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Full text of "Scritti vari di Pietro Verri"

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SCRITTI   VARI 
DI   PIETRO    VERRI. 


L :  ; 


SCRITTI  VARI 


PIETRO  VERRI 

ORDINATI  DA  GIULIO  GARGANO 

B    PRECBDVTI 

DA    UN    SAGGIO    CIVILE    SOPRA    l' AUTOfiE 

PER 

VINCENZO    SAIiVAGlVOIil. 

VOLUME    SECONDO. 


FIRENZE. 

FELICE    LE  MONNIRR. 

4854. 


ARTICOLI  TRATTI  DAL  CAFFÈ, 


ARTICOLI  TRATTI  DAL  CAFFÈ. 


WL   CJJEVE. 

Cos*è  questo  GAFFfeT  È  on  foglio  di  stampa,  ehe  »  pid>- 
bUcherà  ogni  dieci  giorni.  ^  Cosa  contirrà  questo  fo^  di  stam^ 
pa?  Cose  ¥arìe,  cose  disparatissime,  cose  inedite,  cose  fatte 
da  diversi  antorL,  cose  tatto  dirette  aUa  pobblìea  oittilà.— ^F« 
bene:  ma  con  quale  stiU  saranno  eglino  serUti  quesH  fogli?  Coi» 
ogni  stile,  che  non  anno].-—  E  ein  a  quando  fate  voi  tonto  di 
cùnlinaare  quesV  opera?  Insìno  a  tanto  che  avranno  spaccio. 
Se  il  pubblico  si  determina  a  leggerti,  noi  oontinooremo  per 
un  anno,  e  per  pia  ancora;  e  in  fine  d'ogni  anno,  del  trenta- 
sei fogli  se  ne  farà  nn  tomo  di  moie  discreta  :  se  poi  il  pub- 
bh'co  non  li  legge ^  la  nostra  fatica  sarebbe  inatiie,  perciò  ci 
formeremo  anche  al  quarto,  anche  ai  terso  foglio  di  stampa.-^ 
Qualfimti  ha  faUo  nascere  un  lak  progetto?  Il  fine  4' una  ag*« 
gradevole  occopazione  per  noi,  il  fine  di  far  qnel  bene  che 
possiamo  alia  nostra  patria,  il  fine  di  spargere  delle  utili  co^ 
gnizioni  fra  i  nostri  cittadini,  divertendoli,  come  già  altrove 
fecero  e  Steeie,  e  Swift,  e  Adtsson,  e  Pope,  ed  altri.  —  Ma 
perchè  chiamate  questi  fogli  II  Caffè?  Ve  lo  dirò  ;  ma  an- 
diamo a  capo. 

Un  Greco  originario  di  Citerà,  isoletta  riposta  fra  la  Mo« 
rea  e  Candia,  mal  soiOfrendo  F  avvilimento  e  la  schiavitù  in 
eoi  ì  Greci  tatti  vengono  tenuti  dacché  gli  Ottomani  hanno 
conquistata  quella  contrada,  e  conservando  un  animo  antico, 
malgrado  l'educazione  e  gli  esempj,  son  già  tre  anni  che  si 
risolvette  d'abbandonare  il  suo  paese  :  egli  girò  per  diverse 
città  commercianti,  da  noi  dette  le  scaU  del  Xéevante;  egli  vide 
le  coste  del  Mar  Rosso,  e  molto  si  trattenne  in  Mocha,  dove 
eambiò  parte  delle  sue  merci  in  caffè  del  più  squiàto  c|ie 
dare  si  possa  al  mondo:  indi  prese  il  partito  di  stabilirsi  in 
ItaHa,  e  da  Livorno  sen  venne  in  Milano,  dove  son  già  tre 


4  IL  CAFFÈ. 

mesi  che  ha  aperta  una  bottega  addobbata  con  ricchezza  ed 
eleganza  somma.  In  essa  bottega  primieramente  si  beve  un 
caffè,  che  merita  il  nome  veramente  di  caffè;  caffè  vero  ve- 
rissimo di  Levante,. e  profumato  col  legno  d'aloe,  che  chiun- 
que lo  prova^  quand'  anche  fosse  T  uomo  il  più  grave,  Taomo 
ilpiù  plombeo  della  terra,  bisogna  che  per  necessità  si  risve- 
gli, e  almeno  per  una  mezz'  ora  diventi  nomo  ragionevole. 
In  essa  bottega  vi  sono  comodi  sedili,  vi  si  respira  un'aria 
sempre  tepida  e  profumata  che  consola;  la  notte,  è  illuminata, 
cosicché  brilla  in  ogni  parte  riride  negli  specchi  e  ne'crìstalli 
sospesi  intorno  le  pareti ,  e  in  mezzo  alla  bottega  ;  in  essa  hot- 
tega,  chi  vuol  leggere,  trova  sempre  i  fogli  di  novelle  politiche, 
e  quei  di  Colonia,  è  quei  df  Sciaffusa,  e  quei  di  Lugano^  e  varj 
altri  ;  in  essa  bottega,  chi  vuol  leggere,  trova  per  suo  oso  e 
il  Giornale  Enciclopedico,  e  l'Estratto  della  Letteratura  Eo- 
ropea,  e  simili  booae  raccolte  di  Novelle  interessanti^  le  quali 
fanno  che  gli  nomini  che  in  prima  erano  Romani,  Fiorenti- 
ni, Genovesi,  o  Lombardi,  ora  sieno  tutti  presso  a  poco  Eu- 
ropei ;  in  essa  bottega  v'é  di  più  un  buon  Atlante  che  decide 
le  questioni  che  ^  nascono  nelle  nuove  politiche  f  in  essa  bot- 
tega perfine  si  radunano  alcuni  nomini,  altri  ragionevoli, 
altri  irragionevoli;  si  discorre,  si  parla,  si  scherza,  si  sta  sul 
serio; ed  io,  che  per  naturale  inclinazione  parlo  ^co,  mi  son 
compiaciuto  di  registrare  tutte  le  scene  interessanti  che  vi 
vedo  accadere,  e  tntt'  i  discorsi  che  vi  ascolto  degni  da  regi- 
strarsi ;  e  siccome  mi  trovo  d'averne  già  messi  in  ordine  va- 
rj, cosi  li  do  alle  stampe  col  titolo^ Il  .Caffè,  poiché  aj^nto 
son  nati  in  una  bottega  di  caffè. 

Il  nostro  Greco  adunque  (il  quale  per  parentesi  si  chia- 
ma Demelria)  è  un  uomo,  che  ha  tutto  l'esteriore  d'un 
uomo  ragionevole,  e  trattandolo,  si  conosce  che  la  figura  che 
ha  gli  sta  bene  :  nella  sua  fisonomia  non  si  scorge  né  quella 
stupida  gravità  che  fa  per  lo  più  r  ufficio  della  cassa  ferrata 
d'un  fallito,  né  quel  sorriso  abituale,  che  serve  spesse  voUe 
d'insegna  a  una  tìmida  falsità.  Demetrio  ride  quando  vede 
qualche  lampo  di  ridicdo,  ma.porta  sempre  infrante  un  ono- 
rato carattere  di  quella  sicrarezza,  che  nn  nomo  ha  di  sé 
quando  ha  ubbidito  alle  leggi.  L'abito  orientale,  eh'  et  veste, 


IL   CAFFÈ.  a 

gli  dà  ona  maeslosa  decenza  al  portamento,  cosicché  lo  cre- 
dereste dì  condizìoD  signorile,  anziché  il  padrone  d' ana  bot- 
tega di  caffé;  e  convien  dire  che  vi  sia  realmente  una  in- 
trìnseca perfezione  nel  vestito  asiatico  in  paragone  del  nostro, 
poiché  laddove  i  fanciulli  in  Costantinopoli  non  cessano  mai 
di  dileggiare  noi  Franchi,  qui  da  noi,  non  so  se  per  timore  o  ' 
per  riverenza,  non  si  vede  che  osino  render  la  pariglia  ai 
Levantini.  Gli  Europei  che  si  stabiliscono  in  quelle  contrade 
vestono  quasi  tutti  Tabito  o  armeno,  o  greco,  o  talare  in 
qualunque  modo,  né  se  ne  trovano  male,  anzi  ripatriando  ri- 
sentono il  tormento  -del  nostro  abito  con  maggior  energia,  in 
vece  che  nessun  di  essi,  stabilendosi  fra  di  noi  nelle  città 
dovè  il  commercio  li  porla ,  può  risolversi  a  fare  altrettanto. 
Noi  cambiam  di  mode  ogni  veni' anni,  e  vedremmo  la  più 
ridicola  incostanza  del  mondo,  se  ci  si  presentasse  una  col- 
lezione degli  abiti  europei  da  soli  quattro  secoli  a  questa  parr 
te:  i  ritratti  antichi  ce  ne  fanno  fede:  sembra  che  andiamo 
ciecamente  provandoci  con  ripetuti  tentativi  per  trovare  una 
volta  la  forma  deir  involto  in  cui  deve  rinchiudersi  il  corpo 
umano ,  eh'  é  pur  sempre  lo  stesso  ;  e  quel  eh'  è  più,  si  é  che 
malgrado  tutte  le  nostre  instabilità ,  e  malgrado  la  sicurezza 
in  cui   siamo,  che  da  qui  a  vent'  anni,  chi  si  vestisse  come 
facciamo  ora  noi,  sarebbe  ridicolo;  pure  crediamo  ridicole  le 
ragioni  medesime  che  ci  dimostrano  l' irragionevolezza  del 
nostro  vestito.  Gli  Orientali  in  vece  tagliano  gli  abiti  loro 
sulla  stessa  forma,  su  cui  li  tagliavano  i  loro  antenati  alcuni 
secoli  fa,  poiché,  quando  Si  sta  bene,  non  v'é  ragione  per 
variare;  l'abito  loro  perfino  é  più  elegante,  più  pittoresco, 
più  sano,  più  comodo  del  nostro.  Su  quest'  argomento  io  seri- 
vere!  volentieri  molte  pagine,  se  non  vedessi  che  si  scrive- 
rebbero inutilmente.  £  sapete  perché  le  scriverei?  perchè  io 
nato,  allevate^  in  Italia,  non  ho  mai  potuto  naturalizzarmi  còl 
mio  vestito;  e  quando  devo  ogni  mattina  soffrire  che  mi  si 
sudici  il  capo  colla  pomata,  che  mi  si  tormenti  con  cinque- 
cento e  non  so  quanti  colpi  di  pettine,  che  mi  s'infarini,  e 
mi  si  riempian  gli  occhi,  gli  orecchi,  il  naso  e  la  bocca  di 
polve  ;  quando  vedo  rinchiudere  i  miei  capelli  entro  un  sac- 
co, che  mi  pende  sulle  spaHe,  quando  mi  sento  cìngere  il 

r 


6  IL  CAFFÈ. 

collo,  i  fianchi,  le  braccia,*  le  ginocchia,  i  piedi,  da  tanti  tor- 
mentosi vincoli,  e  che,  fatto  tatto  ciò,  al  minimo  soffio  d'aria 
la  sento  farsi  strada  sino  alla  pelle,  e  intirizzirmi  nell'inver- 
no; e  devo  portar  meco  un  pezzo  inutile  di  panno,  chp  si 
chiama  cappello,  benché  non  sia  un  cappello;  e  devo  portar 
meco  una  spada,  quand' anche  vado  dove  son  sicuro  da  ogni 
oltraggio,  né  ho  idea  di  farne;  non  so  contenermi,  che  non 
esclami:  Oh  ragionevoli,  oh  felici  sartori,  berreltieri,  e  uo- 
mini dell'Asia,  ridete  di  noi,  che  avete  ben  ragione  di  ridere! 

Son  pochi  di,  dacché  il  nostro  Demetrio  ebbe  opcasione 
dì  parlar  del  suo  mestiere»  e  ne  parlò  da  maestro.  Si  trova- 
-vano  nel  GafTè  un  negoziante,  un  giovane  studente  di  filoso- 
fia, ed  uno  dei  mille  e  ducento  curiali,  che  vivono  nel  nostro 
paese.  Io  stava  tranquillamente  ascoltandoli, non  contribuendo 
con  nulla  del  mio  alla  loro  conversazione.  Il  caffè  è  una  buona 
bevanda,  diceva  il  negoziante;  io  lo  faccio  venire  dalla  parte 
di  Venezia,  lo  pago  cinquanta  soldi  la  libbra,  né  mi  disco- 
sleròmai  dal  mio  corrispondente;  altre  volte  lo  faceva  venir 
da  Livorno,  ma  v'era  diversità  almen  d'un  soldo  per  libbra. — 
V'è  nel  caffé,  soggiunse  il  giovane,  una  virtù  risvegliatiya 
degli  spiriti  animati,  come  nell'oppio  v'é  la  virtù  assoporativa 
e  dormitiva.— Gran  fatto,  replicò  il  curiale,  che  quel  legume 
del  caffé,  quella  fava  ci  debba  venire  sino  da  Costantinopoli! 

Qui  DemelriQ,  il  quale  in  quel  punto  era  disocciapato , 
prese  a  parlare  in  tal  modo. 

STORIA  NATURALE  DEL. CAFFÈ. 

«  11  caffè,  signori  mìei,  non  é  altrimenti  una  fava  o  un  le- 
gume, non  nasce  altrimenti  nelle  contrade  vicine  a  Costanti- 
nopoli ;  e  se  siete  disposti  a  credere  a  me,  ohe  ho  viaggiato 
il  Levante,  ed  ho  veduto  nell'Arabia  i  campi  interi  coperti 
di  catiré,  vi  dirò  quello  che  gli  é  veramente.  Il  caffé  che  noi 
Ori|sntali  comunemente  chiamiamo  Cauhè,  e  Cahua^  é  pro- 
dotto non  da  un  legume,  ma  bensi  dà  un. albero,  il  quale  al 
suo  aspetto  paragonasi  agli  aranci  ed  a' limoni  quand' hanno 
le  loro  radici  fisse  nel  suolo,  poiché  s'alza  circa  quattro  o 
cinque  braccia  da  terra  ;  il  tronco  di  esso  comunemente  s' ab- 


IL  CAFFfc.  7 

bmccìa  con  ambe  le  mani,  le  forglie  dono  disposte  come  quelle 
degli  aranci ,  come  esse  sempre  verdi  anche  nelV  inverno ,  e 
come  esse  d'an  verde  brano;  dì  pia,  l'albero  del  caffè  nella 
disposizione  de' suoi  rami  s'estende  presso  poco  come  gli 
aranci,  se  non  che  nella  sua  vecchiezza  i  rami  inferiori  ca- 
dono alquanto  verso  il  pavimento.  11  caffè  cresce,  e  si  rìpro- 
duce  con  poca  fatica  anche  nelle  terre,  le  qnali  sembrereb- 
bero sterili  per  altre  piante  ;  e  in  due  maniere  si  moltiplica, 
e  col  seme  (il  quale  è  queir  istesso  che  ci  serve  per  la  be- 
vanda) e  col  produrne  di  nuove  pianticelle  dalle  radici.  È 
bensì  vero,  che  il  seme  del  caffè  diventa  sterile  poco  dopo 
che  è  distaccato  dall'albero,  ed  alla  natura  deve  imputarsi, 
non  alle  pretese  cautele  degli  Arabi,  se  ei  non  produce  por- 
tato che  sìa  da  noi,  poiché  non  è  altrimenti  vero  che  gli 
Arabi  lo  dissecchino  ne' forni,  né  nell' acqua  bollente  a  tal 
fine,  come  alcuni  spacciarono.  L'albero  del  caffè  finalmente 
s'assomiglia  agli  aranci  anche  in  ciò,  che  nel  tempo  medesi- 
mo vi  si  vedono  e  fiori  e  frutti,  altri  maturi,  altri  no,  seb- 
bene il  tempo  veramente  della  grande  raccolta  nell'Arabia, 
dia  nel  mese  di  maggio.  I  fiori  somigliano  i  gelsomini  di  Spa- 
gna, I  frutti  sembrano  quei  del  ciriegio,  verdastri  al  bel  prin- 
cipio, poi  rossìgnì,  ìndi  nella  maturanza  d'un  perfetto  por- 
porino. 11  nocciolo  di  esso  frutto  rinchiude  dna  grani  di  caflè, 
i  quali  si  combaciano  nella  parte  piana,  e  son  nodriti  da  un 
filamento  che  passa  loro  al  lungo,  di  che  ne  vediamo  vesti- 
gio nel  grano  medesimo.  Si  raccolgono  i  frutti  maturi  del 
caffè  scuotendone  la  pianta;  essi  non  sono  grati  a  cibarsene, 
si  lasciano  disseccare  esposti  al  sole;  indi  facendo  passare 
sopra  di  essi  un  rotolo  di  sasso  pesieinte,  si  schiudono  i  gusci, 
a  ne  esce  il  grano.  Ogni  pianta  presso  a  poco  produce  cinque 
libbre  di  caffè  all'  anno,  e  costa  si  poca  cura  il  coltivarla, 
eh'  egli  è  un  prodotto  che  ci  concede  la  terra  con  uùa  gene- 
rosità che  poco  usa  negli  altri. 

»  Neil'  Oriente  era  in  uso  la  bevanda  del  caffè  sino  dal 
tempo  della  presa  dì  Costantinopoli  fatta  da' Maomettani, 
cioè  circa  la  metà  del  secolo  decimo  quinto  ;  ma  neir  Europa 
non  è  piò  d'un  secolo  da  che  vi  è  nota.  La  più  antica  me- 
moria che  se  n'abbia  è  del  1614,  anno  in  cui  ne  fu  portato  a 


8  IL  CAFFÈ. 

Marsiglia,  dove  si  stabilì  la  prima  bottega  di  caffè  aperta  in 
Europa  Tanno  1671.  La  perfezione  delia  bevanda  del  caffè 
dipende  primieramente  dalla  perfezione  del  caffè  medesimo, 
il  quale  vuol  essère  arabo,  e  nell'Arabia  stessa  non  ogni 
campo  lo  produce  d*egual  bontà,  come  non  ogni  spiaggia 
d'una  provincia  produce  vini  di  forza  eguale.  11  migliore 
d'ogni  altro  è  quello  ch'io  uso,  cioè  quello  che  si  vende  al 
Bazar,  ossia  al  mercato  di  Betelfaguy,  città  distante  cento 
miglia  circa  da  Mocha.  Ivi  gli  Arabi  delle  campagne  vicine 
portano  il  caffè  entro  alcuni  sacchi  di  paglia,  e  ne  caricane 
i  cameli;  ivi  per  mezzo  dei  Baniam  i  forestieri  lo  comprano. 
Comprasi  pure  il  buon  caffè  al  Cairo,  ed  in  Alessandria, 
dove  vi  è  condottò  dalle  caravane  della  Mecca.  I  grani  del 
caffè  piccoli  e  di  colore  alquanto  verdastro  sono  preferibili  a 
tutti.  Dipende  in  secondo  luogo  la  perfezione  della  bevanda 
dal  modo  di  prepararla,  ed  io  soglio  abbruciarlo  appena 
quanto  basti  a  macinarlo;  indi  reso  eh'  egli  è  in  polve  entro 
una  caffettiera  asciutta,  lo  espongo  di  nuovo  all'  azione  del 
fuoco,  e  poiché  lo  vedo  fumare  copiosamente,  gli  verso  sopra 
l'acqua  bollente,  cosicché  la  parte  sulfurea  e  oleosa,  appena 
per  l'opera  del  fuoco  si  schiude  dalla  droga,  resti  assorbita 
tutta  dall'  acqua  ;  ciò  fatto,,  lascio  riposare  il  caffè  per  un  mi- 
nuto, tanto  che  le  parti  terrestri  della  droga  calino  al  fondo 
del  vaso;  indi,  profumata  altra  caffettiera  col  fumo  del  legno 
d'aloe,  verso  in  essa  il  caffè  che  venite  a  prendere  e  che  tro- 
vate si  squisito. 

»  Il  caffè  i'dllegra  l'animo,  risveglia  la  mente:  in  alcuni  è 
diuretico,  in  molti  allontana  il  sonno,  ed  è  particolarmente 
utile  alle  persone  che  fanno  poco  moto,  e  che  coltivano  le 
scienze.  Alcuni  giunsero  perGno  a  paragonarlo  al  famoso  Ne- 
pente  tanto  celebrato  da  Omero;  e  si  raccontano  de' casi 
ne' quali  coir  uso  del  caffè  si  son  guarite  delle  febbri,  e  sì 
son  liberati  persino  alcuni  avvelenati  da  un  veleno  cos^galante 
il  sangue  ;  ed  è  sicura  cosa  che  questa  bibita  infonde  nel  san- 
gue un  sai  volatile,  che  ne  accelera  il  moto  e  lo  dirad4,  e  Io  . 
assottiglia,  e  in  certa  guisa  lo  ravviva. 

»  Questa  pianta  animatrice,  naturale  per  quanto  sembrai 
al  suolo  dell'Arabia,  fu  verso Jl  fine  dello  scorso  secolo  dagli 


IL  CAFFÌS.  0 

Olandesi  trasportala  neir  isola  di  Java  a  Batavia^  indi  molU- 
plicatasì,  ivi  se  ne  dilatò  dai  medesimi  la  piantagione  anche 
Derisola  di  Geylan,  poscia  col  tempo  se  ne  portò  in  Europa 
e  in  Olanda;  e  in  Parigi  per  curiosità  se  ne  coltivano  le 
piante,  le  quali  nelle  serre  riscaldate  T inverno  reggono  e 
producono  fratti,  e  tanto  se  n'ò  uni  verbalizzata  la  cultura 
presentemente,  che  neir America  e  nell'Indie  Orientali  se 
né  fa  la  raccolta,  cosicché  abbiamo  caffè  di  Surinam^  del- 
l!isola  Bourbon,  di  Cayenne,  della  Martinica,  di  San  Domin- 
go, della  Guadalupa,  delle  Antille,  dell' isole  di  Capo-Verde. 
Il  cafiè  d'Arabia  è  il  primo,  quello  dell'  Indie  Orientali  vien 
dopo,  il  peggiore  d'ogni  altro  è  quello  d'America.» 

Cosi  terminò  di  parlare  Demetrio  ;  ed  io  credetti  al  suo 
discorso,  poiché  lo  trovai  conforme  a  quanto  ne  aveva  lette 
nelle  Memorie  deli*  Accademia  Beale  delle  Scienze  di  Pari^ 
dell'anno  i7i3  in  un  Mimoire  del  signor  Jussieu,  a  quanto  ce 
ne  attestano  i  Viaggi  dell'Arabia  Felice  del  signor  La  Roque, 
del  Cavalier  di  Marchais,  le  Memorie  del  signor  Gareia.  Bla 
poiché  ebbe  terminato  il  suo  ragionamento  Demetrio»  s'alzò  il 
curiale,  e  osci  dalla  bottega  ripetendo:  Gran  fallo,  che  quél  le- 
gume del  caffè,  qtMlla  fava,ci  debba  venire  Hno  da  CoslantinopoHJ 


Ebbimo  nel  Caffè  gran  soggetto  di  ridere,  e  ce  lo  som- 
ministrò un  magro  poetuzzo,  il  quale  venne  a  sfoderarci  on 
coronale  di  sonetti  petrarcheschi  tanto  dolci,  tanto  armonio- 
si, tanto  esangui,  e  vuoti  di  pensieri,  che  avrebber' fatta  la 
lor  comparsa  naturale  in  nna  bottega  di  droghiere  fra  l'op- 
pio e  il  sugo  de'  papaveri.  Son  già  mille  e  quasi  ottocen- 
l'anni,  dacché  al  nostro,  buon  amico  Orazio  non  piacevano 
versus  inopes  rerum  nugceque  canorm:  eppure  certi  poverelli 
si  provano  anche  al  di  d'oggi  di  carpire  la  stima  e  l'onore 
de' loro  cittadini  con  canore  inezie!  Fatto  sta  che  sbadigliam- 
mo Intii  quanti  ^  ben  bene  all'  onore  e  gloria  del  coronale,^  e 
per  destarci  dal  sopore  petrarchesco  in  coi  eravamo,  un  tale 
fii  cavò  di  tasca  on  pezzo  di  carta,  e  ci  pregò  di  ascoltare  un 
pezzo  di  sua  poesia  in  prosa;  essa  ci  piacque,  la  richiesi,  la 
olleoni  ;  ed  eccovi  cosa  contiene. 


IO 

IL  TBWPIO  DBll' IQNOHAIfKA. 

In  una  ccMitrdtia  riposta  circa  a  ({aaraiita  gradi  di  latita- 
dine  trovasi  nna  spazìosissina  yaHe,  di  cui  il  facile  pendio 
invita  gii  uomini  a  scendere  sino  aliatine,  ed  ivrsta  riposto 
il  magnificò  tempio  sacro  alla  Dea  Ignoranza.  Annose  querce 
ricoperte  di  ghiande  gli  stanno  d'intorno,  e  il  suolo  è  ripieno 
dovunque  di  ginestra  e  di  bruco.  La  struttura  del  vasto  tem- 
pio è  gotica,  ed  alla  sommità  della  gran  porta  vedesi  rozza- 
mente scolpita  un' enorme  bocca  sbadigltante;  stansi  ai  due 
lati  dì  essa  porta  due  statue,  ima  alla  dritta  e  l'altra  a  manca, 
le  quali  voltansi  dispettosamente  le  spalle  in  atto  di-  allonta- 
narsi  una  dall'  altra  ;  e  leggesi  scrìtto  sul  piedestallo  di  una. 
Teorica;  suiraltro.  Pratica.  Appena  entrasi  sulla  soglia,  si  sco- 
pre una  infintta  torba,  diversa  d'abiti,  dì  volto  e  di  coetumi, 
onde  è  ripieno  il  vasto  edifìcioi  altri  rappresi  da  un  abituale 
sopore laseìaiysi  trasportare  avanti  e  indietro  dal  moto  altrui; 
altri  occupati  a  parlar  sempre  con  tuono  penetrante  di  voce, 
decidono  durante  tutta  la  giornata;  altrì  stupidamente  sorri- 
dono alla  vista  de'  continui  accidenti  che  si  vedono  succedere 
l'uno  all'altro  fra  quella  moltitudine;  ma  tutti  ignorano  il 
nome  della  Dea,  e  il  luogo  ove  soggiornano.  Ivi  sono  coperte 
le  panetr  di  varie  pitture,  e  stravaganti  arnesi,  ivi  vedonsi 
sopraveste  inzolferate,  ivi  mannaje  e  lacci,  ivi  eculei  e  tor>> 
ture  d'ogni  sorte,  ivi  stan  delineati  naufragj  e  guerre  civili» 
ivi  d'ogn' intorna  vedonsi  espresse  in  varie  fórme  la  Morte 
e  la  squallida  ^teriMlà.  Da  un  rostro  elevato  grida  e  declama 
ad  ogni  istante  una  spolpata  vecchia:  Giovani^giovani, ofcófr 
tatemi,  non  vi  fidale  di  voi  medesimi;  quello  che  senUte  enhrodi 
voi  è  luUo  illusione;  badale  ai  vecchi^  e  credete  bene  quel  che 
esei  hanno  fatto.  Ivi  da  un  altro  canto  grida  e  si  smanta  un 
gravissimo  caduco:  Gioicani,  giovani,  ìa  ragione  è  una  chimo-' 
ra;  se  voUte  distinguere  il  vero  dal  falso^  raccogliete  i  volideèia 
moUitmdine  :  giovani,  giovani,  ta  ragione  è  una  chimenL,  FcaU-» 
tanto  siurta  la  turba,  e  s'avanza  e  si  ritira,  e  sbadiglia  e  sor- 
ride, e  vede  e  non  osserva,  e  ascolta  e  non  intende,  e  fen* 
donla  di  tempo  in  tempo  alcuni  medici^  i  quali  in  abito  da 


IL  TlQMPiU  DBIX' IGfiHNUMZA.  11 

sacerdoti,  colla  sacra  bipenne  in  mano,  slrasciiuttio  all'ara 
ddla  onorata  Bea  le  innocenti  vittime  amane,  le  qorii  col 
loro  sangue  inaffiano  il  non  mai  disseccato  santuario.  Slassi 
la  possente  Dea  rappresentata  in  una  colossale  statua  di  su- 
ghero, a  coi  servono  di  base  una  prodigiosa  mole  di  libri  di«- 
sposti  in  forma  d'un  cono.  Oh  quanti,  oh  quanti  libri  vena* 
rati  da  noi,  e  rilegati  spleudidamenle  nelle  nostre  blUiotecfae, 
servono  ivi  a  questo  ministero  1  Oh  quanti  potcei  io  nomi- 
narne,  se  non  temessi  e  la  sorpresa  de'  miei  lettori,  e  la 
persecuzione  infallibile  di  cbi  è  interessato  a  nascondere  al- 
cune verità  I  Dietro  la  grand' ara  della  Dea  stassi  un  piccolo 
recinto  segregato  dalia  gran  nave  di  cui  s'è  detto  :  ivi  tro- 
vansi  alcuni  filosofi  entrativi  per  una  angusta  porticella  su 
coi  sta  scolpita  questa  parola  Paucis  :  vedonsi  scritti  intorno 
alle  mura  di  quel  recinto  queste  parole:  Eìemenii  de' corpi, 
sensibilità,  cagione  del  moto,  quantità  di  moto,  cagione  delV at- 
trazione, e  simili  detti:  ivi  que'  pochi  segregati  cantano  inni 
alia  Dea,  ringraziandola  perchè  ascondendoci  le  malattie,  le 
aventure  a  venire,  e  la  giornata  del  morir  nostro,  ci  lasci  le 
ore  della  vita  prive  di  molte  sollecitudini.  Ma  se,  per  ventu- 
ra, qualcuno  di  questi  osa  passar  scopertamente  in  mezzo 
alla  folla  della  gran  nave,  voi  credereste  di  vedere  una  ter- 
rìbile tempesta  neU'  Oceano  :  grida,  urli,  malediche  voci  rini- 
Inmibane  d'ogni  parte,  e  fanno  echeggiare  le  capaci  volte; 
alcuni  s'astengono  da  quel  passaggio,  e  questi  scansano  così 
gl'insulti;  altri  procurano  di  deludere  la  folla  coprendosi  alla 
meglio,  e  nascondendosi  con  una  scorza  posticcia;  ma  gli  ef- 
fluvi fitofiofici  per  lo  più  trapelano  malgrado  le  avvertenze,  e 
sono  questi  i  più  vivi  pungoli  per  riscuotere  i  vo^ried^ni- 
marli  alla  persecuzione.  A'  piedi  dell'  ara  ewi  una  porta  per 
dove  si  scende  in  una  spaziosa  caverna  sotterranea,  ed  ivi 
al  pallido  lume  di  alcune  lampadi  sta  una  schiera  di  gravis- 
aimi  sapienti  maneggiando  ed  imparando  a  mente  voluminosi 
consulenti,  npetenti,  trattatisti  :  ivi  stanno  ammirando  le  im- 
patinate medaglie,  le  rosicate  isericioni,  le  patere,  i  tripodi 
antichi,  alcuni  mal  sbarbati  e  mal  lavati  eroditi  ;  ivi  declinano 
con  scrupolosa  esattezza  i  verbi  di  lotte  le  lingue  i  profon- 
dissimi gnmimatici,  e  giudicano  delle  opere  nuove  sulla  bilan- 


12  IL  TEMPIO  dell' IGNORANZA. 

eia  delle  lor  leggi  ;  ivi  in  somma  sianno  per  anni  e  lustri 
scavando  il  vero  sapere  qnegli  nomini  i  quali  credono  soliai 
mondo  di  possedere  la  intima  cognizione  delle  vere  scienze; 
ivi  si  abbruciano  ogni  anno  nel  giorno  della  solennità  stabi- 
lito le  opere  di -Bacone,  di  Galileo  e  di  Newton,  un  eseto'- 
plare  dello  Spirito  delle  leggi,  e  un  altro  del  TraUalo  delle 

sensazioni. 

Sei*  armonia  del  verso  servisse  ad  abbellire  si  fatti  pen- 
sieri, forse  il  tmn^ierò  de'  poeti  non  sarebbe  si  grande ,  né  la 
professione  di  poeta  si  poco  onorevole. 


Kiiimairvi  »i:i«  cononERCio. 

11  commercio- consiste  nella  permutazione  d'una  cosa 
còli'  altra.  É  cagionato  dal  bisogno  che  si  ha  della  cosa  che  si 
vuole  acquistare,  e  dàiV  abbondanza  che  si  ha  della  cosa  che 
si  vuole  cedere  in  contraccambio. 

Quando  il  commercio  é  prodotto  più  dal  bisogno  delle 
cose  straniere,  che  d^W.  aì^ondanza  delle  proprie  ,^  si  chiama 
Commercio  passivo  :  ctm  chiamasi  Commercio  aUivo  quello  che 
viene  cagionato'  più  dall'  abbondanza  delle  cose  proprie,  ch^ 
dal  bisogno  delle  straniere. 

Per  nome  di  bisogno  si  sottintendono  due  diverse  idee: 
runa  è  il  bisogno  assolutamente  detto,  il  quale  è  nella  serie  na- 
turale delle  cose;  e  tale  è  quello  che  ci  porta  ad  evitare  il 
proprio  deperimento:  Tallra  è  il  bisógno  artefatto,  nato  daUa 
opinione  e  dal  lusso.  Il  primo  cerca  le  cose  necessarie,  l'altro 

le  utili.  • 

L* abbondanza  pure  ha  due  aspetti:  una  è  Vassoluta,M 
quale  anche  può  dirsi  superfluità;  l'altra  è  relaUva,  ossia  mi 
minor  bisogno  che  sacrifichiamo  a  un  maggiore;  e  in  questo 
senso  non  v'è  nazione  comunicante  colle  altre,  che  non  ab- 
bia abbondanza. 

Nel  commercio  attivo  l'abbondanza  dev'essere  assoluta. 
La  nazione  avendo  più  a  dare  che  a  ricevere,  quella  somma 


ELEMENTI  DEL  GOMMBKCIO.  13 

che  le  resta  di  credito  viene  compensala  eolla  Ifonete,  con- 
trassegno con  coi,  per  oniyersale  consentimeiito  delle  naiiO" 
ni,  sì  valdtano  le  azioni  clie  gli  nomini  hanno  salle  cose.  One- 
sta somma,  che  resta  a  compensarsi  in  moneta,  si  chiama  la 
Bilancia  del  Commercio. 

La  nazione  che  ha  il  eommereio  allivo  preponderante,  si 
rende  ogni  hanno  per  moltiplico  padrona,  se  non  di  diritto, 
di  fatto,  delle  nazioni  che  hanno  il  commercio  meno  in  vi- 
gore del  suo.  Allora  la  nazione  diventa  veramente  ricca  ;  la 
cDltnra  delle  terre,  la  popolazione,!  comodi  della  vita,  la 
copia  di  tntto,  sono  i  beni  che  un  felice  commercio  produce 
néir  interno;  la  stima  e  i  riguardi  sonoqaelli  non  minori  che 
prodnce  al  di  fuori. 

La  nazione  presso  coi  pjrepondera  il  commercio  pateito 
perde  ogni  giorno  cotesti  beni,  e  corre  alla  propria  distru- 
zione. Il  male  va  crescendo  per  moltipUco,  i  cattivi  effetti 
diventano  cagioni,  sin  tanto  che  ridotta  alla  perfetta  dipen- 
denza da' suoi  vicini,  priva  d'abitanti,  diventa  nn  pa<^  non 
ad  altro  buono  che  a  traspìantarvi  colonie. 

Il  commercio  intemo  impedisce  la  perdita  delle  ricchezze 
della  nazione,  T estemo  ha  per  oggetto  d- aumentarle:  il  pri- 
mo s'oppone  al  passivo,  F altro  le  compensa. 

Di  qualunque  specie  sieno  i  tributi  che  paga  nna  nazione 
al  sovrano,  essi  rimontano  tutti  a  un  primo  princii»o,  che  é 
la  capilazione ,  o  sia  il  tributo  sulle  terre,  o  stilla  consumazio- 
ne, ovvero  solle  merci;  é  sempre  vero  che  a  misura  delia 
popolazione  si  accresce  il  numero  de'  consimiatori  e  de' com- 
pratori, e  che  le  terre  rendono  fdù  dove  sono  più  coltivate. 
Un  re  che  comandi  a  due  milioni  d'uomini  sparsi  n^o  spa* 
zio  di  mille  miglia,  è  dieci  volte  almeno  più  debole  d'un  re 
che  comandi  a  venti  nrilioni  d'uomini  sparsi  nello  spazio  di 
cinquecento  miglia.  Le  rendite  del  sovrano  crescono  eolla  po- 
polazione dello  Stato,  e  scemano  con  essa,  e  la  popolazione 
dello  Stato  dipende  interamente  dalla  natura  del  commercio. 
Dove  l'industria  e  l' agricoltura  danno  ptà  facili  mezzi  a  sos» 
sistere,  ivi  non  mancano  giammai  gli  abitanti.  £  dunque  mas- 
simo interesse  del  sovrano  la  buona  direzione  del  commercio. 

Se  tutte  le  nazioni  intendessero  i  proprj  vantaggi»  fa* 
II.  2 


14  ELUIEMTi  DEL   COflfHCftClO. 

rebbero  in  itiado  d'av«re  nel  loro  inlecno  le  cose  che  loro 
biso^naiio;  per  quanto  fosse  possibile.  Allora  il  commercio 
esterno  sarebbe  il  minimo  possìbile,  essendosi  ridotto  al  mi* 
ninao^  passibile  il  bisogno  che  lo  produce.  Cresce  il  commer- 
cio sin  tanto  che  egli  è  ben  inteso  da  alcune  nazioni,  e  9ce- 
ma-  41M11MI0  è  universalmente  conoscioto.  Intanto  però  che  i 
901^  pofitiei  non  gìongane  a  questo  forse  chimerìco  grado 
di  perfeiùone  universale,  la  nacione  che  avrà  in  prima  inerti 
gli  occhi  sul  commercio  profitterà  della  indolenza  delle  altre, 
e  diverrà  ricca,  popolata  e  florida  a  loro  spese. 

Quando  una  nazione  è  giunta  ad  avere  dentro  di  sé 
quante  occorre  al  compimento  de?  suoi  bisogni,  eUa  è  nella 
intera  indipendenza  dalle  altre,  né  ha  più  a  temere  il  com^ 
mereie  rovinoso;  ma  per  ottenere  questo  conyiene  che  la  na- 
fliotie  sia  estremamente  ristretta^  o  vasta  estremamente.  Nel 
pfiilfee  caso,  41  governo  travaglia  pia  a  diminuire  i  bisogni  che 
aeodéisfàirli;  e  questo  freno  alle  passioni  degli  uomini  non  bì 
può  iikiporre  che  a  un  numero  limitato,  e  per  untompo  pure 
limitato:  gli  antichi  Lacedemoni  furono  in  questo  caso. 
Quimdo  poi  la  nazione  sia  vasta  in  guisa  da  potere  cogli  in- 
terni fralti  della  terra  e  dell' industria  soddisfore  interamente 
i  proprj  bisogni,  allora  pure  è  néir  indipendenza  :  ma  la  na*- 
tara  in  un  ristretto  spazio  non  suede  produrre  quanto  richie- 
dono i  bnognì  d'opinione  degli  nominL  Nella  China  cento 
milioDÌ  d'abitanti  in  un  cbma  de'  più  felici  hanno  potuto  ri- 
nttuiare  ad  ogni  straniera  mercanzia  senza  Invidiar  nnlla  ai 
forestieri.  Ogni  nazione  che  sia  nella  mediocrità  non  può 
sperare  né  di  ceotonere  intèramente  le  voglie  degl' individui, 
né  di  naturalizzare  entro  di  sé  tutte  le  cose  delle  quali  é  av- 
vezza à  far  uso.  Egli  é  però  vere  che  se  questo  non  é  spera- 
bile perfettamente,  pure,  a  mtsura  che  una  nazione  s'accosta 
a  questo  stato  d'indipendenza,  ne  risente  efficacemente  i  van- 
taggile col  commercio  attivo  può  ricompensare  e  sorpassare 
le  perdite  che  le  restano,  e  decidere  per  sé  la  bilancia.  Que- 
sto é  il  solo  scopo  che  si  può  proporre  nel  sistema  presente 
d'Europa. 

Tutto  si  là  per  gradi  netta  natura.  Il  coripo  politico  é  una 
nacehina,  le  di  cui  diverse  e  complicate  ruote  né  sono  per- 


SLEMEKTi  DEL  COMMBBaQ.  i|S 

celiìbììi  a  molti ,  nò  soffrona  impaneiiiSBte  d'«SMr«  n^olte  ad 
OD  (ratio  scomposte.  Ogni  scossa  è  fatale,  e  dai  faaesli  efiéCU 
discoprono  poi  gì'  incauti  la  contiguità  che  jion  avevano  ra^** 
visalain  prima.  Vi  Ynole  l'opera  di  chi  perfeUamonte  ne  eof 
Dosca  tutta  la  meccanica  per  mettervi  mano.  I  progetti  fH 
pronti  e  universali  se  pia  abbagliano,  sono  altresì  pia  dilficjyu 
e  pericolosi  ad  eseguirsi,  ed  ò  tanto  più  stabile  la  felicita 
d'una  nazione,  iinanto  più  per  gra^i  se  ne  innalza  Vediflcia 
Miglior  melodo  di  totti  è  il  cominciare  dal  por  rimedio  alle 
perdite  attuali,  alle  quali  provveduto  che  si  sia,  più  facile  as^ 
sai  riesce  il  distendersi  al  commercio  kierativo.  L!«maniià 
non  consente  che  si  facciano  do'  saggi  a  «pese  della  pubblica 
felicità,  sulla  qoale  nuUa  convieno  intentare  di  nnovo»,  se  la 
evidenza  non  oi  proviene  suU' esito  felice  della  nostra  intra- 
presa. 

I  primi  oggetti  i  quali  si  presentano  sono  quelli  eho  rt-> 
«guardano  la  più  grande,  la  più  utilf)  e  la  più  ialolioe  parte 
della  nazione,  che  è  il  popolo.  Quanto  é  di  suo  «so,  forma  i' 
capi  principali  del  commercio ,  come  qiieUi  che  s^bene  se* 
paratamente  presi  sieno  dipeco  valore,  nnniti  però,  e  tanle 
volte  ripetuti,  formano  le  somme  più  conaiderabilU  Chi  vive 
nelle  città  ò. colpito  di  ordinarlo  dalle  sole* spese  del  lusso  di 
alcuni  pochi  cittadini;  in  vista  deUe  quali  sembrano  non  der 
gne  d'attenzione  le  più  grandi  realmente,  cioò  quelle  della 
plebe  e  de'  contadini  :  ma-  chi  vi  riflette,  vede  ohe  apf^ona  na 
uomo,  ogni  trecento,  spende  negli  oggetti  del  lusso,  e  oh9 
gli  abiti  di  ducento  novi^nta  nove  uomini  costano  assai  pia 
della  gala  del  ricco. 

Non  v'  è  paese  in  coi  non  si  possa,  introdinre  Isbbrica  di 
panni  e  tele,  quali  fanno  bisogno  al  vesliio  del  popolo;  e 
qoand'  ancho  le  terre  non  somministrasserp  lini  e  lane  ba^ 
stanti,  o  le  somministrassero  di  qualità  cattiva ,  è  sempre 
vero  che  converrebbe  anzi  .prendere  da'  forestieri  queste  mal- 
terie prime  e  tesserle,  che  comperare  le  manifatture,  poiché 
tutto  il  prezzo  della  manifattura  non  uscirebbe ,  e  t^nti  oit- 
tadini  di  più  avrebbero  il  vitto  ne)  paese,  quanti  sono  impie- 
gati .nella  manifattura,  Frattantq  però  pongasi  ogni  studio  per 
migliorare  il  prodotto  delle  lane  e  de'  lini  n^io  Stato. 


16  ELEMENTI  DEL  COMHEBCIO. 

Le  manifattore  per  i  bisogni  del  po{k>lo  sono,  come  si  é 
détto,  le  più  importanti  per  ritenere  là  maggior  somma  del 
denaro;  ma  di  più  sono  le  piA  facili  a  stabilirsi,  non  richie- 
dendosi per  esse  né  una  straordinaria  destrezza  e  eleganza 
He' manifaltorìeri,  né  i  grandiosi  capitali  che  vi  vogliono 
per  le  fabbriche  di  lusso.  Molti  non  intendono  questi  princi- 
pj,  e  in  nna  nazione  rovinata  vorrebbero  cominciare  dalle 
stoffld  di  lusso,  come  se  a  un  ammalato  che  sviene  per  la  per- 
dita del  sangue,  un  chirurgo,  negUgentando  di  citìudergli  la 
vena,  cominciasse  a  proporgli  di  cavalcare  per  rendere  più 
robusto  il  temperamento. 

Le  tele  e  piti  ancora  i  panni  difficilmente  si  distinguono 
sé  sieno  legalmente  tessuti  e  tinti  allorché  sono  nuovi  :  l*oso 
soltanto  lo  discopre.  Se  si  lascia  ad  ogni  fabbricatore  la  li- 
bertà di  tessere  e  tingere  come  vuole,  nessuno  nemmeno 
neir  intemo  della  nazione  si  fiderà' delle  manifatture  del  suo 
paese.  Come  v'  é  una  marca  legittima  agli  argenti ,  senza  di 
' coi  nessun  uomo  cauto  li  comprerebbe,  cosi  deve  esservi 
ùtia  marca  legittima  ai  panni,  senza  di  cui  nessuno  arrischia 
il  -suo  denaro.  Nessuna  fabbrica  di  panni  può  riuscire  senza 
questa  precauzione  eseguita  a  rigore. 

La  facilità  d'un  lungo  uso  nel  commercio,  ovvero  la 
scarsezza  del  denaro  della  nazione  che  ci  vende  le  merci ,  fa 
si  che  talora  esse  giungano  a  minor  prezzo  di  quanto  coste- 
rebbero fabbricate  da  noi  medesimi  ;  donde  ne  nasce  una 
sorte  di  ritrosia  in  chi  deve  metter  mano  al  commercio,  co- 
me se  fòsse  una  legge  poco  giusta  e  umana  l'obbligare  il  mi- 
nuto popolo  a  pagare  di  più  quanto  può  ottenere  a  minor 
prezzo.  Questa  difficoltà  cessa  qualora  s'abbia  di  mira  il  pub- 
blico bene,  e  si  rifletta  che  chiudendo  questa  uscita  del  de- 
naro della  nazione,  essa  ne  rimarrà  tanto  più  fornita,  onde 
crescendo  la  copia  del  denaro,  il  prezzo  delle  opere  tutte  e 
de' generi  crescendo  a  proporzione,  s'accresceranno  nelle 
mani  di  ognuno  i  mezzi  per  provvedersi  colle  interne  mani- 
fatture. 

In  un  paese,  che  non  sia  un'isola,  la  proibizione  d'una 
merce  che  vi  ha  spaccio,  é  un  inutile  tentativo,  che  essendo 
inosservato  ricade  in  discredito  del  legislatore.  Perché  il 


BLBMSIITI  DEL  GOMHEBCIO.  17 

popolo  non  preferisca  le  merci  forastiere  alle  nazionali,  con- 
▼iene  primieramente  diminnire  quanto  è  possìlNle  il  prezzo 
delle  nazionali  ;  9^  accrescere  il  prezzo  delle  manifattore 
straniere  ;  3**  procurare  che  le  manifattore  nazionali  non  la 
cedano  in  bontà  alle  forastiere. 

Questo  timone  della  nave  è  sempre  nelle  mani  del  so- 
Trano.  Colle  esenzioni  e  colle  somministrazioni  fatte  ai  fab- 
bricatori, egli  diminuisce  il  prezzo  delle  interne  manifattore; 
aggravando  le  imposizioni  alla  introduzione  delle  merci  stra- 
niere, egli  accresce  il  prezzo  delle  manifatture  esteme;  e  con 
abili  ministri  e  buone  leggi  egli  perfeziona  le  inteme  mani- 
lattare.  Il  primo  passo  naturale  dunque  verso  la  riforma  del 
commercio  è  la  deputazione  di  persone  di  zelo  e  d'intelli- 
genza, la  retta  costruzione  delle  tariffe,  e  la  rettificazione 
delle  leggi  commercianti. 

L'oomo  naturalmente  corre  all'  utile,  e  sebbene  non  sia 
per  Io  pia  sensibile  alle  attrattive  della  verità  per  so  stessa, 
pure  per  un  secreto  pìso  la  sente,  quando  questa  lo  conduce 
a  migliorare  la  spa  fortuna.  Travaglia  esso  per  il  bene  della 
società,  quando  vi  trova  rutile  proprio.  La  grandmarle  del 
legislatore  è  di  sapere  ben  dirìgere  la  cupidigia  degli  uomi- 
ni Allora  si  scuote  l'utile  industrìa  de' cittadini  ;  l'esempio, 
l'emulazione  e  l'uso  fanno  moltiplicare  i  cittadini  utili,  i  quali 
cercano  a  gara  di  farsi  più  ricchi  col  somministrare  alla  pa- . 
Ina  merci  migliori  a  minor  prezzo. 

La  libertà  e  la  concorrenza  sono  l'anima  del  commer- 
cio; cioè  la  libertà  che  nasce  dalle  leggi,  non  dalla  licenza. 
Qnindi  ne  siegue,  che  l'anima  del  commercio  è  la  sicurezza 
deOa  proprietà  fondata  su  chiare  leggi  non  soggette  all' arbi- 
trio; ne  siegue  pure  che  i  monopoij,  ossia  i  privilegi  esclu- 
sivi »  sieno  perfettamente  opposti  aUo  spirito  del  commercio. 

Stabiliti  che  sieno  in  una  nazione  i  buoni  prìncipj  del 
commercio,  allora  s'accrescono  le  nozze  de'  cittadini  abilitati 
a  mantenere  una  famiglia;  allora  vengono  da' paesi  esteri  è 
meno  attenti  al  commercio  noove  famiglie  chiamate  dall'utile 
e  dai  maggiori  comodi  della  vite,  e  si  naturalizzano  tanti  cit- 
tedini,  quanti  erano  in  prima  gli  operaj,  che  in  paesi  esteri 
vivevano  colle  manifattore  comperate  da  noi;  allora  consu- 


18  ELKUEMTI  DEL   COSUIGBCiO. 

mando  essi  il  prodotto  delle  terre,  sairagricoltara  ricade  uoa 
nuova  rugiada  che  la  rinvigorisce  ;  in  somma  il  primo  passo 
al  bene  come  al  male  facilita  gli  altri,  come  i  gravi,  il  di  cut 
moto  s'accelera  colla  caduta. 

Né  alcuna  nazione  disperì  di  avere  dentro  dì  sé  questi 
beni,  soltanto  che  lo  voglia.  I  varj  giri  che  ha  fatto  il  commer- 
cio sulla  terra,  ora  per  T.Asia,  ora  sulle  coste  d* Affrica,. ora 
in  Grecia,  ora  in  Marsiglia,  ora  in  Italia,  ora  nel  Portogallo, 
ora  neir Olanda,  consecutivamente  mostrano  ch'egli  non  é. 
legato  dal  climax  II  buon  governo  lo  invita,  lo  scaccia  il  cat- 
tivo; onde  dovunque  il  commercio  é  in  rovina,  è  legittÌBia 
conseguenza  il  dire  che  vi  sia  un  difetto^organieo  nel  sistema, 
a  meno  che  un'  accidentale  cagione  e  passeggera  non  possa 
assegnarsi. 

Gli  uomini  del  volgo  credono  che  sieno  in  contraddizione 
gli  attuali  interessi  delia  nazione  con  quelli  del  sovrano  in 
fatto  del  commercio.  Credono  essi  impossibile  rianimare  il 
commercio,  se  il  principe  non  diminuisce  le  imposizioni  per 
qualche  tempo.  Ora  essendo  ogni  anno  necessaria  al  sovrane 
la  stessa  rendita  sulla  quale  è  fondato  il  mantenimento  della 
milizia  e  de' magistrati,  ogni  riforma  si  risguarda  come  una 
bella  speculazione  e  nulla  più.  Questa  falsa  supposizione  non 
deriva  da  altro  se  non  dalla  poca  riflessione  che  fassi  sulla  di* 
versa  natura  de' tributi,  de' quali,  se  una  parte  si  trova  atr 
tualmente  cosi  incautamente  posta,  che  s'opponga  all'utile 
commercio,  è  sempre  però  vero  che  dall'abuso  di  una  cosa 
non  si  può  provare  l'intrinseca  pravità  della  sua  indole.  I  tri-r 
buti  sono  per  loro  natura  indifferenti  al  commercio,  al  quale 
anche  possono  contribuire  ;  né  lo  rovinano  che  quando  o  sono 
mal  diretti,  o  quando  veabnente  eccedono  le  forze  d'uno 
Stato. 

Ogni  tributo.  suUa  uscita  delle  mani fat lupe  fabbricai  in- 
ternamente, ovvero  sulle  dorate  nate  nello  Stato^  e  phenea 
possono  ridursi  a  manifattura,  è  pernicioso  al  commercio. 

Ogni  tributo  sulla  introduzione  delle  saaterie^a  lavorarsi 
nello  Stato  è  pernicioso  al  comn^ercio. 

Ogni  tributo  sulla  uscita  delle  «aterie  nazionali,  che 
servono  alle  manifatture  interne,  è  salutare  al  commercio. 


ELEMENTI  DfiL  COMMERCIO.  10 

Ogni  Irìbato  sulla  introduzione  delle  manifottnre  stra- 
niere è  salutare  al  commercio. 

Tali  sono  i  principj  universali  per  regolare  le  tariffe,  i 
quali  si  moderano  ne'  casi  particolari ,  avendo  riguardo  alla 
dipendenza  de*  forestieri,  ed  ali'  incentivo  al  contrabbando, 
U  quale  cresce  colla  gabella.  Ed  ecco  come  il  principe  possa, 
conservando  i  tributi,  animare  il  commercio,  togliendo  sol- 
tanto la  viziosa  ripartizione  del  tributo  medesimo.  Un  mi- 
lione in  mano  d'un  imbecille  fa  men  bene  ad  una  nazione, 
cbe  la  sola  penna  in  mano  d'un  abile  ministro. 

Finalmente  altri  vi  sono,  ì  quali  credono  cbe  il  primo 
passo  per  rianimare  il  commercio  sia  promulgare  leggi,  ossia 
prammaticbe  per  annientare  il  lussò  ;  cioè  quel  lusso  sul  quale 
vìve  la  maggior  parte  degli  artigiani;  quel  lusso  il  quale  è  il 
solo  mezzo  per  cui  le  ricchezze  radunate  in  poche  mani  tor- 
nino a  spargersi  sulla  nazione  ;  quel  lusso  il  quale  lasciando 
la  speranza  ai  cittadini  d'arricchirsi,  è  lo  sprone  più  vigoroso 
dell'  industria  ;  quel  lusso  finalmente  il  quale  non  va  mai  di- 
sonito dalla  universale  coltura  eoripolimento  delle  nazioni. 

Ovunque  il  suolo  basti  ai  bisogni  fisici  degli  abitanti,  non 
poò  esservi  indùstria  senza  lusso.  Le  terre  sono  in  proprietà 
della  minor  parte  deUa  nazione;  i  proprietarj  se  non  hanno 
lusso,  non  le  fanno  coltivare  ohe  quanto  giovi  a  riceverne  i 
Insegni  fisici;  ma,  conosciuti  i  bisogni  del  lusso,  promoveranno 
ragricoltura,  cercando  da  essa  come  soddisfare,  oltre  ai  pri- 
mi bisogni  fisici,  anche  ai  bisogni  sopravvenuti  del  lusso. 
Quindi  i  contadini  troveranno  facile  sussistenza,  s'accresce* 
ranno  le  nozze,  e  si  moltiplicherà  la  popolazione. 

Ifi  prammatiche  non  convengono  che  a  quelle  teri'e  in- 
grate che  non  somministrano  quanto  basta  alla  vita  fisica 
degli  abitanti  :  ed  è  ben  miserabile  quella  pretesa  politica  che 
insegna  a  conservare  le  ricchezze  nelle  mani  d'alcune  fami- 
glie ;  poichò  dovunque  sieoo  disegoalmenie  distribuite  le  ric- 
chezze, tatto  ciò  cbe  tende  a  diminuire  la  disegoa^anza  ò 
nn  tene  presùoso  agli  occhi  d'un  illuminato  legislatore,  acni 
deve  esser  noto,  che  più  le  ricchezze  sono  egualmente  distri- 
boite  su  molli,  più  s'accresce  la  ricchezza  nazionale,  poiché 
un  piecolo  patrimonio  viene  con  più  attenzione  coltivato  che 


20  ELEMENTI   DfiL  COUMfiRCIO. 

uo  grande.  È  pare  agli  occhi  d'un  illuminato  legislatore  un 
bene  tatto  ciò  cbe  tende  a  rìscaotere  i  poveri,  e  ad  eccitarli 
air  indastrìa  coir  aspetto  della  fortuna.  11  solo  lusso  vek'a- 
mente  pernicioso  in  una  nazione  cbe  abiti  un  suolo  fecondo, 
é  quello  che  toglie  alla  coKura  le  terre,  consacrandole  alle 
eacce,  ai  parchi  ed  ai  giardini. 

Ogni  vantaggio  d'una  nazione  nel  commercio  porta  un 
danno  a  un'altra  nazione  ;  lo  studio  del  commercio,  che  al 
di  d'oggi  va  dilatandosi,  è  una  vera  guerra  che  sordamente 
si  fanno  i  diversi  popoli  d'Europa.  Se  ì  buoni  autori  fossero 
intesi,  si  vedrebbe  che  essi  hanno  palesato  il  vero  secreto 
degli  Stati;  ma  per  la  maggior  parte  gli  iiomini  non  accor- 
dano la  loro  slima  che  alle  còse  straordinarie,  né  sospettano 
che  i  principj  della  politica  sieno  si  semplici  come  lo  sono. 


tà/k    COmUEDIA. 

Che  inconvincibil  razza  di  gente  che  sono  mai  qne'  pe- 
danti, i  quali,  nelle  cose  che  sono  iFatte  per  eccitar  nell'ani- 
mo qne'  moti  che  si  chiamano  sentimento,  in  vece  di  abban- 
donarsi alla  magìa  della  illusione,  cavan  di  tasca  il  pendolo 
o  il  compasso,  per  esaminarle  freddamente  e  giudicarne  I  Si 
presenta  ad  essi  un  quadro  pieno  di  poesia  e  di  espressione, 
dove  r  atteggiamento,  la  disposizione ,  e  le  fisonomie  delle 
diverse  figure  sarebbero  atte  a  porre  la  parte  sensibile  di  noi 
in  movimento,  e  spingerla  o  verso  Y  orrore,  o  verso  la  com- 
passione, o  verso  la  maraviglia,  o  verso  qualch' altro  stato 
significato  con  altro  vocabolo;  in  vece,  dico,  di  presentarsi 
all'  azione  che  V  artefice  ha  cercato  di  far  nascere  in  chi 
deve  rimirare,  e  dalla  natura  di  essa  azione  giudicar  poi  del 
merito  della* pittura;  in  vece,  dico,  di  ciò,  si  restringono  a 
criticare  il  disegnò,  e  la  proporzione  d' una  gamba  o  d' un 
lito ,  una  piegatura  stentata  di  una  calza,  o  simile  piccolo 
difetto,  e  della  scoperta  di  esso  gloriosi,  perdono  un  vero 
piacere  con  una  spensieratezza,   che  mal  corrisponde  alla 


LA  COMMEDIA.  21 

cautela  con  cor  sono  essi  si  raramente  sparsi  nella  serie  delle 
nostre  sensazioni.  Lo  slesso  che  dico  della  pittura,  dicasi 
della  musica,  dicasi  della  poesia,  di  latte  le  arti  in  somma 
che  hanno  per  mira  di  fare  una  dolce  illusione  ai  sensi  no- 
stri, e  di  eccitarvi  col  mezzo  della  immaginazione  on  dolce 
torbamenio.  Chi  non  si  scagnerebbe  contro  uno  di  costoro , 
il  quale  alla  lettura  del  più  bel  pezzo  di  Dante,  mentre  fa 
dire  al  conte  Ugolino  quel  doloroso: 

Ahi ,  cruda  terra,  perchè  non  t'apristi! 

in  vece  di  lasciarsi  agitare  dall'  azione  che  fa  il  poeta  sopra 
ogni  caore  sensibile,  si  fermasse  ad  osservare  che  l'accento 
cadendo  «alla  settima  sillaba ,  cioè  sol  perchè,  il  verso  non  è 
dolce,  .8  cho  la  terra  non  può  esser  crudele,  molto  meno 
erada?  Eppure  i  mezzo  eruditi  sono  appunto  in  questo  caso, 
uè  v'  è  chi  giudichi  bene  delle  cose  di  sentimento,  che  o  il 
popolo  quando  possa  prestarvi  attenzione,  ovvero  gli  uomini 
di  lettere  e  i  filosofi  veramente  tali,  1  quali  a  forza  d*  un  fe- 
lice naturale  e  d'un  continuato  viaggio  sono  passati  al  di 
là  della  sommità  di  quello  scoglio  a  coi  ci  fa  ascendere  una 
mal  ragionata  educazione,  e  sono  giunti  a  scoprire  questa 
grande  verità ,  che  le  regole  e  le  leggi  d'ogni  cosa  dipendente 
dal  sentimento  sono  stabilite  con  questo  nome ,  unicamente 
perchè  sono  credute  necessarie  per  produrre  V  elfetto  a  cui 
si  destina  V  opera  qualunque  ella  sia,  e  che  in  conseguenza 
qualora  l'opera  ottiene  il  suo  elfetto,  in  vece  di  trovarla  cat- 
tiva per  le  regole  che  vi  si  trasgrediscono,  ragion  vuole  che 
si  trovino  tante  regole  inutili  quante  sono  le  trasgredite. 

Ma  io  potrei  scrivere  un  ìn-^foglio  inutilmente,  poiché  la 
classe,  come  ho  già  detto,  di  questi  pedanti  non  si  muta  mai, 
a  cesto  di  ribattere  la  dimostrazione  medesima ,  quand-  ella 
potesse  spargersi  in  materie  che  non  possono  rappresentarsi 
coi  segni  di  più  e  meno.  Unì)  dt  costoro  appunto  s'è  scate- 
nalo nel  nostro  Caffè  contro  il  valoroso,  il  benemerito,  ril- 
lastre  signor  dottor  Goldoni,  uomo  al  di  cui  talento  comico 
ha  resa  giustizia  in  prima  T Italia,  e  al  di  d'oggi  può  dirsi 
la  parte  colta  dell'Europa,  al  di  cui  onestissimo  carattere  e 
amabili  costumi  rendono  giustizia  i  molti  e  rispettabili  suoi 


22  LA  COMMBOU. 

amici.  Pretendeva  costai  che  gì'  Italiani  huino  torto  quando 
trovano* piacere  alle  commedie  del  Goldoni,  declamava  che 
il  Goldoni  non  ha  il  vero  talento  comico,  che  il  Goldoni  non 
oeierva  nessuna  regola,,  che  il  Goldoni  non  sa  la  lingua, 
che  il  Goldoni  non  può  paragonarsi  a  Molière  in  veron  con- 
to, e  continuava  su  questo  gusto.  Io  che  son  persuaso  che 
il  più  gran  castigo  che  possa  darsi  ad  un  ignorante  ardito 
è  di  lasciarlo  ignorante  e  ardito;  io  che  sono  persuaso  che 
il  peggior  impiego  che  possa  farsi  della  ragione  umana ,  è 
adoperandola  con  un  pedante,  mi  sono  fatto  portare  una 
tazza  dello  squisito  caffè  del  buon  Demetrio,  e  ine  la  sono 
sorbita  deliziosamente  lasciando  declamare  il  pedante  a  sua 
posta;  ma  giunto  a  casa  me  ne  vendico,  e  vendico  l'onore 
non  dirò  del  Goldoni,  al  quale  un  elogio  di  più  aggiunge  po^ 
00,  ma  l'onore  del  popolo  d' Italia,  il  quale  frequenta  e  ap* 
plaude  al  nostro  protocomieo. 

La  commedia  è  destinata  a  correggere  i  vizj  dilettando; 
e  questa  definizione  della  commedia,  s'ella  non  è  conforme 
à  quella  che  ne  danno  gli  eruditi  scrittori  che  hanno  im« 
pacato  ogni  cosa  fuori  che  l'arte  di  distinguere  le  cose  buone 
dalle  cattive,  mi  pare  preferibile  all'altra,  che  la  commedia 
è  quella  che  purga  V animo  col  riso,  poiché  mi  pare  che  il 
i^iso  purghi  cosi  poco  l'animo,  quanto  la  slogatura  ddle  ossa 
dell'  omero  purghi  l' infamia  nella  tortura. 

Nelle  commedie  del  signor  Goldoni  primieramente  è  po<* 
sto  per  base  un  fondo  di  virtù  vera,  d'umanità  ,  di  benevo- 
lenza, d'amor  del  dovere,  che  riscalda  gli  animi  di  quella 
pura  fiamma  che  si  comunica  per  tptto  ove  trovi  esca,  e  che 
distingue  l'uomo  che  chiamasi  d'onore,  dallo  scioperato.  Ivi 
s' insegna  ai  padri  la  beneficenza-  e  V  esempio,  ai  figli  il  ri-. 
spetto  e  l'amore,  alle  spose  l'amor  del  marito  e  della  fami*. 
glia,  ai  mariti  la  compiacenza  e  la  condotta;  ivi  il  vizio  viene 
accompagnato  sempre  dalla  più  universale  e  possente  nemi- 
ca, cioè  l'infelicità;  ivi  la  virtù  provata  ne' cimenti  anche 
più  rigidi  riceve  la  ricompensa;  in  somma  ivi  stanno  con 
nodo  si  indissolul^ile  unite  la  virtù  al  premio,  e  la  dissolu- 
tezza alla  pena,  e  sono  con  si  vivi  e  rari  colorì  dipinte  e 
r  una  e  l' altra,  che  v'  è  tutta  l' arte  per  asaociare  le  Idee  di 


LÀ  COMMEDIA.  93 

onesto  e  atile  nelle  menti  amane  con  <|iiel  nmk»,  il  quale  se 
ona  rolla  al  fine  giongessimo  a  rassodare ,  aarebbero  i  due 
nomi  di  pazzo  e  di  malvagio  sinonimi  nel  linguaggio 
eoniHie. 

Io  non  dirò  che  le  ottanta  e  pia  commedie  del  signor 
Goldoni  dilettino  tutte;  dirò  che  spirano  tutte  la  virtA,  e  eke 
la  maggior  parte  di  esse  veramente  diletta.  Che  ditetlinom6y 
ogni  lettore  deve  accordarmelo,  poiché  parlo  in  materia  in 
coi  non  v'é  miglior  giudice  cranpetente;  che  dilettino  gli 
spettatori  sembra  cosa  molto  probabile,  direi  quasi  delle  pro* 
ittbilmente  probabili,  anzi  delle  probabilmente  probabiliori , 
posto  che  vediamo  il  concorso  cfa'esise  hanno  avuto,  ed  hanno 
tuttavia  per  tutto  ove  si  rappresentano. 

Gli  abitatori  di  Parigi, ^quelli  cioè  che  sono  arvesziogni 
giorno  a  vedere  sui  loro  teatri  le*  più  belle  produzioni  dram- 
fflaticbe  che  gli  uomini  abbiano  fatte,  almeno  dacché  le 
memorie  sono  giunte  a  noi ,  essi  ascoltano  con  applauso  le 
eommedie  del  valoroso  nostro  Italiano.  Nella  Germania  molle 
delle  sue  conunedie  si  rappresentano  tradotte  ed  applaudite» 
Pongasi  tutto  ciò  da  una  parte  deUa  bilancia ,  pongasi  dal- 
l'altra  parte  il  piccol  numero  degli  insensibili  pedanti,  e  poi 
si  giadichi,  se  in  una  cosa  die  piace  cosi  universalmente  vi 
sia  una  ragioiae  perchè  piaccia,  oppure  se  sia  un  effetto 


La  vita  degU  uomini  di  genio  è  sempre  stata  il  bersaglio 
delle  freccio  degli  uomini  mediocri,  e  Molière  sarebbe  stato 
da  essi  oppresso,  se  la  protezione  d' un  gran  monarca  non  lo 
avesse  difeso.  Sia  detto  a  gloria  nostra,  gì' italiani  hanno 
htto  per  quest'  iBustre  paesano  quello  che  avrebbe  potuto 
hre  un  monarca,  e  la  sensibilità  della  nazione  al  merito  ha 
offerto  in  tributo  air  eccellente  comico  T  allegria,  le  lagrime 
e  gli  applausi  de'  pieni  teatri. 

Sin  dalle  montagne,  ove  ha  scelto  di  passare  ì  giorni 
ddla  gloriosa  sua  vecchiaia  il  maestro  vivente  del  teatro ,  il 
signor  di  Voltaire,  vengono  gli  elogi  al  ristoratore  disila  com- 
BMdia,  al  lÀbenUofe  deU'Italm  dot  Barbari,  ài  yero  dipintore 
della  iValura,  signor  Goldoni;  ed  in  fatti  il  nostro  comico  per 
tiberarci  dalla  vera  barbarie,  in  cui  erano  le  scene  d'Italia>  ha 


24  LA  COMMEDIA. 

dovuto  superare  i  primi  ostacoli^  cioè  la  difficoltà  di  avvezzar 
i  commedianti  a  imparare  a  memoria^  e  la  difficoltà  di  avvez- 
zare gli  oditori  a  gustare  le  cose  imparate  a  memoria.  (1  no- 
stro comico  ha  dovuto  per  gradi  mostrarci  la  commedia ,  e 
molte,  ce  ne  ha  mostrate,  le  quali,  oso  predirlo,  si  mire- 
ranno un  giorno  con  gloria  dell'Italia,  come  ora  con  diletto 
e  istruzione. 

Egli  è  vero  che  il  nostro  autore  sapeva  poco  la  lingua 
italiana  quando  cominciò  a  scrivere;  ma  nelle  opere  che 
diede  in  seguito  si  riputi  di  molto.  Egli  è  vero  che  i  suoi 
versi  quanto  sono  facili,  altrettanto  ancora  sono  lontani  da 
queir  armonia  e  da  queir  apollinea  robustezza  che  fa  piacere 
la  poesia;  e  tal  difetto  lo  ha  comune  col  Molière.  Egli  è  vero 
ancora,  che  il  pennello  di  questo  dipintore  della  natura  rie- 
sce meglio  assai  nel  rappresentare  i  caratteri  del  popolo,  che 
riesca  rappresentando  i  caratteri  delle  pèrsone  pia  elevate  ; 
e  di  ciò  son  d' accordo.  Ma  sieno  d' accordo  ancora  tutti  i 
sensibili  e  ragionevoli,  nel  trovare  che  il  Goldoni  ha  tutta 
r  anima  comica ,  e  tutto  il  merito  della  più  pura  virtù ,  che 
scaturisce  dappertutto  nelle  sue  produzioni. 

Il  soggiorno  ch'egli  ora  fa,  per  sua  gloria,  in  Parigi, 
spero  che  sia  per  esser  fruttuoso  all'Italia,  alla  quale  manca 
ancora  la  vera  arte  dei  commedianti.  Qui  m'avveggo  che 
alcuno,  e  forse  molti  de'miei  lettori  sospetteranno  ch'io  cada 
in  un  accesÌBodì  delirio;  ma  si  tranquillino,  si  calmino,  e  se 
vogliono  delle  verità,  leggano;  e  se  non  ne  vogliono,  restino 
come  sono. 

Nella  Francia  dunque,  dove  il  comico  Molière,  il  comico 
Baron  erano  insieme  commedianti,  essi  che  sentivano  tutu 
la  energia  dei  ridicoli  e  delle  passioni  che  dovevano  rappre« 
sentare,  diedero  esempio  agli  altri,  e  servirono  di  modello  del 
modo  di  rappresentar  sulla  scena.  Essi  erano  ben  veduti  albi 
Corte  aHora  la  piùbriUante  d'Europa,  erano  ben  accolti  nelle 
più  nobili  e  pulite  compagnie  del  Regno,  e  cosi  agevolmente 
impararono  l'arte  di  parlare,  di  moversi,  di  vestirsi,  e  di  rap- 
presentare in  somma  al  naturale  ogni  nobil  personaggio.  Sta- 
biliti gli  esemplari ,  i  quali  frequentemente  si  mostravano  , 
facil  cosa  divenne  l'averne  buoni  allievi;  e  tali  sono  per  tra- 


LA  COalHEDlA.  25 

dizione  i  commedianti  che  in  Francia  anche  al  di  d'oggi 
rappresentano  le  composizioni  drammatiche.  Là  non  vedre* 
ste  gii  innamorati  parlare  alle  lor  belle  con  una  canna  in 
mano,  come  se  sempre  fossero  di  viaggio,  col  cappello  in 
lesta  (indecentissima  cosa),  con  nn  abito  -malfatto  e  lo- 
goro, avanzo  di  an  rigattiere.  Là  non  udireste  gli  urli,  e  il 
(flOD  di  voce     . 

Lacerator  dì  ben  costrutti  orecchi, 

cose  latte  che  quasi  universalmente  accompagnano  le  com^ 
pagaie  de' commedianti  d'Italia.  Là  vedreste  insomma  la 
nobile  natura  ^  il  costume  rappresentato  come  egli  è ,  anzi 
vedreste  la  commedia  divenuta  una  vera  scuola  di  gentilez-^ 
za  e  di  buone  maniere^  onde,  se  il  nostro  signor  Goldoni , 
che  sente  il  bello  ,  che  conosce  il  buono ,  al  suo  ritorno  in 
questa  patria,  a  cui  ha  fatto  tanto  onore,  avrà  forze  tali  da 
portare  la  riforma ,  ed  atterrare  gli  avanzi  della  barbarie 
che  ancora  abbiamo  pur  troppo,  spero  che  ciò  si  farà.  Voglia 
il  buon  Genio  d' Italia  che  ciò  si  possa,  e  che  nasca  qualcuno 
degno  d' imparare  T  arte  onorata  del  Goldoni,  e  degno  di  so^ 
stenerne  la  gloria  presso  i  Ogli  nostri* 


ft^A  VORTIJGNA  B£Ì  JLtBRI» 

Son  pochi  di,,  che  un  filosofo  venne  a  visitarmi  per  ceri 
care  il  mio  parere  su  un  libro  destinato  da  esso  per  pubblicarsi 
colla  stampa.—  Qual  è  il  fine,  gli  dissi'y  amico^  per  cui  volete 
snidare  al  pubblico,  coW  aggiungere  il  vostro  nome  alla  lunga 
lista  degli  autori  t  Dalla  vostra  risposta  sceglierò  la  misura 
con  coi  stimare  il  merito  dell'opera  vostra*— Io  voglio,  mi  ri-* 
spoae  il  filosofo,  farmi  un  nome  presso  agli  uomini  miei  con- 
^niporanei,  col  mezzo  del  quale  procurarmi  la  loro  const-* 
derazione,  che  contribuisca  al  mio  ben  essere.— L'impresa  è: 
dìQcile,  risposa  io,  e  voi  sapete  meglio  di  me  quanta  parte: 
^bia  il  caprìccio  della  fortuna  nell'  accreditare  un  astore,  qì 
U  '  3 


2G  LA   FOHTiiNÀ  DUI  UBUl. 

nel  lasciarlo  neH'  angolo  polveroso  d' una  sUmperia  esposto 
alle  Ugnuole,  ed  alle  maledizioni  dello  stampatore.  Pure,  leg* 
géte:  poiché  volete  il  parer  mio,  ve  lo  darò  schietlameate.  Al- 
lora il  filosofo  cominciò  cosi  : 

La  poUlica  sacrifica  molU  migliaja  di  f?t7(^mtf  umane  per 
diioUerrare  sino  negli  antipodi  nuove  rappresenlOiioni  di  tfa- 
lore,nè  allroeffelto  produce  che  quello  di  renderne  V  uso  più  in- 
comodo. Si  cercano  a  dilatare  i  confinij  né  si  riflette  che  la  eir^ 
conferenza  è  aUa  massa  come  il  quadrato  alla  radice.  Non  v'è 
armata  che  non  si  abbandoni  alla  fuga  prima  che  la  decima 
parie  sia  estinta;  l\ abito  men  fallo  alla  guerra  è  quello  del  sol* 
dato.  Gli  editti  di  alcuni  sowani  di  Costantinopoli  su  alcuni 
casi  parUcoUjuiy  il  parere  di  alcuni  privati  Romani,  o  di  ùUri 
oscuri  curiali,  purché  sieno  morii,  regolano  la  vita  e  le  for- 
tune. 

L  amor  del  ben  essere^  più  forte  di  quello  deUa  stfissa  eH- 
stenzUf  dovrebbe  servire  nel  morale^  come  neUa  meUcaniea  la 
pravità.  Guai  atta  umanilà  se  si  eseguissero  alcune  teoriche  dal 
volgo  riattale  !  I  geni  ^  ^^  ^^^  <'  assomigUano  più  ehei  i  me* 
diocri  fra  di  loro,  e  l'uomo,.** 

Basta  così,  amico,  gli  dissi;  il  vostro  libro  non  vale  un 
zero.  Quest'opera  o  non  sarà  intesa,  o  lo  sarà  malamente, 
e  consegnandola  al  pubblico  non  avrete  il  vostro  intento:  al- 
meno vént'anni  opere  si  fatte  devono  languire  sconosciute, 
0  devono  passare  per  la  trafila  dell' indolenza,  e  del  ridicolo 
per  lo  meno.  Avete  voi  vocazione  di  passarvi?  —  No,  davve- 
ro, rispose  il  filosofo.  Ebbene,  datemi  adunque,  mi  disse,  il 
parer  vostro  su  un'  altr'  opera  che  ho  iù  mente,  poiehè  au- 
tore voglio  essere,  e  autore  applaudito. 

Primieramente,  continuò  il  filosofo,  il  titolo  del  libro  sarà 
La  Cucina  p(Mlica.  Proverò  al  principio,  che  gli  avvenimenti 
politici  dipendono  dagli  uomini  che  gli  trattano,  cosa  che 
nessuno  potrà  negarmi.  Passerò  in  seguito  a  dimostrare,  che 
gli  uomini  in  gran  parte  dipendono  dai  kiro  attuai  umore, 
ossìa  daUo  stato  attuale  del  loro  animo,  or  vigoroso  e  intra- 
prendente, ora  debole  e  timido;  e  confermerò  con  molti  fatti 
Bt««ioi  la  variabilità  di  quest'umore,  per  cui  molti  eroi  in 
alcuni  punti  della  lor  vita  sono  stati  uomini,  e  uomini  meno 


LA   FOHTUNl   DEI  LIBBI.  27 

che  mediocri.  L'onore  fero  poscia  vedere  come  dipenda  dallo 
stato  della  ooslra  digestione,  e  la  nostra  digestione  dalla 
natura  de' cibi  che  ci  alimentano;  e  qni  avrò  campo  di  par- 
lar mollo  di  anatomia  e  di  fìsica,  coli*  aiuto  delle  qoali  pro- 
verò il  mio  assunto. 

Da  questi  principj  ne  nasce  dunque,  che  la  massima  in- 
fluenza negli  affari  parte  dalla  cucina,  e  che  da  essa  si  spe- 
discono come  da  prima  origine  le  più  importanti  decisioni. 
Onesto  sarà  il  soggetto  della  prima  parte. 

Nella  seconda  parlerò  dei  metodi  di  riformare  la  cucina, 
e  rettificandola  secondo  le  sane  viste  della  politica;  e  prìmie* 
ramente,  di  destinare  il  cuoco  ad  ogni  persona  che  interessi 
il  ben  essere  degli  uomini  a  qnest'  oggetto  importante,  colle 
istruzioni  secrete  ora  di  abbondare,  ora  di  scemare  le  droghe, 
a  misura  che  d'attività  o  di  ponderazione  fa  d'uopo;  pas- 
serò poi  ad  un'  analisi  chimica  delle  particolarità  di  esse  dro- 
ghe, delle  erbe,  delle  diverse  carni,  e  tutti  in  somma  i  ma* 
teriali  di  cucina,  e  della  influenza  loro  particolare  a  ciascuna 
snl  nostro  stomaco,  e  tutto  ciò  fondato  sulle  più  esatte  spe- 
rìenze.  Finalmente  concluderò  la  mia  opera  con  una  com- 
piuta serie  di  vivande,  atte  ciascuna  a  svegliare  passioni  dif- 
ferenti; con  che  sarà  perfetto  il  mio  trattato.  Ebbene,  che 
ve  ne  pare  ?  soggiunse  il  filosofo. 

—  Ottimo,  risposi  io;  il  vostro  libro  è  d'una  idea  tutto 
nuova,  a  portata  d' ognuno ,  e  dovrebbe  piacere.  Gli  uomini 
unano  più  chi  li  diverte,  che  chi  gì' instruisce,  poiché  sen- 
tono il  male  deUa  noia  continuamente,  e  rare  volte  il  malo 
dell'  errore. 

Il  filosofo  ha  approvato  il  mio  parere.  —  Ebbene,  dis- 
se, conviene  essere  frivola  per  principio,  siamolo  di  buona 
grazia.  La  verità  più  grande  di  tutte  é,  che  convien  cercare 
costantemente  la  propria  felicità. 

Cosi,  fini  la  conversazione,  onde  fra  pochi  giorni  comin» 
cierà  la  bell'opera,  e  fra  un  anno  al  più  ve  la  prometto 
pubblicata. 


^s 


€0]VSOIl»AZI0liri   stili   lilJSSO* 


quid  €Hlm  ratUmt  tlmmmu 

Jut  cupbmu?  JnVEHàL.,  Stt  X. 

Quando  io  dico  Lusso,  non  intendo  già  di  dinotare  qaa- 
lanqne  cosa  di  cni  gli  nomini  ia^cian  nso,  senza  di  cni  per 
altro  potrebbero  vivere:  il  secolo  in  cni  siamo,  e  la  molle 
educazione  che  ci  fu  data,  non  ci  lasciano  le  severe  idee  del- 
l' antica  frugalità  degli  Spartani  ;  perciò  per  Lusso  intendo 
ogni  cosa  realmente  inutile  ai  bisogni  e  comodi  della  vita,  di 
cui  gli  uomini  facciano  uso  per  fasto ,  ovvero  per  semplice 
opinione. 

Nemmeno  qui  prendo  a  scrivere  del  lusso  per  la  relazione 
eh'  egli  ha  con  un  uomo  o  con  una  famiglia,  ma  per  la  re- 
lazione eh'  egli  ha  colla  intera  nazione.  Il  lusso  è  nn  vizio 
contro  cui  declatnano  a  ragione  i  sacri  Oratori;  il  lusso 
rovina  molti  patrimonj  :  ma  ogni  vizio  morale  non  è  un  vi- 
zio politico,  come  ogni  vìzio  politico  non  ò  un  vizio  morale. 

Suppongo  primieramente  una  nazione  ,  a  cui  la  terra 
somministri  appena  il  necessario  fisico  per  nodrirsi,  e  difen- 
dersi dalle  stagioni:  gli  abitanti  di  essa  non  conosceranno  il 
lusso,  poiché  nessuno  vorrà  mai  spogliarsi  del  necessario  fi- 
sico per  acquistare  un  bene  di  opinione. 

Suppongo,  in  secondo  luogo,  che  nella  nazione  medesima, 
perfezionandosi  l'agricoltura,  ognuno  degli  abitanti  venga  a 
ricevere,  oltre  il  necessario  fisico,  una  porzione  di  superfluo: 
gli  abitanti  cercheranno  di  vendere  alle  nazioni  vicine  qnel 
superfluo,  e  con  esso  procureransi  nuovi  comodi  della  vita; 
e  sinlanto  che  i  fondi  resteranno  egualmente  divisi  fra  i  na- 
zionali ,  siccome  chiunque  cercasse  di  distinguersi  col  fasto 
delia  profusione  si  vedrebbe  disprezzato,  e  schernito  da'  suoi 
cittadini,  e  terminerebbe  in  breve  colla  totale  rovina ,  cosi 
in  quella  nazione  non  si  conoscerà  il  lusso. 

Dovunque  vedesi  lusso,  vi  é  del  superfluo ,  e  vi  è  spro- 
porzionata divisione  di  ricchezze:  or  ora  parleremo  di  questi 
due  oggetti;  ma  stabiliamo  in  prima: 


CONSIDBBIZIONI  SUL  LUSSO.  29 

Se  il  lasso  ha  per  oggello  le  manifatldre  nazionali ,  è  cosa 
evidente  che  il  restringerlo  altro  eflTetto  non  potrà  produrre, 
che  quello  di  togliere  il  pane  agli  artigiani  che  campano 
salle  manifattore;  desolare  cittadini  industriosi  e  utili  ;  ob- 
bligarli ad  abbandonare  la  patria;  dare  in  somma  un  colpo 
erodete  e  funesto  a  molti  membri  della  nazione,  che  hanno 
diritto  alla  protezione  delle  leggi,  e  alla  nazione  stessa,  spo- 
gliandola d' un  numero  di  nazionali ,  diminuendosi  il  qu^le 
scema  la  vera  sua  robustezza. 

Né  credasi  di  ritenere  i  maltrattati  artigiani  con  rigo- 
rosi proclami;  poiché  la  sperienza  c'insegna,  che  leggi  tali 
altro  effetto  noti  producono  che  la  creazione  arbitraria  di 
nuovi  delitti;  né  la  custodia  de'conGni  può  essere  si  esatta, 
né  si  facile  il  punire  una  trasgressione,  che  non  si  può  com- 
mettere che  fuori  della  giurisdizione  del  legislatore,  a  meno 
di  non  sovvertire  tutto  l'ordine  delle  cose,  pareggiando  l'in- 
tenzione ai  delitti,  e  coir  immolare  poche  sventurate  vittime^, 
accelerare  la  partenza  di  molti. 

Poiché  dunque  il  lusso,  che  ha  per  oggetto  le  manifat- 
tore inteme,  non  può  proibirsi  senza  discapito  della  nazione, 
ritorniamo  a  ragionare  sul  lusso  ohe  ha  per  oggetto  le  ma- 
nifatture straniere,  quello  cioè  che  suppone  un  superfluo 
nella  nazione,  ed  ana  sproporzionata  distribuzione  delle  ric- 
chezze ne'  nazionali. 

È  male  che  il  superfluo  d'una  nazione  esca  per  pagare 
gli  artigiani  forestieri  del  lusso:  sarebbe  bene  che  altrettanti 
artigiani  si  stabilissero  nella  nazione  :  cosi  crescerebbesi  la 
popolazione,  e  non  uscirebbe  il  denaro  ;  ma  è  un  male  an- 
cora più  grande  il  diminuire  il  superfluo  della  nazione. 

Principio  universale  si  é  questo,  che  là  dove  la  princi- 
pal  sorgente  della  ricchezza  nazionale  venga  dai  prodotti 
dell'agricoltura,  ogni  legge,  che  limiti  l'arbitrio  di  conver- 
^re  il  denaro  in  un  dato  genere  di  merci,  s' oppone  alla  pro- 
sperità dell' agricoltura  medesima  ;  poiché  i  terrieri  pungono 
leoltivatòrì  per  avere  il  superfluo,  perchè  il  superfluo  può 
cambiarsi  in  denaro^  e  perciò  amano  il  denaro ,  perché  con 
ci^  possono  procurarsi  l'adempimento  d' inflniti  desiderj. 

Se  la  nazione  impiega  il  suo  superfluo  nella  compera 


30  CONSIDERAZIONI  SUL   LUSSO. 

delle  manifattare  di  lusso  d' un  dato  paese ,  tosto  che  sia  a 
lei  vietato  di  procararsi  quelle  manifattare,  il  superfluo  noB 
serve  più  a  queir  uso  che  lo  rendeva  più  caro  alla  nazione: 
dunque  la  nazione  cercherà  con  tanto  minore  sollecitudine 
il  superfluo,  quanta  era  l'avidità  con  cui  prìma  cercava  la 
manifattura;  e  gli  animi  cadendo  in  una  indolente  indifié- 
renza,  1*  inazione  e  V  inerzia  per  nna  facilissima  discesa  si 
stenderanno  sulla  faccia  del  terreno  meéesimo,  e  v'impri- 
meranno la  naturale  loro  infecondità. 

Non  si  dà  azione  senza  moto,  non  si  dà  moto  senza  un 
principio. impèllente.  La  proposizione  è  vera  egualmente  e 
nelle  cose  fisiche  e  nelle  politiche:  qualunque  passione  che 
scuota  r  animo  de'  cittadini ,  e  gli  allontani  da  quel  mortai . 
languore,  che  ò  1* ultimo  periodo  che  precede  l'annienta- 
mento delle  nazioni;  qualunque  passione,  dico,  è  buona  agli 
occhi  d' un  politico ,  nò  paossi  togliere  alla  nazione  senza 
danno,  a  meno  di  non  sostituirvene  un'  altra.  Ora  la  vanità 
de' terrieri,  spingendoli  al  lasso,  ò  quella  stessa  che  serve 
d'uno  sprone  e  stimolo  incessante  a  tener  risvegliata  l'indo* 
stria  de' colti  valori,  e  far  si  che  non  risparmino  né  cura ,  aè 
cautela,  nò  fatica  per  ampliare  il  prodotto  della  nazionsde 
agricoltura.  Che  se  con  una  legge  suntuaria  si  spenga  lo  va^ 
nitè  de'  terrieri ,  né  uscirà  il  superfluo,  né  vi  sarà  più  nella 
nazione;  onde,  in  vece  di  accrescere  la  ricchezza  nazionale, 
si  sarà  scemata  l' agricoltura,  che  é  la  vera  sorgente  della 
ricchezza  nazionale  medesima. 

Abbiamo  accennato  disopra  come  il  lusso  supponga  le 
ricchezze  sparse  disegualmente  fra  i  nazionali,  e  giova  per 
poco  eh'  io  riascenda  ai  principj  delle  cose,  per  presentare  le 
idee  con  metodo  e  con  chiarezza.  11  fine  per  cui  gli  oomini 
hanno  stabilita  nella  società  la  (orma  de' differenti  governi, 
il  fine  per  cui  concorrono  attualmente  a  conservarla,  é  certa- 
mente la  piopria  felicità;  d'onde  ne  nasce  che  il  fine  di  ogni 
legislazione  non  può  allontanarsi  dalla  pitolica  felicità,  senza 
una  violenta  corruzione  de'  principi  d'onde  emana  la  forza 
legislatrice  medesima;  e  la  pubblica  felicità  significa  la  mag- 
giore felicità  possibile  divisa  sul  maggior  numero  possibile. 
Se  dunque  le  ricchezze  e  i  poderi  sono  un  bene ,  il  primo 


CONSIDBRikZIOMI  SUL   LUSSO.  31 

fra  Uàliì  gli  umani  diritti  vuole  che  le  ricchezze  e  i  poderi 
siano  divisi  sul  maggior  numero  possibile  de'nazionali.  L'Anno 
Giubilaico  presso  gì'  Isradiii  e  la  Legge  Agraria  de'  Romani 
eiaoo  un'  immediata  emanazione  di  questi  luminosi  principj. 

Ella  è  pure  cosa  per  sé  chiara ,  che  dovunque  le  vaste 
possessioni  sieno  raggruppate  in  una  sola  mano,  V  opulento 
padrone  minore  attività  adopera  per  accrescere  il  prodotto 
di  esse,  di  quello  che  non  lo  facciano  i  molti,  che  dovendo 
collivare  un  piccolo  patrimonio  hanno  una  incessante  occu- 
pazione di  non  trascurare  i  minimi  prodotti:  quindi  il  totale 
della  raccolta  è  sempre  più  abbondante,  quanto  sono  più  ri* 
partitelo  possessioni;  ed  in  conseguenza  quanto  più  seno  ri- 
partite le  possessioni,  tanto  più  s' accresce  la  vera  e  reale 
ricchezza  d' uno  Stato. 

Da  ciò  ne  segqe,  ohe  se  il  hisso  nasce,  come  abbiam 
detto,  dalla  ineguale  ripu-tizione  de'  beni,  e  se  l'ineguale  ri- 
partizione de'beni  è  contraria  alla  prosperità  d'una  nazione, 
il  lusso  medesimo  sarà  un  bene  politico,  in  quanto  che  dissi- 
pando i  pingui  patrimonj  torna  a  dividerli ,  a  ripartirli,  e  ad 
accostarsi  alla  meno  sproporzionata  divisione  de'beni.  Il 
tosso  è  dunque  un  rimedio  al  male  medesimo  che  lo  ha 
fatto  nascere;  poiché  l' ambizione  de' ricchi  che  profondono, 
serve  di  esca  ai  vogliosi  d'arricchirsi,  e  i  denari  ammassati, 
come  una  fecondatrice  rugiada,  ricadono  su  i  poveri  ma  in- 
dostriosi  cittadini;  e  laddove  la  rapina  o  l' industria  li  sot- 
trassero alla  circolazione,  il  lusso  e  la  spensieratezza  loro., 
li  restituiscono.  Coloro  dunque  che  credono  pernicioso  il  lusso 
ad  ano  Stato,  perché  rovina  le  famiglie  potenti,  errano  in  ciò, 
che  trasportano  sul  rostro  del  legislatore  le  idee  domestiche, 
te  quali  in  quell'altezza  dovrebbero  scomparire,  in  riverenza 
delle  grandi  mire  politiche  e  universali  del  ben  essere  di  tutti. 

Ho  detto  che  VAnno  Giubildico  e  la  Legge  Agraria  trae- 
vano la  loro  origine  dalla  natura  medesima  della  umana  so- 
cietà; ma  non  perciò  ho  detto  che  sieno  elleno  stabilimenti 
booni ,  e  degni  d' adottarsi  nel  caso  in  coi  si  trova  l'Europa 
presentemente.  Lo  spirito  della  teocrazia  de'  Giudei  era  di 
«^staccarli  dal  commercio  di  tutti  gli  altri  popoli;  l'aspetto 
dell'Arca,  e  la  possente  voce  de'  profeti  erano  spinte  fortis- 


32  CONSIDERAZIONI   SUL   LUSSO. 


girne,  che  da  loro  soie  mettevano  in  azione  qaegK  uomini. 
Lo  spirito  de'  Romani  era  repabblicano ,  religioso  e  gaer- 
riero,  non  già  commerciante,  onde  l'amor  della  patria,  la 
decisione  degli  aruspici,  e  la  gloria  marziale  scuotevano  si 
^  attamente  quegli  uomini  alle  grandi  azioni,  che  d'altri  mo- 
tivi non  avevano  bisogno.  Gli  uomini  presentemente  in  Eu- 
ropa trovansi  divisi  bensì  in  diverse  provincie,  e  sotto 
diversi  governi  ;  ma  vivendo  tutti  sotto  una  mansueta  peli- 
gione  di  pace,  con  usi,  costumi  e  opinioni  poco  dissimili, 
formano  piuttosto  diverse  famiglie  d'uno  Stato,  che  nazioni 
diverse:  un  incessante  reciproco  commercio  le  unisce;  la 
stampa,  i  fogli  pubblici,  i  ministri  ohe  vicendevolmente  ri- 
siedono alle  corti ,  i  lumi  finalmente  che  ogni  giorno  più 
vanno  allontanando  gli  uomini  dall'antica  ferocia,  rendono 
sempre  più  importante  l' industria  come  il  solo  mobile  che 
rimane  perchè  gli  animi  degl' intorpiditi  Europei  non  ca- 
dano in  quel  mortale  letargo  che  insterilisce  e  spopola  le 
Provincie.  Quindi,  perchè  l'industria  si  tenga  in  moto,  neces- 
saria è  la  speranza  d'arricchirsi,  e  in  conseguenza  è  neces- 
sario che  i  patrìmonj  de' ricchi  spensierati  siano  un  punto 
di  vista  agli  occhi  de'  poveri  industriosi ,  in  guisa  che  colla 
speranza  d' impossessarsene,  lavorino,  inventino,  perfezio- 
nino le  arti  e  i  mestieri,  e  mantengano  nella  nazione  quel 
moto  che  nodrisce ,  ravviva  e  rinvigorisce  i  corpi  politici. 
Quando  tutti  ì  beni  sono  commerciabili,  tutti  i  beni  restano 
esposti  in  premio  delia  industria;  e  quanto  più  beni  si  sot- 
traggono al  commercio ,  e  fansi  ristagnare  separati  dalla  cir- 
coilazione,  tanto  minori  incentivi  rimangono  all'industria. 
Qualora  dunque  ci  sforziamo  di  eternifezai'e  i  beni  accu- 
mulati in  alcune  famiglie,  formiamo  un  progetto  direttamente 
contrario  alla  ragione  ed  alla  pubblica  utilità,  e  tentiamo 
con  impotente  violenza  di  distornare  il  corso  della  natura 
delie  cose  medesime,  la  quale  incontrando  gli  argini  inav- 
vedutamente opposti ,  freme,  s'innalza,  e  squarcia  d'ogn' in- 
torno, sintanto  che,  superati  gli  ostacoli,  torna  al  placido  e 
maestoso  sue  ci)rso.  Quindi ,  malgrado  le  leggi,  rarissime  sono 
le  famiglie  che  possano  vantare  sei  generazioni  d' una  so- 
stenuta opulenza. 


'"  €0N^I0BftAZlONI  SOL   LUSSO.  33 

Chiunque  s'attenga  alle  semplici  lamentazioni  d' alcuni 
storici  romani,  attribuisce  la  cadata  di  quella  terrìbile  nazione 
allosso  tanto  detestato  da' qne' scrittori:  ma  noi  sappiamo 
che  il  genio  di  quella  nazione  fu  sempre  d'ingrandirsi  col- 
l'anni,  non  già  di  fare  l'industriosa  guèrra  col  commercio; 
sappiamo  che  ivi  le  arti  e  f  mestieri  non  erano  professioni 
di  Qomini  ingenui,  ma  soltanto  de' servi;  ^  sappiamo  che  il 
egolamrato  della  economia  politica  romana  era  tanto  lon- 
tano dalla  vera  legislazione,  che  frequentissime  erano  in 
Aoma  le  carestie;  né  v'ò  maraviglia,  sapendo  noi  tutto  questo, 
the  trovinsi  gli  scrittori  imbevuti  di  quegli  errori  che  erano 
comuni  alla  loro  nazione. 

La  potenza  e  la  vera  grandezza  di  Roma  è  cominciata 
appunto  dopo  che  il  lusso  vi  si  vide  introdotto,  cioè  colla  di- 
strazione dell'emula  Cartagine,  qualunque  sieno  state  le  mu- 
tazioni interne  del  governo  di  Roma.  La  intera  Francia , 
l'Inghilterra,  la  Germania  sino  all'Elba,  si  sottomìsero  a 
Roma,  mentre  vi  regnava  il  lusso;  e  l'intera  costa  dell' Af- 
frica, e  le  vaste  Provincie  dell'Asia  Minore,  e  if  valoroso 
Mitridate  non  furono  vinti  che  dai  Romani  nati  fra  '1  lusso. 
Quattro  secoli  trascorsero  prima  che  Roma  immersa  nel  lusso 
perdesse  o  del  suo  credito,  o  della  sua  forza,  o  de'suoi  Stati; 
thè  se  poi  anche  Roma  piegò  alle  leggi  universali,  ed  ebbe 
il  suo  fine  come  il  suo  principio ,  non  è  mio  instituto  il  rife- 
rirne le  ragioni,  che  ha  si  bene  illustrate  l'immortale  signor 
Carlo  Secondai.  A  me  basta  l'aver  provato,  che  il  lusso  non 
é  stato  cagione  della  rovina  de'  Romani. 

Che  se  anche  il  lusso  fosse  stato  cagione  del  deperimento 


<  DioD.  Halicar.,  lib.  II;  Tit.  Liv.,  lib.  Vili,  cap.  30,  28;  Seneca, 
Epist,  LXXXVIII}  Ctcer.y  in  Ferr.^  VII.  Romolo  non  permise  che  due  prò- 
fc«iioni  agli  uomini  liberi ,  V  agricoltura  e  la  milizia  ;  i  mercanti  e  gli  operaj  voa 
erano  nel  numero  de*citUdini.  Dion.  Halicar.,  lib.  IX  ;  Cicer.,  De  Officiis^  lib.  \, 
cap.  42.  Quindi  presso  i  latini  scrittori ,  commerciante ,  operaio  e  barbaro, 
toonaTan  lo  stesso.  An  quidquam  stuitius  quam  quos  singutos  sicut 
•perariosg  barbar»squù  conUmnat,  tot  aUquid  putare  eist  uni»erto$? 
Cicer.,  Tute»  Quast.^  lib.  Vj  e  nel  Codice,  lib.  V,  de  naturalibns  liberiti  »i 
confondono  indistintamente  la  donna  quae  mercimoniif  pitblìce  prtefuit,  t  ìà 
schiavi ,  ristrìoaa  e  la  scostumata.  Veggasi  Considérationr  sur  la  grandetm 
*t  U  dècadence  des  Rvmains,  cap.  X ,  e  V Esprit  des  LoÌ9e,\ìh.  XXI,  cap.  10. 


34  C0NSIDEB4Z10MI  SUL   LUSSO. 

della  Repabblica,  e  dello  stabilimento  del  Principato,  ciò 
proverebbe  V  incompatibilità  del  lasso  col  sistema  repubbli- 
cano, non  già  coi  sistemi  degli  Stati  soggetti  a  nn  solo.  Il 
principio  delle  repubbliche  è  F  ogoaglianza ,  togliehdosl  la 
quale,  e  condensandosi  le  ricchezze  in  mano  di  pochi,  si  apre 
la  strada  alla  tirannia:  quindi  il  lusso  è  odioso  alle  repubbli- 
che, poiché  egli  è  un  indizio  che  le  ricchezze  sono  troppo 
disugualmente  ripartite,  e  in  conseguenza  sovverlHo  il  prin- 
cipio stesso  del  governo.  £  come  la  speranza  di  distinguerai 
col  lusso  è  un  fortissimo  incentivo  per  ammassare  le  ricchez- 
ze ,  cosi  i  saggi  legislatori  delle  repubbliche  hanno  costante- 
mente proibito  il  lussò,  e  preferiscono  ^e  proteggono  talvolta 
il  giuoco  anche  più  rovinoso,  malgrado  i  disordini  che  stra- 
scina seco ,  per  avere  un  mezzo  discioglitore  de'  pingui  pa- 
trimonj  al  pari  del  lusso ,  il  quale  però  seco  non  istrascini 
la  pericolosa  distinzione  neiresterna  comparsa. 

Ma  il  principio  degli  Stali  governati  da  un  solo  è  la  di- 
suguaglianza, poiché  si  pone  la  massima  disuguaglianza  pos- 
sibile fra  un  uomo  e  oh  altro,  chiamandone  uno  sovrano  e 
r  altro  suddito;  e  come  questa  diversità  da  nomo  a  uomo  non 
é  fondata  su  una  diversità  fisica,  ma  soltanto  sulla  base  del- 
l'opinione,  quindi  la  splendidezza  e  la  magnificenza  haBBo 
lor  sede  nelle  corti  o  de' monarchi  o  de' loro  rappresentanti; 
e  gli  nomini  naturalmente  spinti  a  invidiare»  e  pareggiare 
quei  che  credono  più  felici  di  essi ,  cercano  d' imitarli  con 
altrettanta  splendidezza  e  magnificenza,  a  misura  de'mezzi 
che  sono  in  loro  potere:  cosi  dal  sovrano  all'  ultimo  delta 
plebe  stendesi  quella  catena ,  che  comincia  dall'  eccesso  del 
superfluo ,  e  per  molti  gradi  termina  ai  puri  fisici  bisogni. 

Da  questi  principj  chiari  per  sé,  ma  che  però  non  ai 
presentano  alle  menti  degli  uomini  senza  la  contenziosa  me- 
ditazione sulla  natura  de'  governi,  ha  tratta  il  signore  di 
Montesquieu  la  teorica  che  si  legge  nel  libro  ventesimo,  al  ca- 
po quarto  :  Le  Commerce  a  du  rapporl  avec  la  conslUulUm. 
Dans  U  qoHwmémeiiU  d'un  seuI  il  est  fonde  iur  le  luxe,  et  wn 
óbjet  uniqne  est  de  proeurer  à  la  nalion  qui  le  fail  lout  ee  qui 
peul  servir  à  son  orgueuil,  à  ses  délices  et  à  ses  fantaitits. 
Dans  le  gowememenl  de  plusieurs ,  il  est  ordinairement  fimdr 


CONSIDERAZIONI  SUL   LUSSO.  3ft 

sur  V economie.  Quanti  accreditali  scrittori  hanno  illa^rata  iu 
questo  secolo,  e  presso  le  più  colte  nazioni  y  V Economia  pò- 
Mca,  sono  in  una  universale  conformità  di  parere  intorno  la 
felice  influenza  che  ha  il  lusso  ne'  paesi  soggetti  a  un  mo- 
narca. Le  opere  di  David  Hunie,  del  barone  di  fiielfeld,  del 
signore  di  Fòribonnais,  del  signore  di  Melon,  tutte  parlano 
on  aniforme  linguaggio  in  favore  del  lusso.  Veggasi  la  bel- 
l'Apera  che  ha  per  titolo  Recherches  et  considéralions  sur  les 
fmiues  de  France,  tom.  I,  pag.  101;  ivi  si  vede  che  un  se- 
colo fa  in  Francia  v'erano  tuttora  qne'pregiudizj  d'opinione, 
die  facevano  credere  un  male  il  lusso.  Cosi  ivi:  Onétoil  per- 
twdéque  le  Royoume  i'épuisoit  jtar  le$  denrées  de  luxe  que  lui 
fimrnissoieni  se»  voisins.  On  crut  y  retnédier  par  des  his  somp- 
ivaires  qui  achevèrent  d'écraser  nos  manufaciures.  E  di  quei 
tempi  appunto  parlando  il  signor  Mirabeau  nella  Teoria  dei 
Trtòuto,  cosi  si  spiega  a  pag.  191:  On  a  quelquefois  voulu 
faxer  ì»  luxe  eous  le  preUxle  du  rélahlissement  da  bon  ordre 
ti  de  la  modesHe.  Les  loix  sompluaires  ne  valenl  rien.  Il  ri- 
spettabile aalore  dell'  Essai  polilique  sur  le  Commerce ,  al 
capo  IX,  pag.  10l(,  cosi  parla:  Le  luxe,  Vobjet  de  tanl  de  va- 
gictt  dédamalions,  qui  parlent  moins  d*une  saine  connoissanee 
w^une  sévérUé  de  mmurs,  que  d'un  esprit  ckoQìin  et  envieux.... 
In  somma  dovrei  trascrivere  intere  pagine  se  volessi  qui  ri- 
ferire le  innumerabili  autorità  degli  scrittori  economici  più 
rispettabili,  tutte  conformi  in  favore  del  lusso.  La  ragione  ci 
prova  Futilità  e  la  necessità  del  lusso;  l'autorità  si  unisce 
alla  ragione,  e  la  sperienaa  e'  insegna  che  le  virtù  sociabili, 
romanità,  la  dolcezza,  la  perfezióne  delle  arti,  lo  splendore 
delle  nazioni,  la  coltura  degl'  Ingegni,  sono  sempre  andate 
crescendo  col  lusso:  quindi  i  secoli  veramente  colti  sono  stati 
i  secoli  dd  maggior  lusso;  e  per  lo  contrario,  i  secoli  più  fru- 
gali e  parchi  sono  stati  quei  ferrei  secoli,  ne'quali  le  passioni 
feroci  degli  nomini  fecero  lordar  la  ferra  di  sangue  umano, 
«sparsero  la  diffidenza,  l'assassinio  è  il  veleno  nelle  società 
Cenate  eoTih  d'infelici  selvaggi. 


iiA  eoi/nvAzioivi:  dix  iiinro. 

Nella  nostra  Italia  la  coltivazione  del  lino  è  conoscìaU, 
e  nella  Lombardia  principalmente;  perciò  non  credo  eom 
affatto  inutile  T  inserire  inqaesto  Foglio  un  pensiero  spettante 
appunto  la  perfezione  di  questa  parte  della  nostra  agricol- 
tura. 

Il  seme  che  si  adopera  neir  agricoltura,  contribuisce  m 
gran  parte  a  rendere  il  prodotto  di  buona  o  cattiva  qualilà» 
Questa  proposizione  è  provata  dalia  sperienza  di  ogni  piil  siu- 
pido  contadino.  Da  eie  ne  scaturisce  naturalmente  per  con-* 
seguénza,  che  anche  il  lino  nato  da  un  ottimo  seme  sarà 
più  perfetto  di  quello  che  non  lo  sia  il  lino  nato  da  an  sena» 
men  buono. 

I  migliori  lini  della  Francia,  cioè  quelli  di  Picardia,  di 
Brettagna  e  della  Normandia  sono  prodotti  dal  seme  di  lino, 
che  ogni  cinque  anni  almeno  si  fa  venire  dal  mare  Baltico, 
e  singolarmente  da  Rig^.  I  filamenti  di  quelF  erba  sono  più 
lunghi,  più  sottili  e  più  fibrosi  d*  ogn'  altra  sorta  di  lino;  ma 
va  ogni  anno  degenerando  il  seme,  cosicché  al  quinto  anno 
ha  perduta  tutta  la  naturale  perfezione» 

So  che,  per  un  comune  pregiudizio,  sì  credè  che  le  belle 
tele  di  Harlem,  quelle  di  Frisa,  cioè  delle  migliori  d'Oianda, 
e  molte  delle  tele  di  Slesia,  le  quali  si  fanno  spacciare  per 
d' Olanda,  sieno  fatte  non  già  di  lino,  ma  bensì  di  canape. 
Chiunque  abbia  posto  il  piede  nella  Slesia ,  chiunque  sia  an. 
po' instrutto  delle  manifatture  e  produzioni  dell' Olanda,  mi 
Bara  testimonio  che  tutte  le  tele  fine  bianche,  che  in  quel 
paesi  si  tessono,  sono  non  già  di  canapé  ma  di  lino;  né  i 
fili  del  canape  cred'  io  che  possano  mai  filarsi  si  sottilmente, 
né  ridurci  a  tale  candidezza  da  formarne  una  tela  veramente 
fina. 

Io  vedo  che  alcuni  terreni  della  Lombardia  prodacom 
lini  buoni  naturalmente  :  e  perché  non  potrò  io  sospettare^ 
che  se  quei  terreni  stessi  fossero  seminati  co'  semi  del  BaU 
lieo,  produrrebbero  lini  di  mollo  migliori  ?  E  chi  mi  proverà 


lA  COLTIVAZIONB  DBL  LINO.  ZI 

mai  che  fors'  anco  non  «i  giungesse  a  (essere  con  lini  nostri 
delte  (eie  paragonabili  a  quelle  della  Germania  e  dellHManda? 
Non  sarebbe  molto  il  dispendio  di  fame  una  prova.  Dalla 
parte  di  Venezia  o  di  Genova  facii  cosa  è  il  farci  spedire  dal- 
l'Olanda, ovvero  da  Riga,  una  mediocre  quantità  di  seme  di 
Imo,  e  chiarircene  seminando  poche  pertiche  di  terreno  dei 
migliore  con  esso.  In  fine  d' un  ah  no  un  buon  regolalore  dei 
propri  ^^  potrebbe  agevolmente  calcolare  se  vi  si  trovi 
vantaggio.  Il  prodotto  d'una  pertica  sola,  quando  riesca  buono 
per  fame  merletti,  darà  una  somma  capace  da  premiare  lar- 
gamente r  industria  del  tentativo  ;  e  quando  a  tal  perfezione 
«rehe  non  giungesse,  si  avrà  sempre  un  lino  per  lo  meno 
egoide  a  quello  che  raccogliamo  comunemente,  e  la  perdila 
della,  prova  non  sarà  di  gran  daiknò.  Bisogna  nell'agricoUnra 
tentare  sempre,  e  non  negligentare  giammai  veruna  vista, 
a  meno  che  non  vi  si  affacci  un'  aperta  assurdità  ;  bisogna 
tentare  a  costo  di  vedere  andar  falliti  venti  progetti ,  e  rio- 
scime  no  solo;  bisogna  tentare,  ma  rischiare  poco,  e  consa- 
crare alle  prove  una  piccola  porzione  de' nostri  fondi,  in 
guisa  che  riuscendo  male  non  ce  ne  venga  nocumento.  Spero 
i^he  fra  i  lettori  del  nostro  Foglio  ve  ne  saranno  alcuni  che 
approveranno  questa  massima;  e  forse  in  mezzo  alla  varietà 
delle  cose  che  si  leggono  nel  nostro  Gaffìe,  chi  sa  che  taluna 
non  giovi  essenzialmente  alla  società?  Tale  è  almeno  il  fine 
che  ci  siamo  proposto. 


SA««IO  B' JURKraiETICA  POUTICA. 

Ogni  mille  uomini  ve  ne  sono  750  capaci  di  lagnarsi;  ve 
né  sono  duecento  capaci  di  ridere  ;  ve  ne  sono  quaranta  ca- 
paci di  non  far  male  agli  uomini  di  merito;  ve  ne  sono  otto 
capaci  dì  onorare  il  merito  ;  e  due  di  merito.  Qui  resta  pre- 
gato il  benigno  lettore  a  credere  fermamente,  eh* egli  ed  io 
siamo  veramente  i  due  fra  i  mille. 

Ogni  mille  uomini,  che  dicano  di  essere  ignoranti,  non 
II.  4 


36  SAGGIO  d' ARITIIKTICA  POLITICA. 

V9  n'  ò  nemmea  uno  che  aon  lo  sia  ;  non  ve  n'  jè  nemmen 
uno  che  creda  verara^nle  di  esserlo. 

Ogni  mille  uomini,  che  accumulano  denaro,  ve  ne  sono 
oUocenlo  trenta  che  soffrono  tutta  la  lor  vita  i  mali  della  po«- 
vertà;  vene  sono  cento  quindici  che  fanno  an  po'di  b«ae 
agli  altri  prima  di  morire;  ve  ne  sono  cinquanta  che  pessoso 
goderlo  con  animo  tranquillo,  e  cinque  che  V  impiegan  bene. 

Ogni  mille  donne,  che  dicono  d'essere  brutte  o  vec- 
chie, non  ve  n*  è  una  che  non  lo  dica  per  intendersi  seete- 
nere  V  opposto. 

Ogni  mille  letterati,  ve  ne  dono  novecento  che  lo  fomp 
per  cercar  pane,  fortuna  e  gloria;  ve  ne  sono  settanta  ckc 
lo  sono  per  assorbire  le  ore,  e  non  annoiarsi;  ve  ne  sono 
venti  che  non  sono  gelosi  dello  ingegno  altrui  ;  e  ve  ne. sano 
dieci  che  coltivano  ì*  ingegno  per  rendere  sé  stessi  latoiiBa- 
mente  migliori. 


Amko  DetMirio, 

DiU  agii  Seriitori  de(  CaffIe,  ch'io  amo  un  §iwHm$,  ehe 
sto  per  incamminarmi  nella  carriera  di  fare  U  meél€o\  t^^Bóa 
mollo  tempo  aspetto  che  scrivano  qualche  articolo  sulla  profes" 
sione  eh*  io  voglio  intraprendere:  essa  ha  molta  influenza  cer- 
tamente sulla  vita  degli  uomini,  e  merita  che  di  essa  si  parli.  Vi 
prego,  amico  Demetrio,  fate  si  che  ne  parlino  una  volta;  ed 
avrei  mxìUo  piacere  se  ne  parlassero  in  guisa  di  farmi  un  pian» 
del  sistema  che  essi  credon  buono  per  riuscii^  felicemente. 
Addio. 

V'è  un  sistema  buono  per  farsi  un  buon  medico,  e  v'ò 
un  sistema  buono  per  farsi  volgarmente  stimare  un  buon  me- 
dico :  rare  volte  questi  due  sistemi  possono  eseguirsi  dalla 
stessa  persona.  Un  giovane  deve  scegliere  fra  queste  duo 
strade.  Se  avete  nell'animo  un  generoso  amore  della  verità, 
e  tale  da  ricompensarvi,  coi  progressi  che  andrete  facendo, 


a 

nvMJLA  maiicÈiVA.  « 


SULLA   MeOlClMA.  30 

della  contenzione  che  vi  farà  d'oo]M>  usare  per  instrairvi;  se 
preferite  la  stima  degli  nomini  ittominati  alF applauso  volgare 
ed  alle  ricchezze  che  gli  vanno  compagne;  se  avete  in  soiìi- 
ma  di  mira  o  la  gloria  o  nnd  direUevole  occupazione  per 
voi  neRò  studio  della  medicina,  allora  appigliatevi  al  sistema 
di  formarvi  un  buon  medico.  Ma  se  all'incontro  Toi  ricercate 
Q  pane,  e,  propostovi  lai  flne,  volete  interporre  i  più  brevi, 
tomodi,  e  più  sicuri  mezzi  per  ottenerlo ,  scegliete  il  sistema 
di  farvi  volgarmente  stimare  un  buon  medico. 

Io  do  un'  occhiata  generale  all'  Europa ,  e  dico  che  se 
prendiamo  tuttM  medici  europei  in  complesso,  cdla  sarebbe 
cosa  molto  problematica  il  decidere  se  siano  più  gli  nopaini 
attmazzati,  o  risanati  dall'arte  loro*  Se  prendano  dunque 
la  medicina  non  per  quello  che  mi  si  dice  che  dovrebb'es* 
sere,  ma  per  quello  ch'ella  è  in  effetto,  ella  é  un'arte  che  non 
si  può  riporre  fra  le  benefiche  senza  usare  di  molta  indnl^ 
genza.  Faeil  cosa  è  il  comprendere  eh'  io  in  questo  senso  iur 
tendo  colla  parola  Medicina  non  la  scienza  perse,  ma  la  som^ 
ma  delle  azioni  che'i  medici  in  complesso  esercitano  su  i 
corpi  umani. 

Se  l'amor  della  scienza  stessa  vi  porta  alla  medicina, 
riflettete  al  bel  princìpio,  che  la  medicina  altro  non  è  che 
la  fisica  applicata  al  corpo  umano,  cioè  a  quella  macchi? 
na,  la  quale  anche  al  di  d'oggi  è  inolto  imperfellamenle 
conosciuta,  e  non  lo  sarà  forse  mai  in  tuila'la  sua  esten- 
sione. Le  parti  nobili  del  corpo  umano  non  possiamo  noi  ver 
derle  mai  nell'esercizio  loro,  ma  bensì  inèrte,  e  già  mutate 
da  quel  fenomeno  insigne  che  chiamasi  morte,  per  cui  dallo 
slato  di  materia  organizzata  passa  là  spoglia  umann  a  quello 
di  semplice  materia;  né  coli' aiuto  de' nostri  sensi,  benché 
assistiti  da'  più  perfetti  stromenti  ottici ,  possiamo  noi  ragio- 
nevolmente lusingarci  dì  seguitare  l'organizzazione  sino  ai 
minimi  elementi,  da'qoali  forse  deriva  il  principio  fisico  del 
moto, della  circolazione,  della  traspirazione,  del  nodrìmento, 
^  di  tant' altre  riparazioni  e  perdite  e  modificazioni  diverse 
(ii  materia,  che  rendono  mirabile  egualmente  che  oscura 
l' indole  di  un  corpo  organizzato. 

.  Che  -se  sì  denso  é  il  velo  che  ci  nasconde  i  prìncipi  per 


40  SULLA  MEDICINA. 

i  quali  vìve,  movesi,  genera  e  si  nutre  un  corpo  pogto  io 
sanità)  cioè  un  corpo  posto  in  quello  stato  sul  quale  ci  è  Je- 
cito  fare  maggior  numero  di  sperìenze,  poiché  stato  comune 
alla  maggior  parte  degli  uomini;  quanto  più. dovete  voi  ere* 
dere  che  siano  oscuri  i  principi  che  guastano  Tordrae  della 
economia  animale,  e  fanno  passar  Tuomo  dallo  stato  di  sa- 
nità a  quello  di  malattia I  Quello  ch'io  chiamo  stala  di  samtàf 
non  é  quello  stato  di  perfetta  sanità^  che  non  potrebbe  tro- 
varsi che  in  un  corpo  immortale;  poiché  se  tutte  Iq  perdite 
nostre  venissero  risarcite  per  l'opera  di  visceri  perfettamente 
sani, sarebbero  le  nostre  perdite  perfettamente  risarcite:  quin- 
di non  conosceremmo  né  la  vecchiaia,  né  la  morte  naturale; 
chiamo  dunque  stato  di  sanità  quello  in  cui  nessun  dolore, 
nessuna  lassitudine,  nessun  fenomeno  apparente  ci  avverte 
d'alcun  disordine  avvenuto  nel  sistema  della  organizzazione 
nostra. 

V'é  molto  maggior  differenza  fra  malattia  e  malattia, 
di  quella  che  jion  vi  sia  fra  un  corpo  sano  .e  un  corpo  sano* 
Dirò  di  più:  forse  non  si  sono  vedute  da  Ippocrate  a  questa 
parte  due  malattie  perfettamente  eguali.  Pare  che  le  leggi 
universali,  colle  quali  è  direttala  fisica,  sleno  costanti  e  in- 
violabili; ma  pare  altresì  che  i  fenomeni  particolari,  ossia  le 
combinazioni  de'  principj  invariabili,  sieno  variabili  all'infi- 
nìto:  e  come  forse  da  Ippocrate  a  questa  parte  non  sono  com- 
parse sulla  terra  due  figure  d'uomini  perfettamente  simili; 
come  forse  da  Ippocrate  a  questa  parte  non  sono  comparse 
sulla  terra  due  foglie  d'albero  perfottamente  simili;  cosi  per 
analogia  facilmente  può  credersi,  che  due  malattie  perfetta- 
mente simili  non  si  sieno  ancora  date,  da  che  gli  uomini 
hanno  trovata  l'arte  di  trjasmettere  alle  generazioni  venture 
i  loro  pensieri  colla  slabile  testimonianza  della  scrittura.  Cosa 
molto  più  facile  é  sempre  il  comprendere,  come  una  mac- 
china ben  costrutta  eserciti  le  sue  azioni,  di  quello  che  non 
lo  sia  il  prevedere  edefinirc  (ulte  le  cagioni  straniere  e  in- 
trinseche, per  le  quali  può  essere  interrotta  ne' suoi  movi- 
menti. 

Da  queste  brevi  riflessioni  ne  deduco  una  conseguenza; 
ed  è,  che  sempre  sarà  molto  incerta  e  ne' suoi  principj  e 


SULLA  MBDICIMA.  41 

neUa  applicazione  di  essi  prìndpj  la  medicina;  e  che  un  filo- 
sofo che  ne  faccia  la  professione,  adoperata  che  abbia  la  più 
scrupolosa  diligenza  ne' casi  particolari,  avrà  costantemente 
compagno  no  cauto  dubbio,  ed  un  pirTonismo  ragionevole, 
che  Io  porXerà  sempre  ad  ommettere,  anzi  che  ad  eccedere 
operando.*  A  questo  termine  proponetevi  dal  bel  princìpio  di 
giongere,  e  sappiate  che  quello  che  è  stato  detto  forse  troppo 
generalmente  delle  scienze  tutte,  cioè  che  le  estremità  loro 
si  toccano,  e  che  al  principio  e  al  termine  egualmente  tro- 
vasi rignoranza,  ciò  particolarmente  ò  proprio  della  medici- 
na; in  cui  quando  siete  mediocre,  vi  credete  a  parte  de' se- 
creti di  natura,  ma  a  misura  che  fate  progressi,  e  che  esa- 
minate con  maggiore  analisi  le  vostre  nozioni,  scema.il 
nomerò  def  secreti  svelati,  e  vi  accostate  air  ignoranza  dotta, 
che  resta  al  termine  della  carriera. 

Cosa  ridicola  in  verità  si  è  il  leggere  alcuni  autori  di 
medicina,  e  specialmente  di  botanica,  anche  accreditati;  non 
T'èerba  che  non  risani  da  qualche  malore,  non  v'é  malattia 
che  non  abbia  più  erbe  prontissime  a  sradicarla:  pare,  leg-« 
gendoli^  che  non  vi  sia,  ormai  più  maniera  di  morire,  se  non 
per  grignoranti.  All' occasione  poi  vediamo  T  effetto  di  tante 
pompose  promesse. 

La  medicina  ò  dunque  un'arte  di  sua  natura  molto  cir- 
coscrilta,  e  che  merita  il  nome  di  conghietturale  che  le  vien 
dato;  ma  s'ella  non  fa  agli  uomini  tutto  quel  bene  che  se  ne 
promette  il  volgo,  e  che  ne  vanno  proclamando  i  ciarlatani 
addottorati,  pure  in  mano  d'un  illuminato  e  onesto  uomo,  os- 
sia, in  una  parola  sola,  in  mano  d'un  filosofo,  ella  è  un'arte 
che  non  solamente  serve  a  provare  sin  dove  giunga  l'indu- 
striosa ricerca  dell'ingegno  umano,  ma  serve  ancora  a  recare 
solidi  beneficj  all'umanità,  o  prevenendo  le  malattie,  o  risa- 
nandole. 

Ma  per  giungere  a  ciò  fare,  primieramente  io  ricercherò 
M  on  giovine  la  preparazione  alle  scienze,  cioè  una  costante 

'  Medicamentornm  autem  usum  ex  magna  parte  Jsclepiadet  non  sine 
^•tuia  sustulitj  et  eum  omnia  fere  medicamenta  stomachum  latdant , 
"■«licite  ttteci  sint,  ad  ipsias  victtu  rationem  petins  omnem  eikram  guam 
^•nttmlit,  Cc]«ns,  lib.  V,  cap.  4. 

4' 


42  SULLA  MBblCINA. 

abitaazioDQ  del  suo  intelletto  di  far  raDali»  delle  proprie idee, 
di  definire  esattamente  ogni  vocabolo,  di  tessere  in  somma 
quasi  in  catena  ben  costretta  i  proprj  ragionamenti,  cosiccbè 
il  desiderio  della  verità  sìa  in  esso  sempre  più  robusto  della 
inerzia,  alla  qaale  Torse  più  che  ad  altre  cagioni  dobbiamo 
attribuire  la  parte  maggiore  de*  falsi  ragionamenti  degli  no- 
mini. Se  questa  disposizione  dell'animo,  che  i  scolastici  chia- 
mano Logica,  ò  il  primo  fondamento  delle  umane  cognizio* 
ni;  se  questa  è  la  sola  scorta  che  può  farci  fare  progressi 
nelle  scienze  tutte,  a  più  ragione  dev'ella  essere  indispensa^ 
bile  laddove  si  tratti  d'una  scienza  di  conghietture ,  dove 
Tommissiòne  d'un  dato  solo,  o  d'ungi  osservazione,  ci  porta 
a  conseguenze  talvolta  perfettamente  opposte. 

Una  mente  chiara,  r^gionatrice,  vogliosa  di  fare  agli 
uomini  qpel  bene  che  può  loro  farsi  colla  medicina,  conviene 
che  sia  iti  istatp  di  ben  comprendere  i  libri  scritti  in  latino 
ed  in  francese.  Ogni  discreto  lettore  comprenderà  benissimo, 
eh'  io  col  vocabolo  Ialino  non  intendo  la  lingua  de^  curiali  ò 
de*  scolastici ,  lingua  che  non  intenderebbe  né  Cicerone  né 
Livio  né  Tacito,  se  dovessero  essere  condannali  a  leggere 
le  tante  belle  cose  che  con  essa  lingua  intermedia  fra  1^  la- 
tina e  r  italiana  sono  state  scritte  per  la  felicità,  se  non  delle 
nazioni,  almeno  di  alcuni  pochi,  che  mettevano  a  profitto  la 
pubblica  bontà.  Conviene  che  un  giovine,  che  vuol  farsi  me- 
dico davvero,  intenda  dunque  la  buona  lingua  latina,  quale 
la  scrissero  molti  eccellenti  medici,  e  cosi  dicasi  della  lingua 
francese. 

Io  non  vi  farò  qui  una  lunga  declamazione  da  pedante, 
per  provarvi  che  per  guarir  le  malattìe,  e  per  ragionare  in 
medicina^  sia  necessaria  la  statica,  l'idrostatica,  la  geome- 
tria, l'algebra,  e  tutte  le  parti  della  matematica;  molta  im- 
postura v'è  certamente  in  si  fatti  discorsi,  i  quali  li  ripetono 
alcuni  poeti,  li  ripetono  alcuni  medici,  e  persino  alcuni  cu- 
riali ^  quasi  che  le  loro  occupazioni  esigessero  l' Enciclopedia: 
dirò  bene,  che  le  cognizioni  della  fisica  universale  sono  ne- 
cessarie, poiché,  come  ho  già  accennato,  la  medicina  è  l'ap- 
plicazione della  fisica  al  corpo  umano.  Convien  dunque  che 
abbiate  una  idea  di  quello  che  gli  uomini  hanno  osservato 


SULLA  MBOICIMA.  43 

«qUi  nalflra  del  caiore  e  del  freddo,  Bolla  dilalaiione  e  cott- 
deoMÌone  de'corpi,  suU'mtiestiiio  loro  moto,  sulle  leggi  del 
moto  e  della  gravità,  solla  vegetazione,  salta  generazione,  e 
umili -oggetti  risguardanti  la  fisiea.  Nemmeno  io  esigerò  da 
voi,  che  siate  un  perfetto  botanico,  cosicché  conosciate  il  nu- 
mero, la  famiglia  e  le  proprietà  d'ogni  Olo  d'erba.  Nemmeno 
esigerò  io  da  voi,  che  siate  un  chimico,  e  che  conosciate  per 
nome  e  per  figora  tutti  i  sali  alcali,  tutti  gli  acidi,  e  tutt'i 
caratteri  naezzo  arabi  e  mezzo  gotici  co'  quali  si  rendono 
venenuide  assaissimo  inezie.  A  me  basta  che  affatto  non  si^te 
digiuno  di  qneste  materie,  e  che  sappiate  all'occasione  guài 
sieno  gli  nutorì  migliori  da  consultarsi^  per  conoscere  se  acr 
cade  qualche  eosa  fondatamente. 

