sue brevi poesie, nelle quali me-
glio si rivela il profondo sentimento umano che
informa e compenetra ogni sua pagina.
— Musica — « Vi ho udite, o solenni e dolci
canne dell' organo, quando domenica mattina at-
traversai la chiesa.
« Venti di autunno! Quando io passeggiavo
nel bosco, sull'imbrunire, ho sentito i vostri
lunghi sospiri, salienti in alto così dolorosa-
mente....
« Ho udito cantare all' Opera il perfetto te-
nore italiano ~ ho udito il soprano cantante in
mezzo al quartetto.
« Cuore del mio amore ! te pure ho sentita
mormorare sommessamente fra le tue dita presso
il mio viso.
« Ho sentito i tuoi polsi battere, nella gran
quiete notturna, sotto il mio orecchio. »
— A ìino che è presso a morire. — « Io ho un
messaggio per te: tu stai per morire. Lascia che
altri ti dica ciò che gli piace, io non posso pre-
120 1 POETI AMf:n!CAM
varicare, io sono esatto, io sono spietato; ma io ti
amo.... Non c'è rimedio per te.
« Io poso soavemente la mia destra su te —
appresso il mio volto al tuo, e non discuto — mi
assido quietamente al tuo fianco, e vi rimango
fedele. Io ti son più che guardiano, più che vi-
cino o parente.
« Il sole irrompe nella stanza; e forti pen-
sieri e gran confidenza tornano in te — e tu sor-
ridi! Dimentichi che sei malato — non vedi più
le medicine — non guardi agli amici che ti pian-
gono attorno....
« Ma io escludo ogni altro — e resto, io solo,
con te. Oh, non vi è nulla da commiserare o da
piangere.... Io mi congratulo teco. »
— La stanza mortuaria. — « Presso la porta
della casa mortuaria, oziosamente vagavo — quan-
d'ecco una forma rejetta, ecco che vi portano una
povera prostituta morta.
« Depongono il sao corpo, che nessuno re-
clama, lo depongono suU' umido ammattonato.
Depongono quel corpo che io non posso a meno
di fissare attentamente; quella casa già piena di
bellezza e di passioni che cos'è divenuta!...
« Non la rigidezza del cadavere, non l'acqua
che lo lava, non i miasmi che ne esalano, mi
fanno impressione....
« Ma la casa sola, la maravigliosa casa cor-
porea, quella delicata e bella struttura, quella
maraviglia, quella mina!
« Casa immortale più di tutti gli ordini ar-
1 POETI AMERlCAiM [:>[
chitettonici elevati dall'arte; più del Campidoglio
sormontato da marmoree figure; più di tutte le
guglie delle vecchie cattedrali!
« Questa piccola casa è più di loro; questa
povera infranta casa, bella e spaventosa ruina,
asilo di un'anima, ed anima essa pure!
« iSTon reclamato, evitato cadavere! jDrendi
nn sospiro dalle mie labbra tremanti di commo-
zione: prendi una lacrima, mentre ti. lascio, o
morta casa d'amore, di follia e di peccato! »
A questa ultima poesìa di una strana e pe-
netrante efficacia fa riscontro sul vecchio Conti-
nente, per la profonda pietà umana, la elegia di
Tommaso Hood sopra una jjovera e bella giovine
che si annegò nel Tamigi. Dopo il Canto della
Camìcia dello stesso autore, è forse la più com-
movente e realistica elegia del nostro tempo. È
intitolata: The Bridge of Siglis (Il Ponte dei Sospiri).
La traduco quasi letteralmente.
« Un'altra infelice stanca di respirare, fiera-
mente provata, è andata incontro alla morte!
« Sorreggetela pietosamente, alzatela con cau-
tela; così gracile, così giovane, e così bella!
« Il vestito le si attacca addosso come un su-
dario, l'acqua ne gronda da tutte le parti. Solle-
vatela senza repugnanza. amorevolmente.
« Non la toccate con disdegno o dis^^regio
— pensate di lei gentilmente, umanamente; non
alle sue macchie.... tutto quello che rimane ora
di lei è pura donna.
« Non fate severo scrutinio sulle sue ribel-
122 I POETI AMERICANI
lioni.... Pas-t-ato ogni disonore di colpa, la morte
ha lasciato in lei solo il bello.
« Qualunque siano stati gli errori di questa
figliuola di Eva, asciugate quelle sue povere lab-
bra che gemono un umore viscoso....
« Rialzate le sue trecce, sfuggite dal pettine,
le sue belle trecce castagne, mentre ci domandiamo
con maraviglia: — Dove stava di casa?
« Chi è suo padre? Chi è sua madre? Ha una
sorella? un fratello? 0 vi è una persona anche
più cara, a lei più strettamente vicina? —
« Ohimè, com'è rara la cristiana carità sotto
il sole! 0 miseria! In una popolosa intera città,
essa non aveva un ricovero.
« Sorella, fratelli, padre, madre, avean cam-
biato di sentimenti per lei. L'amore, per crudeli
prove e realtà, era precipitato dalla sua altezza:
anche la provvidenza di Dio le parve allontanarsi
e mancarle.
« Là dove la linea dei lampioni si allunga
scintillando sul fiume, e tanti lumi splendono da
tutti i piani delle case, essa ristette come istupi-
dita, senz'asilo, di notte.
« 11 freddo vento di marzo la faceva tremare
e rabbrividire; ma non le buie arcate del ponte
e le nere onde correnti.... Pazza per le agonie
della vita, ^ avida di lanciarsi nel mistero della
morte, in qualunque modo, pur di uscire da questo
mondo,
« Si buttò giù, animosa, nel gonfio fiume che
rasentava la sponda.... 0 uomo dissoluto, figura-
I POETI AMERICANI 123
telo, pensaci, bagnati in quell'acqua, bevine ora,
se ti è possibile!
« Sorreggetela delicatamente, sollevatela con
cautela.... cosi gracile, cosi giovine, e cosi bella!
« Prima che le sue membra intirizziscano
troppo rigidamente, componetele con decenza,
con gentilezza: e quegli occhi, chiudeteli — que-
gli occhi bruttati di fango che fissano cosi sbar-
rati ed immobili, come quando disperati guarda-
rono per l'ultima volta nel tenebroso avvenire!
« Incrociate le sue mani umilmente sopra il
suo petto, come in una muta preghiera.
« E pur riconoscendo il suo fallo, lasciate con
dolce fiducia che dei suoi peccati sia giudice il
suo Salvatore. »
Se da questi esempi di pitture naturali, larghe
e potenti, di accenti umani e patetici, si torna col
pensiero alle condizioni attuali dell'Arte, non c'è
davvero da rallegrarsi o da insuperbire. Mai forse
il livello morale e intellettuale è sceso tanto basso
in Europa. Vi son dappertutto poche e tanto più
onorevoli eccezioni, lo so — ma, in generale, la
letteratura è oggi in bassissime acque. Pensate
alla pleiade di grandi nomi che vantava la Francia
della Restaurazione e del Governo di Luglio^ e pa-
ragonate coi nomi d'oggi !... Potete far lo stesso
per la Germania, per l'Italia, per l' Inghilterra.
Chi tiene ancora alto il vessillo dell'Arte sono i
vecchi, o i non più giovani.
Trionfa un' arte da orefici e da chincaglieri,
124 I POETI AMERICANI
un'arte bizantina, di decadenza avanzata: un'arte
atea, materialista, sensuale, egoista, da dilettanti.
Xel legger le pagine di certi romanzi, le strofe
di certe poesie, vien voglia di gridare col veccliio
re Lear : « Dammi o speziale, un'oncia di zibetto,
per profumare e puiificare la mia immagina-
zione! » vien voglia di spalancar la finestra e
respirare una boccata d'aria, come quando la
stanza è appestata dai fumi dell'alcool e del ta-
bacco.
■ Nei romanzo e nella lirica di moda, in Fran-
cia e in Italia, tutto si riduce oramai alla storia
di relazioni sensuali, o, per dir meglio, sessuali.
Con la scusa del realismo e del naturalismo,
si è soppresso sistematicamente, nelle riprodu-
zioni dal vero, un lato intiero e il più essenziale
delle cose e della vita. Sarebbe assurdo, lo so, il
chiedervi costante idealità o sentimentalità di
rappresentazione : ma siccome le figure nobili e
pure sono anch'esse una realtà, un fatto naturale
— noi chiediamo al vostro realismo, al vostro
naturalismo, di studiare almeno con egual cura, e
di rappresentarci anche quelle. Fate come Balzac
che lodate tanto e leggete poco. Dateci delle
Marneffe, sta bene : ma anche delle Eugenie
Grandet e delle Ursule Mirouet! accanto ai Gob-
seck e ai Vautrin, dipingeteci come Ini dei Bénassis
e dei Chesnel. La vostra non è una Comédie, ma una
Méaagerie humaine. Ricordatevi che Balzac e Tha-
ckeray, Roberto Browning e Giorgio Eliot, che
hanno dipinta la Vita e la Società in tutte le
I POETI AMI'RICAM 125
loro sterminate varietà, non hanno una sola pa-
gina pornogì'ajica come quelle che disonorano
quasi tutti i vostri volumi.
Né si adduca la specifica scusa dello speri-
mentalismo : parola che s'è imposta e ha fatto per
qualche anno una certa fortuna. Se per romanzo
sjyerimentale si intende appoggiato snlVesparienza
fatta su sé stesso o su gli altri — e mi pare che
quella parola non possa avere altro significato
-- allora non c'è di nuovo che la parola: la cosa
è vecchia quanto 7o»i Jones, Manon Lescaut, e
Adoljihe...
V'ha di più: il romanzo, in Francia e in
Italia, pare che abbia paura di descriverci l'amore
passione — o se lo fa, è sempre in modo, dirò
così, medicale : in uno stile fìsiologico-jDatologico.
Ma la ver'a passione è cosa spirituale nella sua
essenza. I libri, i romanzi che hanno immortal-
mente dipinto questo sentimento umano, son casti:
vedete Werther, Valentine, André, Adoìpjlie, Le Lijs
dans la Vallèe, The Mill on the Floss... E, per lo
meno, la passione è una grande attenuante : e ci
par tollerabile in Manon Lescaut ciò che ci rivolta
in Nana. Molto sarà perdonato ai romanzieri fu-
turi, se l'accento sincero, penetrante, irresistibile
della passione tornerà ad animare, a purificare,
e in certo modo, a consacrare i loro volumi.
Ai giovani poeti d' Italia e di Francia che si
ostinano nella monotona pittura di sensazioni
erotiche più che di sentimenti amorosi, vorrei ri-
cordare che in tutti questi poeti americani di cui
126 I POETI AMERICANI
ho parlato, cosi liberi di ogni pregiudizio lette-
rario, che nell'audacissimo Whitman, per esempio,
non v'è una sola pittura sensuale fatta con evi-
dente compiacimento : che Byron non è mai la-
scivo, neppure nel Don Giovanili : che non son iw.d
tali né Goethe, né Schiller, né Burns, né Shelley,
ne Keats, né Browning, né Tennyson, ne E,ii-
ckert, né Uhland, né Platen, né il Leopardi, né
Victor Hugo, né Lamartine. La musa del più
forte ed ardito fra i viventi poeti italiani, il
Carducci, è una musa casta. In Swinburne e in
Heine la nota esclusivamente erotica é rarissima.
Se Alfred de Musset ha qualche pecca pornogra-
fica, la compensa e cancella con le ardenti umane
lacrime delle Kotti^ con la pura divina elegia del
Souvenir^ coi patetici versi Alla Malihran.
La Vita é cosa seria, e di un profondo e ter-
ribile significato. L'Arte, specchio della Vita, è
sacra anch'essa e non si può, né si deve, tra-
scinarla nel fango.
(Nuova Antologia, 10 agosto 1885.)
157
I POETI INGLESI MODERNI
E I NUOVI CANTI DI MARY ROBINSON
Prima di esaminare i nuovi recenti volumi '
della giovine donna die rammenta all'Inghilterra
e all'Italia i sospiri melodici e gli accenti passio-
nati di Elisabetta Browning, diamo un rapido
sguardo alle vicende e alle condizioni della poesia
inglese moderna e contemporanea. Così intende-
remo meglio certe note caratteristiche della gio-
vine scuola il cui eclettismo fa ad un tempo la sua
forza e la sua debolezza.
Dopo la magnifica espansione di forza gio-
vanile e di vita pagana, e il lusso di colori che
dà le vertigini nei primi poeti del Einascimento
Elisabettiano; dopo la invenzione feconda, la pas-
sione tragica, la profonda contemplazione dei-
* The New Arcadia and other Poems, by Mary Eo-
Bixsox. London, Longmaii Green, 1836. —J.n Italian Garden.
A Book of Songs by Maky Robinson. London, Fisber Un-
win, 1886,
128 I POETI INGLESI MODERNI
l' uomo interiore, e le sfolgoranti visioni della
terra e del cielo che fanno unico Shakespeare;
dopo la elevazione morale, la biblica fantasia, e
il solenne ritmo sacerdotale di Milton — la poesia
inglese era discesa all'imitazione servile di anti-
chi modelli, alle fredde e compassate eleganze
di un' arte convenzionale. Ma al movimento in-
tellettuale e all'irresistibile impulso che vien
d' Alemagna nel presentimento del trionfo della
democrazia, all' appressarsi della grande rivolu-
zione, sorgono i nuovi poeti inglesi, psicologi, pas-
sionati, rivoluzionari e paesisti: i Cowper e i
Burns, i Coleridge e i Byron, gli Shelley ed i
Wordsworth.
Di Burns ha recentemente parlato ai lettori
della Nuova Antologia il mio amico Chiarini e
lo ha fatto da par suo, con tale competenza e
con tal perspicacia, che mi pare inutile aggiunger
verbo a ciò che egli ha detto cosi bene.
Quegli che ebbe maggiore influenza al suo
tempo non solo in patria, ma su tutta la lettera-
tura d'Europa fu Byron. I due che hanno eserci-
tato una influenza lenta ma crescente, feconda e
durevole sulla poesia del loro paese, sono Words-
worth e Shelley.
Byron nato con ingegno piuttosto unico che
raro, servo e vittima delle sue indomate passioni,
è forse il più subiettivo di tutti i poeti. Come l'Al-
fieri, non intese e non rese che se; Byron Aroldo^
Byron Lara, Byron Manfredo, Byron Don Gio-
vanni, ecc. Originale sempre, e sempre sincero
E I MOVI CANTI DI MARY RODINSON \'l'.)
anche nelle monotone pitture delle sue tempeste
interiori, misantropo e violento; poi tenero, soave
e patetico, la sua poesia è un'azione continua, una
vera epopea individuale.
Byron (eccetto nel Don Giovanili ove trovò
una forma sua propria e maravigiiosa) è dal Iato
del ritmo e della forma tanto deficiente quanto il
Coleridge, lo Shelley e il Keats son mirabili :
molte sue novelle in verso son veramente roba
a effetto teatrale, e had stuff : le sue tragedie sto-
riche son peggio che mediocri, e notevoli solo
per il lirismo di qualche monologo. Ma il Prigio-
niero di Cliillon e il Mazeppa son pitture sovrane ;
ma il terzo e il quarto canto dCAroldo^ il Man-
fredo^ la scena aerea del Caino^ e soprattutto i
primi canti del Don Giovanni sono creazioni stu-
pende ; ma la eloquenza di Bj^ron come poeta del
dolore è la più magnifica e irresistibile che siasi
mai udita in verso ; ma l'onnipotenza della sua
satira e il sibilo terribile delle sue frecce d'oro
durerà imperituro gastigo degli ipocriti e dei
pedanti.
E un fenomeno degno di studio il termometro
della fama di Byron in Inghilterra dal venticin-
que all'ottantacinque. Nei, primi anni dopo la sua
morte, la fama del nobile poeta si mantenne qual
era durante la vita di lui, cioè immensa, inconte-
stata. Dal Goethe all'infimo giornalista era un
coro di ammirazione. Ma nel trenta già si comin-
ciava a prender sul serio i pensosi idilli di Words-
worth fino allora negletti o derisi, e i rari ma
Kexcioni. — Saggi critici di Ictt. inglese 0
130 1 POETI INGLESI MODERNI
eletti ammiratori di Shelley cominciavano a
levare la voce. Browning nel suo primo la-
voro, Paolina, già si dichiarava ardente ammi-
ratore del poeta di Beatrice e di Prometeo; e
l'apparire delle Prime Poesie di Tennyson (1830)
con la loro perfezione ritmica, il paesaggio stu-
diato dal vero, il ritorno ai semplici affetti do-
mestici, e alle leggende cavalleresche e religiose,
eccitarono prima la curiosità, poi l'entusiasmo,
e fecero ricercare, rileggere e ammirare quei
poeti che evidentemente avevan contribuito a
formare quello che allora si chiamò l'unico Ten-
nj'son. Allora il piccolo cerchio del devoti di
Wordsworth divenne legione ; e si rilessero con
crescente fervore le musicali e trascendentali
fantasie di Coleridge — e si ammirò la freschezza,
il colorito e il plastico del verso di Keats. L'am-
mirazione per lo Shelley diventò idolatria : fu
proclamato unico e divino, il poeta lirico per
eccellenza, il Singing God del mondo moderno. Il
solo paragonargli Byron parve una bestemmia
o una sciocchezza. Ma dopo il sessanta ci fu come
una reazione in favore di Byron. Euskin, Ar-
nold, Swinbunie cominciarono a gridare all' in-
giustizia : l'arte realistica si vantò di aver pre-
cursore l'autore di Beppo e del Don Giovanni;
e dopo una passeggiata di mezzo secolo tra i
fiorie gli ortaggi dell'eterno idillio Teimysoniano,
ci fu un ritorno alle audacie Byroniane. Swin-
burne ne sa qualche cosa...
Shelley, sublime utopista, visionario entu-
l'] I NUOVI CANTI DI MAIIV liOIÌLN.SON 1 tM
siasta, vagheggiò e adorò fin dall' infanzia un
mondo ideale e edennico; credè al trionfo imman-
cabile e definitivo di una religione d'Amore univer-
sale, di fraternità, di eguaglianza. Ma volendo, nella
sua commovente semplicità e sincerità; uniformare
alle sue idee la sua vita, passò d'errore in errore, di
dolore in dolore, ma sempre puro, sempre buono,
sempre grande e sempre infelice. L'arte fu la sua
unica consolazione," la natura il suo asilo. La
contemplazione delle sue visioni ideali, la con-
templazione dei grandi spettacoli naturali danno
alla sua poesia un accento primitivo, solenne. Le
realtà della vita sono (eccetto nei Cenci) assenti
dai suoi poemi. 3Ia chi meglio di lui ha mai di-
pinto l'eterne scene del cielo, della terra e del
mare? Esule, solitario, vivendo presso i laghi di
Svizzera o sulle rive de' nostri mari, presso
quelle acque eh' ei tanto amò, che descrisse sì
bene, e in cui dovea miseramente perire a tren-
t'anni, egli osservava e fantasticava per lunghe
ore ogni giorno, poi traduceva i suoi sogni uma-
nitari e le sue contemplazioni dell' universo in
versi sublimi. Deserti e montagne, vulcani e
tempeste, l'aurora e il tramonto, la neve e la
pioggia, la luna, le nubi, una stella, un fiore,
una lodola sono i suoi soggetti, anzi i suoi per-
sonaggi^ perchè tutto palpita e vìve e ha indi-
menticabile fisonomia nei versi di Shelley. Egli
ha la grande e serena malinconia dei con-
templatori filosofi, come ebbero Lucrezio e Spi-
noza, malinconia che poi si scalda^ si fonde e
132 I rOETI INGLESI MODERNI
s' irradia e sfolgora in ardenti sinfonie quando
prevede e dipinge il trionfo dell' umanità rige-
nerata. Metafìsico e idealista nel concetto, è co-
loritore e plastico nello stile e sa con immagini
sensibili rappresentare idee le più astratte. Come
Dante egli sa dar corpo alle sue stesse astrazioni,
e ovunque accenna mette la vita: indi la personi-
ficazione è la sua figura favorita, essa è per lui
quel eh' è la comparazione per Lamarfcine, e l'an-
titesi per Victor Hugo. Tale infine è la melodia
del verso di Slielle}', che i suoi stessi emuli e i
critici a lui più avversi, di comune accordo, lo
han proclamato il più armonico de' poeti. — Dopo
i suol sogni e dopo la natura, quel che Shelley
più amò fu l'Italia. Cantò le sue città e le sue
campagne, le sue glorie e le sue sventure, imprecò
ai suoi tiranni, profetò il suo avvenire. Qua visse
gli ultimi anni della breve e gloriosa sua vita, qua
cantò ipiù divini suoi canti, qua miseramente perì.
L'Italia che gli dovrebbe una statua od un libro,
appena lo conosce e le sue ceneri dormono sotto
la piramide di Cajo Cestio non lontano da quelle
terme di Caracalla, fra le cui pittoresche e gi-
gantesche rovine egli concepì e in gran parte
scrisse il Prometeo,
Un vincolo di antica e viva simpatia lette-
raria lega la nobile Inghilterra all' Italia.
Dal Milton al Swinburne, dal Childe Haróld
alle Finestre di Gasa Guidi^ da Uomini e Donne
di Browning a questo Giardino Italiano della Ro-
binson, è una tradizione non interrotta di poeti
E 1 NUOVI CANTI DI MARY ROBINSON Ì 33
che hanno fatto, secondo la efficace espressione
del Tommaseo, dei loro versi aureo anello fra, V In-
ghilterra e l'Italia.
Per Wordsworth (come poi per Fichte, Gian
Paolo e CarJyle) tutta la natura fu un simboli-
smo vivente, la sacra inconsutile veste della idea
divina ed egli si studiò di tradurne il recondito
significato morale. L' idea puritana di Dio e del
Dovere fa di lui un metafìsico e un mistico. È un
poeta filosofo: tanto che i suoi connazionali ci-
tano come libro di filosofia spirituale il volume dei
versi suoi. — Nessun poeta più educatore, nessuno
più elevato di lui, e in un certo senso, nessuno
più di lui democratico. Volle dipingere la vita
e la bellezza morale anche sotto apparenze vol-
gari; e i più umili personaggi e gli avvenimenti
più semplici e più ordinari gli sono ispirazione
e argomento. Nella forma fece una rivoluzione.
Abbandonò del tutto (Burns e in parte Cowper
avevano già dato 1' esempio) lo stile artificiale,
il frasario poetico consacrato, e preferi sempre
l'espressione naturale ed ingenua di un intimo
sentimento. Ottenne effetti potenti. Spesso con
un semplice epiteto vi fa pensare, vi com-
muove fino alle lagrime. I suoi paesaggi sono
d'una mirabile verità. Le sue ballate liriche, i
suoi idilli, i suoi sonetti, dopo avere eccitato
tante ire, e le tremende di Byron, finiron per
cattivarsi il cuore della nazione. AVordsworth
è il poeta prediletto della Gran Brettagna. Chi
\':Vi' i P0I':ti ungliìsi modehni
meglio di lui senti e tradusse in versi d'ineffabile
semplicità la vita dei. piccoli, dei disprezzati? Il
coraggio nella sventura di un vecchio pastore, la
nostalgia di una contadina messa a servizio in
città, e fatti simili sono i favoriti suoi temi. Ed
è spesso eloquente, d'una eloquenza solenne, pa-
triarcale, primitiva. Quando poi il poeta è com-
mosso, come alia fine del suo Old Cumherland
Beggar, il suo verso prende un'andatura più rapida
e quasi affannosa: sotto la calma del filosofo puri-
tano batte il cuore ardente d'un gran poeta, come
nel Manzoni, al quale sotto certi aspetti somiglia.
Semplicità, freschezza, fedeltà descrittiva, sensi-
bilità, immaginazione, elevazione sono le qualità
caratteristiche della sua poesia: e in generale
Lina pace serena, un' aura spirituale e benefica
spira da tutti i suoi versi. Egli è in tutto 1' op-
posto di Byron. Indi le invincibili antipatie, e le
ire famose.
Wordsworth e Shelley sono i veri padri della
poesia inglese contemporanea in due diverse cor-
renti. Dopo essi, quelli che esercitarono maggiore
e più durevole influenza sono Coleridge e Keats.
Byròn fece scuola in Europa, piuttosto che in
Inghilterra. Alfred de Musset, Enrico Heine, la
Sand, il Guerrazzi, il Mickievicz hanno del byro-
niano più di qualunque poeta britanno.
Quando già il paesaggio fedelmente inglese
e i pensosi idilli di AVordsworth, le sublimi ideali
creazioni e le musicali magnificenze di Shelle}^,
la melodia pittrice di Coleridge e i vivi colori
K 1 NUOVI CANTI DI MARY ROniNSON i:>D
e le forme perfette di Keats cominciavano ad
avere fra i giovani degli ammiratori ferventi —
e declinava rapidamente il grande astro della
poesia Byroniana — apparve sull' orizzonte la
limpida e magnetica stella di Tennyson. Il pub-
blico ancora stordito dalle clamorose apostrofi di
Manfredo e di Aroldo, dai canti guerrieri di
Walter Scott, dalle epopee mostruose diSoutlie}-;
ancora abbagliato dalle brillanti fantasmagorie
orientali di Tommaso Moore, era stanco di troppo
forti commozioni, di suoni troppo fragorosi, di
colori troppo vivaci. I due primi volumi di poesie
di Tennyson furono un'oasi, un riposo, una ri-
velazione. Mariana^ Claribel, la Lady of Shalott, la
Regina di Maggio, la Quercia parlante^ Dora, Sir
Galaad, furono pei lettori di quell'epoca come un
bagno riconfortante dopo una corsa sfrenata. La
squisita incantevole melodia del verso, la quiete
rurale e la verità del paesaggio, la varietà eclet-
tica degli argomenti sedussero irresistibilmente.
Nello stile aureo di Tennyson si videro espressi
e messi sotto simpatica luce i motivi poetici di
tutti i tempi. Le bellezze di tutti i paesi e di
tutti i secoli vi si videro rappresentate con eguale
amorosa cura, con una perfezione di forma che
talvolta può parere ricercatezza. Dalle lande pa-
ludose e desolate del Lincolnsliire ai giardini e
ai parchi lussureggianti, Tennyson dipinse con
fedele pennello tutti i paesaggi britannici. Leg-
gende cavalleresche, racconti di fate, eroi greci,
monache, santi, artisti, sultane e contadine rivi-
136 I POETI INGLESI MODERNI
vono in quei due volumi in una piacevole varietà
di magiche melodie e di miti colori. Né vi manca
l'accento vero della passione moderna. Il passio-
nato ma virile lamento di Locksley Hall preluse
ai pii gemiti di In Memoriam e ai desolati sin-
gulti di Jlaud.
Tommaso Hood è un umorista malato che in
tre 0 (quattro poesie toccò la fibra intima del
cuore umano più vivamente e più angosciosamente
di Tennyson. Lo spietato realismo del Ponte dei
Sospiri e del Canto della Camicia ci fa male al
cuore. Nel puro patetico non gli è superiore che
la Browning. Sulle labbra di Hood sembra errare
il sorriso del moribondo Molière che recita nel
Malato immaginario : egli ha il riso strano e ner-
voso che precede il singhiozzo nelle donne iste-
riche e nei febbricitanti. Ha come Dickens la vi-
sione rapida, inevitabile, intensa di situazioni o
grottesche o strazianti.
Di Elisabetta Browning il Poe, credibile giu-
dice, scrisse che « era incomparabilmente superiore
ad ogni poetessa vivente o morta. » E, il Poe aveva
mille volte ragione. Nessuna poetessa le è parago-
nabile in nessuna età e in nessun popolo. La ispira-
zione lirica, la sincerità, la passione, la musica del
verso son doti che essa possiede in grado supremo:
è ammirabile anche come paesista. Ma il suo
vero dono è il patetico^ facoltà onnipotente, e che
fra i moderni, soli Dickens e Michelet ebbero in
grado quasi eguale al suo. Alcuni suoi Sonetti, il
Lost Boioer, BertJia in the lane, il Pianto dei Barn-
E I NUOVI CANTI DI MAIJY ROBINSON \:\1
lini e le ultime pagine di Aurora Leitjìi bastano
luminosamente a provarlo.
Ma tutti questi poeti, e tanti altri insigni
neir Europa contemporanea, empiono il secolo
dei loro lamenti. La grandezza delle facoltà e la
intemperanza dei desideri! e delle aspirazioni ne
fa dei martiri piuttostochè dei sacerdoti dell'Arte.
Soli Wordsworth e Manzoni riescono ad acqui-
stare e mantenere una calma serena. Gli altri sono
più 0 meno desolati e intensamente subiettivi. 11
grande cataclisma della Rivoluzione e le sangui-
nose catastrofi del Consolato e àoiV Impero avevano
avvezzate le menti agli spettacoli tragici di inau-
dite vicende. La ribellione e l'audacia parvero
virtù anche nel mondo letterario. Chi non sentiva
in se ne indole ne forza a lottare, chiedeva di-
strazione ai sogni dorati della fantasia, o cercava
il fuoco sacro tra le rovine degli altari e pian-
geva. I poeti parvero dividersi in tre grandi ca-
tegorie : disperati, sognatori e gementi.
Dopo i tragici monologhi, le ardenti male-
dizioni e il riso amaro di Byron, le splendide e
generose utopie dello Shelley, il misticismo poe-
tico di AVordsworth, il paganesimo passionato di
Keats, i sogni vaporosi e iridati di Coleridge, e
l'epiche visioni di Southey — dopo il felice eclet-
tismo di Tennyson, e le magnetiche lacrime di
Elisabetta Browning — si aspettava il poeta che
dipingesse le realtà della vita intima ed esteriore,
Vuomo qual fu e qiial è nel tempo e nello spazio,
138 I POETI INGLESI MODEItNl
studiato con amore e inteso danna simpatia uni-
versale, simile a quella dello scienziato nella sua
obiettiva imparzialità, ma più delicata e più pro-
fonda ; il poeta che nelle indagini psicologiche
O nel dramma dell'anima non dimenticasse i co-
lori, i suoni e le forme ; ma le osservasse e le
traducesse in tutta la loro sterminata varietà —
che restando sempre poeta, fosse insieme scien-
ziato ed artista.
Questo poeta fu E/Oberlo Browning.'
Già in Paracelso pubblicato da lui a venti-
cinque anni sono in germe, e alcune già in splen-
dido fiore, le grandi qualità poetiche che poi si
svilupparono gloriosamente nelle sue opere suc-
cessive.
Questo profondo scrutatore e rivelatore dei
laberinti e degli abissi del cuore umano, non geme
e non dispera mai: ma conserva intatta, e in-
fonde nel lettore, l'energia eroica e il coraggio
della lotta e della vita. Ai malati di Byronismo o
di Leopardismo, nessun antidoto più efficace dello
studio di Goethe e di Browning.
• Fino dal 1844, dietro l' impulso dato dal
primo libro di Ruskin {Modem Painters), alcuni
giovani artisti vista la piaga del convenziona-
lismo accademico della pittura inglese, e persuasi
che questo moderno convenzionalismo risaliva al
^ Cfr. Roherio Brorvnincj ; 7>' anello e il libro; lì. Broic-
niiig e V Italia, saggi già pubblicati in questo volume.
E I NUOVI CANTI DI MARY ROniNSON 1 oO
meccanismo teatrale e al sontuoso barocchismo
in cui caLlde la grand'arfce italiana nella seconda
metà del Cinquecento — vollero tornare come a
correttivo e come a ispirazione pura e sincera
allo studio coscienzioso del vero e a quei maestri
fiorentini e veneziani del Trecento e del Quattro-
cento che più fedelmente e religiosamente osser-
varono e riprodussero la natura. Si volle la verità
innanzi tutto; anche nei soggetti di pura imma-
ginazione si cercò come elemento essenziale e ne-
cessario la verosimiglianza e la più scrupolosa
esattezza nei particolari. Fu un Rinascimento del
sentimento medievale cristiano in opposizione al
Rinascimento classico pagano. Ma il prerciffael-
lismo artistico inglese non va confuso, come da
taluno si è fatto, col Rinascimento medievale ger-
manico, col romanticismo poetico e artistico di
Tieck e di TJhland, dello Steinle e dell'Overbeck.
Né bisogna figurarsi i preraffaellisti inglesi come
tanti copiatori di madonne di Giotto e dell'An-
gelico, come ostinati riproduttori di Vergini magre
e bionde con un giglio in mano e una stella in
fronte... Pur troppo vi furono e vi sono delle
importanti mediocrità che s' inalzano sul piedi-
stallo della moda e si chiamano preraffaellisti^
estetici^ imjyressionistij e ci dipingono dei brutti
angioli e dei cieli apocalittici, come sessant'anni
fa avrebber dipinto sedie pompejane e Achilli con
le fedine...
Il preraffaellismo inglese fu la reazione di
giovani e coscienziosi artisti contro la pittura
MO I POETI INGLESI MODERNI
ufficiale d'accademia ; un ritorno, non per ispirito
di imitazione, ma per simpatia di intenti e di
metodo, all'arte fiorentina del Quattrocento. Fu,
in sostanza, una applicazione alle arti plastiche
di quella rivoluzione letteraria nella scelta degli
argomenti, di quel rinnovamento nel linguaggio
poetico, già felicemente eseguiti da Cowper, da
Burns, da AVordsworth, da Coleridge : e in parte
anche da Keats, dallo Scott e da Tennyson.
E come questi poeti ebbero un visibile ascen-
dente e dettero un irresistibile impulso alla gio-
vine scuola pittorica — così i preraffaellisti in-
fluirono dal canto loro sulla nuova scuola poetica
inglese. L'Arnold, il Morris, Dante Rossetti, Cri-
stina Rossetti, il Swinburne in alcune delle sue
prime poesie, e oggi la Robinson, tutti hanno
qualche relazione, tutti debbono qualche cosa ai
pittori preraffaellisti. I nuovi poeti fraternizza-
rono con gli artisti ; e ci fu come una gara fra
le penne e i pennelli. I soggetti delle vecchie
ballate inglesi e italiane tornaron di moda sulle
tele e nei versi. I poemi del Morris che cosa
sono se non grandi arazzi e affreschi italiani ? E
alcune delle prime canzoni e ballate del Swin-
burne non hanno la freschezza, il colorito, la
grazia e la idealità delle figure del Botticelli ? E
lei Blessed Damozel che Dante Rossetti rivede nella
profondità dell'etere azzurro chinarsi verso la
terra aspetta-i'iolo — la vergine soave dagli occhi
puri e profondi, dai folti e lunghi capelli « gialli
come spighe mature » — estatica di celeste sta-
E I NUOVI CANTI DI MARY ROBINSON '\A\
pere al primo ingresso nel Paradiso — con sette
stelle in fronte; e che ha per solo ornamento alla
sua bianca tunica di vergine e d'angelo una rosa
bianca, dono della Madonna — non pare una
figura dipinta su fondo d' oro dal Beato An-
gelico ?
Dante Rossetti è un mistico contemplatore
e adoratore della bellezza femminea — un du-
gentista italiano, nato, per capriccioso anacro-
nismo della sorte, a Londra, in pieno secolo de-
cimonono. Tutta la sua opera poetica deriva, in
linea retta, dalla Vita Xuoìxi. Questo divino fiore
venato di sangue, questa mistica Rosa imj^erlata
di lacrime ha lasciato un profumo in tutti i versi
del Rossetti. La bellezza corporea e spirituale
della donna è il motivo di tutte le armonie Ros-
settiane. L'anima è sempre visibile attraverso i
veli e la veste delle bellissime forme. Una luce
interiore illumina le membra perfette, e dà un si-
gnificato trascendentale agli sguardi profondi, agli
ineffabili sorrisi delle sue donne, cantate o di-
pinte. Ma forse il Rossetti è più grande come
poeta che come pittore. I centoquattro suoi So-
netti raccolti sotto il simbolico titolo di Casa di
Vita sono un poema d'amore le cui strofe sono
sonetti. È una Casa magica, dove giardini fioriti
e fragranti, e stanze silenziose e crepuscolari ;
fontane vive, sonanti tra '1 verde, e gemiti di
viole e liuti ; stoffe orientali damascate e gem-
mate, e profonde tristezze di vesti abbrunate e di
narcisi stillanti pianto; splendori raggianti e
l/i2 I rOETI INGLESI MODERNI
quiete solenne di mezzogiorno, e ultimi raggi d'oro
filtranti tra le foglie rosse dei boschi autunnali,
si alternano con incantevole successione. I versi
risuouano amorosamente coloriti e ritmicamente
perfetti, come diamanti e perle che rimbalzino su
lastre d'oro purissimo. Non vi è narrata una vera
storia d'amore : eppure vi è un seguito, un inte-
resse crescente negli adorabili episodi psicologici
di questi Sonetti — i quali ora hanno come una
lenta pausa elegiaca, ora il trillo argentino e il
volo e la gioia della lodola mattutina.
Partiti da un medesimo punto a una mede-
sima mèta, in che diverse vie hanno poi corso, e
che differenti resultati hanno ottenuto questi pre-
raffaellisti pittori e poeti ! I pochi fedeli alle aspira-
zioni e teorie primitive son restati come paraliz-
zati, cristallizzati. Chi più se n' è distaccato, e su
potenti e luminose ali d'aquila ha percorso glo-
rioso e libero tutto il cielo poetico è Algernon
Swiiiburne.
I vari caratteri che costituiscono il genio
poetico di Swinburne a me sembrano questi : il
senso del puro bello plastico antico, della grande
arte greca — i colori e gli splendori di una im-
maginazione portentosa che ci rammenta ipoetici
miracoli dell'epoca Elisabettiana — la musicalità
del verso e del periodo poetico, quale non s'era
più udita dopo la morte di Shelley, e che va dal
sospiro del flauto e dal gorgheggio dell' usignolo
al pieno canto dell'organo e alle formidabili sin-
fonie dell'oceano — una intelligenza e un senti-
mento profondo della Natura contemplata nelle
sue più splendide rivelazioni, nei grandi spetta-
coli del cielo e del mare — la sincera devozione
e la eloquente e profetica proclamazione della
idea repubblicana ed umanitaria — e insieme a
tutti questi elementi lirici, una facoltà critica e
drammatica, in virtù della quale egli ricostruisce
e rievoca epoche e personaggi passati, e li anima
del soffio di una vita immortale che ci fa sentire
in lui il concittadino di Shakespeare. Né infatti
l'Inghilterra, dopo la morte del suo divino poeta,
ha avuto nuli a di più Shakespeariano ed Elisa-
bettiano dei Cenci di Shelley e della trilogia
Stuardiana di Swinburne. Solo il Browning ,
sommo in tutto, li supera forse ambedue, nella
grande scena di Sehaldo e Ottima (in Pippa
passes).
Swinburne è uno dei rarissimi poeti che
hanno dipinto i grandi spettacoli della Natura, e
nei cui versi sembra palpitare il cuore della gran
madre Cibèle. Non è un paesista contemplatore
come è Wordsworth, o coloritore come Keats o
Tennyson : è un'eco armoniosa delle grandi voci
della Natura, e la ritrae più coi suoni che coi
colori : e' è più del Beethoven che del Tiziano
nel!' indole del suo genio poetico. Ha la melodia
inttrice di Shelle\^, e come lui è passionato nelle
sue descrizioni. Non osserva la natura con l'affetto
riverente e pio di un devoto figliolo, come Cowper
o Lamartine, ma l'ammira con l'entusiasmo di un
amante. Ne segue le tracce divine con quell'ar-
144- I POETI INGLESI MODERNI
dorè con cui gli antichi Dei inseguivano le bianche
Ninfe nei boschi, e 1' abbraccia in un amplesso
di fuoco. La sua descrizione non ha nulla di mi-
niato, di idillico, di didàttico; somiglia a quelle
di Victor Hugo, e più ancora a quelle di Shelley.
E come lo Shelley è il sovrano poeta pittore .dei
cieli, il Swinburne è insuperato poeta pittore dei
mari... Ma è tempo di parlare di Maria Eobinson,
e dei suoi nuovi volumi di versi.
In generale, la giovine generazione poetica
inglese, la nuovissima %Q\\oìà poetica ha troppo del
dilettante; vuole e cerca troppo l'effetto, ha un'ec-
cessiva idolatria della forma, della fattura del
verso. E-icorda troppo certe monomanie di ritmo,
di cesello e d' immagini, che torturavano il cer-
vello dei grandi stilisti Gautier e Baudelaire. In
una parola, anche in Inghilterra v'è del bizanti-
nismo... Ed è per questo motivo, e come ammi-
rabil contrasto, che agli spregiudicati amanti
della vera poesia giunse e giunge cara la voce di
Maria Robinson ; poetessa che dipinge spiritual-
mente, e senza ricorrere a gergo di a^e^i'er, il pae-
saggio inglese e italiano — e che ha il gemito e
il grido sincero della passione. La sua poesia,
come quella della Browning, è lirica per eccel-
lenza, e musicale. Anche se tratta di vecchi temi,
li ringiovanisce con le maravigliose sue variazioni.
Ha delle note che arrivano all'anima come il ge-
mito di un violino. Ma il suo lirismo ha sempre
la realtà della vita per movente primo ed essen-
E I NUOVI CANTI DI MVRY ROCINSON 145
ziale. La sua poesia è come una pianta deli-
cata e fragrante che ha la realtà per radice e
V ideale per fioritura. Una delicata e sf^uisita in-
tuizione delle gradazioni neììsb pittura del mondo
sensibile e dei sentimenti umani ci rivela la
donna : nulla di eccessivo, di duro : ma s|)esso
la poesia di una reticenza o di un silenzio, più
efficaci di ogni parola. Nelle sue pitture poetiche,
essa sa adoprare con eguale abilità le tinte ar-
gentee, velate, perlacee, e i colori forti e vivaci :
ha dei cieli vaporosi che paiono descritti da
Wordsworth, ha dei luminosi giardini che si di-
rebbero dipinti' da Heine. E Heine e il Rossetti
son forse i maestri da cui essa più direttamente
deriva. Il suo Giardino Italiano^ benché non vi sia
ombra di imitazione, mi rammenta spesso il Bucli
der Lieder. Ma anche Shelley e la Browning
hanno lasciata visibile traccia nelle prime poesie
della Robinson.
Miss A. Mary Robinson benché giovanissima
ha già pubblicato vari volumi diversi e di prosa.
Alcuni suoi articoli di critica artistica e la Vita
di Emilia Brente la mostrarono eccellente prosa-
trice, limpida, franca, efficace. IL suo primo vo-
lume di versi comparve sotto il modesto titolo di
A Hand.fid of Honeysiiclde. Seguì una eccellente
traduzione in versi dell' Ippolito : e, a brevi di-
stanze, la Nuova Arcadia, Olivi Toscani e Un Giar-
dino Italiano.
La Nuova Arcadia le fu ispirata da un' idea
generosa. Essa sentì, come avevan provato anche
Nencioxi. — Saggi critici di leit. inglese. 10
14-6 T POETI INGLESI MODERNI
altri poeti il doloroso contrasto tra la bellezza, la
gioventù, l'ordine eterno della Natura, e i gridi
e i gemiti discordi del nostro inferno sociale. Le
iDarve un sentimento egoistico e colpevole, un de-
litto di lesa umanità, lo stare a contemplare i fiori
egli astri, mentre a due passi da noi c'è chi muore
di crepacuore o di fame: e non solo nei grandi
centri regna satanicamente il male, ma anche nei
villaggi e nelle campagne. Chi potrà più sorridere
o allietarsi al cospetto di tante ingiustizie, di
tanti dolori ? Non resta che morire, o denunziare
il male : fare appello dall'uomo all'umanità, e vi-
vere lottando, con qualunque mezzo, con qualun-
que arme, contro il male tiranno.
« Se Dio, e.=;sa canta, mi avesse dato una
spada, mi sarei fatta avanti per combattere le
battaglie di Bio ;... ma io non ho al mio comando
che dei versi, e benché fragile arme, mi servirò di
questi per la causa dell'umanità e della giustizia.
Dipingerò a questi spensierati gaudenti, a questi
distratti egoisti, le voluttà della Nuova Arcadia...
e forse si scoteranno, e penseranno, e agiranno! »
Preludio sincero, adi una penetrante efficacia.
Mi ha rammentato la Dedica in Revolt of Islam
dello Shelley, quando ei ci descrive le sue prime
lacrime ardenti al cospetto dell' ingiustizia e del-
l'oppressione :
Tlionghts of great deeds wore mine. 6ear friend,
(^wlien first
The cloiuls wliicli wrap this world i'rom 3'outh did
(pass...
E I NUOVI CANTI DI MARY ROBINSON 14/
Vi è ]a stessa intonazione dolorosa, ma so-
lenne e virile : lo stesso senso di ardente indi-
gnazione, lo stesso desiderio del bene e del sa-
crifizio.
Ma il poeaia corrisponde al preludio ? Ve-
diamo davvero i dolori e i delitti, le viltà e le
agonie delle varie bolge dell'inferno sociale? È
eccitata la nostra pietà e il nostro sdegno ?
jSTon oserei di affermarlo. Né credo che la
Robinson, e per la saa giovane età, e per le sue
condizioni di vita, potesse aver modo di raccorre
i terribili documenti di questa tragica Nuova Ar-
cadia. Cede a un generoso impulso di bontà nativa,
e l'intenzione fu nobile e generosa. Ma l'esecu-
zione non corrisponde, e forse non iwteva corri-
spondere al primitivo concetto. Non che manchino
in New Arcadia poesie belle e anche forti. The
hand-hell ringers, che è la prima nell'ordine del
libro, è anche la prima per merito e per A'alore.
Se le altre variando i soggetti, avesser fatto ana-
logo gruppo a quella prima, l'opera sarebbe stata
più logica e organica. Ma le altre poesie, i rac-
conti in verso di questo volume si allontanano dal
primitivo concetto, benché siano eccellenti studi
l^sicologico-j^oetici. Potenza, audacia, esperienza,
eloquenza, quali ebbero Dickens e Victor Hugo,
appena sarebbero bastate a dipingere la nuova
orribile Arcadia. La "Robinson è troppo giovane,
troppo donna, troppo lirica e melodica, per essere
adatta al fiero compito : e in fatti il libro finisce
gorgheggiando delle adorabili liriche personali....
148 1 POETI INGLESI MODERNI
La nuova x4.rcaclia sociale, preconizzata da
tanti filosofi, e conquistata da tante rivoluzioni, è
in realtà un mostruoso Leviathan che barcolla,
senza base né àncora, sotto un cielo apocalittico
e minaccioso. L'uomo, ahimè, è originariamente,
e radicalmente malato nella sua volontà e nella
sua sostanza; in ipsa substantia^ come dice Hobbes,
il terribile e logico osservatore. Questa natura
umana adulata dai filosofi sentimentali e dai filo-
sofi positivisti — dai Rousseau e vdagli Spencer
— è pur troppo quale la videro e la dipinsero
Machiavelli, Larochefoucauld, Hobbes, Pascal,
Saint-Simon, Shakespeare, Molière e Balzaci e
chi ben s' addentra in questo spaventoso labe-
rinto, in questo mistero di contradizioni, in questo
imperscrutabile abisso del cuore umano, sente
tutta la importanza e la necessità di un soccorso
dall'alto, del gran rimedio evangelico. Fuori di
questo, non c'è cura radicale, né consolazione pos-
sibile. Non restan che tenebre ed illusioni più o
meno speciose.
I delusi che pretendono di guarire l'eterno
malato o migliorarne le condizioni sociali con-
tradicendo alla legge cristiana o non tenendone
nessun conto, mattono dei pannicelli caldi sopra
una cancrena^ o edificano sulla mobile sabbia :
quindi i vani conati di individui e di sètte, e il
male crescente e invadente dopo la speranza e
la promessa del bene. Vicari Savoiardi e Culti
della Ragione^ Enciclopedie e Falansteri^ cluhs e bar-
ricate, Illuminati e Sansimoniani, utilitari e so-
E I NUOVI CANTI DI MARY ROBINSON 140
cialisti, Ragion pura e trasformismo, positivisti ed
evoluzionisti, se qualche utile vero 2)roclamano,
se fan qualche bene, è solamente quando, con-
scienti 0 incoscienti, riflettono una scintilla dal
viv^o sole evangelico. Abbandonato a sé stesso e
alla misera, scarsa e orgogliosa sua scienza, l'uomo
vaneggia nei suoi trenta o quarantanni di effi-
mera esistenza tra l'infanzia e il sepolcro.
Ed è a questa razza radicalmente corrotta, a
questa società scalzata dai fondamenti, e che
passa dal petrolio alla dinamite, che il Renan ed
il Clodd vorrebbero oggi insegnare il culto di
una nuova Triade di virtù !... « Invece di fede,
speranza e carità — scrive l' illustre autore della
Vita di Gesù, e gli fa eco l' ingenuo ottimista
delle Credenze religiose — invece di quella vecchia
trinità, insegniamo al genere umano il culto del
buono, del hello, e del vero!» Come se non fosser
già inclusi nella vecchia triade evangelica; come
.se il buono, il bello ed il vero si potessero inse-
gnare separati dalla loro eteraa sorgente, senza
la fede nel principio di ogni Verità e di ogni
Bontà !... Davvero, a contemplare in che disperate
condizioni è il malato, e quanto è idillica e ar-
cadica la futilità delle ricette dei medici, torna
in mente la potente e profetica espressione di
San Paolo : Evanuerunt in cogitaiionibus suis.
La scienza atea che nega ogni sacra origine
dell'uomo, e ogni mistero nella essenza dell' Uni-
verso, e termina il suo credo con l'ultima pagina
del Manuale di fisica e di meccanica, studia inu^
150 I POETI INGLESI MODERNI
tilmente da un pezzo questo spaventoso problema
della questione sociale, antico come Gracco e
nuovo come le sollevazioni del Belgio ; — di una
plebe che non crede più nulla e che ha fame ; a
cui tutti parlano di diritti e nessuno di doveri;
alla quale non può più bastare né il pane quoti-
diano né l'equa retribuzione del lavoro, e che
anche pasciuta resta insaziata e insaziabile —
perchè l'uomo non vive di solo pane — e perchè
le è stato detto dai suoi dottori che nessun Dio
è sceso mai a consolare i poveri su questa terra;
e che nei cieli non e' è padri né madri, ma
solo le stelle di Herschell e la coda delle co-
mete....
Ad Italian Garden è l'ultima, recentissima e
più notevole produzione poetica di Maria Robin-
son. Qui il suo genio essenzialmente lirico si
esplica in una bella e fragrante fioritura. E un
volume di versi splendido e triste — come i Lieder
di Heine. Il paesaggio toscano reso con stupenda
e grafica fedeltà è il fondo su cui vive e palpita
un dramma d'amore — l'eterno dramma, antico
quanto il mondo, tanto antico ma sempre nuovo,
tanto ripetuto eppur sempre interessante, di due
anime che si credon fatte l'una per l'altra, si in-
contrano, si confessano, s'amano; finché una è
la vittima — quella che amava di più! Dalla calle
di Venezia al podere toscano, dalle verdi acque
ai fiori vermigli, tutta la natura appar complice
della felice illusione, ed è fatta poi confidente del
E I NUOVI CANTI DI MARY HOUINSON lol
desolato rimpianto. Cominciata in Tuscan Olives,
la breve e lirica tragedia di uu cuore, il patetico
monodramma si sviluppa e finisce nei repressi
singulti dell' Italicui Garden.
Vorrei darne una pallida idea traducendo
qualcuno di questi canti : e mi ci sono provato.
E addirittura impossibile. Io die ho tanto tra-
dotto da poeti inglesi ed americani, che ho supe-
rate alla meglio le grandi difficoltà di tradurre
da Browning e da Swinburne, ho invano tentato
di tradurre i Lieder della Robinson, come invano
mi provai a tradurre i /S'oi^ief fi di Dante Rossetti.
Altri di me più abile o fortunato si provi. Ma
io lo credo tentativo disperato. Troppo eterea,
spirituale, musicale vi è la frase poeti '3a: troppo
essenzial cosa la rima : certi versi del Rossetti,
certe strofe della Robinson son perle preziose
che tradotte si convertono in gocciole d'acqua —
son fiori delicatissimi che bisogna odorare sulla
pianta, e non comporli in ghirlanda.
Mi basti indicare ai moltissimi lettori che
conoscon l' inglese, le ammirabili poesie Remem-
brance^ Venetian Kocturne, Livocation^ Popìar Leaves^
Aubade triste e Art and Life^ e gli squisiti canti,
le perfette brevi elegie che comincian coi versi:
« I am so pale to-night, so mere a ghost — Love
me to-day, and think not on to-morrow — Teli
me a story, dear, that is not true — I know 3'ou
love me not; I do not love you — I sowed the
field of Love with many seeds — Let us forget
we loved eacli other much.., »
Ì52 I POETI INGLESI MODEHNl
Questi ultimi due canti furou tradotti nel
divino universale linguaggio della musica dal
sig. Hatton — e di rado le note corrisposero cosi
perfettamente e ammirabilmente allo spirito delle
parole.
La gentile poetessa del Giardino Italiano
sembra non potere, non volere alzare da terra
le iridate sue ali — sembra non creder più al-
l' ideale e all' amore. Si direbbe che anch' essa
grida gemendo, come Alfred de Musset :
Pourquoi promenez-vous ces spectres de lumière
Devant le rideau noir de nos nuits sans sommeil?
Puisqu'il faut qu'ici bas tout songe alt son reveil,
Et puisque le désir se sent cloué sur terre,
Gomme un aigle blessé qui meurt dans la poussière,
L'aile ouverte et les yeux fìxés sur le soleil ?
Essa prova come una dolce e amara voluttà
a contemplare il suo cuore ferito, ad assaporare
le sue lacrime :
Oh! laissez-moi sans trève écouter ma blessure,
Aimer mon mal, et ne vouloir que lui!
Debolezza morale, se volete, ma che fa l'in-
canto e la forza magnetica della sua poesia. Essa
ci parla 2)or la hoca de su lierida^ e ci commuove,
e rapisce. Pur troppo Oar sweetest songs are those
tltat teli of saddest thoiights !... Ma non imjDorta...
non si piange mai invano su questa terra ! La
giovine poetessa del Giardino Italiano risorgerà
a volo più sublime, ad aura più pura. E se i
conforti umani e le consolazioni dell'Arte doves-
E I NUOVI CXXn DI MARY IIODINSON 15^
sero mancarle, o parerle un giorno povera cosa,
ascolti quella piccola voce — ma più potente del
tuono — che sola penetra i cuori, che guarisce e
consola...
Concludendo, 1' ideale e 1?^ passione (rarissima
unione) sono la doppia aureola di questo libro
di Canti. La passione ; questa reietta dell' Arte
fisiologica trionfatrice — questa reietta che si
vendica col farsi ogoi di più desiderare nei nostri
cuori e nei nostri libri !...
Se è irrevocabilmente passato il tempo di
interessare un gran numero di lettori a tipi ideali
e poetici ; se la Princesse de Clèues e Clarissa^ se
Delpliine e Jalie non sono più possibili — almeno,
o poeti e romanzieri contemporanei, la nota vera
e sincera della passione riscaldi le vostre pagine!
La vera passione anche nei libri è una grande
attenuante : e ci par tollerabile in Manon Lescaut
quel che ci rivolta nella Curée. Rendeteci i gridi
di Byron, i singhiozzi delle Kuits di Musset, le
lacrime di Valentine ~ magari anche le gelosie
di Fanny e le fughe di Jane Eyve... purché spaz-
ziate via questo sudiciume di acri voluttà senza
amore; purché l'accento sincero, penetrante, ir-
resistibile della passione rianimi, jDurifichi e con-
sacri le vostre pagine.
{Nuova Antologia, 16 giugno 1886.)
454
LE « LETTURE SU GLI EROI
11 titolo preciso eli questo libro, il più ca-
ratteristico del gran pensatore scozzese, vera-
mente è questo : « Su gli Eroi, il culto degli
Eroi, e r Eroico nella storia — Letture di Tom-
maso Carlyle. » * La nuova e splendida edizione
del Chapman {Library edition) mi porge occasione
a discorrere del prezioso volume : e lo fo volen-
tieri perchè credo opportuno raccomandare oggi
in Italia libri spiranti virile energia e indomita
fede neir ideale.
Il pensiero fondamentale, l' idea-madre di
quest' opera , deriva dal concetto filosofico di
Fichte, che Gian Paolo poetizzò nei romanzi, e
che Carlyle ha applicato alla storia e alla cri-
tica: cioè che tutte le cose che noi vediamo su
' On Ileroeri, Hero- Wurslnpy ond the Herolc in Hisiorì/,
hy Tuo.MAs CAiiLyi.K. London, Chapman and Hall,
LK "letture su gli EKUl " 155
questa terra, specialmente noi stessi e tutto il
genere umano, sono come una veste di sensibile
Apparenza^ sotto la quale è riposta la loro es-
senza, cioè la « Divina Idea del Mondo », che è la
loro Realtà. Per il maggior numero, questa Di-
vina Idea non è riconoscibile : essi vivono fra la
superficialità, le pratiche giornaliere, le mostre
del mondo, senza neppur sognare che anche esse
sono simboli visibili di una invisibile realtà :
che l'uomo è una divina apparizione, e che la
natura, nella sua intima essenza, è sopranna-
turale.
Noi veniamo in questo mondo visibile da
un altro invisibile dove dobbiamo tornare : vi-
viamo pochi anni su questo pianeta, forniti di
ciò che arrechiamo con noi, cioè la luce della co-
scienza, e di ciò che troviamo quaggiù, cioè pene
e piaceri. Gli uomini posson dividersi in tre grandi
classi: — quelli che sottomettono ciò che portano
in sé a quel che trovano sulla terra, che sacrifi-
cano l'eterno al perituro, l'anima alla materia;
e questi sono i geni del male : — quelli (e sono
i più) che schiavi delle sensuali apparenze pur
serbano qualche orma fugace, qualche confuso ri-
cordo della Idea Divina ; pei quali la vita è come
una lanterna magica di successive effimere scene,
e passano i giorni fra le convenzioni, le incita-
zioni, le pretensioni e le ipocrisie sociali; uomini-
fantasma, piuttosto che divine realtà : — e quelli
finalmente che considerano la vita come cosa di
seria, intensa, tragica importanza — come il ter-
150 LE
ribile ponte del Tempo sospeso fra due Eternità;
che soffrono e godono nella profonda coscienza
della invisibile presenza divina^ e nella costante
preoccupazione del Dovere e della Responsabilità:
soldati della Verità e della Giustizia, il cui con-
cetto ha per base granitica la rivelata parola di
Dio. Questi sono il vero sale della terra, i veri e
legittimi leaders delle nazioni : e questi sono gli
Eroi di Carlyle. Profeti, legislatori, filosofi, poeti,
capitani, re, si rassomigliano tutti nel profondo
sentimento della realtà, visibile ed invisibile ;
nell'odio e nella guerra a tutto ciò che è vana
mostra, equivoco, fantasma e menzogna; si chiami
machiavellismo, o gesuitismo, o parlamentarismo,
o dilettantismo ; a tutto quel che è « vanità che
par persona » in religione, in politica, in arte.
Tipo supremo dell'eroe-realtà, Cromwell : del-
l'uomo-fantasma, Luigi decimoquinto.
Secondo il Carlyle, i popoli cercano invano
la loro salute nelle rivoluzioni, costituzioni, di-
scussioni parlamentari, e in tutte le promesse del
liberalismo, della scienza e della filantropia. In
materia di governo, egli non riconosce che la su-
periorità dell'individuo eroico — dell'uomo prov-
videnziale ; al quale si deve obbedire, come a
una realtà naturale in opposizione con le finzioni
sociali.
La storia universale non è per Carlyle che
una serie di hiograjie degli eroi. Tutto quello che
fu stabilmente fondato nel mondo è opera loro :
e il resultato materiale è l' incarnazione dei loro
'^ LK LETTUP.E SU GLI EKOl '' '157
pensieri. L'eroe « deriva direttamente dalla realtà
primordiale ed è una vivente rivelazione. » Gli
eroi individui creano essi soli le epoche storiche;
e il culto degli eroi è un culto nazionale e co-
smopolita. Essi sono i veri creatori di tutto ciò
che la moltitudine collettiva riesce a fare obbe-
dendo ad essi. Maometto, Lutero, Cromwell. Dante,
— ecco l'Arabia, la G-ermania, l'Inghilterra e l'I-
talia ! Insomma il Carlyle è precisamente l'op-
posto di Herder, di Schiller e del Mazzini, pei
quali i grandi uomini non sono che gli interpetri
del pensiero nazionale, la sintesi non la sorgente
del concento umano, le pietre miliari della via
sacra deirUmanità, i sacerdoti della sua rei io-ione.
Il sentimento religioso, un sacro stuj)ore in
faccia al divino e impenetrabile mistero dell'Uni-
verso, il senso profondo e sincero della realtà, la
perseveranza nel lavoro, e la virtù del silenzio,
« l' eroico silenzio preparatore e maturatore di
ogni cosa grande », — sono le infallibili caratte-
ristiche dell' eroe. Ecco perchè il Carlyle ama
tanto ed esalta i profeti, i puritani, gli uomini
d'azione, i poeti, la cui poesia è sangue e anima
come Dante e Burns, gli eroici lottatori e lavora-
tori come Johnson e Gian Paolo. Ecco perchè gli
sfuggono tanti aspetti storici o estetici della Vita
e dell' Arte. Andate a parlargli della poesia e
della pittura del Rmascimeato^ del P^ tra 'ca o del-
l'Ariosto, del Botticelli o di Raffaello — della
musica di Mozart o del Rossini — di un romanzo
passionato della Sand, o delle eloquenti maledi-
158 LE "letture su gli eroi"
zioni di Byroii, o delle panteistiche visioni di
Shelley.... Carlyle vi risponderà con un sorriso
di compassione, o con un feroce sarcasmo.
Egli odia ed impreca a ciò clie fa l'orgoglio
della società contemporanea. Le sue apostrofi
contro la scienza atea, contro le Camere costitu-
zionali, contro la letteratura sentimentale o bi-
zantina, sono assidue, eloquenti, feroci. — Eccone
un saggio :
« La scienza atea chiacchiera miserabilmente
di questo universo, con le sue classificazioni, i
suoi esperimenti, come se esso fosse una mac-
china geometrica, una povera cosa morta. E in-
vece una cosa vivente, simbolica, ineffabile e di-
vina, innanzi alla quale con ^,utta la scienza che
abbiamo ammassato da Platone a Hegel, da Em-
pedocle a Herschell, la sola attitudine logica e
razionale è l' ammirazione e la venerazione. E
l'uomo, quale prodigio! C'è un io misterioso sotto
questo vestimento di carne: profondo è il suo
ascondimento sotto questo strano vestito fra i
suoni, i colori e le forme — e tuttavia questo ve-
stito medesimo è tessuto nel cielo, e imperscru-
tabilmente divino nella sua essenza. L' uomo che
di nulla stupisce, che trova tutto spiegabile e
classificabile, quand' anco fosse il presidente di
cento Società Eeali, e avesse in testa tutta la
meccanica celeste, e tutte le filosofie germaniche,
e il riassunto delle esperienze di tutti i labora-
tori ed osservatori, non è altro che un paio d'oc-
chiali dietro i quali non vi son occhi. L'universo,
M-: *' LI^TTIT.E SU GII EROI " 150
nella minima delle sue provinca, è letteralmente
la città dì Dio.
« La nostra letteratura. 1' arte contempora-
nea, poesia, pittura, romanzo, teatro, non è, in
ultima analisi, che una apologia, una deificazione
della Voluttà. Non avendo più il Dovere ancorato
al centro della nostra volontà, ricorriamo a ogni
sorta (li ricette economiche, positi\dste e porno-
grafiche, per distrarci, godere e stordirci. La Vita
non è più un tempio augusto, ma una sala di ri-
creazione.
« L' uomo è nato per lavorare e non per go-
dere. Chiudete il vostro Bj^ron, e aprite un
po' Goethe. L' ideale sta in voi: 1' ideale è il mo-
mento attuale, se lavorerete in tutta coscienza.
Lavorate e producete — sia pure la più misera e
infinitesimale frazione di un prodotto — produ-
cete! Ogni genere di lavoro, dal più intellettuale
al più manuale, è sacro, e dà pace allo spirito
umano. Tacere e lavorare, ecco le due virtù eroi-
cìie dell' umanità. Solo il silenzio è grande e pa-
tetico. Xoi viviamo sospesi fra due solenni si-
lenzi — il silenzio degli astri e il silenzio delle
tombe. Anche le nazioni tacciono, finché non
parla per loro il genio, che è la loro voce e rap-
presentanza. Com' è grande il silenzio degli anti-
chi Romani! Il Medio Evo pure ebbe un solenne
silenzio, che scoppiò poi^ nel più sublime cantb
umano, la Divina Commedia. Ecco le vere voci
delle nazioni! E quando una di esse si fa udire,
la nazione per la quale essa parla è una nazione
160 LE
consacrata: è redimibile anche se soggiogata, smem-
brata, avvilita. L'Italia oppressa dall'Austria era
sempre grande e una, perchè aveva Usuo Dante:
le era concesso parlare, e un giorno si è fatta in-
tendere. La Russia è un colosso formidabile, con
tante baionette e cannoni, ma ancora non può
parlare: finora non è che un muto enorme mo-
stro.... ma presto avrà anche lei la sua voce, una
voce eroica. »
Ho riportato questi frammenti anche per
dare un' idea dello stile strano, ma di magnetica
efficacia, con cui scrive il Carljde. Delle tre più
grandi immaginazioni del tempo nostro — Victor
Hugo, Carlyle, Michelet — il Carlyle è la più vio-
lenta ed apocalittica. Un sof&o ardente di poesia
ebraica gli viene attraverso la tradizione purita-
na, e fa di lui una specie di profeta, di veggente,
in pieno secolo decimonono. In Victor Hugo pre-
domina la magnifica e splendida visione plastica
e colorita — in Michelet la emozione contagiosa,
il grido oil gemito lirico, joassionato — in Carlyle
il terrore biblico, la mistica tenebra Rembran-
diana, illuminata qua e là da un raggio sinistro
o dal fulmine.
La potenza evocatrice e resurrettrice di sto-
rico è suprema in Carlyle, e fors' anche superiore
a quella prodigiosa di Michelet. Nelle sue tre
grandi opere storiche su CromiveU, sulla liivolu-
zione francese^ sul Gran Federigo — come pure in
queste letture su gli Erol^ epoche e personaggi
LE "letture su gli EROI 11)1
defunti rivivono di vita palpitante e attuale. Ma
la immaginazione simpatica e ricostruttrice è te-
nuta in freno, è, per dir cosi, controllata^ dal senso
pratico inglese. Lontano dalle vaporose metafisi-
cherie dei Tedeschi, come dai brillanti paradossi
dei Francesi, la immaginazione di Car'h'le lavora
sopra un fondo positivo di reali documenti. Le
frasi più azzardate e più liriche delle sue storie
sono spesso convalidate a pie di pagina da una
nota erudita. Ma coi materiali dove uno storico
archivista non ricaverebbe che lettera morta di
cronologica narrazione, ricomponendo con fran-
tumi d' ossa uno scheletro, il Carljde, con l' in-
tuito del genio, ricrea il personaggio e gli alita
in volto la vita. Maometto e Cromwell, Mirabeau
e Federigo, parlano e agiscono dinanzi a noi come
viventi creature. Le carte tarlate e l' inchiostro
ingiallito di lettere scritte secoli addietro da dita
che ora son polvere, pensate da teste ove batteva
febbrile il polso della vita e che ora son teschi se-
polti — per Carlyle, come per Michelet, erano
rivelazioni e resurrezioni. Un fatto ordinario della
vita giornaliera, una data, un conto, un abito, un
appunto, una frase di barbaro latino, son cose di
capitale importanza nel processo di questa arti-
stica resurrezione. Facendosi contemporaneo delle
passate generazioni, Carljde assume la loro ma-
niera di vedere e di sentire, e con la sua capa-
cità di emozione resuscita, raccoglie ed esprime
sentimenti che parevano distrutti, o sepolti fra le
pergamene muffite. Vedansi le ammirabili pagine
Xkxcioxi. — (S'rt^.'// cìiiici di Ictt. inglese. 11
16^ LE "letture su gli eroi"
suir Islamismo, sui Puritani, sugli avi di Fe-
derigo.