^  La  notomia  sì,  che  dovete  saperla;  ma  dovete  sapere  la 
Dotoqi.ìa  ragionata  e  comparata,  non  già  la  sterile  nòmencla- 
torà  deUe  ossa,  dei  muscoli,  dei  tendini,  e  delie  altre  parti 
che  formano  il  corpo  dell'uomo.  Siene  otto  <^  sieno  quattro 
i  muscoli  dell'occhio,  sieno  sette  o  sieno  cinque  i  muscoli 
del  basso  ventre,  questo  poco  importa  saperlo  al  predico;  son 
questi  oggetti  che  interessano  la  chirurgia  o  il  disegno.  Ma 
sapere  come  o  per  qual  mirabile  ipeccanismo  il  cibo  nel  ven- 
tricolo cangi  natura;  come  frammisto  al  fiele  prenda  ilco- 
lore  dal  chilo;  come  la  parte  sottile  filtrandosi  per  alcuni  mi- 
autissimi  canaletti  giunga  nella  cisterna  del  Pequet  a  distillarsi 
io  un  latte  puro;  come  questo  frammisto  al  sangue  ripari  le 
perdile  di  esso  sangue,  da  cui  si  fanno  continue  secrezioni; 
eterne  queste  secrezioni  sieno  si  disformi  fra  di  loro,  sebbene 
tutte  emanate  dallo  stesso  principio;  ma  il  conoscere  come 
circoli  il  sangue,  qualsia  il  primo  mobile  che  lo  spinge;  eo*- 
lae  non  rigurgiti,  né  prenda  mai  un  moto  contrario;  come 
per  esse  si  riparino  le  perdite  dei  muscoli,  delle  v-ene,  delle 
arterie,  e  persino  delie  ossa;  come  dallo  stato  d'un  fluido 
passi  una  particella  di  esso  sangue  a  quello  d'un  perfettissi* 
mo  solido:  queste  sono  le  mire  che  convengono  a  un  medico. 
Poiché  siate  a  questo  segno  disposto,  e  per  la  felice  di- 
sposizione della  mente,  e  per  le  cognizioni  delle  lingue,  e 
per  la  notizia  delle  cose  fisiche,  e  per  un  ragionato  sistema 
di  notomia;  allora  consacratevi  alla  medicina,  scegliete  gli 


44  fiVLtk  MEDlClNi. 

ottimi  autori,  ed  ivi  esaminando  i  loro  sistemi,  e  meditando 
fiolle  diverse  sorti  di  malattie  da  essi  esposte,  su  i  fenomeni 
che  le  accompagnano,  sa  i  rìmedj  che  giovano,  e  galle  opi- 
nioni loro  delle  cagioni,  instraitevi,  e  approfittate  dei  lami  e 
della  pratica  di  molli  secoli. 

Ridicola  pretensione  in  vero  si  è  quella  di  coloro  i  qaaH         i 
cercano  di  cuoprire  la  ignoranza  loro  nella  teoria  della  medir 
Cina,  vantando  la  pratica  in  favor  loro.  Vastissima  ò  par  troppo         i 
la  serie  dei  disordini  ai  quali  è  soggetta  la  macchina  del 
corpo  amano,  e  in  paragone  di  essa  la  vita  di  un  nomo  è  un         i 
lampo  passaggero.  S' egli  è  vero  che  da  Ippocrate  a  questa 
parte  fonte  non  si  sono  vedute  due  malattie  esattamente  si*        i 
mili;  come  potrà  mai  sperare  on  aomo  solo,  che  dopo  alcuni         i 
pochi  anni  di  proprie  osservazioni,  le  malattie,  che  gli  s^        i 
presentino,  sieno  continue  ripetizioni  d'altre  inalattie  da  hri        i 
vedute,  il  che  voitebhe  dire  la  voce  pratica?  Ippocrate  era  il        i 
decimonono  medico  di  soa  famiglia,  e  aggiungeva  la  propria        il 
pratica  a  quella  di  dicìotto  generazioni  che  gliela  avevano        i 
trasmessa,  e  forse  anco  diciatto  generazioni  sarebbero  state        ì 
non  bastanti  a  compilare  gU  Aforitmi,  se  ad  esse  non  si  fossero        > 
aggiunte  le  innumerevoli  tavolette  appese  al  tempio  d' Esc»-        i 
lapio»  contenenti  l'esatta  descrizione  di  ana  vastissima  serie        ) 
di  malattie.  Allora  fu  che,  dopo  la  sperienza  di  molti  secoli,         < 
e  dopo  una  sterminata  serie  di  casi  raccolti,  venne  dato  il         > 
dìstin^oere  quelle  poche  leggi  universali  che  son  comuni  a 
molte  malattie,  e  che  infiniti  diversi  fenomeni  somministra* 
rono  il  filo  per  riascendere  ad  alcuni  prìncìpj.  Le  osservazid- 
ni,  le  sperienze,  e  più  forse  i  casi  fortuiti  e  gli  errori  me* 
desimi  di  molti  secoli   che  vennero  dopo,  accrebbero  il 
materiale  della  scienzai  da  tutto  quest'ammasso  ereditato 
dalle  generazioni  passate,  an  baon  medico  cerca  di  dedorne 
la  sua  pratica,  la  qaale  diventa  la  pratica  di  più  secoli,  la 
pratica  di  molti  uomini  condensata  in  an  nomo  solo;  e  que- 
sta è  la  vera  praltai  rispettata  dai  saggia  da  cai  paò  sperarsi 
giovamento. 

Come  per  diventare  un  pittar  valente  non  bastano  le  os* 
servazioni  su  i  disegni,  solle  statue,  solle  pittare,  e  sm  i  bassi- 
rilievi,  ma  vi  vuole  il  nodo  medesimo;  co^  nella  medicina 


SUtLA  MSDlCUfA.  45 

conviene  che  il  medico  contragga  itna  sorte  d'abitiuiine  cogli 
ammaiati,  Ja  qoale  presentando  ai  saoi  sensi  i  sintomi  di- 
versi delie  malattie  con  maggiore  efficacia  di  quello  che  non 
ì»  possono  lare  le  descrizioni  o  gr  intagli,  lo  renda  più  si- 
coro  di  sé  medesimo.  Non  vi  consiglio  però  di  prendervi  que* 
sta  per  principiUe  occupazione.  La  principale  deve  essere  su 
i  lilM-i;  e  chi  predica  il  contrario,  cerca  di  farvi  un  buon  io^ 
fermiere  tatl'al  più,  non  mai  un  buon  medico:  ma,  seconda- 
riamente, nnite  alla  speculazione  tranquilla  del  vostro  stiidio 
anclie  Fuso  di  esercitarla  sugli  ammalati. 

Ma  del  polso  che  diremo  noi?  Oseremo  noi  in  queste  fo* 
glietto  svelare  gli  arcani  déirarte,  ed  esporci  alla  vendetta  dei 
p^Mido-medic»,  per  dar  materia  di  pensare  ad  alcuni  pochi? 
«  La  dimostrazione  sarebb'eila  capace  di  far  fronte  ad  una  opi- 
nione venerala  per  secoli,  e  sostenuta  dalle  coiitinne  decla- 
mazioni di  quanti  vogliono  parer  medici,  senza  essersi  presa 
la  briga  di  diventarlo?  Io  voglio  osarlo,  e  vuo' scrivere  una 
proposizione  scandalosa,  empia,  nefanda,  abbominevole ; 
ed  eccola:  La  cognizione  dei  p^lso  vai  poco  a  illuminare 
«a  medico.  Io  vi  comincio  a  dire,  che  Ippoerate,  e  tutta  la 
soa  Scuola,  n<m  ha  mai  fatto  gran  caso  del  polso;  che  Tosser- 
vaiione  sulla  pulsazione  dell'  arteria  si  è  cominciata  a  fare 
<iaiChinesi;  poscia  gli  Arabi  la  posero  in  credito;  e  questo 
credito  andò  forse  per  parte  d'alcuni  a  tal  segno  crescendo, 
che  finalmente  alla  pulsazione  dell' arteria  si  vennero  ad  at- 
Irihnire  tali  proprietà  da  renderla  la  verga  divinatoria  della 
a^dicina.  ^ 

Non  pretendo  io  già  dire  che  la  pulsazione  deirarteria 
non  sia  un  fenomeno  da  osservarsi  in  ogni  ammalalo,  come 


*  La  medicina  pulsorta  e  talmente  radicata  presso  a'  Cbinesi ,  che  gian- 
Cwotalvolu  a  predire  dal  polso  nn  malore,  che  il  medico  steaso  cerca  a  far 
■aseere  poi,  acciocché  la  prediaione  non  rimanga  sema  effetto;  e  Tcggasi  su 
^  ciò  Mèmoire»  de  la  Chine  del  padre  Le  Comte,  alla  lettera  ottava.  Ga- 
W,  De  Crisib.,  al  lib.  Ili,  cap.  li,  assicura  che  Ippoerate  non  aveva  fatto 
*>i  gira  ifaso  del  polso,  sia  che  non  lo  conoscesse ,  sia  che  non  lo  credesse 
(il  che  «  più  verosimile)  un  mesto  sicuro  per  conoscere  le  malattie.  Erofìlo 
^i  per  testimonianza  di  Plinio,  lib.  XXIX,  cap.  i,e  llb.  XI,  cap.  3S,  portò 
lapatsia  polsoria  a  segno  d'asserire,  che  era  necessaria  cosa  a  un  medico  l'és- 
tetmiuico  t geometra  per  conoscere  perfett^meate  il  polso. 


46  SULLA  MEDICINA. 

s'osserva  il  calor  delle  carni,  il  colore  dèi  volto,  Gome  s'os^ 
servano  gli  occhi,  la  lingua,  la  flessibilità  delle  viseere^j  la 
libertà  della  respirazione,  le  secrezioni  del  sangue,  e  sialiti; 
dirò  di  |HÙ,  che  la  pulsazione  deirarleria  essendoci  una  i^uida 
per  conoscere  presso  poco  lo  sialo  delhi  circolazione  del  san* 
gae,  ella  è  un  sintomo  da  osservarsi  anchacon  particolare 
attenzióne.  Ma  il  pretendere  colla  pulsazione  dell' arteria  di        i 
distinguere  una  ad  una  le  infinite  malattìe;  il  pretendere  coifai 
pulsazione  dell' arteria  di  conoscere  t  progressi  «  le  ^diverse        i 
vicende  de' mali  del  corpo  umano,  questo  è  un  pretendere        i 
cosa-di  cui  compare  l'assurdità  per  poco  che  vi  si  rifletta. 

Primieramente,  il  moto  del  sangue  con  somma  facilità  si  i 
altera  nel  corpo 4imano  coll'urto  semplice  d'una  passione  aih-  \ 
che  non  forte;  secondariamente,  riflettete  ch^  tutte  le  vtaria-  i 
zioni  possibili  ad  accadere  nella  pulsazione  dell' artepia  si  tf  i 
ducono  a  quattro  elementi ,  e  sono:  divenilà  di  tèmpo ,  divertUé 
di  luogo,  diversUà  di  forza,  Mversiià  d'ondulazione.  Quattro  i 
elementi  non  possono  produrre  più  che  véntiquattro  combi-  \ 
nazioni,  come*è  chiarito  da  varie  ricerche  fatlesi  in  propo^  n 
sitò:  dunque  il  polso  non  potrebbe  indicare  tutt'  ai  pia  ohe  < 
ventiquattro  stati  diversi  del  corpo  umano,  non  mjii  là  se- 
rie quasi  infinita  de' siali  pe' quali  realmente  può  passare 
Ma  direte:  questi  stati  sono  suscettibili  di  molte  differenze  <^ 
più  o  meno.  Va  benissimo;  ed  io  vi  pregherò  a  dimi,  se  eoi 
semitico  tatto  (senza  un  esatte  orologio  alla  iviano ,  che  vi 
segni  i  intnuti  secondi,  e  i  terzi,  se  fosse  possibile)  si  pe^ 
sano  definire  le  minime  difl^erenze?  Vi  domando,  se  credete 
pi»S8Ìb0ej  che  un  polsista  possa  paragonare  matematicainenle 
la  celerità  o  equi-distanza  del  polso  della  sera  con  quello 
della  mattina?  Vi  domando  se,  dopo  il  toccamento  di  tanti 
polsi  quanti  ne  esaminano  i  poisisti,  sia  sperabile  questo 
esatto  confronto?  Gran  bella  scoperta  eh'  è  staila  quella  del 
polso!  Chi  vuol  farsi  credere  n^edico,  sebbene  non  sappia 
render  ragione  della  sua  professione,  sebbene  sia  un  perfetto 
iì^norante,  si  appoggia  alla  perizia  del  polso,  riclama  uà  dono 
di  natura,  intrinseco  a  lui,  d!  conoscere  tutte  le  malattie  dal 
polso;  e  il  volgo  gli  perdona  la  sua  ignoranza,  si  fida  de' suoi 
toccamenti,  lo  crede  capace  di  risanare,  e  lo  paga  abboudaur 


SULLA  HBDICINA-  47 

Icmeole.  Se  poi  due  o  (re  poIsisU  si  conducono  separatamente 
a  visitare  an  ammalato,  senza  che  si  siane  potuti  fra  di  loro 
concertare,  uno  dirà  che  non  v'è  febbre,  l'altro  cheT'è  feb* 
bre;  uao  dirà  che  entra,  l'altro  che  va  in  declinazione:  del 
che  rari  sono  gli  uomini  che  non  ne  abbiano  avuto  più  d'an 
esempio  sotto  gli  occhi  in  vita  loro;  esempio  il  quale  solo  b»« 
slerebbe  a  convincere. 

Se  meno  si  sostenesse  T opinione  del  polso,  sarebbero ^m*- 
stretti  coloro  che  vogliono  fare  il  medico  ad  iostruirsi,  e  mt^ 
nere  sarebbe  il  numero  delle  infelici  vittime  dell'ignoranza: 
Io  per  altro  trovo  cosa  degna  di  riflessione,  il  vedere  come 
in  molte  città  della  nostra  Italia  si  sottoponga  ai  più  impar- 
ziali e  rigidi  sperimenti  un  uomo  che  cerchi  d'essere  nae- 
stradi  cappella  di  qualche  cattedrale,  e  si  facciano  rigerosi 
esami  e  disap|)as6Ìonati  gìudizj  per  eleggere  il  più  armonico 
fra i  concorrenti;  e  nessuna  città,  ch'io  sappia,  adoperi  la 
metà  di  altrettante  cautele  avanti  di  permettere  a  un  uomo 
di  operare  jsulla  vit^  dei  cittadini.  Io  credo  verameste  che 
soa  distonazione  sia  un  minor  male  ndla  repuBblica,  di  quello 
cbe  non  lo  sia  un  omicidio. 

Ritorniamo  al  proposito  nostro.  Se  volete  dunque  essere 
buon  medico,  io  v'ho  in  breve  indicata  la  strada  che  a  me 
pare  la  buona  per  diventar  tale.  Due  avvenimenti  mi  riman-* 
g^Do  ancora,  e  ve  li  dirò  tosto;  appartengono  essi  alla  buonn 
morale.  Primieramente,  siate  in  guardia  sopra  voi  medesimo, 
aecioccbé  i  frequenti  spettacoli  della  notomia,  e  rafoiéoaziono 
4i  veder  soffrire  gli  uomini ,  non  incalliscano  in  voi  quel 
dolce  e  benefico  principio  dì  sensibilità  che  produce  la  com- 
passione, ossia  il  patimento  de'  mali  altrui.  La  maggior  parte 
delle  virtù  umane  viene  da  questa  sorgente,  ed  ogni  animo 
ben  fatto  deve  procurare. di  mantenersela  intatta  e  delicata 
più  che  sia  possibile.  In  secondo  luogo,  sovvengavi  che  gli 
ammalati  sono  uomini  più  deboli  per  lo  più  degli  altri,  i  quali 
affidano  alla  vostra  dottrina  e  all'onestà  vostra  la  loro  vita 
e  le  loro  debolezze;  sovvengavi  che  se  passando  d' una  visita 
all'altra  voi  vi  faceste  giuoco  della  debolezza  altrui,  è  se  fa- 
ceste servire  a  rallegrare  gli  sfaccendati  i  racconti  di  quanto 
vedete  o  udite  nelle  famiglie  che  in  voi  confidane;  so^^en- 


48  SULLA  MEDICINA. 

gavi,  (Meo,  che  voi  sareste  agli  ocebi  vostri  medesimi,  non 
che  a  qaelli  di  ogni  onorata  persona,  nn  vero  infame  uomo, 
an  uomo  indegno  della  stima  d'ogni  animo  bennato,  un  mo- 
stro in  somma  da  far  ribrezzo  a  qualunque  è  capace  di  virtà. 
La  secrelezza  e  la  discrezione  sono  due  virtù  particolarmente 
necessarie  a  un  medico  onorato.^  Eccovi  in  somma  additata 
la  strada  per  diventare  un  buon  medico.  Quando  lo  sarete, 
aspettatevi  che  il  volgo  de^pretesi  medici  vi  fugga,  aspetta- 
tevi che  dissemini  di  vói  che  avete  della  teorica,  ma  non  va- 
lete in  pratica;  aspettatevi  di  ottener  poco  lucro,  e  molle 
persecuzioni;  e  cercatevi  una  di  queste  tre  cose,  che  sono 
le  sole  colle  quali  potrete  passare  la  vostra  -vita  al  coperto 
detta  cabala,  o  un  nome  procuratovi  colle  opere  stampate,  o 
un  sovrano  che  con  tutta  la  sda  forza  vi  protegga,  ovvero 
roscarità  d'una  vita  ritirata  che  vi  celi  ai  morsi  dell'invidia. 
Se  poi  vi  bastasse  l'essere  volgarmente  creduto  buon 
medico,  fate  il  vostro  giro  alle  scuole  pubbliche,  fatevi  ad- 
dottorare, mettetevi  a  correr  le  strade  in  seguito  a  qualche 
boon  polsista,  rompete  molte  scarpe,  imparate  a  scrivere  una 
ventina  di  ricette,  imparale  a  mente  una  quarantina  di  pa- 
role, greche,  una  trentina  di  aforismi  d'Ippocrate,  celebrate 
le  virtù  del  polso,  arricchite  la  lingua  colla  creazione  di 
noove  frasi  e  parole  nuove,  ricevete  le  pensioni  che  vi  ver* 
ranno  assegnate ,  e  sopra  tutto  pregate  il  cielo  che  i  lumi 
della  sana  filosofia  non  continuino  à  fare  i  progressi  che  tallo 
di  vanno  facendo  in  Europa.*  Gonchiudo  il  mio  ragionamento 
con  tre  ottave  tolte  da  un  poema  inedito  d*un  autore  che 
pensava  presso  poco  come  penso  io. 

Oh  genti?  oh  genti!  o  voi  che  avete  in  cura 
De'  cittadini  conservar  la  vita. 
Aprite  gli  occhi.  Oh  quanti  mai  ne  fura 
Degli  impostori  medici  l'aitai 
Di  quanti  va  nella  magione  oscura 
L'alma  sdegnosamente  dipartita, 

*  Ifel  ctìArt  giamMnto  eht  Ippocnite  «sigeva  il«gi'iD»iali  néBa  me^i* 
Cina,  stanno  rinchiast  tulli  i  provvidi  precetti  delPonealk  da  pratiearat  da 
un  medico. 

'  In  hae  artiam  tota  evenite  ut'  unicaititie  te  medicnm  profittnii 
crtéati$r.  Plioio,  lib.  XTLÌX,  cap.  i.      - 


^  SOLLA  MEDICINA.  40 

Perchè  aflErelUta  vieo  Torà  fatale 

Da  un  mejdico ,  che  è  jnedico  stivale  ! 
Poniti  a  letto,  fossi  anche  un  atleta, 

Fossi  anche  un  toro,  fossi  un  elefante; 

Dopo  una  settimana  di  dieta. 

Trangugia  docilmente  un  buon  purgante; 

Indi  la  vena  s'apra,  e  V  inquieta 

Cantaride  t' infonda  un  vescicante 

Alle  coscio,  alle  gambe  due  canteri 

Popolatori  delli  cimiteri; 
Indi  lasciati  dare  le  coppette  « 

Le  sanguisughe,  e  varj  ser  vizia  li, 

E  nuovo  sangue^  e  poi  nuove  ricette, 

E  intorno  al  letto  medici  e  speziali  ; 

E  dimmi  poscia  ch'io  non  vaglio  un  ette^ 

Se  con  tanti  rimedi  non  t'ammaU. 

Fidati  pur  se  vuoi  ;  ma  in  questa  forma 

Passa  la  bella  donna,  e  par  cìte  dorma. 


SULLO  SHRITO  DELU  LmERATtIRA  IN  ITALIA. 

Le  idee  e  le  opioioni  degli  uomini  si  cangiano  con 
maggiore  yelocità  di  quello  che  non  si  cangino  le  lingue: 
forse  perehè.ogni  mutazione  di  nn  segno  esteriore  compare 
una  real  mutazione  agli  ocebi  d'ognuno;  laddove  le  succes- 
sioni delle  diverse  idee  ed  opinioni,  facendosi  per  gradi  in- 
sensibili, non  vengono  conosciute  cjbe  da  quei  pochi  pensa- 
tori sparsi  nell^  massa  del  genere  umano,  i  quali  costitui- 
scono una  minima  porzione  della  noslra  specie.  Sono  più 
secoli  dacché  si  usano  le  voci  uomo  dolio  e  uomo  filosofo,  e 
quasi  in  ogni  secolo  queste  voci  hanno  rappresentato  cose 
diverse,  ed  opposte  talvolta  Tuna  all'altra. 

Al  rinascimento  delle  lettere  in  Italia,  mentre  i  Medici 
accolsero  i  Greci  rifugiati  dopo  la  presa  di  Costantinopoli, 
era  qran  filosofo  colui  il  quale  aveva  letto  Platone,  e  che  sa- 
peva ridirne  a  mente  alcuna  definizione,  avesse  ella  o  non 
avesse  significato.  Chiunque  sapeva  leggere  allora  qualche 
II.  5 


50  SULLO  SPIRITO   DELLA    LBTTBBATURA   IN  ITALIA. 

pezzo  deW Iliade  0  àeWVlifsea,  era  un  uomo  dotto;  chi  poi 
gioDgeva  a  scrivere  qualche  servile  imitazione  di  quegli  an- 
tichi originali,  era  dottissimo,  e'talora  divino  per  pubblica  ac- 
clamazione. La  poesia  era  allora  sovranamente  onorata  in 
Italia,  e  ciò  doveva  fisicamente  accadere  per  la  singolare  sen- 
sibilità che  abbiamo  air  armonia,  e  per  la  vivacità  della  im- 
maginazione, più  popolare  in  Italia  che  forse  in  altra  parte 
d^Europa;  qualità  entrambe  immediatamente  dipendenti, anzi 
che  dall'educazione,  dal  grado  di  latitudine  sotto  cui  siamo 
riposti.  Un  uomo  dotto  nel  secolo  decimoquinto  doveva  in- 
I  tendere  il  greco  ed  il  latino:  doveva  credere  agi'  influssi 
delle  stelle,  e  formarsene  un  sistema,  con  cui  predire  gli  av- 
yenimenti,  e  dare  la  spiegazione  de'  fenomeni.  Tutte  le  idee 
chimeriche  della  magia  contribuivano  pure  alla  composizione 
dell'uomo  dotto.  Era  poi  onorato  col  titolo  di  filosofo  allora 
colui  che  sapeva  ben  a  mente  le  categorie  d'Aristotele,  che 
sapeva  disputare  suW  universale  a  parte  rei,  suUe  quiddità, 
sul  blielri,  e  su  altre  si  fatte  gravissime  inezie  e  delirj  del-  ^ 

l'umana  debolezza;  la  quitte  gonfia  di  tante  barbare  parole,  ^ 

con  ispido  sopracpjgiio,  e  con  sucida  dimenticanza  della  per-  ^ 

sona,  cercava  di  carpire  dal  volgo  i  suffragi,  ed  acquistarsi  un  ^ 

dispotico  impero  sulle  menti  degli  uomini.  ^' 

A  queste  opinioni  altre  ne  successero  nel  secolo  decimo  ^ 

sesto,  e  fu  allora  che  lotti  quasi  gì'  Italiani,  capaci  di  colti-  * 

var  le  lettere,  si  slanciarono  disperatamente  o  nel  platonico  ^ 

mare  dei  sonetti  e  delle  canzoni  amorose,  ovvero  nello  stu-  '^ 

dio  della  grammatica  italiana  e  della  latina  eloquenza.  Non  ^ 

v*  è  quasi  terra  in  Italia,  in  cui  non  si  sia  composto  un  canzo-  ■ 

niere,  e  non  si  siano  lodate  le  trecce  bionde  di  madonna,  V an- 
gelico viso,  0  il  castissimo  e  soavissimo  sguardo  di  lei.  Romanzi 
in  ottava  rima  pieni  di  stregherie,  di  palagi  Incantati,  di  ca- 
valli volanti,  di  cavalieri  che  con  una  lancia  scompigliavano 
un  intero  esercito,  cose  tutte  in  somma  seducenti  aD' im- 
maginazione, ma  nemiche  giurate  del  buon  senso,  piovvero 
allora  da  ogni  parte;  frattanto  che  i  freddissimi  e  numerosi 
pedanti  conjogando,  declinando,  compassando  ogni  frase, 
ogni  parola,  ogni  perìodo,  costringevano  gl'ingegni  a  sacri- 
ficar la  cura  delle  cose  per  quella  dei  segni  che  le  rapprc- 


SULLO  SPIRITO  DELLA   LETTERATURA   IN   ITALIA.  ol 

senUiio,  ed  a  lìmifarsì  a  quellq  idee  sole,  che  potevano 
esporsi  con  qoe'  toroj  di  frase,  delle  quali  permettevano  che 
si  facesse  uso.  Uomo  dòlio  significò  dunque  allora  un'  altra 
cosa,  cioè  significò  un  uomo  che  sapeva  scrivere  all' occa- 
sione una  lettera  o  orazione  latina ,  con  una  Ungua  che  chia- 
mavano del  seco!  d'oro,  e  che  per  lo  più  altrp  non  recava 
all'animo  che  un  armonioso  suono  di  ben  disposte  voci.  Vero 
è  che  alcuni  osarono  scrìvere  da  uomini  pensatori  anche  in 
qae' tempi;  ma  furono  essi  appunto  i  meno  riputati,  e  taluni 
atrocemente  esposti  alle  persecuzioni  de' loro  contemporanei, 
per  tal  modo  che  anche  al  di  d' oggi  non  è  possibile  pruden- 
temente il  rendere  l'onore  che  si  vorrebbe  al  loro  nome;  né 
alcuni  pochlssiny  in  un  secolo  sono  quelli,  da' quali  debba  la 
storia  prendere  l'indole  e  la  fisonomia,  dirò  cosi,  d'un  se- 
colo intero.  £7omo  filosofo  fu  anche  in  que'  tempi  quasi  lo 
stesso  che  nel  secolo  precedente;  se  non  che,  le  scoperte 
che  s'erano  poco  prìma  fatte  sul  globo  che  abitiamo,  la  na- 
vigazione resa  più  industriosa  e  più  ardita,  eccitava  in  al- 
cuni delle  idee  della  storia  naturale,  della  figura  della  terra, 
delle  osservazioni  celesti ,  e  con  esse  alcune  elementari  idee 
della  geometrìa.  Venne  sul  fine  di  questo  secolo  il  gran  Gali- 
leo, l'onore  della  patria  nostra,  il  gran  precursore  di  Newton, 
qaello  di  cui  sarà  glorioso  il  nome  insin  che  gli  uomini  con- 
serveranno l'usanza  di  pensare,  quello  perfine,  le  di  cui  sven- 
tare saranno  una  macchia  ed  un  obbrobrio  eterno  per  il  se- 
colo in  cui  visse.  Scosse  egli  il  prìmo  il  giogo  di  quella  scienza 
di  vocaboli,  che  tiranneggiava  le  menti  degli  uomini,  e  che 
senza  né  amare  né  cercare  il  vero  ammantavasi  del  titolo 
di  Filosofia.  Egli  additò  non  solo,  ma  percorse  gran  parte  di 
quella  strada,  che  è  la  sola  per  cui  le  limitate  facoltà  degli 
nomini  possono  giungere  a  contemplare  qualche  parte  degli 
arcani  di  natura.  Il  sistema  planetario,  le  leggi  della  gravità, 
qnelle  de*  fluidi ,  la  teoria  della  resistenza  de' solidi,  una  sene 
di  verità  geometriche,  le  leggi  del  moto,  la  perfezione  degli 
stromenti  ottici,  l'arte  d' interrogar  la  natura  con  una  indu- 
striosa sperìenza,  sono  tutti  doni  che  da  quella  grand'anima 
furono  0  interamente  o  in  parte  fatti,  non  dirò  all'Italia  od 
al  suo  secolo,  ma  all'uman  genere,  ed  alla  posterità  più  ri- 


52      SULLO  SPIRITO  DBLLA  LETTEBATUaA  IN  ITALIA. 

mota.  Ma  i  SimpHcii,  ch'«gli  introdace  ne* suoi  dialoghi, 
erano  tanti  a'  suoi  tempi,  e  tale  era  la  possanza  4i  essi,  che 
per  una  quasi  universale  sedizione  le  luminose  vie  di  questo 
grand' uomo  furono  dichiarate  assurde,  e  pochi  e  paurosa-  i 

mente  celati  furono  quelli  che  seguirono  l' additato  sentiero.  , 

Nel  secolo  decimo  settimo  poi  gì'  Italiani,  costanti  alle  , 

parole,  e  pur  troppo  sino  all'ora  trascuranti  le  idee,  dopo  ^ 

avere  per  due  secoli  conjugate,  declinate,  e  poste  in  tondi  ; 

armoniosi  giri  le  parole,  passarono  a  riporre  ogni  loro  atten-  , 

zione  principalmente  sulla  loro  combinazione,  e  sulla  cojrri-  i 

spondenza  d'una  coli' altra;  e  da  qui  ne  nacquero  gli  infiniti  i] 

freddura] ,  che  provavano  che  la  donna  è  un  danno,  la  moglie 


E  questa  meccanica  e  puerile  occupazione  dilatò  il  suo 
impero  per  modo  d' imbrattare  la  poesia  non  solo,  ma  le  più 
gravi  orazioni  e  politiche  e  sacre,  le  familiari  lettere  degli 
amici,  e  persino  ogni  socievole  conversazione  dovunque  vo* 
lesse  far  pompa  di  non  volgare  talento.  Allora  gli  acrostici, 
i  bisticci,  gli  equivoci,  gli  anagrammi  diedero  una  gotica  forma 
alla  letteratura  d'Italia;  allora  gl'Italiani  capaci  di  qualche 
coltura  si  divìsero  in  accademie,  le  quali  si  attribuirono  le 
più  strane  divise,  e  ciascuno  degli  accademici  volle  diven- 
tare confratello  de' cavalli  da  maneggio,  e  come  il  Leggiadro 
galoppa,  lo  Spiritoso  raddoppia,  l'Ardente  corvetta,  VÀgile  fa 
il  passo-salto,  il  Superbo  passeggia;  cosi  un  altro  Leggiadro 
recitava  sonetti,  nn  altro  Spiritoso  era  eccellente  nelle  sesti- 
ne, un  altro  Ardente  si  distingueva  nelle  terze  rime,  un  altro 
Agile  era  professore  di  ottave,  un  altro  Superbo  foceva  ana- 
creontiche da  far  languire  di  dolcezza.  Il  titolo  d'un  letterato 


un  maglio,  la  sposa  una  spesa;  ed  in  que'tei»pi  si  applaudiva  | 

a  quei  versi  fainosi:  ^ 

Mi  sferza  e  sforza  ognor  lo  amaro  amore  * 

A  servire,  a  servare  a  infida  fede;  it 

Miei  danni  Donna  cruda  non  mi  crede ,  ^ 
Mi  fere  e  fura,  e  di  cure  empie  il  core. 

Lima  chi  V  ama ,  e  chi  la  mira  more;  ^ 

Vuol  eh'  oltre  agli  altri  vada  chi  non  vede  ^ 

Per  merto  a  morte,  e  con  un  chiodo  chiede  i 

Darla  a  me ,  che  T  amò,  qual  fieria  un  fiore.  ^ 


SCLLO  SPIBITO  DELLA  LBTTKBÀTCBÀ  IN  ITALIA.  53 

nediocremente  conosciuto  occopava  ana  buona  mezza  pa- 
gina, cioè  il  «gnor  Tal  de'  Tali  fra  gV  Indotti  il  Sottile^  fra 
§U  Amati  il  DisiMoltOy  fra  gli  Spensierati  V  Ottuso,  e  cosi 
aranti  in  infinito  quante  erano  le  patenti  d'accademia,  che 
facevano  il  corredo  delle  lettere  di  que' tempi:  fanciullaggini 
che  seriamente  prendevansi  da  taluni,  ma  che  ^rano  T og- 
getto della  compassione  dei  pochi  uomini  veramente  illumi- 
nali, e  della  disistima  in  cui  le  lettere  d'Italia  allora  ven- 
nero tenute  dall'  estere  nazioni. 

S' introdusse  poscia  poco  a  poco  lo  spirito  della  filosofia 
nell'Europa;  il  Gran  Lord  Verulam  aveva  eccitati  gl'In- 
glesi a  scuotere  il  giogo;  l'immortale  Galileo  nella  nostra 
Italia  non  minore  spinta  aveva  data  agF  ingegni;  il  primo 
aveva  fatto  il  disegno,  l'altro  in  parte  aveva  innalzato 
r edificio.  Comparve  alla  fine  Descartes,  sublime  e  bene* 
merito  genio,  di  cui  gli  errori  stessi  sono  degni  di  ve- 
nerazione, tanto  è  l'ingegno  e  l'industria  che  dovunque 
trovansi  nelle  opere*  sue.  Poco  anch'  egli  fu  felice  nella  sua 
patria,  né  potrebbe  la  Francia  liberarsi  dalla  macchia  d'aver 
lasciato  profugo  e  inonorato  morire  fra  i  ghiacci  di  Svezia 
quest'illustre  ristoratore  della  filosofia,  se  le  generazioni 
che  vennero  dappoi,  non  avessero  cercato  con  ogni  sforzo  di 
riparare  la  vergognosa  dimenticanza  de'loro  antenati.  Le  vite 
de* grand' uomini,  nati  in  secoli  o  fra  nazioni  incolte,  sono 
composte  d'una  successione  di  sventure:  l'invidia,  la  gelo- 
sìa, la  cabala,  la  malignità,  la  detrazione,  tutte  gli  attaccano 
di  mille  parti;  ma  gli  scritti  loro  rimangono,  e  i  germi  di  lu- 
minosa verità  col  tempo  si  schiudono,  sinché,  comunicandosi 
per  tradizione  d' uno  in  un  altro  il  loro  genio,  cresce  il  nu- 
mero degli  uomini  illuminati,  e  cresce  a  segno  di  sforzar 
gr ignoranti  ostinati  al  silenzio,  e  di  riparare  con  una  fama 
tarda  si,  ma  sicura,  ai  torti  che  in  prima  furono  fatti  al  me- 
nto. Cosi  avvenne  degli  scritti  di  quest'uomini  nati  per  l'am- 
naestramento  degli  altri:  nuovo  aspetto  prese  la  filosofia  in 
tntla  V Europa;  e  sebbene  il  numerò  delle  verità  che  in  que- 
sto cambiamento  si  scopersero  non  sia  molto  vasto,  il  me- 
^<^o  di  ragionare  che  s' introdusse  fa  la  cagione  de'  scopri- 
nienti  che  si  fecero  dappoi,  e  che  si  vanno  facendo  tuttavia. 

5- 


61  l^ULLO  SPIRITO  DELLA  LETTEB4TUEÌL  IN  ITÀUA. 

Si  sostituirono  allora,  a  cKr  vero,  nuovi  erroriià  vecchi;  ma 
gli  errori  vecchi  avevano  per  base  l'antica  autorità,  che  più 
si  avanza  e  più  cresce;  e  i  nuovi  errori  avevano  per  base  la 
ragione,  la  quale  col  proseguire  ad  esercitarsi  li  discopro. 
Ostinatissima  guerra  fecero  le  scuole  a  questo  nuovo  geneie 
di  filosofare;  ma  la  ragione  finalmente  la  vinse,  e  allora  si 
chiamò  filosofo  un  uomo  il  quale  credeva  di  spiegare  tutt'i 
fenomeni  dell'  universo  coi  soli  due  principi  di  materia  e  di 
moto.  Si  credette  allora  co'  vortici  di  aver  trovato  la  cagione 
de*  moti  de*  corpi  celesti,  colla  materia  sottile  di  spiegar  la 
cagione  della  gravità,  dell'ago  magnetico,  e  della  luce;  mm 
restò  un  solo  angolo  delle  cose  naturali,  che  un  filosofo  al- 
lora non  credesse  d'intendere,  e  di  potere  altrui  spiegare. 

Verso  que'  tempi  medesimi  altra  idea  si  uni  colle  parole 
uomo  dolio,  e  di  tale  ebbe  il  nome  colui,  che  molto  fosse  ver- 
sato nella  cronologia,  nelle  medaglie,  nelle  cronache,  nelle 
pergamene  antiche,  e  nelle  iscrizioni;  e  allora  ad  illustrare 
una  lampada  sepolcrale,  ad  illustrare  un  piedestdio,  un  tri- 
pode, una  patera,  o  simile  oggetto,  si  spesero  anni  e  lustri, 
e  si  pubblicarono  grossi  tomi,  i  quali  certamente  non  contri- 
buirono molto  all'avanzamento  dkle  cognizioni  umane,  o  aUa 
gloria  della  patria  nostra. 

Ai  di  nostri  non  può  negarsi  che  molto  ^on  siasi  miglio- 
rata la  condizione  degli  ingjegni  e  nell'Italia  e  in  tutta  l'En- 
ropa.  Il  gran  Newton  ha  svelato  dimostrativamente  il  sistema 
nostro  planetario;  egli  ha  fatto  conoscere  una  nuova  fona 
compagna  indivisibile  della  materia,  per  cui  reciprocamente 
s' attrae;  egli  ha  scomposta  la  luce  ne'  suoi  principi ,  e  ne  ba 
dimostrate  le  proprietà;  egli  insomma  ha  aggiunto  alla  ra- 
gione, che  Descartes  aveva  già  portata  nella  filosofia,  l'ana- 
lisi  sua  fida  scorta,  per  cui  va  ogni  giorno  più  dilatandosi  la 
sfera  delle  umane  cognizioni.  Cosicché  al  giorno  d' oggi  fio- 
sofo  è  colui  che  fa  precedere  l'esame  all'opinione,  che  pesa 
gli  oggetti  indipendentemente  dal  sentimento  altrui.  Se  a 
questo  filosofo  domandi  cosa  è  materia,  egli  dubita  di  non 
aver  dati  per  definirla,  ed  è  tanto  cauto  nel  determinarsi» 
quanto  erano  corrivi  a  farlo  quei  che  chiamavansi  filosofi 
cinquant'anni  sono. 


SIXLO  SPIttlTO   DBLLÀ   LETTERATUKA   IN  ITALIA.  HH 

Io  qui  non  so  contAnermi  che  non  faccia  una  breve  ma 
importante  nsciU  dal  mio  soggetto,  e  sia  per  coloro  i  qnali 
malignamente  abusando  del  nome  sacro  di  fiìotofo,  credono 
di  dimostrarsi  tali  manifestando  noncuranza,  e  talvolta  per- 
ma»  discredito  delle  più  sublimi  verità  rivelatrici  dell'Eterna 
Sapiensa,  venia  le  quali  sono  d'un  primo  ordine  superiore 
ad  ogni  altra  daiee  di  cose,  verità  le  quali  vuole  il  dovere, 
r  interesse  e  la  ragione  egualmente  che  sieno  da  noi  vene- 
rate. So  che  un  si  grave  argomento  dev'  essere  trattalo  con 
quella  maestà  eh'  lo  non  so  darvi,  e  che  non  si  comporta  colla 
nahira  d'un  ameno  foglio  periodico,  di  cui  lo  scopo  è  soltanto 
di  fomentare  la  curiosità  per  la  lettura,  e  indicare  qua  e  là 
alcune  verità  del  second'  ordine:  pure  è  bene  avvertir  di  pas- 
saggio qoe'  tali^  se  ve  ne  sono,  eh'  essi  col  loro  modo  di  par- 
lare danno  mu  prova  di  essere  lontani  dalla  filosofia,  cioè 
dair  amor  del  sapere,  più  assai  di  quello  che  non  lo  aia  un 
perfètto  ignorante;  poiché  un  errore,  ed  un  errore  fonda- 
mentale, quale  è  questo,  è  una  quantità  negativa  del  sapere. 
Chiunque  poi  ad  ogni  nuova  proposizione,  per  sana  ed  inge- 
ooa  ch'ella  sia,  cerca  di  trovarvi  una  nascosta  incredulità, 
e  procura  di  denigrare  il  buon  nome  degli  uomini  illuminati 
€<m  falso  zelo  di  pietà,  e  con  una  vera  e  reale  invidia  che 
lo  rode  nel  fondo  del  cuore,  quegli  non  è  certamente  né  filo- 
sofo, né  buon  cristiano,  né  uomo  d' onore. 

Ma  ritorniamo  sulla  strada,  ed  osserviamo  che  il  titolo 
di  «omo  dolio  realmente  costa  al  di  d' oggi  assai  più  di  quello 
che  non  lo  costava  per  V  addietro;  onde  la  maggior  parte  di 
eoloro  che  V  ottennero  ne'  tempi  trascorsi,  molto  dovrebbero 
sodare  ai  di  nostri  per  ottenerla  di  nuovo.  Lo  spirito  filoso* 
fico  s'è  dilatato  oltre  i  confini  della  fisica:  egli  regge  ed  anima 
l'eloquenza,  la  poesia,  la  storia,  le  bell'arti  tutte  insomma; 
il  cuore  umano  ed  i  principi  della  sensibilità  sono  alfine  più 
eenoscioti  ^i  queHo  che  in  prima  non  lo  erano;  ed  il  senso 
della  maggior  parte  degli  Europei  é  reso  molto  più  squisito 
e  delicato  di  quello  che  da  lungo  tempo  non  lo  sia  stato 
giammai. 

Neil'  Italia  nostra  però  vi  sono  tuttavia  gli  Arislolelici 
delle  lettere  y  come  vi  furono  della  filosofia  ;  e  sono  quei  te- 


56  SDLLO   SPIRITO   DELLA    LETTHRATDBA  IN  ITALIA, 

naci  adoratori  delle  parole,  i  qaali  fissano  (atti  i  loro  sguardi 
sol  conio  d' nna  moneta,  senza  mai  valutare  la  bontà  intrin- 
seca del  metallo  ;  e  corron  dietro,  e  preferiscono  nel  loro  com- 
mercio, nn  pezzo  d' inalile  rame  ben  improntato  e  liscio  a  un 
pezzo  d'oro  perfettissimo,  di  cai  l' impronto ^ia  fatto  con 
minor  cara.  Immergeteli  in  nn  mare  di  parole,  sebben  an-  i 

che  elleno  non  v'annunzino  che  idee  inatili  o  volgarissime,  i 

ma  sieno  le  parole  ad  una  ad  nna  trascelte,  e  tutte  insieme  i 

ariàonìosamente  collocate  ne'  loro  periodi,  sono  essi  al  colmo  ) 

della  loro  gioia.  Mostrate  loro  una  catena  ben  tessuta  dì  ra-  i 

gionamenti  utili,  nuovi,  ingegnosi,  grandi  ancora;  se  una  i 

voce,  se  un  vocabolo,  una  sconciatura  risuona  al  loro  picco-  u 

lissimo  organo,  ve  le  ributtano  come  cosa  degna  di  nuUa.  i 

Sono  que'  tali  come  quel  raccoglitore  di  libri,  il  quale  gli  sce-  \\ 

gtieva  sulla  eleganza  della  rilegatura,  rare  volte  osservan-       .    w 
done  il  titolo,  non  che  l' opera  ;  e  cosi  preferiva  le  opere  del  it 

celebre  Gomez  rilegate  in  vitello,  alla  storia  del  presidente  De  ^ 

Thou  legata  In  pergamena.  ^ 

Questi  inesorabili  parolaj  sono  il  più  forte  ostacolo  che  ^ 

incontrano  anche  al  di  d' oggi  in  Italia  i  talenti ,  che  sareb-  |j 

bere  dalla  natura  altronde  felicemente  disposti  per  le  lette-  ^ 

re  :  essi  co'  loro  rigidi  precetti  impiccoliscono  ed  estinguono  ^ 

il  genio  de'  giovani  nell'  età  appunto  più  atta  a  svilupparsi  ;  ^ 

essi  colle  eteme  loro  dicerie  intimoriscono  talmente  i  loro 
disgraziati  alunni,  che  in  vece  di  sollevarsi  con  un  felice  ar- 
dimento, scrivendo,  a  queir  altezza  a  cui  giunger  possono  le 
loro  forze,  con  mano  tremante  servilmente  si  piegano  alla 
scrupolosa  imitazione  di  chi  fo  testo  di  lingua;  e  quel  pittore, 
il  quale  nelle  prime  opere  sue,  se  fosse  stato  libero,  avrebbe 
prodotte  molte  bellezze  e  alcuni  difetti,  per  migliorare  poi 
sempre  colla  propria  sperienza,  s'agghiaccia  colla  pedanteria 
dell'imbecille  e  venerato  suo  maestro,  e  per  troppo  temere 
i  difètti,  non  produce  più  né  difetti  né  bellezze  proprie,  ma 
oscure  e  dlspregevoli  copie  non  mai  capaci  di  dar  un  nome 
all'  autore. 

Questa  disgrazia  dell'  Italia  è  provenuta,  cred'  io,  da  ciò 
che  neir  Italia,  quasi  appena  dopo  il  risorgimento  delle  let- 
tere, si  pretese  di  aver  fissata  la  lingua,  e  si  pretese  di  più  di 


SDLLO  SPlBITO  DELLA  LETTERATURA  IN  ITALIA.  57 

averla  fissata  con  confini  si  immobili,  che  la  lingua  italiana 
della  scrittara  avrebbe  dovuto  avere  tutta  la  rigidezza  delle 
lingue  morte,  perdendo  quel  naturale  tornio,  e  quella  pie- 
ghevolezza air  idee  di  ciascuno  scrittore,  che  formali  pri- 
mario genio  delle  lingue  vive.  Io  non  pretendo  già  che  debba 
388er  lecito  ad  un  pulito  e  colto  scrittore  il  far  usò  di  que'  vo- 
caboli che  sono  talmente  municipali  d'una  parte  d'Italia,  si 
che  nelF  universale  lingua  italiana  non  sieno  conosciuti;  io 
non  pretendo  neppure  che  un  pulito  e  colto  scrittore  ignori 
la  grammatica  della  lingua  in  cui  scrive,  e  macchi  i  suoi  di- 
scorsi con  frequenti  errori  o  barbarismi;  nemmeno  pretendo 
che  sia  lodevole  un  perfetto  libertinaggio  di  lingua,  introdu- 
cendo senza  ragione  negli  scritti  delle  frasi  o  de'  modi  di 
dire  ignobili,  o  forestieri  al  genio  della  lingua:  io  dico  bensì, 
che  il  merito  della  lingua  ò  un  puro  merito  secondario,  che 
egli  é  Un  puro  abbellimento  del  discorso;  né  può  essere  mai 
risgaardato  come  un  merito  primario ,  se  non  se  da  coloro 
iqnaìi  non  sanno  far  uso  della  miglior  parte  dell'uomo^  Dico 
di  più,  che  quando  si  sono  voluti  stabilire  per  cardini  della 
lingaa  i  Giambullari,  i  Capponi,  i  Monlemagni,  i  Firenzuola, 
IBor^hini,  i  Rossi,  i  Monaldi,  i  Cavalcanti,  i  Gelti,  i  Fazii  degli 
liberti,  i  Sacchetti,  i  Marignolli,  i  Bronzini,  gli  Stadini,  e  si 
fatti  oscnrissimi  scrittori,  de'  quali  l'Europa  colta  non  ne  legge 
neppur  un  solo,  allora  dico  che  s' è  preteso  di  fare  una  riso- 
lozione  alquanto  immatura,  e  che  la  lingua  non  si  potrà  mai 
chiamare  stabilita  sodamente  insino  a  tanto  che  varj  e  varj 
valentuomini  non  Y  abbiano  piegata  alle  diverse  loro  idee,  e 
resa  versatile  e  maneggevole  a  ben  dipingere  e  rappresen- 
tare tuir  i  diversi  oggetti  che  possono  affacciarsi  alla  imma- 
ginazione d'  un  uomo  superiore  al  volgo.  Non  credo  di  far 
torto  a  quei  che  non  nomino,  nominando  due  scrittori  che 
abbiamo  per  sventura  dell'  Italia  perduti,  cioè  il  signor  dot- 
tore Antonio  Cocchi,  ed  il  signor  conte  Francesco  Algarotti;  i 
quali  con  diverso  stile  bensì,  ma  con  un  medesimo  spirito  di 
filosofia  hanno  arricchita  la  nostra  lingua  colle  loro  opere,  e 
ci  hanno  lasciati  libri  pieni  di  idee  grandi  e  nòbili,  adornate 
da  uno  stile  che  le  rende  ancor  più  leggiadre.  Allorquando 
la  nostra  Italia  in  varj  generi  ne  avrà  prodotti  altri  ancora 


58  SULLO  SPII^ITO  DELLA  LETTEBATUBÀ   IN  ITALIA. 

di  simili,  allora  i  npstri  posteri  avran  ragione  di  vantarsi) 
che  la  loro  4ingaa  abbia  ricevala  una  stabile  forma* 

Qaando  Orazio,  T incomparabile  Orazio,  onorava  la  lingua 
di  Roma  co' suoi  versi  immortali,  ana  turba  di  pedanti  fre- 
meva contro  il  nuovo  autore,  ed  erano  appunto  costoro  quella 
greggia  servile  d' imitatori,  che  ad  Orazio  tanto  sovente  mo- 
vevano ora  il  riso,  ora  la  noia.  Lo  storico  Livio  accusavano 
essi  di  padovaneggiare  nel  suo  stile;  in  ogni  paese  al  comio- 
ciare  che  fece  il  buon  secolo  s' incontrarono  tali  ostacoli,  ove 
più,  ed  ove  meno;  e  il  gran  Cornelio,  il  gran  Molière,  che 
fecero  ammirare  le  produzioni  dell'  ingegno  umano  sol  tea- 
tro, innalzate  forse  al  disopra  di  quanto  gli  uomini  avevan 
mai  veduto  prima  d' essi,  il  gran  Cornelio,  il  gran  Molière, 
es8\  pure  hanno  sparsi  nelle  loro  opere  dei  difetti,  o  vogliam 
dire  degli  errori  di  lingua,  né  perciò  son  essi  meno  illustri  o 
nella  loro  patria,  o  dovunque  vi  sia  senso  per  la  tragedia  o 
per  la  commedia. 

Un'  altra  cosa  pure  fa  mollo  torto  alla  letteratura  d'Italia, 
ed  è  il  modo  con  cui  fra  gli  scrittori  si  trattano  le  dispute  let- 
terarie. Chiunque  osa  scrivere  dovrebbe  mostrarsi  uomo 
d' un  ingegno  e  d' una  coltura  al  disopra  del  comune  livello 
degli  uomini;  il  mestiere  d'un  autore  è d' illuminare  la  mol- 
titudine, di  comunicargli  coi  suoi  scritti  le  utili  verità,  di  ren- 
dere gli  uomini  più  saggi,  più  felici  e  più  virtuosi,  tre  cose 
le  quali  realmente  sono  una  cosa  sola.  Quale  stima  o  quale 
deferenza  dovranno  avere  gli  uomini  comuni  per  le  lettere, 
se  chi  s' intrude  in  questa  nobile  professione  la  avvilisce  con 
canaglieschi  modi,  e  coli'  usare  delle  più  basse  e  facchinesche 
ingiurie,  le  quali  appena  meritano  scusa  qualora  se  ne  ascolti 
uscire  il  suono  da  una  bettola  ripiena  d'  ubbriac)ii?  Bppure 
cotesto  è  un  vizio  nostro  ereditato;  e  dal  tempo  del  Caslelve- 
tre  a  questa  parte^  rare  volte  sono  passati  dieci  anni  in  Italia 
senza  che  siasi  dato  alla  ciurma  de'  lettori  l' obbrobrioso  spet< 
taccio  di  due  che,  usurpandosi  il  luminoso  carattere  di  let- 
terati ,  si  prendono  villanamente  l' un  i'  altro  pe'  capelli,  e  si 
rimescolano  nel  fango  fra  le  fischiate  e  gli  urli  e  lo  schia- 
mazzo d' un  ozioso  gregge  d' insensati  partigiani.  Neir  In- 
ghilterra, la  parte  che  qui  fanno  colali  disonori  delle  lettere, 


SULLO  SPIRITO  DELLA   LETTERATURA   IM  ITALIA.  ti9 

la  faQoo  i  galli ,  ed  a  quegli  animali  conviene  assai  più  che 
BOD  ad  uomini  il  pungersi  e  lacerarsi  V  un  Y  altro  per  diver- 
Uinento  degli  spettatori. 

Non  mancarono  a  due  insigni  nostri  letterati,  al  signor 
Lodovico  Antonio  Muratori,  ed  al  signor  marchese  Scipione 
Maffei,  di  simili  scrittori  frenetici ,  i  quali  loro  s'avventarono 
colle  più  vili  e  plebee  contumelie;  ma  que'  genj  superiori  non 
interrappero  per  ciò  il  placido  e  maestoso  corso  della  loro 
carriera,  nò  vollero  mai  far  l'onore  ad  una  schiatta  d' uo* 
mini  tanto  dà  loro  distante,  di  discendere  e  far  rientrare 
qaegr  insetti  nella  pozzanghera  d'onde  pretendevano  alzar- 
si; gli  uomini  di  lettere  non  farebbero  mai  nulla  di  grande, 
se  8i  lasciassero^distorre  da'  loro  oggetti  ad  ogni  ragghio  che 
ascoltano. 

Quando  però  la  disputa  sia  una  urbana  e  pacifica  ricerca 
della  verità,  la  quale  s'eserciti  in  modo  da  non  far  nascere 
cattiva  opinione  o  della  morale  o  della  educazione  di  chi  la 
sostiene  ;  se  il  soggetto  di  essa  è  degno  d'essere  rischiarato, 
allora  la  disptita  diventa  una  parte  rispettabile  della  lettera- 
tura, e  contribuisce  al  progresso  delle  cognizioni  degli  uomi- 
ni. Il  signor  La  Motte  cosi  trattò  la  dìsputa  con  madama 
Bacier,  ed  il  monarca  autore  del  PftUosophe  Bienfaisant  così 
disputò  col  cittadino  di  Ginevra.  Il  signor  d'Alembert,  nella 
disputa  Sul  teatro,  ha  sostenuta  pure  la  sua  causa  con  quella 
nobile  decenza  che  era  degna  di  lui.  La  contumelia  e  il  fiele 
scolastico  sono  uno  sfogo  di  que' sventurati,  i  quali  risve- 
gliano alla  mente  la  favola  del  serpente  che  rosica  la  lima. 
L'uomo  di  merito  non  odia  che  il  vizio,  disprezza  i  vili,  e 
compassiona  quegli  infelici,  i  quali,  amareggiati  nel  fondo  del 
coore  per  la  non  curanza  in  cui  vengono  tenuti,  non  hanno 
la  forza  di  celare  ne' loro  scritti  il  crudele  sentimento  che 
gli  avvelena. 

Da  queste  due  cancrene,  cioò  dalla  pedanteria  de' paro- 
la}, e  dalla  scurrilità  de'  spavetitacchi  dell'  infima  letteratura, 
sembra  che  a  grandi  passi  vada  liberandosi  la  nostra  Italia: 
ogni  giorno  più  va  diminuendo  il  numero  de'  loro  fautori ,  e 
gli  estremi  loro  sforzi  sono  una  prova  che  lo  spirito  filosofico 
va  facendo  progressi  grandi  sulle  ingiuste  loro  posèessioni. 


60  SULLO  SPIRITO   DELLA   LETTERATURA   IN   ITALIA. 

A  misura  che  saranno  discreditati  questi  nemici  degl'  inge- 
gni, l' Italia  andrà  distinguendosi  fra  le  nazioni  colte,  e  per 
poco  che  il  cielo  le  conceda  paciGci  giorni ,  tornerà  forse 
nn' altra  volta  a  far  rivolgere  verso  di  lei  lo  sguardo  ammi- 
ratore dell'  Europa. 


1  «lUDizj  papai^ARi. 

Due  avvocali  e  un  giudice  comparvero  in  questa  cauta.  Il 
primo  avvocalo  cominciò  éosi  a  parìofe  in  favore  del 
popolo: 

Non  v'é  razza  d'uomini  che  più  mi  muova  la  indegnazio- 
ne, quanto  quella  d'alcuni  i  quali  per  vendicarsi,  come 
possono,  del  poco  conto  in  cui  sono  tenuti  dagli  altri  uomi- 
ni, fanno  eteme  declamazioni  contro  l'umanità,  e  degradano 
la  specie  umana  sino  ai  conGni  della  bestialità,  credendo 
d' aver  essi  soli  il  privilegio  esclusivo  della  ragione.  Preten- 
sione si  è  questa  la  più  ingiusta  e  la  più  ridicola  che  dare 
si  possa;  e  per  poco  che  il  signor  giudice,  si  compiaccia  di 
ascoltarmi,  credo  di  potergli  ad  evidenza  mostrare  la  verità 
del  mìo  assunto.  E  primieramente,  come  la  natura  ha  dotalo 
ogni  uomo  di  una  data  forza  di  muscoli,  così  gli  ha  confidala 
una  data  porzion  di  ragione;  altrimenti  l'uomo  non  sarebbe 
più  uomo,  cioè  aniìnaU  ragionevole ,  come  da  tutti  universal- 
mente vien  definito:  ora,  come  inetta  cosa  sarebbe  il  dire 
che  molti  e  molti  uomini  uniti  non  abbiano  più  forza  a  mo- 
vere un  peso  che  un  uomo  solo,  cosi  deve  essere  assurda  e 
inetta  V  opinione  di  coloro  che  sostenessero  che  molte  por- 
zioni di  ragione  radunate  non  sieno  maggiori  d'una  porzion 
soia.  Perciò  vediamo  i  principi  più  sapienti  proporre  ne' loro 
consigli  le  più  ardue  e  importanti  deliberazioni  della  mo- 
narchia, acciocché  tutta  la  ragione  che  in  quegli  uomini  sta 
divisa,  radunandosi  insieme  su  un  solo  soggetto,  lo  esamioii 
lo  penetri  con  maggior  forza  ;  onde  conoscerne  la  natura,  e  i 


I  G1UD12J  POPOLÀUI*  61 

buoni  0  cadivi  effetti  che  deve  prodarre.  Dà  qui  ne  viene , 
che  le  repubbliche  anche  piccole  hanno  potuto  ottenere  una 
prodigiosa  superiorità  sulle  nazioni  nemiche,  come  avvenne 
della  Grecia  coi  Persiani ,  e  di  Roma  con  buona  parte  dei- 
Torbe  conosciuto. 

I  grandi  uomini  hanno  avuta  tutti  una  grande  opinione 
della  ragionevolezza  degli  altri  uomini;  poiché  i  grandi  no- 
mini,  essendo  quelli  i  quali  più  avidamente  hanno  compe- 
rata la  fama  a  costo  di  mille  incomodi  e  perìcoli,  non  avreb- 
bero anteposta  la  fama,  ossia  l'opinione  favorevole  degli 
nomini,  ai  comodi  fisici  della  vita  tranquilla  e  privata,  se  non 
avessero  creduti  giusti  estimatori  del  merito  quegli  uomini 
stessi  dai  quali  a  si  caro  prezzo  mendicavano  i  suffragj. 

Di  più,  l'ingiusto  vantato  disprezzo  degli  uomini  è  un 
seme  dal  quale  nascono  millervizj  nell'uomo;  il  quale  di- 
sprezzando  gli  uomini  non  cura  più  la  riputazione ,  cioè  la 
riunione  della  opinione  che  essi  hanno  di  lui,  e  cosi  sciolto 
da  questo  potente  vincolo  si  dà  in  preda  ad  ogni  inclinazio- 
ne, sottraendosi  al  più  possente  freno  che  sia  fra  le  cose 
terrestri  per  contenere  i  vizj  e  le  azioni  più  abbominevoli. 

L'opinione,  ch'io  sostengo  favorevole  al  giudizio  della 
amanita,  è  quella  che  mi  restringe  ad  indicare  appena  que- 
ste himinosé  ragioni,  ben  persuaso  dell'accorgimento  del  si- 
gnor giudice,  per  cui  non  fa  bisogno  d'inutili  esortazioni  o 
di  declamazioni  ricercate,  ma  bensì  della  sola  e  nuda  veri- 
tà, la  quale  accennata  appena  entra  nell'  intelletto ,  e  l' ob- 
Utga  a  sentirne  la  forza.  Io  non  mi  servirò  dunque  dell'  au- 
torità delie  scuole,  le  quali  convengono  che  il  consenso 
Httiversale  faceta  morale  evidenza,  il  che  significa  che  l'opi- 
nione universs^e  degli  uomini  non  è  soggetta  a  errare;  non 
mi  servirò  d'infiniti  esempj  che  potrei  citare  delle  storie,  che 
fonno  in  favor  mio;  all'evidenza  delle  ragioni  addotte  ag- 
giungerò soltanto  l'autorità  dì  Pomponio  secondo,  autore  di 
tragedie,  il  quale,  secondo  riferisce  Plinio  alla  lettera  17  del 
libro  settimo,  dicere  tolebai  ad  populum  provoco,  atque  ita  ex 
pepuH  aeeensu  vel  dUtemu  suam  aut  amici  senlentiam  seque- 
^Qiur,  tanto  egli  stimava  il  popolo,  tantum  ille  póputo  dahaL 
Aggiungerò  l'autorità  del  padre  della  romana  ebqneiiza  ,  il 
li.  6 


62  I  GIUDIZJ  POPOLARI. 

quale  al  principio  del  secoudo  libro  delle  Tusculane  :  noi,  dice, 
muUitudinis  judicia  prohari  vokbamuf:  papularis  est  enim  iUa 
faeuUas^  et  efeclus  eloqu  enlim  est  audienlium  approbeUio.  Cele- 
bri SODO  gli  esempj  de*  due  Francesi  Malberbes  e  Molière,  i 
qaali  prima  di  sottoporre  al  pubblico  le  opere  loro  consttUa- 
vano  le  loro  fantesche,  e  sul  giudizio  loro  ritoccavamo  le 
produzioni  dei  loro  ingegno.  Mille  altri  simili  fatti  ci  sommi- 
nistra la  storia  e  di  Apelle  e  di  altri  grandissimi- aomini,  che 
del  giudizio  popolare  facevano  tale  uso  da  risgaardarlo  corno 
la  pietra  di  paragone  del  merito.  Resta  dunque  chiarameuto 
provalo,  che,  e  per  ragione  intrinseca,  e  per  T opinione 
de*grandi  uomini,  e  per  il  bene  della  repubblica,  e  per  V  aor 
torità  ed  esempio  degl'ingegni  più  rinomati,  il  giudizio  del 
popolo  è  conforme  alla  ragione,  ed  è  il  vero  tribunal  com- 
petente del  bello,  del  grande  e  del  buono,  come  breve- 
mente ho  detto. 

Poiché  ebbe  finita  la  esposizione  delle  sue  ragioni  il  primo 
avvocalo,  il  secondo  così  a  dir  prese  contro  il  popolo: 

La  indegnazìone  che  il  mio  avversario  sente  contro  co- 
loro che  non  fanno  stima  de'  giudizj  popolari,  può  dirsi  pro- 
dotta da  quei  medesimi  principi  eh'  egli  rimprovera  a  noi , 
cioè,  che  godendo  egli  dell'aura  della  fortuna,  e  in  conse- 
guenza dei  pubblici  omaggi ,  1  quali  non  mancane  mai  ai  fé* 
liei,  ha  pure>un  massimo  interesse  a  sostenere  il  proprio 
merito  sulla  infallibilità  della  universale  opinione;  e  chi  con- 
trasta codesta  opinione,  può  essere  agli  occhi  suoi  sospetto  di 
quel  delitto  che  di  rado  si  perdona,  cioè  di  mancare  d'una 
stima  sentita  verso  di  lui.  Qualunque  siasi  il  principio  onde 
emani  questa  vigorosa  sua  eloquenza,  che  dà  il  nome  di  ri- 
dicola alla  opinione  nostra,  entriamo  brevemente  ad  esami- 
nare il  merito  della  causa,  e  la  forza  delle  ragioni  addotte. 

Io  non  contrasterò  al  mio  avversario  che  ogni  uomo  ab- 
bia una  porzion  di  ragione,  non  già  per  la  definizione  alle- 
gata deir animala  ragionevole;  che  tali  non  sono  gli  uomini 
fatui ,  ma  perché  i  fatui  e  i  pazzi  sono  uomini  esclusi  dal 
calcolo  del  quale  trattiamo^  e  formano  un  sì  piccol  numero 


I  6I0DKJ  POPOLAMI.  93 

nella  oniaiiiCà  die  'appena  è  sensibile.  Se  ogni  nomo  nel  gin- 
dicare  si  serrìsse  imparzialmente  della  proprì^i  porzion  di 
ragione,  il  giedizio  di  molli  varrebbe  certamente  più  del  gin- 
diiio  di  pochi,  come  le  braccia  di  molti  mnorono  meglio  on 
peso,  efae  te  braccia  di  pochi;  ma  nel  muovere  il  peso  ognuno 
adopera  la  forza  muscolare  che  ha;  nel  gindicare  degli  og- 
getti ,  non  cosi  ognmio  adopera  la  forza  del  proprio  intellet- 
to. In  ogni  nazione  un  piccol  numero  si  arroga  il  primato,  e 
il  giudizio  di  sei  o  sette  è  ripetotOi  come  dall'eco,  da  venti  o 
trenta  mila,  i  quali  desimint  suumjudicium  adhibere;  id  habéni 
raium  quod  ab  eo  quem  probanl  judicatum  *  tndint^  come  dice 
Cicerone,  De  natura  Deorum,  Mb.  1.  Ovvero  come  dice  Plinio, 
lib.  y,  cap.  1:  Cum  indagare  vera  pigeal  ignoraniicB,  pudùre 
menUri  non  piget^  aut  alio  (idei  proniore  lapsu  quam  uhi  fai- 
fm  rei  gravie  auetor  exlilil;  o  come  Seneca,  De  etto  beala  :  Ad 
rumorem  eomponimur  optima  rati  ea  qua  magno  asserìsu  re- 
cepta  sunt;  non  ad  ralionem,  sed  ad  iimililudinefià  ìHvfmus. 

Di  tutte  le  fatiche  quella  ch'ò  più  insopportabile  air  uo- 
mo, si  è  il  far  uso  della  ragione;  e  perciò  vediamo  la  molti- 
tadine  in  tutte  le  nazioni  amare  il  vino ,  o  l'oppio ,  o  il  ta- 
bacco, o  qualonc^e  altro  licer  forte  e  droga  che  assopisca  e 
levi  dalla  tentazione  di  mettere  in  eonienzioso  moto  il  pro- 
prio spìrito.  In  fatti,  ne'eonsigli  che  crederemo  noi  mai  che 
cerchino  i  principi  iUnmiiiati?  I  monarchi  e  i  conquistatori 
più  celebri  si  sono  sempre  determinati  da  loro  soK,  e  ne'con- 
Bìgli  hanno  confidato  quanto  confidano  i  minatori  che  rom- 
pono una  rupe  sulla  eventualità  di  ritrovarvi  o  ferro ,  o  ra* 
me,  o  argento,  o  oro,  o  forse  di  gettare  il  tempo  e  la  fatica. 
Ogni  uomo  ha  le  sue  private  passioni  che  lo  disviano  dal  cer- 
care la  verità,  e  si  determina  ad  opinare  talvolta  per  vene- 
razione a  questo,  ora  per  avversione  al  voto  d'un  altro; 
perciò  Roma  appunto  ne'  grandi  affari  e  ne'  pericoli  impor- 
tanti confidava  la  salvezza  con  un  pien  potere  in  mano  o 
de' consoli,  o  d'un  dittatore;  e  a  questo  sistema,  anzi  che 
ad  altro ,  attribuir  doveva  la  parte  avversa  la  romana  gran- 
«iezza. 

Che  gli  uomini  grandi  abbiano,  cercando  la  fama,  cer- 
cato in  conseguenza  la  stima  della  moltitudine,  è  vero;  non 


64  1  dlUDUJ  FOPOI.ABI. 

percbè  credessero  ragionevole  il  popolare  ineosluite  giadi- 
zio,  ma  perchè  hanno  conosciuto  che  la  riverenza  degli  al- 
tri nomini  verso  di  essi  gli  sottraeva  dalle  vessacioni  loro,  e 
li  metteva  in  caso  di  servirsene  a  migliorar  la  vita.  Maomet- 
to, queir  illustre  impostore,  da  una  bassa  è  oscnra  forlnna  è 
giunto  al  trono,  alla  gloria  de'  primi  conquistatori,  ed  ha  ar- 
mato il  braccio  a  più  .di  dugento  mila,  e  gli  ha  guidati  a  suo 
talento,  poiché  seppe  rendersi  venerabile  agli  occhi  loro. 
Grederem  noi  che  Maometto  avesse  stima  del  giudizio  di 
quelli  de' quali  con  tante  assurdità  si  prendeva  giuoco?  No 
certamente;  gli  uomini  erano  macchine  agli  occhi  suoi,  le 
quali  a  forza  d*  errori  i  più  grossolani  si  lasciavano  guidare 
da  queir  avveduto  Arabo.  Cosi  dicasi  d' Alessandro,  che  si 
fece  crédere  figliuol  di  Giove;  e  di  quasi  tutti  i  conquistatori, 
i  quali  hanno  stimato,  si  poco  ragionevoli  gli  uomini,  a  segno 
di  soggiogarli  colle  Savoie  le  più  ridicole,  cogli  oracoli,  e  si- 
mili testimoni  della  umana  debolezza. 

1/accusa  ingiusta  che  ci  fa  Tavversario,  cioè  che  la  opi- 
nione nostra  induca  a  disprezzare  la  riputazione ,  e  a  darsi 
in  preda  ad  ogni  vizio,  merita  risposta.  Ricercare  l'opinione 
favorevole  del  volgo  ella  è  una  necessità  de' più  scellerati,  i 
quali  temendo  che  gli  uomini  illuminati,  che  sono  il  piccol 
numero,  non  li  conoscano,  cercano  a  bilanciarsi  col  partito 
della  moltitùdine;  ma  chi  ricerca  Y  opinione  de'poehi,  non 
può  traviare  dallo  stretto  sentiero  della  virtù.  Quale  sperania 
può  mai  avere  un  uomo  di  merito  nella  stima  popolare  f 
L'ostracismo  è  sempre  pronto  in  ogni  età,  in  ogni  paese;  e 
se  il  merito  non  è  armalo  ed  osa  comparire,  l'amor  proprio 
del  volgo  si  scaglia  contro  di  esso,  come  contro  un  oggetto 
che  umilia  anche  non  volendo;  perciò,  da  Socrate  sino  a  Se- 
condai, la  vita  de'  grandi  uomini,  di  quelli  cioè  che  per  la 
virtù  e  per  l'ampiezza  delle  cognizióni  hanno  fatto  maggior 
onore  all'umanità,  è  una  compilazione  di  continui  disastri, 
e  dalla  commedia  delle  iVu&t'  sino  all'  OracUi  des  nouveaux 
philosophes ,  V  invidisi  dei  mediocri  scrittori  ha  osato  attac* 
care  e  lacerare  il  nome  e  le  azioni  di  qualunque  ha  potuto 
valere  più  degli  uomini  comuni. 

Ma  tempo  è  ormai  ch'io  corrisponda  alle  citate  autorità; 


I  GTDDIZJ  POPOLARI.  65 

ed  al  citato  testo  di  Cicerone  contraporrò  quello  ehe  lo 
stesso  Oratore  dice  al  libro  V  delle  TuscuMne:  An  quidquam 
ttuUius  quarti  quos  singulos  sient  operarios  barbarosqut  conlein- 
wu,  eo$  aliquid  putare  esse  universos?  E  qael  che  altrove,  pe- 
rorando ÌD  favore  di  Sesto  Roscio  :  Sic  est  vulgus:  ex  veritate 
pauca,  ex  opinione^  mulla  eslimaL  E  Gnalmente  nelle  Tuscu- 
iane,  lib.  II:  Est  enim  philosophia  paucis  contenta  judieibus, 
mulliliulinem  consulto  ipsa  fugiensy  eique  ipsi  et  suspeeta ,  et 
invisa,  ut  vel  si  quis  universam  velit  vituperare,  seeundo  id  pò- 
pulo  possit  facere.  Pretenderà  ora  V  avversario  che  Cicerone 
sia  per  lui? 

Ma  legga  egli  Seneca,  epistola  29;  JSfunquixm  volui  pò- 
jmlo  piacere,  tiam  quoì  ego  scio  non  probat  populus ,  et  quee 
probat  populus  ego  nescio.  Legga  lo  stesso  Seneca  De  vita 
beata: — Argumentunt  pessimi  turba  est;  ed  altrove:  Stat 
contra  rationem  defensor  mali  sui  populus.  Legga  insomma 
tutti  gli  antichi  sehsatì  scrittori ,  e  vedrà  come  la  loro  auto- 
rità confermi  la  opinione  nostra,  e  sarà  dalla  evidenza  co- 
stretto a  confessare,  che  il  giudizio  popolare  non  è  mai  stato 
il  tribunal  competente  né  del  grande,  né  del  bello,  nò  dei 
buono. 

Cosi  finì  la  breve  sua  arringa  il  secondo  avvocato;  e  il  giu- 
dice ,  che  attentamente  aveva  ascoltati  entrambi ,  cosi  prò- 
nuficiò: 

Qualanqne  sia  la  lingua  o  V  autore  che  dica  mia  ragio- 
i>e,  la  ragione  medesiiha  ha  sempre  egual  peso  ;  onde  del 
numero  delle  autorità  citate  da  ambe  le  parti  non  vogliamo 
tenerne  conto. 

Vero  è  che  molte  forze  riunite  producono  effetto  mag- 
giore; vero  è  che  gli  uomini  comuni  non  adoprano  la  forza 
della  loro  ragione  per  giudicare;  ma  vero  è  altresì  che  molti 
giadizj  non  devono  darsi  dalla  ragione,  ma  bensì  80ltanl,o 
dal  sentimento,  il  quale  è  comune  a  tutti  gli  uomini,  e  da 
tutti  si  adopera.  Chi  assiste  ad  una  rappresentazione  teatrale, 
non  ride  riflettendo  se  debba  piangere  o  ridere ,  ma  bensì 
sentendo  puramente  Y  impressione  pietosa  o  vivace  della  fa- 

6* 


G6  .1  GIUDIZJ  POPOLABI. 

Yola:  perciò  il  giadice  competente  del  teatro  e  dell'eloquema 
è  il  popolo;  e  i  poeti  e  gli  oratori  che  lo  ricusano,  son  veri 
pedanti  che  ignorano  i  principj  dcil  loro  mestiere.  La  strada 
del  caore  dell'  nomo  è  comanemente  aperta ,  la  strada  del- 
l'intelletto  non  già;  perciò  tutti  godono  in  vista  d'una  no- 
bile azione,  tutti  inorridiscono  in  vista  di  un'azione  indegna, 
ma  pochi  si  scuotono  a  una. verità  grande,  pochi  deridono 
un  grande  errore. 

Quel  popolo  di  Roma  che  fremendo  applaudiva  il  corag- 
gio di  Regolo  che  ritornava  a  morire  in  Affrica,  e  che  avrebiie 
insultato  qualunque  avesse  osato  di  dirne  male,  quel  popolo 
istesso  bilanciava  fra  Catilina  e  Cicerone,  incerte  qual  de'dae 
fosse  il  padre  o  l' inimico  della  patria.  Nel  primo  caso,  basta 
avere  sensibilità  per  decidere  bene;  nel  secondo  non  basta, 
ma  convien  ragionare.  La  sensibilità  essendo  epmune ,  la 
moltitndine  decise  bene:  il  raziocinio  essendo  non  comune , 
la  moltitudine  si  divise  parte  per  la  verità ,  parte  per  V  er- 
rore; e  se  raccoglieremo  dalle  storie,  e  dagli  esempj  che  ab- 
biamo veduti  in  vita  nostra,  troveremo  che  per  lo  più  l'er- 
rore ha  il  maggior  numero  di  seguaci.  Su  questi  prìncipi 
fondiamo  la  sentenza  nostra,  e  dichiariamo  d'aver  buono  il 
giudizio  volgare  nella  musica,  nella  pittura^  nella  poesia 
drammatica,  e  in  tutte  le  facoltà  le  quali  hanno  per  One 
primario  il  dilettare,  giacché  gli  uomini  devono  giudicare 
essi  medesimi  della  impressione  che  sentono;  ma  dichiaria- 
mo incompetente  il  giudizio  del  popolo  in  tutto  ciò  che  per 
conoscersi  richiede  ragionamento,  poiché  questa  é  la  facoltà 
umana,  ad  esercitar  la  quale  s' é  sempre  opposta  qna  invin- 
cibile inerzia  in  tutti  ì  secoli,. e,  dove  più  dove  meno,  presso 
tutte  le  nazioni. 


67 


DE6U  ONORI  RESI  AI  LKITERiTI. 

ScrìUori  del  Caffè,  rispondete  a  questa  quistione  :  Perchè  mai 
gli  uomini  di  lettere  erano 'onorali  ne*  tèmpi  addietro,  e 
lo  sono  si  poco  ai  tempi  nostri? 

Chi  ci  fa  questo  quesito  dev'essere  sicarameiitc  profes- 
sore di  sonetti  e  canzoni,  ovvero  grammatico  squisito,  se 
mai  però  non  fosse  qualche  valente  antiquario.  Quest'  è  la 
solita  cantilena  che  ridicono  coloro  i  quali,  senza  ibgegno  e 
senza  discernimento,  vorrebbero  aver  parte  nella  repubblica 
delle  lettere.  Il  corpo  di  essa  repubblica  è  vasto  assai,  né  vi 
fa  bisogno  d'altro  che  di  volerlo,  per  esservi  compreso;  ma 
doe  sono  le  classi  de' cittadini,  che  compongono  questa  so- 
cietà sparsa  sul  globo:  la  prima  classe  è  quella  di  pochi,  i 
quali  dalla  natura  felicenienle  disposti,  e  dalla  educazione 
preparati  a  coltivar  le  cognizioni  umane,  tratti  da  una  spinta 
interna,  e  da  un  amore  del  vero  o  della  gloria,  coltivano  il 
sapere,  e  comunicano  talvolta  al  pubblico  le  idee  che  vanno 
rischiarando;  la  seconda  classe  è  di  que* molti  ì  quali,  o  per 
inerzia  di  preferire  un  mestiere  sedentario  ad  uno  più  fatico- 
so, ovvero  per  una  vana  lusinga  di  credere  importanti  quelle 
frivole  cognizioni  che  per  una  sventurata  educazione  hanno 
preferite  alle  altre,  prendon  la  penna  in  mano,  e  vi  spor- 
cano fogli,  quinterni  e  risme  di  carta  noiosissìmamedte.  La 
prima  classe  é  dei  nobili  letterati,  quei  della  seconda  sonò  i 
letterati  plebei.  Ognuno  comprenderà  facilmente  ch'io  col 
nome  di  nobile  non  intendo  in  questo  silo  di  parlare  degli 
antenati,  il  merito  de'quali  vai  poco  dovunque,  ma  nulla  af- 
fatto nella  professione  delle  lettere. 

Nel  secolo  decimoltavo,  in  cui  viviamo,  non  hanno  cer- 
tamente ragione  ì  letterati  davvero  di  lagnarsi,  né  so  che 
realmente  si  lagnino.  Il  pubblico  legge  assai  più  di  quello  che 
iion  si  sia  mai  letto  forse  dacché  s' è  inventata  V  arte  dello 
scrivere.  Un  libro  non  è  più  riservato  a  quelle  sole  caverne, 
dove  al  pallido  lume  d' una  lampada  se  né  stava  un  irsuto 


68  DEGLI  ONOBI  RESI  AI  LETTERATI. 

sapiente  ne'  secoli  scorsi,  come  un  mostro  della  specie  uma- 
na. Un  libro  è  un  mobile  che  si  trova  nelle  stanze  più  ele- 
gantemente adornate;  un  libro,  trovasi  sulle  petti niere  delle 
più  amabili  dame;  un  libro  perOne  é  letto,  per  poco  che  Fau- 
tore abbia  avuto  talento  di  scriverlo» 

Ora  si  tosto  che  universalmente  si  legge,  ogni  autore 
che  sappia  scrivere,  cioè  che  scriva  cose  che  paghino  della 
fatica  di  leggere,  e  che  le  scriva  con  ordine,  con  chiarezza 
e  con  grazia;  ogni  autore,  dico,  che  sappia  scrivere,  è  sicuro 
.di  ottenere,  tosto  o  tardi,  la  stima  e  la  considerazione  del 
pubblico.  Tutto  il  ditDcile  sta  al  bel  princìpio  che  un  giovane 
intraprende,  la  carrie/'a;  allora  certamente,  non  avendo  né 
credito  né  sperienza,  incontra  inGniti  ostacoli  a  scrivere  ed 
3  stampare,  e  più  forse  ha  del  merito,  e  più  gli  ostacoli  sono 
ostinati;  allora  può  darsi  ancora  che  la  prima  opera  per  man- 
canza d' industria  rimanga  neir oscurità  per  qualche  tempo; 
ma  passato  che  s*è  una  volta  per  questo  strétto  disgustoso, 
la  strada  b'  appiana  da  sé  medesima.  Io  trovo  che  per  un 
uomo,  che  abbia  una  felice  disposizione  d'ingegno,  non  v'é 
strada  in  cui  possa  più  nobilmente  soddisfare  la  propria  am- 
bizione, quanto  quella  delle  lettere:  per  essa  non  vi  si  richie- 
dono ofiicj  di  sorte  alcuna;  non  vi  si  richiedono  né  le  noie 
delle  anticamere  de' grandi,  né  si  devono  digerire  i  freddi 
accoglimenti  de' protettori,  né  si  deve  temere  e  sperare  con 
una  crudelissima  alternativa:  l'uomo  di  tèsta  passa  la  sua 
giornata  a  suo  talento  con  geniali  occupazioni,  indi  colie 
produzioni  sue  giunge  a  farsi  un  nome  e  un  credito,  più  o 
meno  grande,  è  vero,  ma  certamente  sempre  superiore  a 
quellp  che  ottengono  coloro  ì  quali  possono  carpire  le  ca- 
riche col  solo  merito  degli  pfficj  o  delia  dissimulazione.  Un 
marchese  Scipione MafTei,  un  Lodovico  Antonio  Muratori,  un 
conte  Francesco  Algarotti  nella  nostra  Italia  hanno  a' di  no- 
stri goduto  di  tutta  quella  considerazione  e  di  tutti  que' ri- 
guardi che  possono  solleticare  di  più  l'amor  proprio  d'ogni 
uomo.  Essi  furono  onorati  da  più  d'un  sovrano;  ogni  fore- 
stiero di  qualche  distinzione,  che  passasse  nelle  città  ove  di- 
moravano, si  faceva  una  particolare  cura  di  visitare  e  cono- 
scere quegl' illustri  scrittori,  e  certamente,  in  paragone  d'uno 


DK6U  OXO&I   RESI   Al    LETTERATI.  69 

di  essi,  nessun  magistrato  o  giudice  d*  Italia  pretenderà  di 
occupare  un  posto  luminoso  neir  universo. 

Celebre  è  il  fatto  di  quel  viaggiatore,  che  giunto  alle 
barriere  di  Parigi,  chiese  al  gabellieri  contezza  dell'alloggio 
del  signore  di  Fontenelte,  e  che  non  sapeva  persuadersi 
come  perfino  i  gabellieri  non  sapessero  indicargli  la  casa 
d'on  loro  cittadino  che  faceva  tanto  onore  alla  sua  patria. 
Chianque  sia  un  po'  istrutto  delle  novelle  letterarie  di  Europa, 
saprà  quali  testimonianze  di  stima  e  d' amicizia  abbia  rìee- 
Tute  il  signor  di  Voltaire  da  due  sovrani  letterati  e  illustri 
protettori  di  chi  coltiva  le  lettere,  fi  noto  a  tutti  il  glorioso 
iavito  che  una  delle  pili  grandi  principesse  ha  fatto  al  signore 
D'Alembert.  Il  miglior  poeta  drammatico  che  abbia  prodotto 
l'Italia,  già  da  molt'anni  gode  del  più  onorato  e  dolce  de- 
stino alla  corte  imperiale.  Insomma,  ognuno  che  per  poco 
sia  iniziato  nelle  cose  che  risguardano  ratinale  stato  delle 
lettere  d'Europa,  deve  conoscere  che  non  mai  forse  furono  si 
onorati  gli  uomini  che  hanno  contribuito  a  rischiarare  11 
pubblico,  ed  a  diffondere  le  utili  verità,  quanto  lo  sono  in 
questi  tempi.  Quasi  tutti  i  sovrani,  che  attualmente  regnano 
in  Europa,  accordano  favori  alle  lettere. 

Ma  k  plebe  letteraria  grida,  e  smanìa  e  declama  con- 
tro l' ingiustizia  del  secolo,  contro  il  decadimento  delle  lette* 
re;  e  perchè  i  nostri  proavi,  appena  usciti  daUa  barbarie,  fa- 
cevano gran  conto  de' grammatici,  e  de' poeti,  e  de'Iapidaij, 
vorrebbero  che  anche  netta  piena  luce  di  questo  secolo  acca- 
desse altrettanto.  Certamente  che  i  Marsilii  Ficini,  i  Pico 
detta  Mirandola,  e  si  fatti  astrologi  e  cabalisti  aristotelici,  se 
si  giorni  nostri  comparissero  col  puerile  corredo  di  quella 
Ungua  che  allora  chiamavàsi  scienza,  sarebbero  poco  onora- 
ti; e  chi  ad  essi  somiglia,  è  nato  troppo  tardi  per  ricever  co- 
n>Da.  È  comparso,  anni  sono,  un  libro  in  Italia,  che  è  uno 
^'e'più  benemeriti  libri  che  da  molto  tempo  siansi  fatti;  e 
fiono  alcune  lettere  di  Virgilio  all'Arcadia  di  Roma.  Sin  dal 
^mpo  del  valoroso  Tassoni  qualche  cosa  s'era  osato  dire  in 
Italia  sulla  poesia  petrarchesca;  ma  alcune  verità  erano  come 
^emmie  nella  preoccupata  mente  de' letterati  d'Italia. 
L'autore  delle  LeiUre  di  VirsiUo  dà  un  giusto  valore  alle 


70  DE6L1  ONORI  RESI  Al   LSTTKRATl. 

cose  ed  agli  originali  che  ci  eravamo  proposti  d'imitare 
eternamente,  sotto  pena  di  risgnardare  come  rea  di  lesa  pe- 
danteria chiooqae  osasse  uscire  dallo  strettissimo  giro  stabi- 
lito. La  maggior  parte  de'  lettori  si  sono  scatenati  contro  la 
verità  che  veniva  in  quelle  lettere  annunziata,  •  direi  quasi 
dimostrata:  pure  delle  ristampe  di  quel  bel  I0>ro  se  ne  sono 
fatte,  e  mi  vado  lusingando  che  sparsi  qua  e  là  ve  ne  siano 
molti  di  sediziosi,  e  che  il  regno  de'  pedanti  sia  per.  dorare 
più  poco. 

Sorge  una  dìsputa  fra  due  o  pia  oscuri  scrittorì  per  sa- 
pere qoal  fosse  la  patria  d'Omero,  di  Plinio,  del  Tasso,  o 
che  so  io;  ciascuno  vi  suda  degli  anni,  partorisce  un  grosso 
tomo,  e  lo  fa  stampare,  e  poi  si  lagna  perchè  nessuno  lo 
legga*  Ma  che  vuol  egli  che  gli  nomini  s' annoino  a  leggere 
un  ammasso  disordinato  di  rottami  d'^erudizione,  per  cavarne 
poi  una  notizia  la  quale  non  contribuisce  in  nulla  al  bene  di 
alcuno?  Viene  un  altro,  e  vi  scarabocchia  egloghe,  sonetti, 
eterne  inezie  in  rima,  le  quali  partono  da  un  animo  vuoto 
d'idee,  e  non  lasciano  al  lettore  che  il  rimorso  d'avere  ma- 
lamente speso  il  suo  tempo:  con  qoal  titolo  pretende  egli  alla 
stima  de'  suoi  contemporanei? 

Scrivete,  o  giovani  di  talento, giovani  animati  da  un 
sincero  amore  del  vero  e  del  bello,  scrivete  cose  che  riscuo- 
tano dal' letargo  i  vostri  cittadini,  e  gli  spingano  a  leggere, 
e  a  rendersi  più  colti;  sferzate  i  ridicoli  pregindìQ  che  in- 
catenano gli  uomini,  e  gli  allontanano  dal  ben  fare;  comu- 
nicate agli  uomini  le  idee  chiare,  utili  e  ben  disposte;  cer- 
cate insomma  di  rendere  migliori  e  nel  cuore  e  nello  spi- 
rito i  vostri  contemporanei,  come  fate  sopra  dì' voi  medesimi; 
e  allora  siate  sicori  che  non  vi  mancheranno,  coli'  avanzarvi 
nella  carriera  delle  lettere,  tutti  i  piaceri  che  s'ottengono  e(dla 
distinzione  e  colla  stima  universale.  Vi  saranno  sempre,  é 
vero,  in  qualche  angolo  oscuro  de'  pedanti  che  mal  soffi-r- 
ranno  di  vedervi  su  questa  strada;  ma  questi,  a  misura  che 
farete  progressi,  anderanno  sempre  più  occultandosi,  sin 
tanto  che  resti  ad  essi  tutta  l' amarezza  di  dir  male,  ed  a  voi 
non  giunga  neppure  il  suono  deHa  loro  voce.  Più  voi.sarete 
colti  e  amabili  ne'  vostri  scrìtti,  e  più  coloro  spargeranno  che 


DE6LI  ONdRI  nESI  AI  LETTBIIATr.  7i 

mancate  di  profondare  le  vostre  idee.  L' interesse  di  chi  non 
sa  Bcriyer  bene,  ò  di  sostenere  che  gli  autori  che  più  nnìver- 
salmeiite  piacciono,  non  sanno  seriyer  bene. 

Noi  co'  nostri  Fogli  ci  siamo  particolarmente  proposti  di 
eonbatlere  molte  di  quelle  chimere  che  più  s' oppongono  ai 
progressi  degl'ingegni  italiani.  La  natura  ha  fatto  di  tutto  per- 
ché noi  fossimo  distinti  fra  le  più  colle  nazioni  del  mondo; 
ma  forse  la  troppa  dolcezza  del  carattere  di  noi  Italiani  ci  ha 
falli  con  somma  facilità  piegare  l'an  dopo  l'altro  al  giudizio 
di  alcuni  pochi ,  i  quali  ci  hanno  yolato  porre  in  ceppi ,  dirò 
cosi,  l'anima,  e  ce  ne  hanno  pedanteggiate  le  facoltà.  Tempo 
è  ormai  che,  in  una  materia  libera  qual'è  quella  delle  let- 
tere, sia  dato  ad  ognuno  il  sentire  con  proprio  sentimento , 
e  il  rendere  le  proprie  idee  quali  si  ricevono  da'  sensi  ;  et 
oferio  mere  volo. 


BEULA.   VniilTA   IMBIiIiE   MFITFB. 

Scrittori  del  Caffè, 
Poiché  vedo  le  mire  vostre  dirette  principalmente  al  ben 
Pibl»lico,  ed  a  combattere  gli  errori  volgari,  io  credo  oppor- 
iBDo  di  comunicarvi  alcune  riflessioni,  le  quali  con  miglior 
ngioae  potrei  anche  chiamare  sensazioni ,  che  attualmente 
^i  occupano  dacchò  son  giunto  in  questa  vostra  patria.  Sap- 
piale donqne  eh'  io  ho  passato  questi  ultimi  dieci  anni  nel 
Nord,  viaggiando  per  quasi  tutte  le  più  remote  città  che  vi 
^&o,  ed  appena  saran  tre  mesi  eh'  io  son  di  ritorno.  Scrit- 
twi  del  Caffè,  che  ne  dite  del  freddo  che  si  solTré  general- 
mente da' vostri  paesani?  S*io  devo  dirvela,  nella  maggior 
P^rte  delle  case,  ove  convien  ritrovarmi,  io  mi  sento  morire. 
^  ne  eccettuo  una  trentina  al  più  di  famìglie,  le  quali  sono 
pCTsaase  che  le  sensazioni  dolorose  è  meglio  non  averle  che 
^^e^,  le  altre  kisciano  che  il  sole  le  guardi  dal  capricorno 
^za prendersene  briga,  e  tremano,  e  si  rannicchiano,  e 
Wiano  diventare  il  naso  e  la  faccia  porporina,  e  soffrono 
<IeUe piaghe  ai  piedi,  alle  mani,  e  pare  che  non  siano  essi 


7Ì  BOXA  VTIUTà  DBLLS  STOTB. 

che  soflrono.  Se  pur  ucke  dò  aecadesw  per  U  pofetiàdeUa 
nazione»  ne  vedrei  il  percKè;  wul  latti  qae'  trferi,  liUi 
qne'raiiiiieckiaiiBenti,  tutti  qae'  nasi  ìMorbetlati,  taite  ^adfe 
piaghe  à  Tedoiio  e  nascooo  in  appartamenU  deve  la  seta  e 
Toro  adornano  con  lusso»  e  dove  per  gioagcre canmn  pas- 
sare per  osa  Imga  trafila  di  serritorì  e  di  slaniCL  SerittMi 
dd  CAVfft»  perehé  non  parlale  di  fwsla  pazzia?  In  mezzo  a 
«aa  gallerìa  di  pittare»  ia  mezza  ai  dìfwrhi^  aiTcHali»  alfe 
doratare»  soUrtre  miUe  Tolte  pie  fredda  che  aaa  ae  ssfira  0 
pia  miserabile  contadina  ae'caalanì  di  Piettabargal  Spa- 
recchiate qae*aaohili.  Tendeteli,  liceTctemi  ia  aaa  starna 
meno  add<rf>bata  >  ma  riceTetemi  ia  aaa  stanza  di  cai  l'a»- 
biente  lepido  sìa  capace  di  caateasre  an  naaM»  senza  ^'egli 
ahhia  dolorau  Uà  bri  faadra  mi  piace;  an  morbido  e  ricco 
sedile  sU  bene;  molta  officiosità  coaTìene:  ma  priaaa  ddfe  ^ 
magaifiteaze»  prima  delie  espressàoai»  la  d' nopa  piemetlne 
la  sicarezza  dai  mah;  e  qaaado  mi  rìceTete  per  tormeatarm 
col  freddo,  io  tì  protesto  che  aeaoaa  baoa  officio  tì  discolpa  . 
dalla  offesa  oepitalitàL  Se  baoUsaeparteeitaiiaDa  per  «rerfl  ^ 
dima  d'Italia» andrebbe  bene  che  anche  ia  Lombartfiasi 
TiTOSse  cmne  ia  Toscaaa,  come  ia  Boan»  come  a  Napoli; 
BUI  il  Tootro  cielo  non  è  il  cielo  d'Italia,  Inmhmdi  miei;  e 


dare  Tien  BMxIta  nere  »  e  dove  ^a  molto»  non  Ta  già  1 
raichilettara  toscana  »  e  la  aaaniara  di  TÌTCze  mtSt  im 
dd  nmaneate  deU'ttafia.  H  Tostio  cfiam  ^  i 
al  cliflu  di  Germania:  dnaiine  ragion  Tm 
ancor  toì  altri  deU^  iadaslria  colla  ^nala  ìtì  si  &  nasacre  li 
pnunaTera  nello  stanze  in  mano  agli  armo  MTinTcnm*  Ne 
ad  stiate  a  dire  che  le  sidie  fìrrJTmi  m^»  che  i 
sane,  lo  tì  dirò  che  pia  di  cin^aanta  ariliaaf  d*  i 
Earopa  tìtooo  V  inTenio  aeOe  stale»  e  fnesti  < 
Moni  d' aomini  sono  figli  d' on'  altn  riaipmntinB  di 
d'uomini  nati  e  vissnli  nelle  stufe;  e  cod  andata  i 
dno  d  tempi  di  Armiaio ,  e  pia  ia  là  se  Tdele.  la  vi  dirò 
che  nel  Temo  mdti  maoèiHMi  di  ficadda,  a  che  di  miti  ^ 
freddo  se  ne  troTapo  qaad  talli  gli  a— ■  ^idm  <pn  fra  <fi 
Toi  o  nelle  carceri  o  neUe  stratte»  nea  che  di  caUo  ncsam^ 
è  moiio,  eh'  io  sappia:  io  tì  dirò  che  il  freddo  è  il  campai* 


DELLA  irriLITA  DBLLB  STOFB.  73 

della  sferilìtà  e  della  morte.  E  voi,  Signori  del  CiFPfe,  aggion- 
ge(e  delle  boone  ragioni  fisiche  in  difesa  di  questa  canèa, 
che  saprete  rìtroyanrele  meglio  di  me^  e  v'assicuro  avrete 
fatta  un'azione  da....  Perdinci!  non  ne  posso  più....  la  penna 
non  mi  regge  nelle  mani....  vado  a  mettermi  a  letto  per  li- 
berarmi da  questo  tormento.  Ivi  starò  come  la  lumaca  sino 
a  maggio.  Scrìvete,  che  il  ciel  vi  salvi. 


«Ut  raviur  vTiiii. 

Uno  de' pia  forti  ostacoli  che  incontrano  i  giovani  di 
talento  sul  bel  principio  della  loro  carriera,  sì  ò  o  la  disap- 
provazione o  il  disprezzo  o  il  ridicolo  delle  persone  colle 
qoali  devono  conversare,  e  talvolta  perfino  de'loro congiunti. 
Gli  uomini,  perdendo  la  gioventù,  perdono  i  vantaggi  fisici 
della  loro  esistenza;  pochi  sono  coloro  i  quali  coltivando ,  o 
eolie  scienze  o  colla  abituale  riflessione,  le  facoltà  del  loro 
animo ,  compensino  coli'  accrescimento  delle  qualità  morali 
il  deperimento  delle  fisiche;  e  questi  pochi  soltanto  possono 
mirare  senza  un  segreto  sentimento  d'invidia  un  giovane  il 
quale  cerca  a  distinguersi,  coltivando  il  suo  spirito:  ma  la 
maggior  parte  degli  uomini  giunti  ad  una  certa  età  mirano 
1  giovani  come  altrettanti  esseri  intrusi  su  questa  terra ,  di 
coi  il  dominio  sia  già  devoluto  ad  essi  per  anteriorità  di  pos- 
sedimento; nò  risparmiano  V  occasione  di  umiliarli ,  di  sco- 
raggiarli, insomma  di  vessarli,  per  modo  che,  anzi  che  re- 
sistere a  si  forti  opposizioni,  abbandonano  la  maggior  parte 
^piella  strada  che  un  felice  genio  li  portava  a  correre,  e  poco 
a  poco  s' addormentano  in  braccio  a  quell'inerzia  che  forma 
i  cittadini  inutili  d' ogni  paese. 

Altri  distolgono  i  giovani  dal  proseguimento  de'loro  studj 
eon  buona  intenzione ,  ma  spinti  da  alcuni  pregiudizj  suc- 
chiati col  latte,  la  guarigione  de'quali  non  potrebbe  ottenersi 
senta  qualche  contenzione  di  ragionamento,  facoltà  k  quale 
Bon  viene  mai  logorata  dalla  moltitudine.  Il  dovere  d'ogni 
II.  7 


76  CLI  STUDJ    LTlLf. 

Forse  qoel  primo  che  strofinò  on  pezzo  d'acciaio  ail 
ana  calamita,  e  che  attentamente  osservò  la  direzione  di 
quel  pezzo  d'acciaio  verso  ana  parte  del  cielo,  meritò  i  rira- 
proveri  o  il  sorriso  de'gravemente  ignoranti  suoi  contempo- 
ranei; ma  quella  pnerile  occupazione  era  quella  appunto  che 
doveva  insegnare  agli  uomini  a  navigare  nel  mezzo  dell'Ocea- 
no ;  e  forse  allorquando  il  gran  Galileo  col  cannocchiale  da 
lui  ritrovato  osservava  le  stelle  medicee,  alcuni  magistrati 
avran  creduto  di  avere  occupazioni  assai  piò  intere^anti 
dette  sue:  eppure  l'occupazione  del  Galileo  ha  cagionata  la 
rettificazione  della  geografia,  ed  ha  salvato  dal  naufragio  in- 
finite navi  col  metodo  deHe  longitudini.  Forse  Arvèo,  occupato 
ad  osservare  con  un  microscopio  il  mesenterio  d' una  rana, 
sembrò  un  uomo  assorbito  da  fanciullesca  curiosità  ;  e  quel 
microscopio  in  mano  d'Àrvèo  discoperse  la  circolazione  del 
sangue  sconosciuta  agli  antichi. 

So  che  le  matematiche,  quanto  sono  facili  a  schiudere 
le  verità  anche  meno  sperate  e  pia  sublimi,  altrettanto  sono 
elleno  avare  nel  somministrarcene  di  utili  immediatamente; 
ma  lo  spirito  geometrico  ò  uno  spirito  che  si  diffonde  su  tutte 
le  scienze  e  su  tutte  le  arti,  e  le  perfeziona  e  le  adorna  in 
guisa,  che  in  quella  dazione  dove  piò  esso  s' estenda,  più  de- 
vono essere  perfette  nel  loro  genere  tutte  le  cose  che  vi  si  fan- 
no. Ascende  questo  spirito  rischiaratore  sulle  cattedre  degli 
oratori,  e  li  rende  metodici,  esatti  e  precisi;  si  diflbnde  sulla 
classe  dei  giudici,  e  gli  addestra  a  paragonare  i  fatti,  ad  ana- 
lizzare le  probabilità,  ed  a  ben  decidersi;  discende  nelle  ofii- 
cine  persino  degli  artefici,  e  suggerisce  loro  i  metodi  più 
brevi,  più  sicuri,  più  industriosi  per  perfezionare  i  loro  la- 
vori. Infatti,  ognuno  potrà  chiarirsi  colla  sperienza  che  tutte 
le' mani  fatture  le  migliori  all'uso  e  le  più  esatte  ci  vengono 
da  nazioni  fra  le  quali  regna  lo  spirito  geometrico  ;  e  che 
air  incontro,  dove  esso  non  regni,  tutto  partecipa  di  quella 
rozzezza  e  di  quella  inesattezza  che  caratterizza  le  nazioni 
incolte. 

Le  cognizioni  poi  della  fisica  grandissima  influenza  hanno 
a  perfezionare  tutte  le  manifatture  e  i  comodi  della  vita;  di 
più,  rendono,  per  cosi  dire,  più  delicato  e  fino  il  gusto  ia 


GLI  STO  DJ   UTILI.  77 

Ogni  eosa.  L*  arte  de'  tintori  deve  tott'  i  suoi  avanzamenti 
aNa  Gsica;  la  farmaceotica,  tanto  interessante  il  nostro. ben 
essere,  dalla  medesima  pure  riceve  lume;  insomma  io  spi* 
rito  delia  Iraona  fìsica  sì  adatta  a  tutte  le  cose  ciie  servono 
air  oso  dcir  uomoy  ed  ivi  sono  sempre  più  eleganti  e  più  co- 
mode, dove  quella  scienza  abbia  fatti  maggiori  progressi. 

Il  breve  giro  d'un  discorso  non  mi  dà  campo  di  addurre 
piò  copiosi  esempj^  né  di  far  vedere  ad  uno  ad  uno  i  minu* 
tissimi  anelli  dKque^la  catena  che  unisce  le  cognizioni  tutte 
degli  uomini  per  nì«ido  tale,  che  non  è  possibile  che  una  na- 
ziooe  sia  perfezionata  in  un'  arte  o  scienza  qualunque ,  es» 
sendo  nella  perfetta  ignoranza  di  un-  altra:  pure  quest^  è  una 
di  qaelie  verità,  delie  quali  la  spérienza  e  de'  presenti  e  de' 
passati  secoli  può  convincere  anche  indipendentemente  dalle 
ragioni  intrìnseche,  le  quali  non  si  sviluppano  che  agli  occhi 
de' pochi  ragionatori. 

€iò  posto,  dunque,  se  per  utililà  s' intenda  una  necessità 
fisica,  senza  di  cui  la  società  non  potrebbe  sussistere,  nes- 
sona  scienza  sarà  da  dirsi  utile  :  se  poi  per  utilità  s' intenda 
quello  che  il  vero  valore  della  voce  importa,  cioè  atiiludine 
3  far  del  bene,  ogni  scienza  deve  chiamarsi  utile,  poiché  ogni 
scoperta  di  verità  è  realmente  un  bene ,  un  bene  che  talvolta 
produce  le  feUcì  conseguenze  con  una  immediata  azione,  e 
talvolta  le  produce  con  una  lunga  ed  insensibile.  Se  dunque 
le  scienze  le  risguardiamo  per  la  influenza  che  esse  hanno 
sulla  massa  universale  di  una  nazione,  le.  scienze  sono  tutte 
uHU;  e  la  ripetuta  distinzione  di  scienze  utili  e  di  scienze 
lum  utUi,  è  una  vera  e  provata  chimera  venutaci  dai  tempi 
dell'antica  barbarie  per  tradizione,  e  contrastata  da  ogm 
sana  ragione.  f 

Non  pretendo  io  perciò  di  dire  che  ogni  giovane  debba« 
Qnieamente  consultando  il  proprio  genio,  abbandonarvisi 
*nza  prendersi  verun  pensiero  del  tempo  avvenire,  o  delle 
P9irticolari  circostanze  nelle  quali  si  trova.  I  doveri  del  pro^ 
Prio  stato  voglìon  essere  i  piò  preziosi  di  ogni  altro  all'uomo 
onesto  ^  e  la  dolce  lusinga  di  potere  un  giorno  consolare  e 
^^^ccorrere  la  vecchiezza  rispettabile  d'un  amoroso  padre, 
^^'ona  affettuosa  madre,  ha  sempre  più  forza  su  un  cuore  ben 

r 


78  GLI   STUOJ    UTILI. 

fatto,  di  quello  che  non  ne  abbia  veran  altro  motiro:  sod 
belle  le  scienze,  ma  più  bella  infinitamente  ò  la  virtù;  un'ani- 
ma capace  di  sentirne  la  dolce  emozione  ò  an'  anima  granr 
de,  e  incomparabilmente  più  grande  di  qnalanqae  nomo,  per 
dotto  che  sia,  se  per  disgrazia  non  abbia  di  simili  sentimen- 
ti. Qoello  eh'  io  pretendo  dì  dire  si  ò  che,  a  meno  che  una 
vera  necessità  non  ci  costringa  a  farlo,  noi  non  dobbiamo 
mai  distogliere  o  scoraggiare  i  giovani  i  quali  per  an  nata- 
rale  talento  si  dispongono  a  coltivare  qualunque  scienza  ed 
arte;  e  che,  qualora  lo  facciamo,  ci  esponiamo  ad  esser  rei 
di  aver  forse  cambiato  un  cittadino  illustre  e  benemerito  in 
uno  sfaccendato  oscuro,  il  quale  inquieterà  nella  sua  gi(v-  i 
ventù  colla  scostumatezza,  annoierà  nella  età  virile  colle  las- 
situdini e  co'  sbadigli ,  e  farà  arrabbiare  nella  vecchiaia  i  pP-  j 
steri  col  suo  malumore.  i 

Quasi  ogni  uomo,  se  avesse  trovato  aiuti  e  non  osta*       i 
coli  ne*  suoi  verd'  anni,  sarebbe  riuscito  buono  in  qualunque       j 
genere;  ma  quel  giardiniere  che  vorrebbe  coglier  dai  gelso- 
mini le  noci,  e  le  castagne  dalle  rose,  renderà  sempre  sta-       , 
rile  il  terreno  confidatogli.  So  che  alcuni  pochi,  agitati  da 
un  estro  vincitore,  malgrado  gli  ostacoli  seppero  resistere 
e  giungere  alla  celebrità;  più  di  due  terzi  degli  nomini  più       \ 
illustri  in  ogni  genere  dovettero  combattere  al  principio  della       \ 
loro  carriera:  ma  non  tutti  gli  uomini  capaci  di  far  bene       | 
hanno  queir  elasticità  e  fermezza  di  fibra  che  non  si  con-       , 
torce  e  modella  anche  ad  una  continuala  pressione,  che  adzi       , 
la  maggior  parte  vi  si  piega  ;  ma  questa  nuova  forma  basta 
bensì  a  toglierle  la  inclinazione  primigenia,  non  già  ad  infon- 
derne un'  altra. 

La  maggior  parte  di  que' cittadini  i  quali  si  annoiano 
nel  letargo  dell'  ozio,  se  una  buona  educazione  gli  avesise  as- 
sistiti, se  la  stima  dei  loro  contemporanei  avesse  senùto  loro 
di  sprone,  sarebbero  meno  infelici  in  qualche  ora  del  giorno» 
la  quale  impiegassero  a  leggere  o  a  pensare;  la  società  di 
essi  sarebbe  più  colla,  più  astabile,  meno  agli  assenti  ingia* 
riosa,  e  meno  grave  a  chi  ne  partecipa;  avrebbero  essi  qnal- 
che  cognizione  della  fisica,  qualche  gusto  delle  belle  arti: 
saprebbero  trovare  T* anima  e  la  bella  natora  nella  masica, 


GLI  STUDJ    UTILI.  79. 

nella  piUora  e  nella  poesia;  e,  negando  o  accordando  gli  ap- 
plausi a  chi  bene  o  male  le  esercita,  contribuirebbero  ai  pro- 
gressi di  qnest'  arti.  L' artigiano  dovendo  vendere  ì  suoi  la- 
vori a  persone  più  colte  e  che  più  intimamente  ne  possono 
giudicare,  sarebbe  costretto  a  raffinare  la  sua  indostria;  ì  fa- 
migliari, per  qàeir  universale  principio  d'imitazione  inerènte 
all'uomo,  dirozzerebbero  sempre  più  le  loro  maniere;  e  cosi, 
dalla  coltura  di  quei  che  non  devono  avere  inqoietudiae  per 
il  loro  sostentamento,  scende  per  un  insensibile  pendio  Tuni- 
versale  ripulimento  so  tutta  una  nazione. 

Ma  se  in  genere  di  scienze  vogliamo  fare  ì  difficili,  e 
(onerarie  piuttosto  che  accoglierle  e  invitarle;  se  pretendia- 
mo che  ogni  scienza  ci  presenti  la  patente,  e  ci  spieghi  iro^ 
mediatamente  a  che  essa  è  utile,  prima  di  darle  accesso  nella 
nostra  casa,  e  permetterla  ai  figli  nostri;  non  potremo  mai 
lusingarci  di  contribuire  dal  canto  nostro  al  bene  della  nostra 
patria,  né  d*  avere  la  mente  illuminata  d' un  buon  cittadino. 

Cosa  strana,  per  altro,  che  ne' capricci  delle  mode  nes- 
suno osi  interrogare  a  che  sono  elleno  utili ,  e  che  tanto  au- 
steramente si  giudichi  delle  scienze  l  Nessuno  domanda  a  che 
sia  ulile  quella  polve  bianca  con  cui  ci  incanutiamo  i  ca- 
pelli; nessuno  domanda  a  che  sia  utile  quel  pezzo  di  mer- 
letto che  ci  copre  mezza  la  mano  e  parte  della  gola;  nes- 
suno domanda  a  che  sia  ulile  queir  oro  e  quell'argento  che 
sopra  imponiamo  al  vestito  ;  né  v'  è  persino  chi  doipaadi-a 
cosa  sia  ulile  quella  carrozzella,  quello  schioppettino,  quella 
gabbietta,  e  tanti  arnesi  di  liliput  che  pendono  al  nostro  ori- 
volo,  e  rendono  sonoro  il  nostro  passo;  é  si  pretende  d'im- 
pedire r  acquisto  di  una  serie  di  verità,  se  non  si  prova  a 
quale  immediato  utile  elleno  servono? 

Osservo  che  uno  dei  soggetti  sui  quali,  generalmente 
parlando,  gli  uomini  mostrano  minore  equità  ne' loro  giudizj, 
sono  Ile  scienze  e  le  lettere.  Un  briccone  fallisce  dolosamen- 
^;  un  altro  briccone  uccide  un  buon  cittadino  :  gli  uomini 
ne  parlano  per  due  o  tre  giorni,  e  poi  tutto  si  dimenticai  Ma 
se  un  uomo,  e  molto  più  se  un  giovine,  ardisce  di  fare  un  11- 
^fo,  il  qual  libro  non  ripeta  le  comuni  opinioni  degli  altri 
libri,  chi  susurra  da  una  parte,  chi  dalF altra;  gli  piovono 


80  GLI  STUDJ   UTILI. 

addosso  i.  crìtici,  i  satirici,  gl'invidiosi.  Raccogliete  i  voti 
della  moltitadiDe,  rare  volte  lì  troverete  dalla  parte  della  ra- 
gione :  eppore  un  libro  che  non  sovverta  i  prlncipj  della  so- 
cietà, che  non  offenda  la  morale,  è  certamente  un  mal  mi- 
nore in  ogni  caso  d'un  fallimento  o  d' un  assassinio. 

Non  frapponiamo  argini  a  quel  felice  fermento  degl'in- 
gegni che  dà  vita  alla  cultura  delle  nazioni  e  dei  secoli:  gli 
errori  medesimi,  purché  siano  un  tentativo,  sono  un  bene; 
servono  essi  di  occasione  perchè  altri  pensi  sul  medesimo 
soggetto,  e  combattendo  Terrore  lo  rischiari:  irahal  sua 
qnemque  voluptas  nelle  scienze.  Lasciamo  che  i  giovani  se- 
guano la  loro  stella,  e  purché  s'occupino  e  restino  in  moto 
con  occupazioni  per  sé  non  cattive,  godiamo  della  loro  in- 
clinazione ;  non  perdiamo  un  bene  per  correr  dietro  a  una 
chimera  da  noi  cieduta  r  ottimo:  l' ozio  ed  il  torpore  sono 
i  massimi  mali  da  temersi  in  un  giovine. 


SULLA  SPENSIERATEZZA  NELLA  PRIVATA  ECONOMIA. 

L'argomento,  sul  quale  io  vo' parlare  in  questo  Foglio,  è 
tale,  che  e  per  l' importanza  sua  e  per  la  vastità  potrebbe  a 
ragione  somministrare  materia  ad  un'  opera  intera.  Io  però 
considero  che  l'opera,  fatta  <;h' ella  fosse,  verisimilmente 
non  sarebbe  letta  che  da  coloro  i  quali  meno  ne  hanno  bi- 
sognò; laddove  un  breve  Foglio,  che  altro  più  non  dimanda 
che  ona  mezz'ora  ogni  dieci  giorni,  se  non  altro  per  allon- 
tanare la  noia,  forse  può  ottenere  un' occhiata  anche  da 
chi  vive  spensieratamente;  e  il  fine  d'ogni  onesto  scrittore 
dev'essere  sempre  (come  altra  volta  pure  ho  detto,  é  come 
non  si  ridirà  mai  abbastanza  )  di  giovare  il  più  essenzial- 
mente che  si  può  agli  uomini.  A  questo  fine  onorato,  che  ci 
siamo  principalmente  proposto,  attribuiamo  noi  la  benevo- 
lenza e  la  parzialità  con  cui  quest^  opera  nostra  viene  gene- 
ralmente accolta. 

Gli  enormi  mali  che  nascono  nelle  famiglie  per  la  spen- 


StJUA  8MN8ISBAnZ2A  NELLA  PRIVATA  BCONOMIA.  61 

tt'enitezza  nella  fffiyaCa  economia,  sono  bastantemente  noti 
al  primo  rivolgervi  il  pensiero  che  ciascun  faccia.  V  ingia- 
stizia  e  le  maledizioni  de'  creditori,  V  inquietodine  defila  mi- 
seria a  cui  corre  in  braccio,  il  decadimento  de' figli,  la  man- 
canza della  loro  edacazione,  il  crudele  contrasto  che  deve 
fiire  ne' loro  animi  an  giorno  la  memoria  e  il  desiderio  del 
passato  fasto  colla  inopia  attnale,  contrasto  terribile  a  sof- 
frirsi e  produttore  d' infinite  iniquità,  un  abisso  insomma 
di  disordini  e  di  calamità,  le  quali  inviluppano  e  la  famiglia 
propria  e  queUe  de'tradili  creditori,  vengono  in  conseguenza 
d'aver  trascurata  la  domestica  economia.  Che  se  anche  que- 
sta spensieratezza  trovisi  presso  d' un  uomo  isolato ,  i  co- 
modi della  vita  che  vanno  scemandosi  più  che  s'invecchia, 
cioè  più  che  ne  cresce  il  bisogno,  devono  amareggiare  per 
modo  gli  ultimi  anni  della  sua  vita,  si  che,  paragonando  i 
pochi  piaceri  della  magnificenza  divorati  frettolosamente 
nella  gioventù  co'  lunghi  rammarichi  che  rimangono  a  sof- 
frire negli  ultimi  anni ,  fanno  provare,  quando  non  v'  è  più 
rimedio,  d'aver  malamente  provveduto  al  proprio  ben  essere. 

Non  oserò  io  qui  parlare  di  que'  doveri  che  dipendono 
da'motivi  sovraumani,  dai  quali  viene  vietato  un  colai  abuso 
delle  ricchezze.  Noi  ci  limitiamo  a  venerare  gli  oggetti  su- 
blimi in  ogni  nostro  scritto,  nò  crediamo  quest'  opera  perio- 
<lica  degna  di  trattarli.  Devono  esser  eglino  i  primi  che  di- 
rigano la  nostra  vita;  ma  noi  circonscriviamo  I  nostri  discorsi 
entro  i  confinì  d' una  morale  pratica  filosofia. 

n  prìncipalfine  di  quella  rovinosa  spensieratezza  che  fa  di- 
naro i  patrìmonj  anche  più  vasti,  ò  l'amore  di  distinguersi 
fra  gli  altri  cittadini,  e  di  mostrarsi  colla  profusione  e  col 
fasto  più  possenti  o  più  magnanimi  di  essi.  Ma  questa  pos- 
B&nta  e  questa  magnanimità  nostra ,  se  non  ha  per  base 
mi  fondo  di  beni  corrispondente  alla  scena  che  vogliamo  rap- 
presentare su  questo  teatro,  non  si  riduce  che  ad  una  vera 
iUnsìone,  che  acceca  quell'uomo  solo  che  va  in  rovina,  ed 
eccita  una  inumana  derisione  nel  cuore  della  moltitudine,  ed 
Qna  compassione  più  ragionevole  in  quello  de'  pochi  ^aggi. 
Sono  que' spensierati ,  come  i  cacciatori  raccontano  delle 
^^aglie,  le  quali,  ascondendo  neHa  terra  il  lor  capo,  credono 


82  SULLA   SPENSIERATEZZA  NELLA   PRIVATA   ECONOMIA. 

da  oessano  esser  vedute  per  eìò  ch'esse»  neasone  vedono.  I 
cittadini,  dove  più  dove  ineno,  si  conoseon  Tan  TaUro,  e 
presso  poco  universalmente  si  sanno  le  facoltà  d'ognono;  né 
chi  ha  crediti  conserva  con  un  profondo  eeoreto  gli  arcani , 
sicché  non  se  ne  lagni  e  non  ne  ragioni  :  per  tal  nodo  ehe 
lo  spensierato,  circondato  da  parassiti  e  da  qualche  imbecille 
o  scaltrito  confidente,  mentre  crede  di  mostrarsi  poderoso  di 
beni  e  signorile  d'animo,  viene  anzi  universalmente  disprei- 
zato come  un  uomo  che  si  lascia  andare  in  rovina ,  o  come 
un  uomo  che  ha  la  bassezza  d' usurpar  V  altrui ,  e  di  tradire 
la  buona  feda  per  provare  la  nobiltà  de'  suoi  pensieri^ 

Se  coloro  i  quali  si  caricano  d'^un  Tasto  superiofe  alle 
loro  forze,  potessero  ascoltare  quello  che  d'essi  dice  la  eitli, 
e  quel  che  dicono  quei  medesimi  che  più  loro  stanno  al  fianeo, 
e  come  edera  tenace  li  circondano ,  e  vi  ficcano  le  radici 
nel  tronco,  e  s' alimentano  col  loro  sugo; se  potessero  ascol- 
tare la  disistinui,  la  indifferenza,  e  molle  volte  ancora  la 
maldicenza  con  cui  corrispondono  alle  loro  profusioni,  cer- 
tamente vedrebbero  che  il  fine  che  s'erano  proposti,  non 
l'ottengono;  ma  che  anzi  n'ottengono  uno  perfettamente 
contrario.  Alcuna  volta ,  e  non  di  rado,  è  accaduto  che  di  à 
tristi  verità  si  sieno  scoperte  da  quegl' incanti  medesimi  che 
ne  erano  la  vittima;  e  allora  le  esclamazioni  coatro  la  tra- 
dita amicizia  s' intesero  senza  fine ,  qhasi  che  potesse  essere 
amicizia  fra  due,  uno  de'  quali  cei^ca  di  far  servire  V  altro  al 
proprio  fasto;  quasi  che  fosse  capace  di  amicizia  chi  vive 
profittando  del  disordine  altrui  ;  quasi  che  gli  amici  si  com- 
prassero! Un  uomo  onesto,  beneficato  o  da  un  vano  o  da 
uno  stolido,  può  e  deve  aver  gratitudine  per  lui;  ma  l'ami- 
cizia, avendo  per  base  il  nobile  seolimento  del  merito,  noa 
può  darsi  se  non  fra  due. che  vicendevolmente  si  abbiano  in 
pregio  ;  ora  il  numero  degU  onesti  uomini  essendo  per  di- 
sgrazia il  minore,  deve  anzi  far  maraviglia  dovunque  la  gra- 
titudine per  benefici  profusi  senza  esame  e  senza  scelta  » 
ritrovi;  né  l' amicizia  d' un  nomo  ragionevole  può  m<ai  ope- 
rarsi ^he  nasca  con  questi  mezzi,  i  quali  altro  non  provano 
che  un  vizio  o  una  dappocaggine  in  chi  gli  adopra. 

Crasso  lagnavasi  con  Roscio,  perché,  dopo  averlo  p^ 


SOLLA  SPBNSIBEATEZZA   NELLA  PftlVATÀ  BCONOMIA.  83 

dae  anni  avuto  alle  laa(e  we  cene ,  gli  c<mlra8(a8se  il  co- 
mando d' ima  pravincia.  Foì  ami  dovréiU  aver  rimono ,  gli 
rispose  Roacio,  dt^pulondò  a  m#  qi$€$ki  carica,  a  me  che,  per 
empiere  U  fastoso  tittiiMro  dei  dnquanla  oommeneali  voHri , 
ho  potuto  per  due  atmi  abbassarmi  a  vivere  nella  caterva  de*  pa- 
ratati ingenui  e  libertini  cfte  sedem  aUe  vostre  cene.  Tale  fo  la 
risposia  dìRosciOvilqaaleiiaUiralmeiiie  doveva  avere  assai  più 
amicizia  eoi  caoco  diCraaso  anzi  che  con  Crasso  medesimo. In- 
faUi,e  chi  mai  può  aver  nell'animo  nemmeno  riconoscenia  per 
ciii  facendoci  suo  commessale  non  pensa  a  farci  ana  distinzio- 
oe,  né  a  darei  preferenza  con  un  disegno  meditalo,  ma  aollanto 
a  riempiere  il  nomerò  de' sedili  già  preparati  pel  convito? 
Chi  mai  può  Iroyarsi  Insingato  nelF  amor  proprio  per  aver 
parte  ad  una  universale  e  indistinta  dilapidazione  d*  un  pa- 
Irìoìonio?  Il  saggio  mal  soffre  d' essere  attaccato  al  carro  di 
trionfo  d' uno  spensierato;  e  V  uomo  capace  di  sentimenti 
sente  ribrezzo  a  pascersi  della  rovina  altrui. 

Di  tuUe  le.  profosioni^  a  parer  mio,  la  più  stolida  è  quella 
del  convito.  So  che  la  società  si  anima  e  si  fomenta  mira- 
bilmente colla  reciproca  comunicazione  della  mensa;  sembra 
€he  ivi  la  famigliarità  si  accresca,  e  cpn  tal  mezzo  vediamo 
i  cittadini  meno  forestieri  V  uno  coli'  altro  ne'  paesi  dove 
tal  costume  è  più  univeisalmente  ricevuto:  ma  le  cene  e  i 
conviti  che  producono  questi  beni  della  vita  e  questa  reci- 
proca fratellanza  fra  i  cittadini,  non  son  già  quelle  numerose 
6  di  fasto,  nelle  quali  altro  più  non  iscorgesi  che  la  profu- 
sione del  convitatore,  e  l' avidità  o  il  tedio  de' convitati;  ma 
bensì  quelle  alle  quali  presiede  una  reciproca  brama  d'esser 
srato,  e  dove  l'amicìzia  e  la  scelta  animano  la  società,  a 
coi  una  ben  intesa  ma  non  rovinosa  mensa  serve  d' ceca- 
fiione. 

Gli  uomini  riposti  in  dignità  devono  per  decenza  del 
loro  carattere  dare  di  tempo  in  tempo  di  tali  fastosi  conviti  ; 
^ questo  spettacolo  vien  risgoardalo  dall'uomo  ragionevole 
che  lo  dà ,  come  un  incomodo  del  proprio  stato;  e  dall'uomo 
ragionevole  che  vi  partecipa,  come  un  cerimoniale  contras- 
segno d' onore ,  non  mai  come  un  giorno  in  cui  si  prepari  a 
giocondamente  pranzare.  Ma  chi  senza  necessità  profonde 


84         SOLLA  8PBNSIRBATBZZA  NBLLA  PRIVATA  ECONOMIA. 

per  qaesta  strada,  non  lascia  aUro  vestìgio  della  sua  roviila 
che  il  macellaio  e  il  pizzicagnolo  arricchiti,  e  tre  o  quattro 
bricconi  gallonati  a  soe  spese;  laddove  una  sontuosa  galle* 
ria,  un  magnifico  palagio,  una  rinomata  biblioteca,  restando 
almeno  fra  le  rovine,  puossi,  compiangendo  la  sproporzione 
del  patrimonio  colle  idee,  avere  una  sorta  di  dispiacere  che 
le  forze  fossero  si  limitate  in  un  uomo  capace  d'idee  grandi. 

Se  coloro  i  quali  hanno  ottenuto  in  retaggio  un  pingue 
patrimonio,  possedessero  la  difflcil  arte  di  ben  goderlo, 
quanto  non  potrebbero  eglino  migliorare  la  loro  condiztonel 
Quante  virtù,  quante  nobili  qualità,  le  quali  limangono ste- 
rilì e  celate  da  quella  implacabile  necessità  che  limita  i  pa- 
trimonj  ristretti ,  non  potrebbero  mai  risplendere  nella  pia 
chiara  luce,  e  lasciare  un  glorioso  nome  dopo  una  gloriosa 
vita  per  le  pubbliche  e  private  beneficenze!  Quanti  giovani 
e  uomini  di  talento  da  togliersi  da  queir  angustia  domestica 
che  s'oppone  a' progressi  d'ogni  bell'arte,  e  con  una  libe- 
rale si  ma  giudiziosa  protezione  da  crearsi  uomini  eccellenli! 
Quanto  più  nobile  e  magnanima  cosa  è  il  poter  dire:  il  tal 
generoso  cittadino  ha  dato  alla  patria  il  tale  architetto,  sol- 
levandolo sin  da'  primi  anni  dalla  mendicità  in  cui  avrebbe 
dovuto  vivere  forse  servilmente  tutta  la  vita,  e  l'ha  assistito, 
e  gli  ha  dati  maestri,  e  lo  ha  fatto  viaggiare  a  sue  spese, e 
lo  ha  formato  insomma  uno  de'  più  celebri  uomini  che  ab- 
bia l' Italia  nell'architettura;  il  tal  tempio,  il  tal  palagio , 
che  onorano  la  nostra  città,  saranno  un  eterno  monumento 
ai  posteri  e  del  talento  dell'artefice  e  della  beneficenza  del 
mecenate!  — Se  a  questi  potrà  aggiungersi  il  tal  eccellente  pit- 
tore ,  il  tale  scultore ,  intagliatore  ec,  tutti  assistiti ,  conso- 
lati, soccorsi,  protetti  insomma  dal  benefico  cittadino,  qoal 
vita  0  qual  memoria  più  benedetta  può  essere  mai,  e  pia 
adorata  di  questa  in  ogni  tempo ,  e  presso  d'ogni  colta  na- 
zione? 

Felice  quella  città  in  cui  trovasi  unito  nella  stessa  per- 
•sona  un  vivo  e  illuminato  amore  del  merito  ad  un  vasto 
patrimonio!  la  sua  casa  diventa  l' asilo  di  tutti  quegli  ottimi 
cittadini ,  che  o  già  fanno  o  promettono  onore  alla  lor  pa- 
tria; ivi  ritrovano  grata  ospitalità  tutti  gl'ingegni  i  qu^^ 


SULLA  SPENSIERATEZZA  NELLA  PRIVATA  EGONOMIA.  85 

coNiTaoo  con  amore  qaalanqae  parte  della  vasta  serie  delle 
maaiie  cognizioni,  dalla  più  sablime  astronomia  sino  air  ul- 
tima delle  beli'  arti  ;  egli  assiste  e  col  consiglio  e  coir  opera 
i  giovani  ancora  incerti;  egli  dà  lena  ed  emulazione  con 
una  rischiarata  protezione  ai  timidi;  egli  sa  che  gl'ingegni 
Don  volgari  e  vigorosi,  a  segno  di  spiccare  qualche  felice 
slancio  al  dì  là  del  comune  livello,  hanno  per  lo  più  ne'primi 
anni  una  sorta  dì  rigidezza  nell'animo  che  mal  si  piega  alle 
eomoni  maniere,  e  gli  spinge  talvolta  a  certi  irregolari  modi 
di  agire,  che  il  volgo  sott'  altro  aspetto  non  vede  che  sotto 
qoeUo  del  ridicolo  o  dell'imprudenza,  e  il  retto  conoscitore 
ravvisa  come  difetti  bensi,  ma  che  provano  un  fondo  di  ot- 
time qualità,  non  altramente  che  un  esperto  minatore  da 
ana  terra  sterile  e  ingrata  che  incontra  riconosce  V  oro  che 
ivi  deve  trovarsi  vicino.  Da  tai  lumi  assistito,  il  ricco  ama- 
tore del  merito  vedesi  circondato  dalla  più  colta  e  rispetta- 
bile compagnia,  di  cui  egli  è  V  anima  e  il  promotore. 

Qual  uso  non  hanno  fatto  neir  Irlanda  in  quest'  ultimi 
amii  delle  ricchezze  loro  alcuni  ilhistri  cittadini  di  DuUino, 
fra  i  quali  merita  distinta  lode  il  signor  Samuele  Madden, 
colla  erezione  dell'accademia  d'Agricoltura,  Commercio  e 
Manifatture,  accaduta  non  sono  molt'  anni,  ed  a  coi  l'illu- 
stre e  benefico  signor  Madden  ha  in  sua  porzione  assegnato 
più  di  500  zecchini  annui  di  sua  rendita?*  Questa  beneme- 
rita associazione,  la  quale  distribuisce  premj  annui  a  chi  più 
siasi  distinto  o  nell'avanzamento  dell'agricoltura  o  nella 
perfezione  delle  arti,  ha  fatto  nascere  nella  sua  patria  le  più 
bette  tele  che  al  di  d' oggi  trovinsi  nel  Nord.  La  reale  società 
di  Londra  è  pure  opera  in  origine  di  privati  cittadini.  L'Ac- 
cademia Reale  or  ora  eretta  in  Torino  è  pure  essa  una  società 
originariamente  progettata  da  alcuni  illustri  privati,  de' quali 
il  merito  ha  ottenuta  poi  la.  reale  protezione,  sotto  l' ombra 
di  coi  r  Europa  vede  nel  fiore  degli  anni  de'grandi  genj,  ed 

'  Veggasi  la  bell'opera  del  signor  Genoveìrf)  che  ha  per  titolo  ;  Storia  del 
^>ommereh  della  Gran  Brettagna,  stampata  ìa  Napoli ,  in-S.»  toni  3.  Egli 
aUcsta  questo  fatto  al  tomo  I,pag.  i34.  Io  vorrei  trovare  espressioni  tali  da 
invogliare  i  miei  lettori  a  provvedersi  di  quest'opera  eccellente  del  signor  Geno- 
^^f  la  quale  10I9  batta  a  somministrare  dna  cogniiione  molto  estesa  sul  com- 
"Krcio.  La  lettura  di  quest'opera  è  mollo  utile,  amena  e  interessante. 

11.  8 


86  SULLA  SPBNSIEKATEZZA  NELLA  PRIVATA  BCOHOMA. 

ano  singolarmente  che  nelle  più  soblimt  lioerche  deUo  spi- 
rito amano  sembra  ormai  innalzato  a  quella  prima  elasse  ehe 
gli  assicura  un  nome  presso  la  più  rimota  posterità. 

Or  quanto  diversa  (irebbe  la  gloria  di  chi,  avendo  super- 
fluo di  ricchezza,  invece  di  ricercarla  danna  schiera  di  pa- 
rassiti, a  si  fatti  oggetti  rivolgesse  la  nobile  ambizione!  Qual 
cosa  vi  può  esser  mai  che  innalzi  un  privalo  al  rango  d' un 
sovrano  quanto  di  simili  giudiziose  beneficenze  t  Ma  ^iudizwte 
appunto  devono  essere  queste  beneficenze,  poiché  V  oaore 
e  la  stima,  qualora  vengono  accordate  att'ipocrìsla  del  merito 
anzi  che  al  vero  merito,  ossia  qualora,  o  per  brighe,  o  per 
riguardi,  o  per  debolezza  di  non  resistere  alla  importunità, 
s' accordi  la  distinzione  e  il  premio  a.  chi  più  lo  soUeeita 
(  cosa  che  rare  volte  s'induce  a  fare  F  uomo  di  vero  merito, 
opponendosi  a  ciò  la  modestia,  o  un  sentimento  nobile  del 
profHrio  valore);  allora,  dico,  le  ricompense  medesime  e  le 
distinzioni  diventano  un  mezzo  efficacissimo  per  opprimere  i 
buoni  ingegni,  ed  avvilirli  sempre  più.  Lodovico  XIV,  ohe  ha 
dato  il  nome  al  quarto  secolo  illustre  negli  annali  del  genere 
umano,  cercava  ei  medeshno  gli  uomini  di  merito,  e  preve- 
niva le  loro  suppliche.  Yiviani  ricevette  nella  Toscana  i  doni 
di  quel  monarca ,  prima  eh'  egli  osasse  nen^meno  pensare 
a  chiedere  il  real  suo  favore.  Il  merito  giammai  non  va  unito 
colla  importunità  o  colla  sfrontatezza. 

Ma  troppo  mi  svia  la  moUiplicità  degli  dggetti  che  mi 
si  affacciano  alla  mente;  e  ragion  vuole  ch'io  alla  brevità  sa- 
crifichi molle  idee  accessorie ,  che  pure  vi  vorrdibero  aver 
luogo,  per  ritornare  al  principale  soggetto  di  cui  ho  preso 
a  scrivere.  L' uomo  spensierato  nella  domestica  economia  è 
come  queir  uomo  dipintoci  dalla  favola,  il  quale,  alzatosi  la 
mattina  da  letto,  e  sentendosi  soddisfatto  il  sonno,  portò  al 
mercato  il  letto  e  lo  contrattò,  senza  prevedere  che  fra  po- 
che ore  sarebbe  ritornata  la  sera  e  con  essa  nuovo  bisogno 
del  sonno.  Chiunque  spende  in  un  giorno  più  di  quello  che 
realmente  gli  fruttìno  i  suoi  beni  in  quel  giorno,  o  deve  aver 
risparmiato  già  ne'  giorni  antecedenti  delle  sue  entrate , 
ovvero  deve  risparmiare  ne' giorni  che  verranno.  Chiun- 
que spende  in  un  anno  più  della  sua  entrata,  deve  o  ripa- 


SULiÀ  SPBNSUUIATBZZA  MftLtA  FB1V4TA  ECONOMU.  87 

niflo  eoD  rìspannìo,  ovvero  sbilanciare  la  famiglia,  poi  ro- 
vìnarsi*  OgDono  sa  questa  verità.  Ma  se  ognuno,  prima 
d'Impegnarsi  in  nn  dispendio  superiore  alle  sue  forze,  vi 
rìfleUesse  e  conoscesse  che  se  in.  quesl'  anno  dieci,  che  ha 
d'entrata,  non  bastano  a' suoi  capricci,  e  voglia  spenderne 
due  di  più ,  dovrà  l' hanno  venturo  o  (are  che  otto  di  en- 
trala bastino  ai  capricci  t  cosa  più  difficile  a  farsi  con  otto  che 
con  dieci),  ovvero  decidersi  per  la  totale  propria  rovina;  cre- 
derem  noi  che  con  questa  ragionevole  prevenzione  cederebbe 
aDe  lusinghe  che  dapprincipio  lo  fanno  scapitare?  Crederei» 
wn  che  in  vista  dei  mali  e  delle  angoscio  estreme  d*  una 
meritata  e  non  aspettata  povertà,  e  forse  anco  in  vista  delta 
ignominia  d'una  fede  mancata  ai  creditori,  potrebbe  aver 
forf  a  il  pitcere  di  caricarsi  molte  vesti  di  dorature  non  prò- 
prie  ma  carpite  dalla  bottega  d'un  incauto  mercante;  di  far 
trottare  le  ricche  frange  toHe  a  credito,  e  cucite  sugli  abiti 
dei  ben  sudati  e  mal  pagati  lacchè;  di  aprire  una  prodiga 
mensa  ad  una  stolida  turba  di  domini,  i  quali,  anzi  che  dfani- 
mali  ragionevoli,  meritano  talvolta  il  titolo  di  lambicchi. di- 
geritori  e  distillatori  di  chilo?  Io  noi  credo  già,  anzi  mi  par 
dimostrabile  che  la  maggior  parte  de'  mali  che  devastano 
l'aman  genere,  sìeno  i  mali  che  si  fanno  gli  uomini  da 
loro  medesimi ,  per  non  adoperare  la  parte  migliore  di 
essi,  cioè  quella  che  accozzando  le  idee  ricevute  da  ogget- 
ti, e  paragonandole  ed  esaminandole,  ci  dispone  a  for- 
marne un  retto  giudicio,  e  a  prevedere  l'avvenire  di  quella 
strada  per  cui  imprendiamo  a  correre,  cioè  queir  uso  divi* 
natorio  che  fa  della  ragione  il  saggio,  il  quale  non  aspetta 
U  disordine,  ma  lo  previene. 

Dovunque  più  pensano  gli  uomini,  ivi  sono  i  minori 
mali;  ed  uno  de' massimi  beni  che  fanno  al  mondo  le  scienze, 
sr  è  quello  di  scuotere  colla  emulazione  e  colla  curiosità  gli 
nomini  da  quel  letargo  a  cui  per  naturale  inerzia  si  abban- 
donano, e  riporre  in  moto  l'animo  loro  ad  avvezzarli  a  pen- 
sare; facoltà,  la  quale  se  ben  s'eserciti  sugli  oggetti  delle 
scienze,  forma  gli  uomini  illustri;  se  ben  s'  eserciti  su  tutti 
gli  oggetti  che  circondano  Y  uomo  posto  in  società ,  forma 
il  vero  saggio. 


88         8DLLA  SPENSIERATEZZA  NELLA  PBIYATA  BGONOMU. 

Ho  conosclato  an  aomo  di  senno,  il  qaale,  avendo  sor- 
tito dalla  natura  un  animo  disinteressato,  e  forse  anche  al  di 
là  de' confini  del  disinteresse  inclinato  a  spendere,  per  porre 
on  giusto  limite  a  questa  inclinazione  pericolosa,  divideva  4a 
sua  entrata  in  dodici  parti  eguali,  ed  ogni  mese  ae  prendeva 
una  per  suo  uso;  poiché  lo  sbilancio  in  tal  guisa  se  gli  mani- 
festava più  sollecitamente,  nò  poteva  lasciar  correre  tanta  pro- 
digalità in  pochi  giorni ,  che  pregiudicasse  notabilmente  a 
tutto  Tanno.  L' uomo  di  senno  deve  distendere  le  annue  sue 
rendite  sullo  spazio  di  trecento  sessanta  e  più  giorni;  né  deve 
dimenticarsi  mai  di  paragonare  quello  che  gli  avanza  di  tempo 
colla  somma  del  denaro  che  vuol  conservare.  L'uomo  di 
senno  deve  di  più  conservarsi  costantemente  un  diaerelo  sus- 
sidio a  parte  per  provvedere  a  tutti  i  casi;  cosi  egli  si  man- 
tiene nella  perfetta  osservanza  della  giusliiia  in  ogni  con- 
tralto; ei  gode  di  tutti  i  vantaggi  che  accompagnane  la  pua- 
tualìlà;  ei  trova  tutto  fl  credito  presso  chi  deve  aver  a  fu» 
con  lui;  ei  vive  ndla  maggior  indipendenza  poaailiila  in  cai 
un  uomo  può  trovarsi,  quahinque  sia  il  «sterna  setto  cai  vive; 
egli  perfine  ò  capace  di  soccorrere  un  amiee  o  on  infdiee 
aU'  occasione;  e  siflktti  piaceri  sono,  per  verità,  assai  pie  du- 
revoli e  puri,  di  quello  che  non  lo  sia  lo  sfane  di  fuci  cre- 
dere qurtlo  che  ognuno  sa  che  non  siamo. 

Non  v'ò  vìzio  più  swdido  delf  avarìzia;  non  vi  é  casa 
che  più  convenga  all'  uomo  ragionevole  dell'  a^wtto  della 
decenza  e  di  quella  eleganza  proporzionata  aDa  sua  condi- 
zione, che  deve  mostrare  e  netta  persona  propria  e  in  ogni 
oggetto  che  lo  circondi  o  gli  appartenga;  non  v'  é  quaiià 
umana  ddi'  animo  che  più  Io  innalzi,  quanto  la  vera  liheia- 
Mia  :  ma  questa  per  esser  tale  deve  non  eccedere  le  forze  di 
ehi  la  esercita;  la  scelta,  e  il  modo  col  qnafe  si  fiinne  i  be- 
nefici, servono  mirabilmente  o  a  dar  loro  od  a  seemame 
il  pregio;  e  l'uomo  che  ha  veramente  giubato,  ò  cotai  il 
quale  sa  godere  de' piaceri  attuali,  senza  pregiudicare  ai  pia- 
ceri a  venire. 


89 


I    TRE  mE€€AT€iÈa. 

L'eccapazìone  di  scrivere,  e  singotarmeole  di  scrivere 
un'opera  periodica,  pare  mollo  geniale  e  graa^iosa;  e  certa* 
mente  v'  è  qualche  cosa  che  non  i  volgare  nel  piacere  di  ve- 
dersi in  an.  regolato  carteggio  colla  specie  umana,  vedere  che 
nn  buon  nuikiero  di  persone  crede  le  cose  che  scrivete  degne 
deU'  incoDQtodo  di  leggerle,  poter  comanicare  ai  vostri  cittadini 
con  somma  facilità  le  idee  che  vi  occorre  di  comunicar  loro, 
addossarsi  una  certa  qnal  magistratura  di  ragione  che  sottrae 
-  la  vostra  vita  e  i  pensieri  vostri  dalla  pscurità,  ottenere  in- 
somma r approvazione  di  qaei  che  più  si  stimano,  e  qnalctte 
meschina  cicalata  da  qualche  rettile  scrittore,  contrasaegm 
tatti  di  buon  augurio.  Chiunque  da  quest'aspetto  mirerà  Toc^ 
cnpazione. nostra,  dovrà  persuadersi  che  realmente  abbiamo 
trovato  il  modo  di  passar  bene  molte  ore  della  nostra  vita;  e 
ve  l'accordo.  Ma  le  qose  di,  questo  mondo  hanno  sempre  due 
manichi,  diceva  un  antico  filosofo  ;  e,  per  dirla,  aveva  molta 
ragione.  Ogni  situazione  ha  le  sue  traversie,  e  gli  scrittori 
del  Caffè  hanno  anch'  essi  le  lor  buone  seccature  quanto  ogni 
altro  essere  di  questo  mondo  ;  e  se  io  questa  mattina  ho  do- 
valo soffrirne  alcune  in  grazia  de' miei  lettori,  ogni  ragion 
vuole  eh' io  non  trattenga  quel  eh' è  d'altri,  e  le  trasmetta 
a' miei  lettori  sane  e  intatte  quali  mi  sono  state  confidate. 

Qnesta  mattina,  dnnque,  era  il  solo  tempo  che  mi  rima- 
neva per  riempiere  questo  Fc^lio;  l'editore  me  ne  faceva 
Sstanza,  io  lo  aveva  già  promesso,  ed  aveva  già  incominciate 
akane  righe  su  un  argomento  che  mi  costava  fatica.  Appena 
un  mezzo .qjuarto  d'ora  era  trascorso  dacché  avevaintrapreso 
^  scrìvere,  ebe  mi  vien  detto  che  un  certo  abate  aveva  som- 
ma premura  di  parlarmi.  L'urbanità  non  consente  di  ricusare 
gli  abati  che  hanno  somma  premura.  —  Venga  il  signor  aba- 
te.-* Eccoti  il  signor  abate  lindo,  fresco,  bel  parmcchino, 
bella  riverenza,  il  qoal  comincia  a  domandarmi  come  iosUa 
'di  salute.  —  To'  to',  diss'  io  fra  me  stesso,  che  sia  qn  medico 
costui?  poi,  la  cosa  parendomi  troppo  strana,  gli  chiesi  del  suo 

8* 


90  1  TRE  SBGGATOKI. 

nome.  —  Sono  il  Tal  de'  Tali.  —  Benissimo;  in  che  posso  ob- 
bedire ii  signor  Tal  de'  Tali?  —  U  piacere^  mi  rispose,  di  co- 
noscere personalmenie  uno  degli  scrìilorì  del  GAPFk  mi  ha 
condotto  da  lei.  0  perdinci,  che  bel  Foglio I  Le  assicuro  ch'io 
non  le  potrei  ben  ridire  quanto  mi  piacdal  Quante  belle  cose 
ha  detto  del  Goldoili,  ma  soprattutto  quelbel  titolo  di  Pnlf»- 
comico  che  le  ha  dato,  mi  piace  estremamente.  FrebocomU»! 
Non  si  poteva  dir  meglio:  il  nostro  Proboe&mleo!  —  Signor 
Tal  de'  Tali',  gli  diss'  lo,  le  sono  veramente  molto  obbfigato 
per  l'officio  gentile  ch'ella  yQ<d  far  meco;  ma egoafaneate 
dispiacemi  che  vossignoria  trovi  si  ben  adattato  mi  vocabcOo 
trascorso  per  paro  errore  di  «tunpa  :  Proloeemleo  dovea  diie, 
cioè  primo  comico  dell'  Italia,  giacché  questa  lode  ben  sima- 
rìtn  fra  le  altre  il  nostro  signor  Goldoni;  ma  Probocome^, 
dandolo  per  distintivo  al  signor  Goldoni,  sarebbe  «lata  sa' of- 
fesa agli  altri  scrittori  comici,  i  qvali  se  non  aeno^  da  para* 
gonafsi  a  Ini,  a  parer  mio,  nell'arte  del  teatro,  possono  Mdh- 
dimeno  pretendere  il  titolo  di  probità  al  parer  d'ogni  altio<« 

—  Ma  pnre  quel  Prohocomico  io  loeredea,«oggÌQii8el'ébatft*. 

—  Signor  no,  gli  dras'io;  pare  a  lei  che  tornasse  n  icottto  9 
grecheggiar  in  tal  gaisa  con  due  parole  ambo  itAliane  per 
dire  Proboeomieoì  Signor  abate,  la  maggior  parte  de' nostri 
lettori  ha  inteso,  sin  da  che  si  distribuì  qvel  Foglio  ^nfnto,  eiii 
v'era  errore  dì  stampa  ;  cosi  quel  Nodaro  in  vece  di  fiottio, 
cosi  alcuni  altri,  i  quali  sono  sempre  inevitabili  quando  gli 
autori  sono  lontani  delle  miglia  dalla  stamperia.  —  Beuitsi- 
mo,  soggiunse  l'abate;  ella  dice  bene.  £  fli  noVìtà  di  mondo 
non  ne  abbiamo  nessuna?  —  Nessuna  «è*  lo  sapfpla.  ^  Abbia- 
mo una  bella  stagione  per  verità.  —  Bdla  assai  veraraeate. 
•^  E  il  signore  se  ne  sta  sempre  cosi  la  maltfoa  In  sua  casa» 
sempre  aHo  studio,  sempre  faticando? --E  Vossignorìa,  signor 
Tal  de' Tali,  la  mattina  se  ne  va  sem^e  in  giro  a  visitar  le 
persone?  —  Non  vorrei  esserle  di  disturbo. —  Oh  didisturbol 
non  è  possibile,  ma  veramente  ho  qualche  cosa  da  fare.  — 
Giacché  dunque  non  san  di  disturbò,  fili  sarà  permesso  pro- 
fittare del  vantaggio  che  ho  di  esser  seco.-* Oh  padrone.... 
— Oh  signore....  —  In  verità....  —  L'assicuro....  Son  cosl^Mt- 
gaio....—  Tanto  gentile....— Anzi  lei....  -  %'ossig noria  dunque, 


1  TlIB  SBCCATOm.  91 

a  quel  che  yedo,  vive  il  veroo  nella  etafo?  --  Signor  si,  «o- 
n'eiit  vede.  —  £  non  iae  soffre?  —  Non  signore.  —  £  pmb 
wriveiey  e  pensare  in  qoest' ambiente?  <- Signor  «i;  alla 
me^io.  ~  Per  altro  il  calore  è  assai  sensibile.  —  Io  feci  mott^ 
al  senrilore  perché  accrescesse  il  fuoco,  e  frattanto  ripetei 
due  0  tre  volte  tmitihnente  al  signor  abate,  che  avevo  qnaU 
ci»  kvoro  per  le  mani  da  sbrigare.  11  caler  crebbe  ;  io  vidi 
dopo  m'ora  le  vaghe  hiei  del  signor  Tal  de' Tali briiaBii 
comeqoctie  d'nn  vbbrìaco,  e  il  bel4;olor  porporino  del  sao 
votto  «ecresoetìn  per  gradi:  —  Yedrem,  dicea  fra  me  stesso, 
eli  di  noi  dnela  vìnce.  Finalmente,  dopo  una  serie  d' inaile, 
aoo  ne  potè  più,  e  congedossi  macavigliatissimo  come  io 
vegga  ad  on'  aria  si  cidda. 

Appena  Ini  solo,  che  benedissi  e  padre  e  madre  e  tutti 
gli iseendenti  miei  che  mi  hanno  trasmesso  in  corponnaan* 
gae  che  somiglia  an  poco  a  quello  delle  salamandre^  e  che 
rogge  ai  caldo  ^ù  degli  ^tri.  Ripresi  la  penna  e  le  inter* 
rolleidee....  Eccoti  un  nuovo  annunzio.  Il  figlio  del  legnainote 
di  casa,  che  ha  una  grazia  da  diìedermi^  che  prega,  che  sup- 
plica, che  in  due  parole  si  sbriga.  —  Pover  uomo,  sarà  qualche 
bisogno,  qualche  occasione  da  far  del  bene:  venga  il  figlio 
del  legnaiuolo.  —  Signore,  coavien  sapere  che  mio  padre  Gia^ 
conio  che  ha  faUo  il  tetto  deBa  tal  casa,  e  le  finestre  della 
tale  stanza,  e  cosi  Giacomo  non  ha  voluto  l'anno  passato 
esBeve  assistente  deBa  cmifiratemita  de' legnaiuoli,  perché 
Siefano  suo  cognato  avea  detto  che  neìV  amministrazìooe 
delle  limesine  della  cenfratermta  volevasi  mettere  on  anovo 
legebmento;  e  perciò  Lucia  sua  moglie,  che  viene  ad  esser 
poi  mia  zia,  pottkè  è  moglie  del  fratello  di  mio  padre,  e  cosi 
Giacomo  non  ha  voluto  essere  assistente.  In  questo  mentre 
Antonie,  che  era  fratello  di  Lucia,  perchè  avendo  saputa  la 
gran  bontà  di  Vossignoria...*  —  Con  questo  limpido  ragieia»^ 
neato  prosegifi  per  un  mezzo  quarto  d'ora  senza  oh'  io  p»* 
tessi  intendere  cbe  diamine  si  volesse  dire.  la  fine^  dopo  mólta 
Ittica,  il  risultato  di  tutta  questa  bella  spedizione  era  che  il 
padre  di  costui  era  prefetto  deMa  confraternita,  che  ai  doitea 
f&>«  un  officio  generale  de' morti,  e  che  voleva  eh' io  gli  fa-' 
<^8i  l'onoffe,  la  grazia,  la  gloria  di  fargli  un  sonetto  per  i 


92  1   TRE  SECCATOBl. 

merli  legnaiaoU.  Figuratevi,  son  già  alcODÌ  anni  eh'  io  non 
foccio  (Mù  il  cigno,  e  mi  pare  che  a  far  la  parte  da  nomo  sol 
teatro  di  qoesta  vita  sia  abbastanza  ;  e  poi  salire  in  fiUcona 
per  i  legnaiuoli I  E  poi  fere  un  sonetto!  -^  Via,  fanciul  mio, 
prendi  questo  scudo;  vanne  dal  Tale,  digli  da  mia  parte  che 
ti  faccia  un  sonetto  colla  coda,  saluta  tuo  pa<ke,  e  sta  con  Dìo. 
->Ma,  signòte....  noi  volevamo  aver  qualche  cosa  d^suo;  per- 
chè il  priore  e  l'assistente....  per  far  vedere  che  almeno  se 
aerviamo  hi  casa,  potiamo  far  capitale  della  protezione....— 
I^aadami  in  pace,  fanciullo,  per  amor  del  cielo;  credimi  che 
dandoti  uno  scodo  ti  do  maggior  prova  di  benevolenza  che 
ae  ti  dassi  un  sonetto.  AddTo....  —  Sono  mortificato^...  -  E  per- 
chè mortificato!  Va,  quandp  tu  pigli  moglie  ti  darò  una  do- 
te, lascia  fare;  non  sei  contento?  —  Poiché  cosi  ella  vuole.... 

—  Addio»  addio  ;  raccomanda  a  tuo  padre  che  si  sbrighi  a 
portarmi  il  mio  armario.— 

Lodato  ii  cielo,  eccomi  liberato  anche  dal  sonetto:  ri' 
mungono  due  ore,  e  in  queste  due  ore  voglio  assolutamente 
star  solo  a  terminare  il  mio  foglio.  Mentre  sto  facendo  questo 
bel  proposito....  Signore,  è  qui  un  Italiano  venuto  da  Germania, 
ohe  ha  commissione  del  Tale  di  visitarlo. — Il  Tal9  ò  mio  in- 
timo amico!  Non  vo'  differire  ad  avere  sue  nuove.  Venga 
l' italiaito.  -^  Servitor  divotissimo.  —  Padron  mio;  -—  Io  bo 
ordine  dal  signor  Tale  di  visitare  Vossignoria.  -*  Che  fa  il 
mio  rispettabile,  il  mio  caro  amico?  —  Bene.— Gli  chièdode' 
suoi  affari,  della  sua  femiglia,  e  sin  qui  andò  bene,  se  non 
chetai  feri  l'orecchio  il  pasticcio  che  il  mio  Italiano  faceta 
lalfodendo  le  parole  o  le  frasi  tedesche  nella  lingoa  nostra. 

—  Goti  Tautendl  Che  caldo  fa  in  questa  stanza  1  A  proposito, 
m'é  stato  detto  che  Vossignoria  è  un  uomo  studiato.  -  0^ 
Vossignoria  non  creda  a  queste  ciarle,  gli  rispos'  io;  sono  oa 
nomo  come  gli  altri,  so  leggere  e  scrivere,  e  qualche  volta 
mi  divevto  con  qualche  libro.  —  Che  libri  ha  letto  lei?  — I^ 
dirò,  ho  letto  il  C^iloaniro  PeàeU,  ho  ietto  Gutrin  Mttàà'M^ 
e  la  Frusta  Letteraria.  -.Buone  cose,  buone  cose,  oh  0Ì 
rallegro:  anch'  io  in  mia  gioventù  mi  son  dilettato  molto  di 
studio,  e  particolarmente  di  magia  bianca. — Bravissimo,  bel^  { 
studio  la  magia  bianca!  -  Oh  bello  assai.  Per  esempio,  come 


1  TRB  SECGATOBI.  93 

irebbe  Vossignorìa  a  far  andar  per  acia  nn  uovo  senza  toc- 
carlo?—  Il  problema  per  venta  è  difficile.  —  Problema!  No» 
non  c'entra  proòtema,  non  fa  bisogno  di  nessuna  droga.  Dirò 
io.  Faccia  un  buco  neir  ooyo ,  poi  prenda  an  cannellino,  e 
«loci  tatto  Tnovo,  sicché  non  ne  rimanga  che  il  gascio:  in- 
ieade?  —  Intendo  benissimo.  —  Bene;  poi  prenda  una  spa- 
gna, e  la  mattina  di  buon'ora  vada  in  un  pi:ato,  e  giri  la 
spugna  sull'erba:  Vossignoria  sa  bene  cos'è  la  rugiada?  — 
Si,  si;  so  cos'è. —Bene,  la  rugiada  entra  nella  spugna:  inten- 
de? —  Ottimamente.  —  Bene,  quando  la  spugna  sia  bene  in- 
zappata di  rugiada,  faccia  entrar  quella  rugiada  nell'  uovo; 
e  riempiuto  ch'ei  sia,  ne  turi  il  foro  con  un  po'  di  cera:  in-* 
tende?  —  Intendo.  —  Esponga  quell'uovo  ai  raggi  del  sole  ;  i 
raggi  del  sole  attraggon  la  rugiada,  e  non  potendo  la  rugiada 
uscir  dall'uovo,  perchè  l'uovo  è  chiuso....  intende?  —  Vada 
pure.  —  Bene;  non  potendo  la  rugiada  uscir  dall'uovo,  per- 
chè roovò  é  chioso,  innalza  il  sole  l'uovo  poco  a  poco  a  vi- 
sta d'occhio....  —  E  l'uovo  va  a  fare  una  frittata  nel  sole, 
non  è  vero?  diss'io.  —  Non  so  poi  dove  vada  a  finire;  ma 
so  che  va  in  aria,  e  l'ho  veduto  più  volte.  —  Vossignorìa  l'ha 
veduto? — Signor  si,  io,  io  l'ho  veduto,  e  fatto  più  vòlte. —  Me 
ne  rallegro  assai,  soggiunsi  io.  Ma  dica,  di  grazia,  e  Vossi- 
gnoria, dopo  aver  fatti  si  prodigiosi  progressi  nella  magia 
bianca,  s' è  poi  arrestato  sul  più  bello  in  tal  guisa,  e  non  ha 
pensiate  seriamente  a  volare?  ~  A  volare  io  non  ho  pensato, 
perchè  mi  pare  cosa  impossibile.  —  Adagio,  signore,  ripresi 
io ,  possibilissima.  Vossignoria  a  digiuno  si  beva  due  o  tre 
pinte  di  rugiada  ;  intende?  indi  col  suo  bel  ventre  scoperto 
si  presenti  ai  raggi  del  sole  s  intende?  Il  ventre  essendo  chiu- 
so, e  la  rugiada  dovendo  salire,  si  sentirà  tratto  in  alto  per 
l'ombilieo  dal  sole  istesso,  e  con  un  po'  d'industria  potrà  tra- 
sportarsi dove  vuole  per  l'aria:  intende?  —  Oh  oh,  curiosa 
cosai  mi  soggiunse  l'Italiano;  mi  pareche  Vossignoria  abbia 
studiato  poco  assai.  —  Se  gliel-  ho  detto  sin  dal  principio  ch'io 
so  leggere  e  scrivere,  e  non  pretendo  di  più:  intende?-^ Vos- 
àgaorìa  perché  replica  ^aeW  intende?  Pare  che  voglia  dir 
eh'  io  parli  male.  —  Vossignoria  ha  preso  il  eioccdatte  questa 
mattina?  —  Signor  no.  —  Eh,  il  eioccolatte  al  Signore.  E  cosi 


94  I  XBE  MCCATOM. 

verto  yora  delpranxo  prese  cgU  il  «io  ckiectìlatte,  cse  ne 
aadò  quando  al  cielo  piacque;  lasciandomi  il  capo  pieno  di 
seccatore  potentissime,  le  qoaU  ora  che  le  ho  consegnate  al 
mio  caro  lettore,  mi  sento  assai  sollevato,  ^ 

Da  qoesU  sincera  relazione  ognuno  potrà  «tendere  ta- 
cilmente,  che  anche  il  mestiere  di  scrittole  ^^^afi*  «i^; 
suoi  mali,  e  che  gli  oziosi  sono  un  flagello  eonlmuo  di  chi 
coltiva  le  lettere,  qualora  non  si  determim  robusiameiite  a 
rompere  ogni  lega  con  essi,  a  costo  di  lasciar  dire  tutto  il 
male  che  sanno  e  possonè,  cosa  che  non  manca  mai  in  simil 
caso. 


m  IfiNORAWK  mi  SCMTTOM  DEI  CAJFM'È. 

Io  non  so,  per  grazia  del  cielo,  né  leggere  né  scrivere; 
ma,  senza  saper  leggere  e  senza  saper  scrivere,  so  però  dire 
il  ftitlo  mio  all'occasione;  e  se  ciò  sia,  ne  giudicherete  voi  me- 
desimi,  scrittori  del  Cafi*,  alla  lettura  di  questa  carta  scara- 
bocchiato da  un  dottore  in  legge,  ma  composta  da  me,  ac- 
ciocché venga  alle  vostre  mani.  Voi  vedete,  scrittori  del  Caf- 
fè, eh'  io  al  bel  principio  mi  chiamo  un  ignorante:  questo  vi 
serva  di  prova  ch'io  non  pretendo  di  fare  il  ciarlatano  in 
faccia  di  nessuno,  che  dico  bianco  il  bianco,  e  dico  nero 
queUo  che  è  nero;  e  se  vi  farete  riflessione,  forse  troverete 
che  questa  mia  ingenuità  può  meritare  più  stima  di  quella 
die  non  ne  meriti  l'arte  di  parlar  con  una  penna  d?oca. 

Io  adunque  sono,  come  ho  già  protestato,  un  ignorante,^ 
cioè  un  uomo  che  non  «a  nulla  di  lutto  quello  ch'è  stato  det- 
to, «atto  o  pensato  dagli  uomini.  Il  mondo  è  cominciato  pei 
me  quaranl'anni  sono;  desidero  che  termini  più  tardi  che  sia 
possibile,  né  mi  curo  di  saper  le  pazzie  degli  uomim,  te 
quali  presso  a  poco  saranno  sUle  per  lo  passato  sul  gusto  «Ti 
quelle  che  posso  vedere  attualmente  sotto  gli  occhi.  Non  mi 
curo  de' fatti  altrui,  e  certamente  i  fatti  degli  uomini  morh 


OH  MflOlANTB  A«U  0CU1TO1I  DEL  GAPFk.  95 

e  iseppeHiU  migliaia  d' anni  gono  non  mi  incomoderò  mai  a 
rìceitarli. 

Ora  che  y'  ho  fatta  la  dichiarazione  del  mio  carattere, 
vi  devo  mostrare  per  qoal  ragione  io,,  che  de' fatti  altmi  non 
mi  prendo  briga  ^  pure  spenda  ano  scado  con  questo  signor 
dottore,  aceìocchò  scriya  a  voi  ì  miei  sentimenti.  Sappiate 
dunque  che  per  quella  ragione  per  cai  non  m' impaccio 
nelle  cose  d' altri,  per  la  medesima  nemmeno  soffro  che  altri 
b' impacci  delle  cose  mie;  e  siccome  ho  inleso  raccontare  che 
Yoi  nel  vostro  Foglietto  andate  spargendo  delle  massime  eon- 
liarie alla  libertà  d'essere  ignorante,  e  cercate  di  fare  che 
gli  altri  ridano  ài  noi»  e  vorreste  pare  acquistarvi  una  inde- 
bita saperiorità  a  spese  nostre;  cosi  sono  costretto  a  fare  la 
generosità  d'uno  scudo  al  detto  signor  dottore  che  scrìve  le 
mie  beone  ragioni  che  ho  da  dirvi,  acciocché  voi  altri  scrit- 
tori del  Caffè  facciate  una  volta  giudizio,  e  stando  ne- limiti 
deDa  ragione,  lasciale  vivere  in  pace  il  genere  umano,  come 
torna  comodo  a  ciascuno. 

Non  sono  molti  giorni  che  in  una  conversazione  si  par- 
lava di  Commercio  (maladetio  commercio,  al  di  d'oggi  dapper^ 
tolto  se  ne  parla!).  Io  dunque  dissi,  che  per  far  fiorire  il  com- 
mercio vi  vuol  altro  che  de'  bei  ragionamenti;  vi  vogliono 
quatlrioi.  Un  certo  quondam  prese  a  contrastare  la  mia  pro- 
posizione, e  sostenne  che  il  commercio  produce  i  quattrini, 
non  i  quattrini  il  commercio;  sostenne  che  i  molti  quattrini 
sono  nn  inapedimento  al  commercio;  sostenne....  oh  quante 
eose  che  sostenne!  La  mia  proposizione  Tavea  già  detta  in 
vita  mia  qoarantanove  volte,  ed  era  passata  per  boona;  ora 
i'ho  detta  per  la  cinquantesima  volta,  e  tutta  la  compagnia 
n  ò  Catta  la  beffa  di  me,  ed  ha  approvata  l'opinione  del 
quondam.  Quel  quondam  ho  poi  saputo  che  legge  i  Fogli  del 

CiFPk. 

Ieri  si  parlava  di  un  medico.  Io  ho  detto  che  egli  poteva 
ttser  bravo  medico  in  leorica,  ma  che  in  pratica  non  valeva 
OD  zero.  Questa  proposizione  è  chiara  come  il  sole:  ognuno 
i'ba  sempre  potuta  dire;  e  certamente  l'ho  sempre  intesa 
ripetere  da  tutti  gli  uomini  savj.  Un  certo  quidam:  Si,  si, 
olisse;  la  porta  del  Tempio  della  Ignoranza  ;— e  si  pose  a  sor- 


96  UN  IGNORANTE  AGLI  8CRITT0BI  DEL  CAFFÈ. 

ridere,  e  gli  altri  fecero  lo  stesso;  ed  io  rimasi  di  stacco,  e 
seppi  poi  che  Toi  altri  nel  Caffè  avete  posto  in  ridicolo  qae- 
sta  opinione. 

Altre  volte  dacché  avete  pubblicato  qoel  vo^ro  Caffè,  ho 
dovuto  udire  chi  diceva  bene  del  lusso,  chi  diceva  male  dei 
fidecómmessi,  chi  «i  rideva  di  quel  grand' uomo  di  Giusti- 
niano, e  di  fiaido,  e  di  Bartolo,  chi  sosteneva  che  in  Milano 
ogni  quattro  giorni  ne  piove  uno:  insomma  non  si  sa  più 
come  vivere  in  pace,  e  dire  buonamente  il  fatto  proprio, che 
dappertutto  andate  disseminando  le  mille  opinioni^  o  scrittori 
del  Caffè,  che  mi  fanno  venir  la  bile;  e  oltre  allo  scudo  che 
devo  per  voi  spendere  col  signor  dottore,  temo  che  ne  dovrò 
spendere  un  altro  col  medico  e  collo  speziale  per  liberar- 
mene. 

I  medici  non  dicon  male  degli  ammalati,  i  cariali  noo 
dìcon  male  de'litiganti;  non  vedo  ragione  perchè  gli  uomini 
di  lettere  non  facciano  lo  stesso  con  noi,  tanto  più  poi  quanto 
che  l'ammalato  crede  d'aver  bisogno  del  medico,  il  litigante 
crede  d' aver  bisogno  del  curiale,  noi  non  crediamo  d' aver 
bisogno  dei  letterati,  e  possiamo  far  loro  de'  bratti  scherzi. 
Fate  giudizio.  Schiavo,  scrittori  del  Caffè.  . 


LE  JUSCHEBE  DELU  COIHEDU  RAUiNA. 

Il  nostro  buon  Demetrio  si  è  lagnato  con  noi,  perchè  da 
tanto  tempo  non  si  faccia  più  menzione  della  sua  persona  in 
questi  Fogli;  e  per  dirla,  il  nostro  buon  Denietrio,  che  ci  dà 
un  caffè  si  squisito  tutti  i  giorni,  che  è  tanto  ragionevole  e 
discreto  con  tutti,  ha  ragione  di  lagnarsi  della  dimenticanza 
nostra.  Nella  scorsa  settimana  si  venne  a  parlare  nella  bot- 
tega della  compagnia  de' commedianti,  delle  <]iver8è  rappre- 
sentazioni che  si  sono  finora. fatte,  di  quelle  che  si  devon 
fare,  e  cose  simili.  —  Siete  per  altro  curiosi  voi  altri  Italia- 
ni, prese  a  dire  Demetrio:  e  per  verHà  non  so  come  possiate 
giustìGcare  il  gusto  vostro  nella  scelta  delle  maschere  che 


I.E  MASCHERE  DELLA  GOHMfiOJA  ITALIANA.  «J7 

avcie  Fiposttf  sul  teatro-  LasGumo  a  parie  il  Pantalone,  che 
almeno  è  ana  figura  caricala  bensi,  ma  finalmente  figura 
umana;  nia  come  v'è  venata  in  capo  la  fantasia  di  vestire 
due  personaggi  in  guisa  che  abbiano  la  testa,  da  moro  e  le 
manrda  bianco,  e  che  questi^  due  mori  sieno  due  originari 
Bergamaschi?  Come  malanno  v'  è  tenuto  in  capo  di  fare  un 
dottore  che  ha  nero  il  naso  e  la  fronte,  e  bianco  il  restante 
del  volto?  Per  verHi,  soggiunse,  non  so  trovare  nò  ragio- 
nevolezza né  origine  di  sì  fatti  mostri  che  avete  fissati  su  i 
teatri,  e  che  pure  sui  teatri  rappresentano  la  parte  dr uomi- 
ni. —  B^  bello,  amico  Domelrio,  rispos'  io;  voi  siete  Greco, 
e  voi  altri  Greci,  e  particolarmente  Greci  caffettieri,  in  fatto 
di  eradizione  non  potete  vantarvi  di  saperne  molta.  Ascol- 
tatemi per  poco,  chiè  potrò  forse  soddisfarvi. 

L' uso  di  srappresentare  sul  teatro  colla  maschera  al  viso 
è  della  pia  remota  antichità  teatrale;  e  nella  vostra  Grecia 
stessa,  ne' suoi  bei  giorni,  nessun  atto  si  presentava  selle 
scene  dtrimenti  che  colla  maschera.  Di  pia:  neir  antica  com- 
niedià  erano  le  maschere  talmente  costanti,  ohe  v'era  la  ma- 
schera dell'avaro,  la  màschera  del  parassito,  la  maschera  del 
servo  fedele,  la  maschera  del  servo  astato;  cosicché,  al  solo 
presentarsi  l'attore  sulla  scena  con  quella  masohera,  prima 
anche  che  parlasse,  sapevasi  il  personaggio  che  doveva  rap- 
presentare; siccome  appunto,  am^e  fra  di  itoi,  tutte  le  ma- 
schere d'Arlecchino  èanno  la  medesima  figura,  tutte  le  ma- 
schere di  Brighella,  Dottore  e  Pantalone  si  rassomigliano  per 
tal  modo,  che  nessuno  s'aspetta  delle  astuzie  dal  Brighella, 
0.  delle  dappocaggini  dairArìecchino.  Cominciamo  dunque 
Demetrio,  a  stabilire  che  il  costume  d? aver  maisclhere  inva- 
riabili adattate  a  un  eerto  carattere  viene  dalla  veneranda 
antichità  de' teatri  greci  e  romani;  e  crediatemelo  sulla  pa 
rota,  se  non  volete  phe  vi  faccia  venire  per  la  posta  una  eru- 
ditissima dissertazione  con  mille  e  più  citazioni  in  margine 
che  ve  lo  provino. 

Erano  presso  i  Romani  antichi  due  professioni  distinte, 

quella  del  eommedianle ,  e  quella  del  mimo.  I  mimi  avevano 

la  faccia  nera ,  e  si  mostravano  sul  teatro  fuUgine  faciim  o&^ 

éucii;  né  accostumavano  già  essi  di  comparire  sulla  scena 

II.  .9 


98  LB  MASCHERE  DEIXA  GOMMEDU   ITALIANA. 

con  calzari  rilevati  come  i  conunedianti,  ma  sibbene  sesza 
talloDi  alle  scarpe  ;  e  perciò  avevano  il  nome  di  mimo,  cofoe 
«i  atlesla  Diomede  :  pìanipe$  grmce  dieilur  Mimui,  adto  au^ 
lem  kUme  planipes^  quod  aclores  pìamU  judibus  pmeentum  in- 
Iroireni,  Eccovi  dunque  ,  Demetrio  miot  che  rArlecchino  e 
il  Brighella  8'  assomigUano  già  a  due  mimi  antichi,  e  per  la 
faccia  bruna  9  e  per  la  immutabilità  deUa^  loro  naacbeni,  e 
per  i  calzari.  Ma  ciò  non  basta  ancora,  direte  voi  ;  con^ 
vien  provarmi  che  anche  l'abito  del  corpo  fosse  simite  presso 
gli  antichi.  Benissimo;  ed  io  vi  proverò  che  de'mlm^  anticlii 
ve  n'  erano  vestiti  appunto  come  V  Arlecchino  nostro.  Leg- 
ate quel  passo  d'Apuleio,  dove  dice:  num  ex  €o  mrgwmeiUarÉ 
III»  me  eonsuevitse  Tragwdi  eyemuie,  Aflrtonif  cocoa  »  IftiM 
centuclo.  Notate  che  al  mimo  si  dà  per  distinttvn  ilaniu- 
elusy  cioè  il  vestito  di  cento  pezzi  di  vaij  colori ,  il  vestito 
insomma  d'Arlecchino.  Di  pia  ancora  Vossio  nelle  institu- 
sieai  poetiche  e'  insegna  che  Sannùmes  Mimum  ag^Mnl  ratei 
tapU^m»^  e  notate  qui  due  cose:  la  prima,  che  Somiio  e  Jii- 
mm  erano  ddh>  stesso  mestiere;  la  seconda,  che  TArìee- 
chino  e  il  Brighella  si  chiamano  per  antichissima  tradizione 
anche  a' di  nortri  Zanni;  e  Zanni  è  una  voce  corrotta  da 
Sannào,  Prendetemi  dunque  un  mimo  con  capo  rasato^  con 
faccia  annerita,  con  vestito  di  varj^pezzi  a  più  coleri,  con 
scarpe  piane,  dategli  il  none  di  Canato,  come  lo  troviamo 
presso  gli  antichi,  e  dubitate  se  è  possibile  che  questo  mir 
mo  non  sia  lo  stesso  stessissimo  del  nostro  Arlecchino. 

Dunque  ;  direte  voi ,  potrem  noi  credere  che  il  grave 
Ponio  Catone,  il  grave  Marco  Tullio  Cicerone,  e  si  fotti  gravi 
uomini  abbiano  veduto  rAriecchino  sulle  scene  di  Roma? 
Signor  «1,  ohe  lo  potremo  credere;  ne  volete  una  dimostra- 
zione, ehe  Cicerone  lo  ha  veduto  f  Leggete  il  libro  De  Ora- 
fort,  dove  descrive  l'Arlecchino  fedelissimamente  con  que- 
sti termini  :  Qmd  enim  palesi  tom  rtdtculum ,  ottani  Sannio 
esse^  qui  ore,  vullu,  imilandis  molihus ,  voce,  denique  ccrpare 
ridelur  ipeol  Dubiterete  voi  dopo  ciò  che  i  due  Satini  o 
Zanni  deHa  commedia  nostra  non  sieno  un  avanzo  del  tea- 
tro antico,  trasmessoci  senza  interruzione  dai  tempi  deHa 
repubblica  sino  ai  nostri?  Potevano  bensì  restar  oppresse  e 


LE  MASCUEaE  DELLA    COMMEDIA  ITALIANA.  99 

la  iragedia  e  la  baena  commedia  dai  secoli  delia  barbarie 
incoi  fa  avvolta  rilalia;  ma  quel  grossolano  piacere  che 
ogni  pili  rozza  nazione,  prova  co'  spettacoli  mimici  non  si 
volle  mai  proscrivere  nemmeno  nei  tempi  della  maggior 
ignarana;a;,  e  pare  mollo  verisimile ,  che,,  mentre  il  teatro 
d' Italia  si  perdeva»  restassero  nondimeno  le  buffonate  mimi- 
che o  sulle  piazze  o  in  qualche  luogo  destinato  agli  spetta- 
coli: e  di  ciò  ne  troviamo  memoria  sino  al  secolo  XII.  ^ 

.    Va  bene»  disse  allora. Demetrio:  voi  m'avete  impressa 
nel  mimo  una  profonda  venerazione  per  rArl^chino  e  il 
Brighella»  e  rendo  onore  al  vostro  tak^nfo  per  fore  le  genear 
logie,  e  nobilitare  le  origini:  ma  non  vorrete  già  provarmi 
che  il  Dottore  e  il  Pantalone  sieno  d' una  si  antica  prosa- 
pia.-^  No,  bemetrìp»  rispos'io.  L'.origine  del  Dottore  non 
oltrepassa  il  secolo  duodecimo,  quando  Irnerio  apri  in  Bolo- 
gna la  nuova  scuola  della  giurisprudenza,  sulla  quale  si  regge 
anche  al  di  d' oggi  buona  parte  dell'  Europa.  Io  credo  nata 
la  maschera  del  Dottore  quando  i  due  celeberrimi  dottori 
Bulgaro  e  Martino  disputarono  se  tutto  il  mondo  fosse  del- 
l' imperatore  a  solo  titolo  di  proprietà,  ovvero  anche  di  usu- 
frutto ;  e  eertamente  vi  voleva  una  maschera  col  naso  nero, 
la  fronte  nera  e  leguancie  rosse,  per  rappresentare  al  natu- 
rale un  uomo  che  disputa  se  tutto  V  universo  sia  d' un  sólo 
nomo  per  proprietà  ovvero  per  usufrutto;  ed  alcuni  eruditi 
preiepdono  che  il  dono  di  questa  maschera  sia  stato  forsQ  il 
più  fortunato,  che  gU  uomini  abbiano,  ricevuto  dalla  scuola 
d' IrneriOé 

Pel  Pantalone  non  ci  avete  fatto  rimprovero,  o  Deme- 
trio; pore,  per  dirvene  una  parola,  io  credo^  che  verso  la  fine 
del  secolo  XIV,  o  al  principio  del  XV,  sia  stata  accresciuta 
al  nostro  teatro  questa  maschera,  nel  tempo  in  cui  il  vastis- 
sìaio  conunercio  de'  Veneziani  faceva  colare  nel  solo  Stato 
di  Bftil^s  r  annua  somma  di  zecchini  seicento  novanta  cin- 
que mila,  per  alMrettanti  lavori  di  lana  che  si  trasmettevano 

<  Su  di  qucit*argomento  chi  voglia  erudirsi  più  ampiamente,  vegga  Nieu. 
pprt,  Bittttim  qui  apitd  Romano*  ohtinuernnij  Du  Bos,  Réfte»ions  sur  la 
poésit  0t  la  peintura,  tomo  111,  ed  il  Trattato  tal  Teatro  italiano  del. Aie 
coboni. 


iOO  LS  BfASCUBttE  DELLA  COMMEDU  ITALIANA. 

a  Venezia,  d'onde  si  vendevano  poi  in  Levante:  del  che  po- 
tete assienrarvi  leggendo  la  disputa  contemporanea  del  Doge 
Tommaso  Moéenigo  riferita  dallo  storico  Sanado  nel  Rerum 
lUUiearutn  Scriplores,  Tom.  XXII,  pag.  954. 

Demetrio  si  mostrò  persuaso  delle  mie  ragioni ,  e  mi 
pregò  di  riporlo  nel  Foglio,  come  ho  fatto.* 

Sin  tanto  che  la  Commedia  esporrà  sa  i  teatri  i  vi z}  degli 
uomini,  poco  ne  sarà  sempre  il  frutto.  Declami  sin  che  vuole 
il  poeta  comico,  o  sferzi  col  terribile  flagello  del  ridicolo 
l'avaro,  ripbcrita,  il  sanguinario,  il  gioocaitor  di  male  fede^ 
nessuno  di  questi  l'ascolta.  Se  ne  sta  l'uno  contando  le  soe 
monete;  se  ne  sta  l'altro  col  collo  torto  truffando  il  suo  pros- 
simo; questi  fa  un'ingiusta  pace  di  pardi;  quell'altro  carica 
le  sue  pistole:  hanno  ben  altro  da  fare  costoro  che  venire 
alla  commedia t  Meglio  è,  cred'io,  il  prender  di  mirai  di- 
fetti, non  i  vi zj  degli  uomini  f 


Al  GIOVANI  D'MtìEGNO  CHfi  THIIGNO  I  PKMNTI. 

io  credo  che  ciò  ohe  constiluisce  la  massima  dHRerenza 
fra  le  bell'arti  e  le  arti  meccaniche,  ciò  sia,  che  per  riuscire 
eccellente  in  quelle,  si  richiegga  uno  spirito  che  più  ricerchi 
le  bellezze  di  quello  che  non  tema  i  difetti;  laddove  il  talento 
che  più  teme  i  difetti,  anzi  che  cercar  le  bellezze,  è  queHo 
che  fa  distinguere  nelle  arti  meccaniche.  Ufi  orologiàro,  un 
macchinista  qualunque  deve  principalmente  curare  che  nes- 
suna parte  scabrosa  o  trascurata  rimanga  dal  suo  ordigno, 
anzi  che  adomarlo  d'aHri  vezzi  nuovamente 'ritrovati  ;  che 
se  tal  legge  sia  la  norma  dello  scultore,  del  pittore,  del  poeta 
e  dello  scrittore,  tu  vedi  agghiacciarsi  la  mano  dell'  artefice, 
pentirsi  e  ripentirsi,  e  lasciare  alla  fine  un  freddo,  un  affet- 

'  Il  periodo  che  segue,  Ifggesi  nel  Caffè  a  pie  dello  scritto  del  Verri. 
Abbiamo  creduto  ben  fatto  riportarlo,  liccome  nota  strettamente  connessa  al- 
l'articolo  sulle  Maschere  della  Commedia  italiana. 


AI  GIOVANI  D'  ingegno  CHE  TEMONO  I  PEDANTI.  101 

tate,  un  insipido  lavoro.  Chi  è  destinato  ad  operar  colla  lima, 
tema  che  ogni  snperficie  non  sia  perfettamente  levigata,  che 
ogni  costa  non  sia  perfettamente  affilala,  e  chiamando  con 
ogni  sforzo  latta  V  anima  agli  occhi,  lavori  e  sudi,  e  non  si 
stanchi  per  giunger  alla  perfezione:  ma  colui  che,  assistito 
dalla  natura  di  un'anima  più  elevata  e  d*una  più  fertile  im- 
maginazione, esercita  una  di  quelle  che  con  universale  ve-' 
cabolo  chiamiamo  belle  arti,  intraprenda  ed  ardisca,  né  tema 
i  difetti  servilmente,  ma  secondi  quel  caldo  genio  che  lo 
agita,  e  vada  con  una  sorta  di  feroce  talento  a  carpir  le  bel- 
lezze dell'arte.  Le  bellezze  alloggiano  vicine  ai  difetti, e  qua- 
lunque volta  una  cosa  insipida  ricerchi  di  animare,  la  spingi 
appunto  verso  i  difetti;  e  se  dì  più  la  inoltri,  la  inzuppi  di 
follìa.  I  più  sublimi  tratti  d'eloquenza,  le  più  grandi  e  tra- 
giche espressioni  della  pittura,  le  più  appassionate  inflessioni 
della  musica,  il  sublime  insomma  in  ogni  cosa  d' immagina- 
zione è  sempre  all'  orlo  del  ridicolo  e  della  caricatura  ;  un 
grado  che  vi  si  aggiunga,  ve  Io  porta.  Un  tal  linguaggio  è 
sconosciuto  a  tutte  le  anime  fredde  o  incallite  sotto  il  giogo 
della  pedanteria;  invano  cerchi  da  esse  quel  giudizio  delle 
cose  che  nasce  dalla  squisita  sensibilità  e  da  una  sorla  di 
reazìon  del  cuore:  se  di  si  falli  principj  con  essi  ragioni,  tu 
foi  lo  stesso  che  parlando  di  musica  al  sordo,  o  di  pittura  al 
cieco:  manca  in  essi  il  sensorio,  né  il  ragionamento  tuo  lo 
può  far  nascere. 

Nella  organizzazione  degli  uomini  v'é  qualche  cosa  di 
slmile  a  quello  che  la  fìsica  ci  dimostra  nell'  armonia,  cioè, 
che  al  suono  d'una  corda  le  altre  che  con  lei  consonano 
fremon  tutte  ;  ma  se  a  questo  fenomeno  sì  presenti  uno  stro- 
mento  discorde,  non  ne  vedi  alcun  effetto.  Proverem  noi  a 
una  corda  stonante,  che  ora  é  il  tempo  di  scuotersi?  Lo 
stesso  di  de'  pedanti  generalmente.  Costoro  non  s' ìnducon 
mai  a  giudicar  buona  o  cattiva  una  cosa  qualunque,  per- 
chè provino  al  suo  affetto  una  emozione  aggradevole  o  dis- 
gustosa; ma  chiaman  buono  quel  che  somiglia  a  un  tal  mo- 
dello che  si  sono  prefisso  per  il  modello  del  buono;  chiaman 
cattivo  tutto  ciò  che  da  questo  si  allontana. 

Se  alla  voce  d' un  oratore,  se  ad  una  scena  di  teatro  tu 

9* 


102  AI  GIOVANI  D*  INGEGNO  CHE   TEMONO  I  PEDANTI. 

vedi  cader  le  tagrìme  agli  uditori,  sappi  che  queste  lagrime 
sono  una  matematica  dimostrazione  dell'  eloquenza  dell'ora- 
tore e  della  bellezza  del  dramma.  Lascia  pur  che  il  pedante 
di  marmo  resti  solo  insensibile,  e  ti  citi  una  farragine  di  te- 
sti e  d' autori  di  lingua  ;  lascia  pur  che  ti  scagli  contro  le 
autorità  male  intese  d'Aristotile,  di  Quintiliano  e  d'Orazio; 
lascialo  sminuzzar  (ezzo  a  pezzo  l'orazione  o  la  favola,  e 
trovarvi  quelle  macchie,  le  quali  provano  che  ha  de'  di- 
fetti, quelle  macchie  delle  quali  Orazio  non  s'offendeva, 
non  ego  paucis  offendar  macviUs.  Se  dopo  ciò  si  ripeta  o  l'ora- 
zione 0  il  dramma,  vedrai  il  ghiacciato  pedante  pianger  di 
rabbia,  perchè  tutti  i  sensibili  spettatori  piangono  una  seconda 
volta  di  tenerezza.  Ma  se  tu  tremi,  e  se  cirila  penna  in  mano 
non  sei  tu  il  primo  commosso  dì  quel  sentimento  che  vuoi 
eccitare  in  altrui,  come  potrai  mai  farlo  nascere?  Se  men- 
tre neir  agitata  fantasia  ti  si  devono  destar  le  idee,  il  gelato 
flagello  della  pedanteria  ti  fischia  sul  capo,  e  t'inorridisci 
per  tema  di  non  derogar  con  qualche  vocabolo,  con  qualche 
frase,  all'implacabile  autorità  de'  parolaj,  come  potrai  mai 
sollevarti  dalla  mediocrità? 

Un  uomo  che  avea  le  gambe  rattratte  dalla  podagra,  si 
che  giacea  immobile  da  più  anni  a  sedere,  scrisse  un  com- 
piuto trattato  sull'arte  di  ballare,  e  con  somma  fatica  s'in- 
gegnò dì  dimostrare  qual  uso  dovesse  farsi  ora  del  tendine 
di  Achille,  ora  d*  altro  muscolo,  e  come  il  centro  di  gravità 
^el  corpo  umano  cader  dovesse  ora  sul  calcagno  ed  ora  sulla 
parte  più  molle  della  pianta  del  piede ,  e  cosi  dicendo.  Si 
fec'egli  portar  in  teatro,  dove  un  eccellente  ballerino,  igno- 
rantissimo nella  scienza  de' muscoli  e  della  statica,  rapiva 
gli  applausi  di  ognuno  colla  grazia  e  colla  maestria  dell'arte: 
il  povero  podagroso  cercava  di  far  popolo,  e  strillava  e  citava, 
e  dicea  molte  villanie  in  buona  lingua;  ma  gli  spettatori  ab- 
bandonavansi  alla  seduzione  dell'  eccellente  pantomimo,  e 
lasciavano  dissertar  solo  sul  ballo  Tuomo  delle  gambe  fa 
sciate;  per  il  che  prese  al  gottoso  talento  di  scrivere  un  li- 
bro, e  gli  die  il  sonoro  titolo  La  canwmata  teatrale.  Questo 
libro  fu  ripieno  di  assai  podagrose  idee  e  di  assai  lepidi  sil- 
logismi, co' punti  e  virgole  religiosamente  a  lor  luogo,  per 


AI  GIOVANI  d'ingegno  CHE  TEMONO  I  PEDANTI.  103 

lo  ehe  pomposamente  vi  spiccava  la  maestà  grammaticale. 
Ei  nel  suo  libro  s' era  proposto  d' insegnare  la  vera  arte  del 
ballo  a  tutta  l' Italia  ;  e  V  Italia  imparò  la  vera  arte  di  ride- 
re. Ma  come  la  uniformità  del  ridicolo  annoia,  sol  punto  in 
eoi  stavano  i  leggitori  per  provar  quesl'  ultimo  sentimento, 
gli  rimontò  la  podagra  sino  alle  mani,  e  cessò  di  scrivere. 
Fortana  per  il  ballo  cbe  i  pedanti  ballerini  son  rari,  quanto 
frequenti  sono  i  pedanti  delle  lettere. 

Chiunque  si  determina  a  coltivar  qualcuna  delle  belle 
arti,  se  non  ba  quella  delicata  sensibilità  cbe  fa  provare  un 
raccaprìccio,  e  scorrere  per  le  vene  un  dolce  freddo  in  tri- 
buto tii  colpi  maestri  deli'  arte,  non  farà  mai  nulla  di  buono. 
Nelle  scienze  e  nelle  cose  di  puro  ragionamento,  il  miglior 
giudizio  è  quello  cbe  si  dà  dopo  un  maturo  esame  ;  ma  se 
nell'eloquenza,  nella  poesia,  nella  pittura,  nella  musica,  tu 
pensi  prima  di  esclam^^re  :  bello  I  buono  !  o  V  artefice  non 
vale,  o  non  vali  tu  slesso  ;  poicbè  succede  lo  stesso  effetto, 
o  cbe  tu  sia  straniero  aUe  cose,  o  cbe  le  cose  sleno  straniere 
a  te.  Non  vi  perdete,  o  giovani  di  talento,  a  compilar  pre- 
cetti, non  siate  paurosi  nelle  bell'arti;  lasciate  cbe  sfuggano 
alcuni  difetti,  purcbè  sleno  ricompensali  da  molte  bellezze.  I 
tratti  che  vi  proponete  da  imitare  sian  quegli  che  fan  na- 
scere in  voi  l'emozione;  non  temete,  e  non  badate  a  quei 
sgberrì,  a  quegli  assassini  della  letteratura  eh'  io  chiamo  pe- 
danti ;  seguite  franchi  il  buon  genio  che  vi  guida,  e  sia  que- 
sto costantemente  l' inlimo  sentimento.  Non  v'  arrossite  di 
far  degli  errori  :  le  più  belle  cose  degli  uomini  Qe  hanno  ;  le 
sole  mediocri  possono  non  averne,  perchè  le  mediocri  solo 
son  fatte  a  sangue  freddo.  Lasciale  ai  meccanici  temer  gli  er- 
rori ;  voi  temete  i  precetti  de'  pedanti  ;  e  contenti  di  quella 
venustà  che  danno  sempre  le  buone  idee  allo  stile,  e  di 
quella  coltura  che  allontani  la  lingua  vostra  dalla  barbarie, 
scrivete,  e  attraverso  del  gracchiare  di  que'  pedanti  che  cer- 
carono d'avvilire  Orazio,  che  giunsero  a  far  impazzire  il 
troppo  compiacente  Torquato  Tasso,  seguite  tranquillamente 
la  vostra  carriera.  Hoc  habet  ingenium  humanum  ut  cum  ad 
toUda  wm  iuffècerU,  in  vacuU  el  futUibus  se  atferal.  — fijacon. , 
de  Àitg,  SeUn* 


104 


Ili    ISmCiiOIiARi:. 


Trovai  jersera  an  uomo  nel  Caffè,  d'aa  carattere  e  d'un 
amore  tanto  curioso,  che  merita  veramente  eh'  io  ne  faccia 
qualche  menzione  ne'miei  Fogli.  Questo  è  un  uomo  che  pare 
che  ami  la  singolarità  delle  opinioni  anche  più  che  non  la 
verità,  e  che  dell'  ingegno  se  ne  prevalga  pia  per  difendere 
i  suoi  paradossi ,  anzi  che  per  indagare  la  vera  indole  degli 
oggetti.  Portò  il  caso  che  cadesse  il  discorso  sulF  architettu- 
ra; ed  ei  cominciò  col  dire  che  Vitruvio,  Palladio,  Vignola, 
Michelangelo  e  simili,  non  hanno  mai  ben  ragionato  sulla 
maniera  comoda  d'alloggiare.  Qual' invenzione,  diss'egli, 
più  sgraziata,  più  ridicola,  che  quella  delle  scaie?  Che?  non 
è  forse  bastantemente  vasta  la  terra,  perchè  gli  uomini  in 
lungo  e  in  largo  vi  si  stendano;  e  dovransi  da  un  canto  tro- 
vare sterminati  deserti  abbandonati  affatto ,  e  dall'  altro'  do- 
vransi sopraimporre  una,  due,  tre  case,  e  per  giungervi  poi 
formare  quell'ammasso  disordinato  di  sassi  che  chiamasi  la 
scala;  dove  ritrovi  il  vecchio  ansante  ,  il  fanciullo  col  capo 
rotto,  dove  perdesi  uno  spazio  inutilmente,  senza  che  l'oc- 
chio possa  mai  esseme  pago?— Ma,  soggiuns'io,  signore,  co- 
me vorreste  voi  che  dal  pianterreno  si  salisse  altrimenti  al 
piano  superiore? —  Primieramente,  rispose  il  mio  Singola- 
re, primieramente  il  piano  superiore  non  vi  dev'essere:  così 
sf  vive  senza  rumore  sul  capo,  e  senza  tanti  pericoli  pe'tre- 
muotì.  Vedete  l'Asia  quasi  tutta:  l'Asia  non  usa  piani  supe- 
riori; ogni   casa  è  tanto  sollevata  dal  pavimento,  quanto  è 
alta  la  stanza  d'abitazione;  cosi  nelle  città  si  respira  un'aria 
salubre;  cosi  le  strade  non  sono  più  tanti  tristissimi  canali 
incavati,  quasi   nella  superfìcie  della  terra,  ma  anzi  sono 
ameni  viali  che  invitano  al  passeggio.  Secondariamente  poi, 
quand'  anche  vogliate  ostinatamente  aver  un  piano  superio- 
re, fatevi  un'andata  come  la  natura  la  fk  nelle  colline,  e  per 
tutto  ove  forza  è  d' ascendere,  fate  un  piano  inclinato  senza 
quegl'  inospiti  inciampi  che  chiamate  gradini ,  i  quali  sono 
veramente  contrari  ad  ogni  ragione.— Parlò  poi  in  seguito 


a  SII^GOLARE.  105 

deIJe  finestra,  e  laolto  declamò  contra  1'  aso  di  farle  o  verso 
strada  o  verso  il  cortile,  sostenendo  che  queste  sono  altret- 
tanti inviti  ai  ladri,  altrettante  aperture  per  le  quali  entra 
ad  assordarvi  il  mormorio  della  strada,  o  vedonsi  gli  affari 
domestici  dagli  estranei.  —  E  dove  prenderà  Vossignoria  la 
tace?—  D'onde?  rispose  il  mio  Singolare;  dalle  cupole  che 
termineraono  il  vòlto  d*  ogni  stanza.  La  luce  ci  vien  dal 
cielo,  e  dal  cielo  si  dee  prendere,  e  cosi  potete  far  uso  di 
tnll'i  lati  deia  stanza  anche  dove  le  Gneetre  ve  lo  inpedi- 
rebbero.— Molte  si  fatte  cose  ancoraci  disse  suirarchitettnra; 
indi,  terminalo  questo  soggetto,  taluno  della  bottega  si  la- 
gnò eoi  nostro  caffettiere  1>emetrio  perché  non  fosse  hastan- 
temente  caldo  il  caffè.  —  Caldo!  esclamò  il  Singolare;  pos- 
sibile che  il  pregiudizio  di  sorbir  caldo  il  caffè  sussìsta  ancora 
malgrado  la  più  evidente  ragione  in  contrario!  Io  sono  ne- 
micissimo di  tutte  le  bevande  o  calde  o  fredde:  l'azione  si 
del  calore  che  del  freddo  s'  esercita  sulla  lingua  e  sul  velo 
palatina  con  tal  forza,  che  dfminuisce  notabilmente  il  senso 
cbedeve  farci  distinguere  la  bevanda;  non  si  distingue  mai 
bene  verun  cibo  o  droga  o  bevanda,  sé  ella  non  sia  a  un  tal 
grado  da  non  far  sentire  né  freddo  né  caldo  al  palato  :  il 
caffè  io  lo  prendo  sempre  tepido.  —  Oh!  a  proposito  di  caffé, 
prese  a  dire  un  altro,  il  primo  tomo  del  Foglio  del  Caffè  é  |;ià 
perfezionato;  e,  a  quello  che  si  dice  ,  gli  autori  pensano  di 
continnare  ancora  per  lin  anno,  —  Si?  rispose  il  Singolare  : 
va  benissimo.  Vi  saranno,  al  conto  che  ho  fatt'io,  a  que- 
st'ora settecento  cinquanta  mila  libri  stampati,  è  nói  dovre- 
mo r  obbligazione  agli  scrittori  del  Caffè  di  contarne  sette- 
cento cinquantamila  e  uno. — Io,  che  procuro  di  non  lasciatmi 
contaminare  dalle  malattie  degli  autori,  non  ho  preso  nessun 
partito  contro  il  mio  Singolare:  ognuno  ha  le  proprie  opi- 
nioni; e  chi  vuol  farsi  leggere  dal  pubblico  deve  essere  tol- 
lerante dei  giudtzj  diversi  che  ciascuno  ha  diritto  di  proffe 
rìre:  solamente  lo  interrogai  quale  opinione  avesse  del  me- 
stiere dì  far  libri;  ed  ei  mi  rispose  che  era  r  opposto  del 
mestiere  d' un  veinditore  di  caffè,  poiché  i  libri  fanno  addor- 
mentare, ed  il  caffè  risveglia^  Vennero  allora  ad  avvertirlo 
che  era  giunta  la  sua  carrozza:  ei  ci  lasciò;  e  osservai  che 


106  IL  SINGOLARE. 

la  carrozza  aveva  due  timoni  e  un  cavallo  solo.  Se  il  mio 
Singolare,  di  cui  non  so.  né  il  nome  uè  Talloggio,  vuol  tras- 
mettermi qualche  cosa  da  lui  scritta^  io  gli  prometto  d'in- 
serirla nel  Foglio,  e  son  sicuro  che  non  dispiacerà  a'  nostri 
lettori. 


VESÀMJk    IPATRIA   iMBOIi'  WTMLMMM9L.  ' 

Sono  nelle  città  le  botteghe  del  caffé  ciò  che  sono  nella 
umana  macchina  gV  intestini,  cioè  canali  destinati  alle  ul- 
time e  più  grosse  separazioni  della  natura,,  ne'  quali  ordina- 
riamente per  qualche  poco  di  tempo  quelle  materie  racchiu- 
donsi,  che  se  in  porzione  qualunque  obbligate  fossero  alla 
circolazione,  tutto  il  sistema  Gsico  si  altererebbe.  In  queste 
botteghe  adunque  si  digeriscono  i  giuocatori,  gli  oziosi,  i 
mormoratori,  i  discoli,  i  novellisti,  i  dottori»  i  commedianti, 
i  musici,  gV  impostori,  i  pedanti,  e  simil  sorta  di  gente,  la 
quale,  se  tali  vasi  escretorj  non  ritrovasse,  facilmente  nella 
società  s^  introdurrebbe,  e  questa  ne  soffrirebbe  un  notabile 
pregiudizio,  Tale  per^,  almeno  in  alcune  ore  del  giorno,  non 
è,  la  bottega  del  nostro  Demetrio,  in  cui  se  talvolta  qualche 
essere  eterogeneo  vi  s'introduce,  per  ordinario  di  persone 
di  spirito  e  di  colto  intelletto  è  ripiena,  le  quali,  scopo 
delle  loro  meditazioni  e  de'  loro  discorsi  si  fanno  la  verità  e 
V amore  del  pubblico  bene,  che  sono  le  sole  due  cose  per 
le  quali  asseriva  Pitagora  che  gli  uomini  divengono  simili 
agli  Dei. 

In  questa  bottega  s'introdusse  jer  l'altro  un  incognito, 
il  quale  nella  sua  presenza  e  fisonomia  portava  seco  quella 
raccomandazione  per  la  quale  esternamente  lampeggiano  le 
anime  sicure  e  dilicate;  e  fatti  i  dovuti  offizj  di  decente  ci- 

*  Sebbene  questo  Articolo,  nelP originale  editiope  del  Cjlttì,  non  porti  la 
eonsueU  icgattura  P  degli  »ltrì  Articoli  di  Pietro  Verri,  oìoodiineiio  il  BìMiehi 
nel  suo  catalogo  lo  annovera  fra  jquellt- scritti  dal  nostro  Aniore:  il  modo  ci 
pensieri  d'altronde  ne  fanno  bastante  leslimonio. 


DELLA  PATRIA   DEGL  ITALIANI.  107 

viltà,  si  pose  a  sedere,  chiedendo  il  caffè.  V'era  sfortunata- 
mente  vicino  a  lui  un  giovine  Alcibiade,  altrettanto  persuaso 
e  contento  di  sé  quanto  meno  persuasi  e  contenti  sono  gli  al- 
tri di  lai  :  vano,  decidente  e  ciarliere  a  tutta  prova.  Guarda 
egli  con  un  certo  sorriso  di  superiorità  l'Incognito;  indi  gli 
chiede  se  era  egli  forestiere.  Questi,  con  un'occhiata  da  capo 
a' piedi,  come  un  baleno,  squadra  T  interrogante,  e  con  una 
cercaria  di  composta  disinvoltura  risponde:  No,  signore.— È 
dunque  Milanese?  riprese  quegli.— iVb,  signore;  non  sono  Mila- 
nese, soggiunse  qtiesti,— A  tale  risposta,  atto  di  meraviglia  fa 
l'interrogante;  e  beh  con  ragione,  perché  tutti  noi  colpiti 
fummo  dall'introduzione  di  questo  dialogo.  Dopo  la  maravi- 
glia, e  dòpo  la  più  sincera  protesta  di  non  intendere,  sì  ricercò 
dal  nostro  Alcibiade  la  spiegazione.— Sono  Italiano,  risponde 
r  Incognito,'  e  un  Italiano  in  Italia  non  è  mai  forestiere,  come 
un  Francese  non  è  forestiere  in  Ftancia,  un  Inglese  iti  ìnghil- 
terra,  un  Olandese  in  Olanda,  e  cosi  discórrendo, — Si  sforzò  in- 
vano il  Milanese  di  addurre  in  suo  favore  l'universale  co- 
stume d' Italia,  di  chiama)*e  col  nome  di  forestiere  chi  non  é 
nato  e  non  vive  dentro  il  recinto  d'una  muraglia;  perchè 
l'Incognito,  interrompendolo  con  franchezza,  soggiunse^  —Fra 
i  pregindizj  dell'opinione  v'è  in  Italia  anche  questo;  né  mi 
maraviglio  di  ciò  se  non  allora  che  abbracciato  lo  veggo  dalle 
persone  di  spirito,  le  quali  con  la  riflessione,  con  la  ragionò 
e  col  buon  senso  dovrebbero  aver  a  quest'  ora  trionfato  del- 
l' ignoranza  e  della  barbarie.  Questo  può  chiamarsi  un  genio 
mistico  degl'Italiani,  che  li  rende  inospitali  e  nimicì  di  lor 
medesimi,  e  donde  per  conseguenza  derivano  l'arrenamento 
delle  arti  e  delle  scienze,  e  impedimenti  fortissimi  alla  glo- 
ria nazionale,  latinale  mal  si  dilata  quando  in  tante  fazioni 
o  scismi  viene  divisa  la  nazione.  Non  fa  (segoilò^egli)  certa- 
mente grande  onore  al  pensare  italiano  1- incontrare,  si  può 
dire  ad  ogni  posta,  viventi  persuasi  d'essere  di  natura  e  di 
nazione  divèrsi  da'  loro  vicini,  e  gli  uni  cogli  altri  chiamarsi 
col  titolo  di  /bre^ém;  quasiché  in  Italia  tanti  forestieri  si  ri- 
trovassero quanti  Italiani. 

Da  questo  genio  di  emulazione,  di   rivalità,  che  dai 
Cioelfì  e  Ghibellini  fino  a  noi  fatalmente  discese,  né  viene  la 


lOS  DELLA  PATRIA   DBGL*  ITALIANI. 

disunione,  e  dalla  disuoione  il  reciproco  disprezzo.  Chi  é 
queir  Italiano  che  abbia  coraggio  di  apertamente  lodare  ana 
manifattura,  un  ritrovato,  una  scoperta,  un  libro  d'Italia, 
senza  Jl  timore  di  sentirsi  tacciato  di  cieca  parzialità  e  di 
gusto  depravato  e  guasto?  —  A  tale  interrogazione,  un  altro 
Gaflettante,.a  cuiiè  eco  Alcibiade,  esclamò:  che  la  natura  degli 
uomini  era  tale  di  non  tenere  mai  in  gran  pregio  le  cose  pro- 
prie. -^  Se  tale  è^ia  natura  degli  uomini,  riprese  rincogni- 
to,  noi  altri  Italiani  siamo  il, doppio  almeno  più  uomini  degli 
altri ,  perchè  nessun  oltremonlano  ha  per  la  propria  nazione 
r  indifferenza  che  noi  abbiamo  per  la  «oslra.  —  Bisogna  cer- 
tamente che  sia  cosi,  io  risposi.  Appare  Newton  neir Inghil- 
terra; e  lui  vivente  l'isola  ò  popolata  da' suoi  discepoli,  da 
astronomi,  da  ottici  e  da  calcolaleri,  e  la  nazione  dirende  la 
gloria  del  suo  immortale  maestro  contro  gli  emuli  suoi.  Na- 
sce n^lla  Francia  Descartes,  e  dopo  la  sua  morte  i  Francesi 
pongono  in  opera  ogni  sforzo  per  sostenere  le  ingegnose  e 
crollanti  sue  dottrine.  Il  cielo  fa  dono  all'Italia  del  suo  Gali- 
leo; e  Galileo  ha  ricevuti  più  elogi  forse  dagli  estranei  a 
quest'  ora  che  dagli  Italiani.  — 

Fattasi  allora  comune,  in  cinque  eh'  eravamo  al  Caffé, 
la  conversazione^  e  riconosciuto  l' Incognito  per  uomo  colto, 
di  buon  senso  e  buon  patriota ,  da  tutti  in  varj  modi  si  de- 
clamò contro  la  infelicità,  a  cui  da  un  pregiudizio  troppo  ir- 
ragionevole siam  condannati,  di  credere  che  un  Italiano  non 
sia  concittadino  degli  altri  Italiani ,  e  che  V  esser  nato  in  uno 
piuttosto  che  in  altro  punto  di  quello  spazio 

Cbe  Appennìn  parte,  il  mar  circonda  e  l'Alpe, 

confluisca  più  o  meno  all'essenza  o  alla  condizione  della  per- 
sona^  Fu  allora  che  rallegratosi  un  poco,  l'Incognito  cominciò 
a  ragionare  in  tal  guisa.  —  Dacché  convinti  i  Romani  della 
gran  massima  attribuita  al  primo  dei  loro  Re,  di  avere  gU 
uomini  in  un  solo  giorno  nemici  prima,  e  poi  cittadini,  si  de- 
terminarono per  salvezza  della  Repubblica  ad  interessare 
tutta  Italia  nella  loro  conservazione,  passo  passo  tulli  gl'Ita- 
liani ammisero  all'amministrazione  della  Repubblica:  il  per- 
chè non  vi  fu  più  distinzione  di  quiriti ,  di  latini  ^  di  provin- 


DELLA  PATBU  DEGt' ITALIANI.  109 

d'ali,  di  colonie,  di  municìpj;  ma  dal  Varo  alFArsa  tatti  i 
popoli  divennero  in  an  momento  romani.  Ora  tuUi  wno  Ro- 
mani, parlanda  degV  Italiani  dice  Strabene  ;  tutti  adanqoe 
partecipi  degli  onori  di  Roma,  e  tatti  ridotti  alla  medesima 
coodizione,  con  la  sola  distinzione  del  censo,  cioè  di  patrìzj 
e  di  plebe.  Se  le  nazioni  dovessero  gareggiar  fra  dì  esse  per 
la  nobiltà,  noi  Italiani  certamente  non  la  cediamo  a  nessun' al- 
tra nazione  d'  Europa;  perchè,  trattone  alcune  colonie,  e  la 
posteriore  indulgenza  degl'imperatori  allorché  spento  era  il 
vigor  de'  Romani ,  erano  tutte  aDa  condizione  di  provincie 
rette  da  magistrati  italiani,  e  da  regolata  milizia  tenute  in 
dovere;  nel  tempo  che  l'Italia  rerum  Domina  si  chiamava, 
come  prima  dicevasi  la  sola  Roma. 

In  cotesti  tempi  crediamo  noi  che  un  patrizio  italiano 
fosse  più  o  meno  d' un  altro,  o  fosse  forestiero  in  Italia? 
No,  certamente;  se  perino  la  suprema  di  tutte  le  dignità, 
cioè  il  consolalo,  comune  sino  agli  ultimi  conOni  d' Italia  si 
rese.  Siamo  stati  adunque  tutti  simili  in  origine;  che  origine  di 
nazione  io  chiamo  quel  momento  in  coi  l'interèsse  e  l'onore 
la  unisce  e  lega  in  un  corpo  solo,  in  un  solo  sistema. Vennero  i 
Barbari,  approfittando  della  nostra  debolezza,  ad  imporci  il 
giogo  di  servitù,  non  rimanendo  se  non  che  in  Roma  un  gero- 
glifico della  pubblica  libertà  nella  esistenza  del  Senato  Romà- 
no. Sotto  a'  Goti  pertanto  siamo  tutti  caduti  nelle  medesime 
circostanze,  e  alla  medesima  condizione  ridotti.  Le  guerre  in- 
sorte fra' Goti  e  Greci,  la  totale  sconfitta  di  quelli  e  la  sopravve- 
nienza de'  Longobardi  han  fatto  che  l' Italia  in  due  porzioni 
rimanesse  divisa:  la  Romagna,  ii  Regno  di  Napoli  e  l'Istria 
sotto  ai  Greci;  e  il  tulio  rimanente  sotto  de' Longobardi.  Una 
lai  divisione  non  alterò  la  condizione  degl'  Italiani  se  non  in 
qoanlo  che  quelli  che  sotto  a'  Greci  eran  rimasti ,  seguirono 
a  partecipare  degli  onori  dell'  Impero  trasferito  in  Costanti- 
nopoli; memorie  certe  ne'  documenti  essendosi  conservate  di 
Romagna,  d'Istria  e  di  Napoli,  de'  THlmni,  de^'Ipali  o  Con- 
*oU,  nel  tempo  che  l'altra  parte  d^Italia  sotto  il  tirannico  go- 
verno de'  Duchi  e  dei  Re  barbari  si  perdeva.  Ma  rinnovato 
l'Impero  in  Carlo  Magno,  eccoci  di  nuovo  riuniti  tutti  in  un 
sistema  uniformo.  Questo  fu  lo  stato  d'Italia  per  Io  spazio  di 
u.  *  10 


ilO  DELLA  PATUIA   DBtìL*  ITALIAM. 

undici  secoli;  e  questo  non  basta  a  persuader  grltaliaìii  d'es- 
sere tutu  «mili  fra  di  loro  e  d'esser  tulli  italiani?  — 

Qui  dolcemente  interrogò  un  Caffeliante,  pia  per  piacere 
che  la  conversatone  progredisse  più  oltre,  che  per  vagbezzst 
di  opporsi:  s'egli  credesse  che  dopo  tali  tempi  gl'Italiani  patito 
avessero  sproporzionatamente  qualche  deliquio  o  alterazioBe 
di  Stato,  o  sia  di  condizione  e  di  dignità? — Dopo  tali  tempi,  il 
nostro  Incognito  prontamente  soggiunse,  è  noto  ad  ognuno 
cosa  accadesse.  La  di8t9nza  degl'  Imperadorì ,  la  loro  debo- 
lezza ,  e  la  gara  fra  i  concorrenti  all'  Impero  diede  comodo 
agi*  italiani  di  risvegliare  e  porre  in  molo  i  sopiti  spiriti  di 
libertà;  e  ciascheduna  città  dal  canto  suo,  tentò  di  scuotere 
un  giogo  che  non  aveva  origine  da  verun  diritto,  ma  bensì 
dalla  forza  sola,  e  che  per  la  tirannia  era  diventilo  insoppor- 
tabile. Allora  fu  che  modificandosi  in  varie  guise  questo  ori- 
ginario e  perdonabile  trasporto  di  obbedire  alle  leggi  e  non 
all'altrui  volonlàj  alcune  delle  città  si  eressero,  e,  per  me- 
glio dire,  ritornarono  ai  proprj  principj  d'  un  governo  re- 
pubblicano; ed  alcune  altre  sotto  a'  proprj  capi  o  ecclesia- 
stici 0  secolari  esperienza  fecero  delle  proprie  (brze.  Quindi 
nO'  venne  che  alcuni  Italiani  delle  proprie  città  divenissero 
padroni  o  sovrani;  ed  alcune  altre  nella  condizione  di  repub- 
blica si  mantenessero.  Felice  l'Italia,  se  questo  comune  genio 
di  libertà  sparso  per  tutta  questa  .superficie  fosse  slato  diretto 
ad  un  solo  fine,  cioè  all'  universale  bene  della  nazione!  Ma  i 
diversi  partiti  del  Sacerdozio  e  dell'Impero  tale  veleno  negli 
animi  degl'Italiani  introdussero,  che  non  solo  città  contro 
città,  ma  cittadino  contro  cittadino,  e  padre  contro  figlio, 
si  vide  fatalmente  dar  mano  all'armi.  Allora  alcune  città, 
mercè  V  industria  e  il  commercio;  della  debolezza  delle  altre 
si  approfittarono;  uè  la  pace  di  Costanza  altro  produsse  che, 
fomentando  la  disunione,  prepararle  città  quasi  tutte  a  per- 
dere intéramente  la  libertà  per  quella  medesima  via  per  la 
quale  credevano  di  ricuperarla.  Ora,  ciò  posto,  qual  difife- 
ronza  ritrovar  si  può  mai  fra  Italiano  e  Italiano,  se  uguale  è 
r  origine,  se  uguale  il  genio,  se  ugualissima  la  condizione? 
B  se  non  v'  è  differenza ,  per  qual  ragione  in  Italia  tale  in- 
dolenza, per  non  dire  alienazione,  regnar  deve  fra  noi  da  vi- 


DELLA  PATRIA   DEGL'ITALIANI.  Ili 

lipeDderei  scambievolmente,  e  da  credere  straDÌero  il  bene 
della  nazione?  — 

Ma  il  nostro  Alcibiade,  riscosso  come  da  un  sonno,  e 
come  se  nulla  avesse  inteso  del  segvilo  ragionamento,  pren- 
dendo con  una  certa  tal  quale  impazienza  il  risultato  di  esso, 
cioè  le  ultime  parole,  esclamò: — Se  le  vostre  massime  si  ren- 
dessero comuni,  non  vi  sarebbe  più  dislina;ione  fra  città  e 
città,  fra  nobile  e  nobile;  e  inutili  ornamenti  sarebbero  i  eQn<> 
trassegni  d'onore  e  le.  decorazioni  che  ci  vengono  dalle  mani 
dei  principi. 

—  £  che  male  ci  trovereste  voi,  soggiunse  V  Incognito, 
io  (al  sistema?  Una  muraglia  che  chiuda  e  cinga  trentamila 
case,  ha  forse  per  qualche  magia  acquistata  prerogativa  mag- 
giore d'un' altra  che  non  ne  cinga  che  mille,  quando  tanto 
neiruna  che  neir  altra  il  popolo  sia  deUa  medesima  orìgine 
e  della  medesima  condizione?  Non  nego  io  già  che,  dati  i 
jNregiudizj  e  gli  seismi  presenti,  non  dobbiamo  anche  a  que- 
sti dooar  qualche  cosa,  e  distinguere  le  città  che  non  sono  ad 
altre  leggi  soggette  che  alle  proprie;  e  dopo  queste  distin- 
guere ancora  le  città  di  primo  e  di  secondo  rango,  cioò 
qaelle  che  sono  state  partecipi  della  maggiore  di  tutte  le  no- 
biltà, vale  a  dire  della  romana,  che  nel  tempo  di  mezzo 
ritornarono  allo  stato  repubblicano,  e  che  capitali  sono  di  pro- 
vincia 0  di  considerabile  territorio,  da  quelle  altre  che  ori? 
gine  hanno  meno  lontana  e  che  in  provincia  sono  ridetto. 
Bispettabili  altresì  sono  i  personali  distintivi  caratteri  degr in- 
dividui, come  pubbliche  testimonianze  del  loro  merito,  sìa 
per  uffizj  e  dignità  ch'essi  coprono,  sia  per  onori  d'opi- 
nione onde  aono  cosi  coperti;  cosicché  venerabili  sono  le  in- 
segne tutte,  dai  quadrupedi  ai  volatili  sino  ali'  ultima  stella 
della  coda  dell'Orsa  minore,  e  da  queste  alle  intellettuali  so- 
stanze dell'Empireo;  ma  non  per  questo  si  dirà  mai  che^un 
Italiano  sia  qualche  cosa  di  più  o  di  meno  d'un  Italiano,  se 
non  da  quelli  a'  quali  manca  la  facoltà  di  penetrare  al  di  là 
del  confine  delle  apparenze,  e  che  pregiano  una  pancia  do- 
rata e  inargentata  più  che  un  capo  ripieno  di  buoni  sensi  ed 
ntilinente  ragionatore.  Alziamoci  pertanto  un  poco,  e  risve- 
gliamoci alla  fine  per  nostro  bene.  Il  Creatore  del  tutto  nel 


112  DELLA  PATRIA   DEGl' ITALIANI. 

sistema  planetario  pare  che  ci  abbia  volato  dare  un'idea  del 
sistema  politico.  Nel  foco  dell'Ellissi  sta  il  Sole:  piatieti 
o  globi  opachi  che  ricevono  il  lume  da  lui,  vi  si  aggirano  in- 
tomo nel  tempo  medesimo  che  sopra  i  proprj  assi  esegui- 
scono le  loro  rivoluzioni.  Una  forza  che  li  spinge  per  linea 
dritta  contro  un'altra  che  al  Sole  medesimo  gli  attrae,  fa  che 
un  moto  ferzo  ne  nasca,  onde,  secondo  le  reciproche  loro  di- 
stanze e  grandezze ,  mantengono  intorno  al  centro  comune 
il  lor  giro.  Alcuni  di  quésti  globi  intorno  dì  sé  hanno  de' globi 
più  piccoli  che  con  le  medesime  leggi  si  muovono  ;  alcuni 
altri  seno  soli  e  isolati^  Trasportiamo  questo  sistema  alla  no- 
stra nazionale  politica.  Grandi  o  picciolo  sieno  le  città,  sieno 
esse  in  uno  o  in  altro  spazio  situate,  abbiano  esse  partico- 
lari leggi  nelle  rivoluzioni  sopra  i  proprj  assi,  sieno  fedeli  al 
loro  naturai  sovrano  ed  alle  leggi,  abbiano  più  o  menò  di 
corpi  subalterni;  ma  benché  divise  in  dominj  diversi  e  ub- 
bidienti a  diversi  sovrani,  formino  una  volta,  per  i  progressi 
delle  scienze  e  delle  arti,  un  solo  sistema;  e  1'  amore  di  pa- 
triotismo,  vale  a  dire  del  bene  universale  della  nostra  na- 
zione, sia  il  solet;he  le  illumini  e  che  le  attragga.  Amiamo 
il  bene  ovunque  si  ritrovi;  promuoviamolo  ed  animiamolo 
ovunque  rimane  sopito  o  languente;  e  lungi  dal  guardare 
coll'occhio  dell'orgoglio  e  del  disprezzo  chiunque  per  mezzo 
delle  arti  e  delle  scienze  tenta  di  rischiarar  le  tenebre  che 
l'ignoranza,  la  barbarie,  l'inerzia,  l'educazione  hanno  sparso 
fra  di  noi,  sia  nostro  principale  proposito  d' incoraggirlo  e 
premiarlo.  Divenghiame  pertanto  tutti  di  nuovo  Italiani,  per 
non  cessar  d' esser  uomini.  — 

Detto  questo,  s'alzò  improvvisamente  l'Incognito,  ci  sa- 
lutò graziosamente,  e  parli,  lasciando  in  tòlti  un  ardente  de< 
siderio  di  trattare  più  a  lungo  con  lui,  e  di  godere  della  ve- 
rità de'  di  lui  sentimenti. 


113 


n    TU,    TOM  •   MfJBM. 

Gli  antichi  Italiani,  ne*  tempi  ne'  quali  da  Roma  si  spe- 
dÌTano  i  decreti  all' Inghilterra  ed  alla  Siria,  parlandosi  l'un 
rallro,  usavano  la  seconda  persona  singolare ,  e  cosi  scri- 
vendo Orazio  ad  Augusto  diceva: 

Godi  piuttosto  un  nobile  trionfo,   - 
Ed  udirti  acclamar  principe  e  padre; 
Né  inulto  cavalcar  veggasì  il  Parlo, 
Te  duce.  Augusto. 

Né  altro  modo  di  conversare  era  in  queUempi  conosciuto  io 
Italia.  Gredevaù  allora  che  i  precetti  dell'urbanità  non  fos- 
sero giammai  violati  dalla  natura  delle  cose,  e  perciò,  per  di- 
segnar la  persona  sola  alla  quale  si  parlava,  dieevasi  Tu. 
Noi,  che,  grazie  al  cielo,  abbiamo  degli  oggetti  che  ci  occu- 
pano assai  più  vasti  di  quelli  che  non  avevano  gli  antichi 
Ilaìiani ,  noi  che  per  conseguenza  siamo  uomini  d*  una  im- 
portanza altrettanto  maggiore,  non  soffriamo  che  ci  venga 
dato  del  Tu;  e  la  ragione  si  è,  perchè  ciascuno  di  noi  vale 
almeno  per  due,  onde  in  tutta  confidenza  ci  vien  dato  del 
Foi;  anzi,  malcontenti  di  valer  per  un  paio,  esigiamo  con 
ogni  ragione  che  nessuno  ardisca  d' indirizzare  il  discorso 
né  supponendoci  uno  né  supponendoci  più  d*  uno,  ma  bensì 
che  si  parli  aUa  nostra  SignoHa.  Noi  propriamente  siamo 
tanti  sultani  ;  e  chi  ci  parla  non  deve  osar  di  parlare  a  noi, 
ma  deve  esporre  i  suoi  pensieri  alla  nostra  inseparabile  Si- 
anùria,  che  fa  1'  ufficio  di  gran  visir.  1  Tedeschi  sono  andati 
ancora  più  oltre  di  noi;  poiché,  sembrando  troppo  modesta 
la  creazione  d'un  solo  gran  visir,  hanno  creati  molli  gran 
visir  per  un  sultano  solo,  e  cosi  parlano  sempre  a  loro,  terza 
persona  del  numero  plurale.  Da  queste  vaghe  invenzioni 
^'nostri  antenati  ce  n'  è  venuto  il  vantaggio  di  trovarci  in 
continua  dissensione  colla  grammatica,  di  dover  rendere  le 
idee  nostre  con  infinitì  giri  di  parole,  di  snervare  sensibil- 
mente tutto  ciò  che  vogliam  dire,  e  di  tassellare  il  discorso 
con  moltissime  riempiture  che  non  contengono  veruna  idea. 

10* 


114  IL   TU,   VOI  E   LEI. 

Nello  scrivere  poi  eon  tante  raffinatissime  invenzioni  è  cosa 
da  rovinar  nn  galantuomo ,  perchè  bisogna  supplicare  divo- 
tamente  la  sua  Signoria  a  concederci  V  onore  de*  riveriti  suoi 
coniandamentif  e  la  gloria  di  protestarci  divotissimi  ed  obbUga- 
tissimi  servitori;  cose  tanto  gentili  e  belle,  che  se  le  trovas- 
simo scolpite  snlle  piramidi  d' Egitto  da  que'  scultori  mede- 
simi che  adoravano  le  cipolle,  1  coccodrilli  e  i  buoi,  ancora 
dovrebbero  parere  strane  alla  ragione.  Se  Tallio,  allorché 
faceva  la  soprascritta  delle  sue  lettere  in  questi  termini  :  À 
Cesare  Imperatore,  gli  avesse  taluno  detto:  Sappi,  Tallio,  che 
da  qui  a  diciolto  secoli,  in  questo  luogo  stesso  ove  tu  scrivi, 
si  dovrà  al  più  meschino  avvocatene  scrivere  cosi:  aW  Illu- 
strissimo Si^Mre  Signore  Padrone  Colendissimo  il  Signore  Av- 
vocalo Tale  ;  che  avrebbe  mai  pensato  il  consolare  Tullio  in 
qoe*  tempi?  I  Francesi  e  gl'Inglesi  si  sono  dipartiti  dalla  ra- 
gione meno  di  noi;  ma  i  Francesi  camminano  già  alla  terza 
persona  di  gran  galoppo;  e  i  più  naturali  e  costanti  nel 
bene  so  questo  articolo  fra  le  nazioni  a  noi  vicine,  sono  i 
Napoletani. 

Se  io,  scrivendo  a  un  gentiluomo,  dicessi, 'per  esempio, 
cosi:  Sappi  ch'io  stimo  la  tua  virtù,  bramo  la  tua  umicixia , 
desidero  di  provartelo ,  addio  ;  qua!'  inurbanità  o  licenza  pò* 
trebbe  mai  rimproverarsi  al  mio  stile?  Eppure  son  costretto 
a  esprimere  presso  poco  questi  miei  pensieri  con  questa  far- 
ragine di  palloni  da  vento:  Prego  V.  S,  lUustrissima  ad  es- 
sere persuasa  che  è  profondissima  in  me  la  stima  deUe  notUi 
sue  virtù,  che  sarei  felice  se  potessi  ottenere  V  onore  deità  sua 
grazia,  e  che  qualunque  volta  ta  medesima  si  degnerà  conceder" 
mi  le  occasioni  per  contestarle  la  verità  di  questo  mio  riv0rente 
desiderio,  Ella  accrescerà  que'  titoli  in  me,  pe' quali  ho  la  gioria 
di  dirmi  divotissimo  oWigatissimo  Servitore,  La  metà  per  Io 
meno  di  queste  parole  sono  vuote  di  senso,  e  la  terza  parte 
sono  bugie:  il  gentiluomo  che  riceve  la  mia  lettera ,  la  con-* 
sidera  come  un  foglio  di  carta  sporcato  d'inchiostro  secondo 
si  usa,  me  ne  spedisce  un  altro  sullo  stesso  conio,  e  con  que- 
sta mutua  maniera  di  scrìvere  si  rimane  sempre  sid  liminare 
della  corrispondenza  senza  entrarvi  mai. 

Dico  di  pia,  che  io  stile  diventa  talmente  languido,  che 


IL  TU,   VOI  E  LEI.  115 

Bon  é  possibile  l' esprimere  bene  e  nobilmente  oon  esso  ve- 
ron  pensiero  an  po'  saperìore  alle  volgari  oflSciosità.  Questa 
imita  la  sentono  a  prova  tutti  gì'  Italiani  cbe  vogliono  nella 
lor  liDgaa  scrìvere  conservando  un  carattere  elevato.  I  ira- 
giei  singolarmente  sono  nella  necessità  di  ricorrere  alla  sem- 
plicità antica  per  sostenere  con  dignità  il  diabgo: 

Signor,  che  pensi?  In  quel  silenzio  appena 
Riconosco  Gaton.  DoY*è  lo  sdegno  ec. 

Cosi  si  parla  a  Catone.  Se  invece  l'autóre  avesse  detto:  Che 
pefuaii ,  0  signor?  ognimo  sente  quanto  sia  meno  augusta 
questa  seconda  maniera  di  parlare.  Se  poi  invece  dicesse: 
Cht  pensa  Vostra  Eceellenta,  signor  Don  Catone?  la  tragedia 
farebbe  rìdere  assai.  Questa  prova  facciasi  su  mille  altri 
fsempj,  e  troverassi  cbe  sostituendo  il  nostro  Voi^  o  Leiy  al 
Tic  che  ci  detta  la  natura,  ogni  più  bel  discorso  deve  neces- 
sariamente snervarsi. 

I  Qwikere  fì-a  le  molte  stravaganze  che  hanno  voluto 
immaginare,  hanno  però  questo  di  buono,  eh'  essi  non  par'* 
lano  altrìmenti  a  veruno ,  nò  a  veruno  scrivono,  che  in  se- 
conda persona  singolare.  Scrìveranno  essi  al  re  in  questi 
(emiini: 

Sire, 
Ci  rallegriamo  del  tuo  am^enimento  al  trono:  sappiamo  che 
.  tu  sei  giusto,  che  sei  illuminato,  che  sei  clemente,  onde  renderai 
cospicuo  il  tuo  regno,  e  memorabile  presso  i  posteri  per  la  feli- 
cità pubblica.  Possa  tu  godere  per  molli  anni  delle  benedizioni 
nostre,  e  della  g\oria  di  aver  benefieataVumanila.il  nostro  amore 
e  la  felicità  nostra  per  la  tua  real  persona,  sono  eguali  alle  tue 
luminose  virtù.  Tai  sono  i  veri  sentimenti  de* fedeli  tuoi  sudditi. 

Cosi  si  scrìveva  a  Cesare,  ad  Augusto  ed  agli  altrì  impera- 
tori, mentre  l'Impero  Romàno  comprendeva  buona  parte 
d'Europa,  e  s'estendeva  sull'Asia  e  sull' Affrica.  Pare  che 
col  tempo,  a  misura  che  son  venute  meno  le  cose,  sieno  di- 
ventate più  ampollose  le  parole,  e  che  gli  nomini  abbiano 
cercato  di  farsi  una  illusione  con  ciò ,  e  nascondersi  il  pro- 
prio decadimento.  Le  formalità  in  ogni  genere  sono  sempre 


116  IL  TU,   VOI  E  LEI. 

tanto  più  care  e  imprescindibili,  quanto  è  minore  la  vera 
forza  6sicà. 

Un  certo  signor  Agapito  SHmle ,  discendente  da  quattro 
o  cinque  oziosi  che  avevano  consumato  il  grano  di  alcune 
pertiche  di  terra  vivendo  oscuramente  in  un  viliaggio,  e  che 
perciò  si  credeva  nobile ,  ricevette  una  lettera  curiosa ,  e 
nella  soprascritta  vi  stava  cosi  :  Al  conosciutisHmo  che  co- 
manda, che  ha  dirilto  di  comandare ,  da  coltivarsi  moltissimo , 
che  comanda,  Agapito  Stivale.  Il  signor  Agapito  fu  maraviglia- 
tissimo  per  tutto  questo  caos  di  roba;  e  ciascuno  de'miei  let- 
tori lo  sarà  al  pari  del  signor  Agapito,  sin  tanto  che  non  fac- 
cia la  seguente  riflessione:  che  conosciutissimo  rassomiglia 
molto  a  illustrissimo,  che  signore  è  quello  che  comanda,  che 
padrone  è  quello  che  ha  diritta  di  comandare ,  e  finalmente 
che  colendissimo  è  la  stessa  cosa  che  il  dire  da  coUivarsimol' 
tissimo:  e  la  stessa  impressione  che  fanno  i  titoli  dati  al  si- 
gnor Agapito  a  tutti  noi,  la  devono  fare  presso  i  forestieri  i 
titoli  ordinar]  delle  nostre  lettere,  e  probabilmente  la  faranno 
anche  presso  gì'  Italiani  che  Terranno  dopo  di  noi.  Io  vado 
sperando  che  torneranno  gli  nomini  ad  essere  nna  unità,  ed 
a  non  vergognarsi  d'esser  uomini;  più  la  coltura  dell'inge- 
gno s' avanza ,  e  più  ci  accostiamo  a  quella  vera  e  dolce  ur- 
banità che  consiste  semplicemente  nel  non  cagionare  dispia- 
cere o  disagio  ad  alcuno,  conformando  liberamente  i  modi 
nostri  alla  natura  delle  cose,  e  non  contorcendo  nò  la  per- 
sona, nò  la  lingua,  nò  i  pensieri  su  i  modelli  ereditati.  Al- 
lora si  scriverà  e  si  parlerà  come  esige  la  ragione.  Frattanto 
conviene  avere  la  santa  flemma,  e  presentare  le  nostre  im- 
barazzatissime  circonlocuzioni  alle  signorie,  acciocchò  le  pas- 
sino agli  uomini  possessori  di  quelle  signorie,  e  lasciar  che  la 
grammatica  si  lagni  se  scriviamo  in  femminino  anche  agli 
uomini:  Ella  sa.  Ella  ben  conosce  ec.  E  indirizzare  le  nostre 
lettere  agli  lUustrissimi  Signori ,  Signori  Padroni  Colendissi- 
mi, poichò  tali  mutazioni  sono  l'opera  del  tempo,  non  mai 
della  ragione 


117 

US   PAlftOUS. 

È  già  stato  detto  che  ogni  virtù  consìste  nelle  parole, 
nelle  erbe,  nelle  pietre  :  col  trascorrere  de'  secoli,  le  erbe  e 
le  pietre  hanno  perduta  buona  parte  della  loro  virtù  neir  opi- 
nione degli  uomini;  ma  le  parole  nèThanno  perduta,  né  v*è 
apparenza  che  sieno  per  perderla  giammai.  Sinché  Cesare  si 
contentò  di  usurpare  la  libertà  pubblica,  e  di  rendere  sudditi 
della  sua, persona  i  Romani,  che  eran  sudditi  delle  leggi,  Ce- 
sare visse  onorato,  libero  e  forse  amato:  cercò  Cesare  \à  pa- 
rola Be:  i  cittadini  romani,  che  gli  avevano  cedute  tutte  le 
cose,  non  gli  vollero  cedere  quella  parola,  e  lo  trucidarono. 
Cromwell  ben  intese  questa  verità,  e  si  contentò  di  prendere 
agr  Inglesi  le  leggi  e  la  libertà  senza  cercare  altra  parola 
che  quella  di  Proteltore.  Gli  uomini  sono  generalmente  ben 
rappresentati  da  quella  sentinella,  la  quale  lasciava  passare 
per  ana  porta  chiunque  diceva  voglio  uscire,  e  rimandava 
chiunque  diceva  vàglio  entrare.  Alcune  sere  fa,  mi  trovai  in 
una  adunanza  dove  un  uomo  lesto  faceva  il  giuoco  de' bus- 
solotti con  mirabile  destrezza.  Uno  de'  spettatori,  poco  da  me 
discosto,  con  un  sorriso  di  compiacenza  di  sé  stesso,  pretese 
di  spiegare  la  cagione  di  tanti  portenti,  attribuendola  alle 
candele  artefatte,  le  quali  illuminavano  la  stanza.  Un'altra 
volta,  trovandomi  presente  ad  alcuni  maravigliosi  equilibrj 
di  persona  fatti  da  un  uomo  del  mestiere ,  udii  un  altro  che 
ne  spiegava  la  cagione  ad  un  vicino,  sostenendo  che  era  per 
forza  della  calamita.  Né  l'uno  né  l'altro  di  que' bravi  spi ega- 
torì  di  prodigj  rifletteva  che  sarebbe  stalo  un  prodigio  ancora 
più  difficile  a  comprendersi,  se  vi  fossero  candele  col  lume 
delle  quali  comparissero  e  sparissero  gli  oggetti  a  piacere  ; 
se  vi  fossero  delle  calamite  disposte  in  guisa  da  tenere  un 
corpo  umano  appoggiato  col  capo  sii  una  punta  in  equilibrio; 
e  che,  ricorrendo  alla  disinvoltura  ed  all'  àbituazione  d' en- 
trambi, la  spiegazione  era  molto  più  vera  e  naturale.  Uno  si 
accontentò  della  parola  candela ,  l'altro  si  accontentò  della 
parola  calamila;  in  guisa  che  ne  cavo  un  teorema  generale, 


118  LE  PAROLE. 

che  gli  uomini  sono  difficilissimi  a  contentarsi  delle  cose,  e 
facilissimi  a  contentarsi  delle  parole ,  trattine  i  soli  gramma- 
tici, i  quali  per  l'opposto  difficilmente  s'appagano  delle  pa- 
role, e  ricevono  pazientemente  le  cose  significate  da  esse, 
buone  o  cattive.  In  generale  gli  uomini  sono  come  coloro  i 
quali  immaginavano  che  la  terra  fosse  una  vasta  superficie 
orizzontale.  Chi  porta  questa  superficie? dicevano  alcun!.— Un 
elefante  sul  suo  dorso,  rispondevano  i  dottori. —  E  l'elefante 
dove  appoggia  i  suoi  piedi?  (erano  i  begli  spiriti  che  anda- 
vano sin  là  colla  indiscreta  domanda).  —  L'elefante  preme  la 
schiena  d'una  testuggine,  soggiungevano  i  dottori. —E  questa 
su  di  qual  base  venisse  sostenuta  nessuno  s'immaginò  di  do- 
mandarlo. Il  popolo  va  sempre  appena  un  dito  al  di  fuori  de- 
gli oggetti  che  immediatamente  feriscono  i  suoi  sensi,  e  tosto 
ch'ei  sia  alla  schiena  dell'elefante,  non  cerca  più  in  là.  Le 
parole  sono  le  arbitro  dell'universo.  Le  parole  Antico,  Mo- 
derno, Guelfo,  GhiheUino,  Teorica,  Pratica,  e  simili,  sono  le 
vere  parole  magiche.  Queste  riflessioni  è  vero  che  non  fanno 
nascere  in  noi  una  molto  vantaggiosa  idea  della  ragionevo- 
lezza universale  degli  uomini  ;  ma  questa  palpabile  verità  è 
sempre  bene  conoscerla  ;  è  sempre  bene  il  valutar  gli  oggetti 
per  quello  che  intrinsecamente  meritano,  il  prevenirci  noi 
medesimi  per  non  essere  contaminati,  se  è  j^ossibile,  dal- 
l'errore comune,  ed  amare  con  tutto  ciò  gli  uomini,  nostri 
fratelli,  e  far  loro  del  bene ,  e  perchè  lo  vuole  il  dovere,  e 
perchè  gli  errori  umani,  a  ben  esaminarli,  sono  una  sorta 
di  febbre  morale,  più  degna  della  compassione  del  saggio, 
che  di  verun  altro  sentimento. 


119 


FRA  UN  MANOARIIVO  CHINESE  E  UN  S011E<1ITAT0RE. 

Mandarino.  Perdonatemi,  signore:  io  viaggio  l'Europa 
per  Istriiinni;  compiacele,  vi  prego,  alla  mia  curiosila.  Perché 
VI  chiamale  voi  #oWccitotor«?  Che  soUécitnclìne  avete  per  pro- 


SoUecilalore,  Volentieri  ve  lo  spiegherò.  Io  mi  chiamo 
soUeeUatore,  perchè  sollecito  acciò  si  decidano  le  cause. 

Mandarino.  E  che  vuol  dir  le  eause? 

Sollecilatore.  Vuol  dire  le  dispute  di  giurisprudenza, 

Mandarhu>,  Cosa  è  questa  giurisprudenza? 

SoUecilalore.  La  giurisprudenza  è  la  scienza  deHe  cose 
umane  e  divine.  Parte  del  giusto  e  dell'ingiusto. 

Mandarino.  Voi  dunque  sapete  la  giurisprudenza? 

SoUeciiatore.  Sicuramente  ;  è  mio  mestiere. 

Mandarino.  Sia  ringraziato  il  ciclo  che  finalmente  mi 
trovo  beo  ricompensalo  de' miei  lunghi  e  pericolosi  viaggi. 
Eccomi  un  uomo  che  sa  le  cose  umane  e  divine,  cioè  lulte 
te  cose,  il  quale  potrà  rischiarare  i  miei  dubbj<  Ditemi  dun- 
qoe,  Sollecitatore,  ditemi  come  il  grand'  Essere  Creatore  del- 
l'aniverso  abbia  impresso  il  molo  ne' corpi  celesti,  ditemi 
<^<nQe  mantengasi  vìvo  senza  consumarsi  o  scemare  sensibil- 
mente il  fuoco  del  sole  :  è  tanto  tempo  che  vi  ho  pensalo 
sema  poter  penetrare  questi  misteri,  ne  ho  consultali  tanti 
inulilmenle  per  averne  idea  chiara,  che  merito  finalmente 
<i'es8ere  illuminato. 

SoUecilalore,  Mandarino^  mi  fate  ridere:  che  volete  voi 
eh'  io  sappia  di  queste  cose?  voi  dovete^domandarle  all'astro- 
nomo. Noi  giurisperiti  non  badiamo  a  queste  sottigliezze;  il 
nostro  mestiere  c'insegna  le  cose  di  questo  mondo,  non  già 
dell'altro. 

Mandarino.  Ma  perchè  dunque  mi  diceste  che  era  vostro 
n^esliere  la  scienza  delle  divine  e  delle  umane  cose? 

SéUtcitalore.  Mandarino,  voi  noii  sapete  i  primi  principj: 


120  DIALOGO  FRA  UN   MANDARINO  CHINESE  EC. 

Divinarum  humanarumque  rerum  nolUia,  recti  alque  injusli 
scientia.  S'impara  nella  prima  lezione:  ognuno  lo  sa. 

Mandarino.  Veramente  io  non  vMntendo  troppo,  Solleci- 
tatore; pure  lasciamo  le  cose  celesti,  e  veniamo  aita  scienza 
delle  cose  umane.  Ditemi  di  grazia,  perchè  mai  l'ago  magne- 
tico si  rivolge  verso  il  nord  ;  perchè  i  corpi  gravitino  sulla 
terra;  perchè  l'aria  sembri  pesar  meno  quando  è  pregna  di 
particelle  umide  ;  perchè  la  luce  sia  un  composto  di  sette  di- 
verse materie ,  come  ho  veduto  chiaramente  da  che  sono  in 
Europa.  Caro  SoHecilatore,  ditemene  qualche  cosa. 

Sollecitatore*  MsLndmno  y  siete  veramente  mandarino 
Sapete  che  se  qualcuno  ci  ascoltasse^  riderebbe  di  voi  ma 
sonoramente?  Che  volete  eh'  io  sappia  di  queste  inezie?  son 
giuochi  da  fanciulli,  Mandarino,  cotesti. 

Mandarino,  Sollecitatore  mio,  la  contemplazione  dell'  ani- 
verso  e  de'  miracoli  della  natura  giuoco  da  fanciulli!  Cosa  è 
dunque  che  tu  chiami  scienza,  cosa  è  che  tu  chiami  grande? 
se  non  lo  sono,  prima,  il  Creatore,  poi  le  stupènde  opere 
della  sua  mano?  Ma  giacché  questa  tua  scienza  delle  divine 
e  delle  umane  cose  non  comprende  né  le  cose  divine  né  le 
cose  naturali,  illuminami  almeno  sulle  cose  degli  uomini. 
Dimmi  un  po',  Sollecitatore;  quando  è  stato  che  i  tuoi  Euro- 
pei hanno  principiato  ad  aver  qualche  idea  dell'  antichis- 
simo Impero  dov'  io  son  nato,  e  che  in  Europa  si  chiama  la 
China? 

Solleeilatoire.  Che  vuoi  tu  eh'  io  m'impacci  degli  affari 
de'  tuoi  Chinesi?  Ho  ben  altro  da  fare. 

Mandarino,  Ma  non  sai  tu  la  giurisprudenza,  mi  dicesti? 

Sollecitatore.  È  il  mio  mestiere;  te  l'ho  già  detto. 

Mandarino.  E  la  giurisprudenza  non  è,  m'hai  pur  detto, 
la  scienza  delle  umane  e  delle  divine  cose? 

Sollecitatore.  Ogni  principiante  te  lo  dirà,  se  non  lo  sai. 

Mandarino.  Ma  a  che  si  riducono  queste  divine  e  umane 
cose,  che  sai  per  tuo  mestiere? 

iSoUecitatore.  Ti  voglio  compiacere.  Ora,  per  esempio, 
ho  due  punti  brocardici  per  le  mani.... 

Mandarino.  Brocardici!  non  intendo  questa  parola. 

SoUedtatore.  Voglio  dire  due  articoli  difficili.  Gran  pa- 


DIALOGO  FBA  ON  BfANDABINO  CBINESE  BC.  121 

zìenza  che  ci  vaolé  con  voi  altri  Mandarini  I  Questi  due  punti 
brocardici  sono  :  il  primo  per  vedere  se  il  maschio  dalla  fem- 
mÌDa  debha  essere  preferito  nel  fedecommesso  in  concor- 
renza d'an  estraneo;  l'altro  è  per  fare  la  graduazione  d'un 
coDCorso  fra  i  chirografarj  e  gl'istromentar],  e  distinguere  le 
poziorità,  e  liquidare  le  doti  e  i  beni  vincolati. 

Mandarino.  Sulla  mia  parola,  Sollecitatore,  io  non  in- 
teDdo  che  ti  voglia  dire. 

SoUecilatore.  Vuol  dire....  Quando  una  madre  viene  a 
morire  nel  tuo  paese,  chi  diventa  padrone  della  sua  roba? 

Mandarino.  Suo  marita,  se  vive  ;  e,  se  è  morto,  i  suoi 
figli. 

SoUecilalore,  E  se  vi  fosse  un  fedecommesso  in  con- 
trario? 

Mandarino.  Che  vuoi  tu  dire  colla 'parola  fedecommesso? 

SollecHaiore.  Povero  Mandarino!  Fedecommesso  è  una 
legge  fatta  da  un  uomo  privato,  con  cui  dispone  in  chi  de- 
vono passare  i  beni  suoi  in  inOnito. 

Mandariw).  Nel  mio  Impero  i  privati  non  fanno  leggi;  e 
se  osassero  farne,  sarebbero  puniti  come  rei  di  lesa  maestà. 
H  far  leggi  non  spetta  che  al  sovrano. 

SoUecilatore.  Ma  un  uomo  non  dispone  del  suo?  Se  è  suo 
un  bene,  deve  pur  poterne  disporre. 

Mandarino.  Ne  dispone  sin  che  è  uomo  ;  ma  tosto  che  la 
morte  ha  distrutto  Tuomo,  e  che  i  due  prinoipj  che  compone-» 
▼ano  l'uomo  si  sono  separati,  uno  andando  in  altre  regioni, 
l'altro  corrompendosi  nel  sepolcro,  non  è  più  chi  debba  dis- 
porre di  qae'  beni.  La  legge  ha  regolate  le  successioni  se- 
condo i  gradi  di  parentela,  e  non  abbiamo  altra  norma,  e 
non  ne  vengono  disordini. 

S(Mecilatore.  £  impossibile  cfa'  io  mi  faccia  intendere  su 
qaesto  punto;  l'ignoranzia  è  troppo  ctassa.  Dirò  qualche  cosa 
dell'altro.  Quando  nella  China  un  uomo  fallisce,  cosa  si  fa? 

Mandarino.  Se  è  per  sua  colpa,  sì  fa  appiccare  come  reo 
d'aver  violata  la  fede  pubblica  de' contratti,  e  d'aver  rubato 
l'altrui:  se  è  per  semplice  disgrazia 9  v'è  un  fondo  destinato 
per  soccorrerlo,  in  caso  che  abbia  capacità  di  regolare  i  pro- 
prj  interessi. 

II.  11 


122  DIALOCM)  FRA  UN  MANDARINO  CHINBSE  EC 

SolledUUore.  Noa  cerco  qaesto.  I  beni  d'an  fallito  come 
si  dividono? 

Mandarino,  A  proporzione  del  credito  di  ciaacimo. 

SolUcUaUn'e.  Ma  i  creditori  più  antichi  non  hanno  (radi 
Toi  alcun  privilegio? 

Mandarino,  I  creditori  più  antichi  hanno  ricevuto  gl'in- 
teressi per  più  anni,  e  non  v'  è  ragione  per  prediligerli.  La 
sostanza  del  fallito  in  quindici  giorni  si  divide;  e  se  basta  a 
pagare  la  metà  dei  crediti^  si  dà  a  ciascuno  il  cinquanta  per 
cento,  e  cosi  terpaina. 

Solleeitaiore.  Ma  chi  ha  i  suoi  crediti  per  istromento,  vo- 
lete voi  paragonarli  a  chi  gli  ha  su  un  semplice  biglietto? 

Mandarino,  0  il  credito  è  provato,  o  non  lo  è  :  se  é  pro- 
vato, qualunque  sia  il  mezzo  con  coi  si  prova,  è  tutt'  uno;  se 
non  lo  è,  non  si  pagar. 

SoUeeilatore,  Mandarino,  la  vostra  legge  non.  mi  qua- 
dra: So  colla  giurisprudenza,  co*  fedecommessi,  e  co' falli- 
menti guadagnò  due  mila  scudi  all'  anno. 

Mandarino,  Se  non  avessi  altra  mercanzia,  Sollecitatore, 
tu  morresti  di  fame  a  Pekino. 

Sollecitatore,  Perchè  voi  altri  Ghinesi  siete  ignoranti, 
siete  stati  ignoranti,  e  sarete  sempre  ignoranti;  n'è  v'ò  pa- 
ragone fra  di  voi  altri  e  noi  Europei. 

Mandarino,  Vedete  voi  in  Europa  molti  Ghinesi  che  ven- 
gano a  chiedere  qualche  cosa  del  vostro? 

SoUecUalore.  Voi  siete  il  primo  che  abbia  veduto  in  vita 
mia. 

Mandarino,  Ed  io  degli  Europei  nella  Ghina  ne  ho  ve- 
duti migliaia  prima  che  ne  uscissi.  Voi  altri  venite  a  com- 
prare il  nostro  thè,  le  nostre  porcellane,  le  nostre  vernici, 
le  nostre  stoffe  di  seta»  i  nostri  colori,  i  nostri  profami,  le 
nostre  carte,  le  nostre  pitture,  e  le  case  europee  quasi  tutte 
ne  hanno.  Delle  mercanzie  vostre,  e  dei  vostri  iedecommes- 
si^.ginrispfttdenze,  scienze  divine  e  umane,  e  sollecitatori, 
non  ne  ho  mai  inteso  a  parlare  nemmeno  alia  corte  di  Pe- 
kino. 


123 
8V  I  PABOIiJJI. 


Ne*  Fogli  nostri  dell'anno  scorso  abbiamo  in  dirersi  luo- 
ghi parlato  di  quel  ferreo  rigorismo  di  lingua,  che  alcuni 
grammatici  vorrebbero  pure  che  fosse  neiritàlia  la  prima 
legge  delle  lettere;  e  ci  siamo  assai  chiaramente  e  co'fatti  e 
co'discorsi  mostrati  ragionevolmente  libertini  in  questa  ge- 
nere. So  che  taluni  d^'rigidi  osservatori  di  que'  principj  hanno 
monnorato  contro  di  noi  ;  né  in  ciò  troviamo  noi  motivo  di 
maraviglia,  o  di  lamentanza  veruna:  ma  cosa  importante  as- 
sai pel  progresso  delle  lettere  e  delle  scienze  si  è,  che  nella 
universale  opinione  vengano  una  volta  fissati  i  giusti  confini 
che  aver  debbe  l'autorità  de' puri  grammatici,  acciocché  l'uf- 
ficio loro  non  resti  né  affatto  destituito  di  forza,  né  innalzato 
sino  alla  tirannia  degli  ingegni,  alla  quale  tentano  di  giungere 
qualora  non  trovino  valide  opposizioni.  Lo  scoraggiamento, 
che  inspira  negli  animi  de' giovani  inclinati  alle  lettere  la  fer- 
rea voce  di  tanti  accigliati  grammatici,  lo  sconvolgimento 
d'idee,  che  con  ripetuti  e  incessanti  tolpi  fanno  essi  nelle 
tenere  menti,  rivolgendole  tutte  alla  considerazione  mecca- 
nica delle  parole,  e  spègnendo  co' gelati  loro  precetti  ogni  fe- 
lice germe  di  filosofia  e  di  gènio,  sono  un  male  sì  importante 
per  gl'ingegni  italiani,  che  noi  non  ci  stancheremo  mai  di 
tratto  a  tratto  ragionarne,  e  opporvìci  per  quanto  è  a  noi 
permesso;  giacché,  come  l'errore,  cosi  anche  la  verità  più 
facilmente  s'imprimono  presentandosi  alla  mente  con  repli- 
cati tentativi,  e  sotto  diversi  aspetti.  Ella  è  cosa  per  sé  evi- 
dente, che  l'essenza  d'un  discorso  consiste  nelle  cose  che  si 
dicono,  e  le  parole  altro  non  sono  che  i  mezzi  coi  quali  vien 
significato  il  discorso:  quindi  è  evidènte  pure  che  il  primo 
oggetto  dell'attenzione  d'un  uomo  ragionevole  devono  essere 
le  cose,  e  le  parole  devon  essere  un  oggetto  assai  secondario. 
I^er  giudicare  del  merito  d'un' opera,  la  prima  importante 
l'isla  deve  esser  quella  della  natura  delle  idee  ch'ella  contie- 
ne, se  giuste  ovvero  false,  se  grandi  ovvero  volgari,  se 
importanti  ovvero  frivole.  Dopo  di  ciò,  deve  aversi  di  mira 


124  su  I  PAROLAI. 

il  metodo  col  quale  esse  idee  sono  disposte,  dal  qual  metodo 
dipendono  principalmente  la  chiarezza,  la  facilità  e  T  im- 
pressione più  0  meno  efficace,  che  esse  idee  possono  fare 
nella  mente.  Dopo  ciò  deve  pur  porsi  mente  alla  diffusione 
o  ristrettezza  del  discorso;  due  estremi,  i  quali  egualmente 
rendono  noiosa  e  difficile  la  lettura  ;  uno ,  perchè,  essendo 
molto  da  loro  distanti  le  idee  principali  e  interessanti  del- 
l'opera, difficilmente  lo  spirito  umano  si  risovviene  di  latte 
le  antecedenti,  onde  non  restano  impressi  con  esatti  contor- 
ni, dirò  cosi,  gli  anelli  di  quella  catena  la  qual  rappresenta 
il  passaggio  dalla  verità  conosciuta  alla  incognita:  Taitro, 
perchè,  accavallandosi  le  idee  forti  e  primitive  Tunaairaltra, 
richiedesi  troppa  fatica  e  contenzione  nell'animo  del  lettore 
per  interrompere  cop  continui  ragionamenti  del  suo  la  lezione. 
Dopo  tutti  questi  oggetti  vengono  le  parole  e  la  disposizione 
di  esse;  e  chiunque  ne'suoi  precelti  o  nella  sua  pratica  in 
segna  o  fa  vedere  di  anteporre  il  pregio  delle  parole  ad  ogni 
altro,  e  di  giudicare  d'un  autore  sull'osservazione  di  alcuni 
capricciosi  precetti  dettaci  da  alcuni  privati,  e  non  mai  adot- 
tali universalmente  dall'Italia,,  offende  il  senso  comune  ed 
ogni  principio  di  ragionevolezza. 