Il suo processo di preparazione scorica e il
suo materiale non differiscono da quelli dei col-
lezionisti, dei diplomatici, dei genealogisti — de-
gli eruditi, in una parola: ma Carlyle se ne serve
come di medium per comunicare con lo spirito
dello storico personaggio: la cosa vera, impor-
tante, essenziale, è per lui il sentimento interiore
degli uomini che han vissuto, lì fatto è questo:
sta bene : ma come nacque, quali pensieri, quali
sentimenti precederono e accompagnarono l'azio-
ne? qual dramma interiore dà spiegazione e va-
lore al dramma esteriore? Né il Carljde resta
spettatore indifferente delle proprie resurrezioni;
ma le interroga, le apostrofa, e comunica il suo
ardore e il suo interesse al lettore; il quale, un
po' soffre, un po' stupisce, ma è incantato e com-
mosso e trascinato dai movimenti bruschi e po-
tenti di questo mago: è una ispirazione affasci-
nante, è una parola contagiosa. Con uno sguardo
rapido e sagace, con una intuizione istintiva,
Carlyle sa discernere subito fra mille documenti,
fra tanta inutile e polverosa fronda parassita di
materiale storico, il documento capitale, sostan-
ziale e rivelatore — lo tocca, lo afferra, e ce lo
pone sotto gli occhi in una luce cosi forte e vio-
lenta, che noi partecipiamo alla intensità della
sua visione, e ci è impossibile dimenticarla.
Cromwell è l'eroe prediletto di Carlyle. L'idea
religiosa e politica, la fede e 1' azione, la spada
LE "LETTURE SU GLI EROI " 163
(li Dio e il creatore della grandezza politica del-
l' Ingliilterra, tutto gli è egualmente ammirabile
in questo suo eroe prediletto. Tutto — fino alla
crudele sottomissione dell'Irlanda ! Parlando della
Rivoluzione Francese^ Carlyle forse la giudica da
un punto di vista troppo puritano ed inglese. La
giudica secondo le ardenti sue simpatie e anti-
patie, incoraggiando, esaltando, gemendo e impre-
cando, come un vero attore di quella grande tra-
gedia. Ma nei credenti nella Enciclopedia ed in
Rousseau, cerca troppo spesso e troppo spesso
rimpiange i credenti nella Bibbia e in Gesù Cri-
sto. Nonostante, le pagine sull' eroe Mirabeau,
suir anemia della Francia sotto Luigi decimo-
quinto e quelle sul Terrore sono ammirabili.
« La storia è jDatetica » — scrisse Hegel
(poco sospetto di sentimentalismo). E patetica è
la natura umana. Una infinita pietà accompagna
la tragica narrazione, la sanguinosa fantasmago-
ria di Carlyle, Homo sum — e Sunt lacrymae re-
rum, potrebbe essere la doppia epigrafe di questa
storia. j\Ia il vero eroe ne è Mirabeau. Sono stu-
pende le pagine sul suo carattere e sulla sua in-
fluenza: specialmente dove si esamina il gran
problema di quella vita nei suoi ultimi giorni.
Mirabeau sperò, tentò realmente di conciliare la
monarchia e la libertà, e di salvarle ambedue ?
Fin dove giunsero le sue relazioni e i suoi patti
con quella misera Corte? Forse egli non mori a
tem] per la sua gloria ; forse la sua morte fu
una calamità nazionale. Ma se la sua politica ri-
iÙ LE
mane ancora un enimma, la sua parola, la sua
titanica eloquenza risuoiia ancora come una delle
grandi voci della Natura. La eloquenza di Mira-
beau non fu eguagliata che dalla sua operosità.
Qna formidabile attività consumò, come una ca-
micia di Nesso, questo Ercole della Rivoluzione.
Dal giorno della prima riunione a Versailles fino
al momento in cui il tonante oratore perde la
parola per sempre, e scrive con mano tremante :
oj^fpio ! dormire ! una vertiginosa operosità lo agi-
tò, lo trascinò, lo sbattè senza posa, come in una
bufera, in una ruina infernale.... La sua eloquenza
era una corruscante artiglieria di parole, una for-
midabile sequela di tuoni e di fulmini. Quando
riuscivano ad irritarlo, diventava sublime. Fu
detto che la collera gli stava bene « come la tem-
pesta all' Oceano. » Faceva tremare, e talvolta
faceva ridere. ]\[a quando gettava il freddo sar-
casmo dalla sua bocca leonina era anche più spa-
ventoso di quando scuoteva la sua criniera di
Sansone e gli occhi gettavano fiamme sulla sua
faccia mostruosa ed eroica. Quando lo vollero
spaventare con lo spauracchio della forza armata,
dicendogli: <' Lafaj^ette a une armée ». rispon-
deva: « Et moi, j'ai ma téte! » L'Assemblea Na-
zionale cominciava un indirizzo al re, dicendo :
» L'Assemblée apporte aux pieds de Votre Maje-
sté une ofPrande.... » — « La majesté n'a pas de
pieds » — interrompe, brontolando, Mirabeau.
Un' altra volta l'Assemblea dichiara che « elle est
ivre de la gioire de son roi. » E Mirabeau col
1()5
suo riso di titano sarcastico: « Y pensez-vous ?
Des gens qui font des lois, et qui sont ivres!.... »
Dopo l'anemico e putrido regno di Luigi de-
cimoquinto, e dopo le pagine distruttrici di Vol-
taire e quelle ardenti di Diderot e di Rousseau,
doveva inevitabilmente venire il giorno del bat-
tesimo per la Democrazia, e quello dell'olio santo
per il Feudalismo. E venne. Aurora boreale, cinta
di nuvole apocalittiche, sanguinosa, tremenda —
ma Aurora, ma luce, ma corrente d'aria nuova e
libera, contro i bassi e fìtti strati di tenebre se-
colari che asfissiavano l'umanità.
Si accusa il Cari vie come il Michelet, di aver
fatto una epopea lirica — ■ o, se più vi piace, un
poema drammatico, della storia della Rivoluzione.
A torto, secondo me: perchè quella storia è j^er
sé stessa una spaventosa ed eroica tragedia — un
poema in azione.
La Rivoluzione ha avuto nel suo seno dei
mostri, dei monomaniaci omicidi, che la disono-
rano : i Marat, i Barère, i Carrier, i Collot, i Le-
bon.... E la Francia fu difesa e salvata non da
loro, ma malgrado loro. Ma accanto a questi be-
stiali profili di carnassiersj che folta e magnifica
schiera di luminose figure! Da Mirabeau a Yer-
gniaud, da Danton a Madama Roland, da Barnave
a Condorcet, da Bailly a Carlotta Corday, da La-
fayette a Kleber, da Marceau a Hoche, da Desaix
a Buonaparte! e con essi i centomila eroi volon-
tari del novantadue! Le vittime stesse hanno
un' aria solenne di tragica grandezza, o di prò-
166 LE
fondo patetico. Chi potrà ricusare un saluto di
umana simpatia e di ammirazione a Maria Anto-
nietta, a Madama Elisabetta, alla Contessa di
Lamballe ?...
Il movimento vertiginoso, vulcanico della
Rivoluzione, sfugge alla fredda analisi e diso-
rienta il filof 0 b e lo statista. Al naturalismo, alla
teoria del divenire che Taine ha ricevuta da Hegel,
repugna una Costituzione che a un tratto vuol
disfare e creare: come i colpi audaci e l'occhio
d'aquila di Buonaparte disorientavano le calco-
late strategie dei vecchi generali austriaci e
prussiani.
Certo, il vero futuro storico della grande Ri-
voluzione non sarà né un mistico come Carlyle.
né un p)oeta come Michelet o Lamartine, ne un
diplomatico come Thiers. né un settario come
Louis Blanc, né un apologista come Esquiros,
né un filosofo naturalista come il Taine; ma
dovrà in ogni modo avere, per intendere il ca-
rattere della Rivoluzione, un raggio di poesia
nella mente e nel cuore: perchè quella grande
tragedia non può essere rappresentata da chi non
sia capace di risentirne il contagioso entusiasmo.
Un freddo archivista non potrà mai capire Dan-
ton! Come certi improvvisi sentimenti del cuore
umano sfuggono ad ogni analisi, così certi mo-
vimenti elettrici delle nazioni sfuggono alle ra-
gionate classificazioni dei dottrinari: sono cosa
divina, e che perciò appartiene al dominio della
poesia. Quindi è che il poeta Michelet e il poeta
LE "LETTUI'.E su gli EliOl " l(j7
Carlyle hanno visto e Ietto nella liivolnzione
francese meglio e più addentro del positivista
Taine e del dottrinario Guizot.
Napoleone « ingigantito sui trampoli delle
enormi e spesso inutili vittorie » pare a Carlyle
un eroe di men solida tempra di Cromwell e di
Federigo. BuUettini eloquenti, marce prodigiose,
stragi colossali, grandi sciabole e grandi mustac-
clii, TEurojja ridotta a caserma, immenso strepito
come di fuochi d' artifizio, scoppi e gran fumo, e
al primo soffio di vento tutto sparisce, tutto tace
- — e il sangue di due o tre milioni di creature
umane non ha fondato nulla, e ha messo la
Francia sotto il bastone dei Cosacchi e degl'In-
glesi.
Cromwell invece ha fatto la grandezza del-
l' Inghilterra Federigo ha creato la Prussia, e
quindi la gran patria tedesca! Dunbar e Worce-
ster, Rosbach e Liegnitz sono battaglie di una
importanza incalcolabilmente più grande delle
epiche Austerlitz, Wagram, Moscowa, che abba-
gliarono il mondo, e non lasciaron nulla di sta-
bile dopo loro.
L' orgoglio fu il suo acciecamento e la sua.
punizione. Credè di potere impunemente umiliare
i popoli come i re, e s' ingannò. Difensore di una
bandiera che proclamava i diritti e l'indipendenza
dei popoli, fini col non tenerne più nessun conto,
e col creare una nuova Corte bizantina, e una
lotteria di Corone, egli il figliolo dell' ottantcuiove,
e la spada della E/ivoluzione! Ma Bajona conte-
408 LE "letture su gli EROI"'
neva in se Waterloo, e Sant^ Elena vendicava la
tradita Polonia.
Napoleone fu eroe per il senso profondo della
realtà che ebbe fra quei metafìsici del Direttorio,
per la indomata energia del volere, per le crea-
zioni continue e fulminee del suo genio militare
e organizzatore, per la idea divina che benché
annebbiata e offuscata non lo abbandonò mai del
tutto, e brillò sulla sua bella fronte di Console,
di Cesare e di martire, in Egitto, a Tilsitt, a
Sanfc' Elena.
Come appariscono gli eroi negli affari umani
— sotto che forma si presentano nella storia —
che pensano di loro le nazioni — qual è l'essenza
della loro opera varia ed immensa ? Questo cerca e
studia Carlyle nelle sue Letture. Al primo apparir
sulla terra gli eroi fondano le religioni, e la prima
forma d' eroismo è la divinità. Alla giovane uma-
nità ogni cosa pare miracolo — quindi Odino, il
dio e l'eroe Scandinavo. L'ammirazione trascen-
dentale per un eroe è il fondamento di ogni reli-
gione. Anche del Cristianesimo, aggiunge auda-
cemente Carlyle. « Il più grande di tutti gli eroi
è uno che non osiamo qui nominare. » Odino è la
consacrazione del valore: Maometto è il profeta
monoteista, genio creatore e organizzatore, sincero
nel suo feroce entusiasmo, e, come Cromwell, in-
giustamente accusato di impostura e di ipocrisia
dai secoli scettici ed analitici che non potevano
intenderlo.
1(iU
Il dio e il profeta appartengono alla vecchia
età: il poeta è di tutti i tempi. Il vero poeta è
un veggente^ un eroe che vede meglio degli altri
neir intima essenza delle cose, nella Natura e
neir anima umana. Il vero poeta è la sintesi del-
l' eroico. Vi è in lui il profeta, il guerriero, il fi-
losofo. Come ci è della poesia in Mirabeau e in
Napoleone, cosi ci è un rivoluzionario in Burns,
e un politico in Dante. La poesia è varia come la
natura, e infinita come la musica. Essa si perso-
nifica sovranamente in due geni immensi. Dante
e Shakespeare.
Dante è la voce e la sintesi del Medio Evo
— è l'espressione musicale di un mondo che
muore. Il poema di Dante è il più sincero e il
più intenso di tutti i poemi; è come fuso nell'ar-
dente fornace della sua anima. Ma udiamo Car-
lyle:
« — Il mondo soprannaturale prese corpo
all' occhio di Dante con determinata certezza di
scientifica forma. Dante credeva alla esistenza
dell' Inferno, ai bui cerchi e agli alti guai^ come
noi siamo sicuri che vi è Costantinopoli, e che
per vederlo non occorre che andarvi. Il mondo
terrestre lo aveva respinto da sé, e obbligatolo a
un continuo pellegrinaggio: quindi tanto più pro-
fonda l'impressione che faceva su lui il Mondo
Eterno; quella tremenda realtà sulla quale fluttua
come un' ombra inconsistente questo mondo del
Tempo, con tutte le sue Firenze, con tutti i suoi
esili. — Tu, o Dante, non rivedrai Firenze, ma
170
vedrai distintamente l'Inferno, il Purgatorio, il
Paradiso. La tua grande anima, senza asilo sopra
la terra, farà sempre più sua dimora il terribile
mondo di là.... La Divina Commedia è, come la Xa-
tura, svariata nelle sue profonde armonie. Il vero
ritmico canto è 1' eroismo della parola. Tutti gli
antichi poemi, Omero, Giobbe, sono autentici
canti. Ma solo quando il cuore d' un uomo è ra-
pito in vera passione, e il suo accento diventa
naturalmente melodico per la grandezza, la pro-
fondità e la musica dei suoi pensieri, noi gli con-
cediamo il diritto di cantare, e lo cliiamiamo un
jjoeta^ e lo ascoltiamo con religiosa attenzione
come l'eroico dei parlatori.... Smettiamo i lamenti
sulle sventure di Dante. Se tutto gli fosse andato
a seconda, egli sarebbe stato un buon rimatore
del dolce stile^ un priore^ un potestà qualunque di
Firenze, riverito ed amato — e al mondo sarebbe
mancata la più grande parola clie mai sia stata
detta o cantata. Firenze avrebbe avuto un pro-
spero magistrato di più, e dieci secoli, muti fino
allora, avrebber continuato a rimaner senza voce;
e tutti i secoli successivi non avrebber potuto
ascoltare la Divina Commedia....
« Come Dante, l' uomo Italiano, venne al
mondo per incorporare musicalmente la Religione
del Medio Evo, la Eeligione della nostra moderna
Europa, e la sua intima Vita; — così Shakespeare
ci rappresenta la esterna Vita di Europa, le sue
cavallerie, cortesie, umori, ambizioni, e ogni ma-
niera di pensare, di agire, di guardar V uomo e le
Lt: "lhttuke su gli eroi" 171
cose, che si aveva allora. Come con Omero pos-
siamo ricostruire 1' antica Grecia, cosi per mezzo
di Dante e di Shakespeare, anche dopo migliaia
d' anni, sarà sempre leggibile che cosa era la mo-
derna Europa in Fede eàin Pratica. Quando il te-
nore cavalleresco di vita stava per cessare affatto,
venne questo poeta sovrano col suo occhio onni-
veggente, con la sua perenne melorlica voce, per
lasciarcene immortale ricordo. Dante è profondo,
e terribile come il fuoco centrale della Terra —
Shakespeare è largo, diffuso, sereno come il Sole,
la luce del mondo. Una di queste voci mondiali,
r ha prodotta l' Italia : noi Inglesi avemmo l'onore
di produrre 1' altra. »
La conclusione della Lettura su Shakespeare
è, che considerato nel suo insieme, egli è il pia
grande di tutti i poeti. « La Natura anche a lui
parve divina, ineffabile. E lui che disse; We are
sudi staff as Dreams are raade of. Ma Shakespeare
cantava, non predicava, eccetto musicalmente.
Abbiamo chiamato Dante il melodico sacerdote
del Medio Evo Cattolico. Non si potrebbe chia-
mare Shakespeare il melodico sacerdote di un più
vero Cattolicismo, della Chiesa universale del futuro,
e di tutti i tempi? Non più misere superstizioni,
né duro ascetismo, né intolleranza, e fanatica cru-
deltà; ma una Rivelazione luminosa dei milioni di
bellezze e divinità che asconde in se la Natura....
Vi sono dei passi in Shakespeare che sembrano
scender su noi come splendori del Cielo; fasci di
raggi che illuminano il vero cuore delle cose. Voi
17-2 LI-: "letture su gli eroi"
dite: Ciò è vero; detto una volta, è detto per
l'eternità!... E com'è ammirabile la serena tran-
quillità di quest' uomo! Non faremo certo un bia-
simo a Dante della sua tristezza: la sua è batta-
glia senza vittoria — ma vera ed eroica battaglia;
e questa è la cosa principale ed indispensabile.
Tuttavia io credo Shakespeare più grande di
D'ante, ^Der questo, che egli combattè e vinse. Non
dubitate: egli pure ebbe i suoi grandi dolori. I
suoi Sonetti ci attestano in che torbide e profonde
acque avea dovuto affondare e nuotare, lottando
per la sua vita. A me è sempre parsa una stupida
affermazione quella generalmente accettata da noi
che egli fosse come un uccello posato sul verde
ramo che canta sempre sereno e libero, immune
dalle cure e tormenti degli uomini. Non è così : non
è cosi per nessuna creatura umana — e tanto meno
per Shakespeare! Non si passa senza 1' esperienza
di grandi dolori dalla caccia di contrabbando a scri-
vere tragedie come Ee Lear. E come gli sarebbe
stato possibile il dipingere un Amleto, un Corio-
lano, un Macbeth, e tanti altri cuori eroici e sof-
frenti, se 1' eroico suo cuore non avesse sofferto
mai? E poi, in contrasto con tutto ciò, osservate
la sua giocondità, il suo schietto amore del riso.
Se in qualche cosa Shakespeare esagera, è nella
vena comica ed umoristica. Fiere apostrofi, parole
che penetrano e bruciano, si trovano in Shake-
speare, ma in una certa misura. Il suo riso in-
vece scaturisce a flutti — egli ride con tutto il suo
cuore: il creatore di Lear ha creato Falstaff....
173
« L'umanità era, è, e sarà come Shakespeare
1' ha veduta — egli ha del divino. E nonostante
r affievolito senso che abbiamo pel culto degli
Eroi, considerate che cosa è per noi questo Shake-
speare! A quale grimde Inglese, a quanti milioni
di Inglesi non si rinunzierebbe, piuttosto che a
questo contadino di Stratford? Non vi è gerar-
chia delle più alte Dignità che non fossimo pronti
a sacrificare, per serbar lui. Egli è la più gran
cosa che l' Inghilterra abbia fatto. Se ci si doman-
dasse: Volete, o Inglesi, cederci l'Impero dell'In-
die 0 il vostro Shakespeare? non aver mai avuto
le Indie, o non avere avuto mai Shakespeare?...
certo sarebbe una grave questione.... e il mondo
officiale risponderebbe senza dubbio in termini
molto officiali.... ma noi, e con noi il popolo, ri-
sponderemmo: India o non India, non si può star
senza Shakespeare. L' Impero dell' India, prima o
dopo, ci sfuggirà; ma questo Shakespeare rimarrà
eternamente nostro. »
Anche le religioni si trasformano e si rige-
nerano — e anche il Riformatore è sacerdoce.
Nessuna religione è affatto immune di idolatria,
perchè la nozione che essa dà della divinità è pure
un simbolo — e a poco a poco questo finisce per
esser creduto e adorato per se stesso, e non come
simbolo: il formalismo invade la religione — non
si crede più, ma si crede di credere. La Riforma
del secolo XVI ha inaugurato 1' era del giudizio
privato; ha detto che ciascuno dev'essere il prò-
174 LE "letture su gli EUOl'
prio papa. Fu ima rivolta contro la Sovranità ec-
clesiastica stabilita. — Il puritanismo si attaccò
anche alla autorità politica — e la sua opera fu
continuata dalla Rivoluzione Francese, e dura
ancora.... L'eroe del protestantismo è Lutero, l'eroe
del puritanismo è Knox. Il protestantismo di Lu-
tero porta allo scetticismo come ultima e logica
conseguenza: il puritanismo di Knox ha creato
la fede di Cromwell, e la Nuova-Inghilterra :
egli volle il regno di Dio sulla terra: lottò, con-
quistò , fondò ; — ed è la grande simpatia di
Carlyle.
Più ci avviciniamo all'età moderna, più l'arte
di scrivere, aiutata dalla stampa, acquista in-
fluenza e importanza. Una nuova forma d'eroismo
è possibile; il ^rand'uomo scrittore, l'eroe lette-
rato: quell'eroe di cui Carlyle sceglie a tipi John-
son, Rousseau e Burns. Forse a Johnson egli dà
troppa importanza; e Burns ci pare che fosse più
al suo posto tra i poeti, che tra gli uomini di let-
tere. Nonostante, le pagine su Burns sono tra le
più belle, vere e eloquenti che il Carlyle abbia scritto.
E bellissime quelle sull' apostolato delle lettere,
sulla dignità dello scrittore. Sarebbe curioso e op-
portuno raffrontare le parole di Carlyle con quelle
del Foscolo, di Schiller e del Mazzini, sullo stesso
argomento. Uno scrittore popolare e degno di que-
sto nome, un Rousseau, un Manzoni, un Victor
Hugo, è una potenza più grande di quella del-
l'università, del pergamo e della tribuna — egli è
per mezzo della stampa, la prima potenza mo-
LE "letture su gli EROI " 175
derna; e la sua parola « tuona più alto e tira più
lontano di qualunque artiglieria. »
Lo spazio non mi concede di tradurre intera
la lettura su Burns, una delle più belle del libro.
Nemmeno il Taine, nel suo ammirabile saggio,
ha parlato di Burns uomo con tanta verità e pro-
fondità quanto il Carlyle. Povero grande simpa-
tico Burns! il più eroico degli Inglesi nel secolo
più anemico prosaico e scettico della letteratura
e della vita Inglese! Da lui, da questo povero
contadino di Scozia, assai più che da Cowper, si
inizia il gran movimento intellettuale che produsse
la gloriosa pleiade poetica Inglese. Da lui, come da
duplice ricca sorgente, procedono egualmente
Wordsworth e Bjron. Grande come uomo, grande
come poeta. Figlio schietto, sincero, della Natura,
vede e canta, sempre ispirandosi al vero. Amori,
passioni, paesaggi, son sempre dipinti per attuale
esperienza, e visti coi propri occhi, non attraverso
i libri. Fervido e patetico, con che umana e larga
e magnetica simpatia ama e compiange i poveri,
i soffrenti, tutte le torture fisiche e morali del-
l'uomo! La sua simpatia si estende, egualmente
calda e patetica, agli esseri inferiori, ai poveri
animali, alle creature tutte, come quella di Vir-
gilio, e del poverello d' Assisi.
Leggete la sua vita. Da Giuseppe Chiarini
fu poco fa raccontata efficacemente la ^^ietosa
tragedia. Pensate a cìii era Burns, e a cosa fu con-
dannato per vivere! In quale ufficio la libera e
ricca Inghilterra adoprò il genio del suo eroico
170 LE "letture su gli eroi"
figliuolo! Non vi par di vedere l'alato cavallo Pe-
gasèo attaccato a una diligenza^ Eppure, ^ome
Shakespeare, egli mantenne per tutta la vita un
fondo inesauribile di eroica giocondità : il suo
franco e suonante riso affascinava ostesse e du-
chesse.... Nonostante le dolorose realtà della sua
vita, Burns non è mai un poeta elegiaco. Un pal-
lido raggio di sole gli basta per scuoter da sé il
fardello dei suoi dolori, per farlo cantare con voce
vibrante e pura, come un uccello dopo la burra-
sca. E il poeta della realtà e del coraggio. Il suo
umorismo e la sua satira g"ono eminentemente ri-
voluzionari. In altro paese, in altro campo, sa-
rebbe stato un Carlo XII, o un Mirabeau.
La Lettura su Rousseau è breve e severa;
forse, in parte, ingiusta. Nonostante, vi sono dei
passi di una forza e di una verità veramente
notevoli. Ne traduco alcuni:
« Di E/Ousseau e del suo eroismo non posso
dire quanto dissi di Johnson. Egli non è quel
che io chiamo un uomo forte. E un uomo mor-
bido, eccitabile, spasmodico: è intenso piuttosto-
chè forte. Egli non aveva il gran talento del
Silenzio: prezioso talento, che pochi Francesi,
anzi, a dir vero, pochissimi uomini, posseggono
ai nostri tempi. L' uomo che soffre dovrebbe con-
sumare il suo proprio fumo, perchè non mette
conto esalare del fumo prima d' averlo conden-
sato e TÌàotto R fuoco.... Rousseau non aveva suf-
ficiente profondità e forza per lottare contro le
difficoltà, prima caratteristica della vera gran-
LE "letture su gli EROI " 177
dezza. È un capitale errore quello di cliiamar
forza la veemenza o la rigidezza. Un uomo che
ha le convulsioni non è un uomo forte, benché
allora sei uomini non bastino a tenerlo. Chi può
camminare sotto il più grave peso senza barcol-
lare, quello è un uomo forte.... Guardate il ri-
tratto. Una faccia piena di patimento; qualcosa
d' ignobile, di volgare, redento solo dalla inten-
sità: la faccia di un fanatico, un eroe tristamente
contraffatto. Ma noi lo mettiamo qui fra gli eroi,
perchè con tutti i suoi difetti, e son molti, egli
ha la prima essenziale caratteristica di un Eroe;
egli è cordialmente intento al suo scopo. Arden-
temente e seriamente, come nessuno di quei Fi-
losofi Francesi fu mai. Anzi il suo zelo fu ec-
cessivo per la sua sensitiva e piuttosto debole
natura, e alla fine lo condusse alle più strane
incoerenze e quasi al delirio. li difetto e la mi-
seria di Rousseau fu 1' egoismo : sorgente e com-
pendio di ogni difetto e miseria. Non si era per-
fezionato nel trionfo dei propri desideri. Una
magra fame era troppo spesso il motivo delle
sue azioni — la fame delle lodi degli uomini....
E tutta la sua natura ne restò /jome avvelenata;
e quindi il sospetto, l' isolamento, i suoi modi
selvaggi.
« Eppure questo Rousseau coi suoi passio-
nati appelli alle Madri, col suo Contratto sociale^
con le sue celebrazioni della Natura, anche della
vita selvaggia in Natura, senti e accennò la
Realtà, lottò in vista della Realtà: ed esercitò la
Xencioxi. — ^aggi crilici di lett. ingUne. 12
178 LE "letture su gli eroi"
funzione di profeta al suo Tempo. Come egli po-
teva, e come il suo Tempo concedeva. Strana-
mente, traverso quel suo sfiguramento, quella de-
gradazione, quasi pazzia, vi è nell'intimo cuore del
povero Rousseau una scintilla di vero fuoco ce-
leste. Anco una volta, dagli elementi dell'arido e
beffardo Filosofismo, Scetticismo, risorse in que-
st'uomo l' indistruttibile sentimento e la coscienza
che questa nostra Vita è cosa vera: non uno Scet-
ticismo, un Teorema, un i^ersiflage; ma un Fatto,
una tremenda Realtà. La Natura glielo rivelò e
gli ordinò di confessarlo — ed egli obbedì. »
Verissimo: e si potrebbe aggiungere che non
solo egli sentì, unico fra quei Filosofi, che la Vita
è una tremenda Realtà e non una partita di pia-
cere — ma che primo senti e dichiarò che il Do-
vere è una religione. Fra quegli scettici gaudenti
ha una /ec/e, e sa che la parola è un apostolato.
Egli che provò le miserie reali della vita, imparò
da esse la profonda pietà per gli oppressi e pei
poveri; quella pietà che fu Tarme sua più potente,
che gli fu arme e leva per colpire ed abbattere
il mostruoso edifizio feudale, e fece di lui il prin-
cipale e più efficace iniziatore della Rivoluzione.
Infatti, Mirabeau e Robespierre, Vergniaud e
Madama Roland, Gironda e Montagna giurarono
egualmente sulla sua parola: parola unica che
sorprende, convince, commuove, agita, trascina e
comanda. E non basta. Bisogna anche ricordare
che in quell' epoca fu il primo a parlare di Dio
e dell'Anima, non col linguaggio freddo del me-
Ì.F. 'M.ETTURE SU GLI EROI " '170
tafisico 0 scolastico del teologo, ma con l'ardore
dell' uomo, con l' infallibile istinto del cuore. E,
benché ottenebrate dai miasmi del putrido secolo,
balenarono ai suoi occhi la Luce e la Verità del
Vangelo — e fu cristiano di sentimento e di aspi-
razioni, se non di fede e di culto.
Un falso concetto della Vita e dell'Arte ha
prodotto ultimamente in Francia, e per contrac-
colpo in Italia, una letteratura dalla quale è si-
stematicamente bandito ogni sentimento del-
l' ideale e dell' eroico. Noi siamo ancora circondati
dal bizantinismo, e dal dilettantismo trionfante.
Un indifferentismo inumano e spietato, larvato col
nome di scienza e di naturalismo domina il mo-
derno romanzo, e minaccia il teatro. Mai come
oggi lo studio e il culto degli Eroi fu così urgen-
temente raccomandato. La gradazione, se ben si
guarda, è spaventosa. Dal naturalismo al mate-
rialismo, al pessimismo, al fatalismo, all' indiffe-
rentismo — e, in xlrte, al dilettantismo !
Notate bene: il pessimismo è il fondo so-
stanziale di famosi libri recenti anche i più ap-
parentemente sereni e obiettivi. Scrittori diversi
d'indole, di genere, di ingegno, di tendenze, di
stile, in una cosa si somigliano tutti ; nel dipin-
gere la vita e le azioni umane fatalmente incep-
pate o paralizzate da influenze indipendenti dalla
volontà, e dalla volontà insuperabili. La creatura
umana si agita invano nel cerchio fatale dell'a?»-
hieìite e della eredità fisiologica. L' idea che ogni
180 LE ''letture su gli eroi''
sforzo è inutile, che la potenza delle cause este-
riori ed estranee è irresistibile, paralizza ogni forza
sj^irituale. Come volete che concepisca l' eroe e
1' eroismo^ che afferri il concetto di uno Schiller
o di un Carlyle, una gioventù malata di questa
malattia della volontà? E dalla paralisi della vo-
lontà — cioè della personalità umana — derivano
le altre malattie morali, come rivi corrotti da
una putrida gora.
Ciò che essenzialmente manca a questa let-
teratura che si chiama e non è naturalista — è la
naturale simpatia umana che caratterizza tutti i
veramente grandi drammatici e romanzieri , da
Shakespeare a Browning, da Cervantes a George
Eliot ed a Tolstoi. I naturalisti Francesi h e li-
brano invece provare un'acre voluttà nel dipin-
gere il lato vile e cariato della natura umana: e
ci presentano V uomo come guardato dall' alto, e
quasi sempre degno della loro commiserazione.
D' onde vien loro questa inumana indifferenza?
Perchè si atteggiano a olimpici semidei che osser-
vano, numerano e classificano degli animali in-
feriori? In nome di qual principio? Trattare
l'anima umana con la indifferenza scientifica del
chimico, del botanico, del mineralogista, è peggio
che un errore artistico; è un sacrilegio. Per ve-
rità di osservazione e di riproduzione, credete
che George Eliot, Thackera^^, Turghenieff, Tol-
stoi, valgan meno del Flaubert e dello Zola? Ma
George Eliot e i romanzieri russi mi fanno sen-
tire che i loro personaggi i più umili, anche i
LE "LETTURE SU GLI EROI 181
grotteschi e ridicoli, sono creature umane — e che
agli atti più insignificanti della vita e più vol-
gari, è sempre presente un formidabile benché
invisibile giudice. L' uomo è materia e spirito,
luce e fango. Dipingeteci pure il fango umano;
tutte le debolezze, le miserie, le vergogne, le
viltà dell' animale umano — ma perchè soppri-
mer la luce, l'anima, la lotta, il dramma eroico
della volontà e del dovere? « Voi ci rappresen-
tate, scriveva poco fa il Yoglié, quel che ci è
dell' uomo in una clinica, ma non è tutto 1' uomo;
anzi, r essenziale vi manca. » Ma ciò che umilia
il carattere umano e vuol mutilare le eterne spe-
ranze dell'anima, può divertire un' ora, ma è de-
stinato a perire.
Grià da molti fra i giovani innamorati del-
l'Arte, si cerca, si chiede, si aspetta qualcosa di
nuovo... Uno spirito inquieto tormenta i cuori a
cui non basta più quest'arte da fotografi e da
chincaglieri. Non voglion più convenzioni ele-
ganti, ma non voglion più putridume. Il romanzo
psicologico comincia a esser gustato e preferito
alle brutali fisiologie e patologie di certi libri
francesi e nostri. Insomma si ha fame di un nu-
trimento più sano e più sostanziale.
E poiché ho rivolto la parola ai giovani,
colgo l'occasione per dar loro un avvertimento e
un consiglio. Smettano di scrivere tanti versi,
per carità ! Non passa giorno che alle direzioni
delle nostre riviste e dei nostri giornali non ar-
rivi una valanga di volumi di versi — la mag-
182 LE "letture su gli eroi
gior parte mediocri, molti addirittura cattivi.
Ecco : se voi avete acquistato la difficile abilità
di esprimere in semplice e virile prosa schietto e
intero il vostro pensiero ; coltivatela e perfezio-
natela. Se non l'avete ancora, studiate, lavorate
per ottenerla. Ma perchè perdere il tempo a vo-
lerci cantare i vostri pensieri ? Di versi mediocri
ne abbiamo troppi in Italia. Quel che ci abbi-
sogna è una parola chiara, limpida e intelligi-
bile. Lo dirò con le parole stesse di Carlyle : « In
questa battagliera, e, in gran parte anarchica
epoca nostra, abbiamo urgente bisogno di udire
chiare e savie parole di consiglio e di comando,
e non monotone salmodie, o serenate musicali, o
melodiche svenevolezze. » Meno odi alcaiche e
meno bozzetti ! e dateci un po' più di studi filo-
sofici e storici. Su mille giovani che hanno il con-
tagioso prurito del bozzetto e dei versi, ve n'è
appena uno che studi e ami la storia. Ed è pure
in lei che si formano i pensatori e gli eroi... Verso
i quali, sarebbe desiderabile che il popolo e
la gioventù d'Italia ravvivasse il suo culto. Il
senso nobile, disinteressato, e veramente divino,
della ammira^zione e della venerazione, va sce-
mando fra noi. E un brutto segno, e lo deplo-
rava amaramente nei suoi ultimi anni Giuseppe
Mazzini.
Concludendo, l'eroe, re, sacerdote, legisla-
tore, capitano, filosofo o poeta, che ha coscienza
e timore della invisibile presenza divina ; che
guarda con occhio di riverente contemplazione
LE "lkttuiì!': su (ìli KItOI " 18o
t'juesDO divino Universo ; che opera secondo le
eterne leggi della Verità e della Natura, facendo
guerra a ogni larva, a ogni equivoco, a ogni
formalismo, a ogni menzogna ; che sa soffrire e
tacere, lavorare e aspettare ; questi è il vero
leader delle Nazioni. Guai al popolo che lo disco-
nosce, lo rinnega, o lo dimentica ! Non volendo
ammirare e seguire una divina realtà^ sarà raggi-
rato per ciechi laberinti, e sbattuto da incessanti
tempeste, come i dannati del cerchio « ov'è Dido »,
dietro a uomini-fantasmi^ dietro a fosforescenti e
vane apparenze : « tratterà l'ombre come cosa
salda » e vivrà per secoli nel crepuscolo e nel-
l'equivoco. Insigni esempi non mancano.... Ma non
basta ammirare gli Eroi: bisogna anche imitarli.
La vera Libertà consiste in una razionale Obbe-
dienza.
Quell'altra malintesa Libertà, è buona per la
rettorica di un meeting in qualche arena diurna
— o per fornire una rima tronca alle poesie pa-
riottiche di qualche Strenna.
{Nuova Anloh<jiu, 16 dicembre 1886.)
184
ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI
Credo ohe possa essere uno studio curioso ed
attraente quello delle diverse impressioni che i
vari e molteplici aspetti di Roma hanno fatto
sull'animo dei più insigni poeti e romanzieri In-
glesi ed Americani. Non si spaventi il lettore.
Non terrò nessun conto di quegli scrittori stra-
nieri, che dacché Roma è italiana non sanno ve-
dervi che desolazione; che datano l'origine di
Roma da Romolo, e la sua distruzione dalla
breccia di Porta Pia... Già costoro vengono a
Roma con opinioni e giudizi confezionati ; e im-
parano dal loro Baedeker ciò che bisogna sapere,
sentire, e ammirare nella eterna città. — Non
che abbian sempre torto, badiamo : pur troppo dei
vandalismi furon commessi: e basti rammentarne
uno recente ; l'atroce e imperdonabile scempio di
Villa Ludovisi.
Ma per quei cari estetici visitatori tutto è
malcj orrore, profanazione, in Roma capitale
ROMA E GLI semi TORI INGLESI 185
d' Italia. Per costoro l' Itiilia dovrebbe essere
sempre un Museo, uieut'altro che un Museo, del
quale noi Italiani siamo i custodi responsabili e
nulla più. Metterebbero a tutti in capo un largo
cappello abruzzese — ci fascerebbero i piedi coi
lacci e coi sandali dei ciociari, per farci j)/?V Ita-
liani^ cioè più pittoreschi. Un contadino che bal-
lasse la Tarantella con una Trasteverina sopra
una Gondola alla musica di un Piiferaro — questo
sarebbe il loro Ideale italiano... « Possibile ? —
essi esclamano tra stupefatti e furiosi — questi
rinnegati Italiani non hanno più ne colore, ne
costume locale — non più serenate, né musici, né
banditi, né processioni, né barberi! Oh spavento!
la città eterna, Valma metter, ha ora un servizio
di tramwuys tra Porta del Popolo e Ponte Molle ;
e nutre a petrolio le sue faci notturne... Ha
forse delle velleità Americane la nostra vec-
chia locanda ?» — Così é, amici pellegrini. Che
ci volete fare ? Tout lasse, toni casse, tout passe ;
anche le Italie della Corinna, ài Madama Radcliffe.
e di Lamartine. Ma consolatevi : vi restano in-
tatte nei keepsakes e sui paraventi.
Eppure anche Roma capitale d' Italia ha
avuto fra i romanzieri Inglesi ed Americani chi
r ha studiata e dipinta senza preconcetti e senza
ire di parte. Non sfuggì all'acuto ingegno di En-
rico James che la nostra vita odierna, leggera e
cosmopolita, appare in Roma come un gruppo di
profili irrequieti sopra un fondo scuro e solenne
di marmorea solidità. L'assenza di ricordi clas-
180 liO.MA E GLI SCRITTORI INGLESI
sici e di critica artistica, è forse più un pregio
che un difetto nei nuovi romanzi di vita romana.
Quelli scritti prima del Settanta, sono troppo
gremiti di Sìstine^ di Campagne^ di Beatrici Cenci
e di Cecilie Metelle. Le pagine alla Taine o alla
E-uskin sono come una desolante crittogama che
affoga il racconto. Il romanzo romano moderno
ci dipinge la vita contemporanea, la Eoma di
Montecitorio, del Costauzi, e di via Nazionale;
una vita di lotte politiche, di burocrazia e di
corruzione, di eleganza e di noia, di dilettanti e
di giornalisti, di intriganti e di cocottes — una al-
luvione da ogni provincia d' Italia, falange mista
e diversa ove fermentano i più svariati elementi,
e che pure assume in Eoma un certo carattere
nuovo, quasi omogeneo — tanto Eoma si im-
pone con la sua storia, coi suoi edifizi, col suo
clima, ed esercita su tutti una irresistibile in-
fluenza. Le tante Eome che sono in Eoma, cor-
rispondono e armonizzano con tutti i sentimenti
dell'anima umana ; dalla rosea serenità, alla tetra
malinconia, alla tristezza invincibile. Eoma e
Venezia sono variabili all' infinito, come il viso
di una bellissima donna nervosa. Il tempo e la
simpatia ci rivelano gli aspetti sempre nuovi di
una stessa bellezza. Eoma varia con le stagioni,
quasi varia con le ore ; è sempre attraente, benché
sempre triste — ed ha talora, benché raramente,
una fresca grazia primaverile: è una città che si fa
amare come una persona , che si può, forse, an-
che odiare, ma che non lascia mai indifferenti.
ROMA E (JLI SCIilTTUUl INGLESI 187
Roma è ]a città unica, urbs et orhis^ che sim-
boleggia e comprende le cose più disparate. Vi
sono in E-oma cinque o sei Rome, che hanno il
loro carattere particolare e i loro speciali ammi-
ratori e visitatori. Winckelmann e Overbeck,
Goethe e Chateaubriand, Shelley e Lamartine,
Byron e Veuillot, 1' hanno adorata con eguale en-
tusiasmo. Dall'Apollo di Belvedere, ai graffiti e
ai mosaici Bizantini ; dal semplice altare scavato
nel tufo delle Catacombe, alle magnificenze li-
turgiche di San Pietro ; dal palazzo dei Cesari,
dal Colosseo e dalle Terme, alle Chiese dei Ge-
suiti e ai palazzi e alle fontane del Bernini; dalla
desolata e pittoresca solitudine della Campagna,
ai i^arterres ricamati e agli alberi pettinati delle
Ville principesche ; esistono in Roma i più spic-
cati contrasti. E la città dialettica per eccellenza.
Essa concilia tutte le espressioni della storia e
della vita, nella solenne unità della sua grandezza
e nella infinita malinconia delle sue memorie.
E forse appunto per questo, che Roma ha
acquietato nella sua pace solenne i disastri dei
popoli e le tragedie dei re ; e che essa è il più
sicuro asilo alle anime devastate dalla passione.
Borboni e Stuardi, Sobiesky e Bonaparte, tutti
ha accolti e pacificati la città madre. Chi molto
ha pensato, amato, sofferto, adora Roma. Essa
è la consolati' ix affi idorum di tutti i tempi; è l'asilo
e il conforto supremo di ogni decaduta grandezza
e di ogni speranza delusa.
Chi ha più intensamente sentito e meglio ri-
188 *HO>JA E GLI SCKlTTOril INGLESI
prodotto nelle sue opere lo spirito di Roma pa-
gana, è senza dubbio Volfango Goethe. Leggete
in prova le 3 f emorie, le Elegie, la Ifigenia. Se vo-
lete sapere fino a che punto egli s'era immedesi-
mato in Roma, come il suo grande intelletto n'era
stato compenetrato e trasformato, rileggete nelle
sue Memorie (Viaggio in Italia) le pagine in cui
ci descrive la sua ultima notte in Roma, la pas-
seggiata notturna a lume di luna tra le mine del
Foro e del Colosseo, e il suo ultimo addio alla
eterna città.
Ma chi più di Goethe stesso ha sentito ed
espressa la tragica poesia delle rovine romane, è
senza dubbio Giorgio Bj^rou.
Byron visitò Roma nel maggio del 1817.
Scriveva al Murray « Sono innamorato di Roma.
Mi ha fatto più impressione della stessa Grecia.
Come insieme, antica e moderna, sujoera la Grecia,
Costantinopoli e tutto quello che ho visto nei miei
viaggi. Non posso descrivervi nulla per ora: le mie
impressioni son forti e confuse... poi la mia memo-
ria riordinerà, sceglierà, e ve ne dirò qualche cosa. »
E lo disse, non al Murray, ma all' attonito
mondO; in quel sublime quarto canto del Childe-
Harold — che è contemplazione^ elegia, inno e
tragedia ad un tempo. Il canto è all'altezza del-
l'argomento. Mai Roma fu cantata cosi romana-
mente : mai più sublimemente salutata.
« 0 Roma, o mia patria, o città dell'anima !
Gli orfani del cuore debbono rivolgersi a te,
madre solitaria di estinti imperi ; e chiudere nei
ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI 189
loro petti i loro meschini dolori. Che cosa sono
le nostre angosce ? Venite a vedere il cipresso, a
udire il gafo, a farvi a stento una via fra questi
avanzi di troni sj^ezzati, e di templi. Voi, le cui
agonie son dolori di un giorno — un mondo è
qui ai nostri piedi, fragile come la nostra creta...
La Niobe delle nazioni! eccola qui nel suo muto
dolore, senza figli e senza corona: una vuota urna
è nelle sue scarne mani, la cui cenere sacra fu di-
spersa da secoli... I Goti, i Cristiani, il Tempo,
la Gruerra, le alluvioni, gli incendi, son passati
su lei... L'Oceano ha una carta, le stelle una
mappa ; ma Roma è come il Deserto. — Caos di
mine ! Chi leggerà in queste ammucchiate reli-
quie, chi getterà una pallida luce lunare su
questi sparsi frammenti ? chi potrà dire : « qui
fu, qui è, » dove tutto è impenetrabile notte ? »
Le stanze sulle grandi rovine hanno un ca-
rattere tragico, e un incrociarsi di immagini su-
perbe e grandiose, come i titanici avanzi che
esse cantano. Il Colosseo così possentemente e
graficamente descritto nel magnifico monologo
del Manfredo — atto III — Scena IV — nel
C/uYcZe-^aro^f/ è ripopolato dalla fantasia del poeta,
e tutti abbiamo assistito piangendo e fremendo
all'agonia del Gladiatore.
Ma accanto alle note epiche e tragiche vi
sono in questa stupenda e veramente unica sin-
fonia romana altre parti più miti, ora dolcemente
malinconiche, ora ineffabilmente patetiche, ora
pittorescamente rurali. Chi non rammenta le
190 ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI
stanze sul Clitunno, sulla Ninfa Egeria, sulla
tomba di Cecilia Metella ? E infine il poeta fa di
questo immenso teatro la scena della propria
vendetta. Con rapida e lirica associazione di idee,
chiama un tratto a raccolta i suoi dolori, e i di-
singanni, e le ire — e grida la formidabile apo-
strofe a Nemesi.
Lo Shelley fu a Roma nel 1819. Le sue prime
impressioni son de*scritte in una lunga bellissima
lettera a T. L. Peacock in data del 23 marzo 1819.
In essa chiamaRoma « l'eterna capitale del mondo.»
Descrive alcune delle scene più ammirabili, parti-
colarmente la Campagna al tramonto, il Colosseo,
le Terme di Caracalla, il Campidoglio, Monte Ca-
vallo. Il Cimitero Inglese gli ispira una pagina
tutta poesia, musicale come una lirica. Si direbbe
che un funebre e profetico presentimento gliela
ha dettata. A tutte le famose rovine, compreso lo
stesso Colosseo, Shelley preferisce quelle delle
Terme di Caracalla — e le descrive con una po-
tenza non mai raggiunta dai successivi descrit-
tori di quella stupenda ruina. Le due pagine di
Shelley in prosa, e 1' ode barbara del Carducci,
sono le due più stupende riproduzioni di quello
spettacolo unico al mondo. Il Ruskin, il Taine,
rHawthorne, ce ne hanno dato ammirabili pit-
ture; ma le due più possenti e adeguate al sog-
getto son quelle del Carducci e di Shelley.
Roma parve allo Shelle^^, e ce lo dice egli
stesso in Adonais « un paradiso e una tomba, una
città ed un deserto. » Fra le tante lettere che egli
Roma e gli scniiToni inglesi 191
scrisse da Roma su Roma, sono notevoli quella
sul Vaticano, quella su Michel angiolo e Raffaello,
quella sul Foro. « Il Foro Romano, egli scrive, è
una specie di deserto, pieno di mucchi di pietre
e di fossi : e benché vicinissimo alle abitazioni
dell'uomo è il più desolato luogo del mondo. Ro-
vine di templi lo empiono e lo circondano. I tem-
pli di Giove, della Concordia, della Pace, del Sole,
di Vesta, son tutti a breve distanza.... Roma è la
città della morte — o piuttosto la città di quelli
che non posson morire, e che sopravvivono alle
miserabili generazioni, le quali occupano, pas-
sando,il posto che essi consacrarono eternamente.»
E lo stesso sentimento che provarono Bja'on e
Chateaubriand, Lamennais e Lamartine, Platen e
il Leopardi.
I rudi enormi palazzi medioevali di Roma, e
il tragico eschiliano paesaggio che la circonda,
non ebber poca parte nella creazione Shelleiana
dei Cenci. E fra le pittoresche rovine delle Terme
di Caracalla fu scritto il Prometeo disciolto j come
ci avverte il poeta medesimo : « Questo poema
drammatico fu da me scritto in gran j^arte sulle
montuose rovine dei Bagni di Caracalla, tra i
grandi cespi fioriti, e i gruppi di odorose piante
selvatiche che crescono su quelle immense piatta-
forme, su i colossali archi sospesi in aria. Lo splen-
dido cielo azzurro di Roma, e 1' effetto del vigo-
roso risveglio della primavera in quel clima di-
vino, la vita nuova con cui essa impregna i nostri
spiriti fino ad inebriarcene, furon le principali
i92 ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI
ispirazioni di questo mio dramma. » — E infatti
nessuno spettacolo è al mondo più originale, più
stupendo, più unico di questa immensa mina. Essa
ha tutta la poesia dell'inatteso, dell'arcano, del-
l' indefinito.... Archi rotti e sospesi come per pro-
digio nell' aria; colonne spezzate; pavimenti sfon-
dati; mattoni e mosaici, marmo e granito; grandi
fiori selvaggi e lunghe erbe ondeggianti; il volo
e il grido dei falchi rompenti a intervalli il so-
lenne pauroso silenzio; e la grande malinconia
del passato e dell' infinito. Ecco un insieme unico
al mondo! E perciò questa stupenda mina ha
ispirato tanti fra i più insigni poeti moderni.
Peccato che Victor Hugo non sia mai stato a
E/oma! Il Colosseo e le Terme di Caracalla eran
degno tema pel suo titanico genio.
Diffìcile a credersi, ma pur troppo vero, e
dettoci da lui medesimo, è che a Shelley fecero
poca 0 non buona impressione i colossi dipinti o
scolpiti da Michelangiolo. Egli negava « il senso
della bellezza » al pittore di Eva e della giovine
Sibilla^ allo scultore della Pietà e della Notte. Pare
incredibile ! Quei miracoli della Sistina che ispi-
rarono il genio del giovine Milton, lasciaron freddo
lo Shelley. Egli pregiò e sentì degnamente Raf-
faello e Leonardo. Chi non ricorda i divini versi
sulla Medusa? Ma pur troppo egli ammira con
quasi eguale entusiasmo, ed esalta con iperboli-
che lodi i Caracci e Salvator Rosa.... e va in
estasi dinanzi al viso slavato e al bianco turbante
della Beatrice Cenci di Guido.
ROMA E GLI SCRITTOni INGLESI 1 0.^j
A Shelley piacquero molto le donne romane.
« Mi piaccion tanto, scriveva al Peacock, perchè
nella loro assoluta mancanza di coltura, e nella
loro innocente naiveté, mi sembrano delle ingenue
bambine o delle amabili selvagge. » È un curioso
motivo di simpatia....
Il San Pietro cantato con sì solenni note da
Byron, non piacque allo Shelley. Ne scrive così:
« San Pietro è in perfetta antitesi e col buon gu-
sto antico e con la severa idea Cristiana. Più lo
vedo, più lo trovo inferiore alla sua fama. La
piazza è stupenda. Non v' è 1' eguale in tutta Eu-
ropa. ^> E certo, dal suo punto di vista, lo Shelley
ha ragione : come hanno ragione il Ruskin e il
Taine ai quali l' interno di San Pietro appare
come una enorme combinazione di effetti barocchi:
grandiosa ma teatrale, potente ma enfatica. Una
grande opera architettonica dev' essere come una
parola sincera, come un grido che esprima imme-
diatamente un sentimento. E vero: ed è anche
innegabile che il carattere del Cristianesimo è
meglio espresso dai chiaroscuri, dalle tenebre mi-
stiche, dai vetri colorati, e dalle selve di colonne
e di guglie di una cattedrale gotica: che senza
uscire d'Italia, come opere d'arte una e perfetta,
Santa Maria del Fiore, San Marco, il Duomo di
Pisa, il Duomo di Milano, son superiori al San
Pietro. Ma guardiamo San Pietro da altro punto
di vista. Non vi cerchiamo ne i terrori ne le te-
nerezze mistiche della Chiesa soffrente e militan-
ISE^"C10^'I. — Saggi critici di leti, inglese. 13
194 noMA E GLI SCRITTORI INGLESI
te; ma lo splendore della Chiesa trionfante e cat-
tolica. Allora esso ci apparirà come a Byron. come
a Chateaubriand, come a Hawthorne, la vera
Cattedrale del mondo; e in certi momenti di rito
solenne, ci parrà, come a Browning, sovrumana-
mente sublime. Ascoltiamo il poeta di Christmas-
Ève and Easter-Day:
« Che cosa è questa mole che si eleva su co-
lonne di prodigiosa larghezza? E realmente sulla
terra questo stupendo Duomo di Dio? Il metro
misuratore dell' angiolo che, gemma per gemma,
numerò i cubiti della Nuova Gerusalemme, lo ha
forse misurato, e i figliuoli degli uomini hanno ese-
guito ciò ch'egli delineò? — disponendo cosi in
giro i fusti del colonnato che apre le grandi brac-
cia come invitando l'umanità a cercare un rifu-
gio in qaesto tempio?... A quest'ora, io vedo la
intera Basilica piena e vivente come un popoloso
alveare. Uomini ai balaustri, nel centro, nelle na-
vate; uomini sugli architravi delle colonne, sulle
statue, sulle tombe che chiudono papi e re nel
loro grembo di porfido — tutti ansiosamente
aspettando il momento della consumazione dal-
l'aitar maggiore: perchè, vedete, il gran mo-
mento è vicino in cui al miglior frutto della
terra si mescola il cielo ; i grandi ceri palpita-
no, le giranti spire di bronzo sollevano più su-
perbo il baldacchino; i respiri dell'incenso finora
compressi, esalano in nuvole; l'organo muggendo
e trascinandosi in bassi suoni, trattiene la voce
possente dei bassi, come se il dito di Dio lo ac-
ROMA E GLI SCniTTOni INGLESI 195
chetasse, sfiorandolo; ed ecco, al suono argentino
del campanello, il pavimento è improvvisamente
coperto dalle facce adoranti della moltitudine pro-
sternata. »
Forse nessuno lia espresso meglio di Haw-
tliorne il carattere cattolico di San Pietro. Leggete
in TraìisforrnatioH l'ammirabile capitolo intitolato
La Cattedrale del Mondo. E non credo d'esagerare
aggiungendo che in nessun libro meglio che in
questo romanzo di Hawthorne sono efficacemente
riprodotti i varii aspetti di Roma, nella sua sem-
pre solenne eppur sempre mutabile fìsonomia. Chi
poi vuol conoscere bene la Roma degli ultimi
anni di governo papale (non parlo però in senso
politico, intendiamo bene), legga il libro di Haw-
thorne: la Roma dal '50 al '60, durante l'occupa-
zione francese, rivive in quelle artistiche pagine:
e vi rivive tutta. Stupendi i capitoli sul Museo
Capitolino (il Fauno) — le Catacombe — Villa Medici
— Il cimitero dei Cappuccini — la Campagna —
Gita, a lume di luna.
Come pittura vivace ed artistica degli usi e
costumi romani, o meglio romaneschi, che ogni dì
più vanno dileguandosi dinanzi all'invadente co-
smopolitismo, raccomando il libro dello scultore
Story, Roba di Roma. E un libro alla Stendhal,
più lo stile di un vero artista. La parziale muta-
zione di Roma divenuta capitale d'Italia ha sce-
mato importanza ad alcune parti dell' opera : o
per meglio dire, ha ridotto a documenti del pas-
sato pagine che erano riproduzioni del presente.
196 ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI
Ma quelle sui cafìè, sulle inarionettej sui giuochi,
sui teatri, sul Ghetto, e sul Trastevere; la Caccia
alla vol^JCj Pasquino, le Fontane, si leggeranno sem-
pre con vivo interesse. È in questo libro del si-
gnor Story che si trovano le bellissime e giustis-
sime pagine su la Rachel, la Ristori, e Tommaso
Salvini (neir Otello e nel Saul).
Vi è in Roma focolare e alimento per tutte
le gradazioni e i caratteri della devozione cri-
stiana: dalla primitiva e severa fede degli apo-
stoli e dei martiri, dall'ascetismo ardente e vi-
sionario del medio-evo, alle regolate e disciplinate
devozioni degli Exercitia, e alle tenerezze misti-
che della Filotea. Lia. fede di Chateaubriand e
quella del ciociaro vi sono egualmente appagate :
a breve distanza, possono qui inginocchiarsi il
puritano e il gesuita: chiunque s'inchina alla
Croce, ha in Roma una patria. Aggiungete, che
il rituale cattolico qui dispiegato in tutta la sua
immensa varietà e in tutta la sua pittoresca ma-
gnificenza, tocca il cuore del credente, e colpisce
1' occhio dell' artista. Dalla messa cantata nella
Sistina, alla tragica tumulazione di un cappuc-
cino, che galleria di quadri viventi offre la Roma
cattolica! Lo stesso Goethe non sfaggi a queste
impressioni — sentì la poesia del rito cattolico, e
gli fu motivo a molte delle più belle scene del
Fausto. Le campane di Pasqua; il tabernacolo
dell'Addolorata; 1' organo e il dies irae nella scena
della Cattedrale; gli anacoreti, le penitenti, gli
angioli e la Mater gloriosa nelle stupende scene
nOMA E GLI SCfllTTORI INGLESI 197
mistiche clie concludono il poema, son tutti motivi
cattolico-romani: la scena sublime della Catte-
drale fu scritta da Goethe proprio in. Roma, e
precisamente in villa Borghese, dopo aver sen-
tito della musica sacra in San Pietro.
Fra gli scrittori non credenti che pure inte-
sero e tradussero in splendide pagine la poesia di
Roma cattolica, van ricordati, oltre il sommo
Goethe, la Sand, Stendhal, Renan, Taine, Caste-
lar. Ma nei libri e nelle tele dei veri credenti, la
fede dà alla parola e al colore un accento ricono-
scibile e più penetrante: e forse Roma cattolica
non fu mai cosi efficacemente interpetrata come
nelle belle e veramente angeliche lettere di Ales-
sandrina De la Ferronnaye. (vedi Récit cfune
Soeur).
Una vivente espressione della Roma divota^
io r ebbi, venti anni fa, in una visita che feci allo
studio del pittore Overbeck. Disegnava quel giorno
un cartone di soggetto evangelico — la vocazione
di San Matteo. Non scorderò mai quella figura
tedesca, severa ed ascetica; in perfetta armonia
con le linee un po' dure, ma caste e spirituali dei
suoi disegni. Mi parve un Santo di Alberto Du-
rerò, o della vecchia scuola senese. Egli ci illu-
strò il suo cartone in tono quasi compunto, ma
nobile nell' accento e nei gesto. Aveva un lungo
soprabito nero, i capelli lunghi raccolti dietro le
orecchie sotto una papalina di velluto. I suoi oc-
chi verdi-grigi mi rammentaron quelli di San Luca
di Yelasquez. Fu gentile con tutti i numerosi vi-
108 ROMA E GLI SCRlTTOni INGLESI
sitatori: ma in special modo con un povero cap-
puccino che. pareva proprio mortificato di tanto
onore.... e che non sapendo come corrispondervi
in miglior modo, offrì al pio artista una presa cU
tabacco. Overbeck accettò, e gli sorrise con un
sorriso fine di prete e d' artista — degno di esser
notato da Sterne.
La grave, blasonica, pontificale Roma del Se-
cento rivive immortale in alcuni poemi di Brow-
ning: soprattutto nell' Anello e il Libro, e in Cen-
ciaia. E questa Roma dal barocco grandioso e
triste, è quella che più apparisce, e direi quasi s^im-
'pone, a chi per la prima volta visita l' eterna
città. Né la democratica vita contemporanea, né
il movimento sociale e politico della capitale d'Ita-
lia, hanno minimamente alterato quel carattere
di una grandissima parte di Roma. Noi rivediamo
anche oggi tal quale la Roma delle vecchie stam-
pe, che facevan tanto fantasticare Goethe fan-
ciullo: anzi, nelle vecchie incisioni ritroviamo
Roma più vera e rassomigliante che nelle mo-
derne fotografie. Una fotografia è cosa troppo bella,
troppo nuova, troppo lustra, per rappresentarci
la vecchia solenne Roma blasonica. Quelle im-
mense piazze con un obelisco o una fontana nel
mezzo, traversate da carrozzoni stemmati a quat-
tro cavalli, e da qualche cavaliere in cappa, spada
e parrucca — quelli scaloni popolati di mendi-
canti — quei muraglioni di convento da cui s'af-
faccia la punta di qualche cipresso nero come il
ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI 199
carbone — quei palazzi scuri ed enormi come
fortezze, dai cui cancelli di ferro ragginosi s' in-
travedono delie rose, e si ode il pacifico murmure
di una fontana — quei mucclii di rovine tra cui
sono sdraiati dei bufali — quelle architetture
strane e barocche ma grandiose ed indimentica-
bili; periodi ciceroniani scanditi in pietra ed in
marmo — tutte queste romanità^ non si posson
sentire e gustare che nelle vecchie stampe.
Ma se la vecchia incisione riproduce efficace-
mente il guscio dell' animale sparito — mi si per-
doni r espressione — e lo scheletro fossile di una
vita che è durata quasi tre secoli; i poemi di
Browning hanno rievocato e riprodotto quell'ani-
male e quella vita. Aggiungasi in lode di questo
incomparabile poeta, che egli è anche il più grande
e più fedele pittore del paesaggio romano. Solo gli
è paragonabile il E-uskin in alcune pagine dei
Modem Painters^ di Proserpina^ e di Praeferita.
Lo Story nei Graffiti cV Italia, e Hawthorne
in Trans/ or mation^ son quelli che han meglio sen-
tito il carattere particolare, il magnetico charme
delle Ville romane. Essi meglio di ogni altro
hanno saputo esprimerci la poesia delle elei se-
colari, delle terrazze di marmo ingiallito, dei se-
dili muscosi presso le vecchie fontane; la pace
dei loro autunnali riposi, il silenzio e la luce d'oro
dei loro tramonti.
I tramonti! Avete mai notata la ineffabile
poesia, il sublime pittoresco dei tramonti roma-
ni? Né Firenze, né Genova, né Napoli stessa,
200 ROMA E GLI SCRITTOUI INGLESI
presentai! mai così divino spettacolo. Solo Vene-
zia, qualche volta, può reggere al paragone. Bi-
sogna veder Roma in un tramonto di settembre
o di ottobre, dalla terrazza del Pincio. Essa è
come trasfigurata in una apoteosi di luce. La
cupola di San Pietro giganteggia, circonfusa
d' una raggiera d' oro, sulle altre moli romane
scintillanti nel passeggero incendio vespertino.
In lontananza, i monti Albani, il Soratte, si tin-
gono di un color rancio che lentamente sfuma
nel roseo — colore indefinito, diafano, di una
mollezza, di una tenerezza, di una pace ineffabile.
Altre volte, specie iu autunno, i tramonti
romani sono tragici, apocalittici, spaventosi e
sublimi. La città pare una smisurata Pompei
sotto la cenere. Blocchi giganteschi di nuvole
color di rame si affollano a oriente — a occidente,
è una immensa tenda di fuoco incandescente.
Qua e là, sparsi pel sinistro cielo, immani forme
di mostri, tizzoni fumanti, strisele di sangue, ro-
vine babiloniche, confusi avanzi di enormi nau-
fragi.
Il Swinburne nei Songs hefore Sitìirise can-
tando la Eoma rivoluzionaria e repubblicana,
Mazzini e i Cairoli, Mentana e la Mater triumijìia-
lisj ha dipinto i queti o tumultuosi paesaggi ro-
mani, con la potenza del genio.
Ciò che più di tutto .apparisce evidente,
scorrendo i volumi su Roma degli scrittori In-
glesi— e non solo degli Inglesi, ma d'ogni altra
ROMA E GLI SCniTTOMI INGLl'SI ^01
nazione — è che il vedere Roma è un avveni-
mento; lasciar Roma è un dolore, una nostalgia.
Ma intendiamo bene; per provare questo senti-
mento, bisogna esser rimasto in Roma almeno
per un anno. Chi vi si è trattenuto solo per pochi
giorni — le famose dieci o venti giornate delle
stupide Guide — generalmente parlando, la lascia
Senza rimpianto. Ma chi vi ha din] orato più di un
anno, ne parte a malincuore, e la ricorda sempre
con desiderio.
Quanti amici miei che maledicevano i gravi
inconvenienti di Roma come città moderna , e
sospiravano a Torino, a Milano, a Firenze, ab-
bandonaron Roma allegramente, si accorsero poi
con maraviglia che la rimpiangevano, e sareb-
bero stati felici di ritornarvi! Si: nonostante le
strade sudicie e la micidiale cucina; i ciociari e
gli archeologhi, le modelle e i giornalisti, i cice-
roni e i pellegrini ; nonostante il purgatorio dei
suoi ciottoli, e l'inferno delle sue febbri; Roma
ci resta in cuore come una sacra memoria, e ci
ispira un irresistibile sentimento di devozione
filiale.
Molte sono le ragioni di questo fascino che
esercita Roma ; so^^ra tutto, la saa varietà. Ripeto:
vi sono in Roma sei o sette diverse Rome : la cu-
riosità è eccitata continuamente, e il mutamento
di impressioni rende impossibile la sazietà. La
prima impressione che fa Venezia è suj^rema,
indimenticabile. Leggete le lettere scritte subito
dopo il loro arrivo a Venezia, da Byron, da Shel-
202 ROMA E GLI SCRITTORI INGLESI
ley, da Ruskiii, da Dickens, da George Eliot —
per non citare die degli Inglesi. La poesia di
Venezia è come una nota deliziosa ed intensa,
ma unica. Lo stesso si può dire di Firenze e di
Genova. Napoli è un paradiso — ma un mono-
tono paradiso. Quando avete contemplato quel
panorama divino che si gode da Ghiaia e da Po-
silipo — quando siete saliti al Vesuvio — o avete
percorsa la via di Sorrento, siete come inebriati
e saziati di luce e di voluttà ! Ma Roma ! Se siete
un disilluso, un malato che cerca la solitudine e
la meditazione tranquilla, Roma vi offre più luo-
ghi d' una solitudine, di un silenzio, di una pace
infinita, come là presso San Giovanni Laterano.
Li mezz' ora, potete trovarvi tra il movimento
fragoroso del Corso e del Pincio. Dal tumulto di
Montecitorio, in venti minuti, potete rievocare i
cavalieri in parrucca e le dame in guardinfante,
tra le elei e i bossoli di villa Pamphili. lì tram
della nuova ed allegra Via Nazionale vi mette
sulla via che vi condurrà al palazzo dei Cesari e
ai titanici avanzi della Roma Imperiale.
Uscite dalle mistiche tenebre delle Cata-
combe e siete sulla Via Appia. Il pavimento, a
grandi pietre scure, è di Roma repubblicana; le
tombe schierate lungo la via riepilogano la ro-
mana epopea. Da un lato, avete le grandi linee
della desolata Campagna, dall' altro s' intravede
il mare. Si cammina fra due immensità. Abbiamo
accanto le tombe degli Eroi; sotto i piedi le ossa
dei Martiri. La Natura e la Storia riunite, non
ROMA E GLI SCniTTOrn INGLKSI ^Oo
hanno combinato in nessuna parte della terra
una si prodigiosa armonia. Siete un artista? Ec-
covi il Vaticano colle sue migliaia di statue, e i
miracoli di Raffaello e di Miclielangiolo. Eccovi
i convegni di artisti contemporanei a Villa Me-
dici, all'Accademia di Spagna. Uu Winckelmann,
un Goethe, vivono in Roma felici tra i Fori, le
Terme, gli Archi, e le mille statue belle di greca
bellezza. Un Overbeck vi è beato, pregando nelle
vecchie chiese primitive, o sul marmo delle grandi
Basiliche, e nella penombra delle Catacombe. Uno
Chateaubriand vi adora le magnificenze jeratlche
e liturgiche di San Pietro, di Santa Maria Mag-
giore, di San Paolo. 11 patrio tta vi segue le
tracce delle eroiche disperate difese di Garibal-
di, e s'inginocchia nel Pantheon innanzi alla
tomba del Re....
E per ultimo, se volete avere un' idea esatta
della sterminata varietà di Roma, pensate che
1' hanno amata, esaltata, desiderata, e rimpianta
con eguale buona fede e con eguale entusiasmo,
Goethe e Chateaubriand, AVinckelmann e Ruskin,
Shelley e Lamartine, Stendhal e Veuillot, Renan
e Silvio Pellico, Hawthorne e Andersen, Browning
e Castelar, Gregorovius e Alessandro Dumas....
Mi pare una lista abbastanza eloquente: né certo
se ne potrebbe fare una simile per altre città
d' Italia e d' Europa.
{Nuova Antologia, 1 luglio 1888.)
•
204
IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
Da un pezzo in qua, le due parole più spesso
pronunziate e stampate sono Pace e Guerra. Si
direbbe die il titolo del gran romanzo di Tol-
stoi abbia lasciato milioni d'echi in Europa. La
guerra ! Posta la questione nel campo storico e
pratico, forse hanno ragione Hobbes e De Mai-
stre, Swift e Cattaneo, Moltke e Carducci ( « spa-
ventosa concordia in un desio... » ). Ma in fondo
all'intima sua coscienza, 1' Umanità sente che la
guerra per se stessa è un male, nonostante il
bene che qualche rara volta ha ^^rodotto — un
male divenuto forse necessario, perchè logica e
immediata conseguenza di altri mali — ma un
male; e bello e santo è ogni tentativo, ogni
sforzo che fanno i popoli per liberarsene.
È vero però, e curioso a notarsi, che questo
i Wai.t WiiitmaXj Drinn Taps. — Id. Uemocratic Visfas,
li). Specimen Dai/s in Americai
II, POETA DELLA GUERRA AMERICANA 505
male, come tanti altri che affliggono la ^^overa
umanità, ha una tremenda attrazione magnetica,
stavo per dire estetica, per l'immaginazione po-
polare. Senza uscire dal nostro secolo, la Guerra
ha dato un gran contingente alla poesia, al ro-
manzo, al teatro, alla pittura, alla musica. Basti
ricordare i nomi di Byron, W. Scott, Campbell,
Korner, Rlickert, Berchet, Mameli, Stendhal,
Hugo, Tolstoi, Whitman, Bret Harte, Eckermann,
De Amicis, Deroulède, Zola, Kipling, Yernet, De-
taille, Neuville, Vereschagin, AYagner, Liszt...
Ogni guerra al nostro secolo si è portata dietro
una fioritura di letteratura e pittura che la rap-
presenta — e in generale è stata un fondo facile e
utile di scenario romantico, di effetto sicuro. Ma
quelli che hanno schiettamente e profondamente
sentito la tragica poesia della guerra, son pochi;
Byron, Tolstoi, Detaille, Whitman, Vereschagin,
sono forse i più grandi.
La guerra civile d'America è unica nella
storia ; e per V importanza sociale di un sacro di-
ritto inumanamente oppugnato ed eroicamente
difeso, e per l'immensa vastità e varietà del teatro
in cui quella lotta titanica fu combattuta. La
schiavitù prosperante in una sola metà della Re-
pubblica aveva creato due mondi ostili: le forme
apparenti di governo eran le stesse ; ma i costumi,
gl'interessi, gl'ideali eran diversi: l'antagonismo
fra il Nord e il Sud diventava ogni giorno più
palese, più minaccioso. Il quadro drammatico dei
patimenti di milioni di creature umane, pittore-
20G IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
scamente e pateticamente descritto nel semplice
ed eloquente libro della Beecher Sfcowe, commosse
r Europa intera. Ma più che il martirologio dei
Negri, colpi e fermò l'attenzione di ogni pensa-
tore d' Europa e d'America un fatto evidente e
costante, cioè che anche tra i proprietari più
umani, in regioni dove lo schiavo viveva relativa-
mente bene, una fatale demoralizzazione era il
giusto gastigo che lo schiavismo infliggeva a
coloro stessi che ne traevano profitto e potenza.
Il conte di Parigi, nella sua classica e monumen-
tale storia della Gran Guerra, nota con ragione
che « la istituzione servile, violando la legge su-
prema dell'umanità che riunisce con indissolubile
vincolo le due parole lavoro e progresso, e fa-
cendo anzi del lavoro medesimo un mezzo di av-
vilimento, non degradava soltanto lo schiavo, ma
portava seco necessariamente la depravazione del
proprietario; perchè il dispotismo di una razza
intera finisce sempre, come il dispotismo di un
solo uomo, per turbar la ragione e il senso mo-
rale di chi lo esercita. »
La grande lotta, dall'attacco del forte Sunter
alla presa di Richmond e alla resa del generale
Lee con tutto il suo esercito, durò poco più di
quattro anni. Nell'ultim'anno, costò tre milioni di
dollari al giorno ; lasciò gli Stati Uniti con un
debito di due bilioni e ottocento milioni di dol-
lari. Vi morì mezzo milione di uomini: il numero
dei feriti è incalcolabile. Ma l'ingente prezzo non
parrà troppo caro se si pensi ai due risultati ot-
IL POETA DELLA GUEriRA AMERICANA 207
tenuti — l'abolizione della schiavitù, e la indivisi-
bilità della Repubblica.
Il primo fra i molti eroi della grande epoca,
Lincoln, nel discorso inaugurale fatto presso al
finir della guerra, pronunziava queste memorande
parole : « Dio voglia che cessi al più presto
questa grande calamità della guerra ; ma se è
sua volontà che essa seguiti finche non siano
esaurite tutte le ricchezze accumulate per dugento
cìnquant' anni dal lavoro senza compenso degli
schiavi, e finché ogni goccia di sangue umano
sparsa dallo staffile non sia vendicata col sangue
versato dalla spada . seguiteremo a ogni costo
nella terribile lotta. »
Ecco la guerra feconda, utile e santa: l'anti-
tesi perfetta delle abominevoli e disastrose guerre
di Luigi XIV, e di quelle del primo Impero^
tanto ingiuste, tanto sanguinose, e tanto inutili
a Napoleone e alla Francia.
Nella guerra Americana sono enormi le pro-
porzioni ; ma anche il resultato è immenso ed
incalcolabile. Mai si combattè su più sconfinato
teatro. Il genio militare creò nuovi mezzi di di-
struzione e per terra e per mare. Si guerreggiò
fra le nevi della montagna, fra le paludi, sui
laghi, sul mare, in grotte sotterranee e in altezze
vertiginose... Ragazzi di quindici anni marcia-
rono intrepidi sotto la mitraglia, accanto ai vete-
rani del Potomac. Si combattè per notti intere
fra selve incendiate, o sotto pioggie torrenziali e
gelate. Si patì la fame (fome a Grerusalemme o a
208 II. POETA DELLA GUERnA AMEFUCANA
Saragozza ; e le febbri miasmatiche e la dissen-
teria decimarono interi corpi d'armata. I volon-
tari della Unione furon grandi come i volontari
francesi del Novantadue. Nel seguito di quelle
battaglie di giganti, più volte migliaia di gio-
vani correvano a morte sicura, e sapevano di sa-
crificarsi.
L'America dovrebbe alzare un monumento
ai suoi eroi igìioti. Essi spiegarono il più grande
di tutti i coraggi — quello di morire senza Ja
speranza che il proprio nome sia almeno ricor-
dato dalla patria per cui si muore.
Ma Nord e Sud, Unionisti e Separatisti, van-
tano nomi illustri fra i combattenti della gran
lotta. Ed eccettuata la tragica ed unica epoca
della Rivoluzione Francese, in nessun dramma
della Storia si può rievocare una moltitudine di
nomi cosi insigne e diversa: Lincoln, Grant, Mac
Clellan, Lee, Ferragut, Foster, Sherman, Sheri-
dan, Bragg, Scott, Smith, Banks, Hooker, Ho-
ward, Franklin, Johnson, Jackson, Macpherson, e
tanti altri...
Il poeta della gran Guerra Americana, è
Walt Whitman.
Se il genio non fosse, com' è, una straordi-
naria e meravigliosa conciliazione di ragione e di
immaginazione, di fantasia e di euritmia, in uno
stesso intelletto ; se bastasse il divus afflatus^ la
visione infinita, l'entusiasmo umanitario, "Walt
AVhitman potrebbe collocarsi accanto ai pochi
IL POETA DKLT-.V GUEnnV AMERICANA 209
2:>oeti sovrani E nonostante i suoi difetti, non so chi
potrebbe contrastargli in America il primato della
poesia. È senza alcun dubbio il più forte, il più
originale, il più caratteristicamente ed essenzial-
mente Americano. La potenza del suo ingegno è
cosi magnetica che si è attirato l'ammirazione dei
più autorevoli critici inglesi, del Ruskin, del
Rossetti, del Symonds, di Vernon Lee ; e l' inno
del più gran lirico contemporaneo, il Swinburne.
Egli lo esalta come un diretto interpetre delie
grandi voci della natura, e come il poeta della
democrazia e dell'umanità. E curioso vedere l'au-
tore di Atalanta, il più squisito cultore delle forme
perfette, inchinarsi quasi a questo colossale e rude
Yankee. Il Rossetti lo paragona a un gigante che
non può arrestarsi alle minuzie descrittive, ma
ha in grado supremo la facoltà di vedere in
grandi masse la vita umana, e di comprendere
nel suo colpo d'occhio i più vasti e svariati pano-
rami. « E nato (dice) a scolpire le sfingi grani-
tiche, non a cesellare l'oro e le gemme. »
La poesia di Whitman è come una produ-
zione naturale, una emanazione di vitale energia.
Egli odia tutto ciò che è vecchio e convenzionale,
nell'arte e nella vita; e canta i funerali della
vecchia poesia feudale con cui si diverte ancora
la vecchia Europa.
La comprensione più larga e cosmopolita
della idea democratica è quella di Whitman. « A
quali storici eventi andiamo incontro ! (egli grida).
Le questioni più vitali ed ardenti son vicine a
Xexcioxi. — Sar/fji critici di leti. i>^lese H
210 IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
risolversi : da ogni parte soii rotti i confini e le
barriere delle vecchie aristocrazie. Il piede au-
dace dell'uomo è sulla terra e sui mare ; ei co-
lonizza il Pacifico e gli Arcipelaghi ; col vapore,
col telegrafo, con le macchine, col giornale, con-
fonde ogni divisione geografica e allaccia tutte
le nazioni. Fra poco, tutto il nostro globo avrà
un cuore solo. »
Whitman dipinge con eguale passione le
Ande e il Missouri, le Esposizioni e i commerci,
l'uomo di Parigi e il selvaggio : accetta ed ab-
braccia tutte le espressioni della natura e della
vita, tutte le storie e tutte le razze. « Nessuno
sarà eccettuato, (esclama in un canto che ho già
tradotto) nessuno! Nemmeno voi, forme umane dal
profondo, triste, indimenticabile sguardo di bruto;
neppur voi, negri d'Australia, che strisciate per
terra in cerca di cibo ; ne tu, miserabile abori-
geno delle colline dell'Oregon e della California.
Verrà il vostro giorno — verrete avanti anche
voi. Salute al mondo ! »
Walter, (o Walt, com'egli ha sempre scritto)
nacque presso New York nel maggio del 1819.
Suo padre era ingegnere navale, di severi costumi;
la madre olandese d'origine. AValt cominciò dopo
gli studi scolastici più elementari, una vita varia,
agitata, avventurosa. Le tristi e severe lezioni
della vita non gli mancarono, fino dalla prima sua
gioventù : fu stampatore, maestro di scuola, gior-
nalista, viaggiatore, poi di nuovo tipografo, poi
ingegnere navale come suo padre. La prima e
Il poeta della guerra americana 211
]a più importante delle opere poetiche di Wliitman
è Leaves of Grass [Foglie cVerha)^ titolo sotto il
quale comprese poi tutte le sue opere poetiche
successive. Egli fu spinto a comporre quel libro
da un sentimento di indignazione e di rivolta
contro il filisteismo dei poeti americani suoi con-
temporanei, da tante pallide imitazioni di poesie
inglesi e tedesche, fatte nella terra dei più grandi
materiali poetici che presenti la Natura. Vi è un
superbo dispregio di ogni tradizione letteraria :
vi è una esuberanza che trabocca, nomenclature
che fanno sorridere ; vi son pagine da illuminato^
e pagine di materialista — ma non importa —
quel libro fu una voce nuova, fresca, americana:
vi si sente circolare il vento che agita le liane,
l'aura delle grandi correnti dell'Ohio e del Mis-
sissipi. Emerson esclamò leggendolo : « Alla fine,
ecco un uomo ! y> — I giovani ne furono entusia-
smati...
Dopo Leaves of Grass. la raccolta poetica più
notevole di Whitman è quella intitolata Drum
Tajps (Colpi di tamburo) e della quale intendo spe-
cialmente occuparmi in questo mio studio. I
Drum Tai^s furono ispirati dalla grande Guerra
di Secessione. Whitman, ardente Unionista, andò
al Campo come corrispondente del New York Ti-
mes^ e prestò le sue cure ai feriti come infermie-
re. Ne assistè a migliaia, soldati del Nord e del
Sud, indistintamente. Nei Drum Taps ha consa-
crate e eternate le sue personali impressioni ; i
grandi paesaggi traversati, le fasi e le vicende
212 IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
terribili della gran guerra, gli arruolamenti, le
ambulanze, le terribili marce, i disperati com-
battimenti.
Come infermiere di ambulanza, Whitman è
leggendario in America. John Burroughs, l'amico
e biografo del poeta, scrive in proposito queste
parole: « Il suo magnetismo era incredibile, ine-
sauribile — ed il vocabolo magnetismo non è in
questo caso linguaggio figurato, ma un fatto rea-
le, intraducibile con la parola. L' occhio del lan-
guente si ravvivava al suo cospetto — le sue più
comuni parole erano un tonico riconfortante ^>.
Assisteva infatti nelle operazioni più dolorose;
trovava la parola giusta e vera in ogni occasione ;
ai convalescenti portava fiori di campo e frutta,
faceva loro qualche lettura consolante e fortifi-
cante. E finalmente, nel quarto anno di questa
vita eroica ed evangelica, si ammalò di febbre
miasmatica ed infettiva — della quale non guari
mai interamente.
Nel volume dei Driim Taps rivive la guerra
americana in tutte le sue fasi, e vi ritroviamo tutte
le impressioni personali del poeta. Scelgo e tra-
duco letteralmente (quanto è possibile farlo senza
alterare l' indole del linguaggio italiano, e diven-
tar ridicoli o barbari per scrupolo di fedeltà), le
più caratteristiche fra queste poesie, seguendo un
certo ordine di soggetto e di tempo. Cominciamo
dal primo risveglio guerriero di Nuova York:
« 0 superba, o mia incomparabile, o fortis-
IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA ^13
sima neir ora del pericolo e della crisi, o più
salda e più schietta dell' acciaio ! Come ti slanci,
come butti via con mano indiiFerente gli abiti
della pace !
« Ecco oggi a un tratto Manhattà (Nuova
York) insonne fra le sue navi, fra le sue incalco-
labili ricchezze, con milioni di figliuoli attorno,
riuniti nel momento, nel cuor della notte, alle
prime notizie del Sud — s'infiamma e pesta indi-
gnata il terreno.
« La notte ne senti 1' elettrica scossa; e al-
l'alba, il nostro immenso alveare riversò fuori le
sue miriadi con un infinito ronzio. E dalle case, e
dalle botteghe, e da tutte le porte, irruppero tu-
multuose....
« Al suon del tamburo, s' armano gli operai
abbandonando febbrilmente cazzuola, squadra e
martello. Il legale lascia l' ufizio, e si arma; il
cocchiere salta giù da cassetta, buttando le redini
sul collo a' cavalli; mercanti, portieri, librai, da
ogni parte, si raccolgono in gruppi e si armano.
« Le nuove reclute (ci son dei ragazzi, ed i
più vecchi insegnano loro a portar l'armamento)
già affibbiano il sacco con diligenza. Fasci di fu-
cili brillano in tutte le case, in tutte le strade.
« Reggimenti armati arrivano, traversano la
città, vanno a imbarcarsi. Come son belli coi loro
fucili a spalla, le facce brune bagnate di sudore,
gli zaini polverosi, marcianti a rango.... Vien vo-
glia di abbracciarli.
« Armi ! è il grido generale. La gran città
214 IL poi:ta della gui-hra amkiiicana
ha il sangue alla testa. Le bandiere sventolano
sui campanili, da tutti i pubblici edifìzi, dalle
finestre delle case.
« La madre bacia il volontario che parte; il
figlio bacia la madre : lenta è la madre a stac-
carsi da lui.... ma non una sola parola per trat-
tenerlo !
« Partono a sciami. File di jjolicemen prece-
dono, facendo largo a fatica. L' entusiasmo non
ha più limiti: grida frenetiche manda la folla ai
suoi favoriti.
« L' artiglieria, i silenziosi cannoni, lucidi
come oro, saltan leggieri sul selciato ; presto,
staccati, cominceranno il loro rosso lavoro....
« Preparativi in massa, servizi di ambulanza,
fasce, filacce, medicine ; le donne s'offrono volon-
tarie infermiere; è la guerra sul serio, non più da
parata ; una razza armata che s' avanza per non
tornar più addietro.... Sia per settimane, per mesi,
per anni, ciò poco importa ».
A momenti, il poeta, tra il tumulto civico
e militare, prova come un sentimento nostalgico
di silenzio e di quiete, e aspira al suo ^^l'inii-
tivo ideale: è 1' eterno « o ras! » — 1' eterno « 0
uhi campi », di tutti i poeti; ma questa nota an-
tica, in bocca americana ci suona nuova :
« Datemi lo splendido tacito sole, sfolgorante
con tutti i suoi raggi; datemi i succulenti frutti
d' autunno, maturi, rossi nei pomari ; datemi un
campo dove non mietute crescano alte e fresche
erbe; datemi messi e grani, e animali serenamente
IL POKTA DELLA GUERUA AMERICANA 215
moventisi e respiranti pace; datemi le notti per
fettameute quiete in riva al j\lississipì, guardando
le placide stelle ; datemi un giardino di bei fiori,
tutto fragranze quando il sole si leva, dov'io
possa passeggiare non disturbato; datemi una
donna dall' alito fresco e soave, della quale io non
sia stanco mai; e che io n'abbia un perfetto bam-
bino, lontano di qui, lontano dai rumori del mon-
do ! — oli, sì, una rurale domestica vita ! E da-
temi di mormorare spontanei canti, solo, a modo
mio, unicamente per i miei orecchi; datemi la
solitudine, la Natura, e le sue salubrità primi-
tive.... »
« Ma no, (soggiunge subito il poeta) non è
questo il momento di tali voti. Ora mi giova ve-
der visi e strade, fantasmi incessanti incalzantisi
sui marciapiedi : interminabili processioni di uo-
mini e donne, camerati a migliaia. Nuovi visi
ogni giorno, nuove conoscenze, nuove strette di
mano.
« Nelle grandi strade, i soldati in marcia, a
suon di tamburo o di tromba. Quelli stan per
partire — impazienti, accesi in volto, ridenti:
questi, tornano dal campo, a fila diradate, gio-
vani con aria di adulti, magri, consunti, non
guardando nulla, severi. Oh, datemi la vita di
New York, le navi che si armano, le fiaccolate
notturne, i vagoni militari che partono, gì' inni
patriottici, il popolo senza fine, con le sue folle,
le sue passioni, i suoi gridi: il rullo dei tamburi,
lo scattar dei moschetti^ la vista d^i feriti che
216 IL POETA DELLA GUERRA AMERICA>A
passano, le bandiere ai balconi ed agli alberi delle
navi, — bandiere bagnate nel profumo della
guerra — bandiere magnetiche come gli occhi di
una bella donna! »
Ma il posto del poeta è alle ambulanze, negli
spedali improvvisati, fra i feriti e gli agonizzan-
ti.... Quanti spettacoli tragici e patetici ha visto,
nei quattro lunghi anni della terribile guerra!
Eccone uno veramente Rembrandtiano, di
una spaventosa efficacia, indimenticabile:
« Una marcia forzata, a ranghi serrati, per
ignota strada, traverso un fitto bosco, a sordi
passi, nel buio; il nostro esercito sconfìtto, con
perdite severe, e i tristi suoi avanzi in ritirata!
— finché a mezza notte si scorge vicino un edi-
fizio fescamente illuminato, e facciamo alto.
« E un' antica e vasta chiesa, che ora è di-
venuta spedale provvisorio.
« Vi entro, e vedo uno spettacolo che vince
ogni descrizione poetica, ogni pittura.
« Ombre di un profondo nero, qua e là il-
luminate da mobili candele e da lanterne, e da
una gran torcia di resina con una selvaggia
rossa fiamma e nuvoli di fumo. E attorno gruppi
di forme umane che vagamente distinguo, sdra-
iati sul pavimento, distesi sulle panche della
chiesa.
« Ai miei piedi, più distintamente, vedo un
soldato, un ragazzo, in pericolo imminente di
morire d' emorragia (è ferito nell' addome) e gli
ristagno momentaneamente il sangue, (la faccia
II. POETA DELLA GL'ERHA AMERICANA *2 1 7
del giovinetto è bianca come un giglio) — e poi,
prima di rientrare nelle file do un' ultima occliia-
ta, per afferrare tutta la scena.
« E^^pre3sioni diverse di volti, positure inde-
scrivibili di morenti e di morti, — alcuni nel
buio; chirurghi che operano, aiutanti che fanno
lume, l'odore dell' etere, l'odore del sangue....
« E la folla, oh la folla di tante forme in-
sanguinate di soldati (anche il sacrato fuori della
chiesa ne è pieno), alcuni sulla nuda terra, alcuni
su delle assi, altri su delle brande, alcuni già
inondati di freddo sudore e fra gli spasimi del-
l' agonia.
« Di tanto in tanto, fra i gemiti, un urlo ;
e ordini concitati dati a alta voce; e alla luce
delle lanterne e della gran torcia a vento, il luc-
cichio dei piccoli strumenti d' acciaio dei chi-
rurghi.
< Ma di fuori ecco il grido : x4.vanti solda-
ti! — e io mi chino sul moribondo giovinetto,
che apre gli occhi e mi fa un mezzo sorriso, poi
adagio adagio li richiude.... e riprendo il mio po-
sto nelle file, e si riparte, marciando fra le te-
nebre. »
Talvolta la pittura diventa una réverìe, una
reminiscenza triste e acutamente poetica, come
in questi Sogni di guerra :
«e Di tanti visi di soldati in battaglia, del
primo sguardo di chi è ferito mortalmente — di
queir indescrivibile sguardo — dei morti distesi
supini, a braccia aperte.... io sogno, sogno, sogno.
218 IL POETA DKLLA GUERRA AMERICANA
« Di scene naturali, di campi e montagne
di cieli tanto belli e limpidi dopo la burrasca
della luna cosi spiritualmente scintillante, men
tre da noi si scavano in silenzio delle trincee
e s' alzano dei terrapieni.... io sogno, sogno
sogno. »
Questo vero poeta, amante del popolo e cre-
dente nel popolo, ebbe la gioia e il trionfo di
vederlo resistere alle più dure prove restando
sempre puro ed eroico. Popolani delle officine e
delle campagne furono egualmente ammirabili
nelle grandi marce, nelle battaglie micidiali, nei
lunghi assedi e nei lunghi dolori degli spedali,
sopportando intrepidi le amputazioni, le febbri,
la immobilità nel letto angoscioso, senza un la-
mento codardo, senza ombra di dubbio o dispe-
razione della santa causa che difendevano. E
quando arrise finalmente la vittoria, e la Libertà,
e 1' Unione furono salve; quei degni figliuoli di
America tornarono semplici e fieri alle loro bot-
teghe, al paterno aratro, alle officine ed ai porti,
riassorbiti nelle pacifiche industrie della gran ma-
dre patria.
Sul terreno sanguinoso, sotto le mobili ten-
de, sotto il tetto degli spedali, Walt Whitman
medicò, assistè, confortò feriti e malati d'ogni ge-
nere; con V apparente impassibilità del chirurgo,
e con la simpatia e 1' ardore del poeta. Udite lui
stesso:
« . . . . Seguito da un letto all' altro, non
trascuro nessuno. Con ginocchia piegate e mano
IL rOKTA DELLA GUEnRA AMERICANA 219
sicura, medico ogni ferita, con fermezza, con ap-
parente durezza — i dolori sono acuti, ma inevi-
tabili.... Ecco uno che mi guarda con occhi sup-
plichevoli. Povero ragazzo! Io non ti ho mai
conosciuto, eppure credo che in questo momento
darei volentieri la mia vita per salvare la tua.
« A un altro letto. Questi ha la testa sfra-
cellata (povere mani convulse, non strappate la
fascia!) Ecco un soldato di cavalleria: esamino la
ferita del collo — è trapassato a parte a parte da
una palla. Il respiro è già rantoloso, 1' occhio è
annebbiato; ma la vita del giovine lotta energi-
camente ancora. Vieni, o bella Morte, non indu-
giar troppo, per carità!
« A quest' altro, fu amputata la mano. Muto
le filacce aggrumate al tronco del braccio, lavo e
rifascio. Egli giace riverso, la testa piegata sul
guanciale, guardando dalla parte opposta, Tien
gli occhi chiusi, ha pallidissimo il viso, non osa
guardare il moncherino sanguinoso — e ancora
non lo ha guardato....
« Io son fedele; nulla mi fa indietreggiare.
La coscia fratturata, la spalla forata, il piede tra-
fitto, il cranio spaccato, la ferita all' addome, la
divorante cancrena, putrida, nauseabonda.... tutto
io esamino e medico con mani impassibili — ma
qui, qui dentro, sento un fuoco che mi consuma,
una fiamma che mi divora! »
Talvolta in questo bello e terribile volume
un episodio patetico spicca e si distingue e ci at-
tira magneticamente. Io conosco poche poesie
220 IL poi:ta dklla guerra americana
nella moderna letteratura europea di un patetico
così realistico e penetrante come La lettera dal
canipo^ di Whitman. E degna di stare accanto al
Canto *della Camicia^ e al Ponte dei Sosj>iri, di Tom-
maso Hood. Eccola:
« Accorri dai campi, padre, e tu, madre,
scendi alla porta di casa. C è una lettera del vo-
stro caro figliuolo.
« E 1' autunno; e gli alberi muovono le scarse
foglie sempre più gialle e rosse al mite vento
d' ottobre attorno ai villaggi dell' Ohio. Le mele
maturano nei pomari e i grappoli tra i festoni
delle viti. Non sentite 1' odore dell' uva nella vi-
gna, e la fragranza della saggina su cui ronzan
le api ? — Disopra, il cielo è così calmo, cosi tra-
sparente dopo la pioggia, sparso di nuvole mara-
vigliose. Sotto, tutto è tranquillo, bello, e vitale
— e la campagna prospera divinamente.
« Sì, giù nei campi tutto va bene.... ma ora
accorri dai campi, o padre; e tu, madre, scendi
alla porta immediatamente.
« Essa s' affretta quanto può — con qualche
presentimento — con passi vacillanti.... non si
trattiene a ravviare i suoi capelli bianchi, ne ad
aggiustarsi il cappello.
« La busta è presto aperta. Oh! non è lo
scritto del nostro figliuolo, non e' è che la firma
di sua mano: una mano estranea ha scritto per
lui. Che colpo al cuore della madre! Tutto vacilla
e ondeggia al suo sguardo - • scintille e tenebre
le abbagiian la vista. Essa può solo distinguere
Il poeta della GUEnnA americana 221
qualche parola, qualche rotta frase: ferita di ca-
rabina — assalto cavalleria — nel petto — portato al.
V ospedale — molto aggravato — presto sarà meglio-
« Ahimè, povero ragazzo ! Egli non può più
star meglio — ne forse ha bisogno di star meglio
quella brava e semplice anima. Mentre son lì a
piangere presso 1' uscio della sua casa, egli spira.
Il figliuolo unico è morto.
« Chi ha bisogno di star meglio è la madre.
Dimagrata a un tratto, vestita di nero, il giorno
mangia appena, la notte dorme agitata: si veste
piangendo, smaniando in un acuto desiderio.... oh,
di potersene andare, sparire, senza che nessuno
in casa se ne accorga — sfuggire alla vita e spa-
rire.... e andargli dietro, cercarlo, ritrovarlo, e
star sempre con lui, col suo figliuolo unico, morto! »
Ma tanto eroismo, tanti sacrifizi, furono alfine
compensati dalla più splendida delle vittorie. E
quando a queste tenne dietro il grande atto di
giustizia, che la Natura e l'Umanità, il Diritto e
il Vangelo imponevano, un altro poeta americano,
John Whittier intonava questi entusiastici e po-
polarissimi versi:
« Suonate, o campane! ogni vostro colpo an-
nunzi esultando la sepoltura del gran delitto.
Lungamente, profondamente, che tutti possano
udire, suonate per ogni orecchio che ascolta nel
Tempo e nell'Eternità.
« Inginocchiamoci! In queste squille parla
oggi Dio stesso; e questa nostra terra oggi è sa-
cra. Compiuto è il grand' atto. Nel circuito del
222 IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
sole tutti ora lo sp.nno: e questo evangelo fa lieti
i tristi, eloquenti i muti, e fascia la Terra con una
zona di luce e di festa. »
E Wliitman vide e cantò il Eitorao degli
Eroi :
« Passate, passate, o brigate altere, dalle
forti gambe muscolose, dalle spalle quadrate e
robuste, coi vostri sacchi, coi vostri moschetti!
« Ma ecco rimbombano ancora i tamburi —
e un altro esercito s'agita in vista; un altro af-
follato esercito, trascinantesi alla retroguardia ;
spaventevole reduce esercito, di reggimenti che
fan pietà, afflitti da mortale diarrea, dalle febbri....
« E voi, o prediletti, o figliuoli mutilati della
mia terra, con le fasce ancor sanguinose, appog-
giati alle grucce....
« Io vidi il giorno che tornaron gli eroi —
ma gli eroi non mai sorpassati non tornano più —
e in quel dì non li vidi.
« Né io vi dimentico, o Dipartiti; non vi di-
mentico in nessuna stagione. E spesso, quando,
come ora, sto all' aria aperta, e che il mio spirito
è in pace perfetta, le vostre memorie, come cari
fantasmi, mi passano accanto splendide e silen-
ziose. »
E nel pensiero dei cari morti, il poeta ode la
madre Natura che li raccomanda alla Terra.
« Assorbiscili bene, o mia Terra, te lo co-
mando. Non perdere un solo dei miei figliuoli —
non ne perdere un atomo.
« E voi, ruscelli, bevete il loro caro sangue.
IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA 2^3
Terra e aria, essenze vegetali, letti profondi dei
fiumi, montagne, boschi dove il sangue dei miei
figliuoli corse rosso a torrenti — e voi, alberi, giù
nell' intime vostre radici, assorbite i miei morti,
i bei corpi dei miei giovani morti. Serbatemeli
fedelmente: fra anni, fra secoli, me li renderete
in essenze invisibili, in odorose vegetazioni, in
zeffiri scorrenti sui prati. Mi renderai, o Terra, i
miei diletti, i miei eroi; mi farai respirare di
nuovo il loro alito.... senza che un atomo solo vada
disperso. »
Quattro sono, a mio parere, le più grandi
immaginazioni poetiche contemporanee: Carljde,
Michelet, Victor Hugo, Walt Whitman. In Carlyle
è più violenta ed apocalittica; un soffio ardente di
poesia ebraica gli viene attraverso la tradizione
puritana, e fa di lui una specie di profeta, di veg-
gente. In Victor Hugo, predomina la magnifica e
splendida visione, che è al tempo stesso plastica,
colorita e sinfonica. In Michelet, la emozione con-
tagiosa, il grido e il gemito lirico, passionato.
In Whitman, la gioia eroica della vita indivi-
duale, e il sentimento e 1' entusiasmo della vita
universale; dall'ala di una lodola agli splendori
dell'Orsa Maggiore.
Tutti e quattro si distinguono per un senti-
mento profondo, filiale, religioso della natura, e
per una potenza maravigliosa di sintesi. « La
Natura, la vera Natura, da tanto tempo assente
nella nostra arte, deve compenetrare colla sua
224- IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
sana e larga atmosfera ogni poesia, ogni este-
tica composizione. Né intendo per Natura solo i
verdi e molli sentieri, e le margheritine e i rosi-
gnoli dei poeti Inglesi — mail globo intero con
la storia geologica; il gran Cosmos, con le sue
nevi e i suoi fuochi, che rotea traverso le illimi-
tabili aree, leggiero come una piuma, benché pesi
bilioni di tonnellate »... Son parole di Whitman.
E per lui l'Universo é cosa sacra, vivente,
simbolica ed adorabile. Che differenza dal vec-
chio mondo dei poeti metafisici, il quale non è
che una concezione geometrica e meccanica, e
pare cristallizzato in una spaventosa monotonia.
E per Whitman, come per Carljde, la contempla-
zione dell'Universo é più spesso mìstica che scien-
tifica: la tradizione orientale si riflette in questi
due grandi ingegni moderni. Ecco una breve
poesia di Whitman, significantissima in questo
senso:
« Quando udii il dotto Astronomo — quando
le prove, le figure, furono allineate in colonne di-
nanzi a me: — quando mi si mostrarono le carte,
i diagrammi, e si addizionò, si divise, si misurò;
— quando sedendo udii il dotto Astronomo di-
scorrere fra grandi applausi nella Sala della Con-
ferenza; — oh, come presto divenni stanco e ma-
lato! — Finché alzatomi, e chetamente uscito,
vagai da me solo — nella mistica umida aria
della notte; e di quando in quando — alzando gli
occhi, guardavo, in perfetto silenzio, le stelle. »
Oggi che le dottrine pessimistiche e fatali-
IL POETA DELLA GUEURA AMERICANA 2^25
sticlie trionfano in quasi tutta la letteratura eu-
ropea, la lettura di Browning, di Tolstoi, di Whit-
man, è un tonico salutare — pel quale svaniscono,
come sogni cattivi all'Aurora, la poesia e la filO'
sofia della disperazione, il disgusto, la sazietà, la
noia, e lo scetticismo.
Per molti, la prima lettura di Whitman è
stata una rivelazione, un avvenimento decisivo
nella vita. « Dacché leggo Whitman, scriveva la
signora Gillchrist, non posso leggere altri libri:
mi tiene assolutamente in suo dominio, come in-
cantata; e lo leggo e rileggo con crescente diletto
e maraviglia. Non avrei mai sognato che le pa-
role potesser cessare di esser parole per divenire
correnti elettriche, come queste di Whitman....
Le sue poesie non sono la biografia di un uomo,
ma la sua attuah presenza. Egli ha ragione quando
dice — Camerata, questo non è un libro. Chi lo
tocca, tocca un uomo. — Egli ha trasfuso tal-
mente la sua personalità nelle sue parole, che
ogni lettore sente di essere in immediata rela-
zione con lui. Le sue parole ci attirano e affer-
rano più di ogni sguardo, più di ogni stretta di
mano. Se le sue poesie non son tutte di egual
bellezza e grandezza, son però tutte vitali — si
direbbe che non furon fatte^ ma che vegetano come
una pianta. » Quest'ultima osservazione è giustis-
sima; e non è applicabile fra tutti i poeti moderni
che ad altri due — Burns, e la Browning.
Le Leaves of Grass somigliano infatti più
un'opera naturale che una produzione artistica
Nencioni. — Saggi critici di lett. inglese I9
226 IL POETA DELLA GUERP.A AMERICANA
— più lina foresta, che una cattedrale. Si direbbe
che vi circola il vento, vi si ode il ritmico respiro
dell'Oceano, vi odora la grande flora americana,
e vi batte la pioggia, e vi sfolgora il sole. Altro
gran pregio e caratteristica di questo poeta è il
suo sentimento del mondo moderno, del Presente.
Quello che più fa indietreggiare cerbi poeti feu-
dalì, più attira AVhitman. La vecchia Terra ha
sempre per lui la freschezza della gioventù; anzi, e
nella natura e nella storia, Whitman preferisce
sempre il Presente al Passato. Noi siamo gli eredi
del tempo (egli canta) e le nostre generazioni son
meno malate e meno infelici di quelle passate.
Letto in faccia al mare, o al cospetto delle
Alpi, o in una primitiva foresta, o sotbo un cielo
stellato, ogni poema rimpiccolisce. I più, anche
notevoli, ci fan sorridere di compassione. — « Per
giudicare del merito intrinseco, sostanziale di un
poema, figuriamoci che cosa ne direbbero il mare,
gli astri — che cosa ne direbbero i morti ? » — E
un pensiero di Whitman stesso che mi fa tanto
pensare.... Quali poesie reggerebbero alla formi-
dabile prova? Ben poche: ma alcune, si. Giobbe,
Isaia, Omero, Eschilo, Lucrezio, Dante, Shake-
speare, son grandi come le Alpi, profondi e im-
perscrutabili come l'Oceano e il sepolcro. Ma
do2:)o loro? Fra i moderni, chi? — Forse, Goethe,
Shelley, Browning, Victor Hugo e AYalt Whitman.
Non mi parrebbe aver dato un'idea adeguata
di questo poeta, e mi parrebbe troppo incompleto
IL POETA DELLA (iUEIlllA AMEIIICANA ^27
questo mio studio, se non dessi qualche saggio delle
poesie essenzialmente democratiche e americane
di AVhitman. L'imbarazzo è nella scelta.... Eccone
una sul vascello della democrazia e sul palazzo
di una Esposizione mondiale.
« Voga, voga a gonfie vele, o vascello della
Democrazia! — Tu porti un carico prezioso, tu
porti con te il Presente e il Passato. — Coi tesori
dei continenti dell'Ovest, navigano sulla tua chi-
glia le reliquie delle nazioni anteriori, con tutte
le loro antiche lotte, martiri, eroi, guerre, epopee.
— Guida con mano ferma e con occhio sicuro, o
pilota! — La venerabile Asia sacerdotale fa oggi
vela con te; con te la regia Europa feudale. »
Il simbolico vascello va alle rive dell'Ovest,
là dove il cervello moderno j)uò concepire libera-
mente; dove il braccio moderno non è vincolato
da secolari pregiudizi; dove l'azione tien dietro
immediatamente al pensiero. Là, in un colossale
edifizio di cristallo e di ferro, si esporranno le
maraviglie della industria universale. Questo pa-
lazzo sarà «più alto, più bello, più vasto di quanti
ne furon mai. Maraviglia della terra moderna,
vincendo di gran lunga le sette antiche maraviglie,
slanciando al cielo, piano su piano, le sue grandi
facciate di cristallo e di ferro, rallegrando il sole
ed il cielo, raggiante dei più vivaci colori, lilla,
rosa, verde marino, cremisi, avrà un aureo tetto,
sul quale sventolerà il tuo sacro stendardo, o Li-
bertà, e attorno le bandiere di tutti i paesi del
mondo. »
228 IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
Egli ha coscienza intera e perfetta del mes-
saggio ch'ei porta, come uomo e come poeta, al-
l'America. Egli sa di essere il jjìoneer di un nuovo
mondo sociale e poetico; la voce della Democrazia
e della futura America. Uditelo. Sono accenti di
una novità unica, e di una indiscutibile potenza:
« Come un grande uccello dalle libere ali,
lieto, fendendo i larghi spazi del cielo; tale sa-
rebbe il pensiero che vorrei indirizzarti.
« Io non ti porto le affettazioni dei poeti di
altre terre — ne i teneri complimenti che duran
da secoli — ne le rime, nà i classici, né il pro-
fumo delle corti e delle biblioteche.
« Ma l'odore delle foreste di pini del Maine,
l'alito delle praterie dell' Illinois, l'aria libera della
Virginia, della Georgia e del Tennessee; o degli
altipiani del Texas, o dalle boscaglie della Flo-
rida; — le nere correnti del Saguenay, e la larga
estensione azzurra dell' Uron....
« E mormorante al disotto, penetrante ogni
cosa, il murmurc continuo del mare; il suono che
suona eternamente dai due Grandi Mari del
mondo. »
Nel medesimo canto, son queste belle e fre-
sche e sane parole:
« Ancora la primavera! Ancora la freschezza
e gli odori, e il cielo terso della Virginia, dal blu
trasparente e argentino.
« Ancora la porpora mattutina delle colline;
ancora l'erba immortale, cosi silenziosamente dolce
e verde. .. , .
IL POETA DELLA nUl-HRA AMERICANA 22f3
« Ancora le rose fiorite, rosse come sangue.
« Profumato questo mio libro, o rose rosse
come il sangue! Pofcomac, bagnane delicatamente
ogni verso con le tue acque! Dammi qualche cosa
di te, o Primavera, prima che io lo chiuda, per
mettere fra le sue pagine. »
Infatti nelle Leaves of Grass^ il fondo, il ma-
teriale poetico è solo la Natura e la Democrazia.
Ogni tema vecchio medievale, è sparito. Nessuna
ornamentazione di stilista, nessuna esercitazione
rettorica, nessuna classica reminiscenza. Se non
ci fosse stato un sol libro al mondo, Whitmaii
avrebbe pensato, sentito e sentito egualmente il
suo libro. Non vi son duelli, né adulteri, nò
grandi personaggi, ne donne isteriche, né leg-
gende, né romanze, né eufemismi, né rime.
Il libro somiglia l'uomo; anzi è l'uomo. Del
quale, ecco il ritratto: — e con questo, chiudo
questo mio studio, che so incompleto, ma che
spero sia suggestivo, e che perciò raccomando in
particolare ai giovani.
« Ho amato la terra, il sole, gli animali; ho
disprezzato le ricchezze. Ho fatto sempre l'ele-
mosina a chi me l'ha chiesta; ho trovato una pa-
rola anche per i pazzi, ed i rei; ho consacrato il
mio lavoro e speso i miei guadagni per gli altri.
« Ho odiato i despoti; non ho mai disputato
di Dio; non ho fatto di cappello né a uomini né
a cose. Ho avuto simpatia e frequentato di pre-
ferenza-, le persone di temperamento possente ed
inculto, j giovani, le madri di famiglia.
280 IL POETA DELLA GUERRA AMERICANA
« Mi leggo ora queste pagine all'aria aperta,
ne rivedo le stampe allo stormir delle fronde,
sotto un bel cielo, presso l'acque correnti.
« Ho respinto seraj^re da me tutto ciò clie
avviliva la mia anima, o macchiava il mio corpo.
Non ho reclamato per me cosa alcuna che io non
abbia reclamato per gli altri.
« Son corso al Campo — vi ho trovato e ac-
cettato ed amato camerati a migliaia, venuti da
tutti gli Stati.
« Questa mano, questo braccio, questa voce,
hanno rialzato, richiamato in vita, nutrito, con-
fortato molti corpi prostrati. Le braccia di mille
volontari si sono incrociate al mio collo, e vi
hanno trovato riposo — molti baci di soldati son
rimasti su queste labbra barbute — sul mio petto,
più di un soldato morente ha appoggiato il capo
spirando. »
E semplice e grande.
È un ritratto da far rizzare i capelli a tutti gli
Estetici — e da far venire un colpo apoj)lettico a
tutti i Parnassiens e a tutti i Decadenti di quest;i
fine di secolo.
{Nuova Antologia, 1 dicembri^ 1891.)
231
UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
Non si è mai scritto tanti versi in Europa e
in America quanto in questa fine di secolo^ e mai
vi è stata tanta scarsità di vera poesia. L'abilità
tecnica e ritmica^ l'artifìcio del verso, hanno rag-
giunto il colmo del raffinamento — si son visti
dei toiirs de force maravigliosi ; la fantasia si è
spinta fino alle stravaganze grottesche dell'alluci-
nazione ; si è consumata e avvilita iu desideri
insaziati e insaziabili di voluttà senza nome —
ma la poesia non ha quasi mai risposto all'ap-
pello. Pochissime e tanto più ammirabili ecce-
zioni non infirmano la mia asserzione. Si è fatto
del bizantinismo, dell'archeologia poetica, e si è
avuto echi ingegnosi piuttosto che viventi voci
poetiche. Naturalisti, veristi, parnassiens^ estetici,
simbolisti, impressionisti, decadenti, vibrisLi, tutti
gli ismi e gli isti delle nuove scuole, dai pro-
grammi cosi presuntuosi, non hanno dato un solo
vero e grande poeta, paragonabile ai sommi che
' Lyrics, by Cora Fahbrf. — Harper and Bruthcrs — -
Kew York, 1892.
ì:]^2 Una nuova poetessa americana
fiorirono nella prima metà del secolo — a uno
Shelley, a un Byron, a un Tennyson, ai due
Browning, a un Victor Hugo, a un Heine, a un
Leopardi. Questi nuovi poeti stilisti sudano come
ciclopi nella caverna; torna in mente \\ parturient
montes... ma il mus che nasce non è neppur vivo
— è un aborto. Mai, o quasi mai, una strofa di
pura vena, ispirata, una immagine naturalmente
poetica, un'espressione creata e non penosamente
cercata. Perciò, quando accade il miracolo di
udire una nota pura e schietta di vera lirica, bi-
soorna salutarlo riconoscenti, e richiamarvi l'at-
tenzione dei distratti e degli indifferenti.
Ecco oggi da Nuova York un volume di Li-
riclie di Cora Fabbri, giovine donna appena ven-
tenne, morta tre mesi fa in Italia, a San Remo.
È un libro dove, nonostante alcuni difetti pura-
mente tecnici, alcune debolezze e ripetizioni, e
qualche reminiscenza, la vera poesia abbonda
limpida e pura come una sorgente di montagna
— una poesia che si direbbe venuta naturalmente,
come cresce una bella pianta, come butta una
limpida fontana : della vera e schietta e sana
poesia, quale non s'era più udita in lingua in-
glese, dopo V Italian Garden di Mary Robinson
e dopo i Lieder di Amj^ Levy. Ma la Robinson,
e la Bevy, come la loro grande preceditrice la
Browning, hanno nei loro cauti la passione e il
dramma del rosignolo : la Cora Fabbri ha il sem-
plice trillo argentino della lodola mattutina.
Aprite a caso il volume, a qualunque pa-
tJNA NUOVA poetf:ssa americana ^53
gina vi troverete immagini ed espressioni essen-
zialmente poetiche e liriche, e che sono per lo
più intraducibili, come ogni strofa veramente lì-
rica. In questo mio ritratto lett^Tario, spero poter
dare una idea della poesia di Cora Fabbri tradu-
cendo letteralmente varie note delle sue armonìe:
ma vi sono qua e là espressioni cosi eteree, spi-
rituali e musicali, la frase poetica è cosi intima-
mente legata alla rima, che è impossibile ogni ten-
tativo di tradazione. Certe poesie delia Brownino-,
di Swinburne, del Rossetti, della Robinson, della
Fabbri, son fiori delicatissimi che bisogna odorar
sulla pianta. Pei lettori a cui è familiare la lin-
gua Inglese, cito subito ad esempio alcuni squisiti
versi di Cora che perdono troppo in una tradu-
zione, sì libera che letterale.
The tangled viues held roses —
Pale buds with folded leaf —
Set deep in thorns, like pleasures
Born from a bed of grief,
Over the AVest there the moon is afloat
On a pale-green sea in a silver boat.
She has set on fire her Night-bird's throat,
That grows more perfect with every note.
The sleeping woods, whose birds are spoken dreams.
E chi non avrebbe scrupolo di alterare i se-
guenti versi traducendoli, cioè guastandoli ?
Lady, tliine e3'es'eclipse hath drawn the rare
White moon of joy behiud a cloud, and stole
234 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
Its star-tide; yet thy meraory is there
To shed its soft light where the sh.idows roll.
I lean out l'rom the window of my Soul,
And see my whole sky luminous and fair.
Per chi ha il sentimento della poesia, e fa-
miliarità coi poeti Inglesi, apparirà da questi soli
versi che Cora Fabbri aveva quel sacro dono,
istintivo e misterioso, che non si acquista e non
si comunica,
« The consecration, and the poet'3 dream »
e che ai suoi attoniti occhi splendeva spesso
« The light that never was ou sea or land. »
L'elemento puramente lirico compenetra tutto
il volume, che nella sua unità è abbastanza va-
rio. Le poesie potrebber dividersi in varie distinte
sezioni : paesaggio, ritratti, lieder, ballate, elegie,
e meditazioni poetiche. Alcune son paesaggio e
ballata ad un tempo, come White Eoses. Note
passionate, pure ma intense, piangono nelle Minor
Notes. Nella poesia Heart Songs risplende la leg-
genda orientale, come nei canti di Riickert. Se
la Lady Maud è complicata e drammatica, Anita
è semplice e rurale come un quadro di Millet.
In molte è presente il funebre presagio della
morte immatura, come in Dead Leaves, Peace^
With the LinuetSj Died Young.
Nella famiglia dei poeti Americani essa non
rammenta mai le vere voci xArnericane, quali
Bryant, Emerson, Poe, Miller, Whitman ; ma ri-
corda quei poeti del Nuovo Mondo che ha a tolto
UNA NUOVA rOETI'SSA AMERICANA 235
isi^irazioni e forme dalle ti'adizioni poetiche della
vecchia Euroi^a — da poeti Inglesi e Tedeschi
soprattutto. Si sente che essa ha letto e ama Keats,
Shelley, la Browning, Swinburne, Rùckert e
Heine... e si sente che essa è nata in America di
padre italiano, e che ha vissuto vari anni in Ita-
lia. (Vedi le poesie Firenze, Colline Toscane, Stor-
nelli, Minor A^otes, Anita^ ecc.)
In tutte le pagine di questo ammirabile libro
respira vivo e schietto il sentimento e l'amore
della Natura : della Natura vista direttamente e
non attraverso i libri: le descrizioni vi sonora-
rissime, e sempre di carattere poetico ; mai abuso
di colorito, o frasi da atelier; essa non descrive
per descrivere, ma perchè vede e sente ; procede
per via d'immagini e di similitudini, come la
Browning e come Lamartine, e ottiene più ef-
fetto che eoi soliti sfoggi di tavolozza. Forse
perchè doveva vivere tanto poco su questa nostra
terra, le bellezze naturali la colpivano sempre
come una adorabile novità. Aveva il sentimento
della natura e della bellezza in una intensità
straordinaria. Leggendo i suoi versi, si direbbe
sempre che ella vede ^oer la prima volta il mare,
la luna, i fiori, i boschi, le stelle, tanta è l'estasi
lirica con cui li contempla. Guarda, sorpresa ed
attonita, le cose belle, con la maraviglia di una
bambina e col sorriso di un angelo.
Come Keats, che era il suo prediletto poeta,
e col quale essa ha tante affinità, — anche nella
236 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
morte — Cora Fabbri vedeva sotto il divino velo
della bellezza anche le cose più dolorose e più
lugubri ; vedeva tutto trasjifjurato col suo occhio
di poeta. La morte stessa, la morte nel fior degli
anni, è cantata da lei con adorabili immagini,
con un sentimento tutto greco della bellezza, in
una poesia che essa dettò pochi mesi prima di
morire, quasi presaga. La traduco letteralmente :
« E ora essa dorme senza sognare, — indif-
ferente alle lodi o ai biasimi umani. — 11 suo
nome non è per il mondo altro che un nome, —
lo dimenticheranno domani, o anche prima. —
Oggi essa è cosi pallida, che il suo viso somiglia
— un piccolo fiore illuminato dalla luna.
« Le sue palpebre velano i suoi soavi quieti
occhi — come foglie chiuse attorno a due mam-
mole morte. — Quegli occhi non guarderajino più
attoniti, — ne il dolore li toccherà, né li offu-
scheranno le lacrime. — E morta cosi giovine,
come neve che rimane appena — un'ora su la
terra, per esser troppo pura e troppo bianca.
« Se essa potesse di nuovo parlare, che cosa
direbbe ? — Di quali bianchi giorni, in quali
obliate primavere ? — Quali improvvisi augelli
con l'estate su le loro ali? — Quali pensieri troppo
puri per qualunque nostra dimora? — Essa cadde
addormentata così presto su la via, — con gli
occhi ancora pieni di segai, e le mani di fiori.
« Mori troppo giovine, per conoscere i lan-
guidi anni — di fallaci e incomplete felicità. —
0 cara fanciulla morta, tu non avrai da doler-
UNA NUOVA POKTKSSA AMEFilCANA 537
tene, — né vedrai piombare le tenebre dove bril-
lava il raggio del sole, — nò perderai di vista le
tue stelle per avere gli occhi pieni di lacrime. —
Essa era troppo giovine, per sapere che i suoi
sogni eran sogni...
« 0 occhi pieni di pace, noi siamo più savi
di voi — perchè sappiamo che ogni sogno sva-
nisce — e che il male ci è sopra anche quando
preghiamo — e il dolore ci è presso anche mentre
sorridiamo. — Ahimè ! sotto un cielo così puro ed
azzurro,— quanto male, e quanto affanno continuo!
« Noi impariamo le verità della vita diven-
tando savi traverso i dolori. — Vediamo gli uo-
mini seminare perchè altri raccolga — vediamo
gente che ride, mentre altri piangono accanto
— e il bene e il male respirare 1' un presso
all'altro. — Ma voi siete molto più savi, o occhi
pieni di pace, — perchè voi già conoscete il Mi-
stero della morte. »
La morte vicina sembra aver dato un' aria
solenne alle ultime strofe, che non era nel carat-
tere di Cora Fabbri. Essa era naturalmente lieta
ed operosa, e pareva godere la vita come una
festa, come un bel giorno di primavera. I suoi
occhi eran davvero se"ì2^'e pieni di bei sogni, e
le mani di freschi fiori. Essa aveva, come Evelyn
Hope^ « grate occupazioni e piccole cure e doveri,
ed ora era quieta ora attiva, finché, d'improvviso,
la mano di Dio ha fatto un cenno — e quella
soave fronte bianca è tutto ciò che resta di lei. »
j.:j8 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
Aveva bellissimi occhi ; e nello sguardo suo
si leggeva l'ingegno singolare, e la bontà rara
deiranima. Adorava la famiglia, la natura, la
poesia, e la sua Firenze che ha cantato con amore
e con entusiasmo d' italiana.
La malattia polmonare che la rapì alla fa-
miglia ed all'arte, la colse improvvisa, e resistè
ad ogni cara. Non valse nessun cambiamento dì
clima. Era sacra alla morte — e più la morte si
avvicinava, più si affinava e si spiritualizzava in
lei il senso della bellezza e della poesia. Come
Keats moribondo, essa vedeva negli ultimi giorni
visioni di eterea bellezza, da desta e sognando.
— « Lasciatemi dormire — diceva alla madre e
alle sorelle desolate — io vedo cose tanto mara-
vigliose nei miei sogni ! » Una mattina, pochi
giorni prima di morire, a San Remo, disse sve-
oliandosi che « era stata in un altro mondo :
o
anche i^iù bello del nostro, dove non era più ma-
lata. » È là forse che ella vide gli ivhite days of
forgotten Springs, e i sudden lirds lolth Summer on
their loings, che essa ha cantato...
Quando venne il momento fatale, quando
dopo un trabocco di sangue si sentiva finire, ac-
cettò serena la morte, e consolò eroicamente chi
l'assisteva. « Cara mamma, diceva, perchè piangi ?
Io sono felice di morire cosi, fra le tue braccia, e
aver qui le mie sorelle. Quante infelici muoiono
invece sole negli spedali! Ci rivedremo. Non pian-
gete. / am going... »
E furon l'ultime sue parole.
UiNA NUOVA POKTIvSSA AMUIUCANA 239
La salma fu trasportata a Firenze, e ri^DOsa
nel Cimitero Evangelico.
La mattina della sepoltura, il cielo era ve-
lato da fitta nebbia la quale pesava su Firenze
da più di quindici giorni. E ciò aumentava la
mestizia della funebre cerimonia. Ma vi fu un
momento in cui il sole brillò improvviso, e
parve salutare la tomba della giovine poetessa
che lo avea tanto amato e cantato. Tornavano
iu mente le parole della Vita Nuova: « Guar-
davo verso il cielo e pareami vedere moltitudine
di Angeli i quali tornassero in suso, ed avessero
dinanzi a loro una nuvoletta bianchissima ; epa-
reami che questi Angeli cantassero gloriosamente.»
Ho detto che essa amava Firenze, dove ebbe
fissa dimora nei suoi tre ultimi anni. Ne son prova
le varie poesie che essa le ha consacrate {Tuscan
Hillsj In Florence, Rispetti). In Florence è una delle
più notevoli del volume, per la precisione grafica
della descrizione, restando pur sempre lirica d'in-
tonazione e di forma. E un ricordo di Firenze
nei bei mesi dell' anno. « Chi non ha passato una
primavera in Firenze, non può dire di conoscer
r Italia in tutta la sua divina bellezza » scriveva
il Leopardi — e aveva ragione — e se ne ricordò
nei versi ad Aspasia. Tre poetesse hanno sentita
e tradotta quella divina poesia: Elisabetta Brow-
ning, Maria Robinson e Cora Fabbri.
Traduco alcuni deliziosi versi di quest' ul-
tima,
240 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
« Ricordo, o Firenze, il tuo languido silen-
zio vespertino appena interrotto dal debole suono
di campana di un lontano convento, dal murmure
dell' Arno corrente.
« A oriente, 1' ombra opaca e grigia, illumi-
nata aj)pena da una stella solitaria ; e in qualche
parfce, verso ponente, il trillar di un uccello.
« Rammento la finestra di dove i miei oc-
chi vedevano il Ponte Vecchio con la sua antica
fìsoiiomia, come una gemma preziosa incastonata
nel tuo cuore d' oro.
« E Fiesole vaporosa, dalle pallide nuvole,
dal verde-grigio fogliame degli oliveti, che si per-
dono e sfamano all' orizzonte.
« Ecco r antico Duomo col suo svelto cam-
panile, che suona l'ora meridiana — Entrai: tutto
era grigio crepuscolo.
« Yi era un debole nuvolo d' incenso nel-
l'aria, e si udiva il basso monotono mormorio dei
preti che dicon messa.
« Che pace provai entrando, dopo lo stre-
pito della città ; coni' era solenne la voce dell' or-
gano!... Io non pregai. Il silenzio era una pre-
ghiera.
« Poi uscii fuori al sole ; una pioggia di
raggi d' oro inonda tutta 1' allegra piazza : un nu-
volo di bianche ali, uno stormo di colombi.
« Come un dolce tumulto di parole d'amore,
svolazzano e scendono, attraverso la splendida
luce, a beccare i grani d' oro in qualche mano
pietosa. , . .
UNA NUOVA' POETESSA AMERICANA 241
« E risalgo il viale dei Colli, e arrivo a quel
punto da dove ti si vede tutta, distesa, come un
libro aperto, tra '1 verde. »
Queste terzine, cosi fiorentine di disegno e di
colorito, mi fanno tornare in mente ^U stupendi
e veramente unici versi della Browning su la
campagna che riportai già tradotte in Aurora
Leigli.
Tanto 1' antica quanto la nuova poetessa si
contentano di rendere esattamente, ma poetica-
mente, una impressione ricevuta : con piccoli
mezzi, ottengono grandi effetti. Oggi, in gene-
rale, dipingendo la natura, abbiamo troppo au-
daci e strane pretese.... Si vuol descriver tutto,
assorbirla, competere con lei. E non pensiamo
che essa fa appello contemporaneamente all' oc-
chio, all' orecchio, ali' intelletto, al cuore, e a
tutti i sensi dell'uomo: che ha i metodi e i ma-
teriali di tutte le arti. Competere con la Natura,
il cui sole, come scriveva ieri un arguto critico
inglese, non possiamo guardar fissi un istante
senza abbagliare — con la Vita, le cui passioni
ci consumano e ci uccidono! quale delirio! Noi
non possiamo che ascoltare religiosamente qual-
cuna delle grandi voci della Natura, afferrare
qualche nota sparsa della formidabile sinfonia,
riprodurre qualche riflesso dei tesori di colori e
di forme che questo miracoloso e terribile Uni-
verso offre ai nostri deboli occhi.
E poi, cosa curiosa, mentre non si parla che
di natura, di vero, di riprodurre la vita, ecc.,
Kexcioxi. — Saggi crilici di leti, inglese. IG
24-2 UiNA NUOVA POETESSA AMERICANA
mai è stato cosi raro com'oggi il trovare poeti
e scrittori che amino davvero la natura, la con-
templino, la vagheggino, la studino direttamente.
Le nostre descrizioni naturali si preparano coi
materiali trovati nei libri. Si adora la campagna
nei salons, e nei gabinetti di lettura. Scommet-
terei che molti poeti veristi di Francia e d' Ita-
lia non hanno mai visto levarsi il sole sulle
Alpi 0 sul mare. Già lo diceva il vecchio Words-
worth :
The World is too mudi witli us ; late and soon,
Getting and spending, we lay waste our powers;
Little we see in Xature that is ours ;
"We bave given our hearts away, a sordid boon !
E quando, dopo tanto attrito di mondo, vo-
gliamo ritornare alle salubrità rurali e primitive,
noi ci troviamo out oftune con la bellezza e l'or-
dine delle cose; come il povero poeta Mikhaél.
Uditelo :
Maintenant j'ai revu les foréts et les plaines,
Et j'ai marche dans les pàturages herbeux ;
Ma gorge a respirò les puissantes haleines
Qui montent du sol roux blessé par les grands boeufs.
Mais corame un empereur parrai les foules viles,
Je suis passe dans la campagne indifférent ;
Car toujours, en mon coeur Tira pur amour des villes
Chantait plus haut que la forét et le torrent.
Quand un vent balsamique arrivait des vallées,
J'avais des souvenirs pervers de parfums lourds ;
Et les soleils épars dans les nuits constellées
N'étaient pour moi que des bijoux sur du velours.
UNA NUOVA POETESSA AMERICANA 243
Ho detto e ripeto che le poesie più essen-
zialmente liriche e musicali di questo nuovo vo-
lume sono intraducibili. Ma scelgo fra esse al-
cune che a me pare possano perder meno della
loro fragranza ; e le offro al lettore, come un
eco ammortito, ma fedele dell'originale.
Ecco un delizioso apologo che rammenta,
per colorito e per sentimento, le Oestliche Rosen
di Rùckert.
« Là su la muraglia rampicava una bianca
rosa selvatica, una bianca rosa dal viso delicato
— e saliva e saliva, finché a tarda sera arrivò a
una finestra. Forse — ohi sa? — l'aveva scelta
per suo luogo di riposo — e piegò la testa sul
davanzale.
« E a quella finestra, per tutta la primavera,
stava appeso un uccello, in un triste riposo. Disse
l'errante rosa: « 0 non canti mai? » Rispose il
mesto uccello : « Ma di che dolci cose vuoi tu, o
folle rosa, ch'io canti? Debbo cantare la mia so-
litudine di tutti i giorni? o la mia prigionia in
questa gabbia d'oro ?
« La lodola canta all'alba rosata; il rosignolo
canta alle argentee stelle. Io non vedo mai il
primo mattino, e quando a sera nascon le stelle,
vedo solo attraverso queste sbarre. E perciò, io
sono sempre mesto e taciturno. »
« E la bianca rosa selvatica, appena l'uccello
ebbe finito il doloroso lamento, allargò tanto i
suoi petali che toccò la prigione d'oro — e il
24 i UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
delicato viso della bianca rosa arrossì e quel
lieve rossore le scese al cuore. La bianca rosa ar-
rossì mentre mormorava ; « Guardami ! Non son
bella abbastanza perchè tu canti per me ? »
« Allora una gran gioia venne al piccolo au-
gello — una gioia che esplose dalla sua trepida
gola nella più dolce musica che mai si fosse sen-
tita. I cuori che la udirono furono stranamente
commossi dall'amore e dalla passione di quelle
note. « D'onde viene questa musica? *>> dicevano.
« Chi lo sa? » — Ma nessuno s'era accorto della
rosa bianca.
« Quando l'autunno dalla veste purpurea
venne sulle distanti colline a tinger di fuoco gli
alberi dei campi e dei boschi, nella piccola gabbia
regnava un triste silenzio ; e il bruno augello era
triste ed immobile. « Come mai questo silenzio ?
Chi sa? » dicevano; e nessuno s'accorse che la
rosa bianca era morta. »
L' idea della morte accompagna sempre i
motivi lirici di Cora Fabbri, come una sommessa
funebre orchestra. Ma è sempre associata all'idea
di bellezza e di pace, come in Novalis e nella
Browning. Non canta la morte quale asilo e
cessazione di patimenti, come Edgardo Poe e Gia-
como Leopardi. Per questi, la morte era il su-
premo rifugio. Come l'alcione ferito batte le ali
stanche sulla gran distesa dell' acque in tumulto,
finché non trova riposo sulla punta ferrigna di
una scogliera, così il pensiero di questi due
UNA NUOVA POETESSA AMERICANA 245
grandi infelici non trovava tregua che fissandosi
nella morte. Cora canta la morte come un pas-
saggio da cose belle a cose più belle. Ha negli
orecchi il canto dei rosignoli, negli occhi il co-
lore dei fiori e i raggi della luna, è inebriata di
luce e di profumi, ma spera e sa dì veder presto
un più poetico mondo, del quale la Morte sola ha
la chiave.
Eccone un esempio : ^
« Un rosaio crebbe cosi alto e bianco con le
sue sette rose, che pareva una nuvola fra la terra
e il cielo.
« Una delle sette rose cresceva solitaria sul
ramo più alto, come una bianca stella caduta dal
cielo.
« Io la colsi, perchè non fosse sfiorata dalla
pioggia e dal vento — la colsi in tutta la sua
candida verginità.
« V'era una fanciulla morta in una oscura
camera, in un luogo solingo — due candele accese
ai suoi piedi e alla testa.
« Le sue pallide labbra sorridevano in una
solenne perfetta pace, come non sorridono mai le
nostre labbra.
« Io diedi la mia bianca rosa alla morta —
pareva meno bianca di quella giovine fronte.
Gli altri piangevano. — Ahimè ! — dicevano —
ahimè !