Sappiamo  esattissimamente  che  gli  uomini  già  inzuppati 
di  principj  di  tirannia  grammaticale  non  si  convertono  mai; 
poiché  non  è  ppssibile  convertire  altrui,  se  non  col  ragiona- 
mento, e  chi  è  avvezzo  a  posporlo  alle  parole,  non  lo  sente. 
Coloro  non  leggono  i  nostri  Fogli;  né  ad  essi  intendiamo  noi 
di  ragionare  :  ma  i  nostri  Fogli  son  letti  da  molti  uomini  il^^ 
minali  e  discreti ,  son  letti  da  alcuni  giovani  minacciali  dalla 
tirannia  de'pedanti;  e  deve  esser  caro  ai  lettori  nostri  il  ve- 
derci in  guardia  per  combattere  questi  nemici  degl'ingegni 
italiani,  acciocché,  se  è  possibile,  colla  generazione  presente 
sia  spanta  la  sella  de'  Parolai,  che  da  tre  secoli  a  questa  parte 
non  ha  mai  fatto  nulla  di  buono.  Di  essa  potrebbe  dirsi  qoello 
che  Quintiliano  scrive  nel  lib.  II  delle  IwtUuzùmi,  cap.  9: 
Nihil  enim  pejus  est  iis  qui  paulum  aliqui^  ultra  primas  HUi- 
ras  progressi  falsam  sibi  8cienli0  persuasionem  in4uerunt,  nom 
et  credere  prmeipiendi  perilis  indigmntur,  et  jure  quodam  pò- 
tetlatis  quo  fere  hoc  hominum  genus  inluscit,  imperiosi  aique 


su   I  PAROLAI.  125 

scBvientes  sluUitiam  suam  perdocenL  Seno  costoro  degni  del 
lilolo  che  dà  Cicerone  nelle  questioni  accademiche  di  optnto- 
sisHmi  homines;  e  vedendo  con  quale  ostinazione  ricasido  di 
piegarsi  alla  hice  dell'evidenza,  pare  che  siano  dipinti  da 
Quintiliano,  InstiluL  Orai.,  lib.  XII,  cap.  11,  dove  dice  :  Vtlui 
sacramento  rogali,  vel  etiam  super slitione  eonstricli,  nefiu  du- 
cunt  a  suscepta  semel  persuasione  discedere. 

L'autorità  degli  antichi  è  perfettamente  contraria  alle 
pretensioni  del  dispotismo  grammaticale.  Noi  vediamo  presso 
Quintiliano  come  cura  verborum  derogai  affeclihus  fidem.  Noi 
vediamo  presso  Orazio  che  la  bellezza  d'un' opera  in  ciò 
consiste, 

ut  sibi  quisquis 

Sperei  idem ,  sudet  multum.,  frustraque  lahoret 
Àusus  idem, 

Vediamo  che  gli  ornamenti  e  le  lisciature  del  discorso  fu- 
rono disapprovate,  quando  giunsero  alla  tirannia  a  cui  si 
vorrebbero  portare  dai  grammatici,  da  Cicerone,  ad  Heren- 
nmm,  lib.  IV,  dove  così:  Gravilas  minuilur  exornalionibus  [re- 
quenler  coUocaiis,  quod  est  in  his  lepor  et  fesliviias,  non  dignitas 
ncque  pulchritudo,  Vediam  presso  Salviano  delle  proteste  si- 
mili a  quelle  che  abbiamo  fatto  noi,  e  che  prima  anche  di 
noi  han  fatto  tutti  gli  uomini  ragionevoli:  Nos,  rerum  magis 
qucan  verborum  amatores,  utilia  potius  quam  plausibilia  secta- 
mur;  non  id  qucsrimus  ul  in  nobis  inania  smculorum  ornamenr 
la,  sed  ul  sàlubria  rerum  emolumenta  laudenlur.  Seneca  poi  fu 
de'più  decisi  oppositori  contro  la  tirannia  dei  puristi  gram- 
maticali: ivi  leggesi  chiaramente  nell'epist.  CXViCujuscumque 
walionem  videris  sollicilam  etpolilam,  scilo  animum  quoque 
wm  minus  esse  pusillis  occupatum,  Oralio  vullus  animi  est, 
*i  circumlonsa  et  fucata  est  et  manufacla,  ostendit  illum  quoque 
non  esse  sineerum,  et  habere  aliquid  fracti;  non  est  ornamenlum 
tJtWfe  concinnitas.  Ed  altrove,  dando  precetti  al  giovane  Luci- 
lio, cosi  s'esprime:  Nimis  anxium  esse  le  circa  verba  et  com- 
posiiionem,  mi  Lucili,  nolo:  haÒeo  majora  qw»  cures;  qu(Bre 
quid  scribasy  non  quemadmodum. 

In  somma  tutti  i  più  accreditati  scrittori  dell'  antichità, 
^  infatti  ed  espressamente,  ci  hanno  lasciata  testimonianza 

il* 


126  so  I  PAIOLA!» 

di  aver  pensalo  rof>|M6to  di  quel  che  Torrebbero  farci  pen- 
sare i  dispotici  grammaUdy  de' quali  alcuni  c'incolpano  di 
novalori,  sebbene  da  noi  non  si  sostenga  che  un'antichissima 
o|Mnione  favorevole  alla  libertà  della  repubblica  letteraria: 
ma  dice  pur  bene  il  gran  Galileo  ne'  suoi  Dialoghi:  è  V  istesso 
eaer  le  opinioni  nuove  agli  uomini^  ed  esser  gli  uomini  nuovi 
alle  opinioni  Noi  non  disprezziamo  chianqae  fa  un  esatto  sta- 
dio della  propria  lingua;  anzi  molto  lo  lodiamo ,  purché  egli 
con  questa  cognizione  sola  non  pretenda  di  giudicare  altro 
che  della  lingua;  purché  egli  conosca  che  il  merito  della  lin- 
gua solo  non  fa  un  libro  buono  o  cattivo,  un  autore  stimar- 
bile  0  dispregevole.  Ogni  parola  che  sia  intesa  da  tutti  gli 
abitanti  d* Italia  è  secondo  noi  una  parola  italiana:  V  autorità 
e  il  consentimento  di  tulU  gV  Italiani,  dove  si  tratta  della  lor 
Ungua,  è  maggiore  dell'autorità  di  tutti  i  grammatici^  sebben  anco 
s* unissero  a  ricusarla.  Questo  é  uno  de' nostri  principj,  il 
quale  é  pure  il  principio  di  tutti  gli  uomini  ragionevoli  in  que- 
st'affare. Ogni  frase  o  parola  poco  inlesa  per  tutta  V Italia, 
sebben  anche  fosse  registrata  su  tutti  i  dizionari,  non  deve  usarsi^ 
qualora  m  sia  in  sua  vece  altra  parola  comunemente  inlesa. 
Qualora  uno  scrittore  dica  cose  ragionevoli,  interessanti ^  e  le 
dica  in  una  lingua  che  sia  inlesa  da  tutti  gV Italiani,  e  le  scriva 
con  tal  arte  da  esser  letto  senza  noia,  quelV autore  deve  dirsi 
un  buono,  scrittore  italiano.  Questi  sono  i  canoni  che  la  ra- 
gione suggerisce  a  chiunque  la  consulti. 


Quasi  tutte  le  nazioni  del  mondo  hanno  una  sorta  di 
musica,  ma  quasi  nessuna  delle  nazioni  del  mondo^trova  di- 
letto nella  musica  che  le  é  straniera.  Da  qui  nasce  un  ra- 
gionevole sospetto,  che  la  disposizione  sia  naturale  all'  uomo 
di  formarsi  un  diletto  fattìzio  col  suono,  ma  che  questo  di- 
letto sia  puramente  fattizio  e  di  convenzione ,  non  mai  in- 
trinsecamente inerente  alla  natura  della  cosa  stessa.  Le  na- 


LA  MUSICA.  127 

zioDÌ  toKe  rìsgoardano  come- musica  quella  alla  quale  sono 
state  avvezze  coli'  educazione,  e  risgnardano  come  un  ru- 
more barbaro  quella,  delta  musica  altroTe,  a  cui  non  abbiano 
con  moltiplicate  azioni  addomesticato  V  udito.  La  musica  dei 
Chinesi,  la  musica  degli  Ottentotti,  la  musica  de'  Peruviani, 
la  moslca  degli  Irocbesi,  la  musica  perfino  degli  Europei, 
cessa  d'essere  musica  coli' espatriare,  e  diventa,  straniera 
ch'ella  sia ,  un  barbaro  rimbombo  d' un  mal  accordato  mor- 
morio. Io  non  oserò  alzar  quél  velo  sotto  cui  i  profondi  geo- 
metri celano  ai  profani  le  ingegnose  loro  investigazioni  che 
^rì^Itano  dai  paragoni  delle  quantità;  io  non  oserò  violare  i 
sacri  penetrali,  dove  con  acutissimo  occhio  investigatore  de- 
gli arcani  di  natura  si  lamina,  se  un  suono  sia  un  fascette 
di  più  voci  consonanti,  le  quali  corrispondono  ad  alcune  date 
dimensioni  di  corde  cbe  fra  di  esse  inviolabilmente  conser- 
vano una  data  proporzione  :  si  fatte  investigazioni,  illustrate 
principalmente  in  questi  ultimi  tempi  dai  più  benemeriti  e 
cbiari  genj  del  nostro  secolo,  non  sono  l'oggetto  del  mio  di- 
scorso, nel  quale  io  vo'  parlare  della  musica,  e  non  dell'  ar- 
monia. Convien  dunque  in  prima  eh'  io  dichiari  cosa  io  m'ia- 
tenda  col  nome  di  armonia  ;  ed  è  quella  sensazione  compo- 
sta, che  risulta  dalla  combinazione  di  più  voci  che  percuotono 
l'orecchio  ad  un  tratto.  Pare  che  questa  abbia  certe  leggi 
fisiche  e  universali,  e  che  in  favore  di  essa  debba  ogni  orec- 
chio decìdere;  pare  che  in  favore  di  essa  tatto  il  genere 
ornano  debba  non  aver  dispareri  nel  chiamare  alcune  combi- 
nazioni più  dolci  e  naturali  consonanti,  altre  più  aspre  e  stra- 
niere dissonanti^  né  su  di  ciò  penso  io  di  stabilir  cosa  alcuna. 
Della  sola  musica  vo'io  scrivere  quel  che  penso;  e  per  mu- 
sica intendo  quello  che  chiamano  altri  melodia,  cioè  un  dato 
stile  di  successione  d' un  suono  all'  altro,  il  quale  diversifica 
^  per  la  celerità,  o  per  la  diseguaglianza,  o  per  la  distanza 
de' passaggi  da  voce  a  voce,  ovvero  perfine  per  l'arte  di- 
versa di  rattenere  o  spingere  la  voce  medesima  con  mag- 
giore energia.  Per  musica,  in  una  parola,  intendo  quella  suc- 
<^^ione  di  suoni  che  sveglia  negli  animi  di  chi  n'  è  appas- 
sionato diversi  affetti  di  tenerezza,  di  ardire,  di  compassione, 
di  orgoglio;  e  cosi  andiam  dicendo  degli  altri  movimenti  del- 


128  LA  MUSICA. 

r  animo,  i  quali  per  una  sorla  di  magia  co'  suoni  si  desiano. 
Distinguerò  dunque  in  tre  classi  tutto  ciò  che  è  compreso  col 
nome  universale  di  musica:  il  semplice  suono,  V  armonia,  e 
la  musica.  D  semplice  suono  io  lo  considero  come  una  sem- 
plice  tessitura  di  parole  d' una  lingua ,  le  quali  non  conten- 
gano veruna  idea  :  V  armonia  la  paragono  a  una  serie  di  pa- 
role giudiziosamente  rappresentanti  un  ragionamento;  la 
musica  nella  mia  idea  è  simile  ad  una  serie  di  parole ,  le 
quali,  ben  declamate,  sieno  atte  a  svegliare  i  sentimenti  del 
nostro  animo,  onde  la  musica  è  del  regno  armonico  l'elo- 
quenza. Non  so  se  quella  che  noi  chiamiamo  eloquenza,  ossia 
Tarte  di  suscitare  i  moti  dell'animo,  sia  universale  a  tatto 
Tuman  genere,  risguardo  ai  mezzi  che  adopera;  anzi  soo 
molto  disposto  a  credere  che,  sebbene  ogni   nazione  possa 
essere  commossa  da  un  eloquente  dicitore,  pure,  essendo  di- 
versificata in  mille  guise  la  sensibilità  de'  varj  popoli  per  la 
moltiplice  forma  di  legislazione  e  per  le  fisiche  differenze 
de' climi,  sotto  ai  quali  vìvono,  l' arte  dell' eloquenza  pare 
deve  variare  colla  sensibilità  degli  ascoltatori;,  e  benché  sia 
universale  e  immutabile  il  princìpio  di  quest'  arte  di  andare 
al  cuore  dell'uomo,  e  determinairlo  per  quel  mobile,  pure  i 
mezzi  per  giungervi  devono  modellarsi  sulle  varie  strade  che 
trovansi  aperte  in  ogni  nazione.  Si  fatte  dubitazioni  che  mi 
passano  per  la  mente  avrebbcr  bisogno  degli  aiuti  de'  viag- 
giatori; e  se  per  benefìcio  delle  cognizioni  umane  si  molti- 
plicassero i  Ghandin,  i  La  Calile,  i  Maopertuis,  i  La  Gondami- 
ne,  e  i  viaggiatori  in  lontani  paesi  preferissero  sempre,  come 
questi  benemeriti  uomini,  il  piacere  d' essere  eiatti  e  yen 
dici,  e  la  costante  fama  presso  ai  posteri,  alla  mal  intesa 
voglia  d' imporre  per  alcuni  anni  ai  loro  paesani  per  finire 
poi  tosto  0  tardi  discreditati  nel  mucchio  de' romanzieri,  al- 
lora ci  sarebbe  dato  l' esporre  non  solo  i  dubbj  che  un  po'  di 
filosofia  fa  nascere  nelle  menti,  ma  anzi  le  vere  e  dimostrale 
teorie  di  molti  importantissimi  oggetti,  tanto  più  sicure  quanto 
che  appoggiate  su  molti  fatti  inconcussi. 

La  musica  dnnqqe,  come  eccitatrice  delle  passioni,  ^ 
un'arte  la  quale  forse  è  universale  a  tutta  la  terra;  ma,  di- 
pendendo essa  dalia  diversa  catena  d' idee  delle  nazioni  di- 


LA   MUSICA.  129 

yerse,  deve  cambiare  di  mezzi  pel*  eccitar  le  passioni,  cam- 
biando ì  gradi  di  longitudine  o  di  latitudine.  Forse  quello 
che  io  chiamo  manca,  altro,  non  é  che  Y  occasione  per  cui 
noi  da  noi  medesimi  facciamo  nascere  le  passioni  che  a  lei 
attribuiamo;  forse  la  inusica  non  è  altro  che  quello  che  sono 
aleone  macchie  fatte  a  caso  sulle  pareti,  ovvero  alcune  nubi 
accozzate  pure  a  caso  nel  cielo,  nelle  quali  gli  uomini  d'im- 
maginazione più  agile  e  fervente  ravvisano  facilmente  ogni 
sorta  d' oggetti  esattamente  disegnati  per  la  pittura.  In  fatti 
come  mai  spiegheremo  noi  altri  quel  fenomeno  che  pure 
assai  famigliàrmente  vediamo  accadere,  cioè,  che  mentre  al- 
cuni, air  udire  il  medesimo  cantore  e  lo  stesso   suonatore 
d' istromento,  mostrano  i  trasporti  della  interna  sensibilità, 
e  ne' muscoli  della  fisonomia,  e  neir  inquietudine  del  loro 
corpo,  e  nelle  involontarie  acclamazioni  di  applauso,  o  quasi 
dimentichi  d'ogni  altro  oggetto,  tutti  assorbiti  e  incantati 
mostransi  dalla  magia  dell'  arte  ;  nel  tempo  stesso  alcuni,  al- 
tronde dotali  di  squisito,  di'  dilicatissimo  senso  nel  gustare 
e  distinguere  le  bellezze  e  i  difetti  delle  altre  arti,  immobili 
€  insensibili  ascoltino  quasi  per  compiacenza  la  stessa  ma- 
sica,  e  attentamente  notino  i  piccoli  difetti,  e  quelle  minime 
negligenze,  le  quali  talvolta  apposta  vi  si  lasciano,  acciocché, 
come  co'  tratti  aspri  del  pennello  posti  a  lor  luogo  si  ren- 
dono più  efficaci  i  tratti  finiti  e  dilieati  d'una  pietra,  cosi  av- 
venga nelle  dolcezze  e  maestria  della  musica  ?  Se  noi  divi- 
deremo gli  nomini  in  due  classi ,  una  degli  amatori  della 
musica,  l'altra  degli  indifiérenti  per  la  musica,  troveremo 
che  la  classe  de'  secondi  è  la  maggiore  ;  che  se  dagli  ama- 
tori della  musica  vorremo  levar  fuori  tutti  coloro  i  quali  sono 
ipocriti  in  musica,  e  fingono  di. trarne  diletto  per  ciò  soltanto 
cbe  credon  cosa  di  fino  gusto  il  farlo;  se  da  questa  classe  sot- 
trarremo pure  coloro  i  quali  per  pura  incitazione  altrui  si 
dichiarano  partigiani  della  musica,  pseudo-amatori  tutti  quanti 
i  quali  co'  loro  poco  giudi;iiosi  applausi  talvolta  innalzano  alle 
^elle  le  più  mediocri  cose,  ed  avviliscono  ì  professori  che 
liatmo  anima  e  affetto;  se,  dico,  da  questa  classe  vi  ai  tor- 
Tanno  tutti  coloro  che  non  meritano  di  esservi  annoverati  » 
troveremo  forse  che  assai  più  piccola  è  la  classe  di  quei 


130  LA   MUSICA. 

che  amano  la  magica  che  non  si  crede  comanemente.  Dal  che 
sempre  più  mi  confermo  nella  opinione,  che  il  soavissimo  dì- 
letto  che  cagiona  la  eloquenza  della  musica  col  moovere  de- 
liziosamente gli  affetti  deir  animo  nostro,  sia  un  diletto  total- 
mente fattizio  e  formato  dalla  artìfizipsa  flessibilità  che 
r  educazione  ha  data  ai  nostri  organi;  ma  perchè  l-  orìgine 
del  diletto,  che  fa  nascere  in  noi  la  musica,  non  sia  dipen- 
dente dalla  originaria  natura  delle  cose,  non.  è  perciò  ch'egli, 
poiché  è  prodotto  in  noi,  non  sia  un  vero  e  reale  diletto  cbe 
dolcemente  agita  le  anime  sensibili,  né  perciò  dobbiamo  noj 
averlo  men  caro;  e  mal  uso  farebbe  un  filosofo,  il  quale  sa 
quanto  saggia  sia  V  economia  dei  piaceri  innocenti  in  questa 
vlta^  della  ragione,  se  l'adoperasse  a  diminuire  la  sensibilità 
alla  musica  col  discoprirne  la  Vanità  intrinseca  dei  mezzi 
che  essa  adopera  per  eccitarla. 

Le  verità  di  questo  genere  vogliono  sempre  essere  troppo 
pagate;  ed  io  preferisco  que'  momenti  beati  d' un  soave  deli- 
rio che  di  tempo  in  tempo  provo  all'  udire  la  vera  musica, 
che  tutte  le  scoperte  de'  problemi  più  elevati  che  possono 
Carsi  sulla  naturaci  essa.  Io  potrei  stendenni  ben  lungamente, 
se  volessi  presentare  a'  miei  lettori  un  pomposo  corredo  di 
erudizione;  ma  tale  non  è  l' idea  che  mi  sono  proposta,  e  le 
opinioni  di  Platone  sulla  musica,  e  i  prodigj  del  teatro  greco, 
e  le  favole  della  virtù  sua  che  si  sono  sparse  per  la  medi- 
cina, e  simili  anticaglie  o  errori  non  fauno  al  mio  proposito. 

E  in  che  consiste  mai  la  magia  colla  quale  la  musica 
eccita  le  nostre  passioni  ?  Qual  è  l' arte  con  cui  può  sperarsi 
di  eccitarle?  Sono  questi  articoli  d' un  tal  genere,  che  è  più 
facile  il  sentirli  che  il  definirli  con  parole.  Io  provo  che  una 
voce  anche  sola  può  eccitar^  i  movimenti  del  mio  animo; 
io  provo  che  perfino  parlando,  siccome  vi  sono  de' suoni  di 
voce  che  riescono  disaggradevoli  al  mio  orecchio,  cosi  ve  ne 
sono  che  grati  moltissimo  li  ritrovo,  e  ciò  independentemente 
dalle  relazioni  eh'  io  posso  avere  con  chi  mi  parla  :  cantando 
poi,  questa  differenza  s'accresce  notabiUnente.  Osservo  che 
vi  sono  alcune  voci  naturalmente  appassionate,  le  quali,  poche 
noie  che  cantino,  bastano  a  togliere  il  mio  animo  dalla  ina- 
zione, e  imprimervi  i  dolci  movimenti  della  musica:  alcam 


LA  MUSICA.  131 

stromeoti  pure  riescono  appassionati  nataralmente  al  mio 
orecchio  ;  V  oboe  singolarmente.  Non  pretendo  io  già  che  lo 
stesso  accader  debba  presso  ogni  orecchio  disposto  per  la 
nasica;  dico  semplicemente  quello  che  accade  dentro  di  me; 
credo  bensì  che  ogni  orecchio  sensibile  distingua  le  voci  in 
appassionate,  e  in  non  appassionate.  Osservo  di  più,  che  le 
cose  più  semplici,  le  più  natarali,  sono  quelle  appunto  che 
fiiDoo  maggior  impressione.  Vi  vuole  neHa  musica,  come  nel* 
^architettura,  la  schiettezza,  la  nudità,  dirò  cosi,  dell'ordine 
toscano;  gli  ornamenti  gotici,  gli  arabeschi,  le  bizzarrie  am- 
massate e  sovraimposte  F  una  all'  altra  eccitano  ammirazione 
talvolta,  spessissime  volte  tedio,  non  mai  diletto.  Un'aria 
flebile  cantata  da  una  voce  appassionata  è  ben  difficile  che 
non  faccia  il  suo  effetto.  tJn'  aria  parlante,  dove  il  composi* 
tore  abbia  potuto  colpire  il  segno,  cosicché  la  modulazione 
<ie'  tuoni  rappresenti  naturalmente  quel  che  dicono  le  parole, 
sicDramente  riesce:  ma  si  tosto  che  le  voci  umane  prendono 
aspreggiare  cogli  usignuoli,  e  scorrere  su  e  giù  per  infinite 
scalette,  e  balzare  con  mortalissimi  salti  da' (noni  più  acuti 
ai  più  gravi,  e  tremolare  incessantemente  di  voce  con  una 
incostanza  che  appena  può  l'animo  porvi  mente,  allora  po* 
^  bensì  il  musico  aver  gli  applausi  de'  professori,  ma  diffi- 
cilmente dagli  uomini  sensibili  alla  musica. 

Io  distinguo  molto  il  giudizio  de'  professori  dal  giudizio 
^U  uomini  che  sono  particolarmente  affezionati  alla  mu* 
sica;  fra  i  primi,  la  maggior  patte  non  amano  il  lor  me- 
stiere che  per  il  bene  che  ne  ritraggono,  e  ^  forza  di  i^nder- 
▼isi  abituati  s' incalliscono  all'  azione  della  musica,  e  la  ri- 
scardano  come  quella  penosa  carriera  per  cui  forza  è  che 
s'affatichino  per  vivere;  osservo  di  più  che  i  difi^rentì  prò* 
f^Kssori  di  mn^ca  hanno  ciascuno,  o  per  la  scuola  a  cui  sono 
s^ti  formati,  ovvero  per  la  disposizione  primitiva  decloro 
^'Sani,  hanno,  dico,  ciascuno  il  loro  forte  e  il  loro  debole, 
^no  è  singolarmente- esatto  anche  nelle  più  scabrose  intona- 
zioni, un  altro  si  distingue  per  la  volubilissima  agilità,  un 
^Ro  riesce  singolamente  nel  brillante  di  alcuni  giri  di  mo- 
^Qlazione,  e  così  vadasi  dicendo  ;  quindi  i  professori  per  lo 
più»  anzi  che  abbandonarsi  senza  prevenzione  all'azione  della 


132  hk   MUSICA. 

musicale  di  giudicarne  daU* effetto  che  fa  neir animo  (il  che 
sogliono  gli  aomìni  sensibili  alla  musica  considerare  per 
r  unica  e  vera  pietra  di  paragone),  invece  esigono  dal  mu- 
sico quel  genere  di  maestria,  che  V  amor  proprio  ha  fatto 
che  preferissero  ad  ogni  altro. 

Non  v'  ^  cosa  che  faccia  più  pena  quanto  il  vedere  al- 
cuni compositori  di  musica,  i  quali  possedono  esattamente 
le  leggi  deir  armonia,  e  la  maneggiano  con  ogùi  destrezza, 
come  un  facitor  di  anagrammi ,  volgendo  e  rivolgendo  le 
consonanze  e  le  dissonanze  co'  piedi  ora  in  giù  ed  ora  ro^ 
vesciate ,  senza  cercare  nemmeno  la  strada  per  eccitare  le 
passioni  del  cuore,  e  senza  provocarle  mai;  e  questa  pena  poi 
si  converte  in  una  sorta  di  sdegno,  quando,  ascoltando  io  le 
loro  composizioni,  la  mia  immaginazione  supplisce,  e,  dando 
forza  alla  musica,  fa  nascere  in  me  quegli  affetti  che  il  com- 
positore non  conohbe  mai.  Pare  che  il  mio  amor  proprio  si 
offenda  che  un  nome  senza  perdere  la  tranquillità  si  prenda 
giuoco  della  sensibilità  mia  :  e  vorrei  che  per  agitarmi  l'uomo 
si  desse  almen  la  briga  di  agitar  prima  sé  medesimo.  Insom- 
ma io  trasporto  nella  musica  i  sentimenti  che  sono  comuni 
agli  amanti,  cioè  jl  desiderio  di  non  esser  solo  inquieto. 

Molte  cose  vi  sono  nella  musica,  le  quali  mi  sembrano 
affatto  inutili,  e  potrebbero  chiamarsi  pedanterie  musicali. 
Una  di  queste  si  è  il  trillo.  Ogni  periodo  di  melodia  deve 
avere  nella  penultima  nota  un  trillo  ;  ogni  aria  deve  termi- 
nare con  una  lunga  rivoluzione  di  voci,  ossia  cadenza,  e  nella 
penultima  nota  deve  avere  un  trillo.  £  qual  piacere  può  mai 
risvegliare  ne'  sensi  umani  quel  tremolare  di  voce,  e  quel- 
rincostante  oscillazione  d' una  nota  all'  altra  reciprocamente, 
che  chiamasi  trillo  ?  E  quand'  anche  potesse  in  alcune  occa- 
sioni servire  quest'  artificio  che  chiamasi  trillo,  ad  esprimere 
o  il  canto  dell'  usignuolo,  o  il  tremolar  delle  frondi,  o  simile 
oggetto,  come  mai  sarà  possibile  eh'  ei  desti  negli  animi  no- 
stri qualche  affetto,  se  ne  abusiamo  continuamente  facendolo 
diventare  un  metodico  finimento  di  tutt'  i  pensieri  musicali? 
Non  sd  se  le  cadenze  sieno  sempre  necessarie  al  fine  delle 
ariette,  anzi  credo  di  no  ;  ma  quando  anche  si  voglian  f^tre^ 
io  credo  che  possano  terminarsi  con  molta  grazia  anche  senza 


LA  MUSICA.  133 

il  trillo  con  ana  ben  situata  appoggiatura.  Io  so  che  le  voei 
ehe  vanno  sino  al  mìo  animo  sono  qodle  ehe  non  sono  né 
troppo  gravi  né  troppo  acute  ;  quelle  che  per  una  recondita 
eonnessione  deUe  mie  idee  mi  sembrano  appassionate;  quelle 
voci  le  qdali  sviluppandosi  descrìvono  una  curva,  cosicché 
non  mai  formano  angoli,  dirò  cosi^  né  urlano  mai  nel  mio 
orecchio;  io  so  che  il  mio  cuore  é  commosso  allorquando 
tma  di  queste  yoci,  ferma  e  non  tremolante,  scorre  dotee^ 
niente  su  yaij  mezzi  tuoni,  e  tocca  singolarmente  delle  corde 
minori  non  aspettate  da  me,  senza  che  ne'passilggi  d^nna 
voce  all'altra  Ti  sia  distacco  alcuno,  ma  anzi  yi  sia  una  bre- 
Yìsuma  si  ma  artificiosissima  strada,  la  quale  per  degrada- 
zioni insensibili  mi  trasmuti  un  tuono  coir  altro  senza  ch'io 
m'avveda  del  momento  in  cui  ciò  sia  fatto. 

Oh  quante  volte  accade  di  dover  dire  ad  alcune  arie 
quello  che  soleva  l' ingegnosissimo  autore  dei  Mondi,  il  sigtter 
Fonlenelle:  Mugica,  che  vuoi  tu?  S'ascc^tano  delle  arie  eccel- 
lentemente intaonate,  dette  con  una  prodigiosa  agilità,  con 
vna  perfetta  egaaglianza  di  corde  nella  voce,  con  esattissimo 
ngore  di  tempo,  con  trilli,  con  lunghezza  mirabile  di  cadenza 
senza  prender  fiato;  MuHea,  che  vuoi  tu?  Ancora  non  lo  so, 
se  non  m\  desti  nel  cuore  yémn  sentimento.  Io  ho  ascoltato 
delle  voci  afie  quali  non  si  poteva  rimproverare  verun  di- 
fetto; ma  il  mio  animo  faceva  loro  il  rimprovero  massimo, 
poiché  non  sentiva  nulla.  I  ballerini  da  corda  si  pagano  per- 
chè ci  faccian  maraviglia  ;  i  musici  si  pagano  perché  ci  mo- 
vano: eppare  la  massima  parte  de' musici  vuol  fare  da  balle- 
'ù»©  da  corda. 


n.  12 


134 


IIJUDI*  —  «•▼nuiÀ  Mmnmmh* 


Eravì  neU*  India  un  giovine,  rieco  dì  beni  di  forlwia, 
d' oUiaio  carattere^  il  di  cai  nome  era  Badi,  Questi  avea  sor- 
tito dal  cielo  OD  cuore  sensibile,  e.  un  animo  scbietto  e  sio- 
eero.  Se  per  virtù  intendete  uno  sforzo,  ei  non  era  vtrta^, 
^^ichè  tutte  le  azioni  le  più  benefiche  e  generose  era  aoii 
spinto  dal  suo  cuore  medesimo  a  farle.  Badi  era  il  pia  favo- 
revole interprete  deHe  azioni  degli  uomini ,  e  le  risguardava 
semiptre  dal  late  migliore  che  aver  potessero;  dolce  nel  suo 
iratto,  iM^ile  nelle  sue  idee ,  fedele  amico ,  generoso  citta- 
dino, ottimo  giovine  in  una  parola.  Al  corredo  di  queste  qoa- 
lite,  aya  ricca  sua  condizione,  s' accoppiava  l' elegania  del 
suo  aspetto,  da  cui  traluceva  la  bontà  e  dolcezza  del  suo  ca- 
rattere. V  educazione  ch'egli  aveva  ricevuta  nella  si^itudiie 
dei  Bracmani  V  aveva  già  iniziato  nella  sapienza  orientale; 
ed  era  sul  punto  di  cominciare  il  corso  della  vita  civile  en- 
trando neUiu  società  degli  uomini.  Badi,  prima  di  farle,  «  ri- 
tirò in  una  sua  villa,  per  riflettevo  agiatamente  alla  nuova 
situazione  a  cui  doveva  passare,  e  soegliere  quel  sisteoa 
che  gli  paresse  più  conforme  alla  ragione  ^  e  più  cenfaeente 
air  indole  4}ropria. — Io  sono,  diss'egU,  4;onscio  a  me  stesso  di 
non  avere  malignità  nel  mio  animo;  nessuna  parte  dei  miei 
afiètU  mi  farà  arrossire,  quantunque  sia  |>alc«e;  amo  a^r 
del  bene;  sono  incapace  ài  verun  tradimento:  perchè  doo- 
que  dovrò  io  dissimulare  quello  che  ho  nel  cuore,  cenae ta- 
luno mi  ha  suggerito?  Finga  chi  ha  ragione  di  nascondersi; 
io  non  ho  motivo  di  farlo.  Gli  uomini,  dicono  alcuni  che 
sono  esseri  cattivi:  forse  lo  saranno  quando  hanno  interesse 
dì  esser  tali,  come  il  leone  che  aiTamato  assale  V  uomo:  con 
me,  che  non  vo'  far  male  ad  alcuno,  e  che  voglio  anzi  far 
tutto  il  bene  che  posso,  qual  interesse  possono  mai  avere  di 
nuocermi?  Il  leone  pasciuto  vede  V  uomo,  e  lo  lascia  pel  soo 
viaggio.  Io  vo'dunque  essere  sincero  perfettamente:  qo^^ 
virtù  mi  concilierà  la  benevolenza  degli  nomini  ;  nessano  po- 
trà di  me  diffidare;  se  io  tratterò  gli  uomini  come  se  fossero 


BAOif  —  NOVELLA   IKOIAKA.  13d 

aniei,  essi  tratteraniio  me,  per  conseguenza,  da  ajnko* 
Id  mndo  efae  coloro  che  kannp  T  immagioazione  melanco 
Dica,  e  cbe  tanto  dìcon  male  della  specie  umana,  sieno  mal* 
trattati  perelié  essi  i  primi  non  sanno  essere  buoni  e  sinceri 
l 'serpenti  i stessi  non  fanno  male  se  non  sono  offesi  :  dir» uno 
eestaro  che  V  uomo,  questo  artificioso  animale  che  ha  saputo 
fabbricarsi  città,  inventar  Hague,  inventar  scrittura,  e  regi- 
strare in  un  vohmie  i  doveri  d' un  uomo  verso  un  altro  ri- 
dotti in  precetii,  debba  essere  men  heneOco  di  un  serpente Z 
La  cosa  è  chiara  che  quesia  diffidenza  è  un  sogno  d'una  nera 
faatasia*  Io  mostrerd  a  ehi  cosi  pensa,  che  basta  esser  veri- 
tièro e  boom^,  ma  esserto  decisameote,  per  essere  b^a  vo- 
lato dagli  QomÌBì.  — 

Tale  fu  il  ragionamento  presso  a  poco  che  fece  il  giovano 
Baia;  e  se  àe  veoae  alla  capitale,  risoluto  di  secondar  sempre 
i  moti  del  suo  buon  cuore,  e  soprattu^o  di  non  tradire  gem- 
mai larveriià.  Appena' ivi  iu,  che  molti  congiunti  ed  amici 
^'ennero  a  ritrovarlo  ed^  conoscerlo ,  giucche  da  mplt'anoi 
era  sialo  assente,  vivendo  nella  solitodine  de'Bracmani.  £i 
si  mostfd  cortese  e  buoaò  con  tutti.  Uà  suo  cugino,  ^deforme 
assai  d'aspetto:  Baàij  gli  disse>  io  m  coasolo  eoa  voi,  poi«- 
die  vi  y^o  formato  di  Q]»a  figura  che  deve  conciliarvi  la  he* 
nevolenaa  d'ognuno,— S  vero^  rispose  Badi,  ch'io  son  bello» 
ma  eie  non  basta  per  essere  caro  alle  persone  colle  quali  s'ha 
da  TiTcre.-*- Air  udire  siffatta  risposta  di  Bwiiy  tutto  il  eroe- 
Ohio  de'eoBgiuBti  e  degli  amici  volle  scoppiar  dalle  risa»  e 
Fon  dopoTaUro  se  ne  parti;  e  per  tutti  i  quartieri  della  città 
si  riaeppe  che  il  giovane  B<tdi  s*era  chiamato  da  sé  medesimo 
hello  ;  e  universalmente  si  cominciò  a  spargere  il  ridicolo 
sopra  di  lui.  Badi  ne  fu  inteso,  e  quasi  non  poteva  indursi  a 
crederiOb—U  mio  specoluo  mi  dice  che  la  mia  fisonomia  è  fatta 
come  le  fisonomie  che  »  chiamano  belle  :  ognuno  lo  vede» 
non  ò  cosa  nascosta  ;  perchè  donqim  non  potrò  vederlo  aa« 
ch'io?  e  se  r  ho  veduto,  perchè  non  potrò  dire  d' averlo  ve- 
duto? Se  fossi  g^>bQ,  direi  che  son  g^bo;  son  b<^lo,  e  dico 
che  son  belo;  nemmeno  perciò  muterò  il  mio  sistema.— 

Dovette  Y  indomani  presentarsi  il  giovane  ^oili  ad  un 
ministro  favorito  del  re:  lo  fece;  fu  accolto  con  singolare 


136  BADI,  —  NOVKLLA  UfDURA. 

benevolenza,  ebe  fé'  «tapire  tutti  i  cortigiani  circootaiiti  :  il 
ninistro  gli  disse  buon  giorno.  AW  adire  ona  distinzìoBe  si 
onorevole,  tatti  si  affollarono  intomo  al  giovine  Badi:  ognano 
volle  toccargli  la  mano;  ognano  lo  trovò  amaliile,  e  di  vn 
merito  singolare  ;  ognano  si  affrettò  a  cercare  la  di  lai.  ami- 
cizia ;  e  Badi  si  compis^cque  d' aver  ben  definiti  gli  aemini 
per  animali  innocni  e  baoni.  Passò  d'indi  AuitneU' appara 
lamento  della  moglie  del  favorito,  dov'era  già  precorsa  la 
notìzia  dei  graziosi ssimo  salolo  cbe  avea  ottenoto  Badi:  la 
signora  ricevette  la  riverenza  di-  Badi  con  nn  sorrìso  pieno 
di  bontà,  indi  gli  permise  di  sedere  in  circolo  cogli  altri.  Un 
cagnolino  della  signora,  frettolosamente  entrato,  ricevette  in 
giro  le  più  amorose  carezze  da  tutti  gli  astanti;  la  signora  lo 
amava  teneramente,  e  lo  cbiamava  il  sao  Lilii — Gbe  ne  dite. 
Badi,  disse  la  signora,  del  mio  LiUi? — Liniera  on  cane  mez- 
zanamente bello.  Badi  francamente  rispose: — Signora,  io  ne 
ho  vedati  di  più  belli  di  lai.— -Un  profondo  silenzio  si  fece  al- 
l'istante nella  stanza:  la  signora  morsicavasi  le  ]aMI>ra,  e  cia- 
scuno rimase  immobile  per  la  sorpresa.  Poscia,  rinvenuti  che 
farono,  si  parlò  di  varie  materie.  Badi  prese  commiato;  cia- 
scuno se  ne  andò  pe' fatti  saoi;  e  nella  città  si  sparse  la  no- 
vella della  inciviltà  di  BaéUy  il  quale  fu  giadicato  come  il 
giovane  il  più  stolido  e  brutale  che  si  fosse  mai  veduto  dopo 
la  creazione  del  mondo.  Un  buon  parente  volle  avvertirne 
Badi,  sebbene  Badi  medesimo  erasi  già  accorto  del  freddo 
accoglimento  che  dovunque  gli  veniva  fatto,  e  da  alcuni 
sorrisi  che  travedeva,  che  ropinione  pubblica  non  era  in  suo 
vantaggio.  Ma  questo  non  bastò  a  fargli  cambiar  sistema.  — 
No,  amico,  gli  disse,  io  vo' costringer  gli  uomini  a  forza  di 
candore  e  di  rettitudine  ad  amarmi.  — 

Pochi  giorni  dappoi  trovossi  in  casa  d'una  signora,  iUo- 
stre  per  nascita  e  per  beni  di  fortuna.  Era  ella  gianta  circa 
al  quarantesimo  anno  dell'  età  sua ,  e  conservava  tuttavia 
delle  memorie  della  passata  bellezza:  una  leggiadrisnma 
fanciulla,  la  di  lei  flglhi,  stavale accanto,  come  la  giovanetta 
Iride  si  dipinge  vicina  alla  maestosa  Gionone.  Un  urbani»- 
simo  cortigiano,  che  ivi  era  a  farie  visita:— Signora,  le  disse, 
vi  vuole  niente  meno  che  tutta  la  credenza  che  io  ho  in  voi 


BADI^ — NOVELLA  INDIANA.  137 

per  persuadermi  che  la  signorina  sia  veramente  figlia  vostra  , 
e  noD  sorella /e  sorella  gemella.  —  Che  ne  dite>  Badi?  sog- 
giuDse  la  signora;  vedete  se  i  cortigiani  sanno  adulare!  •— 
Sicaramente,  replicò  Badi,  e  d' una  adulazione  poco  nasco- 
sta. —  Il  viso  della  signora  impallidi,  poscia  s' infiammò;  le 
parole  si  perdettero,  sintanto  che  Badi  si  licenziò.  Ciò  por  si 
riseppe  nella  città;  e  Badi  fu  universalmente  riconosciuto 
eome  un  giovane  stolido,  malnato,  e  da  fuggirsi. 

Di  là  a  pochi  giorni,  un  poeta  venne  a  visitar  Badi  una 
mattina.  Badi  gli  die  un  ottimo  caffè  a  bere.  Poscia  TAganip- 
peo  con  nn  melato  complimento  cominciò  a  palesare  al  gio- 
vane Badi  la  stima  che  faceva  de'  talenti  di  lui,  e  Topinione 
che  aveva  del  di  lai  giudizio  assennato  e  sincero....  —  Oh  per 
siacero  non  dubitatene,  V  inlerruppe  Badi;  ma  per  assennato 
potreste  ingannarvi.  Ho  fatto  anch'  io  de'  versi  bene  o  male, 
ma  non  perciò  credo  di  poter  essere  buon  giudice. — Eccellente 
giudice  sarete,  o  signor  Badi;  ed  io  ne  son  tanto  sicuro,  che 
or  ora  vi  leggo  una  cosuzza  fatta  cosi  a  ghiribizzo  sopra  un 
certo  mio  collega.  Ascoltatela ,  e  ditemene  schiettamente  il 
parer  vostro. — Poi  cominciò  a  leggere  una  villanissiraa  satira 
piena  di  viluperj  e  di  sciocchezze,  che  cominciava  così,  tra- 
ducendola  in  nostra  lingua  : 

Ob  somaro  da  basto  e  da  cavez^  ! 
Oh  bestiaccia  spolpata  scarnata! 
Ve'cbeìio  mio  colpo  la  tua  nuca  spezza; 
Ve*  eh*  io  ti  meno  giù  alla  disperala 
Su  quella  nuca  tua  da  lunghi  orecchi 
Febea  onnipossente  sciabolata. 

£  così  proseguì  il  poeta  per  una  buona  mezz'  ora  con  una 
tessitura  di  parole  da  ubbriaco  cucite  felicemente  in  rima. 
E  poi  che  l'ebbe  finita:  —  Ebbene,  signor  Badi,  che  ve  ne 
pare?  M'avete  promesso  d'esser  sincero,  ora  mantenetemene 
la  parola.  —  La  manterrò,  rispose  Bcuii.  La  poesia  è  cat- 
tiva, cattivissima,  detestabile:  un  uomo  dabbene  deve  ver- 
gognarsi d'esser  poeta  in  tal  guisa;  ed  un  poeta  deve  arros- 
sire d' imbrattar  col  fango  della  satira  il  vezzoso  linguaggio 
della  poesia.  Il  poeta  rimase  assai  malcontento  di  Badi; 
parli}^S3nc,  disposto  a  fare  una  salirà  contro  di  lui. 

12* 


138  BADI, — NOVELLA  INDIANA. 

Varj  altri  sk  fatti  incontri  ebbe  Badi  nei  breve  corso  d'un 
mese,  che  io  tralascio.  Finalmente,  nn  vicino  ingiostamente 
gli  mosse  una  lite,  e  nel  tempo  stesso  venne  a  vacare  un 
posto  al  quale  poteva  aspirare  con  ragione,  poiché  nessuno 
aveva  più  diritto  di  Badi  ad  ottenerto  per  prìvilegj  deUa  sna 
famiglia,  e  per  le  disposizioni  sue  naturali  a  ben  esercitarlo. 
La  signora  di  qoarant'  anni  era  sorella  del  primo  presidente 
del  consiglio  di  giustizia;  il  poeta  era  famigliare  con  molti 
consiglieri  :  Badi  perde  la  lite.  La  moglie  del  favorito  del  re 
si  ricordò  del  sno  cagnolino;  dipinse  con  colorì  abbominevoli 
al  ministro  la  persona  di  Badi  :  il  posto  fu  dato  ad  altri.  Un 
sno  zio  venne  a  morte,  e  mosso  dal  discredito  pubblico  in 
cui  era  caduto  Badi,  lo  privò  della  eredità.  Cercò  Badi  una 
sposa;  tutte  quelle  che  potevano  convenirgli,  gli»  rifiutarono. 

Allora  Badi  ritornò  al  suo  casino  di  villa,  e  riflettendo 
alla  propria  situazione  ed  al  sistema  seguito  sin  allora: — Ah, 
disse,  io  ho  creduto  che  bastasse  non  offendere  essenzial- 
mente gli  nomini   neir  onore,  nella  libertà  o  ne' beni  per 
essere  accetto:  insensato  ch'io  fui!  e  la  gloria,  la  vanità, 
l'orgoglio  altrui,  perchè  mi  son  io  proposto  di  maltrattarli 
cosi?  A  che  giova  una  sincerità  che  umilia  l' amor  proprio 
altrui  senza  far  bene?  Che  crudeltà  è  stata  la  mia,  senza  av- 
vedermene,  di  frizzar  dardi  cosi  avvelenati  e  duri  nel  cuore 
degli  uomini!    Una  nuova  luce  risplende  agli  occhi  miei. 
Ogni  virtù  umana  dev'  essere  utile  agli  uomini:  ed  a  che  io 
è  stata  la  mia  eccessiva  sincerità?  Poniamovi  i  confini.  Io 
non  dirò  mai  il  falso,  ma  nemnAeno  dirò  tutte  le  verità.  Quelle 
che  umiliano  l'amor  proprio  altrui  senza  far  bene,  le  lacerò. — 
,  Cosi  stabili,  e  cosi  fece.  Ritornò  Badi  in  città:  ognuno  lo 
trovò  amabile;  nessuno  lo  riconobbe  quasi  per  quello  di 
prima:  si  appellò  della  lite,  e  la  vinse:  vacò  una  noova  ca- 
rica, e  l'ottenne:  chiese  una  sposa,  e  l'ebbe:  e  visse  tran- 
quillamente isuoi  giorni;  e  lasciò  scolpita  sulla  facciala  della 
sua  casa  questa  sentenza:  /  fanatici  sanno  far  cose  grandi, 
e  gli  uomini'  di  giudizio  san  viver  bene. 


139 


AICINI  PENSIERI  SULL'ORIGINE  DEGLI  ERRORI. 


Tre  gono  le  principali  sorgenti  de'  nostri  errori  :  F  ignor 
raDza  della  connessione  d'un  fenomeno  cogli  altri;  gli  stretti 
limiti  della  nostra  sensibilità;  e  T imparagonabili tà  delFesten- 
sione  coli'  intensione  delle  sensazioni  nostre.  Limitati  a  quei 
solo  nomerò  d'idee  che  ci  somministrano  i  sensi,  la  natura 
islessa  ha  allontanati  con  uno  spazio  insuperabile  da  noi  gli 
elementi  delle  cose,  ed  ha  circoscritta  la  sicurezza  de'  nostri 
giadizj  alla  sola  convenienza  o  disconvenienza  delle  idee 
nostre.  Non  parlo  io  perciò  di  quella  intima  connessione,  che 
forse  unisce  con  anelli  non  interrotti  la  universal  catena 
de' fenomeni  dell'universo;  ma  parlo  soltanto  di  quella  con- 
nessione, di  cai  il  tempo  ci  fa  nascere  Fidea,  onde,  costan- 
temente dopo  an  tal  fatto  veggendo  succederne  un  tal  altro, 
s'inventarono  i  nomi  di  cagione  e  d' effetto.  Se  le  azioni 
della  vita  non  si  dovessero  intraprendere  se  non  precedute 
dalla  evidenza  di  ciò  che  deve  succederne  dappoi,  noi  sa-^ 
remmo  gli  esseri  più  immobili  che  la  natura  abbia  riposti 
sQlla  terra;  tanto  ci  scostiamo  dalla  immobilità,  quanto  diamo 
alla  ventura.  La  indispensabile  necessità  di  agire  ci  costringe 
ai  ricorrere  ad  un  nuovo  genere  di  evidenza  pratica,  la  quale 
propriamente  è  una  probabilità  fortissima,  di  curie  prove  non 
le  abbiamo  che  dalla  spérienza  della  successione  d' un  feno- 
meno air  altro.  Questa  sperienza,  in  alcuni  più  vasta  e  ordi- 
nata, in  altri  più  ristretta  e  confusa,  cagiona  una  diversa 
disposizione  all'  errore;  e  quanto  è  maggiore  il  numero  dei 
fenomeni  che  conosciamo  uniti  per  questa  connessione,  chia- 
mata cagione  ed  efletto,  tanto  minore  è  la  probabilità  che 
abbiamo  di  esporci  alF  errore. 

Provengono  gli  errori  nostri  altresì  dai  limiti  ristretti 
della  sensibilità  nostra;  la  quale,  o  spossata  talvolta  e  man- 
cante d'energia,  leggermente  reagisce  sugli  oggetti  che  col- 
piscono i  sensi,  ovvero  fortemente  percossa  ed  assorbita  da 
un  solo  fantasma  vincitore ,  gli  altri  non  vede  che  appanna- 
ti» e  con  mal  definiti  contorni:  nel  primo  caso,  ella  trovasi  su 


140  ALCUNI  PENSIERI   SULL'ORIGINE  DEGLI  ERRORI. 

qualcaoo  di  qae' gradi  intermedj  che  accostano  al  sonno; 
neir  altro,  salla  strada  che  conduce  al  delirio. 

Finalmente  l' imparagonabilità  dell'  estensione  colla  in- 
tensione delle  sensazioni  nostre  è  cagione  de' nostri  errori;  e 
su  di  ciò  non  ho  veduto  alcuno  che  vi  abbia  fatta  osserva- 
zione. La  vita  6  una  serie  di  momenti  più  o  meno  prolunga- 
ta, quanto  sono  più  o  men  distanti  i  due  punti  dalla  prima 
sensazione  all'  ultima;  ma  sebbene  questa  serie  sia  non  mai 
spezzata,  e  si  combacino  con  somma  adesione  tutti  gl'isfaDli 
per  modo  che  non  ci  venga  dato  sentirne  la  divisione,  con 
tutto  ciò  il  momento  attuale  è  talmente  diviso  dal  passato  e 
dal  venturo,  quanto  è  diversa  una  cosa  che  esiste  da  una 
cosa  che  più  non  è,  o  che  abbia  soltanto  la  possibilità  di  es- 
sere. Forse  fra  le  combinazioni  fìn  ora  accadute  non  si  son 
date  due  foglie  perfettamente  uguali,  o  due  momenti  perfet- 
tamente uguali.  Il  senso  della  nostra  esistenza  forse  manca  di 
quella  precisione ,  che  ci  sarebbe  d'  uopo  per  renderci  od 
conto  esatto  in  tal  proposito.  L' uomo  è  paragonabile  ad  un 
tiume  diverso  ad  ogni  istante ,    sebben  conservi  V  istesso 
aspetto.  Da  ciò  ne  segue  che  V  intensione  e  la  durata,  sia 
de' beni,  sia  de' mali,  sono  quantità  incommensurabili,  e 
perfettamente  eterogenee  nell'animo  nostro;  e  mentre  il 
freddo  calcolatore  uguaglia  una  sensazione  breve  e  forte  con 
una  più  mansueta  e  prolungata,  l'uomo  le  trova  disegnali; 
poiché  tutto  lo  spazio  della  durata  è  nello  scritto  del  geome- 
tra una  quantità  che  esiste  contemporaneamente  alla  quan- 
tità d'intensione:  sono  elleno  altrettante  figure  da  quattro 
Iati  rinchiuse  fra  paralelle,  altre  più  in  Lungo  prodotte,  altre 
più  vicine  a  sé  stesse  in  ogni  loro  parte,  ma  tutte  compren- 
denti un'  aja  eguale.  Ma  l' uomo,  che  deve  scegliere  fra  due 
sensazioni,  vede  ammucchiala  l'una,  e  da  portarsi  tutta  nel 
momento  che  segue;  e  dell' altra  non  se  gli  presenta  che  il 
capo  assai  meno  voluminoso  e  più  maneggevole.  L'igno- 
ranza comune  de'principj  delle  cose  e  delle  venture  combi- 
nazioni somministra  sempre  qualche  grado  di  probabilil^ 
d'ogni  parte;  e  questa  tanto  più  s'accresce,  quanto  lo  spazio 
viene  protratto;  ed. ecco  l'uomo,  che  ingordamente  divo- 
rando il  piacere  più  intenso,  e  allontanandosi  con  ribrezzo 


ALCUNI  PBNSIBBI  SULL' 0KI61NE  DEGLI  ERRORI.  141 

dal  più  intenso  dolore,  si  giUa  in  braccio  ai  mali  che  da 
principio  meno  l'offèndono,  qualunque  poi  esser  debba  la  loro 
durata. 

Da  ciò  ne  segue  cbe  il  calcolo  della  durata  e  intensione 
de' beni  e  mali,  sebben  giustissimo  per  definire  il  grado  di 
felicità  di  ogni  essere,  non  ò  però  quello  che  presiede  ai  gin- 
dizj  dell'  nomo. 


tiijftì  RimcoiiO. 

11  talento  di  rendere  nn  oggetto  ridicolo  è  propriamente 
Ifarte  d'interessare  quella  porzione  di  malignità^  che  sta  ri- 
posta quasi  sempre  in  qualche  angolo  del  cuore  degli  uomini, 
contro  l' oggetto  che  cerchiamo  tii  far  cadere  in  discredito. 
V  è  già  chi  ha  fatto  vedere  che  il  riso  non  viene  um»  sol 
labbro  dell'  nomo^  se  non  quando  ei  fa  qualche  confronto  di 
sé  stesso  con  un  altro  con  proprio  vautaggio;  e  che  il  riso  è 
il  segnale  del  trionfo  delF  amor  proprio  paragonato.  Quésta 
proposizione  deve  sembrare  un  paradosso  a  ehionque  la  legga 
perla  prima  volta,  e  tale  sembrò  a  me  pure:  ma  chi  è  capace 
di  contenzione  e  di  seguir  le  tracce  de' movimenti,  anche 
dilicati,  della  fM'opria  sensibilità,  vedrà  grado  a  grado  verifi- 
carsi questa  teorìa  eziandio  ne' casi  ne'qaali  sembrali  riso 
la  più  innocente  e  disinteressata  sensazione  di  ogni  altra. 
Crescerà  il  paradosso  al  bel  princìpio,  se  si  rifletta  come  gli 
aomìni  i  più  umani  e  benefici  sieno  per  Ip  più  coloro  i  quaK 
più  sovente,  e  di  cuore,  come  sogliam  dire,  si  lasciano  mo- 
vere al  riso;  e  per  lo  contrario  assai  più  incalliti,  e  occulti, 
e  capaci  di  cabale  e  raggiri  sieno  coloro ,  solla  fronte  de' quali 
0  di  raro  o  non  mai  compare  la  giocondità  e  il  riso.  Ciò  av- 
viene, cred'  io,  perchè  l'uomo  non  è  malvagio  giammai  gra- 
(nttunentey  e  tanto  minore  invito  ha  per  esserlo  quanto  meno 
ò  infelice^  e  come  gli  uomini  quanto  a  più  alta  e  indipen- 
dente autorità  sono  innalzati ,  tanto  più  generosi  sono  e  buo- 
ni, non  restando  ad  essi  più  altro  a  bramare  che  la  lode  e 


142  SUL  BIOIOOLO. 

l' amere  de' loro  simili,  cosi  quegli  ai  qoali  é  stato  daAo  sn 
feliee  temperamento,  e  dwi  neVcontinai  cenfroiiii  cbe  temo 
di  sé  stessi  cogli  altri  sono  beneficati  dalla  natora  a  segno  di 
pet»  sempre  decidere  favorevefanenle  per  loro  stessi,  altro 
più  non  <lesideffaB0  che  d' ottenere  anco  V  amere  di  quelli 
su.  i  quali  ottengono  tante  vittorie.  Moltissima  delioatezza 
d' ingegno  e  ylvacilà  d' immaginazione  rìchiedesi  in  chiun- 
que ricerchi  di  ben  maneggiare  la  sferza  del  ridicolo;  poiché 
si  tratta  di  solleticar  destramente  l'amor  proprio  degli  nomi- 
ni, e  risvegliare,  senza  che  essi  pur  se  ne  avveggano,  le  più 
care  e  inseparabili  loro  passioni  a  combattere  con  noi.  Fra 
cento  che  aspirano  all' onore  di  ben  riuscirvi,  forse  due  o  tre 
vi  riescono,  e  la  maggior  parte  degenera  o  in  basse  e  plebee 
contumelie,  ovvero  in  ricercate  e  fantastiche  allasìeni,  che 
risvegliano  tutt'al  pia  mo  imprestato  sorriso  di  cMiveniloae 
dagli  astanti,  non  un  sorrìso  che  patta  dalla  vera  compia* 
cenza  del  cuore.  Taluno  vnel  porre  in  ridicolo  un  giovane 
nobile»  ricco,  voluttuoso  e  spensierato;  e,  per  ciò  fare,  me  lo 
descrive  superbamente  vestito,  e  /eirconéalo  n^ta  persona  di 
tutta  la  pMi  squisita  elegaoza  che  sappia  inventate  svile  rive 
della  Senna  l'ultimo  raffinamento  del  lusso:  l'aria  eh'ei  fende 
è  imltatoamata  da  profumi  deliziosi  che  spirano  dal  suo  corpo 
che  aonr  sembra  mortale;  ei  discende  le  scale  dopo  aver 
ricevuto  i  servigj  e  gli  omaggi  di  una  schiera  di  salariati 
adulatori;  si  gitta  entro  un  dorato  coechio  moUeneate,  e  pre- 
creduto  da  riccamente  gallonati  lacchè  rapidamente  percorre 
le  strade  della  città,  che  lo  dividono  dalla  sua  bella,  dove 
riceve  l'accoglienza  la  più  distinta.  Dico,  che  colui  che  per 
questa  strada  prende  a  maneggiare  il  ridicolo,  manca  di  gio- 
dlzip  per  ben  maneggiarlo,,  poiché  nessono,  facendo  il  con- 
fronto di  sé  medesimo  colla  pittila- di  quel  ganimede,  potrà 
mai  sinceramente  sentire  hi  superiorità  propria  sopra  di  esso, 
né  ridere  di  ci^ore  per  conseguenza.  Il  solo  sentimento  che 
da  pittare  si  bene  espresse  può  nascere  è  il  desiderio  di  po- 
ter fare  altrettanto.  Io  a  quel  tale  diiei:  volete  voi  porre  io 
ridicolo  quello  sventato  dissipatore  de' suoi  beni?  dipingetelo 
in  un  dialogo  col  mercante  creditore;  dipingetelo  occupato 
di  mille  bassissimi  intrighi  e  cabale  in  secreto  per  racco* 


SOL  IIDICOU).  143 

gliere  con  cbe  sosiMMre  il  fusto  appàreDte;  dipingetolo  in 
coiiv^rsaskmc  con  m  uomo  di  «pirito,  che  rHe?a  e  sferza 
le  wioediezzfli  die^scoiio  dsila  becca  di  imo  stordito,  e  non 
«  «rresteao  neHa  gola  quand'anche  avesse  un  i»rillanle  ogni 
dikj,  cento  hbbre  4i  ricamn  stiU'ahìto,  e  dieci  staffieri  nel- 
rMrticamera  :  questa  è  la  strada  per  cui  potrete  fame  una 
piUera  tele,  che  i  circostanti,  confrontandota  a  sé  stessi,  la 
tfoviae  posfK)BÌbile,  e  ne  ridano,  e  si  compiacciano  con  voi 
del  trioDffo  che  avete  dato  al  loro  amor  proprio,  atterrando 
OD  oggetto  che  con  dispiacere  vedevano  pia  aUo  alzarsi  del 
loro  livello.  Oltre  q«esta  maligaiià,  ne  nasceri  anclie  nn  utile 
eeatimeato,  per  cai  si  modererà  in  altri  la  vogHa  d'imitare 
qoel  bnHanle  e  vuoto  originale;  e  conoscendo  che  H  fasto  e 
bprofBsi^ie  non  fasuo  mai  nascere  negli  uomifii  quei  sentii 
nenti  di  stima  che  producono  la  virtù  e  I*  ingegno,  e  cono- 
weiMbafoai  duri  passi  oondacano  la  spensieratezza  e  la  tra^ 
iiearafiza  d'una  nobile  economia,  «i  volgeranno  a  cercare 
altrove  migliori  osgelti  d'invidia,  e  cercheranno  di  formarsi 
bnonl,  virtuosi  e  illuminati  cittadini.  Questa  è  la  strada  che 
ceavien  battere,  direi  a  <jQel  tale.  Dunque  la  prima  massima 
per  ben  osare  idei  ridicolo  si  è  quella  di  non  cercare  mai  di 
i9)argerlo,  se  Bon  sa  gli  oggetti  che  gli  nomini  possane  Irò- 
we  posponibili  nel  nascosto  confrei^  fcfae  lénae  con  essi 
^;  altrimenti  la  malignità  umana,  che  non  perde  mai 
l'ooeasiotie  di  lare  lult'i  o^fronti  consalanti  che  può,  ren- 
derà ridicolo  r  inesperto  maneggiatore  del  ridicolo  istesso. 
Un'altra  oéservazione  {Mire  è  necessario  di  fare  prima  di 
gettare  il  ridio(^  sopra  un  oggetto;  ed  è  ch'ei  non  sia  per 
<è  medesifiio  presentato  in  guisa  di  eccitare  in  noi  qualche 
forte  emozione.  Alcuni  ineaperti,  per  voglia  d'avene  il  nome 
^Msai  pertcojieao  di  mett<^atori,  disnmanamente  irkzano  i 
loro  sali  «entro  on  miserabile  che  viene  ^fìroatato  per  mano 
del  earnefìise  per  hi  mttà.  Ciò  vuol  dire  propriamente  sovver- 
tire Ipilneipj  della  morale  umana,  e  pretendere  che  taccia 
nel  cuore  degli  uomini  il  benefico  sentimento  di  copf  arnione 
verso  un  infelice  esposto  al  pubblico  vilipendio,  sen&hnento 
cbe  ogni  cuore  non  indurito  e  non  iorastiero  alla  virtù  deve 
provare.  (Mi  dicasi  di  chi  cerca  di  porre  in  ridicolo  la  pre- 


14.4  SCL  BIDICOLO. 

potenza,  la  venalità  dei  giodici/il  tiadimento,  e  simili  pia^ 
gfae  della  società,  le  quali  an2i  che  dar  luogo  a  quel  leggiero 
vantaggiò  che  il  confronta  di  noi  con  essi  fti  nascere,  allor- 
ché sorridiamo,  eccitano  in  vece  Fabbominazione  e  lo  sde- 
gno d'ogni  cuore  non  corrotto.  Conviene  dunque  che  l'og- 
getto che  si  sceglie  per  rendere  ridicolo,  sia  soltanto  capace 
di  eccttàre  in  noi  quella  emozione  che  chiamasi  invìdia;  e 
che  destramente  ei  ci  venga  rappresentato  per  modo  che  co* 
nosciamo  d' avere  indebitamente  provato  noi  per  V  addietro 
il  penoso  sentimento  dell'invidia,  che  anzi  sentiamo  noi 
stessi  a  lai  preferibili;  il  che  non  si  ottiene  si  tosto  che  l'og- 
getto per  sé  medesimo  ecciti  in  noi  le  forti  emozioni  di  com- 
passione, 0  dì  ribrezzo,  o  simili.  Conviene  di  più,  che  il  ridi- 
colo cada  sopra  oggetti  che,  come  èissl,  abbiano  oflfeso  il 
nostro  amor  pròprio  in  qualche  guisa;  perciò  non  riuscirà  mti 
a  far  ridere  davvero  i  suoi  lettori  colui  che  pone  lor  davanti 
gli  occhi  costumi  da  essi  mal  conosciuti,  ovvero  ad  essi  af- 
fatto indifferenti.  Un  errore  di  calcolo  de' più  grossolani  fatto 
da  un  algebrista  non  farà  mai  ridere  gli  uomini  di  mondo,  tà 
un  nastro  anche  giallo  posto  su  un  abito  nero  non  farà  mai 
rìdere  un'accademia  di  scienze.  H  vezzo  poi  del  ridicolo, 
scelto  che  s'abbia  bene  il  soggetto,  sì  è  qodlo  di  dipingerlo 
verisimilmente  ed  in  caricatura,  ma  con  una  tranquillità 
d' animo,  e  con  una  pace  si  calma,  che  non  trapeli  nel  mot- 
teggiatore vemn  fiele  che  a  ciò  fare  lo  s{»Dga.  Il  ridicolo 
vuole  della  malignità  bensì,  ma  di  quella  che  viene,  per  così 
dire,  a  fior  d'acqua,  non  già  di  quella  viziosa  e  nera,  che 
resta  nel  fango,  e  di  cui  sono  composte  le  anime  atrabiliari,  e 
perverse.  Ogni  onesta  persona  si  adegna  tosto  che  il  ridicolo 
diventa  maldicenza  assoluta,  ovvero  discende  in  bassezze  e 
scurrilità.  Nulla  pia  piace  alle  genti  non  affatto  grossolane, 
quanto  una  sorta  dì  decenza  e  di  nobile  eleganza  in  tutto; 
queste,  se  non  sono  viriù,  sono  almeno  qualità  che  le  accom- 
pagnano caramente.  Il  talento  di  ben  maneggiare  il  ridicolo 
è  una  qualità  che  se  non  fa  amare  un  uomo,  è  però  cagione 
che  per  timore  si  finga  d'amarlo.  Gli. uomini  sono  in  una 
serie  di  contraddizione  ne'ioro  sentimenti  verso  grillastri 
motteggiatori:  sentono  la  gratitudine  verso  di  essi  per  tutte 


SOL  HIOICOLO.  145 

le  vittorie  che  il  loro  amor  proprio  ha  ottenute  per  mezzo 
loro;  ma  nel  tempo  stesso,  temendo  di  non  restame  altresì 
la  vittima,  ed  essendo  il  timore  ana  disaggraderole  sensazio- 
ne, come  ognuno  sa ,  odiano  chi  in  essi  la  produce.  Io  però 
non  sono  ancora  ben  persuaso  per  rispondere  a  chi  mi  richie- 
desse se  il  talento  del  motteggio  sia  ntile  o  no  alla  società. 
Conosco  che  il  flagello  del  ridicolo  è  nna  delle  più  possenti 
eorrezioni  che  si  diano  per  i  difetti  degli  nomini,  ma  v«do 
altresì  che  il  medesimo  flagello  pnò  essere  il  più  crudele  sup- 
plieio  per  atterrire  l'uomo  di  genio,  e  costringerlo  a  restare 
nomo  volgare.  Nelle  società  dove  gli  uomini  siano  molto  in- 
clinati dalla  educazione  a  slanciare  ed  a  temere  il  ridicolo, 
io  osservo  che  molto  raffinamento  v'ò  negFingegni,  ma  que- 
sta nniyerssde  coltura  non  va  accompagnata  dalla  produzione 
dì  quegli  ingegni  feraci  e  sublimi,  che  osano  cariare  le  grandi 
verità,  ed  avventarsi  alla  folta  nebbia  entro  oui  stanno  ripo- 
ste; io  noni  vedo  in  esse  quei  felici  ardimenti  che  si  slan- 
ciano al  di  sopra  del  livello  della  mediocrità.  Farmi  che  il 
ridicolo  stuzzichi  gli  uomini  inferiori  alla  mediocrità  a  giu- 
gnervi,  e  prema  sul  capo  ai  vigorosi,  acciocché  non  Toltrepas- 
Bino.  In  fatti ,  la  ragione  e  la  sperienza  ci  provano  egualmente 
che  r  uomo  allora  soltanto  è  capace  di  ergersi  a  qualche 
grande  oggetto,  qualora  egli  abbia  di  esso  la  mente  e  l'anima 
ripiena,  e  siane  come  assorbito  interamente;  cosicché  poca 
0  nessuna  attenzion  ei  faccia  a  tutta  la  innumerevole  folla 
^eglt  ulOcj  e  delle  cure  che  occupano  periodicamente  il 
^^ggior  numero.  Ora  un  tal  uomo  deve  per  una  indispensa- 
bile incolpabilità  presentare  il  fianco  disarmato  al  ridicolo: 
che  se  da'  primi  anni  sia  già  piegato  a  temerlo,  forz'  é  ch*ei 
contrapponga  questo  timore  a  quel  felice  entusiasmo  che  lo 
porterebbe  al  grande,  e  la  forza  di  esso  o  si  estingua  o  per  lo 
meno  si  elida,  cosicché  si  pieghi  alla  condizione  degli  uomini 
volgari.  Non  v'é  cosa  più  facile  che  il  gettare  il  ridicolo  sulle 
azioni  d' un  grand'  uomo,  se  a  lui  si  avventi  prima  che  la 
N>blica  estimazione  lo  abbia  cinto  di  quella  sacra  nebbia 
in  cui  Venere  ascose  il  Trojano  per  guidarlo  sicuro  in  Carta- 
gine. L' uomo  capace  di  grandi  cose  forz'  é  che  degli  oggetti 
che  gli  agflano  la  mente  ne  parli  con  nna  energìa  proporzto- 
II.  15 


146  SUL  BOHCOLO. 

nata  al  fientimeiiio  clie  ne  ha  grandissimo;  ed  ogni  idea  on 
po'  gigantesca,  per  poeo  «he  tv  la  spinga,  facilmente  la  tra- 
sporti entro  ai  confini  del  ridicolo.  Io  osservo  ohe  le  naziau 
d' Europa,  le  qaali  lampeggiano  sopra  le  altre  per  la  gloria 
degl'ingegni  e  delle  armi,  sono  forse  quelle  nelle  qnali  il  ri- 
dicolo ha  minor  porzione  nella  vita  civile.  Osservo  pare,  che 
dovunque  la  celia,  il  motteggio,  ossia  il  ridicolo  sono  ia 
onore  singolarmente,  ivi  il  cuore  e  i  dolci  sentimenti  d'una 
reciproca  fidanza  non  possono  aver  laogo  in  conto  alcuno,  e 
con  ciò  vien  posto  un  argine  insaperabile  alle  più  dolci  e  vir- 
tuose corrispondenze  sociali.  Convìen  distinguer  bene  doe 
cose  separatissìme,  e  sono  la  gioia  ed  il  ridicolo:  una  na- 
zione clw  halli,  canti,  beva,  e  passi  il  suo  tempo  festosamente, 
non  è  perciò  una  nazione  di  motteggiatori.  Anzi  dirò  cbe 
ogi^i  società,  in  cui  si  faccia  studio  di  spargere  il  ridicolo, 
deve  per  necessità  essere  fredda,  circospetta  e  triste,  né  mai 
può  gustare  la  gioia  vera  e  sincera ,  la  quale  esige  la  libertà 
del  cuore  e  la  sicurezza  d'ognuno.  Nella  Camera  de'Gomoni 
di  Londra  un  cittadino,  animato  della  felicità  e  della  gloria 
della  patria,  arringava  per  una  deliberazione  che  stavasi  per 
prendere:  nel  maggior  fervore  della  sua  eloquenza  avveaDS 
che  gli  cadde  la  parrucca  a  terra.  Ognuno  sa  quanto  sia 
numerosa  la  Camera  de' Comuni  d'Inghilterra;  neppure 
un  sorrìso  svegliò  quest'effetto  della  gravità:  il  cittadioo 
riprese  la  parrucca,  se  la^  ripose,  e  prosegui  il  discorso 
senza  che  alcuno  avesse  fatto  nemmeno  cenno  d'accorgersi 
d' un  accidente  ri  naturale  e  si  frìvolo.  Io  eredo  che  aa 
filosofò  viaggiatore  avrebbe  da  questo  solo  fatto  potuto  cal- 
colare qual  8Ì9  la  forza  politica  dell'  Inghilterra.  U  rìso  ò 
una  convulsione  privativa  dell'uomo,  e  che,  per  quanto 
sappiamo,  la  natura  non  ha  concessa  a  veron  altro  animale, 
giacché  non  basta  il  raggrinzamento  d' alcuni  muscoli  del 
volto,  per  cui  sollevisi  il  labbro  superiore,  e  mostrinsi  i  denti, 
perchè  dicasi  uno  ridere.  I  viaggiatori  ci  dipingono  i  popoli 
dell'Asia  come  n^ioni  presso  l^e  quali  è  sconosciuto  il  ridare, 
almeno  qnel  rìdere  sonoro  e  smascellato  che  praticasi  da  noi; 
sensazione  eh' io  non  so  bene  se  debbasi  anzi  ripone  fra  le 
piacevoli,  ovvero  fra  le  dolorose,  massimamente  per  la  lassi- 


8DL  UDICOLO.  147 

Mine  clie  laseìa  dqpo  di  sé.  Io  so  che  Tiionio,  dopo  un- rìso 
ebe  sia  alquanto  durato ,  trovasi  tristo  ed  abbattuto  potente- 
mente: so  pure  che  il  sublime  del  diletto  che  provasi  nella 
società  é  quello  che  sì  manifesta  con  un  sincero  sorriso,  e  che 
accrescendosi  questo  movimento  al  di  là,  degenera,  e  lascia 
TDota  il  cuore.  Troppo  mi  dilungherei  se  m'abbandonassi  a 
queste  idee;  serviranno  elleno  per  un  altra  Foglio;  per  ora 
coneludo  cosi:  i  vantaggi  che.  porta  alla  società  il  talento  di 
spargere  il  ridicolo  si  restringono  a  correggere  non  i  vizj 
degli  uomini,  ma  bensì  i  loro  difetti;  e  questi  difetti,  per  la 
maggior  parte,  sono  talmente  inseparabili  dalle  buone  qualità 
essenziali ,  che  togliendoli  bene  spesso  si  corre  pericolo  di  to- 
gliere insteme  quelle.  I  mali  die  l'uso  del  ridicolo  fa,  impe- 
dendo i  progressi  dei  talenti  e  della  generosa  virtù ,  sono  mas- 
siim,  a  parer  mio.  Per  ciò  asserisco  che  questa  sorta  di  pirite 
è  opposta  alla  pnbblica  felicità. 


SVIiIiA  FOBTIJIVA. 

Ogni  nazione,  ogni  secolo,  ogni  uomo  parla  della  fortu- 
na» e  ne  parla  quasi  come  di  un  essere  esistente  da  sé,  a 
cui  attribuisce  i  ^mminili  difetti  di  volubilità,  di  capriccio, 
e  talvolta  persino  di  amicizia  singolare  per  la  giovinezza,  e 
di  avversione  per  l'età  matura.  L'uomo,  naturalmente  incli- 
nalo ad  attribuire  agli  oggetti  che  son  fuori  di  lui  i  movimenti 
che  prova  in  sé  stesso,  e  perciò  spinto  facilmente  alla  poesia 
cimatrice  d'ogni  essere;  l'uomo,  che  non  regge  al  delicato 
esame  de' minutissimi  fili  che  uniscono  i  fenomeni  l'uno  coi- 
l'altro,  se  non  per  una  fattizia  organizzazione  d^idee,  e  che 
perciò  tutti  gli  oggetti  che  immedialamente  non  si  succedo- 
no crede  indipendenti  l'uno  dall'altro;  l'uomo,  fatto  in  som- 
^^  quale  egli  è,  deve  personalizzare  la  successione  dei  fe- 
nomeni dell'universo,  e  chiamarìa  poi  con  qualche  nome,  e 
il  nome  che  le  diamo  noi  è  la  Fcrtuna.  Le  sètte  antiche  di 
coloro  che,  forse  per  la  distanza  in  cui  sono  da  noi,  godono 


148  SULLA  FORTUNA. 

tsttora  il  nome  di  filosofi,  in  gran  parte  applaudirono  a  que- 
sto yolgar  modo  di  ravvisare  gli  oggetti,  e  gli  stoieì  ed  i  pla- 
tonici rìsgoardarono  la  Fortuna  come  un  essere  o  un  genio 
distinto;  e  sebbene  la  scuola  di  Epicuro  sembrasse  scostarsi 
alquanto  da  questo  popolare  metodo  d'immaginare,  pure  Lu- 
crezio la  rìsguarda  come  una  potenza,  ovvero  forza  nascosta 
che  calpesta  i  fasci  e  le  scurì  consolarì: 

Usque  adeo  res  humanas  vis  abdita  qUiBdam 
ObUrU,  et  pulchros  fasces  soRvasque  securet 
Froculcare  et  liniihrio  sibi  hab^re  videtur, 

LiJ).  V. 

Se  per  altro  ricerchisi  la  vera  definizione  di  questa  voce 
Fortuna y  non  trovasene  altra  che  questa:  Ignoranza  della 
eoneal^Muione  degli  oggetti  che  influiscono  immetHatamente  su- 
gli uomini.  Nò  credasi  superfluo  il  circoscriverla  ai  soli  og- 
getti che  influiscono  immediatamente  sopra  di  noi;  poiché 
nessun  fenomeno  the  non  abbia  una  immediata  influenza  so- 
pra Tuomo  viene  da  esso  attribuito  alla  Fortuna,  sebbene  ne 
ignori  la  cagione.  Con  una  mano  getto  un  dado ,  coll'altra  ob 
globo:  l'uomo  volgare  non  dirà  che  il  globo  siasi  posto  in 
quiete  al  tal  determinato  sito  per  opera  della  Fortuna,  ed  at- 
tribuirà alla  Fortuna  che  a  un  tal  determinato  sito  stasi  posto 
in  quiete  il  dado:  nessuno  attribuirà  alla  Fortuna  oh^  un  fiocco 
di  ^eve  cada  più  alla.sua  destra  che  alla  sinistra,  e  attriboirà 
alla  Fortuna  6e  cade  più  alla  destra  che  alla  sinistra- una  carta 
da  giuoco;  eppure,  come  le  leggi  del  moto,  benché  scono- 
sciute, paiono  sufficienti  anche  al  volgo  per  (cagionare  gU  ani 
di  questi  fenoi^eni ,  cosi  potrebbero  sembrar  buone  anche  ad 
appagarlo  sugli  altri:  ma  ciò  non  segue,  perché  gli  noi  iofloi- 
scono  immediatamente  sopra  il  ben  essere  dell' uomo,  e  gli 
altri  gli  sono  indifierenti. 

Quello  che  singolarmente  contribuisce  a  confermare  gli 
uomini  nella  opinione  dell'esistenza  di  quest'essere  chiamato 
Fortuna,  è  il  vedere  come  spesse  volte  un  felice  avvenimento 
sia  seguito  da  un  altro  pure  fefice,  e  talvolta  da  una  catena 
di  fauste  cose  le  quali  accompagnano  la  vita  degli,  ani:  e 
cosi  alPopposto  una  sventura  sia  come  foriera  di  un'altra; 
onde  s'intralciano  i  tristi  come  i  buoni  avvenimenti,  per  modo 


SULLA  FORTUNA.  149 

che  pare  che  una  cèrta  quale  fatalità  regga  al  bene  lotte  le 
azioni  deiroDO,  e  spìnga  e  preoìpiti  alla  miseria  tatti  gli  sforzi 
dell'altro.  Questa  attrazione  dei  beni  e  dei  mali  non  é  per 
altro  tanto  difficile  ad  intendersi,  sicché  sia  d'uopo  di  farne 
una  Dea,  e  collocarla  nel  cielo.  Acciocché  l'uomo  faccia  le 
me  azioni  bene,,  cosicché  facilmente  ottenga  il  fine  per  cui 
le  intraprende,  fa  di  mestieri  ch'egli  abbia  singolarmente  un 
certo  goal  ardire  e  fidanza  di  sé  stesso,  per  modo  che  abbia 
ferma  la  voce,  la  mano  e  il  passo,  e  sembri  quasi  persuaso 
di  coipandair  alle  cose,  anziché  implorar  da  esse  l'aiuto.  Su 
di  ciò  é  senza  dubbio  fondato  l' antichissimo  detto ,  ohe  la 
Fortona  è  amica  degli  arditi,  e  la  sperienzai;iomaliera  assai 
lo  comprova.  Ora,  non  vi  essendo  cosa  che  più  contribuisca 
a  dare a)l' uomo  una  vantaggiosa  opinione  del  proprio  valore, 
ipoinìfi  l'esito  felice  delle  sue  intraprese;  e  per  lo  contrario 
wUa  che  tanto  lo  renda  di  sé  stesso  diflGidente,  quanto  l'ino- 
tililà  de'^uoi   tentativi,  chiara  cosa  é  come  una  felicità  di- 
sponga ad  otienernei  un'altra,  una  sventura  produca  altre 
3yjentoire;  e  così  quell'astro,  quel  destino  che  gli  uomini  vol- 
gari ripongono  tanto  lontano  dall'uomo,  reafanente  risiede 
nella  opinione  che  l'uomo  ha  di  sé  medesimo. 

Generalmente  parlando  la  fisonomia  d'un  uomo  lieto  di 
sé  e  confidente  viene  chiamata  una  fisonomia  fortunata;  e 
per  lo  contrario  ogni  fisonomia  che  dimostri  avvilimento,  ti- 
more o  melanconia,  si  giudica  fisonomia  da  sventure.  Né  in 
ciò  s' inganna  la  opinion  comune ,  se  non  nella  cagione,  che 
la  maggior  parte  degli  uomfni,  costanti  adoratori  della  ma- 
raviglia, vanno  a  ricercare  fra'  spazj,  per  quanto  sappiamo^ 
aconnessi  perfettamente  dai  piccolissimi  afifari  dei  piccolissi- 
mi nomini.  Le  passioni  nostre  continuate  per  qualche  tempo 
lasciano  sul  volto  le  traccio  loro  particolari  ;  perciò  la  fisono- 
mia fortunata  é  un  sicuro  indizio  d'un  uomo  che  fida  nelle 
proprie  forze,  e  che  per  conseguenza  opera  con  quel  vigore 
il  quale  é  il  più  sicuro  mezzo  per  far  uscire  dalla  folla  delle 
comJbina^oni  le  più  avventurose.  Se  nella  storia  non  avessi- 
mo altro  che  le  vite  sole  di  Maometto  e  di  CromweU,  esse 
basterebbero  a  farci  intendere  quanto  sieno  facili  e  gli  uo- 
mini e  le  intere  nazioni  a  piegarsi  ad  un  uomo  che  sia  inti- 


180  SULLA  VORTOIfA. 

mamento  persuaso  di  poterle  piegare.  Forse  tal  verità  rincliio- 
devasi  neir  antico  assioma  delle  scoole:  Fortis  imctginatio  gè- 
nerat  tofum.  Una  forte  persuasione,  nna  viva  immagine  che 
colf>isca  robnstamente  la  fantasia  d'un  uomo,  produce  il  caso, 
ossia  forma  quello  che  chiamasi  ventura  o  Fortuna. 

I  Romani  ebbero  un'opinione  fortissima,  che,  fintanto  che 
custodivasi  presso  di  loro  il  Dìo  Termine,  i  confini  dello  Slato 
<li  Roma  non  s|  sarebbero  ristretti  giammai;  e  in  fatti,  sin- 
ché questa  immaginazione  restò  ben  viva  nelle  mentì  roma* 
ne  9  essi  trionfarono  di  tutte  le  nazioni  colle  qtiali  ebbero 
guerra*  Questa  immaginazione  fu  si  forte,  cbe  tròvavansi  com* 
pratori  del  terreno  che  occupava  il  campo  d'AAttibale  vicino 
a  Roma,  mentre  parevano  le  cose  ridotte  alla  inevitabile  ca- 
duta di  Roma.  Tutta  la  storia  romana  sino  alla  distrazione  di 
Cartagine  ci  prova  e  la  ostinata  immaginazione  di  sicurezza 
appoggiata  agli  errori  della  superstizione,  e  la  costanza  deffa 
Fortuna  che  va  sempre  compagna  alla  persuasione  vigoroM 
di  finir  bene.  La  disfatta  del  console  Fulcro,  che  disprezzan- 
do,  non  da  saggio  nel  solo  silenzio  dell'animo,  ma  da  mal  ac- 
corto in  faccia  del  volgo,  gli  auguij  presi  dai  pòOi,  volle  dar 
la  battaglia  sotto  infausti  auspicj,  prova  abbastanza  queato 
possa  Topinione  sugli  avvenimenti,  e  quanto  sia  pronta  la 
Fortuna  a  seguir  un  esercito  persuaso  di  averla  con  sé;  e 
quanto  siano  sventurate  le  imprese,  alle  quali  s'accingono 
gli  uomini  con  diffidenza,  e  presentimento  dì  mal  riuscirfi. 
Queste  verità  erano  certamente  conosciute  da  que'saggi  re- 
pubblicani ,  presso  i  quali  era  in  abbominazioné  la  greca  filo- 
sofia, che  tendeva  a  togliere  la  credenza  agli  augnrf»  Agli 
oracoli  ed  a  qualunque  superstiziosa  opinione,  per  tal  modo 
che  ogni  nuova  maniera  di  pensare  e  di  ragionare  sulle  cose 
riguardavano  come  una  oorruzione  dèlia  repubblica.  Rozi i  ^ 
illetterati  erano  costoro  agli  occhi  di  cbi  semplicemente  o^ 
servava  il  progresso  delle  scienze,  ma  saggi  e  profondi  filo- 
sofi dovevano  essere  riconosciuti  da  chiunque  esaminasse  la 
costituzioBe  di  quella  società,  e  conoscesse  il  princifHO  ffl<^ 
toro  delle  azioni  degli  uomini.  Nelle  cose  umane  pochfssnne 
sono  le  grandi  azioni  prodotte  dalla  verità,  e  moltissiine  qu^ 
che  devono  il  loro  nascimento  all'errore:  togli  1* errore  e 


SULLA  TOBTOMA.  15i 

rignoranza  a  un  popolo  eofiqvisitolove)  e  lo  riduci  a  livello 
eogi  altri  popoli.  Tutti  gli  errori  die  éanao  ardire  e  fidanza 
deBe  proprie  forze  a  una  nazione,  die  fasno  temere  ai  ۓtta'> 
don  f»à  la  viltà  ehe  la  morte,  che  ispirano  ad  eséi  un  amo» 
rdbesto  e  feroee  perla  patria»  sono  il  vero  Palladio  della  glo^ 
ria  d'on  popolo. 

La  persuaaìoiie  di  riuscir  bene  fa  die  per  lo  più  si  riesca 
bete,  e  il  buon  rìnecimento  conferma  nella  persuasione  di 
ben  rìoscire.  H  Umore  di  un  cattivo  esito  fo  lo  stesso;  e  cosi 
vanno  i  felid  avvenimenti  moltipticafHiosi,  e  siiibilmente  le 
srentnre,  diventando  cagioni  gli  efiètti;  per  lo  che  disse 
l'Ariosto  : 

Non  comincia  Fortuna  mai  per  poco 

Quando  un  mOjrlal  si  piglia  a  scherno  e  a  giuoco. 

Che  se  Tuomo  potesse  agevolmente  cancellare  dal  suo 
animo  la  impressione  che  ha  ricevuto  da  una  stentura,  e  r^ 
confortarsi,  e  rinvigorire  sé  stesso,  facendo  nascere  un  sen- 
timento di  fidanza  di  sé,  e  ripigliando  con  fibra  più  elastica 
ancora  le  azioni  della  vita;  se  tal  facoltà,  dico,  fosse  pienar 
laente  in  potere  dell'uomo,  allora  non  vedrebbesi  quella 
costante  successione  di  casi  aggradevdi  ovvero  disaggrado- 
^oli,  dalla  quale  principalmente  nasce  Tidea  volgare  della 
Fortuna;  e  direbbesi  in  vece  :  sui  cuique  moret  /Infuni  Pot'^ 
tuaum, 

lo  non  pretendo  con  ciò  di  dire  che  gli  avvenimenti  della 
vita  di  un  uotnò  siono  talmente  in  mano  di  esso,  sicché  possa 
ottenere  il  compimento  perfetto  de'suoi  desldeij  ;  dico  soltanto, 
che,  posti  due  uomini  nelle  stesse  circostanze,  dando  ad  uno 
^i  essi  una  mehte  che  ragioni ,  e  dando  airaltro  deHa  debo- 
lezza d'animo  e  della  imbecillità,  il  pritoo  domerà  molti  pie 
o^ooli  che  non  farà  il  secondo;  e  finirà  il  primo  per  adot<- 
tarsi  ùtt  sistema  assai  più  agiato  e  tranquillo  di  quello  che 
non  farà  il  secondo,  al  quale  converrà  passar  la  vita  edifr- 
cando  ordigni^  ehe  ad  ogni  tratto  crolleranno,  e  l'obblighe- 
Tstnno  a  ritornare  da  capo.  Che  se  pur  r  imbecille,  per  qualche 
rara  combinazione,  verrà  dalla  mano  d'un  protettore  cavalo 
^al  labirinto  per  cui  va  errando,  e  posto  in  più  luminosa 


ili'2  SULLA   FORTUNA. 

comparsa,  io  dico  che  male  della  Fortuna  di  esso  si  giadiea 
da  chi  lo  vede  di  lontano;  e  che  se  la  Fortuna  dee  misurarsi 
dal  numero  dei  beni  che  ciascun  gode,  probabilmente  coloi 
anche  in  quello  stato  dèye  dirsi  abbandonato  dalla  Fortana» 
tanto  ei  stesso  si  troverà  per  tutto  il  corso  della  vita  straniero 
nella  situazione  in  cui  è  riposto ,  e  timoroso  e  ansante  inces- 
santemente di  perderla.  Se  v'è  bene  che  godiamo,  egli  é 
quello  che  abbiamo  noi  stessi  veduto  di  lontano,  ed  a  carpire 
Il  quale  slam  camminati  noi  stessi,  sormontando  gli  ostacoli 
ehe  ci  si  frapponevano:  la  casa  che  più  ci  piace  d'abitare,  è 
quella  che  abbiamo  saggiamente  edificata  da  noi.  Un  sovrano 
nato  sul  soglio  ha  molto  minor  piacere  ricevendo  gli  omaggi 
e  i  titoli  dovuti  al  suo  grado,  di  quello  che  non  ne  provi  un 
uomo  di  mente  e  di  coràggio,  il  quale  col  merito  è  giuolo 
al  ministero,  e  che  veggendosi  superióre  agli  uomini  che  gli 
stanno  d'intorno»  può  lusingarsi  con  ragione  che  ciò  dinoti 
una  fisica  e  reale  superiorità  in  suo  vantaggio. 

Ogni  uomo  incontra  degli  ostacoli  per  giungere  ai  fini 
che  si  propone;  Tuomo  confidente  e  robusto  ne  supera  assai 
più,  sienp  essi  fisici,  sieno  essi  morali,  che  non  ne  supera  il 
timido,  e  il  troppo  circospetto.  Il  coraggio,  purché  non  giunga 
sino  alla  frenesia,  diminuisce  in  effetto  i  pericoli  anche  fisici. 
Ctii  si  batte  colta  spada  tremante;  chi  timidamente  si  gella 
a  nuoto  in  un  fiume;  chi  fugge  alla  vista  di  una  fiera,  è  piò 
in  pericolo  di  colui  che  con  fermezza  di  cuore  impugna  il  fer- 
ro, nuota,  0  sta  fermo.  La  sperienza  e  la  storia  ci  provano 
ancor  |»ù  quanto  l'opinione  costante  e  forte  di  noi  medesimi 
possa  per  conciliarci  quella  degli  uomini,  e  quanto  un  tratto 
vigoroso  fatto  a  tempo  possa  decidere  la  moltitudine  in  fa- 
vore d'un  uomo  solo.  Pochissimi  uomini  hanno  carpito  la  For- 
tuna 3enza  aver  fatto  nella  lor  vita  qualche  azione  che  presso 
gli  uomini  volgari  vien  chiamata  imprudente;  ma  somma  pru- 
denza, ossia  sommo  sapere,  è  quello  che  sa  ne' casi  straordi- 
Harj  uscire  dalle  ordiiiarie  leggi,  e  trovarne  di  opportune  alle 
circostanze.  Questa  massima  è  vera,  ma  sarà  sempre  perico- 
losa, qualora,  venga  adottata  da  un  uomo  che  abbia  la  vanità 
di  comparir  grande  senza  esserlo,  poiché  V>  precipita  in  nna 
turbolenta  serie  d'imprudenti  azioni,  contraddittorie  bene 


SCLU  FORTUNA.  153 

spesso  le  ane  colle  altre,  le  qaali  finalmente  lo  conducono  al 
discredito  ed  airabbandono. 

Gli  uomini  volgari  hanno  una  folla  immensa  di  desiderj , 
poiché  desiderano  gli  oggetti  uno  ad  uno  separatamente,  né 
spingono  i  loro  sguardi  sino  alle  cagioni  che  li  producono; 
gli  Domini  capaci  di  ergersi  sopra  degli  altri  scoprono  nella 
folla  degli  avvenimenti  civili  le  poche  cagioni  motrici,  l'au- 
torità, le  ricchezze  e  simili;  e  verso  uno  di  questi  oggetti 
condensano  tutt'il  desiderio:  quindi  ne  segue,  che  mentre 
gii  nni  cercano  di  accostare  a  sé  le  foglie  d'un  albero  legale 
una  ad  una  con  moltiplici  fragilissimi  Oli,  gli  altri  pochi  con 
Qua  sola  fune  bene  annodata  al  tronco  dell'albero  gli  dieno 
Dna  continua  e  non  interrotta  spinta,  all'azione  della  quale 
costantemente  adoperata  diffidi  cosa  é  che  l'albero  alla  fine 
non  ceda^  mentre  i  minutissimi  fili  qualche  foglia  al  più 
arranno  staccata,'  ma  rotti  per  la  maggior  parie,  lasciano  de- 
luse le  speranze  del  mal  avveduto  volgare.  Un  uomo  solo  é 
un  piccolissimo  oggetto;  ma  un  uomo  che  costantemente  di- 
rìga, e  con  vigore,  le  sue  azioni  ad  uno  scopo  solo  per  il  corso 
della  sua  vita,  deve  censidefarsi  come  un  oggetto  piccolissi- 
mo bensì,  ma  moltiplicato  per  tutto  quello  spazio  di  tempo 
per  cui  ha  agito.  Le  macchine  della  statica  ci  fan  vedere  co- 
inè una  forza,  benché  piccola,  giunga  a  smovere  un  peso 
per  grande  ch'ei  sia,  purché  sìa  continuata  per  un  tratto  di 
tempo.  Una  forza  eguale  a  1,  che  duri  il  tempo  100,  smove 
(pieHo  stesso  peso ,  per  cui  sarebbe  di  bisogno  a  smóyerlo  in 
OD  sol  colpo  la  forza  di  100.  Questo  principia  statico  é  pure 
adattabile  agli  avvenimenti  umani.  L'uomo  che  condensi  la 
^  anima,  e  la  diriga  verso  un  oggetto  solo,  se  abbia  lena 
e  robustezza  di  perseverare  nella  stessa  direzione  per  lungo 
tratto  di  tempo,  giunge  per  lo  più  a  ottenere  quanto  s'  era 
proposto.  Il  carattere  più  disposto  di  ogni  altro  alla  Fortuna 
adunque  quello  che  non  ha  divisa  la  sensibilità,  e  sminuz- 
zata intorno  a  varj  oggetti,  ma  bensì  che  la  spinge  tutta  co- 
spirante verso  un  oggetto  solo,  e  costantemente  ve  la  tiene; 
<l'oQde  nasce  il  volgare  verissimo  avviso:  Guardati  daWm- 
wod'ttn  solo  affare. 

Le  storie  ci  somministrano  copiosamente  gli  esempj  di 


154  SOLLA  FOKTDNA. 

nomini,  i  quali  a  forza  d'ostioaxione,  opposenclo  od  aDÌmo 
imperterrito  ad  ogni  ostacolo,  giunsero  ai  fini  anche  piA  ele- 
vati che  s' erano  proposti.  Il  vigore  con  cai  si  dirìgono  gli 
avvenimenti,  e  la  costanza  con  cm  si  tengono  di  mira,  sòdo 
i  veri  elementi  della  Fortuna;  ma  osserviamo  che  negli  oo- 
mini  soperìori  prevale  il  vigore,*nei  secondar)  prevale  la  co- 
stanza. Io  osservo  di  più,  che' una  piccola  sventura  in  qb  no- 
mo di  fibra  forte,  in  vece  di  essere  presaga  delle  sventare  a 
venice,  anzi  lo  rinvigorisce,  lo  risveglia,  e  lo  sforza  a  cor- 
rere alla  Fortuita  con  passo  più  fermo.  Quanti  hanno  fatto  im- 
prese grandi,  e  grandi  rivoluzioni,  per  ciò  solo  che  dai  loro 
cittadini  non  ottenevano  que' riguardi  che  sentivano  di  bw- 
rìtarel  Se  un  uomo  si  trova  nella  prima  età  sua  agiato  di 
beni  di  fortuna,  ed  assistito  dalla  buona  t^inione  e  stima  de- 
gli altri  uomini ,  difficilmente  si  pone  in  moto  per  cambiar 
situazione;  aiizi  la  inerzia  e  l'indolenza  naturale  lo  vincono 
e  l'inchiodano  nella  condizione  in  cui  è  nato:  ma  se  o  i  beoi 
manchino,  ovvero  il  capriccio  volgare  gli  ri(msi  quella  por- 
zione di  stima  che  l'uomo  valente  cerea  ed  esige,  allora  Io 
vedi  riscuotersi,  e  diventa  ambizioso,  e  per  quella  strada, 
per  cui  il  naturale  genio  e  la  constituzione  permettono  di 
spingersi,  lo  vedi  correre  alla  Fortuna.  Accade  negli  oomioi 
quello  che  nelle  nazioni;  cioè  che  quelle  piantate  in  terreni 
fertili  e  ih  climi  felici,  facilmente  s'abbandonano  al  letargo 
ed  all'inerte  godimento  de' loro  naturali  vantaggi;  laddove  le 
nazioni  poste  sotto  climi  più  ingrati,  ed  abitatrici  di  un  saolo 
sterile,  costrette  per  non  perire  a  ricorrere  aUa  industria, 
tanto  con  essa  si  addomesticano,  e  la  fanno  propria,  »ccbè 
non  riparano  soltanto  le  mancanze  della  natura,  ma  gion- 
gono  in  opulenza  a  superare  le  altre.  A  questo  principio  at- 
tribuir si  debbono  i  pochi  sforzi  che  fanno  per  lo  più  i  or- 
bili per  coltivare  l'ingegno,  e  distinguersi  dalla  folla  del 
genere  umano,  dalla  quale  per  una  ereditaria  opinione  tro- 
vansi  già,  benché  senza  lòr  merito,  di  tanto  distinti.  Vi  vuole 
una  qualunque  vessaatione  pon  eccessiva,  perchè  quella  avri- 
lisce  più  che  non  stimola,  ma  una  moderata  vessazione,  pff' 
che  l'uomo  corra  anche  alla  Fortuna  delle  lettere,  curii  acuti^ 
mortalia  a>rda. 


SULLi  F01IT97NA.  15tt 

Ghinnqae  siasi  esaminato  nell* intimo  dei  proprio  cuore, 
coDOSce  qoal  difièrenza  vi  sia  da  tin  uomo  che  ^eHe  azioni 
della  Tita  diffidi  di  so  medesimo,  e  nn  nomo  cbe  perfetta- 
mente confidi.  Felice  Taonu)  che  sa  diffidare  quando  esami'- 
na,  e  confidare  quando  opera,  la  diffidenza  guida  Tintelletto 
alla  yeriià ,  la  fidanza  .guida  le  operazioni  al  loro  termine. 
L' ingegno  di  chi  è  persuaso  di  sé  stesso  trovasi  nella  sua 
masàma  vivacità  ;  ì  termini  si  presentano^  opportuni  ai  di- 
scorso; le  positure  della  persona,  il  tono  di  voce,  le  maniere 
toite  sono  eleganti,  naturali  e  piacevoli;  tutto  va  coi  vento  a 
seconda.  Dammi  l'uomo  medesimo  abbattuta  e  mal  conlento 
di  sé  medesimo ,  e  vedrai  ch'ei  tormenta  in  vano  la  sua  mente 
iasterìlita,  da  cui  nulla  gli  vien  suggerito  che  vaglia:  le  pa- 
role mancano  ad  esprimere  i  suoi  pensieri  ;  tutto  à  imbaraz- 
zato e  sconcio  in  lui;  la  voce,  il  moto,  tutto  è  spiacevole,  e 
raTvilimento  scorgesi  in  ogni  menoma  azione.  Sono  ben  rari 
gli  nomini  che  non  abbiano  qualche  volta  in  vita  provalo 
Tono  e  l'altro  dì  questi  due  stati,  almeno  per  breve  tempo. 
Non  vi  séÉb  die  gì  «ekiccbi  d' insfituto,  che  non  credono 
d'essere  giammai  stati  sciocchi  per  tutta  la  vita  loro.  Questa 
i&assima  differenza,  che  trovasi  neiruomo  col  cambiamento 
della  opinione  del  valor  proprio,  fa  vedere  abbastanza  quanta 
sieno  diverse  le  disposizioni  nell'uomo  medesimo  di  riuscir 
bene  in  qualunque  impresa,  e  di  correre  alla  Fortuna.  Con- 
viene aver  moltissimo  spirito  per  conservarne  nelle  traver- 
sie, e  pochissimo  basta  per  dimostrarne  fra  gli  avvenimenti 
piacevoli 

Ho  nominata  poco  fa  la  Fortuna  delle  lettere,  perchè  nella 
repubblica  capricciosissima  delle  lettere  appunto  pare  che 
singolarmente  signoreggi  la  Fortuna;  e  voglio  con  ciò  dire  che 
l'applauso  o  il  discredito  di  alcune  opere  viene  prodotto  da 
prìncipi  si  poco  conosciuti,  e  da  una  influenza  tanto  oscura 
e  nascosta  agli  occhi  degli  uomini,  che  sarebbe  impossibile  il 
prevederlo.  A  noi  non  è  lecito  lagnarci  della  Fortuna  lettera- 
ria) dopo  che  essa  si  é  apertamente  decisa  a  favorire  i  no- 
stri Fogli;  e  sarebbe  interesse  nostro  il  sostenere  che  real- 
mente gli  applausi  del  pubblico  sieno  la  giusta  misara  del 
i&erilo  di  un'opera:  ma  il  principale  interesse  nostro  si  è  di 


156  SOLLA  FORTUNA. 

non  tradire  là  verità,  la  quale  è  in  contrario,  e  ci  prova  che 
né  tatte  le  opere  applaadite  meritano,  né  tatto  le  opere  non 
applaudite  demeritano  di  esserlo.  Mille  esempj  mi  si  affacciano 
alla  mente,  ma  pericolosa  cosa  sarebbe  nominarli,  e  offen-. 
dere  le  passioni  di  molti.  Noi  lasceremo  che  il  lettore  da  sé 
medesimo  li  ritrovi,  e  non  avrà  da  lardar  molto. 

Goncladiam  dunque  queste  brevi  riflessioni.  Fortuna  vuol 
dire  ignoranza  nostra:  più  l'uomo  è  illuminato,  e  minore  è 
il  numero  degli  avvenimenti  che  attribuisce  alla  Fortuna.  La 
energia  de' nostri  desideri ,  e  la  costanza  nel  fidare  in  noi  stes- 
si, formano  per  la  massima  parte  quel  cieco  essere  che  iia 
il  nome  di  Fortuna.  11  saggio  la  riconosce  con  Seneca:  Natu- 
ra, Providentiay  Falum,  Fortuna,  nomina  sunt  unius  et  ejus- 
dem  Dei  varie  ageniis  in  rebus  humanis. 


r 

PKIfMEBI  SVULA  sounnjDiiis. 


La  solitudine  continuata  per  lungo  tratto  di  tempo,  èan 
male ,  come  un  male  sono  tutti  gli  altri  modi  fisici  di  esi- 
stere, se  non  sieno  mai  interrotti.  La  gloria,  gli  onori,  le 
ricchezze,  il  potere,  tutti  diventano  mali,  e  mali  insopporfa- 
bili  air  uomo,  tosto  che  accompagnino  tenacemente  ogni  mo- 
mento della  sua  esistenza.  Chi  possedè  questi  beni,  e  da  laogo 
tempo  s' è  abituato  a  possederli,  ritrova  i  momenti  più  deli- 
ziosi della  vita,  qualora  gli  riesca  di  confondersi  col  popolo, 
ed  esser  dimenticato  nella  folla  de'gregarj.  Un  sovrano,  av- 
vezzo agli  ossequj  ed  alla  ubbidienza,  si  rallegra  e  volalHio- 
samente  gode  dell'  incontro  in  cui  taluno  non  conoscendolo 
lo  tratti  da  uomo.  Un  letterato  illustre,  e  possessore  della  sti- 
ma meritata,  si  consola  incontrando  un  pedagogo  imperar' 
rito  che  senza  conoscerlo  lo  tratti  da  principiante.  Un  /te- 
chissimo  e  accreditato  negoziante  gode  se  tahiho,  sconoscen- 
dolo, gli  esibisca  un  mestiere  per  campar  la  vita.  L'uomom 
somma  sì  consola  qualora  esce  da  quello  stato  che  incessao- 
lemente  lo  accompagna;  e  il  villano  entrando  nella  cìUa 


PENSlBttl  SULLA  SOLITUDINE.  157 

prova  quella  gioia  che  sente  il  cittadino  ad  oscime.  I  (Maceri 
Osici  dell'uomo  non  tanto  dipendono  da  una  tale  azione  fatta 
sugli  organi,  quanto  da  ana  mutazione  fatta  allo  stato  di 
essi.  Vastissimo  sarebbe  il  camp<f  per  dedurne  le  spiegazioni 
di  moltissimi  fenomeni  morali;  ma  io,  per  ora  restringere  mi 
voglio  air  argomento  che  mi  sono  proposto^  cioè  alla  solitU" 
(line;  la  quale  è  certamente  nn  male  se  è  continuata  per 
lungo  spazio,  ma  disseminata  giudiziosamente  negl'in tervalli 
della  vita,  è  un  bene  de'  più  dolci  e  deliziosi  che  abbia  Tuo^ 
mo  in  questo  mondo.  So  che  la  massima  parte  degli  uomini 
non  conosce  questo  bene:  io  lo  conosco,  e  ne  sento  tutto  il 
valore;  e  giacché  le  circostanze  della  mia  vita  mi  tolgono  il 
potere  di  goderne  liberamente,  come  ardentemente  vorrei , 
voglio  almeno  internarmi  vi  col  pensiero,  e  sviluppare  a  me 
medesimo  i  prìncipj  di  questo  disparere  fra  i  pochi  e  i 
molli. 

La  maggior  parte  degli  uomini  manca  di  quel  vigore 
che  è  indispensabile  per  conoscere  i  principj  della  giustizia, 
della  virtù,  e  per  conoscere  gli  elementi  della  felicità;  per^ 
ciò  la  vita  dei  più  è  un  tessuto  di  azioni  contraddittorie ,  e 
di  pentimenti  che  si  succedono  a  vicenda;  perciò  molti  nato* 
ralmente  buoni  ricercane  il  parere  altrui  ad  ogni  passo,  e  in 
vece  di  provvedersi  d'una  bilancia  domestica,  corrono  dai 
vicini  a  far  pesare  ogni  merce  che  occorre  ad  essi  di  con- 
traltare; perciò  moltissimi,  dalla  educazione  corrotti,  sprov- 
veduli  d' ogni  guida  dipendente  da  principj ,  ai  quali  non  si 
giunge  che  con  lena  ed  uso  della  facoltà  ragiondtrice ,  altra 
norma  non  hanno  delle  azioni  loro,  che  V  immaginazione 
ossia  il  capriccio.  Tutta  quésta  massa  di  uomini  deve  neces- 
sariamente abborrire  la  solitudine;  poiché,  si  tosto  eh'  essi 
abbiano  occasione  di  riflettere  sopra  di  loro  stessi,  altro  sen- 
timento non  possono  provare  se  non  se  quello  delia  disistima 
propria  e  del  rimorso,  e  perciò  cadono  in  braccio  alia  tristez- 
za, e  sentonsi  avvilire,  e  perciò  impazientemente  ricercano 
lo  strepito  e  la  dissipazione  continua  per  cui  vivono  fuori  di. 
loro  medesimi ,  sfuggendo  la  vista  o  ridicola  o  vergognosa. 
0  abbominevole  delle  proprie  azioni.  Non  è  dunque  maravi- 
Slia  se  la  maggior  parte  degli  uomini,  associando  per  espc- 

IT.  ìi 


158  PENSIERI  SULLA   SOLITUMNB. 

rienza  l'idea  della  solitadiiìe  coir  idea  della  noia,  deir avvi- 
limento 0  del  rimorso,  la  fugga  con  ogni  sforzo,  e  la  riguardi 
come  un  male  potentissimo.  Gli  a<Mnini  spensierati  nella  so- 
litudine ritrovano  le  vendicatrici  Erinni  favoleggiate  da'Gre- 
ci,  e  tanio  più  atroci  sono,  quanto  la  solitudine  è  maggiore; 
siccome  accade  fra  le  tenebre,  allorché  l' animo  non  può  oc- 
cuparsi nemmeno  della  vista  degli  oggetti  esterni. 

D^  questo  principio,  cioè  dalla  mancanza  degli  elemenli 
della  virtù  e  del  sapere,  nasce  la  serie  delle  azioni  mal  con- 
nesse nell'uomo,  e  da  essa  1'  abborrimento  al  riflettere  so- 
pra sé  medesimo^  e  perciò  la  fuga  della  solitudine;  la  quale 
quanto  è  maggiore,  tanto  s'accresce  la  tolleranza  verso  gli 
oggetti  esterni.  Da  ciò  ne  viene  che  l' uomo  sensato  più  fa- 
cilmente s' annoia  nella  società  che  nella  solitudine,  e  1'  uo- 
mo volgare  al  contrario  più  focilmenle  nella  solitudine  che 
fra  la  società. 

Esamina  V  uomo  di  senno  :  egli  s' è  sviluppati  i  principj 
che  devono  guidare  tutte  le  azioni.  Domandagli  cosa  é  virtù  : 
egli  te  ne  dà  una  idea  lìmpida,  per  cui  focilmente  distingui 
quale  azione  vi  sia  conforme,  e  quale  no.  Domandagli  cosa 
é  urbanità:  ei  te  ne  descrive  i  veri  confini,  onde  immedia- 
tamente conosci  sin  dove  s' estendano  le  sue  leggi.  Gli  uo- 
mini, die' egli,  han  ragione  di  pretendere  da  me  questa 
somma  di  azioni;  il  rimanente  é  in  poter  mio  di  organizzar- 
lo ,  e  disporlo  come  mi  pare.  Senza  chimere  ei  distingue  la 
strada  che  s' ha  da  battere,  e  senza  inquietudine  vi  passeg- 
gia. I  suoi  sludj,  le  geniali  sue  occupazioni  tutte  hanno  una 
abituale  tendenza  a  renderlo  migliore.  S' ei  trascorre  la  sto- 
ria, non  è  già  per  farsi  un  magazzino  di  nomi  e  di  epoche 
in  mente;  ma  bensì  per  esaminare  una  serie  dì  fatti  e  di 
azioni,  e  conoscendone  gli  effetti  estfarne  le  generali  teorie 
sulle  utili  0  dannose  ali*  uomo.  S*  ei  volgesi  all'  esame  delle 
cose  naturali  ^  ei  non  si  limila  a  ripetere  destramente  le  cu- 
rióse esperienze  fatte  da  altri  per  far  maraviglia  agl'indotti , 
ma  dalle  poche  nozioni  che  può  rìtrame  ne  eslrae  il  me- 
todo per  accrescere  1  comodi  della  vita,  e.  conservarsela  sana. 
Cosi  dicasi,  a  proporzione,  delle  altre  occupazioni  dell'uomo 
di  senno.  E  come  vuoi  che  costui,  che  ha  cercato  di  diventare 


PENSIERI  SULLA  SOUTUDlKE.  jl59 

una  boona  compagnia  di  sé  medesimo,  abbia  un  bisogno  in> 
cessante  di  sfar  lontano  da  sé,  e  non  si  sdegni  e  rammariebi 
anzi  moltissimo,  qualora  la  combinazione  delle  cose  lo  tra- 
sporti suo  malgrado  nel  vortice  clamoroso  ed  inquieto  degli* 
affari  0  degli  nflScj? 

Oh  beata  tranquilla  solitudine,  in  cui  V  uomo  depone  la 
mascbera!  In  qne' momenti  soli  egli  è  perfettamente  libero; 
in  qne' soli  momenti  ei  si  consacra  a  sé  medesimo ,  e  si  esa- 
mina e  si  perfeziona  ripiegandosi  in  sé  stesso.  Pelici  le  ani- 
me innocenti  e  buone,  che  sì  esaminano  senza  arrossirei 
Uomini  falsi  e  avviluppati  in  mille  tortuosi  raggiri  figli  deì- 
r  ignoranza,  uomini  avviliti  sotto  il  giogo  del  vizio  ,  qoal  di- 
stanza fra  di  voi  e  l'anima  virtuosa,  ]posti  cbe  siate  entrambi 
in  faccia  di  voi  stessi  ( 

Io  provo  che  è  un  dolcissimo  piacere  V  alternare  la  so- 
litodine  e  la  società:  nella  prima  pongo  in  ordine  le  mìe 
idee,  neiraltra  le  acquisto  e  le  strofino  colle  idee  degli  altri; 
farei  malcontènto  del  mio  essere  se  dovessi  consumare  tutta 
la  Yita  a  riordinare  senza  raccogliere,  o  a  raccogliere  senza 
aver  tempo  di  riordinare.  L' abituazione  a  poter  vivere  an- 
che solo  una  parte  del  giorno  è  un  valentissimo  mezzo  a 
preservarci  dai  vizj  nati  dalla  debolezza.  Chi  ha  incessante 
bisogno  d'essere  dagli  uomini  distratto,  deve  per  necessità 
rendersi  pieghevole  alle  opinioni  degli  uomini,  e  diventare 
mna  frazione  della  società,  anzi  cbe  un  essere  che  da  sé 
stesso  esista.  No  ho  osservati  alcuni  altronde  dotati  di  molta 
sensibilità  e  di  cuore  disposto  alla  virtù:  si  trovano  essi  fra 
persone  che  sparlano  d*  un  uomo  di  merito,  che  disappro- 
vano una  lodevole  riforma,  che  per  passione  o  ignoranza,  in 
somma  ingiustamente,  distribuiscono  le  lodi  e  il  biasimo? 
legano  al  grido ,  si  uniformano  alla  opinion  comune,  e  seb-* 
bene  il  loro  intimo  senso  diversamente  loro  suggerirebbe,  Io 
soffocano,  lo  lasciano  inconsultato,  e,  per  necessità  di  ren- 
^^T9ì  àggradevoli  a  quel  ceto  del  quale  hanno  assoluto  bise- 
co per  evitare  la  solitudine,  sacrificano  con  vile  condiscen- 
denza Tamicizia,  la  verità  e  la  virtù  medésima  ad  una  mal 
intesa  urbanità.  L' uomo  invece  che  può  avvezzarsi  alla  so- 
litudine, ha  un  bisogno  maggiore  di  conservare  puro  ed  in- 


100  PENSIERI  SULLA   SOLITUDINE. 

nocente  iMntimo  senlìmento  di  sé  stesso,  di  quello  che  non 
lo  abbia  di  cattivarsi  V  accoglimento  favorevole  di  veron  ao- 
mo,  o  di  venin  celo  d'uomini;  ei  saprà  dunque  non  tradire 
giammai  il  suo  cuore;  egli  oserà  difendere  l'amico  assente  con- 
tro la  mordacità  altrui;  egli  oserà  mostrare  rispetto  ali*  uomo 
di  merito  reso  ridicolo  da  uomini  ridicoli;  egli  oserà  mostrare 
abbominio  per  una  azione  malonesta,  sebbene  applaudita  dal 
volgare  consenso.  La  stHitudine  dà  all'animo  un  non  so  qaal 
vigore  senza  del  quale  non  v'ò  virtù.  Chi  non  osa  avere  nna 
opinione  e  un  sentimento  proprio;  chi  va  mendicando  le  opi- 
nioni e  i  sentimenti  altrui  per  modellarvi  i  proprj  discorsi , 
questi  non  è  né  può  essere  uomo  '  veramente  virtuoso;  per- 
cbè,  si  tosto  che  ei  troverassi  fra  i  cattivi,  sarà  loro  simile; 
né  sarà  buono  che  per  virtù  altrui,  qualora  fortunatamente 
viva  fra  un  ceto  di  gente  che  conosca  la  virtù;  probabilità 
la  quale  è  vinta  dall'  opposta.  Quando  è  indispensabile  il  bi- 
sogno di  vivere  cogli  uomini,  ne  viene  di  conseguenza  che 
tutto  si  sacrifica  a  quel  bisogno;  quando  sappiamo  vivere  an- 
che senza  la  società  degli  uomini,  siamo  meno  schiavi  dei 
loro  capricci,  siamo  più  liberi,  e  conseguentemente  più  pa- 
droni delia  virtù  nostra. 

Chiunque  esamina  i  mali  della  società,  trova  facilmente 
che  la  maggior  parte  di  essi  trae  la  sua  origine  non  già  dalla 
ferocia,  ma  bensì  dalla  debolezza.  Per  un  delitio  feroce ,  ne 
trovi  mille  d' imbecillità.  Forse  tal  verità  è  stata  conosciuta 
dai  nostri  padri,  i  quali  stabilirono  per  massima  che  l'uomo 
di  coraggio  fosse  l' uomo  virtuoso,  e  il  codardo  risguardarono 
come  privo  di  virtù.  La  sorda  cabala,  la  simulata  amicizia, 
i  raggiri,  la  maldicenza  degli  assenti,  la  perfidia,  la  simula- 
zione, non  sono  d' ordinario  componibili  col  coraggio  e  ro- 
.  bustezza  dell'  animo ,  e  sono  per  V  appunto  le  sorgenti 
de'  principali  vizj  che  avviliscono  ed  inquietano  la  umana 
società.  Se  nella  educazione  de'  giovani,  gì'  institutori  o  m- 
gionassero  indipendentemente  dagli  usi,  ovvero  preferissero 
l'utile  de'  giovani  al  comodo  proprio,  in  vece  di  far  loro  ris- 
guardare  la  cieca  ubbidienza  come  una  massima  qualità  da 
seguirsi ,  farebbero  loro  vedere  la  sola  illuminata  docilità  e 
la  illuminata  fermezza  essere  la  prima  base  d'ogni  onorato 


PENSIERI  SULLA   SOIITUDINS.  Ì6l 

carattere.  La  vanità  e  la  ìndoleiiza  negl'  instilutorì  sono  eer- 
tameote  pia  soddisfatte,  quando  trovino  ne'  loro  alunni  al- 
trettanti aatomj  esecntorì;  e  l'amor  proprio  di  nn  despota  è 
sempre  di  pensar  per  tatti,  e  far  operar  tatti  per  sé;  ma  un 
padre  o  un  maestro  benefico,  che  guarda  per  primo  fine  delle 
8oe  care  il  formare  un  fanciullo  ad  esser  uomo ,  che  vuol 
dare  alla  patria  un  virtuoso  cittadino,  al  sovrano  un  utile 
suddito ,  non  cessa  mai  di  ripetere  che  è  necessario  esami- 
nare prima  di  risòlvere,  conoscere  prima  di  fidarsi,  far  tutto 
per  ragione  e  niente  per  debolezza,  seguire  la  verità  e  la 
virtù  piuttosto  che  l'esempio.  Per  ciò  fare,  conviene  che  l'uo- 
mo impari  a  saper  vivere  con  sé  stesso;  poiché  altro  non  é 
la  debolezza  dell'animo  che  V  opinione  d'aver  bisogno  degli 
Domini;  e  chi  sa  esser  bene  con  sé  stesso,  non  può  avere 
forte  opinione  dì  questo  bisogno. 

Le  lettere  e  le  arti  sono  deliziose  compagne  della  soli- 
todine.  Esse  occupano  delle  ore  vohittuosamente ,  per  poco 
che  l'animo  e  l' immaginazione  sieno  capaci  di  estasi.  Sono 
qoesle  le  più  cortesi  e  grate  verso  de'  loro  amanti:  la  musica, 
la  pittura,  la  poesia,  la  meccanica,  la  fisica  sperimentale,  e 
simili,  possono. formare  la  felicità  d' un  saggio  nella  tolitudi- 
ne;  ma  vogliono  essere  amate  d' un  amor  puro,  e  senza  se- 
condi fini  :  se  non  le  ami  per  loro  sfesse,  e  se  le  coltivi  per 
servirtene  di  mezzo  ad  ottenere  altri  fini,  ti  puniranno  colla 
Boia.  Ma  se  sinceramente  le  coltivi  e  le  ami ,  siane  sicuro 
d'una  proporzionata  ricompensa:  soavissime  combinazioni 
d'idee  ti  si  ofifriranno  all'  animo,  e  te  lo  terranno  in  una  in- 
cessante attenzione  di  variati  oggetti;  e  nell'  ozio  tacito  e 
tranquillo  assaporerai  le  più  innocenti  e  vivaci  voluttà  che 
possa  provar  V  nomo. 

Gli  uomini  dissipati  negli  ufficj  della  vita,  non  possono 
nemmeno  avere  idea  di  questi  beni,  come  non  hanno  idea 
di  una  forma  di  governo  libera  gli-  schiavi  dell'  Asia  nati  e 
allevati  sotto  il  dispotismo;  né  presumo  io  di  creare  quelle 
idee  nuove  col  mio  discorso,  le  quali  non  possono  nascere 
che  dal  sentimento  d' una  situazione  per  cui  l'uomo  sia  pas- 
salo :  gli  uomini  però  che  sanno  rendere  a  loro  medesimi 
conto  delle  sensazioni  proprie,  saranno  meco  di  parere  che  le 


if)2  PBK8IBRI  BOLLA  SOLITDDIKC. 

ore  di  floliladioe  iono  necessme  a  dii  yiYe  in  società,  cobm 
le  oie  di  società  a  chi  Tire  ìd  soUtodiae,  per  non  caden 
nella  noia;  che  V  amerà  della  soUtodìne  è  amai  conforme al- 
r  amore  deVa  rirtù;  e  che  in  somma  la  solitudine  è  an  de- 
mento che  contribnisce  a  renderei  nùgliorì  e  più  felici,  se 
abbiamo  V  ladostria  di  ben  distrìfanirla* 


SDUA  INTERPUTAZIONB  DEUS  LBML 

Fra  le  opinioni  delle  menti  amane,  alcane  ve  ne  sonot 
le  quali  per  la  utilissima  loro  azione,  e  per  la  ranìtà  egaai- 
mente  de'  loro  oggetti,  meritano  il  nome  di  benemeriti  erro- 
ri, e  di  famosissime  chimere.  Tali  sono  i  delirj  de'  chimici 
per  la  pietra  filosofale;  gli  stndj  de'  geometri  per  rettificale 
0  qiiadrare  le  corvè  che  racchiudano  perfettamente  un'aia; 
i  lavori  de'  macchinisti  per  inventare  artificialmente  un  or* 
digno  che  perpetuamente  stia  in  moto  ;  al  che  aggiungo  le 
meditazioni  de'politici  per  organizzare  una  società  d'uomini, 
nella  quale  la  felicità  e  sicurezza  da  leggi  immutabili  vea- 
gano  egualmenle  divise  su  tutti  gli  uomini  che  la  compon- 
gono. Queste  chimere  hanno  mirabilmente  contribuito  ai 
progressi  della  fisica,  delle  matematiche  e  della  graad'arle 
de' legislatori;  poiché,  scavando  in  queste  miniere,  per  ri- 
cercarvi quello  che  non  v'  è,  si  sono  incontrate  per  via  ca- 
sualmente vene  e  sirati  non  preveduti  e  utilissimi  Ognmio 
facilmenle  può  sapere  di  quanti  rimedj,  di  quante  tintore  e 
curiosità  interessantissime  siamo  debitori  alla  vanità  degli 
alchimisti;  sanno  i  geometri  quanta  luce  abbia  portato  alla 
sublime  teoria  delle  curve  la  ricerca  dell'  equazione  sa  U 
retta  e  la  circolare,  dal  cavaliene  Isacco  (Newton)  dimostrata 
impossibile;  cosi  dico  deUe  altre  sublimi  chimere  di  lai  fetta. 
La  repubblica  perfetta  è  stata  lo  scopo  delle  estasi  di  molti 
uomini  grandi  e  heoefici,  i  quali  da  Platone  sino  al  di  d'oggi 
si  sono  lasciati  assorbire  dalla  virtuosa  immaginazione  di  ve- 
dere gii  uomini  liherì  e  sicuri  perfettamente.  Questi  sogni 


SULLA  INTHaPEBTAZIONB  DBtLB  UGfil.  163 

hanno  però  mirabilmente  schiariti  i  veri  intereMì  del  genere 
atoane;  e  ae  é  Tero  cbe  r  opinione  sia  la  direttrice  e  pa- 
droBa  della  forza,  essa  dovrà  tanto  più  rivolgersi  al  comnn 
bene,  guanto  meno  l' opinione  sarà  da  lai  distante. 

Gli  nomini  comuni  altra  società  non  conoscono  che 
quella  nella  qnale  sono  nati  e  cresciuti  :  essi  non  mai  rivol- 
sert  il  pensiero  ad  analizzarci  prineipj  che  la  compongono; 
perciò  credono  la  loro  propria  la  sola  forma  perfetta  di  so- 
ciale mstitozione,  pronti  a  pagare  cordialmente  col  più  sin- 
cero disprezzo  qualunque  proposizione  che  loro  venga  (atta 
per  cambiare  in  maglia  Gli  nomini,  air  incontrario»  i  quali 
dopo  esser  passati  per  V  errore  nei  primi  anni  della  lor  vita, 
iiaoDo  potuto  conoscerlo,  e  riscuotersi ,  e  ricercare  da  loro 
medesimi  la  realtà  degli  oggetti,  sdegnosi  forse  dell'  inganno 
psssato,  quasi  avessero  una  macchia  da  togliere  alla  memo- 
ria delle  loro  opinioni,  si  slanciano  nel  regno  delle  riforme, 
e  con  avidità  mal  cauta  ad  ogni  pensiero  applaudono ,  per 
poco  che  abbia  apparenza  di  novità ,  e  si  appropriano  facil- 
mente un  piano  di  naova  legislazione  aglla  più  leggiera  ap- 
parenza di  utilità.  U  saggio  trovasi  nel  mezzo  di  questi  due 
estremi,  e  col  dubbio  e  coir  esame  va  cautamente  bilancian- 
de,  senza  abborrire  e  senza  adorare  le  cose  vecchie  o  le 
naove,  per  ritrovare  a  discernere  le  cose  vere  ed  utili  indif- 
ferentemente. 