« Io diedi la mia bianca rosa alla fanciulla
— ambedue erano state colte nella loro giovine
246 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
purità... E mentre tutti gli altri piangevano — io
sorridevo. »
Talora essa ha quasi un desiderio, un'aspira-
zione alla morte, come in questa lirica intitolata
Dead Leaves.
« 0 Rondine, al tempo delle foglie morte,
tu voli via. Questo nido è freddo, quell'albero è
muto, e questo cielo sopra noi è cosi grigio ! Ma
dove tu sei volata, la vita è tutta una giornata
gioconda, e tu dimentichi che queste foglie son
morte.
« Così i cuori, 0 Rondine, hanno i loro giorni
d'autunno, e foglie che muoiono. Potessi io seguir
te, oh, seguir te, e arrivare a quell'altro cielo più
caldo, ed essere, in qualche nuovo mondo, felice !
Ma tutte le mie foglie son morte, ed io debbo
rimanere... Le mie foglie son morte, e ancora non
posso volare via... »
Qua e là nel volume son dei ritratti, schiz-
zati con una bravura e una leggerezza di tocco
singolari — questo, per esempio :
« Un'abbondanza di riccioli, spioventi da
una piccola testa; due grandi occhi, né azzurri,
né grigi, come il cielo fra il giorno e la notte,
una piccola bocca rossa — e tutto é detto.
« Nient' altro che una parola piccante, o
un'occhiata ; una mano data a baciare — nul-
l'altro che un ricciolo, un nastro tra i capelli —
UNA NUOVA POETESSA AMERICANA VH
un fiore, fresco ed azzurro — e pensare che cosa
faranno gli uomini, solo per questo ! »
Gli fa contrasto il ritratto Una vecchia zit-
tella^ dove tra le altre è notevole, per patetica
verità, questa strofa :
« Dov'essa siede, tutto è quieto : non v' è
mai orma di piedini, né balocchi rotti lasciati ca-
dere da mani di bimbi: non parole d'amore, non
pegni d'amore, né liete e cordiali risa... Ah, ^o-
vero cuore, che non hai mai palpitato udendo un
noto passo su per le scale... ^>
Mi son riserbato di tradurre per ultime al-
cune brevi poesie passionate intitolate Note mi-
nori, e che ricordano i canti popolari Toscani.
Sono, a mio giudizio, ammirabili per sentimento
delicato ed intenso, per originalità e spontaneità
d' immagini, e per ineifabi
anche in una traduzione e
vivo il sentimento dell'arte.
e melodia. Credo che
ebban colpire chi ha
« Il fiore della mia vita fiorì in amore ed in
canto quando io lo incontrai sotto gli olivi: era
cosi bello e così forte l'amor mio ! Egli ruppe un
ramo d'olivo e lo dette a me : me lo diede in
segno di tutto il suo amore... Il ramo d'olivo è
sempre qui — ma egli dov'è ? I miei occhi son
pieni di lacrime. Non posso vedere...
« Se, 0 diletto, potessi scegliere un dono per
te, non sceglierei le cose più belle in oro ed in
gemme, ma sceglierei per te una giornata To-
scana e la manderei a te lontano : un giorno To-
248 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
scano, eli' è cosa si dolce, che insegnerebbe al
tuo cuore Inglese a palpitare; un giorno Toscano,
che è si dolce cosa, quando è colto dal cuore della
Primavera.
« Vidi una tomba sotto un cipresso, dimen-
ticata, senza croce, senza nome, senza preghiera.
Ma la primavera riparava all'oblio degli uomini,
e vi avea deposti i suoi fiori, come sorrisi di
bianchi angeli. Gli allegri uccelli vi passavan
sopra cantando, e dove non si fermavano gli uo-
mini, si fermavan essi a cantare: dove gii uo-
mini non pregavano, il lume della luna era una
preghiera... Vorrei che quella tomba fosse mia, e
che io fossi là dentro.
« Qualche volta, in primavera, ho delle strane
fantasie. Penso che gli uccelli che ascoltiamo
hanno rubato da cuori di poeti i canti che can-
tano, prima che le labbra dei poeti li abbiano
espressi con le parole. Penso che i candidi e de-
licati fiori che vedo sul mio cammino sono dolci
pensieri perduti, e bei sogni svaniti. E i rosolacci
così fragili e rossi credo sian lacrime di sangue
versate da cuori infranti.
« Lascio i campi con tutti i loro superbi e
splendidi fiori, coi loro tepidi soli e il mormorio
dei ruscelli, per cercare la pace dei boschi che
hanno calme ore crepuscolari — i boschi dormenti,
dove gli uccelli sono come sogni parlati. Io lascio
i campi a chi sorride e a chi canta, a chi trova
nuove gioie in ogni primavera novella. Io lascio
le esultanze primaverili ai giovani prati, e porto.
UNA NUOVA POETESSA AMERICANA 249
le mie vecchie morte gioie tra gli alberi an-
tichi. »
Chi non s'accorge che son qui alcuni versi
degni di qualunque insigne poeta? Che vi è vera
vena lirica, fresca, schietta, melodica ? — Che cosa
non avrebbe potuto fare la giovine donna che
scriveva questi versi o. diciannove anni? — Questi
fiori d'aprile e di marzo, di qual maggio e di qual
giugno eran promessa! In qual mondo poetico
scioglierà ora i suoi canti, la poetessa morta ? —
Per quali nuove vie si rivelerà la sua anima d'ar-
tista ? — Non so, ma certo
somewbere, oiit of human view,
Whatè' er her hands are set to do,
Is wrouglit with tumult of acclaim.
Il libro porta in fronte questa semplice e
toccante dedica :
COME UN SEMPLICE SEGNO
DI TUTTO l'amore E LA GRATITUDINE
CHE SERBO IN CUORE PER LUI
IO DEDICO
QUESTO VOLUME A MIO ZIO
EGISTO P. FABBRI.
E ora, addio, Cora, addio vero poeta ! Io de-
pongo sulla tua tomba recente queste mie parole,
come un mazzo di fiori imperlato di lacrime. Ma
no -- per te non si deve piangere. — tu sei spa-
rita « con gli occhi sempre pieni di sogni, e le
250 UNA NUOVA POETESSA AMERICANA
mani di fiori. » Amo meglio salutarti, o gentile
poetessa, con le parole di un gran poeta. L'anima
tua luminosamente serena anche quaggiù, a me
piace evocarla, bella e raggiante, con questo ap-
pello passionato di Tennyson :
« Vieni, quando le rosee ciocche e le azzurre
adornano gli orti fragranti, vieni e appariscimi!
La speme dei non compiuti anni risplenda lucida
e larga sulla tua fronte! Fra le rose d'estate, fra
le migliaia di onde del grano intorno alla solitaria
villa, che io ti riveda! Non già nelle paurose
vigilie della notte, ma dove il raggio del sole
ferve più caldo, vieni, bella nella tua nuova
forma, e come una luce più fulgida in mezzo alla
luce! »
{^'uova Antoloijia, 16 febbraio 1892).
251
NEL PRIMO CENTENARIO DI PERCY BYmii SHELLEY
(4 AGOSTO 1792-1892)
Negli anni 1819-22, ultimi della breve o
straordinaria vita di Shelley, egli era nel pieno
sviluppo, nel pieno fulgore del suo genio poetico.
In questi anni, scrisse il Prometeo ed 1 Cencio Ado-
nais e Epiiosycìiiclion^ la Lodola e la Nuvola, VOde
al vento occidentale e la Pianta sensitiva; otto capo-
lavori della moderna poesia. E in quegli anni la
critica inglese parlava di lui come di uno strava-
gante ed empio poeta di decim' ordine. Nella fa-
mosa Piramide in cui Byron assegnava il grado
ai poeti inglesi contemporanei, lo Shelley occupa
il penultimo posto. Quando fu pubblicato il Pro-
metheus Unhound^ il Campbell faceva il noto epi-
gramma: « Questo poema rimarrà sempre sciolto
{unhound) perchè chi volete che sciupi il denaro
per rilegarlo? » — Della grande tragedia 1 Cencio
il dramma più shakesj) eariano del nostro secolo,
non si venderono, in un anno, che sole dieci copie;
degli Amori degli Angioli di Tommaso Moore, cen-
tomila.
252 NEL PRIMO CENTENAIUO
Ma il tempo è il gran giustiziere. Venti anni
dopo, lo Shelley era riconosciuto come il princi-
pale ispiratore della moderna poesia inglese, anche
più di Wordsworth e di Coleridge e di Keats. In-
fatti, Tennj^son e la Browning, Roberto Brown-
ing e Swinburne derivano in gran parte da lui,
0 almeno ne hanno subito l'irresistibile fascino.
Dal cinquanta in poi, Shelley è il poeta ideale
dei giovani, il poeta ammirato e adorato. Yi è
come un crescendo di ammirazione e di studi
shelleiani.
Le edizioni si succedono, di ogni genere, in
ogni formato, a tutti i prezzi: dalle edizioni cri-
tiche del Forman e del Rossetti, all' edizioni po-
polari, complete, a due scellini. Le biografìe sono
innumerevoli, e su tutte ammirabile e veramente
definitiva, la recente del Dowden. Vi è una Shelley-
Society che ha per iscopo di illustrare e diffondere
l'opera del gran poeta.
/ Cenci^ Eliade^ sono stati rappresentati dai
primi artisti e con sfarzo unico di mise en scène.
1 critici, i commentatori, i traduttori più o meno
felici, abbondano in Francia, in Germania, in
Italia. E oggi il primo centenario di Shelley si
festeggia a Londra e a Edimburgo, a Parigi ed a
Boston, a Oxford ed a Viareggio.
Su gli idtimi giorni di Shelley^ su la sua tragica
fine, la cremazione e la sepoltura, è uscito ora un
libro ricco di nuovi documenti, e che porta la luce
su vari punti discussi finora ed incerti. È scritto
da Guido Biagi, e n'è editore il Civelli in Firenze.
DI PERCY BYSSIIK SHELLEY ^53
E un elegante volume con accurate e pregevoli
illustrazioni del Corcos e del Formilli. Questo li-
bro italiano riempie le lacune e corregge qualche
inesattezza della celebre opera del Trelawny su
gli Ultimi giorni di Ijyvon e di Shelley. È un no-
bile e degno tributo reso alla memoria del gran
poeta, che ha divinamente cantato l'Italia. Il vo-
lume è dedicato « A Lady Shelley — consapevole
erede — di una gloria immortale. »
Il Biagi ha ritrovato negli Archivi di Stato
di Lucca documenti curiosissimi riguardanti la
scoperta del vascello su cui naufragò il poeta, la
cremazione del cadavere, ecc., e questi e altri
documenti cercati e raccolti negli Archivi di Fi-
renze e di Livorno gii hanno dato modo di ap-
purare diversi fatti finora contradittori e confusi.
Venne poi in mente al Biagi stesso, due anni fa,
di indagare se del bruciamento del cadavere e del
ricupero àoìV Ariel vi fossero ricordanze o testi-
moni oculari. « Dopo sessantotto anni, egli ci
dice, non tutti dovevano esser morti gli spettatori
della indimenticabile scena; e fra i vecchi che,
con la pipa in bocca, vedevo accovacciati sulla
banchina del molo, o seduti presso all' uscio di
quelle casette viareggine che apron sulla strada
la loro povera intimità, ve n'era certo taluno vi-
cino alla novantina. » Messosi quindi d' accordo
col distinto ufficiale di marina Pietro Anselmi,
consultarono i ruoli della Riserva Navale, e tro-
varono i nomi dei più vecchi marinai, cioè dei
più j)robabili testimoni. E, infatti, alcuni vecchi
254 NEL PRIMO CENTENARIO
ottantenni e novantenni, di cui nel volume si ve-
dono con curioso interesse i ritratti, interrogati
dal Biagi e dall' Anselmi, concordarono nell' indi-
care i luoghi precisi del ritrovamento deW Ariel e
del bruciamento del cadavere. Questo accadde in
un luogo detto Le due fosse. Di fianco all'Ospizio
Marino Vittorio Emanuele ^ è un vasto arenile
chiuso dal lato di ponente dalla linea della Pi-
neta. In cotesta piaggia, fra l'Ospizio eia Pineta,
a circa 250 metri dal mare, è il luogo in cui fu
arso il cadavere di Percy Bj^sshe Shelley, il 16 ago-
sto 1822.
In tutto ciò che attiene al poeta del « libe-
rato mondo, » scrive il Biagi, spira semplice e
vera la solenne grandezza del Pathos antico. E il
Biagi lo ha sentito, e ce lo fa sentire, nella sua
bella e particolareggiata narrazione; notevoli so-
pra tutto le belle e toccanti pagine in cui descrive
le ansietà, le agonie delle due povere donne, la
moglie di Shelley e la moglie di Williams, che
aspettavano invano il ritorno dei mariti, là in
quella tragica villa Magni, che il Mantegazza ha
descritta con pittoresca evidenza.
Nel volume è fotografata la tomba di Shelley
in Roma. Questa fotografia mi ha rimesso sott' oc-
chio, in un baleno, quel poetico e indimenticabile
Cimitero dove riposano accanto il poeta di Pro-
meteo e quello di Endimione. Il Trelawnj^, raccolte
in un' urna le ceneri di Shelley, le fece seppellire
nel Camposanto inglese di Roma, presso la pira-
mide di Caio Cesti o. Tra l'erba e i fiori biancheg-
DI PERCY DVSSIIE SHELLEY 555
già un marmo dove si leggono queste parole tanto
eloquenti nella loro semplicità:
PERCY BYSSHE SHELLEY
con CORDIUM
Il poeta di Alastor^ il più grande pittore dei
grandi spettacoli della Natura, ha qui una tomba
degna di lui. E non lontane di qui sono quelle
Terme di Caracallafra le cui sublimi e pittoresclie
rovine io Shelley scrisse gran parte del Prometìieus
Unhound.
Anche nella lettura di questo nuovo libro su
Shelley, vien fatto di domandarsi se le donne
amate da lui ebbero buona o cattiva influenza su
la sua vita e sul suo genio. Le pagine che ilBiagi
consacra a Enrichetta, a Mary, alla Clairmont e
alla Williams, ritraggono le varie loro fìsonomie
con rara abilità, e le rivediamo animate e viventi.
La morte di Enrichetta è la vera incancel-
labile macchia nella vita del gran poeta — è la sua
vera colpa — nonostante le attenuanti del carat-
tere, della passione e delle circostanze eccezionali.
Questo han sentito tutti i biografi del poeta;
e anche i più caldi e ferventi ammiratori ed apo-
logisti, come il Rossetti ed il Rabbe, son costretti
o a tacere, o a svisare i fatti, o a ricorrere a dei
cavilli; giudicando le azioni degli uomini straor-
dinari con un nuovo codice di morale, differente
da quello col quale si giudicano le azioni degli
altri uomini. Ma il male non cessa di esser male,
anche se commesso da un Groethe, da uno Shelley,
256 NEL PRIMO CENTENARIO
da un Byron, da un Napoleone, anzi, la gran-
dezza dell'intelletto aggrava, piuttosto che sce-
marlo, il peso e la responsabilità della colpa. E
la colpa si trae dietro inevitabilmente la pena — e
Shelley dopo il disperato suicidio della derelitta
Eurichetta non ebbe più pace, in tutto il corso
della breve e visionaria sua vita; e fini tragica-
mente annegato come l'innocente sua vittima.
Dico innocente, perchè se anche fosse provato,
che è ben lungi dall' esserlo, che essa dojjo V in-
giusto abbandono avesse avuto un amante che la
lasciò, il vero motivo distruttore della sua felicità
e istigatore al suicidio, fu il tradimento e 1' ab-
bandono di Shelley, e la gelosia della fortunata
rivale. Il Biagi osserva giustamente che « sulla
vita dello Shelley incombe uno strano destino a
cui egli stesso sente di non poter sottrarsi: egli è
protagonista di un dramma reale che si svolge
secondo un arcano disegno... La morte della po-
vera Harriet abbandonata con goethiana indif-
ferenza gli pesava forse sull'anima; e la immagine
dell'infelice velò di un'ombra dolorosa i sei anni
in cui nell'affetto e nei baci di Mary e nelle pla-
toniche adorazioni di altri ideali cercò sollievo e
conforto. » Belle e giuste parole, confermate da
alcuni significantissimi versi di Shelley: « Non
ho pace mai, nò dentro me, né dintorno a me —
E più facile che abbian pace e riposo le acque
del mare, che il cuore di Shelley — La distru-
zione che mi consuma mi avvolge come un'atmo-
sfera, e infetta ogni cosa che mi appartiene. »
DI PERCY BYSSfJE SHELLEY 557
Il fatto nella sua cruda realtà è questo. Shelley
si accorse che la sua già aclorata Enrichetta che
egli aveva rapita alla casa paterna, non era anima
e intelletto corrispondente al suo, ma una pura
ingenua e bella creatura capace solo di devozione
e di amore. In quel tempo stesso, conobbe la
splendida, affascinante, coltissima figliuola di
Godwin, entusiasta e audace come lui, e se ne
innamorò perdutamente. Allora si separò dalla
moglie, non per un mutuo consenso, ma abban-
donandola addirittura, non rea di nulla, e già
madre due volte. Fu una specie di soppressione
dell'unico ostacolo alla sperata felicità con 1' al-
tra.... Shelley scappò conia Godwin^ e Enrichetta
si suicidò. Tre settimane dopo il suicidio di En-
richetta, il poeta sposava Maria.
Unica attenuante, la forza di una passione
subitanea, violenta, indomabile, sullanima di un
ardente poeta poco più che ventenne. Ma la scusa
che lo Shelley volle addurre a se stesso ed agli
altri è sofistica e atrocemente egoistica. « Chiun-
que mi conosce, scriveva ai Peacock, capirà che
la compagna della mia vita deve essere una donna
che senta la poesia e intenda la filosofia. Harriet
era un nobile e bello animale incapace dell' una
cosa e dell'altra. »
Si capisce, leggendo queste parole, che il
grande, onesto e umano Eoberto Browning po-
tesse dire che ammirava Shelley come poeta so-
vrano, ma gli repugnava come carattere.
Pochi anni dopo, in Pisa, ebbe a accadere
Nexcioni. — Hagrji critici di lett. inglese. 17
258 NEL PRIMO CENTENARIO
qualche cosa di somigliante; e la seconda moglie
corse un bel rischio... Il poeta si innamorò della
bellissima giovinetta Emilia Viviani, da lui visi-
tata nel monastero di Sant'Anna. Essa fu una
specie di Beatrice per lo Shelley, e la mistica e
ardente poesia che le consacrò^ Epipsychidion., po-
trebbe dirsi la Vita Nuova del secolo decimonono.
Mary che conosceva bene il poeta marito,
salvò se e lui, secondando questo amore intel-
lettuale-mistico-platonico, proponendo perfino, con
calcolata audacia, di rapir di convento l'Emilia...
ma il poeta si contentò di averla cantata — e la
divina Emilia fu poi la buona borghese signora
Biondi, disperazione del marito e della suocera, e
mori di malaria in Maremma, come la Pia... O
ironie della vita !
Jane AVilliams è la donna più slielleiana amata
da Shelley — è una visione delicata ed eterea, la
vera lady della Pianta sensitiva^ musicista magne-
tizzatrice: « Dormi, dormi, dimentica il tuo dolore
— la mia mano è sulla tua fronte — il mio spi-
rito sul tuo cervello, la mia pietà sul tuo cuore,
povero amico. — Dormi, oh dormi, e in questo
sonno — simile a quello della morte e dell'annien-
tamento — dimentica la vita e l'amore — dimen-
tica che dovrai svegliarti per sempre — dimentica
il grave oltraggio del mondo — la salute perduta
e i divini sentimenti morti nel breve mattino
della giovinezza — e dimentica me pure, perchè
io non potrò esser mai tua. »
Sarebbe uno studio interessante e curioso
DI PERCY RYSSHE SHELLEY 259
quello dei diversi caratteri, dei diversi tipi di
donne, ammiratrici e devote dei grandi scrittori,
o amate da loro. Potrebbe per prima cosa affer-
marsi, come regola generale e che soffre poche ec-
cezioni, che le donne amate da poeti uomini di
mondoj comeByron, Foscolo, Miisset, Enrico Heine,
eran belle — quelle cantate da poeti idealisti e let-
terati di professione, eran brutte: le Rousseauiane,
reveuses ed eroiche ad un tempo — le devote di
Chateaubriand, incerte tra l'alcova e la sagrestia
— le Foscoliane, sentimentalmente sensuali — le
Heiniane, tenere e birichine — le Balzacchiane,
tutte di una certa età, dai languidi e dolorosi tra-
monti — le Zollane, sboccate e ciniche, ma sin-
cere....
Tra le poesie di Shelley ve ne sono alcune,
come La Nuvola o V Ode ed vento d^Ovest, che sono
poesie di i^ura natura^ nelle quali l'oggetto natu-
jale è come isolato da ogni relazione o analogia
umana, e studiato e inteso nelle sue forme elemen-
tari. La vita della Nuvola, per esempio, è descritta
come poteva essere milioni di anni prima che
l'uomo apparisse su questo pianeta. Shelley è un
gran pittore di paesaggi celesti: l'unico che gli si
possa paragonare in questa rarissima facoltà è un
gran prosatore inglese — John Huskin — e qua
e là, nella sua colossale opera poetica, Victor
Hugo. Nessuno meglio di Shelley ha rappresen-
tato nel verso i cieli in tutti i loro molteplici
aspetti, nelle infinite sfumature dei loro colori,
260 NEL PRIMO CENTENARIO
nella mutabile architettura delle loro scene su-
blimi: all'alba e al tramonto, nella pioggia e nella
tempesta, inondati di sole o luminosi di plenilu-
nio, sconvolti dal vento o solcati dal fulmine.
Come poeta del mare, Slielley è dei primi —
non primo. E inferiore a Enrico Heine, al Cole-
ridge, e al Swinburne; che a me sembrano i tre
più ammirabili poeti di marine. La solenne e cla-
morosa apostrofe di Byron all'Oceano si direbbe
scritta in vista di un pubblico plaudente — il
pubblico di Bond- Street — tanto vi è cercato V ef-
fetto. Solo nei primi canti delZ>o?i Giovanni.^ Byron
ci dà il sentimento, anzi la sensazione, e come
l'odore del mare. Shelley lo idealizza troppo, lo
sente e rende nella massa, di rado nei particolari
caratteristici. Ne interpetra lo spirito, piuttosto
che rappresentarne la vita e la fìsonomia.
Nessuno ha inteso e tradotto la misteriosa
poesia dei mari solitari, come Coleridge — nes-
suno ha reso la varietà nella unità della vita del
mare, come Swinburne e Heine. Quest'ultimo è
forse il più grande tra quanti hanno dipinto il
mare con la parola poetica. Le grandi onde, le
bianche nuvole, le vecchie leggende del porto, il
vaporoso silenzio del mezzogiorno, le rosee letizie
dell'aurora e le grandi malinconie del tramonto, le
candide vele e i bianchi alcioni, il plenilunio dif-
fuso su le onde terse e pacificate, o i singhiozzi e
i ruggiti fra le tenebre dell'equinozio; il mare, in
una parola, vive e palpita nelle larghe' e luminose
strofe delle Nordsee.
DI rERCV P.YSSIIE SHELLEY 201
Lo Shelley è il più magnetico dei poeti ingle-
si, e il più costantemente ispirato dei moderni li-
rici. Dalle stellate celesti altezze all' umile fiore
dei campi, tutta la natura palpita nei suoi versi.
Dalla scena tragica all'idillio, dal coro degli astri
al sospiro d'una violetta, dal ruggito dell'uragano
al trillo di una lodola — egli risponde a tutta la
^serie dei motivi poetici, e percorre tutta la gamma
dei suoni. E poeta musicista per eccellenza. Nes-
suna sinfonia di Beethoven può dirsi superiore
alla grande sinfonia Shelleiana del quarto atto
del Prometeo. Ne "Weber ne Bellini hanno accenti
di una dolcezza più penetrante, di un sentimento
più intenso di quello che spira da certe brevi li-
riche dello Shelley.
I paragoni che si son fatti tra lo Shelley e
gli altri grandi poeti inglesi suoi contemporanei,
son privi di base. Lo Shelley è, sotto troppi
aspetti, unico e incompar abile. Quelli che per ori-
ginalità, potenza e efficacia più gli si avvicinano,
sono Wordsworth, Coleridge, Byron, e Keats.
Questi quattro in alcune doti poetiche e artisti-
che gli son superiori; ma lo Shelley li vince
tutti nell' insieme e nel magnetismo della sua
opera maravigliosa.
Ciò che distingue "Wordsworth da Shelle}^ e
da tutti gli altri poeti inglesi, è che egli si ispira
ai sentimenti più universali; osserva e canta la
più oscura e negletta porzione della società, e
vede sotto poveri travestimenti e sotto umili for-
262 NEL PRIMO CENTENARIO
me, la eterna bellezza morale. Egli ci rivela i
primitivi sentimenti, le immutabili affezioni del-
l' anima umana. Egli ci prova che la bellezza non
è un privilegio limitato a ciò che è raro, nuovo,
e lontano; ma che è profusa su tutta la madre
terra, e brilla anche nei più ignoti recessi rurali,
e nel cuore e nelle azioni della più umile gente.
Il sentimento della natura, e più specialmente
della natura quieta e solenne, della pace rurale
e silvestre, AVordsworth lo ha in grado supremo.
Ciò che è veramente bello e ammirabile e
durevole nell' opera ineguale del Coleridge, cioè
Cristabella^ V Antico Marinaro^ e Kuhla Khaiij è un
prodotto di pura artistica fantasia velato da un'om-
bra di misticismo. In Coleridge è come la quintes-
senza della poesia; si direbbe un poeta che scrive
solo per dei poeti. Oggi in Italia possiamo degna-
mente apprezzarlo nelle belle traduzioni recenti
di Emilio Teza.
Byron è affatto l'opposto dello Shelley che è il
musicista per eccellenza, della poesia inglese. Per
Byron, le parole anche in poesia non eran che
segni precisi delle cose — e il suo obbietto era
quello di dire chiaramente ed energicamente quello
che aveva da dire. Le finezze, i ceselli dell'arte, le
variazioni melodiche gli erano ignote o le dete-
stava.
Gli Inglesi, è inutile sconfessarlo, non amano
Byron; e credo per due forti ragioni: una, che
egli non amò punto loro; e disse cose atroci, e
imperdonabili perchè indimenticabili, sul loro ca-
DI PERCY BVSSUE SHELLEY 263
rattere e le loro istituzioni sociali — 1' altra, che
Byroii come artefice di versi fu eclissato dalle
forme perfette e dalle incantevoli melodie di
Shelley e di Coleridge, di Iveats e di Tennyson.
Come descrittore di situazioni anormali, or-
ribili o mostruose, non è chi lo superi. La vita
di Byron somiglia la sua poesia: una vita che si
slancia attraverso gli ostacoli con la fulminea
rapidità di un proiettile — un magnifico edilizio
che s'incendia e consuma' sfolgorando e tuonando.
Solo la vita del Foscolo rassomiglia, in minori
proporzioni, alla sua. ISTei petti di ambedue rug-
giva un indomabile sjjìrito guerriero.
Come satirico, Byron non ha in tutta Eu-
ropa che un competitore, o superiore, Enrico
Heine. L'onnipotenza della satira Byroniana,
specialmente nel Don Giovanni^ il sibilo terribile
delle sue frecce d'oro, durerà imperituro gastigo
dei tiranni, degli ipocriti e dei pedanti.
Il poeta inglese contemporaneo di Shelley
che ha veramente qualche analogia con lui è John
Keats. In ambedue è vivo il sentimento della na-
tura e del bello plastico; in ambedue è schietta
e costante la visione e l'estasi lirica; ambedue
son maestri insuperabili di armonia. Ma Keats è
forse pittore più preciso e impeccabile; Shelley
più vario e grande melodista. Keats vede forse
meglio le forme — Shelley vede più addentro nel-
l'anima delle cose.
Keats, dal primo al suo ultimo verso, è re-
stato sempre il poeta adoratore della bellezza.
264 NEL PRIMO CENTENARIO
« Il Bello solo è vero » era la sua divisa. Perfe-
zionare la forma, fu lo scopo costante della sua
brevissima e gloriosa vita d'artista. E ciò che ve-
ramente ci fa stupire non è che egli scrivesse un
capolavoro a diciannove anni. Altri lo han fatto,
prima e dopo di lui. Ma il miracolo è che in un
tempo in cui Shelley stesso qualche rara volta
peccava per sovrabbondanza o negligenza di stile,
e Moore e Byron erano i poeti più letti e ammi-
rati, Keats, poco più che ventenne, potesse rag-
giungere la sovrana armonia di composizione, la
suprema perfezione di forma dell'ode A un'' urna
greca, di quelle al Roslgnolo e ?i\V Autunno, e del
sublime frammento d' Ijyerione.
Vagheggiando il Bello antico e cantando le
antiche favole, Keats vi aggiunse l'elemento mo-
derno della passione, come più tardi il Swinburne,
e la vivacità e la efflorescenza di un'immagina-
zione prodigiosamente feconda. Tanta prodigalità
di tesori poetici non si era vista da Spenser in
poi. La poesia di Keats, nella sua prima maniera,
è come una foresta vergine, dove i larghi foglia-
mi, le liane, i fiori larghi e sfolgoranti s'intral-
ciano in fantastici arabeschi ; e i colori, gli splen-
dori, i profumi e la musica vi abbagliano e vi
inebriano. Ma nelle Odi ci appare poi squisita-
mente perfetto; e in Ilyperion, seppe esser sem-
plice, austero e grande. Hyperion è un gruppo an-
tico gettato in bronzo corintio.
Keats è in comunione diretta con la Natura.
Egli ha l'aria di veder per la prima volta i fiori,
DI PERCY BYSSIIE SHELLEY ^05
i boschi, le fontane, il mare, le stelle.... Il meravi-
glioso spettacolo appare a lui sempre nuovo; e lo
canta col divino infantile sorriso dei poeti pri-
mitivi.
Ho detto clie lo Shelley qualche rara volta
pecca per sovrabbondanza d'immagini e indeter-
minatezza di espressione. Nessuno fra i tanti cri-
tici dello Shelley ha rilevato questi difetti con
più precisione ed acume di Giuseppe Chiarini in
un suo bello studio su Shelley. ' Altro addebito
che si fa al grande poeta è che la sua poesia
è troppo spesso astratta, metafisica, inisuhstan-
tial] deficente nella rappresentazione dramma-
tica del reale, un po' troppo eterea e vaporosa.
A questo addebito il poeta potrebbe rispondere
trionfalmente citando alcuni suoi capolavori
come / Cenci, Giuliano e Maddalo, dove il reale
è reso con una energia degna di un Rembrandt
e di uno Shakespeare. E affrettiamoci ad ag-
giungere che la vera e continua sostanza della
poesia shelleiana sta nel costante servizio che
essa rese alla causa dell'umanità: è in ciò che
si trova quella gravità e serietà di sostanza e
di argomento che certi critici desiderano nella
poesia di Shelley. Il signor Stopford Brooke os-
servava poco fa giustamente che « la materia di
Shelley non è quella di "Wordsworth o Tennyson.
Egli non si occupa altro che raramente della vita
umana quale essa è: ma cosa per noi di grandis-
*■ G. Chiarini, Ovibre e figure.
266
NEL PRIMO CENTENARIO
sima importanza, della vita umana come dovrebbe
essere^ una volta liberata dai mali che la tormen-
tano o paralizzano. Lo Shelley ci rappresentò
questi mali, li descrisse con la vivacità del suo
odio generoso, e fu ed è cagione che un grande
e sempre crescente numero di persone li detesti
e li combatta. Nessuno, in poesia, ha fatto più
di lui per correggere il falso concetto della divi-
nità, per rovesciare i fondamenti dell' ingiustizia,
della superstizione, del dispotismo, delle caste,
della schiavitù corporale e spirituale dell'uomo.
Questa è in gran parte, la sostanza, ora distrut-
tiva, ora costruttiva della poesia dello Shelley. »
Se lo Shellej^ non fosse tragicamente sparito
nel fiore degli anni, i Cenci non sarebber rimasti
il solo dramma scritto nella grande maniera Eli-
sabettiana. Egli già meditava il Carlo /, e i fram-
menti che ne rimangono attestano un potere
drammatico straordinario. I segni del vero inge-
gno drammatico sono in questi e nei Cenci così
chiari e così indiscutibili, come quelli del genio
lirico nella Lodola^ in Adonaisj nella Nuvola e
nella Sensitiva. Lo Shelley era uomo capace di af-
frontare la luce del cielo e quella dell'inferno,
nella loro antitesi eterna. Ed è infatti la lotta
fra le tenebre e la luce che ha aiFascinato Shelle^^
nella storia di Beatrice Cenci: la grande anti-
tesi del Bene e del Male, Beatrice e Francesco.
Francesco Cenci è una terribile figura alla
Webster, ritratta con pochi e grandi tocchi. E
DI Pi:nCY BYSSHE SHELLEY 267
l'ideale del genio satanico, il trascendentalismo
Dell'empietà e nella mostruosità: è un ammira-
bile studio sintetico del male in un'anima umana;
come quello di Guido Franceschini, nel gran
poema di Browning, è uno stupendo studio ana-
litico. Il Cenci dello Shelley è una creazione idea-
listica; quello di Browning è un ritratto reali-
stico— ma del grande e spirituale realismo dei
Balzac, dei Browning, dei George Eliot, e dei
Tolstoi; che è cosa ben differente dal crudo e fa-
cile realismo di certi poeti e romanzieri contem-
poranei....
Che dire del Prometheus Unbound? Per subli-
mità di etico e di estetico concepimento; per
splendore d'ideale bellezza; per la marmorea
scultoria maestà dei personaggi; per la vas£a
comprensione dell'universo intero cooperante al
trionfo e al benessere deHnitivo dell'umanità ri-
generata; per la magnifica scala ritmica che lo
percorre e compenebra, dalle più ineffabili tenere
melodie al ijienissimo formidabile di una orche-
stra maravigliosa; per la sinfonia eterea degli
Astri nell'atto quarto, dove lo Shelley ha espresso
quel che finora si era creduto inesprimibile dalla
umana parola; — per tutte queste rarissime doti
e per tante altre che taccio — è veramente unico
e divino, e resterà il più grande esempio di
dramma lirico nel secolo decimonono.
I grandi capolavori di Shelley furon quasi
tutti meditati e scritti in Italia. A Roma, il Pro-
meteo; nel Veneto, Giuliano e Maddalo e i versi su
268 MEL PRIMO CENTENARIO, ECC.
i CoW Euganei] a Firenze, VOde al Vento d^ Ovest.,
\Zo Medusa., il quarto atto e i cori del Prometeo] a
Livorno, i Cenci (in villa Valso vano) e la Lettera
a Alarla Gisborne, e la Lodola (in casa Ricci).
Ancora una volta, noto con vivo piacere, e
con tal pensiero concludo questo ricordo di
Shelley in occasione del primo suo Centenario,
che una viva simpatia letteraria ebbe l' Inghil-
terra per l'Italia, fin dai tempi di Chaucer; dal
Milton al Byron, dallo Shelley a Elisabetta
Browning, da Roberto Browning a Landor, dal
Swinburne alla Eobinson.
(Nìwva Antologia, 1 agosto 1892.)
-2Cil
LORD TENNYSON
È degna di nota nella storia della moderna
letteratura la longevità di alcuni grandi poeti, e
la persistenza del genio creatore nella più tarda
vecchiezza, come, ad esempio, in Goethe, Words-
worth Uhland, Victor Hugo, Browning e Ten-
nyson.
Quest' ultimo ha cessato di vivere la notte
del 6 ottobre a Haslemere, Aldworth House, nella
età di ottantatre anni. Si è spento tranquilla-
mente, nella sua solitaria e poetica residenza,
circondato dalla famiglia, senza dare alcun segno
di patimento, sereno, nel pieno possesso della
sua intelligenza.
La malattia, se così può chiamarsi, è durata
appena una settimana. Il giorno precedente a
quello della morte del poeta, fu di eccezionale
splendore — un sole glorioso in un cielo intensa-
mente azzurro, come di rado si vede in Inghil-
terra. Il poeta si senti un po' sollevato, e chiese
il suo Shakespeare. Lo aperse e lesse qualche
270 LORD TE>"NYSON
scena del Cymheliae^ guardando alternamente il
cielo splendido e il libro. Il Sole e Shakespeare
furono le due ultime visioni di Alfredo Tennyson
su questa terra. Poi si assopì. Destatosi, senti
vicina la morte: somse ai suoi cari piangenti
intorno al funebre letto, e mormorò all'orecchio
della sua vecchia e santa compagna alcune pa-
role — le ultime. Non ebbe agonia, non lotta pe-
nosa. Tennyson si addormentò nella morte.
Nella camera dove sj)irò il gran poeta e dove
la famiglia piangeva, non furono portati lumi.
La piena luna di ottobre inondava colla sua pla-
cida e mistica luce la stanza— -e metteva un'au-
reola Rembrandiana sul volto del poeta morto.
Non conosco più bella, toccante e solenne morte
di poeta, dopo quella di "Walter Scott.
Verso il 1830, la popolarità di Byron co-
minciava a decrescere in Inghilterra, benché re-
stasse sempre viva e diffusa nel resto d'Europa.
Poeti di minore potenza, ma più abili artefici di
verso, e lirici più immaginosi e melodici, come
Coleridge e Keats, si leggevano con nuovo pia-
cere, misto a maraviglia di non gli aver fino allora
degnamente apprezzati. In questo momento di
reazione antibj^roniana apparve sull'orizzonte poe-
tico d' Inghilterra la stella di Alfredo Tennyson.
Ed è curioso a pensare che nella sua adolescenza
Tennj'son era stato un adoratore e un imitatore di
Byron. Il giorno che giunse la notizia della morte
di lui, Tennyson, che aveva allora sedici anni, ne
LORD TI'NNYSON 271
fu colpito come dal fulmine. « Credei, narrò poi
da se stesso, credei che il mondo dovesse finire.
Byron era morto.... tutto il resto non imj^ortava
più nulla. Mi ricordo che andai a passeggiarcela
me solo, e che tracciai col bastone sulla sabbia
queste parole: Byron è morto! » Belli e sacri en-
tusiasmi giovanili, lacrime di ammirazione pei
grandi poeti, indizio sicuro di vera futura gran-
dezza, voi divenite ogni dì più rari in questa
stanca e sterile Europa contemporanea....
Ma Byron non ha lasciata traccia veruna
nell'opera poetica di Tennyson — se non forse
in qualche accento virilmente passionato, come
Locksley Hall. I poeti predecessori che hanno avuto
qualche influenza sul genio di Tennyson sono
visibilmcAte Wordsworth e Keats.
Alfredo Tennyson nacque il 5 agosto. 1809
a Somersby, villaggio del Lincolnshire, dal reve-
rendo George Clayton Tennj^son, rettore di So-
mersby, e da Elisabetta Fj^tche, donna di squi-
sita sensibilità e di viva immagiii azione, come la
madre di Lamartine. Studiò a Cambridge, e an-
cora adolescente pubblicò i primi suoi versi in
società col fratello Carlo {Poesie di due fratelli).
Ma la pubblicazione del primo volume di poesie
sotto il solo suo nome, nel 1830, segna un'epoca
memorabile nella vita di lui e nella storia della
letteratura inglese. Questo primo volume, benché
contenesse alcune squisite poesie come il Cigno
morente., Clarihella^ Mariana^ e fosse maraviglioso
come opera di un giovane di vent' anni, non fu
273 LORD TENNYSON
subito apprezzato degnamente. Ne comparve un
secondo nel 1832, nel quale si leggono la Si-
gnora di Shalott, la Regina di Maggio^ il Palazzo
delVArte, la Visione delle Belle Donne, i Lotofagi, e
questo attirò l'attenzione del pubblico e della cri-
tica, e se ebbe acri detrattori ebbe anche, in
special modo fra i giovani, ammiratori ferventi.
Ma il libro che assicurò e consacrò la fama e la
popolarità di Tennyson, fu il volume pubblicato
nel 184:"2, col titolo di Idilli inglesi ed aitile Poesie.
Qui sono dei capolavori come Ulisse, il Castello
di Locksley. la Quercia parlante, Dora, San Simone
Stilita. Allora si rilessero, si gustarono, si ammi-
rarono anche i due volumi precedenti; e Ten-
nyson fu riguardato per unanime consenso come
il primo poeta vivente dell' Inghilterra.
Dal 30 al 42, accadde dunque un curioso fe-
nomeno. Il pubblico gustava già AVordsworth e
Keats, voleva la verità nella descrizione, la realtà
anche nella fantasia, la perfezione delle strofe e
del verso. Tennyson fu una vera rivelazione.
Locksley Hall è forse la più popolare ti% le
poesie di Tgnnj^son. Yi è in questa poesia, unica
nel suo genere, una felice unione di forma elabo-
rata e di accenti semplici e primitivi, di melodie
perfette e di gl'idi strazianti, di lirismo e d'iro-
nia, di patetico e di satira, di umorismo e di elo-
quenza. Il poeta vi canta il suo primo disinganno,
il disinganno d'amore; e rivisitando i memori
luoghi, non trova conforto che nel confondersi
cuore e mente con le aspirazioni umanitarie del
LOKD TENNYSON 27;3
SUO tempo. E l' elegia si converte in inno, il sin-
gulto in entusiasmo, nel contemplare i presenti
progressi e i futuri miracoli della Scienza. Yi è,
come nel quarto atto del Prometeo di Shelley,
l'apoteosi dell'Umanità. Amy, l'adorata cugina,
ha mancato al suo giuramento di amore, ha ob-
bedito alle fredde ragioni della madre, e ha spo-
sato un altro... un buon filisteo^ che il poeta indi-
gnato marca cosi col suo strale d'oro:
« Tale il marito, tale la moglie: tu sei ac-
coppiata a un gaglioffo, e la rozzezza del suo ca-
rattere avrà peso da farti piombare in basso, al
suo stesso livello. Egli, a^^pena smussata la prima
forza della passione, ti terrà come qualche cosa
di meglio del suo cane, e gli sarai un poco più
cara del suo cavallo. Che c'è? ecco, i suoi occhi
son gravi e j)esanti... non credere che sia effetto
del vino... va' a lui, è tuo dovere; bacialo, prendi
nella tua la sua mano. Forse il tuo signore è
stanco, il suo cervello è affaticato — divertilo
con le tue più fini fantasie, carezzalo coi più de-
licati pensieri. Egli ti risponderà a pro^^osito cose
molto facili a capire... Oh, meglio tu mi fossi ca-
duta morta dinanzi, ti avessi uccisa io stesso con
le mie mani!... Penserò io a lei come a una mor-
ta, e l'amerò ancora per l'amore che mi portò?
— No — essa non mi amò mai veramente — il
vero amore è amore j^er sempre. »
Ed ecco la famosa visione del trionfo del-
l'areonautica che cambia gli aspetti e le sorti
della Società umana.
^■K^•C10^•I. r- Sa^gi critici di Utt. inglese 18
274 LORD TENNVSON
« ... Io mi immergevo nel futuro quanto pro-
fondamente occhio umano può scorgere: vedevo
la visione del mondo e le future sue maraviglie
— i cieli pieni di commerci, galere con magiche
vele, piloti del purpureo oriente scendenti con
preziosi carichi. Udivo empirsi i cieli di grida, e
piovere una orribil rugiada dalle aeree navi delle
nazioni lottanti nell'azzurro centrale; e tra l'im-
menso caldo soffio dei venti del Sud, le bandiere
dei popoli lanciarsi attraverso la tonante tempe-
sta... finche il tamburo della guerra non si sentiva
più battere, e gli stendardi delle battaglie erano
ripiegati e sospesi nel Parlamento dell'umanità,
nella Federazione del mondo. »
Questa visione profetica dei mutati destini
dell'umanità nel trionfo dell' areonautica, l'hanno
avuta egualmente il Monti e Shelley, Whitman e
Victor Hugo.
Sessant^ anni dopo^ il poeta ricantò Locksley
Hall — ma come l'intonazione è cambiata! Una
solennità sacerdotale, un accento di mistica acquie-
scenza son succeduti ai fremiti battaglieri, e ai
gridi della passione. Il poeta da ottimista utopi-
sta è diventato un acre censore e un sinistro mi-
nacciatore della società contemporanea. Il secondo
Locksley Hall si direbbe la palinodia del primo.
La Principessa^ poema pubblicato nel 1847,
parrebbe scritto da un giovane immaginoso del-
l'epoca^ Elisabettiana. Vi sono la profusione e la
efflorescenza del Rinascimento inglese. I personaggi
paion quelli di una féerie sentimentale; caldi di
LORD TENNYSON 27d
emozioni, eccessivamente lirici di sentimento, di
linguaggio e di azione. Non si sa a che epoca ap-
partengono, di dove vengono, né precisamente
che cosa vogliono. La bella Ida figlia del re di
Gama, superba bellezza michelangiolesca, è figura
indimenticabile. Ma il dramma è assurdo e intral-
ciato, una vera fantasmagoria di carnevale. Vi si
discutono le più vitali questioni sociali — l' eman-
cipazione della donna. Vi è una spece di club di
emancipate che avrebbe dato materia di eterno
riso a Enrico Heine.... e per esser giusto, mi af-
fretto a dire che anche il poeta, a momenti, sem-
bra sorridere del suo soggetto, ma non abbastanza.
Ciò che salva e serba immortale questo poema è
la scena d'amore finale, cosa veramente divina, e
le squisite deliziose liriche che vi sono sparse come
preziosissime gemme; alcune delle quali sono fra
le più ammirate e popolari di Tennyson.
Questo poema tutto visioni sfolgoranti di
orientale bellezza fu scritto da Tennyson tra le
nebbie di Londra, tra il sudicio fumo di Lincoln's
Hill. Lo ricordino quei Parnassiens, Estetici^ deca-
denti, bizantini, dilettanti, che oggi non potreb-
bero scrivere un rigo se non assisi su molli divani,
circondati di fiori, di gingilli, di stoffe, di quadri,
come le eleganti adultere di Bourget. Tennyson
evocò visioni di celeste bellezza dalle tenebre di
Lincoln's Hill. — Gian Paolo scrisse i suoi primi
romanzi in una povera stanza dove le donne
stiravano e i bambini piangevano. — Hoffmann
scrisse il Vaso d^oro^ capolavoro ammirato da Bai-
276 LORD TENNVSON
zac e tradotto da Carlyle, in una soffitta di Dre*
sda, alla vigilia della battaglia di Lipsia, tra il
rombo dei cannoni degli Alleati. — Burns cantò i
suoi ultimi tre canti immortali, con la morte e i
creditori alla porta....
Il 1850 può dirsi V anmis mirabiUs della vita
di Tennyson. In quest' anno pubblicò In Memoriamo
fu eletto a succedere a Wordswortb. come poeta
Laureato j prese moglie, e si ritirò a Farringford.
Vorrei dare, per quanto i limiti di questo ar-
ticolo me lo permettono, una esatta idea di In
Memoriam^ scegliendo e traducendo letteralmente
qualche passo dei più notevoli.
Arturo Hallam, figlio dell' illustre storico,
amico intimo di Tennyson e fidanzato alla sorella
di lui, mori quasi improvvisamente a Vienna. Il
volume lìi Memorlam si compone di centotrenta
brevi poesie, tutte nel medesimo metro, consacrate
alla memoria del morto amico. La monotonia del-
l'argomento e della versificazione parrebbe do-
vesse ingenerare nel lettore stanchezza e tedio; e
può parer anche, a prima impressione poco virile
•e poco naturale tanta vena elegiaca sul sepolcro
di un amico. Ma se il soggetto è sempre lo stesso,
se ogni particolare è raccolto nella funebre unità
del poema; vi è però tanta varietà di descrizioni,
di commoventi memorie, di lìriche ispirazioni, di
pensieri e di sentimenti; vi è tanta venustà e
spesso tanta larghezza e magnificenza di forma,
che non solo questo libro si legge volentieri, ma
va classificato fra quei pochissimi che si tornano a
LORD TEXNYSON 277
leggere e meditare, trovandovi sempre nuove ve-
rità, e nuove bellezze.
Chi era quest'uomo che destò si vivo entu-
siasmo e lasciò si acuto rammarico nel cuore di
un poeta come Tennyson?Era un nobile e gene-
roso carattere, una natura magnetica dalle pronte
e benefiche influenze, un giovine che senza aver
lasciato opere insigni e nome famoso, apparteneva
tuttavia alla nobile famiglia dei Sidney, degli
Schiller, e degli Shellej^:
« ... Parola che sgorgava dal cuore, da intime
sorgenti mai esauste; il critico acume di un occhio
che avea visto tutte le luminose vie delle Muse;
una logica ardente che vinceva i dubbi dell'uomo,
e trascinava l'uditore nel suo irresistibile corso;
una natura elevata, innamorata del bene, ma
franca d'ogni ascetica debolezza; amore di libertà,
raramente sentito, non un turbolento fanatismo
da scolari, ne il cieco isterismo dei Celti; virile
proposito fuso con grazia femminea, in modo che
vedendolo i fanciulli spontaneamente gli pren-
devan la mano, e godevano a guardar nel suo
volto... »
Il poeta lo sa, e lo confessa, che anche questi
modulati lamenti son vanità; né canta perchè
speri lode dagli uomini; ma vuole assaporar 1&
sue lacrime, écouter sa hlessure, e trova nel triste
meccanico esercizio del verso un assopimento al
proprio dolore. « Queste pagine, ei dice, serviranno
forse, tra pochi anni a ricuoprire un libro, a fode-
rare una scatola, a far papillottes per le signore.... »;
578 LORD TENNYSON
ma che importa al poeta? ai suoi giorni ottene-
brati è conforto il malinconico ritmo; e parlare
del suo dolore gli è più caro di ogni plauso e di
ogni fama.
In questo costante pensiero del defunto amico,
egli si sente trasfigurato e fatto migliore: perchè
solo i puri di cuore e sani di mente possono aver
comunione coi morti.
« .... Essi si rivelano alle anime silenziose e
calme, amano le immaginazioni quiete e serene,
le memorie simili a cieli senza nuvole, le co-
scienze tranquille come un mare in riposo: ma
quando il cuore è pieno di tumulto e di dubbi?
essi si affacciano ad ascoltare, e poi si ritirano. »
Ammaestrato dai nobili esempi del morto, e
purificato dal proprio dolore, il poeta gli parla
egli si confida: ma sempre in tono d'inferiorità,
con un accento di affettuosa e timida riverenza —
« come una povera ragazza innamorata di un
gran signore, la quale, mentre accudisce alle gior-
naliere faccende nell' umile casetta ov' è nata,
pensa e sospira a lui, cosi superiore e cosi di-
stante da lei. I vicini la canzonano tutto il giorno,
e la notte nella sua solitudine essa piange e con-
fessa: quanto son vana! come potrebbe egli amare
una così umil creatura? »
Ma ecco la nave che riporta in patria il caro
e sacro peso. Il poeta la vede e la sorveglia con
ansietà angosciosa e con terrori d'amante : — « Tu
riporti, o nave, il marinaro alla sua moglie, i
viaggiatori da terre lontane alla patria; tu porti
LOUD TENNYSON 279
delle lettere che saranno aperte con mani tre-
manti, e il funebre peso di una vita svanita.
Ma pure riportalo, o nave; noi abbiamo dei vaghi
terrori — a noi, schiavi dell' abitudine, par più
dolce di riposare sotto la terra fiorita che beve i
raggi del sole e la pioggia;- e mi si stringe il
cuore al pensiero che egli potesse essere som-
merso con te, e che quelle mani, cosi spesso strette
fra le mie, restassero intricate fra le conchiglie e
1' alghe marine. »
E aspettaudo la nave, a momenti gli pare
impossibile che debba riportargli un cadavere,
invece del vivente e giovine Arturo. E su questo
pensiero tanto naturale, e provato tante volte da
chiunque ha perduto una cara persona, ecco cin-
que strofe di un' ammirabile semplicità e perfe-
zione di forma.
« Se qualcuno mi recasse 1' annunzio che tu,
0 nave, oggi hai toccato terra, ed io mi avviassi
alla spiaggia, e ti trovassi ancorata nel porto —
e standomene li tutto chiuso nel mio dolore, ve-
dessi i tuoi passeggeri scender giù in fila cer-
cando con gli occhi i lor conoscenti — se insieme
ad essi io vedessi venire 1' uomo che per me fu
una creatura quasi divina, e mi stringesse a un
tratto la mano, e mi domandasse mille cose di
casa nostra — io gli raccontassi quanto ho sof-
ferto, e come la mia vita fu presso a mancare; ed
egli compatisse al mio 3fcato, e stupisse di questa
fissazione del mio cervello — e io non riscon-
trassi nessun segno di mutamento, nessun iildizio
280 LORD TENNVSOIV
di morte in tutta la sua persona, ma lo trovassi
in tutto e per tutto lo stesso; non mi parrebbe
cosa strana e impossibile. »
Ma pur troppo questo non è che un sogno, e
quelle labbra già si eloquenti sono sigillate per
sempre dal dito della morte. Il poeta nelle buie
mattinate di Londra ricerca istintivamente i luo-
ghi ove era usato conversar con l'amico; ma il
pensiero che non lo troverà più, mai più, accre-
sce il suo spasimo.
Il dolore e il desiderio del caro estinto si
fanno anche più vivi e sensibili quando ricorrono
certe feste dell' anno — Natale, Capo d' anno, Pa-
squa. Allora le memorie si affollano nel cuore
esulcerato: e negli occhi della sorella, vedova
prima che sposa, il poeta vede riflesso il proprio
dolore. Le campane squillanti per V anno nuovo
sono liricamente apostrofate in questi nobili versi :
« 0 campane squillanti pel diffuso cielo, suo-
nate via le fuggenti nubi, la gelida luce; l'anno
se ne muore nella notte; suonate, o campane, e
lasciatelo morire.
e Suonate via il vecchio — suonate nel nuo-
vo : suonate, felici campane, di contro alla neve :
l'anno se ne va; vada pure: suonate via il falso,
suonate alla verità.
« Suonate via una causa ormai vinta, ma che
stenta a finire — - le vecchie forme di fazioni e di
lotte: suonate a più nobile tenore di vita, con co-
stumi più dolci, leggi più pure.
« Suonate via il bisogno, la cura, il peccato;
LORD TENNYSON 381
la spietata freddezza dei tempi: suonate via le
mie funebri rime; suonate al nuovo e più per-
fetto poeta.
« Suonate via ogni antica forma di luridi
mali; la vile cupidigia dell'oro: suonate via le
mille guerre passate; suonate ai mille anni di pace
avvenire.
« Suonate al nuovo uomo, libero e forte, dal
cuore più largo, dalle mani più generose. Su(j-
nate via tutte le tenebre della terra; suonate al
Cristo che ha da venire! »
Finché almeno ci è dato abitare nei luoghi
pieni dei ricordi di un caro estinto, si può tro-
vare sollievo. E il dolore di Tennyson crebbe il
giorno che la sorte lo staccò per semjDre dalla
memore villa. Quando saliva su la più alta delle
circostanti colline, da un punto all'altro del pae-
saggio che aveva sott' occhio, non vedea luogo
che non gli ispirasse qualche memoria del morto
amico: non vi era vecchia grigia fattoria, non
bassa solitaria palude dai mormoranti canneti,
non semplici siepi da campo a campo, non pasto-
rali ruscelli che seguono le curve dei prati, che
non sembrassero rammentarsi di essere stati os-
servati ed amati da queir occhio intelligente e
sereno, ora per sempre chiuso ad ogni scena ter-
restre.... — « Chi ci verrà dopo noi, dice il poeta,
è uno straniero, a cui tutto sarà muto e indiffe-
rente; finché poi, o eterne vicissitudini! dal giar-
dino e dal bosco spireranno nuove simpatie e
nuove memorie; e anno per anno, il paesaggio di-
^82 LORD TENNYSON
verrà familiare ai figliuoli dello straniero — men-
tre, anno per anno, il contadino rivolta le con-
suete glebe 0 pota le antiche piante; ed anno per
anno, la nostra memoria svanisce da tutto il cer-
chio delle colline. »
Altre volte il poeta ha un grido passionato
di invocazione. Chiama 1' estinto, senza terrori,
nella piena luce del giorno :
« Vieni, quando le rosee ciocche e le azzurre
adornano gli orti fragranti, vieni e appariscimi»
La speme dei non compiuti anni risplenda lucida
e larga su la tua fronte! Fra le rose d' estate, fra
le migliaia d' onde del grano intorno alla solitaria
villa, che io ti riveda! Non già nelle paurose vi.
gilie della notte, ma dove il raggio del sole ferve
più caldo, vieni, bello nella tua nuova forma, e
come una luce più fulgida in mezzo alla luce ! »
Ma le lacrime e le visioni, le apostrofi dolo-
rose e passionate, questi tumulti di un cuore fe-
rito, sono elevati e purificati, e convertiti in can-
tico di rassegnazione e di contemplazione, nel
religioso concetto di una ragionata acquiescenza
al divino volere:
« Tuoi, o Amore immortale, tuoi sono questi
mondi di luce e di ombra: tu hai fatto la Vita
nell'uomo e nel bruto, e tu hai fatto la Morte....
I nostri piccoli sistemi hanno il loro giorno,
hanno il loro giorno, e poi cessano d' essere: essi
non son altro che luci riflesse di te — ma tu, o
Signore, sei più di loro. Noi siamo tutti o pazzi
d' orgoglio, o leggieri, e ci burliamo di te, quando
LORD TENNYSON 383
non ti temiamo. Aiuta le tue fragili creature,
aiuta i tuoi vani mondi a sopportar la tua luce!...
Perdonami ciò che in me parve peccato, e ciò
che in me parve merito, da quand'io nacqui —
perchè il merito esiste da uomo a uomo, e non
dall' uomo a te, o Dio. Perdona il mio dolore per
un estinto, una tua creatura che ho amata e
ammirata. Io credo che egli viva ora in te, e
in te confido di ritrovarlo, anche più degno d' es-
sere amato. »
Cosi le lacrime della separazione si conver-
tono in sorriso di contemplazione nella fede di
una vita futura, alla quale Tennjson ha sempre
fermamente creduto.
Tennyson dopo il suo matrimonio lasciata
l'antica residenza nel Lincolnshire, si stabili nel-
r isola di AVight a Farringford — in una abita-
zione essenzialmente inglese e poetica. E come
nelle sue prime poesie troviamo il riflesso del ma-
linconico paesaggio del Lincolnshire, così nelle
seguenti opere troviamo la luce gioconda, la fra-
granza e il colore, dei giardini e dei parchi che
il poeta aveva in vista ad ogni ora.
Ma della sua vita a Farringford, delle sue
abitudini, dei suoi amici, dirò fra poco. Ora vo-
glio prima dare un' idea sommaria delle due opere
poetiche che portarono al grado supremo la fama
poetica del Laureato : Maiid^ e gli Idilli del Re.
Le fedeli pitture della vera passione son rare,
e se ne fa presto la lista. Gli accenti di fuoco
58-4 Lord tennyson
della misera Saffo hanno traversato i secoli; e,
di generazione in generazione, il patetico orrore
della Fedri di Euripide fa ancora fremere e pian-
gere. Didone, Arianna, Francesca, Giulietta, Te-
cla, Margherita, Clara, — Otello e Roxane — son
tipi immortali di amorosa passione e di tragica
gelosia. Più vicino a noi, Manon Lescaut^ e Clarissa,
le lettere della Lespinasse, alcune pagine della
Nuova Eloisa, Werther, Adolfo: poi le Notti di
Musset, Valentiìie di Griorgio Sand, i Sonetti della
Browning, il Consalvo del Leopardi, il Chastelard
di Swinburne hanno accenti di vero singulto, il
grido inimitabile e sacro. A questa lista va ag-
giunto Maud di Alfredo Tennyson, pubblicato
nel 1855.
Maud (Matilde) è una storia d' amore raccon-
tata in versi, o meglio, cantata, gridata e pianta
in ardenti strofe liriche. Si sente che tutto è
stato visto, e studiato dal vero e, in parte, perso-
nalmente provato; ma al tempo stesso, tutto vive
• e si muove in un' atmosfera poetica.
Questo monologo poetico, questo monodramma,
come lo chiama 1' autore, è il giornale intimo di un
giovine che, malinconico per natura, irritato da
grandi sciagure domestiche e da lunghe solitarie
meditazioni, s'innamora — dopo avere previsto
e temuto ed evitato invano l' accendersi della pas-
sione — di una bellissima signorina aristocra-
tica, Maud. e n' è riamato. Sorpreso una notte in
colloquio con essa nel giardino, sorpreso e insul-
tato dal fratello di lei, lo uccide in duello, e perde
LORD TENNVSON 585
per sempre 1' amore di Maud. Fugge, ed erra sma-
nioso e disperato nella babilonica Londra: finche
una causa generosa e liberale lo attira in Crimea,
e l'azione guarisce quel cuore esulcerato ma na-
turalmente virile.
La favola, come vedete, è povera cosa; ma la
poesia è stupenda. Come inventore e costruttore
drammatico Tennyson è men che mediocre. E lo
provano, pur troppo, i suoi veri drammi, Becket,
Araldo, la Regina Maria — roba mediocre; e me'
diocre in poesia è sinonimo di cattivo. Tennyson
è poeta essenzialmente lirico, o epico -lirico. E
Maud è una pittura di costumi e al tempo stesso
una meravigliosa efflorescenza di lirica. Le parole
della conversazione ordinaria, i minuti particolari
della vita domestica, descrizioni di toelette, di ball ,
di pranzi, frasi satiriche, ritratti e caricature, si
alternano con magnifiche pitture dei grandi spet»
tacoli della natura, con l'estasi dell'amore, coi
gridi angosciosi del dolore e della gelosia: e tutto
ci è messo sott' occhio dalla magia del colorito e
del ritmo. L'amante di Maud è di pura origine
romantica — e il suo carattere ha una parentela
non molto lontana con Werther, Renato, Childe-^
Harold e Obermann: ma è una natura essenzial-
mente inglese, con un fondo di selvaggia energia,
e di humour sinistro, che soli hanno, credo, fra
gli innamorati, i compatriotti di Swift e di Byron.
Ecco tradotta una delle più belle liriche del
poema — forse la più bella.
Maud ha promesso all' amante di scendere in
286 LORD TENNYSON
giardino appena finite le danze, cosi com'era ve-
stita da ballo — e il felice amante, aspettando, la
invoca con questi incantevoli accenti:
« Vieni nel giardino, o Matilde, che già la
notte, nero pipistrello, è fuggita; vieni nel giar-
dino, o Matilde, io son qui solo, al cancello; e
l'aroma del caprifoglio già si spande all'intorno,
e il muschio delle rose già esala...
« Aleggia una brezza mattutina, e il pianeta
d'Amore è nell'alto, cominciando a illanguidire
nella luce che ama, sovra un letto di celeste asfo-
dèlo — a languire nella luce del sole che ama, a
languire nella sua luce e morire.
« Tutta la notte le rose hanno udito il flauto
e i violini — tutta la notte i gelsomini del balcone
hanno tremato al passo cadenzato dei danzatori —
finché è successo un silenzio col destarsi del primo
uccello, e una pausa al tramontar della luna.
« Ho detto al giglio: Non c'è che una per-
sona sola con cui essa può esser lieta: quando
questi ballerini la lascieranno in pace? Essa è
stanca di frastuono o di danze. Ma una metà se
ne sono andati quando la luna svaniva, e gli altri
al primo spuntare del giorno e già, sorde sulla
sabbia e fragorose sulle pietre, le ruote dell' ul-
tima carrozza echeggian lontane...
« E le rose tutta la notte sono state deste
per te, sapendo la promessa che tu mi hai fatto;
i gigli e le rose eran desti, sospirando all'aurora
ed a te.
« 0 rosa regina del verginale giardino delle
I.OHD TENNYSON 287
fanciulle, vieni, ora che il ballo è finito, vieni lu-
cente di raso e di perle, giglio e rosa ad un tempo;
vieni a brillare, o vaga fronte, nei tuoi splendidi
ricci, a brillar come un solo su questi fiori!
« Qna lacrima luminosa è caduta dal calice
del fior di passione... Essa viene, la mia colomba,
il mio amore — essa giunge, la mia vita, il mio
fato! La rosa rossa dice: Essa è vicina — e la rosa
bianca piange: Essa indugia. Il tulipano in ascolto
dice: lo la sento, io la sento — ed il giglio mor-
mora: Io aspetto.
« Eccola, la mia donna adorata! Bencliè aereo
il suo passo, il mio cuore la sentirebbe e batte-
rebbe, se fosse già terra dentro un letto di terra.
La mia polvere la sentirebbe e palpiterebbe se
fossi morto da un secolo — si commoverebbe tre-
mando sotto i suoi piedi, e germoglerebbe in
fiori di porpora. »
Gli Idilli del Re (1860-75) sono l'opera poetica
più lunga e importante di Tennyson, la quale in
certo modo consacrò la sua fama. Questi idilli ca-
vallereschi, collegati fra loro in modo da formare
una epopea, non son altro che la leggenda di Ar-
turo, di Merlino, e dei cavalieri della Tavola Ro-
tonda. Tennj^son ha rivissuto fra quella gloriosa
compagnia « il fiore degli uomini », e si è fatto
semplice e antico nell'epica pittura di quei per-
sonaggi e di quelle imprese meravigliose. Tra le
armi brunite e i grandi elmi d' oro, le bandiere
di seta e le lance, brillano come bianchi fiori le
288 LORD TENNYSON
più pure e ideali figure di vergini; le più toccanti
storie d'amore.
In generale, questi Idilli, benché ammirabili
per delicatezza, grazia, melodia, e spesso antica
semplicità di stile, mancano di quel forte rilievo,
di quel colore locale che abbonda nelle poesie me-
dievali di Roberto Browning, e che sovrabbonda
nelle poesie cavalleresclie della Legende des Sièdes.
Il Re e i paladini di Tennyson sono un po' troppo
belli, un po' troppo buoni, tanto che un illustre
poeta vivente ebbe a dire: « Questi sono gli Idilli
del Principe Consorte, e non gli Idilli del Re
Arturo. » Ma se Elaine, Vivien^ son talvolta mo-
dernamente eleganti, Ginevra, la Sacra Coppa e la
Morte d' Arturo son semplici come cosa antica, e
senza nessuna raffinatezza di concetto, di senti-
mento e di stile.
Chi, letti una volta, potrà dimenticare i versi
nei quali è descritto il Re morente che restituisce
la spada Escalibar alle Fate del mare da cui l'avea
ricev. ta?
È la sera della gran battaglia che tutto il
giorno ha infuriato sulle montagne, lungo il mare,
d'inverno. Tutti i cavalieri d'Arturo son morti;
egli stesso è caduto col cranio aperto da un colpo
di scure; e il suo ultimo scudiere lo ba portato
sulle spalle vicino alla spiaggia. Scintilla in cielo
freddamente la luna piena. Arturo ordina allo
scudiero di lanciar sull'acque la spada, perchè
l'ebbe dalle Fate marine, e nessun uomo vivente
deve impugnare l'elsa della spada del Re.
LORD TENNVSON 289
« La grande S2Dada lanciata in aria gettò lampi
al lume della lana, descrivendo un grande arco
scintillante, come il raggiare di un' aurora bore-
ale fra gli urti delle isole di ghiaccio o i rumori
del mare del Nord. Ma prima che la spada rica-
dendo avesse toccata la superfìcie, s'alzò dall'ac-
que un braccio coperto di velluto bianco, mistico,
meraviglioso, e afiferrò la spada, la brandì per tre
volte, e disparve con essa nel mare.... Poi si avvi-
cinò una gran barca, fosca, tutta abbrunata, come
una funebre sciarpa, da prua a poppa. Sul ponte
era un gruppo di forme maestose, in nere vesti,
con neri cappucci, come si vedon talvolta so-
gnando — ma presso loro si distinguevano tre
regine, con le corone d'oro; e dalle loro labbra
usci un gemito che sali fino alle stelle palpitanti
nell'alto — e poi, come una sola voce, si udì un
coro di lamentazioni, simili a un vento che gema
tutta la notte in una landa deserta dove non sia
nessuno, dove nessuno sia stato mai, fin dal prin-
cipio del mondo.... Allora il Re mormorò con
fievole voce : « Deponimi nella barca » e le tre
regine stesero le mani, e sorressero il Re. E la
più alta e più bella fra loro adagiò nel suo grembo
la testa d'Arturo, gli disciolse l'elmo spezzato, e
lo chiamava per uome, piangendo dirottamente... »
Ma il più ammirabile di questi Idilli è, anche
a giudizio dell'i^rnold e del Rossetti, Ginevra. Più
di ogni lode e più di ogni commento, varrà a dare
una qualche idea del poema questo frammento
che traduco, nel quale è descritta l'ultima appa-
Nencioni. —Saggi critici di lett. inglese. 19
290 LORD TENNYSON
rizione e l'ultimo addio del Re alla colpevole
moglie, relegata in un convento, dopo il dramma
doloroso della sua passione per Lancillotto.
«.... Un mormorio corse per tutto il mona-
stero, e poi s'udì un subito grido, «il E.e!.... »
Essa sedeva immobile, stordita, ascoltando; ma
quando senti un rumore di piedi armati traver-
sare il lungo corridoio, e avvicinarsi sempre più
all'uscio della sua cella, si lasciò cadere a terra
in ginocchio, e chinò la faccia sul pavimento; e
con le onde della sua chioma e con le sue bian-
chissime braccia nascose il volto allo sguardo
del Re. Nell'oscurità, sentì il suo piede armato
fermarsi lì accanto a lei.... poi vi fu un silenzio,
230Ì si udì una voce monotona e profonda come
di uno spettro, ma, benché cambiata, quella del Re.
« Così dunque giaci qui a terra, o figliuola
dell'uomo da me tanto onorato, e che ebbe la for-
tuna di morire prima della tua vergogna!.... Bene
sta che nessun figliuolo sia nato da te: i figli di
te nati sono la spada ed il fuoco, le ardenti ro-
vine, le leggi violate, i domestici tradimenti, e lo
sciame di pagani nemici che si avanzano ora sul
mare del Nord; i quali io, quando ancora sir Lan-
cillotto era meco glorioso e onorato Cavaliere, ho
dispersi e fugati in questa terra di Cristo, in do-
dici grandi battaglie....
« Qui tacque; e durante quella pausa, essa,
strisciando a terra, gli si avvicinò un poco j^iù, e
posò le sue mani attorno ai piedi del Re.
« Di lontano, si udì un solitario squillo di
Lord tennyson 591
tromba: il destriero armato che aspettava alla
porta del convento rispose nitrendo come alla
voce di nn amico.... Il Re seguitò cosi:
« Non creder però che io venga qui a rinfac-
ciarti la tua colpa, che io venga a maledirti, o
Ginevra! io cJie mi sento morire dall'immensa
pietà di vederti umiliar nella polvere, ai miei
piedi, quell'aurea testa, orgoglio dei miei anni
felici. Il furore che dapprima mi fé' pensare ai
tormenti ed al rogo è passato: lo spasimo che
mi fece versar lacrime ardenti, quando parago-
navo il tuo cuore col mio, è pure in parte cessato:
ed io, ecco, io ti perdono come Iddio eterno per-
dona: tu fa' il resto per la salute dell'anima tua....
0 amaro ultimo congedo da tutto quello che ho
amato! o chiome d'oro, con le quali, inconsape-
vole, io soleva scherzare ! 0 forme imperiali^ o
bellezza qual mai non ebbe altra donna! Io non
posso toccar le tue labbra; esse non sono mie,
ma di Lancillotto — anzi, non son mai state del
Re.... Io non posso stringere la tua mano: quella
pure è carne, e nella carne fu il tuo delitto.... e
nondimeno, o Ginevra, io t'amo ancora: tale è il
mio fato: e se tu purificherai l'anima tua, se ti
affiderai alla paterna misericordia di Cristo, un
giorno, in quel mondo dove tutti son puri, noi
due ci incontreremo, dinanzi all'alto Iddio, e tu
mi correrai incontro, mi chiamerai tuo, e saprai
che son io, il tuo marito, non uno spirito minore,
non Lancillotto, non altri!....
« Ma è già tempo che io parta. Attraverso
292 LORD TENNYSON
la fitta notte, sento squillare la tromba. Essi chia-
mano me, il loro Re, a guidar 1' esercito laggiù a
quella grande battaglia dove io dovrò colpire il
figlio di mia sorella e i cavalieri del Cavallo Bianco,
suoi collegati — ed ucciderli — e incontrare io
stesso la morte, o non so quale altro misterioso
destino.... Tu qui rimani: qui saprai i tragici
eventi:' ma non mi vedrai più, io non verrò più
qui, non giacerò mai più al fianco tuo, non ti ve-
drò più.... addio !...
« E mentre essa restava prona e come annien-
tata ai suoi piedi, sentì 1' alito del Re errar sul
suo collo, e, fra le tenebre, s'accorse, dal nrovi-
mento delle mani del Ee su la china sua testa,
che egli la benedisse.
« Allora sentito 1' ultimo suono dei passi di
lui che si allontanava, la pallida Regina si alzò da
terra, e sperando di rivedere il volto del Re senza
esser vista, guardò da una grata della finestra.
« Egli era là, già rimontato a cavallo, alla
porta del monastero : e intorno a lui le monache
stavano tristi e riverenti, ciascuna con un cero
acceso in mano; ed egli dette loro ordine di nu-
trire e custodir la Regina; e mentre parlava alle
monache, abbassava il gran cimiero a cui sor-
montava il drago d' oro di Britannia; talché essa
non potè discernere il viso del Re, che era allora
come quello di un angelo, ma vide solo, bagnato
dalla nebbia e percosso dal lume dei ceri, scintil-
lare il gran dragone dell'elmo, e fumar nella notte
come un'accesa meteora. »
LORD TENNYSON 293
Teiiiiysoii era alto di statura, largo di spalle,
ma piuttosto magro. Nel profilo, ricordava Dante ;
nell' ampia fronte, Shakespeare. Aveva occhi neri,
profondi, indagatori — voce ammirabile, che pas-
sava dalle note più soavi alle più altosonanti, e
faceva di lui un lettore di versi maraviglioso. E,
nell'intimità, fra vecchi amici, Tennyson leggeva
volentieri le sue poesie. Alla Browning lesse ma-
noscritto il poema Maud: ed essa restò colpita
dal modo di leggere del poeta quanto dalla bel-
lezza di quelle strofe famose. Quando egli leggeva
Ginevra^ arrivato al momento del perdono e della
benedizione, si commoveva fino alle lacrime; cosa
rara in lui che fu di tempra virile e aborrente da
ogni scena sentimentale. Leggeva senza alcun ge-
sto, compostamente, in tono un po' solenne e mo-
notono; ma aveva uno charme^ un magnetismo suo
proprio — e chi lo aveva udito leggere, non di-
menticava mai l' impressione ricevuta.
Era di modi e abitudini semplici e patriarcali.
Rifuggiva dal tumulto della città, dai piccoli
interessi e dagli egoistici divertimenti del bel
mondo, dalle conversazioni eleganti — contento
di vivere tra campi e giardini, con la famiglia
adorata, lieto di qualche rara visita di provati
amici. Amava i fiori; e nelle sue abitazioni di
Farringford e di Aldworth ve n'erano a profu-
sione. I boschi di Farringford che a primavera si,
empion di anemoni e di primole, i campi ove al>
bondano i narcisi, gli erano cari — e di prima
mattina si vedeva il poeta col suo tradizionale
20/i- LORD TENNYSON *
cappello di feltro dalla larga tesa, e il gran man-
tello grigio, con la eterna pipa corta in bocca,
seguito dal fido cane Siberiano, assidersi sul ru-
stico banco, e inalzare ad Apollo alate strofe e
nuvoli di fumo.
Amò di tenero, inalterato affetto, la sua de-
gna compagna, e a lei furono rivolte le sue su-
preme parole. Fra gli amici ebbe carissimi Hallam,
Gkdstone, Ruskin e Roberto Browning — e man-
tenne sempre vivi l'affetto e la riverenza per ii
terribile Carlyle. Ebbe molto cari il vecchio Lan-
dor, il Rossetti e Longfellow.
Un avvenimento notevole nella uniforme vita
di Tenn3^sou, fu la visita clie gli fece il generale
Garibaldi nel 64. Il gran capitano e il gran poeta
eran fatti per intendersi l'un l'altro. Ambedue
eran figli sinceri e primitivi della natura, due vi-
venti realtà, due leaders, due eroi — non uomini-
fantasmi, non larve orpellate di falsa grandezza...
Garibaldi piantò con le sue mani un albero nel
giardino di Tennyson; toccante ricordo, e simbolo
poetico del loro comune amore per la natura.
Tennj^son ebbe sempre una costante predi-
lezione per i bambini, come il suo grande con-
temporaneo Victor Hugo. E mi piace finire que-
sto mio ricordo di Tennyson con la traduzione
di una sua poesia che rivela la squisita tenerezza
del poeta per l'infanzia, e che, nella sua ineffabile
semplicità, è di un patetico cosi penetrante che
divien doloroso. E intitolata : Xello spedale dei ham-
lini. (E una infermiera che parla;.
LORD TENNYSON 2(J5
« .... Si passò nella sala dove giacciono i
bambini più piccoli. Ecco il letto della nostra
orfana, la nostra cara soave donnina: vuoto, come
vedete, da poco.... Paziente nei dolori, benché de-
licata come una sensitiva, coi suoi ingenui di-
scorsi spesso mi ha fatto j^iangere: aveva il cuore
più riconoscente che io abbia trovato in bambine
della sua età. — Ma già ve ne ricordate della vo-
stra Emraina; eravate solita di mandarle dei fiori.
Come sorrideva a quei fiori! Ci giocava, parlava
con loro per delle ore. Ah, chi può a suo talento
vagare dove meglio si rivelano le grandi opere
del Signore, non indovina che gioia può procu-
rare un fiorellino di campo: i fiori dicono a que-
ste piccole anime prigioniere tutto quello che
esse posson sapere della primavera; rinfrescano
e profumano queste sale come il remeggio del-
l' ala di un angelo. Ed essa giaceva tenendo un
fiore tra le magre manine incrociate sul petto,
pallidissima, ma bella come il cuore può deside-
rare; e credemmo che riposasse quietamente ad-
dormentata — così quietamente, che il medico
disse senza riguardi: « Povera creatura! domani
le va fatta l'operazione: ma temo che non potrà
sopravvivere. » Accompagnai il dottore fino a
capo di scala, poi tornai nella stanza senza che
la bimba se ne accorgesse.
« Da quando fo l'infermiera, non ho avuto
mai un tal dolore, un tal turbamento. L' Emmina
aveva udite le parole del chirurgo.... Chiamò dol-
296 LORD TENNYSON
cernente dal suo lettino a quello accanto, e disse :
— « Annina ha detto che non potrò sopravvivere:
che devo fare ? » — L' Annina riflettè un poco, e
« Se io fossi in te, disse poi, chiederei alato al
caro Signore Gesù: perchè vedi, Emmina, quel
che è scritto là su quel quadro: Lasciate che i
piccoli vengano a me ». « Si, lo farò disse l'Em-
rnina, ma quando chiamo il Signore, come farà a
sapere che sono io ? ci sono tanti letti qui in fila! »
— L' Annina rimase un po' imbarazzata. Eiflettè
di nuovo un momento, e poi disse : « Emmina, tu
devi metter fuori le braccia, e tenerle stese sul
letto. Il Signore h.a tanto da vedere.... ma tu devi
dirgli che sei quella bambina che tiene le braccia
fuori, sulla coperta. >>
« Avevo fatto nottata alla bimba tre volte di
seguito — non avrei potuto vegliarne una quarta:
il cervello cominciava a girarmi, sentivo che non
potevo più. Quella dunque doveva essere la mia
notte di riposo; ma mi parve che non finisse mai.
Vi fu un colpo di fulmine, a un tratto — poi il
crepitar della grandine sui cristalli — e mentre
io mi rivoltavo smaniosa nel letto, sentii un ge-
mito di fuori, il belato di un agnellino che ha
smarrito la madre e si trova tra la burrasca nel
]jii[o — poi il mio dormire fu interrotto dal sogno
dell' orribile coltello chirurgico, dal terrore che
la mia Emma vi avrebbe probabilmente lasciato
la vita.... Ma nella prima grigia luce dell'alba,
mi parve di vedermela accanto, e che sorridesse....
LORD TENNYSON 597
Il medico vecne la mattina, e andammo a ve-
dere la bimba.
« Egli aveva portato con se i suoi spaven-
tosi strumenti. La credemmo ancora addormen-
tata. I suoi cari, lunghi, magri braccini eran di-
stesi sulla coperta.,.. — Dicono clie il giorno di
Dio è tramontato. Ah, perchè curarci di ciò che
essi dicono ? — Il Signore dei bambini 1' aveva
ascoltata, 1' Emmina era morta. »
Nello stesso volume dove si legge questa toc-
cante poesia {Ballads and otlier Poems, 1881; è da am-
mirarsi Elzpah, una delle più originali e forti cose
di Tennyson : e dove il poeta rivelò una sua nuova
facoltà e potenza — il tragico familiare. Swin-
burne, cosi autorevole e credibile giudice di poesia,
ne fu entusiasta, e ne parlò iii questi termini :
« Mai le due gemelle passioni, terrore e pietà,
furono più divinamente fuse in immortali parole,
e in più assoluta e sublime identità. Mai visse
poeta sulla terra — tale almeno è il mio mode-
sto e cordiale convincimento — la cui gloria non
sarebbe accresciuta divenendo autore di questa
poesia. Essa ci prova una volta di più che i
grandi poeti sono bisessuali ; maschi e femmine
a un tempo, madri e padri istintivamente, dal
giorno in cui Omero mise Astia natte nelle brac-
cia di Ettore, a quello in cui Victor Hugo rac-
colse la più dolce delle cantilene su le labbra
della moribonda Fantina. E fra tutti loro, nes-
298 LORD TENNYSON
Simo, neppure lo stesso Victor Hugo, ha mai fatto
vibrare la corda umana con più divina forza di
tenerezza che Tennyson in questa poesia. Sarà
ora finita la discussione se Tennyson sia un
grande poeta, o soltanto un grazioso, delicato, e
squisito poeta. Se fra mille anni, ogni traccia
delle sue poesie fosse svanita dall' umana me-
moria, fuori che questi novanta versi di Riz-
vah^ resterebbero prova positiva e ampia e so-
vrabbondante che un grande poeta era vissuto
fra gli uomini. » Elogio in gran parte meritato,
ma, come tutti gli elogi e le censure di Swin-
burne, un po' esagerato. Prima di Rlzpaìi^ a pro-
vare che Tennyson sapeva essere grande e forte
poeta, eran comparsi Ulysses^ Locksley Hall^ Le
Sorelle^ San Simone Stilita^ Ginevra e Alorte di
Arturo.
A proposito di Rizpaìi^ rimando il lettore alla
eccellente traduzione in versi che ne dette nella
Nuova Antologia Francesco Rodriguez, autore di
tre pregevoli studi biografìco-critici su Alfredo
Tennyson, William Cowper, e Longfellow. E mi
piace ricordare le belle traduzioni poetiche di
Giovanni Faccioli, il quale ci ha dato nel suo vo-
lume una buona scelta dell'opera poetica di Ten-
nyson, e la bella traduzione di Dora, dataci da
Giuseppe Chiarini.
L'ultimo volume di versi di Tennyson fu
pubblicato nel 1889, col titolo Demeter and other
Poems. Le due gemme del volume sono Demeter^
e Crossing the Bar {La diga estrema).
LORD TENNVSON 299
Demeter è di genere tragico sofocleo. Negli
accenti passionati della madre alla figlia, vi è
quell'armonia, quella perfetta euritmia, quell'equi-
librio felice del senso e del sentimento, che i tra-
gici Greci e Virgilio conobbero meglio di ogni
altro poeta antico e moderno. Non vi è forse in
tutta la greca mitologia una storia più toccante
e patetica di quella di Demetria e Persefone. La
madre derelitta richiama con accenti di disperato
singulto, a cui fa eco la Natura intera, la diletta
figlia dalle basse regioni infernali alla lieta luce
del sole. La dea della Terra dimentica, nel di-
sperato affanno per la figlia rapitale, la terra
stessa. E la terra diventa una desolazione. Quando
poi la madre riabbraccia la figliuola recuperata,
che si desta nella luce del sole e nell'amplesso
materno, il verso di Teunyson diventa ineffabil-
mente musicale e ^^atetico.
Crossing the Bar, mi pare, dopo Demeter^ la
poesia più significante e ammirabile del volume.
Il poeta contempla e dipinge il tranquillo abban-
donarsi dell'anima nel gran mare dell'eternità, fi-
dando nel celeste pilota. Vi è in questa poesia
una larga e profonda serenità, come nelle acque
azzurre dell'oceano centrale. Sarebbe curioso pa-
ragonare il Crossing the Bar di Tennyson col Pro-
spice di Roberto Browning. Il soggetto è quasi
identico. Ma come diversamente trattato! In Ten-
nyson, la contemplazione, la calma solenne, la
nota armonica: in Browning, l'azione, la lotta
eroica, la speranza indomabile, e il trionfo tra-
300 LORD TENNYSON
scendentale dell'anima. Tali le due poesie, e tali
i due poeti.
Ora essi dormono accanto, nella pace sacra e
solenne dell'abbazia di Westminster — e rimane
incontrastato e incomparabile re della poesia In-
glese, il poeta di Atalanta e di Maria Stuarda,
Carlo Algernon Swinburne.
{Xuova Anioldijia, 16 ottobre 1802.)
301
RASSEGNE DI LETTERATURA L\GEESE
Alla fine, dopo tante preghiere, insistenze e
quasi minacce, la famiglia Shelley si decise a le-
vare il sigillo e togliere di clausura i molti, vari
e preziosi documenti sulla vita del sommo poeta.
Solo sessantacinque anni dopo la morte di lui, i
materiali più importanti a narrare la storia della
sua vita cosi avventurosa, cosi piena di generose
imprudenze e di eroismo, di entusiasmi e di la-
crime, di estasi e di rimorsi, sono fatti di pub-
blica ragione, e, depositati nelle sicure e abili
mani del prof. Dowden, compongono oggi i due
grossi volumi della Vita di Percy Bysshe Shelley.
Ma non esisteva dunque nessuno studio bio-
grafico sul gran poeta di Prometeo e della Cenci^
sul Singing god della moderna Inghilterra? Oh, ve
n'erano anche troppi! — Quella povera vita era
stata « dilacerata a brano a brano » da storici e
critici romanzieri, in Inghilterra ed in Francia.
Ma fra tanta farragine biografica Shelleyana, tre
30^ DOWDEiy, VITA DI SIIELLEV
soli libri avevano attirato l'attenzione, e destata
la simpatia, e fino a un certo punto 1' ammira-
zione dei devoti al poeta. La Vita di Shelley di
Hogg — Gli ultimi giorni di Shelley del Trelawny
— e la Memoria di Shelley di Michele Rossetti.
Tre opere, nel loro genere e secondo i loro di-
versi intendimenti, capitali e sostanziali per lo
studio di Slielle}^ uomo e poeta: e che unite alle
Note con cui Mrs. Shelley illustrò le opere del
marito, alla edizione critica del Forman, e alle
Lettere del poeta, bastavano a darcene quasi in-
tera la raggiante figura.
Il pregio incontestabile di questi due nuovi
volumi consiste nelle elucidazioni e rettificazioni
su vari punti contestati e discussi della vita di
Slielle}^ 11 solo Dowden ha avuto in mano mate-
riali sufficienti per poter dire l'ultima parola su
certi fatti, e per troncare certe eterne questioni.
La storia della povera Enrichetta, fino a che
punto Shellej^ è responsabile di quella tragica
morte, oggi è narrata con incontestabili docu-
menti. — Sulla giovine e bella Pisana che ispirò
Epipsycìiidion^ e su quel bravo matto del prof. Pac-
chiani abbiamo curiose notizie. La prima volta
troviamo qualche plausibile spiegazione sulla mi-
steriosa aggressione di Tanj^rallt. La narrazione
biografica è sempre accompagnata da estratti di
corrispondenze e da preziosi diari di Shelley e di
Mrs. Shelley. Miss Clairmont acquista in questa
nuova biografia una importanza nuova nella vita
di Shelley; e altri personaggi che eravamo abi-
DOWDEN, VITA DI SHELLEY SOS
tuati a creder tanto infliieuti su lui, si perdono
invece nell'ombra. L'opera abbonda di curiosi
aneddoti, particolarmente durante il soggiorno di
Shelley in Italia. E speravo di sentir raccontato
un po' più equamente e umanamente il brutto
fatto del povero sergente Masi. 3Ia il filisteismo
e l'orgoglio inglese hanno messo una benda anche
agli occhi del professor Dowden. Egli non fa che
ripetere presso a poco la narrazione di Bj^ron nella
sua lettera a Walter Scott. Ma Byron era troppo
passionato, interessato e pregiudicato espositore...
Eppure anche stando al racconto di Byron e alla
ripetizione del Dowden, appare evidente il coraggio
del povero dragone, e la prepotenza dei sei suoi
assalitori; e poi il vile assassinio dell'infelice, as-
salito a tradimento e alle spalle dal servo di
Byron.
Il libro è scritto con una calma di esposizione
che se fa onore all'impassibilità dello storico, nuoce
un po' allo scrittore. Parlando di Shelley che fu
in una continua earnestness. ci vorrebbe un po' più
di calore, un po' più di vita — e dove si tratta
de' suoi capolavori un po' più d'entusiasmo. Il
prof. Dowden somiglia Vliomme de neige che tratta
del Vesuvio e dell'Etna... Anche sulla genesi e sul
progresso dei lavori principali del poeta si desi-
dererebbero maggiori particolari. E però assai
notevole il giudizio complessivo sul Prometheus
Unbound.
Insomma, un libro importante, leggibile da
capo a fondo, una raccolta di sostanziali docu-
304 DOWDEN, VITA DI SHELLEY
menti, dalla quale la simpatica figura di Shel-
ley esce sempre pura e raggiante di gioventù e
di poesia. La sola macchia di quella nobile vita,
nonostante le moltissime attenuanti, è l'abban-
dono della disgraziata prima moglie. Ma essa fu
vendicata. Shelley, novello Oreste, fu sempre agi-
tato da quella memoria, da quel fantasma, vera
Nemesi della sua vita.
A proposito di Shelle}^, vedo con piacere,
sui giornali e sulle riviste inglesi, che la Shelleij
Society gareggia con la Browning Society di opero-
sità e di zelo per l'incremento di gloria del suo...
Santo. Gli Shelleyani, come i Brov^ninghiani, il-
lustrano nelle loro adunanze i lavori del poeta, e
pubblicano negli Atti della Società i migliori
studi critici che vengon letti. Curano nuove edi-
zioni del poeta, pubblicano a loro spese edizioni
critiche, illustrate, edizioni di lusso dei singoli
poemi. Hanno già fatto rappresentare Hellas mu-
sicato nei suoi stupendi corali — e i Cenci^ ove Miss
Alma Murray entusiasmò il pubblico nella parte
di Beatrice.
Cose, io pensavo con una certa mortificazione
nazionale, che si posson fare in Inghilterra, dove
il popolo dei lettori è cosi numeroso, dove la col-
tura letteraria è così generale, e abbonda il buon
volere, la perseveranza e il denaro : ma che sareb-
bero, almeno per ora, inattuabili in Italia. Yi
figurate una Società Manzoni^ per esempio, che
facesse rappresentare Adelchi a sue spese? Dato
LA "SHELLEY SOCIETY" 305
il caso, certo noi potremmo veder sulla scena nu
x4.delchi, e fors' anche una Ermengarda, quali ncn
posson vantare altri teatri d'Europa — ma, in
ogni modo, vi figurate la decorazione, la mise en
scène, i cori della Tragedia? Io, si, me li figuro, e
prego Dio che al cantore di Ermengarda e di
Napoleone sia risparmiato l'orribile strazio...
Il discorso inaugurale diretto alla Società da
Mr. Stopford Brooke, è notevolissimo. Matthew
Arnold, poeta e critico valente, aveva scritto una
solenne eresia (paragonabile all' altra sua che
Maurice de Guérin è più poeta di Keats, e che
gli valse il feroce gastigo di una risposta di
Swinburne a proposito delle poesie di Shelley.
Aveva cominciato col metter lo Shelley troppo
al disotto di Wordsworth, e concluse col dire che
le prose di Shelley, lettere e saggi, valgon più dei
suoi versi, condannando la poesia Shelleyana per
la <' incurabile mancanza di sostanziali argomen-
ti » e come vaporosa e vuota, e priva di umano
interesse. La risposta del signor Brooke è trion-
falmente eloquente. Se qualche cosa di vaporoso,
di unsuhstantial è nell'opera poetica di Shelley, è
solo nelle sue poesie personali. Ma la Beatrice
Cenci — e Giuliano e Maddalo — e le -sue liriche
puramente naturali ^ la Lodala^ la Nuvola — come
potè dimenticarle il signor Arnold ? E il Brooke
conclude facendo una giusta e profonda distin-
zione.
« La reale sostanza della poesia Shelleyana
sta nel costante servigio che essa rese alla causa
!Ne>'C10>'I. — Saggi critici di leti, inglese. 20
oOG LA "SHELLEY SOCIETY
dell'umanità
Egii non solo combattè la ingiusti-
zia — ma amò la giustizia, non come vaga astra-
zione, ma come cosa in azione ed universale. La
Libertà e l'i^more son la doppia fonte delle sue
ispirazioni; e la sua umana poesia è immersa in
esse, come un giardino estivo nella luce del sole. »
Belle e sante parole! La passione deìV umanità
fu la vera Musa di Shelley; come era stata di
Schiller, e come dopo fu di Victor Hugo. Ma i
poeti cesellatori e i critici dilettanti non sanno,
o non vogliono persuadersene. Il signor Brooke
avrebbe, a nostro giudizio, potuto rispondere an-
che un'altra cosa; cioè, che da Eschilo e Lucrezio
in poi, nessuno ha dipinto i grandi e terribili
spettacoli della Natura, come lo Shelley.
Il signor Stor}^, noto agl'Italiani come insi-
gne scultore e come scrittore di Boba di Eoma^
non è egualmente noto come poeta; benché l'autore
di Graffiti cV Italia abbia preso quasi sempre ispi-
razione ai suoi versi da soggetti, paesi, personaggi
italiani, e soprattutto romani. Simile in questo
al grande poeta inglese Roberto Browning, col
quale ha moltissime analogie, e dal quale deriva,
non tanto nella scelta degli argomenti quanto
nel metodo drammatico-psicologico di trattarli.
La poesia genuinamente Americana, i veri
echi del Mississipi e del Missouri, della Virginia
e del Maryland, hanno qualche cosa di rude, di
primitivo, una musica selvaggia e magnetica
VERSI E PROSE DI W STORY 807
come quella del vento fra le liane, o impetuosa e
violenta come quella delle grandi cateratte assor-
danti: oppure hanno un carattere di personale e
strana originalità^ di democrazia, e, strano a dirsi,
di misticismo. Un misticismo di nuovo genere —
poetico e positivo ad un tempo; qualche cosa di
preciso, di matematico anche nelle più strane vi-
sioni — un grado di Legendre misto ai sogni di
Swedenborg. Mi basti citare, in prova, due nomi:
Walt Whitman e Edgardo Poe.
Ma insieme con questi poeti essenzialmente
Americani, vi son quelli (ed è il maggior nume-
ro) che restano fedeli alle tradizioni dell'arte in-
glese, e sono più Europei che Americani. A que-
sti, dei quali Longfellow è il più popolare fra noi,
appartiene anche Jo Story. L'Americanismo però
traspare anche nei versi di lui, dal carattere di
ardita investigazione, nell'audacia delle ipotesi,
nella originalità della invenzione, e nel profondo
senso scientifico di certe poesie; come, ad esem-
pio, quella intitolata Un legale romano in Gerusa-
hiume^ nella quale si discute con americana libertà
e con filosofico humour sul delitto di Giuda; e l'al-
tra, egualmente originale e profonda. Un Rabbino
in Roma nel secolo XV.
Come Browning nei suoi libri fa parlare e
studia obiettivamente i personaggi più differenti,
e passa da San Giovanni al Galluppi, da Saul a
Calibano, da Aristofane a Andrea del Sarto — cosi
il signor Story nei suoi Ritratti^ Pergamene^ Monolo-
ghi^ fa parlare personaggi dell'antichità, del medio
308 VERSI E PROSE DI W. STORY
evo e contemporanei, dichiarando che tutte queste
poesie son drammatiche nel loro carattere, espres-
sioni di personaggi storici o immaginari, e non
manifestazioni di opinioni o sentimenti dell'au-
tore. La curiosità scientifica e psicologica è il mo-
tivo di queste poesie, ma l'esecuzione è artistica
in sommo grado. Fra quelle di soggetto antico,
notevolissima la epistola di Fidia a Pericle. Nelle
poesie di soggetto medievale è ammirabile il senti-
mento profondo dell'epoca, e il rude colorito locale.
Radicofaìiij per esempio, è di uua precisione foto-
grafica, restando pur sempre poetica: è un pae-
saggio dantesco: e il poeta fa spiccare su questo
squallido fondo la terribile figura di Ghino di
Tacco.
Le poesie di soggetto moderno ritraggono,
quasi tutte, vari aspetti della vita romana, e al-
cune, come per esempio Gìannone, hanno, oltre
l'intrinseco merito artistico, un valore storico per
gli ultimi anni di Roma papale. Fra le molte
poesie romane del signor Story, son notevoli Mon-
signor Galeotto, V Abate, NeW anticamera di Monsi-
gnor del Fiocco, e sopratutte quella deliziosa, ma-
linconica e veramente romana poesia su Villa Conti.
Nell'insieme, può dirsi che Roma è la fonte delle
più felici ispirazioni di questo poeta: la Roma pa-
pale specialmente, la Roma di Pio IX — quella
che Hawthorne ha immortalmente dipinta in
Transformation.
Venuto a Roma ancor giovanissimo, per una
semplice visita da artista alla città eterna, lo
VERSI E PROSE DI W. STORY 309
Story finì per rimanervi stabilmente, allettato dal
fascino magnetico della città unica. E in Roma,
nel palazzo Barberini, o nel suo bello studio al
Maccao, egli ha scolpito le sue più belle statue,
come la Cleopatra, il Saul, Washington — e scritto
i Graffiti cV Italia e Roba di Roma.
La lunga consuetudine e il grande amore per
le cose romane e italiane han preservato il signor
Story dal dipingere quella Italia convenzionale,
quegli Italiani da coreografia, da melodramma o
da paravento, che ci fanno tanto ridere nelle
poesie e nei romanzi, spesso celebratissimi, di
molti autori inglesi ed americani. I suoi Romani,
i suoi Italiani, sono creature animate nel cui cer-
vello e nel cui cuore batte il palpito della vita
reale.
Le poesie veramente nuove nei due nuovi vo-
lumi che ho qui dinanzi non sono molte; ma sono
fra le più belle. Il poemetto intitolato Lui e Lei
— e il racconto Fiammetta sono novissimi. Il
primo è un misto di dialogo e di liriche: nel quale
ungalo, benevolo e arguto umorismo accompagna
la lettura che egli fa a lei delle più diverse poesie,
nelle più diverse occasioni e disposizioni di spi-
rito. Il signor Story non è più giovane — ma
questa è forse l'opera sua più giovanilmente fre-
sca e fragrante.
Fiammetta è un racconto campestre, puro e
patetico — di una fattura semplice, poetica e ve-
ramente Saudiana. Le ultime pagine del volume
mi hanno ricordato certi passi indimenticabili di
810 VERSI E PROSE DI W. STORY
Andì-é. E una nota fresca e pura, fra tanto fra-
stuono e tanto sudiciume di scrofolosi romanzi
contemporanei.
(Nuova Antologia, 16 gennaio 1887.)
L'illustre storico dei Rinascimento in Italia^
quasi a intervallo e riposo della sua maggiore
opera, ofPre al mondo letterario delle eccellenti
monografie, degli studi biografici nei quali rivi-
vono alcune delle più caratteristiclie e simpatiche
fisonomie inglesi — lo Shelley per esempio — e
oggi la nobile ed eroica figura di Sir Philip Sid-
ney. Era cosa ben difficile dir tanto, e cosi bene,
e con tanto ordine e limpidità sulla vita eie opere
dell'illustre poeta, filosofo e cavaliere Elisabet-
tiano, come ha fatto il Symonds in questo breve
e sostanziale volumetto. Egli ha saputo mandare
di pari passo, e fondere, per dir così, felicemente
lo studio dell'uomo e del letterato, del soldato e
del poeta. L'analisi àoiV Arcadia e dei Sonetti è
fatta magistralmente. Notevoli le considerazioni
su la Difesa della Poesia.
Leggendo questo volumetto del Symonds,
mille pensieri ci afiollano la mente. E primo di
tutti, quello della possente organizzazione degli
uomini del E-inascimento Inglese. Le loro vile
sono epopee e tragedie maravigliose. Nelle bio-
grafie, come nei poemi e nei drammi di questi
nordici, vi è una sovrabbondanza di vita sfrenata,
SIR niILlP SIDNEY DEL SYMONDS 311
mia pletora di immaginazione, un impeto di at-
tività che fa quasi spavento. La razza germanica
non è contenuta e un po' mansuefatta come la
razza latina dal sentimento e dal gusto istintivo
delle forme armoniose, e, come recentemente os-
servò un critico arguto, preferisce l'impressione
forte alla espressione hella.
Che il Sidney, nel breve corso di trentadue
anni, potesse fare quanto fece, appare addirittura
miracoloso. Nipote del conte di Leicester, fu l'idolo
del suo tempo, di cui fu forse il più vero e il più
nobile rappresentante. Bello ed intrepido, elegante
e magnanimo, poeta e guerriero, politico ed uma-
nista, viaggiatore e scienziato, amante passionato
e temerario soldato, la sua vita sembra la sintesi
della sua epoca. Viaggiò in Francia, in Grermania,
in Italia: e come filosofo e come poeta, deve
molto all'Italia. In Italia acquistò ampia cogni-
zione della coltura antica e delle nuove scoperte
astronomiche. Il Bruno, che gli fu amico, dedicò
a lui le sue speculazioni metafìsiche. Studiò a
Venezia astronomia e geometria, meditò su le
tragedie greche, studiò e postillò Platone e Ari-
stotile. Nel tempo stesso leggeva Pastorali e So-
netti, V Arcadia del Sannazzaro, le poesie amorose
di Ronsard, e i cavallereschi drammi spagnuoli.
Poi, uomo di mondo, favorito di Elisabetta, idolo
della Corte, ma senza mai abbassarsi o avvilirsi:
quindi compagno di Drake nelle sue audaci e glo-
riose spedizioni marittime.... Alla fine, generale
di cavalleria, sacrificò la vita, per salvare nelle
312 SIR PHILIP SIDNEY DEL SYMONDS
Fiandre l'esercito inglese. A Gravelines, ferito
mortalmente, e morendo di sete, gli fu da mano
pietosa appressata alle labbra una coppa piena
d'acqua, ed egli volle che prima di lui ne bevesse
un povero soldato agonizzante che guardava con
disperata angoscia quell'acqua.... E, per ultimo
contrasto, ebbe nella sua vita dei periodi di ma-
linconia, di solitudine, di rèverie ideale ed ardente,
come, più di due secoli dopo, lo Shelley; il quale
ha col Sidney molte analogie, e nel carattere, e
nell'indole dell'ingegno.
Che uomo! e che vita! Quante cose in soli
trentadue anni! Che epoca portentosa questa del
Rinascimento Inglese! Si direbbe che l'uomo,
anima e corpo, fosse differente da quello che è
oggi. Pensate un momento a ciò che hanno ope-
rato e scritto il Sidney e lo Spenser. Pensate alle
angoscie supreme di Shakespeare, alle tempeste
di passioni e di visioni che traversarono il suo
cervello; e poi alla sua serena e veramente divina
impersonalità. Quali moderni reggerebbero a tali
prove? Anche i più forti, come Burns e Byron,
sono rimasti vinti....
Dal volume del Symonds questa bella, sim-
patica, nobile ed eroica figura balza su, piena di
gioventù e di vita — e quando siamo giunti al-
l'ultima pagina, il rincrescimento di aver finito
la gradita lettura -è temperato dalla gioia di aver
fatto più intima conoscenza con uno degli uomini
che più onorano la natura umana. Non posso ter-
minare questo mio rapido cenno, senza citare le
SIR PIIILIP SIDNEY DEL SYMONDS 313
parole con cui si conclude il prezioso volume:
« La morte, e il nobil modo della sua morte, mi-
sero il sigillo al diploma di immortalità che l'e-
spettazione dei contemporanei avea già vergato
per Sidney. Egli fu sottratto alle contese di que-
sta terra, prima che il tempo e l'opportunità con-
fermassero o compromettessero la sua eminente
posizione. Egli passò gloriosamente nella sfera
delle idealità: e come un ideale, egli è per sem-
pre vivo e per sempre ammirabile. Yi è qualcosa
di Greco nella sua buona fortuna; qualche cosa
che lo assimila in certo modo alla eterna gioventù
dell'Eliade, e agli adolescenti eroi della mito-
logia. »
Su Mary Stuart, tanto ormai è stato detto
in prosa e in rima, che davvero parrebbe impos-
sibile si riescisse a scriver di lei cose nuove. Ma
il nuovo libro dello Stevenson si ferma sopra un
periodo della vita di lei, sul quale anche gli sto-
rici più scrupolosi come il Mignet, e i critici
più curiosi come il Dargaud, non avevano ab-
bastanza portata luce e scandagliato con esame
imparziale: voglio dire i primi diciotto anni della
agitata, colpevole e tragica vita della infelice re-
gina. Lo Stevenson nel suo importante studio
intitolato Mary Stuart: Narrazione dei primi di-
ciotto anni della sua vita, fatta su documenti origi-
nali — ci prova quanto sia ingiusta l'opinione
messa in giro dai censori sistematici della Stuarda,
e ormai generalmente accreditata, che essa, fino
314 MARY STUART DELLO STEVENSON
dal principio della sua fatale carriera, avesse
guasto e corrotto, e avvelenato per dir cosi alla
sorgente, il proprio carattere, sotto l'inflv.enza di
Caterina de' Medici. Lo Stevenson ci j^rova invece
luminosamente e incontestabilmente che Caterina
non ebbe parte alcuna nell'educazione della sua
nuora; che anzi nutriva per lei una fortissima
antipatia. La sua educazione fu fatta in special
modo dai Guisa e da Antonietta di Borbone.
Durante l'epoca della sua residenza in Francia,
Maria non fu mai censurata pubblicamente: non
una voce si alzò contro lei, né da fanciulla, né da
sposa, ne da vedova. E lo Stevenson, il cui scopo
palese è rivendicare il carattere di Maria Stuart
dalle molteplici accuse scagliate contro di lei ne-
gli ultimi anni della sua vita, si attiene ed insi-
ste nell'esame della sua giovinezza, per dedurne
che essa non era nata perversa, né fu pervertita
da una corruttrice educazione; e che i suoi sba-
gli, i suoi dolori, le sue colpe, derivano dall'es-
sersi essa trovata, sola, a diciannove anni, senza
fidi e sinceri amici, sul torbido e procelloso mare
della politica scozzese; e senz'avere né occhio
abbastanza vigile, né mano abbastanza sicura da
reggere il timone del governo.
Cosa curiosa ! Il poeta, in questo concetto e
in questo giudizio, fa eco allo storico e al critico.
II Swinburne nella meravigliosa ultima scena del
Bothwell, quando ci rappresenta Maria che sorda
a ogni consiglio, circondata da nemici religiosi e
politici, decide di abbandonare la Scozia^ con la
MARY STUART DELLO STEVENSON 315
speranza di tornar poi più possente a vendicarsi
e punire — le fa dire in liriche espressioni ciò
che resulta dal freddo e documentato libro di
Stevenson :
« ... Sette anni fa io presi congedo dalla mia
bella Francia, la mia allegra madre, la madre
d'ogni mia gioia, e la lasciai piangendo : invece
ora con tanti dolori e le tenebre di sette anni
framezzo, io parto da questa turbolenta e snatu-
rata terra che mi rigetta orfana ; e mi avanzo su
questo grigio, amaro, sterile mare senza lacrime
e senza riso, ma con im cuore che dalla più dolce
tempra del suo sangue si è convertito in fuoco ed in
ferro. Se io vivo, se Dio non strappa ogni spe-
ranza dalla mia mano, io che me ne vado, tornerò
indietro a mina degli uomini ; come una fiamma
che il vento deprime, ma che cresce poi contro
il vento, e dilatata lo avvince con larghe mani, e
lo doma, e si fa strada e trionfa.... Io farò da mare
a mare una sola fornace di questa terra. »
E il poeta anche nei versi seguenti sembra
commentare le prove storiche che ci mostrano an-
che in Maria giovinetta la zelante cattolica e l'ar-
dente apologista della sua fede.
« ... Farò guerra spietata a questa setta be-
stemmiatrice che indice guerra ai monarchi.
Iddio mi vedrà regnare, com' Egli regnerà ac-
canto a me, vedendo i suoi e i miei nemici stesi
insieme ai miei piedi. Eegni e regnanti prende-
ranno animo dal mio cuore, e accenderanno i
loro spiriti al mio ; attingendovi nuovo zelo per
316 MARY STUART DELLO STEVENSON
divorar come preda l'empia razza che volea far
preda di loro, strappare il Sacramento dagli al-
tari di Dio, e la corona dalle teste dei re : spo-
gliando a un tempo i troni e le chiese. Io rialzerò
questi antichi simboli della sua santità, che ora
son minacciati o abbattuti ; e spezzerò sotto i
regali miei piedi quest' empie novità inventate
dagli uomini... »
Questo bel libro dello Stevenson, apologetico
senza passione, spregiudicato, e tutto basato su
documenti — ci è una prova di più del vario, ine-
splicabile , complicatissimo carattere di Mary
Stuart. Essa ci apparisce come la donna più
donna che presenti la storia. Bella, sensibile e vo-
luttuosa; impressionabile come una francese, e
tenace come una scozzese; cattolica e regina —
e regina e cattolica del secolo decimosesto ; de-
stinata a provare e ispirare odii e amori egual-
mente fatali ; capricciosa e leggera con Chaste-
lard, crudele con Darnley, passionata con Bothwell,
patetica a Fotheringay, sublime sul patibolo, essa
è rimasta una devozione per i cattolici, e una
magnetica simpatia per i poeti e gli artisti a
qualunque confessione appartengano. Ed essa
resta sempre essenzialmente e tipicamente donna;
dal primo capriccio galante, all' ultimo singulto
sul palco : da quando, sirena trionfatrice, sa e
sente che una bellezza come la sua equivale al
genio e alla forza, ed è inebriata e saziata della
sua plastica perfezione e della sua irresistibile
onnipotenza, — fino all'ora di sangue in cui mette
MARY STUART DKIJ.O STKVENSON 317
sul ceppo le bianclie perfette mani per farsene
guanciale al delicato volto; e mormora, con quelle
labbra, i cui baci costavano la vita,, i penitenti
Salmi di David.
(Nuova Anloìogia, 1 marzo 1887.)
The collected Works of Dante Gabriel Rossetti
— edited loitli Preface and Notes hy William M.
Rossetti. — Sono due volumi desiderati, e fino dal
primo annunzio aspettati con impazienza da
quanti amano 1' arte in Inghilterra e in Italia. Al
famoso volume dei Poems pubblicato nel 1870
successero, dieci anni dopo, i due volumi conte-
nenti quasi tutta l'opera poetica di Dante Ros-
setti: ma si sapeva che non era tutta^ e il pub-
blico aspettava una edizione definitiva, critica e
completa, contenente anche i pensieri staccati e
gli scritti critici dell' insigne artista. Questi due
bei voliw?ii pubblicati ora dall' EUis, possono ap-
pagare il più scrupoloso e incontentabile Rosset-
ti ano. L'edizione che fu preparata ed è stata
condotta a cura di Guglielmo Rossetti, fratello
del poeta, consiste dell' intero contenuto dei tre
precedenti volumi (1870-1881); comprende le tra-
duzioni, riviste e aumentate, dei Primi poeti ita-
liani^ pubblicate nel 1871 sotto il titolo Dante e
il suo gruppo ; poesie e frammenti di poesie ine-
dite ; scritti critici ; e abbozzi e progetti in prosa
per future poesie. Cosi in due compatti e bei vo-
lumi abbiamo, diligentemente raccolto, quanto
318 OPERE DI DANTE GABRIELE ROSSETTI
pensò e scrisse uno dei più originali e simpatici
artisti del nostro secolo. E non è ultimo pregio
di questa edizione la bella, accurata e interessante
Prefazione^ die è un eccellente studio biografico
e critico del pittore-poeta.
il E^ossetti è gloria inglese e italiana ad un
tempo. È figlio del poeta dei Salmi e del Veggente
in solitudine j del patriotta ardente che morì esule
e cieco a Londra, di quel Grabriele Rossetti che in-
dagò nella Commedia di Dante i futuri destini d'Ita-
lia, e scrisse un commento che se ha talvolta del
sibillino, spesso è luminosamente profetico.
E l'origine e il sangue italiano si riconosce
e si sente in ogni poesìa, in ogni quadro di Dante
Rossetti. Scorrendo questi due volumi della com-
pleta sua produzione letteraria, sempre più ci ap-
parisce chiara, evidente la italianità del suo mi-
sticismo poetico.
Egli fu per tutta la vita un contemplatore e
adoratore della ideale e spirituale bellezza feminea,
come il Guinicelli e Dante.
Egli fu uno dei primi e più efficaci iniziatori
del movimento preraffaellista.
Il j)reraffaellismo fu in sostanza l'applica-
zione alle arti plastiche, di quel movimento ri-
voluzionario che avevano impresso alla j^o^sia e
al linguaggio poetico Wordsworth e Coleridge, e
che prima di loro avevano iniziato, in parte,
Cowper e Barns. Al movimento preraffaellista si
collegano i nomi degli artisti Hunt, Burne Jones,
Madox Brown, Millais, Woolner, Rossetti e varii
OPERE DI DANTE GABRIELE ROSSETTI 319
altri — e il grande critico Ruskin, e i poeti Ros-
setti, Cristina Rossetti, il Morris e, in parte, Al-
gernon Swinburne. In poesia c'era meno da rin-
novare, dopo AVordsworth, Coleridge, Keats,
Tennyson, Elisabetta Barrett Browning e Ro-
berto Browning. Ma i nuovi giovani poeti fra-
ternizzarono coi giovani artisti, e in certo modo
aiutarono e illustrarono il preraffaellismo con la
loro preferenza pei soggetti medioevali, le vecchie
ballate, il pittoresco locale della rappresentazione,
la fedeltà nei particolari, e dando e ricevendo
impulso scambievole di ispirazioni. Infatti i poemi
del Morris somigliano a grandi arazzi o affreschi
italiani; le prime poesie del Rossetti paiono figure
su fondo d'oro di Giovanni Angelico ; e certe
ballate giovanili del Swinburne hanno la grazia
e la idealità delle figure del Botticelli.
Le Ballate del Rossetti che in questa defini-
tiva edizione critica si leggono logicamente di-
stribuite, arricchite di note e varianti, reggono a
una nuova e ripetuta lettura, e alcune sono vere
gemme della moderna poesia inglese. Ma sono
state forse troppo lodate, troppo esaltate dai cri-
tici inglesi contemporanei. A chi non abbia letto, o
non rammenti la Christahel e VAncient Marhier di
Coleridge, le poetiche leggende di Keats, la Lady
of Shalott di Tennyson, e il magico Lay of the
Broìon Rosary della Browning, le Ballate dei Ros-
setti debbon parer cosa molto più originale e
caratteristica di quel che sono realmente. La
nota veramente nuova, e modulata con arte unica
320 OPERE DI DANTE GABRIELE ROSSETTI
dal Rossetti, è la nota di amore nei Sonetti e nei
Canti: è il suo estatico e lirico culto della fem-
minile bellezza — delle forme perfette illuminate
e spiritualizzate dalla luce interiore dell'anima.
E come poeta e come pittore è uomo del Medio
Evo, e del Medio Evo italiano. E quando egli si
è provato a rappresentare la vita reale, moderna
e contemporanea, ba mancato il segno in poesia
ed in pittura. La sua Jenny finisce per somigliare
a una Blessed Dcunozel... Pensate all'effetto che
avrebbe saputo trarre da un argomento come
quello della Jenny, un poeta che abbia vivo il
sentimento della vita moderna, un Heine, un
Browning, un Musset!
Dante Gabriele Rossetti visse quasi sempre
nella solitudine, in campagna, con la bellissima
donna che prima lo ispirò, e morta, lo lasciò in-
consolabilmente vedovo e triste a languire per
pochi anni prima di ricongiungersi a lei. Essa è
1' eterno modello di tutte le donne cantate o di-
pinte dal Rossetti : le quali sembran tutte parlarci
di una vita futura, di una seconda nascita. Umili
e belle, tenere e tranquille, profondamente tran-
quille come un purissimo lago, tutte levano da
terra il nostro pensiero. La donna amata fu per
il Rossetti r eterna calamita del cielo — e ci ri-
corda la divina Beatrice, e la trasfigurata Mar-
gherita nel finale mistico del Fausto. Tutte ci fanno
ripetere : •
Das Ewig-Weibliche
Zielit uns hinan!
OPERE DI DANTE GABRIELE ROSSETTI 321
La Blessed Damozel può dirsi il tipo di queste
poetiche visioni di resurrezione. Si : la Beata Don-
zella è per il Rossetti poesia, conforto, e delizioso
tormento. Egli rivede, adorando, nella profondità
dell' etere azzurro e immacolato, la sua diletta che
s' inchina verso la terra, aspettandolo. Rivede i
suoi occhi puri e profondi, i folti e lunghi capelli
gialli come spighe mature.... Essa è estatica di
celeste stupore al primo ingresso del paradiso.
Sette stelle le brillano in fronte; la sua tunica
di vergine e di angelo ha un solo ornamento : una
rosa bianca, dono della Madonna. Essa conversa
ora con altre beate sorelle, i cui nomi sono cinque
dolci melodie : Cecilia, Gertrude, Maddalena, Ro-
salia, Margherita....
Il Rossetti era veramente nato poeta-pittore.
I suoi detrattori, ne ebbe e ne ha ancora, lo chia-
mano artista di genere neutro. Come pittore, di-
cono, è troppo poeta; e per poeta, è troppo pit-
tore. Il fatto è che egli era nato pittore e poeta
ad un tempo. Ed è tanto vero che egli era pittore
nato, che quando ha voluto trasportar sulla tela
alcune delle sue creazioni poetiche, le ha modifi-
cate, e direi quasi trasfigurate, per obbedire a
certe leggi di colorito e d' effetto. Per esempio la
eterea Damozel della poesia è venezianamente co-
lorita nel quadro, e rammenta più il Tintoretto
che Giotto. E fu giustamente notato da Vernon
Lee che il colorito del Rossetti, in particolar modo
nelle sue ultime opere, è vivo, ardente, quasi senza
sfumatura, talvolta un po' duro, come un mosaico
Xexcioxi. — Saggi critici di leti, inglese. ™1
322 OPERE DI DAxNTE GABRIELE ROSSETTI
bizantino; e in perfetto contrasto coi primi suoi
lavori in cui era notevole una delicata gradazione
di tinte.
Le pagine di critica letteraria e artistica che
si leggono in questi due volumi delle Opere com-
plete di Dante Rossetti non sono certo all'altezza
del nome del loro autore, e ci aspettavamo di più.
Notevole la illustrazione del gran quadro di Ma-
doxBrown — Chaucer che legge un suo Racconto
a Edoardo III — ma, in generale, al Rossetti cri-
tico manca quella larga e universale simpatia che
fa intendere ed accettare ogni espressione del-
l' arte che sia un sincero riflesso della vita. Per
esempio, mi pare evidente che il Rossetti non
senti mai, non simpatizzò mai con l' umorismo
di Rabelais, con la grandiosità serena di Rubens,
con l' intensa e ardente visione di Rembrandt o
di Byron.
Alle cure del professor Norton dobbiamo il
bel volume della Corrispondenza fra Goethe e Car-
iale. Il Carlyle, fino dal 1840, aveva raccolte in
un pacco suggellato tutte le lettere avute da
Goethe. Questo pacco restò sepolto in fondo a una
cassa di carte e documenti che servirono alla sto-
ria di Cromwell: si credè smarrito; e solo qual-
che anno dopo la morte di Carljde fu ritrovato.
Le lettere di Carlj'le a Goethe si conservano nel-
l'Archivio Goethiano a Weimar. Il signor Norton
ha fatto fare esatte copie delle due corrisponden-
ze, riscontrandole sugli originali, avutone gentil-
CORRISPONDENZA FR.V GOETHE E CARI.YLE 32
JÙO
mente il permesso dalla signora Alexander Car-
lyle, e dalla Granduchessa di Weimar, Ed oggi le
pubblica, corredate di note, sommari, appendici,
indice copioso, e dandoci delle lettere di Goethe
il testo originale e la traduzione inglese.
Leggendo queste lettere scritte negli anni
1824-30, si intende, e non troviamo più tanto
singolare, la simpatia, anzi il culto, di Carlyle
per Goethe. Finora, anche a critici insigni come
il Sainte-Beuve, il Taine, l'Arnold, lo Scherer, era
parsa assai strana la devozione del gran Puritano
Scozzese per il grande Pagano Tedesco. Lo Sche-
rer non può trattenersi dal riderne. Certo è dif-
fìcile trovare nella storia dell'arte due nature
così diverse, due scrittori cosi opposti di fede, di
gusto, d' indole, di stile, come 1' autore di Sartor
Eesartus e il poeta di If genia e delle Elegie Romane.
L'uno adoratore dell'eroismo individuale, con-
templante con mistico terrore 1' universo e la sto-
ria, puritano ed iconoclasta, avverso allo spirito
democratico, detrattore delle Arti belle e della
musica moderna, entusiasta ed intollerante, de-
ploratore eloquente, minaccioso profeta, scrittore
più unico che raro, originale fino alla stravagan-
za, a balzi e scatti, spesso visionario ed apocalit-
tico, sempre eloquente e magnetico. L'altro, genio
universale, comprendente tutto, e tutto assimi-
landosi nella sua olimpica tranquillità; interes-
sandosi a tutto, e tutto studiando con una curiosità
scientifica e artistica a un tempo ; accettando tutti
X motivi poetici e artistici nella sua panteistica
324- CORRISPONDENZA FRA GOETHE E CARLYLE
indifferenza — Giove e gli Arcangeli, Elena e la
Mater gloriosa^ le Grazie e le Streghe; occupan-
dosi di storia, di politica, di economia, di botani-
ca, di ottica, di mineralogia — di attori e di can-
tanti, di quadri, di statue, di musica; passando
dal Wertlier dÀV Ifigenia ^ da Eginont sì' Wilhelm
Meister, adii Lieder ?i^i Epigrammi ; trattando « con
fronte calma e mani ardenti » i suoi personaggi;
bello, nobile, impassibile, felice.
Quale misteriosa relazione, qual simpatia
poteva unire queste due così differenti nature ?
Che Goethe, il quale nella sua vecchiaia si inte-
ressava ad ogni movimento intellettuale d' Euro-
pa, che leggeva e ammirava e traduceva il Man-
zoni, che incoraggiava i giovani poeti di Francia,
provasse curiosità e simpatia per il giovane scoz-
zese che rivelò all'Inghilterra tante glorie lette-
rarie tedesche, per l'autore della Vita di Schiller,
per il traduttore del Wilhelm Meister — s' intende
facilmente. Ciò che mal si capiva finora era
1' amore e 1' ammirazione di Carlyle per Goethe.
Questo volume ci dà la chiave di questo mistero,
il motto di questo enigma. L' immenso benefìzio
fatto da Goethe a Carlyle fu di avergli, in un mo-
mento decisivo di crise, rivelato lo scopo della vita
e dell'Arte, e d'averlo guarito, con la parola e con
1' esempio, dal dubbio, dalla noia, dal sentimen-
talismo elegiaco. Ciò che Goethe gli persuase in-
dimenticabilmente, fu questo : — L' uomo è nato
all' azione : è nato per lavorare, non per godere.
La felicità può trovarsi, per via indiretta, nel li-
bero esercizio delle proprie facoltà, nell' azione,
nel lavoro. L' ideale è in noi, non fuori di noi.
'U ideale è il momento attuale^ per chi lavori con
tutta coscienza, secondo le proprie attitudini. La-
vorate e j^roducefce — sia pure la più misera e in-
finitesimale frazione di prodotto — producete!
Ogni genere di lavoro, dal più intellettuale al
più manuale, è sacro, e dà pace allo spirito
umano. — •
Fu una vera conversione, della quale il Car-
lyle si mostrò grato a Goethe in tutti i suoi
scritti e per tutta la vita. Imparò da lui a edu-
care se stesso, a volere fortemente e perseveran-
temente operare : ad apprezzare degnamente la
vita, e il supremo valore del tempo.
Vorrei che queste lettere fossero oggi molto
lette dalla gioventù di Francia e d' Italia.
Il materialismo larvato coi nomi di posiviti-
smo e di naturalismo ha ridotto la letteratura di
questi ultimi venti anni a una trascrizione di
ambienti, a uno studio puramente fisiologico di
piccole cause, di impulsi ereditari, che fanno la
creatura umana incapace di reazione e di resi-
stenza individuale, e in cui la volontà non agi-
sce più perchè paralizzata dal fatalismo. — Per-
chè, infatti, volere e lottare, se una forza fuori di
me, indipendente da me, inevitabile e irresistibi-
le, è quella che mi fa agire? — Vedete il roman-
zo, questa forma letteraria che è la confessione
della società! E diventato un bric-à-brac di curio-
sità bizantine e archeologiche, una illustrazione
326 CORRISPONDENZA FRA GOETHE E CARLYLE
della moda, un boudoir^ un' alcova, e qualche
volta anche un j^^^f'c aux cerfs della letteratura....
Alla formula virile e feconda: « L'uomo è
nato all' azione » si è sostituito quella gretta,
sterile e egoistica : « l' uomo è nato per gode-
re. » E paralizzata 1' energia della volontà e
dell' azione , il dramma umano intorpidisce o
si riduce a moti galvanici e isterici. La vita
non è più un fiume corrente e suonante, ma una
muta e putrida gora. Essa si risolve o in una
vana e faticosa e snervante réverie — o in una
caccia affannosa ai diletti sensuali, raffinati fino
al delirio, fino alla crudeltà; e si conclude col ne-
gare ogni possibile felicità sulla terra. Errore.
L' uomo è felice quando sa rinunziare alla felici-
tà; ossia quando la cerca indirettamente nella
azione, nel lavoro. Gli nomini, nelle più diverse
condizioni, che hanno potuto esercitare le loro
facoltà naturali, perfezionandole con perseverante
applicazione, sono stati, e si sono dichiarati, fe-
lici. Esempi insigni : Leonardo, Raffaello, Galileo,
Gustavo Adolfo, Voltaire, Goethe, Rossini, Cu-
vier, e tanti altri. — « Au nom de l'humanitó,
Sire, daignez penser que l'homme est libre dans
ses actes » — scriveva Voltaire a Federigo li ;
e quando questi ne fu convinto, lo scettico suona-
tore di flauto diventò il vincitor dell'Europa, e il
creatore della Prussia o della moderna Germania.
Ecco due nuove edizioni (inglese e america-
na) dei Comici della Restaurazione: commedie
POETI COMICI DELLA RESTAURAZIONE 327
scelte di Wycherley, Congreve, Farquhar, Van-
brugh. Le considerazioni che ci vengon fatte ri-
leggendo queste commedie son tristi, e sono ine-
vitabili certi raffronti....
La restaurazione del regio potere con Carlo
II Stuart, ponendo fine al dominio dei Puritani,
ruppe le ferree dighe che essi avevano inalzato
contro ogni sensualità; e il torrente, fino allora
contenuto, irruppe violento e allagò dapper-
tutto....
I Puritani, profondamente convinti delle ve-
rità rivelate nella Scrittura; certi che il minimo
di essi era destinato, prima che cielo e terra fos-
ser creati, a felicità ineffabili o pene atroci che
durerebbero eterne, secondo le loro azioni su que-
sta terra ; sicuri della assidua presenza e inter-
vento dello spirito di Dio nelle vicende umane ;
esaltati dalla continua fervente lettura delle tre-
mende pagine dei Profeti e della Apocalisse, o
dal lirico entusiasmo dei Salmi; prendevano alla
lettera i versetti del Vecchio Testamento, e sop-
primendo nell' uomo la parte materiale, le gioie
sensuali, lo riducevano, creatura tutta spirituale
ed ascetica, a non vivere, a non pensare, a non
agire che in vista di Dio. Xel loro entusiasmo
consisteva la loro forza — e una forza eroica. Cit-
tadini, politici, soldati, se spesso fecero cose ridi-
cole, più spesso ne fecero delle grandi. Essi fu-
rono con Cromwell i creatori della grandezza
politica dell'Inghilterra, e i primi fondatori delle
repubbliche americane. Si battevano il petto, e
328 POETI COMICI DELLA RESTAURAZIONE
cantavano salmi con voce nasale prima della bat-
taglia— ma combattevano da eroi: e all'occa-
sione seppero tollerare senza un gemito le più
raffinate torture. Intolleranti, ma logici nella loro
fede, ne accettarono le ultime conseguenze; e ar-
rivati al potere, le imposero. Iconoclasti e mora-
listi, bandirono anche i divertimenti innocenti.
Commedie amorose, quadri voluttuosi, poesie pro-
fane parvero veri delitti. I teatri si chiusero. Nella
domenica fu proibito persino il bacio e 1' am-
plesso materno. La Bibbia e la spada furono le
consolazioni uniche di quei feroci. Erano soldati
o teologi — e spesso 1' una cosa e 1' altra ad un
tempo, come il vecchio Oliviero. La letteratura
era ridotta ad un' enciclopedia biblica, a una ter-
ribile foresta teologica. I grandi trattati politico-
teologici scritti in latino da Milton fanno spa-
vento....
La reazione fu eccessiva, incredibile, se non
ci facessero fede della verità di certi particolari
le relazioni contemj)oranee e il teatro. Alle riu-
nioni ove si cantavano Salmi e si aspettava
l' ispirazione dell'Altissimo, successero i notturni
conviti, in cui mangiare fino alla nausea e ruzzo-
lare briachi sotto la tavola, uomini e donne, parve
cosa spiritosa e galante. Il conte di Rochester
osò cose, e se ne vantò, che non si osarono a Pa-
rigi, sotto la Reggenza. Il re divideva le carezze
di Miss Stewart e della duchessa di Cleveland
con gente di teatro, con saltatori di corda. La
contessa di Arlington si faceva dipinger nuda da
POETI COMICI DELLA RESTAURAZIONE 829
Lely, e teneva questo ritratto appeso alla parete
del suo salotto. Afra Behn, miss Jenning, lady
Castelmaine, usavano abitualmente un linguaggio
die rammenta quello dei vetturini toscani....
Questa società si rivela nelle poesie, nelle
lettere, nei racconti; ma più e meglio, nel teatro
comico di queir epoca. Davenant, Crowne, Con-
greve, Wycherley sovra tutti, ce ne offrono i più
variati particolari con una audacia di rappresen-
tazione, con una crudezza di espressioni e di so-
stantivi da fare arrossire Nana. Si direbbe che
il commediografo si diverte a rotolare nel fango
i suoi personaggi, ad avvilire con scene da farsa
i più nobili e naturali sentimenti dell' uomo : li
mantiene nel fango come nel loro vero stato nor-
male, non come per effetto di una caduta : e si
compiace nella lotta bestiale dei loro istinti sfre-
nati. « Ils présentent le ménage comme une pri-
son, le mariage comme une guerre, la femme
comme une révoltóe, l'adultere comme une issue,
et le désordre comme un droit. » Il teatro di
"Wycherley fu definito « uno stecconato di ani-
mali immondi, di faine, di iene, e di muli. » I
suoi personaggi son più brutali che spiritosi, e in
fondo a queste comiche orgie vi è una amara e
acre tristezza.... Quanto siamo lontani dal fine,
poetico, lieto e sano riso delle commedie di
Shakespeare !
Volete conoscere i mariti di quel teatro? Ec-
cone uno : John Brute — e ve lo descrive la mo-
glie: « La sera ruzzola in camera, barcollando
830 POETI COMICI DELLA RESTAURAZIONE
come se avesse il mal di mare, entra brutalmente
a letto, coi piedi gelati come la neve, il fiato
caldo come una fornace, con le mani e il viso
unti come la lana del suo odioso berretto da
notte, butta all' aria il lenzuolo, se lo tira tutto
dalla sua parte, mi lascia mezza ignuda e si mette
a russare.... >■>
Le mogli si levano alle due pomeridiane, man-
dano, appena deste, due o tre imprecazioni al
marito, come preghiera del mattino, e passano
la giornata a dire o ascoltare delle oscenità, a
giocare, ballare, e fare all'amore.
Ecco i patti che mistress Millamant pone a
Mirabell, sventolandosi col ventaglio e gingillan-
dosi coi fiocchi di seta del suo falhalas : — « Caro,
appena sposati, badate, io non voglio più quei
noiosi vezzeggiativi gìoja mia.^ cuore mio, nina mia,
e tutto quel brutto gergo di nau.-eabonda fami-
liarità fra marito e moglie. No, caro Mirabell, non
ci rendiamo ridicoli ai nostri propri occhi con
r esser teneri, neppure nei momenti della più in-
tima intimità. Verrò a desinare quando mi pia-
ce..., il mio gabinetto sarà inviolabile, e in qua-
lunque stanza io mi trovi, busserete sempre alla
porta, prima d' entrare. »
Nella Sj^osa campagnola il signor Horner tor-
nato da Parigi spande voce che non farà più
torti ai mariti. La società galante se ne commuo-
ve.... Le signore commentano in dialoghi aretine-
schi la situazione, e gli invadon la casa.... Il re-
sto non si può neppure accennare. I discorsi di
POETI COMICI DELLA RESTAURAZIONE 331
Olivia nel Maestro di hallo, il monologo di lady
Flippant nel parco, son cose inaudite, incredibili.
E mi pare che basti — se non ho già detto
troppo....
(Nuova Antolo(jia, 1 giugno 1887.)
I soggetti del nuovo libro di Vernon Lee son
quasi tutti italiani. Il Rinascimento e il Settecento^
che l'autrice ha studiati con tanta intelligenza ed
acume, e che le dettero materia alle più belle
pagine di Belcaro, degli Studi e di Eupliorion, of-
frono argomento anche a molti di questi Juvenilia.
Di pittura infatti o di musica vi si parla quasi a
ogni pagina.