Un'  altra  fortissima  o^iosizionc  trovasi  nella  mente  delia 
maggior  parte  degli  uomini,  qualora  vogliasi  indurli  a  qual- 
che rirorma  d' opinioni  ne'  pubblici  regolamenti  ;  e  questa 
viene  dall'  esame  negletto  dei  principi  delle  cose ,  e  dagli 
stretti  conOoi  della  vista  comune,  cioè  d'escludere  ognibaona 
instiluzionci,  si  tosto  che  se  ne  affacci  un  inconveniente,  a 
vedeir  lui  solo  isolato  senza  discenderne  nel  bilancio  dei  beni 
e  mali ,  che  pur  dee  farsi  in  ogni  scelta  politica.  Non  v*  è 
legge  né  sistema,  né  vi  possono  essere,  dai  quali  non  na- 
scano alcuni  inconveniepti;  nelle  cose  umane  si  tratta  sem- 
pre di  scegliere  il  men  male,  non  mai  di  stabilire  cosa  per- 
fettiisinia:  e  questo  è  lo  scoglio  appunto  de' politici  inespei^ 
ti,  la  ricerca  del  sistema  senza  difetti;  questa  ò  la  pietra 
filofoAca  lorot  qnesta  è  la  loro  quadratura  del  circolo..  La 


161         SULLA  INTEBPBETIZIONE  DELLE  LEGGf. 

massima,  che  nelle  amane  cose  bisogna  scegliere  li  men 
male,  e  non  cercare  la  perfezione  che  non  yì  pnò  essere ,  è 
une  massima  che  è  detta  e  rìpetnta  da  ognuno;  ma  rari  as* 
sai  sono  coloro,  che  quando  sono  nel  caso  particolare ,  non 
operino  appunto  con  viste  direttamente  opposte  a  questa 
massima.  Ciò  ho  dovuto  conoscere  pochi  giorni  sono  nel  no- 
stro Caffé,  coU'occasione  di  parlare  solla  interpretazìon  delle 
leggi  con  un  uomo,  altronde  ragionevole,  che  non  mi  è  mai 
riuscito  di  persuadere.  Io  raccontai  quello  che  trovasi  nella  dis- 
sertazione SuUe  ragiùni  di  promulgare  o  abolire  le  leggio  scritta 
da  un  re,  che  é  un  membro  illustre  deOa  repubblica  delle 
lettere,  indipendentemente  dalla  Corona.  Ivi  dunque  si  legge 
che  neir  Inghilterra  v'  era  una  legge  che  proibiva  la  Bigti^ 
mia.  Un  uomo  fu  accusato  d'aver  cinque  mogli:  siccome  la 
legge  si  osserva  letteralmente  in  Inghilterra,  e  che  il  caso 
delle  cinque  mogli  era  commesso,  cosi  l'accusato  fu  riposto 
in  libertà  senza  alcuna  pena.  Io  raccontai  questo  fatto ,  e  il 
mio  avversario  cominciò  a  ridere  di  tutto  cuore  sulla  stupi- 
dità di  quei  giudici,  i  quali  non  avevano  nemmeno  potuto 
capire  che  chi  ha  cinque  mogli  ne  ha  due,  e  che  se  la  Biga- 
mia, ossia  le  due  mogli,  hanno  tre  anni  di  galera,  chi  ne  ha 
sposate  cinque  è  stato  bìgamo  due  volfe  e  mezzo ,  e  in  con- 
seguenza deve  stare  per  lo  meno  in  galera  sette  anni  e  mez- 
zo. Ohi  ohi  ohi  schiamazzò  fortemente;  e  tutti'  gli  astantì 
fecero  eco  con  esso  lui,  chi  deridendo  tutta  quanta  l'Inghil- 
terra, la  quale  in  fatti  poi  non  è  tanto  ridicola,  massima- 
mente sul  mare;  chi  deridendo  l' autore  che  racconta  questo 
fatto;  ed  altri  quasi  sospettando  che  fosse  una  Tavoletta  in- 
ventata dal  mio  capriccio  quella  che  aveva  esposta.  Io  lasciai 
calmare  questo  tumulto,  chiesi  frattanto  una  tazza  di  caffé  ; 
poi  fatto  Iqogo  a  placidamente  ragionare,  cosi  presi  a  di- 
scorrere. 

—  Sarebbe  mai  possibile.  Signor  mio,  che  l'amor  proprio 
vi  concentrasse  tanto  in  voi  stesso,  da  credere  che  tutti  i  giu- 
dici d' Inghilterra  non  sappiano  che  cinque  é  più  di  due ,  e 
che  sposar  cinque  mogli  é  più  che  sposarne  due?  Non  voglio 
crederlo.  Non  trionfale  dunque  di  questa  scoperta,  di  grazia, 
e  supponiamo  pure  che  i  giudici  inglesi  sappiano  che  il  due 


SULLA  INTERPRETAZIONE  DELLE   LEGGF.  i6tS 

è  un  numero  minore  del  cinque,  poiché  sin  là  vi  sono  certa- 
mente arrivati.  II  dileggio  e  la  disapprovazione  vostra  dun- 
que cade  sa  di  ciò,  che  avendo  gì'  Inglesi  una  legge  che  pn- 
nisce  chi  ha  due  mogli,  e  non  avendone  alcuna  che  punisca 
chfneha  cinque,  non  abbiano  inteso  lo  spìrito  della  legge,, 
ossia  la  intenzione  del  legislatore  nella  sentenza,  e  siensi  at- 
(eonti  allo  stretto  senso  letterale.  Dunque  voi  avete  trovato 
assurda  eosa  che  il  giudice  abbia  rigidamente  osservata  la 
letteradella  legge^  e  non  lo  spirito.  Esaminiamo  se  veramente 
sia  (ale. 

Comincio  a  stabilire  un  principio,  secondo  ogni  ragione 
ebiarissi0)o,  cioè  che  altra  cosa  è  il  legislatore,  altra  cosa  è 
il  giadiee.  Il  legislatore  è  sempre  il  sovrano  ,o  sìa  egli  un 
Domo,  0  uno  scelto  numero  dì  uomini ,  o  la  intéra  nazione 
radonata,  giusta  la  diversità  de' governi.  La  legge  è  un  ordine 
pobblico  del  sovrano  che  obbliga  le  azioni  de'  sudditi  geoe*^ 
raimente.  Quest'  augusta  facoltà  di  promulgar  leggi  è  ine- 
rente alla  sovranità  i stessa,  cosicché  non  può  esercitarsi  che 
dal  sovrano,  o  da  chi  è  da  esso  delegato  a  tal  fine ,  promul- 
gandole però  sempre  in  nome  del  sovrano.  Il  giudice  per  lo 
contrario  non  paò  essere  il  sovrano  ;  debb'essere  o  un  uómo,< 
0  un  ceto  di  uomini,  ma  non  ad  altro  fine  fatti  giudici  che 
per  fare  osservar  le  leggi:  il  legislatore  comanda,  il  giudice 
fa  eseguire  il  comando.  Se  il  legislatore  farà  eseguire  o  il 
giodiee  comanderà,  la  sicurezza  pubblica  sarà  sconvolta; 
poiché,  riunendosi  nella  stessa  persona  queste  due  facoltà, 
ne  nasce  il  potere  di  opprimere  impunemente  e  colle  solen- 
nità della  giustizia  chiunque;  e  l'opinione  della  sicurezza  di 
sé  medesimo,  opinione  preziosissima  in  cui  realmente  tutta 
consiste  la  civile  libertà,  ne  verrebbe  radicalmente  distrutta. 
1^'  dunque  conforme  alla  ragione,  che  il  giudice  non  si  eriga 
mai  in  legislatore,  e  come  dice  il  gran  Bacone:  Si  Judex 
iraniiret  in  Legislalorem ,  omnia  ex  arbitrio  penderent  {De 
^ugm.  scienL,  lib.  Vili ,  aph,  44).  Questa  cardinale  verità 
è  stata  luminosamente  promulgata  dall'immortale  autore 
dello  Spirito  delle  leg^  (lib.  XI,  cap.  VI),  dove  si  legge:  —- 
Qualora  neUa  medegima  persona  o  nel  medesimo  corpo  di  mar 
aratura  la  possanza  legislalrice  è  unila  aUa  facollà  esecu-- 


1C6  SULLA  »TEEPBKTAZI€»iS  DKLLC  LIMI. 

trite,  man  viepiù  libertà  ;  poiché  s<jniò  iemere  che  h  sk$só 
nuntarea  o  $emlo  non  ffieeimo  U$gi  HiFmmkhe  per  e$e§mirle 
tìrannieamente, 

W  accorgo  che  qaesli  prìacipj  sono  faiiBeiite  contrari 
atte  idee  che  l'edocazioiie  ha  stampate  con  incessaati  pre- 
cetti ndla  mente  dei  ptA,  che  nessuia  maggior  impreasiene 
débbon  fare  di  qoeUo  che  soghono  i  paradossi  pi4  strani  e 
capricciosi.  Per  andare  al  Toro  gradatamenle,  abbiate  •  Si- 
gnori miei,  la  bontà  di  riflettere  qnale  sarebbe  lo  stato  d'ona 
società  d'uomini  in  coi  non  yi  fossero  leggi  di  sorta  akana, 
né  scritte,  né  per  tradixioBe.  In  questa  società  vi  sareUiero 
dei  giudici  nondimeno,  p<4chè  è  necessaria  naa  forza  qna- 
lonqae  che  prevenga  o  assorbisca  le  nsarpezioni  e  rintestina 
goerra  che  è  sempre  pronta  ad  accendersi.  Quale  sareM>e 
raotorìtàdi  questi  giudici ?Dispotica  perfettamente. Potrebbon 
essi  togliere  a  chiunque,  beni,  fama,  Iftertà,  vita  ;  e  i  beai,  la 
fama,  la  vita,  la  libertà  d'ogni  cittadino  dipendendo  daJ  parere 
d'un  giudice  che  non  ha  altra  legge  che  il  parer  suo,  ogni  citta- 
dino sarebbe  nella  schiavila  perfettamente.  Forse  il  caso  potreb- 
be riporre  nella  giudicatura  degli  uomini  di  pn^ità,  che  ascol* 
tando  la  voce  di  qoeUa  legge  naturale  che  ha  dettate  tutte  le 
buone  leggi  sèrilte,  non  osassero  del  poter  loro  che  per  conte- 
nere i  malvagi;  forse  le  decisioni  di  questi  giudici  sarebbero  un 
moddk)  d'equità  e  di  sapienza;  ma  forse  ancora  potrebbon  es- 
sere questi  giudici  tutto  il  contrario,  e  questa  sola  possflùlità 
toglie  l'opinione  della  libertà  in  ogni  lÀttadino,  il  quale  non 
può  essere  giammai  sicuro  di  sé,  o  del  suo  testimonio  dette 
proprie  azioni.  Anco  su  i  troni  ddl'Asia  si  veggono  sovrani 
che  hanno  nel  cuore  tutte  le  più  benefiche  virtà  atte  a  ren- 
Jere  felici  i  loro  popoli  :  allora  la  tiramiia  pratica  oeria  v'  é, 
ma  vi  resta  la  tirannia  dt  sistema;  cioè  dbe  l' impero  del- 
Tuomo  è  maggiore  di  qoetto  della  legge.  In  libero  pepuìo  im- 
feria  Ug^m  potentiora  suni  quam  àotntnum,  scrive  Livio(Iib.lI, 
cap.  II).  Dunque  cominciamo  a  stabìSre  questa  verità  dioM- 
strata,  cioè  che,  dove  non  vi  fossero  les;gi  e  vi  tessero  giodi- 
ci,  ivi  r arbìtrio  del  giudice  sarebbe  IHimitaOa  e  dispotico; 
il  che  equivale  a  qnest'  altra  postzicme,  che  tosto  che  il  legi- 
slatore e  il  giudice  sono  la  stessa  persona ,  questa  persona  è 


SULLi  IKTERPUBTAZiOME  DELLE   LGiGCL  167 

ìlHmiUla  e  dispolka;  il  che  significa  ehe  in  queHa  nftzvocie 
non  v'é  libertà  polilica.  -— 

Allora  OBO  de' miei  ascoltatori  m'ìaterrappe  chiedendo- 
mi cosa  m' intendess' io  di  dire  colle  iparole  l^ertà  polUica; 
se  forse  m' aressi  formala  un'idea  che  si  potesse  in  ona 
Dazione  far  da  ehianqae  tutto  quello  ehe  il  capriccio  o  le 
passioBi  »igg;erÌ8Cono.  —  Signore,  gli  rispos'  io,  col  nome  di 
l^tÀ  poUlicM  io  intendo  V  opinione  che  ha  ogni  cittadino  di 
possedere  sé  medesimo,  e  quello  che  è  suo ,  é  di  poterne  a 
suo  piacere  disporre  sin  tanto  ch'ei  non  trasgredisca  le  leggi 
promalgate  con  legittima  autorità.  Dico  dunque  che  questa 
libertà  politica  sarebbe  annientata  in  una  nazione  in  cui  il 
giudice  fosse  tegislatore.  Dico  dunque  che  in  qdella  nazione 
vi  sarebbe  la  servita  per  sistema  ;  la  quale  è  man  violenta, 
ma  pia  durevole  assai  della  servitù  per  abuso.  Queste  verità, 
mid  Signori,  soioio  appunto  qudle  che  hanno  spinto  gl'Inglesi, 
amantissimi,  e  non  a  torto,  della  libertà  polìtica,  a  stabilire 
che  il  giudice  sia  perfettamente  servo  della  legge ,  e  mero 
cflecQtore  ^  essa  letteralmente.  Ecco  il  ragionamento  che  essi 
hanno  fatto:  Se  il  giudice  diventa  legislatore,  la  libertà  pò- 
Hliea  è  annichilata;  il  giudice  diventa  legislatore  si  tosto  che  è 
lecito  interpretar  la  legge;  dunque  si  proibisca  al  giudice  l' in- 
terpretar la  legge  ;  dunque  si  riduca  ad  esser  mero  esecutore 
della  legge;  dunque  eseguisca  la  legge  nel  puro  e  stretto  si- 
golGeato  delle   parole,  e  nella  materiale  disposizione  della 
tetterà. 

Che  il  giadice,  tosto  che  la  legge  è  soggetta  a  interpre- 
tarsi più  in  un  senso  che  in  un  altro,  diventi  legislatore,  è 
cosa  per  sé  evidente;  basta  per  esserne  convinto  il  riflettere 
che  ifUerpreiare  vuol  dire  sostituire  sé  stesso  al  luogo  di  chi 
ha  scritto  la  le*gge,  e  indagare  cosa  il  legislatore  avrebbe 
verisimilmente  deciso  nel  tale  o  talaltro  caso,  su  cui  non 
parla  chiaramente  la  legge.  Inierprelare  significa  far  dire  al 
ie?isIatore  più  di  quello  che  ha  detto,  e  quel  più  è  la  misura 
della  facoltà  legislatrice  che  si  arroga  il  giudice.  Su  due  casi 
pnò  aver  luogo  la  interpretazione:  il  primo  caso  è  quando 
i^Ua  legge  non  sia  preveduto  F  affare  che  si  deve  decidere , 
^  che  sia  atfere  nuovo  sul  quale  non  siavi  legge  alcuna  chinra 


168  SULLA  INTBtfBIETÀZlOllB  DBLLB   LBGGL 

e  manifesU:  il  secondo  caso  è  qnaodo  nel  corpo  delle  leggi 
vi  siano  due  diversi  principj»  fra  i  qaalisia  dubbio  quale  dei 
due  debba  dirigere  la  decisione  dell'  affare.  Nella  prima  sup- 
posizione, il  giudice,  col  pretesto  d*interpretare  la  mente  del 
legislatore,  realmente  fabbrica  una  nuova  legge,  sulla  quale 
appoggia  una  sentenza;  e  conseguentemente  il  legislatore  ed 
il  giudice  coincidono  perfettamente  nella  stessa  persona. 
Nella  seconda  sopposizione  poi,  il  disordine  è  meno  palese , 
ma  non  però  vi  sta  meno;  poiché  il  giudicare  con  leggi  fab- 
bricate dì  propria  opinione,  ovvero  il  giudicare  sulle  leggi 
legittimamente  promulgate  bensì,  ma  moltiplici,  varie,  op- 
poste, ed  avere  la  scelta  libera  di  prenderne  or  Tona  ed  ora 
Taltra,  sulle  quali  stabilire  sentenze  opposte  in  casi  altronde 
simili,  è  presso  a  poco,  quanto  alla  sicurezza  e  libertà  politica, 
la  cosa  medesima;  e  il  giudice  che  abbia  facoltà  di  scegliere 
più  una  legge  che  un'  altra  per  giudicare  un  caso ,  »  è  real- 
mente legislatore,  essendo  che  ei  dà  forza  di  legge  più  ad 
un  testo  che  ad  un  altro  della  legge  istessa.  Dunque  l' inter- 
pretar la  legge  fa  diventare  legislatore  il  giudice,  e  confonde 
le  due  persone  del  legislatore  e  del  giudice,  dalla  assoluta 
separazione  delle  quali  dipende  essenzialmente  la  libertà  po- 
litica d' una  nazione.  Dunque  una  nazione  che  cerchi  la  li- 
bertà politica,  deve  proibire  ad  ogni  giudice  ogni  qualunque 
libertà  d'interpretare  le  leggi:  altrimenti  facendo,  ne  accade 
quello  che  il  chiarissimo  signor  Genovesi  ha  scritto  nel  suo 
ragionamento  sul  commercio,  cioè  che  allora  le  leggi  in  mano 
del  polente  e  deWaslulo  sono  sempre  armi  pronte  e  farli  ad  of- 
fendere ed  ingannare  ;  ma  non  già  armi  da  difesa  in  mano  del 
debole  o  dell'  ignorante. 

Due  partiti  dunque  restano  da  prendersi  nello  stabilire 
il  sistema  d'una  naziope,  per  ciò  che  risgnarda  l'officio  del 
giudice:  o  render  il  giudice  mero  e  servile  esecutore  della 
lettera  della  legge,  ovvero  lasciargli  T  interpretazione  di  essa 
legge. Osservinsi  i  beni  e  i  mali  che  contengono  queste  due  di- 
sposizioni, e  vediamo  se  abbia  avuto  veramente  torto  la  nazio- 
ne inglese.  Se  il  giudice  è  mero  e  servile  esecutore  della  lettera 
della  legge,  ne  nasce  il  disordine  che  abbiamo  veduto  nel* 
Tesempio  accennato  al  principio  di  questo  discorso;  ed  é,  che 


'  SULLA  INTBBPABTAZIONB  DELLE  LEGGI.        169 

moUi  casi  non  si  possono  dal  giodice  decidere,  perchè  la  legge 
DOD  gli  ha  prevedati,  né  è  possibile  il  contenere  in  nn  solo 
codice  tolte  le  azioni  cfae  il  caprìccio  dell'  uomo  può  fare. 
Rispondo:  o  si  tratta  di  un  giudizio  criminale,  come  era 
Y  accennato,  e  qual  male  sarà  mai  che  resti  impunito  un  no- 
mo solo  che  ha  fatta  un'  azione  contraria  al  buon  regola- 
mento della  società,  la  quale  azione  è  stata  ommessa  dal  le- 
gislatore? Il  male  certamente  non  è  grande;  tale  sarebbe  se 
qoest'esempio  servisse  per  altri  casr  consimili  :  ma  il  legisla- 
tore d' Inghilterra  rimediò  immediatamente  a  quest'  unico 
disordine,  promulgando  una  nuova  legge  universale,  in  cui 
vedevasi  proibita  la  ptìligamid  sotto  le  pene  imposte  per  Tad- 
dietro  alla  bigamia;  cosi  restò  chiuso  l' adito  ad  altri  di  spo- 
sare più  dì  due  mogli,  per  sottrarsi  alla  pena  imposta  inav- 
vedutamente a  chi  sposava  due  mogli.  Il  primo  caso  restò 
impunito,  perché  commesso  prima  che  letteralmente  fosse 
vietalo  dalla  legge,  la  quale  non  obbliga  prima  che  sia  pro- 
mulgata; gli  altri  casi  consimili  generalmente  si  sottoposero 
alla  pena  coUa  dichiarazione  del  legislatore  istesso,  cui  solo 
spetta  ampliare  o  ristringere  il  numero  delle  azioni  libere 
de' cittadini.  Vero  è  che  non  è  possibile  descrivere  in  un 
codice  tutte  le  azioni  che  possono  commettere  gli  uomini; 
ma  è  vero  altresì  che  tutti  si  riducono  a  classi  i  delitti  ;  e 
che  una  serie  d' anni  suggerisce  le  giornaliere  forme  o  ad- 
dizioni che  si  debbono  fare  al  codice,  per  comprendere  con 
poche  leggi  generali  i  casi  tutti  verisimilmente  contingibili. 
Che  se  poi  si  tratta  di  causa  civile,  il  prudente  legisla- 
tore può  togliere  la  metà  delle  liti  col  circoscrivere  la  ca- 
pricciosa libertà  degli  uomini  nel  patteggiare  o  donarsi  fra 
di  loro;  ed  io  dico  che  circoscrìvendo  e  limitando  i  testa- 
menti ad  alcune  formole,  fuori  delle  quali  non  sia  valido  il 
testamento;  e  stabilendo  i  gradi  delle  successioni  limitate; 
cosi  pure  proponendo  le  formole  d'altri  contratti,  la  metà 
delle  dispute  di  privata  giurisprudenza  verrebbe  tolta  dal 
mondo.  Ristretti  in  tal  guisa  da  un  sensato  codice  i  limiti 
delle  azioni  legittime  ,  facile  sarebbe  il  ridurle  anch'  esse  a 
elassi;  e  presentandosi  un  caso  che  in  nessuna  classe  sia 
compreso,  il  legislatore  (►  un  corpo  da  esso  delegato  lo  ter" 
II.  15 


170  SULLA   UiTESPRETAZlOIIB  DELLE  LEGGI. 

minino  coi  prìncipi  della  semplice  eqoilà,  condensando,  per 
qoel  solo  caso  imprescindibile,  le  due  p^iMme  del  legislatore 
e  del  giadice  nello  stesso  corpo;  ma  ciò  immediatamenfe  sia 
tolto  colla  promolgazione  d' ana  legge  generale ,  che  in  av- 
f  enire  comprenda  i  casi  simili.  A  ciò  dunque  si  ridoeono 
grinconyenienli  di  rendere  il  giadice  serro  della  lettera  deUa 
legge;  cioè,  che  nn  primo  delitto  pnò  essere  impunito,  e  che 
in  una  dispaia  ci?ile  ommessa  dalla  \6gs^  si  dovrà  rìcorren 
al  legislatore  o  al  dallato  da  esso,  in  vece  di  arer  la  sen- 
tenza dal  giodiee.  .Questi  inconvenienti  non  sono  frequenti 
dovunque  vi  sia  una  legiriazione  ben  fatta,  né  sono  mai 
grandi  inconvenienti;  laddove  la  perdita  della  libertà  polili- 
ea,  inseparabile  dalla  interpretazione  della  legge,  è  un  male 
di  sistema,  un  male  abituale,  cbe  lima  e  rode  ogni  prìoeipio 
animatore  e  motore  degli  nomini. 

Il  più  dolce,  il  più  benefico  imparo  è  qo^o  delle  leggi: 
esse  non  conoscono  parzialità,  non  banno  affetti;  sode,  im- 
mutabili, ordinano  lo  stesso  ad  ognune.  — 

—  Ma  a  cbe  riducete  voi  Tufficìo  del  giadice?  mi  replicò 
uno  dell'  adunanza;  voi  rendete  inutile  il  giudice,  se  la  sola 
legge  provvede  a  tutto.-—  Signore,  gli  replicai,  la  legge  deve 
prescrìvere  come  si  provveda  a  tutto;  ed  il  giudice  deve  ese- 
guire quanto  prescrive  la  legge.  Un  codice  non  basta  per  te- 
nere una  nazione  tranquilla  e  sicura:  bisogna  che  i  metodi 
per  la  sicurezza  e  tranquillità  pubblica  prescritti  nel  codice, 
sienp  posti  in  esecuzione;  e  quest'  è  quello  che  spetta  al  gia- 
dice. Non  è  leggiero  l'ufficio  suo:  l'ufficio  del  giudice  è  prin- 
cipalmente la  verificazione  dei  fatti;  ei  deve  trovare  la  ve- 
rità, e  cercarveia  con  sollecitudine,  e  conoscer  bene  come  la 
cosa  sia  ;  e  fatto  ciò,  la  legge  fa  il  restante,  cioè  comanda 
come  debba  essere.  Il  solo  dispotismo  stabilmente  utile,  anzi 
necessario  per  la  prosperità  d'  una  nazione,  è  il  dispotismo 
delle  leggi;  il  vero  dispotismo  propriamente  detto,  cioè  ih 
volere  assoluto  e  indipendente  d'un  solo,  non  è  utile  chepas- 
saggiero  nelle  nazioni  corrotte  per  ricondorle  ai  loro  prioci' 
pj.Da  ciò  vedrete.  Signori,  che  il  fatto  del  poligamo  inglese 
non  è  realmente  né  tanto  inverisimile ,  né  tanto  strano,  n^ 
tanto  ridicolo  quanto  vi  é  sembrato.  — 


SULLA  I?iTBBPRBTAZIOKB  DBLLB  LEGGI.  171 

Cosi  terminai  il  mio  disconio,  e  cìascano  del  Caffé  si 
allò  e  prese  congedo*  Un  mio  amico,  che  si  trorò  a  caso 
salla  porta,  ascoltò  i  ragionamenti  che  facevano  fra  dr  loro  i 
miei  uditori.  Uno  disse:  QueW  uomo  è  sempre  etrano  neile 
tvf  ^ntònt.  Un  altro  soggiunse  :  Belle  cose  in  teorica,  ma  in 
pratica,  poveri  noi!  Un  terzo  brontolava  col  soo  compagno: 
Sempre  quéW Inghilterra,  sempre  Inghilterra!  Un  quarto  so- 
steneva che  tutto  queUo  che  avete  udito  sono  altrettanti  sojlsmi. 
la  8omma>  anche  in  questa  occasione,  si  conobbe  che  l'uomo 
rìDQDcia  ai  pregiadizj  più  tardi  che  può;  che  la  ragione  dif- 
ficilmente persuade  le  menti  già  incallite  con  una  opinione; 
ebe  dalla  ignoranza  alla  verità  la  strada  è  assai  più  facile 
che  dall'errore  alla  verità;  che  l'uomo  nel  regno  dell'immagi- 
nazione lascia  fabbricare  in  qualunque  maniera,  distruggere 
fi^i  spiace;  che  finalmente  l'amor  proprio  inerente  all'  uomo, 
è  assaissimo  Interessato  a  sostenere  ìe  cose  che  ha  giudicate 
Qoa  volta  per  vere ,  e  il  piegarsi  imparzialmente  alia  verità 
è  una  sorta  d'eroismo. 


Oh  quanti  sbadigli,  quanti  stiramenti  v'  erano  ieri  mat- 
tina al  ciaiifò  1  Gente  che  era  stata  tutta  la  notte  al  Ballo, 
gente  anikeiata,  e  che  voleva  for  crédere  d'essersi  divertita, 
veniva  in  foHa  a  ricercare  qualche  sorte  di  vita,  e  a  ripi- 
gliare nn  po'  di  vigore  alia  spossata  sensibilità  con  una  tazza 
del  nostro  eccellente  cafifè.  Il  nostro  Demetrio  era  tutto  in 
faccende,  e  di  tratto  in  tratto  mi  slanciava  qualche  occhiata 
greca  birbissima,  perché  egli  ed  io  eravamo  ì  soli,  che  dopo 
Aver  ben  cenato  la  sera,  ben  dormito  la  notte,  colle  gambe 
in  vigore,  colla  mente  senza  nebbia,  godevamo  del  dolce 
sentimento  di  non  esistere  male  fra  tanti  che  combattevano 
<^lla  lassitudine,  col  sopore  e  colla  incallita  sensibilità.  Pal- 
udi e  sformati  erano  i  volti,  rauca  la  voi»,  scomposti  gli  ab- 
bigliamenti, stordita  la  testa.  Chi  aveva  mal  di  capo,  chi  mal 


172  LA  VESTA  DA  SALLO. 

di  gob^  cbi  ma  potentissima  tosse.  0h  che  spedale,  lettori 
miei,  che  eia  mai  quello!  Basta,  dopo  aver  dìsfribiiita  una 
mezza  botte  di  eaHè,  on  dopo  l'altro  partirono  tatti  f  nostri 
noiosamente  dirertiti,  e  restammo  soli  Demetrio  ed  io,  onde 
avemmo  tatto  il  campo  di  ragionare  solla  scena  che  ci  era 
presentata. 

Hi  racconta  allora  Demetrio,  come  ne'  primi  mesi  dopo 
il  soo  arrivo  da  noi,  on  sao  amico  gli  propose  di  Tonire  nna 
sera  al  Ballo,  ed  ei  cariosissimo  di  conoscere  le  osanxe  ed  i 
costomi  de'  paesi  accettò  l'invito,  e  si  preparò  a  godere  d'an 
delizioso  spettacolo.  Venne  la  sera,  ed  entrato  appena  nella 
sala  del  Ballo,  restò  offeso  dall'  aria  veramente  malsana  che 
vi  si  respira,  e  che  si  manifesta  e  per  la  sensibile  polve  che 
viene  ad  imbrattarvi  il  viso,  le  mani,  gli  occhi  e  la  bocca,  e 
per  quel  sciagurato  poUpourri  di  odori  di  materie  passate 
per  gli  arelerj,  di  arrosti,  di  traspirazione  di  corpi  non  totU 
mondi,  e  di  altre  simili  cose  non  certamente  amene  ali'  im- 
maginazione. —  Appena,  disse  Demetrio,  m' avvidi  che  era 
por  fona  che  alternativamente  entrassero  nel  mìo  polmone 
tanti  rifiati  d' altri  uomini,  appena  mi  sentii  rosicar  la  pelle, 
impastare  la  bocca,  e  caasticamente  rodere  gli  occhi  da  tante 
materie  eterogenee  immiste  in  queir aria^  che  mi  trovai  mal 
conlento  di  esservi  venuto.  —  Infatti,  i  Greci  e  gli  abitatori 
tatti  di  quelle  felici  contrade  sono  avvezzi  a  respirare  l'aria 
del  Peloponneso  imbalsamata  dagli  aranci,  ed  a  cercare  il 
piacere  ne' giardini,  dove  la  natura  tutta  depurata  ed  abbel- 
lita sembra  sollevarli  al  di  là  della  condizione  dell'  uomo 
terreno  $  né  può  far  maraviglia,  se  la  grave,  la  malsana,  la 
fetida  atmosfera  in  coi  Demetrio  si  trovò  trasportato,  gli 
parve  un  cattivo  preiodio  per  trovar  ivi  il  piacere.  Pure,  rin- 
venuto Demetrio  da  questa  prima  scossa,  girò  rocchio  in- 
tomo per  incontrarsi  nei  leggiadri  ichinguiB  (tale  è  il  nome 
che  neir  Impero  Ottomano  dassi  ai  ballerini);  e  non  rincon- 
trando altri  che  uomini  e  donne,  vestiti  tutti  a  lutto  con 
nere  gramaglie,  s' accrebbe  la  sorpresa  di  lai,  sentendo  che 
non  già  ad  un  funerale,  ma  ad  un  ballo  cosi  si  costuma  da 
noi  di  vestire,  e  che  tutti  gli  uomini  e  donne  che  ivi  vedeva 
erano  tutti  gli  t  chin^is.  Stette  quasi  per  ritornarsene  Dome- 


Li  FESTA  Di   BALLO.  J73 

(rio  a  fare  i  fadì  suoi,  ma  ìa  curiosila  di  veder  (olio  lo  trai- 
(enne  ancora.  Vide  egli  dunque  molti  iehinguis,  che  passeg* 
giando  in  costa,  ed  inciampando  in  chi  voleva  passar  lora 
framezzo,  si  davano  ora  la  dritta,  ora  la  sinistra,  con  una 
serietà  colla  quale  si  tratterebbe  nn  affare  di  Stalo;  indi, 
coDtenti  d'aver  ballato  dieci  minuetti,  sbadigliavano  soave* 
mente  sdraiati  su  una  sedia.  Vide  Demetrio  delle  file,  ossia 
delle  langhe  strisele  irregolari  di  ichinguis  grandi,  piccoli, 
zoppi,  gobbi,  le  quali  si  movevano  e  s' intrecciavano  senza 
che  alcuno  potesse  intenderne  la  simetria;  e  fra  quelle  due 
strisele  ora  cadeva  un  cappello,  ora  nel  presentare  sollecita- 
mente la  mano  si  dava  un  amoroso  pugno,  ora  un  buon 
piede  impresso  sdì  lembo  della  tonaca  nera  delta  donna 
gliela  hcerava'y  sudavano  frattanto  e  si  smaniavano,  e  face* 
van  polvere  molta  gli  ichinguis,  sinché  giunti  alla  estremila 
deDa  striscia,  protestavano  di  non  poterne  più,  e  quasi  esige* 
vano  la  compassione  degli  spettatori  per  Una  fatica  che  non 
averano  Intrapresa  né  per  far  bene  ad  alcuno,  né  per  di- 
Tertire  alcuno,  ma  colla  speranza  di  divertire  sé  stessi,  mal- 
grado la  sperienia  di  tre  mila  volte  di  seguilo,  nelle  quali  si 
sono  noiosamente  stancati.  Frattanto  le  tròmibe,  i  tiibpani  e 
i  contrabbassi  avrebbero  proibito  ad  ogni  uomo  di  poter  ra* 
gìonare  per  poco  con  un  altro,  quando  il  continuo  vagare 
della  maggior  parte,  e  V  urto  e  il  passaggio  irregolare  non 
l'avessero  già  reso  difficile.  Infatti,  cercando  sempre  il  pia- 
cere, vanno  errando  da  una  parte  air  altra  della  sida  molti 
ammantati  colle  nere  zimarre,  e  il  piacere  si  rifugia  sempre 
altrove.  Quindi  tutti  i  viventi  che  s'incontrano  fra  quelle  in- 
nomerevoli  linee  incrocicchiate,  destinate  all'errore  dei  pas- 
seggianti,  ricevono  urti  e  scosse  tali,  c^e  chi  volesse  parlare 
non  sarebbe  mai  sicuro  verso  qual  pairle  del  mondo  debba 
terminare  un  periodò  già  innoltrato.  I  seguaci  di  Macone  an- 
che più  fervidi  ivi  non  potrebbero  fare  certamente  le  lor 
preghiere  rivolte  alla  Mecca. 

—Almeno,  soggiunse  Demetrio,  almeno  avessi  potuto  ve- 
dere qualche  oggetto  che  mi  ricompensasse  di  tutt'i  mali 
<!be  soffrìva  !  ma  le  donile  erano  coperte  il  voHo  con  una 
tela  annerita,  e  con  una  melanconica  barba  di  velo  nero  ; 

i5* 


174  LA   FESTA  DA  BALLO» 

gli  uomini  eoQ  nna  maschera  che  aveva  1*  aspetto  4'  on  cra- 
nio amano  imbianchito  ;  e  chi  russava  sonoramente  da  ana 
parte,  chi  spalancava  elocfuentissimamente  la  bocca  dall' al- 
tra, annonziàndoci  il  tedio  mortale  in  cui  era  assorto  chi 
svogliatamente  andava  errando  con  on  perpetuo  moto,  sin 
tante  che  la  pazienza  d^  buon  Demetrio  fu  tutta  esaarita,  e 
te  ne  venne  a  casa  sua  più  convalescente  che  sano,  ripe- 
tendo quel  detto  d' Orazio i.Si£ime  sertavU  Apollo. 

Demetrio  non  v'  incappa  più*  —  Oh  uomini,  si  pose  egli 
ad  esclamare^  oh  uomini  che  volete  avere  la  definizioDe  di 
animali  ragionevoli;  non  basta  a  voi  Faver  trovata  nel 
mondo  la  febbre,  la  podagra,  il  mal  di  pietra,  e  V  infinita 
schiera  deg^  altri  mali  innestati  alla  natura  umana,  che  vo- 
lete anche  cambiare  in  tormenti  veri  e  reali  quelle  azioni 
che  avete  destinate  alla  vostra  gioia!  Oh  uomini,  non  sapete 
ancora  che  1*  indole  d' ogni  piacere  è  di  essere  di  breve  do- 
rata, e  che  protraendo  per  (ulta  la  lunga  notte  d'inverno  i 
vostri  baccanali,  quand'  anche  fossero  tutti  all'  opposto  di 
quello  che  pur  sono,  dovete  ritornarvene  carichi  di  noial 
Oh  uomini,  non  sapete  ancora  che  V  uniformità  è  la  madre 
del  tedio,  e  che  una  variata  successione  di  oggetti  è  la  sola 
ohe  può  tenervi  V  animo  in  un  dolce  movimento,  e  che  per- 
ciò condensando  tutti  i  vostri  tetrissimì,  lunghissimi  balli  io 
nn  solo  mese  dell'  anno,  e  ripigliandoli  più  vojte  la  setli- 
mana,  dovrebbono  stomacarvi,  quand'  anche  fossero  le  feste 
che  davano  le  fate  ne'romanzii  Oh  uomini..... -^Bel  bello,  caro 
{)emetrie,  soggiunsi  io,  lasciate  a  parte  le  vostre  filippiche, 
lasciate  lo  dtile  del  patriota  vostro  Demostene  ;  ne  patireb- 
bero ì  vostri  polmoni,  e  gli  uomini  non  si  cambieranno  per 
tutto  ciò.  Gli  uomini  o^rcan0  il  piacere  ;  ma  la  mAS[gior 
parte  degli  uomini  crede  di  trovar  piacere  itegli  oggetti  do?e 
si  dice  che  vi  si  trovi;  e  quando  non  ve  lo  trovano,  essi  oe 
incolpano  sé  stessi  anzi  che  rivocare  in  dubbio  l' autorità 
della  moltitudine  ;  onde  per  non  aver  la  taccia  di  avere  on 
guasto  sentimento  del  buono,  fìngono  di  aver  gioia,  laddove 
adoperano  sforzi  infiniti  per  farla  comparire.  Cosi  la  molti- 
tudine, composta  tutta  di  individui  che  rispettano  il  parere 
della  moltitudine,  è  un  vero  composto  di  tanti  uomioi  i 


LA  FESTA  DA  BALLO.  17{$ 

qoaJi  non  palesalo  il  loro  vero  Bentimento,  ma  bensì  cìa- 
seooo  lo  simula,  credendo  che  gii  aHri  non  lo  simulino. — 

-  Ebbene^  soggionge  Demetm,  io  lascio  le  mie  declama- 
zioni; lasciate  v<»i  le  vostre  riflessioni  ilosofiche;  e  se  volete, 
questa  primavera,  nel  mio  easino  fuori  di  eitt4  balliamo  <^nì 
quiodìci  giorni  per  Ire  oquaUr'ore.  Avremo  dodici  signore, 
avremo  venti  signori.  La  sala  è  comoda,  l'aria  salubre,  a 
mezzanotte  il  ballo  sarà  finito.  Vi  darò  una  cena  dilicata  e 
non  pesante  ;  ritornerete  sani  e  allegri  alle  vostre  case,  e 
vedrete  che  è  miglior  mestiere  il  passar  bene  il  nostro  tempo 
ed  il  cercare  i  piaceri  nostri,  di  quello  che  non  lo  sia  eolle 
deelamaxioni  e  eolie  ragioni  il  voler  insegnare  alla  moltitu- 
dine a  passar  bene  i  sud  giorni,  cosa  cbe  non  sarà  mai.  — 

Cosi  terminò  la  nostra  conversazione.  Entrò  nelk  bot- 
tega in  qnel  punta  na  nuovo  sonnaechipso  venuto  dal  ballo, 
il  quale  si  disperava  pensando  di  dovervi  ritornare  fra  po- 
che ore,  quasi  che  dovesse  perire  lo  Stato,  s'egli  vi  avesse 
mancato  ;  ed  io  me  ne  venni  placidamente  verso  mia  casa 
ascrivere  questo  fatto,  e  mi  pr^aro  a  g<klére  delle  deliziose 
feste  del  mio  Demetrio. 


Secura  quies  et  ruseia  fatlen  vita. 

Ho  ricevuta  la  lettera  ségneote,  la  quale  forse  non  sarà 
discara  a' nostri  lettori.  Io  vorrei  certamente  passare  i  miei 
giorni  come  li  passa  il  mio  amico  :  quella  villa  che  mi  de- 
scrive è  il  modello  appunto  ch'io  mi  proporrei.  Tanti  cer- 
velli, tante  diverse  fiiccie  ha  la  felicità  :  vedremo  se  qoal- 
ch' altro  uomo  vede  quella  felicità  sotto  un  aspetto  nn  pq'  con- 
forme a  quello  sotto  il  quale  la  vedo  io.  Ecco  insomma  la 
lettera: 

AmìcOk 

È  ormai  trascorso  un  intero  mese  daoohè  me  ne  sto  in 
questa  fortunata  campagna,  a>bergato  dal  più  cortese  e  giù- 


J76  LE  DELIZIE  DELLA  VILLA. 

dizioflo  osiate  eli*  io  m' abbia  conoficiato  al  mondo  ;  e  fa  bi- 
sogno eh'  io  lo  veda  soli'  Effemeridi  per  persuadermi  che  dh 
mese  appunto  sia  già  passato.  €aro  amico,  se  il  tempo  della 
nostra  felicità  ci  pare  cosi  corto,  e  quello  deUa  noia  cosi 
lango,  non  potremo  mai  giadiear  bene  per  intimo  senti- 
mento deHà  somma  de'  momenti  felici  paragonata  a  queHa 
de'  momenti  infelici  ;  ed  ecco  forse  l'origine  delle  nniversali 
doglianze  degli  nomini  sai  loro  destino. 

Io  sono  adunque  in  una  villa  lontana  da  ***  quattr'ore, 
cioè  lo  spazio  di  circa  dieci  miglia  italiane,  appunto  quanto 
basta  ad  allontanare  dai  rumori  della  città  e  dalle  visite 
importune,  lasciandoci  comodamente  godere  degU  avvan- 
taggi che  si  hanno  nella  vicinanza  della  capitale.  L'aria  qui 
è  sana,  temperata  e  rìdente;  il  paese  ci  presenta  da  ona 
parte  una  vasta  pianura  tutta  si  ben  coltivata,  che  sembra 
un  séguito  di  non  interrotti  giardini  ;  dall'  altra  parte  co- 
minciano le  collinette  coperte  dì  uve  eccellenti,  che  proda- 
cono  vini  squisiti:  qui  non  si  sanno  i  nomi  di  nebbia,  di 
flussioni  0  di  mal  di  capo,  cose  che  per  isperìenza  ho  pro- 
vato andar  sempre  accompagnale:  la  vista  è  amena  e  va- 
riata quanto  immaginar  potete;  in  conclusione  il  luogo- solo 
merita  il  nome  che  porta,  cioè  YElito. 

In  questa  deliziosa  contrada,  il  marchese  N***  vi  ha  fab- 
bricata la  casa,  dove  ora  mi  vuole  in  compagnia  d'altri  gen- 
tili e  colti  suoi  amici.  Immaginatevi  un. salone  di  otto  lati 
esattamente  eguali,  il  quale  finisce  in  una  sorte  di  cupola,  e 
prende  la  luce  da  otto  finestre  (superiori  al  tetto  della  casa), 
oltre  quattro  porte  che  sono  a  pianterreno  in  mezzo  al  quat- 
tro lati  opposti  perfettamente  in  croce.  Quattro  belle  stanze 
quadrate  fiancheggiano  il  salone  ai  quattro  lati  che  riman- 
gono ;  cosi  ogni  lato  del  salone  ha  nel  mezzo  una  porta,  e 
queste  alternativamente  conducono  una  alla  stanza,  l'altra 
a  un  portico  formalo  in  tre  archi,  e  sostenuto  da  quattro  co- 
lonne, due  ad  ogni  sostegno,  pei  quali  portici  si  scende  da 
uno  ad  un  viale  che  conduce  al  borgo,  dagli  altri  tre  a  tre 
differenti  giardini  La  scala  è  in  una  delle  quattro  stanze;  ed 
una  loggia  interna  al  salone  dà  la  comunicazione  a  latie  le 
stanze  superiori,  delle  quali  quattro  sono  sopra  quelle  de- 


LE   DELIZIE  DELLA   VILLA.  i^^ 

senile  a  iH'anterreno,  e  quattro  sopra  i  portici,  restando  ad 
ogni  stanza  un  piccolo  ritiro  triangolare  per  tenere  chi  Toole 
DO  domestico  vicino,  o  per  altro  uso.  La  cnclna  e  gli  altri 
nfficj  restano  sotterra,  e  gl'impiegati  in  essi  alloggiano  in 
due  vicine  case,  le  quali  servono  d'imboccatura  del  viale 
che  va  al  bon;o.  Tutta  la  fabbrica  è  involta  di  muraglie  mas- 
siccie, con  tutte  le  opere  di  legno  egregiamente  lavorate, 
cosicché  vi  si  ha  il  maggior  asilo  possibile  contro  tutte  le 
stagioni.  I  mobili  di  queata  casa  sono  fatti  corrispondente- 
mente:  qui  non  vedrete  oro  né  argento,  ma  tutte  le  sedie  e 
le  tavole  comode,  durevoli  e  liscie,  cosicché  maneggiandole 
non  trovate  angeli  o  asprezza  che  conservi  la  polve,  o  v'im- 
Imiti  0  laceri  in  verun  conto.  Il  pavimento  del  salone  é  di 
marmo  bianco  ;  quello  di  tutte  le  altre  stanze  è  di  legno  di 
noce  connesso  con  qualche  simmetria,  e  cosi  ben  custodito 
e  Incido,  che  quasi  riflette  V  immagine  di  chi  vi  sta  sopra. 
Le  moragUe  tutte  al  di  dentro  sono  intonacate  d' una  sorta 
di  stocco,  che  al  pulimento  ed  alla  dolcezza  del  tatto  lo  cre- 
dereste un  vero  marmo;  cosicché,  Jn  qualunque  parte  vi  ap- 
poggiale, non  correte  verun  rischio  di  sconciare  o  offendervi 
né  la  persona  né  gli  abiti.  Qui  non  vedreste  quadri  di  sorta 
alcuna,  né  pitture,  tranne  quelle  della  cupola  del  salone  e 
della  stanza  detta  fra  noi  Alene;  ì  quadri  offuscano  le  stanze, 
piacciono  al  primo  colpo  d' occhio,  poi  vi  si  avvezza,  e  non 
K  ne  sente  che  V  oscurità  e  la  tetraggine  :  qui  tutto  é  di  al- 
legro colore,  non  però  bianco  affatto;  onde  più  dolce  é  la  luce, 
né  ferisce  dolorosamente  gli  occhi. 

V  é  una  stanza  per  le  scienze,  e  questa  si  chiama  Alene: 
ella  è  riposta  dirimpetto  alla  scala;  la  vòlta  di  essa  é  di  co- 
lor celeste,  né  ha  altro  ornamento  che  delle  stelle  di  diversa 
Snmdezza,  disposte  nel  medesim'  ordine  in  cui  sono  sul  no- 
stro emisfero.  Ivi  sta  sul  pavimento  un'  esatta  meridiana. 
Bolla  quale  cade  un  raggio  di  sole  attraversando  una  piccola 
apertura  fatta  nella  muraglia.  I  quattro  lati  óelV Alene  sono 
coperti  di  quattro  quadri  dipinti  a  olio  precisamente  coinci- 
denU  ai  lati  come  una  tappezzeria  :  ivi  stanno  simboleggiale 
le  scienze  tutte  ;  d' un  canto  alcuni  Amorini  che  indirizzano 
Qn  telescopio  ;  ivi  vicino,  un  altro  cbe  collo  specchio  ustorio 


178  LE  BBLIZIB   DELLA   VILL4. 

accende  fuoco;  poco  discosto,  od  terzo  che  osserTa  attenta- 
mente entro  nn  microscopio;  chi  ha  in  mano  de' prismi,  e 
chi  delle  camere  ottiche:  da  un  altro  canto,  v'  è  la  macchina 
elettrica,  e  diversi  amorini  che  la  pangom»  in  moto  e  ne 
eatraggono  le  scintille;  qui  la  pneatnaUca,  là  l'idraulica;  chi 
dissotterra  iscriuoni:  e  cosi  del  rimanente  totta  a  chiwoscnro 
bianco  e  celeste  è  dipinta  intorno  la  stanza.  Una  taycla  im- 
mobile sta  nel  mezzo  di  essa,  sotto  la  qnale  stanno  riposti 
circa  trecento  volami  e  non  più,  lutti  scelti  e  con  eleganza 
rilegati  nniformemente.  Un  esattissimo  pendolo  astronomìce, 
nn  quadrante,  varj  teloscopj  e  cannocchiali,  sfero,  macchine 
insomma  le  più  perfette  di  tutta  la  fìsica,  riempiono  la  stanza, 
della  quale  ciascuna  di  noi  ha  una  chiave,  acciò  svanisca 
«olla  libertà  nostra  di  goderne  la  sicurezza  dai  disordini  che 
le  visite,  che  talora  vengono  in  nostra  assenza,  potrebbero 
cagionare. 

il  giardino,  che  resta  dalla  parte  opposta  al  viale,  è  tatto 
sai  gusto  francese  a  parlerre,  circondato  da  due  remote  a^ 
lée$  di  portici  verdi  ;  questo  è  propriamente  folto  pel  gosto 
del  secolo.  I  due  altri  giardini  laterali  sono  fatti  pel  gaslo 
nostro.  Quello  che  resta  alla  sinistra  entrando,  è  destinalo 
alla  botanica  del  palato  :  ivi  trovate  tutte  le  erbe  e  i  Miì 
più  saporiti  dell'Asia,  dell'Affrica  e  dell'America,  e  gli  aspa- 
ragi, i  poponi  e  le  lattuche  più  squisite  d' Olanda,  le  qoaii 
senza  offendere  l'illustre  lignaggio  degli  ananassi  e  deiraw 
di  Buona-Speranza,  s'alimentano  sullo  stesso  terreno:  col 
mezzo  delle  serre  riscaldate  attentamente  ivi  avete  i  frnlii 
più  esotici  e  pellegrini;  ed  al  finire  dell'autunno  raccoglielc 
le  pesche,  le  cerase,  e  tali  altri  simili  doni  di  primavera  e 
d' estate.  Il  Marchese  ha  ricusato  di  ammettere  fra  _q^] 
vegetabili  la  vastissima  serie  delle  piante  forestiere,  le  qoah 
sterilmente  occupano  il  terreno,  né  ad  altro  uso  servono  cl»e 
a  compiere  le  pretese  classi,  nelle  quali  gli  uomini  si  osti- 
nane a  dividere  le  produzioni  della  natura.  Tutto  qui  s^f^'^ 
deve  e  all'  istruzione  o  ai  piaceri  dell'  odorato  e  della  men- 
sa; il  fasto,  la  vana  magnificenza,  non  sono  degne  d'un 
uomo  di  gusto  che  cerca  il  vero,  non  l' ostentazione  e  l'opi- 
nion del  volgo. 


LE   DELIZIE   DELLA  VILLA.  179 

L'altro  giardino  posto  alla  dritta  sembra  a  chi  lo  mira 
àt\  bel  principio  ancora  da  ^rsi  :  ivi  non  vedete  viàli^  non 
parterre,  non  simmetrìa  àlcana^  ma  bensì  la  natura  ferace 
che  ha  prodotto  una  sorta  di  boscaglia  irregolare  per  dove 
noD  si  sa  bene  come  entrare;  ma  avvicinandovi,  nn  sentiero 
vi  guida  in  quel  delizioso  boschetto,  dove  le  erbe  che  pre- 
mele son  dittamo,  timo,  serpillo^  e  simili  fragrantissime  che 
imbalsamano  co'kr  naturali  profami  Tana 'che  respirale; 
ivi  per  (ubi  sotterranei  vi  sbocca  V  acqua  condotta  nascosta- 
meote  dalle  vicine  sorgenti  della  collina,  e  così  artificìesa- 
meote  disposta,  che  «ombra  nascere  e  serpeggiare  ia  diversi 
piccoli  ruscelli  che  vanno  inaffiando  le  rose,  le  fragole»  le 
violette,  ed  altri  fiori  ed  erbe  grate  per  la  figura  e  la  fra- 
granza. Gli  uccelli  ivi  liberamente  vivono,  e  fanno  il  loro 
nido,  e  sono  si  domesticati  cogli  uomini  (fatti  animali  bene- 
fici in  quel  recinto),  che  quasi  non  temono  d' essere  da  noi 
toccati.  Questo  passeggio  è  delizioso  in  ogni  stagione,  ma 
sopramodo  nella  state  quando  le  piante  sono  ben  coperte;  e 
i[QÌ  SODO  si  giudiziosamente  disposte,  che  sembra  opera  li- 
bera della  natura  quello  che  è  V  nltimo  raffinamento  dell'ar- 
te. Queste  pianto  poi  sono  tutte  fruttifere,  e  nessuna  stenle 
vi  si  sopporta,  onde  nel  passeggio  medesimo  trovate  che  la 
natora  vi  presenta  di  prima  mano  ì  suoi  più  deliziosi  doni. 
Nel  mezzo  di  questo  incantato  boschetto  v'  è  una  circolar 
pianura,  nella  quale  stanno  pittorescamente  sparsi  diversi 
foitami  d'antica  architettura,  colonne,  archi,  piedestalli, 
'Bcrizioni,  scale  mezzo  diroccate,  statue  cadute  e  infrante, 
tante  anticaglie  insomma  coperte  d'erbe  su  di  esse  na- 
Meati,  e  si  graziosamente  disposte  e  interrotte  da  alcune 
piante  nate  fra'  dirupi,  eh'  io  mi  rimasi  attonito  ed  assorto 
per  la  sorpresa  e  per  la  vaghezza  del  disordine  :  credea  ta- 
lora d'essere  ad  una  scena  di  teatro,  e  talora  di  premere  gli 
rogasti  avanzi  della  commerciante  Cartagine,  o  della  con- 
quistatrice Roma:  insomma,  cosa  non  ho  veduto  sinora 
tanto  deliziosa,  quanto  questo  disordinato  giardino,  il  quale 
^on  costa  meno  al  padrone  spesa  e  incomodo  degli  altri  due. 

Eccovi  descritto  il  luogo  della  mia  dimora  :  ora  vi  dirò 
<^ome  in  questo  luogo  si  viva.  Siamo  sei  ospiti,  e  il  Marchese 


180  LE   DELIZIE  DELLA  VfLLA. 

che  fa  sette;  abitiamo  ciascano  in  una  stanza  di  sópra.  Sino 
a  mezzodì,  ciascuno  vive  come  vuole;  e  questo  è  il  tempo 
in  coi,  compiati  gli  atti  di  nsligione,  con  on  libro  me  la  passo 
nel  delizioso  boschetto:  giaoto  ilmezzodi,  ognuno  è  vestito, 
te  si  impiegano  le  due  ore  prima  del  pranzo  o  in  ascoltare  la 
lettura  di  qualche  manoscritto  del  Marchese,  o  in  fare  qnal- 
che  osservazione,  ovvero  nella  lettura  di  qualche  squarcio  di 
buon  autore,  e  talvolta  nella  declamazione  di  qualche  trage- 
dia o  commedia  delle  più  scelte;  cosi  passano  le  due  ore 
dolcissimamente  e  con  profitto.  Ne  viene  poscia  il  pranzo: 
ivi  non  v'  accorgereste  che  il  Marchese  sia  il  padrooe  di 
casa;  non  comanda,  non  disapprova,  non  offre  a  veruno.  La 
tavola  è  dilicata  quanto  essere  è  possibile  ;  i  cibi  sono  toUi 
sani  e  di  facile  digestione  ;  non  v'è  una  fastosa  abbondanza, 
ma  v'  è  quanto  basta  a  sodisfare  :  le  carni  viscide  o  pesanti, 
Taglio,  le  cipolle,  le  droghe  forti,  i  cibi  salati,  i  tartoffi,  e 
simili  veleni  della  umana  natura,  sono  interamente  proscrivi 
da  questa  mensa,  dove  le  carni  de'  volatili  e  di  polli,  le  erbe, 
gli  aranci  e  i  sughi  loro  principalmente  hanno  luogo.  I  sa- 
pori sono  squisiti,  ma  non  forti  ;  ogni  cibo  che  fortemente 
operi  sul  palato  istupidisce  poco  o  molto  il  palato  medesimo, 
e  lo  priva  d' un  infinito  numero  dì  piaceri  più  dilicati  ;  oltre 
di  che,  qualunque  cibo  che  fortemente  stimoli  il  palato,  for- 
temente ancora  agisce  sulle  tonache  del  ventricolo  e  degli 
intestini,  e  da  qui  ne  vengono  infiniti  niali  che  compensano 
con  molta  usura  il  piacere  della  sensazione  provata.  I  vini 
xaccolti  dalle  vicine  colline  hanno  molto  sapore  e  pòca  forza, 
cosicché  mischiati  con  qualche  porzion  d'acqua  rassembrano, 
al  leggier  acido  loro,  alle  limonate,  e  sono  una  gustosa  be- 
vanda che  aiuta  la  pronta  digestione.  Nessun  cibo  d'odor 
■forte  è  ammesso  alla  nostra  mensa,  ed  è  proscritta  ogni 
erba  che  infracidendosi  dia  cattivo  odore;  perciò  i  caci  e i 
cavoli  d'ogni  sorta  ne  restano  esclusi.  Tale  è  il  nostro  pranzo, 
che  terminiamo  con  un'  eccellente  tazza  di  caffé,  soddisfatti? 
pasciuti,  e  non  oppressi  da  grossolano  nodri mento,  dàlqo^ 
^sopito  lo  spirito  spargerebbe  la  nòia  nella  società  nostra, 
jiella  quale  anzi  dopo  il  pranzo  sembra  rianimarsi  la  comane 
jiiarità. 


T  LE   DELIZIE  DELLA   VILLA.  I8l 

Allora  è,  che  allestiti  i  cocehi  e  sellati  i  cayalli,  Tiag* 
giamo  unitamente  ora  ad  una  terra  vicina,  visitando  le  civili 
persone  che  vi  alloggiano,  ora  in  luoghi  solitarj  di  bella  ve- 
duta, ovvero  dove  qualche  curiosa  sorgente  d'acqua,  o  qual* 
ch'altra  naturale  produzione  degna  di  osservarsi  c'invita. 
Queste  geniali  partite  ci  fanno  sparire  il  tempo  sino  a  sera, 
avvicinandosi  la  quale  ce  ne  ritorniamo  al  nostro  Eliso.  Ivi 
la  domenica  si  balia,  e  tutte  le  compagnie  del  vicinato  ven- 
gono a  passarvi  quella  sera.  La  piccola  orchestra  sta  solla 
loggia  ;  nella  gran  sala  è  il  ballo  ;  e  neUe  due  stanze  libere 
a  pianterreno,  in  una  vi  sono  le  tavole  de'  giuochi,  nell'altra 
ona  cena  campestre,  a  cui  chiunque  vuole  partecipa,  to« 
gliendo,  senza  la  formalità  di  sedere,  da  una  mensa  ben 
fornita  di  deliziosi  cibi  freddi  e  di  squisite  bottiglie,  quanto 
abbisogna.  A  mezzanotte  Onisco  regolarmente  il  ballo. 

Le  altre  sere  talvolta  le  passiamo  colla  musica:  tre  della 
nostra  compagnia  son  buoni  suonatori,  e  formano  un  con- 
certo a  tre,  eseguendo  delle  suonate  a  tre  stromenti,  delle 
quali  appunto,  come  di  più  facile  esecuzione,  il  Marchese  ha 
fatto  una  copiosa  e  scelta  raccolta  ne'  suoi  viaggi,  e  la  con* 
serva  legata  in  diversi  volqmi.  Frattanto  altri  giuoca,  o  legge, 
0  ascolta,  o  ragiona,  come  piace.  Talvolta  per  tema  che  l'uni- 
formità non  ci  annoj,  varj  altri  passatempi  vi  s'introducono; 
né  v'è  cosa  che  si  reputi  frivola  presso  di  noi,  quando  serve 
air  importantissimo  alTare  d' impiegar  il  tempo  con  piacere  ^ 
perciò  mille  giuochi  si  sono  messi  in  campo  ;  mille  scherzi 
innocenti,  ora  cadendo  sopra  l' uno,  ora  sopra  l'altro,  ralle- 
grano la  compagnia  sen/'  avvilire  l' amor  proprio  di  alcuno. 
Così  passa  con  una  dolce  allegria  la  sera  ;  né  altra  maggior 
cura  ha  il  Marchese  di  quella  di  prevenire  sempre  il  tedio, 
e  far  sostituire  una  nuova  occupazione  a  quella  che  prose- 
guendo potrebbe  illanguidire  l' attenzione.  Cosi  viene  V  ora 
della  cena,  dopo  la  quale  ciascuno  passa  nella  propria 
stanza. 

La  maldicenza  e  la  irreligione  sono  le  sole  lingue  proi-' 
hi  te  severamente  in  questa  innocente  nostra  vita  ;  tutto  re- 
spira r  umanità  e  la  vera  virtù.  La  premura  di  renderci  re- 
ciprocamente grato  questo  soggiorno,  è  la  passione  che  ci 
II.  -•       .  16 


182  LE  DELIZIE  DELLA   VILLA. 

anima  tutti  a  ricenda  ;  in  conclasione  si  rive  cosi  beata- 
mente, che  i  Mita  ni  dell' Asia,  qnand'  anche  fossero  intima- 
mente pèrsnasi  che  cento  milioni  di  nomini  sono  nati  per 
essi,  non  credo  che  provino  in  vita  loro  il  piacere  di  vivere 
come  lo  proviamo  noi.  Qoeiro  che  sovranamente  abbella 
(alto,  è  il  Marchese,  nomo  che  ha  conosciuto  tolte  le  corti  e 
Regni  floridi  d'Europa;  uomo  che  ha  avuta  famigliarità  co- 
gli nomini  più  cospicui  in  ogni  genere,  e  che  da'  suoi  viaggi 
e  da'  suoi  studj,  ai  quali  per  natura  è  stato  sempre  inclinato, 
ha  cavata  una  quantità  di  tante  notizie,  ed  una  si  fatta  col- 
tura e  grazia  di  farne  uso,  eh'  io  non  saprei  nominarne  un 
altio  di  più  gentile  e  interessante  conversazione.  Egli  è 
uomo  amabile,  ma  non  debole;  deciso,  ma  non  ributtante. 
In  questa  sua  campagna,  altri  commensali  non  vi  sono  che 
i  suoi  amici  ;  ed  ha  saputo  si  bene  farsi  intendere  su  gue- 
st'articolo,  che  alcuno  non  osa  inlrodurvisi,  se  non  è  for- 
malmente pregato  da  lui.  Di  tutti  quelli  che  quiyi  cenano  al 
ballo  liberamente,  un  solo  non  ardirebbe  presentarsi  a  parte- 
cipare della  nostra  vita  ordinaria.  Cosi  questo  vero  saggio  sa 
vivere  nel  mondo  ;  sa  goderlo  senza  esseme  schiavo. 

Ili  sono  trovato  spesse  volte  in  compagnie  splendide  in 
villa,  non  mai  in  una  si  ben  concertala  e  insieme  cosi  ge- 
niale come  si  è  questa;  dove  per  compimento  di  perfezione, 
non  provo  il  dispiacere  di  vedere  il  padrone  di  casa  incomo- 
darsi, e  comperare  Y  attuale  magniGcenza  colla  carestia  fo- 
tura,  sentimento  che  mi  ha  amareggiato  nel  secreto  del 
cuore  ogni  volta  che  mi  sono  trovato  nel  caso  di  averlo. 

Il  patrimonio  del  Marchese  è  di  dodici  mila  scudi  al- 
l' anno  :  nei  primi  anni  della  gioventù  gli  ha  spesi  regolar- 
mente in  viaggiare;  ritornato  poscia  nella  patria,  quattro 
mila  soli  scudi  si  è  riservati  pel  suo  mantenimento,  e  otto 
mila  all'anno  ne  spese  nella  costruzione  di  qaesV Eliso.  Fi- 
nito y Eliso,  altra  distribuzione  ha  stabilita  alla  sua  entrata: 
quattro  mila  scudi  per  la  sua  persona,  mille  scudi  per  le  ri- 
parazioni MV  Eliso,  due  mila  scudi  per  sollevare  i  poveri, 
mille  scudi  per  aiutare  e  ricompensare  gli  uomini  di  merito 
che  producono  qualche  buona  cosa  in  qualunque  genere,  e  i 
quattro  mila  scudi  che  rimangono  servono  a  passare  due  mesi 


LE  DELIZIE  DELLA  VILLA.  183 

ogD'aDno  dalia  vita  che  vi  ho  descritta,  senza  che  nnai  al- 
cuna dì  queste  partite  ecceda  a  danno  dell'altra.  Se  vi  do- 
lessi dire  come  e  con  qaali  nobili  maniere  impieghi  ì  mille 
scadi  a  premiare  ora  on  letterato,  ora  un  pittore,  ora  on  ar- 
tista, e  quanto  bene  faccia  alla  sua  patria  con  soli  mille  scodi 
annoi,  avrei  soggetto  per  farvi  ana  nuova  lettera  :  vedreste 
Ve  vero  che  un  cittadino  illuminato  ha  più  influenza  nel 
mutare  una  nazione,  che  non  ne  abbiano  i  più  gravi  volgari 
Catoni.  Ma  tempo  è  di  finirla  :  v'  abbraccio  e  sono  ec. 
Dall'  Eliso,  S  ottobre  1764. 


STORIA    NTATIJIMlIìI:   DEIi   €ìIl€€AO« 

Ogni  ragionevole  lettore,  al  solo  titolo  di  Storia  naturtUe 
del  Caccao,  sarà  persuaso  che  quanto  sono  per  dire  su  questo 
argomento  non  è,  né  può  essere  una  invenzione  delia  mia 
mente,  ma  deve  per  necessità  essere  una  raccolta  dì  notizie 
spettanti  a  questa  droga,  di  cui  altri  prima  di  me  ha  scrìtto. 
Chiunque  voglia  dire  che  è  tradotta,  ricopiata  o  altro,  come 
s'è  detto  della  Storia  del  Caffè,  è  padrone;  gM  scritti  slam- 
pati  sono  come  le  facciate  delle  case,  sulle  quali  chiunque 
passa  per  la  strada  è  libero  a  dire  il  parer  suo,  e  chiunque 
si  determina  a  stampare  le  cose  sue  deve  sottoscrìversi  a 
qnesto  contratto.  Credo  che  a  buona  parte  de'  discreti  nostri 
lettori  non  sarà  discaro  d' avere  in  questo  Foglio  una  idea 
^"^ana  droga  tanto  familiare  fra  di  noi,  poiché  gli  autori  che 
ae  trattano  non  sono  tanto  comodi  ad  aversi  quanto  il  no- 
stro Foglio. 

V*  è  un  errore  volgare  sulla  indole  del  caffè,  di  che  ab- 
biamo parlato  nel  primo  Foglio,  ed  è  di  crederlo  un  legume. 
V*  è  un  errore  volgare  sull*  indole  del  caccao,  ed  è  di  cre- 
(lerlo  una  ghianda.  I  grani  di  caccao  che  veggìamo  in  £uro* 
pa,  de*  quali  ci  serviamo  per  formare  il  cioccolatte,  trovansi 
i^on  già  uno  ad  uno  separatamente  pendenti  dai  fami  del- 
,  l' albero,  ma  bensì  raggruppati  a  guisa  d' un  grappolo,  il 
quale  sta  involto  in  un  baccello,  ossia  guscio,  della  figura 


184  STORIA  NATURALE  DI^L  CACCAO. 

presso  a  poco  d'un  cilriolo.  Cotesti  cetrioli  contengono  per  lo 
più  venti,  venticinqae,  trenta,  e  persino  trentacinqne  grani 
di  caccao,  tutti  per  entro  disposti  con  maravigliosa  simetria,' 
come  presso  a  poco  lo  sono  que'  del  granato.  Né  qae'citrioH 
restano  già  appesi  ai  rami  secondar]  dell'albero,  come  lo 
sono  i  fratti  di  Europa,  ma  bensì  sono  inerenti  al  gran  troDco 
0  ai  rami  primitivi,  cosa  la  quale  non  è  si  rara  nelle  piante 
d'America. 

Quattro  mesi  a  un  dipresso  vi  vogliono  perché  il  fratto 
del  caccao  giunga  alla  maturezza;  e  se  nn  guscio  non  per 
anco  maturo  venga  spaccato,  vi  ritrovi  fra  le  cellette  ove  do- 
veano  esservi  i  grani,  una  materia  bianchiccia  e  consistente 
la  quale  trasmutasi  poi  in  una  mucillagine  d'un  acidetto  soa- 
vissimo al  palato,  che  fra  gli  ardori  della  state  s{erve  delizio- 
samente ad  estinguer  la  sete. 

Il  cacaotiere,  ossia  l' albero  del  caccao,  è  una  pianta  di 
mediocre  grandezza,  le  di  cui  foglie  cadono  a  vicenda,  e  si 
riproducono  per  modo  eh'  egli  è  sempre  coperte^  di  foglie,  e 
sempre  schiude,  produce  e  matura  il  suo  frutto.  Con  tutto 
ciò,  la  principale  raccolta  fassi  due  volt$  Y  anno,  cioè  verso 
la  fine  di  dicembre  e  circa  la  fine  di  giugno,  e  la  prima  è 
«empre  più  abbondante.  Il  prodotto  che  deriva  dalla  coltiva- 
Eione  di  quest'albero  altronde  dilicatissimo,  è  molto  raggaar- 
devote,  poiché  la  fatica  di  venti  soli  schiavi  Mori  può  ren- 
dere cento  mila  libbre  di  caccao  all'anno,  le  quali,  valutan- 
dole al  prezzo  che  colà  corre,  a  circa  dieci  soldi  milanesi  la 
libbra,  danno  il  prodotto  di  circa  cinquanta  mila  annue  lire 
milanesi,  ossìa  tre  mila  trecento  trentatrè  gigliati  all'anno. 
Il  cacaotiere  si  riproduce  con  que'  medesimi  grani  che  ne 
vengono  a  noi;  se  non  che  appena  distaccati  dall'albero,  e 
rotto  il  baccello,  si  piantano,  poiché  altrimenti  disseccandosi 
perdono  ogni  disposizione  a  vegetare.  11  terreno  poi,  in  coi 
meglio  riesce  questa  piantagione,  si  é  laddove  là  terra  sia 
vergine,  ossia  laddove  la  terra  da  lungo  tempo  non  sia  stata 
coltivata,  ed  abbia  profondità  molta,  onde  possano  allungarsi 
liberamente  le  radici  della  pianta. 

La  parte  interna  de'  grani  del  caccao  é  bianchiccia  al- 
lorché si  colgono,  ma  con  cinque  o  sei  giorni  di  fermenta- 


STORIA  NATOBALE  DEI.  CACCAO.  185 

zione  che  essi  fanno  radunati  in  mucchio,  perdono  quel- 
r  amido  soverchio  che  li  farebbe  infracidire,  e  prendono 
quel  color  brano  ohe  conservano  dappoi.  I  grani  del  caccao 
sono  il  frodo  più  oleoso  che  sinora  siasi  trovato  al  mondo, 
ed  hanno  ciò  di  proprio,  che  laddove  tutt'  i  fratti  contenenti 
particelle  oleose,  quali  la  noce,  la  mandorla,  i  pinocchi,  le 
dive,  invecchiandosi  rancidiscono,  i  grani  del  caccao  mara- 
vigliosamente si  conservano  illesi  da  ogni  corruzione. 

La  patria  naturale  del  caccao  sono  le  contrade  d'Ame- 
rica riposte  fra  i  due  tropici,  e  singolarmente  il  Messico,  le 
Provincie  di  Guatìmala  e  di  Nicaragua,  lungo  le  sponde  del 
Rio  delle  Amazzoni  sulla  spiaggia  di  Caraca,cioò  da  Comana, 
0  Cordova,  persino  a  Gartagena,  o  all'  isola  d' Oro.  Le  pian- 
tagioni che  altre  volte  v'  erano  di  cacaotieri  nella  Martiniélf, 
sono  slate  quasi  interamente  distrutte,  parte  schiantate  da'  fu- 
riosi venti,  e  parte  perché  ivi  si  è  trovato  più  conto  a  pro- 
movere  le  coltivazioni  dello  zucchero  e  del  caffé.  Dal  Mara- 
gnan  molto  caccao  viene  ogni  anno  a  Lisbona,  ma  di  qua- 
lità assai  inferiore  a  quello  che  sì  coltiva  dalle  Colonie 


Nell'anno  1520  hanno  cominciato  gli  Spagnuoli  a  fer 
Qsodelcioccolatte,  che  era  la  bevanda  quasi  comune  degl'in- 
felici Messicani.  L'olio,  ossia  butirro,  del  caccao,  è  sanissimo 
ad  osarsi,  anzi  é  un  rimedio;  e  se  l'usanza  delle  antiche  un-> 
zioni  (molto  salubri  a  preservare  dai  malori  che  oi  cagionano 
te  violenti  matazioni  dell'  atmosfera,  ed  a  conservare  la  pie-^ 
ghevolezza  e  la  forza  ai  muscoli)  ritornasse,  il  butirro  del 
caccao  sarebbe  certamente  da  preferirsi  ad  ogni  altra  pò* 
mata,  poich'  egli  non  lascia  alla  pelle  né  sudiciume  né  ve- 
ran  cattivo  odore,  il  che  non  accade  dell'altre  pomate;  e 
ben  lo  sanno  moHe  dilicate  donne,  le  quali  por  preservare 
la  pelle  del  volto  da  quella  secchezza  da  cui  poi  nasce  l' in- 
crespamento, ne  fanno  uso  con  profitto. 

Qoest'é  appunto  quello  ch'io  credo  sarà  letto  8enz9 
noia  da  quei  ragionevoli  e  cortesi  lettori  del  nostro  Foglio,  f 
quali  sanno  che  le  descrizioni  delle  piante  d'America  non 
possono  farsi  in  Milano  senza  prevalersi  d' altre  descrizioni, 
^  quali  si  trovano  sugli  autori 


ihG 


»£!    lilJCni    D£'in[£DI€I. 

10  san  medico  poUista:  tocco  dugento  polsi  al  giorno  j  e  rice- 
vo dw  mila  scudi  Vanno  in  ricompensa  dermici  toccamenii.  Quel 
qiorno  appunto  in  cui  pubblicaste  U  discorso  contro  i  PoUisUh 
acquistali  Ire  clienti  di  più.  La  mia  rendita  è  tanto  più  stM, 
quanto  eh*  ella  ha  per  cauzione  gii  errori  degli  uomini.  La  vo- 
straMga  è  tanto  più  difficile,  quanto  che  avete  per  avvér$(uj 
lutti  coloro  ai  qtMli  vorreste  far  del  bene.Giudicate, scrittore P..^-: 
V  animai  raqionevohi  in  questo  caso  siete  voi,  o  lo  sono  io?  Stn- 
chè  gii  uomini  saranno  deboli  mentre  sono  ammalati,  osn'a 
lincee  gli  uomini  saranno  uomini,  awanno  tutta  la  docilità  fer 
chi  farà  sperar  loro  la  guarigione;  tutte  le  ragioni  avranno  sem- 
pre minor  forza  di  quel  principio  inerente  edCuomo  medetim 
Questo  è  un  pezzo  d'erudizione,  che  potreste  riporre  nel  Gaffì. 

11  si^or  dottor  Anonimo  è  servito.  Ecco  riposto  nel 
Gaffe  il  biglietto  che  mi  ha  trasmesso.  11  signor  Polsisla 
ha  più  buon  senso  che  non  ne  abbiano  la  maggior  parte  de' 
suoi  compagni:  il  ragionamento  eh'  egli  fa  è  giastissimo  a 
considerarlo  sotto  un  aspetto  solo.  Se  la  commedia,  che  noi 
uomini  rappresentiamo  su  questo  globo,  non  dovesse  eoosi- 
stere  in  al^ro  che  nel  profittare  de' mali  e  delle  debolezze 
altrui,  il  signor  Polsista  avrebbe  ragione,  e  seco  lui  avrebbe- 
ro pur  ragione  tutti  i  cariali  che  rovinano  i  patrimoni,  tutti 
que'che  contraggon  debiti  per  fallire,  lotti  ì. ladri,  adorne^ 
stiei  e  di  slrada;  in  una  parola,  non  vi  sarebber  pia  prioeipl 
né  di  religione,  né  di  morale,  né  d'onestà.  Due  mila  scodi 
l'anno  sono  nn  bene;  ma  la  vergogna  di  guadagnarli  con  ob 
mefiitiere  o  inutile  o  pernicioso  alla  società,  é  un  male.  Taccio 
le  ragioni  superiori.  Resta  a  bilanciare  qnàl  sia  maggiore,  » 
il  bene  o  il  male;  e  questa  decisione  dipende  dal  senso  di 
ciascheduno.  Se  io  dovessi  fare  il  medico,  farei  ogni  sfo'*' 
per  radunare  in  me  latte  quelle  eogniiioni  le  quali  poteff»; 
ro  rendermi  capace  da  sollevar  dai  malori  gli  uomini  che  sì 
fidassero  di  me;  e  quel  poco  che  io  mi  procacciassi  «>'  ^^ 


'     DEI  LOCBl   DB  MEDICI.  187 

sapere,  me  lo  goderei  come  un  onorato  fratto  del  mio  talen- 
to, senza  rimorsi  e  senza  vergognarmi  della  mìa  professione 
in  faccia  a  chi  che  sia.  Chi  pensa  altrimenti,  forse  ne  riceverà 
maggior  lacro;  ma  questo  lucro  deve  pagarlo  colla  conti- 
nua inquietudine  di  essere  smascherato,  colla  continua  solle- 
cìtadine  di  nascondere  la  propria  ignoranza,  colla  fuga  atten- 
tissima delle  occasioni,  in  cui  debbasr  incontrare  un  medico 
veramente  tale;  insomma  con  rUnorsi,  con  amarezze  e  con 
00  fascio  di  sventurate  sensazioni,  le  quali  non  son  mai  ben 
pagate,  qualunque  sia  la  somma  del  danaro  che  producono. 
Io  non  ho  nessuna  vergogna  nel  dir  delle  verità  e  nello  scri- 
verle. GV  impostori  hanno  sempre  un  crudelissimo  disprezzo 
di  loro  medesimi  nel  fondo  del  cuore.  L' animai  ragionevole 
dunque  credo  che  lo  son  io. 


IiA   BlIOUTA   €OnPA«]VIA« 

La  maggior  parte  degli  uomini  hanno  un  vero  bisogno 
di  passare  il  loro  tempo  più  che  possono  nella  compagnia  di 
molti  uomini,  per  tal  modo  che,  qualora  per  circostanze  par- 
ticolari venga  ciò  loro  impedito,  gli  vedi  abbattati,  tristi,  deso- 
lati, più  che  se  loro  qqalche  mal  fisico  fosse  veramente  accadu- 
to. Osservo  inoltre  che  a  questi  tali,  punti  da  quest'artefatto 
bifiogno,  nemmeno  il  mal  di  capo,  nemmen  la  febbre,  bastano 
a  superare  Tinterna  voce  di  questo,  a  meno  che  non  giungano 
a  un  grado  insigne.  Questo  bisogno  io  lo  chiamo  artefatto,  e 
per  ciò  tale  lo  chiamo,  perchè  presso  varie  nazioni  egli  è  per- 
fettamente sconosciuto;  e  forse,  se  daremo  una  libera  occhiata 
alla  terra,  troveremo  che  esso  va  sempre  crescendo  a  misura 
che  i  popoli  vivono  sotto  un  più  pacifico  governo,  ed  abitano 
una  porzione  meno  ingrata  del  globo.  La  sapienza  è  sempre 
stata  il  patrimonio  di  pochi;  perciò  non  è  dato  a  molti  il  sentire 
questa  grande  verità:  che  Tuomo  è  tanto  più  indipendente, 
quanto  sono  minori  i  bisogni  di  lui,  e  che  quanti  più  biso- 
gni si  forma,  tanto  più  crescono  le  catene,  che  k>  riducono 


188  LA  BUONA  COMPAGNIA. 

a  soffrire  nel  l^reve  corso  de'saoì  giorni  una  esislenta  preca- 
ria e  subordinata  ai  capricci  altrui.  Si  fatti  principj  non 
possono  mai  rendersi  universali,  ma  bensì  dirigono  la  vita 
di  alcuni  pochi  sparsi  con  molta  parsimonia  sul  nostro  Pia- 
neta, e  questi  pochi  sono  realmente  più  paesani  fra  di  essi,  di 
quello  che  non  lo  sieno  coloro  che  hanno  comune  la  patria. 
Quello  che  fa  maraviglia  piuttosto,  si  è  il  vedere  come  la 
maggior  parte  degli  nomini,  avendo  un  vero  bisogno  della 
società  degli  uomini ,  trascuri  talmente  Y  arte  di  vivere  in 
essa  società,  che  invece  di  riportarne  quella  dolcezza  e  qael 
conforto  che  gli  animali  deboli  ricercano  dalla  compagnia 
de' loro  simili,  ritornino  per  lo  più  alla  loro  solitudine  ama- 
reggiati e  guasti  da  infinite  passioni  e  idee  oppostissime  al 
fine  propostosi.  In  questo  breve  discorso  vo'  provarmi,  se 
posso,  a  illuminare  alcuni  principj  relativi  a  quest'argomento. 

Ognuno  m'accorderà  facilmente  che  si  dia  la  buona  comr 
pagnia,  e  che  si  trovi  la  cattiva  compagnia,*  ma  se  dovessi  rac- 
cogliere le  diverse  definizioni  che  ciascheduno  dovesse  dare 
di  queste  dure  diverse  sòrte  di  società,  troverei  un  vero  caos. 
Riduciamole  però  ai  primi  elementi.  Ognuno  chiama  buona 
compartita  qneUa  dove  passa  bene  ilsno  tempo;  eatlivay  quella 
dove  lo  passa  male:  e  ognuno  passa  bene  il  soo  tempo,  dove 
non  resti  offeso  il  suo  amor  proprio;  e  lo  passa  male^  dove 
all'  incontro  l' amor  proprio  venga  offeso. 

Poni  una  bella  dama,  di  cui  la  più  forte  passione  sia 
quella  di  ottenere  il  vanto  di  bellezza,  attorniata  di  altre  an- 
cor più  belle  e  leggiadre  di  lei:  qualunque  sia  il  fortuito  giro 
delle  idee  e  de' discorsi  tenuti  in  quest'adunanza,  sii  si- 
curo che  la  bella  dama  ha  sofferto  dai  volti  delle  più  belle 
continue  mortificazioni  al  suo  amor  proprio;  ch'ella  avi'à 
passato  male  il  suo  tempo;  e  conseguentemente  eh'  ella  Del- 
l' ìntimo  dei  suo  cuore  darà  il  nome  di  cattiva  compagnia  a 
quell'adunanza.  Poni  un  uomo  mediocre,  ma  che  pure  abbia 
una  costante  passione  di  passare  per  nomo  di  spirito,  attor- 
niato di  nomini  d'uno  spirito  al  suo  superiore;  fa  che  essi 
brillino  a  segno  d'offuscarlo,  e  lo  vedrai  oseire  dalla  compa- 
gnia con  qne'  sentimenti  che  porta  seco  la  bella  dama.  La 
superiorità  de' talenti  o  dell'avvenenza  non  si  soffre  dalla 


LA  BUONA  COMPAGNIA;  189 

umana  debolezza  giamniai,  sintanto  eh'  ella  non  sia  tanto  in- 
signe) da  rendere  affatto  ridicola  la  pretensione  di  gareggiar^ 
vi;  e  questa  è  forse  la  vera  cagione  per  cui  rarissìnie  sono 
te  ?ere  amicizie  fra  due  belle,  e  fra  gli  uomini  di  lettere,  co« 
moDemeote;  e  quando  colla  ragione  giungano  ^  superare 
gli  ostacoli  fortissimi  che  V  amor  proprio  loro  frappone,  v'  è 
ragione  di  credere  che  le  facoltà  del  loro  animo  s' esercitino 
ancora  più  sul  cuore  che  sulla  fantasia  o  sull'  ingegno.  Ba- 
sta non  esser  vile  per  sacrificare  alla  virtù  le  ricchezze;  vi 
VQoie  della  forza  per  sacrificarvi  i  piaceri;  vi  vuole  una  ro- 
basta  e  benefica  filosofia  per  sacrificarvi  V  ambizione. 

Ma  per  formarci  una  universale  e  limpida  idea  delF  eis- 
senza  d' una  buona  società ,  vediamo  in  prima  qual  sia  il 
fine  per  cui  viene  essa  formata.  Gli  uomini  ubbidiscono  al 
bisogno  di  passare  delle  ore  del  giorno  socievolmente  a  fine 
li  passare  quelle  ore  bene:  da  ciò  ne  deriva  dunque  per 
'Onsegoenza  che  la  buona  compagnia  si  è  quella  d'onde  mag- 
n'or  nnmero  d'  uomini  partono  contenti.  La  buona  compa- 
gnia dunque  deve  rassomigliarsi  assai  più  al  governo  demo- 
cratico, che  a  qualunque  altro;  fors'anco  può  ella  sussistere 
fiotto  r aspetto  d'una  aristocrazìa  clemente;  fors'anco  può 
ritrovarsi  in  figura  d' una  moderata  monarchia:  ma  se  il  di- 
spotismo 0  l'anarchìa  vi  s'introducono,  la  buona  compa- 
gnia non  è  più  da  sperarsi.  Chiamo  conversazione  anarchica, 
quella  dove  gli  uomini  radunati,  non  obbedendo  a  veruna 
legge  sociale,  formano  un  tumultuario  mormorio;  dove  più 
parlano  in  una  volta,  e  s' interrompono,  e  si  urtano,  e  s'in- 
comodano vicendevolmente;  dove  si  mette  a  prova  la  forza 
polmonare,  e  si  urla,  e  si  schiamazza;  dove  l'uomo  educato, 
M  per  sventura  vi  si  trova,  deve  essere  asperso  deireloquente 
saliva  degli  infuocati  declamatori ,  e  spalmato  potentemente 
dal  loro  eterno  gesticolare;  dove  una  idea  o  non  viene  pro- 
posta, 0  viene  spezzata  prima  che  interamente  sia  prodotta, 
e  la  contraddizione ,  e  la  inurbanità,  e  la  scurrile  maniera 
<li  schiamazzare  e  smascellarsi,  rattristano,  annoiano  ed 
amareggiano  alla  perfine  ciascuno,  e  lascianlo  ritornare  a 
casa  stanco,  svaporato,  e  pentito  di  aver  avuta  parte  a  quel 
confesso,  che  potrebbe  chiamarsi  la  Noce  di  Benevento. 


100  LA  BlìOXA  COMPI  GNU. 

Chiamo  converaazHme  diqiotica,  quella  óoie  n  solo  irro- 
gandosi, o  per  causticità  naturale  del  sao  amore,  o  per  ona 
ìnordinata  voglia  di  mostrarsi  saperiore  ad  ognuno,  il  pri- 
mato, con  taono  imponente  di  voce  lascia  ad  ogni  tratto 
travedere  la  disistima  e  il  nesson  conto  in  coi  tiene  gli 
uomini  che  gli  sono  presenti;  e  trascurando  il  merito  mo- 
desto dell'uomo  ben  educato,  ed  avvilendo,  e  mortificando, 
e  profittando  d' ogni  presa  per  slanciare  mordacissimi  traili 
nel  fondo  dell'animo  altrui,  sparge  la  confusione  ed  ilrw- 
sore  sulla  faccia  degli  uomini  sensibili;  ovvero,  impadronen- 
dosi implacabilmente  del  discorso,  trasmota  la  sala  della  bo- 
cìetà  in  ferocissimo  liceo,  e  costringe  gli  nomini  alla  noia 
d' essere  etemi  uditori.  Le  società  di  queste  due  classi  ana^ 
chiche  o  dispotiche  non  si  frequentano  mai  senza  pentirse- 
ne: la  prima  non  può  chiamarsi  hurma  compajjfnta  da  nessono; 
r  altra  può  chiamarsi  tale  da  un  scio. 

Acciocché  il  crocchio,  in  coi  ti  trovi ,  possa  meritare  ii 
nome  di  buona  compagnia,  bisogna  prima  di  tutto  che  chilo 
compone  sieno  lutti  onesti  e  virtuosi;  poichò  non  ti  senti- 
rai mai  r  animo  libero  veramente  e  aperto  a  queHa  dolce  fra- 
tellanza, che  è  il  massimo  diletto  d'una  radunanza d'aomini, 
se  hai  ragione  di  temere  o  che  taluno  stia  in  agaato  per  con- 
traddirti, ovvero  che  i  discorsi  che  sei  per  fare,  possano 
esaere  ridetti,  o  contraffatti,  o  mutilati  altrove,  dal  che  te  ne 
nascerebbero  brighe  e  inquietudini  infinite.  Un  uomo  solo 
d' una  probità  sospetta  basta  dunque  a  guastare  la  booD< 
compagnia. 

Si  richiede  dappoi ,  che  ognuno  che  compone  la  comp*" 
gnia,  sia  dirozzato  bastantemente^  ed  abbia  ona  certa  doio 
di  gentilezza ,  si  che  non  ofTenda  alcuno.  Due  leggi  di  con- 
venzione reggono  gli  uomini  mentre  vivono  insieme;  Is  P"' 
ma  è  il  cerimoniale,  la  seconda  è  Ja  citilià.  A  misura  che  gt> 
uomini  si  sono  resi  più  socievoli,  s'è  diminuita  la  sece^U^^ 
del  cerimoniale,  uso  che  realmente  altro  non  produceva  che 
un  perenne  commercio  d' inutile  falsità ,  ed  un  ridicolo  iid- 
barazzo  da  tutte  le  parti.  Ma  se  la  ragione  va  persaadendo 
agli  uomini  la  destruzione  del  cerimoniale,  la  stessa  P^^^ 
prova  la  necessità  di  conservare  quella  che  chiamasi  civm 


I.À  BUONA   COMPAGNIA.  191 

in  vigore.  Si  è  quesU  civiUà  una  quasi  virtù,  ed  una  al(en- 
ziooe  eostanie  a  non  lasciare  che  nelle  parole  o  negli  aUi 
nosfari  traspaia  cosa  che  offenda  o  dispiaccia  agli  altri  ;  essa 
è  una  emanazione  di  quel  primo  principio  che  e'  insegna  di 
non  far  ad  altri  quello  che  dispiacereM)eci  fatto  a  noi.  Se  vai 
u  cercare  la  compagnia  degli  uomini  per  riceverne  un  bene, 
ra^on  vuole  che.  tu  non  faccia  ricevere  un  male  agli  altri 
uomini  che  per  un  fine  eguale  al  tuo  si  son  radunati ,  ma 
che  anzi  contribuisca  quella  porzion  di  bene  che  per  te  puossi 
in  tributo  agli  altri. 

Non  pretendo  io  già,  che  portando  questi  principj  air  e* 
stremo,  gli  aoniini  debbano  radunarsi  per  amministrarsi  Vnn 
l'altro  un  insipido  pascolo  d' adulazione;  dico  bensi,  che  non 
è  ririuosa  né  urbana  cosa  il  convivere  si,  che  colle  parole, 
ed  tono  di  voce ,  co'  gesti,  uil  uomo  persuada  agli  altri  di 
averli  in  nessun  conto.  Vi  vuole  un  punto  di  mezzo  fra  la 
sciapita  dolcezza  e  la  rusticità;  vi  vuole  una  cert*  aria  di  li- 
bertà e  di  bontà  d' animo;  vi  vuole  insomma  una  vera  vo- 
glia di  passar  bene  il  tempo,  e  di  lasciar  la  brigata  contenta 
di  noi.  Si  fatte  dilicate  differenze  è  impossibile  esprìmerle 
bene  colle  parole;  dipendono  però  da  questo  prin^  principio 
universalissimo,  e  che  non  è  soggetto  a  veruna  eccezione: 
Quando  un  uomo  parie  dalla  tua  compagnia  contento  di  $è 
slesto ,  parU  conlenlo  di  le. 

Alcune  volte  nella  vita  socievole  si  suol  dare  il  nome  di 
uomo  amabile  a  taluno,  che  realmente  non  lo  sembra  a  nes- 
suno ;  questo  nome  talvolta  si  dà  per  timore  della  lingua  al*> 
trai,  talvolta  per  adulazione  e  per  altri  riguardi:  ì*  uomo  ama- 
bile non  è  già  quello  che  sappia  con  maggiore  vivacità  d'in- 
gegno superare  gli  altri  in  un  racconto,  in  un  bel  detto ,  in 
una  spìrìtosa  e  pronta  risposta.  Entriamo  nel  centro  del  cuore, 
e  vedremo  che  V  nomo  che  ciascuno  di  noi  trova  amabile , 
è  colni,  parìando  col  quale  ciascuno  di  noi  crede  dì  far  buona 
comparsa  ;  l'uomo  amabile  per  ciascuno  di  noi  è  colui,  dal 
quale  crediamo  d'essere  tenuti  in  conto;  l'uomo  amabile 
jierfine  é  colui^  il  quale  sa  dare  risalto  allo  spirilo  nostro  anzi 
che  far  pompa  del  suo.  Il  nostre  amor  proprio  è  sempre  il 
più  costante  distributore  degli  elogj  o  de'  biasimi. 


192  LA  BUONA  COMPAGNIA. 

Posto  ciò,  ella  è  cosa  per  sé  manifesta,  che  V  oomo  che 
ragionevolmente  entra  in  nna  compagnia  per  passarvi  bene 
il  800  tempo,  deve  essere  sollecito  non  tanto  d'impadronirsi 
della  conversazione,  qaanto  di  dare  risalto  e  pregio  alle 
cose  buone  che  per  ventura  vengano  dette  da  altri,  e  fare 
il  mestiere  di  Socrate,  la  levatrice  de' pensieri  altrai,  aiotan- 
doli  ad  esprimersi ,  e  adomando  e  rendendo  nobili  le  altroi 
espressioni.  Questo  è  il  solo  genere  di  talento  di  coi  non  « 
può  mai  far  uso  con  eccesso  nella  società. 

La  maldicenza  sugli  assenti  fa  alcune  volte  V  effetto  di 
piacere  in  una  compagnia,  poiché  V  amor  proprio  di  talli 
gli  astanti  al  primo  incontro  sembra  migliorar  di  condiiione 
quanto  altri  si  deprime;  ma,  un  momento  dopo,  viene  la  ri- 
flessione in  soccorso,  e  fa  nascere  V  aborrimento  verso  il 
maledico,  da  cui  ciascuno  teme  a  ragione  egnal  Irattameolo, 
assente  eh'  egli  sia. 

V  arte  di  scherzare  riesce  essa  pure;  ma,  acciocché  il 
suo  effetto  sia  grato  costantemente,  vi  vuole  una  delicalena 
somma  di  spirito,  ed  un  Ano  accorgimento  del  cuore  umano. 
Lo  scherzo  non  deve  mai  cadere  su  un  difetto  vero  d'alcono, 
ma  sibbene  su  que'  soli  difetti  i  quali  appena  meritano  qoe- 
stp  nome,  anzi  suppongono  delle  virtù:  tu  puoi  vivacemente 
scherzare,  con  un  uomo  dì  studj  profondi  e  di  chiaro  nome, 
sulle  distrazioni  che  gli  accadono  ne'  minuti  oggetti,  perché 
appunto  queste  distrazioni  in  lui  provano  V  energica  spinta 
del  suo  animo  verso  gli  oggetti  più  grandi.  Tu  puoi  scher- 
zare sulla  cattiva  compera  fatta  da  un  uomo  generoso  e  ric- 
co ^  poiché  appunto  questa  mancanza  di  esaltezza  é  un  di- 
fetto compagno  dell'indole  generosa;  e  cosi  dicasi  di  miNe 
siipill  soggetti  di  piacevoli  scherzi.  Ma  chiunque  voglia  secon- 
dare il  talento  della  celia,  conviene  in  prima  ch'ei  la  distin- 
gua bene  esattamente  dall'  ingiurìa.  Alcuni,  pretendendo  di 
scherzare,  dicono  delle  grossolane  villanie:  il  mestiere  degli 
scherzi  non  é  fatto  per  essi;  e  si  ricordino  di  quel  giumento» 
il  quale  vedendo  accarezzato  un  cagnuolino,  perché  festosa- 
menie  saltellava  d' intorno  al  suo  padrone,  volle  imitarlo,  e 
nT  ebbe  il  destino  che  si  menitava. 

11  mestiere  di  contraddire  poi  é  per  comune  coosent' 


LA  BUONA  COMPAGNIA.  193 

mento  uno  de*  più  sciagarati  che  si  dieno  al  mondo:  io  lodo 
molto  che  i  progressi  della  ragione  abbiano  tolta  in  buona 
parte  l'antica  barbarie  longobarda  de' duelli, e  che  per  ana 
contraddizione  non  si  obblighi  più  un  uomo  a  ricorrere  al 
giudizio  della  spada;  ma  starebbe  assai  bene  che  con  una 
nniversal  legge  sociale  venisse  obbligato  il  contraddittore  ad 
accettare  la  scommessa,  qualora  vengagli  proposta;  e  diver- 
rebbe cosi  la  seccatura  un  fondo  censibile  d' onorato  lucro 
per  gli  uomini  clie  sanno  vivere,  dispensandoli  da  una  noiosa 
disputa. 

Le  compagnie  dove  si  fatti  doveri  si  eseguiscono,  sono  le 
compagnie  eh'  io  chiamo  buone;  di  tali  ne  conosco,  ed  è  in- 
teresse di  ogni  uomo  il  fare  in  guisa  che,  quanto  è  possibile, 
le  altre  cerchino  d'accostarsi  a  si  fatto  modello.  Se  cosi  vi* 
vono  gli  nomini  insieme ,  allora  veramente  la  società  è  un 
vero  ristoro  deUa  vita;  in  essa  si  prende  l' ilarità  che  rin^- 
nova  vigore  e  lena  agli  uomini,  per  occuparsi  lodevolmente 
il  rimanente  del  giorno  ne' doveri  di  cittadino,  di  parente  o 
di  amico;  in  essa  nasce  e  si  fomenta  la  santa,  la  adorabile 
amicizia,  eh'  è  forse  il  più  gran  dono  umano  che  il  Cielo  ab- 
Ina  fatto  agli  uomini,  per  consolarli  della  schiera  infinita 
de'  mali  che  circondano  la  carriera  di  questa  vita  mortale. 


fitviiii'rarBiESTO  mEJL  vaiuoiiO.' 

La  questione  sull'innesto  del  vaiuolo  non  è  già  del  ge- 
nere di  quelle  che  interessano  appena  la  curiosità  degli  uo- 
mini di  lettere;  neUe  quali  entra  il  saggio  rare  volte  colla 
speranza  di  scoprire  la  natura  delle  cose  disputate,  e  bene 
spesso  altro  non  vi  ritrova  che  nuovi  argomenti  per  confer- 
marsi in  un  cauto  sistema  di  dubitazione.  La  questione  del- 
rinnesto  è  tale,  che  vuole  l' interesse  della  intera  umanità 
elle  venga  quanto  più  si  può  rischiarata,  e  che  con  ogni  im- 

*  Abbiamo  creduto  Al  poter  omettere  in  questa  ristampa  le  iafioite  cita- 
BÌoni  d' opere  riportate  dall'Autore  in  pi%  di  pagina. 

II.  17 


tf4 

é fcruRiBW  ala  «pn»  m<cn.  iiimi  'aAmè  metnaatm^  eoa- 
vjpnf  «mtfiaritt.  e  yn»?¥r«'wfe  1  ai»  irìÉp  d»  9  fvft:  se 

&»  a  Mia  11  APLMUJM1  4r' 
Toi».  e  1 

ta.  se  j»  aJtr»  «ssetl*  bì  ^wcifCT  «i  aì^a  ^Ama.  scmn- 
dioiP.  <à(f  fK^a  ckp  m:  iara  T^'Lm*  s^^tT^mlo  d*ifcr 
C0«trA<Be«L  per  faaafc»  h' cn  ptes^Q?!.  a  calaave  ^■ririi- 
le  ^adi?  aji  ili  ■inai  che  «JmApaa  «■  «a  aesellisi 
fa  if  laiaBf  4egft  ai  MfaL  Pepa  toarti  1 
stri  e  fccttiiti-  che  fcaaaa  parta  ia  péfaalarelai 
flMTiaaesta.  a  awaaa  icsta^aspeiaie  akraclaria:  aèiaÌB 
pacale  aùe  caasb^aaóoaì  alba  bì  ivapatt^a^  se  aaa  di  pre- 
scalare  i  bcti  e  le  aaaervaDaai  che  Iw  raccalte  ada  Miara 
di  qae'cra»raooiiaì,  e  dì  Laiiliw  chi  varrà  laverie  per 
^acMa  strada  aacdesìan  per  cai  è  pasrUt  la  via  Beale,  a 
Teder  chiara  ia  faerta  MaleriaL 

La  spinta  dì  partita  è  seaipre  aaa  Bacchia,  aache  aele 
pia  iadiflèreati  contraversìe:  la  Tcrilà  è  seaapre  pia  fcdU  e 
l^à  aagasta  di  qaaiaaqae  Tìtlorìa  riportata  eoa  capnosi  e 
sofistici  ra^iooaaieBlL  Keile  aulerìe  poi  dove  ki  spirilo  di 
partito  poò  casioBar  ia  podita  dda  vita  a  qaakhe  ìacaato» 
conrerrcbbe  essere  aa  vero  nostro  della  specie  omana  per 
averlo;  aaiahhii  panili  aaa  de'  pia  eaaran  dMsi  ddb  ragi»- 
ae  e  della  scrìttara,  se  s'impiegasse  ad  ianalaare  ona  opi- 
aioiie  so  i  cadaveri  deOe  ìBaoceali  Titliaie  amaae  saerifict- 
levL  Spero  ^e  i  lettori  tfoveraaao  ia  me  qaelie  dìspomoai 
di  caore  capaci  di  preservarmi  da  aa  si  obbrobrioso  sospet- 
to; e  che  se  le  mie  ragioai  nan  persaaderanao  laloBO,  Te- 
drassi  afanen  chiaramente  la  iageaaità  e  rìadìflereaza  colb 
qoale  ho  cercato  di  ritrovare  le  vere.  Potrebbe  presso  akoni 
sceamr  la  fona  ddle  ragiooi  che  io  aadrò  rioereaado,  il  riflet- 
tere come  io  abbia  preso  a  trattare  ana  materia  dlpeadenle 
dalla  medicina,  senza  essere  io  medico;  ma  si  rifletta  primie- 
ramenle,  che  il  soggetto  eh'  io  tratto  è  pialtoslo  ana  questione 


SLLL  INNESTO  DEL  VAIUOLO.  193 

slorica  e  di  fallo,  anzi  che  di  medicina  ;  secondariamente 
poi  si  esaminino  le  ragioni  che  sono  per  addurre,  e  quando 
esse  si  trovino  concludenti,  sarà  conveniente  il  dire  chf  io, 
non  medico,  ragioni  non  male  d' una  materia  medica. 

L' economia  della  macchina  del  corpo  nostro  è  si  poco 
conosciuta  dagli  uomini,  e  sono  talmente  profonde  e  riposte 
le  cagioni  e  del  moto  e  del  disordine  di  essa,  che  dopo  le 
più  costanti  osservazioni,  dopo  le  più  industriose  ricerche,  i 
più  illaminati  scrittori  delle  cose  mediche  si  trovano  gianti 
a  quella  dotta  e  filosoGca  ignoranza,  che  avvicina  gli  nomini 
grandi  al  volgo  assai  più  che  non  ai  mediocri  professori. 
Un'attenta  osservazione  sulla  condotta  dei  più  rischiarali 
medici  dell'Europa,  ci  convince  di  questa  verità:  cl»e  la  mi- 
glior teoria  medica  si  ò  quella  che  venga  appoggiata  su  fatti 
costanti;  e  che  ragionare  un  poco  in  medicina  sia  bene,  par« 
chò  sia  un  poco;  giacché  la  libidine  del  ragionare ,  e  fabbri- 
car capricciosi  sistemi  su  principj  che  sfuggono  i,  sensi  e 
r  osservazione,  egli  é  un  voler  avventurarsi  all'  errore,  anzi- 
ché accostarsi  alla  cognizione  intima  ^elle  strade  che  tiene 
la  invisibile  natura.  Sono  quasi  sempre  ignote  agli  uomini  le 
vere  cagioni  de'  morbi;  sconosciuto  é  il  meccanismo  con  cui 
operano  i  rimedj.  Non  v'  é  chi  sappisi  veramente  qual  sia  la 
cagion  della  febbre  intermiltente  ;  non  v'  é  chi  conosca  per 
qoai  principj  venga  scomposta  la  nostra  macchina  per  quel 
veleno  contagioso  che  dicesi  venuto  all'Europa  dal  nuovo 
mondo  ;  oscurissima  é  pure  l'indole  della  corteccia  che  chia'- 
miamo  china  china;  ignotissima  parimenti  l'azione  di  quel- 
r  unico  metallo  fluvido  che  chiamiamo  Mercurio  per  una 
immaginaria  corrispondenza  con  un  pianeta:  ma  noto  è,  per 
una  costante  sequela  di  fatti,  come  la  china  china  risani  dalla 
febbre  intermittente,  e  il  mercurio  da  quel  veleno  che  tende 
a  spopolar  la  terra.  Gli  aforismi  d' Ippocrale,  che  sono  forse 
il  più  utile  monumento  tramandato  a  noi  dalla  più  remola 
antichUà,  altro  non  sono  che  alcune  regole  pratiche  dedotte 
da  una  lunga  serie  di  osservazioni  e  di  fatti.  Il  canone  dun- 
que più  classico  che  vantar  possa  la  buona  medicina,  é  quello 
che  si  deduce  da  una  lunga  serie  di  sperienze,  per  cui  dal 
passato  prendesi  norma  per  l'avvenire;  e  il  filosofo  medico 


106  sull'innesto  del  vaiuolo. 

sopporta  in  pace  1*  ignoranza  delle  vere  elementari  cagioni 
delle  malaltie  e  de'  rìmedj  ;  ignoranza  inerente  alla  omana 
natura  circoscritta  dal  potere  de'  sensi,  da'  quali  tosto  che  ci 
dipartiamo,  restiamo  assorti  nel  fallace  chimerico  regno  della 
immaginazione  a  scapito  dell'  arte  istessa. 

Ciò  posto,  io  non  perderò  il  mio  tempo  nell'  indagare 
qnello  che  nessun  medico  saprà  mai,  la  natura  primordiale 
insomma  di  quel  veleno  vaiuoloso,  il  quale  per  contagione 
si  comunica,  e  diffondendosi,  per  quanto  pare,  per  tutte  le  in- 
terne ed  esterne  parti  del  corpo  umano,  lo  corrompe,  e  Io 
difforma  con  una  quasi  pestilenziale  malattia,  che  miele 
buona  parte  dell'  uman  genere,  ed  altra  ne  difforma  o  sGgora 
spietatamente.  Di  sì  fatte  nozioni  non  si  credono  in  possesso 
se  non  coloro  i  quali  si  contentano  di  alcune  definizioni  più 
conformi  alla  poesia  che  non  alla  fìsica ,  né  ren densi  an 
esatto  conto  a  loro  medesimi  delle  proprie  idee.  La  vera  na- 
tura del  vaiuolo  m'ò  ignota;  non  intendo  come  la  maggior 
parte  degli  uomini  lo  soffrano  una  volta  nel  eorso  delta  ior 
vita;  non  intendo  come,  sofferto  ch'egli  si  abbia,  più  non  ri- 
torni; e  so  che  i  medici  maestri  e  guida  dó^fli  altri  sono  nella 
slessa  ignoranza  in  cui  son  io.  Lasciam  dunque  da  parte 
tutt'i  cbimerici  sistemi  sulle  cagioni  e  sulla  natura  del 
vaiuolo;  e  atteniamoci  ai  fatti,  ne' quali  se  troveremo  aato- 
rità,  numero  e  costanza,  avremo  «n  filo  per  uscire  dal  la- 
birinto dell'incertezza,  in  cui  ci  lascerebbe  per  sempre 
l'oscurità  invincibile  in  cui  siamo  condannati  di  Vivere  per 
rapporto  alle  cagioni. 

Della  malattia  del  vaiuolo  non  se  ne  trova  menzione 
presso  i  medici  antichi,  né  presso  alcuno  scrittore  antico. 
Pare  improbabile  dunque  che  tal  malattia  fosse  anticamente 
conosciuta  in  Europa  ;  poiché  né  i  medici  ci  avrebbero  la- 
sciate memorie  di  tant'  altri  malori  meno  importanti,  trascu- 
randone un  ^i  feroce;  né  gltstorici  avrebbero  potuto  lasciarci 
le  memorie  di  fanti  fatti  senza  frapporvi  la  morte  di  qualche 
principe  o  grand'uomo  perito  per  questa  malattia;  né  i  poéfi^ 
che  tanto  s' occupavano  a  descrivere  le  bellezze  che  gli  ac- 
cendevano, avrebbero  forse  dimenticato  di  accennare  qnella 
terribile  malattia  che  tant'  oltraggio  può  fare  ai  tratti  del 


sull'innesto  del  vaiuolo.  197 

voUo  più  gentili.  Per  quanta  possiamo  raccogliere  dalla  storia, 
il  vaiuolo  dal  fondo  delFEtiopta  sì  romanico  nell'Arabia  circa 
l'anno  571,  e  nelle  spedizioni  che  gli  Earopei  nostri  antenati 
fecero  In  Palestina,  contrassero  questa  fatai  pestilenza,  e  nel 
ritorno  la  trapiantarono  in  Europa,  verso  l' anno  1090.  Non 
molta  fa  la  strage  che  menò  al  bel  principio  si  fatta  pesti- 
lenza^  che  chiamiamo  vaiuolo:  circa  tre  secoli  e  mezzo  andò 
serpeggiando  in  diverse  parti  bensì,  ma  non  si  manifestò  coi 
crudeli  e  violenti  effetti  che  circa  l'anno  1872;  e  da  quel 
tempo  a  questa  parte  va  scorrendo  le  varie  parti  d'Europa, 
per  modo  che  si  calcola  per  adequato,  che  da  una  epidemia 
all'altra  di  vaiuolo  non  corra  che  l'intervallo  di  cinque 
anni. 

Antico  assai  debb'  essere  il  vaiuolo  nel  vasto  impero 
della  China,  per  quanto  ne  vediamo  dalle  migliori  relazioni, 
e  antico  pure  1*  uso  di  comunicarlo  per  innesto.  Gonluttociò 
sembra  che  in  Europa  il  metodo  d' innestare  sia  venuto  dai 
GìTcassi,  presso  i  quali  la  bellezza  delle  fanciulle  facendo  il 
principal  ramo  del  commercio,  da  quell'interesse,  che  è  sem- 
pre la  parte  più  filosofica  dell'  uoitio,  fu  o  scoperta  o  dai  Ghi- 
nesi  anticamente  ricevuta  l' usanza  di  prevenire  il  vaiuolo 
naturale 9  fatale  alla  vita  e  alla  bellezza,  coli' innesto  che  la 
sperienza  presso  loro  ha  fatto  ritrovare  sì  utile:  perciò  l'in- 
nesto, 0  sia  l'inoculazione,  viene  chiamato  dal  chiarissimo 
flbller  modus  eirecusicus.  Chi  mai  avrebbe  potuto  pronosti- 
care, che  da  quelle  barbare  e  inospite  contrade  riposte  fra 
r  Basino  e  il  Caspio,  d'onde  gli  Argonauti  carpirono  il  mi- 
sterioso vello  d' oro  al  re  Frisse ,  dovesse  venire  nella  colta 
Europa  ana  interessantissima  scoperta,  che  somministrasse 
materia  a  tanti  uomini ,  chiari  in  medicina  e  benemeriti  per 
le  lettere,  di  ragionare!  Eppure  così  avvenne;  poiché  da  una 
donna  circassa  appunto  l' innesto  fu  portato  in  Costantino- 
poli nello  scorso  secolo,  circa  Fanno  1670,  dove  da  principio 
l'oso  se  ne  dilatò  bensì  presso  i  Cristiani  greci  o  armeni, 
ma  presso  i  Maomettani  non  già;  per  la  pregiudicata  opinio- 
ne de' loro  dottori,  sul  punto  di  una  rigida  fatalità  reggitrico 
dell'  oni verso ,  alla  quale  credevano  empietà  il  cercar  di 
sottrarsi.  Col  tempo  poi  anche  ì  pregiudizj  maomettani  si 

17* 


198  slll'  innesto  del  vaiuolo. 

tacquero.  Da  Coslantinopori  qualche  notizia  ne  trapelò  in 
Europa  prima  del  1713,  e  se  ne  trovano  le  vestigia  negli  ilm 
di  Lipsia^  nelle  TransazUm  filoto fiche  inglesi,  e  neìY  Appendice 
del  viaggio  del  signor  De  La  Montraye;  finalmente,  nell'an- 
no 1713»  due  medici  greci  pobbliearono  air£oropa  Tinneslo 
che  avevano  veduto  praticato  generalmente  a  Costantinopoli; 
e  furono  il  signor  Giacomo  Filarini  ed  il  signor  Emanoelle 
Timoni. 

Poco  o  nessun  effetto  produssero  i  libri  di  que'  due  me- 
dici. Le  scoperte  anche  più  grandi  non  si  diffondono  giam- 
mai nei  popoli  se  non  col  favore  del  tempo  e  degli  urti  ripe- 
tuti a  molte  riprese:  qualche  discorso  cominciossene  soltanto 
a  fare  tra  i  medici  e  alcuni  curiosi;  e  un  solo  sperimento 
d' innesto  si  fece  a  Parigi  dal  celebre  medico  Eller.  Frattan- 
to, nel  1718,  il  signor  Worlley,  marito  della  illustre  milady 
Montagne,  ambasciatore  per  V  Inghilterra  presso  la  Porla 
Ottomana,  convinto  dalle  giornaliere  sperienze  che  aveva 
sott'  occhio,  fece  innestare  dal  signor  Maitland,  chirurgo  ce- 
lebre,  l'unico  suo  figlio  a  Costantinopoli  con  ottimo  successo. 
Ritornati  poscia  nella  Gran-firettagna ,  e  il  signor  Wortley 
e  Milady  ed  il  signor  Maitland  cominciarono  in  Londra  a  pro- 
mulgare i  vantaggi  dell'innesto,  e  ne  diedero  il  primo  esem- 
pio col  sottoporre  all'  innesto  una  lor  figlia  d'  anni  cinque; 
il  qual  testimonio  dell'intima  persuasione  loro,  accompagnato 
da  un  felice  avvenimento,  accrebbe  il  numero  de'curiosi,  ac- 
ciocché con  una  più  vasta  serie  di  sperimenti  si  verificasse, 
se  quello  che  sì  bene  riusciva  nell'Asia  e  in  Costaniinopoli, 
potesse  esser  d'  egual  beneficio  alla  specie  umana  anche  ne' 
climi  nostri.  11  Collegio  medico  di  Londra,  fece  a  tal  fine  le 
sue  istanze,  e  il  governo  d' Inghilterra  concesse  sette  condan- 
nati a  morte  per  servire  di  prova.  Ciò  fu  nel  1721.  Fra  questi 
condannati  v'era  una  fanciulla  di  diciott' anni,  sulla  quale 
il  signor  Mead,  celebre  medico,  il  quale  si  meritò  la  gloria 
di  vedere  confidata  la  vita  del  jgrande  Isacco  Newton  al  suo 
sapere,  volle  sperimentare  l' innesto  alla  chinese.  11  metodo 
chinese  in  ciò  differisce  dal  circasso,  che  i  Chinesi  non  fan? 
no  veruna  incisione  per  comunicare  il  vaiuolo  artificiale,  ma 
soltanto  inzuppano  un  turacciolo  di  bambagia  nella  male- 


sull'innesto  del   VAIUOLO.  190 

ria  raìuolosa,  e  lo  inlradono  per  le  nari;  laddove  i  Circassi 
fanno  alcune  superficiali  incisioni  nelle  braccia  e  nelle  co* 
scie,  dove  la  slessa  materia  iasinnano.  De' sette  condannati, 
ano  ebbe  anticipatamente  il  vainolo  naturale  in  prigione ,  e 
i  sei  che  rimanevano  contrassero  il  vainolo  per  innesto,  e  ri* 
sanarono;  ma  la  fanciulla  del  signor  Head,  ne  ebbe  de'  sin- 
tomi assai  pia  gravi,  massimamente  al  capo.  Da  ciò  ne  nacque 
cbe  atouno,  ch'io  sappia,,  non  ha  più  tentato  dappoi  il  metodo 
de'  Chinesi;  ma  l' innesto  colle  incisioni  per  questi  sei  nuovi 
esempj  prese  qualche  credito  e  voga.  Comparvero  l'anno  se- 
guente due  opere,  oltre  le  accennate  de' due  medici  greci  Pi- 
larini  e  Timoni,  e  furono  del  signor  Maitland ,  che  aveva  fatti 
già  privatamente  molti  innesti  in  Londra  dopo  l'esperimento 
de'  condannati,  e  del  signor  Le  Due.  Infiniti  sperimenti  si  an- 
davano proseguendo  neir  Inghilterra,  i  quali  confermavano 
sempre  più  i  fauiori  del  nuovo  metodo  d' innestare  il  vainolo, 
e  dilatavano  il  numero  de' partigiani  di  esso.  Ma  come,  dove 
più  dove  meno,  in  ogni  nazione  però,  trovasi  una  certa 
persuasione  della  eccellenza  delle  usanze  ricevute  per  tradi- 
zione, la  quale  è  una  forza,  dirò  così,  d' inerzia  politica  che 
ricusa  di  ricevere  una  novità,  per  ciò  solo  che  è  nuova;  cosi 
un  partito  pure  vi  fu  in  Inghilterra  di  oppositori  alla  inocu- 
lazione, i  quali  fecero  ogni  sforzo. per  atterrarla.  In  una  si 
grave  materia  il  ribrezzo  volgare  era  in  molta  parte,  convien 
pur  dire,  ragionevole. 

Tratlavasi  di  persuadere  alle  tenere  madri,  ai  padri 
amorosi,  di  consegnare  i  figli  volontariamente  in  preda  ad  un 
malore  naturalmente  mortale,  colla  speranza  soltanto  di  ve- 
derli risanati ,  e  senza  sicurezza  che  con  ciò  fossero  preser- 
vati; di  far  subire  una  malattia  naturalmente  mortale,  la 
quale  forse  non  avrebbe  il  fanciullo  avuta  mai  in  sua  vita. 
Trattavasi  perfino  di  offendere  i  precetti  della  religione,  la 
qnale  non  lascia  in  arbitrio  nostro  l'esporci  a  volontarj  perir 
coli  della  vita.  Queste  ragioni  esamineremo  separatamente  in 
seguita;  ma  riprendiamo  in  breve  il  proseguimento  della  sto* 
ria  dell'  innestò. 

Crebbe  nell'  Inghilterra  si  fattamente  il  numero  degl'  in- 
nestali da  ogni  parte,  tutti  ristabiliti  senza  correre  verun 


200  sull'  innesto  del  taioolo. 

pericolo  della  vita;  e  tanto  celeri  forono  i  progressi  di  questo 
naovo  metodo,  che  nel  1723  la  principessa  Carolina  di  Gal- 
les, che  fu  poi  regina,  sottomise  all'innesto  T augusta  saa 
famiglia,  e  lo  stesso  signor  Mailland  ne  fece  roperaziooe. 
Questa  classica  approvazione  data  all'  innesto  in  Inghilterra, 
riscosse  alcuni  nella  Francia  a  pensarvi;  a  ciò  conlrìboi  pare 
la  lettera  stampata  del  signor  La  Coste  diretta  al  signor  Do- 
dard,  medico  del  Re  Cristianìssimo  nel  1723:  in  essa  facevasi 
teoreticamente  conoscere  il  metodo  dell'  innesto.  Dicesi  che 
il  Duca  Reggente  fosse  disposto  a  ordinarne  delle  sperìenze; 
ma  la  morte  lo  prevenne,  e  il  consenso  de'  medici  francesi 
allora  s'oppose  a  tal  novità,  e  fu  chiamata  da  molti  nefan- 
da. Per  venti  anni  ancora  seguitossi,  nell'  Inghilterra  princi- 
palmente, a  disputare  e  praticare  l' innesto  del  vaiuolo,  men- 
tre i  migliori  medici   d'  Europa  ,  e  nell'  Olanda  e  nella 
Germania ,  colpiti  dalla  costanza  de'  felici  eventi  che  ogni 
giorno  più  venivano  annunziati  dall'Inghilterra,  ne  anda- 
vano commendando  l'introduzione:  ma  tale  avvantaggio  ave- 
vano gì'  Inglesi  sul  restante  dell'Europa,  che  nell'  isola  la  di- 
sputa era  già  nelle  .mani  del  popolo,  e  corredata  da  continue 
ripetute  sperienze;  laddove  nel  nostro  continente  appena  era 
trattata  da  alcuni  pensatori,  i  quali  o  non  osavano  o  non 
potevano  ridurla  al  fatto.  Quindi  prima  che  fosse  generalmente 
sperimentato  l' innesto  nel  restante  dell'Europa,  nel  1746  si 
fondò  in  Londra  uno  spedale  particolarmente  per  questa  epe- 
razione  a  pubblico  comodo;  e  tanto  importante  si  credette 
quest'erezione  per  il  ben  pubblico,  che  il  re  medesimo  vi  si 
pose  alla  testa  come  protettore,  e  la  carica  di  presidente  di 
esso  volle  illustrarla  il  duca  diMarlboroogh  assistito  dai  conti 
di  Litchfìeld  e  di  Northumberland.  L'esempio  delta  real 
famiglia  e  lo  spedale  fondato  provano  abbastanza  quanto 
fosse  neir  Inghilterra  ormai  costantemente  decisa  l' opinione 
favorevole  all'innesto  del  vaiuolo:  da  quel  punto  cessò  ogni 
opposizione  nell'isola;  i  tre  principi  reali  Enrico,  Federico 
e  Guglielmo,  si  innestarono  nel  17tf4,  e  l'anno  seguente,  per 
unanime  consentimento  di  tutta  la  società  medica  di  Londra, 
venne  dichiarata  l' inoculazione  importante  ed  essenziale  al 
genere  umano»  Nulla  di  più  ci  somministra  la  storia  inglese 


SULL'INNESTO  DEL   VAIUOLO.  201 

j;er  ciò  che  spetta  al  vainolo,  se  non  che  i  dae  vescovi  in- 
glesi di  Worcester  e  di  Norwich,  e  il  signor  Some,  pcr- 
:aasero  alle  coscienze  timorate  lecito  l'innesto,  e  la  folla 
ie*  casi  giornalieri  tutti  felici  Io  persuase  importante  ed  es- 
.  jDziale  a  tutta  la  nazione,  quale  appunto  Tavea  definito  uno 
e'  più  onorandi  consessi  di  medicina  che  sia  in  Europa.  Cosi 
jstò  stabilito  l'uso  universale  nell'isola  d'innestare  il  vaino- 
'  >,  uè  d'allora  sino  al  di  d'oggi  un  solo  scritto  è  comparso 
'air  Inghilterra,  in  coi  si  faccia  opposizione  a  questo  univer- 
li  metodo,  il  quale  da  dodici  anni  a  questa  parte  è  natura- 
•'7zato  perfettamente  in  quel  Regno. 

Il  celebre  signor  Tronchin,  che  due  anni  sono  ebbe 
onore  d'innestare  il  principe  di  Parma,  ora  Infante  Duca, 
u  de'  primi  che  osasse  tentare  questa  operazione  di  qua  dal 
ilare ,  e  ne  diede  il  felice  esempio  in  Amsterdam  sopra  un 
110  figlio  sino  dall'anno  1748,  mentre  ivi  aveva  la  carica 
i'  inspeltore  del  Collegio  de'  medici.  Poco  a  poco  si  dilatò 
i  curiosità  di  esperimentare  e  nell'Olanda  e  negli  Svizzeri 
>  particolarmente  in  Ginevra,  dove  circa  il  1751  s'intro- 
lasse  r  innesto,  e  sempre  più  andò  accréscendo  il  numero 
ie'saoi  partigiani;  e  si  dilatò  l'usanza  nelle  Fiandre,  nel 
Brandeburghese,  e  nella  Norvegia,  e  in  tutto  il  Nord,  per  tal 
modo  che  nella  Svezia  e  nella  Danimarca  vi  sono,  suU'esem- 
pio  di  Londra,  eretti  spedali  per  l' innesto  nel  1754;  e  tale  è 
il  credito  e  la  sicurezza,  con  cui  ivi  l'operazione  si  pratica, 
che  la  figlia  del  barone  di  Bernstorff  segretario  di  Stato  del 
re  di  Danimarca,  ricchissima  erede,  vi  si  sottopose,  e  perfino 
il  prìncipe  reale  stesso  di  Danimarca,  ora  re.  In  Gottemburg 
s' è  pure  eretto  uno  spedale  a  tal  fine;  e  celebre  è  la  meda- 
glia coniata  a  Stockolm  in  onore  dell'innesto,  dove  vedesi 
da  una  parte  l'ara  d'Esculapio  con  un  serpe  in  aspetto  d'of- 
fendere, col  quale  si  figura  il  vainolo,  e  la  leggenda:  suolalo 
jure  nocendi;  avendo  nel  rovescio  l'altra:  oh  infanles  civium 
felici  ausu  servalos  ! 

La  parte  meridionale  d'Europa  fu  più  tarda  ad  esami- 
nare questa  interessante  scoperta;  e  forse  avrebbe  differito 
degli  anni  ancora,  se  il  signore  De  la  Condamine,  che  aveva 
già  tanto  ben  meritato  e  della  navigazione  e  delle  scienze 


202  SULL*  INNESTO   DEL  VAIUOLO. 

colla  immortale  aoa  spedizione  alla  lìnea  equinoziale,  ritor- 
nalo dal  suo  filosofico  pellegrinaggio  d'America,  non  sì  fosse 
indotto  a  leggere  neiradnnanza  della  Beale  Accademia  delle 
Scienze  di  Parigi  la  sua  prima  Memoria;  il  che  avvenne 
nell'  anno  1754.  Cagionò  negli  animi  de'  Francesi  un  fer- 
mento non  piccolo  queUa  Memoria,  né  la  chiarezza,  il  me- 
todo o  l'evidenza  de*  fatti  poterono  impedire  che  un  nemho 
d'oppositori  non  insorgesse  contro  questa  nuova  dottrina  to- 
sto che  fa  pubblicata.  Fece  il  signor  De  la  Condamine  il  viag- 
gio d'Italia,  e  andò  invitando  dappertutto  a  fare  sperimenti 
suir innesto.  I  Toscani  furono  i  più  docili  ad  ascoltarlo:  quindi 
vediamo  che  ivi,  nel  1755,  più  di  ducente  innesti  s'erano 
già  fatti  con  prospero  evento.  Questi  felici  tentativi  mossero 
il  governo  della  Toscana  a  ordinarne  la  speriehza  pub- 
blica in  Firenze,  ed  ivi  si  fece  sopra  sèi  fanciulli  nel  Regio 
Spedale  di  Santa  Maria  degr  Innocenti  nel  1756.  In  que' 
contnrni»  cioè  in  Montecchi,  Città  di  Castello  e  Ci  terna, 
s*  andò  dilatando  la  nuova  maniera  di  prevenire  il  vainolo 
naturale.  Due  anni  dopo,  il  signor  dottore  Francesco  Berzi 
introdusse  T inoculazione  a  Padova  ;  e  sempre  più  andossi 
propagando  il  nuovo  metodo  per  T  Italia,  colV  opera  de'  signori 
medici  Guarnieri,  Battini,  Tanì,  Fantini,  Pierotti,  Turacchi, 
Cei,  e  pe'  scritti  de'  signori  Peverini,  Lunadei,  Targioni,  Paq- 
lì,  Caluri,  Pizorno,  Gandini,Mdnetti  e  Centenari.  In  Milano 
il  signor  dottore  Tadini  diede  il  primo  esempio,  nel  1761,  so- 
pra i  suoi  figli  ;  sinora  due  soli  innesti  si  ^ono  fatti  dappoi. 
Il  benemerito  signor  dottore  Bicetti  de'  Buttinoni  lo  ha  felice- 
mente introdotto  in  Treviglio,  ed  ha  stampate  le  storie  de' 
suoi  innestati  :  la  felicità  di  questi  primi  tentativi  sinora  non 
ha  fatto  riforma  nella  generale  opinione,  la  quale  né  si  op- 
pone, né  si  cangia. 

In  nessuna  parte  d'Europa  trovò  l'innesto  tante  opposi- 
zioni, quante  gliene  furono  fatte  nella  Francia.  Abbiamo  di- 
sopra accennato  come  al  tempo  della  Reggenza  qualche  di- 
scorso vi  si  facesse  per  l'innesto,  ma  la  morte  del  duca  reg- 
gente e  la  contraddizione  de'  medici  francesi  fecero  perdere 
ogni  pensiero  di  provarne  gli  effetti.  Appena  nel  1756  alcuni 
uochi  sperimenti  si  cominciarono  a  fare  nella  Francia  sotto 


sull'innesto   DKL  VAIUOLO.  203 

la  direzione  del  signor  Geoffroì  ;  qualch* altra  sperienza  se  ne 
fece  dappoi  in  Lione  :  e  di  ciò  trovassi  le  oottzic  nelle  Me- 
morie éeW Acc9ideinia  Beale  delle  Scienxe,  Verso  quel  tenapo, 
il  duca  d'Orléans,  figlio  del  reggente,  persuaso  del  vantaggi 
d^rìanesto,  volle  settoporTi  i  due  suoi  figli,  il  duca  di  Ghar- 
tres  e  noadasaigella  di  Montpensier;  chiamò  a  tal  fine  il 
signor  Tronchia,  e  terminò  feticemente  T operazione  in  Pa- 
rigi. A  quest'esempio  s'aggiunse  quello  del  conte  di  Gisors, 
figlio  del  maresciallo  di  fiellisle,  per  innestare  il  quale  venne 
da  Londra  il  chiarissimo  signor  Kirkpatrik.  L^autorilà  di 
queste  illustri  prove  eccitò  la  curiosità  de'  Francesi  da  un 
lato  a  non  trascurare  que'  vantaggi  che  già  godeva  la  mag- 
gior parte  dell'Europa,  ed  animò  dall'altro  lo  zelo  e  l'im- 
pegno d'alcuni  teologi  e  di  molti  medici  a  forvi  quelle  s lesse 
opposizioni  che  più  di  trent'  anni  prima  v'erano  state  falle 
neir  Inghilterra.  Più  si  dilatava  in  Parigi  l'uso  d'innestare,  e 
cresceva  il  numero  deUe  sperienze  che  provavano  l'utilità  del- 
l'innesto, e  più  sembrava  accendersi  il  partilo  contrario,  Due 
principesse  della  casa  di  Lorena,  figlie  della  contessa  di  firios- 
ne,  furono  innestate  felicemente  dal  signor  dottor  Gatti  no- 
stro italiano,  e  professore  di  medicina  nell'Università  di  Pisa; 
la  figlia  del  duca  d' Aigutllon  fu  parimenti  sottoposta  all'  inne- 
sto; e  tutte,  senza  il  menomo  perìcolo,  con  leggerissima  feb- 
bre ebbero  il  vaioolo  artificiale.  (Quattrocento  persone  furono 
innestate  a  Parigi,  ebbero  tutte  il  vainolo ^i  ottima  qualità, 
senza  vemn  pericolo  risanarono,  senza  veruna  cicatrice  o 
deformità  rimasta  sul  volto,  o,  come  dicono  i  Toscani,  senza 
butteri  di  sorta  alcuna,  trattane  una  donzella,  la  quale  ne 
mori,  incautamente  esposta  all'  innesto,  mentre  da  sei  mesi 
era  priva  de' suoi  corsi.  Pochi  sono  i  medici  che  abbiano 
scritto  contro  F  innesta,  e  reso  il  pubblico  giudice  delle  loro 
ragioni;  moltissimi  cercarono  di  screditarlo  con  domestici  e 
clandestini  ragionamenti  :  nella  Francia  io  non  so  che  altri 
siansi  co'  loro  scritti  opposti  al  nuovo  metodo,  trattine  quat- 
tro, cioè:  il  signor  Rast,  medico  di  Lione,  il  signor  Do- 
rignjr,  il  signor  Beet  e  il  signor  Hoc.  Stamparono  nella  Fran- 
cia in  favore  dell'innesto  i  signori  Boyer,  La  Coste,  Noguez, 
Galèe,  Macquart,  Hosty,  Morisot,  Lavirolle,  Yandermonde  e 


204  slll'mnesto  dbl  vaiuolo. 