E anche in questo nuovo libro la originalità,
talvolta la ingegnosità del concetto, è sempre av-
vivata dalla parola pittoresca ed artistica. La di-
scussione estetica si accojDpia, senza confondersi
e anzi giovandosene, al ritratto e al paesaggio,
alla satira e d^XV humour. E un genere di scritti
che ha dello sketch, del criticai essai/ e del round-
about ijaper al tempo stesso. Vi è lo spirito di os-
servazione e di analisi inglese, unito a un vivo
sentimento meridionale, della forma, dei colori e
dei suoni.
Vernon Lee ha la immaginazione simpatica,
cioè la rarissima e sovrana facoltà di rievocare
personaggi ed epoche spente; di vivificare le più
aride o metafisiche questioni col calore dell' entu-
o32 JUVENILIA DI VERNON LEE
siasmo e con la luce della poesia. Ciò che vi ha
di più caratteristicamente inglese nei libri di
Yernon Lee, anche in questi volumi di Juvenìlia,
è la logica e serrata concatenazione degli argo-
menti (anche quando sostiene delle cause che
hanno aria di paradossi), e l'umorismo, talora
benigno e j^idulgente, più spesso caustico ed ag-
gressivo.
Leggendo questi nuovi volumi, mi è parso
di ascoltare la viva conversazione dell'autrice: \i
ho ritrovato la stessa vivacità ed efficacia di
espressione, la stessa earnestness di discussione. Ma
spesso, anche in questi volumi, l'autrice ci fa ri-
cordare che l'uomo moderno sovraccarico di col-
tura eclettica, saturato d'arte e di critica, di mi-
sticismo e di naturalismo, di Hegelismo e di
Euskinismo, vuol troppo speculare, raffinare,
fantasticare; svisando talvolta con speciose e
sistematiche idee, le più semplici e vitali teorie
estetiche; cercando, come suol dirsi, lucciole a
mezzogiorno — studiando insomma la Natura e
1' Arte, non per la Natura e l'Arte in sé stesse,
ma per quello che possono suggerirci; e quasi
sempre in vista di una conferenza da tenere, o di
un ]ibro da scrivere.
Gli scritti più notevoli di questi due volumi
mi sembrano quelli sul Botticellì e sul Gallupin^
il Don Giovanni^ Colorito Lombardo^ C/iristkindcheUj
Il signor Curiazio, e Perigot.
Studiare con attenta curiosità il Botticelli,
par diventata una moda in Lighilterra. Da quando
J LI VENI LIA DI VERXON LEE 333
se ne innamorarono i poeti e i pittori preraffael-
listi, si può segnalare un seguito di ammirabili
studi critici sul Botticelli. Notevolissimi quelli del
Ruskin nella sua Ariadne Fiorentina, quello del
Pater, e i recenti del Symonds e di Vernon Lee.
Compagno di una potente generazione di
pittori naturalisti, il Botticelli ba raffigurato fiori
e prati e ruscelli con un delicatissimo sentimento
della grazia e della intima vita degli oggetti na-
turali più belli e poetici. Ma egli è un pittore
visionario senza cessare di essere realista. Pare
contradizione, ed è verità. In questa straordina-
ria e felice fusione dell'ideale col reale, il Botti-
celli somiglia a Dante. Di più: egli ha la poesia,
il mistero e la freschezza delle ore mattutine,
nella storia dell'Arte; e di qua il fascino, il ma-
gnetismo che esercita, e la curiosità che eccita in
noi moderni.
La Immortalità del maestro Gallupin è il più
caratteristico se non il più bello di questi Juveni-
lia. Più cose vi sono notevoli: la felice evocazione
del Settecento — la pittura di ardito ed efficace
realismo, una vera acquaforte, di una festa vene-
ziana, delle solite feste semiofficiali dei nostri
giorni — e l'arguto e al tempo stesso malinconico
accento umoristico, a proposito delle vecchie arie
dimenticate.
Ecco tradotti alcuni frammenti di questo
ammirabile sketch'. « Xel 1770, d'agosto, Baldas-
sarre Galluppi, detto il Buranello, maestro di
cappella di San Marco, direttore della Scuola
334 JUVENILIA DI VERNON LEE
musicale delle Incurabili, con trenta e più anni
di gloria sulle spalle, faceva vedere ad un suo
entusiasta inglese la stanzuccia col cembalo, che
gli serviva di scrittoio, dicendo modestamente:
« Qui c'insudicio della carta. » Figuriamoci la ri-
sata beatamente sonora dell'ammiratore inglese;
le risate un po' meno sonore degli ammiratori
veneziani, che avran sentita altre volte quella
modesta facezia; il sorriso del buono illustre vec-
chietto; le grandi scappellate col tricorno, i grandi
inchini fino a terra, tutta quella ginnastica di
garbatezze che spari dal mondo insieme col « Si-
gnore, vi son schiavo, » e simili gentilezze goldo-
niane; una scenetta di entusiasmo e di modestia
sull'uscio di quella stanzuccia, con la spinetta in
fondo, i mobili dipinti a mazzetti, e la finestra
sul canale; abiti lilla e verde pisello, e toghe nere,
e parrucche a anella e parrucche a codino; una
scenetta insomma degna del pennello di Pietro
Longhi.... — Affettazioni, civetterie d'uomo av-
vezzo ai trionfi, direte voialtri. Può darsi: ma a
me, vedete, piace credere che in quelle parole del
buon Galluppi ci fosse, insieme a un po' di ironia,
di molta sincerità; il dubbio per lo meno che un
giorno quei preziosi spartiti tanto ammirati di-
venterebbero, agli occhi dei posteri, un mucchio
di carta rigata, già bianca, ora sudicia, e buona
per un fondo di archivio, o per il banco d'un
pizzicagnolo... Ma il maestro Galluppi aveva torto.
Gli Dei, e più specialmente i loro rappresentanti, i
sindaci e gli assessori municipali, son sempre amici
JLJVENIM.V ni VKRNON F.EK 335
del genio, ne lo lasciano annegare « nelle nere onde
di Lete, » come si sarebbe detto nel 1770....
« Da Barano ci giunge il suono delle cam-
pane, lo squillo della banda che rallegra la piaz-
za. C è festa grande in onore dell'immortale Gal-
luppi. I bragozzi da pesca con le vela rance
ripiegate, e le reti brune stese al sole, sono schie-
rati, custoditi dal solito canino che abbaia notte
e giorno, nel piccolo porto. Sugli usci delle cu-
cine, dove luccica tra 'i buio la piatteria d' ottone
fregiata di santi e di dogi, sono sedute le nonne,
sibille o parche michelangiolesche, e i vecchi pe-
scatori col berretto rosso da gondoliere del Quat-
trocento, con la pelle rugosa come quella de' coc-
codrilli; bronzi o terre cotte viventi, da fare
invidia alla buon' anima di Donatello o del Pol-
lajolo... La folla s'urta, si pesta, ride, e bestemmia.
La banda suona il duetto del Ruy-Blas^ il pot-
pourri dell' J.ù/rt, e la marcia reale. Le campane
squillano a distesa nel campanile rosso. Si son
fatti bellissimi discorsi, vi sarà banchetto con
bellissimi brindisi, si manderanno telegrammi a
Venezia, a Roma, al Ministro della pubblica istru-
zione, al maestro Verdi. E tutto questo per cele-
brare il fatto che centot tanta due anni fa « venne
alla luce, » come dicono i biografi, in Durano,
umile isola della Laguna, un certo tale che si
chiamò Baldassarre Galluppi. E poi mi vengano a
dire che l' immortalità non è sempre accordata al
genio!... Cosa curiosa, in questa festa centenaria
del Galluppi, non si è sentito del Galluppi nean-
336 JUVENILIA DI VERNON LEE
che una nota ! Cosa da rattristare? Nossignori.
Piuttosto da ridere: il fatto è troppo singolare
perchè sia triste... L'immortalità? Ebbene, l'im-
mortalità, se il buon maestro la desiderava, l'ha
avuta. Oggi hanno messa una lapide sulla casa
dove egli è nato...
« Avete mai pensato alle vecchie melodie di-
menticate? Passate, svanite, come il rosseggiare
del tramonto di ieri, come le foglie delle rose di
un anno fa. Le rose tornano, tornano i vivi colori
del tramonto; ma quest'altre cose, che pur sono
state belle al pari di loro, non tornano. Sono sva-
nite con la memoria di quegli uomini e di quelle
donne nella cui rimembranza avevano l' unica
vera esistenza. Pensiero strano e difficile ad affer-
rare. Eppure c'è qualche cosa di -più strano an-
cora, di più inconcepibile dalla nostra debole im-
maginazione; ed è il pensiero di tutte le menti
in cui risuonarono quelle melodie; di tutti i cuori
che ebbero al loro suono divino un fremito di
piacere o di dolore; il pensiero di tutta quella
vita insomma che ora è morta — di quel presente
di una volta, che ora è il passato, e dietro il qua-
le, mentre ascoltiamo anche noi le melodie dei
nostri giorni, si precipita questo presente che
diverrà passato. Le altre arti, architettura, pit-
tura, scultura, rimangono; e poi, esse sono sem-
pre, più 0 meno, esterne alla nostra vita. La sola
musica esiste assolutamente in noi che la ascol-
tiamo; anzi non ha esistenza all' infuori della no-
stra; e perciò la musica muore...
JUVENILIA DI VERNON LEE 337
« Pensateci un momento. Vi sono, per esem-
pio, due arie, nessuna delle due vecchia di un
secolo, — l'aria « Quelle pupille tenere » del Ci-
marosa, e la cavatina « Di tanti palpiti » nel
Tancredi del Eossini; arie che furono ai loro tempi
le più famose, cantate e zufolate in tutte le case,
in tutte le strade. Riflettete un poco a ciò che si-
gnifica il fatto che di queste due arie, una volta
su tutte le bocche, non se ne rammenta una per-
sona fra mille; anzi, dell'aria del Cimarosa nean-
che una fra ventimila. Riflettete. Significa la morte
non solo di quelle melodie, cioè di una determi-
nata quantità di bellezza, d' individualità di pia-
cere; ma anche la morte di quegli innumerevoli
uomini e donne che hanno sentito e goduto quel
piacere e quella bellezza. »
Questo vecchio maestro Galluppi è stato for-
tunato. Ha ispirato prose e poesie di primo ordi-
ne. Chi non rammenta la famosa Toccata del Gal-
luppi in Uomini e Donne di Browning?
Browning nelle sue poesie che trattano di
pittura 0 scultura è stato il primo a cantare di
cose d'arte da vero artista, cioè come è verosi-
mile che si esprimerebbe un pittore o uno scul-
tore, se ci rivelasse la sua anima con la parola e
col ritmo, invece che con le forme e i colori. Ma
nessun poeta antico o moderno lo supera nel tra-
durre in versi i sentimenti e gli istinti di un mu-
sicista. Alt Vogler è la più ricca, la più profonda,
la più intensa poesia di argomento musicale che
sia stata scritta in Europa. 'E in A Toccata of Gal-
Nekcioxi. — Saggi critici di Ictt. inglese. 22
ÓÓQ JUVENILIA DI VERNÒN LEE
lujpjpiSy egli ha magistralmente rievocata e dipinta
la futile e gaia vita veneziana del Settecento, i
languori sentimentali dei Florindi e delle Rosau-
re, e interpetrata la musica da Camera di quel
tempo.
Le commedie del Goldoni, certe ville romane,
alcune poesie di Browning, e alcune pagine di Ver-
non Lee, ci rimetton vivente dinanzi agli occhi
il Settecento. Rivediamo i cavalieri con le lunghe
mazze dal pomo cesellato, col nicchio sotto il
braccio, che fanno inchini e complimenti alle
dame in abiti damascati e gonfìanti su. dei lyaniers
che hanno quaranta piedi di circonferenza.
Che abisso fra quella gente e noi! La Eivo-
iuzione Francese, come la eruzione formidabile di
un vulcano, ha spezzato e separato due mondi:
di mezzo vi corre oggi un terribile mare che non
sarà mai superato.
0 incipriati e gallonati e profumati cicisbei
del Settecento, dame dai nei e dai x^oufs^ dai vo-
lants e dai guardinfanti, come vi rivedo in certe
pagine di Vernon Lee! — Ah! essi non usavano,
non logoravan la vita, quei nostri cari antenati:
e quando lei mordeva dalla stizza il raso nero
della maschera; o lui batteva per gelosia con la
punta delle dita sull'elsa dorata dell'innocente
spadino — erano i momenti più tragici della
spensierata lor vita. Ahimè! che cosa n'è stato
di quelle belle creature rosee e fresche, tutte seta
e trine e nastri e cipria e perle e piume e mu-
sica e baci ?...
JtJVENILlA DI VERNON LEE 339
Non avevano, quei fortunati, ne letteratura
naturalista, né teatro a tesi, né discorsi delle Ca-
mere, né musica dell'avvenire. E prima che l'ipo-
condriaco Eousseau mettesse alia moda 1' aurora,
si levavano sempre a mezzogiorno. Le passioni
erano capricciosi volani scambiati a leggeri colpi
di racchetta. Il buon Goldoni lo attesta.
Eppure, nel cuore del StUecento, fiori in Ita-
lia un teatro veramente italiano, e scevro di ogni
servile imitazione, di carattere nazionale come
l'inglese Elisabettiano, e lo spagnuolo di Lope di
Vega: dramma musicale col Metastasi o, commedia
realista e popolare col Goldoni, fantastica e umo-
ristica con Carlo Gozzi. Nel Settecento, l'Italia
prodigò al mondo attonito e consolato i suoi te-
sori di musica sacra e profana. In un secolo in
cui il mondo era immerso in filosofiche specula-
zioni, l'Italia trovò una nuova forma dell'arte —
l'opera, seria e buffa, che, per certi rispetti, più
che restaurazione e rinascimento, è vera creazione
del Settecento : e che prova la inesausta fecondità
di questo, magna 2>cirens destinata sempre a istruire
o confortare l'umanità.
Se poi dall'Italia giriamo lo sguardo a tutta
Europa, il Settecento allora da leggero si trasforma
in colossale, imponente, specialmente seguendolo
fino ai suoi ultimi anni, così tragici ed epici. Se-
colo fantastico e positivo nel tempo stesso, non
è ancora abbastanza indagato né conosciuto. Esso
é la sfìnge dei secoli. Pieno dei più strani con-
trasti, ineffabilmente magnetico per i poeti, i ro-
340 JUVENILIA DI VERNON LEE
manzieri e gli artisti, comincia con delle canzo-
nette e finisce con una formidabile rivoluzione.
Tutto si rimescola e s'agita nel suo fatidico seno:
Voltaire e Cagliostro, Federico II e Rousseau, gli
Illuminati e gli Enciclopedisti, Metastasio e Di-
derot, Goethe e Goldoni, Schiller e Casanova,
Cimarosa e Robespierre : la ragione e il mistici-
smo, la musica e la strategia, il magnetismo e le
matematiche, le parrucche e la ghigliottina. Se-
colo che canta, ride, medita, calcola, declama, de-
lira, uccide — e finalmente trionfa fra sangue e
rovine inaudite, e inizia una nuova epoca del-
l' umanità.
Ed è perciò naturale che avendo il Settecento
dato il primo impulso agli studi e il primo argo-
mento ai libri di Yernon Lee — si riaffacci poi
con le sue eterne questioni e coi suoi problemi in
tutte le altre opere dell'illustre scrittrice; e anche
in questi due volumi di Juvenilia, benché qui l'in-
tonazione sia più leggera e vi predomini un tono
familiare come di vivace conversazione fra amici.
L'Autrice infatti ha dedicato questi nuovi scritti
al suo giovane amico Carlo Placci.
In Christkindchen (Gesù hamlino) l'autrice rie-
voca le soavi memorie d'infanzia, i giorni passati
in Roma, la poesia del Natale^ dei regali delle fe-
ste — di quel mondo poetico delle anime semplici
e dei bambini, che Teodoro Hoffmann ha osser-
vato e descritto in tutti i suoi incantevoli aspetti.
Don Giovanni con Stenterello è pure di ispira-
zione e di esecuzione Hoffmanniana — ma con
jrVKNILIA DI VERNON LEF 341
descrizione più precisa e moderna: e il serio e il
comico, il terribile e il grottesco, gii effetti di
luna sulla città deserta e il vestiario e i modi dei
Filistei di platea, si succedono e si mescolano in
una strana, umoristica e piacevole combinazione.
Nulla di più graficamente vero e fiorentino della
descrizione di piazza della SS. Annunziata, della
statua equestre di Ferdinando tra la nebbia e il
vago albore lunare.
Fra gli scritti di argomento musicale mi sem-
brano in particolar modo notevoli in questi vo-
lumi Il signor Curiazio, e Musica i:irosaica e Musica
poetica. In ambedue è istituito un confronto, e
analizzato il carattere della vecchia e della nuova
opera — e notate argutamente le diverse impres-
sioni provate ascoltando, con l'intervallo di un
sol giorno, il Mefistofele e il Matrimonio Segreto.
Sul carattere e la influenza della musica di Wa-
gner, pochi han parlato eoa tanta competenza e
con una critica così equa e spregiudicata. Anche
nel Signor Curiazio spira un'aura Hoffmanniana —
come in quasi tutti gli scritti nei quali Vernon
Lee tratta di musica. Dopo Michelet e Euskin,
credo che lo scrittore che ha più influito su Ver-
non Lee, sia Teodoro Hoffmann. Mi preme però
di notare che nonostante la influenza, spesso evi-
dente, di Michelet, di Euskin e di Hoffmann,
Vernon Lee resta sempre, in sostanza, uno dei
più originali scrittori contemporanei.
In Perigot vi sono finissime considerazioni e
distinzioni sul dramma. Ma talvolta la finezza
SA^ JUVENILIA DI VERNON LEE
diventa raffinatezza^ e ricorda i vecchi distinguo
degli Scolastici.
Nello scritto sul Colorito Lombardo, sono di
rara efficacia le pitture della Certosa di Pavia
nei giorni del solleone — e la descrizione dell'ul-
timo monaco certosino.
Rococò è un malinconico confronto tra la
poesia della immaginazione infantile e adolescente,
che alle prime letture si appassiona per personaggi
e epoche morte come per cose e persone viventi
— e l'artificiale ricostruzione del critico adulto.
Yernon Lee paragona la visione e il sentimento
del Settecento^ della musica di Cimarosa e delle
Fiabe del Gozzi, delle mode e delle feste di quel
secolo spento, che essa provò nella sua adole-
scenza, alla descrizione letteraria e artistica che
poi ne fece da adulta nel suo celebre libro. « Ahi-
mè, conclude, tutta questa fraseologia della mo*
derna critica voleva dire che il mio diletto secolo
avea per me cessato di vivere, e che era divenuto
un cadavere ch'io mi preparavo a anatomizzare. »
La lettura di questo nuovo libro di Vernon
Lee mi fa fare delle considerazioni tutt' altro che
lusinghiere per noi Italiani. Penso che le più esatte,
artistiche ed efficaci pitture di paesaggio italiano, le
più ammirabili ricostruzioni di epoche morte, i più
belli e profondi studi sulla pittura e sulla mu-
sica italiana, ci vengon d'oltralpe. Roma, Firen-
ze, Venezia, antiche e moderne, bisogna cercarle
nelle pagine di Goethe, di Euskin, di Browning,
di Hawthorne, di James, del Taine, del Symonds,
JUVENIMA DI VERNON LEE 34-3
di Vernon Lee. Noi siamo, in generale, fatte po-
che e tanto più onorevoli eccezioni, troppo pura-
mente eruditi, archeologi, ed archivisti. Si vede
e si giudica troppo dalla nostra stanza di stu-
dio, dalla penombra delle biblioteche, e si vede
tutto, paesaggi, uomini e cose, tra la polvere dei
vecchi scaffali. Il letterato, il professore, uccide
in noi troppo spesso l'uomo e l'artista; e un
fondo di rettorica e di pedanteria ci avvelena, e
paralizza le nostre forze.
Lo Scribner^s Magazine ha pubblicato nei suoi
ultimi numeri una Raccolta di lettere inedite di
Thackeray. Anche l'ultima recente edizione del-
l'epistolario di Dickens è arricchita di lettere inedite.
Quelle di Thackeray, illustrate da schizzi e
profili e macchiette di Thackeray stesso, hanno
un carattere di bonomìa, di indulgenza quasi se-
nile, che contrasta in modo curioso col carattere
tremendamente satirico di Vanity Fair e di Pen-
dennis. Vi sono degli adorabili enfantillages^ tanto
più toccanti perchè segno di naturale bontà e
schietta semplicità nei più acuto e profondo e spie-
tato scrutatore dei laberinti del cuore umano, e
delle piaghe sociali del nostro secolo. Cito un
esempio. Thackeray aveva già scritto metà di Va-
nity Fair senza trovargli un titolo che lo sodisfa-
cesse: e pensando che i destini di un romanzo, o
almeno la prima impressione, la prima accoglienza
del pubblico dipende spesso dal titolo, se ne pre-
occupava assai. « Una notte, racconta egli in una
344 LETTERE INEDITE DI TIIACKERAY E DI DICKENS
di queste lettere inedite, proprio all'improvviso,
e quando meno vi pensavo, mi parve udire una
voce mormorarmi all'oreccliio: Vanity Fair! —
Saltai da letto, e feci tre volte il giro della ca-
mera, gridando entusiasticamente: Vanity Fair!
Vanity Fair ! Vanity Fair ! »
Leggendo queste buone, affettuose lettere del
grande umorista, comprendiamo meglio l'inten-
dimento dei suoi romanzi. Nell'uomo che batte
così terribilmente la sferza, e scaglia W. fuoco greco
del suo sarcasmo, sulle ipocrisie e le viltà aristo-
cratiche; nel tremendo satirico della high life di
Londra, vi era una bontà semplice, affettuosa,
patriarcale: e l'ideale dell'umanità gli era sempre
presente.
Infatti, notate bene, le follie, e i vizi son da
lui descritti in modo da far capire e sentire al
lettore che sono anormalità e deviazioni: all'op-
posto di Balzac, di Flaubert, e di Zola, che di-
pingendo la corruzione sociale lo fanno, o almeno
sembrano farlo, con un contagioso compiacimento.
Nella pittura fedele che Thackera}^ fa della so-
cietà come è, si sottintende, e non si perde mai di
vista, la società quale potrebbe e dovrebbe essere.
Nel dipingere con tinte si vive, con ironia tanto
amara, con si precisa e inesorabile realtà Vanity
Fair^ egli avea sempre dinanzi agii occhi V Eden
passato e futuro, possibile e sperabile dell'umanità.
Le poche lettere, finora inedite, di Dickens,
sono come una esplosione di razzi vivaci dopo la
quieta e serena illuminazione di Thackeray. L'è-
LETTERE INEDITE DI THACKERAY E DI DICKENS 34-5
pistolario di Dickens è forse, dopo quello di By-
ron il più interessante epistolario inglese mo-
derno. Noi Italiani sentiamo pur troppo tutto il
granitico peso-tonnellata di questa parola, Episto-
lario! Quanti massi della Gonfolina son precipi-
tati sulle nostre teste in forma di Epistolari! Qui
invece, in queste lettere di Carlo Dickens, in ogni
pagina, cose importanti o amene, aneddoti, ritratti,
paesaggi, osservazioni argute e profonde, una vena
inesauribile di onesta e sana allegria, le gioie e
gli entusiasmi dell'artista creatore, i lampi del
genio, le lacrime e il riso dell'umorismo. Volete
sapere come Dickens inventava i suoi personaggi,
come procedeva nella architettura dei suoi ro-
manzi? volete sotto l'artista conoscere e amare
l'uomo nel suo più nobile tipo? Leggete le sue
lettere. Egli le scriveva, con lo stesso calore con
cui scriveva i suoi immortali romanzi: e perciò
esse sono tanto attraenti e significanti per i let-
tori d'oggi, come per gli amici a cui eran dirette.
Questo gran maestro del comico e del patetico si
abbandonava a tutto l'impeto dell'ispirazione, e
si gettava nella sua opera deciso ed armato come
Curzio nella voragine. Sappiamo da queste let-
tere che, mentre componeva il Christmas Carol,
piangeva e rideva da se come un matto; e faceva
quindici miglia di notte camminando a rapido
passo per le oscure vie di Londra, quando tutti i
savi borghesi erano a letto, assorto nella sua
opera, e senza sentir più bisogno di sonno o di
cibo. E però le sue pagine, scritte nella febbre
34G LETTERE INEDITE DI TlIACKERAY E DI DICKENS
della creazione, sono ancor calde e palpitanti — -
e ci fanno anche oggi irresistibilmente ridere o
piangere.
(Nuova Antologia, 1 settembre 1887.)
hsi ' leggenda storica, cioè la ispiratrice dei
più insigni drammi, àa\V Edijw al Macheth, dal Re.
Lear alla Cenci, ha dato materia alla nuova tra-
gedia di Swinburne. Il re Locrine già fidanzato
a Guendolen s'innamora di Estrilde, una princi-
pessa sua prigioniera; e anche dopo il matrimo-
nio con Guendolen mantiene relazione amorosa,
con la bella sua schiava, e ne ha una figliuola.
Quando Guendolen che ama passionatamente il
marito s'accorge del tradimento, fugge alla casa
paterna e istiga padre e figlio alla vendetta, e
arma un esercito. Locrine muore trafitto in bat-
taglia: Estrilde e la giovinetta sua figlia cadono
nelle furibonde mani di Guendolen, e son fatte
annegare nella Saverna. Tale il fatto, ossia la
leggenda. Ora, ciò che il poeta ha voluto soprat-
tutto dipingerci è la metamorfosi d'amore in odio
nel cuore di una donna passionata e mortalmente
offesa — ciò clie dovette agitarsi anche in petto
della Veronica Cybo, dall'ultimo giorno in cui,
inconsapevole, baciò l'infedele marito, a quello
in cui con le bianche e delicate sue mani segò la
gola all'infelice Caterina Canacci — la rivolta
cioè della sposa e la vendetta dell'amante. E in
LOCHINE DI SWINT.URNE 347
questo, il poeta elio con tanto acume lesse negli
intricati laberinti e nei tenebrosi abissi del cuore
di Mary Stuart, è riuscito felicemente, magistrale
mente. Guendolen è altamente poetica appunto
per la verità, la intensità del suo tragico signifi^
cato — è reale e ideale ad un tempo: vive; e solo
Dio e i grandissimi poeti possono inspirare la
vita. Il dramma che si è svolto nella mente e nel
cuore di Guendolen prima di rivelarsi nel dramma
esteriore, ci è sempre presente in ogni scena di
questa nuova tragedia.
Se dovessi citare le scene dove meglio questa
profonda rivelazione psicologica si unisce alla più
ammirabile poesia, ricorderei le prime scene del-
l'atto primo, le ultime dell'ultimo atto, e soprat-
tutto l'intero atto quarto, ammirabile non so se
più come dramma o come poesia.
Ma per giudicare equamente questa tragedia,
non bisogna dimenticare che essa è un poema in
forma drammatica, come la trilogia su Maria
Stuarda dello stesso Swinburne: è uno studio di
caratteri più che uno svolgimento di azione: e
principalmente è la rivelazione di uno stato psi-
cologico-tragico di un cuore di donna. Infatti,
Guendolen è la figura che eclissa col suo potente
rilievo tutte le altre. Il dramma interno di Guen-
dolen è qui il vero soggetto. Come architettura,
come composizione e svolgimento drammatico,
Locrine ha, a mio giudizio, poco valore.
Si dirà: ma allora perchè scrivere una tra-
gedia? Perchè non preferire altra forma lettera-
348 LOCHINE DI SWÌNBURNE
ria, il poema narrativo o il romanzo ? — Analisi
psicologica unita a profondo patetico e a effetti
drammatici, non si poteva ottenere con altra
forma?.... E si potranno citare gli Idilli del Ee, e
The Bride of Lammermoor^ e The Scarlet Letter. Si
potrà anche dire: Vedete il Macheth, vedete il
Lear, vedete il ìFaUenstein — ecco i veri drammi,
saj^ientemente costrutti, rappresentabili, e dove
l'interesse scenico va unito alla profonda intui-
zione e alla felice espressione dei caratteri.
Vero: ma vero anche, che la critica non ha
il diritto di domandare al poeta perchè ha prefe-
rito una forma ad un'altra, se è riuscito ad otte-
nere il precipuo scopo che si era prefisso. Locrine,
come la trilogia Stuardiana, sono due studi di
donna fatti da un gran poeta. Guendolen e Mary
Stuart sono due creature viventi. Questo è già
tanto, che io non oserei davvero rimproverare al
loro creatore, se accanto ad esse ha messo delle
figure di cera. Io lo ringrazio, ed ammiro. Credo
anche che il Guido Franccschini di Browning e la
Mary Stuart di Swinbarne siano le due creazioni
più stupende della moderna letteratura poetica
inglese. Come credo che, anche come poesia essen-
zialmente drammatica e di effetto scenico, l'in-
contro di Bothwell e di Maria presso il cadavere
di Darnley — la scena della prigione nel Chastelard
— e la scena fra Guendolen e Locrine nel quarto
atto di questa nuova tragedia, siano fra le più
intensamente drammatiche del moderno teatro.
Né so por termine a questo breve cenno sul
LOCRINE DI SWINBURNE 349
nuovo lavoro di Swinburne, senza una parola di
invito ai lettori italiani di leggere attentamente
la grande trilogia Swinburniana — Cliastelard —
Bothicell — Mary Stuart.
Ne la pazienza degli archivisti, né l'acume
degli storici, né V analisi dei romanzieri, né la in-
tuizione dei poeti lirici e drammatici, ci aveva
saputo dare, fino all'apparire di questa trilogia,
il vero vivente ritratto di Maria Stuarda. Questo
carattere cosi complicato, sinuoso, essenzialmente
femminino, fu studiato dal Swinburne in tutte le
sue fasi, in tutte le sue contradizioni. Nulla di
idealizzato come nella Stuarda di Scliiller; ma la
nuda, terribile, eppur poetica verità; in tutte le
scene di questo triplice poema drammatico, la po-
tenza analizzatrice, animatrice e pittoresca di Swin-
burne non languisce un solo momento. Maria é la
sua creazione sovrana. Si direbbe clie egli la co-
nosce come Bothwell, e l'ama come Chastelard.
— Ma dopo il carattere di Maria, la più mirabile
evocazione drammatica, il più acuto e profondo
studio psicologico del poeta di Atalanta e di Pvo-
serjnna, è questa figura di donna passionata e ter-
ribile — questa Guendolen della nuova tragedia.
Alla fine, in questo fervore di lotta, in que-
sto avvicendarsi di espressioni d'odio antico e di
amore indomato , clie desta la causa irlandese,
vedo ripubblicati i Pamphlets del suo terribile
campione di quasi due secoli addietro. E pur
troppo le condizioni della povera Irlanda non so*
850 OPUSCOLI IRLANDESI DI SWIFT
no, nelle più vitali questioni, molto mutate da
quando Gionata Swift scriveva le Lettere di un
mercante di i^anni^ e la Modesta proposta. Nella col-
lezione dei Camelot Classics^ in edizione accurata
ed economica, sono stati ripubblicati a cura di
Walter Lewin gli scritti vari in prosa di Swiffe
' — ed oggi il dottor Daly sotto il titolo V Irlanda
m tempi di Swift, riproduce gli Irish Tracts del fe-
roce umorista, con una bella introduzione critica,
piena di ammirazione, anzi di devozione all'au-
tore che illustra. Né si capisce come un fervido
ammiratore di Swift, quale si dimostra il signor
Daly, abbia poi usato con tanta, disinvoltura
le forbici di editore, mutilando quei capolavori
di satira e di humour. Forse per non ofiender la
pazienza o il gusto delicato dei lettori inglesi dei
nostri giorni? Ma come non ha capito il signor
Daly che un Swift ad usam Delphini è cosa ri-
dicola ?
Tutte le piaghe della povera Irlanda sono
messe a nudo in quelle terribili pagine. L'indi-
gnazione bolle in cuore di Swift, e una violenta
tempesta interiore lo agita — ma egli con su-
premo sforzo sa contenersi, e accomoda la bocca
a un sogghigno, e ogni parola che gli esce dalle
labbra è come una punta avvelenata. Il suo sar-
«^casmo è freddo e crudele: vi si sente l'ira e l'odio
condensati, distillati, per dir cosi. Se poi gli ac-
cade di perder la calma, e montare in furore, la
sua collera è spaventosa: ogni periodo è un cre-
scendo di argomenti e di invettive — un vero e
OPtfSCOI.I IRLANDESI DI SWIFT 351
proprio assalto. Thackeray lo paragona a San-
sone tra i filistei — Taine a un gran palazzo che
sfolgora nell'incendio. E tutto Swift è in questi
•opuscoli irlandesi, che furono, fino dal primo ap-
parire, il terrore del Governo inglese e l'ammira-
zione del mondo. L'atroce scherzo, il riso funebre,
il convulso fremito di quella prosa, non hanno ri-
scontro, in Inghilterra, che in qualche pagina di
Giorgio Bj^ron; e da noi, in alcuni dialoghi del
Leopardi: per esempio, in quello della Katura e
di un Islandese.
Il Colvin, il Rossetti, ed altri critici inglesi
hanno recentemente trattato della vita e delle
opere del poeta di Iperione. Lo studio biografico -
critico di Sidney Colvin è eccellente. I due punti
capitali, e che offrono curiosa materia di discus-
sione, sono l'origine e l'effetto dei selvaggi attac-
chi della Quarterly e del Blackwood contro il gio-
vane poeta — e le fasi successive del poetico
ingegno di Keats: la storia, per dir così, delle sue
tre diverse maniere.
Sidney Colvin inclina a credere che le bru-
tali parole del Blackwood fossero del Lockart, o
suggerite ad altri da lui: tiene anche per molto
probabile che lo Scott ne sapesse qualcosa, perchè
in seguito mostrò sempre vivo dolore e un po' di
confusione quando la conversazione cadeva su
quel penoso incidente. Io non esito a credere che
le crudeli parole fossero' del Lockart, 1' amaro cen-
sore, il filibustiere della critica, soprannominato
352 JOHN KEATS DI COLYIN.
meritamente Scorpione — ma non so persuadermi
che il grande, il nobile, l'onesto, il gentiluomo
Walter Scott, potesse, anche indirettamente, aver
parte al codardo attacco. Del resto poi, si è dato
e si dà dai biografi e dal pubblico troppa impor-
tanza a quelle due crudeli recensioni. I due versi
di Byron nel Don Giovanni e la eloquente e tre-
menda maledizione di Shelley nella elegia in morte
di Keats, hanno fatto credere che a Keats fosse
data o affrettata la morte da un articolo di Rivi-
sta. "Ma non fu cosi. Certo le parole del Blackwood
sono crudeli: e quando pensiamo alla giovinezza,
alla sensibilità, e soprattutto al genio di Keats,
e leggiamo: « Meglio un dottore affamato che un
miserabile poeta: lasciate le Muse, caro signor
Giovanni Keats, e tornate a bottega, medico o
speziale che siate, tornate ai vostri impiastri, alle
vostre pillole, alle vostre bottiglie di unguento:
ma per amor del cielo non siate tanto prodigo di
lassativi e di narcotici nella vostra professione,
come lo siete nella vostra poesia » — vile allusione
alla professione di medico che Keats aveva lasciata
per consacrarsi tutto alle lettere e all'arte — ci
par naturale che il giovine poeta se ne accorasse,
tanto più &e rammentiamo l'importanza che aveva
allora quella Eivista. Ma dal dispiacere una cosa
al morirne, ci corre. Certo il poeta non si sarà ral-
legrato del selvaggio articolo — ma lettere auten-
tiche provano clie egli ne rimase assai più sor-
preso che addolorato o avvilito. Merita di essere
ben considerato ciò che egli scriveva precisamente
JOHN KCATS DI COLMN 3D5
in quel tempo a un suo intimo Hmico: « Io non ho
il minimo sentimento di umiltà verso il pubblico,
o qualsiasi altra cosa esistente, eccetto l'Ente
Supremo, il Bello, e la memoria dei grandi uomi-
ni. Non ho mai scritto un verso solo con l'idea
del pubblico dinanzi a me. La mia propria critica
mi ha dato pene incomparabilmente maggiori di
quelle che tutti i Blackwood e tutte le Quarterly
di questo mondo possan mai darmi... Io credo fer-
mamente che, dopo la mia morte, sarò annoverato
fra i poeti dell'Inghilterra. »
Il nuovo biografo di Keats conferma con
fatti ed esempi quel che già accennò un insigne
critico inglese, cioè che Keats nei suoi due ultimi
anni di vita si era avvicinato alla scuola roman-
tica. Infatti La Belle Dame sans merci — La vigi-
lia di San Marco — altre Ballate — e la rifusione
di Iperione in Visione^ ce lo mostrano molto affine
al' poetare di Coleridge. Così il poeta esuberante
di Endimione era divenuto il più perfetto scrittore
di poema e ode classica {Iperione^ A un''urna greca^
L Autunno^ A Psiche) e finiva per volgersi con cre-
scente simpatia al mondo maraviglioso della leg-
genda romantica come lo Scott e il Coleridge.
Eileggendo questo volume del Colvin, pro-
viamo due particolari impressioni: rimpianto di
quanto il mondo poetico perde per la morte im-
matura di Keats — ammirazione e stupore per
quanto egli compì in una età in cui gli altri ap-
pena cominciano a scrivere.
Come più tardi il Rossetti espresse nel verso
Kexcioxi. — Saggi critici di lett. inglese, 23
354 JOHN KEATS DI COLVIN
inglese i mistici sentimenti d'amore del Medio Evo
italiano, così Keats aggiunse al vasto e vario campo
della poesia inglese un giardino di greca fragranza.
Egli è nella storia della poesia inglese ciò che fu il
Foscolo per noi, e Andrea Chénier pei Francesi. Ma
più del Foscolo e più di Chénier, egli ebbe vivo,
intenso, profondo, il sentimento, l'amore della Na-
tura. Egli ha dei versi-poema che sono come voci
della gran madre Cibele. Fu detto giustamente e
argutamente che egli ha l'aria di vederle?- la
prima volta i boschi, le fontane, i fiori, il mare,
il cielo stellato. Il maraviglioso spettacolo gli ap-
pare sempre nuovo; e lo canta con il divino in-
fantile sorriso dei poeti primitivi. C'è qualcosa
di sensuale e di religioso ad un tempo, nella sua
comunione con la vita universale.
Le ultime pagine di questa bella biografia ci
riportano a Roma, dove il poeta morì e dov'ebbe
sepoltura. Gli estremi giorni di Keats son pieni
di particolari strazianti. Un amore passionato e
infelice, uno scoraggiamento di artista, una tra-
gica e completa disperazione ne sono il lugubre
fondo. Solo l'amicizia gli porse qualche consola-
zione — e a tutti gli ammiratori di Keats è cara
e sacra la memoria del pittore Severn che usò
cure assidue e veramente materne al moribondo
poeta.
Keats fu sepolto nel Cimitero Protestante,
presso la piramide di Cajo Cestio. A chiunque
abita o visita Roma, e ama 1' Arte, questo cimi*
tero dovrebbe essere la mèta di un pietoso pelle-
JOHN KEATS DI COLVIN 355
grinaggio. Anche la strada che vi conduce è fu-
nebremente poetica. Per tutta la via che si per-
corre andando dall'arco di Giano Quadrifronte al
ponte Fabricio, la grande malinconia e la solenne
desolazione di Roma ci invadono la mente ed il
cuore. Basiliche e templi, circhi e terme, archi e
sepolcri, ponti e catacombe si succedono a brevi
intervalli per questo via solitaria. D' ogni parte si
elevano le voci del passato e le mute elegie delle
grandi rovine. Nessuno, neppure il sereno a pagano
Goethe, ha potuto intieramente sottrarsi a questa
impressione di solenne tristezza.
Fra Porta San Paolo e il monte Testacelo,
elevasi una piramide incrostata di marmo, eretta
sulle ceneri di Cajo Cestio. Presso di essa sono i
due Cimiteri Protestanti. In questi Cimiteri ripo-
sano le reliquie di Percy Bysshe Shelley e di John
Keats. Nel primo di essi dormono nel sonno
eterno molti insigni artisti e scrittori tedeschi —
fra gli altri il Carstens, il Reinhard, il Reinhold,
il Kellermann, il Waiblinger, il figlio di Goethe.
E nel punto più elevato, come dominando e con-
sacrando con lo splendore di un nome immortale
tutta questa famiglia di estinti — ai piedi di
una antica torre mozza, nera ed informe, bian-
cheggia tra le fìtte gramigne un marmo dove si
leggono queste parole: Percy Bysshe Shelley. Cor
Cordium.
Accanto al cimitero dov'è la tomba di Shel-
ley ve n'è un altro più antico — il vecchio cimitero
— in cui prima d'ogni altra si presenta all'occhio
356 JOHN KEATS DI COLVIX
del visitatore una lapide con una iscrizione in
memoria di Keats. dove si legge questo verso:
Qui giace uno il cui nome fu scritto sull'acqua.
Questa iscrizione che indica tanta amarezza
e tanta sfiducia nella giustizia del tempo, la pa-
tetica e sublime elegia dello Shelley in morte di
Keats (Adonais), e i due versi famosi di Byron,
hanno fatto credere per molto tempo che Keats
morisse vittima della selvaggia censura. Ma più
sopra abbiamo provato con una lettera del poeta
la insussistenza di tal supposizione: e tutti i più
credibili biografi di Keats, da Houghton al Ros-
setti ed al Colvin, sono ormai d'accordo nelF at-
tribuire la sua morte a etisia polmonare eredi-
taria.
E allora come si spiega quella epigrafe? —
La coincidenza dello attacco selvaggio e del peg-
gioramento che precede di poco la morte del j)oeta
ingannò molti anche fra i più intimi amici di
Keats. Ed è un fatto innegabile che in un mo-
mento di sujDrema angoscia, nella sua lenta ago-
nia di tre mesi in Roma, egli raccomandò al pit-
tore Severn di fare incidere quel verso sfiduciato
su la pietra del suo sepolcro.
In uno degli ultimi giorni della sua vita, il
poeta destatosi da un breve ma quieto sonno,
disse con un sorriso ineffabile: « Ho sentito le
margherite spuntar sul mio corpo... » Ed ora i
fiori e r alta erba romana crescon vivaci su la tua
tomba, caro ed infelice poeta! e ai primi aliti di
JOHN KRATS DI COLVIN o57
primavera, margherite e mammole e pervinche
profumano il letto del tuo riposo, talché « la
Morte sorride qui col sorriso di Amore. » Dormi
in pace accanto al tuo grande amico Shelley, che
a te consacrò un divino suo canto, il quale durerà
finché sarà parlata ed intesa la lingua di Shake-
speare; e che, pochi momenti prima di essere som-
merso negli abissi del mare sconvolto, leggeva i
tuoi ultimi versi, e contemplava le belle imma-
gini da te evocate. Il tuo nome è ogni giorno più
raggiante di luce, di eterna giovinezza, e di vita;
e la sferza che i pedanti vollero alzare contro te
è diventata un'eterna flagellazione dei loro nomi!
Vagheggiando il Bello antico e cantando le
antiche favole, Keats vi aggiunse l'elemento mo-
derno della passione, e la vivacità e l' efflorescenza
di una giovanile immaginazione prodigiosamente
feconda. Tanta prodigalità di tesori poetici come
in Endymion non s' era vista da Spenser in poi,
né si rivide fino all'apparire di Swinburne. La
poesia di Keats nella sua prima maniera è come
una foresta vergine dell'America, dove i larghi
fogliami, le liane, i fiori larghi e sfolgoranti s'in-
tralciano in arabeschi fantastici — e i colori, gli
splendori, i profumi e la musica vi abbagliano e
vi inebriano. Ma nelle Odi ci apparve poi squisi-
tamente perfetto; e in Hyperion seppe esser sem-
plice, austero e grande. Hyperion é un gruppo an-
tico gettato in bronzo corintio. Nessuno dei più
precoci poeti moderni (e l'Inghilterra può van-
tarne parecchi) ha compiuto alla età di ventun
358 JOHN KEATS DI COLVIN
anno un capolavoro perfetto come V Ipevione di
Keats. « Questo poemetto scriveva lord Byron
cosi avaro di lodi ai poeti contemporanei — è una
cosa veramente straordinaria; sembra ispirato dai
Titani, e scritto da Eschilo. »
{Nuova Antologia, 1 gennaio 1888.)
La stampa inglese è unanime nel riconoscere
che la recente improvvisa morte di Arnold è una
j)erdita grave e deplorabile — ma al solito si è
ecceduto nelle postume lodi : leggendo certi ar-
ticoli si crederebbe che si parli della morte di
Tennyson o di quella di Ruskin. Si fa costante
abuso della parola grande. No : Matthew Arnold
non fu né un gran poeta, né un gran critico.
Era un delicato e nobile moralista, uno scrittore
eletto e purissimo, un elegante e spesso efficace
versificatore. Come critico letterario, il suo giu-
dizio è quasi sempre dettato da una impressione
personale, da una simpatia o antipatia spesso
irragionata e spesso irragionevole. E lui e non
altri che mise Maurice De Gruérin molto al di-
sopra di Keats ; che inscrisse nella lista dei sommi
poeti il^Filicaja ; che affermò che le lettere e le
prose di Shelley valgono assai più e vivranno più
lungamente delle sue poesie ! !... Nonostante, anche
come critico letterario, ebbe pregi assai rari. In-
trodusse in Inghilterra il metodo di Sainte-
Beuve, mise alia moda la causerie letteraria, e
MATTHEW ARNOLD 359
studiando uu libro, ne studiò l'autore nella fa-
miglia e nella società — elevando cosi l'arida di-
scussione dei pregi e difetti di un'opera, al grado
di produzione letteraria ed artistica ; grazie al-
l'elemento personale e al carattere psicologico che
seppe dare ai suoi Saggi.
Se non ha l' intuito e la poesia riuniti al-
l'osservazione precisa e alla immensa e svariata
dottrina di un Sainte-Beuve — ne la sintesi pos-
sente e la parola efficace di un Taine — ne lo stile
magico e vivente, e la originalità di pensiero, e
la pittoresca descrizione di un Euskin — né il
genio creatore o ricostruttore, e la parola profe-
tica di un Carlyle — ha però una forza continua
di simpatia per tutto ciò che è elevato e spiri-
tuale, e nel senso più largo, religioso e cristiano:
ha una certa parentela con Ernesto Renan. ISTe-
mici ambedue di ogni volgarità, di ogni fUsteismo,
hanno nell' indole dell' ingegno qualche cosa di
aristocratico, di eletto, di delicato — quel non
so che, che diviene ogni giorno più raro, in tanta
invasione di forza brutale e di trionfante fisio-
logia.
Nello stato di lotta tra le idee della prima
metà del nostro secolo e quelle del nostro tempo,
Matthew Arnold ha fatto in Inghilterra quel che
fece in Francia Sainte-Beuve ; ha attenuato le
asprezze del conflitto, ha fatta la parte d' inter-
mediario benevolo e intelligente, di autorevole
conciliatore.
Come poeta ha toccata talvolta con intensità
360 MATTHEW ARNOLD
la corda intima del sentimento — e i versi
« Obermann once more » meritarono le lodi e la
traduzione del Sainte-Beuve. Anche in questa
poesia si palesa il carattere dialettico e conci,
liatore di Arnold. Dopo l' inno a Senancour vi
è l'appello ardente, quasi guerriero, alla vita di
azione: e il poeta dapprima rèveur come Ober-
maun, si mostra nell'ultime strofe armato e pronto
alla inevitabile battaglia della vita. Come versi-
ficatore, ha talora versi e gruppi di verso per-
fetti, scolpiti nel marmo parlo o tagliati nel più
puro diamante, che ricordano quelli di Landor.
Ma son rari — e anche in quelli manca il soffio
vitale, il fuoco sacro dei veri grandi poeti. Fra i
poeti di terzo ordine ha un posto notevole. Para-
gonarlo, come lirico, a Alfredo Tennyson, alla
Browning, a Swinburne, sarebbe un vero delirio.
La letteratura inglese è ricca di Biografie
quanto la francese di Memorie. Ai nostri giorni
alcuni dei più insigni scrittori iaglesi ci hanno
dato eccellenti Vite dei loro predecessori. Ammi-
rabile sopra tutti il recente libro di Sidney Colvin
su Walter Savage Landor : ammirabile come lu-
cida e perfetta narrazione di una delle vite più
romanzesche, eccentriche, e talvolta eroiche, che
ricordi la storia letteraria ; e come studio critico
degli scritti di Landor. Del Gehir^ del Pentameron^
delle Conversazioni imaginarie, degli Idilli eroici^
nessuno aveva parlato finora con tanto amore, con
tanta competenza, con tanta coscienza.
COLVIN, BIOGRAFIA DI LANDOR 361
È un volume che si legge d'un fiato: ha l'iu'
teresse di un romanzo, e il patetico di una tra-
gedia. Bisognerebbe tradurlo in italiano: sarebbe
quasi un dovere per noi. Landor ha amata, can-
tata l'Italia — scritto qua nella sua diletta villa
a Fiesole, le più belle sue opere — avuta rela-
zione di amicizia, o battaglia di polemica, con
alcuni dei nostri insigni scrittori ; e qua ha pas-
sata, nell'immeritato abbandono, solitario e po-
vero, gli ultimi anni della sua fortunosa e trava-
gliata esistenza. In quella cas uccia di via della
Nunziatlna in Firenze, l'autore quasi centenario
del Gehir ricevè la visita e l'ardente omaggio del
ventenne poeta à!Atalanta. E Swinburne immor-
talò questo incontro in una delle sue più squisite
e toccanti poesie.
Le parti più belle del libro del signor Colvin
mi sembrano i capitoli V e YIII, ove tratta della
vita di Landor a Firenze e delle Conversazioni
imaginarie — e del secondo esilio e degli ultimi
giorni del poeta. L'analisi degli scritti vi è feli-
cemente fusa con la narrazione dei fatti ; e l'acume
del critico fa degno riscontro alla serena equità
del biografo. Il signor Colvin, senza tirades e
senza violenti recriminazioni, ha detto la verità,
tutta la verità, cosi dolorosa e cosi tragica, sugli
ultimi anni di questo vecchio Lear dei poeti... e
la semplice e nuda esposizione dei fatti ha in
questo caso una eloquenza demostenica irresi-
stibile.
Landor che ci appariva si grande dalle sue
3G2 COLYIN, BIOGRAFIA DI LANDOR
opere, sorge gigante da questa fedele narrazione
del signor Colvin : e si capisce come egli facesse
una possente indimenticabile impressione su Car-
lyle, Dickens, Browning e Swinburne : s'intende
meglio la entusiastica apostrofe della Browning
al vecchio indomato leone e queste pittoresche pa-
role di Carlyle : « Avete letto l'ultima Conversa-
zione di Landor ? Credereste che è stata scritta
proprio ora dal gran vecchio Pagano ? Suona
come lo squillo di una spada Romana su gli elmi
dei barbari ! L' indomabile vecchio E/Omano, il
nostro Landor ! »
Nella storia della poesia inglese, Landor è
una figura a parte, solitaria : « E solo in parte
vidi il Saladino. » In questa unicità di carat-
tere, di vicende, e di arte, non gli si posson pa-
ragonare ohe Milton e Swift, nel corso di tanti
secoli. Egli ha incorporato le più ardenti e rivo-
luzionarie utopie nel più puro, greco, perfetto
linguaggio. Come uomo e come scrittore, ei fu
veramente quel che gli Inglesi chiamano a suhstan-
tial man : una vera e possente realtà fra tanti
fantasmi. La sua poesia, come la sua prosa, ha
il disegno preciso, la forma spiccata, nulla di
vaporoso o di incerto : mai un epiteto ozioso.
Landor di tutti i poeti inglesi moderni è il più
naturalmente classico, il più immune d'ogni in-
fluenza romantica ; anche più del poeta d' Ipe-
rione.
La posizione personale e intellettuale di
Landor tra i due opposti partiti in cui si divi-
COLVIN, BIOGRAFIA DI LA-NDOR 363
devano al tempo suo le più grandi forze crea-
trici dell' Inghilterra letteraria, è indicata magi-
stralmente dal signor Colvin — e credo far cosa
grata al lettore traducendo questa notevole pa-
gina:
« Uno di questi partiti era conservatore e
conformista — l'altro era un partito d'espansione
e di rivolta. Al campo conservativo appartene-
vano i Giacobini convertiti, Wordsworth, Sou-
tliey, Coleridge ; e, da un punto differente di
partenza, Walter Scott : mentre gli uomini della
rivoluzione erano primo di tutfci Byron, allora
nel pieno fulgore della sua fama mondiale, e
Shelley il cui nome e i cui scritti erano compa-
rativamente quasi ignorati. Ma l'opera di ogni
intelletto creatore tende a lungo andare alla
espansione ; ad arriccliire la vita umana, ad al-
largare gli ideali umani. Wordsworth col rive^
lare le viventi affinità tra l'uomo e la natura, e
la dignità delle semplici gioie e passioni, — Co
leridge con introdurre nella inerte massa della
ortodossia e del litteralismo inglese il lievito
della speculazione trascendentale tedesca, — • Wal-
ter Scott col ridestare la dormente simpatia dello
spirito moderno coi secoli e i costumi passati,
fecero forse, ognuno nella sua via, per arricchire
la vita e allargare le idee degli uomini, quanto
lo Shelley con le sue aurorali visioni di futura
emancipazione, o Bj^ron con la sua brillante il-
lustrazione personale del principio di ribellione.
« La naturale posizione di Landor fu in
364 COLYIN, BIOGRAFIA DI LANDOR
mezzo a questi due punti opposti. Da una parte,
egli era incapace della rusticità parrocchiana e
della grettezza di giudizio di Wordsworth su
tutto ciò che sfuggiva al diretto intuito del suo
genio ; o della vaga e metafisica conciliazione
fra il reale e l' ideale, onde appagavasi Cole-
ridge ; o della cieca opposizione di Southey ad
ogni novità ; o della romantica parzialità dello
Scott per forme ed usi feudali e regali. Ma dal-
l'altro canto, Landor vedeva la natura umana
non nella eterea, incorj^orea, iridescente sem-
bianza con cui essa appariva alla immaginazione di
Shelley ; ma nei suoi pratici attributi di carne
e sangue — e se divideva con Byron l'odio di.
ogni politica tirannia, e il dispregio di ogni con-
venzionale o ipocrito pregiudizio, non aj^provava
ne il suo cinismo né le sue violente e spesso in-
giuste aggressioni. »
Chiunque ha letto Bleak House di Dickens,
ricorderà l'eccentrico e simpatico Boythorn ; il
focoso tempestatore dalla voce di tuono, che
adora i bambini e carezza un canarino.... Tutti
sanno in Inghilterra che Boythorn è il ritratto
di Landor. Ma gli animali preferiti da Landor
furono due canini pomer : — Fornero e Giallo. Po'
mero fu il diletto compagno di Landor fino dal
1844. Il poeta conversava umoristicamente con
esso in italiano e in inglese ; lo consultava prima
di scrivere, e mentre scriveva, E quando riceveva
amici 0 stranieri, e si animava nella conversa-
zione, e alzava la sua voce di tuono, Pomero si
COLVJN, BIOGRAFIA DI LANDOR 365
metteva ad abbaiare ; familiarmente diceva Landor,
furiosamente dicevano i visitatori.
Morto e lungamente pianto Fornero^ gli suc-
cesse Giallo^ regalato al poeta da William Story.
Giallo fu noto a tutti i fiorentini dal 1858 al 64.
Tutti conoscevano « il bel vecchio inglese col bel
canino. »
E anch' io mi rammento di Giallo^ anno 1859,
ex-Consule Fianco. .. Ero in una villa presso Siena,
a Marciano De Grori. Li presso, in villa Orr,
abitava William Story. E a pochi passi, a Mar-
ciano Spannocchi, Roberto ed Elisabetta Brow-
ning e con essi il vecchio Landor. Un giorno fui
presente a una vivace conversazione fra Landor
e il professore Matteucci, a proposito di Gari-
baldi. Il vecchio poeta parlava con giovanile en-
tusiasmo . di Garibaldi ; il Matteucci azzardò
qualche obiezione, qualche riserva. Landor co-
minciò a riscaldarsi, e ad alzar la voce ; e Giallo
a abbaiare... familiarmente. Ma il povero Mat-
teucci assordito se ne venne via dicendomi sor-
ridendo: « Tutti matti questi Inglesi, tutti matti! »
A Giallo il poeta consacrò alcuni bellissimi e pa-
tetici versi. « Giallo ed io, » soleva dir sempre ; e
lo battezzò come « il migliore dei critici, e il più
infallibile dei filosofi... »
Da Landor a Schopenhauer il passaggio è un
po' brusco. Ma dalla eccellente biografia del
Colvin passo volentieri al notevole studio della
signora Elena Zimmern.
3G6
È un bel volume, con un bel ritratto, edito
a Londra dal Longman. Forse il titolo — Arturo
Schopenhauer : la sua vita, e la sua filosofia — è
un po' ambizioso. Se il libro corrisponde alla
prima parte di questo titolo, lascia a desiderare
per la seconda. I capitoli V e X consacrati al si-
stema filosofico morale ed estetico di Schopenhauer,
non sono certo i più belli e completi dell'opera.
In essi, come in tutte le analisi del sistema Scho-
penhaueriano, fatte fuori di Germania, vi è un
accento come di inconscia ironia. E curioso
che nessun critico francese, inglese o italiano
abbia saputo evitarla! Tutti quelli che esaminano
le ultime conseguenze della famosa teoria del
Wille, sembran ridere sotto i baffi, anche se assu-
mono l'aria più seria e la più filosofica. Ne volete
degli esempi ? Leggete la esposizione del si-
stema di Schopenhauer fatta dai più caldi suoi
discepoli di Francia. A un tratto si crederebbe di
udire il rìcanement di Voltaire. E la protesta del
buon senso latino contro le nuvole mistico-meta-
fìsico-indo-germaniche.
Vi ricordate il dialogo del nostro De Sanctis ?
quel capolavoro di buon senso e di fine umo-
rismo ? Rileggiamone insieme un frammento, e si
farà più chiaro il mio concetto e la mia affer-
mazione :
A. — E la morale ? e il dovere ?
D. — Il dovere, dice Schopenhauer, è una astrazione.
Nessuno ha il diritto di dire: tu devi; e uno dei difetti
di Kant è l'esser venuto fuori col suo categorico impe.
ZIMMERN, A. SCHOPENHAUER 36?
rativo. Dovere e non dovere suppone una libertà di scelta
che contraddice al concetto dell'uomo. Dimmi pure : non
devi ammazzare; io ammazzerò se il mio carattere porta
cosi, e quindi non farò peccato.
A. — E se t'impiccano ?
D. — M'impiccano giustamente.
A. — Come! E perchè mi hanno da impiccare? Dove
non ci è colpa, non ci è pena. Di che cosa dovrò rispon-
dere io ?
D, — Non della tua azione, ma del tuo carattere.
Perchè sei fatto cosi.
A. — Oh bella! e che c'entro io? È il WiUe ; quel
birbone del Wille che mi ha fatto cosi.
D. — E se t' impiccano, in realtà non è te che impic-
cano, ma il tuo Wille.
A. — Ma il dolore lo sento io.
D. — Vale a diro lo sente il WiUe; perchè quello
che è in te di vero, reale è il WiUe: tutto l'altro è fe-
nomeno.
A. — Ma il WiUe clie è in me, è lo stesso WiUe
che è in colui che mi impicca.
D. — Sicuro!
A. — Allora il WiUe che impicca, è lo stesso che il
WiUe che è impiccato....
D. — Sicuro !
A. — Comincia a venirmi il capogiro.
D. — Anzi, questa è la base della morale di Scho-
penhauer....
Il fatalismo filosofico portò Schopenhauer al
pessimismo, e all'ascetismo orientale. L'astensione
e la modificazione del cenobita, il nirvana del con-
templatore indiano, son per lui i supremi ideali
della vita : filosofia della inazione che farebbe
marcire in mezzo secolo tutta Europa, come la
Spagna della fine del Secento.
368 ZIMMERN, A. SCHOPENHAUER
Ma leggendo la biografia della Zimmern, ve-
diamo che il filosofo della riniìnzia, dell' asten-
sione, deirindirerentismo, fu, specie nei suoi ul-
timi anni, sensibilissimo alle lodi ed ai biasimi,
alla fama in questo basso mondo. Voleva gli
fosse mandato ogni giornale dove si parlasse bene
o male di lui. Era beato delle visite di ammiratori
stranieri.
Quanto dissimile dal Leopardi, col quale fu
spesso paragonato — e col quale non ha che delle
apparenti e non sostanziali analogie. « Il Leopardi
chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù ; e te
ne accende in petto un desiderio inesausto. Non
puoi lasciarlo, senza sentirti migliore.... L'ozio per
Leopardi è una abdicazione dell'umana dignità ;
Schopenhauer consiglia l'occupazione sol come un
mezzo di conservarsi in buona salute. E se vuoi
con un solo esempio misurare l'abisso che divide
queste due anime, pensa che per Schopenhauer
tra lo schiavo e l'uomo libero corre una differenza
più di nome che di fatto ; la qual sentenza se
avesse letta il Leopardi, avrebbe arrossito di es-
sere, come WiUe, della stessa natura di Scho-
penhauer E se caso o fortuna, o destino vo-
lesse che Schopenhauer facesse capolino in Italia,
troverebbe Leopardi che gli si attaccherebbe ai
piedi come una palla di piombo, e gli impedi-
rebbe di andare innanzi. » (De Sanctis, Saggi cri-
tici, 298.)
La parte più interessante di questi studi bio-
grafici, è quella aneddotica. I fatti son narrati
369
con una vena felice di umorismo, e con una spi-
gliatezza ammirabile. Ve ne son dei curiosissimi
e di una singolare eccentricità. Schopenhauer,
come Landor, era affezionatissimo al diletto suo
cane Atma, che egli chiamava Homo quando vo-
leva punirlo e mortificarlo, e passava delle ore
alla finestra con lui. I gamins di Francoforte di-
cevano allora di aver visto affacciati i due Scho-
penhauer.
In Roma, al Caffè Greco, dove convenivano
i poeti ed i pittori tedeschi, Riickert e Hoffmann
e Scheter, Schopenhauer fu l'elemento mefistofe-
lico e dissolvente. Una sera ne fu cacciato per
aver detto col suo caustico riso : « La nazione
tedesca è la più stupida delle nazioni ; ma è su-
periore all'altre in una cosa; nel saper fare a meno
di religione. »
A Dresda, pranzando a tahle cVJióte, seguitò
per dei mesi a mettere un napoleone accanto al
suo piatto appena entrava, e rimetterlo in tasca
quando si alzava da tavola. Interrogato da un
curioso, rispose : « Questo napoleone è destinato
ai poveri il primo giorno che sentirò a parlare da
quei signori ufficiali di qualunque cosa fuorché
di cavalli, cani e cocottes. »
Con le donne Schopenhauer era tanto defe-
rente in pratica, quanto brutale in teoria. Ascol-
tatelo : « Quando la natura divise l'umanità in
maschi e femmine, la sua sezione non fu precisa-
mente una bisezione.... la donna ha diritto alla
nostra indulgenza, non al nostro culto.... Il trat-
2sE>'Cl0>"l. — Saggi critici di leti, inglese. 24
370 ZIMMERN, A. SCHOPENHAUER
tamento della donna in Oriente è assai più razio-
nale di quello usato fra noi... La donna è sem-
pre soggettiva : quindi è impossibile una donna di
genio. »
Quando egli scriveva queste sentenze, vive-
vano in Europa Giorgio Sand, Carlotta Bronté,
Elisabetta Browning e George Eliot.
(Ntiova Antologia, 16 maggio 1888.)
L'uomo è lo studio più importante per l' uomo.
Quindi, nessun libro più interessante, più uma-
namente utile e dilettevole, di una buona bio-
grafìa. Essa è scienza, storia, e dramma ad un
tempo — è un riflesso e una lezione della vita
comune. Il libro per eccellenza, la Bibbia, è come
una serie di biografie. La Storia — quella che
merita questo nome; non quella cattedratica a
gergo metafisico, o quella d'archivio a filze di
date e di nomi — la Storia è una sintesi biogra-
fica; è 1' epopea degli eroi che hanno creato
o redento le varie nazioni. Ogni buona biografia
ha un doppio interesse, scientifico e poetico: jDer-
chè ogni creatura umana ha da risolvere un pro-
blema di esistenza individuale e al tempo stesso
universale, e quindi di simpatia e di interesse
comune ; e perchè ogni singola vita ci rappre-
senta la lotta della volontà contro la forza degli
ostacoli, e ci descrive una finale tragedia o un
finale trionfo. Le biografìe dei poeti, degli artisti,
371
ci allettano più specialmente, perchè leggendo i
loro libri o guardando i loro lavori, già ci era-
vamo immaginato l'uomo; e ci è caro vedere
fin dove la realtà corrisponde alla nostra divina-
zione.
In questo genere letterario gli Inglesi sono
i più ricchi. Abbondano nella letteratura inglese
le eccellenti biografie, come nella francese le
eccellenti memorie. Le biografie inglesi di grandi
scrittori e di artisti sono aumentate di numero e
di valore in questi ultimi anni. Ora ne ho qui
sul tavolino quattro o cinque recentissime, e
tutte, per diversi pregi, notevoli. Esaminiamone
alcuna, e cominciamo da quella di Dickens.
E scritta da Frank Marziais, con ardente
simpatia pel gran romanziere, ma senz' ombra di
esagerazioni rettoriche e senza inutili reticenze o
silenzi sui difetti delio scrittore e dell'uomo. La
parte critica vi è felicemente fusa con la parte
narrativa ; talché questo volume del Marzials si
fa leggere volentieri anche da chi conosce la dif-
fusa e voluminosa vita di Dickens scritta dal
Forster. Dirò di più. Su certi particolari interes-
santi, il Marzials è più esplicito e più abbondante
di notizie del Forster stesso. Per esempio, nello
scabroso episodio del divorzio e nei tragici parti-
colari del disastro ferroviario di Staplehurst. La
figura del romanziere balza su, viva umana sim-
patica, dalle calde pagine del Marzials ; e insieme
alla fisonomia dell'autore vi troviamo ritratte con
singoiar fedeltà le caratteristiche dei suoi princi-
872 MARZIALS, VITA DI DICKENS
pali romanzi. L'analisi di Pickwick, di Martin
Cimzzleivit^ di Domhey^ di Hard Times è veramente
notevole. E benissimo esaminato il momento della
apparizione di Pickwick^ a che è da attribuirsi il
suo enorme successo, e le condizioni della lette-
ratura inglese in generale e del romanzo in par-
ticolare, quando Dickens esordi nella sua gloriosa
carriera.