Montacla,  La  Condamìne,  Camus,  Joachim,  De  Beaax,  Roux, 
Davìdy  Yernage,  Robert,  Bordeaux,  Razoax  e  altri.  Nel  1760 
crebbe  lo  spìrito  della  dispota  in  Parigi,  e  il  benemerito 
signor  De  la  Condamine  si  trovò  sempre  alla  testa  dei  difen- 
sori dell'innesto.  Finalmente,  nel  1762  Tenne  l'epidemia  del 
yainolo  in  Parigi,  e  gli  avversar]  dell' inocalazione  la  incol- 
parono di  aver  cagionato  nna  maggior  mortalità,  col  traspor- 
tare la  contagione  anco  in  qoe'  quartieri  deHa  città  dove  na- 
turalmente forse  non  avrebbe  penetrato.  Sotto  qoest'  aspetto, 
non  potendo  più  far  comparire  l'innesto  pernicioso  a  chi  lo 
riceve,  riuscirono  gli  oppositori  a  farlo  passare  per  dannoso 
al  vicinato  di  chi  vi  sì  sottopose;  e  con  questa  vista  della  sa- 
lute pubblica  sparsero  il  timore  nel  popolo,  e  giunsero  a  muo- 
vere il  Parlamento  di  Parigi  a  pubblicare  un  decreto,  nel  giu- 
gno del  1763,  che  sospendeva  i  progressi  del  vainolo  artifi- 
ciale, sin  tanto  che  la  Facoltà  Medica  di  Parigi,  adonata,  non 
decidesse  su  gli  avvantaggi  e  i  danni  di  questo  nuovo  meto- 
do, e  sulle  precauzioni  da  usarsi,  caso  che  debbasì  adottare. 
Finalmente,  l'anno  scorso,  a  madama  di  fioufilers,  stata  in 
prima  innestata  a  Parigi,  comparve  il  vainolo  naturale.  Gran 
trionfo  fu  questo  per  gli  anlinoculisti,  i  quali  non  tardarono 
a  pubblicare  questo  fatto  in  prova  che  il  vainolo  innestato 
non  preserva  dal  naturale.  Il  signor  Gatti,  che  aveva  fatto 
l'innesto,  con  ingenuità  degna  d^un  filosofo  rischiarò  questo 
fatto,  e  sì  conobbe  che  il  vainolo  le  era  bensì  stato  innesta- 
to, ma  senza  effetto,  non  essendo  comparsa  che  una  sola  bol- 
la, senza  veruna  inquietudine  della  innestata;  la  quale  bolla 
per  errore  del  signor  Gatti  fu  creduta  una  espulsione  vaiuo- 
losa.  Si  vide  adunque  non  già  che  il  vainolo  innestato  ritorni, 
ma  bensì  che,  qualora  l'innesto  non  prende,  si  può  avere  il 
vaiuolo  naturale  in  seguito;  il  che  nessuno  ha  mai  negato. 

Tale  è  Taltaale  situazione  adunque  dell'Europa  sul  pro- 
posito dell'innesto  del  vaiuolo,  che  nell'Inghilterra,  nella 
Svezia,  nella  Danimarca,  nella  Norvegia,  in  Ginevra  e  nella 
Toscana  è  adottato  con  pubblica  autorità,  né  v'  è  verona  op- 
posizione ;  nella  Germania  e  nel  restante  dell'Italia  non  trova 
né  forti  ostacoli  né  forte  premura  generalmente  per  promo- 
verlo ;  nella  Francia  soffre  le  più  forti  opposizioni^  e  nella  Spa- 


SULL*  INNESTO  DEL  VAIUOLO.  20o 

gna  e  nel  Portogallo  è  forse  generalmente  ancora  sconosciuto. 
Nessun  medico  di  grido  in  Europa  ha  preso  a  combattere 
l'innesto,  trattone  il  signor  Haen,  il  quale  anche  con  una 
opera  ultimamente  pubblicata  vi  si  oppone.  In  Italia  due  soli 
medici,  eh'  lo  sappia,  vi  si  sono  opposti  cq'  loro  scrìtti:  uno  si 
è  il  signor  conte  Roncalli,  con  una  lettera  stampata  nel  1759, 
l'altro  il  signor  dottor  Giovanni  Bianchi  da  Rimino,  in  una 
sua  lettera  al  signor  conte  Roncalli,  1759;  i  quali  hanno  dalla 
parte  opposta  i  medici  sostenitori  dell'innesto  Targioni,  Pove- 
rini, Lunadei,  Pauli,  Berzi,  Pizprno,  Gandini,  Centenari,  Ma- 
netti,  Guarnieri,  Baltini,  Tani,  Fantini,  Pierotti,  Turacchi, 
Gei)  Gatti  ed  altri  ;  per  tal  modo  che,  se  la  causa  dovesse 
essere  decisa  colla  pluralità  de'  medici  capaci  di  scrivere  in 
medicina,  l'innesto  verrebbe  stabilito  da  tutta  l'Europa,  non 
dalla  sola  Italia.. 

Ma,  per  formarci  una  più  chiara  idea  dello  slato  delia 
questione,  conviene  primieramente  farci  carico  delle  obbie- 
zioni che  vengon  fatte  all'  innesto.  Io  le  riferirò  imparzial- 
mente, e  con  eguale  indifferenza  cercherò  di  pesarne  il  valore 
una  ad  una  separatamente  :  nulla  vi  sarà  del  mio,  né  altro  me^ 
rito  può  darmisi,  che  quello  d'aver  messo  in  ordine  quando  ho 
raccolto  dall'attenta  lettura  di  alcuni  autori  ohe  ne  trattane^ 

La  prima  obbiezione  è:  se  sia  lecita  avanti  Dio  TinocUr 
Iasione.  A  me  non  spetta  l'entrare  ne'  sacri  penetrali  teoU^ 
giei  per  fondarvi  una  opinione  ;  ma  soltanto  di  stare  al  limi- 
nare  del  Santuario,  e  dire  che  poiché  ne'  Stati  d'Italia  none 
proscritta,  poiché  nel  dominio  stesso  del  Romano  Pontefice 
sì  pratica,  poiché  sino  dal  1758  senza  ostacolo  il  signor  dottor 
Guarnieri  ha  usato  l'innesto  in  Roma,  poiché  finalmente  uno 
de'  più  rinomati  teologi,  il  Padre  maestro  Lorenzo  Berti,  ago- 
stiniano professore  nell'  Università  di  Pisa,  e  teologo  delle 
Maestà  Imperiali  e  Apostolica,  ha  in  un  consulto  dichiarati» 
lecita  la  pratica  deli'  innesto,  v'  é  ogni  ragione  per  non  du« 
bilari^,  e  interpretare  il  consenso  della  Chiesa  favorevole 
air  innesto.  .  -       ^ 

Dicono,  in  secondo  luogo,  gli  oppositori  all'innesto rxlhè' la 
malattia  del  vaiaolo  naturale  non  sia  mortale  che^ban  ài  rado 
di  sua  natura,  onde  sia  meglio  aspettarla  che  accelerarne 
II.  *        i8 


206  sull'  innesto  del  vaioolo. 

Tadacca  coU'ìimesto.  Qoesla  è  ana  delle  più  forti  ragioni  che 
adduce  11  signor  Haen.  Pare  strano  meramente  come  an  mè- 
dico del  credilo  «  della  dottrina  del  signor  Haen  asserisea 
ina  proposizione,  a  coi  contrasta  la  giornaliera  sperienzadel 
.popolo  istesso,  e  rantorìtà  de' pia  rinomati  scrittori  di  me- 
dicina  antichi  e  moderni.  Nella  raccolta  medica  del  signor 
Haller  yien  chiamato  il  yaiaolo  una  maUUlia,  la  quaUgli  tio- 
ffiìfit  di  qualunque  età  per  un  fatai  destino  sorprende,  e  uccide 
la  decima  parie  delV  uman  genere.  Le  più  esatte  osservazioni 
sur  vainolo  naturale  c'ingegnano  che  nell'Inghilterra,  dove 
quella  malattìa  non  è  tanto  pericolosa  quanto  in  alcune  altre 
regioni,  ne  muoiono  di  vainolo  il  12,  il  16»  e  talvolta  il  20 
per  cento.  Nell'America,  dove  più  feroce  è  la  malaltia  del 
vaìuolo  naturale,  ne  muoiono  20,  30,  e  persino  talvolta  40 per 
cento.  Nella  Nuova-Inghilterra  ne  muoiono  circa  14  ogni 
cento.  In  altre  contrade  d'America  ne  soccombe  il  15  per 
ogni  cento.  Facendo  poi  un  adequato  generale  di  tutte  le  os- 
servazioni fette  in  diverse  parti  del  mondo,  troviamo  che  la 
mortalità  per  il  yaiuolo  naturale  è  di  10  per  cento  circa;  il 
che  risulta  e  dalle  esatte  ricerche  fatte  dal  signor  Jorin  e 
da  quelle  del  signor  Schultz  medico  svedese,  e  dalle  liste  pob- 
Wicate.da  diciassett'annì  a  questa  parte  dagli  spedali  di  Lon- 
dra, e  dalle  osservazioni  fatte  in  Ginevra  sotto  la  direzione 
de'  magistrati.  La  malattia  del  vaioolo  donqoe  realmente 
uccide  la  decima  parte  del  genere  umano.  Il  signor  Haen 
crede  che  ciò  avvenga  per  colpa  de'  medici:  io  non  oserò  de- 
cidere se  ciò  sia;  dico  bensì,  che  sin  tantoché  FEuropa  non 
fia  popolata  di  medici  che  non  lascino  perire  la  decima 
parte  de'  malati  del  vaiudo,  come  ora  accade,  il  vainolo  sarà 
un  malore  mortale.  L'arciduchessa  Isabella,  perita  di  vaioolo 
nella  Corte  Imperiale  di  Vienna  sotto  gli  occhi  forse  del  5i- 
•gnor  Haen,  e  assistita  da  uno  de'  più  celebri  medici  d' Eu- 
ropa, il  «gnor  barone  Wan  Svieten,  è  on  forte  argomento 
contro  il  signor  Haen.  Da  cinqoant'anni  a  questa  parte^  l'im- 
perator  Giuseppe,  il  Deliino,  il  Principe  d'Este,  l'arcidn- 
chessa  Isabella,  ai  quali  certamente  non  potevano  mancare 
tutt'i  più  celanti  soccorsi  della  medicina  più  rischiarala,  sono 
miseramente  caduti  vittime  del  vainolo;  né  alcun  privato 


SOLL*  liNNESTO   DEL   VAIUOLO.  207 

oserà  promettersi  migliore  assistenza  o  maggiore  celebrità 
dì  medico.  Goncla^iam  dunque,  che  il  vaiuolo  è  veramente 
per  sé  una  iQalattia  mortale,  e  che  qualora  ci  colga  questa 
contagione  naturalmente,  rischiamo  d'essere  almeno  queir 
r  uno  fra  i  dieci  che  deve  -morire. 

In  terzo  luogo  si  oppone  cosi:  Molti  passano  la  loro  vita 
senza  aver  mai  il  vainolo;  dunque  V  innesto,  ci  darebbe  una 
malattia  certa  per  liberarci  da  una  malattia  incerta  a  venire. 
A  ciò  parmi  che  si  risponda  assai  concludentemente.  Se  cre- 
diamo all'autorità  di  tutt^i  più  accreditati  medici  che  hanno 
scritto,  pochissimi  sono  gli  uomini,  che  avendo  un  corso  na- 
turale di  vita,  vadano  esenti  del  vaiuolo.  Isaac  crede  il 
vaiuolo  generale  a  tutti  gli  uomini.  Rhases  positivamente  af-  * 
ferma,  che  alcuno  non  ne  va  esente:  cosi  asseriscono  pure 
A^erroe  ed  Avicenna.  Fracastoro  crede  che  ogni  uomo 
r  abbia  una  volta;  altrettanto  dice  Mercuria!.  Avenzoar  ri- 
sguarda  come  un  miracolo  della  medicina,  se  alcuno  ne  va 
esente.  Foresto  dice  che  a  ragione  gli  Arabi  ed  altri  grandi 
medici  hanno  stabilito  che  il  vaiuolo  fosse  un  tributo  uni- 
versale air  uman  genere.  Dedoneo  lo  crede  un  malore  inevi- 
tabile; cosi  Sennert,  cosi  Primeroso.  Borelli  afferma,  che  è 
una  rara  eccezione  della  regola  universale  colui  che  non  ha 
sofferto  il  vaiuolo  in  un  corso  ordinario  di  vita;  lo  stesso  as- 
sicurano Banehin,  Diemeboek  e  Sebisins.  Appena  uno  in 
mille  lo  sfugge,  al  parere  di  Riviere;  lo  stesso  attesta  presso 
a  poco  Tulp;  Solbait  credè  il  vainolo  una  ereditaria  conta^ 
gione,  e  perciò  generalmente  ìoiprescindibile;  universale  la 
erede  Low.  Rìedlin  épiù  liberale  di  speranza,  e  accorda  che, 
ogni  cento,  due  ne  vadano  esenti;  Juncker  non  accorda  esen- 
zione a  veruno.  Il  signor  Habn,  dopo  cinquant'  anni  di  pra- 
tica, ci  avverte  che,  in  mille,  uno  o  due  al  più  lo  sfuggono; 
il  signor  Scardona  crede  uno  ogni  mille  sìa  privilegiato;  il 
signor  Ludwig  dubita  se  alcuno  ne  possa  essere,  esente.  La 
maggior  consolazione  di  tutte  trovasi  .nella  Raccolta  del  si- 
gnor Haller,  dove  cosi:  —  Sebbene  il  vaiuolo  non  la  perdoni  a 
ne$$uno,  V osservazione  però  c'Hisegna  che  ire  o  quattro  uomini 
fra  cento  ne  vanno  immuni  per  tutta  la  vita, — Aggiungasi  al  te- 
stimonio de'  citati  medici  quello  degli  occhi  nosjlri,  i  quaK  ci 


208  £1  Ll' IMNESTO  DEL  VAIUOLO. 

attestano  che  poche  e  facilmente  namerevoli  sono  le  per- 
sone a  noi  note,  le  quali  sieno  motte  senza  aver  avuto  il 
vainolo;  -e  concludiamo  facilmente  che  Iti  probabilità  di  scan- 
«arlo  è  piccola ,  e  forse  non  giange  al  quattro  per  cento. 
Dunque  non  è  vero  che  molti  passino  la  loro  vita  senza 
pagar  tributo  a  questa  malattia  funestissima,  ma  bensi 
rari  e  rimarchevoli  sono  coloro  i  quali  la  scansino.  Ma  col- 
r  innesto  è  egli  ben  provato  che  si  comunichi  la  malattia  a 
chi  non  l'avrebbe  naturalmente?  Io  osservo  che  non  (ulti 
gì- innestati  contraggono  il  vainolo.  Dalle  tavole  d'innesti 
fatti  nell'Inghilterra  nel  1721  e  1T28,  vedo  che  a  Boxbury 
^^  ed  a  Cambridge  alcuni,  dòpo  l'operazione,  non  ebbero  il 
vaiuolo,  e  furono  fra  quegli  innestati  dai  signori  Roby,  Thomp- 
son e  Boylston.  In  Siena  e  in  altri  luoghi  della  Toscana,- 
pure  ad  alcuni  innestati  non  s' è  schiuso  il  vainolo;  di  altri 
si  fatti  esempj  ne  racconta  il  signor  De  la  Gondamine;  ed  il 
signor  dottore  Niccolò  Saltini  da  Leriee,  scrivendo  al  signor 
Ma  netti,  cosi  dice:  La  mia  figlia  ha  resistito  sino  alla  terza  ope- 
razione d'innesto  senza  effetto  veruno.  Se  è  vero  che  il  vaiuolo 
sia  una  malattia  che  si  contrae  per  comunicazione,  come 
sembra;  se  è  vero  che  questa  comunicazione  si  partecipi 
anche  colle  particelle  morbose  frammiste  all'aria,  anx^hepM 
gli  abiti  di  una  terza  persona,  anche  per  una  lettera  sola  ve^ 
nula  da  dove  regni  il  vaiuolo;  convien  dire  che  coloro  i  quali 
nella  lor  vita  sfuggono  da  questa  malattia,  per  ciò  la  sfuggo- 
no, perchè  non  sianvi  nel  loro  corpo  quelle  disposizioni  che 
sono  necessarie  per  contrarla;  giacché  non  è  possibile  nel 
corso  d'una  vita  ordinaria  d'isolarsi  talmente,  si  che  non 
abbiasi  più  volte  ancora  quel  c«ntatto,  o  mediato  o  immedia- 
to, che  basti  a  farci  schiudere  il  vaiuolo:  e  ciò  somministra 
un  motivo  ragionevole  per  credere,  che  la  maggior  parte  di 
quegli  appunto,  ai  quali  non  doveva  naturalmente  accadere 
tal  malattia,  siano  coloro  su  i  quali  l' innesto  non  produce 
effetto  veruno.  Dunque  il  ragionamento,  invece,  deve  farsi 
così:  —  Pochi  son  coloro  che  in  loro  vita  scansino  la  merlai 
malattia  del  vaiuolo;  dunque  è  meglio  esporci  a  una  malattia 
non  affatto  certa,  ma  sicuramente  di  esito  felice,  come  ve- 
dremo poi,  aYizi  che  aspettare  quella. 


sull'innesto  del  VIIUOLO.  20t> 

La  qnarU  opposizione  è  quella,  salla  quale  comanemente 
il  Tolgo  de'  medici  sparge  il  maggior  nomerò  di  fatti  sap* 
posti  e  non  provati  giammai,  cioè,  che  il  vaiaolo  non  sia  ba- 
stantemente prevenalo  coli' innesto,  cosicché  ei  torni  un'al- 
tra volta  dappoi.  Vediamo  in  prima,  che  ne  dicano  i  più 
accreditali  medici  sul  ritomo  del  vaìuolo.  Il  signor  Tralles  si 
spiega  cosi  :  —  Non  porrò  io  in  dubbio  la  ieslim&nianza  degli 
autori  che  sostengono  due  volte  poter  venire  it  vaiuolo  :  pure 
nella  mia  pratica  un  sol  esempio  non  ne  ho  veduto  mai,  né  da 
veruno  de'  miei  coUegki  udito.  So  bene  che  il  vaiuolo  salvalico 
talvolta  vien  preso  in  iseambio  del  vero  vaiuolo  da  alcune  ma- 
trone che  han  voglia  di  saperne  assai,  alle  quali  con  mala  loro 
rogUa  ho  talvolta  contraddetto;  so  bene  che  alcun  medico  an- 
Cora  può  ingannarsi,  e  prender  una  malattia  per  V  altra.  —  II 
signor  Rosen  così  dice: -^  Quasi  tulli  i  medici  stabiliscono  che, 
avuta  che  s' abbia  una  volta  questa  malattia,  se  n*  è  esente  per 
sempre  ;  contuttociò  vi  sono  alcuni  esempj  contrarj,  sebbene  in 
piccolissimo  numero.  —  I!  signor  Millin  cosi  scrive:^  Oppon- 
gonOy  che  il  vaiuolo  naturale  venga  anche  a  coloro  che  Vebbero  per 
innesto.  Ma  convien  confessare,  che  se  ciò  è  vero,  i  casi  son  rari 
talmente,  che  appena  uno  in  mille  ne  troverai;  né  una  osserva- 
zione o  due  formano  giammai  una  regola  generale* — Il  chiaris- 
shno  signor  Mead  s'esprime  così*,  ~~ L' esperienza  ci  prova 
che  il  vaiuolo  non  torna  la  seconda  volta,  e  che  appena  uno  in 

mille  vive  senza  soffrirlo Quanto  poi  a  quelli  che  avendo 

avuto  una  volta  il  vaiuolo  innestato,  dicesi  che  V  abbiano  avuto 
di  nuovo,  io  stesso,  sebbene  ne  abbia  con  somma  diligenza  falle 
ricerche,  neppur  un  solo  fatto  ben  avverato  ho  potuto  rinve- 
nime.  —  Troppo  lunga  cosa  sarebbe  il  riferire  in  questo  luogo  . 
le  stesse  assicurazioni  che  leggonsi  presso  Boerhaave,  Molin, 
e  Chirac,  e  altri.  Tuffi  migliori  medici  che  hanno  scritto 
sull'innesto,  sono  dello  stesso  parere  neir attestare  che  il 
vaiuolo  più  non  ritorna.  Leggesi  nel  signor  M anetti:— Da  <e«- 
santa  e  piti  anni  in  qua,  che  si  sono  scoperti  e  osservati  i  suc^ 
cessi  e  gli  effetti  dell*  inoculazione ,  non  vi  è  un  esempio  auten- 
tico e  verificato  di  persona  alcuna,  alla  quale  sia  tornato  per 
la  seconda  volta  il  vero  vaiuolo,  dopo  di  esser  quella  già  stata 
tiio(niIa(a.— Il  consenso  e  l'autorità  di  questi  illuminali  scrii- 

!8- 


210  SULL'  innesto  OBL   VÀItJOLO. 

tori  dovrebbe  bastare  a  confondere  le  dicerìe  di  coloro,  i 
quali  vanno,  da  quaranta  e  più  anni  a  questa  parte»  inven- 
tando i  sogni  di  vainolo  sopravvenuto  agi' innestati,  senza 
che  un  fatto  solo  abbiano  potuto  provare.  Pure,  oltre  V  anto^ 
rità  citata,  abbiamo  di  più  fatti  positivi,.  ì  quali,  a  parer  mio, 
dimostrano  che  il  vainolo  innestato  impedisce  che  il  vaiaolo 
non  torni  più.  £ccone  alcuni  de'  più  qualificati  e  notorj.  11 
dottor Ma(y,  che  si  bene  ha  scritto  sull'innesto,  dopo  aver 
avuto  il  vaiuolo  naturale  all'età  di  anni  ventidne,  volle 
sperimentare  all'  età  di  anni  trentacinque  se  V  innesto  pò* 
tesse  dargli  questa  malattia  di  nuovo:  s' inoculò  da  sé  mede- 
simo, ina  il  vainolo  non  comparve.  Il  dottore  Rirkpatrìk  vide 
non  pochi  fanciulli  che  avevano  avuto  il  vaiuolo  per  mezzo 
dell'  inoculazione,  i  quali  coabitarono  dappoi  famigliarmente 
co'vaiuolanti,  senza  contrarne  giammai  nuovo  vaiuolo.  Ric- 
cardo Evans,  uno  de' sette  malfattori  destinati  in  Londra  ai 
primi  sperimenti  dell'  innesto,  ebbe  in  prigione  il  vaiuolo  na- 
turale ;  e  benché  gli  venissero  poi  fatte  due  infusioni  mollo 
grandi,  e  in  esse  infusa  una  copiosa  dose  di  materia  vaiuo- 
losa,  non  ne  ebbe  né  vaiuolo  nò  male  alcuno,  neppure  dolo- 
re, 0  infiammazione  alle  incisioni,  le  quali  il  sesto  giorno  si 
trovarono  interamente  cicatrizzate.  Elisabetta  Harris,  anche 
essa  condannata  ai  primi  sperimenti  dell'innesto,  ebbe  il 
vaiuolo  artificiale  comunicatole  alla  chinese  dal  signor  Mead, 
come  abbiam  detto,  e  dappoi  fu  posta  a  servire  a  più  di  venti 
vaiuolanti  senza  che  più  vi  contraesse  il  vaiudo.  Madami- 
gella Baker  ebbe  in  età  d' anni  dodici  il  vaiuolo  per  innesto, 
e  risanatane,  volle  sperimentare  d'innestarsi  di  nuovo:  sì  fece 
da  sé  stessa  le  incisioni,  e  v'  intruse  copia  di  materia  vaiao- 
losa  per  tre  consecutivi  giorni,  senza  che  il  vaiuolo  le  tor- 
nasse. Un  fratello  del  colonnello  York ,  figlio  del  Gran-Cao- 
c^lliere  d'Inghilterra,  avendo  avuto  il  vaiuolo  per  innesto, 
e  temendo  di  averlo  una  seconda  volta,  si  sottopose  sino  a 
quattro  inoculazioni,  senza  mai  riaverne  vaiuolo.  Tutti  que- 
sti fatti  non  contestati,  e  resi  pubblici  da  molti  autorì,  non 
bastarono  per  imporre  silenzio  a  chi  minacciava  il  ritomo 
delvaiuolo  agi' innestati.  Pochi  anni  sono,  il  cavaliere  Henry, 
il  quale  neir  Inghilterra  aveva  avuto  il  vaiuolo  per  inneslo» 


SXJLL' INNESTO  DEL   V4IU0LO.  211 

volle  nella  Toscana  convincere  gì' increduli,  e  fecesi  di  bel 
nuovo  innestare  con  copiosa  materia  vaiuolosa,  né  vainolo  o 
malore  di  sorta  alcuna  ne  contrasse.  L'autorità  de'  più  chiarì 
scrittori  medici,  ì  fatti  notorj  riferiti,  la  sperienza  di  più  di 
quaranta  anni  nell'  Inghilterra,  ancora  non  bastano:  vi  sono 
de'  medici,  i  quali  senza  aver  mai  letti  gli  autori  cbe  hanno 
scritto  dell' innesto,  né  vedute  le  sperienze,  si  ostinano  a  spac- 
ciare delle  vaghe  dicerie  sul  ritorno  del  vaiuolo,  e  fra  i  cre^ 
doli  loro  clienti  spargono  la  diffidenza  e  l' errore  per  questa 
pratica.  Ne  so  di  alcuni,  1  quali  forse  non  conoscono  che 
appena  il  nome  degli  autori  che  possono  schiarirci  su  questo 
punto,  1  quali  vanno  spargendo  nella  città  nostra,  che  nella 
Toscana  il  vaiuolo  torni  agi' innestati:  ad  essi  io  vo'dire, 
che  se  altri  libri  non  leggono,  si  addomestichino  almeno  coi 
fogli  pubblici,  e  impareranno  che  tanto  é  difficile  il  trovare 
un  solo  esempio  giustificato  di  un  innestato  a  cui  sia  venuto 
la  seconda  volta  il  vaiuolo,  che  presso  il  signor  De  Frances, 
general  ricettore  delle  finanze  della  Generalità  di  Soissons  in 
Parigi,  è  stata  depositata  l'anno  scorso  la  somma  di  dodici 
mila  franchi  in  premio  a  chiunque  possa  nel  termine  di  sei 
anni  provare  con  attestati  concludenti,  che  sia  sopravvenuto 
il  vaiuolo  naturale  ad  uno  che  l'abbia  avuto  per  innesto.  In- 
vece dunque  di  comunicare  le  loro  notizie  del  vaiuolo  ritor- 
nato, alla  debole  sequela  de'  loro  adoratori,  si  facciano  cuore, 
e  la  comunichino  in  Parigi,  che  avranno  la  gloria  d'avere  il 
premio,  e  l' utile  non  indiflerente  di  quasi  tremila  scudi  mi- 
lanesi. Frattanto  che  questo  premio  non  sia  riportato  da  nes- 
suno, vuole  ogni  ragione  che  ci  determiniamo  a  credere,  che 
il  vaiuolo  innestato  ci  assicuri  contro  il  vaiuolo  naturale. 

L' ultima  obbiezione  finalmente  consiste  in  ciò,  che  po- 
che essendo  le  bolle  che  compaiono  sul  corpo  degl'  innestali 
in  proporzione  di  quelle  che  compaiono  quando  il  vaiuolo 
viene  da  s^,  pare  che  la  natura  non  abbia  avuto  uno  sfogo 
sufficiente,  e  conseguentemente  questa  materia  venefica  possa 
fare  qualche  altro  danno  alla  sanità.  Questa  obbiezione  sup- 
pone che  il  vainolo  sia  uno  spurgo,  una  secrezione  che  fasst 
dal  sangue;  e  questa  supposizione  vien  fatta  dalla  maggior 
parte  de'  medici,  che  cercano  più  di  far  piegare  i  fatti  ai  loro 


212  sull'innesto  del  vàidolo. 

sisiemì,  che  di  fondar  i  sistemi  sa  i  falCi.  Se  il  vaiaolo  fosse 
ano  spargo,  una  deporazione  del  sangae,  converrebbe  dire 
che  gli  nomini  sieno  più  sani  e  robusti  presentemente,  di 
quello  cbe  non  lo  fossero  gli  antichi  prima  €he  conoscessesl 
in  Europa  il  vainolo ,  poiché  essi  non  avevano  per  conse- 
guenza questo  spurgo  né  questa  secrezione.  Se  il  vaìuolo  fosse 
uno  spurgo  del  sangue,  vivrebbero  malsani  coloro  che  non  Io 
hanno  avuto,  e  sanissimi  coloro  che  l'hanno  sofferto  con  mag- 
giore violenza  ;  il  che  non  si  vede.  Qoal  differenza  v'  é  mai 
fra  il  sangue  di  chi  abbia  avuto  il  vaiuolo,  e  di  chi  non  l'ab- 
bia avuto?  nessuna  certamente  sensibile.  Quanti  ebbero  il 
vaiuolo  bambini,  e  perché  dopo  trenta,  dopo  quaranta  anni, 
non  avrebbero  di  nuovo  il  vaiuolo  per  purgare  la  nuova  massa 
del  sangue,  il  quale  s' é  talmente  rinnovato,  che  secondo  tutte 
le  probabilità  fisiche  neppure  la  menoma  particella  ve  n'  è 
rimasta?  Ciò  però  non  accade.  Dunque  il  vaiuolo  non  è  uno 
spurgo,  o  una  fermentazione  o  secrezione  del  sangue  né 
d'altri  umori,  come  viene  generalmente  supposto.  Mi  si  dirà: 
cos'è  dunqae  il  vaiuolo?  Rispondo:  è  una  funestissima  ma- 
lattia di  cui  vedo  gli  effetti,  ma  ne  ignoro  le  cagioni;  una 
malattia  che  si  comunica  per  contatto;  dì  cui  l' indole  intrìn- 
seca m'é  perfettamente  sconosciuta,  come  lo  era  al  Syden- 
ham  ed  al  Boerhaave.  Ma  come  dovremo  dunque  condurci 
per  ben  trattarla?  Rispondo  :  co'  fatti,  con  una  serie  copiosa 
di  osservazioni  tratta  dai  più  classici  osservatori,  usando  quel 
metodo  che  ha  risanato,  scansando  que'rimedj  che  hanno 
portalo  nocumento,  e  confessando  l' oscurità  e  l' ignoranza 
nostra  solla  natura  di  essa.  Ascoltisi  il  signor  Manetti  :  —  Da 
moUi  H  crede  che  V  innesto  non  produca  uno  sfogo  adequato  di 
vaiuolo,  e  perciò  temono  che  i  soggetti  inoculati  più  facilmente 
siano  sottoposti  a  certi  incomodi  ed  a  certe  maUittie;  ma  V  espe- 
rienza, in  tutti  i  coti  maestra,  dilegua  anche  questi  timori,,..  Fra 
lanU  ormai  da  molli  anni  in  qua  stati  inoculali  in  Firenze  ed 
in  tutta  la  Toscana,  non  esiste  neppure  un  esempio  di  tali  acci- 
denti 0  conseguenze.  Il  tempo  sopra  tutto  è  quello  che  alcuni  tn- 
siruisce,  altri  disinganna.  —  Veggansi  le  opere  de'  migliori  me- 
dici ìnoculatori,  e  troverassi  che  il  pia  felice  Innesto  é  quello 
in  cui  compaia  minor  numero  di  bolle:  ciò  lo  prova  colla  prò- 


sull'  innesto  del  VAIGOLO.  213 

pria  sperieDza  ì\  valoroso  medico  toscano  signor  Gatti,  il 
qoale  da  vero  filosòlo  ha  scritto  in  Parigi  an'  òpera  che  fa 
onore  al  sno  nome  ed-alla  sua  patria;  né  da  Ini  discorda  an 
solo  degli  autori  che  dell' innesto  trattano,  nel  confermare 
che  la  malattia  è  tanto  più  mite  quanto  minore  è  il  nùmero 
delle  pustole  o  bolle  vaiolose  ohe  compaiono. 

Abbiam  sinora  data  una  idea  storica  delì'inoculazione,  e 
abbiamo  sciolte,  a  quel  eh'  io  credo,  concludentemente  le  dif- 
ficoltà che  le  si  vanno  opponendo  da  quaranta  e  più'  anni  a 
questa  parte;  ma,  per  conoscere  s'ella  sia  da  adottarsi,  ciò 
ancora  non  basta  ;  convien  conoscere  che  V  inoculazione  sia 
utile,  e  d'una  patente  utilità;  conviene  esaminare  come  si  i 
faccia,  e  presentare  al  giudizio  nostro  una  serie  di  fatti  clas- 
sica, sincera  e  numerosa,  capace  di  determinarci  per  una 
parte  o  per  l' altra. 

L'inoculazione  è  un  soggetto  di  disputa.  Io  sceglierò  quel 
fatti  i  quali  non  sono  nò  posti  in  dubbio  né  contraddetti  dai 
nemrci  medesimi  dell'  innesto.  Io  sceglierò  quei  fatti  t  quali 
sono  pubblicati  còlla  maggiore  autorità.  Io  sceglierò  quei  fatti, 
per  fine,  che  non  sono  stati  posti  in  dubbio  né  dal  signor 
Haen,  né  dal  signor  Kast,  né  da  verun  altro  oppositore  al 
nuovo  metodo.  Eccoli. 

Il  dottore  Hadow  ha  innestate  1200  persóne,  fra  le  quali 
ve  n'erano  62  malsane,  altre  per  lo  scorbuto,  altre  per  reu- 
matismo, altre  per  asma  oc;  e  ne  mori  una  sola,  ìropotandosi 
la  di  lei  morte  alla  trascnranza  che  s*  é  avuta  hell' assisterla. 

Dai  registri  pubblicati  de' morti  nello  Spedale  di  Londra 
dal  20  settembre  1746  fino  al  24  marzo  1763,  consta  che  in 
esso  Spedale  vi  sono  stati  ammalati  di  vainolo  naturale  6486, 
de' quali  ne  sono  morti  1634;  innestati  3434,  de'quali  ne  sono 
morti  10;  cioè  la  quarta  parte  degli  ammalati  dì  vainolo  na- 
turale è  perita,  e  degl' innestati  ne  è  perito  uno  ogni  347:  e 
qui  è  da  notarsi  come  negli  Spedali  la  mortalità  d' ogni  ma- 
lattia è  sempre  maggiore;  e  se  generalmente  abbiam  fissata 
la  mortalità  del  vainolo  naturale  al  dieci. per  cento,  non  al 
venticinque  come  qui  appare,  l'innesto  a  proporzione  do- 
vrebbe ridurre  il  pericolo  fuor  degli  Spedali  a  uno  ogni  otto- 
cento circa.  ^ 


214  e  ULL' IMMESTO   DEL   VÀIUOLO. 

Dì  2000  innesti  fatti  dal  signor  Browne,  doe.sole  donne 
gravide  ne  sono  perite. 

Da  una  lista  presentala  al  vescovo  di  Worcester,  si  yede 
che  di  1300  persone  innestale  tre  soli  casi  sono  andati  infe- 
licemente 

Il  signor  Frevin  os  Aye,  nella  contea  di  Sossex^  ha  in> 
nestato  300,  e  ne  é  perito  ano  di  febbre  putrida  sopragginn- 
tagli  dopo  il  declinare  del  vainolo. 

il  signor  dottore  Middleton.  ne  inocalò  30O,  ed  ano  ne 
peri. 

A  Ginevra,  per  testimonianza  del  signor  Tronchin, 
di  200  innestati  è  morta  una  fanciulla  molto  diticata,  la 
qnale  con  disapprovazione  de'  medici  fa  sottoposta  all'opera- 
zione. 

11  signor  Hosti,  nel  1757,  si  portò  a  Londra  per  essere 
testimonio  degli  effetti  dell' innesto,  e  di  252  innestati  che 
vide,  neppur  ano  ne  mori. 

Neil'  Isola  di  San  Cristoforo,  300  schiavi  di  ogni  età  fu- 
rono innestati,  e  tatti  felicemente  si  riebbero  dal  vainolo. 

Nelle  colonie  inglesi  d'America,  nel  1700,  furono  inne- 
state 2000  persone,  e  latte  con  fausto  evento. 

Il  signor  Ramby,  chirurgo  di  S.  M.  ^ritaanica,  ha  inne- 
slato  1000  persone  senza  la  perdita  di  un  solo. 

Il  signor  Morand,  nel  1755,  aveva  innestato  903  persone, 
*—  non  solo  sema  la  morte  di  alcuno,  ma  senza  che  ad  essi  fosse 
sopraggiunlo  neppure  un  aecidenle  grave  nel  eorso  del  male,  che 
anesse  fallo  temere  della  loro  aita* 

Il  signor  dottore  Domenico  Poverini,  un  tempo  medico  di 
Citerna  nello  Stato  Pontificio,  poi  nella  Città  di  Castello, 
nel  1755  aveva  inoculati  più  di  dufento  soggetti  tutti  felicemente, 
e  senza  che  veruno  di  essi  sia  restato  neppwr  segnato. 

Séguito  a  prevalermi  delle  parole  del  signor  Blanetti: — 
//  signor  Pier  Matteo  Pierotti,  successore  del  nominato  signor 
Beverini  nella  condona  di  Ciiema,  vi  ha  iìMculatopiù  di  cento 
fanckdli  tutti  quotiti  a  bene;  e  per.  quanto  egli  medesimo  esp:me 
in  una  lettera  indaiadei  7  settembre  1756,  scritta  al  signor  Pe- 
verini,  tutti  hamo  avuto  un  vaiuoh  di  specie  benigna;  e  se  in 
alcuni  si  affacciarono  degli  accidenti,  come  sarebbe  febbre  rtsen" 


SULL  INNESTO  DEL  VAIUOLO.  2 lo 

aia,  ddirio,  doUnif  eonvuUicni  ec,  quesH  tulli  ti  dileguarono 
alla  ffrima  comparsa  o  eruzione  del  raiuolo,  né  veruno  è  restàio 
segnalo,  neppur  di  quelli  nei  quali  le  bolle  furono  in  qualche 
quantità.  Per  ragione  unicamente  di  si  vantaggiosi  effetti  ed 
esempi ,  non  poche  madri^  in  detto  paese  elleno  stesse  hanno  inne- 
stali i  loro  figliuoli^  e  non  lasciano  continuamente  di  lodare  e 
ringraziare  la  divina  beneficenza,  che  abbia  voluto  apprestare  un 
metodo  cosi  facile  ed  ulUe  per  un  male  di  cui  il  mondo  finora 
si  è  cotanto  doluto.  — 

I  fatti  d' Italia  è  bene  riferirli  colle  parole  stesse  di  chi 
gli  attesta.  In  Pirano,  città  dell'Istria,  nel  1758,  da  giugno  a 
ottobre,  il  signor  dottore  Giovan  Paolo  Centenari  innestò  più 
di  300  persone,  e  fra  lutti  questi  che  furono  da  me  inoculati 
neppur  uno  mori;  e  quello  che  forse  è  più,  neppur  uno  restò 
in  alcuna  parte  offeso  della  persona,  mentre  per  lo  contrario  mo- 
rirono quasi  altrettanti  fanciulli,  a'  quali  non  si  fece  V  innesto, 
e  rimasero  molli  altri  che  sopravìDissero,  ciechi,  e  attratti  ne'mem- 
briy  e  nella  faccia  deformi,  — 

II  signor  dottore  Gatti  ha  fatto  felicemente  più  di  100  in- 
nesti a  Parigi. 

A  Nìmes  sono  stati  fatti  78  innesti,  tutti  felici. 

Io  trascuro  qui  di  accrescere  il  numero  di  simili  fatti: 
molti  innesti  felicissimi  ha  fatto  il  signor  Gei  ne' contorni  di 
Livorno;  In  Lerice,  nella  Toscana,  molti  innesti  vi  h»  pure  fau- 
stamente fatti  il  signor  dottore  Niccolò  Saltini;  il  quale  scri- 
vendo al  signor  Manetti,  gli  dice  che  in  Lerice  ognuno  sma- 
nia e  desidera  di  fare  inoculare  i  suoi  figli;  ma  estendo  io  solo, 
è  necessario  che  aspettino  il  mio  comodo.  In  Pistoia  il  signor 
Taniy  a  San  Pietro  in  Bagno  il  signor  Fantini,  a  Prato  il  si- 
gnor dottor  Turacchi,  insomma  per  la  Toscana  tutta,  son 
tanto  ripetute  e  popolari  le  esperienze  favorevoli^  che  una 
gentildonna  persino,  la  signora  marchesa  Bufalini,  da  per 
sé  stessa  ha  inoculati  con  esito  intieramente  felice  non  solo  molti 
figliuoli  dei  suoi  contadini  e  dipendenti,  ma  dei  lerrazxam  an- 
cora di  quei  contorni;  tanto  i  fatti  provano  che  non  v' è  pe- 
ricolo in  questa  operazione.  # 

Concludo  la  serie  de'  fatti  da  me  raccolti,  con  quello  in- 
sijjfne  di  Costantinopoli,  dove  in  un  solo  anno  furono  inno- 


216 


sull'  innesto  del  vàiuolo. 


stale  diecimila  persone,  e  (ulte,  nessuna  eceetluat«,  se  ne 
liberarono. 


Reeapitola%ione  de'  fatti  mi/'  innesco. 


IimmUti.       HorU. 

Hadow Num.  1,200  i 

Ospedale  di  Londra.  ....  i  5,434  iO 

Browne »  2,000  2 

Vescovo  di  Worcester.    .  .  »  1,500  3 

Frewio »  300  1 

MIddleton. »  300  1 

Ginevra »  200  1 

Hosly »  25a  0 

San  Cristoforo »  300  0 

Colonie  inglesi »  2,000  0 

Ramby »  1,000  0 

Moraod »  905  0 

Peverloi »  200  0 

Pierotti »  100  0 

Centenari »  300  0 

Galli .  »  100  0 

Razottx »  1%  0 

Costanlinopoli .  »  10,000  0 

Totale  ImOtT    !¥ 

D^i  falli  che  abbiamo  dunque  potalo  raccogliere  da'  più 
classici  aalorìy  appare  che  in  24,000  e  pia  innestati,  19  ne 
sono  perìliy  il  che  imporla  che  ogni  1200  ìnneslali  ne  muore 
uno.  Della  legalità  di  quesli  falli  non  credo  che  si  possa  nauo- 
vereyerun  dubbio,  giacché  quegringlesi,  lanlo  dell' isola  che 
delle  colonie,  hanno  la  pubblica  alleslazione  del  lord  Vescovo 
di  Worcester,  del  segretario  della  Società  Reale  di  Londra 
doUore  Jurin,  e  del  signor  Ramby,  primo  cerusico  della  Corte 
Britannica  ;  gli  altri  o  sono  attestati  dal  signor  De  la  Gonda- 
mine,  di  cui  il  credito  è  bastantemente  stabilito  in  Europa,  o 
da  quegli  onorali  medici  d' Italia  allualmenle  viventi,  i  quali 
gli  hanno  pubblicali  essi  medesimi  colle  stampe,  apponendovi 
il  loro  nome;  né  è  credibile ,  che  in  fatti  di  lai  natura ,  che 
haniui  lutto  un  paese  per  testimonio,  si  possa  impunemente 
abusare  dalla  credulità  del  pubblico.  Chiunque  sia  slato  in  To- 
scana, può  servire  di  testimonio  della  ingenuità  di  que*  fatti. 


SOLL*  INNESTO  DEL  VÀIUOLO.  217 

Tutte  le  più  esaKe  ricerche,  che  da  varj  autori  si  sono 
fatte  finora  intorno  la  vita  amana,  fanno  conoscere  che  per 
adequato  V  nomo  vive  Irentatré  anni  e  alcuni  mesi.  Questa 
notizia  è  talmento  ricevuta,  che  dal  numero  de' morti  in  nn 
anno  in  ogni  paese  moltiplicato  per  trentatrè,  se  ne  viene 
a  dedurre  ratinale  popolazione  di  esso;  cosicché,  laddove 
muoiono,  per  esempio,  mille  uomini  all'anno,  ivi  presso  a 
poco  la  popolazione  sarà  di  trentatrè  mila  anime.  Ciò  posto, 
di  24,000  ne  morranno  verisimilmenle  in  un  anno  più  di  600. 
Dunque  la  probabilità  sarà,  che,  ogni  mese,  di  questi  24,000 
ne  muoiano  tfO;  V  innesto  dora  circa  un  mese:  dunque,  se 
dei  24,000  innestati  ne  fossero  anche  morti  50 ,  non  do- 
vrtebbesi  ciò  altrimenti  attribuire  all'  innesto,  ma  anzi  do-* 
vrebbe  allrièuirsi  alle  leggi  ordinarie  della  natura,  e  do- 
vrebbe credersi  che  ancora  non  innestati  sarebbero  morti. 
L' innesto  non  rende  gli  uomini  immortali  per  il  tempo  ch'et 
dora ,  né  può  ciò  da  veruno  pretendersi.  Ma,  di  24,000  e  più 
innestati,  appena  19  ne  sono  morti;  dunque  per  l'innesto 
non  ne  muore  veruno.  Quesl'  argomento  mi  pare  senza 
replica. 

Un'  altra  riflessione  pure  convién  fare,  ed  è ,  che  sia  nel 
yaiuolo  naturale,  sia  nel  vainolo  innestato,  noi  troviamo 
che  passa  sempre  l'intervallo  di  alcuni  giorni  dal  contrarsi 
la  malattia  al  manifestarsi;  ora,  chi  mi  assicbra  che  a  taluni 
non  sìa  stato  fatto  anche  l' innesto  dopo  che  avevano  glh 
contralto  il  veleno  vaìuoloso  naturale?  Ciò  tanto  più  è  proba- 
bile, quanto  che  il  maggior  numerò  d'innesti  s'è  sempre  fatto 
ne' tempi  ne' quali  la  epidemia  del  vaiuolo  regnava  più:  dal 
che  sempre  più  ci  confermiamo  nell' asserire, che  la  questio* 
ne  dell'  innesto  del  vaiuolo  ha  in  questi  ultimi  tempi  mutato 
aspetto.  Sintanto  che  pochi  erano  i  casi  e  le  sperienze,  e 
che  s' andavano  facendo  semplici  tentativi  per  lo  più  negli 
Spedali,  dove  l' assistenza  non  può  mai  essere  tanto  esalta, 
si  trattò  di  cambiare  un  pericolo  maggiore  in  un  minore;  ma 
al  di  d' oggi,  che  negli  Stati  soli  della  Corona  Britannica  ab- 
biamo più  dì  200,000  innestati;  al  di  d'oggi,  che  in  tutte 
le  parti  d'Europa,  trattane  la  Spagna  e  il  Portogallo,  si 
sono  moltiplicati  prodigiosamente  i  fatti  che  pongono  in 
li.  19 


218  sull'  innesto  del  vaiuolo. 

chiara  lace  qoesfa  materia,  la  questione  si  ridaee  a  sapere 
semplieemente,  se  debbasi  prevenire  ona.  malattia  mortale 
quasi  inevitabile,  la  qnale  aramazza  la  decima  parte  per  lo 
meno  dell'  mnan  genere,  con  una  operazione  niente  perico^ 
Iosa  e  poco  incomoda. 

L' operazione  dell'  innesto  consiste  in  dae  snper6eialls- 
sime  incisioni,  che  si  fiinno  per  lo  più  nella  parte  media  ed 
esterna  delle  braccia  al  disotto  del  tendine  del  muscolo  Deir 
tolde,  una  per  braccio:  alcuni  le  fanno  alle  coscio;  e  queste 
incisioni,  lunghe  circa  uh  pollice,  appena  devono  passar  la 
pelle.  A  queste  incisioni  si  applica  un  tHo  inzuppato  nel  ve* 
lene  vaiuoloso;  poi  si  fascia.  Quest'apparecchio  si  toglie  dopo 
quaraat'ore,  e  si  medicano  le  Incisioni  una  roHa  al  giorno. 
Sino  al  sesto  o  al  settimo  giorno  il  paziente  sta  bene;  pure  è 
lodevol  cosa  eh'  ei  non  esca  di  casa,  ed  abbia  cura  di  non  di- 
sordinare nel  vitto.  11  giorno  ottavo,  d'ordinario,  compare 
una  leggier  febbre;  e  il  nono  o  il  decimo,  si  vede  l'eruzioa 
del  vaiuolo,  e  ciò  consiste  in  30,  40  o  al  più  tfO  pustole,  e 
che  compaiono  in  tntt'il  corpo,  tutte  discrete  e  d'ottima  qua- 
lità. Talvolta  accade  che  tutto  il  veleno  si  scarichi  dalle  sole 
incisioni,  e  che  l'ammalato  non  abbia  che  una  o  due  pusto- 
le, e  talvolta  nessuna;  ed  anche  in  questo  caso,  se  le  incisioni 
avrailno  tramandata  molta  materia,  l'esperienza  di  più  di  qua- 
rantanni fa  vedere  che  s'è  pagato  il  tributo  al  vaiuolo,  e  che 
più  non  ritorna.  La  febbre  di  suppurazione  rarissime  volte  vie- 
ne agi'  innestati;  e  quella  che  viene  al  comparir  delle  pustole, 
non  è  più  grave  di  quella  che  può  dare  un  raffreddore,  e  con- 
siste in  una  febbretta  che  dura  alcune  volte  venti  qua  Itr'ore,  e 
d'ordinario  due  otre,  o  tott'  al  più  quattro  giorni.  Le  ferite 
nel  giorno  decimottavo  cominciano  a  cicatrizzarsi,  «  nel  vi- 
gesìmo,  da  loro  medesime,  ordinariamente  si  chiudono.  Non 
v'è  esempio  che  alcuno  resti  segnato  dal  vaiuolo  innestato:  per 
ciò  ebbe  ragione  di  dire  il  chiarissimo  signor  dottor  Manetti, 
eh€  U  sperienxe  e  U  slorii  fitto  a  quest'ora  pubhUcalB  sono 
ptù  chi  ÉuficienU  «  persuader  chicchessia;  e  qualora  si  iro^ 
vassero  dei  non  capaci  4  non  persuasi,  non  altro  vi  può  esssr 
nscesiorio  per  renderti  parziaU,  che  il  ridurU  a  vederne  i  suc- 
cessi ocularmente. 


8ULl'in«iwto  del  vaiuolo.  2t9 

Pare  imposdibile  carne  un  metodo  ai  utile,  gi  seeeasario, 
si  poco  penoso ,  dopo  la  serie  di  più  di  quarant'  anni,  con- 
fermato nell'  Inghilterra  da  innumerabili  fatti,  dopo  il  con- 
senso universale  di  tuil'i  medici  inglesi,  i  quali  sonoi  mae- 
stri della  medicina  d'  Europa,  dopo  l'adozione  fattane,  e 
nell'Inghilterra,  e  nella  Svezia,  e  nella  Danimarca,  e  in 
buona  parte  degli  Svizzeri,  e  nella  Toscana;  un  metodo  con- 
tro il  quale  nessuno  v'  è  che  si  opponga  ne' paesi  che  lo  eser- 
citano; un  metodo,  insomma,  si  importante  e  benefico  per 
i'  umanità ,  sia  presso  di  noi  un  puro  soggetto  di  conversa- 
zione, e  che  vogliamo  riserbare  alla  generazione  ventura  la 
fortuna  di  profittarne,  e  il  dritto  di  cercar  le  ragioni  della 
nostra  indolenza.  Pare  strano  altresì  come  il  grido  di  questi 
fatti  classici,  e  che  sono  annunziati  air  Europa  da  cento  au- 
tori, non  oscuri  certamente  nella  repubblica  delle  lettere, 
riscuota  si  poco  generalmente  gli  animi,  e  ci  lasci  nella  in- 
dilTerenza;  laddove,  invece,  una  sola  diceria  si  sparga  contro 
r  innesto,  mille  lingue  siano  pronte  a  ripeterla  e  a  stamparla 
negli  animi  volgari.  Appena  morì  in  Parigi,  nel  1759,  il  figlio 
del  fermier-generale  De  Gaze,  il  quale  era  stato  innestato, 
che  dappertutto  se  ne  sparse  la  novella,  e  ne  trionfarono! 
Bemici  del  nuovo  metodo;  si  vide  poi  che  egli  era  morto  per 
una  caduta,  Ireiitanove  giorni  dopo  l'eruzione  del  vainolo, 
dopo  che  perfettamente  ne  era  risanato;  e  con  prove  giuri- 
diche, e  con  attestato  de'  medici  che  assistettero  alla  inci- 
sione del  cadavere ,  in  cui  si  trovò  una  gran  còpia  d' ac^ua 
raccolta  nel  cervello,  venne  in  chiaro  che  in  nessun  conto 
poteva  egli  dirsi  morto  di  vainolo.  Caduto  che  fu  il  credito  di 
questo  fatto,  un  altro  se  ne  inventò,  cioè,  che  il  signor  dot- 
toreLìger,di  Clermont  fh  Avergna,  avesse  innestato  suo  figlio, 
e  che  essendo  questi  morto  per  l'innesto,  il  padre  pure  ne 
fosse  morto  di  rammarico;  e  questo  fatto  si  pubblicò,  e  spàrse 
in  miHe  guise,  e  presso  molti  discreditò  il  metodo  d-innesta^ 
re:  ma,  fatte  le  ricerche  sul  luogo,  si  vide  poi  che  i  signori 
Liger,  padre  e  figlio,  erano  già  morti  quindici  anni  prima; 
che  il  figlio  non  era  mai  stato  inoculato;  e  che  sino  a  quel 
giorno  nella  città  di  Clermont  non  era  mai  siato  fatto  ve^ 
run  esperimento  per  V  innesto.  (Jn  altro  fatto  fu  puM^licate 


220  SULL*  INNESTO  DEL  VAIUOLO. 

della  morie  del  figlio  di  lord  Hillsboroagh ,  il  quale  vera- 
mente morì  dopo  r innesto,  ma  ogni  ragion  vuole  che  non 
per  ciò  se  ne  incolpi  T  innesto.  11  figlio  del  lord  Hillsboroogh 
cadde  malato  il  ter^o  giorno  dopo  V  innesto,  ed  ebbe  la  in- 
tera orazione  delle  pustole  del  vainolo  il  giorno  quinto:  ora 
tutte  le  quasi  infinite  sperienze  d' innesto  ci  assicurano  che 
Teruzion  del  vainolo. non  accade  mai  prima  del  nono,  o  al 
più  dell'ottavo  giorno  dopo  T  innesto;  perciò  la  ragione  ci 
persuade  che  il  figlio  del  Lord  aveva  già  contratto  il  vainolo 
naturale  prima  che  s'innestasse,  e  ch'egli  è  morto  non  già 
di  vainolo  inoculato»  ma  di  vainolo  comune.  Deve  certamen- 
te far  maraviglia  come  alcuni  uomini  sianp  si  pronti  e  attivi 
nel  combattere  la. causa  della  umanità,  e  si  indolenti  gene- 
ralmiente  gli  spettatori,  per  i  quali  si  fa  la  causa  da  alcuni  co- 
raggiosi filosofi,  che  hanno  virtù  e  costanza  tale  di  voler  fare 
del  bene  agli  uomini,  togliendo  loro  dalla  mente  uno  impor- 
tantissimo errore,  senz'  altra  speranza  che  quella ,  deliziosa 
per  le  anime  sensibili,  di  esser  conscie  a  loro  medesime  d'aver 
promosso  H  bene. 

Credo  che  quanto  abbiam  sinora  avuto  sott'  occhio,  ba- 
sti a  determinare  il  giudizio  nostro  in  favore  dell'  innesto; 
ma  alcune  altre  brevi  osservazioni  ci  restano  a  fare  per  ren- 
dere queste  nostre  considerazioni  più  complete. 

Il  vainolo  può  egli  comunicarsi  -con  egual  indifferenza 
in  ogni  età?  Quai  sono  le  circostanze  nelle  quali  conviene 
astenersene?  Quali  le  preparazioni  utili  per  ben  disporvìsi? 
Conviene  trattare  queste  tre  questioni. 

Pi  que'  trecento  innestati  nell'  Isola  di  San  Cristoforo, 
che  disopra  abbiam  registrati,  e  de' quali  neppur  uno  è  pe- 
rito, v^diam  che  ne  dica  l'insigne  medico  signor  Mead:  — 
furono  essi  d*ogni  età  dai  cinque  anni  sino  ai  trenta,  e  V^siio  fu 
si  felice^  che  sebben  fossero  Mori  per  la  maggior  parle^neppur  uno 
ne  peri;  poiché,  quantunque  la  pestilenza  del  vaiuolo  sia  gra- 
vissima setnpre  neW  America,  con  tutto  ciò  la  sperienxa  ci  ha 
insegnalo  che  gU  Àgricani  la  soffrono  più  mortale  ancora.  ^  11 
signor  Schultz  attesta  di  aver  fatto  l'innesto  a  persone  d'ogni 
età,  ed  in  particolare  a  un  uomo  persino  di  settant'anni,  e  tutti 
felicemente  risanarono  dal  vainolo.  Il  dotto  signor  Targionì 


sull'innesto  del   VAICJOLO.  221 

ei  assicara,  che  gli  adaKi  s'innestano  setaza  pericolo  akano 
della  vita.  L'innesto  riuteir  suole  più  faeilmenU  ne*  btmlHni 
e  ne*  fanciulli,  benché  negli  aduUi  eziandio  eicuramenle  si  possa- 
eanminisirare.  Cosi  ci  attesta  mia  rispettabile  società  di  no- 
mini dottì>  che  ha  destinalo  il  primo  volume  de' suoi  lavori  a 
rischiarare  l'importantissima  questione  dell'innesto.  Di  tre- 
cento e  pia  innesti  di  vainolo  fatti  dal  signor  Giovan  Paolo 
Centenari  nell'  Istria  l'anno  17S8,  cosi  ne  dice  egli  stesso:  — 
Varie  e  distantissime  furono  le  età  degV  innestati  ;  imperciocché 
ho  praticato  in  quel  tempo  V  innesto  a  teneri  bambini  persino  di 
otto  0  dieci  mesiy  e  Vho  praticalo  àllresi  in  giovani  uomini  e 
donne  d' anni.dieioUo,  e  in  tutte  queste  operazioni ^  alle  quali 
sempre  successe  il  vaiuolo  di  benigna  natura^  non  m'accadde  mai 
U  menomo  sinistro  accidente.  —  La  marchesa  di  Voyer,  d'una 
complessione  molto  dilicata,  è  stata  innestata  a  Parigi  dal 
«ignor  dottor  Gatti  dopo  quindici  anni  di  matrimonio  ;  così  la 
duchessa  di  Ghoiseul.  Il  cavaliere  di  Ghastellux,  colonnello  del 
reggimento  di  Guienne;  s'è  fatto  felicemente  innestare  d'anni 
ventuno,  e  questa  felice  riuscita  lo  fece  diventare  sosteni- 
tore del  nuovo  metodo,  in  favor  del  quale  ha  scritto.  Questi 
pochi  fatti  e  queste  autorità  bastano,  credMo,  a  toglierci  il  ri- 
brezzo che  taluni  cercano  di  far  nascere  nelle  persone  che 
hanno  già  passata  la  fanciullezza  e  l'adolescenza.  Il  testi- 
monio de'  fatti  più  autentici  d'Europa  ci  prova  che  in  ogni 
età  riesce  felicemente  l'innesto. 

Le  persone  d'nna  età  già  adulta  devono  temer  dal  vaiuolo 
naturale  più  assai  che  non  ne  debbano  i  fanciulli.  La  spe- 
rienza  generale  ci  ha  fatto  stabilire,  che  per  lo  meno  ne 
mooionò  il  10  per  cento  di  vaiuolo  naturale  ;  ma  questo  alla 
maggior  parte  viene  nella  fanciullezza.  Se  il  calcolo  si  facesse 
solle  persone  adulte,  troveremmo  che  forse  ne  muoiono  M 
per  cento.  Chi  é  nel  caso,  rifletta  dunque  che  tanto  deh- 
b' essere  maggiore  la  sollecitudine  a  ricorrere  all'innesto, 
quanto  è  maggiore  il  pericolo  che  incontrano  colla  dila- 
.  zione.  Il  signor  principe  di  Darmstadt  (stando  alle  sole  case 
sovrane)  è  slato  la  vittima  dell'  epidemia  di  due  anni  sono. 

La  sperienza  ci  ha^  insegnato,  che  l'innesto  é  riuscito 
infelicemente  sopra  alcune  donne  gravide,  e  sopra  altre  oh^ 

10* 


222  SULt'lKNKSTO.DKL  VAlOObO. 

non  lo  essendo,  mancavano  di  qoe'  contrassegni  che  diDoiano 
uno  stato  regolare  di  sanità.  La  ragione  dunque  ò'insinaa  di 
non  esporre  a  qnest*  operazione  chi  sì  trovi  in  questi  casi. 
Coloro  altresì  che  sono  sog^getti  a  epilepéia,  tabe  scrofulare, 
scorbuto,  lue  celtica  ec,  in  una  parola,  coloro  che  hanno  si- 
curo indizio  di  non  esser  sani,  s'astengano  dal  tentare  l'in- 
nesto ;  non  già  perchè  assolutamente  si  debba  credere  peri- 
coloso nemmeno  per  essi  (che  mille  fatti  ne  abbiamo  in  con- 
trario), ma  perché  per  essi  non  v'  è  tutta  quella  morale  e 
palpabile  sicurezza  nell'operazione,  che  v'  è  per  i  corpi  sani  ; 
ed  io,  scrivendo  liberamente  il  parer  mio,  non  voglio  che  ni 
rimanga  l' inquietudine  d'  aver  contribuito  a  porre  in  rischio 
un  uomo  anche  solo  su  un  articolo  si  importante. 

Quanto  poi  alle  preparazioni- colle  quali  devesi  dispone 
chi  vuole  innestarsi,  io  dirò,  che  Tudo  ordinario  de' medici 
si  è  di  prescrivere  per  dieta,  alcuni  giorni  prima  d^^innests, 
cibi  facili  a  digerirsi,  e  lontani  dal  formare  sughi  corrotti. 
Erbaggi,  farine,  legumi,  carni  di  pollo  ec.,  sono  i  cibi  che  si 
sogliono  permettere  a  chi  si  dispone  all'inoculazione.  Ciò 
pare  conforme  ad  ogni  ragione  il  farlo,  purché  non  si  ecce- 
da né  si  estenuino  le  forze.  Sogliono  pure  i  medici  purgare 
una  0  due  volle,  e  per  poco  che  il  temperamento  sembri  san- 
guigno, aprir  la  vena.  A  questi  purganti  e  a  questa  emissione 
di  sangue  si  oppone  con  ragioni  talmente  convincenti  il  si- 
gnor Gatti,  eh'  io  son  convinto  che  ciò  sia  cosa  per  lo  meno 
superflua  se  non  dannosa.  Abbiamo  un  fatto  riferito  dal  gran 
conoscitore  del  vainolo,  dal  Sydenhaol,  d'una  fanciulla,  la 
(|uaie,  risanata  appena  da  una  malattia  per  cui  le  furono  fatte 
copiose  emissioni  di  sangue,  fu  sorpresa  dal  vainolo:  si  con- 
solò il  signor  Sydenham,  colla  speranza  che  trovando  il 
vainolo  un  sangue  sciolto  e  libero  al  moto,  dovesse  spiegarsi 
felicemente  più  che  in  ogni  altro  caso;  ma  il  fatto  non  cor- 
rispose, e  fu  il  vainolo  mortale,  e  gravissimi  i  sintomi  tutti 
che  r  accompagnarono.  In  questa  perplessità,  qual  dunque 
sarà  la  scorta  per  definire  come  debbiamo  prepararci  7  i  fatti, 
i  soU  maestri  d'una  scienza  conghietlurale,  quale  è  la  me- 
dicina. Ecco  quai  siano  i  fatti  :  En^anuele  Timoni  e'  inse- 
gna, che  in  Costantinopoli,  al  suo  tempo,  s' eseguiva  l'innesto 


80LL' INNESTO  DEL  VAIUOLO.  223 

senza  ianU  eauleìe,  anche  nette  pe^n/iori  comliUiiuioid  d'aria 
e  di  conloglo,  e.  che  V  neguirìo  cofi  era  una  oomeguenxa  del 
profilo  e  protpero  etilo,  che  quegli  abilanU  e  quegV  inoeulaiori 
awvano  oiservalo  derivare  dalla  nalura  propria,  o  efficacia 
delV  operazione  stessa  in  tuli*  i  sessi,  in  luUe  le  eia,  in  luU'i 
UmperamentL  li  veder  poi^  che  degl  inoculali  non  ne  moriva 
alcuno,  e  che  tal  pratica  meiteva  anche  tulli  al  coperto  d*  ogni 
conica  conseguenza,  nel  tempo  medesimo  che  degli  attaccali  di 
vatiiolo  naturale  ne  moriva  sino  la  metà,  era  la  massima  ragio- 
ne, perchè  in  delie  parti  non  si  trovcusero  oppositori,^  lì  signor 
ìlanetU  sa  tal  proposilo  sì  spiega  cosi:  -  Molli,  innestando  il 
vaiuolo,  non  hanno  avuto  riguardo  a  purgare  i  soggetti  che  vo- 
levano inoculare,  ed  hanno  inserito  loro  il  vaiolo  mediante  la 
marcia  presa  da'  malati  di  vainolo  eonfluefUe,  e  nonostante  sem- 
pre sui  essi  è  sopravenuto  un  vaiuolo  assai  mite  e  benigno, —  £ 
quanto  alla  natora  del  vaioolo  da  cui  si  prende  il  yeleoo,  le 
sperìenze  ci  provano,  cbe  è  indifferente  eh'  ei  sia  di  buona 
o  cattiva  qualità;  nel  che  consultisi  il  signor  Frewin,  ed  il 
signor  Burges,  ed  il  «signor  Kirkpatrick*  Neppure  i  beneficj 
dell'  innesto  s(ono  limitali  ad  una  stagione:  vediamo  per  te- 
stimonianza del  signor  Archer,  il  quale  in  Londra  ha  inocu- 
lato moltissimi,  che  V  innesto  riesce  felicemente  in  ogni  sta- 
gione: cosi  nel  1758,  in  dicembre,  sebben  paia  uno  de'  mesi- 
meno  opportnni,  in  Siena  si  sono  fatti  gl'innesti  con  ottimo 
successo.  Ma,  per  non  riferire  inutilmente  una  più  lunga  serie 
d'autorità  su  questo 'proposito,  io  credo  bene  di  qui  inserire 
una  lettera  scritta  da  un  Fattore  dì   villa  al  nobile  signor 
Antonio  Palmieri  suo  padrone:  essa  trovasi  nel  primo  tomo 
degli  Àtli  delVÀocademia  delie  Scienze  di  Siena,  ed  a  me  pare 
tanto  ingenua  e  semplice,  che  debba  non  esser  discara  a  chi 
legge  queste  mie  osservazioni.  Ecco  la  lettera. 

Casenovole,  7  marzo  1^56. 
Sono  tre  anni  che  circa  al  10  d'aprile  mandai  a  prendere 
il  mio  ragazzo  a  CivileUa;  e  arrimlo  qua,  la  mia  moglie  stiede 
quallro  giorni  per  vedere  se  veniva  il  vaiuolo,  senza  fare  pre- 
parazione alcuna,  e  vedendo  che  non  li  veniva,  andò  ad  un  po- 
dere qui  vicino  ove  vi  erano  tre  ragazzi  vaiuolosi ,  due  de'quali 


224  SULL'  DfNKSTO  DKL  TAIUOLO. 

avevano  il  vaiuolo  di  quello  ealUvo,  ed  uno  fU  aveva  pochieei^ 
mo,  e  boUe  grane;  con  uno  spillo  pume  una  di  quelle  boUe  pu^ 
tre  fatta,  e  venendo  a  casa  punee  col  detto  spilio  il  ragazzo  in  un 
braccio,  ed  il  dello  ragazzo  sliede  sempre  vispo ^  e  la  pungilura 
a  poco  a  poco  sempre  più  gli  cresceva.  Arrivato  al  fine  di  giorni 
nove,  U  venne  la  prima  febbre ,  e  fino  a  tre,  ma  grandi ,  che  lo 
tenevano  dissennato,  e  non -mangiava;  e  gli  arriva  a  scappare 
U  vainolo^  ma  pochissimo  e  di  quello  grosso^  come  li  s' era  an- 
nestato: ma  li  posso  dire  che  dove  s'era  puntogli  aveva  fatto  un 
boccio  come  una  grossa  nocciòla ,  ed  a  tomo  a  tomo  di  fnolte 
boUe  ;  basta,  alta  fine  di  giorni  dodici  andiede  fuori.  Due  altri 
contadini  delti  nostri  venivano  a  vedere  U  detto  mio  ragazzo;  e 
quando  V  ebbe  putrefatto,  punsero  altri  due  ragazzi  de* suoi ,  ed 
a  questi  alia  fine  de* quattro  giorni  li  vennero  le  solite  febbri  tre  e 
grandi,  U  esci  pochissimo  vaiuolo,  meno  assai  che  non  ne  aveva 
il  mio,  e  guarirono  prima.  A  questi  li  lascio  considerare  U  pr§* 
paramenti  potevano  farli ,  al  più  saranno  andati  col  bestiame. 
La  mia  ragazza  poi,  che  fummo  sciocchi,  si  sliede  eissai  più  giof" 
ni  dopo  Vinneslatura  del  ragazzo;  cdla  fine  li  s'innestò,  e  subito 
li  vennero  le  febbri,  e  U  venne  il  vaiuolo  pieeolino,  nero,  con 
pochissime  bolle  d^cdtro  vaiuolo  grosso  ;  e  qui  compresi,  che 
quando' li  s'annestò,  era  già  internato;  e  li  venne  Vano  eVallro, 
cioè,  l'innestato  e  il  naturale.  Basta,  stiede  da  venti  giorni  che 
si  credeva  che  volesse  morire,  ed  è  al  presente  sana  e  prospera. 
Queste  sono  le  relazioni  che  li  potso  dare;  ma  io  avendo  altri 
figliuoli  sempre  glielo  annesterei,  perchè  ne  ha  vista  V esperienza. 

Da  quella  rustica  naturalezza  che  trovasi  in  questo  do- 
cnmento,  facile  è  lo  scorgere  quale  opinione  faccia  nascere 
<ii  sé  l'innesto,  dovunque  se  ne  faccia  la  sperienza«  Da  qui 
si  scorge  quai  necessità  vi  sia  di  purgare  o  cavar  sangue 
prima  d' inneslare.  Due  errori  credo  che  siano  trascorsi  a 
quel  buon  Fattore;  uno  si  è  d' aver  chiamate  le  febbri  grandi, 
perchè  la  sperienza  di  tutta  la  terra  ci  prova  eh'  elleno  non 
sono  tali  ;  saranno  bensì  slate  capaci  di  cagionar  della  sete 
al  fanciullo,  e  fargli  perdere  la  voglia  di  mangiare,  ma  questi 
non  sono  sintomi  che  da  loro  soli  provino  una  gran  febbre. 
L' altro  errore  è  quello  della  febbre  comparsa  quattro  giorni 


SULL  IKMEUO  DEL  V  AIUOLO.  225 

dopo  rìMMttOy  eosa  coBtrarissiifia  pure  alla  più  constanle 
sperìenza,  la  qoale  c'insegna  che  la  febbre  non  compare  che 
circa  r  ottavo  gioroo  dopo  T  innesto:  né  v^  è  da  maravigliarsi, 
se  lo  spirito  d'un  Fattore  di  villa  o  non  abbia  fatta  una  esatta 
osservazione  su  i  giorni,  o  l'abbia  dimenticata,  scrìvendola 
relaiione  alla  sua  foggia. 

Ma  ritorniamo  un  momento  alle  qualità  necessarie  per 
subire  con  sicurezza  V  innesto:  esse  ci  vengono  additate  dal 
chiarissimo  signor  dottore  Gatti  neir  aurea  sua  opera  pubbli- 
cata a  Parigi  Tanno  scorso  su  questa  materia.  Tre  condizioni 
egli  esigere  sono:  un  fiato  naturalmente  dolce  e  sano;  le  carni 
morbide  generalmente  in  tutto  il  corpo  ;  e  facilità  di  cicatriz- 
zarsi, il  che  senza  dolore  si  prova  con  una  cutanea  incisione. 
Queste  tre  cautele  esso  le  ha  imparate  ne'  suoi  viaggi  della 
Tarchia.,  e  la  sperienza  sua  e  in  Italia  e  nella  Francia  gli  ha 
Calto  vedere  che  quei  tre  segni  che  osservano  gli  Orientali , 
sono  quelli  appunto,  e  non  altri,  che  dobbiamo  ossiervar  noi, 
e  che,  quando  si  trovino,  è  lin  colpo  sicuro. 

E  qui  terminar  potrei  le  mie  riflessioni  coli'  autore  delle 
Novelle  Letterarie  di  Firenze ,  cioè  col  dire  i-^À  me  pare  che 
tum  metta  conto  di  quisiionare  più  sopra  una  prativa  vanlttg- 
giciisiima  a  noi  mortali,  com*  è  Vinoeulazione;  —  majiSìre  che 
invece  di  lasciar  l' ingegno  di  chi  vorrà  leggere  oppresso 
sotto  la  pesante  autorità  de' fatti  e  degli  autori,  quasi  sde- 
gnosamente costretto  a  persuadersi  in  favor  delllnnesto,  non 
sia  male  ragionare  anche  un  poco  in  medicina,  e  ricercar  fra 
questo  buio  qualche  barlume  di  ragione  che  appaghi.  Que- 
st'  inoculazione  par  quasi  una  operazione  magica.  La  malat- 
tia del  vainolo  si  acquista  per  contatto,  lo  preparo  un  fan- 
ciullo colla  più  esatta  forma  del  vitto,  lo  scelgo  della  miglior 
complessione,  e  nella  più  dolce  stagione  lo  faccio  coabitare 
con  on  ammalato  di  vaiuolo  d'ottima  qualità.  Pare  che  questo 
dovrebbe  esser  il  più  prudente  modo  di  assicurarsi  dagl'  in- 
sulti del  vaiuolo:  eppure  ciò  a  nulla  giova.  11  signor  conte 
ItODcalli  medesimo,  lo  stesso  impugnatore  dell'innesto,  c'in- 
segna che  con  ciò  molte  volte  s'acquistano  vainoli  di  pessima 
qualità,  e  che  se  ne  muore,  e  la  sperienza  lo  fa  vedere  ad 
ognuno.  Prendo  iiivecc  un  fanciullo  non  preparato ,  in  una 


226  SULL'lMNBSfO  DEL  TAICOU). 

stagione  non  favorevole ,  gì'  ìnsimie  por  una  sofMvfioiale  fe- 
rita in  un  braccio  del  veleno  vaìooloso  di  non  Inona  qnaillA, 
e  ii  fanciullo  ha  un  leggerissimo  vaisoio  benigno ,  e  risaMa. 
Pare  che  siavi  qualche  cosa  di  misterioso  e  di  magico  che 
non  appaga  la  ragione:  quel  veleno  tanto  attivo^  che  si  co- 
munica per  r  aria  istessa,  e  cagiona  una  mortai  malattia,  in- 
trodotto nel  corpo  per  una  incisione,  perde  la  soa  attività  e 
fa  cessare  ogni  pericolo. 

Nella  lettera  del  signor  Tissot  al  signor  Haen  ho  trovato 
il  primo  lam^o  di  quel  sistema  che  si  bene  ha  sviluppato  il 
signor  Gatti,  sistema  che  io  da  me  stesso  m'era  già  formato 
in  mente,  e  in  coi  mi  son  veduto  prevenuto  da  nn  s^  gnn 
maestro,  con  Un  secreto  sentimento  di  piacere  frammischiato 
a  un  po'  di  pena,  poiché  ciò  mi  ha  tolta  la  speranza  di  prò- 
(hirre  qualche  cosa  di  noovo,  e(riiie  mi  era  lusingato.  Ecco 
dunque  come  può  concepirsi  V  idea  del  vantaggio  deH'  inne- 
sto. Il  vainolo  naturale  cagiona  un  maio  tanto  più  pcric«loflo 
e  mortale,  quanto  che  la  sede  di  esso  si  stabilisce  is  «aa 
4)arte  più  nobile  del  corpo  nostro.  Le  cure  de' più  valenti  me- 
dici tendono  ad  allontanare  il  vainolo  più  che  si  può  dalle 
parti  yiiaXu— La  noslraindicazifme  è  $kUa  cosUmiememte,  €mne 
ii  dice,  di  allontanare  pièghe  fowe  pombUeil  veleno  vaiuoèoeo 
dalle  parti  vitali j  ed  anche  daUa  faccia,  dkse  il  celebre  signor 
dottor  Targioni;  iivaiuoio  è  micidiale  quando  fa  qnakhe  de- 
poeitione,o  decubito  che  chiamiamo,  in  qualeke  triseera  etmk- 
nuta  nelbe  tre  cavità  del  corpo;  cosa  che  più  d*  una  voUa  è  a»- 
venuto  di  vedere,  avendo  ritrovati  degli  ascessi  nei  poUnomi  e 
nel  fegato  in  alcuni  morti  in  tempo  di  vaiuolo:  oltreché  non 
sono  per  avventura  pochi  quegli  che  per  una  deposizione  fattasi 
nella  gola,  cioè  per  un*  angina,  in  certe  epidemie  mtcàitait,  jpe- 
aiahnente  di  vaiuolo,  morir  si  veggono:  cosi  ci  attestano  gli 
AUi  deW Accademia  di  Siena.  Quando  il  vaioolo  priocipal- 
mento  fissa  la  soa  sede  ael  capo,  come  abbiam  veduto  neBa 
giovane  innestata  alla  ehioese  dal  signor  I^ad,  cagiona  for- 
tissimi dolori  di  ei^,  e  talvolta  frenesia*  11  pmcipal  pen- 
colo danqae  di  questa  malattia  pare  che  consista  tanto  neiia 
natmra  stessa  del  v^no  vaiuoloso,  quanto  nel  luogo  ove  si 
pianta  la  principale  impressione,  e  stabilisce  la  sede.  Ciò  pò- 


sull'innesto  del  vaiuolo.  227 

8(0,  il  che  è  conforme  alle  osservazioni  mediche,  chi  contrae 
il  yaiuolo  per  fortuito  contatto,  o  per  coabitazione,  si  espone 
air  azzardo  che  la  sede  del  veleno  si  detenliini  in  una  parte 
nobile  o  ignobile:  indi,  contraendosi  per  le  parti  yeneficbe 
frammiste  all'aria,  pare  yerisimile  che  il  polmone  sia  il  più 
disposto  a  divenir  il  centro  e  il  punto  massimo  del  male;  lad- 
dove f  innesto  determina  la  sede  di  esso  male  in  una  parte 
lontana  dalle  vitali.  L'utilità  dunque  deir  rnnesto  in  ciò  con^ 
siale,  di  scegliere  e  stabilire  il  sito  dove  il  vaiuolo  deve 
esercitare  la  massima  azione;  e  questo  sito  è  quello  appunto 
dove  si  soffrono  durante  la  malattia  le  maggiori  irritazioni  ,- 
e  he' contorni  di  esso  compaiono  in  numero  assai  maggiore 
le  bdle,  e  punture  e  dolori  sofl^onsi,  e  vedesi  scarico  di 
maggior  copia  di  veleno. 

Io  non  pretendo  perciò  di  spiegare  esattamente  V  indole 
del  vainolo,  di  cui,  come  da  principio  ho  detto,  ognuno  ne 
ignora  la  natura,  trattine  i  cattivi  medici,  ai  quali  soli  è  per^ 
messe  di  saper  tutto:  pretendo  soltanto  d'aver  data  una  spie- 
gazione, la  migliore  che  si  può,  la  migliore  che  sia  stata  ri- 
travata  sìnora  in  questa  materia,  e  la  sola  che  può  in  qualche 
manlera  dar  ragione  de'  varj  e  complicati  fenomeni  che  ri- 
saltane dalle  sperienze  deìF  innesto.  Vorrei  che  grinoculatori 
tentassero  di  rendere  ancora  più  dolce  e  benigno  questo  me- 
todo, se  pure  è  poss^ile;  vorrei  che  si  esaminasse  se  con- 
venga, invece  d'innestar  nelle  braccia,  stabilir  la  sede  del 
vaiaoio  nelle  coscio,  ovvero  nelle  gambe,  ovvero  anche 
ne' piedi,  per  allontanarlo  sempre  più  dai  visceri  più  dillcati. 
Gol  tempo  ciò  si  farà;  ma  la  benevolenza  verso  gli  uomini 
deve  estendersi  sino  alle  generazioni  venture  bensì,  ma  non 
devono  «sse  preferirsi  giammai  alla  generazione  vivente.  Mi 
compiaccio  prevedendo  i  vantaggi  de' nostri  successori,  i 
quali  per  moMi  capi  saranno  meno  infelici  di  noi ,  se  qualche 
impcovviso  rovesciamenlo  non  viene  a  discomporre  quell'or- 
ganizzaziéne  dve  va  sempre  più  aumentandosi  in  Europa; 
ma  vortei  che,  giacché  siamo  incamminati  al  bene,  s'accele- 
rassero i  progressi ,  e  che  moltiplicandosi  le  coraggiose  grida 
dijqoegtì  nemini  sablimi  che  reggono  le  opinioni  de'  posteri, 
e  seflrimo  le  dicerie  de' contemporanei,  tutto  si  ponesse  in 


228  SOiX'  INNESTO  DSL   VAIUOLO. 

un  moto  ordinalo  per  accrescere  le  cognizioQi  nostre,  é  sin- 
golarmente le  più  utili  alla  vita  ed  alla  sieorezza  degli  uo- 
mini viventi.  È  da  desiderarsi  che  cautamente  e  con  ìnd»* 
stria  si  estendano  i  beneficj  dell'  inoculazione,  a  segno  che 
quelle  viste  che  al  di  d' oggi  si  hanno,  vengano  bene  sehiaì- 
rite  quanto  è  possibile. 

Abbiamo  alcune  notizie,  come  l' innesto  si  osi  prospera- 
mente non  solamente  nel  vainolo,  ma  persino  nella  pesle. 
Alcuni  giornali  de' più  accreditatf  d'Europa  ci  assicurano  clie 
in  Costantinopoli  s'innesta  la  peste,  che  coli' innesto  s'acqui- 
stano gli  stessi  vantaggi  che  col  vainolo;  giacché  anche  la 
peste^  avuta  una  volta,  più  non  ritorna.  Dìcesi  che  il  medico 
del  Sultano  Muly  Mustaphà  Agà  l' abbia  felicemente  inocu- 
lata a  quest'  ora  a  molti.  Il  Magazzino  inglese  ci  asaicara  al- 
tresì che  il  contagio  pestilenziale  negli  animali  perde  ogni 
pericolo  coir  innesto:  V  esperimento  si  fece  su  otto  vitelli, 
coir  introdurvi  per  un  taglio  fatto  nella  gola  la  materia  mor- 
bosa delle  nari  e  degli  occhi  d' un  bue  contagioso.  Una  let- 
tera del  dottor  Schwenke,  professore  di  chirurgia  e  d'anato- 
mia all'Aia,  ci  conferma  simili  sperimenti.  Sarebbe  bene 
che  la  curiosità  si  risvegliasse  anche  nell'  Italia,  e  non  ai  la- 
sciassero oziose  sì  grandi  e  utili  viste;  ma  beasi  sottoponen- 
dosi alla  sperienza,  o  venissero  riposte  fra  i  sogni,  evvero 
venissero  confermate  e  rese  di  pubblico  benefìcio.  La  medi- 
cina che  previene  le  malattie,  ossia,  per  chiamarla  col  ter- 
mine dell'arte,  la  medicina  profilattica,  per  cui  v*è  tradi- 
zione che  Prospero  Albino  abbia  scritto  un  trattato  il  quale 
ora  più  non  esiste,  questa  benefica  medicina  che  non  aspetta 
il  male  per  risanarlo,  ma  invigila  e  anticipa  perché  non 
venga,  è  troppo  generalmente  negletta  per  disavventura  del- 
l' umanità. 

Terminerò  le  mie  osservazioni  col  riferire  qndlo  che 
milady  Montagne,  di  cui  abbiamo  fatta  già  menzione,  scrì- 
veva da  Adrianopol!  a  Madama  S.  G.  quasi  mezzo  secolo  fo, 
cioè  nel  1717.  Cosi  diceva  dunque  quella  leggiadra  e  aniahile 
Milady: -.-Fi  dirò  un  fallo  che  faravvi desiderare  d'essere  av'fo 
sono.  Il  vaiuoto,  si  generale  e  sì  crudele  da  noi  t  è  divenuto 
un*  inezia  in  questo  paese,  col  favore  deW  innesto  ck0  vieii  «a- 


sull'innesto  bel  TAIUOLO.  229 

IttNiòKo.  T  è  una  schiera  di  vecehiareUe,  U  quali  inneHano  per 
professione:  A  tempo  opportuno  si  è  nèW  autunno,  scemati  che 
sono  i  grandi  ccdori,  ÀUora  i  padri  di  famiglia  t^ accordano  e  adu- 
nano quindici  o  sedici  de*  loro  figli  che  ancora  non  abbiano  avuto 
U  vaiuoìo;  si  chiama  una  delle  vecchiareUe,  la  quale  m  un  gu- 
scio di  noce  porta  la  materia  vaiuolosa  della  miglior  qualità,  fa 
una  leggiera  incisione,  la  quale  non  è  piii  dolorosa  di  quello  che 
lo  sarebbe  una  graffiatura^  e  colVago  ìj*  introduce  una  stiUa  di 
essa  maUria..,,  I  fanciuUi  innestati  giuocano  e  stanno  bene  per 
otto  giorni  ancora  dopo  VinneUo:  passati  gli  otto  giorni,  Hen  la 
felfbre;  e  cMora  staàno  4  letto  due  giorni,  e  di  rado  tre;  essi 
non  hanno  ordinariamente  che  venti  o  trenta  bolle  sul  viso,  le 
quaH  non  v'è  esempio  che  lascino  veruna  impressione.  Finalr 
mente,  otto  giorni  dopo  sono  essi  sani  e  vegeti  come  se  nemmeno 
avessero  avuta  malattia.  Le  incisioni  purgano  molto  durante  il 
vttiuolo,  il  che  serve  di  sfogo  al  veleno  vaiuoloso,  acciocché  non 
si  spanda  violentemente  altrove.  Ogni  anno  questa  openuionp 
fossi  a  migliaia  di  fanciulli;  e  V  ambasdator  di  Francia  dice 
che  qui  si  prende  il  vaiuolo  per  sollazzo  come  altrove  si  prendon 
le  aeque.  Non  s*  è  veduto  perir  alcuno  in  queste  parti  per  Vin- 
nesio;  ed  io  sono  tahnenle  conivinla  della  bontà  di  quest*  opera- 
zione, che  son  risoluta  di  sottomettervi  il  mio  caro  bambolo.  Amo 
la  mia  cara  patria  a  segno,  che  desidero  d'introdunvi  questa 
usanza;  e  non  tarderei  a  scriverne  a*  nostri  medici,  se  gli  credessi 
zzanti  a  ségno  di  preferire  il  bene  del  genere  umano  al  lor  pri- 
vato interesse,  e  capaci  di  sacrificare  un  ramo  si  importante 
della  loro  enlrata;  ma  temerei  di  espormi  alle  terribili  loro  ven- 
dette, se  cercassi  di  far  loro  uno  scapito  si  grande.  Chi  sa  che  al 
mio  ritorno  in  Inghilterra  io  non  abbia  coraggio  tale  da  muover 
loro  guerra!  Ammirate  V  eroico  zelo  della  vostra  amica  ec.  — 
Ha  tempo  è  ornai  di  por  flne  a  questo  argomento.  Si 
tratta  o  di  lasciar  perire  o  di  conservar  la  vita  alla  decima 
parte  del  genere  ornano.  S' è  interrogata  la  natura  colle  spe- 
rienze  in  ogni  parte  d'Europa  da  un  mezzo  secolo  in  qua,  e 
più  di  eento  mila  innestati  risanati,  liberati  dal  flagello  del 
vainolo,  provano  in  favore  dell'innesto:  la  voce  e  gli  scritti 
de' più  cospicui  medici  raccomandano  questo  nuovo  metodo: 
l'Inghilterra,  la  Svezia,  la  Danimarca,  la  Norvegia,  Berna, 
li.  20 


230  soll'  nofivTO  bsl  taioolo. 

Ginefia,  la  Tofleana,  F  Istria,  prafiilano  dyi  iioeslo  preakwo 
dono  dd  eielo.  A  questa  operasioiie  V  Ean^  ka  T^data  sot- 
toponi i  principi  reali  d'Inghilterra,  i  principi  reali  di  Duii- 
marea,  la  casa  d'Orléans,  il  real  principe  di  Panna;  un  po' di 
baoD  senso  basta  per  farci  conoscere  che  yile  d  preziose  agli 
Stati  non  si  ayyentorano.  Se  t' è  chi  in  vista  di  sì  chiari  ar- 
gomenti yi  si  opponga,  forza  è  il  diro  ch'ei  sia  di  quella 
parte  inferma  della  specie  nostra  che  s' oj^ae  ai  progressi 
del  bene.  Gli  antipodi  e  il  moto  deHa  terra,  ora  dimostrati, 
forono  da  questa  sorta  di  nomini  acremente  impagnatL  La 
circolazione  dd  sangue,  l'uso  dell'antimonio,  del  mercurio 
e  della  china-china,  ebbero  fortissime  opposizioni  dai  medici  : 
ora  sono  stabili  e  uniformi  le  comuni  opinioni  sa  di  cid,  né 
quasi  si  ricordano  le  passate  dispute  che  come  un  aneddoto 
della  storia  medica.  Oso  predire  che  fra  pochi  anni  ciò  acca- 
4erà all'innesto  pure;  e  che  le  saggie  e  ragionevoli  persone, 
prima  che  il  volgo  ancora  della  patria  nostra  sia  istrutto, 
sapranno  profitterò  in  una  si  importante  e  premurosa  occa- 
sione de'  lumi  proprj.  Reste  a  desiderarsi  che  quest'oggetto 
sia  ben  noto  ai  medici;  che  leggano  alcuno  de' molti  eccel- 
lenti autori  capaci  di  somministrarne  idea,  o  che  prima  di 
esseme  perfettamente  istrutti,  non  pronunzino  il  giudizio  loro 
sopra  un  punto  si  dilicate.  Io  son  contento  d' avere  iner- 
zialmente cercate  la  verità,  di  averla  trovatii,  e  d' aver  pro- 
curato, scrivendola,  di  {Hresenterla  acciocché  si  acquisti  con 
minor  fatica  e  tempo  di  qneUo  che  ho  io  dovuto  impiegarvi. 


331 

RICORDI  DISINTERESSATI  E  SINCERI 


At  /«  MW  die$n  ....  $a  /««. 

Un  librétto  che  svela  i  Tizj  -dì  coloro,  che,  abusando  della 
crednlitA  e  debolezza  altraì ,  trovano  in  quella  la  rendita  e  la 
considerazione,  deve  portare  odio  contro  del  suo  antere.  Lo 
so  che  faccio  nn  cattivo  contratto,  che  difendo  chi  non  se  ne 
accorgerà,  ed  offendo  chi  cercherà  di  nuocermi:  ma  pare,  se 
posso  scemare  il  nnmero  delle  innocenti  vittime,  ed  obbligare 
i  malvagi  a  qualche  ritegno,  sarò  ricompensato.  Potessi  al- 
meno col  mio  scritto  accrescere  qualche  poco  d'avvedutezza 
nel  po|ft>lo,  e  dare  qualche  guida  a  quegli  onesti  cittadini  che 
si  trovano  nell'  infelicità  di  dover  alBdare  o  la  loro  vita  o  le 
sostanze  loro  neDe  mani  altrui!  lo  presento  agli  onesti  uo- 
mini mm  colleghi  il  risultato  non  già  deHe  mie  speculazioni, 
ma  d' una  lunga  e  ripetuta  esperienza.  1  fatti  che  racconterò 
polrd  {trovarli  coi  nomi  degli  autori,  e  colle  circostanze; 
pure,  benché  ì  dafini  che  ho  veduto  accadere,  e  in  parte  sof- 
ferti, possano  darmi  titolo  bastante  per  farlo,  credo  pia  vir- 
tuoso partito  il  dimenticare  ogni  personalità,  e  non  avere  in 
vista  che  il  solo  bene  che  posso  fare  alla  patria. 

ob'  mbdigi. 

Poco,  pochissimo  aiuto  possiamo  sperare  da' medici,  ed 
assaissimo  vi  è  da  temere;  eppure  l'umana  debolezza,  allor- 
ché siamo  infermi,  si  accresce,  e  si  vedono  anche  degli  uo- 
mini ragionevoli  abbandonarsi  ai  medici,  ai  cerretani,  ai 
fattucchieri.  Quel  filosofo  ammalato,  che  aveva  sul  letto  tali- 
smani 9  amuleti,  idoletti,  ec,  ebbe  ragione  di  rispondere  al 
suo  collega  che  gli  chiedeva  di  sua  salute:  Voi  lo  vedete^  sto 
moie  assai,  e  mostrògli  i  testimoni  della  propria  debolezza.  Vi 


232  RICOIM  D1SINTBIBS8ATI  E  SIMCEU. 

sono  però  alconi  piò  inuminatl,  i  quali,  a?endo  conosciulo 
da V vicino  la  vanità  deBa  medicina,  nemmeno  colla  febbre 
perdono  la  evidenza  che  ne  acqqislarono;  e  di  tal  natura  sodo 
la  maggior  parte  dei  medici,  i  qoali  allorché  si  ammalano,  o 
non  ammettono  alcun  collega,  ovvero,  se  per  F  onore  del- 
l'arte  lo  ammettono,  non  mai  abbandonano  sé  medesimi  ai 
metodi  usati.  Trent*  anni  fa,  si  raccomandavano  bibite  calde 
dai  medici  per  dilatare  ì  meati,  per  rilasciare  le  ostrazioni, 
per  purgare  blandamente:  ora  i  medici  condannano  le  bibite 
calde,  che  mflosciscono  le  viscere,  levano  il  tono  ai  mosco- 
li,  ed  invece  prescrivono  acque  fredde,  gelata,  bagni  freddi. 
Trentanni  fa,  un  ammalato  di  vaiocdo  si  teneva  chioso, ri- 
paratissimo  dall'  aria;  si  teneva  ben  coperto  per  lasciar  adito 
di  presentarsi  alla  cote  la  materia  morbosa:  ora  si  vuole  aria, 
aria  fresca,  ventilata,  nessun  riparo  nel  corpo  infermo,  affin- 
ché non  si  moltiplichi  l' infracidimento.e  la.  corruzione.  Alla 
fine  del  secolo  passato,  si  facevano  morire  di  arsura  i  febbri- 
citanti, volendo  che  il  calore  febbrile  consumasse  gli  umori 
peccanti:  ora  si  vogliono  bibite  e  copiose,  per  ammorzare  il 
calore  febbrile.  Da  qui  a  trent*  anni  probabilmente  si  faranno 
altre  mutazioni.  Poco  buon  senso  basta  per  illuminarci  solla 
ciarlataneria  medica,  la  quale  é  stata  l'oggetto  della  deri- 
sione e  del  disprezzo  degli  uomini  di  maggior  ingegno,  e  per- 
sino abbandonata  al  ridicolo  della  scena  comica.  Io  non 
prendo  a  scrivere  un  trattato  sulla  vanità  della  medicina;  mi 
basta  dare  rapidamente  alcuni  cenni ,  ed  invitare  il  mio  let- 
tore di  buona  fede  a  risolvere  tre  soli  quesiti.  Avete  voi  v^ 
duto  in  vita  vostra  un  solo  ammalato,  il  quale  sicuramente 
dovesse  soccombere,  e  che  per  opera  del  medico  sia  guarito? 
Quando  avete  soltanto  un  leggier  mal  di  capo,  credete  voi 
che  tutti  i  medici  uniti  abbiano  podestà  di  liberarvene? 
Quando  vi  duole  un  dente,  trovata  voi  una  sola  droga,  fr> 
gì'  innumerabili  vasi  ddlo  speziale,  che  yi  lìberi  e  vi  sot- 
tragga alla  violente  operazione  di  svellerlo?  La  medicina  è 
una  vera  meretrice  con  finti  colori,  con  chiome  finte,  che  ba 
fìnte  lusinghe  e  finta  sensibilità:  abbandonato  a  quella,  perdi 
tempo,  danaro,  e  corrómpi  la  massa  del  tuo  sangue.  Isella 
plebe,  la  maggior  parie  delle  malattie  nascono  dall'  eccesso 


BfCOBDI  DISINTBRBSSiTI   E  SINGEar.  233 

della  fatica  e  dalitf  troppo  misera  qualità  del  nalrimento;  nei 
signori,  la  maggior  parte  delle  malattie  nasce  dall'intempe- 
ranza e  dalla  irragionevolezza.  I  contadini,  gli  artigiani  po- 
veri, qnasi  sempre  risaneranno  col  riposo  e  coli' alimento 
sano  e  nutriente  ;  i  facoltosi  risaneranno  colla  sobrietà,  col- 
r  ilarità  e  col  moto.  Queste  sono  le  più  sicnre  e  benefiche 
preparazioni  chimiche^  da  presentarsi  all'  egra  umanità.  Ho 
conosciuto  pili  onesti  uomini  che  esercitavano  la  medicina,  i 
quali  pensavano  cosi,  ed  ingenuamente  me  l'accordavano: 
ne  ho  conosciuto  alcuni,  i  quali  adattandosi  alle  idee  vol- 
gari jrreformabili,  e  considerando  la  fiducia  dell'ammalato 
come  un  buonissimo  rimèdio,  sostenevano  il  loro  magico  per- 
sonaggio, e  misteriosamente  ordinavano  medicamenti  inai- 
gnìficanli  per  tolt' altro  oggetto,  se  non  per  quello  dell'opi- 
nione. A  Soriso  sul  Bergamasco,  si  sono  veduti  immensi 
prodigi  operati  per  opinione.  Mesmer  e  Cagliostro  sono  due 
taumaturghi  che  hanno  sapoto  porre  in  attività  somma  la 
fantasia  degli  ammalati,  e  si  contano  guarigioni  maravigliose 
da  essi  operate.  Io  adunque  non  condanno  punto  chi  fa  il  me- 
dico; avviso  però  il  mio  lettore  a  non  abbandonare  la  sua  vita 
in  mano  d'alcuno,  e  rassegnarsi  aUa  condizione  d'uomo  che 
seco  porta  d'avere  ora  sanità  ora  malattia;  a  persuadersi  che 
tutto  dò  che  hatin  principio,  deve  avere  un  fine  inevitabi- 
le, ed  a  conoscere  che,  per  far  grazia  somma  all'arte,  al- 
oieno  tanti  accelerano,  quanti  prolungano  il  loro  termine, 
coli'  abbandonarsi  ai  medici. 

Premessa  tale  idea  giusta  di  questa  lusinghiera  arte,  ora 
convièn  riflettere  che  l'arte  medesima  in  questi  ultimi  secoli 
ha  deviato  dal  sentiero  della  retta  ragione,  e  si  è  infelice- 
mente ingolfata  nel  mare  delle  chimere  e  dei  sogni.  I  prin- 
eipj  deli'  arte  medica  sono  e  saranno  sempre  ignoti  agli  uo^ 
mini,  e  non  v'è  che  la  ciarlataneria,  che  possa  vantarsi  di 
conoscerli.  Il  mistero  della  generazione,  il  mistero  della  nu- 
trizione, il  primo  mobile  della  nostra  macchina,  tutto  si  soU 
trae  alle  nostre  ricerche,  e  s'asconde  in  una  nebbia  impene^ 
trabile.  Cos'  è  febbre?  Nessuno  lo  sa.  Come  si  digerisce?  Non 
lo  sa  alcuno.  Come  operano  i  purganti,  gli  astringenti,  i  dia- 
foretici, i  narcotici?  Un  impostore  spiegherà  tutto,  ma  né 

20^ 


234  RICORDI  DlfllNTBRBSaATI  B  SIMGIRI. 

s'intenderà  egli  medesimo,  né  od  nomo  ragionevole poirà 
inciderle. 

tJn'arl^rdonqoe,  di  coi  sMgnprRDO  e  s'ignoreranno  «em- 
pre  i  principj,  non  sì  può  trattarla  per  principi,  se  non  fon- 
dando delle  ipotesi,  e  qniiidi  fabbricando  sa  basi  iocertissi- 
me,  che  non  reggono  al  peso,  e  lasciano  cadere  tnUo  il  lavoro 
colla  sola  sperienza  de'  falti.  Si  è  eredato  di  eonoscere  per 
mezzo  dell'anatomia  d  meecanismo  della  nostra  siacchina,  e 
rimediare  poscia  ai  disordini,  come  a  quei  4'nn  orologio;  ma 
l'anatomia  grossolanamente  ci  mostra  i  pezzi  del  corposo 
sfaggono  ai  sensi  qnelle  parti  che  eostitoiscona  la  vita,  e  dal 
disordine  delle  quali  nascono  sconcerti.  L'anatomia  mostrai 
visceri  nello  stato  di  morte;  e  dopo  d'essersi  ammorbati  sqi 
cadaveri,  e  d' avere  caricata  la  memoria  di  tanti  nomi  greci 
che  è  piacioio  di  dare  alle  budella,  non  siamo  avanzati 
un  apice  nella  scienza  di  procurare  la  guarigione  ad  un  aob 
malato;  anzi  queste  cognizioni  utili  per  dirigere  0on  minor 
pericolo  il  èòltello  d'un  chirurgo,  sono  una  miniera  di  sistemi 
aerei,  ne'  quali  vanno  delirando  colla  loro  immaginazione  i 
medici  sull'azione  dei  solidi,  reazioai  dei  fluidi,  sulla  ragione 
semplice,  inversa  e  composta  delle  forze  operanti  in  noi  ee. 
La  chimica,  le  di  lai  affinità,  fermentazioni  ec.,  hanno  som- 
ministrato un  altro  campo  di  delirj  e  sogni  medici,  che  mir 
litarmente  schierando  aetdi  da  una  parte,  alcali  d^U'altrai 
idea*do  combattimenti,  regioni  prese,  minacciate,  hanno 
moltiplicata  V  incertezza.  Ora,  quando  non  si  conoscono  i 
prìnoipj  delle  cose,  non  rimane  altra  scorta  alla  ragione,  » 
non  se  queUa  dei  fatti:  la  <^le  scorta  fa  appunto  quella  ohe 
andò  seguendo  Ippocrate,  epilogando  e  rìdocendo  ad  afori- 
smi i  fktti  operati  da  dieci  generazipni  prec.edenti,  e  deposi- 
tati nei  registri  d' Escalapio;  e  quindi  si  comprende  perche 
la  medicina,  dal  tempo  d' ippoerate  a  noi,  o  non  abbia  bUifi 
alcun  progresso,  o  forse  anche  sia  retrograda,  laddove  tolte 
le  altre  scienze,  o  quasi  tutte,  mirabilmente  si sonoinnalaate. 
11  nostffo  italiano  Sanlorìo  prese  il  metodo  ippocratico,  tenie 
la  natura  coti'  esperienza,  e  dai  fatti  di  qoarant'  anni  bene 
confermati  ha  potuto  trame  alcuna  utile  teoria,  onde  franca- 
menle  asseriace  che  i  medici  correrannno  sempre  nel  vortif^ 


RIGOSDI  DISINTBKiSSSATI  E  SINCBU.  235 

dei  sogni  e  delle  opinioni,  seducendo  gì' incanti  e  rovinan- 
d<di,  sin  tasto  elve  animati  da  un  sincero  amore  dell' umani- 
tà, ilhimiiiati  abbastanza  per  conoscere  la  Taiittà  dell'arte, 
eaotìssimainente  si  limitino  ad  imparare  l'arte  ditQcile  ii 
sapere,  ed  eperetanno  in  «piei  soli  casi,,  ne'qn^li  colla  guida 
ippocratica  )a  sperienza  dà  un  probabile  risultato  di  poter 
giovare* 

So  bene  che  un  medico  perfettaniente  sincero  non  ot- 
terrebbe alcun  lucro,  o  alcuna  riputazione  presso  il  popolo. 
Egli  dorrebbe  alla  maggior  parte  degli  ammalati  confessare 
di  non  intendere  il  loro  male,  e  di  non  saper  che  fare  in  loro 
Tantaggip;  e  un  medico  simile  verrebbe  trascurato  come  un 
ignorante  :  ma  se  io  accordo  al  medico  la  simulazione  di  mo- 
strar di  conoscere  quello  che  non  intende,  di  aver  mezzi  da 
sollevare,  quando  li  ignora;  se  accordo  al  medico  di  usar 
della  debolezza  ed  ignoranza  altrui,  in  vantaggio  del  de- 
bole e  dell'ignorante,  a  consolare  e  rinvigorire  il  quale  tal 
specie  di  ciarlatanerìa  può  moltissimo  giovare;  non  posso 
però  riguardare  se  non  come  un  ignorante  pericoloso  quello 
che,  non  rendendosi  conto  esatto  a  so  stesso  delle  cose  che 
veramente  sa,  opera  arditamente  sulla,  vita  altrui  a  caso.  Il 
solo  nomo  ragionevole  è  colui,  che  sa  di  sapere  quello  che 
sa,  e  sa  d' ignorare  quello  che  ignora. 

Stabilita  cosi  la  base  della  giusta  opinione  ohe  debbesi 
avere  della  medicina,  e  del  molto  da  temere  e  poco  da  spe- 
ra» che  v'è  neir  assistenza  del  medico,  è  bene  che  siamo 
altresì  avvisati  delle  male  arti  colle  quali  taluni  abusano 
della  naturale  semplicità.  11  poco  che  ho  veduto  io  stesso, 
mi  autorizza  a  prevenire  gl'incauti.  Io  ho  (Conosciuto  una 
donna  stravagante,  la  quale,  per  comparire  in  qualche  modo 
donna  maraviglrosa ,  e  per  dominare  meglio  nella  sua  casa, 
e  rendere  adorati  !  suo!  capricci ,  si  voleva  far  credere  am- 
malata eon  febbre,  e  durò  più  di  trent'anni  a  starsene  a  letto. 
Forse  anco  ella  giunse  a  persuaderlo  a  sé  medesima.  Il  me- 
dico, prima  dr  entrare  a  visitarla,  si  tratteneva  colla  came- 
riera, e  la  interrogava  sogli  accidenti  ddia  notte,  sullo  stato 
del  gioqrno  ec.^  indi  entrava  gravemente  in  stanza,  toccavale 
il  polso,  e  fatto  silenzio,  la  interrogava:  -*  Avrebbe  ella  mai 


236  BIGOBDI  MSDITEKESSATI  B  SIHCBU. 

sofferto  doglia  di  capo?— Gran  polsista!  come  indovina  lotto!!! 
Signor  si,  V  lio  sofferta.  ~  E  sete?  arsura  alle  Unici?  —  Che 
demonio!  I!  anche  questo  indovinai  Ma  dica,  signor  dottore 
(giacché  vedo  ohe  lei  sa  tolto),  dica:  donde  proviene  questo 
dolor  di  capo  che  si  di  frequente  mi  tormenta?... — H  medico 
china  la  testa  in  atto  di  profondo  raccoglimento  di  pensieri, 
prende  a  toccarle  il  polso,  e  V  ammalata  avidamente  aspetta 
r oracolo.  —  Qoesta  testa,  dice  il  dottore  con  molta  pausa, 
questa  tesla  è  restata  distesa....  come  in  una  forma  dolente; 
perciò  sente  il  dolore  nella  parte  che  le  duole.....  — Grand' uo- 
mo! !  !  (esclama  l'ammalata)  grand' uomo,  parla  come  on  an- 
gelo! vi  dice  le  cose  con  una  chiarezza,  con  una  precisione, 
con  una  verità  che  sorprendono  sempre! —  U  medico  passa  a 
farle  il  racconto  delle  novelle  dì  città,  delle  avventure,  di 
quanto  di  ridicolo  e  di  singolare  ha  potuto  osservare  nelle 
case  nelle  quali  è.  stato  a  far  le  visite:  la  discrezione  e  la 
carità  non  brillavano  certamente  in  quei  dialoghi.  Soleva  te- 
nere il  medico  quell'ammalata  come  un  fondo  stabile  di 
buonissimo  fruito,  ed  era  l'ultima  visita  ch'ei  faceva  in  fine 
della  giornata.  Non  partiva  però  mai  senza  averle  scrìtto 
tutte  le  sere  la  ricetta,  e,  quello  che  è  degno  di  osservazio- 
ne, era  sempre  esatlamente  la  stessa  ricetta: — aqua  eerata-^ 
rum  nigrarum,  succinum,  laudanum  liquidwm^  eonfeeUo  J(- 
ckermes;  e  tutto  ciò  in  dose  che  nulla  significava,  .ma  ogni 
sera  si  scriveva,  acciocché  si  ci'edesse  che  il  rimedio  variava 
sapientemente  secondo  lo  stato  dell'ammalata.  Questo  me* 
dico  era  uno  dei  più  accreditati  del  nostro  paese* 

Ho  veduto  altro  fatto,  cioè  un  medico  che  fu  richiesto 
per  visitare  un'  ammalata  che  tendeva  a  morire  di  consun- 
zione; e  siccopie  si  temeva  che  il  metodo  dei  purganti,  sol 
quale  insisteva  il  medico  della  cura,  non  fosse  opportuno,  e 
che  il  male  non  nascesse  altrimenti  da  supposte  ostruzioni; 
cosi  si  procurò  dai  congiunti  di  farla  visitare  nascostamente 
da  un  altro  medico  famigliare  della  casa  patema  dell^  infer- 
ma, e  si  tentò  ciò  nel  dubbio  che,  facendo  un  consollo,  non 
si  adulassero  vicendevolmente  i  medici,  come  é  il  solito;  ma 
il  medico  straordinario,  richiesto  con  intelligenza  che  non  si 
sapesse,  volle  prima  di  tutto  confidarlo  segretamente  al  i 


UCOROI  01SINTEBBS8ATI  B  SIMCBBI.  237 

dico  della  cara,  e  nella  sua  yisita  adulò  finissìBiamente  il  me* 
dico  omicida,  saggerendo  come  da  sé  i  rimedj  medesimi  che 
adoperava  il  ministro  della  cara;  colla  quale  condotta  ven- 
nero ad  accecarsi  i  [trenti,  togliendo  ogni  dubbio  sulla  qua- 
lità del  male,  conosciuto  lo  stesso  da  due  indipendenti  (cre- 
duti) professori.  L'ammalata  ne  morì,  ma  i  due  medici  vivono 
buoni  amici. 

11  medico  comunemente  è  incallito  d'  animo;  soffra  o 
muoia  l'infermo,  ei  mangia  con  buon  appetito  e  dorme  sa- 
poritamente i  sonni.  Sin  qui  non  v'è  da  rimproverarìo;  la 
natura  umana  è  fatta  cosi,  si  abitua  e  si  rende  col  tempo  in- 
sensibile; e  per  vivere,  cosi  deve  essere  l'uomo  che  fa  il  me- 
dico. Alcuni  con  troppa  sincerità  lasciano  traveder  su  questo 
articolo  la  loro  indifferenza,  ed  in  ciò  fanno  un  male,  perchè 
privano  l'ammalato  di  quella  consolazione,  che  reca  l'appa- 
rente amicizia  del  medico.  Il  male  maggiore  è  quello  di  quei 
non  pochi  Esculapj , . che  ridicono  le  miserie,'  le  debolezze, 
le  piaghe  delle  famiglie  nelle  quali  sono  ammessi,  e  se  ne 
servono  per  consolazione  e  trastullo.  Il  sommo  abuso  poi  è 
quello  di  volersi  arrogare  la  padronanza  di  casa,  e  del  corpo 
del  povero  infermo,  operando  e  tormentando  le  ultime  ore 
angosciose  della  vita.  Dalia  sanità  all'agonia  vi  è  un  terrìbile 
viaggio  per  l'audace  ignoranza  degli  uomini  d'ogni  classe, 
che  col  prelesto  di  farci  bene  ci  opprimono.  Dall'agonia  alla 
morte  il  passaggio  è  più  consolante,  perchè  nulla  v'è  di 
mezzo  fra  l'uomo  e  l'Essere  eterno  ed  ottimo.  Io  tremo  nel- 
r  incertezza  ^éì  mio  avvenire,  se  mai  dovrò  terminare  i  miei 
giorni  con  una  malattia  regolare,  pensando  che  mi  troverò 
debole  ed  abbattuto,  esposto  alla  maligna  curiosità,  all'indi- 
screzione, al  fanatismo,  all'ardita  e  potente  ignoranza  di 
molte  classi  d'uomini,  senza  mezzi  di  difendermi.  Credo  che 
a  misura  che  i  lumi  ed  i  sentimenti  d'umanità  faranno  pro- 
gressi, questo  male  andrà  scemando;  ma  io  non  posào  spe- 
rare ancora  tanti  anni  di  vita  per  goderne  il  vantaggio:  sa- 
pessi alnieno  quando  fia  la  mia  ora,  che  mi  ricovererei  prìttia 
in  un  villàggio,  e  leggerei  in  volto  del  parroco  di  campagna 
il  valore  del  mio  male;  sulla  faccia  degli  innocenti  contadini 
vedrei  qualche  lagrima  in  ricompensa  dell'umanità  mia;  te 


238  BIGOKDI  DiSnTBUSilTI  B  SDIGOI. 

r^ìgìone  non  mi  presenteiebbe  che  aioli  «  oonforto.  Medici, 
chiniBgiii,  speciali,  parenti,  aarétibero  in  citU,  ed  io,  attor- 
niate da'domestici,  placidamente  pagherei  il  iribotp  alla  nwr 
lara.^.  Ma  V  aTTenìre  sta  coperto  d' nn  velo  impenetrabile. 
Gltadini,  nomini  che  amate  di  vireie,  non  vi  fidate  ai 
medici;  e  se  dovete  chiedere  consiglio  ad  alcnno,  scegliete 
uomo  che  si  fidi  pochissimo  della  sua  arie,  che  abbia  sto- 
dialo  il  mestiere,  e  che  sia  d' indole  moderatissima  e  placi- 
dissima. 

db'  CHUUaGBI. 

sSe  nn  osso  mi  va  fuori  di  loogo,  o  mi  si  rompe,  cer- 
tamente io .  non  posso  fare  a  meno  di  ricorrere  ò  ad  nn 
valente  scultore,  o  ad  un  chirurgo,  a  meno  che  io  non  mi 
accontenti  di  rimaner  deforme  o  storpio  dopo  molti  pericoli 
e  spasimi.  Quindi  è  che  della  chirurgia  abbiamo  un  reale 
bisogno,  laddove  della  medicina  ne  possiamo  ragionevol- 
mente far  senza. 

La  chirurgia  poi  dividiamola  in  due  parti,  giacché  sono 
due  mestieri  realmente  diversissimi  che  fa  il  chirurgo.  Un 
mestiere  è  dipendente  dalla  facoltà  medica,  ed  è  fallacissi- 
mo ^  r altro  mestiere  è  quello  d'operatore,  ed  ha  norma  e 
priucipj  sicorì.  Il  chirurgo,  per  ciò  che  concerne  i  tumori,  i 
mali  cutanei,  gli  empiastri,  i  pronostici  e  giudizj  sull'origi- 
ne, qualità  e  rimedj;  per  questa  parte,  dico  io,  è  ciurmatore 
al  pari  del  medico. 

Ho  osservato  venire  a  suppurazione  quel  tumore  che  il 
chirurgo  aveva  predetto  sciogliersi  da  sé,  e  sciogliersi  l'altro 
di  cui  aveva  predetto  V  infallibile  suppurazione. 

Ho  osservato  incallirsi  e  inveterare  quelle  piaghe  coi  co- 
atti ed  altri  empiastri,  le  quali  coli'  acqua  tepida  si  risa- 
navano. 

Ho  veduto  uccidere  V  aminalato  colla  cnra  d' una  cuta- 
nea eruzione.  Questa  è  parte  medica.  Miglior  consiglio  è  la- 
sciar fare  il  suo  corso  fisico  e  naturale  a  simili  infermità, 
che  d'ordinario  s'inaspriscono  e  si  prolungano  coi  pretesi 
aiuti  dell'  arte. 


j  BICOIU  BISlNTBBBSSàTI  B  SIMCBBI.  239 

11  tamore  comonemente  svppara  da  sé,  e  si  apre  lo  ^b- 
I  go,  ovvero  da  sé  si  scompone;  V  acqua,  i  bagni,  il  vitto  so- 
brio, r  ambiente  opportuno,  e  la  pazienza,  som^  i  migtioii 
rimedj  da  adoperare;  e  se  la  malattia  è  sanabile,  più  presta- 
mente partesi;  e  se  non  è  sanabile,  si  muore  con  minori 
tormenti:  e  l'arte,  in  simili  malattìe,  non  credo  già  che  possa 
guarire  quel  male  che  sarebbe  conducente  alla  morie,  ab- 
bandonato alla  natura. 

L'altro  mestiere  che  fa  11^ chirurgo,  cioè  quello  d'ope- 
ratore colla  mano,  ha  princìpj  sicuri.  Chi  sa  l'organizzazione 
delle  ossa,  ed  il  meccanismo  col  quale  sono  congiunte,  può 
colla  mano  aiutata  da'  opportuni  mezzi  ricondurre  l' osso  al 
suo  luogo,  e  per  la  via  più  breve  può  accomodare  al  suo  po- 
sto nn  osso  spezzato,  sicché  coti' aiuto  della  nutrizione  venga 
nuovamente  a*  congiungersi:  un  valente  statuario  potrebbe 
farlo  quanto  un  chirurgo;  ma  quest'ultimo  ha  l'uso  degli  stro» 
menti,  ed  uno  studio  particolare,  onde  più  cautamente  si  ri- 
corre a  lai.  Chi  sa  l' anatomia,  come  saper  la  deve  un  chi- 
Turgo ,  può  salvar  la  vita  legando  un'  arteria  squaìreiata  da 
una  ferita;  può  estrarre  innocuamente  un  corpo  estraneo 
intruso  nel  corpo  umano;  può  restituire  la  vista,  libefìindo 
l'asse  dell'occhio  da  un  corpo  opaco:  qui  non  v'è  dubbio 
abnno,  che  Tarte  del  chirurgo  non  abbia  pnncipj-  sicuri,  e 
non  sia  di  giovamento.  Ma  qual  abuso  non  fanno'  gli  uomini 
di  tal  mestiere?  Abuso  per  ignoranza,  abuso  per  la  smania  di 
farsi  nn  nome,  abuso  persino  per  trovar  lucro  collo  spasimo 
alfTui.  LMgnoranza  del  chirurgo  porta  con  so  la  precipita- 
zione dei  suoi  giudizi,  e  l'ostinazione  irremovibile  nelle  cose 
giodìcate.  Chi  è  avvezzo  a  contemplar  la  natura,  ad  eserci- 
tar la  sua  mente  nella  indagine  della  verità,  è  addestrato 
dall'esperienza  a  saper  dubitare,  a  non  determinarsi  troppo 
preste  sulle  prime  apparenze  degli  oggetti,  ad  esaminare  le 
cose  per  tutti  i  lati  possibili,  prima  di  scegliere  un'opinione; 
e  scelta  poi  che  l'abbia,  sempre  la  tiene  come  una  probabi- 
lità, ma  non  mai  come  una  cosa  sicura.  Ma  un  ignorante 
chirurgo  vede  superficialmente  un  infermo,  ràpidamente  lo 
esamina,  decide  che  ha  la  pietra,  lo  induce  a  lasciarsi  spac- 
care, e  poiché  gli  ha  fatto  un'enorme  ferita,  si  trova  che 


240  UGCMWI  DISUrrUIBSSATI  B  SIMGBil. 

non  Ti  è  pietra  aknna:  il  fatto  è  accadalo,  ed  io  conosco 
rinfelice  che  ha  sofferto^  vittima  dell' ignorania  del  chinr- 
go.  Un  chirurgo  ignorante,  al  primo  colpo  d'occhio  decide 
che  il  feto  si  presenta  male;  gli  fa  an'  evoloiione  doloroàs- 
simae  l«nga,  sin  tanto  che  troya  i  piedi  del  hambino»  e 
per  essi  lo  estrae  morto  colla  sommità  del  capo  forala  dal 
dito  dell'  ignorante  chirurgo,  che  la  giudicò  il  dorso.  So  d*im 
chirurgo  che  s' ostinava  a  prendere  un  cordone  spermatico 
enfiato  per  una  discesa,  e  tormentò  barbaramente  an  infe- 
lice, per  farlo  entrare  dove  non  poteva.  So  d'un  osso  slo- 
gato a  una  spalla,  che  malgrado  l'atrocità  degli  sfoni  d'w 
chirurgo,  non  giunse  mai  a  riporre  a  luogo.  So  d'an  chi- 
rurgo che  amputò  spietatamente  alle  radici  un  pene,  che 
forse  poteva  guarire,  o  essere  sanato  con  minor  perdila:  e 
^o  che  r  ignoranza  di  colui  giunse  a  segno  di  dimenticare  ii 
successivo  bisogno  di  scaricare  la  vescica;  per  lo  che  coi>- 
venne  di  far  un  taglio  al  perineo,  e  con  una  candeletta  io^ 
trusavi  ritrovare  l'uretra  da  forare  al  sito  ove  eravi  la  piaga 
del  primo  t9glio.  Ecco  i  rischj  della  sempre  rìselatissima 
ignoranza  di  costoro,  alla  quale  si  sacrificano  vittime  amane. 
Abuso  si  fa  dell'  arte  per  farsi  un  nome:  un'  o|)eraiioDe  dif- 
ficile,  un  giovane  chirurgo  la  cerca,  la  desidera,  la  fa  voloii- 
tieri,  anche  su  chi  non  ne  abbia  vero  bisogno.  Conosco  oa 
povero  uomo  che  il  chirurgo  assolutamente  voleva  castrare» 
e  che  guarì  senza, perdere  la  sua  virilità.  So  di  una  giovine» 
alla  quale  il  chirurgo  voleva  quasi  per  forza  levare  le  glanr 
dote  alla  gola,  e  atterrila  seppe  resistere,  e  guarì  senza  qae- 
sto.  So  d' una  partoriente,  dalla  qaale  vele  vasi  estrarre  a 
brani  il.  feto;  ed  il  cielo  la  salvò,  essendo  naturalmente 
uscito  nel  momento  crudele,  in  poi  gli  era  imminente  U 
morte.  So  di  un  uomo  di  sommo  merito,  al  quafe  un  ardito 
chirurgo  persuase  di  lasciarsi  tagliare  una  fistola  al  perineo^ 
la  quote  appena  gli  dava  incomodo;  e  dalla  ferita  vasta  e 
profonda,  l'uomo  di  sommo  merito  mori  pochi  giorni  dopo 
per  cangrena.  Al  collo  dei  chirurghi  vorrei  io  che  fosse  ap- 
pesa una  medaglia,  con  queste  parole:  Posso  squareitìt* 
e  non  posso  rimarginare.  La  cicatrice  d' un  taglio  si  fa  non 
dai  cerotti,  ma  dal  sangue;  e  se  il  sangue  manchi  di  quella 


RICQIEDI  DISXNTBBBS8ATI  B  8INCEBI.  2il 

qualità,  il  taglio  non  si  riparerà  mai  più,  degenera  in  can- 
grena,  e  si  moore.  Ma  al  chirorgo  poco  ciò  preme,  bastando- 
gli Tapplaaso  di  aver  fatta  T operazione  con  franchezza,  con 
brevità  e  disinToitora,  qaasi  un  ballerino  da  corda.  La  in- 
sensibilità di  costoro  giunse  a  segno,  che  essendo  nata  di-. 
spola  fra  due  chirurghi ,  se  un  certo  frate  vecchio  avesse 
delle  piaghe  alla  gamba  perchè  Y  o^so  fosse  cariato,  e  soste- 
nendosi all'opposto  che  l*osso  era  sano,  e  il  male  fosse  ani- 
camente  negli  qmorì  ;  i  due  professori  si  riscaldarono  nella 
dispota,  e  determinarono  di  tagliare  la  gamba  per  chiarirse- 
ne. Io  80  questo  fatto  dal  giovane  di  chinirgia,  che  operò 
sotto  la  Idro  direzione,  e  che  rimase  solo  nella  stanza  assai 
ìmbarazzdfto  per  frenar  il  sangue,  perchè  al  momento  che 
ebbero  la  gamba,  tolti  gli  altri  con  essa  se  ne  partirono,  af- 
fine di  visitarla.  Se  dopo  ciò  io  diffido  dei  medici  e  del  chi- 
nirghi,  sebbeee  non  rabbia  provato  sopra  di  me,  credo  di 
aver  buona  ragione.  Uomini  dabbene,  non  siate  facili  a  fidar^ 
▼i;  risparmiate  più  che  potete  di  mettere  la  vostra  vita  nelle 
allrai  mani;  sopportate  i  mali  dell'umanità,  anziché  esporvi 
a  soffrire  di.  più  i  mali  della  ciarlataneria  ancora  più  funesti  ; 
e  se  dovete  par  ricorrere  ad  un  chiitirgo,  scegliete  un  uomo 
nodesto,  umano,  studioso.  Indi  lasciatelo  operare  il  meno 
cbe  potete. 

In  una  nazione  Illuminala,  la  morale  è  la  princi- 
T^ale  catena  che  unisce  uomo  a  uomo;  e  l'impostura  è 
seoQosciuta  e  screditata,  a  proporzione  che  si  rischiara  la 
mente  degli  nomini  :  si  vedono  1  medici  prima  abbandonare 
la  grossolana  ciarlataneria,  ed  assumerne  una  più  colta,  al 
che  siamo  giunti  anche  noi;  poi  sono  costretti  ad  abbando- 
nare anche  questa,  e  conservare  la  sola  jnerente  al  mestiere, 
che  è  confortar  omi  parc^  l'ammalato,  non  mai  palesare  i 
secreti  delle  famiglie^  rispettare  la  buona  riputazione  di 
chiunque  siasi  affidato  alla  loro  cura,  diffidar  dell'arte,  ope- 
rar poche  volte,  quando  noi  facendo  siavi  imminente  perico- 
lo, ed  osservare  fedelmente  quel  giuramento,  che  Ippocrate 
^g«va  da  chlgnque  volesse  imparar  V  arte.  Fintanto  che  la 
nazione  non  gitmga  a  questa  coltura,  uomo  onesto,  che  vuol 
vivere  e  soffrir  minori  mali,  tienti  lontani  medici  e  chirurghi. 
Ji.  SI 


242  BICOUDI  D1S1NTBRB86ATI  B  SIflCBRI. 


DEGÙ  AVVOCATI  B  GADSfma. 

Per  dipÌDgere  al  vivo  e  oon  sinceri  colori  qaeata  classe 
41  aomini,  o  per  meglio  dire  questa  maadra  che  ò  la  feccia 
la  più  corrotta  deUa  sodeià, 

Chi  mi  darà  la  voce,  e  le  parole , 

sì  che  possa  prevenire  gli  aomini  enesti  a  stare  in  goardiiT 
Quello  che  io  stesso  ho  veduto,  quello  che  ho  scoperto  di 
questa  genia,  è  tale,  che  se  volessi  riferir  tutto,  sì  crederebbe 
il  mio  scritto  una  satira  passionata,  tanto  la  verità  è  poco 
verosimile!  Pure,  indagando  i  gradi  per  i  quali  patfaraoDi 
per  giugnere  a  questa  professione,  chiaraoiente  si  ecoego 
ohe  non  può  rìq^cire  diversamente  da  quello  che  rieice,  o 
che  la  insensibilità  alla  ragione,  alla  virtù,  dehhotio  «Mie 
il  rìsulteto  della  carriera  legale  quale  eHa  è  presso  di  noie  Ut 
giovine,  dopo  d' aver  bene  o  male  imparato  il  latino,  si  de- 
termina al  fòro,  passa  in  uno  studio  d'avvocalo  o  causidùoOi 
ove  incomincia  a  impratichirsi  d'alcuni  nomi  d'autori;  per 
comodo  del  suo  maestro,  va  a  caccia  delle  amierità,  le  qoalt 
corredano  le  allegazioni.  Lo.  studio  è  facchinesco  e  di  pa- 
zienza; non  v'  è  principio  veruno.  In  ogni  caso,  conviene  li- 
cercare  r  opinione  degli  autori,  e  non  già  il  senso  della  ra- 
gione umana.  Autori  per  il  5i,  autori  per  il  no,  ecco  quello 
che  si  presenta  in  ogni  caso;  e  se  talveUa  qualche  antece  vi 
stabilisce  un  prin^sipio  chiaro,  oon  termina  il  trattato  lebe 
non  ve  lo  imbrogli  a  segno,  che,  limitande,  ampHande,  àt 
stinguendo,  sottodistinguendo^  il  risaltato  è  sempre,  che  tiMo 
dipende  dalle  varie  circostante  dei  singoli  casi. 

Primo  principio,  adunque,  che  si  stampa  neUe  testa  <W 
giovine  curiale  alunno,  è  che  non  si  danno  pr^cipj  eerti,  ek 
tutto  è  centrovectibile,  che  l' autorità  deve  eegukai  e  imi  ii 
ragione,  e  che  in  ogni  caso  si  può  scrivere  JSku>,  Inde. 

Questo  principio  comincia  ad  ^imiiuHe  l'use  Mia  ragione 
e  del  sillogismo,  da  che  ne  deriva  nessun  senso  di,  giusle  o  ia- 
giusto:  per  lo  che  osservate  che  la  faccia  d'un  cnria&e,  aaeltf 
giovine,  non  si  muta  mai,  né  mai  vi  leggete  rihrezio  akenoai 


I 

I  RlCOftDI  DI91NTBHE8SATI  E  SINCERI.  243 

raeconto  d'una  manifesta  ìogìastizia,  né  vedete  balenare 
giammai  quel  fausto  gaudio  che  al  racconto  d'una  nobile -e 
generosa  azione  si  manifesta  sulla  faccia  d'un  uomo  sensìbile. 
Estinti,  oppressi- dal  peso  della  autorità  ì  germi  della  ragione, 
resi  problematici  tutti  gli  oggetti,  resi  i  nomi  di  virtù  e  di 
giasttzia  ottenebrati,  eccoti  Tuomo  che  si  presenta  a  fare 
r  avvocato  e  il  procuratore.  Quest'  uomo  cosi  modificato  sa- 
rebbe un  apopletico,  un  imbecille,  uno  stupido,  se  nella  sua 
anima  non  rimanesse  un  principio  di  moto,  il  quale  tutto  per 
necessità  deve  rivolgersi  al  maneggio,  alla  cabala,  all'intrigo, 
per  moltiplicare  il  profitto  proprio.  Né  dal  correi^  questa  tri* 
stissima  carriera  lo  allontaneranno  i  principj  di  religione, 
poiché,  quantunque  abbiano  i  curiali  sommo  spavento  del  de- 
monio e  dell'inferno,  pensano  nondimeno  che  non  esami- 
nando mai  i  dogmi,  e  dicendo  di  crederli  fermamente,  ab- 
biano fatto  il  più  onde  dal  cielo  aver  la  grazia  di  salvarsi; 
al  qaal  fine  aggiungono  qualche  stabile  pratica  di  culto  este- 
riore, per  procacciarsi  un  santo  protettore  nel  quale  confidare. 
Tale  ordinariamente  é  la  loro  religione ,  che  lascia  ad  essi  li* 
bero  il  campo,  quasi  con  tranquillità  di  coscienza,  d'offuscare 
ogni  buon  diritto,  d'impedire  che  alcuno  ottenga  mai  quel 
che  gli  é  dovuto,  ne  vada  poi  in  rovina  qualunque  famiglia, 
e  ne  nasca  pur  ciò  che  sa  nascere.  Ma  la  santa  Messa  ogtA 
giorno,  confessarsi  con  frequenza,  mai  pronunziare  uno 
scberzo  amoroso,  é  tutto,  secondo  essi;  il  rimanente  va  bene. 
Aleoni  più  giovani  si  sono  alquanto  dipartiti  nell'  apparenza 
da  questo  originario  sistema,  e  la  coltura  introdotta  e  sparsa 
più  generalmente  gli  ha  obbligati  ad  indossare  un  più  ele- 
gante vestito  di  maniere  meno  rozze,  a  scrivere  con  minor 
barbarie  di  quella  che  adoperavano  i  padri  nostri;  ma  nel 
fondo  essenziale  sono  i  medesimi,  poiché  la  medicina,  per 
esempio,  ha  cambiato  forma  di  studio,  e  dove  prima  era 
una  meccanica  pratica  di  ricettare,  ora  é  un  ingegnoso  am- 
masso di  opinioni  e  sistemi.  I  medici  erano  Aristotelici,  ora 
sono  Cartesiani,  ignoranti  in  un  caso  e  nell'altro,  e  total- 
mente ignoranti  al  di  d' oggi  ;  ma  i  curiali  studiano  la  stessa 
dottrina,  ed  il  cambiamento  é  soltanto  nella  vernice. 

L'avvocato  e  il  causidico  dunque  non  hanno  comune* 


2H  BICOilM  mS^TWMSSSàXl  B  fDMZU. 

nwnle  idea  e  seotìnieiilo  alcuna  di  vero  e  falso,  di  gioslo  e 
iagìiHfOy  e  eiedmio  che  il  Tioceve,  Apenieieau  Ute,  dipenda 
dal  HaiTOie  e  dall' iodustrìa.  Posta  questa  base,  essi  dob  lifio- 
faoo  mai  na  elienle,  tosto  che  sia  ia  islalo  di  pagarli,  ed  al 
diente  sempre  si  mostrano  incerti  salla  rìoacila  dd  soo  af- 
fare, per  quanto  possa  essere  erideale.  Lo  stadio  l^ale  è 
noiosissimo,  e  la  natura  d  ripugna;  perciò  il  curiale  ordina- 
riamente poco  e  soperOcialmaite  esamina  le  carte  vostre.  Il 
curiale  è  per  lo  più  istupidito  ed  affaticato,  quindi  ricorra 
al  Tostro  patrocinatore.  Se  siete  appassionato,  vi  sbadiglia  in 
faccia  senza  riguardo;  parlategli  ragione,  parlategli  senti- 
mento, eccovi  tante  volte  spalancata  allo  sbadiglio  la  bocca 
dottorale,  quante  volte  ìntuonale  quelle  corde.  H  cariale 
uscirà  con  una  scempiaggine  per  troncare  il  filo  dd  vostro 
discorso  patetico.  Almeno  il  medico  finge  di  aver  premora 
per  voi;  l'implacabile  curiale  con  una  faccia  stupida  vi  lascia 
chiaramente  vedere,  che  se  siete  rovinato  è  Tultimodei  suoi 
fastidj.  Regalatelo,  vi  ringrazia,  e  non  si  mota;  adulatelo^ 
non  ulte  nulla;  rìmproveraldo,  si  sdegna,  e  vi  abbandona. 

Sin  qui  bo  esposto  i  vizj  di  quei  curiali  che  non  tradi- 
scono il  cliente.  Ma  qoal  fondamento  faremo  noi  della  morale 
d' uomo  che  ha  incerte  idee  della  giustizia,  e  che  crede  con 
alcune  esterne  pratiche  religiose  di  aver  soddisfatto  ai  suoi 
doveri? 

I  curiali  sono  coUeghi,  amici,  parenti  fra  di  loro;  sono 
finalmente  d'accordo,  perchè  reciprocamente  s'aiutano  a 
spese  dei  spensierati  che  si.  abbandonano  nelle  loro  manL 
Non  è  raro  il  caso,  che  concertino  fra  di  loroi  due  causidici 
avversar]  la  scena  che  debbono  rappresentar  nel  giudizio. 
Non  é  raro  il  caso  che  un  causidico  riceva  doppia  mercede, 
avvisando  r  avversario  dei  disegni  dJ  suo  cliente.  Ho  ve- 
duto una  famiglia  ricca  ed  onorala  involta  in  un  rabbioso 
litigio  per  l'arte  del  curiale  che  animò  la  donna  di  casa  al 
puntiglio.  La  lite  era  di  nessuna  utilità ,  ma  di  puro  impegno. 
In  questa  famiglia  ricca  ed  onorata  si  facev.ano  i  congressi 
con  varj  avvocati.  Il  causidico  insligatore  si  era  fatto  un  me- 
rito presso  ciascuno  di  questi  avvocati,  facendogli  avere  un 
ricco  e  generoso  cliente.  Appena  terminato  il  congresso,  l'av- 


ftXCORDI  DISINTSBBSSATI  E  SINCERI.  245 

versano  era  pontualmente  avvisato  di  quante  si  stava  per 
fare.  Lunghi  affanni  soffrirono  gli  onorati  padroni,  che  con 
boona  fede  e  lealtà  si  erano  lasciati  sedurre.  Spesero  qualche 
migliaia  di  zecchini,  perdettero  la  lite,  ed  il  procuratore 
hene  pagato  acquistò  la  benevolenza  degli  avvocati.  In  altra 
lite,  in  cui  si  trattava  d'uh  patrimonio,  gli  avvocati  della 
pupilla  ricusarono,  il  giorno  precedente  alla  sentenza,  d'ac- 
cettare la  metà  del  patrimonio. offerto  alla  cliente.- La  sen- 
tenza le  tolse  il  tutto.  Il  giorno  medesimo  gH  avvocati  av- 
versari e  gli  avversar]  causidici  fecero  insieme  una  partita 
ad  una  villa,  pranzarono  allegramente,  vuotarono  del  buon 
Bourgogne,   ed  essendo  portato  un  brindisi  all'avvocato 
della  pupilla,  dicendogli: — Alla  vostra  salate,  giacché  avete 
perduta  la  causai !1  —  Io  perduta  la  causa?  è  la  tale  pu- 
pilla, che  rha  perduta.  —  Cosi  rispose;  e  fra  gli  evviva 
passarono  il  convito  e  la  giornata,   vaticinando  e  augu- 
randosi Tuno  l'altro  una  larga  ricompensa  da' clienti  che 
avevano  litigato.  Se  il  giudice  inclini  a  favore  d'una  par- 
te, l'avvocato  ed  il  causidico  che  se  ne  accorgono,  e  ai 
quali  preme  assai  più  la  benevolenza  del  giudice,  col  quale 
hanno  sempre  a  fare,  che  quella  del  cliente  che  eventual- 
mente cade  nelle  loro  mani,  invece  di  promovere  il  buon 
diritto  del  povero  cliente  che.  si  è  abbandonato  nelle  braccia 
loro,  anzi  lo  atterriscono,  lo  avviliscono,  cercano  di  dissua- 
derlo dal  promovere  il  suo  diritto,  e  Io  inducono  a  transigere 
e  a  sacrificare  il  suo  interesse.  Se  con  tali  arti  giungono  ad 
acquistar  favore  presso  de'  giudici ,  e  procacciarsi  la  benevo- 
lenza dei  domestici  del  giudice,  del  suo  cancelliere,  della 
sua  amica,  o  del  direttore  spirituale,  il  curiale  ha  fatto  la  sua 
fortuna.  I  libri  e  le  scritture  poco  più  fe  guarda  un  cariale 
giunto  alla  celebrità  :  franchezza  e  parole  suppliscono  alle  co- 
gnizioni. Un  tal  curiale  andava  ad  informare  un  giudice  d'una 
chiosa  che  egli  stesso  non  sapeva,  ed  il  timido  cliente  doveva 
interrompere  e  contraddire  al  suo  stesso  patrocinatore  che 
sfigurava  il  fatto;  pure  l' informazione  si  doveva  pagare, 
bene  o  male  fatta.  Guai  a  <dii  cade  nelle  mani  d'uno  di  que- 
sti celebri  cariali!  ei,  dal  momento  in  cui  vi  affidate  a  lai,  si 
considera  padrone  assoluto  e  dispotico  delle  cose  vostre,  e 

2r 


246  mCOEOl  mSlNTBBBSSATI  B  SINCBBI. 

senza  consultare  la  vostra  volontà  promette ,  sottoscrive»  im- 
pegna. Povera  gente  innocente  e  scoBsigliata,  che  cadete  nelle 
mani  di  questa  corrottissima  feccia  d'  uomini»  dei.  quali  un 
paese  starebbe  più  bene  se  non  ne  avesse,  e  contasse  tanto 
meno  popolazione.  L' imperatore  Giuseppe  II  ha  creduto  di 
rimediarvi  con  un  buon  libro,  che  è  il  regolamento  giudizia- 
rio. Vi  vuol  altro  che  un  libro  per  rimediare  all'  immoralità 
di  costoro! 

Uomo  onesto,  se  mai  la  disgrazia  ti  riduce  ad  aver  bi- 
sogno d'un  chirurgo,  ovvero  d'un  legale,  guardati  bene  di 
non  cercar  mai  soccorso  dai  professori  più  celebri.  Coloro 
hanno  già  formato  il  loro  concetto;  nulla  preme  ad  essi  l'esi- 
to: prendono  TuQmo  come  un  automa,  lo  maneggiano  come  a 
loro  torna  conto  ;  in  essi  non  troverai  che  orgoglio  e  pigra 
insensibilità:  chiama  in  tuo  soccorso  un  giovane  che  abbia  in- 
gegno, che  abbia  impegno  di  farsi  un  noiise,  ma  che  non  se 
lo  sia  fatto;  e  soprattutto  che  pratichi  poco,,  ed  il  meno  che 
può,  cogli  altri  di  sua  professione  Se  v'ò  speranza  d'essere  as- 
sistito bene,  quest'ò  l'unico  Qne  per  ottenerlo;  ma  bada 
bene  di  allontanarlo  tosto  che  questo  giovine  comincia  ad 
aver  credito. 


DBGL'  mOBGNBRl. 

Io  BOH  tratto  di  quegli  ingegneri  che  cogli  studj  felice- 
mente eseguiti  hanno  imparata  la  geometria  ed  il  calcolo;  che 
istrutti  della  solidità  ed  eleganza  dell'architettura,  delle  leggi 
dell'idraulica,  dell'arte  insomma,  sono  una  parte  colta  deUa 
città.  Quando  un  uomo  è  passato  per  la  traGla'd'  una  buona 
educazione,  o  riesce  un  cittadino  da  bene,  o  almeno  non  é 
«no  sfrontato  e  indiscreto  impostore,  poiché  prova  il  rossore 
di  comparirlo.  Tratto  di  quegli  ingegneri  ignoranti,  i  quali 
senza  teoria  alcuna  essendo  passati  a  far  pratica  sotto  di  un 
ingegnere  ignorante,  maneggiando  )o  squadro,  la  tavola  pre- 
toriana ed  un  livello  a  liquori^ ^'arrogano  il  titob  d'inge- 
gneri, e  sono  quelli  appunto  i  più  aflaccendali,  i  più  ricercati 
l>er  fare  le  stime  dei  fondi,  per  decidere  sul  prezzo  dei  con- 


ftlCOBDI  BISINTIIIKSSATI  I  SI?iCEEI.  2*1 

tratti  di  essi,  per  fare  le  di  visioni  nelle  famiglie.  Guardati, 
nomo  onesto,  da  costoro:  sono  essi  impostori  ùiccendien  che 
Boo  la  cedono  né  ai  medici,  né  ai  cbirarglii,  nò  ai  dottori,  e 
non  solamente  esercitano  ona  fallacissima  facoltà,  ma  non 
di  rado  la  esercitano  con  mala  fede,  e  propendendo  da  on 
partito.  Per  convincersi  della  fallacia  loro  sulle  stime,  esami- 
niamo rapidamente  le  stime  delle  terre  e  le  stime  delle  case, 
e  vedremo  quanto  siano  arbitrarj  e  ideali  I  loro  principe. 
La  stima  di  un  fondo  di  terra  nasce  come  nna  conseguenza 
dell'attuale  feconditi,  sottraendone  le  spese  per  ottenerla.  Se 
vogliasi  sapere  la  feconditi  attuale  d'un  campo,  questa  è  la 
notizia  d'un  fatto.  Sconsigliato  è  colui  che  domanda  ad  un 
ingegnere  quanto  effettivamente  produce  un  campo  che  Tin- 
gegnere  vede  per  la  prima  voUa.  ILcolore  della  terra,  l'aspetto 
delle  pianta  e  della  vegetazione  annua,  possono  indicare  bensì 
steriliti  o  feconditi,  ma  non  mar  il  grado  preciso  da  cui  si 
raccolga  il  vero  e  reale  prodotto  annuo.  11  contadino  che  col- 
tiva il  campo,  il  castaido  che  sopraintende  ai  poderi,  essi 
lo  sanno;  i  libri  d'una  regolata  amministrazione  lo  indicano. 
Perché  dunque  ricorrere  ad  un  ciarlatano  per  apprendere  da 
esso  quello  eh'ei  medesimo  non  può  sapere,  se  non  interro- 
gando il  contadino?  Perchè  non  lo  interroghiamo  noi  mede- 
simi? Infatti  r  ingegnere ,  per  esercitare  questa  grossolana 
arte  magica,  si  pone  a  rimirare  il  campo  col  con  ladino  da 
una  parte,  col  castaido  dall'altra,  ed  interrogandoli  scrive 
quello  che  da  essi  intende;  indi,  come  dal  tripode,  pronuncia 
l'oracolo  sul  valore  del  fondo.  L'arte  umana  non  può  a  priori 
calcolare  la  fecondità  d'una  terra.  Che  se  l'unica  guida  per 
avere  il  vero  attuale  prodetto  d' un  fondo  è  il  fatto ,  cioè 
quanto  grano,  seta,  vino,  ec,  se  ne  ricavi  in  una  annata  co- 
mune, evidentemente  se  ne  deduce^  che  l'arte  arcana  del- 
l'ingegnere si  restrìnge  a  mendicare  dal  contadino  quelle  no- 
tizie che  ciascuno  può  dal  medesimo  ottenere.  Un  solo  istante 
di  riflessione  basta  a  far  conoscere ,  che  molto  più  astrolo- 
gica e  ciiarlalanesca  sari  la  stima  d' un  ingegnere,  se  pre- 
tende calcolare  il  prodotto  possibile  d'una  terra,  poiché  sarà 
sempre  incerto  il  dato  della  spesa  da  farsi  per  un9  nuova  col- 
tivazione. Quindi  la  scienza  di  stimare  i  fondi  di  terra  é 


248  BICORDI  DISINTBRBSfiATl  B  SINCBBI. 

una  solenne  impostala;  e  per  convincere  ognuno,  provisi  a 
far  segoire  la  stima  del  fondo  medesimo  a  doe  ingegneri , 
senza  cbe  l'uno  sappia  dell'altro,  e  col  fatto  si  vedrà  che  pro- 
nonzieranno  assai  diversi  risultati.  Gfae  se  fallacissima  è  la 
stima  dei  fondi ,  ancora  più  ridicola  è  la  stima  che  fanno 
gr  ingegneri  delle  case.  Consideri  ognuno,  che  più  case  delia 
stessa  ampiezza  e  'del  disegno  medesimo ,  poste  in  diversi 
siti,  hanno  valor  diverso  più  del  doppio  e  del  triplo.  Suppon- 
gasi una  casa  in  un  villaggio,  l'altra  nel  centro  di  una  città 
popolosa,  l'altra  in  un  sobborgo  della  città;  siano  esattissi- 
mamente simili:  posto  ciò,  ognuno  vede  che  quelle  tre  case 
egualissime  debbono  avere  una  stima  disugualissima.  £  qoal 
sarà  la  norma?  L' opinione,  il  capriccio,  il  favore,  e  non  di 
rado  la  subornazione  in  favore  d' uno  dei  contraente  Io  ho 
conosciuto  un  ingegnere  scelto  di  comune  accordo  fra  chi  do- 
yeva  comperare  e  chi  doveva  vendere  una  casa;  il  quale  ve- 
stitosi dell'importante  persona  di  padrone,  ascoltando  gli 
omaggi  delle  due  partì,  pesando  il  valore  e  l'ossequio,  si  de- 
terminò a  beneficare  insignamente  il  venditore,  e  stimò  la 
casa  più  di  quanto  poco  prima  erasi  venduto  il  più  magni- 
fico palazzo  della  città.  Il  modo  poi  di  fare  questa  stima  fu 
di  passeggiare  per  tutte  le  stanze,  e  dettare  ad  uno  scrìvano 
per  ogni  stanza,  per  esempio  cosi:  Sàia  di  20  braccia  di  kuh 
gheJiiia  e  di  dieci  di  larghezza  con  soffiita  a  chiodi  dorali  ec,  H 
fino  annuo  lire  700;  dllra  slanza  ec,  lire  300;  aUra,  lire  280, e 
cosi,  assegnando  un  sopposto  capriccioso  fitto  ad  ogni  stanza, 
ascese  a  circa  12,000  lire  di  pigione;  e  quindi,  calcolando  al 
moderato  prezzo  del  4  per  cento,  e  dedotte  le  riparazioni  ed 
il  tributo,  emerseli  valore  della  casa  al  doppio  di  quello  che 
pochi  anni  prima  era  stata  pagata. 

La  stupidità  di  questo  metodo  è  evidente,  perchè  tutti  i 
dati  e  tutti  gli  elementi  sono  aerei,  quando  veramente  la  casa 
non  trovasi  appigionata.  Questo  ingegnere,  che  per  fatalità  fa 
scelto  a  farAe  la  stima  e  la  divisione  in  una  famiglia,  aveva 
assunto  un  tuono  dispotico  e  da  padrone,  e  s' era  dimenticalo 
d' essére  un  estraneo  che  vive  col  suo  mestiere  mercenaria- 
mente. Stimò  i  fondi  esageratamente  da  una  parte,  li  slimò 
con  più  giusta  misura  dall'  altra  parte.  Cosi  intendeva,  clic  a 


ftlCORDI  DISINTBBSgSATI  K  SIffCBEI.  249 

gara  si  doyesse  dal  contendenti  impetrare  la  protezione  soa, 
per  ay^ts  nella  propria  porzione  delle  terre  ehe  avessero  nn 
prodotto  vero,  e  non  ideale.  Una  delle  pArti  finalmente  lo 
colse  a  proposito,  mentre  si  era  arbitrato  di  sostituire  ad  un 
piano  già  accordato  un  altro,  e  giungere  a  sostenere  che 
non  vi  fosse  mutazione  ;  e  resa  cosi  manifesta  la  soa  preva- 
ricazione e  mala  fede,  potè  con  giustizia  ricusarlo.  II  fatto  è 
tale  quale  lo  espongo.  V  ingegnere  ebbe  450  zecchini  in  pa- 
gamento di  si  beir  opera.  So  che  vi  sono  degli  uomini  di  que- 
sta professione  che  non  operano  cosi;  ma  so  che  più  si  opera 
col  maneggio  e  colla  briga,  che  colla  scienza,  e  che  la  massa 
vive  a  spese  dell'ignoranza  e  della  pigrizia  altrui,  con  una 
impostura  solenne. 

Nella  consegna  e  riconsegna  dei  fondi,  per  Io  più  i  fit- 
taiuoli  guadagnano  Y  ingegnere,  e  dal  trìpode  si  pronunzia  la 
sentenza  di  quanto  gli  si  debba  pagare  dal  proprietario;  dico 
dal  trìpode,  perchè  gli  ingegneri  sì  vantano  di  non  dover  mai 
rendere  ragione  di  quanto  asserìscono,  e  quindi  è  che  costoro 
si  considerano  e  sono  dispotici  padroni  del  paese,  come  di- 
ceva il  mio  illustre  amico  Frisi. 

Da  questi  brevi  cenni  che  ho  dati,  i  quali  potrebbero 
servire  di  abbozzo  per  un  vasto  libro,  ogni  onest'uomo 
deve  cavarne  il  suo  profitto.  Io  ho  raccontato  fatti  a  me 
noti:  difiidiamo  dei  medici,  dei  chirurghi,  dei  legali,  de- 
gli ingegneri,  ed  insomma  di  tutti  questi  negozianti  che 
non  hanno  per  capitale  che  ciarle ,  e  vivono  della  debolezza 
ed  imbecillità  del  popolo.  Se  la  ragione  andrà  facendo  pro- 
gressi nella  nazione,  dovranno  costoro  contenersi,  e  acco- 
starsi, almeno  in  apparenza,  alla  probità,  ma  sinora  hanno 
bel  gioco.  Io  non  nego  già  che  anche  in  queste  classi  vi 
sia  sparso  qualche  uomo  dabbene:  dico  che  la  massa  è  cor- 
rottissima; dico  che  è  cosa  di  sommo  pericolo  V  affidare  la 
vita,  la  roba,  la  convenienza  a  costoro;  dico  che  bisogna  sin- 
golarmente star  lontani  da  quelli  che  in  queste  classi  para- 
site hanno  maggior  celebrità,  perchè,  sicurì  sul  concetto 
pubblico,  a  man  salva  sacrificano  chiunque.  Dico  che  sono 
classi  parasite,  perchè  vivono  e  campano  senza  contribuire 
alla  ricchezza  o  riproduzione,  unicamente  sottraendo  o  smun- 


250  BiCOBDI  BISINTBftKSSATI   C  SINCBBI. 

gendo  l' alimento  dai  credali  o  disgraziati  che  cadmia  nelle 
loro  masi.  Questo  ho  scrìtto  per  bene  dei  gatontoomini;  ma 
prevedo  che  pochi  apriranno  gli  occhi,  e  saranno  per  profit- 
tare della  mia  esperienza:  alcimi,  che  avranno  provato  i  mali 
che  rìferìsco,  accorderanno  che  ho  detio  la  verità  senia 
esageraizione. 


RICORDI  DI  PIETRO  VERRI 

Alt  VMA   mVJk  VIOI.IA. 

[^77.] 


0 
RICORDI    A    MIA    FIGLIA. 


Un  aomo  può  talvolta  rideisi  della  opinione  degli  ooidìdì. 
Io  sono  slato  nel  caso  appunto*  Non  aveva  certamente,  me- 
ritato il  discredito,  ma  èra  però. rinscito  a  taluno  di  farmi 
passare  per  un  novatore,  cattiva  cittadino,  poco  buon  cri- 
stiano, e  compagnia  pericolosa:  io  mi  rivolsi  alle  lettere,  ed 
alle  cognizioni  locali  della  economia  dello  Stato^  stampai, 
scrissi,  ottenni  qualche  nome;  ebbi  un  impiego i  l'opinione 
cambiòy  e  cambiò  a  segno  che,  fra  le  persone  attualmente 
in  carica,  nessuno  ha  generalmente  una  opinione  cosi  favo- 
revole come  la  ho  io.  L*uomo,  o  per  la  carriera  delle  armi^  o 
per  r ecclesiastica,  o  per  le  scienze,  o  per  1^  cariche  civili, 
ha  il  mezzo  di  forzare  le  dicerie  popolari  a  tacere,  e  va  da 
conquistatore  sottomel tendo  l'opinione.  Ma  la  donna  manca 
di  queste  risorse.  Debole,  gracile,  e  timida  per  sua  naiura, 
non  ha  ])er  mezzi  che  la  dolcezza,  la  placida  bontà,  le  virtù 
del  cuore.  Questi  sono  i  pregi  che  le  procurano  un  marito, 
che  la  aCTezionano,  e  che  la  conducono  a  quel  grado  di  felicità 
cui  può  aspirare. 

Le  virtù  stesse  sembrano  divise  in  gran  parte  per  ap- 
pannaggio dei  due  sessi;  un  giovine  robusto,  ardito,  in^w- 
tuoso,  piace  ;  una  figlia,  se  tale  fosse,  dispiacerebbe.  La  virtù 
sua  è  la  modestia,  il  contegno:  un  po' di  timides^za,  la  sensi- 
bilità squisita,  la  compassione,  qualche  poco  ancora  d'imba- 
razzo nella  sua  persona,  formano  il  di  lei  pregio.  Una  donna 
decisa,  aspra  e  di  franchezza,  spiace,  e  sembra  affumicala 
dalle  pipe  d'un  corposi  guardia. 

Dovete  adunque  con  attenzione,  mia  cara  figlia,  procu- 
rare sino  dai  primi  anni  di  guadagnarvi  la  buona  opinione;  e 
frattanto  che  voi  siete  ancora  bambina,  io  vi  anderò  scri- 
II.  22 


21^1  RICORDI  A  MIA   FIGLIA. 

vendo  quanto  mi  ftmbra  ulile  a  voi  di  sapere  e  di  meditare 
per  un  (al  fine. 

La  provvidenza  del  grand' Essere  vi  ha  fatto  nascere 
da  una  famiglia  nobile,  e  condecorala,  e  dotata  di  conve- 
nienti facoltà:  non  avrete  occasione  di  seniire  i  mali  e  l'av- 
vilimento della  povertà.  Se  però  non  dovete  provarli  per  vo- 
stra sorte,  riflettete  che  molli  altri  simili  nostri  fratelli  lì 
soffrono.  Voi  siete  bene  alloggiata,  e  pasciuta,  e  vestila  ;  altre 
figlie,  che  hanno  una  sensibilità  uguale  alla  vostra,  stanno  in 
un  miserabile  tugurio ,  (remano  nelle  notti  d'inverno  sulla 
paglia,  eotìroiìo  \s  fame,  e  a  tutti  questi  màìr  si  aggiùnge  la 
vergogna  della  loro  condizione.  Siate  attenta  nel  rispettare 
l'umanità,  badate  che  per  disattenzione  non  mostriate  mai 
Irasenranza  per  gì'  infelici.  Somma  bassezza  é  Tinsultarli  col 
fasto;  la  buona  intlole  vi  suggerirà  anzi  di  abbassarvi  ad  essi, 
Irattarii  con  bontà,  con  cortesia^,  e  con  maggior  riflessione 
che  non  fareste  colte  vòstre  pari.  Una  vostra  pari  non  resterà 
offésa  da  una  distrazione;  una  infelice,  sempre  occupata  dei 
mali  propri,  crederà  che  sia  orgoglio  e  fasto  in  voi. 

Chi. è  mai  ricco  abbastanza,  o  chi  Io  fu  mai  per  benefi- 
care tutti  i  bisognosi?  Nessuno,  se  intèndà^nsi  beneficj  i  soli 
donativi;  làa  se  riflettiamo  bene,  il  tesoro  della  beneficenza 
d'un'  anima  buona  é  inesauribile.  Un  consiglio  dato  a  tem- 
po, uù  paziente  interessamento  nelle  miserie  altrui,  una  pa- 
rda  detta  a  proposito,  un  rincoramento  dato  jprudentemenle 
ad  un  abbattuto,  è  cento  simili  atti  di  animo  veramente  no- 
bile e  buono,  sono  veri  e  reali  beneficj,  che  non  Impoveri- 
soono.  chi  li  fa,  e  possono,  o  cavare  dall'  infelicità  chi  vi  si 
trova,  ovvero  rendergliela  almeno  più  sopportabile.  Con  un 
avviso  dato  saggiamente,  impedirete  che  l'infelice  non  di- 
venti àncora  più  miserabile  ;  coli*  umana  accoglienza  lo  ri- 
manderete consolato,  e  almeno  per  qualche  tempo  gli  cal- 
merete il  senso  dei  suoi  mali,  fra' quali  un  grandissimo  si  è 
il  timore  del  disprezzo.  Un  uflBcio  fallo  in  buon  tempo  può 
far  rivolgere  l'altrui  beneficenza  sopra  di  una  famiglia.  Ri- 
cordatevi, cfara  figlia,  che  le  persone  anche  di  merito  distin- 
to, quando  sono  infelici,  cessano  di  essere  amabili;  non  vi 
ributti  la  malinconìa  del  loro  volto  ;  non  la  noia  dell' unifor- 


RICORDI   A   UIÀ  FIGLIA.  25o 

mila  dei  loro  discorsi.  Uoa  buona  dama  si  fa  un  delizioso 
piacere  di  rimandare  sereno  quel  toUo  che  le  si  presenta  ab- 
battuto: date  libero  sfogo  alla  tristezza  dell*  infelice  ;  la  to- 
^ra  bontà  neir  ascoltarlo,  l'Interesisaryi  cbe  farete  al  suo 
dolore,  aoderanno  gradatamente  consolandolo;  l'atmosfera 
dell'anima  baona  infonde  la  pace  in  chi  se  le  avvicina. 

Seguendo  i  puri  moviménti  del  vostro  cuore  benefico  con 
questa  costante  attenxione,  voi  avrete  tante  voci  che  vi  be- 
nediranno, quante  persone  povei^  ed  afflitte  si  saranno  pre- 
sentate a  voi  ;  e  cominciando  da  questa  classe  di  persone,  la 
buona  opinione  e  fi  buon  nome  piantano  al  basso  radici  pro- 
fonde; la  pianta  s'erge,  e  ad  onta  dei  venti  ed  ostacoli  che 
pia  facilmente  incontra  fra  «n  livello  più  alto,  francamente 
li  supera.  Io  ho  sempre  seguitato  questo  principio,  e  per  sen- 
timento e  per  riflessione.  La  classe  ìnfima  è  la  pia  facile  a 
cattivarsi  :  essa  valuta  ogni  atto  di  bontà  che  le  venga  fatte 
dà  una  persona  distinta.  Io. ho  fatto  il  mio  sistema  di  comin- 
ciare la  mia  riputazione  dal  popolò,  salutando  cortesemente 
chiunque,  essendo  umano  e  popolare,  e  beneficando  quanti 
poteva,  o  con  denaro,  o  con  nfficj,  o  con  maniere  consolan- 
ti. Ho  procurato  che  nessuno,  massime  piccolo,  partisse  da 
me  se  non  contento;  taluno  ancora  partiva  entusiasta,  e  colle 
lagrime  di  consolazione  e  di  tenerezza  sugli  occhi.  Questa 
classe  di  persone  ha  costretto  ì  nobili,  e  i  ministri  medesimi, 
a  piegarsi,  e  od  a  tacere,  od  a  dir  bene  di  me.  I  poveri  sono 
invidiosi  dì  noi  nati  in  un  rango  che,  seòondo  l'opinione  loro, 
è  d'un' altra  «fera:  i  nostri  pari  si  che  temono  il  nostro  me- 
rito. Perciò,  se  volete  avere  un  buon  nome,  cominciate  a 
porre  ogni  vòstro  studio  per  guadagnarvi  la  povera  gente 
e<^a  popolarità,  colla  mansuetudine,  colla  dolcezza,  colla 
pazienza  e  coi  beneficj. 

'  Non  vi  é  in  politica  principio  più  sincera  e  più  raffinato 
di  questo.  Noi  abbiamo  bisogno  della  opinione  pubblica;  e  il 
mezza  più  sicuro,  facile  e  costante  per  acquistarla,  si  è  di  cat- 
tivarsi i  voti  dei  popolani.  Federico  re  di  Prussia  ha  potuto 
giungere  al  grado  di  glòria  a  cui  è  arrivato ,  ha  potuto  ab- 
bassare tutti  i  grandi,  ridurre  i  ministri  ad  esser  meri  stru- 
menti dei  suoi  voleri ,  stabilire  e  creare  una  nuova  potenza 


256  RlCOftDI  A  MIA  FIGUA. 


in  Eotopa  ;  ma  odo  dei  mezzi  prìneipalìssìmi  è  tUio  ramor 
della  plebe^  Vestito  sempre  senza  lasso,  .abilaodo  senza  pom- 
pa,  rappresentando  piv  il  soldato  che  il  re,  rìeeYendocon 
ugnale  attenzione  le  sappUclie  del  c«itadino  e  del  prìncipe, 
rispondendo  di  proprio  pqgno  ad  on  arf^[iano,  se  occonen; 
vegliando  perchè  1  pesi  delle  imposte  non  cadessero  indisett- 
lamente  sulla  pld)e,  liberand(^  dalla  senrilà  dei  nobili,  egli 
ba  troYato  nell'  entusiasmo  del  suo  popolo  un  fondo  eapaee 
di  somministrargli  i  mezzi  per  resistere  all'  Impero,  alla  casa 
d'Austria,  alla  Francia,  alla  Svezia,  alla  lloscovia  coUegale 
a  di  lui  danno;  e  dopo  una  guerra  di  piA  anni,  concludere 
la  pace  senza  perdita  di  un  solo  palmo  di  terreno.  I  sovraai 
accorti  sempre  si  sono  -gettati  dal  partito  popolare:  amaDi 
colla  plebe,  cortesi,  affettuosi,  hanno  trovato  con  ct^  i  meiii 
da  regnare  dispoticamente  ;  e  cominciate  da  Giulio  Cesare, 
e  vanite  sino  ili  nostri  tempi.  Per  lo  contrario,  la  trascara- 
tozza  di  questo  ha  sempre  cagionato  molti  dispiaceri  a  ehi 
ha  creduto  inutile  il  suffragio  della  plebe.  La  plebe,  torno  i 
dirlo,  è  sensibile  ai  passi  che  facciamo  per  discendere  «no 
a  lei,  ce  ne  sa  buon  grado,  e  non  dimentica  né  il  nostro  fa- 
sto, né  la  nostra  attenzione.  Alcune  dame,  per  mancanza 
d'ingegno,  appena  si  degnano  d'abbassare  il  capo  alla  po- 
vera gente  che  le  saluta:  queste  sono  ridicoli  automi  chenoa 
rappresentano  bene  né  la  dama,  nò  la  donna  accorta.  Li 
cortesia  è  il  segno  dell'educazione  nobile;  la  villania é  pro- 
pria di  un' anima  sciocca  e  vile.  Tutte  le  dame  e  principesse 
che  hanno  avuto  buon  nome  di  signore  di  merito,  le  ho  co- 
nosciute attentissime  ad. usare  cortesia  con  tutti,  e  singolar- 
mente colla  plebe. 

Quando  dico  corlesia,  umanità,  bontà,  affabililà^  non 
dico  dimestichezza  ed  abbiezione.  Conviene,  cara  figlia,  ài- 
slingaere  questi  nomi,  come  viene  distinta  la  virtù  dal  vizio- 
Conviene  colle  persone  della  plebe  adoperare  tulla  la  dol- 
cezza e  pazienza;  ma  non  vi  abbandonate  mai  in  presenza 
di  esse  a  far  cosa  che  ecciti  il  riso  a  spese  vostre  ;  non  ischer- 
zate  o  motteggiate  con  esse,  per  non  ^r  luogo  a  rispoale 
indecenli.  Se  fate  diiùenticare  col  vostro  contegno  la  dislaou 
che  la  fortuna  ha  posta  fra  esse  e  voi,  cessa  il  motivo  della 


RICOBDI   A  MIA  FIGLIA.  257 

loro  gralitudiDe  ;  non  vi  considerano  più  come  discesa  al  loro 
livello  per  bonlà  e  per  virtù,  e  perdete  i  vantaggi  della  na- 
scita senza  compenso.  Una  signora  nobile,  col  lasciarsi  ve- 
dere colla  scopa  a  ripulire  le  stanze,  si  era  avvilita  a  segno 
da  dovere  soffrire  alla  fine  gli  insulti  delle  livree.  Cento-paz- 
zie innocenti  fatte  fra  i  vostri  pari,  sono  vere  sciocchezze  se 
siavi  presente  persona  plebea.  Conviene  mostrarsi  sempre 
degna  del  posto  nel  quale  siete  nata;  e  come  i  bisogni  fisici 
non  si  soddisfanno  che  in  disparte ,  cosi  alcuni-  abbandoni 
dell'  animo  nostro  non  debbono  avere  per  testimonio  che  i 
nostri  intimi  amici. 

La  slessa  massima  che  è  da  seguirsi  colla  plebe  e  coi 
poveri,  ragion  vuole  che  la  seguiate  anche  colle  persone  no- 
bili e  civili,  ma  timide  ed  avvilite.  Alcuni  sono  decaduti  a 
questo  grado  per  T oppressione  domestica,  altri  per  la  pover- 
tà, altri  per  mancanza  di  educazione  :  cercate  di  guadagnarvi 
tutte  queste  persone  colla  vostra  amorevolezza  e  cortesia. 
Una  dama  negletta,  generalmente  sarà  sensibilissima  se  non 
la  negligenterete  voi;  un  cavaliere  imbarazzato  e  timido  vi 
riguarderà  come  una  divinità,  se  gli  mostrerete  di  avere  ri^ 
guardo  per  lui.  Guardatevi  dal  motteggiare  ;  guardatevi  dal 
fasto  ;  siate  cortese,  civile,  attenta  singolarmente  con  queste 
persone,  ed  avrete  tante  trombe  che  suoneranno  le  vostre 
lodi,  e  costringeranno  le  vostre  emule  istesse  a  rispettarvi  e 
a  dir  bene  di  voi.  Vi  troverete  men  pentita  se  avrete  man- 
cato di  attenzione  alle  vostre  pari,  o  anche  superiori,  di  quello 
che  sarete,  se  dimenticate  i  riguardi  verso  le  persone  plebee, 
povere  o  abbattute  ;  perchè  le  prime  non  faranno  gran  caso 
della  dimenticanza,  avendo  esse  un  sentimento  bastante  di 
quanto  valgono,  senza  bisogno  di  testimonianze  esterne  che 
loro  lo  ricordi  ;  ma  le  ultime  provano  una  spina  crudele  nel 
cuore  ad  ogni  mancanza  di  riguardo;  e  la  difierenza  è  come 
toccare  un  membro  sano,  e  toccare  una  piaga:  il  primo  non 
soffre X  Taltra  prova  un  dolore  assai  intenso. 

L'opinione  pubblica,  come  vi  ho  detto,  sarà  quella  che 
vi  farà  trovare  un  buon  marito,  che  vi  conserverà  la  di  luì 
stima,  quella  dei  vostri  parenti,  dei  vostri  figli;  T opinióne 
obbligherà  ciascuno  a  rispettarvi,  cominciando  dallo  stesso 

22* 


2c{8  RICORDI   A  MIA  FIGLIA* 

sovrano»  e  venendo  abbasso  per  ogni  classe  di  persone.  Qae- 
sia  sarà  la  sorgente  della  voslra  felicità  :  e  per  acquistarla, 
prima  di  tutto,  abbiate,  cara  figlia,  in  mente  adunque  il  som- 
mo caso,  e  l'attenzione  instancabile  verso  tutte  le  persone  po- 
ste ìtk  condizione  minore  della  vostra.  Questo  è  il  mezzo  più 
sicuro,  ò  runico  onde  riuscire  a  ciò.  La  rinomatissima  si- 
gnora contessa  SimQnetti  era  precisamente  cosi  ;  cosi  era  la 
marcbesa  Paola  Litta,  cosi  la  marchesa  Calderari;  e  niente 
è  stato  impossibile  a  queste  tre  dante  quando  si  sono  poste 
un  desiderio  nel  cuore. 

Per  ottenere  l'opinione  pubblica,  abbiate  sonmia  atten- 
zione nell'  astenervi  da  ogni  satira  o  disapprovazione.  Io  ho 
dovuto  più  volte  pentirmi  di  avere  dimenticato  questo  prin- 
cipio, e  non  ho  mai  cavato  buon  frutto  dal  discorso  che  of- 
fendesse altrui.  Un  principio  di  virtù  era  forse  quello  che  mi 
spingeva  spesso  a  smascherare  gli  uomini  generalmeate  cat- 
tivi, e  rappresentarli  quali  essi  sono:  mi  pareva  che  in  tal 
guisa  gli  omaggi  che  rendeva  colla  lode  agli  uomini  virtuosi 
acquistassero  pregio  ;  perchè  chi  loda  tutto,  e  non  parla  mai 
con  disapprovazione,  niente  prova  colle  sue  lodi.  Per  lo  con- 
trario, chi  nei  suoi  discorsi  è  imparzialmente  disposto  a  lo- 
dare 0  biasimare,  secondo  giudica  vero,  quando  encomia  dà 
un  suffragio  più  significante.  Anche  di  più  mi  pareva  che 
non  possa  essere,  un'  azione  nobile  e  virtuosa  il  permettere 
che  sia  confuso  mai  il  buono  col  tristo,  e  che  il  disprezzo 
ed  il  discredito  generalmente  dato  al  cattivo  sarebbero  un 
efficacissimo  mezzo  per  portare  gli  uomini  al  bene ,  laddove 
la  tolleranza  pubblica  lascia  correre  lauti  nella  strada  del  vi- 
%ìo.  Infatti,  qualora  un  uomo  cattivo,  anche  ricco,  anche  sia 
in  carica,  gallonato,  dorato,  accompagnato  da  numerose  li- 
vree, vedesse  chi  incontra,  sdegnare  di  salutarlo,  evitarlo  e 
considerar  la  traspirazione  del  suo  corpo  come  contagiosa, 
questo  solo  basterebbe,  se  non  a  far  ravvedere  l'uomo  cor- 
rotto, certamente  a  farlo  servire  di  esempio,  cosicché  i  gio- 
vani sì  allontanino  dalla  carriera  del  male.  Per  lo  contrario, 
se  l'uomo  virtuoso,  anche  in  povera  fortuna  e  senza  pompa, 
si  vedesse  accolto  con  segni  di  stima  e  cortesia,  generalmente 
allora  la  società  da  sé  medesima,  indipendentemente  dalle 


BXCOttDl   A   MIA   FIGLIA.  2ó9 

leggi  civili  e  dal  governo,  si  rimoaterebbe;  e  la  verità,  la  vir- 
tù, il  merito,  rieevereU»ero  tutti  il  possibile  fomento  per  pro- 
pagarsi. Cosi  adunque  l'uomo  opererebbe  virtuosamente  col 
detestare  nei  suoi  discorsi  le  azioni  ingiuste,  col  notificare  le 
bricconerie  cbe  vengono  commesse  singolarmente  dalle  per- 
sone potenti  e  pregiate.  Io  bo  fatto  cosi  più  volte ,  e  singo- 
larmente parlando  de' ministri  venali  ed  ràsensibili  all'onore 
e  alla  verità;  ma  non  bo  mai  ottenuto  nulla  di  bene,  perchè 
gli  uomini  sono  troppo  corrotti,  e  manca  generalmente  quel 
vigor  d'animo  che  spinge  alla  detestazione  del  vizio.  I  nostri 
cittadini  avviliti  tremano,  e  guardano  come  una  stravaganza 
e  un  delirio  ogni  impeto  di  vera  e  maschia  virtù.  Mi  sono 
fatto  inimici  i  ministri  :  nessuno  ha  risparmiata  un'adulazione 
0  un  ossequio  ad  alcuno  di  essi;  e  bisogna  che  anche  al  di 
d'oggi  io  stia  iti  guardia  sopra  la  mia  lingua,  perchè,  sentendo 
io  con  energia  le  cose,  la  natura  mi  porterebbe  sempre  a  chìa-^ 
mare  chai  un  chat,  et  Rollet  un  fripon;  e  questo  non  fa  mai 
bene.  Anzi  bo  trovato,  infatti,  cbe  non  mai  ho  vissuto  bene, 
né  mai  hoavata  consolazione  di  sorta  alcuna,  se  non  quando, 
soffocando  ogni  principio  d'amarezza  e  di  sdegno,  ho  potuto 
placidamente  rìsguardare  i  virtuosi  come  rispettabili,  e  i  vi- 
ziosi come  ammalati  di  una  malattia  di  mente,  senza  insultarli. 
Credo  anzi  che  questo  modo  sia  più  ragionevole  e  degno  di  un 
fitosofo;  perchè,  essendo  per  me  una  verità  dimostrata,  che  è 
nostro  principale  interesse  di  essere  buoni  e  virtuosi,  e  che  il 
vizio,  la  bassezza  e  la  falsità^ non  producono  che  pochi  beni 
momentanei  ed  apparenti,  e  mali  essenziaiissimi  e  durevoli  ; 
secondo  me,  cbi  non  ha  veduta  questa  verità,  e  si  lascia  se- 
durre dal  vizio,  0  è  un  imbecille,  o  uno  stordito  che  pensa 
male  ai  proprj  interessi,  che  si  rovina  da  sé  medesimo,  e 
che  merita  compassione,  a  preferenza  dello  sdegno  e  dell'  in- 
sulto. 

Io  bo  voluto,  cara  figlia,  mettere  in  chiaro  questo  pria* 
cipio,  perchè,  siccome  in  me  è  stato  il  vizio  il  più  forte  che 
si  è  attraversato  alla  mia  felicità,  forse  potreste  avere  un 
animo  somigliante  al  padre;  e  di  buon'  ora  vi  voglio  avvisa- 
vo, acciocché  tacciate  buon  uso  della  mia  sperienza,  e  schi- 
viate i  mìei  errori.  In  una  donna  poi  singolarmente  è  da 


260  «CORDI  A  MIA  FIGLIA. 

sfoggire  Ogni  tratto  di  lingaa  mordace,  perchè  il  pregio  prin- 
cipale deHa  donna  è  la  dolcezza  e  la  modestia:  laddove  l'ar- 
dire è  il  pregio  dell' nomo.  Vedete  la  Venere  de'Medici,  l'Er- 
cole Farnese  ;  e  dall'espressione  dei  loro  muscoli  capirete  cosa 
sia  il  bello  nell'  nomo,  e  quanto  sia  diverso  dal  bello  nella 
donna.  Per  avere  adunque  l'opinione  pubblica  favorevole,  ò 
necessario  che  abbiate  somma  attenzione  alla  vostra  lingua, 
e  non  mai  lasciarvi  sfuggire  di  bocca  una  parola  che  possa 
mostrare  disprezzo  dì  alcuno.  Questo  non  solamente  deve  in- 
tendersi  di  astenersi  dal  biasimo  delle  azioni  o  carattere  degli 
altri,  ma  anche  dal  disapprovare  la  figura,  il  vestito  e  i  ridicoli 
degli  uomini,  e  sopra  tutto  delle  donne.  Ho  osservato  che  le 
donne  veramente  accorte  e  di  spìrito,  le  quali  hanno  passata 
felicemente  la  vita,  furono  quelle  che  non  solamente  non  con- 
tribuirono mai  alla  mormorazione,  anche  nelle  piccole  cose, 
ma  che  anzi  decisamente  prendevano  la  difesa  delhi  persona 
accusata  o  derisa,  e  cercando  il  pretesto  di  scusarla,  o  sol 
fatto  0  suir intenzione,  facevano  Tapologia  dell'assente.  Que- 
sta però  è  da  farsi  con  modestia,  e  in  .modo  da  non  insultare 
l'accusatore,  a  meno  che  egli  stesso  non  avesse  il  primo  man- 
calo impodentemenle  al  rispetto  che  si  deve  ad  una  signora: 
nel  qual  caso,  o  un  silenzio  accompagnato  da  serietà,  o  una 
mutazione  di  discorso  destramente  introdotta,  ovvero  al  caso 
estremo  una  decisa  e  placida  dichiarazione  dì  non  amare 
tali  discorsi,  fanno  rientrare  nel  loro  dovere  chiunque,  allor- 
ché la  signora,  che  ciò  fa,  goda  della  pubblica  opinione.  Vi 
raccomando  adunque,  mia  cara  figlia,  di  badar  bene  che  la 
vostra  lingua  non  pronunzi  mai  cosa  che  mostri  disistima  o 
disprezzo  ;  che  ella  sia  dolce  e  mansueta  protettrice  delie 
persone  che  si  vorrebbero  o  screditare  o  rendere  ridicole; 
e  in  tal  modo  mostrerete  un  carattere  eccellente,  sarete  ri- 
spettata ed  adorata  da  tutti ,  vi  guadagnerete  la  confidenza 
di  ognuno,  e  vi  rinfrancherete  nella  opinione  in  modo  che 
vi  troverete  a  mille  doppj  ricompensata  dello  studio  che  vi 
avrete  posto. 

Un  altro  difetto  potrebbe  diminuirvi  la  buona  opinione, 
e  l'amorevolezza  pubblica,  acquistata  che  l'aveste,  od  impe- 
dìrvene  anticipatamente  l'acquisto;  e  questo  è  la  troppa  vo« 


RICORDI   A   MIA   FICLIA  261 

glia  di  essere  stimata,  o,  per  dirlo  meglio,  la  voglia  inconside- 
rata della  stima  pubblica;  giacctiènon  è  mai  troppo  in  noi 
11  desiderio  della  stima,  essendo  questo  il  principio  della  vir- 
tà.  Alcune  donne  incantémente  amano  di  sfoderare  quello 
che  sanno,  e  carpiscono  tutte  le  occasioni  di  un  confronto 
vantaggioso.  Se  trovansi  con  altre  persone  che  non  sappiano 
il  francese  o  a  tedesco,  si  pongono  a  dirigere  un  discorso  col 
forestiere,  o  credono  di  brillare  parlando  francamente  e  ad 
alta  voce  la  lingua  ignorala  dalle  pèrsone  asiariti,  o  se  non 
ignorata,  almeno  non  posseduta  maestrevolmente.  Le  persone 
astanti,  singolarmente  le  donne,  s'annoiano,  cioè  restano 
mortificate  ed  avvilite,  ricevono  nel  cuore  dell' amarezza, 
dell'invidia,  dell'odio  contro  la  donna  che  le  ha  poste  in 
quella  situazione  umiliante:  per  una  vanità  si  fanno  dell^ 
inimicizie,  sorde  bensì,  ma^urevoli;  si  eccita  dell'antipatìa; 
ciaseona,  presa  da  sé  e  Isolata,  è  una  debole  nemica;  molti- 
plicate, sono  tante  deboli  fila  per  sé,  ma  che  riunite* vi  ?itter- 
raho.  Lo  stesso  dicasi  del  parlare  di  cose  superiori  al  livello 
delle  persone  astanti  ;  lo  stesso  dicasi  finalmente  del  voler 
parlare  molto,  e  decidere.  La  donna  di  vero  spirito  tiene  le 
sue  cognizioni  per  sé;  modestamente  ne  fa  uso  quando  l'oc- 
casione lo  vuole:  cerca  piuttosto  di  parlare  sobriamente  ma 
sensato,  che  molto  ed  eloquente  ;  considera  che  non  si  può 
essere  benvoluta  se  non  si  ha  attenzione  a  rispettare  l'amor 
proprio  altrui,  e  finalmente  conosce  questa  grandissima  veri- 
tà:— Nessuno  parte  contento  da  noi,  s'^H  non  è  contento  di 
sé  medesimo;—- verità  che,  ben  conosciuta,  é  il  eardine  della 
più  fina  e  sublime  politica  della  società.  Se  una  donna  posta 
in  an  circolo  pretenderà  di  occupare  Tattenzìone  universale, 
e  col  suo  discorso  dispoticamente  vorrà  impedire  che  cfa- 
scuna faccia  la  sua  figura,  degradandole  all'essere  di  ascol- 
tatTici,  quella  donna  sarà  poi  detestata  e  fuggita,  ovvero  po- 
sta in  ridicolo,  perchè  l'amor  proprio  di  ciascuna  è  interessato 
ad  umiliarla. 

Per  lo  contrario,  una  donna  di  spirito,  invece  di  erigersi 
in  dittatrice,  si  occupa  a  lasciare  il  campo  libero  ad  ognun(^ 
per  parlare,  e  brillare,  se  puè^ella  eccita  il  di^orso  se  lan- 
guisce la  materia  ;  ella  mostra  di  stare  attenta  a  quel  di  buono  . 


202  RtCOjaDl   A  BUA   FlGl.U. 

che  ijiluno  dìce^  e  lo  rileva  ;  ella  è,  coBOte  diceva  Soerale  é\ 
sé  medesimo ,  la  levatrice  dello  spirito  allrai;  lo  fa  sbuccia^ 
re,  Io  rìpolìsce  s^  occorre.,  lo  mette  in  vista,  ed  è  pipUiolo 
rorgaoista  che  sa  toceare  opportanamente  il  tasto,  che  la 
canna  strillatite  dell*  organo.  Da  questa  donoa  og^ano  parie 
«contento  di.  so  medesimo,  perché  gli  è  stato  dato  luogo  di 
esporre  le  proprie  idee,  che  sono  state  vaiatale  ed  ascoUaO; 
ha  oonoscivlo  che  è  stimato;  e  partendo  contento  di  sé  ine< 
desimo,  trova  adorabile  la  persona  che  gli  ha  somministrato 
il  modo  di  passar  cosi  bene  il  suo  tempo.  Se  avrete  questo 
principio,  potrete  essere  circondata  dalla  più  scelta  campa- 
gnia  del  paese  ;  e  se  avrete  la  .casa  vostra  aperta,  ricordatevi 
che  dovrete  parlare  unicamente  abbastanza  per  DMttefe  gli 
altri  in  lena  di  parlare  ;  e  voi  coli*  attenzione  a  quanto  si 
dice 9^  e  col  rilevare  i  tratti  meritevoli,  o  p^l  cuore,  o-per  Jo 
spirito,  passerete  per  donna  di  vero  spirito  e  colta,  più  di 
qaeHo  che  fareste  con  dissertazioni  o  parole  pedantesdie»  Io 
quali  ricadrebbero  in  ridicolo,  e  in  abbandono  isolante.  La 
vostra  piccola  hbreria  e  il  vostro  studio  debbono  essere  un 
mistero;  e  se  in  piccola  società  vi  accadrà  di  parlarne,  fatelo 
sempre  con  modestia,  senza  pretensione,  e  sarete  adorala. 
Bisogna  anche  astenervi  da  una  eerta  allegria  dì  schia- 
mazzo e  di  baccanale,  che  ho  veduta  pregiudicare  moltissimo 
ad  altre  donne.  Questa  esclude  la  modestia,  la.  dolcezza,  e 
quella  timidità  muliebre.che  fanno  il  pregioj  il  fiore  e  l'esca 
più  potente  per  incantare  gli  uomini.  Una  figlia  che  porla 
con  sé  una  festosa  allegria,  che  riempie  collo  scoppiar  dalle 
risa  la  ^anza,  che  oQcupa  di  sé  tutti  gli  spettatori,  non  èli- 
luminata  nei  suoi  proprj  interessi,  per  più  motivi.  Gliuomim 
temono  che  una  moglie,  diventi  la  tiranna  e  la  padrona  di- 
spotica ;  conseguentemente,  vedendola  troppo  franca  e  decisa, 
si  allontanano  e  restano  prevenuti  a  non  pensare  a  lei.  Sqbo 
d'altronde  più  i  timidi  ed  abbattuti  d'anima,  che  gli  allegri 
e  felici;  e  la  gioia  baccante  insulta  i  primi,  li  mortifica  «I 
confronto,  e  gli  Indispone.  Io  bramo,  cara  figlia,  che,  siale 
felice,  e  vi  penserò,  e  mi  occuperò  di  rendervi  tale  ;  e  quello 
che  mancherà  al  vostro  benessere  non  sarà  mai  colpa  del 
mio  cuore:  ma  desidero  che  la  vostra  felicilà  la  leoghiale 


RICORDI   A  MIA  PIGLIA.  263 

phittosto  per  TOi  slessa,  per  la  conversaiJone  inltma  óè\h 
persoffe  in  ptecol  numero  che  ri  amano,  ma  Aon  la  poniate 
mai  in  pompa  quando  'siete  in  compagnia  ;  perchè  ogni  oon* 
fronto  omiliante  per  gli  altri  gli  indisporrà  contro  di  voi  ;  e 
da  qui  nascono  quelle  che  si  chiamano  antipalié,  cioè  dispia- 
cere di  eonyivere  con  attrai,  e  dispiacere  del  hene  che  loro 
•capita.  Esise  non  sono,  a  ben  esaminarle,  cfaie  un  elfetfo  del- 
l'amor proprio  altrai  incautamente  avvilito  ed  offeso.  Regola 
generale  :  non  si  ama  mai  chi  ci  fa  scomparire;  si  ama  chi 
ci  persuade  che  noi  abbiamo  del  merito  :  e  una  donna  desti- 
nata a  vivere  nella  società,  non  sarà  mai  felice  se  non  è  ben 
voluta.  Btcordatevi  che  una  debole  inimica  è  un  filo  di  seta 
cr  di  refe  che  da  sé  poco  danno  vi  può  fare  ;  ma  a  quel  de- 
bole filo  unitene  un  secondo,  poi  un  terzo,  e  cosi  avanti,  si 
forma  una  matassa  che  ha  una  forza  da  atterrare  un  Ercole. 
Temete,  cara  figlia,  di  farvi  mal  volere,  cercate  ansi  di  farvi 
perdonare  i  vantaggi  che  avrete  e  per  lo  spirito,  ie  per  le  co- 
l^nizioni,  e  per  la  nascita,  e  per  i  comodi  della  vita:  non 
'vantate  mai  né  ponete  in  pompa  questi  vantaggi  ;  ponetevi 
cortesemente  al  Hvello  di  ognuno  ;  non  vi  arrogate  giammai 
il  primato  neU' offendere  l'amor  proprio  altrui,  né  con  pa- 
role né  eon  fatti,  e  sarete  adorata  e  felice,  perchè  general- 
mente vi  si  saprà  buon  grado  della  modersaione  che  userete; 
e  quante  meno  cercherete  voi  a  farvi  valere,  interesserete 
'gli  altri  tante  più  ad  innalzarvi.  Anzi,  come  non  manche- 
ranno giammai  delle  donne  leggiere  ed  incaute,  che  poste  ih 
'fortuna,  col  lor fasto  e  colla  loro  indiscreziooe  offendano 
mimor  proprio  altrui ,  sarete  da  tutta  questa  classe  numero- 
sissima di  persone  ofiésé  ed  umiliate  posta  In  allo  e  portata 
come  io  stendardo  per  fare  arrossire  e  mortificare  chi  le  ha 
offese.  Noa  sarete  mai  troppo  civile,  troppo  cortese,  troppo 
modesta,  0  troppo  attenta  al  benessere  altrui:  un  uomo  po- 
trebbe essere  effeminato  coir  eccesso  di  questi  delicati  ri- 
guardi ;  una  donna  sarà  nello  stato  dì  sud  perfezione. 

Quando  entrate  in  una  conversazione,  siate  attenta,  e 
ponete  prima  di  tutto  il  vostro  animo  in  tranquillità.  La  mag- 
gior parte  delle  dame  nostre  hanno  ricevuto  una  si  meschina 
educazione,  che  il  loro  animo  è  in  uh  disordine  sommo  quando 


264  EICOM»  A  MIA  FI&LU. 

entrano  in  ona  nMÌB  conversazione  e  grata  eoinpagnia.  Prire 
di  principi,  ed  incerte  sol  bene  e  sol  male,  non  avendo  altra 
nonna  che  l'esempio,  esse^ entrano  nella  sala  come  se  yenis- 
sero  in  mezzo  a  giudici  nemici  :  temono  la  critica  sul  ve- 
stito,, sol  portamento,  e  so  tutte  le  loro  azioni.  Alcune  sepa- 
rano questo  doloroso  momento  con  un  impeto  passaggero,  e 
scorrendo  rapidamente  la  sala,  vanno  a  salutare  la  padrooa 
di  c^sa,  indi  le  altre,  e  il  più  presto  che  loro  è  possibile  vanno 
a  sedersi  nel  circolo  per  togliersi  al  temuto  spettacolo.  Altre 
più  storditamente  entrano,  e  vedono  pochi  degli  oggetti  degni 
d'osservazione  in  quello  stato  d'orgasmo,  sinché  vanno  a  collo- 
carsi anch'  elleno  il  più  presto  che  sia  possibile  neir  asilo  di 
una  sedia.  Comunemente,  o  entrano  in  una  maniera  pazza, 
ovvero  con  un  ridicolo  imbarazzo,  e  negligeptarido  di  salu- 
tare i  cavalieri  che  si  sono  alzati,  insegnano  a  questi  un'al- 
tra volta  a  non  iscomporsi  per  la  dania,  e  viene  quindi  an- 
nientato quel  rispetto  al  sesso,  che  costituisce  il  pregio  di 
ona  ripulita  società.  Voi,  figlia  mia,  al  limitare  della  porla 
riflettete  che  valete  per. lo  meno  qxianto  ciascuna  di  quelle 
signore  che  tro^veretè  colà;  e  se  anche  taluna  valesse  di  più, 
non  per  questo  siete  voi  dispregevole  :  date  un'  occhiata 
tranquillamente  all'adunanza,  avanzatevi  con  passo  naturale 
e  moderato,  senza  corsa  e  senza  gravità,  fate  le  riverenze  a 
ciascuna  donna  secondo  l'usanza.  Il  meglio  è  non  pronnniiare 
alcun  complimento:  il  solo  inchino  spiega  abbastanza;  ogni 
frase  ripetuta  a  ciascuna  diventa  una  litania:  variarla  è  diffici- 
le. Da  noi  domandano  alcune  come  si  stia  di  aalote  ;  partono 
prima  di  averne  la  risposta:  qnesti  sono  complimenti  da  ospe- 
dale; neir  assemblea  si  soppongono  tutti  sani.  Altri  incauta- 
mente domanderanno  a  chi  é  a  letto  se  stia  bene,  e  simili 
scioccherie  nate  dalla  cattiva  usanza  di  volere  pronunziare 
un  complimento.  Altre  ripetono  un  r-  »erva  sua, —  altre  uno— 
schiavo* — Io  mi  diverto  qualche  volta  di  questo  spettacolo,  e  di 
rimirare  le  donne  in  questa  febbre  cagionata  dal  non  avere 
principi,  ®  ^^  n<>n  riporre  alcun  sentimento  nella  abitadine 
di  conversare.  Le  compagnie  si  dovrebbero  radunare  per  paa^ 
sarvi  bene  e  felicemente  le  ore  ;  dovrebbe  essere  esclusa  la 
maligna  diilìdenza  ;  una  gioia  tranquilla  dovrebbe  regnarvi» 


EICORDI   A   MIA   FIGLIA.  265 

ed  animarle  la  vicendevole  cura  di  esser  piacevole.  Invece, 
ciascuna  è  alla  torUra,  teme  col  silenzio  di  passare  per  in- 
sipida,  teme  di  far  ridere  col  discorso,  ora  tiranneggia  la 
compagnia  con  un  discorso  prolisso  ed  insignificante,  ora 
la  lascia  torpire;  si  fìnge  una  forzata  allegria  che  non  parte 
dal  cuore,  perchè  si  crede  che  sia  del  hon  ton  di  aver  pia- 
cere nella  società  ;  ^  si  ritorna  a  casa  colla  stanchezza  e  colla 
noia  neir  animo.  Questo  è  il  vero  ritratto  delle  conversazioni 
del  giorno  in  cui  vi  scrivo.  Forse  migliorerà  il  senso  della 
società  quando  vi  entrerete  voi;  ma  difficilmente  lo  credo. 
Sicuramente  ve  ne  ànnoierete,  ma,  con  piacere  o  con  noia, 
bisogna  passare  j»er  questa  vita,  e  conformarsi  a  queste  usan- 
ze. Entrate  col  vostro  aniaio  in  calma,  tranquillamente  salu- 
tale coir  inchino,  senza  proferir  parola,  ciascuna  dama.  Qual- 
che amica  può  essere  T  eccezione  della  regola  ;  parlatele  ed 
abbracciatela.  Ricordatevi,  se  vi  sono  uomini  in  piedi,  di  rir 
volgervi  e  salutarli,  e  non  lasciarli  cosi  lungo  tempo,  mentre 
voi  siete  a  parlare  con  qualche  amica.  Poi,  collocata  al  vo- 
stro posto,  abbiate  timore  di  parlar  troppo,  non  mai  poco. 

Yi  raccomando,  posta  che  sarete  a  sedere,  al  presentarsi 
che  faranno  a  voi  i  nuovi  venuti,  dame  e  cavalieri,  alzatevi. 
Questa  usanza  regna  da  noi  su  poche,  ma  è  una  villania  il 
non  alzarvi,  quando  una  persona  civile  vi  salutar  è  un  ob- 
bligo il  farlo;  e  se  le  altre  non  lo  fanno,  mancano  allorodo- 
vere;  e  appunto  questa  mancanza  di  civiltà  è  quella  che 
autorizza  poi  gli  altri,  e  singolarmente  gli  uomini,  a  dispen- 
sarsi dal  rispetto  che  esigono  le  dame.  Un  uomo  ha  una  spa- 
da,  e  con  quella  può  far  rientrare  nel  suo  dovere  chi  gfi 
manca  di  riguardo:  un  uomo  può  avere  anche  altre  ragioni 
dì  mortificare  chi  lo  ha  ofieso.  Una  donna  deve  prevenire 
ogni  insulto,  ogni  ofiesa;  e  la  civiltà,  T  educazione,  sono  i  più 
possenti  mezzi  per  tenere  chiunque  in  dovere.  Le  cerimonie, 
diceva  un  uomo  di  spirito ,  sono  un'  invenzione  dei  saggi  per 
tenersi  lontani  gl'insensati.  Una  donna  deve  condursi  in 
modo  di  non  ricevere  mai  un  affronto  ;  perchè,  ricevuto  che 
rabbia,  è  irreparabile,  ed  ella  non  torna  più  esattamente  a 
quel  grado  di  stima  pubblica  che  godeva  prima  di  riceverlo. 
Una  dama  è  una  divinità  che  si  regge  colla  mera  opinione: 
II.  23 


266  RlCOUDl   A   MIA   FIGLIA. 

un  esempio  di  un  disprezzo  che  le  sfa  fatto,  sfiora  quel  non 
so  che  di  sacro  che  la  attornia.  Se  sarete  cortese, nobile,  at- 
tenta, civile  con  tutti,  vi  rispondo  io  che,  a  meno  di  tro- 
vare tìn  ubbriaco  o  un  furioso ,  nessun  uomo  oserà  pronun- 
ziare contro  di  voi  una  parola  nemmeno  dubbia  sul  conto 
del  rispetto  che  meritate  ;  peggio  poi,  non  oserà  mai  alcuno 
di  farvi  cosa  che  vi  offenda.  Per  quanto  siano  gli  nomini 
mancanti  di  educazione,  una  dama  civile,  colta,  affabile, 
senza  dimestichezza  e  senza  abbiezione,  savia,  costamata, 
senza  ipocrisia,  accorta  e  svelta  senza  far  la  civetta,  una  tal 
donna,  io  dico,  sempre  ne  impone  e  inspira  riverenza;  e 
tenete  pur  certo,  che  noi  altri  uomini  non  ci  prendiamo  mai 
la  libertà  di  essere  indecenti  con  .voi  donne,  se  non  quando 
voi  stesse  c'invitate  ad  esserlo. 

Niente  è  più  facile  ad  una  giovine,  per  poco  ch'ella  sia 
d'una  figura  passabile,  di  occupare  di  sé  molti  uomini  gio- 
vani che  incontra  nella  conversazione.  Basta  eh'  ella  colle 
occhiate,  col  modo  di  presentarsi  libero  e  sventato,  con  un 
tono  di  voce  alto  e  di  schiamazzo,  annunzi  la  speranza  di 
accordare  facilmente  dei  piaceri ,  fossero  anche  soli  quelli  di 
parlar  seco  di  galanterie  apertamente;  i  giovani,  or  per  sot- 
trarsi alla  noia,  o  per  curiosità,  o  per  lusinga  di  ottenere  il 
loi^  intento,  correranno  a  farle  corona.  Si  rìderà  in  quel 
crocchio,  si  toccheranno  e  baceranno  le  belle  mani,  si  farà 
fors'  anche  qualche  gesto  più  ardito  ;  e  la  giovine,  se  è  uoa 
stolida,  tornerà  a  casa  consolatissima  d'aver  brillato,  d'avere 
conquistato  essa  Sola  tutti  i  cuorì:  frattanto,  partita  l'insen- 
sata, i  libertini  ricapitolano  tutta  la  passata  conversalioDe; 
gli  uni  la  derìdono,  gli  altri  pensano  a  rinnovare  l'attacco, 
colla  speranza  di  avere  un'  avventura  con  lei  ;  si  sparge  la 
voce  della  facilità  trovata,  nasce  il  discredito  ;  nesson  uomo, 
nessun  giovine  capace  di  sentimento  si  accosterà  a  quella  ci- 
vetta; non  troverà  chi  la  sposi,  se  è  nubile;  chi  la  stimi,  se  è 
marìt^a  ;  cadrà  nel  vituperio,  e  non  avrà  giammai  un  cuore 
capace  di  amare,  che  si  degni  di  avvicinarsi  a  lei.  Noi  uomini 
vogliamo  possedere  un  cuore  di  cui  l'acquisto  lusinghi  il  no- 
stro amor  proprio.  Se  una  stoflà  sta  esposta  per  insegna  dal 
mercante,  non  si  compra  quella  per  farsi  un  vestito;  il  mer- 


BICORDI  A  MIA   FlGLli.  267 

canta  accorlo  ve  la  estrae  da  un  ripostiglio  serrato  a  chiave, 
ve  la  presenta  come  cosa  che  difficilmente  altrove  trovereste. 
Una  facile  conqaista  ci  fa  nascere  il  caprìccio  di  tentarla  una 
volta  ;  ma  il  nostro  cuore  non  vi  ha  parte  alcuna:  il  tedio,  la 
noia,  il  disprezzo,  sono  i  sentimenti  che  lasciano  neir animo 
deir  uomo  le  donne  facili.  Sarete  allevata,  cara  figlia,  in 
modo  che  sarebbe  superfluo  che  io  mi  stendessi  di  più  a  pro- 
varvi il  cattivo  negozio  che  fa  una  donna  coir  accostarsi,  an- 
che per  poco,  anche  coir  apparenza,  alla  scostumatezza  ed 
al  libertinaggio.  Vi  dirò  soltanto  su  di  questo  proposito,  che, 
in  tutte  le  osservazioni  che  ho  fatte,  ho  trovato  costantemen- 
te, che  le  donne  costumate  e  caste  hanno  gustata  una  serie 
di  beni ,  quanto  era  possibile  nelle  loro  circostanze  ;  e  che  le 
facili  e  spensierate,  per  pochi  piaceri  divorati  furtivamente, 
hanno  sofferti  mali  gravissimi.  Tre  dame  ho  conosciuta  sul 
fiore  dei  loro  anni,  morte  fra  gli  spasimi  di  una  malattia, 
guadagnata  coli' inconsiderata  facilità,  e  non  medicata  per 
lusinga,  difficoltà  e  rossore.  Una  quarta  da  me  conosciuta, 
dopo  estremi  dolori  offerti  per  mesi  a  cagione  della  stessa 
malattia,  per  disperazione  si  è  gettata  da  una  finestra,  e  due 
ore  dopo  spirò.  Il  fiore  della  bellezza  in  molte  altre  é  svani- 
to ;  esse  sono  invecchiate  negli  anni  più  verdi  per  la  stessa 
causa.  A  questi  mali  dei  quali  io  sono  testimonio,  e  vi  nomi- 
nerei le  persone  se  la  virtù  lo  consentisse,  aggiungete  la  in- 
quietudine perpetua  che  dal  marito  o  dai  parenti  venga  a 
scoprirsi  il  proprio  disonore,  il  rimorso  di  mirarsi  accanto 
un  marito,  e  saper  di  tradirlo  nel  tempo  che  lo  accarezzate; 
la  necessità  di  dover  lasciar  conoscere  la  propria  debolezza 
a  qualche  domestico  almeno;  la  ingiustizia  di  introdurre  nella 
famiglia  degli  estranei  a  depauperare  i  legittimi  eredi  ;  la  ver- 
gogna di  esser  presto  o  tardi  abbandonata,  o  trattata  con  in- 
differenza, da  queir  oggetto  che  un  tempo  vi  portò  a  mancare 
ai  più  cari,  ai  più  dolci,  ai  più  sacri  doveri  verso  voi  stessa 
e  verso  1q  sposo  ;  il  perìcolo  di  esser  voi  stessa  reggette  del 
disprezzo  o  delle  millanterie  di  un  amante:  ponete  tutta  que- 
sta serie  di  cose  da  una  parte,  insieme  a  qualche  momento 
avidamente  rubato  e  consacrato  alla  voluttà  ;  ponete  dall'  al- 
tra, la  pace  interna  di  un'anima  buona  e  nobile,  che  non  ha 


268  BICORDI  A  MIA  FIGLIA. 

rossore  di  sé  stessa,  che  adempie  ai  doveri  di  Gglia,  di  ma- 
dre, di  sposa,  che  onora  in  ogni  sua  azione  sé  medesima,  che 
gode  della  sanità,  della  freschezza  dei  saoi  anni ,  della  stima 
pubblica,  e  ne' casti  abbracciamenti  dello  sposo  trova  una  più 
para  e  placida  voluttà  protetta  da  tutte  le  leggi,  a  cui  suc- 
cedono i  figli,  tenero  pegno  di  una  lecita  unione:  esaminate 
questi  due  quadri ^  e  la  scelta  della  donna  di  spirito,  attenta 
ai  suoi  proprj  interessi,  ò  facile.  La  virtù  ci  reca  i  beni,  il  vi- 
zio ì  mali  :  questa  è  la  più  vera  e  costante  massima  anche  in 
politica.  Ed  io  ho  veduto  molti  uomini,  anche  di  qualche  spi- 
rito, pregiudicarsi,  e  cadere,  unicamente  perchè  non  si  fida- 
rono abbastanza  della  virtù,  e  per  un  momento  di  contra- 
rietà e  di  fallace  speranza  si  rivolsero  al  vizio.  E  dunque 
massimo  interesse  per  la  vostra  felicità  di  tenervi  in  un  con- 
tegno che  allontani  da  voi  il  vizio,  ed  ogni  apparenza  di  vi- 
zio. La  conquista  di  una  donna  sventata  può  animare  il  tem- 
peramento di  alcuno  in  di  lei  vantaggio;  la  costumatezza,  il 
saggio  contegno  di  una  donna  accorta  e  giudiziosa,  impri- 
mono rispetto ,  e  interessano  la  moltitudine  in  suo  vantaggio: 
la  virtù  piace  a  quei  medesimi  che  cercano  di  scostarla  da 
una  donna,  il  vìzio  è  disprezzato  da  quegli  stessi  che  per  se- 
durre ne  fanno  l'apologia. 

Ma  questa  bontà  di  cuore,  questa  virtuosa  fermezza  nei 
buoni  principj,  non  la  ostenterete,  cara  figlia:  la  vera  virtù 
è  dolce,  compassionevole,  tollerante.  Quelle  donne  che  in- 
nalzano lo  stendardo  della  virtù,  e  sembrano  portare  la  dì- 
sapprovazione  sulla  fronte,  quelle  che  si  allarmano  e  si  rag- 
grinzano ad  ogni  motto  equivoco,  quelle  che,  sempre  in 
guardia  a  censurare  le  facezie  anche  più  innocenti,  portano 
la  pretensione  dì  riformare  la  società,  sono  per  la  vera  virtù 
quello  che  sono  i  parola],  i  pedagoghi,  per  le  belle  lettere.  Se 
in  qua  compagnia  il  tono  fosse  veramente  indecente  e  disso- 
luto, non  bisogna  che  una  dama  vi  si  trovi;  e  se  per  disav- 
ventura una  volta  vi  capita,  la  donna  accorta  vi  sarà  capitata 
per  l'ultima  volta.  In  questo  caso  però,  essa  non  vi  si  mostrerà 
corrucciata,  non  spirerà  lo  scandalo;  avvedutamente  procu- 
rerà d'introdurre  qualche  discorso  che  distragga  ad  oggelli 
piacevoli  ed  indifferenti:  s'ella  non  può,  si  rifugierà  nel  si- 


RICOBDI   A    MIA   FIGLIA.  209 

lenzio,  e  senza  (rislezza  e  senza  approvazione,  ma  placida- 
mente, se  ne  ritirerà  il  piA  presto  possibile.  I  discorsi  inde- 
centi e  le  azioni  tndetenti  sono  una  mancanza  di  rispetto 
verso  la  donna  che  é  presente;  e  siccome  ho  accennato  ohe 
Taomo  ripara,  se  vuole,  i  torti  che  riceve,  e  la  donna  noi  può, 
cosi  l'espediente  che  la  prudenza  insegna  ad  ona  donna,  è  di 
mostrare  di  accorgersi  che  le  sì  manchi  di  rispetto.  Il  partito 
che  vi  consiglio,  cara  figlia,  è  di  mostrarvi  distratta  ogni 
volta  che  vi  si  tiene  un  discorso  equivoco,  d'interromperlo, 
se  continua,  con  introdurre  un  discorso  che  tolga  queir  idea; 
se  poi,  lo  che  sarà  difficile,  si  persistesse  ad  indirizzarvi  un 
.  discorso  indecente,  senza  collera,  ma  pacatamente  direte: 
—Signore,  questo  discorso  non  lo  amo.— La  tranquillità  d'una 
donna  impone,  e  sconcerta  un  dissoluto,  laddove  la  collera 
di  essa  dà  luogo  a  porla  in  ridicolo.  I  gesti  ancora,  e  i  toc* 
camenti  di  mano  o  di  braccio,  che  taluni  usano  con  una  li* 
berta  da  gente  veramente  poco  educata,  naturalmente  non 
sì  faranno  a  voi ,  perchè  il  nobile  e  civile  contegno  che  avrete 
non  permetterà  di  osarlo  ;  pure,  se  taluno  lo  ardisse,  guarda- 
tevi dal  mostrarne  mai  collera,  o  da  farvi  conoscere  offesa, 
e  scansate  destramente  l'attacco  senza  fare  una  risposta 
diretta,  ovvero  con  pace  e  freddezza  dite:  —  Signore,  questo 
modo  dì  conversare  non  mi  piace.  — 

Nella  società  bisogna  anche  guardarsi  dal  gesticolare 
molto.  Le  persone  che  hanno  molta  immaginazione  natural- 
mente sono  spinte  a  parlare  ad  alta  voce,  ad  accompagnare 
coi  gesti  ogni  parola;  sentono  con  molta  energia,  e  vorreb- 
bero sfogarsi,  e  comunicare'  quello  che  sentono  con  ogni 
aioto  di  mani,  di  occhi  e  di  voce.  Ti  è  però  un  so  che  di 
scurrile  in  questo  modo  di  esprimersi  ;  ed  a  noi  Milanesi,  che 
per  nostra  disavventura  siamo  troppo  languidi  ed  incerti  nei 
nostri  sentimenti,  di Acìlmente  si  perdonerebbe  siffatto  modo 
di  annunziarsi  ;  oltre  di  che,  egli  é  impossibile  di  esser  sem- 
pre decenti.  Una  donna  ben  educata  deve  mostrare,  come  se 
il  di  lei  animo  fosse  sempre  in  calma  e  serenità.  Il  solo  senti- 
mento ohe  le  stia  bene  èia  compassione,  la  quale  turba  qual- 
che volta  quella  pacatezza.  Quell'impeto,  quella  febbre  che 
si  annunzia  col  gesticolare,  mostrano  un  animo  in  burrasca 


270  RlCOllDI   A    MIA  JFIGLIA. 

cpotiuoa;  e  ciò  diminuisce  il  pìspelto  che  è  lauto  importante 
di  tenere  impresso  neir  animo  allrui.  Sia  adunque  composta 
la  vostra  persona,  moderalo  il  tono  della  vostra  voce;  e 
guardatevi  sopra  tutto  dall' affettazione,  cioè  dall'incauta 
imitazione  d^'  gesti  o  del  tono  altrui,  tn  uomo  o  una  donna, 
quando  sieno  eglino  stessi,  abbiano  il  loro  tono,  il  loro  modo 
di  moversi,  come  hanno  la  loro  fisonomia;  per  poco  che  ri- 
formino queUo  che  di  sconcio  siasi  in  essi  inavvedutamente 
sviluppato,  sono  «sseri  belli  e  buoni  nella  loro  classe.  Ma 
r  uomo  e  la  donna  scimmie,  sono  mostri  ridicoli  e  spregevoli. 
Una  piccola  caricatura  che  è  naturale  e  dà  vezzo  ad  una 
donna,  se  verrà  imitata,  diventerà  una  sguaiaU  buffoneria  in  . 
un'  altra.  1  gesti  studiati,  le  positure  poetiche  e  pittoresche, 
sono  Scempiaggini  che  fanno  stomaco  invece  di  alleUare.  La 
grandmarle  per  essere  amabile,  è  di  perfezionare  il  fondo 
nostro,  non  mai  d'innestare  sopra  di  noi  la  roba  ricopiala. 
Siate  priginaie,  siale  voi  medesima:  io  vi  acconsento  che  vi 
poniate  allo  specchio  per  osservarvi,  e  giudicare  dei  moli 
vantaggiosi  o  sgarbati  che  possono  prendere  i  muscoli  del 
vostro  volto  e  del  vostro  corpo  ;  ma  non  intendereste  certa- 
mente il  vp&tro  interesse,  se  prendeste  ad  imprestilo  i  movi- 
menti 0  le  singolarità  altrui. 

Io  non  vi  disapproverò  se  cercate  di  piacere.  Bramo  che 
siate  giudicata  buona,  rispettabile,  bella,  e  degna  d'amore. 
Ma  la  maggior  parte  delle  giovani  traviano,  ed  io  ve  ne  ad- 
dito la  strada.  Per  esempio,  una  giovinetta  gracile,  minu- 
ta, bionda,  può  anche  avere  della  grazia  nell'essere  sover- 
chiamente timida  d'un  ragno,  d'un  sorcio,  d'un  lampo:  fate 
che  una  donna  bruna,  grande,  di  ardile  fattezze,  cerchi  d'imi- 
tare quel  fanciullesco  grido,  e  farà  ridere  di  sé  la  hrigala. 
Una  certa  serenità  nobile  ed  imponente  è  maestosa  in  una 
giovine  di  bella  statura,  che  ha  tratti  grandiosi  nel  voU(|: 
fate  che  una  piccolina,  di  fattezze  delicate  e  vivaci,  voglia 
imitarla,  e  ne  avrete  una  stentala  parodia.  Lo  slesso  che  è 
sensibilissimo  in  tali  salti,  è  sempre  sconcio  e  forzato  an- 
che in  salti  minori.  Noi  abbiamo  ciascuno  la  nostra  fisono- 
mia, né  alcuno  sforzo  ci  farà  acquistare  giammai  la  fisono- 
mia d'un  altro.  Cosi  l'indole  nostra  ed  ogni  nostra  esteraa 


RICORDI   A   MIA   FIGLIA.  271 

azione  deve  comporre  «n  lalto  insieme  armonico  che  assor^ 
(isca  col  viso»  col  disegno  del  corpo,. col  tono  natarale  della 
nostra  voce,  e  finalmente  col  nostro  umore.  Vedete  in  un 
giardino  quanto  sono  meno  belle,  meno  verdi,  meno  sugose, 
le  piante  che  si  fanno  forzatamente  diventare  una  pirami- 
de, nn  sedile,  un  quadrato  e  simili,  di  quello  che  lo  siano 
Je  piante  anche  irregolarmente  sviluppate  all'  aria  aperta, 
come  porti  la  natura.  Se  esaminerete  questo  principio,  voi 
lo  troverete  vero  ancora  nel  genere  umano.  Le  donne  sìor 
golarmente  riescono  affettate  e  spiacevoli,  per  T abbandono 
che  fanno  del  loro  naturale,  onde  addossarsi  un'esistenza 
imitata.  La  vivace  cerchi  di  ritagliare  dalla  vivacità  i.vizj 
e  i  difetti,  ma  la  sviluppi,  e  non  prenda  un  carattere  di  se- 
rietà posticcia;  la  seria  faccia  lo  stesso,  ma  non  diventi 
stentata  con  una  vivacità  sforzata.  Ciascuna  può  essere  ama- 
bile, se  raffinerà  sé  stessa;  cesserà  di  esserlo,  se  vorrà  trasfor- 
marsi in  un'  altra.  11  gran  precetto  che  gU  antichi  scrivevano 
sul  tempio  della  Sapienza  era  :  —  Conosci  te  stesso.  —  Cer- 
cate di  entrare  in  questo  esame,  che  ^importantissimo.  Non 
è  vero  che  l'amor  proprio  ci  seduca*  Nel  secreto  del  nostro 
coore  vi  è  una  voce  che  ci  dice  sempre  il  vero:  basta  en- 
trarvi, ed  entrarvi  spesso,  ed  abituarci  a  riflettere  sopra 
i  movimenti  del  nostro  animo  ;  conoscerete,  con  un  po'  di 
tempo  ed  un  po' di  riflessione,  il  vostro  forte  ed  il  vostro 
debole.  Presentatevi  destramente  dal  primo  dèi  due  lati,  cer- 
cate di  migliorarlo,  e  celate  e  restringete  quanto  é  possibile 
il  fianco  debole;  ma  non  siate  mai  la  scimmia  altrui,  se  volete 
aver  grazia  ed  essere  amabile. 

Se  volete  essere  amabile,  e  godere  della  slima  generale, 
non  dovete  essere  nemmeno  troppo  sincera.  Io  non  intendo 
con  ciò  di  avvisarvi  a  non  dire  delle  verità  disgustose  ad  al- 
cuno: questo  è  un  documento  troppo  volgare;  ed  io  mi  rì* 
stringo  unicamente  a  palesarvi,  cara  figlia,  quelle  verità  che 
comunemente  non  si  sogli.ono dire.  Voglio  dire,  che  se  volete- 
essere  amabile,  e  godere  della  stima,  dovete  lasciar  sempre 
un  velo  sopra  di  voi  stessa,  in  guisa  che  si  conosca  che  il 
vostro  animo  non  è  arditamente  scoperto.  Io  ho  mancato, 
e  manco  spesse  volte  a  questo  precetto,  e  mi  accorgo  che  mi 


272  BlCOUDl    A    H!A   FICILII. 

pregiadko;  e  se  non  avessi  ona  carica  che  obbliga  gli  uomini 
ad  aTére  per  me  dei  riguardi,  la  mia  troppa  scbiettezza  mi 
diminoirebbe  la  stima  altrai.  Gli  oomini  non  atlrìbniscono  a 
nn  nobile  sdegno  di  avere  a  ricorrere  alle  arti  della  sìmola- 
zione,  né  al  coraggioso  orgoglio  della  yirtù,  la  franchezza  di 
palesare  liberamente  l'animo  proprio;  yi  ravvisano  bensì  o 
imperìzia  nell'arte  di  saper  vivere,  ovvero  imprudenza  e 
debolezza.  Io  non  ho  mai  veduto  nn  altr*  nomo  slanciarsi  ad 
abbracciarmi  come  farei  io,  se  un  altro  mi  si  aprisse  li- 
beramente. Trovo  generalmente  che  la  sorpresa  che  eccito 
in  loro,  li  lascia  incerti  se  mi  debbano  perciò  stimare;  o  1q- 
singandosi  d'avermi  conosciuto  perfettamente,  mi  pregiano 
meno.  Generalmente  gli  uomini  pia  coperti  ne  impongono  di 
più  ;  perché  un  oggetto  non  ben  distinto  ed  attorniato  da 
nebbia  fa  più  paura,  ed  occupa  di  (mù  l'attenzione  degli  no- 
mini, che  un  oggetto  illuminato  e  conosciuto;  perchè,  se  è 
bene  il  non  far  mai  del  male  ìigli  nomini,  è  male  che  alh 
biano  ona  positiva  sicurezza  di  non  poter  giammai  ricever 
male  da  noi.  Se  un  sagrestano  non  coprisse  la  reliquia  con 
un  velo,  e  non  la  riponesse  lontana  dallo  sguardo,  per  poi 
mostrarla  rare  volte,  e  con  certe  cerimonie,  il  popolo  si  av- 
vezzerebbe alla  reliquia,  e  non  ne  farebbe  che  poco  conto. 
Cosi  accade  dell'animo:  se  egli  é  lìmpido,  schiètto,  esposto 
sempre  alla  vista  di  ognuno,  cade  nell'indifferenza,  e  forse 
nel  disprezzo.  Un  corpo  nudo  non  è  mai  tanto  volottaoso  ed 
interessante,  se  non  quando  sia  destramente  adombrato  da 
un  velo.  Una  bella  faccia  istessa,  velata  che  sia,  ancor  pia 
seduce.  Cosi  le  qualità  del  nostro  animo  sfacciatamente  node 
sptacciono  ;  velate  ed  elegantemente  esposte  a  un  lume  anche 
nn  poco  equivoco,  ispirano  riverenza ,  interessano  la  carìo- 
sità,  e  fanno  amare  e  pregiare  chi  sa  cosi  mostrarle.  La  virlA 
stessa  troppo  nuda  cessa  di  piacere.  Una  donna  di  coi  le  azioni 
sono  costantemente  generose  e  benefiche,  di  cui  il  tratto  è 
sempre  civile  ed  amabile,  la  di  cui  lingua  non  oflfende  mai 
alcuno,  i  di  cui  costumi  si  vedono  esattamente  virtuosi,  ma 
i  di  coi  prìncipj  nessuno  esattamente  conosce,  perchè  eHa 
apertamente  non  palesa  tutto;  questo  è  il  vero  carattere  di 
una  donna  che  può  essere  modello  della  sapienza  e  dell'ac- 


RiCOnDI   A   MIA   FIGUA.  273 

cortezza.  Tenete  ferma  questa  grande  venta,  mìa  cara  figlia, 
che  gli  oggetti  perfettamente  conosciuti  si  stimano  meno,  e 
che  gli  nomini  non  si  tengono  giammai  molto  occupati  di 
noi,  se  non  quando  noi  sappiamo  far  loro  credere  che  v'è 
ancora  del  paese  da  scoprire,  lanciando  loro  sperare  che  lo 
scopriranno,  ma  non  concedendolo  loro  giammai. 

Esaminate  questo  principio  in  ogni  occorrenza ,  e  trove- 
rete che  si  verifica  sempre  tanto  nella  società,  quanto  in 
amore.  Le  cose  tutte,  interamente  possedute  o  esattamente 
conosciute,  cessano  di  essere  pregiate.  Badate  dunque  a.  voi 
stessa,  non  manifestate  mai  i  principj  generali  che  vi  deter- 
minano, non  parlate  mai  di  voi  stessa,  nò  del  vostro  modo 
di  pensare  o  di  agire.  11  parlare  di  noi  stessi,  o  è  debolezza 
o  è  orgoglio  ;  e  sempre  è  il  più  spinoso  discorso  che  si  possa 
introdurre.  Nemmeno  dei  mali  nostri  o  degli  interessi  do- 
mestici s'ha  da  parlare  nelle  conversazionL  La  donna  accorta 
spazia  co' suoi  discorsi  lontana  da  sé,  e  lascia  sé  medesima 
attorniata  da  quella  sacra  nebbia,  che  difendendola  dagli 
sguardi  profani  la  fa  riverire. 

Sul  vostro  vestito  non  è  possibile  che  io  vi  dia  alcun 
consiglio,  giacché  la  moda  cangia  ogni  anno.  Egli  è  certo 
che  l'abito,  che  mentre  vi  scrivo,  cioè  nel  1777,  è  usato,  e 
trovato  elegante  e  vantaggioso,  sarà  trovato  ridicolo  e  mo- 
struoso quando  potrete  leggere  questi  miei  ricordi.  Gli  Asia- 
tici sono  assai  più  ragionevoli  di  noi;  essi  hanno  trovato  delle 
forme  di  vestito  veramente  nobili ,  dignitose ,  comode  e  spi- 
ranti grazia  e  gusto.  Sono  secoli  che  il  taglio  dei  loro  abbi- 
gliamenti è  fisso,  e  lo  è  talmente,  che  le  dignità,  gli  uftlcj, 
la  nazione  di  ogni  uomo  si  manifestano  dal  mòdo  col  quale 
é  vestito.  Le  donne  sono  voluttuosissime  involte  in  quei  finis- 
simi turbanti  ;  elleno  sole  hanno  conservato  il  vero  cinto  di 
Venere;  ma  noi,  col  nòstro  busto,  col  guardinfante,  e  con 
cento  pazzie,  abbiamo  sempre  delirato  e  deliriamo  tuttavia, 
ci  tormentiamo,  siamo  realmente  cattive  figure...  Ma  siamo 
nel  caso,  cara  figlia,  in  cui  è  sapienza  Tesser  pazzo  fra  i 
pazzi.  Come  dunque  faremo?  Credo  che  singolarmente  piac- 
cia una  persona,  quando  le  cose  che  ha  intorno  danno  un'idea 
della  somma  mondezza  del  corpo  che  ricoprono,  e  d'una 


274  BICOHDI  A  MIA  FIGLU. 

elegante  Irascaratezza  nell' abbigliarsi.  L'idea  di  polizia  na- 
sce dall'  aspeUo  di  nuovo  che  abbiano  lutle  le  parli  eke  ci 
vestono.  Una  sUìiSbl  che  ha  perduto  il  Incido  della  seta,  ck 
mostri  di  essere  passata  molto  fra  le  mani,  disgusta;  ma 
quand'anche  sia  poco  ricca,  se  ò  in  aspetto  di  nuova,  piace. 
I  grandi  abitoni  di  stoSe  d'oro,  sciupati,  nei  quali  l'oro  è 
sbiadito  o  imbrunito,  sembra  che  debbano  avere  un  odore 
rancido,  e  fanno  disgusto.  Oltre  poi  la  stoffa,  conviene  che 
ogni  nastro  ed  ogni  merletto  appaia  cosa  poco  usata;  eqiM- 
sta  attenzione  portatela  su  tutto,  sulle  scarpe,,  sulle  calze,  e 
singolarmente  sui  lini  che  vi  toccano  immediatamente.  Nel 
vestirvi  non  abbiate  poi  premura  che  tutto  sia  esattamefile 
compassato;  vestitevi  anzi  in  modo,  che  chi  vi  osserva  non 
conosca  lo  studio  usato,  ma  deggia  piuttosto  dire:  Se  sta  bene 
a  malgrado  della  sua  negligenza,  quanta  non  sarebbe  piò 
bella  se  vi  ponesae  tutto  il  suo  studio  l— Figlia  mia,  questo  è 
il  soUime  dell'arte,  ed  ò  il  precetto  massimo  piMr  piacere  io 
ogni  modo.  Datemi  un  ballerino  mediocre,  &  vedete  come  » 
slancia  con  impeto,  e  lascia  vedere  l'estrema  forza  e  Tal- 
.  ienzione  per  ballare.  Datemene  un  eccellente,  e  copre  rarli- 
ficìo,  cela  la  forza  ;  col  volto  placido,  con  un  moto  naturale 
di  braccia,  sembra  che  a  caso  quasi  si  collochi  nelle  più  belle 
positure  e  difficili  atteggiamenU.  Vedete  in  poesia  alcune  arie 
del  Meiastasio,  alcune  ottave  del  Tasso  e  dell'Ariosto:  pare 
che  non  siano  costate  fatica  al  loro  autore,  e  che  bastava  vo- 
ler dire  quel  pensiero,  e  che  chiunque  non  potea  dirlo  che 
cosi  :  quelli  sono  i  pezzi  che  più  incantano,  quelli  sono  i 
pezzi  veramente  sublimi.  Nella  musica,  se  una  voce  vi  fa  co- 
noscere lo  studio  e  la  somma  attenzione  del  cantante,  vi  an- 
noia; il  valente  musico  sembra  che  spontaneamente  modoli* 
e  mentre  esattamente  osserva  la  musica,  pare  che  la  traaco- 
ri.  Tutta  l'arte  di  piacere  si  riduce  a  conoscere  l'arte,  ma 
celarla,  ed  operare  in  modo,  che  chi  l'ammira,  quasi  dica: 
io  pure  farei  lo  stesso;  ma,  provandosi,  non  vi  riesca.  Con 
questo  principio,  se  una  donna  si  presenta  attillata,  ùoii^  e 
studiosamente  compassata,  chi  la.  vede  si  maraviglia obeooo 
sembri  più  bella  ancora  di  quello  che  pare  dopo  tanto  stiKiJ^^' 
Una  donna  che  si  vesta  con  un  moderalo  e  grazioso  diio^ 


RICORDI  A   MIA  FIGLIA.  275 

dine,  lascia  laogo  aH'  immaginazione  di  figararsela  mille  Tolte 
più  bella  ancora ,  se  voglia  darsi  la  pena  di  comparirlo.  Un 
uomo  di  spirito  diceva  ad  nn  ricco  che  aveva  innalzata  una 
grandissima  torre:  —  Tu  credi  di  avermi  data  ona  grande 
idea  della  tna  ricchezza,  e  t'inganni.  Prima  io  l'aveva 
grandissima;  la  tua  torre  mi  ha  fatto  conoscere  il  limite  di 
qaello  che  puoi  :  to  non  avevi  i  mezzi  per  alzarla  ancora 
cinquanta  braccia  di  pia.  —  Cosi  chi  sfodera  tutto  quello  che 
può,  e  lascia  conoscere  che  ha  fatto  il  fattìbile,  mostra  agli 
altri  il  con6ne  del  suo  potere;  e  anche  negli  abiti  e  neir eie- 
ganza  non  è  mai  cosa  saggia  il  mostrare  di  avere  fatto  il  pos* 
sibilo.  Un  pittore  di  gusto  ti  fa  una  beHa  donna  con  qualche 
leggiero  disordine  ne' capelli  e  neir  abbigliamento;  niente  è 
pia  secco  e  stucchevole,  quanto  l'esatta  simmetria:  ella  non 
serve  che  su  gli  altari,  ed  ali*  esercizio  militare;  e  questi  non 
sono  certamente  i  licei  della  grazia  e  della  venustà.  Una  gra- 
ziosa negligenza  6  adunque  l'anima  dell'abbigliamento;  e  lo 
scopo  di  ben  vestirsi  è  risvegliare  l'idea  della  somma  mon- 
dezza del  nostro  corpo.  Conviene  inoltre  che  l'abbigliamento 
abbia  un  non  so  che  di  leggiero,  cosicché  sembri  che  l'aria 
lambisca  il  nostro  corpo,  e  vi  si  cangi  intorno  facilmente. 
Quindi  un  abito  troppo  stretto  disdice.  La  mondezza  del  corpo 
sveglia  anche  l'idea  di  quella  dell'  animo  ;  e  perciò  molti  le- 
gislatori religiosi  istituirono  i  lavacri,  le  abluzioni  e  simili  ri- 
medi per  purificare  le  colpe,  essendo  ancora  collegate  le  idee 
della  purità  del  corpo  e  di  quella  dei  sentimenti.  Voi  sarete 
allevata  in  modo,  che  avrete  un  bisogno  di  essere  monda  tut- 
ta, come  le  altre  fanno  nel  viso.  Nel  vestire  poi,  conviene 
uniformarsi  alf  usanza,  non  portandola  all'eccesso.  Mi  pare 
però  che  i  colori  indecisi  convengano  meglio  alla  bellezza 
d'una  donna,  che  i  prìmigenj  del  prisma.  Vi  consiglio  di 
esaminarvi  bene  allo  specchio  prima  di  uscire  di  casa,  di 
adornarvi  con  grazia,  e  di  porre  ogni  studio  a  coprire  lo  stu- 
dio; insomma  a  far  si  che  s'abbia  a  dire  di  voi  : 

Le  negligenze  sue  sono  arlìficj. 

Fuori  dì  casa  però,  o  nella  compagnia,  non  mostratevi  giam- 
mai occupata  di  voi  slessa,  o  del  vetro  vestito;  tanto  più  darete 


276  CICOSDl   ▲  MU   Fl&LU. 

risalto  aDa  figura  vostra;  e  sopiattailo astenetevi  dal  condan- 
nare gF4W»nfai  il  gusto  altrui.  L'arte  iosomma  in  tatto  è  quella 
di  non  abbagliare  al  primo  i^esenlarsi,  alixi  di  far  poco  o 
nisson  senso,  nu  d'essere  in  modo,  che  quanto  {mu  yenite 
esaminata,  tanto  più  piacciate.  Osservate  il  meui^omo;  esso 
sorprende,  abbaglia,  stanca,  è  sempre  lo  stesso  oggetto  :  os- 
servate un  bel  cielo  anurro,  sereno  e  stellato  ;  vedrete  quei 
ponti  lucidi  della  grande  volta,  sparsi  in  disordine  senza  àm- 
metria,  ma  con  un  ordine  cosi  vago,  curioso,  che  ciascuno 
cerca  di  ravvisarvi  qualche  figura.  Rapito  cosi  rocchio,  ra- 
pita r immaginazione  in  un  dolce  incantesimo,  non  vi  sa- 
ziate di  contemplarlo.  Go^  è  la  figura  della  donna  piacevole; 
cosi  è  fl  suo  stile,  il  suo  modo  :  nulla  che  annunzi  preten- 
sione di  occupare  di  sé  slessa,  ma  tutto  ordinato  in  modo 
che  insensibilmente  gli  altri  se  ne  occupino,  e  non  se  ne  sa- 
ziino.  Siate  piuttosto  una  bella  notte,  anzi  che  un  bel  giorno. 
Lo  slesso  che  dico  del  vestito,  lo  dico  anche  della  carrozza, 
livree,  appartamenti  ec.,  se  dipenderà  da  voi:  l'oro,  il  fasto 
ciarlatanesco  non  sono  l'insegna  del  gusto,  non  compongono 
quello  che  piace.  Il  finimento,  l'eleganza,  la  perfezione  del 
lavoro,  la  ragionevolezza  dei  mobili  ec,  costituiscono  ciò  che 
piace  in  ogni  secolo. 

Fra  le  occupazioni  sociali  vi  è  il  giuoco  :  procurerò  che 
non  mi  somigliate,  perchè  io  non  so  giuocar  bene  nissun  giuo- 
co, anzi  m'annoio.  Se  è  possibile,  è  bene  che  impariate  e 
facciate  uno  studio  dei  giuochi  di  commercio.  Bisogna  procu- 
rare di  far  bene  tutto  quello  che  si  ha  da  fare  ;  e  poi,  il  co- 
noscere i  giuochi  è  un  capo  di  profitto  sensibile,  o  almeno 
impedisce  una  sensibile  perdita.  Giuocando,  però,  conviene 
guardarsi  dal  mostrare  avidità,  ira,  impazienza,  come  pure 
svogliatezza  e  trascuratezza  :  il  primo  eccesso  mostra  on  ani- 
mo niente  generoso,  il  secondo  mostra  fasto  insultante.  Pla- 
cidezza e  moderata  attenzione,  sono  i  segni  che  piace  vedere 
in  una  nobile  signora  che  giuochi.  Se  un  caso  è  dubbio,  ri- 
mettetevi al  parere  altrui;  se  è  sicuro  per  voi,  tranquilla- 
mente dite  la  ragione;  e  se  non  vi  si  fa  giustizia,  tacete  senza 
mostrarvi  malcontenta.  Badate  a  tutto  il  giuoco  anche  con 
attenzione  maggiore  di  quella  che  mostrate,  cercate  poi  di 


BICOBDI  A  MIA  FIGLIA.  277 

non  ginocare  con  persone  collericfae  o  mal  educate.  A  giuoco 
di  azzardo,  odi  molta  importanza,  non  gioocate  mai.  Un  no- 
mo si  pregindica,  nna  donna  si  prostituisce,  perchè  mostra 
avidità,  bisogno,  e  si  pone  in  necessità  di  dover  far  di  tutto 
per  mantenere  quel  vizio.  In  casa  vostra  non  permetterete 
mai  che  si  rovini  alcuno,  e  che  nissuna  famiglia  debba  male- 
dirvi per  questo.  L'educazione  che  spero  di  darvi  vi  renderà 
superfluo  quello  che  scrivo  su  di  ciò,  onde  tralascio  quanto 
di  più  potrei  dire. 

Se  in  vostra  casa  di  città  o  di  campagna,  avete  compa- 
gnia a  pranzo,  anticipatamente  procorate  che  tutto  sia  bene 
in  ordine  ;  e  poi,  quando  la  compagnia  è  adunata ,  non  vi  mo- 
strate niente  occupata  del  pranzo  o  della  cena.  Una  donna 
che  sa  regolare  la  sua  casa  ordina  tutto  in  modo ,  che  sem- 
bra andar  bene  da  sé,  come  ima  macchina.  La  inquietudine 
coi  domestici,  ì  rimproveri  sulla  lentezza  o  disattenzione  non 
si  possono  manifestare  in  faccia  alla  compagnia  ;  perchè  fa- 
reste credere  che  i  vostri  domestici  non  siano  avvezzi  a  ve- 
der buona  compagnia  in  casa  vostra,  e  togliereste  ai  convi- 
tati la  libera  giocondità,  col  lasciare  ad  essi  credere  che  la 
loro  venuta  fosse  a  voi  cagione  di  scontento.  La  maniera  più 
nobile  di  fare  la  padrona  di  casa,  è  di  non  sembrare  quasi  la 
padrona,  ma  di  starvi  come  in  un  luogo  terzo  ;  anzi,  a  tavola, 
la  maniera  più  conveniente  è  quella  di  starvi  pure  senza  ri- 
cordarvi che  sia  la  vostra  tavola,  cioè  apparentemente.  At)- 
bandonatevi  ai  discorsi  che  vi  si  faranno,  non  mai  parlate 
dei  cibi  o  degli  ornamenti  della  tavola,  se  non  per  necessi- 
tà; ed  interrogata,  dite  semplicemente  e  senza  prolissità.  Ma 
se  in  apparenza  dovete  dimenticare  il  personaggio  di  padrona 
di  casa ,  realmente  dovete  state  attenta  che  ciascuno  sia  dai 
domestici  puntualmente  servito,  e  sopratutto  badate  che  essi 
non  dimentichino  i  convitati  di  minor  conto,  il  che  sogliono 
fare  ;  e  con  un'  occhiata  i  vostri  domestici  sapranno  inten- 
dervi senza  che  alcuno  della  nobile  comitiva  se  ne  accorga. 
In  questa  guisa ,  ciascuno  sarà  libero  e  starà  con  gioia  alla 
vostra  tavola  ;  il  fame  gli  onori,  e  distribuire  le  vivande,  è  un 
tedio  per  la  padrona,  un  incomodo  pei  suoi  vicini,  e  porta 
un  cerimoniale  noioso  alla  mensa,  un  rango,  una  preminenza 
n.  24 


278  filGOE»!  A  MIA  FieUA. 

che  è  morale.  Niente  e  poi  più  disgustoso  quanto  il  vedere 
che  il  padrone  di  casa  sgridi  o  rampogni  i  suoi  domestici  : 
questa  è  una  vera  inciviltà  commessa  contro  ciascun  ospite, 
al  quale  fate  sentire  di  essere  di  cattivo  umore,  lasciate  il 
dubbio  che  lo  siate  per  cagion  sua  :  la  giocondità  e  la  repub- 
blicana decenza  sono  quelle  che  attorniano  la  donna  di  spi- 
rito quando  usa  ospitalità.  Se  il  convite  é  stabilito  prima, 
siete  in  obbligo  di  far  si  che  sia  in  ogni  parte  ben  servito  ; 
se  è  un'  improvvisata  che  sia  in  ecampagna ,  fiate  le  scuse  dai 
principio,  e  poi  non  parlate  più,  né  in  bene  né  in  male»  sulla 
tavola  :  nessuno  è  tenuto  ad  aver  pronto  un  pranzo  nelle 

forme. 

Le  cose  arbitrarie  non  vi  esponete  mai  a  farle,  se  non 
siete  sicura  di  farle  bene:  dico  esponete,  perchè  io  non  inten- 
do di  limitare  tutti  gli  onesti  capricci  che  potete  soddisfare 
nella  stretta  compagnia  di  pochissime  persone  amiche;  dico 
soltanto  in  faccia  di  parecchie  persone.  Per  esempio,  non  vi 
ponete  a  cantare  se  non  siete  certa  di  farlo  in  modo  da  pia- 
cere, CQifì  sicurezza  di  tempo,  intonazione,  portamento  di 
voce  e  padronanza  dell'  aria.  Niente  è  più  noioso  quanto  le 
smorfie  di  alcune,  le  quali  vanno  tremando  al  cembalo,  e 
dopo  cento difiicoltà,  cantano  miserabilmente,  talora  anche 
perdendo  il  filo  della  musica.  Questo  è  un  talento  che  nessu- 
no è  obbligato  di  avere,  se  non  chi  ne  fa  la  professione;  è 
un  nobile  ornamento,  ma  non  si  deve  esercitare  la  pazienza 
altrui  al  di  là  del  bisogno.  Lo  stesso  dite  del  talento  del  tea- 
tro: se  T  occasione  vi  si  presenta  di  recitare,  fatelo,  se  siete 
capace  di  farlo  bene;  e  decisamente  astenelevene,  se  non  ve 
ne  sentite  la  franchezza  e  la  capacità.  Io  non  dico  perciò  che 
avendo  questi  due  talenti  gli  dobbiate  esercitare  con  nna  de- 
cisione tale  da  far  credere  che  vi  riputiate  soverchiamente 
istrutta;  conviene  anzi  sempre  guadagnare  i  giudici  colla  mo- 
destia, collo  star  lontana  dalla  pretensione.  Gli  uomini  si  sde- 
gnano con  chi  cerca  di  forzare  la  stessa  loro  ammirazione,  e 
la  celano  piuttosto  se  non  v'  è  nna  certa  spontaneità  di  con- 
cederla; ma  la  modestia  debb'  essere  semplice,  moderata,  e 
non  scimmiottesca  e  studiata:  anzi,  esercitando  questi  talenti 
arbitrar],  aspettate  di  esserne  chiesta,  e  prestatevi  con  aria 


UGOUM  A  MU  rMUA.  ^79 

di  eompraceBia  al  desìderìo  alimi;  e  siate  sempre  caata  ala- 
seiare,  quando  tennìnate,  il  desiderio  negli  altri  che  conU- 
nnaste.  Il  talento  del  baHo  non  è  tanto  arbitrario:  potete, 
anche  ballando  mediocremente,  farlo  senza  perìcolo,  perchè 
il  ballo  è  quasi  un  esercizio,  di  cerimoniale,  e  d'altronde  non 
esige  questo  talento  l'attenzione  di  tolti  gli  altri  testimoni, 
come  V  esigono  gli  altri  due  talenti.  Quanto  più  nasconderete 
r  artifizio  e  lo  stadio  che  fate,  A  nel  canto  che  nel  decla- 
mare e  nel  ballo,  tanto  più  vi  accosterete  alla  grazia  ed  al 
bello.  Dirò  dei  talenti  quello  che  ho  scritto  sul  vestito.  Lasciate 
che  si  creda  che  potreste  fare  assai  più  di  quello  che  fkte, 
siale  un  passo  indietro  del  vostro  limite,  e  T immaginazione 
dei  vostri  giudici  crederà  che  esso  sia  discosto  ancora  assai 
più  d'  un  passo. 

Sin  qui  vi  ho  accennato  alcune  cose  che  riguardano  il 
vostro  contegno  esteriore,  atte  a  conciliarvi  la  stima  pubbli^ 
ca,  ed  a  farvi  passare  per  amabile  e  cara  creatura:  on  vi 
scriverò  alcune  altre  cose  che  riguardano  V  intema  felicità 
vostra.  Non  vi  farò  un  trattato  di  morale,  ma  vi  indicherò  al- 
cuni ponti  che  merilano  la  vostra  .attenzióne. 

La  filosofia  che  singolarmente  dominò  alla  metà  di  que- 
sto secolo,-tendettead  esaltare  le  passioni,  a  dar  loro  impeto, 
forza,  entusiasmo,  riguardandole  come  primo  mobile  del 
cuore  e  delle  azioni,  e  come  la  sorgente  della  vita  morale  e 
d'ogni  cosa  grande.  Alessandro,  Cesare,  Maometto,  sareb* 
bere  tre  nomi  sconosciuti ,  se  una  violentissima  ambizione 
non  gli  avesse  scossi  dallo  stagno  in  cui  si  trovavano,  e  sca- 
gliati, a  traverso :di  una  turbolentissima  vita,  a  conquistate , 
a  soggiogare  la  terra.  Sarebbe  ignoto  il  nome  di  Montesquieu, 
di  Newton,  di  Galileo, di  Tiziano  e  di  slmili  uomini,  se,  ani- 
mali da  un' avidissima  passione  di  gloria,  non  avessero  fer- 
mamente e  costantemente  superati  i  difficilissimi  travagli,  la 
lunga  noia  e  Y  ingiusta  freddezza  degli  uomini  pigri  e  restii 
ad  innalzare  un  uomo  cogli  applausi  al  di  sopra  del  loro  li- 
vello. Le  passioni  hanno  inventate  o  perfezionate  le  arti  tutte, 
siccome  hanno  prodotto  i  tratti  più  insigni  dirile  più  nobili  e 
delle  più  infami  azioni.  Non  si  può  negare  questa  verità.  Ma 
chiederò  io:  l'uomo  animato  da  violenti  passioni,  è  egli  più 


280  RlGOaDI  A   MIA  FIGLIA. 

felice  deir  altro  che  le  ha  moderate?  Dovendo  io  scegliere  di 
far  cose  grandi  menando  una  vita  affannosa)  ovvero  di  pla- 
cidamente godere  della  mia  esistenza,  la  sapienza  dove  mi 
consiglierà  di  propend9re?  Soffiando  io  stesso  sul  fuoco  delle 
mie  passioni,  riguardandole  come  il  prezioso  germe  della  mia 
vita  i  penso  io  da  saggio  al  mio  benessere?  Che  probabilità 
6i  è  mai  che,  nelle  combinazioni  della  mia  vita,  una  ve  ne  sia 
che  mi  apra  il  campo  a  diventare  autore  di  una  rivolozione 
che  lasci  il  mio  nome  ai  posteri  ?  Che  mi  gioverà  il  lasciarlo 
dopo  una  vita  infelice?  A  me  pare  che  questi  declamatori 
ed  eccitatori  delle  passioni  usino  V  eloquenza  che  ò  in  pra- 
tica presso  i  caporali  per  adescare  le  nuove  reclute  :  prendono 
un  giovine  del  popolo,  mal  in  arnese,  senza  speranze;  citano 
uno  o  due  esempj  di  soldati  di  fortuna  diventati  generali, 
gallonati,  titolati,  arricchiti;  seducono  T idiota  a  dare  il  nome 
a  questa  lotterìa.  Egfì  trovasi  cosi  legato  ad  una  vita  infelicis- 
sìina,  e  cento  mila  incauti  vivono  nella  più  misera  condizio- 
ne per  uno  che  ha  fatto  fortuna.  Questi  filosofi  avevano  il 
progetto  di  liberare  gli  uomini  da  ogni  specie  dì  schiavila, 
di  sostituire  una  forma  di  legislazione  dettata  dal  bene  gene 
rale,  di  stabilire  la  fraternità  e  la  virtù;  rispettabile  fanati- 
smo, il  quale  in  Parigi,  dove  aveva  la  sua  sede,  ha  fatto  pas- 
sare alle  carceri  della  Bastiglia  successivamente  questi 
scrittori,  che  gli  ha  resi  sospetti  al  governo,  e  che  ha  co- 
stretto alcuni  a  ritirarsi  in  terra  separata,  non  avendo  forse 
del  resto  risparmiato  nemmeno  up  uomo  alla  violenza  ed  al 
dispotismo  di  un  ministro.  Torniamo  sulla  strada  maestra  che 
è  stata  battuta  dai  saggi  dei  secoli  passati.  Le  passioni,  fino  a 
tanto  che  sollecitano  l'anima,  seno  eccellenti.  La  vivacità  che 
c'ispirano,  il  moto  che  producono  in  noi,  abbelliscono,  ci 
raffinano  il  gusto,  ci  tolgono  al  letargo  ed  alla  noia:  ma  s'el- 
leno vi  scorticano,  vi  pongono  la  febbre,  altro  partito  non 
«'è  che  rintuzzarle  colla  frequente  riflessione:  sono  esse  un 
liquore  spiritoso;  in  poca  dose  rianima,  in  molta  ubbriaca  o 
rende  furioso.  Un  amore  violento,  una  furiosa  ambizione  » 
un'avarizia  affannosa,  sicuramente  rendono  infelice  il  onore 
che  invadono;  ci  assorbiscono  tutta  V  anima ,  ce  la  rendono 
distratta  da  tutti  gli  oggetti  piacevoli  che  ci  si  presentano  alia 


BUSOSDI  À  MU  FlGLIJk  281 

giornata,  ci  pongono  aTanti  agli  oìDchi  an  bene  che  ci  abba- 
glia e  grandeggia,  e  quanto  corriamo  più,  tanto  più  sr  allon- 
tana. Esaminiamo  più  da  vicino  la  yerità. 

Cominciamo  dall'  amore.  Io  vi  parlo  di  una  cosa  che  non 
mi  è  straniera,  e  yi  faccio  la  descrizione  di  nn  paese  che  ho 
viaggiato  molto.  Primieramente  V  amore  nasce  sempre  dalla 
persuasione  in  cui  s' è,  d'  aver  reso  sensibile  il  coòre  dell'al- 
tro ;  e  acuramente  da  principio  uno  dei  dae  s' inganna.  Se 
ingenuamente  due  amanti  s' abbandonassero  uno  al  libero 
piacere  dell'  altro,  sarebbe  assai  breve  il  perìodo,  e  la  sazietà 
coli'  indifferenza  verrebbero  poche  settimane  dopo  il  primo 
trasporto  amoroso.  Infatti  i  popoli  agresti  e  non  ancora  inci- 
viliti,  quasi  non  conoscono  che  la  parto  fisica  d^P amore, 
come  la  natura  lo  cerca  per  la  riproduzione  dei  nuovi  esseri, 
e  come^gli  animali  fanno.  Nasce  fra  noi  la  passione  durevole 
dell'  amore  dalle  difficoltà  e  dai  contrasti.  Nessun  romanzo 
nemmeno  ti  fila  questa  dolce  e  funesta  passione,  se  non  fram- 
mischiandovi lontananze  dei  due  amanti,  parenti  che  si  op« 
pongono  ai  loro  desiderj,  accidenti  che  sempre  li  scostano 
dal  fine  cui  anelano;  e  gli  amorì  di  due  maritati,  che  paca- 
tamente convivono,  sarebbero  i  più  freddi  ed  insipidi  amorì 
del  mondo,  che  neppure  alcun  poeta  ha  osato  mai  esperii 
solla  scena  per  toccare  il  cuore  degli  spettatori.  Questo  è  tanto 
vero,  che  le  donne  astute,  le  quali  hanno  saputo  più  longa^ 
mente  tenere  in  lena  i  loro  amanti,  sono  quelle  le  quali 
sanno  dar  loro  speranze,  poi  togliere,  poi  làdonarle  con 
qualche  condiscendenza ,  indi  lasciar  temere  un  cambiamene 
to,  per  poi  somministrare  nuòva  esca  a  persuader  d^  amare, 
ed  ammantandosi  con  un  velo  sempre  volubilmente  variato, 
nascondere  il  vero  fondo  del  loro  carattere,  occultare  i  loro 
sentimenti,,  e  far  gioocare  i  vezzi  della  loro  figura, le  grazie 
del  loro  spirito,  sempre  artificiosamente  con  un'apparente  in- 
genuità capricciosa.  Le  donne  conseguentemente  più  amate 
sono  quelle  che  meno  amano,  e  non  mentano  di  esserlo.  Se 
dunque  si  tratta  di  provar  voi  la  passone  dell'  amore,  ciò 
significa  0  gettarsi  in  braccio  a  nn  mare  di  angoscio,  di  av- 
venimenti, ovvero  fidare  la  vostra  pace  nelle  mani  di  ano 
scaltro  conoscitore  del  cuore,  che  astutamente  vi  signoreggi. 