È anche notevole l'apologia che il Marzials
fa di certi caratteri essenzialmente umoristici che
hanno delle singolarità da allucinato, che ci fan
sorridere e ci commovono, come M.^ Dick, Miss
Flite, jI.^' Toofcs, e tanti altri, che il Taine chiama
orribili. L' immaginazione di Dickens è troppo
spesso, secondo il Taine, l' immaginazione di un
monomaniaco; e certi tipi popolari in Inghilterra,
benché divertenti a prima vista, al Taine sem-
brano orribili. Il Marzials combatte questo giu-
dizio : ma, ha dimenticato, secondo me, quale ne
è la vera origine. Il Taine ha scritto una Storia
della letteratura inglese in cinque volumi, la quale,
nonostante molte inesplicabili lacune e spropor-
zioni; è un grande lavoro. Certe parti, come il
Rinascimento, la Riforma, sono ammirabili — ma
la cosa di cui il Taine mostra per mille prove di
non avere idea o sentimento, è quella che costi-
tuisce appunto il fondo della letteratura inglese,
cioè Vumorismo. Il Taine capisce e simpatizza con
quell'umorismo che confina o somiglia allo spi-
rito 0 alla satira ; ma del vero genuino umorismo,
del sorriso che cela una lacrima, dell'umorismo
MARZIALS, VITA DI DICKENS
di Stern e di Dickens, non sembra avere ade-
guata notizia. Dopo aver consacrato più di ottanta
pagine a Swift, si sbriga in tre pagine dell'im-
mortale autore del Tristram Sìiandy ! Nel lungo
studio su Dickens, appena un cenno sulla sua
predominante caratteristica, l'umorismo.
E quindi naturale che certi tipi essenzial-
mente umoristici di Sterne e di Dickens, al Taine
sembrino orribili. Invece essi sono la delizia di
chi ha vivo il senso del vero humour: cioè di
quella rarissima e preziosissima qualità che il
Carlyle definì « un sublime alla rovescia » perchè
eleva ed esalta nel nostro cuore ciò che appare
inferiore alla nostra mente — come l'altro su-
blime ci fa sentire ciò che appar superiore e mi-
sterioso alla nostra intelligenza.
Tutti sappiamo che Dickens raccolse tesori
con le pubbliche letture dei suoi romanzi. Il Alar-
zials ci dà curiosi ragguagli su queste letture, e
ha due pagine eloquenti sul loro straordinario ef-
fetto. Chiunque ascoltò una lettura di Dickens, la
ricorda indelebilmente per tutta la vita. Carlyle
l'udì una «ola volta, e uscì commosso dalla sala e
diceva che nessuno attore, neppure Macready, era
paragonabile a Dickens. « E un teatro tragico,
eroico e comico, che vediamo in azione mentre
Dickens legge. » E il Marzials che aveva assistito
ad alcune letture di Thackeray, fa un confronto
fra i due romanzieri. Thackeray leggeva sempli-
cemente, audibilmente, accennando appena le dif-
ferenze di carattere e di personaggio; gli bastava
374.
di esser perfettamente udito e perfettamente in-
teso, cosi che la innata bellezza e purezza del suo
stile fosse bene apprezzata. Dickens invece met-
teva tutta la sua anima nella lettura come ve
l'aveva messa scrivendo. Thackeray era un lettore
letterario ; Dickens un lettore drammatico — ma
nel vero e buon senso della parola. Sobrio di
gesti, otteneva j)i^odigiosi effetti col solo tono
della voce. Uaccento era tutto. Dallo scoppio di
risa dei dialoghi di Sam AYeller, all'ultimo gemito
della povera Nancj^ sotto il bastone di Sykes, egli
riproduceva, moltiplicate nei suoi uditori, le im-
pressioni già procurate ai suoi lettori.
Eaccomando anche le pagine su Dickens at-
tore. Egli fu, a giudizio di Landor, il più ammi-
rabile dei dilettanti. E son curiosi i particolari
su Dickens camminatore — sulle sue straordinarie
passeggiate diurne e notturne, in Londra e nei
sobborghi di Londra. A tutti i conduttori di omni-
hus era famigliare la faccia rugosa, la barba briz-
zolata di Dickens. C%hs e musei, chiese e taverne,
prigioni e teatri, tuguri e botteghe, caserme e ba-
stimenti, nulla sfuggiva alle sue giornaliere osser-
vazioni, alla sua pittura universale. Aveva l'aria
di un marinaro ; lo sguardo pronto ed acuto, e
in tutta la fìsonomia una mobilità nervosa che
lo mostrava capace di provare in certo modo e di
esprimere tutti i sentimenti umani.
Il Marzials insiste a ragione sui fatti che
più provano la innata bontà dell'autore di Copper-
field : V impulso e l'efficace aiuto dato alla fonda-
VITA DI DICKI-NS 375
zione di uno Spedale, per i hamh'uii^ e la guerra
fatta ai feroci tiranni dell' infanzia, i così detti
maestri e maestre, che al suo tempo vincevano
di crudeltà gli aguzzini delle galere. Mi è grato
ricordar qui al lettore italiano che un insigne
scrittore italiano, Pietro Giordani, faceva eco,
forse senza sapere del suo collaboratore umani-
tario, alla crociata di Dickens ; e accusava con
parole roventi i torturatori dei bambini, e denun-
ziava quei crudeli impìiniti, e fin allora protetti
carnefici, al tribunale della pubblica opinione ; e
perorava con accenti Demostenici ta « causa dei
ragazzi. »
Alcuni romanzi di Dickens, come ad esempio
il Christmas Carol e Hard Times, hanno giovato
alla causa degli oppressi e degli umili più di
cento trattati economici e di cento discorsi poli,
tici. Fu detto che il solo CJiristmas Carol ispirò
atti di carità generosa più di tutti i pulpiti e
confessionali riuniti.
Un altro segno della rara bontà di Dickens è
l'amicizia sincera per i romanzieri contempora-
nei. Egli era il primo a esaltare con parole di
lieto entusiasmo i capolavori di Thackeray. Non
solo non seppe mai che cosa fosse invidia — ma
quando sull'orizzonte dell'Arte vedeva sorgere un
nuovo astro, era il primo a salutarlo cordialmente,
a richiamare su lui l'attenzione distratta del pub-
blico. Cosa, in uno scrittore, più singolare che
rara. In generale, l'astro meridiano o declinante
non ama dar segno neppur di accorgersi dell'astro
376 MARZIALS, VITA DI DICKENS
sorgente.... Dickens invece era felice di scoprire
un nuovo genio, e basti in prova la lettera a
Giorgio Eliot, esordiente con le Scenes of Clerical
Life. Dopo averle fatto capire che egli s'è accorto
che lo scrittore è una donna, (e notate che Dickens
fu il primo ad accorgersene) le scrive cosi : « Vi
scrivo per esprimervi la mia ammirazione. I vostri
racconti hanno un merito straordinario. La squi-
sita delicatezza, la verità nell' lucmour e nel pate-
tico, è tale che io non conosco nulla che oggi le
si possa paragonare. L' impressione che ne ho ri-
cevuta è si forte, che non trovo parole ad espri-
mervela. Vostro servo ed ammiratore — Carlo
Dickens. »
Sopra un fatto capitale della vita di Dickens,
messo in ombra o quasi taciuto dal Forster, il di-
vorzio, abbiamo notizie e documenti importanti
in questa nuova biografia del Marzials. E, dob-
biamo pur confessarlo, non stanno in favore di
Dickens : anzi questo è il solo punto fosco della
sua splendida, gloriosa e benefica vita. Dalle let-
tere, dai discorsi di Dickens, resulta chiaro che
motivo vero di separarsi dalla sua compagna, la
cui fedeltà, la cui devozione aveva provata per
venti anni, Dickens non lo aveva. G-li ci vollero
venti anni per accorgersi di una incompatibilità di
carattere'^... Il pubblico spiegò la cosa incolpando
la cognata di Dickens, Miss Hogarth. Due fatti
darebbero un certo peso all'accusa : quello che
dopo la separazione dei due coniugi. Miss Ho-
garth restò in casa di Dickens, padrona in luogo
MARZIALS, VITA DI DICKENS 377
della sorella — e l'altro clie Dickens si risentì
con eccessivo furore di quella accusa, e insistè in
spiegazioni e apologie che nessuno direttamente
gli aveva domandate. Ma certe leggi di eterna
giustizia morale non si violano mai impunemente:
e la stessa Nemesi che perseguitò Shelley dopo il
suicidio della povera Enrichetta, non dette più
pace a Dickens dopo la fatale separazione. Si di-
rebbe perseguitato da un invisibile demone. Ha
delle parole terribilmente rivelatrici : « Lavoro
senza prender respiro, perchè ho paura di pensare
a me stesso — Se non mi stordissi sempre, scop-
pierei, credo, e sarebbe finita. — Non trovo tregua
che nell'azione ; son diventato incapace di ri-
poso » — e il lavoro gli diviene ardua fatica,
mentre prima gli era un sollievo. Paragonate i
manoscritti di prima e dopo il 1858. I primi
sembrano scritti a dettatura ; i secondi son pieni
di pentimenti e di cancellature : la scrittura franca
e limpida è diventata un tremolante geroglifico :
l'ispirazione feconda ha ceduto il posto alla osti-
nata volontà.
E la morte venne, improvvisa : la fornace
troppo riscaldata, scoppiò. Dickens finì come Bal-
zac, come Thackeray. Morirono tutti e tre presso
a poco nella medesima età, cioè varcata di poco
la cinquantina. Balzac fu colpito al cuore — Tha-
ckeray e Dickens al cervello. Così, tutto a un
tratto, un soffio misterioso spengeva questi tre
meravigliosi fornelli dove si elaborarono tante
idee, tanti drammi, tante figure ! Il divino meo-
378
canisino di quegli intelletti si fermò all'improv-
viso : e milioni d'anime umane mancarono da
quel giorno di gradite e feconde lezioni, e di un
abituale conforto nelle noie inevitabili della vita.
Alcuni critici e romanzieri contemporanei
ripetono a sazietà contro 1' autore di Xickleby^ di
Chuzzlewit, di Domhey e di Copperfield^ le vecchie ac-
cuse del Lewis: esagerazione, caricatura, enfasi, sen-
timentalismo, mancanza di esatto studio dal vero,
troppa immaginazione, poca o punta esperienza.
Questa vita del Marzials, porterebbe nuovi docu-
menti, se ce ne fosse bisogno, per provare il con-
trario. Dickens era un arguto, acuto, profondo e
instancabile osservatore : ma uomini e cose ve-
deva nella lucidità intensa, nel bagliore di un
lampo. Dickens, diceva Arturo Helps, vede otto
o dieci cose, e le vede perfettamente, nel mo-
mento stesso che io ed altri ne vediamo appena
due, e confusamente. Non aveva bisogno di tanti
documenti e appunti e cataloghi per descrivere
un paesaggio o una figura umana, e inciderli in-
delebilmente nella nostra memoria. Vedeva con
l' intuito e la visione del genio ; come vedeva il
suo grande compatriotta Gruglielmo Shakespeare
— e come Shakespeare è maestro del pianto e del
riso, Dickens è grande nel burlesco e nel tragico.
Leggete un discorso di Sam Weller, o di Mrs.
Gamp, o di Micawber — e poi leggete la fuga di
Syke, la morte di Paolo Dombey, o di Dora — e
ditemi se, dopo Shakespeare, trovate un altro
che superi o si agguagli a Dickens, nel passare
379
dal riso umoristico al patetico ed al terribile. E
la vita dei suoi romanzi ! Si direbbe che vi cir-
cola un sangue caldo come in membra giovani
e sane.
La sola accusa giusta e fondata che può farsi
all'opera stupenda di Dickens, è l'abuso del co-
mico, del grottesco, e qualche volta certe pagine
più lacrimose che toccanti. Ma l'altra accusa che
i suoi personaggi son tijn incarnati, piuttosto che
uomini e donne viventi, è ingiusta ed assurda. 11
pubblico che conosce i personaggi di Dickens
come vecchie conoscenze — talché certi soli nomi,
come quelli di Weller, Dick, Micawber, Dora.
PecksnifiP, i Crummles, Squeers, Fagin, Neil,
Dombey, bastano a eccitare o un inestinguibile
riso, od una profonda pietà, o l'odio, o il disprezzo
— il pubblico, dico, risponde trionfalmente alla
ingiusta censura. E poi, siamo giusti, se la ripe-
tizione di certe parole e di certi atti deve subito
togliere ad un personaggio la fede di nascita e di
vita, e relegarlo fra i tipi — credete voi che si
salverebbero alcuni, e fra i più ammirati, perso-
naggi dello stesso Balzac ? Se Pecksniff è un tipo,
allora è un tipo anche Grandet, anche Brideau,
e soprattutto il barone Hulot, tanto ammirato dai
severi censori di Dickens.
Pongo termine alla rassegna di questo bel
libro del Marzials riportando le sue giuste e ar-
gute osservazioni sul carattere dell' humour di
Dickens, e sulla creazione di Sam Weller, che è
l'ultimo nato di quella famiglia cosmopolita alla
380
quale appartengono egualmente Falstaff, Sancho
Panza, lo zio Tobia, il capitano Costigan, e Don
Abbondio.
« Neil' humour di Dickens non vi è mai l'acre
cinico sogghigno sulle piaghe dell'umanità, né il
crudele compiacimento di trovare un fondo di
male anche nei cuori migliori. Dickens invece
gode a osservare qualche tratto gentile, qualche
speranza, qualche consolante memoria, qualche
atto di disinteressata devozione, anche nei carat-
teri i più guasti induriti e perduti... Ogni più fa-
moso romanziere, di qualunque tempo e nazione,
potrebbe esser superbo di aver creato Sam Wel-
ler. Io credo, a momenti, che qualche cosa del
sangue di Dickens passasse in questa sua singo-
lare progenitura. Fu detto irriverentemente che
Falstaff potrebbe rappresentarci Shakespeare « fra
i colmi nappi » e Amleto raffigurarcelo nei mo-
menti di solitudine e di meditazione. Ed io ho
sempre avuto questa fantasia, che Sam "Weller
sia una specie di Dickens in una bassa sfera so-
ciale, un Dickens illetterato, ma con tutta le
vena esuberante, la letizia di vita, lo spirito, a
la bontà di cuore del gran romanziere. »
Passiamo da uno dei più grandi pittori della
vita reale, al più metafisico e trascendentale dei
moderni poeti inglesi — da Dickens a Cole-
ridge.
La nuova biografia di Samuele Taylor Co-
leridge scritta da Hall Caino è soprattutto lode-
CAINI', VITA DI COLERIDGE 381
vole per il lucido ordine con cui racconta una
delle vite più eccentriche e disparate. Coleridge
è una natura cosi complicata che sfugge all'ana-
lisi , ma molti lati oscuri e sibillini delle sue
opere sono illustrati dalla sua biografia. E un
genio trascendentale a cui la Natura die tutto,
fuorché il senso della realtà come artista, e la
volontà come uomo. È l'Amleto della letteratura.
Tutta la parte narrativa nel volume del
Caine è eccellente. La parte critica non lo è,
parmi, altrettanto. Non mi pare che sia abba-
stanza indicato il posto che Coleridge tenne fra i
poeti inglesi contemporanei — uè fino a che punto
subì la influenza del genio di Wordsworth. Uno
studio comparativo dei vari poeti Laghisti non
era forse inopportuno in una vita di Coleridge.
E forse era bene di insistere sul carattere essen-
zialmente romantico della sua opera poetica —
carattere che solo lo Scott ebbe in modo cosi ac-
centuato. Queste considerazioni critiche sono più
accennate che svolte nella biografìa del Caine.
Ma vi son però pagine di critica arguta ; e nes-
suno finora aveva parlato con tanta chiarezza
dell'origine e del carattere delle Lyrical Ballach
— del carattere oratorio della conversazione di
Coleridge — delle influenze del misticismo ger-
manico sul suo genio poetico.
Sui tre capolavori poetici di Coleridge —
Christahel, The Ancient Mariner^ Kuhla Khan — il
nuovo biografo ci dice l'origine, ma non ci dà
il suo giudizio, né quello dei contemporanei e dei
382 CAlNEj VITA DI COLERIDGE
più credibili critici inglesi. Mentre poi sulle av-
venture giovanili di Coleridge, soldato, viaggia-
tore, utopista, predicatore — sulla sua fatale abi-
tudine di prender oppio e altri narcotici — sulle
sue variazioni fìlosoficlie — sulle improvvisazioni
oratorie in casa dei Gillmanns — abbiamo inte-
ressanti e bellissime pagine.
Vi è un fenomeno curioso nella storia del-
l'Arte. A parità di iiigegno e di A^alore intrin-
seco di produzione, avviexie spesso che di un
autore che ha prodotto poco si loda spesso la
fecondità — di un altro che ha prodotto sempre e
molto, si deplora che ha fatto poco, che non ha
dato la misura del suo ingegno, e altre simili
frasi. Così si dice in Italia del Tommaseo, cosi in
Inghilterra di Coleridge. Il suo nuovo biografo
rettifica l' ingiusta asserzione, e cita le belle e
autorevoli parole del Talfourd. Di questo scrit-
tore che ha fatto « tanto poco » io ho qui una
edizione americana in sette grossi volumi di sei-
cento pagine l'uno. Questo scrittore che « non
ha dato la misura del suo ingegno » ha scritto
due Tragedie, ha tradotto il Wallenstein, ha scritto
The Ancient Mariner^ Christabel, le Foglie sibilline,
un altro volume di Liriche; la Biograjphia Litera-
ria, The Friend, gli SUidi su Shakespeare, oltre a
centinaia di opuscoli e di discorsi.
Se Coleridge negli ultimi anni della sua vita
agitatissima, vecchio e malato, preferi di span-
dere i tesori della sua straordinaria dottrina e
della sua portentosa immaginazione dalla viva
CAINF, VITA DI COLERIDGE 38.j
sorgente delle sue labbra invece che affidarli alla
stampa ; — se parlò invece di scrivere — glie ne
faremo una colpa ? IL Taltburd nota giustamente
che la sovrana e veramente ìtnica eloquenza di
Coleridge era secondo lo spirito dei vecchi Bardi
Greci, con una nobile inditTerenza per sé mede-
simo, intento solo ad esprimere e propagare
il divino spirito che lo animava... « Chi è che
udito Coleridge una sola volta, ha mai potuto
dimenticare la sua soave benignità, 1' illimitata
varietà della sua dottrina, le rapide e belle evo-
cazioni della sua immaginazione, la infantile
semplicità con cui dal più arido e umile argo-
mento si sollevava alla più sfolgorante magnifi-
cenza di pensiero e di immagini, versando sul-
l'anima dei suoi uditori un raggio di bellezza
e di saggezza che li educava e li arricchiva
per tutta la vita? I germi di poesia, i materiali
filosofici che egli spargeva cosi profusamente nei
suoi eloquenti discorsi, non sono stati dispersi e
non periranno. Il ricordo della fama di Coleridge
non è solamente nei libri — ma nei giovani cuori
che lo ascoltarono, e che palpitavano al suono
magnetico della sua voce. »
La famosa e, bisogna confessarlo, stupenda
descrizione di Coleridge parlatore, che ha fatto il
Carlyle nella sua Vita di Sterling^ è in tono piut-
tosto caustico, ironico, quasi ostile. Eppure anche
da quella si sente che la impressione che faceva
la parola di Coleridge, era affascinante, irresi-
stibile.
384- CALNE, VITA DI COLERIDGE
Il nuovo biografo comincia il suo libro con
citare parole di autorevoli scrittori attestanti la
grandezza del poeta. Son nominati Wordsworth,
Southey, W. Scott, De Quincej', Landor. — Come
mai vi sono dimenticati due dei più autorevoli,
convinti, ed eloquenti lodatori di Coleridge — lo
Shelley, nella Lettera in versi a Maria Gisborne,
e il Swinburne nel suo magnifico Saggio su Co-
leridge ?
La vita di Carlotta Brente è una vita eroica
nel vero senso Carijdiano della parola. Figlia di
un povero ministro evangelico della Yorksliire,
in numerosa famiglia, dovè lottare fino dai primi
anni con la povertà^ col rigido clima, coi dolori
domestici, con la indifferenza, con ostacoli di
ogni genere. Perseguitata crudelmente da chi più
doveva i^roteggerla, piangeva le lunghe notti in-
sonni, solitaria, inconsolabile. Eppure non abban-
donò mai l' idea di scrivere, di farsi un nome
per amore della gloria e dell' arte, e anche per
guadagnare e migliorare le condizioni disgraziate
della famiglia. Fece da sé stessa la sua educa-
zione, la sua istruzione. Giovinetta ancora, fu
governante e maestra. A sedici anni aveva com-
posto vari racconti e poesie. Più tardi, dei ro-
manzi che offerti agli editori di Londra le furono
spietatamente respinti. Non si perde mai di co-
raggio. Dopo avere osservato, meditato, e com-
posto un romanzo ; dopo averlo scritto e ricopiato
tutto di sua mano, nelle lunghe e gelide notti
BIRRELL, VITA DI CARLOTTA CRONTE 385
del Nord, se lo vedeva rimandato con un rigo di
disa]3provazione e di freddo rifiuto. Non importa:
il giorno stesso cominciava a pensare a un nuovo
lavoro, e ne scriveva le prime pagine. Finalmente,
il capolavoro di Jane, Eyre^ accettato e pubblicato
a Londra, la sollevò a un tratto sino all'altezza
dei Thackeray e dei Dickens ; e fece di questa po-
vera ignorata giovane un nome glorioso e di fama
europea.
Il Birrell in questa nuova Vita di Carlotta
Bronte ha condensato quella ormai giustamente
celebre scritta da Mrs. Gaskell, aggiungendo
nuove notizie importanti sulla famiglia Bronte,
particolarmente sul padre e sulla sorella Emilia,
e dando cosi un quadro completo di questo gruppo
di personaggi eminentemente nordici e inglesi.
Questa vita è un romanzo ed un dramma, e si
legge con la curiosità e l'ansietà con cui si legge
un romanzo od un dramma. La parte critica vi
è trattata sobriamente, forse troppo, perchè le
poche ma eccellenti pagine di esame critico ci
fanno desiderare che ve ne fossero molte più.
Notevole il capitolo IX su Jane Eyre : ove in
pochi tratti efficaci se ne mostrano le essenziali
caratteristiche.
Jane Eyre è uno dei più insigni e vitali ro-
manzi inglesi. Nonostante alcuni difetti, da at-
tribuirsi soprattutto alla inesperienza sociale del-
l'autrice, resta ancora, come analisi e pittura di
caratteri, insuperato. La superba energia, la vi-
rile sicurezza con cui sono scandagliati i motivi
Nencioxi. -- Sagui critici di IcU. inglcae. 25
386 BIRRELL, VITA DI CARLOTTA BRONTÉ
invisibili del dramma palese, non ha riscontro
che in qualche poema drammatico di Roberto
Browning. George Eliot è cento volte più grande
artista di Carlotta Bronté ; Giorgio Sand è cento
volte più poeta di lei; ma la creazione dei due
caratteri, Jane e Rochester, è di una tale perfe-
zione di vita, che per trovarne dei simili, biso-
gna ricorrere a Shakespeare. I ritratti, i caratteri
dei più insigni romanzieri, paragonati a questi
due, sono quel che è una figura riflessa in uno
specchio accanto a una figura guardata faccia a
faccia. E ciò non sfuggi all'acuto sguardo di
Swinburne, il quale nel suo splendido (e talvolta
un po' iperbolico ed enfatico) Saggio su Carlotta
Bronte, insiste sul valore supremo della creazione
di quei due caratteri.
L'antologia inglese degli scritti del Mazzini
si compone più specialmente di scritti letterari
e filosofici. La parte politica è come in seconda
linea. Primeggiano gli studi su Carlyle, sulle
opere minori di Dante, su Lamennais, su Eenan.
Alcuni di questi articoli furon dal Mazzini scritti
originalmente in inglese, altri tradotti da lui
medesimo, aUri furon tradotti espressamente per
questa edizione. Il raccoglitore, signor Clarke, ha
premesso alla sua scelta uno studio biografico
sul Mazzini, breve ma sostanziale. In questa
scelta mi sarebbe piaciuto di veder accolto, tra-
dotto in inglese, l'ammirabile scritto del Mazzini
su la Musica^ composto nel 1836, e dedicato Ignoto
DEL MAZZINI uO/
Numùii. In nessun altro scritto il Mazzini si ri-
vela cosi giusto e profondo critico — in nessuno
ha cosi prevenuto i tempi, ed è stato veramente
profeta come in quelle pagine. Tutti i Wagne-
riani dovrebbero saperle a memoria. Il Mazzini,
mezzo secolo addietro, vide e indicò ciò che, ri-
petuto ai giorni nostri, è parso novità teme-
raria.
Su Tommaso Carlyle non è stato mai scritto,
neppure dopo la sua morte, da nessun critico,
cose più giuste e più efficaci di quelle espresse
dal Mazzini sul « Genio e Tendenze » dell'illustre
Scozzese. Nemmeno il magistrale e vivente ri-
tratto del Taine potrà eclissare o far dimenticare
le potenti pagine del Mazzini ; il quale aveva
col Carlyle grandi affinità e grandi divergenze ad
un tempo. Mentre il Mazzini sembra un'eco di
Carlyle quando inveisce contro lo scetticismo, il
materialismo, l' industrialismo della moderna so-
cietà; quando oppone all'idea del godimento
l'idea del dovere, — egli poi si distacca a infi-
nita distanza da lui, nel giudicare la importanza
dell'individuo umano. Per Carlyle l'individuo è
tutto. La storia non è che una serie di biografìe.
Gli eroi individui creano le epoche storiche e i
destini delle nazioni : il culto degli Eroi è il culto
razionale e cosmopolita che salverà l'umanità. La
nazionalità dell' Italia sta tutta nella gloria di
aver prodotto Dante, Colombo, Machiavelli, Mi-
chelangiolo, Galileo. La nazionalità della Germa-
nia consiste in Lutero, Goethe, Beethoven, Kant.
388 CLARKE, SCRITTI SCELTI DEL MAZZINI
— Shakespeare, Bacone, Elisabetta, Cromwell,
Pitt, Nelson, son l' Inghilterra... Per il Mazzini
invece questi giganti non sono che gì' interpreti
del pensiero nazionale, le pietre miliari della
via che segue V Umanità, i sacerdoti della sua
religione. E questa religione è qualcosa più, anzi
molto più, dei suoi sacerdoti : è, per usare le pa-
role stesse del Mazzini, « l' idea suprema e divina
rappresentata progressivamente dall' insieme del
genere umano. » In nome delle tendenze demo-
cratiche del nostro secolo, il Mazzini protestò
sempre contro questa aristocrazia di culto predi-
cata dal Carlyle ; come scrisse sempre ardente-
mente, eloquentemente, contro la teoria dell'Arte
per l'Arte. « C'è, diceva il Mazzini, qualche cosa
di più grande, e più divinamente misterioso, di
tutti i grandi individui — ed è la Terra che li
sostiene, la razza umana che li comprende in
sé, e il pensiero di Dio che si agita in essi, e che
solo l'opera collettiva di tutti può tradurre in
fatto pratico ed in norme di vita. »
E molto da lodare il signor Clarke di aver
pubblicato tradotto in questa eccellente Antologia
V importante scritto del Mazzini in risposta a
quello del Renan su la « Réforme intellectuelle
et morale. » E l'ultimo lavoro di molta impor-
tanza uscito dalla penna di Mazzini. La questione
che vi si dibatte è tuttora ardente, discussa, at-
tuale e vitale. Ed è bene che, per mezzo di una
lingua ormai universale come la inglese si dif-
fondano sempre più le dottrine umane e spirituali
CLARKE, SCRITTI SCELTI DEL MAZZINI 389
sostenute dal Mazzini contro l' invadente scetti-
cismo critico, materialismo e fatalismo filosofico,
e indifferentismo politico.
Il Mazzini ha fotografato le dolorose condii
zioni della Letteratura e dell'Arte in Europa dal
Sessanta in poi. E quel che egli più ardente-
mente combatte è lo scettico indifferentismo, la
contemplazione egoistica, il dilettantismo. Dopo
aver riportate molte sentenze del Renan in favore
della inerte filosofia contemplante, della scienti-
fica impassibilità e indifferenza nel giudicare uo-
mini e cose, il Mazzini scrive queste memorande
parole che oggi sono di una importanza, e di una
opportunità anche più attuali ed urgenti. « Pur
troppo il Fatalismo è conseguenza necessaria di
tale scuola filosofica. E conseguenza del Fata-
lismo sono la giustificazione del male, e la con-
templazione egoistica sostituita all'azione. A che
la condanna, se tutto s' incatena in una serie di
fenomeni che sono effetto e cagione ad un tempo
in virtù di forze e leggi della materia, immuta-
bili perchè non intelligenti? Abbiamo infatti
veduto e, vediamo scrittori tedeschi, inglesi,
francesi e italiani, farsi dottamente apologisti
di ogni vizio e di ogni tirannide, con le riabili-
tazioni di Siila, di Caligola, di Xerone, di Mes-
salina, dei Borgia.... L'anima nostra si solleva a
sdegno contro questo nuovo quietismo delle Lettere
e della Filosofìa. Le questioni alle quali con beata
tranquillità accenna il Renan, costarono lacrima
Q sangue all'Umanità ; e nessun pensatore ha di'
390 CLARKE, SCRITTI SCELTI DEL MAZZLM
ritto di guardare ad esse come a puro soggetto
d'analisi e di ginnastica intellettuale... L'intel-
letto è un tesoro, un sacro deposito affidato da
Dio al pensatore, perch' ei lo distribuisca al po-
polo di fratelli, che non potrebbero soli e abban-
donati raggiungere il fine. Ammetto che il ti-
ranno ed il martire, l'accusatore e la vittima,
abbiano ambedue la loro ragione di essere — ma
a patto che da noi si condanni la memoria del
primo, e si veneri la memoria dell'altro. Il Male
è strumento indiretto, inconsapevole, di progresso
nel mondo ; ma a patto di essere, in nome ap-
punto del Progresso, combattuto, schiacciato, eli-
minato a poco a poco dal mondo. Non siamo
quaggiù per contemplare il creato, ma per fondare
sulla terra, per quanto possiamo, una immagine
del regno di Dio ; non per ammirarne i contrasti.
L'egoismo è quasi sempre al fondo della inerte
contemplazione. Il mondo non è uno spettacolo^
ma è un campo di battaglia ; nel quale quanti
hanno a cuore il Giusto, il Vero, il Bello, devon
compiere, soldati o capi, vincenti o martiri, la
loro parte. »
Parole d'oro, che vorrei veder tradotte non
solo in inglese, ma in ogni lingua, e meditate
dalla gioventù di ogni paese ; come antidoto
contro l' invadente materialismo, larvato oggi con
speciosi nomi scientifici.
Contro questa piaga, contro questa paralisi,
hanno scritto pagine di fuoco i più nobili e
grandi ingegni moderni — da Schiller a Shedev,
CLARKK, SCRITTI SCELTI DEL MAZZINI 301
da Carlyle a Michelet, da Manzoni a Victor Hugo.
Il Mazzini non è dei meno eloquenti. Ma tutti po-
trebbero dire : Xos canlmus surdis...
(^uova Antologia, IG agusto 1888.)
L'epistolario del grande emancipatore irlan-
dese è oggi materia di vivaci discussioni in In-
ghilterra e in America. I giudizi della stamj^a sono
in generale passionati, pregiudicati, hanno carat-
tere o di requisitoria o di panegirico. O'Connell,
come Napoleone, è anche oggi « segno — d' ine-
stinguibil odio — e d'indomato amor. »
La verità è che da queste lettere, raccolte con
devozione di discepolo, e illustrate con uno ec-
cellente studio biografico del signor Patrick, Da-
niele O'Connell ci apparisce dotato delle due
grandi caratteristiche dei veri eroi, la bontà e la
forza. La indomata energia del tribuno, l'ardente
simpatia umanitaria, la lotta viva e quotidiana,
non spensero né intiepidirono mai nel cuore di
O'Connell gli affetti di marito e di padre. Le sue
lettere alla moglie son calde d'amore tutte — dalle
prime scritte in piena luna di miele (e di queste
si capisce) a quelle che dirigeva a lei dopo venti-
cinque anni di matrimonio.
Lontano da lei, nel fervore della sua batta-
glia politica — e di qual battaglia! — attaccato
da nemici formidabili ed accaniti, tormentato
dai dissesti economici, preoccupato dell' esito di
392
cinque elezioni, trova il tempo di scrivere pa-
role toccanti e eloquenti alla sua cara Mary, alla
sua sioeetest Mary — e comincia le lettere con
queste parole: My oivn and only Love! tanto è
vero che « la bonté fait le fond des natures
augustes. »
I mondani, i cosi detti positivisti, gli scettici,
i dilettanti, gli opportunisti, ridono di questi sen-
timentalismi degli uomini eroici. Eppure una te-
nerezza profonda, un'ardente simpatia umana, di-
stingue gli eroi, gli uomini-realtà, dalla gran
massa degli uomini-fantasmi. Maometto, Dante,
Cromwell, Mirabeau, O'Connell, Garibaldi, hanno
talora espressioni quasi femminili per isquisita
dolcezza di affetto — e chi potrà negare che siano
fra le più possenti ed energiche figure che ci pre-
senti la storia?
E curioso vedere i giornalisti inglesi che di-
scutono oggi la grandezza di O'Connell, e dubi-
tano perfino della durabilità del suo nome! Si ca-
pisce che per lui nessuno potrà più avere l'entu-
siasmo febbrile dei contemporanei. Certi suoi doni
personali di grande oratore, la magnifica e melo-
dica voce, il gesto potente, lo sguardo irresistibile,
la sua tremenda e fulminea vitalità e operosità,
moltiplicavano 1' efficacia della eloquente parola.
Ma in ogni modo, certi suoi discorsi, letti oggi
stampati, e a distanza di più di mezzo secolo, ci
commuovono, ci agitano, come la parola di De-
mostene, del Savonarola, di Lutero, di Mirabeau,
di Yergniaud, di Burke, di Fox, di tutti i veri
CORRISPONDENZA DI O'CONNELL 393
grandi oratori. E il grande oratore si ritrova an-
che in alcune di queste lettere.
10 non so che cosa muova più a sdegno, se
le grossolane invettive contro O'Connell dei gior-
nali suoi contemporanei — il l^imes arrivò fino a
domandare: E fino a quando un tal miserabile
ciarlatano sarà tollerato fra la gente civile? » —
o la scettica analisi e il freddo calcolo di certa
stampa inglese dei nostri giorni. La tartaruga
non è giudice competente del fulmine — né un
timido filisteo può capire e parlare degnamente
di un O'Connell, o di un Mazzini.
11 fatto è che O'Connell è l'incarnazione del-
l'Irlanda. La parola di O'Connell, come prima
quella di Swiffc, è un gemito e un grido, è la voce
delle lagrime e del sangue irlandese.
O'Connell, è fra i pochissimi legittimi leaders
delle Nazioni — un eroe che ricevè il suo diploma
di nobiltà direttamente da Dio. Egli ebbe fede
invincibile nella giustizia di Dio, e nella giusti-
zia della causa irlandese, ebbe un profondo sen-
timento delle realtà visibili ed invisibili — una
profonda avversione per tutto ciò che è vana mo-
stra, equivoco, o menzogna: fu un uomo provvi-
denziale; uno dei pochi a cui si deve obbedire,
come a una realtà naturale in opposizione con
le finzioni sociali.
Invano la stampa inglese cerca mettere in om-
bra la grande figura del Liberatore. Le pietre stesse
parlerebbero di lui, oggi che la questione irlandese
in tutta la sua tragica evidenza e importanza si
394
impone alla vecchia Inghilterra. L' Irlanda è la
grande attualità sotto tutti gli aspetti. La poesia,
il teatro, il romanzo, la tribuna ed il pulpito, ne
sono come saturati. Tutti i vecchi libri sulla que-
stione irlandese si ristampano, si rileggono, si
commentano. Ho qui sul tavolino una nuova edi-
zione popolare degli Irish Tracts di Swift.... Qual
libro! Comparato ad O'Connell, Swift è come
l'acido corrosivo paragonato alla fiamma distrug-
gitrice. Si sente che una violenta indignazione
bolle nel cuore di Swift.... Ma come sa contenersi!
Accomoda le labbra a un sogghigno, e ogni pa-
rola che gli esce di bocca è come una punta av-
velenata. Nei suoi sarcasmi vi è 1' odio conden-
sato, distillato, per dir così. E nella santità della
causa che difesero, il misantropo Swift dà la
mano all'umanitario e magnanimo O'Connell.
AVilliam Story sembra con gli anni acqui-
stare nuovo vigore e più feconda operosità; egli
ha ora pubblicato un suo lavoro su Micìielangiolo,
che come studio biografico e critico, ha un singo-
lare valore.
W. Story è un americano la cui vita è pas-
sata in grandissima parte in Italia. E 1' arte di
Story ha quasi sempre ispirazione e soggetto
Italiano.
Egli è anche un eloquente oratore: e rappre-
sentando recentemente alle grandi feste di Bolo-
gna r xlccademia di Scienze del suo paese, ebbe
parole calde di simpatia, pittoresche, e applaudi-
395
tissime, sull'antico e sacro legame che unisce
l'Italia e rxlmeiica. Parte di questo scritto su
Michelangiolo fu letto nella scorsa estate in una
Conferenza da lui fatta in Londra, dinanzi a un
pubblico composto di artisti e di scrittori, e del
fiore dell'aristocrazia Londinese; ed ebbe grande
successo. Era, credo, la prima volta che uno sc?^?-
fo?'e parlava di Michelangiolo; che sul più grande
rappresentante dell'Arte, prendeva la parola un
artista.
Leggendo ora questo studio critico, ciò che
più ci colpisce è appunto la competenza artistica
e la scienza del suo soggetto, che lo Story ci mo-
stra a ogni pagina. E anche è notevole che dopo
il Ruskìn, il Michelet, il Grimm, il Pater, il Taine.. .
lo Story abbia trovato cose nuove da dire su que-
sto argomento. Ma le ha trovate^ parlando e giu-
dicando come scultore.
Le parti più notevoli di questo studio sono
quelle sui due Rinascimenti Italiani^ sul carattere
di Michelangiolo come uomo e come cittadino, e
su le statue della Cappella Medicea. Traduco una
di queste ultime pagine, a conferma di quanto ho
detto, e sicuro di far cosa gradita a ogni lettore
italiano.
« .... Dal corridoio si entra nella Cappella. E
solenne, fredda, nuda, bianca, illuminata dall'alto
per una lanterna aperta sul cielo. Non vi è colore
perchè la parte in basso è di marmo bianco, e la
parte superiore è di stucco. Un senso di freddo vi
penetra nelle ossa appena entrati — la Cappella
396 STORY, MICHELANGELO
è come incantata in un gran silenzio, da quelle
maestose e solenni figure. Vi sentite subito sotto
una seria, grande, potente influenza; snbìte un
fascino di un carattere affatto diverso da quello
che qualunque altra opera scultoria antica o mo-
derna aveva finora prodotto in voi. Qualunque
possano essere i difetti di queste grandi opere, e
son molti e evidenti, si sente che qui un sovrano
intelletto e una suprema possanza hanno lottato,
e si sono, per dir così, aperte una via dentro il
marmo, per estrarre dall'insensato blocco, gigan-
tesche e quasi soprannaturali figure. Non è la
Natura che qui Michelangiolo si è curato di imi-
tare e di esprimere, ma ha voluto dar corpo a un
pensiero, dar forma a concetti che oltrepassano i
limiti della natura ordinaria. È inutile voler appli-
car qui le rigide regole del realismo. Le attitudini
sono forzate, quasi impossibili. Nessuna figura pò-'
trebbe mantenersi per più di un minuto nell'atti-
tudine in cui è scolpita la Notte; e dormire in
quella posizione è addirittura impossibile. Eppure
un enorme peso di sonno grava su questa figura ;
e la solennità della notte la circonda. Cosi anche
il Giorno somiglia più un titano primitivo che un
essere umano. L'azione della testa, per esempio,
non è naturale. La testa stessa è solamente sboz-
zata, appena ne sono indicate le fattezze. Ma que-
sto è appunto un tratto di genio; perchè la sag-
gestione di mistero in quel vago e non finito volto
ci fa una impressione di gran lunga maggiore di
quella che ci farebbe la testa più lavorata e
397
finita.... Lo stesso carattere hanno V Aurora e il
Crei^uscolo. Non sono un uomo e una donna, ma
due tipi di idee. Una alza la testa, perchè è presso
il mattino — l'altro l'abbassa, perchè si addensa
già il buio della sera Non vi è segno di gioia
in nessuno dei due: sono oppressi da una profonda
tristezza. U Aurora non sorride all'apparir della
luce; non è lieta, ha poca speranza, ma guarda al
nascer del giorno con una terribile stanchezza,
quasi con disperazione: essa vede poca promessa,
e assai più dubbi e terrori che speranze. Il 6Ve-
puscolo si piega sdegnosamente al riposo; il giorno
non ha prodotto nulla, è stato infecondo di ogni
bene — e oppresso e disperato vede addensarsi
le tenebre.
« Che cosa volle Michelangiolo significare e
incarnare in queste statue, è sempre una con-
gettura ; ma certo non potè essere un comune
concetto. Egli non cercò di esprimere né la bel-
lezza, ne la grazia, né la verità naturale. Nello
scolpire quelle figure, il peso del grande enimma
della vita dovè gravargli sul cuore; la lotta del-
l'umanità contro forze superiori l'opprimeva. Egli
mise in quelle statue i dubbi, i timori, la pos-
sanza e r indomita volontà della sua grande
anima. Esse non possono quindi esser riguardate
come espressione della naturale giornata del
mondo — della gloria del sole sorgente, della te-
nerezza del tramonto, dell'aperta letizia del giorno
del calmo riposo della notte: ma invece come le
stagioni e le epoche dello spirito umano — coi
398 STORY, MICHELANGELO
suoi dubbi e coi suoi "terrori, coi suoi dolori e con
le sue aspirazioni. »
Vere e belle ed eloquenti parole! perle quali
ogni Italiano, ogni artista, deve essere ricono-
scente all'autore. Forse Story non ha abbastanza
indicato una delle fonti, la più efficace, credo, di
quelle tragiche ispirazioni ~ cioè le condizioni po-
litiche dell'Italia. Per me non vi ha dubbio che
gli affreschi della Sistina e le tombe di San Lo-
renzo^ sono un gemito e un fremito, una protesta
e una profezia; come i canti di Dante, come le
prediche del Savonarola.
Durante la funesta guerra della Lega, Mi-
chelangiolo creò le Sibille e i Profeti^ quelle figure
minacciose e formidabili, quelle teste illuminate
come da una fornace interiore, tutte esprimenti
la rivolta e l'indignazione, quale Michelangiolo
dovè provarla in quel suo perfido tempo di tra-
dimenti, di sacrilegi, di stragi, di saccheggi, di
veleni; il tempo dei banditi coronati, quando
l'Italia perdeva tutto il più vitale suo sangue. E
dopo gli ultimi aneliti della libertà Fiorentina,
scolpì il pensoso Crejmscolo^ e le invadenti tenebre
della Notte...
Dio, la coscienza umana, e la forma umana
nelle attitudini di profonda passione, furono gli
eterni soggetti di Michelangiolo. Le bellezze della
natura esteriore o non curò, o non lo consolarono;
e parve non badarvi mai nemmeno nelle sue pit-
ture. I campi, i boschi, i fiori, le nuvole, i monti,
il mare, che vediamo rappresentati nelle opere di
STORY, MICHELANGELO 399
Leonardo, di Tiziano, del Correggio, del Tinto-
retto, spariscono, e rimane solo ciò che è del do-
minio esclusivo dell'anima umana. Appena qual-
che rara volta egli ritrae grigie linee di nude
rupi, e misteriose forme vegetali, che sembrano
appartenere a un mondo primordiale, avanti i
giorni della Creazione. — Uomo veramente unico,
e al quale solo, dopo Dante, può darsi giusta-
mente il titolo di divino. La sua grande e nobile,
bella e sublime, patetica e tragica figura, rivive in
tutta la intensità della sua terribile fisonomia, in
queste pagine di William Story.
{Suova Antologia, 16 dicembre 1888.)
A tutti i cultori della poesia inglese è noto
e caro il nome di Eugenio Lee-Hamilton, l'autore
di Apollo e Marsia e della Nuova Medusa. Oggi,
con questo volume di Imaginary SonnetSj egli
conferma la sua bella fama di forte poeta, e
acquista un nuovo titolo alla nostra ammirazione.
Il carattere di questi Sonetti è, come quello dei
precedenti poemi, essenzialmente drammatico. Per-
sonaggi storici di ogni età, di ogni clima e di
ogni condizione, da Ezzelino a Santa Teresa, da
Donna Bella a Latude, da Stradivarius a Kotz-
sciusko, espjrimono in un monologo, o apostro-
fando altro personaggio, uno stato d'animo ecce-
zionale di una condensata energia. E una poesia
psicograjìca tutta pensiero e sentimento, e di una
400 LEE HAMILTON, IMAGINARY SONNETS
sconfinata varietà di pensieri e di sentimenti. La
forma del sonetto adottata costantemente diventa
forse un po' faticosa nella sua monotonia. E vero
che un libro di questo genere non si legge di
seguito come un poema, un dramma o un ro-
manzo ; tuttavia io credo che un po' di varietà
nel metro avrebbe meglio secondato la varietà
degli argomenti.
Ciò che caratterizza soprattutto questi sonetti
è la virile energia dello stile : ogni vocabolo è di
una precisione e di un significato efficace ed
inevitabile. Alcuni paiono acque-forti di Rem-
brandt, nel loro tragico accento crepuscolare,
come quelli di La Balue, di TiUfj, di Ezzelino ;
altri sono illuminati splendidamente, meridional-
mente, come quello di Santa Teresa alle Porte del
Cielo. Ve ne sono dei profondamente tristi, come
quello della Pia dei Tolomei, dov'è notevole la
precisione del paesaggio maremmano, e quello
bellissimo su Lorenzo Be' Medici che contempla il
suo ultimo autunno da una finestra della villa di
Careggi ; e ve ne sono dei soavemente malinco-
nici, come quello di Giovanna Grey ai Fiori e agli
Uccelli. In alcuni vi è 1' entusiasmo eroico della
fede o del sacrifizio, come in quelli di Galileo
alla Terra^ e di Mademoiselle de Somhreicil alla Li-
hertà; in altri predomina una tremenda ironia
(Latude ai suoi topi) o un tragico sarcasmo {La
Duchessa Salviati). In tutti una poteDza di analisi
e di espressione, che ci rammenta spesso che l'au-
tore è un compatriotta di Roberto Browning.
LEE HAMILTON, LMAGINARY SONNETS 401
Eccone iu saggio qualcuno, die io traduco
il più letteralmente che sia possibile.
Venere a Tannliduser
— Tu sei il raggio di sole fra i boschi d'a-
bete ; tu sei la suonante voce del ruscello, e il
murmure dell'ape selvatica; tu sei la fragranza
della gomma stillante, che profuma il mattino
come mirra montana.
— La tua forza è come quella della neve
quando il piò della Primavera smuove gli adden-
sati mucchi che precipitano col fragore del tuono.
La tua voce è come l' invito che desta le cose as-
sopite, quando Aprile riempie i boschi col ronzìo
degi' insetti.
— Adone fu per me la palpitante onda del
Sud, il molle lambente fulgore ai miei piedi, l'alito
di cedro che spira dalle isole greche.
— Ma tu, forte brezza, ineffabilmente più
cara, pungente con l'acre odore delle nordiche
selve, tu lo hai sbalzato dal mio cuore, e vi regni
sovrano.
Latucle ai suoi toj)i
— Ho trovato un pezzo di legno e me ne son
fatto un flauto. Topi del mio carcere, che volete
voi eh' io vi suoni ? Volete il canto dei ruscelli
che scorrono fra l'alte erbe, ove strisciano e ro-
teano le allegre rondini ?
— 0 vi dirò i tappeti di musco a pie degli
ifEXCiONl. — Saggi critici di leti, inglese. 26
402 LEE HAMILTON, LMAGINARY SONNETS
alberi della foresta dai grandi rami pendenti — o
i pomari di autunno, splendenti nel mite sole e
rosseggianti di frutta ?
— 0 debbo modularvi soavemente quanto
mai buono è l'uomo, qui su questa terra, dove
nessun dolore perdura, dove non si ode un sin-
ghiozzo, dove non si versa una lacrima ;
— Dove nessuno giornalmente invoca come
liberatrice la morte ; dove non allignò mai, dal
principio delle cose, la tirannia; dove il dolore
ci morde con denti non più acuti dei vostri ?
Santa Teresa alle Porte del Cielo.
— Le glorie del sole che tramonta son nulla
in paragone di quelle della mia nuda cella, le cui
pareti si aprono come nuvole che si dividono, e
danno passaggio al mio spirito, che sale fino alle
porte del Cielo fatte di fiammante topazio.
— In quell'abisso di gloria che trascende il
pensiero, come effimere bolle in una corrente
d'oro ri splendono visi di angioli, e turbinano mol-
tiplicati, e spariscono appena 1' occhio li vede.
— Poi da quel varco, come dalla porta spa-
lancata di una gran cattedrale, piovono in flutti
di gloria antifone celesti che vincono ogni umana
espressione ;
— Finche, inebriata di luce e di suono, e
languida dal digiuno, il corpo si accascia, lo spi-
rito non ha più forza di sollevarsi, eie pareti della
cella mi si richiudono attorno.
LEE HAMILTON, IMAGINARY SONNETS 403
La Duchessa Salviatl a Caterina CanaccL
— E così, sua Eccellenza il mio sposo ama
di passare dell'ore intere ai tuoi piedi; e tu di-
sciogli i capelli, ed egli immerge le dita nel ru-
scello d'oro che ti ondeggia sulle spalle, mia dolce
ragazza ?
— Egli ora non ama più la massa d' ebano
nero blu dei miei ; e le mie gote olivastre gli
paiono avvizzite; ne più loda i miei denti che son
più bianchi, mi dicono, di quei della vipera in
mezzo all'erba.
— Sgualdrina, io ho un capriccio per lo
fila d' oro : vuoi darmi un tuo biondo ricciolo
per divertirmi, mentre seggo qui nel solitario
mio letto ?
— Ma prima che tu tagli quel ricciolo, chi
sa eh' io non ti chiegga anche la testa, e dia un
compito oggi stesso ai miei bravi!
Emilio Hennequin in un recentissimo vo-
lume intitolato Études de Critique scientijìque esa-
mina l'opera dei più insigni « Ecrivains Fran-
cisés » — Dickens , Heine , Tourguénieff, Poe ,
Dostoiewski, Tolstoi. Applica alla letteratura le
teorie Spenceriane, e fra molte deduzioni forzate
e discutibili affermazioni, fra molto dogmatismo
scientifico e sistematico, ha delle vedute nuove e
profonde, ha una analisi acuta, e apre ed esplora
arditamente nuovi orizzonti. Gli studi su Heine e
404' HENNEQULX, DICKENS E POE
Tolstoi sono veramente ammirabili. Oggi, scrìvendo
una Rassegna di Letteratura Inglese, mi sia con-
cesso prender la parola a proposito dei giudizi su
Dickens e su Poe — giudizi di cui già si preoccupa
la stampa inglese ed americana.
Sul geniale autore di David Copperfield^ Emi-
lio Hennequin è eccessivamente, e a mio giudizio
ingiustamente, severo. Si compiace a mettere in
luce meridiana, in evidente rilievo, i difetti di
Dickens — e certo ne ha molti; ma non tiene
conto, quasi sopprime, in un certo modo, i pregi
sovrani del gran romanziere. Già Dickens è di-
ventato da qualche tempo la bète noire della cri-
tica naturalista e scientifica. Dagli appunti ri-
spettosi e dalle riserve, miste però a sincera
ammirazione, dei Lewis e dei Taine, siamo pas-
sati all' assoluto deprezzamento, alla ingiusta re-
quisitoria di Hennequin. Tutti gli scrittori che
hanno carattere di larga umana simpatia, in cui
predomina il senso della pietà, sono fatti bersaglio
della critica nuova: nessuno si salva; né la Sand,
ne Hugo, né Michelet, né Tourguéniefi*. Ora co-
minciano le ostilità anche verso Tolstoi....
La maggior colpa che si fa a Dickens è quella
di commoversi e di commoverci — è quella di
amare i poveri, i diseredati, gli oppressi. « L'arte
di Dickens, scrive Hennequin, è un' arte morale ;
ed è in virtù di certe regole precise, di una spe-
ciale veduta delle cose di questo mondo, che egli
biasima o loda.... Persone senza educazione, senza
capacità, senza carattere, ridicole, stupide, brutte
IIENNEQUIN, DICKENS E POE 405
di corpo, deboli di spirito, totalmente nulle, sono
amate da Dickens purché non facciano male a
nessuno. » Verissimo; ma invece di colpa gliene
va fatto merito grande. Una creatura umana non
è mai nulla: è un'anima, un riflesso, sia pure
oscurato, di Dio. Almeno tale era per Dickens; e
su queste povere, umili, strane, ma buone e inno-
centi creature, egli riversava il suo giocondo e
simpatico umorismo : e il lettore sente che anche
quei poveri diavoli in fondo sono zcommij e s' in-
teressa alle loro umili storie. Di più : per 1' umo-
rista, e Dickens è essenzialmente umorista^ non vi
sono grandi e piccoli avvenimenti. Un incidente
inconcludente può assumere un profondo e intenso
significato. La critica francese, compreso lo stesso
Taine, giudicando Dickens, dimentica sempre che
si tratta di un umorista, e gli fa colpa dei suoi
più vitali e ammirabili pregi.
« In Dickens, in tutti i particolari della sua
opera, si palesa l'attività costante di una potenza
di sensibilità estrema, poco variata ma sempre
desta, di modo che un minimum di immagini e
di pensieri basta ad alimentare l'attività tutta
morale di questo romanziere, mentre tutto il resto
gli è fornito dalla propria emozione. » — Sia
pure: ma allora bisogna dire che la emozione gli
dà un intuito di una potenza suprema, se essa
sola è bastata a fargli scrivere la fuga di Sikes e
la morte di Dora; a creare personaggi viventi come
Micawber, Steerfort, Sam Weller, Pecksnilf e
Mistress Gamp. '
406 HENNEQUIN, DICKENS E POE
« Se ne togliete l'aspetto che il mondo pre-
senta a una inconsiderata pietà, Dickens non vi
trova nulla che lo commova. Sono esclusi tutti
gli spettacoli che esso fornisce di sensualità e di
pura intelligenza.... Non penetra la violenta bel-
lezza delle passioni, i grandi slanci dell'ambizione,
della lussuria, dell'amore, della collera; i sordi
conflitti delle idee e dei sentimenti, delle convin-
zioni e degli atti, che la vita ci impone. » — Prima
di tutto, se Dickens non ci ha dipinto gli impeti
della lussuria — les élans de la luxure — ha fatto
benissimo. — Vi è in Francia chi ce li dipinge
anche troppo!... Ma, dato e non concesso, che ve-
ramente Dickens non abbia descritto tutte le sud-
dette cose, che vuol dire? Vuol dire che quello
non era il suo campo, o non volle occuparsene.
Ma ha descritto invece, e in modo unico ed im-
mortale, tante altre cose. Ed è da queste che va
giudicato.
Quando poi Hennequin aggiunge che « la
natura, il cielo e il mare, i drammi cangianti della
luce, le nuvole, la notte non hanno attrattive per
Dickens » è assolutamente ingiusto. Tutti i più
grandi descrittori di paesaggio e critici d'arte, il
Carlyle, il Euskin, il Taine, riconoscono in Di-
ckens un paesista di primo ordine. Basterebbero
a provarlo le stupende descrizioni naturali di ogni
genere che si ammirano in Copperfield^ in Martin
Chuzzleioit, in Great Exjjectations, in Our Common
Friend.
Dickens è un osservatore anche troppo acuto
IIENNEQUIN, DICKENS E POE 407
ed intenso. Persone e cose son viste da lui come
nella netta e precisa visione di un lampo. Non
trascrive, ma dipinge. E se anche spazia nei campi
della fantasia e di un poetico umorismo, non
perde di vista la realtà, mai. Il Cliristmas Carol,
per esempio, è fantastico come un racconto di
Hoffmann, ed è vero, solido e umano come una
pagina di Channing. Grande e buono: dopo Wal-
ter Scott, nessuno meritò meglio di Dickens que-
sta gloriosa denominazione. Coloro che in arte
vorrebbero escluse elevazione e bontà, provano
un sentimento di repulsione per l'autore di i)ayò(^
Copperfield] ed è naturale.
Lo studio su Poe a me pare di gran lunga
superiore. Anzi, preso nel suo insieme, io lo credo
il più forte e coscienzioso studio critico scritto
finora sul poeta e novelliere americano. ]\Ia a
molti parrà per lo meno esagerata la impassibi-
lità obiettiva, la predominanza intellettuale, che
Hennequin riscontra ed ammira nell' opera di
Edgardo Poe.
« Ogni violenta commozione dell' anima, se
chi la prova si sforza di esaminarla e padroneg-
giarla, cessa di impressionare la coscienza come
emozione, e diventa conoscenza. Così fa costante-
mente Edgardo Poe, ed in virtù di questa fa-
coltà le sue opere hanno acquistato una forma
cristallina e geometrica, acuta e definitiva, e
sono perfette, glaciali, precise. In Poe le emozioni
si trasformano costantemente in j^ensieri.... Come non
è necessario a un professore per inventare un
408 HENNEQUIN, DICKENS E POE
problema di risentir l'imbarazzo che cagionerà ai
suoi scolari; come un attore sa simulare la gioia
e il dolore senza provarli; come un fabbricante
di giocattoli non è obbligato a divertirsi nel fare
cerchi e trottole perchè queste possano divertire
i ragazzi ; così, ad artisti commossi dalla loro
proj)ria opera, potranno succedere artisti appas-
sionati e non passionanti.... »
Per approvare completamente il giudizio cri-
tico di Hennequin su Edgar Poe bisognerebbe
ammettere come indiscutibili queste sue idee. A
me non riesce. Come è possibile, io mi domando,
di esaminare in se una violenta emozione ì L'esame
esclude subito la violenza: son termini contradit-
tori. Né le opere di Poe son mai glaciali. Né è
vero che un attore non provi punto le gioie e i
dolori che rappresenta sulla scena; anzi i gran-
dissimi attori, Talma e Salvini, Rachel e Ristori,
fino a un certo punto li provano. Il paragone
del professore e del baloccaio é più ingegnoso
che esatto: troppo ci corre tra un poema e un
romanzo, e un cerchio e una trottola.... E se in
Poe era davvero questo supremo dominio del-
l'intelletto e della volontà su tutto ciò che è emo-
zione, passione, istinto, ecc., come mai egli non
seppe punto regolare la sua vita, egli così, geo-
metrico ordinatore della sua arte?
Ad altro motivo io credo si j)ossa attribuire
la perfetta visione e il lucido ordine dei racconti
del Poe : cioè allo stato patologico del suo cer-
vello. L'abuso alcoolico gli aveva dato una specie
HENNEQUIN, DICKENS E POE 4U9
di follia lucida, e le sue immagini diventavano
fissazioni. Eg-li aveva la lucidità nella allucina-
zione. Un fatto, un caso straordinario che lo pre-
occupava, assorbiva tutto il suo essere; egli non
era distratto da immagini subiettive e secondarie,
da idee relative; ma in uno stato di iperestesìa
cerebrale, vedeva più addentro e più in là di quel
che comunemente si vede anche dai più insigni
analizzatori. Certe sue pagine sembrano rivela-
zioni magnetiche: e senza averle sentite, e inten-
samente sentite, non era possibile scriverle. Non
già che egli scrivesse in uno stato di ebbrezza,
come fu scioccamente creduto da taluno — ma
l'abuso alcoolico aveva modificato le sue facoltà
cerebrali, paralizzandone alcune, e sovreccitan-
done altre fenomenalmente.
Nella collezione di biografie di Grandi scrittori
edite dal professore Robinson, è stata pubblicata
la Vita di Goethe di James Sime. È un libro sotto
ogni aspetto eccellente, e che raccomandiamo cal-
damente ai lettori. Non è una delle solite compi-
lazioni, ma è il frutto di lunghi e coscienziosi
studi su la vita e le opere di Volfango Goethe.
Tutto quello che di più sostanziale è stato scritto
sul gran poeta, da Schlegel a Taine, da Ecker-
mann a Lewis, da Sainte-Beuve a Cart, è riepi-
logato in questo volume. Sobrio, esatto, ordinato,
è un vero modello di biografia. Notevolissima la
storia della gioventù e delle prime opere di Goe-
the — le origini del Goetz e del Werther. Belle ed
4-10 SIME, VITA DI GOETHE •
esatte le pagine sul viaggio di Goethe in Italia,
lontane dalle acri ironie di Menzel, come dagl'inni
e dal feticismo di Blaze e di Daniel Stern.
Il libro si conclude con una rapida e densa
sintesi dell'opera Goethiana. « Come scienziato,
scrive il Sinie, Goethe va annoverato fra i più
avanzati investigatori della sua età. Egli è un
precursore, un annuuziatore di ciò che è la cor-
rente centrale del pensiero moderno — l'idea
della evoluzione... Come critico d'arte fu, dopo
Winckelmann, il più gran rivelatore e spiegatore
dell'arte antica e nel suo studio dell'arte moderna
egli si rivolgeva con istintiva simpatia a quei
pittori e scultori la cui tecnica abilità era ado-
perata in servizio di alte e immaginative idee.
Nessun critico mostrò con più insistenza e con
più efficacia di Goethe che l'arte la quale fa di-
vorzio da seri e nobili e umani pensieri, non può
dare che misere ed effimere produzioni.
« Quasi ciascun elemento della vita umana
è toccato nelle poetiche creazioni di Goethe; ep-
pure i suoi scritti debbon riguardarsi come parti
di un'unica Confessione. Per remoti che sembrino,
a primo aspetto, dalla personale esperienza del
poeta, son tutti, direttamente o indirettamente,
basati su avvenimenti della sua storia personale.
Quindi, la straordinaria vitalità di quelle idee.
Egli non può tuttavia esser considerato come un
realista, se per realista s'intende chi non fa altro
che rappresentare esattamente ciò che ha visto o
sentito. Prendendo la realtà come a fondamento
SIME, VITA DI GOETHE 4-11
dell' edifizio ideale, Goethe ne separò ogni associa-
zione di temporaneo o accidentale interesse. La
mise in nuove relazioni, la toccò col magico po-
tere della immaginazione, e dette a fatti indivi-
duali un significato iinicerscde: e perciò le sue
opere sono oggi giovani e fresche come il dì che
furono scritte. »
Notevoli anche le pagine 1:1 elle quali il Sime
parla di Goethe come critico letterario, della sua
perspicacia, della sua divinazione nel riconoscere
e salutare il genio nascente dello Scott, di Byron,
di Manzoni, di Victor Hugo, di Carlyle. E a pro-
posito di quest'ultimo, in questo nuovo libro sem-
pre più si mostrano in evidenza le ragioni logiche
e naturali del culto di Carlyle per Goethe —
culto che, a prima impressione, e giudicando un
po' superficialmente, è parso a molti una contra-
dizione e una mistificazione.
Il nuovo studio biografico-critico su Vittoria
Colonna, di Alethea Lawley è diviso in tre parti.
La prima tratta della vita di V. Colonna sino
alla vedovanza (1525). La seconda va sino alla
morte di lei. La terza discorre delle poesie, e
del loro valore. L' autrice non ha pretensioni :
ma ha composto un volume sostanziale e co-
scienzioso, tutto basato su certi e preziosi, e
talvolta rari 0 nuovi documenti. E un libro scritto
con semplicità, con ordine, con grande amore.
Porta in fronte il ritratto di Vittoria tolto da
quello che è nella Galleria Colonna a Eoma. Belle
415 LMYLEY, VITTORIA COLONNA
le pagine ove si tocca dei primi tre anni del
matrimonio di Vittoria, della compagnia da lei
trovata nella duchessa di Francavilla, e della
educazione da lei intrapresa di Alfonso Del Vasto.
La seconda parte rivela meglio della prima
la poetessa e la scrittrice. E vi si leggon tra-
dotte fedelmente, e spesso felicemente, E-ime in
morte del marito, e E/ime religiose. Eccellente
la traduzione del Sonetto che incomincia : « Non
dee temer del mondo affanni o guerre. »
Nella terza parte si riportano tradotti alcuni
dei Sonetti più notevoli per eleganza e squisitez-
za, e dei quali non fu parlato nelle altre due
parti, perchè non hanno apparente connessione
con la biografia.
In fine si danno, per la prima volta, tre So-
netti da un Codice della Marciana, e in Appen-
dice, la lettera di Carlo V alla Marchesa, dopo la
battaglia di Pavia, e la risposta di lei all'Impe-
ratore. Però, la lettera di Carlo V era stata già
pubblicata dal Eeumont nel suo libro su Vittoria
Colonna.
Qualche svista vi è: ma son rare e non troppo
gravi. Notiamone alcuna. La morte del Marchese
di Pescara accadde il 2 dicembre 1525, e non il
25 di novembre come scrive l'autrice. Ciò è pro-
vato da A. Luzio con indiscutibili documenti. A
pag. 43-44 l'autrice sembra confondere il cosi
detto insulto dei Colonnesi, che fu nel 1526, col
sacco di Eoma, 1627. E alla battaglia navale di
Salerno, Andrea Dori a combattè per i Francesi
LAWLEY, VITTORIA COLONNA 413
'all'
contro gli Spagnuoli, e non contro questi e i Fr
cesi^ come si dice a pag. 40, facendo così Spagnuoli
e Francesi alleati.
La poetessa, la donna religiosa, la gran si-
gnora, son tratteggiate abilmente in questo nuovo
studio biografico, che si fa leggere dalla prima
all'ultima pagina con vivo e crescente interesse.
Ciò che avrei voluto veder messo più in luce, è
il sublime platonico legame che uni i cuori di
Vittoria e di Michel angiolo. Eppure non mancano
documenti e particolareggiate relazioni del primo
incontro, delle loro conversazioni, del bene che il
nuovo affetto fece all'anima esulcerata del Buo-
narroti. Fra i geni trascendentali, Michelangiolo
fu il meno infelice perchè trovò un'anima che lo
comprese, un'anima sorella ; la trovò tardi, ma
la incontrò — e fu Vittoria' Colonna. Dante
Shakespeare, Beethoven, non la trovarono mai
Beatrice è un angelo, non è una confidente.
Quante volte, quando abitavo in Roma, mi
fermai a guardare quella chiesa di S. Silvestro
nella cui sagrestia conversarono di fede, di poesia
e d'arte, Vittoria Colonna e Michelangiolo Buo-
narroti! E ripensavo alle divine consolazioni
date da tale donna a tanto uomo ! alla gioia pura
e tranquilla, come d'un bel tramonto d'ottobre
in Roma, che essa diffuse su quella tragica e de-
solata esistenza ; a quel Crocefisso disegnato da
lui i^er lei^ non in atto languente e abbattuto, ma
sorridente, col viso rivolto al cielo, quasi raggiante
nell'esalare il supremo sospiro..,
414 LAWLEY, VITTORIA COLONNA
Il dolore, lo stoicismo, una religione terribile,
la religione dei Profeti e del Savonarola, avean
temprato l'anima di Michel angiolo. Eepnbblicano
costretto a * servire i principi, sfigurato da un
amico, nato ad amare e sempre solitario e incom-
preso, non ebbe che una consolazione, il lavoro —
che uu idolo, l'arte. E lavorò sempre, e sempre
sotto l' impulso di una ispirazione passionata e
violenta. Poco sonno; vitto da anacoreta; più
volte tentò di morire.... Durante la funesta guerra
della Lega, creò le Sibille e i Profeti; opera su-
blime di dolore, di protesta, di libertà. Dopo il
sacco di Roma, e dopo gli ultimi aneliti della li-
bertà Fiorentina, scolpi la Kotte^ la Tenebra inva-
dente l'Italia, e accanto, una terribile J irrora, per
non disperare affatto o morire...
Beatrice Portioari è la vergine ispiratrice
del genio, nell'aprile dei suoi giorni — Vittoria
Colonna è la donna già matura e consacrata dagli
anni e dal dolore, che lo ricrea e lo consola nel
triste novembre della vita. Le j^arole dette e
scritte da Vittoria a Michelangiolo mansuefecero
il terribile artista ; gli riaccesero in seno un sen-
timento di pace e di speranza cristiana, lo rife-
cero poeta: e l'aquila altera cantò col canto del
cigno le sue ultime gioje terrene, e le celesti spe-
ranze. Quando Vittoria mori, Michelangiolo le
baciò le gelide mani, e pianse. E son forse le più
pure e sublimi lacrime che occhio d'artista abbia
versato su questa terra.
Fa bene il fermare il pensiero ogni tanto su
LWVLEV, VITTORIA COLONNA 415
queste grandi e nobili figure, per consolarsi della
invadente e trionfante volgarità. E ogni libro
consacrato alla loro memoria è opera bella e santa.
Memorie gloriose, il cui riflesso ci scalda ancora
e ci esalta :
0 temps évanouis, ò splendeurs éclipsées,
0 soleils descendus derrière l'horizon!
{^'uova Antologia, 1 maggio 1889.)
Il nuovo volume di Walter Pater rammenta,
con più varietà, e con meno unità di argomenti
e di intendimenti, l'altro famoso dello stesso au-
tore sul Rinascimento. Lo ricorda nel carattere pu-
ramente estetico, nello stile squisitamente artistico,
nel ritmo melodico del periodo, e nell'aborrimento
da ogni convenzionalismo. Come nel libro prece-
dente, il Pater riguarda tutti gli oggetti della sua
critica, ciascuna opera d'arte, le più belle forme
della natura e della vita umana, come poteri o
forze producenti piacevoli sensazioni di un genere
più 0 meno particolare ed unico. Egli sente, spiega
e analizza con amore questa influenza, riducendola
ai suoi primitivi elementi. Per lui un quadro, un
personaggio, una pianta, una poesia, hanno spe-
ciale valore e meritano essere analizzati solo in
quanto hanno facoltà di procurarci una distinta
e indimenticabile impressione di piacere. Egli è
nel campo della critica quel che fu Dante Ros-
setti nel campo poetico; un raffinato, un aristo-
4-16 PATER, APPRECIATIONS
cratico, e se la parola non avesse spesso an senso
troppo odioso, direi anche un finissimo e delica-
tissimo dilettante.
Dilettantismo e pessimismo, ecco le due grandi
correnti della letteratura contemporanea. Non vi
è quasi nome di scrittore famoso che non possiate
oggi classificare sotto una di queste categorie. Il
Pater è un dei più eletti e squisiti rappresentanti
della prima. Egli è troppo spesso l'antitesi di
quella critica umana e feconda che guarda con
amore e rispetto e terrore in tutte le espressioni
della esistenza, per cui la natura e la storia, le
forme e la vita, sono simboli di j^rofondo e incal-
colabile significato ; quale, ad esempio, la critica
di Carlyle e di Michelet.
E il Pater ha un po' il vizio di tutti gli este-
tici — quello cioè di dire tutto, anche talvolta
cose tutt' altro che nuove ed originali, in tono di
oracolo e di rivelazione. Si potrebbe dire di lui
ciò che fu detto dei taciturno Giacobino : « porta
]a testa come il Santissimo Sacramento. » Spesso
infatti, anche in questo nuovo volume, il Pater
ha l' aria di aver troppo sottilmente meditato e
combinato ciò che vuol dire, perchè lo vuol dircj
e fino a che punto, e in che precisi termini lo
dirà.... è insomma, troppo meticolosamente co-
scienzioso, e troppo poco spontaneo ed istintivo.
Certe sue pagine, come certi sonetti del Rossetti,
sono circonfuse di un mistico vapore ; e per ca-
pirle bene, bisogna essere un po' iniziaiL...
Nonostante questi difetti, la critica e la prosa
417
del Pater si raccomandano per qualità di prim' or-
dine. Negli scritti su Pico della Mirandola, sulla
Gioconda, su Sandro Botticelli, negli Studi sul Ri-
nascimento — e in questo nuovo volume le pa-
gine su Wordsworth, quelle sulla Poesia estetica^
quelle su Coleridge e sul Rossetti, sono fra le più
belle e perfette della moderna prosa inglese; que-
sta prosa maravigliosa clie vanta i Carlyle, i
Ruskin, i Thackera}', i Macaulay ed i Newman;
e che può controbilanciare la gloria e lo splen-
dore della prosa francese, e i nomi di Chateau-
briand, di Michelet, di Sainte-Beuve, di Giorgio
Sand, di Renan.
E qui mi permetto di notare una cosa. I più
insigni critici moderni e contemporanei di Europa
sono nei loro scritti, anche nelle più dotte e filo-
sofiche pagine, artisti della parola; e fanno vera-
mente opere d'' arte: tali Guglielmo Schlegel, Car-
lyle, Ruskin, Michelet, Sainte-Beuve, Taine,
Renan.
Come va che da noi, fatte pochissime e tanto
più lodevoli eccezioni, un libro di critica lette-
raria, artistica, o storica, è quasi sempre scritto
barbaramente, in stile da Monitore Ufficiale, senza
vita, senza calore, senza colorito, senza alletta-
mento veruno; grigio ed uggioso come un tetto
di lavagna in novembre? Io credo che derivi, al-
meno in parte, da questo. Il critico italiano ha
una sacrosanta paura di passar da ijoeta — e che
gli si addebiti di non esser abbastanza serio e
scientifico. Ed è un assurdo. Ogni vera critica è,
NtNcioxi. - Saggi critici di lett. inglese. 27
418 ' PATER, APPRECIATIONS
o dovrebb' essere, una resurrezione, o una inter-
pretazione di vita: ma per esprimer la vita biso
2:na aver vita — e i morti non hanno mai resu-
scitato nessuno. E chi ha fiori o gemme da oiFrire,
non li presenta certo sotto un mucchio di pruni,
o fra la stoppa e gli stecchi. Ma chiudiamo la pa-
rentesi, e torniamo al Pater.
Lo scritto su Wordsworth è il più bello giu-
sto e suggestivo che io conosca sul gran poeta con-
templatore — superiore a quelli notevolissimi del
Palgrave, del Rossetti, dell'Arnold, dello Scherer.
Questo articolo del Pater, e le cinquanta pagine
sulle Lyrical Ballads nella Biograpliia Literaria di
Coleridge sono ciò che di più fine e profondo è
stato scritto su Wordsworth.
Poeta veramente grande e benefico ! Vorrei
che anche in Italia si estendessero i suoi benefici
effetti; che si traducessero alcune delle sue più
insigni poesie {Tlnfern Ahhey^ Michael^ Old Cum-
berland Beggar^ Ruth^ Resolution and Independence).
Nel. a serie di belli e utili libri pubblicati
da Elena Zimmern — La Vita di Lessing^ la Vita
di Schopenhauer^ i Racconti eroici da Firdusi, —
questo sulle città Anseatiche (TJie Hansa Toions)
trattando un argomento così importante e cosi
curioso ad un tempo, ed essendo artisticamente
composto e scritto in modo franco e brillante,
è destinato, credo, a meritato successo. Ho detto
e ripeto che il libro è scritto in modo brillante
e attraente, ma non si deduca da ciò che questo
ZIMMERN, THE IIANSA TOWNS 410
studio storico sia superficiale e leggiero. È opera
d'artista die medita: e le lezioni che la umanità
può trarre da questa storia di una Lega secolare,
sono indicate diligentemente ed efficacemente. La
potenza formidabile della forza di Confederazione,
di associazione, aiutata dalla perseveranza e dalla
disciplina, mai forse rifulse di si viva luce come
nella storia delle città Anseatiche. Un oscuro
cittadino di Magonza, immagina nel 1247 di unire
in lega (Hansa) le città commerciali tedesche nella
mutua tutela dei loro interessi. Cento anni dopo,
la Lega si stende dal Reno alla Livonia ; e nel
1364 ottantacinque città sono confederate. La
Lega era signora del Baltico, allestiva flotte, era
arbitra di guerre e di paci. Alla fine del secolo XY
comincia la decadenza — e le cagioni storiche
sono studiate dalla Zimmern con raro acume ed
espresse con felice evidenza. L' argomento del li-
bro interessantissimo è nuovo o quasi nuovo in
Italia; e gioverebbe che qualche nostro intelli-
gente editore ne ordinasse la traduzione italiana.
Elena Zimmern mentre compone coscienzio-
samente i suoi libri, collabora a riviste e gior-
nali inglesi, tedeschi e italiani, occupandosi in
particolar modo di critica d'arte. I suoi articoli
sui pittori e poeti inglesi moderni e contempo-
ranei sono eccellenti; e io conosco poche pagine
di critica cosi equa, illuminata e competente,
come qnelle di Elena Zimmern su Alma Tadema,
Uberto Herkomer, Roberto Burns e Roberto
Browning.
AW LEYY, A LONDON PLANE-TREE, ECC.
A London Plane-Tree, and other Verse, è il ti-
tolo del secondo e, pur troppo, ultimo volume di
poesie di Amy Levy, giovinetta poco più che
ventenne, la quale si è uccisa in Londra pochi
mesi addietro: si è uccisa benché la famiglia
e l'arte, gli affetti, la fortuna e la fama le sorri-
dessero: si è uccisa, per sottrarsi alla visione
del male trionfante ed irreparabile, che ella ve-
deva e contemplava fissamente, disperatamente,
nella società umana, e nella natura. Vi era in lei
del Swift e dello Schopenhauer, dell' Heine e del
Leopardi. Pensava come filosofo pessimista, sen-
tiva come poeta lirico ed elegiaco. L' Inghilterra
ha perduto in lei una vera poetessa, una voce ori-
ginale che prometteva, che aveva già espresse,
ammirabili, penetranti, patetiche note. Ah! se in-
vece di tutti quei pessimisti, prosatori e poeti,
di cui essa nutriva 1' anima amareggiata e l'agi-
tata sua mente, ella avesse amato e ammirato
qualche grande poeta religioso, un Wordsworth,
un Lamartine, un Manzoni; — o elei poeti e pen-
satori umanitari, dal largo e caldo soffio che esalta
e fortifica — uno Schiller, un Victor Hugo, un
Browning — un Carlyle od un Emerson — la po-
vera Amy sarebbe anche oggi vivente e felice
nello amplesso materno — ne pochi carboni ac-
cesi avrebbero atrofizzato per sempre una delle
più belle intelligenze contemporanee!
Mi ricordo di averla vista la prima e unica
volta in Firenze, tre anni fa, in casa di Vernon
Lee. Era una figurina simpatica, piuttosto pie-
LEVV, A LONDON PLANK-TRKE, ECC. -121
cola e gracile, biauco-vestita; parlava poco e con
soavissima voce, e aveva negli occhi una pro-
fonda immedicabile malinconia.
Il libro che ho qui dinanzi è come il suo te-
stamento di dolore e di amore. Ne rivide le bozze
una settimana prima di accendere il micidiale
fornello. E un libro che sa di sepolcro....
A Minor Poet and otJier Veì\se, è il titolo del
precedente volume della Levy. Vi son cose note-
voli e forti; per esempio: Xaniippe e Medea: ma,
almeno nell'intonazione, essa ricorda altre grandi
voci poetiche — Browning, Swinburne, Tenn^^-
son. Invece, nel secondo e nuovissimo libro, cioè
in questo Platano di Londra^ è lei in tutta la in-
dividualità della sua dolorosa e magnetica fiso-
nomia. Solo qua e là vi è qualche vago ricordo
di Heine e Musset. In generale, sono accenti ori-
ginali, penetranti, che arrivano al cuore come le
note passionate di un violino.
Essa ha un senso plastico della realtà, che è
veramente singolare in una giovinetta. Le sue
pitture Londinesi, il suo paesaggio semplice e ru-
rale, sono di una verità grafica maravigliosa. Ha
l'arte di condensare in puro diamante le sue la-
crime, di trovare la parola, l'epiteto preciso ed
inevitabile, di ottenere effetti potenti con sempli-
cissimi mezzi. Mai ombra di frasario, di tirade,
di poesia da lucerna.... E che sincerità di tri-
stezza, di amarezza! Come si sente che ella non
poteva più vivere! Il Lazaro di Heine, il Joseph
Delorme di Sainte Beuve, e qualche volta il Leo-
4-2^
23ardi, posson soli dare un' idea di tanto e cosi
immedicabile spasimo. Si veggano in prova le
poesie intitolate Ultime Parole^ Nella Foresta Kera^
I Due Terrori^ Fine del giorno^ e La Promessa del
Sonno.
Quando essa parla della Morte, il suo ac-
cento diviene di una tenerezza ineffabile; somi-
glia ad una carezza, ad una preghiera. Anche
essa sembra come il nostro Leopardi, aspettare
con avida impazienza il momento di « piegare
addormentata il volto nel suo virgineo seno. »
Questa infelice giovinetta a momenti cercava
e aspettava la redenzione della società e dell' in-
dividuo dalla scienza — vagheggiava una Vita
Nuova a base Spenceriana, un Eden positivista....
Nelle sue pitture e bozzetti della vita di
Londra, la Levy mi fa ricordare Tommaso Hood,
E ripenso ai diversi destini di questi due poeti.
Anche Hood vedeva e sentiva, quanto potè sen-
tirlo la Levy o il Leopardi, il dolore; e lo con-
templava nella natura e nell'uomo. Ma Tommaso
Hood credeva in Dio, poteva pregare. E Tommaso
Hood co' polmoni affranti, la povertà alla porta,
torturato da fisici e morali patimenti, non si
uccise; ma lottò eroicamente, di giorno in giorno,
di anno in anno, fino al momento supremo.
Vari anni fa, io scrissi su questo singolare
e ammirabile poeta, e invitavo i lettori a procu-
rarsi le sue Poesie, le serie e le umoristiche; e
oggi ripeto volentieri l'invito. Il buono, l'umano,
l'onesto, il nobile Hood! dal riso sempre innocente,
LEVY, A LONDON PLANE-IREE, ECC. 423
dalle lacrime sempre generose, — gentile con tutto
e con tutti; anche con la povertà e col dolore, con
la malattia e con la morte.
(Nuova Antoloyla, 16 febbraio 1800.)
Francesco, nipote di Pico della Mirandola,
scrisse in latino una vita dello zio che a sir Tho-
mas More, quel « grande amatore della coltura
italiana » parve degna di esser tradotta. E que-
sta traduzione si trova infatti, nel suo antiquato
e caratteristico inglese, tra le opere del More. Il
« Conte della Mirandola e gran signore d'Italia »
era simpatico al More soprattutto per le sue aspi-
razioni religiose, per il suo poetico misticismo,
per il connubio dell'idea Platonica col sentimento
Cristiano. La tentata conciliazione del mondo
Greco e del mondo Cristiano, caratterizza, in gran
parte, l'opera filosofica e letteraria del secolo XV;
e informa anche i lavori di insigni artisti, come
Leonardo, Mantegna, Donatello, e sopra tutti il
Botticelli.
Il signor Rigg ci dà in questo bel volume la
traduzione del More riprodotta accuratamente
dalla- edizione princeps — e in una dotta introdu-
zione e nelle abbondanti Xote^ tratta delle specu-
lazioni teologiche dell'ardente e audace giovane,
© si trattiene su tutte le opere che ci rimangono
di quella singolarissima « Fenice degl'ingegni. »
Il signor Eigg, come già il Pater, e da noi
424 MORE, VITA DI PICO DELLA MIRANDOLA
il Villari e il Settembrini, insiste sul carattere
orientale del concepito e dell'opera di Pico — e in-
dica in che e perchè le sue tesi dovean parere ed
erano eterodosse. Con Pico della Mirandola fini-
scono i grandi scopritori del mondo greco-ro-
mano, i veri latinisti, e cominciano gli studi e le
scoperte del mondo orientale.
Questa Introduzione del Rigg, e il saggio del
Pater, nel suo bel libro sul Rinascimento in Italia^
sono, in diverso genere e con intendimenti di-
versi, due eccellenti monografie. La figura di Pico
ci si ripresenta vivente in tutta la sua magnetica
originalità.
Leggere la vita di lui, o una qualunque pa-
gina delle sue opere, fa oggi a noi la stessa im-
pressione che guardare oggetti di età preistori-
che, o vedere la prima volta il dissepolto mondo
antico a Pompei. Si direbbe che da lui a noi ci
corrano non quattro, ma quattordici secoli. Ep-
pure sotto alcuni, e non pochi aspetti, egli è es-
senzialmente moderno. E moderno nell'ardita cu-
riosità teologica e scientifica, e nella triste sazietà
dei piaceri.
Nei primi anni giovanili, aveva abusato di
voluttà amorose; ma prima che il Savonarola fa-
cesse il famoso incendio delle vanità^ Pico aveva
già distrutto i suoi versi d'amore in volgare, che
sarebbero stati come un'oasi fiorita nello stermi-
nato deserto delle sue dissertazioni teologiche. Di
scritti d'amore in volgare non ci resta di lui che
il commento alla Canzone del Divino Amore del
MORE, VITA DI PICO DELLA MIRANDOLA 4-25
Benivieni, in cui mettendo a contribuzione la
Cabala (3 l'Astrologia, Omero e la Bibbia, tenta
descrivere i graduali passaggi dell'anima umana
dalla terrena e sensibile alla incorporea e invisi-
bile bellezza.
Attratto dalla fama del Magnifico Lorenzo,
venne a Firenze e vi si stabili. Sapeva e scriveva
il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico. Poeta e
filologo, filosofo e mistico, ebbe un'ardente curio-
sità dell'ignoto, del miracoloso, cercando il so-
prannaturale nella stessa Natura, come poi Pa-
]*acelso. Giovine ancora trasse dai suoi immensi
studi novecento tesi di fìsica, filosofia, teologia,
astrologia, magia naturale, comprendenti quasi
tutto lo scibile del suo tempo, e le pubblicò, in
Roma, proferendosi pronto cavallerescamente a
sostenerle contro chiunque avesse osato oppu-
gnarle. Accusato di eresia, scriveva la propria
Apologia^ e condannato da Papa Innocenzo Vili,
era poi assoluto da Alessandro VI. Il signor Higg
ci dà chiara idea e delle tesi e delle controversie
che suscitarono.
Bella e toccante è l'amicizia che Pico serbò
viva e costante per Marsilio Ticino e pel Savo-
narola. Al primo dei quali rassomiglia assai nel-
l'indole dell'ingegno, ma se gli è superiore j er
varietà di studi, gli è inferiore in solidità di do -
trina e di erudizione. Epoca ed uomini veramente
singolari. Il Ficino, canonico di San Lorenzo, te-
neva accesa una lampada al busto di Platone! Del
Ficino e di Pico, parla ammirabilmente il Villari
426 MORE, VITA DI riCO DELLA MIRANDOLA
nel suo Savonarola e nel Machiavelli', e credo im-
possibile trovare altro libro ove sia condensato
così magistralmente in poche parole il carattere
storico e filosofico di quei due personaggi.
« Fin dai più teneri anni, dice il Villari par-
lando di Pico, fecero in lui maraviglia la precoce
intelligenza, e la portentosa memoria. Avanzatosi
negli stendi, frequentò le principali Università
d'Italia e di Frància, lavorando con febbrile ar-
dore. Non contento di scrivere il latino e il greco
più facilmente che l'italiano, fu il primo che si
desse allo studio delle lingue orientali e di tutte
quelle per le quali potè trovare un maestro o una
prammatica, tanto che ebbe fama di conoscerne
ventidue. E come nelle lingue, così nelle scienze
sperava di essere universale, pensando di potere
abbracciare tutto lo scibile dei suoi tempi. Dotto
nella teologia e nella filosofia, voleva fra loro
conciliarle, conciliando anche Paganesimo e Cri-
stianesimo. » E dopo aver fatto una buona tara
a ciò che v'era di esagerato nella sua fama
di enciclopedico e di linguista, il Villari segue a
dire: « Egli diede l'esempio di una operosità in-
stancabile nel culto delle lettere, di un principe
che rinunziava gli onori del suo grado per vivere
da eguale fra gli studiosi. Il suo facile ingegno ;
la portentosa memoria; le maniere nobili e gen-
tili: la bella e giovanile presenza; i biondi capelli
che profusamente inanellati gli cadevano sulle
spalle; tutto in lui destava simpatia, e aiutava a
diffondere il suo nome, >?
MORE, VITA DI PICO DELLA MIRANDOLA 4-27
Passato appena il trentesimo anno, le ten-
denze religiose e il sentimento cristiano divennero
in Pico della Mirandola sempre più vivi : e la
conversazione col Savonarola dette precisione e
forma ortodossa alle sue vaghe e mistiche specu-
lazioni. Aspirò al riposo, al raccoglimento e alla
contemplazione claustrale ; e chiese di vestire
l'abito di San Domenico. Ma la morte lo sorprese
nella fresca età di trentadue anni. Spirò fra le
braccia del Savonarola, il giorno stesso in cui
Carlo Vili entrava in Firenze. Fu sepolto in
San Marco, presso la tomba dei Poliziano. La
epigrafe che vi si legge fa curiosa testimonianza
della prodigiosa sua fama, e della entusiastica
ammirazione dei contemporanei:
JOHANNES JACET HIC MIRANDOLA.
CAETERA NORUNT
ET TAGUS ET GANGES, FORSAN ET ANTIPODES.
Rileggendo la vecchia Vita rÌ23rodotta oggi
nella versione inglese dal signor Rigg — scor-
rendo le pagine del Pater e del Villari — medi-
tando un poco su quell'epoca unica e quei singo-
larissimi uomini ; l'impressione ultima e definitiva
è questa : Pico della Mirandola rimane la più
originale e la più attraente figura tra i grandi
umanisti del Rinascimento. I suoi contemporanei
lo chiamarono una Fenice, Per i posteri, è Fenice
soprattutto in questo — che fu un Erudito poetico.
Non è facile trovarne un secondo...
428
Balzac è sfcato fortunato nei saoi biografi e
critici. Il Sainte-Bsuve, lo Scherer, lo Zola, il
il Bourget, il Caro, il James, il Vogùé, da noi il
Capuana, e oggi Federico Wedmore in Inghil-
terra, ne hanno parlato con più o meno simpatia
e ammirazione, ma tutti con coscienza, con abilità,
e con competenza. Il signor Wedmore all'accu-
ratezza biografica unisce una rara analisi critica.
Egli contraddice vittoriosamente molti addebiti
fatti a Balzac : per esempio, quando nell'esame
del Médicin de campagne^ rispondendo al Taine
ed al James, prova che in Balzac era schietto e
profondo il sentimento della inetà umana ; e
quando, parlando di Séraphita e del Lys dans la
Vallèe trova nel gran realista una larga vena di
poetico misticismo.
Rileggendo questo volume su Balzac, si af-
follano le idee sul carattere, e la influenza di
questo scrittore, il quale, nonostante i suoi molti
e gravi difetti, e considerato nel formidabile in-
sieme della sua opera, rimane sempre il più grande
dei romanzieri moderni. Il più forte ed efficace
impulso direttivo al romanzo contemporaneo è
venuto da lui. Da lui, in grado più o meno di-
stinto, derivano e Tourguénieff e Zola e Daudet e
Tolstoi. Anche in George Eliot, anche in Dickens
e in Thackeray, vi son tracce evidenti della sua
inevitabile influenza.
Quale vita ! e quale opera ! Seguendola passo
a passo nella Corrispondenza^ e in questa biografìa
del Wedmore, un senso profondo di rispetto e di
459
ammirazione ci prende per la eroica volontà e
perseveranza di questo titanico lavoratore.
Nelle eloquenti parole che Victor Hugo disse
nel cimitero del Pére Lachaise sulla tomba del-
l'amico, è condensato in germe, per dir cosi, tutto
ciò elle di più giusto fu poi scritto dai critici sul
gran romanziere. E vi è già indicata una cosa
alla quale i critici non lian posto abbastanza
mente, se ne eccettuiamo il Voglie e oggi il AVed-
more, cioè che Balzac era un grande poeta nel
tempo stesso che era un grande realista : « Ce tra-
vailleur puissant, ce genie, ce poète^ à travers les
réalités brusquement etlargement dechirées, laisse
entrevoir tout à coup le plus pur ou le plus tra-
gique idéal. Tous ses livres ne forment qu'un
livre ; livre vivant, profond, lumineux, où l'on
volt aller et venir et marcher et se mouvoir,
avec je ne sals qitol d'effaré et de terrible mèle
au réel, notre société contemporaine ; livre qui
est en méme temps l'observation et Vimagina-
tion. »
Infatti, in Balzac, accanto al realista vi è non
solo un poeta, ma un visionario ed un mistico.
C'è in lui del Ballanche, del Saint-Martin, e dello
Swedenborg. Spesso anche nei romanzi suoi più
realistici, la fortuna rapida e inesplicata di un
personaggio, una mobilia impossibile anche in
appartamenti imperiali, una metamorfosi di ca-
rattere improvvisa e spesso illogica, come quella
di Filippo Brideau, o una trasfigurazione shake-
speariana come quella della Cousine Bette ci av-
4-30 WEDMORE, 0. BAL2AC
vertono che sotto il realista vi è una vulcanica
immaginazione di poeta.
Il Voglie scriveva queste giuste e notevoli
parole : « Balzac, cet ouvrier clu réel, demeure le
plus fougueux idéaliste de notre siècle, le voyant
qui a vécu toujours dans un mirage ; mirage des
millions, du pouvoir absolu, de l'amour pur, et
tant d'autres. Les héros de la Comédie humaine ne
sont parfois que des interprètes de leur pére,
chargés de nous traduire les systèmes qui han-
tent son imagination. Ses personuages de premier
pian sont poussés tout entiers vers une seule pas-
sion — voyez le pére Grandet, Hulot, Nucingen,
Balthazar Claés, Beatrix, Madame de Mortsauf....
Certes Balzac nous donne l'illusion de la vie ;
mais, bien souvent, d'une vie mieux composée et
plus ardente que celle de tous les jours : ses
acteurs sont vrais et uaturels, mais du naturel
qu'ont les bons acteurs à la scéne. Quand ils agis-
sent et parlent, ils se savent regardés, écoutés. »
Vero — ma la sua potenza di rappresenta-
zione fu tale, die i suoi lettori, e soprattutto le
sue lettrici, si modellavano sui tipi descritti da
lui. — Le lettrici! Esse hanno fatto la gran pro-
paganda balzacchiana, specialmente dal 1830 al
18G0, assai più di tutti i critici. Le donne amano
Balzac anche per un sentimento di gratitudine.
Egli ha prolungato la gioventù della donna. Egli
ha, per il primo, accaparrata al romanzo la donna
di trenta, di quarant'anni, purché la fisonomia e
la toelette possano supplire alla perfezione delle
WEDMORE, 0. RALZAC AS\
forme e alla freschezza della prima gioventù. Egli
dorò e carezzò i languidi e dolorosi tramonti delle
femmes ahandonnées, delle nervose, delle convale-
scenti. Sentì ed espresse, come nessun altro ro-
manziere, la poesia di un profumo, di un guanto,
di una trina, di uno scialle di cachemire, di un
mazzo di fiori. Contesse delP Impero^ e duchesse
della Restaurazione, pare che tutte gli abbiano
rivelato i più riposti e intimi segreti del loro
cuore -r- anche certe cose che le donne dicon sol-
tanto al medico e al confessore...
Ciò che sopratutto ci colpisce leggendo questa
nuova biografia di Balzac, è il modo con cui fu
inalzato pietra con pietra, marmo su marmo il
colossale edifizio della Comédie humaine ; è la con-
dizione di spirito ^n cui si trovava l'artista —
stato psicologico che avrebbe paralizzato ogni
altro scrittore, e che dette invece una sovrumana
energia e la febbre della creazione a Balzac. Egli
fu per tutta la vita oppresso dai debiti, tormen-
tato dagli usurai e dagli uscieri di tribunale. Gli
appunti delle scadenze di cambiali si alternano
nel suo diario con le note e i sommari per qual-
che capitolo della Peau de chagrin, o dei Parents
pauvres. Eppure, la sua potenza e perseveranza di
lavoro non fu mai interrotta ; e solo la morte
potè arrestare improvvisamente il complicato e
fulmineo lavoro della possente macchina cere-
brale che elaborò la Comédie humaine.
Se Balzac avesse condotto una vita tran-
quilla tra i sorrisi della fortuna, non avremmo
432
avufco ne il Pére Goriot, ne la Cousine Bette. Bi-
sognava che Balzac giovane e passionato fosse
vissuto in una soffitta di Parigi, avesse provato i
morsi atroci e tutte le umiliazioni della povertà,
camminando nel fango con la scarpe rotte, e
mangiando il desinare a ima lira, per sentire tutta
l' importanza del denaro, il grande agente, la
forza motrice della nostra società d' industriali di
ogni genere.... Bisognava avere avuto la prospet-
tiva della prigione, e gli uscieri in casa, per
fare gli immortali ritratti di Marcas, di Gobseck,
di Birotteau.
Egli viveva talmente della sua opera, che i
personaggi dei suoi romanzi, le loro avventure,
le loro finanze, le loro passioni, il loro vestiario,
erano divenuti per lui cosa più reale della stessa
realtà. Era come inebriato del suo lavoro. Un
giorno Sandeau lo incontra, e sfoga con lui il
suo dolore per la malattia d'una diletta sorella.
Balzac ascolta, dice due parole di conforto al-
l'amico, e poi : « Parliamo ora di cose reali. Sa-
pete come è finito l'affare Nuncingen ? e che cosa
ha deciso Rastignac ? »
Lavorava spesso di notte; per dodici, tal-
volta per quindici ore di seguito, senza interru-
zione: e così lavorò per tutta la vita, senza riposo
ne tregua mai. Nei rari intervalli in cui si per-
metteva qualche divertimento, era preso da ac-
cessi di rimorso, e si batteva la fronte gridando :
« Infame mostro ! in queste ore perdute avresti
potuto scrivere trenta cartelle... »
WEDMORE, 0. BALZAC 433
Ma non è umanamente possibile far ciò clie
fece Balzac, e sopravvivere. Mori a cinquant'anni,
fulminato al cuore, come Dickens più tardi mori
fulminato al cervello. Al povero Balzac cessò ap-
punto la vita, quando cominciava a sorridergli la
fortuna. Aveva sposato la donna amata e deside-
rata per tanti anni. Le sue finanze erano finalmente
assestate. Il teatro prometteva di essergli una
miniera più aurea dello stesso romanzo. La sua
fama era divenuta mondiale; i suoi romanzi si
traducevano in tutte le lingue. Era sempre viva
la sua vecchia madre che egli amava tanto. Nuovi
progetti fermentavano in quella sua testa prodi-
giosa. Aveva annunziato la Monographie de la
Vertu, la Pathologie de la Vie Sociale, e tre drammi.
Gautier gli disse sorridendo : « Finite queste
opere, avrai almeno ottant' anni. » — « Quatre-
vingts ans ! rispondeva, haìt! cesi la fleur de Vàge. »
Tre settimane dopo, era morto. Quando Balzac
poteva cominciare a goder la vita, la vita l'ab-
bandonava : la lampada aveva consumato fino
all'ultima goccia l'olio vitale. Una terribile indu-
stria, frutto di una tragica necessità, aveva deva,
stato il terreno, aveva forzata la vita : e l'ec-
cesso, il troppo, è ciò che la Natura non consente
e non perdona mai, né agli uomini, nò alle cose.
Il signor Wedmore, nel principio del suo
libro, mette Balzac nel numero di quei cinque
grandi scrittori, che nel nostro secolo ebbero e
promettono aver sempre, la più efficace influenza.
Gli altri quattro sono, secondo lui, Goethe, Words-
Nexciom. —\Saggi critici di leti. iivjUa-. 28
434 WÈDMORE, 0. BALZAC
worch, Dickens e Browning. Grandi nomi certo
— ma queste preferenze e affermazioni recise
hanno sempre del dommatico e dell'esclusivo.
Perchè quei cinque, e quei soli cinque ? Goethe,
non è esatto classificarlo fra i grandi del nostro se-
colo ; perchè, benché vissuto fino al '32, la parte
più importante e vitale delle sue opere appar-
tiene al secolo passato. Wordsworth ebbe certo
larga, e feconda, e benefica influenza: ma Shelley
non ne ha forse oggi una maggiore e sempre
crescente ? E Victor Hugo, per esempio, e Enrico
Heine, e Giorgio Eliot, non ebbero e hanno in-
fluenza per lo meno paragonabile a quella di
Dickens ?
La Vita dì Kalaniele Hawthorne scritta dal
signor Moncure D. Conwa}^, è, sotto ogni aspetto,
pregevolissima. Le lotte segrete e palesi di Haw-
thorne per acquistarsi la meritata fama ; la sua
vita ufficiale d' impiegato in disaccordo con la
sua vita d'artista ; il romanzo del suo amore e
del suo matrimonio ; il viaggio in Italia ; le sue
relazioni coi Browning, con Story, con Longfel-
iow ; la influenza che esercitò su lui Roma ;
l'amicizia col Pierce, e le sue conseguenze ; il
soggiorno di Hawthorne in Londra ; l'analisi del
suo pessimismo e delle sue idiosincrasie ; la cri-
tica breve, rapida, ma succosa e efficace delle
opere principali del gran romanziere americano,
tutto è descritto, narrato, spiegato, con lucido
ordine e con vivo e crescente interesse.
AWTiioriNE 435
Noi italiani dobbiamo vivissima gratitudine
a HaTvthorne per il suo romanzo Transformation.
In nessun libro sono così efficacemente riprodotti
i vari aspetti di Roma, nella sua sempre solenne
eppur sempre mutabile fìsonomia. Olii poi vuol
conoscer bene la Roma degli ultimi anni di go-
verno papale (non parlo, s' intende, in senso po-
litico) legga il libro di Hawthorne. La Roma dal
1850 al 1870, rivive in quelle artistiche pagine,
e vi rivive tutta. Stupendi i capitoli sul Museo
Capitolino^ le Catacombe^ Villa Medici^ il Cimitero
dei Cappuccini^ la Campagna. E certo nessuno ha
espresso meglio di Hawthorne il carattere essen-
zialmente cattolico di San Pietro^ nel vero senso
etimologico della parola. Leggete in prova l'am-
mirabile capìtolo intitolato : La Cattedrale dd
Mondo.
Tra i vari giudizi sui vari romanzi di Haw-
thorne, trovo giustissime queste parole su The
Scarlet Letter : « Sembra d'assistere, come gli stu-
denti del famoso quadro di Rembrandt, a una le-
zione di anatomia », dice il signor Conway, e
analizza magistralmente quel romanzo, che vi fa
male, senza che possiate mai avere uno sfogo di
lacrime....
E già il signor Percy "Whipple aveva notato
in un eccellente articolo pubblicato nello Scribner
(Dicembre 1887) che in un certo ristretto dominio
di immaginazione, Hawthorne ha sorpassato tutti
i suoi compagni d'arte. Egli ci mostra con una
vivida distinzione la eccessiva malignità delle
436
colpe umane. Walter Scott disse un giorno che
vi sono nella natura umana degli abissi che è
malsano di scandagliare ; ed è appunto nel ten-
tare questo scandaglio, che Hawthorne dispiegai
suoi maravigliosi doni di intuito e di analisi.
Nella sottigliezza e nell'accurata precisione, nella
penetrazione e sicurezza del suo sguardo per entro
i morbosi fenomeni dell'anima umana; nel rive-
larci l'operazione delle più delicate leggi di at-
trazione e di repulsione a cui va soggetta l'umana
natura ; nella capacità di atterrire i lettori con
la consapevolezzza delle loro latenti possibilità
per ogni male, talché provino un senso di ri-
brezzo e di istintiva repugnanza, come delinquenti
sorpresi in flagrantij alle sue spietate rivelazioni
— in questa facoltà più unica che rara, Haw-
thorne è assolutamente sovrano ; e al suo para-
gone, non solo romanzieri eleganti e trasparenti
come il Daudet ed il Bourget, ma anche forti e
sostanziali come Thackeray e Flaubert, ci appa-
iono, relativamente, superficiali.
Si : Scarlet Letter è un libro unico nel suo
genere. E che stile ! Magnetico, incomparabile.
Libro triste e attraente come il peccato — den-
samente fosco, con qua e là dei vivaci colori
smaglianti come di uccello del Paradiso.
Non mi pare che il signor Conway renda
abbastanza giustizia ai Saggi e alle Novelle di
Hawthorne. Our old Home mi sembra giudicato
troppo severamente, e da un punto di vista troppo
esclusivamente inglese. Certo, non vi si rende
CONWAY, N. lìAWTIIORNE 437
abbastanza giustizia alla magica perfezione di
quella prosa, paragonabile a quella delle più
belle pagine di Ruskin; e della quale il solo
Henry James conserva, tra i viventi scrittori
americani, il difficile segreto e l'invidiabile
eredità.
(Nuova Aniologia, i(j ngosto 1890.)
Nei volumi del Reid su Monckton Milnes
(Lord Houghton) ciò che più attrae ed interessa
è la corrispondenza coi più illustri contemporanei
quasi tutti amici del nobile Lord. Il libro infatti
è intitolato : La vita, le lettere e le amicizie di
Monckton Milnes. Non è la storia di un grande
autore né di un gran politico — ma è la vita di
uno scrittore di raro ingegno e di gusto finissimo,
di un gentile poeta, di un politico onesto e uni-
versalmente stimato. Il suo nativo humour^ le sue
brillanti qualità personali, il suo inalterabile buon
umore — e forse anche la sua stessa aurea me-
diocrità che non destava emulazioni né invidie
— lo fecero simpatico e amato dalle celebrità
contemporanee più diverse. Egli fu l'amico, il
confidente, di Wordsworth e di Carlyle, di Landor
e di Sydney Smith, di Palmerston e di Thacke-
ray, di Tennyson e di Gladstone. Con Wordsworth
fece un viaggio in Grecia. Intimo e familiare con
Landor, passò vari mesi nella sua deliziosa villa
di Fiesole. Dette savi, e miracolosamente ascoltati
4-38 HEID, LORD nOUGIITON
consigli a Carlyle. Protesse e avviò giovani scritto-
ri e poeti. Fu lui che annunziò al mondo, e apprezzò
subito degnamente Atalaata in Calydon del Swin-
burne — fu lui che presentò Swinburne a Landor ;
il più giovane, al più vecchio poeta d' Inghilterra.
La biografia del Reid è sotto ogni aspetto
eccellente. E siccome contiene tante lettere e
pensieri ed aneddoti dei più insigni contempora-
nei, è una lettura di vivo e continuato interesse.
Vi si trovano spesso giudizi e apprezzamenti cri-
tici veramente notevoli. Quando mori improvvi-
samente il gran romanziere Thackeraj-, Carlyle
ne scrive in questi termini al Milnes : « Povero
Thackeray ! Lo vidi dieci giorni fa. Cavalcavo
verso sera lungo la Serpentina e Hyde Park,
quando mi venne un diluvio di saluti da una car-
rozza dov'erano un signore e una giovinetta. Era
Thackeray con la figlia. Fu l'ultima volta che lo
vidi in questo mondo... Un uomo che aveva molte
belle qualità ; ogni astuzia, ogni malignità gli
era ignota: grande stofìfa, ma senza relativa forza ;
c'era in lui una vena di vero genio che lottava
per rivelarsi.... Nessuno, io credo, ha scritto ai
giorni nostri con tanta perfezione di stile. » —
Giudizio nell'insieme più severo che benevolo, ma
con un fondo notevole di verità.
E colgo l'occasione per osservare che, in ge-
nerale; i giudizi critici di Tommaso Carlyle nella
loro forma brusca e rude son più giusti di quel
che pare a prima impressione. Spogliateli di certa
causticità, di certa iperbole di linguaggio ; fate
439
le debite tare ; sappiateli leggere con discrezione
— e vedrete che un fondo di verità c'è sempre,
e sempre originalmente e indimenticabilmente
espressa. Eccone alcuni — e il lettore giudichi.
— Walter Scott ha il gran merito di aver trovato
la poesia nella storia, ma non è mai profondo ;
una abilissima mostra scenica ; ma son romanzi
da dilettanti. — Lo Shelley agita splendidamente
delle larghe ali iridate, ma non può volare ; non
ha scopo, e si perde nel vuoto. — Keats ha forze
eccessive per il piacere, per ogni genere di pia-
cere ; e nessuna forza per niente altro : noi ado-
riamo in Keats le nostre sensualità. — InWords-
worth, il valore intrinseco, benché sia molto, non
corrisponde alla sua presunzione ; egli si contem-
pla e si adora, parla come un oracolo, non vi
striDge cordialmente la mano, ma vi offre solen-
nemente un dito; e benché acutissimo osservatore,
non ha il senso della realtà al grado che l'ebbe
Burns. — Macaulay è corazzato di cani e di offi-
cialità, tutto lingua e parole ; il suo periodare è
un continuo Jew de bascule; nella sostanza, poco
o nulla: un terreno dove si trova subito acqua,
mai fuoco o granito. — Il Mazzini è nobile e
schietto come l'acciaio, ma sogna, a uso Volney,
un mondo di soli e di vulcani : tenace come i
Liguri, illude sempre se stesso, in buona fede :
pieno di melodie e di entusiasmi : devoto di Vol-
ney; del marchese di Posa, dei Giacobini, e di
Giorgio Sand... La ISFatura ne aveva fatto un
poeta lirico di terz'ordine della scuola romantica.
440 REID, LORD IIOUGIITON
e nulla più. — E basfcin questi giudizi che primi
mi tornano in mente. Ma dalle opere di Carlyle,
soprattutto dalle Lettere^ dalle Miscellanees, dalla
Vita di Sterling, e dai volumi del Fronde sa Car-
lyle, se ne potrebbe fare una curiosa, e qualche
volta scandalosa raccolta.
Quel che risulta evidente dalla lettura di
questa Vita e Corrispondenza di Lord Houghton,
come dalla lettura dei lavori biografici del Fronde,
del Forster, e di altri — è che si vuol troppo
raffinare e « cercare il pel nell'uovo » nei nostri
moderni giudizi, nei modi di apprezzamento este-
tico, usati e più in voga, in Inghilterra come
in Germania e in Francia e in Italia. L'uomo
moderno sopraccarico di eclettica coltura, satu-
rato d'arte e di critica, di misticismo e di na-
turalismo, di Hegelismo e di Ritskinismo^ e di vari
altri ismi, vuol troppo speculare, raffinare e fan-
tasticare, svisando spesso con idee preconcette le
più vitali quistioni, sfigurando i più noti perso-
naggi della storia e dell'arte, cercando insomma,
come diciamo in Toscana, « lucciole a mezzo-
giorno. » Si dimentica troppo spessO; per esem-
pio, che la pittura deve innanzi tutto appagare
l'occhio, e la musica l'orecchio — e che tutto il
resto divien secondario, né è mai categorica-
mente necessario ; e che la stessa poesia, benché
per saa natura implichi l'etica, può in alcuni
casi non esser altro che un'armoniosa espressione
di pure sensazioni, senza ombra di concetto mo-
rale ; ed esser nonostante eccellente poesia.
AM
A questo proposito mi piace ricordare la bou-
tade di un argntissimo critico inglese che pecca
anch'esso di sottigliezze e di ingegnosità raffinate,
ma che si riconosce spesso in difetto, e lo confessa
sinceramente: « Il nostro modo di apprezzare e
gustare la grand' arte dei tempi passati, sembra
oggi consistere nel non curarsi di quell' arte per
sé medesima, ma solo per quello che ci può sugge-
rire. Ma i vecchi prosaici maestri che lavoravano
a un quadro, a una statua, a uno spartito musi-
cale, come un buon calzolaio lavora coscienzio-
samente a un buon paio di scarpe, non pensa-
vano a suggerirci nulla : essi producevano cose
sostanziali, intrinsecamente preziose, figure ben
modellate, tele riccamente colorite, note poten-
temente modulate : produrre queste e nuU'altro
era stato il loro intendimento ; e ai loro con-
temporanei bastava, ed erano sodisfatti. La loro
arte era il loro mestiere, esercitato coscienziosa*
mente, diligentemente, talvolta con quel grado
di intelligenza e di amore che noi chiamiamo
genio. Tutto quel che vedevano, e godevano di
vedere, era che la loro opera riusciva bene, era
bella. Del resto, eran gente terribilmente pro-
saica, preoccupati del meccanismo della loro arte
e degli interessi materiali della loro vita: come
si può vedere leggendo spregiudicatamente le
Vite del Vasari — le biografie di Haendel, di Bach,
di Haydn, di Mozart, e dell'ultimo dei veri anti-
poetici maestri^ il Rossini... »
La teoria è un po' troppo spinta, l'afferma-
442 REID, LORD HOUGHTON
zione troppo assoluta ; ma c'è un gran fondo di
verità in queste parole. E quando si leggono
certe pagine sibilline di critica moderna sugli
intendimenti estetici di Raffaello, su la Sistina^
sulla filosofia del Gargantua, sul trascendenta-
lismo di Beethoven, sul misticismo di Goethe,
sui fini politico-sociali del Don Chisciotte e del
Misantlirope^ verrebbe voglia di troncar tante
chiacchiere, affermando recisamente con Enrico
Heine che in arte, Fesecuzione è tutto.
La Vita di Slieridan, scritta dal signor San-
ders, è una delle più ammirabili biografie nella
bella serie dei Grandi scrittori, edita dal professore
Robinson. Il drammaturgo e il jDolitico vi sono
studiati con eguale acume, e con eguale serenità
di giudizi. Il signor Sanders descrive le origini
e il carattere della nuova commedia Sherida-
niana ; e nota da quale teatro, da quali romanzi
ha ricevuto l' impulso e V ispirazione. E una
storia curiosa e piena di psicologici insegnamenti
questa della commedia inglese : si passa di rea-
zione in reazione.
In Francia il bigottismo degli ultimi anni
di Luigi XIV fomentato da Madama di Mainte-
non, aveva imposto alla Corte e al paese una
falsa aria di devozione, che alla morte del Roi-
soleil si trasmutò a un tratto nelle orgie della
Reggenza. In Inghilterra, al terrorismo dei Pu-
ritani, successero i baccanali della Restaurazione.
Ma azione e reazione furon più violente e sfre-
SANDERS, VITA DI SIIERIDAN 443
nate fra la razza nordica, in cui l' istinto ani-
male è più naturalmente selvaggio, ne era smus-
sato come in Francia da una raffinata cultura.
La reazione in Inghilterra fu eccessiva, addirit-
tura incredibile. Se non ce ne facessero fede
documenti di ogni genere, e scrittori di ogni
tempo e di ogni scuola, da Robertson a Gui-
zot, da Cartyle a Leigli Hunt, da Southey a
Macaulay.
Il Parlamento puritano aveva fatto chiudere
i teatri, frustare gli attori, proibire i balli, per-
fino quello degli orsi... I reab'sti trionfanti spaz-
zaron via con la devozione fanatica anche 1' one-
stà e la virtù. Uomo alla moda, e invidiato da
tutta la gioventù elegante di Londra, fu il conte
di Rochester, che visse per cinque anni continui
in stato più o meno di ebbrezza, che fece il gio-
catore, il ciarlatano, il locandiere, l' astrologo,
per meglio truffare o sedurre. Il re, presente
tutta la Corte, divorava di baci per un quarto
d'ora Miss Stewart, la quale poi gli tingeva il
viso di nero con del grasso di candela. La con-
tessa d' Arlington e le sue dame di compagnia
formavano con Enrico Killigrew la società dei
hallers « che libito fé' lecito in sua legge » fino
al punto di ballare insieme nel costume dell'Eden.
Ma al carattere inglese che è naturalmente
liberale, religioso, e coscienzioso, doveva alla
lunga ripugnare un tale teatro. La nazione che
aveva dato Amleto e il Paradiso i^erduto^ As you
lìke itj e ComuSj non poteva trattenersi, compia-
444 SANDERS, VITA DI SIIERIDAN
cersi, nel fango. Collier, Addison attaccano quel
teatro. Dick Steele comincia la reazione morale
e sentimentale. Ed ecco il suo Eroe Cristiano^ il
Marito affettuoso^ e altre simili produzioni nel ge-
nere lacrimoso di Diderot, e di alcuni drammi
del nostro G-oldoni. Ma Foote e Goldsmith bat-
tono in breccia il sentimentalismo convenzionale :
si trova, e si prova, che nelle scabrose commedie
di Wycherley vi era molta più vena e arte co-
mica clie nei Sermoni sceneggiati dello Steele —
e compare allora sulla scena inglese lo She-
ridan.
E un eclettico di genio, un maccliinista ma-
raviglioso, e uno spirito dei più brillanti. Prende
da tutte le parti situazioni, caratteri, intrecci ;
dai comici anticld e moderni, dai romanzi di
Smollet, dai satirici contemporanei, dai geniali
libri di Fielding — e tutto fonde nella fornace
del suo genio assimilatore, e fa accettare tutto
dal pubblico.
I suoi due lavori più applauditi sono / Rivali
e La Scuola dello Scandalo. Il dialogo vi è vivo,
l'intreccio abilissimo, il movimento scenico ma-
raviglioso. È un fuoco di fila di epigrammi e di
giuochi di parole. Sono le più divertenti com-
medie di società del teatro Inglese ; brillanti, di-
vertenti ; ma superficiali e artificiali — quindi,
artisticamente parlando, sono capolavori in un
genere secondario e inferiore. Lo Sheridan co-
nosceva fin dove poteva arrivare, e non ol-
trepassò mai il suo campo prestabilito. Ciò è
SANDERS, VITA DI SllEP.lDAN 445
provato con finezza ed acume critico dal signor
Sanders. Notevoli la storia e l'analisi che egli
fa della Scuola dello Scandalo^ nel giudicare la
quale si trova in gran parte d'accordo col Taine
— che COSI ne aveva scritto : « Sheridan a pris
deux personnages de Fielding, Blifit e Tom Jo-
nes ; deux pièces de Molière, le Mysantliroije et le
Tartufe et de ces deux substances puissantes,
condensées et combinées avec une dexterité ad-
mirable, il a fait un feu d'artifice, le plus brillant
qu'on ait jamais vu. »
La creazione poetica, il vero carattere d'o-
pera d'arte, ecco quel che manca in generale al
moderno teatro comico in tutta Europa. Non
abbiamo più il riso franco e schietto, la bono-
mia serena arguta e gioviale della Commedia
Goldoniana — nò la profondità filosofica e 1' iro-
nia gastigatrice e rivelatrice di Molière — ne la
comica fantasia di Aristofane, di Lope de Yega,
di Carlo Gozzi — né la eterea poesia e i deli-
ziosi arabeschi di Shakespeare e di Cervantes,
Abbiamo invece un teatro didattico-moralista
con dei Sermoni per Prefazione; e uno didattico-
naturalista, con delle lunghe dissertazioni scien-
tifiche per Appendice. Accanto a questi due
teatri comici seri, c'è il teatro comico fotogra-
fico, a riproduzione meccanica, pensato con l'oc-
chialetto, e scritto coi piedi. E siamo arrivati al
punto, che andare alla Commedia è diventato
cosa più penosa ed uggiosa che andare in sala di
disciplina...
440
La narrazione della vita di Sheridan è fatta
dal signor Sanders con grande abilità — e la
conclusione dove si descrivono gli ultimi tragici
giorni del drammaturgo, senza frasario stilistico,
ma con la nuda e severa esposizione dei fatti,
ci strappa le lacrime. Che vita, questa di Sheri-
dan ! Un vulcano in permanente eruzione ! Av-
venture galanti e passioni, duelli, satire, pole-
miche, melodrammi, commedie trionfali.... Senza
un soldo, compra un teatro, improvvisa successi
e benefizi, arricchisce, fa vita da gran signore.
Entra alla Camera dei Comuni, gareggia coi più
eminenti oratori, combatte Pitt, accusa Warren
Hastings, sostiene gloriosamente la parte più
difficile e più liberale. La sua conversazione è
cosi brillante da far stupire lord Bjron: e le sue
maniere cosi affascinanti, che già presso alla cin-
quantina, innampra una bellissima giovinetta, e
la sposa. Poi vengono — ossia seguitano, cre-
scono e si moltiplicano, i debiti ; poi le malattie,
r ingratitudine del mondo, l'oblio ; la miseria. Il
suo teatro brucia, gli uscieri non danno tregua,
gii portano via persino le lenzuola del letto — e
l'autore della Scuola dello Scandalo, l'oratore emulo
di Pitt, di Burke e di Fox, il gran liberale, l'am-
mirato, l'adorato Sheridan, muore nella più squal-
lida miseria.... Al convoglio funebre, duchi, conti,
vescovi accompagnavano la bara : pubbliche
splendide esequie, monumento, edizioni illu-
strate, ecc., ecc. — 0 eterna commedia umana!
Sui due famosi discorsi di Sheridan contro
SANDERS, VITA DI SHEPJDAN 4-47
AVarren Hastings, abbiamo in (questa nuova bio-
grafia minuti particolari, e il giudizio contempo-
raneo e successivo dei critici. II primo discorso
alia Camera dei Comuni fu giudicato superiore
— ma non ce ne rimane che un frammento.
Burke lo dicbiarò « il più stupendo sforzo di elo-
quenza, argomentazione e spirito insieme uniti,
di cui restasse tradizione o ricordo. » Fox con-
fessò che « tutto quel che aveva udito o letto,
diventava un nulla al paragone di tanta elo-
quenza. » Pitt arrivò a dire che « con quel di-
scorso Sheridan avea sorpassato ogni oratore an-
tico 0 moderno, e che possedeva tutto ciò che il
genio 0 l'arte può dare per commuovere o gover-
nare le menti umane. » Poi venne la grande
udienza in Westminster Hall, immortalmente de-
scritta da Macaulay nel suo Saggio su Warren
Hastings. Rimando il lettore a quelle pagine indi-
menticabili ; e vedrà in qual teatro lo Sheridan
trionfò e qual pubblico tenne sospeso per due
giorni dalle sue labbra ! In tutta l'opera storica
e critica di Macaulay, non conosco, non esiste,
credo, j^asso più splendido. ^Memorie, patriottismo,
230esia, pittura, eloquenza, vi sono fuse in modo
ammirabile ed unico. Quando lo Sheridan alla
fine della sua brillante perorazione, si lasciò ca-
dere esausto fra le braccia di Burke, (e fu uno
dei suoi effetti scenici meglio riusciti) questi
disse, rivoltosi a Fox : « Ecco il vero stile ora-
torio ; qualche cosa fra la prosa e la poesia, e
miglior d'ambedtie. » Ma l'arguto Fox rispose
448 SANDERS, VITA DI SlIERIDNV
prontamente — e mi pare clie avesse ragione —
che « una tal mistura non giova né alla poesia
né alla prosa ; perchè produce o della prosa
poetica, 0 quel che è peggio della poesia pro-
saica. »
Fra i sommi oratori inglesi contemporanei
lo Sheridan fu senza dubbio il più brillante, e il
più immediatamente efficace sull' uditorio. Ma
aveva i difetti delle sue qualità : era cioè un
po' retorico e artificioso ; gli mancava la solidità
e la profondità di Burke, e il grido passionato di
Fox. Nonostante , egli rimane « del bel nu-
mer' uno » fra gli ammirabili oratori della fine
del secolo decimottavo, ed è degno di stare in
compagnia di Burke, di Pitt, di Fox, di Mirabeau,
di Barnave, di Danton, di Vergniaud. Quale epoca,
e quali nomi! — E i grandi oratori della nostra
fin de siede quali sono '?...
Ma passiamo ai romanzi. The Master of BaU
lantrae dello Stevenson è uno dei più notevoli
romanzi pubblicati in Inghilterra nell'ultimo de-
cennio. Ad una felice e feconda immaginazione,
a un raro dono di acuta e precisa osservazione
psicologica, lo Stevenson unisce uno stile lim-
pido ed efficace, che ci rammenta alcuni dei più
puri scrittori inglesi del settecento. E nel caso
presente, trattandosi appunto di un romanzo sto-
rico, e la scena essendo in Scozia verso la metà
del secolo scorso, lo stile stesso della narrazione
contribuisce ad aggiungere efficacia alla verità
STEVENSON, THE MASTER OF CALLANTRAE 449
del colore locale. Come la Guerra e la Pace del
Tolstoi, il Master of Ballantrae, è uno di quei
rarissimi romanzi storici nella lettura dei quali
non siamo urtati dalla coiitradizione evidente e
continua tra l'ambiente archeologico e i caratteri
moderni. Questo difetto ci salta agli occhi in
alcuni romanzieri tedeschi, i quali a guisa di ve-
stiaristi teatrali, si divertono a truccare certi perso-
naggi molto germanici, molto contemporanei, ora
da Egiziani, ora da Romani, ora da Scandinavi pri-
mitivi. Al contrario, i personaggi dello Steven-
son, come quelli del Tolstoi, hanno prima di
tutto il vantaggio di non appartenere a epoche
e civiltà tanto remote, e hanno di più un carat-
tere cosi essenzialmente umano, che toglie loro
ogni ombra di anacronismo. Sono così veri e cosi
finamente analizzati, che ci pare di averli già
incontrati e conosciuti, e nonostante parlano e
agiscono sempre come era verosimile che parlas-
sero e agissero al tempo delle guerre Napoleo-
niche in Russia, o della insurrezione Giacobita
in Iscozia. Cosi il metodo psicologico dello Ste-
venson somiglia più a quello del Tolstoi che a
quello del James e del Bourget. Questi insistono
troppo sopra ogni minuzia, vogliono analizzare
tutto, spiegare troppo, e spesso ci stancano o
annoiano. Lo Stevenson invece ottiene i mag-
giori effetti con qualche indicazione sottile e
suggestiva.
Ma la vera originalità di questo romanziere
consiste nello avere usata la sua potenza tutta
ZSTenciom. — Sagpi critici di lett. inglese 29
450 STEVENSON, THE MASTER OF BALLANTRAE
moderna di analisi in un racconto di avventure
stravaganti, appartenenti a un genere che pa-
reva morto, e che egli ha avuto l'arte di far ri-
vivere nel più simpatico modo. Le avventure del
Master of Ballantrae^ un tipo alla Callot, uno
cliarnieur spadaccino e un infame persecutore, son
descritte in modo indimenticabile. Il senso d'an-
sietà e di martirio che prova la famiglia, la quale
non riesce a liberarsi dal suo tormentatore, è
contagioso. Leggendo, soffriamo con loro ; a ogni
pagina vorremmo vedere annichilito chi è cagione
di tanti ingiusti e inevitabili patimenti. Le sof-
ferenze di Enrico, il fratello secondogenito, e la
lotta interna di sua moglie (che da giovine ha
amato il cognato) sono strazianti. La verità e
profondità d'analisi è tale, che finita la lettura e
chiuso il libro, ci pare impossibile che tanto te-
soro di fatti, di esperienze, di osservazione psi-
cologica, sia racchiuso in un volumetto di tre-
cento pagine.
I Pialli Tales from the Hills di E-udj^ard
Kipling han levato in Inghilterra un grido che
mi pare sproporzionato al loro intrinseco merito.
Si tratta di novelle realistiche della vita anglo-
indiana, di cui militari e impiegati inglesi sono
i protagonisti. Il merito di questa specie di boz-
zetti consiste nella condensata e rapida narra-
zione ; che è come una reazione contro gli indugi
e le lungaggini del romanzo soverchiamente ana-
litico. Il Kipling è nato raccontatore e racconta
KIPLING, PLAIN TALES FROM THK IIILLS 451
con abilità ed efficacia : ma il sao modo di nar-
rare è brusco, troppo rapido, aneddoti troppo fri-
voli, poca acutezza di osservazione. L'autore non
ha saputo trarre abbastanza partito dagli splen-
didi materiali che aveva tra mano. Il grande e
incontestabile successo si spiega, secondo m^-^
pensando al gran contingente di lettori britan-
nici che, scorrendo questi racconti, amano di ri-
cordare i vecchi tempi, gli anni vissuti nell' In-
dia, e vi assaporano la poesia del passato. Yi
ritrovano con grata sorpresa cento piccoli tratti
locali, nelle descrizioni di paese, nei caratteri
degli individui, e nelle citazioni in lingua indi-
gena. Si, signori : come se non bastassero le no-
iose parlate dialettali di molti romanzi inglesi^
ci tocca adesso a ingoiare interi brani d' indosta-
nico.... Allo scozzese, all' inglese corrotto delle
diverse provincie, al gergo moro degli Stati-Uniti,
s'aggiunge ora l' indiano. Se andiamo innanzi di
questo passo, il linguaggio barbaro delle colonie
africane e d'Australia entrerà nel repertorio let-
terario — e per gustar bene certi romanzi in-
glesi, bisognerà essere un Miiller o un Mezzo-
fanti. Basta — faremo una cosa, li anderemo a
leggere negli uffici di Propaganda^ e mescoleremo
così l'utile al dolce. Letta una dozzina di questi
romanzi, potremo avere guadagnatissimo il di-
ploma di missionario e tutti i selvaggi ci capi-
ranno.
Lasciando lo scherzo, non è solo in questi
Plain Tales che scorgiamo una evidente ricerca
■452 KIPLING, PLAIN TALES FROM THE HILLS
del nuovo, del piccante, dell'esotico, per stuzzi-
care il gusto blasé dei lettori, e ridestare un po' d'ap-
petito. Prima che la Jlu de siede finisca davvero^
ne vedremo delle belle. Intanto in Francia vanno
alla seconda e terza edizione romanzi scritti in un
gergo sibillino tale, che quello delle Précieuses di
Molière è, al paragone, più semplice di quello dei
Fioretti di San Francesco.... Abbiamo avuto reali-
sti, positivisti, naturalisti, sperimentali, decadenti,
impressionisti: ma i buoni e durevoli romanzi si
contano ancora sulla punta delle dita! Una delle
grandi e più strombazzate novità parve lo spe-
rimentalismo. Ma se per romanzo sperimentale si
intende appoggiato su l'esperienza fatta su sé
stesso o sugli altri; allora non vi è di nuovo che
la parola; la cosa è vecchia per lo meno quanto
Tom Jones., Manon Lescaut e Adolphe. E quale rea-
lista moderno ha avuto il senso della realtà cosi
intenso, da illudere completamente il lettore, come
De Foe, Smollet, e Fieldiug?
Paragonate, per esempio, il Caso di M. Walde-
mar di Edgardo Poe, alla Relazione della appari-
zione di Mrs Veal di Daniele De Foe. Il primo è
un pittore anatomista; il calcolo e l'arte si rive-
lano ad ogni passo; ogni minuzia è messa sott'oc-
chio, proviamo un senso di ammirazione per l'ar-
tista, una impressione curiosa di sorpresa e di
pena ; ma V illusione non è completa. Nel racconto
di De Foe fatto con un sentimento innato e si-
curo (non acquisito e inoculato) della realtà, l'il-
lusione è completa. Poe è un artista malato, De
KIPLING, PLAIN TALES FROM TJIE IIILLS Ado
Foe è un osservatore infallibile. E con che sem-
plici mezzi quei vecchi realisti ottenevano pos-
senti effetti!
In tutto Adoljjlie^ Tunica descrizione di pae-
saggio è di mezza pagina. Oggi, la descrizione è
la crittogama devastatrice del nostro romanzo. E
ieri era anche peggio.... Sì, in questo v'è pro-
gresso in meglio. E se V impressionismo^ ora di
moda varrà a liberarci dai cataloghi e inventari
di tappezzeria, archeologia, chincaglieria, scude-
ria, alcova, cucina, boudoir, salotto, magazzini,
teatro, ferrovie, ecc. che ci addolorano gli occhi e
il buon gusto da più di vent'anni, ben venga l'im-
pressionismo! Sarà un tanto di guadagnato.
Dirò di più. Se la scuola impressionista sa-
prà davvero condensare luce e interesse nel punto
veramente caratteristico, si tratti di un ritratto
o di un paesaggio, di un sentimento o di un
dramma, — sarà più vicina delle scuole che im-
mediatamente l'hanno preceduta, alla Natura e
perciò alla vera arte. La cosa infatti che più
manca al romanzo contemporaneo è la difficile
-arte di condensare. E giacché sono in vena di re-
quisitoria, aggiungerò che manca un'altra cosa
essenziale ai romanzieri attuali, anche ai più in-
signi: 1' architettura, la composizione del romanzo.
Se Dumas, E. Sue, Souliè, dettero troppa e quasi
esclusiva importanza alla charyente, al macchini-
smo del romanzo, bisogna convenire che i roman-
zieri contemporanei gliene danno troppo poca.
Non esigeremo che ogni romanzo sia edificato sa-
-Ì5-4 KIPLING, PLAIN TALES FROM TUE HILLS
pientemeiite, solidamente, e armonicamente, come
quei tre miracoli di Tom Joìies, di Vanity Fair^ e
dei Promessi Sposi; ma che un legame, una com-
posizione ci sia! Questa lacuna non può esser so-
stenuta e compensata che da una finissima ana-
lisi umoristica, come nel Tristram Sliaìidy — o da
una profonda analisi psicologica, come in Mid-
dlemarch e in Anna Karenine.
{Nuova Antoloijia^, 1 gennaio 1891.)
Fi'^'E.
I N I ) l C 1^:
Prefazionk Pag. V
SAGGI CRITICI Di I^KXXKBATUIIA INGLESE
Roberto Browning 1
L'anello e il libro, poema di Roberto Browning- 19
Boberto Browning e l' Italia 36
Aurora Leigh, poema di Elisabetta Barret Browning. . 54
Euphorion di Vernon Lee , ; 77
I poeti americani 99
I poeti inglesi moderni e i nuovi canti di Mary Ro-
binson i27
Le Letture su gli eroi, di Carlyle 154
Roma e gii scrittori inglesi 184
II poeta della guerra americana (Walt-Whitman) 204
Una nuova poetessa americana (Cora Fabbri) 231
Nel primo centenario di Percy Byssbe Shelley (4 Ago-
sto 1892) 251
Lord Tennyson 269
RASSEGNE DI LETTERATCRA INGLESE
Dowden, Vita di P. B. Shelley 301
La « Shelley Society » 304
Versi e prose di W. Story 306
Sir Philip Sidney del Symonds 310
Mary Stuart dello Stevenson 313
Opere di Dante Gabriele Rossetti 317
Corrispondenza fra Goethe e Carlyle 322
Poeti comici della Restaurazione 326
Juvenilia di Vernon Lee 331
Lettere inedite di Thackeray e Dickens 343
Locrine di Swinburne 346
456 INDICE
Opuscoli irlandesi di Swift Pag. 349
John Keats di Colvin 351
Matthew Arnold 358
Colvin, Biografìa di Landor 360
Zimmern, A. Schopenhauer 365
Marzials, Vita di Dickens 370
Caine, Vita di Coleridge 330
Birrel, Vita di Carlotta Bronte 384
Clarke, Scritti scelti del Mazzini 386
Corrispondenza di O' Connell 391
Story, Michelangelo 394
Lee Hamilton, Imaginary Sonnets 399
Hennequin, Dickens e Poe 403
Sime, Vita di Goethe 409
Lawley, Vittoria Colonna 411
Pater, Appreciations 415
Zimmern, The Hansa Towns 418
Levy, A London Plane-Tree, ecc 420
More, Vita di Pico della Mirandola 423
Wedrnore, O. Balzac 42B
Conway , N. Hawthorne 434
E.eid, Lord Houghton 437
Sanders, Vita di Sheridan 442
Stevenson, The Master of Ballantrae 448
Kipling, Plain Tales from the Hills 450
L*';-*5-'-^-'è ' -:^
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