24* 


292  RICORDI   A   MIA   FIGUA. 

Cattivo  contralto,  e  sotto  di  an  aspetto  e  sotto  ddl^tro: 
cattivo  per  noi  uomini;  per  una  donna  poi,  pessimo;  perchè 
il  mondo  è  tanto  ingiusto,  che  perdona  agli  uomini  nella  loro 
gioventù  le  pazzie  del  loro  amore,  e  copre  la  donna  di  una 
macchia  che  non  le  w  loglio  più  :  sia  che  negli  uòmini  singo- 
larmente si  cerchi  il  talento  e  la  mente  per  gii  aflEari,  e  nelle 
donne  al  contrario  la  passiva  ritcnulezza»  per  prima  éóie;  o 
perchè  la  parte  degli  uomini  sia  quella  deirattacco,  e  la  fiem- 
nrinina  queUa  della  difesa,  siccome  lo  è  anche  nei  bruti; 
onde  il  vincere  non  dia  biasimo  all'uno,  e  dia  scorao  all'allra 
V  abbandonarsi  totalmente.  Io  ho  conosciuto  colla  mia  spe- 
rienza  una  donna  sola,  la  quale  abbia  fatta  la  sua  felicità 
coir  amore;  e  in  quel  tempo  medesimo  in  cui  gli  interessi  del 
di  lei  amore  andavano  più  prosperamente.,  si  poteva  con  ve- 
rità asserire  che  assai  felice  di  più  sarebbe  stata,  se  libera 
dalla  passione.  La  maggior  parte  degli  uomini  si  accosta  ad 
una  belladonna,  loda  ed  esalta  la  leggiadrìa  che  spira  intor* 
no,  latto  adulano,  sono  sommessi,  ossequiosi,  prevengono  i 
deflìderj  vostri  per  ambizione  di  piacervi:  nel  cuore  della  mag- 
gior parte  questo  non  è  che  un  costume;  se  niente  niente  vi 
fidate,  temete  che  la  vanità  di  avere  fatto  breccia  li  porterà 
a  vantarsi,  ed  a  divulgare  e  quello  che  avrete  detto,  e  di  più 
qaeUo  che  avrebbero  voluto  che  diceste.  Una  sorda  diceria 
sola  basta  a  macchiare  il  concetto  della  vostra  virtù.  Fra  tanti 
vi  sarà  taluno  più  riservato  e  più  buono;  sarà  capace  di  essere 
onesi'  uomo  anche  in  amore:  temete  di  più  quest'  nomo,  egli 
può  accendervi  la  passione  funesta^  e  poi,  quando  veramente 
amereste,  quando  liberamente  signoreggiasse  il  vostro  cuore, 
lo  stesso  possederlo  lo  renderà' annoiato;  rimarrà  ei  medesi- 
mo stupito  di  rimanere  come  ozioso,  il  bisogno  di  liberarsi 
dal  tedio  lo  farà  correre  dietro  ad  nn  nuovo  oggetto,  ed  ei 
medesimo  sarà  maravigliato,  pochi  mesi  dopo  che  con  buona 
fede  vi  giurava  un  amore  interminabile,  di  essere  annoiato 
él  voL  Un  bene  che  è  nostro  non  ci  piace  mai  tanto,  quanto 
un  bene  che  cerchiamo  di  acquistare;  ed  il  lungo  possedere 
cagiona  Findifferenzà.  Cosa  farà  adunque  una  giovine  accorta 
e  di  spirito?  Dovrà  ella  essere  un  marmo,  un  ferro  insensi- 
bile alla  più  umana  passione,  airamore,  alla  delizia  dei  cuori 


RICORDI   A  MIA  FiaUA.  383 

ben  falli?  Io  vi  rispondo  che  è  impossibile  il  guardare  colla 
stessa  iadifferenza  un  og^Uo  noioso  e  comune,  ed  un  og- 
getto amabile;  ma  però  è  possibile  il  vegliare  sopra  di  noi, 
il  mettere  buon  ordine  perchè  la  nostra  casa  non  avvampi  e 
si  consumi.  Considerale  l' importanza  somma  della  opinione 
pi^Uica,  la  fallacia  cho/è  la  base. di  questa  passione ,  il  fine 
del  tedio  a.  cui  si  va  incontro  quando  pur  riesca  bene,  e  che 
non  vi  prevenga  ramante  coir  abbandono;  F  illusione  del 
poco  di  reale  che  vi  è  nelle  figurate  delizie;  e  tenete  la  pas- 
sione tuli'  al  più  nei  limiti  d^  un  leggiero  movimento ,  pre^ 
servandovi,  o  colla  distrazione  su  di  alta  oggetti,  o  colla  pia- 
cevole occupazione  delle  belle  arti ,  o  colla  lontananza  ;  wa 
siale  bene  attenta  sopra  di  voi  medesima ,  e  sviale  il  fiumi- 
cello  prima  che,  ingrossando  le  acque,  non  vi  strascini  al 
segno  che  inutilmente  cerchereste  il  soccorso  della  ragione. 
Per  questo  motivo,  come  per  altri  ancora,  mia  cara  figlia, 
cominciate  di  buon'ora  ad  eccitare  in  voi  medesima  il  gusto 
della  occupazione  :  la  sfaccendata  oziosità  lascia  un  bisogno 
perenne  di  un  oggetto  che  ci  giunga  ad  occnpare;  e  la  donna 
si  getta  sconsigliatamente  fra  le  braccia  dell'  amore,  per  lo 
più  per  la  noia  di  non  avere  niente  da  fare.  Xa  musica  oc- 
cupa molte  ore  della  vita ,  il  disegno  egualmente;  l'abitudine 
di  esaminare  gli  oggetti,  e  di  cercare  dì  conoscerli,  vi  può 
portare  al  genio  dei  fiori,  delle  erbe ,  al  gusto  dei  mobili  ed 
addobbi ,  alle  curiositi  naturali ,  al  conoscimento  di  quel 
poco  che  si  è  scoperto  nella  fìsica,  e  cosi  genialmente  occu- 
pare il  tempo.  L' abituazione  alla  lettura  sopra  di  ogni  altro 
esercizio,  è  il  più  salutare  e  dolce  ristoro  della  vita.  Se  io 
viverò  abbastanza  per  essere  il  vostro  amico  sinché  abbiate 
vent'  anni ,  quello  che  scrivo  sa^rà  buono  solamente  a  pro- 
varvi r  aOetto  che  \o  aveva  per  voi  quando  appena  vi  accor- 
gevate di  essere  al  mondo  ;  ma  se  la  legge  universale  degli 
esseri  mi  avrà  troncati  gli  anni  .prima  che  voi  pensiate  da 
voi  medesima,  sin  d'ora  mi  è  pensiero  tenero  e  consolante 
quello  di  sperare  che  i  miei  consigli ,  che  scrivo  per  voi,  vi 
possano  incamminare  alla  felicità  che  vi  desidero.  Una  donna~ 
occupala  colle  proprie  idee,  abituata  a  riflettere  prima  di 
operare,  ad  esaminare  prima  di  credere,  non  sarà. facilmente 


284  RICORDI  A  MIA  FIGLIA. 

la  vìttima  ói  una  galanterìa.  I  librì  sono  la  più  cara  compa- 
gnia, e  la  più  istrottÌTa.  Io  approvo  che  voi  leggiate  stermi- 
natamente tutte  le  commedie  e  tutte  le  tragedie  possibili; 
sono  queste  una  dilettevolissima  occupazione  ;  vi  condacooo 
a  sviluppare  insensibilmente  in  voi  medesima  ì  penetrali  del 
vostro  cuore  e  dell'  altrui;  v'  insegnano  il  più  nobile  e  decente 
modo  dì  conversare;  vi  sviluppano  i  sentimenti  nobili  e  ge- 
neroBÌy  e  sono  una  eccellente  lezione- di  morale  pratica.  Ad- 
che  i  romanzi  scritti  con  decenza  e  con  grazia  gli  approvo: 
escludo  soltanto!  troppo  libertini ,  i  quaU,  se  avete T anima 
delicaUr,  vi  stomacano;  e  se-  sgraziatamente  T aveste  poco 
fermai  vi  prostituiscono  alla  dissolutezza.  La  favola,  la  storia, 
sono  ettime  cose  d»  esaminare  r  i  ventagli  stessi  talora  rap- 
presentano o  un'  azione  della  mitologia  o  della  storia  :  i 
quadri  nelle  gallerìe  trattano  questi  argomenti ,  ed  è  cosa  me- 
schina per  una  donna  che  si  voglia  credere  colta  e  gentile, 
r  avere  sotto  gli  occhi  e  nelle  mani  questi  oggetti ,  e  noo 
conoscerli.  Per  lo  di  più  poi,  io  non  vi  stimolerei  molto  a  di- 
ventare veramente  dotta  e  scienziata;  ma  se  il  genio  vi  spin- 
gesse, vi  presenterei  tutti  i  mezzi  per  riescirvi  e  vi  darei 
tutto  il  coraggio.  Credo  però,  che  né  voi  né  alcuno  dei  miei 
figli,  se  io  vivo  lungamente,  passeranno  mai  la  semplice  col- 
tura, e  non  sarete  sommi  in  nessuna  scienza  od  arte;  e  la 
ragione  si  è,  percjiè  io  credo  che  non  vi  sia  che  la  sola  infe- 
licità e  miseria  che  possa  spingere  ad  affrontare  le  fatiche, 
ed  a  costantemente  sostenerìe;  e  senza  questo  sforzo  conti- 
nuato non  si  esce  mai  dalla  raediocrìtà.  Vi  vuole  la  derisione, 
il  disprezzo,  l'insulto,  la  dimenticanza  dei  nostri  prossimi  pa- 
renti, per  isforzarci  a  correre  il  sentiero,  e  farci  arrampicare 
sulla  scoscesa  montagna.  Tutti  gli  uomini  che  ho  esaminali 
hanno  fatto  qualche  progresso,  nelle  persecuzioYii  e  traversie. 
Ora  siccome  io  non  voglio  che  siate  giammai  infelice,  anzi  dal 
giorno  in  cui  siete  nata,  voglio  che  godiate  di  tutti  i  beni  pos- 
sibili, cosi  dico  che  voi  e  gli  altri  fratelli  e  sorelle  vostre  non 
potranno  mai  esser  sommi,  perchè  manca  la  ragione,  fi  me- 
glio un  uomo  felice  che  un  grand'  uomo.  Una  dama,  o  altra 
donna  poi,  se  oltrepassa  i  limiti  della  semplice  coltura,  dif- 
ficilmente troverebbe  un  partito;  perchè  r  uomo  è  umiliato 


RICORDI  A  UlA   FIGLIA.  285 

se  la  moglie  ne  sa  più  di  lui.  £  però  vero  che  se  anche  yi 
maritaste,  se  io  vivo,  Tarò  in  maniera  che  mai  non  vi  possa 
mancare  dì  che  vivere  libera  e  comoda.  L' abiladine  alla 
lettura. però  coltivatela,  cara  figlia,  anzi  falevene  un  obbUgo, 
un  bisogno.  Il  tempo  degli  amori  è  dodici  anni  della  vita,  cioè 
dai  diciotto  ai  trenta;  chi  lo  continua  al  di  là,  lo  fa  con  troppa 
umiliazione:  ma  allo  scomparire  dei  vezzi,  allo  sfiorarsi  della 
freschezza  della  prima  gioventù,  la  donna  diventa  un'infe- 
licissima creatura,  se  di  buon'ora  non  ha  prevenuto  il  mo- 
mento. Lo  specchio  che  vi  diceva  tante  cose  lusinghiere,  vi 
presenta  una  figura  che  va  deperendo;  gli  uomini  si  fanno 
Treddi  ed  indifferenti  ;  tutto  diventa  abbandono  e  solitudine 
per  mia  povera  donna  leggiera ,  che  non  ebbe  altra  occupa- 
zione, che  l'adescare  coli' incantatrice  sua  giovinezza:  la 
donna  accorta,  abituata  a  molte  geniali  occupazioni,  sente 
molto  meno  gì'  insulti  degli  anni.  Io  posso  dire  di  avere  ve- 
duto un  caso  atroce  su  questo  proposito.  .La  signora  Luisa 
G.......  giovine  ricca  e  bella,  aveva  una  schiera  di  adoratori, 

ì  quali  col  passare  dei  primi  anni  svanirono  :  ella  erasi  riti- 
rata a  Modena,  e  per  avere  una  occupazione  ottenne  di  es- 
sere ammessa  a  quella  corte,  e  diventare  dama.  Ma  le  sue 
finanze  erano  troppo  sbilanciate;  dovette  ritornare  a  Milano: 
mancando  di  adoratori,  non  avendo  mezzo  dì  brillare  col- 
r araldico  lume,  inquieta,  annoiata,  p^ssò  a  Pisa,  dove  ab- 
bandonata dalla  gioventù  e  dalle  passioni,  priva  della  ri- 
sorsa di  saper  vivere  con  sé  medesima,  annoiata  dalla  situa- 
zione presente,  disperando  di  un  migliore  avvenire,  si  gettò 
dalla  finestra,  e  sopravvisse  qualche  ora  d' infelicissima  vita. 
Io  r  ho  trattata:  era  donna  buona,  ma  leggiera.  Gara  figlia, 
cominciamo  di  buon'  ora  a  mobiliare  bene  l' interna  nostra 
ritirata,  avvezziamoci  a  meditare,  a  leggere,  a  suonare,  a 
disegnare,  a  vivere  delle  ore  soli  e  senza  bisogno  dì  amori 
0  di  cortigiani:  chi  sa  vivere  con  sé  medesimo,  non  perde 
mai  la  buona  compagnia. 

Ma  per  vivere  bene  con  voi  medesima,  conviene  che 
abbiate  la  coscienza  tranquilla.  La  dissipazione  è  necessaria 
a  chi  sente  gli  spaventi  e  le  larve  della  solitudine.  Io  non 
vi  scriverò  un  lungo  trattato  di  teologia  ;  ed  unican^ente  vi 


2g6  EICOftDI  A  MU  FIGLU. 

accennerò  akani  prìnclpj  cbiari  ed  evidenti,  i  quali  potraiH 
no,  liberandovi  dalla  soperstizìone  inventata  dalla  ddwiezza 
e  dalla  malizia  di  alcuni,  consolarvi  colla  religione  emanala 
dalla  Divinità.  Volete  veder  Dio?  mirate  r immensa  vdUa 
del  cielo,  nna  bella  notte  stellata,  e  prendete  qaalclie  noli- 
zia  d'astronomia.  Volete  veder  Dio?  prendete  an  microflco- 
pio,  e  rimirate  i  minimi  insetti.  Volete  veder  Dio?  riflellele 
al  dolce  sentimento  di  consolazione  che  provate  praticando 
la  virtù,  ed  al  ribrezzo  che  provate  pel  viri©.  Tetto  vi  an- 
nunzia r immenso,  il  sainentìssìmo,  l'ottimo  Autore  della 
natura.  Dio  è  giusto,  è  grande,  è  baono.  Chìonqae  cefcasae 
di  farvi  credere  che  Dio  comandi  azioni  ingiuste,  che  esìga 
delle  puerili  e  meschine  pratiche,  che  ami  la  miseria  attrri, 
le  altrui  angosce,  è  un  indegno  di  parlare  di  Dio.  Dio  ha 
rivelata  la  religione;  non  dd>biamo  mai  presamere  d'inte»- 
deme  i  misteri,  ma  dobbiamo  esaminare  se  gli  tfibia  rive- 
lati. Chiunque  vi  dice  :—^  Adora  Dio,  e  credi  all'eterna  venti, 
sebbene  non  comprendi, — dice  bene. Chiunque  vi  dice:-?- Ti 
minaccio  le  pene  più  atroci,  se  ardisri  esaminare  se  Dio  abbia 
rivelato  quello  che  dico,— è  un  impostore.  Chiunque  vi  dice: 
—  Siate  modesta,  perdonate,  compatite,  frenate  la  colien  e 
l'imparienza;  beneficale,  amate  le  creature  del  nostro  co- 
mun  padre  Iddio,  ed  onoratda  coUa  pratica  della  virtù,— parla 
il  linguaggio  della  verità.  Chi  prìndpahnaite  vi  esorla  a  pra- 
tiche esteme  che  terminano  coli* arricchire  i  ceKbalariy  aa 
dar  loro  credito  dimenticando  la  virtù,  è  un  ipocrita.  La  le- 
ligione  innalza  l'uomo,  e  lo  accosta  all'  Essere  sapremo; 
la  superstìrione  degrada  l'Essere  eterno,  lo  deforma,  lo  im- 
piccofisoe,  ed  attribuisce  alla  snuraa  Bontà  ì  vizj  di  un  li- 
ranno  atroce  e  bidietieo,  alla  somma  Sapienza  gli  errori  vol- 
gari Chi  vi  dice:— Adora  Dìo,  e  ammira  le  opero  deOa  sn 
mano;  riconosciti  sua  creatura;  sagrifica  l'oiocauslo  delle 
passioni  malvagie ,  la  colien,  la  vendetta,  l'invidia,  Gorgo- 
glio; pratica  la  beneficenza,  sii  giusta,  fedele,  couipasBiouo- 
vole;  abbandonati  con  piena  fiducia  nelle  braccia  del  sommo 
Padre  Dio;— dit  vi  parla  cosi,  vi  annunzia  la  rdigione.  Cbi 
cerca  d'avvilire  l'animo  vostro,  di  procurare  direttamente 
o  indirettamente  il  vostro  denaro,  ehi  vi  consiglia  delle  divo- 


INCORDI  A  MIA  FIGLIA.  287 

zioni  invece  delle  virtù,  vi  annunzia  la  sapersUzione.  La  re- 
Ugione  tende  a  perfezionarci,  e  la  saperslizione  a  renderci 
imbecilli,  o  fanatici:  fidatevi  di  quel  ministro  che  non  mo- 
stra zelo  maggiore  per  dirigere  V  uomo  nobile  e  ricco,  di 
lueUo  che  adoperi  col  4)lebeo  e  col  povero.  U  vero  spirito 
della  Chiesa  considera  egualmente  preziose  ogni  uomo  in 
faccia  alla  Divinità.  Con  questi  assiomi  fecondissimi,  mia 
cara  figKa,  sciogUerete  ogni  problema,  e  vi  preserverete  dà 
ogni  seduzione.  Siate  buona,  e  confidate  placidamente;  e  se 
per  debolezza  vi  accade  di  traviai:e,  espiate  il  peccato  con 
azioni  virtuose,  non  mai  con  estemi  rituaU.  Queste  massime 
servano  a  voi ,  ma  non  siano  mai  il  soggetto  dei  vostri 
discorsi.  La  religione  è  un  affare  seriissimo,  e  non  conviene 
che  sia  il  soggetto  dèlia  conversazione.  Gli  uomini  comune- 
mente tremano  di  ragionare  su  di  questo  argomento ,  e  fra 
mlUe  potete  far  conto  che  novecento  novanta  non  V  hanno 
esaminato,  e  sono  imbecilli  e  fanatici;  e  fra  i  dieci  che  ri- 
mangono, e  potrebbero  ragionarne,  vi  sono  degli  impostori 
che  profittano  degli  errori  pubblici:  perciò,  ragionando,  sicu- 
ramente si  acquista  il  discredito  e  V  animosità  pubblica  ;  sì 
ottengono  gli  ingiuriosi  nomi  d*  ateo ,  d*  eretico,  d' incredu- 
lo, e  d'uomo  di  cattivo  carattere.  Quantunque  pura  fosse 
la  vostra  religione ,  se  mostrerete  di  disapprovare  il  sujier- 
stizioso  abuso  che  ne  fanno  gli  interessati ,  siate  certa  che 
avrete  la  taccia  d' irreligiosa.  Non  vi  mettete  in  mente  di 
correggere  i  pazzi  nella  loro  pazzia;  lasciate  che  ciascuno 
reg<rfi  fra  sé  e  Dio  la  religione  propria.  Siate  tollerante ,  e 
non  mostrate  disprezzo  delle  opinioni  popolarmente  ricevute. 
Cicerone  era  augure ,  e  non  derideva  gli  augurj  che  negli 
scritti:  conformatevi  alle  esteriori  pratiche,  anche  in  ciò 
come  nei  vestiti ,  senza  esagerare  e  senza  mancare  ;  ma,  i 
sentimenti  non  seguono  le  mode ,  e  la  ragione  sola  li  fa  na- 
scere nelle  persone  che  operano  per  princìpi .  Guardatevi  da 
coloro  che  facilmente  motteggiano  sulla  religione,  perchè  si- 
curamente, 0  sono  vani  o  leggieri,  o  talvolta  malvagi.  Gene- 
ralmente, chi  si  fa  un  pregio  d'insultare  la  pubblica  volgare 
opinione,  non  ha  maggior  ritegno  nei  suoi  discorsi  nel  par- 
lare di  una  dama:  anzi,  cercando  quel  frizzante  che  lo  di- 


288  RICORDI  A  MIA  FIGLIA. 

stingila  nelle  compagnie ,  naloralmente  coglierà  la  parte  più 
maligna  per  scoprire  il  lato  debole  di  una  donna,  e  smasche- 
rare la  condotta  di  lei,  è  fors'anco  calunniarla.  Un  nomo 
senza  religione  mi  è  sospetto,  perchè'  non  temendo  egli  an 
giadice  scrutatore  dei  cuori,  non  può  avere  altro  limite  per 
far  male,  tosto  che  ne  rinvenga  a  lui  utile  senza  pericolo,  se 
non  una  pregiudicata  opinione  dalla  quale  finalmente  si  scio- 
glie. Io  ho  conosciuto  uno  di  questi  pretèsi  filosofi,  che  buo- 
namente voleva  che  Y  aiutassi  a  preparare  il  veleno  al  suo 
albergatore  generoso  che  1'  aveva  cavato  dalla  miseria,  e 
non  aveva  altro  demerito  che  quello  di  essere  un  signore  ric- 
co, morto  il  quale,  la  moglie,  innamorata  del  filosofo,  avi^bbe 
acquistato  con  che  arricchirlo.  Io  era  nel  fiore  della  mia  gio- 
ventù; non  ho  avuta  parte  alla  trama ,  e  probabilmente  per 
ciò  il  colpo  non  si  esegui  :  ma  arrossisco  di  me  medesimo, 
ricordandomi  di  essere  slato  giudicato  opportuno  per  una 
tale  complicità.  Imparate  a  diffidare  dell'  irreligione  e  del- 
ripocrisia,  ed  accostatevi  all'adorazione  di  un  Dio  consola- 
tore ,  colla  virtù  consolatrice  dell'  umanità.  Della  religione 
non  ne  parlate  mai  ;  e  se  in  presenza  vostra  se  ne  discorre, 
lasciate  colla  distrazione  che  s'accorgano  che  questo  non 
è  argomento  sul  qualeamiate  di  parlare. 

Voi  avrete  un  marito,  dei  parenti  è  dei  figli:  questi  sono 
esseri  che  non  sono  punto  indifferenti  alla  vostra  felicità;  pos- 
sono accrescerla,  e  possono  rovinarla;  e  perciò  conviene  fis- 
sare i  principj  della  vostra  condotta  relativamente  a  loro.  Co- 
minciamo dal  marito.  La  scelta  di  un  marito  è  principali^simo 
oggetto;  e  se  vi  è  momento  della  vita  in  cui  abbiate  bisogno 
di  tutto  il  soccorso  della  ragione,  egli  è  quello  in  cui  vi  de- 
terminate a  legarvi  con  un  nodo  indissolubile  ad  un  uomo, 
dalla  volontà  di  cui  deve  dipendere  il  vostro  bene  o  mal  es- 
sere. Conseguenza  di  ciò  è  importantissima  cosa  che  non 
siate  appassionata,  e  che  la  determinazione  sia  fatta  a  san- 
gue freddo.  Fate  ogni  sforzò,  e  usale  ogni  pcdsibile  indostrìa, 
per  non  innamorarvi  prima  di  sceglierlo.  Se  la  voluttà  e  le 
sole  sperate  delizie  del  talamo  vi  guidano  all'altare,  mia  cara 
figlia,  siete  sedotta  da  una  chimera.  Quando  i  piaceri  fisici 
sono  il  principal  fine  a  cui  miriate  colle  nozze,  vi  annunzio 


liCOBDI  À  MIA   nCIUA.  2g9 

che  poco  dopo  coIl'abitaazioDe  svaporeranno»  e  non  troverete 
più  in  esse  nemmeno  il  soddìsHieimento  della  voluttà.  Ma 
qaando  la  conosciuta  conformità  di  genio,  la  dolcezza  del  co^ 
storne,  la  probità  dei  sentimenti,  la  benevolenza  che  an  gio- 
vine ha  per  voi,  tranquillamente  vi  persuadano  che  avrete 
in  quello  un  amico,  «n  compagno  amoroso j  un  consolatore, 
un  discreto  confidente  e  un  amante;  e  che  la  cara  prospet^ 
tiva  di  una  dolce,  pacifica  e  felice  unione  vi  presenta  un 
beato  avvenire;  allora  la  voluttà  viene  animata  dal  sentimen- 
to; la  gratitudine,  la  voglia  di  render  beato  l'amico  del  vo- 
stro cuore,  il  desiderio  di  piacergli,  sempre  più  la  rendono 
stabile  e  saporita.  Cosi  io  vissi  colla  vostra  buona  madre,  e 
al  quinto  anno  F  amava  più  che  al  quarto,  a  questo  più  che 
al  terso,  e  il  momento  in  cui  fui  più  indiflerente  fu  quello  in 
cui  mi  fidai  di  me  medesimo,  e  mi  abbandonai  alle  ragioni 
che  mi  consigliarono  di  unirmi  a  lei.  Temete  di  voi  stessa  e 
di  una  scelta  rovinosa,  se  avete  una  passione;  e  credetemi, 
che  sarebbe  un  paradosso  apparente,  ma  una  sensatissima  ra- 
gione, quella  di  una  donna  che  confidandosi  ad  un'amica  di-, 
cesse:  ipoterei  il  tale.,  se  non  ne  fossi  innamorata.  Per  cono- 
scere il  carattere  dello  sposo,  non  vi  accontentate  di  quello 
che  vedete  voi:  è  naturale  che  in  faccia  ad  una  giovine  ama< 
bile  si  facciano  anche  degli  sforzi  per  comparire  amabile.  Il 
carattere  si  manifesta  singolarmente  colle  persone  che  dipen- 
dono da  noi,  perchè  con  quelle  ci  abbandoniamo  alla  natu- 
rale inclinazione,  laddove  coi  nostri  uguali,  e  più  coi  mag- 
giori, forza  è  contenerci.  Un  uomo  orgoglioso  coi  suoi  inferiori 
può  esser  quanto  voglia  ofilcioso  nella  conversazione;  T  offi- 
ciosità è  una  vernice,  il  fondo  è  dispotismo  ed  orgoglio,  e  la 
di  lui  moglie  sarà  una  schiava.  Un  uomo  austero,  indiscreto 
colle  persone  che  dipendono  da  Ini,  può  esser  galante  e  ri- 
spettoso nella  società;  ma,  fatta  che  siate  sua  moglie,  sarete 
una  vittima.  Un  uomo  umano  coi  domestici ,  benefico,  discre- 
to, quand'anche  fosse  poco  officioso  o  distratto  nella  com- 
pagnia, sarà  umano,  benefico,  discreto  anche  colla  moglie. 
Badate  che  non  abbia  vizio  di  giuoco;  rarissime  volte  si  cor- 
regge tale  inclinazione  rovinosa.  Se  un  giovine  avrà  amato 
altri  oggetti,  è  meglio,  perchè  saprete  cosa  aspettarvene; 
li.  %S 


290  RICQKDI  A  MIA  PIGLIA. 

s'egli  è  slato  costante,  e  di  baona  fede,  arele  .ragione  di 
pfomettervene  altrettanto;  ma  se  volnbìle,  e  conendo  in 
traccia  delle  novità  ha  tradite  le  passioni,  ed  ha  cercata  la 
libidine  piuttosto  che  Tamore,  difendetevene.  Le  qualità  d'imo 
sposo  che  possono  rendervi  felice  sono  quelle  dell'  animo; 
cuore  sensibile,  morale,  onestà,  grazia  ed  ingegno.  Se  voi 
non  poteste  stimare  il  vostro  sposo,  sareste  infelice^  un  bel- 
lissimo stupido,  un  bellissimo  maionese  uomo,  vi  rendereb- 
bero insopportabile  il  giogo  del  matrimonio:  ma  conviene 
altresì  che  una  bell'anima  non  sia  collocata  in  una  figura  di- 
spiacevole. Badate  anche  aU'  indole  deHa  famiglia:  V  orìgine 
inOuisce  sol  naturale  dei  cavalli,  dei  cani  e  degli  uomini; 
la  regola  ha  delle  eccerioni,  ed  io  sono  interessato  a  soste- 
nerlo; ma  in  generale  è  cosa  degna  di  riguardo.  Da  unHme- 
sta  famìglia  ove  si  viva  con  onorevole  concordia,  per  lo  più 
esce  un  giovine  buono:  può  egli  riuscir  tale  anche  da  una  fa- 
miglia del  tutto  opposta,  quidora,  tormentato  sino  dai  primi 
anni  dal  vizj,  e  stomacato  dagli  inconvenienti  di  essi,  si 
animi  d'odio  contro  del  vizio  stesso,  ed  a^racd  la  consola- 
trice virtù.  Un  discreto  patrimonio  ognuno  sa  che  è  uua 
condizione  essenziale.  Una  famiglia  non  molto  numerosa,  e 
formata  da  persone  discrete,  è  pure  «n  bene  da  valutarsi.  Aa* 
che  1  natali  simili  ai  vostri  sono  da  considerarsi.  Fere,  se 
dovete  sortire  dalla  sfera  vostra  (il  che  non  è  bene),  sarà  mi- 
nor pericolo  il  maritarvi  scendendo  che  innalzandovi:  è  mi- 
giiore  la  condizione  di  chi  ha  fatto  un  beneficio,  che  di  chi 
r  ha.  ottenuto.  Soprattutto,  caca  figlia,  scegliete  senza  la  se- 
duzione d'amore,  e  preferite  i  sentimenti  alla  figura,  e  il 
corso  della  vita  alle  prime  notti.  Questo  è  in  compendio  il 
po^  che  so  dirvi  intorno  al  modo  di- vivere  bene  col  marito. 
Per  vivere  bene  col  marito  bisogna  comparire  amabile 
agli  occhi  di  lui.  Dopo  i  primi  sfoghi  dell'amore,  ooa  donna, 
per  bella  e  giovine  che  sia,  s'ella  è  trascurata,  e  se  sconsiglia- 
tamente si  sarà  abbandonata  senza  ritegno,  avrà  perduto  per^ 
sempre  le  attrattive  e  i  vantaggi  che  aveva.  Conviene  che  il 
pudore  verginale  sempre  vi  accompagni,  e  che  le  caste  con- 
discendenze che  avete  collo  sposo  non  sieno  mai  né  umi- 
lianti per  lui.,  per  un'  insultante  freddezza ,  né  una  prostttu- 


KIGOHBI  A   WA  FIGLIA.  291 

jEione  sfrontata;  ma  siano  condite  colla  modestia,  animate 
pìnttoste  daUa  sensibilità  del  caore,  che  dal  fisico  bisogno; 
ÌBsonuma  che  lo  «poso  trovi  in  voi  quasi  il  contrasto  fra  la 
natura  animale  e  la  pudicizia,  cosicché  l'una  goderebbe 
delle  carezze,  se  la  seconda  non  vegliasse  a  porvi  limite 
e  freno.  Non  permettete  mai  che  lo  sposo  sfacciatamente 
vi  riguardi,  oppur  senza  limite  vi  tocchi.  Un  velo,  cara 
figlia,  un  velo  conviene  che  vi  circondi;  poiché  un  og- 
getto pienamente  conosciuto  annoia  aHa  fine,  statene  certa. 
Conviene  usare  delle  moderate  ripulse:  talvolta  l'uomo  ha 
piacere  di  essere  sconsigliato  dal  troppo  volere;  e  nel  gra- 
zioso rifiuto  riconosce  V  amore  vero  della  sua  sposa  che  an^ 
tepone  la  sanità  del  marito  al  piacer  proprio.  Ma  le  ripulse, 
le  difficoltà  siano  giudiziose,  amorevoli;  non  mai  lasciqo 
luogo  al  mortificante  sentimento  della  vostra  indiflìerenza.  11 
momento  medesimo  della  voluttà  sia  pgdico  e  virtuoso,  e 
porli  seco  il  sacro  carattere  di  una  azione  protetta  dal  cielo 
e  dalle  leggi.  In  questa  guisa  il  marito  vi  considererà  più  da 
amante  che  da  sposo  svogliato.  Noi  nomini  siamo  fatti  cosi, 
che  sconsigliatamente  cerchiamo  di  possedere  la  donna  senza 
limite,  e  vorremmo  vederla  nelle  nostre  braccia  abbandona- 
ta; ma  se  ciò  otteniamo,,  bentosto  diveniamo  di  ghiaccio  per 
r  incauta  che  si  é  prostituita.  A  questo  .contegno  conviene 
con  somma  accoratezza  accoppiare  la  mondezza  del  vostro 
corpo,  al  che  non  potete  aver  mai  troppa  attenzione:  lavatevi 
soventi  volle,  e  cambiate  spesso  i  lini  che  toccano  le  car- 
ni: tenete  monda  la  bocca  e  i  denti,  acciocché  il  vostro  fiato 
sia  piacevole;  in  una  parola,  abbiate  cura  che  niente  sia  nella 
vostra  persona  di  disgustoso,  e  nemmeno  di  trascurato,  i  re- 
ciproci riguardi  che  si  usano  fra  di  loro  i  coniugi,  contribuii 
scono.  a  mantenere  fra  di  essi  un  reciproco  rispetto.  In  caso 
però  di  malattia,  ogni  riguardo  célsa;  e  voi  dovete  pensare 
unicamente  a  difendere,  soccorrere,  sollevare  il  vostro  spo- 
so; poiché  beneficando  voi  con  tali  servigj  il  marito,  vi  affé* 
zionerete  sempre  più  a  lui,  essendo  il  cuore  fatto  in  guisa 
che  amiamo  tanto  più  chi  abbiamo  beneficato,  quanto  più 
abbiamo  speranza  di  trovarli  grati;  e  questo  nuovo  legame 
vi  stringerà  più  a  lui  di  quello  che  potrebbe  allontanarvene 


292  RICORDI  A  HU   FIGLIA. 

in  quelle  circostanze  la  di  lai  immondezza  accidentale.  Ter- 
minata poi  che  sia  la  cagione,  ripigliate  il  decente  contegno 
abituale,  e  ve  ne  troverete  contenta.  Gò  è  quanto  ho  pen- 
sato e  sperimentato  io  per  la  felicità  coniugale,  riflettendo 
alle  sole  relazioni  fisiche:  ora  dirovvi  quello  che  ho  pensato 
per  le  relazioni  morali. 

Un  amante  si  tiene  in  Iena  colla  grazia  e  colla  volnbi- 
lità  del  capriccio,  ma  an  marito  pacifico  possessore  non  si 
conserva  se  non  con  1*  amicizia  e  colle  piacevoli  virtù.  Ogni 
uomo  ha  le  proprie  inclinazioni,  chi  alla  musica,  chi  allo 
spettacolo,  chi  atta  poesia,  chi  ai  cavaUi,  alla  caccia,  all'  eco- 
nomia ecc.  Variata  è  la  scena,  ma  ciascuno  di  noi  ha  il  sno 
genio.  Se  la  moglie  si  mostra  affatto  indifferente  alla  nostra 
passione,  e|la  naturalmente  si  scosta  da  noi,  e  ci  riesce  meno 
cara.  La  moglie  accorta  si  studia  d'informarsi  in  quella  ma- 
teria, e  si  presta  con  attenzione  e  interessamento  a  quel* 
l'oggetto,  o  ai  discorsi  che  ne  derivano,  e  questa  strada  con- 
duce alla  confidenza,  alla  società  del  cuore,  la  quale  nasce 
da  molta  uniformità,  e  dal  vicendevole  interessamento  per 
quello  che  interessa  il  nostro  amico.  In  questo  perà  conviene 
che  stiate  cauta  a  non  dare  negli  eccessi ,  come  una  signora 
che  ho  conosciuto  io,  la  quale,  per  secondare  la  passione  del 
marito  pei  cavalli^  andava  colle  sue  illustrissime  mani  nella 
stalla  a  prendere  il  tridente,  ad  adattar  la  paglia  per  cori- 
carvi i  cavaUi.  Queste  vili  prostituzioni  stomacane,  e  fanno 
demeritare  la  stima  comune.  La  vostra  attenzione  anohe  per 
le  debolezze  dello  sposo  debb'  essere  una  nobile  compiacenza 
dettata  dall'  amicizia,  non  un'  adulatrice  abbiezione.  Nella 
società  coniugale  conviene  saper  fare  di  buona  grazia  dei 
sacrifici,  e  mostrarvi  serena  in  qualche  compagnia  che  vi 
annoj ,  e  rimanere  in  villa  o  in  città  con  buona  grazia,  an- 
che sènza  voglia;  e  cosi  adattarsi  al  sistema  del  marito  e 
della  casa,  sempre  nobilmente,  e  senza  viltà.  Le  cose  asso* 
lutamente  indecenti  sono  le  sole  che  una  moglie  saggia  può 
e  deve  ricusare;  nel  rimanente»  ella  avrà  somma  cara  di 
adattarsi  al  genio  del  marito.  Il  vostro  sposo  avrà  dei  difetti 
come  ogni  altro  «omo,  e  voi  dovete  prudentemente  opersra 
io  modo  da  correggerli,  o  almeno  da  moderarne  te  cattive 


IlIGORDI  A   MIA   FIGLIA.  293 

consegaenze:  ma  questo  conviene  che  si  faccia  con  somma 
arte  e  delicatezza:  i  yizj  nostri  non  bisogna  mai  combatterli 
dì  fronte,  ma  si  deve  acquistar  tempo  e  terreno  con  disìn- 
voltora.  Per  esempio,  il  vostro  sposò  spende  incantamento, 
mosso  da  momentanei  capricci,  e  poco  dopo  si  annoia  della 
cosa  comprata;  se  nell'accesso  del  capriccio  gli  contraddite, 
attizzate  sempre  più  la  soa  voglia,  mostrate  nn  animo  so- 
spetto di  dominarlo,  ed  egli  diventerà  diffidente.  Trovate  un 
pretesto  per  differire  ;  non  mancano  mai  almeno  quelli  di  cer- 
care se  a  minor  prezzo  altrove  si  possaaver  lo  stesso,  ovvero 
miglior  cosa,  ose  altrimentimeglio  si  possa  preparare  un  la- 
voro: lasciate  che  il  tempo  ammorzi  il  momentaneo  impeto, 
eqaasi  da  sé  svanirà  la  voglia;  e  vi  ringrazierà  d'avergli  ri- 
sparmiato uno  sproposito.  Lo  stesso  dico  dell'  ira  e  di  ogni 
altra  impetuosa  voglia:  non  vi  opponete,  scansate,  ottenete 
tempo,  ed  otterrete  la  calma.  Conviene  studiare  il  carattere 
di  vostro  marito,  e  conoscere  i  momenti  opportuni  per  par- 
largli d'interessi  o  di  cose  di  noia,  e  farlo  con  buona  ma- 
niera. Guardatevi  soprattutto  di  non  lasciare  travedere  mai 
che  vostro  marito  vi  rechi  nausea  o  ribrezzo  :  una  parola  sola 
indiscreta  su  questo  articolo  potrebbe  farvi  perdere  per  sem- 
pre il  cuore  di  hii,  e  farlo  rivolgere  a  cercare  la  voluttà  fuori 
delle  vostre  braccia.  Cercate  sopratutto  la  stima  del  vostro  spo- 
so; e  questa  non  T  otterrete  ohe  con  la  pratica  costante  della 
virtù  :  rendetevi  sempre  buona,  umana,  amorevole  coi  dome- 
stici, frenando  la  maldicenza,  ma  con  nobile  decoro;  siate  sem- 
pre misurata  nei  vostri  discorsi  ;  e  risparmiando  l'altrui  ripu- 
tazione, siate  gelosa  custode  di  nn  segreto  fedelmente  riser- 
vato: siate  impegnata  nei  vantaggi  del  marito  e  della  sua 
casa,  e  otterrete  la  stima  di  lui  sicuramente.  Non  dategli  mai 
motivo  di  sospettarvi»  non  che  infedele,  nemmeno  sventata  : 
questo  é  il  punto  in  cui  una  moglie  diventa  una  schiava,  e  si 
degrada  senza  rimedio  ;  e  se  mai,  per  miseria  vostra,  lo  sposo 
sedotto  dalla  novità  di  altro  oggetto  vi  diventasse  infedele, 
cara  figlia,  in  quel  punto  vi  voglio  un'  eroina;  e  se  noa  lo  di- 
ventate, siete  perduta:  voglio  che  prendiate  tale  impero  di 
voi  stessa,  da  non  mostrarvi  mai,  con  anima  nata,  istrutta  del 
torto  che  vi  si  fa;  che  non  permettiate  mai  a  veruno  di  par- 

25* 


294  BICORDI  A  MIA   FI6LIA. 

larvene,  é  sempre  difendiate  la  condotta  di  vostro  marito, 
come  se  fosse  innocente  :  qnesta  maischia  Ywtèt  opererà  in 
modo,  che  al  primo  rafifreddamenta  del  capricm  dì  ìtàr  mW 
rerà  con  ribrezzo  la  donna  per  cai  ha  potato  far  torto  ad  una 
moglie  virtuosa ,  e  verrà  ad  piedi  vostri  ad  espiare  col  penti-. 
mento  e  con  amore  il  rammarico  che  vi  avrà  cagionato.  Le 
gielosie,  le  guerre  delle  mogli,  non  fanno  che  eternare  i  tn- 
viamenti  dei  mariti.  Rapporto  al  vostro  animo,  voi  dovete 
operare  coi  marito  col  metodo  medesimo  che  vi  ho  indicato 
per  il  vostro  corpo  ;  cioè  sempre  qnalche  angolo  dei  vostri 
sentimenti  rimanga  adombrato  ed  oscuro;  perché,  sìccone 
ho  detto,  an  oggetto  conosciuto  perfettamente,  si  pregia 
meno,  per  belio  eh'  ei  sia,  d'un  oggetto  Imono  e  bdlo  b»  in 
parte  velato.  Di  vostro  marito  parlatene  sempre  con  amicizia 
e  con  rispetto,  e  sopra  tatto  tenete  per  cerio  che  ki  prima 
ingiaria  che  sttc<^da  fra  i  coniugati,  rompe  senza  rimedio  la 
confidenza  e  l'amore.  Uno  sdegno,  una  vivacità,  nn  f^sporto 
momentaneo  si  perdonano ,  sono  un  inconveniente  insepara- 
bile dalla  nostra  organizzazione  ;  ma  on  freddo  disprezzo,  un 
odio  tranquillo,  una  vera  ingiuria,  rompe  irreparabilmente 
l'amiciiia.  Non  date  mai  occasione  al  vostro  sposo  di  essere 
geloso  ;  e  su  di  questo  punto  studiatelo  bene,  perchè  talvolta 
Tuono  ben  educato  e  sensìbile,  per  non  mostrarsi  indiaereto 
•  tiranno,  soffre  dissimulando,  il  che  poi  lo  coadoce  a  cei^ 
care  altrove  qnell'  amore,  che  non  crede  di  trovar  nella  spo- 
sa ;  ovvero,  dopo  lunga  pazienza,  ha  luogo  uno  scopi»o  tanto 
pia  vioieato,  quanto  da  più  lungo  tempo  si  va  fonnando  la 
materia  che  lo  cagiona.  Badate  minutamente,  mia  cara  figlia, 
eeome  vostro  marito  accolga  le  persone  che  vengono  da  voi, 
e  con  quai  termini  parli  di  esse  qaando  siete  soli,  e  qoal  fiso- 
«MDia  fiKCìa  vedendovele  intomo,  e  prendete  norma  da 
questo  senza  aspettare  una  formale  dichiarazioiie;  rìsfiar- 
nìando  la  quale,  anzi  prevenendotaiv  libererete  lo  sposo  da 
un  grave  peso,  e  voi  stessa  sottrarrete  da  nn  atto  di  deter- 
minazìene,  come  donna  buona  «  pendente,  che  adempie  ai 
suoi  doveri,  senza  bisogno  die  le  si  ricordino.  Siate  sincera- 
mente fedele,  e  aelia  somma  dei  piaceri,  ne  godrete  hieom- 
[arabilmente  più  che  ponendovi  snH'  infida,  ftilsa,  affanno- 


RICORDI  ▲   MU  VIGLU.  S9S 

sisslma  strada  deUa  galanterìa ,  di  cui  yi  h*  già  scrìtto  trat- 
tando di^' amore.  Se  v'è  pace,  bene,  e  voluttà  pilray  cara 
figlia,  sia  fra  le  care  braccia  della  virtù. 

La  virtù  deve  essere  la  base  della  vostra  politica  :  nella 
famiglia  non  terrete  mai  proposito  alcuno  che  possa  accen- 
dere la  dissensione,  non  rìdirete  mai  cosa  alcuna  udita,  né 
racconterete  cosa  alcuna  veduta,  che  possa  animare  la  di- 
scordia domestica  :  siate  l'angelo  della  pace  della  casa;  con- 
eiliate  gli  animi,  fomentate  la  benevolenza,  animate  quel 
comune  accordo,  quella  riunione,  a  cui  solo  le  famiglie  deb- 
bono la  pace  e  la  prosperìtà  ;  e  godrete  della  stima  di  tutti, 
non  che  di  quella  pace  e  di  quella  prosperìtà  che  contribuite 
a  conservare.  Che  se  i  caratteri  d^  parenti  sieno  tanto  stu- 
pidi o  prevaricati,  che  la  riconciliazione  fosse  impossibile,  e 
che,  immeritevoli  di  stima,  fossero  incapaci  di  sentirla;  al- 
lora almeno  ristrìngetevi  a  non  servire  mai  di  mezzo  ad  ac- 
creseere  il  male  :  le  cancrene  inoltrate  non  sono  più  sensibi- 
li, né  capaci  di  guarìgione;  ma  é  diiScile  che  voi  illuminata 
diventiate  membro  di  una  famigUa  corrotta  a  questo  segno, 
a  meno  che  il  mento  dello  sposo  non  fosse  un  compenso.  Vi 
vuole  coi  parenti  tanto  maggiore  cerimonia  ,  quanto  meno 
mentano  sentimento  ;  e  questo  è  il  partito  col  quale  terrete 
in  riserva  i  vizj  loro,  nonr  dando  loro  mai  confidenza  o  di- 
mestich^zza  tale,  onde  osino  di  liberamente  palesarveli.  I  sa- 
lariali difficihnente  hanno  afiétto  sincero  pei  padroni  :  1^  or- 
goglio è  comune  ad  ognuno,  ed  anche  la  plebe  sente  che 
sianso  tutti  fratelli  e  sorelle,  e  che  la  conditione  di  ^rvirsè 
umiliante:  per  quanto  sia  buono  il  padrone,  è  sempre  vero 
che  un  domestico  deve  continuamente  sagrifìcare  il  proprio 
bene  per  lui.  Caldo,  freddo,  pioggia,  neve,  sonno,  fame, 
stanchezza, sono  mali  che  soffre  chi  serve,  e  ciò  pei*  un  mi- 
serabile salario  che  lo  conduce  alla  vecchiezza  a  mendicare. 
Non  è  dunque  sperabile  che  questa  classe  d'uomini  sia  amica 
deUa  classe  di  altri  uomini  per  cui  vive  male.  Tenete  per 
certo  che  amicizia  non  ne  hanno,  né  possono  averne;  onde 
misuratevi.  Siale  discreta,  siate  umana,  non  amareggiate  la 
loro  condizione,  assisteteli  nelle  malattie  loro;  soccorreteli, 
ma  siale  misurata;  perchè  troppa  dimestichezza  e  troppa  li- 


296  RICORDI  A  MIA   PIGLIA. 

beralità,  invece  dì  conciliarveli,  li  renderebbe  insolenti  e  in- 
sopportabili. Singolarmente  colle  cameriere  guardate  a  que- 
sto ;  e  se  volete  conservarle  buone,  siate  benefica  con  misura, 
discreta  ma  non  confidente,  e  sempre  nobilmente  signora. 
Coi  figli  ascoltate  i  dettami  del  vostro  cuore.  Leggete 
gli  autori  che  trattano  dell*  educazione  fisica  e  morale.  Ab- 
biamo degli  ottimi  libri  che  vi  proveranno  quanto  opportuna 
ed  uoiana  cosa  sia  che  la  madre  allatti  i  figli  ;  quanto  dan- 
noso e  crudele  è  Y  uso  delle  fasce,  e  tutte  le  attenzioni  per 
conservarli.  La  prodigiosa  mortalità  dei  bambini,  che  per 
mèftà  muoiono  prima  d'aver  compiuto  Y  anno,  mortalità  che 
non  si  vede  nella  razza  degli  animali,  prova  che  ì  metodi 
comunemente  usati  sono  pessimi  :  quindi,  invece  di  far  auto- 
rità, r  uso  comune  è  anzi  un  indizio  di  quello  che  si  deve 
piuttosto  evitare.  Su  di  questo  proposito  non  ne  parlate  mai 
in  conversazione,  perchè  le  vostre  massime  sarebbero  una 
satira  indiretta  dei  padri  e  delle  madri  che  vi  ascollassero, 
e  la  minor  vendetta  che  potrebbero  fare  contro  di  voi,  sa* 
rebbe  il  deridervi  come  una  sputa-sentenze,  una  filosofessa, 
o  una  stravagante.  Non  abbiate  mai  il  ridicolo  progetto  di  ri- 
formare le  teste  della  moltitudine,  né  T  altro  non  meno  ridi- 
colo progetto  di  giustificare  voi  medesima,  quando  battete 
tracce  diverse  da  quelle  che  segue  chi  vi  ascolta.  Seguite  la 
verità,  la  ragione,  il  cuore  e  non  T usanza,  in  una  parte  cosi 
importante,  come  è  questa  della  vita  dei  teneri  vostri  bam- 
bini; operate,  e  non  fate  dissertazioni;  e  armatevi  di  una 
ferma  e  maschia  virtù,  perché  il  bene  che  farete  loro,  a  mal- 
grado del  vostro  modesto  silenzio,  vi  cagionerà  dei  sarcasmi 
e  delle  punture,  e  non  degli  ostacoli  :  ma  bisogna  avere  un 
nobile  coraggio,  e  rendersi  preparata  a  resistere  agli  urli 
deir  amor  proprio  altrui  offeso.  Io,  sebbene  nomo  e  deciso, 
alcune  volte  mi  trovai  disperata  per  la  vostra  educazione  ; 
solo  contro  le  opinioni  di  tutti,  e  singolarmente  delle  donne 
che  vi  avevano  in  cura.  Non  vi  farò  un  trattato  ;  vi  consiglio 
a  leggere  chi  ne  ha  scritto,  e  a  leggerne  più  d' uno;  e  vi  dirò, 
per  regola  generale,  che  i  vostri  veri  maestri  debbono  essero 
gli  stessi  bambini  :  badate  ai  loro  gemiti,  e  astenetevi  da 
qualunque  cosa  che  li  faccia  piangere;  satollale  la  loro  fame. 


BICOBJM  A  MIA   FIGUA.  297 

riparateli  dal  freddo,  riparateli  dal  soffrire  ealdo,  impedite  la 
troppa  luce,  il  soverehìo  mmore,  vegliate  perchè  non  soffra- 
no, e  siate  certa  che  T  istinto  della  natura  è  quello  che  ani- 
ma i  bambini  ;  e  se  negli  adulti  le  voglie  artificiose  portano 
ad  appetire  anche  cose  nocive,  nei  bambini  ogni  movimento 
è  il  risaltato  della  semplice  organizzazione  che  tende  a  con* 
servarsi.  Sabito  che  an  bambino  grida,  cessate  di  operare 
sopra  di  lai  :  non  lo  violentate  giammai  a  trangugiare  medi- 
camenti nauseosi.  Io  non  ho  trovato  di  meglio,  quanto  l'uso 
dell'  etiope  minerale.  Se  ne  danno  tanti  grani  quant'  è  l'età, 
e  talvolta  si  mescola  col  diagrìdio,  porzione  eguale  all'età; 
per  esempio,  se  il  bambino  è  di  cinque  anni,  prendete  cin- 
que grani  dell'uno,  e  cinque  grani  dell'  altro;  e  questi  dieoi 
grani  che  non  hanno  sapore,  confondeteli  in  un  cucchiaio  di 
zuppa:  il  bambino  li  prende  senza  avvedersene,  e  i  vermi  e 
le  indigestioni  se  ne  vanno.  Credo  bene  una  volta  al  mese 
di  fare  questa  purga,  al  momento  in  cui  osservate,  o  debo- 
lezza, o  pallore,  o  lingua  sporca,  o  fiato  cattivo  nel  bambino. 
I  contadini,  che  respirano  l' aria  libera  e  non  prendono  che 
cibi  semplici,  non  hanno  bisogno  di  arte  medica  per  vege- 
tar bene  ;  ma  nella  città,  colla  vita  rinchiusa  e  con  alimenti 
alterati,  forza  è  ricorrere  ad  un  male  per  evitame  un  altro. 
State  attenta  che  non  si  accosti  ai  vostri  bambini  alcuno  che 
abbia  commercio  col  vaioolo,  e  soprattutto  medici,  chirurgi, 
barbieri  ;  sono  persone  sospette  ;  e  ciò  sintanto  che  non  sia 
terminata  la  spunta  dei  denti,  perchè  innestare  prima  di 
questo  termine  mi  sembra  pericoloso,  acciocché  non  cada 
conteinporaneamente  all'eruzione  del  vaiuolo,  quella  talvolta 
violenta  d' uno  o  più  denti,  e  cosi  la  malattia  artificiale  non 
combini  con  altra,  o  renda  grave  e  forse  funesta  la  provvi- 
denza. Terminata  la  dentizione,  sobito  innestate;  sia  ciò 
però  non  mai  nei  massimi  caldi,  né  mai  mentre  il  bambino 
sia  valetudinario.  Tenete  ì  vostri  bambini  allegri,  liberi  ;  la- 
sciate uno  sviluppo  facile  alla  natura;  in  ^nessuna  parte  siano 
compressi  o  violentati,  né  con  busto  né  con  legaccia,  né  con 
precetti,  divieti,  penitenze,  correzioni  ;  a  ciò  aggiungete  il 
moto,  il  cambiamento  d' aria  quanto  più  potete,  la  salubrità 
dei  cibi,  brodi  lisci,  carni  di  pollo,  erbaggi,  farinacei,  frutti 


298  BIGORM  A  MU  Wl€Mk, 

bea  malori,  pane  senta  littiìte:  evitate  i  delei,  le  eami,  le 
cose  «Bte,  salate,  le  salse  forti,  f^  areni.  iBsomm  leggete 
il  libro  De  l'éducalion  phifsique  des  enfims;  e  Faltrir  Lei  €ii^ 
fmu  éUvés  sd(m  Vordn  de  la  mdwre.  Leggete  Loeke,  Rona- 
seaa,  e  formatevi  on  sisteiiia  che  Mm  per  l>ase  la  ragione, 
la  sperìenza,  V  amanita,  senza  badar  ponto  alle  volgari  opi- 
nioni, che  portano  alla  tomba  la  metà  dei  bandùni,  àecogM 
dissi,  prima  di  nn  anno,  e  lasciano  in  molti  di  quelli  cbe  so- 
perano il  cimento  degli  incomodi  per  tolta  la  vita  : 
zoppi,  gobbi,  infermi,  deformi,  sono  cari  pia  cbe  gli  i 
fratto  delle  iascie,  non  meno  che  della  edoeanoiie.  L'ilarìli 
deUa  mente,  la  libera  giocondità  del  cuore,  hanno  s<»iflBa  io- 
fluenza  «allo  stato  nostro  fisico  :  se  questo  lo  proviamo  noi 
vegeti  e  robosti,  e  già  solidamente  organizsati,  non  vi  è 
dubbio  cbe  anche  più  lo  debba  provare  il  bambino,  il  lu- 
ciulk)  gracile  e  delicato.  Un  bambino  rattrielato,  impaurile, 
oppresso,  digerisce  male,  e  forma  eonsegnentemeDle  assai 
male  la  vegetazione.  Non  vi  è  peggio  quanto  il  voler  correg- 
gere, o  aumiaestrare,  formare  ì  lanciullL  On  misero  bambino 
che  ascolta  ricordi  continqi  sol  tono  della  voce,  solla  viva- 
cità dei  suoi  movimenti,  soHa  naturale  disattenzione  pel  «e- 
nmonìile,  sulla  scelta  delle  parole,  e  «olle  proprie  aaoni  in 
generale,  deve  o  avvilirsi,  o  credersi  incapace  di  far  bene, 
ovvero  deridere  o  insultare  l'indiscreto  censore.  Ndk  pri- 
ma età,  tristo  il  bambino  che  compare  on  uomo  prematom: 
alla  virilità  egli  sarà  imo  stolido;  perchè  se  i  movkneiiti  del- 
raniflM  di  lui  sono  tanto  placidi  da  sopportare  una  perpetna 
norma,  scemato  il  primo  impeto  vegetale,  rànarrà  torpido  ed 
imbecille  per  mancanza  di  energia.  Quegli  sventurati  che 
nefla  prima  età  sanno  presentarsi  composti,  pronunziare  uà 
complimento,  sedere  decentemente,  e  da  creature  ben  edu- 
cate in  un  circolo,  a  me  fanno  tanta  compassione,  quanta  i 
cani  di  un  saltimbanco,  educati  non  pd  bene  di  essi,  ma  per 
quello  defl'  educante.  Lasciate,  mia  cara  figlia,  che  i  vostri 
bamboli  vivano  come  vogliono,  vadano  per  terra,  corrano  e 
si  rallegrino  in  ogni  modo  che  non  li  esponga  a  perìcolo  es- 
senziale :  teneteli  lontani  dal  cader  nel  fiiooo,  abbasso  di 
una  scala,  da  una  finestra  ;  nel  rimanente  lasciateli  liberi , 


BtCOAOl  ▲   MIA  FIGLU.  299 

non  li  contrariale;  è  men  male  che  cadano,  e  ricevano 
qualche  contusione,  di  quello  che  sia  conservarli  eott' animo 
angasUato.  Per  V  edocazione  morale  poi,  in  ana  parola  vi 
dico  tatto  :  siate  boona  e  onesta  coi  vostn  bambini,  ablnale 
la  stessa  probità  Qon  essi,  come  se  fossero  nomini;  e  con 
questo  solo  precetto  avrete  sbandito  ogni  soverdiieria,  ogni 
finzione,  ogni  prepotenza*  Io  ho  fatto  cosi  con  voi,  e  vi  he 
insegnata  la  monde  col  mio  esempio  :  Roossean  non  mi  pia* 
ee,  perchè  il  suo  piano  é  an  inganno  costante,  ed  attornia  il 
sno  Emilio  da  molti  avvenimenti  artificiali  :  se  il  giovine  si 
sveglia,  conosce  la  soverchieria,  si  sdegna  d'esser  trattato 
da  sciocco,  detesta  il  precett^nre.  Prima  base,  la  esimia  fede 
e  probità  nostra  coi  nostri  figli,  non  mai  delnai  o  sorpresi, 
ma  amati,  compatiti,  e  beneficati  da  noL  Nemmeno  abbiate 
la  smania  di  renderli  colti  e  dotti  anticipatamente:  la  pianta 
che  predace  fratti  prematuri  ha  d'ordinario  corta  vita;  e  gli 
organi  d^la  mente^  si  logorano  osandone  avanti  tempo  ana 
meno  che  qoelO  della  generazione.  Mio  fratello  Alessandro 
a  vent'anni  sapeva  leggere  e  scrìvere  senza  ortografia,  e 
niente  di  più.  Due  sono  i  punti  cardinali;  il  rimanente  im* 
porta  poco.  Procurare  che  la  macchina  vegeti  sana,  libera  e 
gioconda  :  <|Desto  è  il  primo*  Procurare  che  non  germoglino 
né  falsità,  uè  siiKUilazione,  né  vendetta,  aè  odio,  n^  prepo- 
teosa,  nò  malignità,  nò  ingiustizia:  questo  ò  il  secondo 
punto.  A  questi  ogg^li  essenziali  volgete  ogni  vostra  coia* 
Se  avete  mezzo  d'insegnare  le  linguQ  ai  bambini  coU'usoi 
farete  loro  un  beneficio^  come  io  V  do  fal,to  a  voi}  e  vegliate 
acciocehò  ì  domestici  o  altre  persone  non  vi  guastino  i  figli* 
Se  gli  amerete  (come  son  certo),  darete  loro  una  buona  edu« 
cazioiie,  e  ne  caverete  poi  in  fine  il  premio  di  essere  una 
matrona  onorata  dai  vostri  figli  adulti,  laddove  le  donnic- 
ciuole  prepotenti  e  sciocche,  per  V  ambiziop^  di  comandare 
per  alcuni  anni  ai  teneri  loi:o  figli,  in  neompensa  ben  meri- 
tata si  trovano  poi  disprezzate  come  vecchie  stordite*  In  ve- 
rità, ò  ben  insensata  qd  impertinente  la  pfeteusione  di  al» 
cuni  parenti  che  si  lagnano  perchè  i  loro  figli  non  hannp  per 
essi  nò  rispetto  nò  interessamento.  La  maggior  parte  dei 
lìgli  nobili  potrebbe  4ir  loro  :— A  voi  non  debbo  nessuna  ri- 


300  UCOftDI   A  MU  FlfiUA. 

conoscenza  per  la  yìla,  poiché  certamente  voi  non  avevate, 
né  potevate  avere  intenzione  di  fare  alcun  bene6cio  a  me 
che  non  esisteva.  Nato  appena,  mi  avete  staccato  dal  seno 
materno,  e  confidato  a  poppe  mercenarie,  quasi  sdegnaste  di 
compiere  meco  questo  dovere  di  natura.  Mi  avete  lasciato 
gemere  legato  miseramente  daDe  fascio  che  m' impedivano 
il  molo  necessario  ai  muscoli;  mi  conservavate  sporcamente 
inzuppato  nelle  fecce,  che  tadvolta  mi  strozzavano  la  circo- 
lazione del  sangue,  e  la  respirazione  medesima.  Poi,  confi- 
dato sempre  alla  discrezione  di  donne  mercenarie,  mi  tene- 
ste lontano  da  voi  come  una  creatura  noiosa  ed  importuna  : 
appena  passati  i  primi  anni,  mi  esiliaste  dalla  casa,  che  ab- 
bandonai con  amarìssima  desolazione,  e  venni  trsisportato  a 
convivere  sotto  il  dispotismo  di  alcuni  frati,  o  dì  alcune  mo- 
nache. Ivi  ho  sofferto  fante,  sete,  sonno,  lassitudine,  aflfonni, 
percosse  ;  ivi  la  virilità  è  stata  in  pmcolo  di  esaurirsi  innanzi 
tempo  per  mille  turpitudini  :  ivi  i  libri  mi  divennero  tanto 
odiosi,  quanto  il  remo  ad  un  forzato.  La  religione  non  mi  si 
stampò  in  mente,  se  non  accompagnata  da  spettri,  da  larve, 
e  da  ativcissime  superstizioni.  Mi  lasciaste  languire  fino  a 
vent'  anni  in  queir  esilio,  non  mi  richiamaste  alla  famiglia 
che  per  non  tenermi  più  lungamente  lontano;  e  pretendete 
da  me  amore,  riconoscenza,  cordialità?  €osa  mai  avrebbe 
potuto  farmi  di  peggio  un  nemico?— I  vostri  figli  non  diranno 
cosi,  né  voi  me  lo  direte  mai,  perehé  la  base  nostra  é  la  be- 
neficenza, la  ragione,  il  cuore;  laddove,  comunemente,  di 
questa  mercanzia  non  se  ne  conosce  che  il  nome.  Se  sull'ar- 
ticolo dell'educazione  dovessi  scrivervi  di  più,  sarebbe  inu- 
tile quello  che  ho  scritto  :  V  anima  buona  ed  Illuminata  svi- 
luppa da  sé  stessa  i  prtncipj. 

Finalmente  qualche  ricordo  vi  darò  sul  proposito  del- 
l'amicizia,  n  mìo  cuore  é  slato  più  volte  tradito  in  folto 
d'amicizia  :  ho  provato  che  le  persone  che  non  dovevano  che 
a  me  solo,  al  mio  entusiasmo  per  beneficarti,  tutto  il  loro 
stato,  e  che  mi  mostrarono  tutta  la  sensibilità,  mi  hanno  vol- 
tate le  spalle  tosto  che  hanno  creduto  del  loro  interesse  di 
torio.  Cara  figlia,  questa  che  sono  per  dirvi  è  una  crudele 
verità.  Cara  figlia,  l' amicizia  é  comunemente  una  chimera. 


RICORDI   A  MIA   FIGLIA.  301 

Una  donna,  giovine  o  vecchia,  facilmente  vi  invidierà  nel 
secreto  del  suo  caore  ;  e  un  nomo  che  vi  esibisce  amicizia,  o 
cerca  l'amore,  o,  se  non  lo  cerca,  correte  rischio  di  legarvi 
con  on  essere  insipido  ed  incapace  di  amicizia.  L' imbecil- 
lità umana  è  grande  più  che  non  pare  :  le  menti  per  lo  più 
si  voltano  con  un  soflio  di  vento;  pochissimi  hanno  veri  sen- 
timenti proprj.  II  miglior  partito  è  quello  di  usare  cortesia 
ed  onestà  a  tutti,  ed  amicizia  non  legarla  con  alcuno. 

Se  in  questi  liberi  e  brevi  documenti  non  ho  scritto  cose 
piò  interessanti,  attribuitelo  primieramente  air  ingegno  mio, 
che  non  va  più  alto  ;  secondariamente  alla  massima,  che  mi 
sono  proposto  di  scrivervi  per  utilità  vostra,  non  per  mia  glo- 
ria, e  di  scrivervi  con  quell'amorosa  ingenuità,  che  non  si  può 
seguire  qualora  si  stenda  un  libro  da  pubblicarsi  ;  e  se  questo 
mio  scrìtto  coatribuirà  a  rendervi  cautamente  felice,  e  se  vi 
sarà  come  un  testimonio  dell'  affetto  qhe  ebbi  per  voi  sino 
dai  primi  vostri  anni ,  io  sono  pienamente  ricompensato  dèi 
mio  studio.  Per  renderlo  più  sopportabile  dovrei  ritoccarlo, 
ma  fprse  vi  sarà  più  caro  avere  il  mio  primo  abbozzo  origi- 
nale come  una  memoria  d' un  vostro  buon  amico. 


II.  1W5 


MEMORIE 

APPARTENENn    ALLA    VITA    EO    AGLI    STUM 

DI  PAOLO  FRISI. 


305 


MEMORIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FRISI. 


L' elogio  del  nostro  illastre  cittadino  don  Paolo  Frisi  lo 
trovano  gli  assenti ,  lo  troveranno  i  posteri  nelle  immortali 
opere  del  sao  ingegno:  la  Cosmografia,  il  trattato  d'Algebra, 
la  Meccanica,  le  altre  minori  prodazioni  ch'egli  ha  pabbli- 
cate, conserveranno  etema  la  memoria  di  lai.  Chi  intrapren- 
desse a  descriverci  come  e  sin  dove,  penetrando  egli  nelle 
scienze  sublimi,  dilatasse  i  confini  della  amana  ragione;  chi 
ci  esponesse  lo  stato  nel  quale  egli  trovò  le  scienze,  gfi  sforzi 
da  esso  adoperati  per  tentare  impensato  cammino,  le  diffi- 
coltà che  se  gli  affacciarono,  la  costanza  colla  quale  ardi  af- 
frontarle, gli  ingegnosi  ripieghi  che  immaginò  per  superarle; 
chi  maestrevolmente  eseguisse  un  tal  lavoro,  presenterebbe 
agli  occhi  éfi\  pubblico  una  maestosa  pittura ,  in  cui  si  ve- 
drebbero raccolte  le  scoperte  eh'  ei  fece,  i  nuovi  spazj  aperti 
per  esso  alla  mente  degli  uomini,  e  quanta  riconoscenza  e 
ammirazione  siasi  meritato  quest'  uomo  grande  dàlia  intera 
umanità.  Con  questa  mira  (di  determinare  la  stima  che  si  deve 
alla  memoria  dei  veri  saggi)  scriss'  egli  dei  Gallieo ,  del  Ca- 
valieri, del  Necton  e  del  D'Alembert,  radunando  in  poco  spa- 
zio lo  spirito  di  questi  uomini  sublimi  spargo  nelle  opere  loto; 
ed  egli  ben  poteva  penetrare  sin  dove  ascesero.  Per  offerire 
un  omaggio  simile  a  un  sovrano  ingegno,  vi  vorrebbe  un  al- 
tro Frisi,  e  la  natura  non  è  prodiga. 

Un  sommo  Geometra,  il  di  cui  nome  è  tòcro  nei  fasti 
dell'  amicizia  e  del  sapere;  quei  che,  postosi  di  mezzo  fra 
Newton  e  gli  uomini,  fu  il  primo  a  sgombrare  la  sacra  neb- 
bia e  svelame  gli  arcani;  quei  che  difese  Frisi  pochi  anni 
sono,  ha  pronunziato  già  in  Roma  l'elogio  funebre  di  lui.  Io 
mi  limiterò  a  scrivere  le  Memorie  della  vita  e  degli  studj  suoi: 

26* 


306  MmOftU  SOLLA  TITA  DI  PAOLO  FRISI. 

io  efae  ebbi  la  sorte  d' essergli  amico,  e  di  trovare  costante- 
meste  in  quel  grand' noma  nn  amico;  io  che  da  impensata 
sciagura  vedo  troncata  quella  dolce  nm'one  che  sino  dagli 
anni  della  rimota  nostra  fancinllezza  formata,  andò,  senia 
interrompimento  alcuno,  crescendo  sempre  e  confermandosi 
per  Reciproci  olficj  ed  uniformità  di  sentimenti,  cerco  di  ren- 
dergli il  tributo  che  posso  :  e  sia  questo  degno  di  lui ,  degno 
di  que'  puri  ed  onesti  sentimenti  che  ci  unirono ,  la  Tenta. 
Descrivendolo  quale  egli  era ,  farò  il  ritratto  d' un  uomo  ri- 
spettabile^ caro  a  chi  lo  conobbe  intimamente  ;  che  beneficò 
moltissimi,  non  fece  male  ad  alcuno;  fabbricò  tutta  da  sé  me- 
desimo la  sua  gloria; buon  figlio,  buon  fratello,  buon  amico, 
buon  cittadino;  che  fece  un  lodevole  uso  del  suo  talento, 
del  credito  suo,  del  suo  denaro;  un  uomo,  insomma,  che 
sari  un  modello  d' un'  anima  fermamente  virtuosa.  Egli  ne' 
suoi  volami  ha  mostrato  sin  dove  s' innalzasse  nell'  astrono- 
mia, nella  meccanica,  nel  calcolo:  io  scriverò  quello  ch'ei 
non  poteva  scrivere;  mostrerò  come  egli  vivesse,  qoai  fos- 
sero i  suoi  costumi  e  le  sue  azioni;  e  il  mio  lavoro  senza 
pompa  verona  d' eloquenza  non  sarà,  lo  spero,  indiflerenle 
agli  uomini  di  studio,  ai  quali  faccio  conoscere  un  loro  illa- 
stre collega;  né  lo  sarà  alle  anime  sensibili,  poiché  quello  che 
scrivo  lo  sento. 

Gli  uomini  del  primo  ordine,  un. Galileo,  un  Newton, 
un  Frisi,  non  hanno  bisogno  di  illustri  antenati:  pure,  siccome 
tutte  le  circostanze  della  vita  loro  piacciono,  perchè  quanto 
ò  maggiore  il  numero  de'  fatti  conosciuti,  tanto  più  speriamo 
dì  comprendere  le  vere  cagioni  della  bro  elevazione;  cosi 
non  ometterò  d' informarne  i  miei  lettori.  L' origine  del  no- 
stro Frisi  viene  da  una  onesta  famiglia  Slrasburgbese.  L'avo 
di  lui  fu  Antonio  Frisi,  che  addetto  al  servizio  militare  morì 
nella  Lombardia,  lasciando  un  figlio,  Giovanni  Mattia,  senza 
appoggio»  senza  parenti,  in  paese  straniero,  colla  sola  ere- 
dità dello  spoglio  paterno.  S' impiegò  questi  nel  treno  delle 
armale,  indi  ottenne  d'essere  interessato  in  varj  appalti  ;  per 
il  che  fece  una  conveniente  fortuna.  S' ammogliò  con  Fran- 
cesca Magnetti,  da  coi  ebbe  cinque  maschi  e  due  femmine. 
Sedotto  dalla  lusinga  di  viver  meglio,  perdette  il  bene  ch'ei 


MEMORIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FRISI.  307 

possedeva.  Egli  arditamente  abbracciò  impegni  maggiori  deHe 
sae  forze,  sMngolfò  d'onde  non  poteva  uscirne;  le  sventare 
lo  circondarono  da  ogni  parte:  mori  lasciando  a  carico  della 
védova  sposa  sette  6gli,  il  principale  patrimonio  de'qoali 
ftirono  la  saviezza,  il  caore  e  la  prudenza  d'  ana  madre  ve- 
ramente virtaosa,  e  l'ingegno  e  il  giudizio  di  cui  prematu- 
ramente furono  tutti  dotati.  Il  primo  fu  Antonio,  il  quale 
avendo  fatto  studio  di  botanica,  di  chimica  e  di  medicina , 
cominciava  a  rendere  operosi  i  suoi  talenti ,  quando  sul  fiore 
della  età  e  sul  liminare  della  fortuna  la  morte  lo  rapi.  Il  se- 
condo fu  Paolo,  di  cui  scrivo  le  Memorie;  Il  terzo  è  il  cano-^ 
nico  teòlogo  della  basilica  di  Santo  Stefano,  don  Antonio 
Francesco,  cbe  s' è  fatto  nome  distinto  fra  gli  eruditi  colle 
illustrazioni  pubblicate  sulle  Antichità  Monzesi.  Il  quarto  è  il 
signor  don  Luigi,  canonico  della  imperiale  basilica  di  San- 
t' Ambrogio,  versato  ei  pure  ne'sacri  studj  e  nella  erudizione; 
r ultimo  fu  Filippo,  che  per  la  carriera  della  giurisprudenza, 
giovane  ancora,  mori  regio  Pretore,  ed  egli  pure  die  saggio 
del  suo  ingegno  coir  opera  che  pubblicò  De  Imperio  et  /u- 
risdiclione.  Questi  cinque  fratelli  ebbero,  come  già  accennai, 
due  sorelle  *■  eziandio;  e  cosi  era  formata  la  numerosa  fami- 
glia del  suddetto  Giovan  Mattia. 

Nacque  Paolo  Frisi  Tanno  1728  il  giorno  13  aprile.  Ap- 
pena giunto  a  qtieir  età  in  cui  l'uomo  comincia  a  far  uso  della 
ragione,  egli  si  palesò  vogliosissimo  d'imparare,  tollerantis- 
simo della  fatica;  niente  dissipato,  niente  capriccioso,  ma  esa- 
minatore attento  d'ogni  cosa.  AIT  età  di  tredici  o quattordici 
anni  io  mi  trovava  seco  lui  alle  pubMiche  scuole  de'Barnabitl 
in  Sant'Alessandro,  ed  egli  non  mostrava  niente  di  fanciul- 
lesco. Esattissimo  ai  suoi  doveri,  paziente  al  lavoro,  si  di- 
stingueva dagli  altri,  facendo  meglio  degli  altri.  Sin  da  quella 
età  frequentava  la  Biblioteca  Ambrosiana,  ed  ivi  passava  le 
ore  che  i  suoi  pari  davano  ai  divertimenti,  acquistando  nuovi 
lumi  e  nuove  idee.  La  natura  lo  aveva  organizzato  per  essere 
un  uomo  di  studio.  Egli  apprese  tutti  gli  erroti  che  in  que' 

*  Una  di  qneste  sorelle  sposò  il  nobile  signore  don  Stefano  Castiglione 
Zaneboni;  morì,  e  rimane  dì  essa  il  solo  discendente  per  la  madre  dalla  famiglia 
Frisi^  per  nome  don  Aicaido. 


306  MBMORIB  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FBUI. 

tempi  s' innestavano  nelle  menti  4e'  fanciulli;  ma  facile  di- 
venne poi  il  cancellarli,  e  rimaaegli  Tabitiiazione  alla  fatica, 
nel  che  consiste  il  pùncipal  vantaggio  che  può  ritrarsi  dalla 
edncazion  volgare  delle  scuole.  Air  età  .di  quindici  anni  egli 
entrò  nella  Congregazione  de'  Chierici  Regolari  di  San  Paolo, 
o  sia  de' Barnabiti;  ^  o  fosse  questa  risoluzione  presa  per  un 
fervore  religioso,  o  che  a  tal  partito  lo  portasse  la  condizio- 
ne domestica,  o  vi  fosse  indotto  da' maestri,  i  quali  distin- 
guevano la  esimia  penetrazione  della  di  lui  mente,  e  anti- 
vedevano r  onore .  che  doveva  fare  al  loro  ceto  un  .giovine 
che  dava  somma  speranza:  egli  in  quella  Congrejgazione  fece 
i  suoi  voti.  L' usanza  allora  di  quel  Collegio  voleva  che  fosse 
interdetto  nel  primo  anno  ogni  studio  ed  ogni  lettura  scien- 
tifica agli  alunni;  di  che  parlandomi  più  volle  l'illustre  ami- 
co, mi  palesò  che  quell'  anno  era  stato  per  lui  il  più  disgu- 
stoso di  sua  vita,  non  avendo  egli  potuto  imparare  altro  se 
non  la  geograGa  sulle  carte,  che  per  buona  sorte,  servendo 
di  ornamento  alle  pareti  di  quei  chiostri,  divennero  libri 
per  lui.  Terminate  le  umane  lettere,  nelle  quali,  e  singolar- 
mente nella  poesia  latina  e  italiana,  erasi  molto  distinto, 
passò  ad  ascoltare  quella  che  chiamavasi  Filosofìa,  cioè  m 
impasto  di  opinioni  aristoteliche  e  di  immagjnazioni  carte- 
siane. J^aolo  Frisi,  che  per  istinto  slanciavasi "verso  della  ve- 
rità, smaniava  non  rinvenendola;  e  malgrado  le  promesse  del 
maestro,  non  trovava  che  parole  o  idee  senza  base.  La  inge- 
nuità del  suo  carattere,  la  brama  di  istruirsi,  lo  rendevano  ono 
scolare  che  imbarazzava  il  lettore  colle  obbiezioni.  S'intese 
da  esso  nominare  la  Geometria  come  una  scienza  da  cono- 
scersi, l'ignoranza  della  quale  indebitamente  rimproveratagli 
dal  maestro,  serviva  di  risposta  alle  obbiezioni ,  mancan- 
done migliore.  Paolo  Frisi  trovò  nella  Biblioteca  del  Collegio 
gli  elementi  di  Geometria,  e  ben  tosto  si  avvide  che  qneHo 
stadio  era  fatto  per  lui  a  preferenza:  in  pochi  giorni  ne  scorse 
e  comprese  gli  elementi;  si  innoltrò  da  sé,  ed  avea  già  fatti 
passi  da  gigante  prima  che  se  ne  avvedessero  i  suoi  colleghi- 
Da  Milano  fa  spedito  al  Collegio  de'  Barnabiti  in  Pavia 

*  Vestì  l*«bilo  di  BaraabiU  il  giorno  li  luglio  1743  io  Monia. 


SHSnORIE  SOLLA  VITA   DI  PAOLO  FRISI.  309 

per  fare  il  corso  dì  teologia.  Egli,  dotato  di  memoria  pronta 
e  tetiace,  lasciaTa  nella  scuola  gli  scrìtti  che  gli  venìan  det- 
tati; e  sebbene  nella  sua  stanza  fosse  occupato  dèlie  materna- 
tkhe,  rispondeva  al  paro  dè*sooi  compagni  alle  questioni  teo- 
logiche ,  apprese  in  quel  tempo  soltanto  eh'  eì  le  scrivea  e  le 
udiva  spiegar  nella  sicuola.  Ivi  a  Pavia  fece  conoscenza  col 
Padre  Rampìnelli  Olìvetano,  matematico  d'un  merito  distinto, 
discepolo  di  Manfredi,'  e  maestro  dell' Agnesi.  La  conoscenza 
del  Ramplnellr,  le  conversazioni  che  ebbe  seco,  giovarongri 
molto  per  avere  lumi  e  direzione  ^  e  per  animarsi  sen>pre  più 
nelle  scienze  esatte  e  sublimi.  Per  buona  sorte  gli  era  toccato 
per  maestro  di  teologia  il  Padre  don  Pietro  Besozzi ,  uòmo 
assai  illuttiinato,  e  che  fu  il  primo  che  nelle  scuole  di  Sant'Ales- 
sandro in  Milano  facesse  conoscere  le  scojperte  del  New- 
ton. Questo  Padre  Besozzi  aveva  un  animo  signorile:  fa 
sommamente  considerato  nella  sua  Congregazione;  e  non 
è  r  ultima  delle  sue  lodi  quella  d' aver  egli  conosciuto ,  amato 
e  aiatato  il  nostro  Frisi,  prima  ancora  ch-ei  facesse  que' pro- 
gressi che  gli  acquistarono  la  celebrità,  e  V  averlo  sostenuto 
contrTO  ì  pregiudizj  ;  giacché  in  que'  tempi  nella  Congregazio- 
ne de'  Barnabiti  e  in  tutta  la  Lombardia  eran^  sconósciuti  e 
giacenti  i  buoni  studj  e  le  belle  arti.  Una  falsa  eloquenza  la- 
tina, uno  studio  di  memoria  nella  teologia  o  nella  ginrispru- 
denza,  erano  le  sole  occupazioni  api^Iaudite.  Le  matematiche 
yeniran  considerate  cóme  inutili  e  profane  speculazioni,  non 
conformi  alla  monastica  disciplina.  Contro  tali  opinióni  doveva 
urtare  il  nostro  Frisi ,  e  non  lasciarono  esse ,  corredate  anche 
dall'autorità,  di  attraversare  i  di  lui  progressi.  Gli  ostacdì 
arrestano  le  anime  deboli,  e  rinvigoriscono  per  lo  contrario 
le  anime  energiche  e  non  volgari;  e  tale  si  mostrò  sempre 
quella  del  mio  amico.  Egli,  addomesticato  già  co' principj  ma- 
tematici di  Necton,  prese  a  svolgere  la  teoria  della  Terra;  e 
air  età  di  venfidue  anni  trovandosi  in  Lodi  ad  insegnare  la 
filosofìa,  compose  la  sua  dissertazione  sulla  Figura  della  Terrà. 
Questa  prima  sua  opera  dovea  farlo  conoscere  dall'Euro- 
pa,' e  giudicare  dm  pochi  sublimi  matematici  sparsi  ne'  suoi 
Regni.  Ha  come  renderla  pubblica?  L' autore  era  un  giovine 
sconosciuto.  Egli  viveva  sotto  il  comando  di  persóne  che  non 


310  MEMOBIE  SULLA   VITi  DI  PAOLO  VRISI. 

apprezzavano  tali  sladj.  Mancava  di  ogni  appoggio,  mancava 
di  mezzi  pet  ìntfaprendere  Y  edizione  d' nn  libro  di  calcoli 
inintelligibili  allo  stampatone,  che  non  si  espone  senonaVibri 
di  pronto  e  sicuro  spaccio.  Era  destinata  a  rìipanere  eterna- 
mente sconosciuta  quest'  opera,  e  fors'anco  V  autore  sarebbe 
stato  costretto  alla  fine  ad  abbatadonare  la  carriera  materna- 
tic9,  se  non  porge  vagli  soccorso  il  conte  Donato  Silva,  «iva- 
liere  nostto  milanese,  che  promosse  i  buoni  studj,  e  giovò  « 
molti  uomini  d'ingegno.  Ecco  per  qoal  mezzo  ciò  si  fece.  — 
Il  dottore  Antonio  Frisi,  il  botanico,  era  caramente  amato 
dal  Conte,  ed  aveva  presso  di  hii  la  benemerenza  d'avergli 
giudiziosamente  ordinato  in  classi  Y  orto  botanico  della  sua 
villa  di  Cinisello.  Il  Conte  fn  iL  primo  ad  introdurre  in  Mila- 
no il  gusto  delle  piante  esoticbe.  Vivendo  egli  famigliarmenle 
eoi  dottore  Antonio  Frisi,  seppe  da  Ini  il  lavoro  che  nn  soo 
fratel  Barnabiti  avea  fatto,  e  le  difficoltà  che  gì'  impedivano 
di  pubblicarlo.  Bramò  di  avere  il  manoscritto.  Egli  sapeva 
abbastanza  di  geometria  per  aceorgersi  almeno  che  Ja  Ì)ii- 
eertazione  non  era  cosa  volgare  ;  ai  addos66  Y  impegno  di 
larla  stampare,  come  esegui  in  Milano  l'anno  1751  dal Eic- 
ehìni;e  l'Accademia  delle  S<^ienze  di  Parigi,  l'anno  1753, 
aggregò  il  nostro  Frisi  Accademico  corrispondente,  avendo 
egli  non  più  che  venticinque  anni.  Egli  jfù,  durante  la  sai 
vita,  sempre  grato  ed  affezionatamente  interessato  pel(?onte 
Donato  Silva;  frequentissimamente  lo  visitò  sin  che  visse,  e 
in  morte  stampò  l' elogio  suo.  Noi  Milanesi  saremo  sempic 
riconoscenti  alla  memoria  di  quel  degno  Cavaliere,  all'opera 
del  quale  fors'  anco  dobbi(imo  l' onore  di  annoverare  fra  gli 
illustri  nostri  cittadini  Paolo  Frisi, 

Questa  prima  di  lui  opera  ha  il  titolo:  P.  D.  Paulli  Frini 
M^éliolanefuU,  CongregalionU  D.  PauUi  Clerici  Regularit,  ec» 
J)Ì9qui$iUo  Malh^maliea  in  eautsam  Phymam  Figurm  el  m- 
gnilwUnis  TeUuris  noslra.  —  Mediolani,  in  Regia  Curia,  Sa- 
periorum  permiuu  ,^MÙCCLly  in*4<»,  pag.  66.  L'oggetto  di 
quest'  opera  è  di  conciliare  la  teoria  della  gravità  e  della  fona 
centrifuga  con  le  diverse  osservazioni  che  sin  allora  eraitfi 
fatte.  Dimostra  che  sono  inevitabili  nelle  osservazioni  alenai 
minimi  errori  di  sessanta  tese  per  ogni  grado,  d'un  canlesi- 


MBMORIB  SULLA  VlTà  01  PAOLO  PKI8I.  311 

mo  di  lìnea  nel  pendoto;  Sviluppa  la  teoria  che  Newton  avea 
iodicata  nei  libro  III,  proposizioni  t9  e  30  de' suoi  Principj. 
Calcola  quanto  diminuisca  la  gravità  in  ciascuna  particella  del 
globo  terrestre  per  la  rotazione  diurna;  ne  scopre  una  for- 
inola nuova.  Dà  una  solazton  generale  al  problema  déll'attra* 
zione  de' corpi  rotondi,  e  l' applica  a'  varj  casi  per  determi- 
nare la  gravità  in  ciascun  punto  d'una  sferoide.  Fa  conoscere 
che  la  Terra  è  una  sferoide  schiacciata ,  qual  la  dimostrò 
Newton;  trova  la  proporzione  degli  assi,  la  lunghezza  de' 
pendoli,  la  estensione  dei  gradi,  de'paralelti  e  del  meridia- 
no a  ciascuna  latitudine.  Quindi  paragonando  le  osservazioni 
d'Inghilterra,  della  Francia,  della  Lapponia  e  del  Perù,  fa 
conoscere  la  esatta  corrispondenza  di  esse  colla  teoria,  poiché 
le  minime  deviazioni  dall'esattezza  sono  tali,  che  si  cono- 
scono iuevitabili  nella  pratica.  Il  segretario  dell'Accademia 
delle  Scienze  di  Parigi  scrisse  all'autore:  —  En  virile,  MhH' 
<ieur,  à  votr  U  d^uein  que  vou$  voiu  éiUx  propose,  et  plus 
«acore  à  la  manière  doni  il  m'a  paru  qve  v&us  Vexéeuliex,  je 
iCawois  jamais  devine  qvie  votre  ouwrage  fai  eehti  d^un  jeune 
Maihémalicien.  Ceti,  Moneieur,  eommeneer  par  &ù  tee  aulret 
oii(  eoutume  de  finir.  (CoM  riscontrò  il  signor  di  Foucby  in 
data  di  Parigi,  26  aprile  1782.)  lì  signor  Francesco  Maria  7.a« 
notti  da  Bologna  gli  scrisse  (il  22  marzo  1762):  Pochi,  poehie^ 
Hmi  Itbri  «£  veggono  tudre  alla  luce  cimili  a  quesio  che  F.  Jl. 
et  ha  inotai'O  sopra  la  Figura  dsÙa  Terra.  Io  lo  scorsi  subilo 
ammirando  V  infinito  possesso  che  ella  ha  di  tutte  le  ntatemoH- 
cHe  seienxe,  e  queUa  f^onehexxa  e  speditexxa  che  è  propria  solo 
M  gran  maestri.  Lo  sUsso  giudizio  ne  ha  dato  poi  Eustachio. 
m<é  nipote,  che  è  astronomo,  ed  ha  voluto  leggere  U  libro von 
P<ù  agio.  Ed  egH  ed  io  siamo  presi  di  aUissima  stima  del  raris- 
*ifM  e  singoiearissimo  ingegno  di  Lei,  ec. 

I  forestieri  che  cercavano  di  conoscere  questo  giovine 
^l^abita,  le  cosfucue  Accademie  che  lo  aggregavano,  le 
<M>rrispondenze  co'  più  distinti  letterati  del  secolo  che  egli  in 
^ve  s'era  procurate,  annientarono  tutti  gH ostacoli ch'egU 
«veva  trovati  fra'  suoi  ««Sleghi;  aaii  l' estempio  produsse  in 
<Mla  Congregazione  un  cambiamento  negli  studj  de'giovaAi, 
niUentò  le  istanze  de'  vecchi  sul  punto  delle  loro  antiche  pra- 


312  HEMOBIE  SULLA  ¥1TA  DI  PAOLO  VUSH» 

tìche;  (alche  insensibilmente  crescendo  ilbaon  paiiUa,  e  rin- 
forzandosi con  nuove  aggregazioni,  si  fidassero  gli  stadj  de' 
Barnabiti  a  tal  coltura,  che  quella  Congregazione  oggidì  è  il 
primiero  ornamento  della  nostra  patria.  Matematici  profondi, 
flsici  giudiziosi;  oratori  sacri,  colti  e  maestri  de' costumi; 
poeti  energici  e  facondi;  abili  maestri  d'architettura,  d'idrao- 
liea  e  d' altre  facoltà  ;  tutto  ciò  ritrovasi  oggidì  ne^  CoUegi 
de' Barnabiti. 

Nella  città  di  Casale  nel  Monferrato  la  filosofia  s'inse- 
gnava da  un  Barnabita;  la  Congregazione  ne  presentava  tre , 
ejl  Re  ne  sceglieva  uno,  che  si  considerava  regio  professore. 
Questa  scelta  cadde  sul  nostro  Frisi,  che  i  Barnabiti  aveva- 
no nominato  il  primo  per  giusta  premura  di  fare  onore  al  pro- 
prio lóro  Ordine.  Ivi  egli  conobbe  il  conto  Radicati,  nomo  di 
sublime  ingegno,  profondo  matematico,  colto  letterato,  di  coi 
non  si  valutavano  nella  città  che  i  difetti  della  vivace  soa  in- 
dole. Conoscerlo  e  affezionarsegli  furono  nel  nostro  Frisi  doe 
avvenimenti  poco  <liscosti  T  uno  dall'altro.  Il  Conte  divenne 
suo  amico;  trovarono  e  l' uno  e  1'  altro  la  soddisfazione  di 
parlare  con  chi  intendeyagli;  la  bontà  del  carattere  dell' un* 
e  deH'  aliro  strinse  la  loro^unione.  Radicati  fececono^erela 
coHa  letteratura  a  Frisi,  che  allora  era  semplicemente,  male- 
malico.  La  vicendevole  loro  affezione  ne  formò  due  amici 
che  erano  sempre  insieme.  Questa  unione  dispiacque  ai  ve^ 
chi  Barnabiti.  Trovandosi  il.  nostro  Frisi  al  servigio,  del  So- 
vrano in  qualità  di  regio  professore,  non  credeva  che  gli 
disdicesse  o  gli  si  potesse  impedir  l'amicizia  con  un  signore 
di  nascita  illustre;  ma  s' ingannò,  e  gli  convenne  partirsene, 
perdere  \^  cattedra,  e  passavo  a  Novara  colla  carica  di  pre« 
dicatore  e  coli'  obbligo  di  farvi  le  annuali  prediche  e  recitarla 
La  Congregazione  de' Barnabiti  non  ebbe,  mai  lo  spirilo  di 
persecuzione:  dopo  pòchi  mesi  venne  don  Paolo  Frisi  riposto 
nella  sua  carriera,  e  collocato  ad  insegnare  la  filosoOa  ^ 
V  Università  di  Sant'  Alessandro  in  Milano  l'anno  1763,  ove 
rimase  per  tre  anni. 

L;  opera  della  Figura  della  Terra,  alla  quale  doveva  iJ 
nostro  Frisi  la  celebrità,  e  di  cui  avevano  fatta  onorevolissi- 
ma menzione  i  Giornalisti  di  Lipsia,  quei  d'Amsterdam  e  di 


HEMORIB  SULLA  VITA   DI  PAOLO  FRISI.  313 

Firenze,  venne  critfcata  neir  Italia  da  un  Gesuita ,  dall' au-- 
lore  della  Storta  Letleraria  d'Italia,  il  Padre  Zaccaria.  Lo 
storico  considerando  V  attrazione  come  una  ipotesi,  spargen^ 
do  dubbj,  citando  le  opere  del  €lairautt,  del  Bouguer  e  d'al- 
tri, e  deplorando  la  degradata  condizione  degl'  Italiani,  un 
di  maestri,  ora  adulatori  quasi  delle  dottrine  d' oltramonte , 
indirettamente  cercò  di  rappresentare  il  nuovo  libro  come  un 
ingegnoso  bensì  ma  inconcludente  lavoro,  dettato  dalla  sma- 
nia di  sostenere  le  cose  inglesi.  Frisi  fecegli  una  ytvace  e 
breve  risposta ,  da  cui  ricavossi  che  il  Gesuita  non  era  ba^^ 
s(antemente  geometra  per  intendere  e  censurare  quel  libro. 
Non  è  da  maravigliarsi  poi  se  nel  rimanente  di  sua  vita  non 
ebbe  amore  pe'  Gesuiti;  i  quali  portando  all' eccesso  un  prin- 
cipio buono,  che  è  la  slima  e  l' affetto  pel  ceto  loro;  educati 
dalla  prima  gioventù  con  opinione  che  tutto  l' ottimo  fosse 
compreso  nel  loro  corpo;  intimamente  persuasi  che  niente 
meritasse  vera  stima,  se  non  quanto  o  era  in  loro,  o  da  essi 
dipendeva;  ofiTesero  e  Sarpi  e  Galilei  e  Giannone  e  Muratori 
nell'Italia;  Fontenelle,  Pascal,  Amault,  Montesquieu,  Vol- 
taire, Helvetias  e  gli  Enciclopedisti  nella  Francia;  il  che  for- 
mò poscia  una  generale  cospirazione  fatale  ai  Gesuiti,  perchè 
gli  attaccò  nella  pubblica  opinione ,  unico  appoggio  col  quale 
sostenevano  quel  maraviglioso  ediOcio.  Gli  uomini  di  lettere 
banno  maggiore  influenza  nel  destino  delle  generazioni  ven- 
tare, di  quanto  ne  abbiano  gli  stessi  monarchi  sugli  uòmini 
vìventi.  Spargono  i  primi  semi  de'lor  pensamenti;  sémi  tardi 
bensì  a  produrre,  ma  che  nella  gioventù  s'innestano;  e  l'uomo 
di  lettere  determina  le  opinioni  del  secolo  che  vien  dopo  di  luì. 
I  libri  de'  filosofi  son  quelli  che  hanno  finalmente  costretto  i 
tribunali,  malgrado  la  tenacità  delle  antiche  pratiche,  a  non 
incrudelire  più  contro  le  streghe  ed i  maghi,  a  non  inferocire 
conte  torture,  a  non  infliggere  pene  atroci  per  opinioni,  a 
limitare  i  snpplìzj  ai  soli  casi  estremi.  I  libri  hanno  resa  ac- 
cessibile al  mèrito  la  strada  degli  onori,  battuta  in  addietro 
da  chi  scaltramente  simulando  adulava  gli  errori  volgari. 
Alle  opere  de'fìtosofì  siam  debitori  scialle  nostre  infermità 
ora  assistono  mediti  illuminati  é  cauti,  invece  de' ciurma^ 
^ori  ignoranti;  se  nel  ceto  degli  avvocati  la.  pronta  e  il  buon 
II.  27 


314  MEMORIE  SOLLà  VITA  DI  PAOLO  FUSI. 

senso  veDiiero  soslUaitì  aHà  maligna  ed  infida  gravità;  se 
conoscendosi  meglio  la  morale  e  i  doveri  dett'oomo  e  del  cit- 
tadino, r  nomo  soffre  ahneno  il  rossore  nel  violar  tai  doveri, 
e  non  si  copre  la  perfidia  imponila  coir  ipocrito  velo  d*  una 
sìmolata  religione.  Insomma  i  filosofi,  trascurati,  contrad- 
detti, persegnitaii  darante  la  loro  vita,  determinano  aUaper- 
fine  la  opinione;  la  verità  si  dilata,  da  alconi  pochi  si  como- 
nica  ai  molti,  da  questi  ai  pia;  s' illaminano  i  sovrani,  e 
trovano  la  massa  de'  sudditi  più  ragionevole  e  disposta  ad  ae- 
cogliere  tranquillamente  quelle  novità  che  senza  pericolo  non 
si  sarebbero  presentate  fra  le  tenebre  della  ignoranza.  La 
opinione  dirìge  la  forza,  e  i  buoni  libri  dirigono  la  opinione, 
sovrana  immortale  del  mondo. 

Le  occupazioni  del  nostro  Frisi,  mentre  fu  lettore  pub- 
blico in  Sant'Alessandro,  furono  degne  di  lui.  Egli  si  pose 
ad  insegnare  a' suoi  uditori  Tarté  di  ben  ragionare;  i  prin- 
cipi generali  della  fisica,  che  servono  come  di  strade  maeslre 
a  ulteriori  studj  ;  i  principi  della  morale ,  di  cui  ne  stampò 
un  Saggio;  e  fu  egli  il  primo  che  ardi  pubblicamente  soste- 
ner dalla  cattedra,  che  non  vi  erano  né  la  magia  nò  le  stre- 
ghe;, e  fu  egli  il  primo  che  pubblicamente  ne  fece  sostenere 
le  tesi,  non  senza  qualche  pericolo  e  inquietudine;  essendovi 
allora  fra  di  noi  la  Inquisizione,  armata  tuttavia  di  uo  potere 
indipendente.  Ma  la  celebrità  ch^  egli  aveva  già  acquistala, 
e  la  benevolenza  e  famigliarità  che  avevano  per  lui  le  pe^ 
sene  più  riverite  del  nostro  paese,  servirono  a  pttfservarlo. 
Egli  era  frequentemente  e  con  distinzione  accolto  dal  doca 
Francesco  di  Modena,  che  governava  il  Milanese^  egli  m 
bramato  nelle  case  più  distinte  e  nelle  migliori  compagnie  del 
paese.  Le  sue  maniere  sempre  ingenue  e  cortesi;  la  sua  con* 
versaiìone  frizzante  di  sali,  e  abbondante  di  cose;  la  prudente 
riservatezza  e  circospezione  sua  senza  stento;  la  sensibilili 
sua  per  ogni  attenzione  ch'ei  ricevesse;  la  fermezza  del  suo 
animo  nel  sopportare  la  mancanza  dei  mezzi,  nobilmente o^ 
cattandola,  e  con  una  virtuosissima  allegrezza  ricusando  ogni 
«ssistenta  che  potesse  recare  altrui  il  mìnimo  incomodo;  ana 
semplicità  amabile,  colta  e  originale  di  carattere,  lo  resero 
sino  da  que*  primi  anni  caro  ai  migliori  conoseitorì  del  IB^ 


MEMORIE  SOLLA  VITA  DI  PAOLO  FftlSI.  31$ 

rito.  Egli  amava  la  buona  società,  e  vi  sapeva  vivere  giudi- 
ziosamente; e  questo  era  appunto  il  lato  per  cui  gl'invidiosi 
TatUccavano,  i  quali,non  contenti  della  illibata  costumatezza 
e  della  somma  decenza  che  sempre  F  accompagnavano,  fa- 
cevangli  rimprovero  che  gli  studj  e  le  occupazioni  geniali  di 
Iqì  non  mostrassero  quello  spirito  claustrale  che  se  gì'  impu- 
tava a  delitto  di  non  possedere;  quasi  che  1*  incauta  o  forse 
necessaria  determinazione,  presa  nella  inesperta  età  di  quin- 
dici anni,  potesse  rendere  colpevoli  in  un  grand'  nomo  le 
azioni  le  più  innocènti;  quasi  che  fossero  sempre  componibili 
l'energia  somma  dell'animo,  che  audjicemente  affronta  le 
difficoltà  onde  è  attorniato  il  vero,  e  la  mansuetudine  clau- 
strale; quasi  che  facilmente  si  accoppiassero  nell'  nomo  me- 
desimo sommo  ardore  di  gloria  capace  di  reggere  alle  mag- 
giori fatiche,  e  indiflferenza  per  la  propria  oscurità.  Tali  sono 
i  paralogismi  co'  quali  l' invidiosa  mediocrità  fu  sempre  so- 
lita d'accusare  gli  wHnini  sommi ,  concitar  loro  l'odio  volga- 
re ,.6  ridurli  all'ostracismo.  Ben  se  ne  avvide  il  nostro  Fi- 
losofo, e  cautamente  cercò  di  sottrarsi  ai  pericoli,  procurandosi 
una  cattedra  che,  rendendolo  stipendiato  d' un  Sovrano ,  lo 
staccasse  onorevolmente  dai  doveri  d' uno  stato ,  pel  qude , 
sebbene  noi  dicesse  mai ,  egli  veramente  non  aveva  genio 
dicano. 

Il  conte  di  Richecourt  governava  la  Toscana,  monsignor 
^rati  dirigeva  l' Università  di  Pisa,  ambidue  uomini  di  vero 
inerito,  e  conseguentemente  amici  degli  uomini  di  merito.  Il 
nome  del  nostro  Frisi  era  noto  nella  Toscana,  l' Attica  del- 
l'Italia, ove  lo  studio  delle  Matematiche  era  in  onore.  Con 
questa  fortunata  combinazione  non  fu  impresa  difficile  pel 
nostro  Frisi  Y  ottenere  una  cattedra  nella  Università  di  Pisa  : 
inflitti  al  principio  dell'anno  1756  passò  a  Pisa  Lettore,  allo 
stipendio  dell'  Imperatore  Granduca.  Sinch'  egli  viase,  fu  ri- 
conoscente al  Conte,  alla  memoria  di  lui,  a  quella  di  monsi- 
gnor Cerati  »  come  sempre  lo  fu  al  conte  Donato  Silva  e  al 
conte  Radicati.  Ciascuno  che  aUbia  conosciuto  il  signor  abate 
Priai  pii5  jtarmi  testimonio  se  dei  nominati  sempre  ne  par- 
lasse con  amore,  stima  e  riconoscenza  distinta.  Né  il  tempo, 
^^  la  cessazione  del  bisogno  non  alterarono  mai  la  più  co- 


316  MBMOBIB  SULLA   VITA   DI  PAOLO  FRISI. 

stante  e  impegnata  gratitadine  eh'  egli  teneva  scolpila  nel- 
r  animo  verso  coloro  che  avevangli  fatto  del  l)ene.  Posso  at- 
testare che  non  mai  V  ho  vedato  nemmeno  paziente ,  che  in 
faccia  saa  taluno  prendesse  a  ridire  a  qualche  azione  di  per- 
sona benemerita  verso  di  lai;  e  ciò  era  on  principio  talmente 
innestato  nel  suo  carattere,  che  per  riconoscenza  nemmeno 
permetteva  su  di  ciò  nna  libera  e  pacata  ricerca  della  verìti 
Io  ricordo  un  difetto  della  di  lai  filosofia,  ben  me  ne  avvedo; 
ma  so  pare  che  ogni  anima  virtuosa  glielo  perdona  facilmeD- 
te.  Non  ho  conosciuto  nn  altr'  nomo  sul  qaale  la  ragione  po- 
tesse tanto  qaant'ella  poteva  suir  animo  di  don  Paolo  Frisi, 
al  segno  che  compassionevole  e  umanissimo  verso  chi  soffriva 
mali  reali  e  fisici,  derideva  qaasi  chi  s'assoggettava  a  sof- 
frire per  debolezza  e  per  opinione;  tanto  era  egli  alieno  dal 
provarne,  tanto  poteva  sopra  di  lui  la  ragione;  ma  la  ragione 
primordiale  d' essere  virtuoso  e  grato  ai  beneficj  gli  vietava 
assolutamente  l'uso  della  ragione  medesima,  qualora  si  fosse 
adoperata  per  togliere  qualche  cosa  al  credito  d'un  nomo 
benefico. 

Fatto  adunque  Lettore  di  Pisa,  appena  giuntovi ,  secon- 
do r  a$o  di  quella  Università,  gli  fu  recato  un  semèstre  anll- 
oipato  dello  stipendio.  La  prima  volta  fu  quella  in  cui  si  trovò 
possessore  d'una  somma  che  parevagli  immensa:  io  lo  so  da 
lui  stesso,  che  più  volte  me  lo  rammentò.  Egli  aveva  sofferto 
sino  a  quel  momento  le  angustie,  senza  lasciarlo  vedere 
giammai;  ma  la  gioia  che  provò  in  questa  niotazione  non  fu 
certamente  quella  d'un  uomo  volgare.  Se  gli  affacciò  alla 
mente  la  rispettabile  sua  madre ,  donna  di  animo  e  di  viriò 
superiori  alla  fortuna,  a  cu!  allora  appunto  era  mancato  Fonico 
sostegno,  con  la  morte  del  medico  suo  figlio  primogenito. Se 
gli  affacciò  la  famiglia;  i  fratelli,  altri  da  collocare,  da  edu- 
care altri:  s'  avvide  eh'  ei  poteva  ricompensare  i  beneficj  che 
aveva  ottenuti  dalla  degna  sua  madre,  giovare  ai  minori  fra- 
telli ch'egli  amava,  e  rendersi  il  benefattore  di  sua  famiglia- 
Tai  deliziosi  sentimenti  provò  queir  anima  virtuosa,  e  questi 
costantemente  lo  occuparono  persino  che  visse,  e  a  qiMSti 
sacrificò  sempre  ogni  voglia  di  vanità  o  di  caprìccio ,  se  por 
ne  nacquero  nel  di  lui  animo,  di  che  non  mi  son  mai  avvedalo. 


MEMOHIE  SULLA   VITA   DI  PAOLO  FRISI.  3l7 

Instancabilmente  destinò  il  profitto  de'saoi  talenti  a  tal  no- 
bile oggetto,  e  ne  fa  meritamente  ricompensato  non  sola- 
mente coir  amore  e  colla  riconoscenza,  ma  col  buon  nso  che 
i  fratelli  fecero  delle  cnre  di  Ini,  corrispondendo  alle  speran- 
ze, svilappando  indole,  costume,  talenti»  quali  sì  ricbiedera- 
no,  accioccbé  si  compiacesse  queir  uomo  grande  de'  consaur 
guinei  cbe  gli  diede  la  nascita ,  in  buona  parte  formati  dal- 
l'esempio  delle  viHù  di  lui.  Egli  però,  sebbene  amasse  di 
parlare  della  sua  famiglia,  della  madre,  de' fratelli,  delle  so- 
relle, non  lasciava  conoscere  giammai  d' aver  avuta  parte  al- 
tana nel  beneficarli:  la  virtù  sua  modesta,  semplice,  nemica 
del  fasto,  evitava  ogni  pompa.  Non  è  facile  il  rinvenire  al- 
tr'  uomo  più  economo  e  più  generoso  nel  tempo  medesimo  del 
nostro  Matematico:  egli  in  sua  vita  non  ha  gettato  mai  per 
caprìccio;  non  ha  mai  lasciato  mancare  ciò  che  esigesse  la 
maggior  decenza  nella  sua  persona  o  alloggio:  il  rimanente 
lo  ha  utilissimamente  impiegato  a  vantaggio  de'suot,  i  quali 
non  gli  laart^iarono  bramar  certamente  più  riconoscente  corri-  . 
spondenza.  Egli  infatti  nella  sua  famiglia  fu  sempre  amato 
non  solo ,  ma  venerato  qual  padre,  e  assistito  con  la  più  amo- 
rosa tenerezza.  È  difficile  il  ritrovare  una  famiglia,  nella  quale 
si  vivesse  con  maggiore  cordialità  e  decenza  di  quella  che 
ho  più  volte  ammirata  presso  i  signori  Frisi. 

Ma  tornando  al  nostro  professore  in  Pisa,  la  prima  e  più 
stretta  amicizia  che  in  quella  città  ei  formò ,  fu  col  celebre 
signor  dottor  Tommaso  Pereili.  V'erano  allora  in  quella  uni- 
versità il  dottor  Seria ,  il  P.  Berti ,  e  altri  nomini ,  nella  so- 
cietà de'  quali  ottimamente  viveva  il  nostro  Professore  in  una 
città  men  clamorosa  di  Milano ,  e  perciò  appunto  più  confa- 
cente agli  stodj.  Vi  si  pose  a  soggiornare  poi  il  conte  Fran- 
cesco Algàrotti,  e  vi  morì:  la  ìntima  società  in  cui  visse  col 
nostro  signor  Frisi,  l'amicizia  che  aveva  per  luì ,  contribui- 
rono a  fargli  preferìre  la  dimora  in  Pisa.  Il  signor  Ferner 
Svezzese  si  trattenne  lungamente  pure  in  detta  città  di  Pisa 
per  profittare  della  compagnia  del  nostro  Matematico.  Yarj 
forestierì  di  merito  fecero  lo  stesso ,  e  tutti  procuravano  di 
conoscerlo.  Due  fortune  letterarie  toccarono  al  nostro  Frisi 
in  quel  primo  anno  del  suo  collocamento  a  Pisa.  La  prima  fu 


318  UBMOBIE  SULI.A  VITA  DI  PAOLO  FRISI. 

che  dalla  Reale  Accademia  di  Berlino  venne  premiala  la  di 
lui  Dissertazione  sul  molo  annuo  della  Terra,  con  una  meda- 
glia d'oro  del  peso  di  once  sei.^  Il  quesito  ohe  la  Reale  Acca- 
demia di  Berlino  aveva  proposto,  era:  —  Se  il  moto  diamo 
della  tèrra  sia  sempre  della  stessa  rapidità;  come  ce  ne  pos- 
siamo asàcurare;  e  quando  mai  vi  fosse  disuguaglianza,  quale 
ne  sia  la  cagione.  —  Questa  sublime  questione  comprendeva 
la  precessione  degli  equinozj,  la  nutazione  dell'  asse,  la  va- 
riazione dell'  obbiiqoità  dell'Eclittica,  oggetti  che  sempre  più 
poscia  andò  sviluppando  il  nostro  Astronomo  durante  il  corso 
della  sua  vita.  L'altra  fortuna  letteraria  l'ebbe  dalla  Impe- 
riale Accademia  di  Pietroburgo,  la  quale  dichiarò  che  fra 
tutte  le  dissertazioni  presentatele  sul  quesito  da  lei  proposto, 
relativo  alla  Elettricità ,  nessuno  aveva  meglio  soddisfatto  di 
quella  del  signor  Frisi,  il  quale,  contento  d'essersi  meritalo 
il  premio  proposto,  s' era  escluso  dall'ottenerlo,  poiché  aveva 
scritto  in  fronte  alla  Dissertazione  il  proprio  nome.  Egli  aveva 
già  stampate  in  Milano  V  anno  precedente  alcun»  Tesi  sulla 
Elettricità;  egli  aveva  in  mente  una  serie  di  sperienze  da 
farsi  su  di  qnest'  etere ,  le  quali  non  ebbe  tempo  o  occasione 
d' intraprendere  poi.  Considerava  l'Algebra  come  il  miglior 
mezzo  per  aprire  i  secreti  della  natura,  e  la  paragonava  al 
denaro  col  quale  si  può  fare  qualunque  viaggio ,  e  senza  del 
quale  si  formano  inutili  progetti.  Perciò  egli  riguardava  le 
esperienze,  e  sulla  elettricità,  e  sulle  arie,  e  sulle  calamite, 
e  le  stesse  osservazioni  celesti,  come  passatempi,  a  meno  che 
non  si  fosse  formato  da  prima  un  piano,  un  sistema  d' inve- 
stigazione, siccome  fece  Newton  analizzando  la  luce;  e  que- 
ste curiosità  medesime  che  ci  presenta  la  fìsica  le  conside- 
rava sterili  maraviglie,  sin  tanto  che  sottoposte  alla  analisi, 
e  cimentate  col  calcolo,  non  se  ne  fosse  riconosciuta  la  teo- 
ria. Egli  non  si  fìdava  giammai  d'un  uomo ,  che  mancando 
della  teoria  pretendesse  di  supplirvi  colla  pratica:  costoro  so- 
leva chiamarli  empirici. 

Queste  verità,  questi  principi  ch'egli  ebbe  fermi  durante 


'  Al  rovescio  della  tmmtgine  del  re  ertri  noe  corona  d'alloro  eoo  la  kf* 
genda:  scibhtiauum  bt  litmakum  ihcrehbmto. 


MEMOBIB   80LLA   VITA   DI  PAOLO  FBlSf.  319 

a  saa  vita)  principi  ch'ei  non  dissimulava,  gli  eccitarono 
'avversione  di  molti.  Gli  nomini  mediocri  s' uniscono  facil- 
Dente  contro  dell'uomo  grande,  unicamente  perchè  s'accor- 
lono  d'essere  conosciuti  da  lui  per  mediocri;  e  il  volgo  poi 
i  lascia  sedurre  dalla  opinione  riunita  dei  molti  mediocri  da 
880  credati  eccellenti.  Un  passero  che  vola  sembra  al  ranoc- 
hio  che  tocchi  il  cielo,  e  l'aquila  lo  vede  strisciarsi  sul  fango 
iciao  al  ranocchio.  Gli  attestati  che  dalle  più  autorevoli  e 
Qdipendentì  Società  dell'Europa  venivano  per  annunziare  e 
loDOvar  r annunzio  del  merito  trascendente  di  questo  nostro 
ittadino,  appena  bastavano  per  imporne  per  pochi  intervalli 
Qa  invidia.  Eppure  non  aderenze  di  famiglia ,  non  rìcchez- 
e,  non  altri  metti  potevano  conciliare  le  opinioni  di  Pietro- 
orgo,  di  fierliiio,  di  Parigi,  di  Copenaghen  verso  d'hn  clau- 
Iraie  mHanese.  L'Accademia  Imperiale  dì  Pietroburgo  lo 
lesse  per  socio  in  queir  anno  medesimo  i756,  e  la  Disserta- 
ione  salta  Elettricità  venne  stampata  negli  Atti  della  Im- 
eriale  Accademia,  e  separatamente  venne  anche  in  Italia 
nbblicata  con  te  stampe  di  Lucc^  nel  1757. 

Un  secondo  premio,  non  meno  decoroso  che  importante, 
ebbe  dalla  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Parigi  alprìn- 
ipio  dell'  anno  1758 ,  allorché  venne  da  essa  coronata  la  Dis-* 
ertazìone  del  nostro  Frisi  sul  quesito  proposto:  —  Se  i  corpi 
elesti  abbiano  atmosfera ,  e  posto  che  l' abbiano ,  quanto 
'estenda.  —  Il  premio  fu  di  duemila  e  cinquecento  franchi. 
•a  Dissertazione  premiata  ò  un  lavoro  che  forse  da  niun  al- 
n>  fuorché  da  lui  poteva  eseguirsi.  Sulle  osservazioni  de'più 
elebrì  astronomi  provò  che  tutt'  i  corpi  celesti  hanno  atmo* 
fera;  poi  entrò  a  calcolare  quai  limiti  dovessero  avere  in 
irlù  della  universale  e  mutua  gravità  composta  con  la  forza 
BBtrifoga.  Calcolò  le  atmosfere  de'  Satelliti  di  Giove  e  di 
Giorno.  Trovò  che  le  macchie  del  Sole  si  rivolgono  in  un 
'lupo  periodico,  e  a  distanze  diverse  dal  Sole  medesimo, 
^vò,  per  esempio,  che  Y  atmosfera  di  Giove,  oltre  due  semi- 
iametri  e  un  quarto  di  Giove,  non  può  avere  una  densità 
'Qsìbile.  Trovò  che  oltre  trentaeinque  semidiametri  del  Sole, 
atmosfera  di  lui  parimenti  non  può  avere  sensibile  densità. 
Nicolò  l'altezza  dall'atmosfera  terrestre,  la  quale  sette 


320  MEmOUM  SULLA  TITA  M  PAOLO' mSL 


l'eqnatofe  ri  limita  a  trentamaa  tinqattuaAo  tese  parigine. 
UùtM  fl  metodo  di  cakobre  lo  allaie  dei  moati  cotte  al- 
tene  del  barometro.  Trattò  poscia  ddle  atmadere  di  Marte, 
Venere  e  Mereurìo;  e  alia  Lana  ritrovò  Y  atmorim  abani 
non  pia  eiie  on  dodicesimo  dddi  lei  diametro. 

V  anno  medesimo  1758  Tenne  associato  il  nostro  Male- 
malico  alla  Reale  Accademia  di  Berlino.  Onesta  fa  la  «pmiU 
iUostre  Società  che  l'ascrisse,  poìcliè  già  prima  eia  stala  u- 
norerato  sodo  dell'  Institoto  dì  Bologna,  e  eorrìspoodente 
della  Reale  Accademia  delle  Scienie  di  Parigi  nel  1753,  jioi 
deOa  Società  Reale  di  Londra,  e  ddla  Imperiale  di  Pietio- 
borgo  nel  1756.  Un  nooro  eccitamento  emanò  dalT  ìmperiiL 
trono  di  Vienna,  qoando  avendo  colle  stampe  di  Locca  de- 
dicate al  reale  Arciduca  Giuseppe,  ora  aognsto  impeialoree 
re,  le  Dìssertatienì  sue  V  anno  1759,  ebbe  in  dono  ona  col- 
lana con  medaglia  d' oro,  portante  Y  effigie  dd  medeano 
sno  Real  Mecenate.  In  mezzo  a  tanti  onori,  i  qoali  avid»- 
bero  facifanenfe  fatto  nascere  l'orgoglio  nel  coore  d' od  al- 
tro, il  nostro  Frisi  non  cambiossi  mai.  Egli  ^'oa  definito  « 
aTOYa  giodicato  già  di  so  medesimo  ;  né  gli  appUnsi  né  le 
opporizioni  non  gli  avrebbero  fatta  accreseero  e  dinùnùie 
r  opinione  che  aveva  delle  proprie  forze:  ei  conriderara  gli 
applaosi  e  le  opposizioni  come  fenomeni  dipendenti  da  estone 
combinazioni  segregate  da  lai.  Godeva  del  bene,  e  averi 
l'animo  sempre  disposto  a  mirare  le  cose  della  vita  dalblo 
piò  favorevole  e  giocondo  :  nelle  avversità  ei  presentò  seo- 
pre  mia  fronte  serena,  nna  sicorezza  cbe  partiva  dal  seoli- 
mento,  e  da  an  animo  non  mai  depresso.  Modesto,  discrelo, 
ngnale  sempre  a  sé  medesimo,  conservò  verso  degli  amici t 
verso  degli  stodj  sooi,  e  sopratntto  verso  deUa  saa  famiglili 
gli  afletU  e  le  core  medesime  anche  ne'  piò  gloriosi  momeoli 
d^la  sua  vita. 

I  premi  allenati  e  raccrescimento  fattogli  dello  stipen- 
dio di  Pisa  posero  il  nostro  virtooso  Malematico  nella  bn- 
mata  situazione  di  viaggiare  l' Italia  senza  che  per  ciò  man- 
cassero i  soccorsi  destinati  alla  rispettabile  soa  madre,  ed 
alla  soa  cara  famiglia.  Egli  dunque  dalla  Toscana  passò  a 
Roma,  indi  a  Napoli  neir autunno  dell'anno  1760.  Il  pap^ 


HKlfOIIlB  SULLA  VITA  01  PAOLO  FRISI.  32t 

Bezzonieo,  Clemente  XIII,  volle  consallarlo  intórno  le  con- 
troversie che  allora  più  che  mai  si  dibattevano  in  Roma  fra 
i  Bolognesi  e  i  Ferraresi,  dipendentemente  dal  Reno  ed  altri 
fiumi  e  torrenti  di  qu^e  Legazioni.  Egli  formò  il  suo  piano; 
'ece  indi  la  visita  di  quelle  Provincie,  e  colle  slampe  di  Lucca 
Bel  1762  die  poscia  al  pubblico  il  risultato  di  quanto  jei  ne 
pensò.  Quest'opera  comparviB  tradotta  in  francese,  e  magnifi- 
camente stampata  nella  Stamperia  Reale  di  Parigi  Fanno  1774. 
Egli  opinò  d' inalveare  il  Reno  pel  cavo  Benedettino,  e  con- 
darre altre  acque  di  torrenti  in  Primaro.  Queste  proposi- 
zioni vennero  combattute  da  un  nembo  di  scritture  stampate 
in  Bologna ,  in  Ravenna  ed  in  Roma.  11  nostro  signor  Frisi 
non  volle  combattere  fra  tanti  partiti.  Egli  aveva  per  la  sua 
opinione  i  signori  Gabriello  Manfredi,  Eustachio  Zanotti  e 
Giacomo  Mariscolti;  ma  anche  allora  la  ragione  rimase  sof- 
focata dalla  moltitudine  degli  oppositori.  Tuttavolta  vi  acqui- 
stò il  signor  Frisi,  oltre  alcune  rimunerazioni,  una  efficace 
raccomaiìdazione  del  Papa  in  favore  del  signor  don  Antonio 
Francesico,  cui  venne  poscia  conferito  un  pingue  canonicato 
nella  Basilica  di  San  Giovanni  di  Monza.  Questo  degno  ec- 
clesiastico neUa  cordialità  e  impegno  in  prò  della  sua  fami- 
glia si  mostrò  d'animo  uguale  al  maggior  suo  fratello.  Profittò 
egli  in  Monza  dell*  archivio  prezioso  d' antichi  manoscritti , 
che  in  prima  gelosamente  si  tenevano  invisibili,  e  con  fatica 
ed  accuratezza  ordinatolo  e  trascritto  in  buona  patte,  con 
varie  Dissertazioni  erudite  ha  già  mostrato  al  pubblico  qual 
buon  uso  ei  sapesse  farne,  e  in  breve  ne  vedremo  produzioni 
alteriori.  Questi  furono  i  beni  che  ricavò  don  Paolo  dalla 
Commissione  delle  Acque  del  Bolognese,  dove  in  buona  parte 
(  sotto  gli  auspicj  d' un  Cardinal  Legato,  uomo  di  Stato,  che 
antivedendo  le  benedizioni  de' posteri,  e  ambendole,  ha  sa- 
puto fermamente  affrontare  la  forza  d' inerzia  e  gì'  interessi 
privati  de' contemporanei  )  si  esegui  il  progetto  del  nostro 
signor  Frrsi„  senza  ricordarsi  ch'ei  ne  fosse  l'autore;  il  che 
dimostra  qual  sia  la  sorte  di  lulU  quelU  che  hanno  proposto  e 
sostenuto  qualche  utile  progetto  in  Italia;  di  essere  contraddetti 
a  principio  per  ogni  parte,  e  di  essere  appena  ricordati  quando 
i^  progetto  è  stalo  riconosciuto  generalmente  come  utile  ^  come 


322  MBMOKIB  SOLLA  VITA  DI  PAOLO  FUSL 

80  di  ciò  scrìsse  il  signor  Frisi  medesimo.  ^  L' abate  Frisi 
trovò  quasi  sempre  contraddizioni,  e  talvolta  amari  disgwti 
nelle  eommissìoni  che  ebbe  e  in  B^ogna  e  in  Milano  ed  a 
Venezia;  e  io  non  dìssimolerò  che  in  qualche  parte  ve  n'eUie 
colpa.  Avvezzata  la  di  Ini  mente  agli  stndj  esatti,  che  ap- 
poggiandosi a  dati  eerti,  e  con  pari  certezza  legando  varie 
dimostrazioni,  gaidano  alle  rìmote  verità,  ei  rifintava  d'ado- 
perare le  forze  della  sua  mente  in  nessun'  arte  conghietto- 
rale,  come  pure  di  fabbricare  sulle  probabilità.  Ora  la  scienza 
di  -vivere  colla  maggior  parte  degli  uomini  è  fondata  sa  dati 
meramente  probabili,  quai  sonoi  reconditi  sentimenti  degli 
animi  altrui.  Egli  non  adoperava  pnnto  la  sagacità  del  suo 
ingegno  per  antivedere  se  le  verità  idrostatiche  e  fisiche 
ch'egli  aveva  trovate,  sarebbero  state  bene  o  male  aecoUe; 
ei  non  calcolava  il  modo,  il  tempo,  l' occasione  per  aanmi- 
ziarle:  le  significava  chiare  e  ferme,  quali  le  avea  conoscia- 
te, e  con  buona  fede  ricercate.  Quindi,  In  un  affare  nel  quale 
era  entrato  come  idrostatico,  si  trovava  impensatamente  co- 
stretto a  sostenere  la  parte  di  uomo  di  mondo  e  di  maneg- 
gio; circondato  da  interessi  privati  contrarj,  da  gelosie  di 
mestiere,  dall'amor  proprio  altrui  irritato;  e  questa  figuraci 
non  sapeva  soslenerìa  colla  pazienza  ed  accortezza  che  con- 
vengono per  ben  riuscirvi.  Egli  camminava  dritto  al  bene; 
promoveva  il  vantaggio  pubblico  ;  cercava  la  solidità  e  sica- 
rezza  delle  opere;  e  imparzialmente  sosteneva  quella  che  ri- 
conosceva per  buona  causa ,  quasi  che  nelle  umane  questio- 
ni, e  molto  più  ne'  pubblici  affari ,  gli  oggetti  determioanti 
fossero  questi,  e  non  piuttosto  il  risultalo  delle  opinioni  e 
di  privati  interessi  di  alcuni  pochi,  dalle  quali  forze  combi- 
nate ne  risulla  per  lo  più  un  partito  che  nessuno  avrebbe 
preveduto.  Egli  è  vero  però,  che  tollerò  sempre  con  superi© 
rità  e  fermezza  mirabile  le  contrarie  vicende  e  le  ingiuslizie 
che  qualche  volta  dovette  sopportare:  cosicché  sicuro  della 
propria  rettitudine,  irremovibile  per  nessun  riguardo  dalla 
opinione  che  dopo  maturo  esame  aveva  adottata,  presentò 
un  cuore  costante  ed  innocente  alle  procelle,  senza  mai  aver 
la  mente  abbattuta,  o  dubitare  di  sé  medesimo.  Gostanza  e 

«  Tomo  II  cklìe  sue  Opere.  Milano  1783,  pag.  400. 


MEMORIE  SULLA  VITA   DI  PAOLO  FBISI.  823 

fermezza  eh'  egli  non  solamente  ebbe  nelle  opinioni,  ma  ne' 
sentimenti  ancora  più  intimi  dell'animo;  perseverante  ed 
ìmmabile  neir  amicizia,  neir  affetto  verso  de'  suoi  congiunti, 
nella  benevolenza  verso  de' suoi  scolari,  nella  riconoscenza 
verso  chi  gli  aveva  fatto  il  minimo  piacere. 

Gli  affari  delle  acque  del  Bolognese  lo  determinarono  a 
dividere  quelle  meditazioni,  che  in  prima  consacrava  alla  co- 
g^nizione  del  sistema  solare,  coli' Idrostatica,  sulla  quale  più 
opere  stampò,  dedicandone  un  Trattato  *  al  signor  cavaliere 
Giulio  MosEzi,  patrizio  fiorentino,  col  quale  s'era  legato  in 
amicizia  ;  cavaliere  di  sommo  merito  pel  suo  carattere,  poeta 
sublime  e  sublime  matematico,  il  quale  aveva  dedicato  al  no- 
stro signor  Frisi  un  trattato  sul  Rolamento  momentaneo  de' 
corpi.  Altre  cose  stampò,  le  quali  vennero  inserite  nelle  Rac- 
colte degli  Scrittori  delle  Acque.  Die  poi  nuova  forma  alla 
teoria  dell'Idrostatica  nell'ultima  edizione  della  Meccanica, 
pubblicata  in  Milano  nel  1783.  Non  per  ciò  egli  abbandonò 
mai  l'astronomia  ed  il  sistema  del  mondo ,  che  gli  aveva  frul- 
lato una  più  tranquilla  celebrità  ;  e  colle  stampe  di  Lucca 
nel  1761  pubblicò  il  secondo  volume  delle  sue  Dissertazioni, 
dedicato  al  serenissimo  Duce  di  Genova  signor  Agostino  Lo- 
mellino,  che  egli  onorava  e  amava  sommamente,  a  cui  fu 
sempre  caro  il  nostro  signor  Frisi,  che  mantenne  sinché 
visse  una  non  mai  interrotta  corrispondenza  con  questo  re- 
pubblicano illustre,  presso  cui  mirabilmente  si  riuniscono  le 
vaste  idee  di  Stato  e  le  precise  delle  scienze ,  la  profondità 
de' pensieri  e  il  piò  squisito  sentimento  del  bello,  l'amore 
pel  merito,  e  l'amabile  gentilezza  sociale. 

Otto  anni  erano  vicini  a  compiersi  da  che  il  nostro  Fri- 
si, domiciliato  nella  Toscana  per  cagione  della  cattedra  sua 
nella  Università  di  Pisa,  appena  di  volo  aveva  potuto  visi- 
tare in  quest'  intervallo  la  sua  famiglia  e  la  patria.  Mancava 
sempre  qualche  cosa  alla  sua  felicità  coli'  esseme  lontano. 
Fortunatamente  in  quel  tempo  si  cominciò  a  pensare  alla 
pubblica  educazione  della  nostra  gioventù,  e  a  dar  credito 
alla  derelitta  Università  di  Pavia.  Un  illustre  Milanese  rico- 
verato nella  Toscana  non  poteva  essere  dimenticato,  né  lo 

*  Sumpalo  in  Firente  1770. 


324  MWWMIIB  SELLA  TITA  DI  PAOLO  FUSI. 

fo.  Gli  Yeniie  olferia  la  cattedra  di  matematica  nelle  Scuole 
Palatine  di  Milano  col  medesimo  stipendio  che  egli  godeva 
in  Pisa,  e  l'accetta  L'Imperatore  Granduca  nel  concedefea 
questo  esimio  Professore  il  congedo,  Yolle  onorarlo  coli'  ordi- 
nare che  sempre  il  di  lei  nome  rimanesse  scritto  nel  molo 
de'Lettori  di  Pisa.  D  Senato  diBoh^na,  nello  stesso  anno  1764, 
volle  eleggere  pare  il  nostro  signor  Frìsi  come  Leti  ore  ono- 
rario dell'  universale  matematica;  la  qoal  distinta  onorificenza 
tanto  più  comparve  considerabile  a  chi  ha  notizia  di  qael  Se- 
nato ,  quanto  chenon  era  limitata  ad  alcun  tempo,  né  rislrelta 
ad  alcuna  parte  della  matematica,  come  lo  suol  essere  ad  al- 
tri lettori,  a  cui  si  conferiscon  le  cattedre  per  un  IrleDoio, 
dopo  àtà  quale,  essi  ne  chiedono  la  conferma.  Giunse  egli 
dunque  a  Milano,  e  fece  la  Prelezione  nella  primavera 
del  1764,  stampata  neU'  anno  stesso  in  Mihino  dal  Galeazii. 
Stavasi  allora  per  innalzare  la  guglia,  o  sia  torre  fon- 
data sul  lanternino  della  cupola  del  Duomo  di  Milano,  e  que- 
sto era  il  soggetto  de'  pubblici  discorsi.  Il  nostro  Matemali- 
co,  al  quale  non  era  forestiera  l'architettura,  non  potè  oc- 
cultare il  sentimento  che  gli  cagionava  un  si  folto  progetto. 
Mentre  non  è  terminato  il  pavimento  del  Duomo ,  ma  in  parte 
è  simile  a  quello  d'una  stalla  ;  mentre  la  facciata  è  fatta  per 
metà,  e  pel  rimanente  móstra  un  rozzo  acervo  di  sassi  e  mat- 
toni; pensare  a  profondere  ona  cospicua  somma  di  denaro 
all'ornamento  dell'ultima  sommità,  era  un  errore  di  me- 
todo per  lo  meno.  Egli  disse  poi ,  che  non  senza  pericolo  pò- 
levasi  aggiungere  un  tal  peso  ;  che  sarebbe  stata  fulminata 
facilmente  queir  altissima  torre  ;  che  avrebbe  resa  deforme 
la  figura  della  chiesa.  Ora  ciascun  vede  eh'  egli  aveva  fagìo- 
ne,  oche  si  sarebbe  meglio  fatto  seguendo  il  suo  parere.  Ma 
allora,  per  avere  cercato  co'  suoi  discorsi  d'impedire  una  de- 
formità veramente  ridicola,  fu  esposto  alla  personale  animo- 
sità di  alcun  ingegnere,  e  di  molti  palrizj  da  colui  sedotti; 
quasi  che  il  nostro  Matematico  tentasse  di  porre  limiti  al  po- 
ter loro  sulla  fabbrica  della  chiesa.  Un'altra  avventura  espose 
a  maggiori  amarezze  il  nostro  signor  Frisi.  Egli,  come  regio 
Censore,  aveva  approvato  per  la  stampa  un  meschino  Lana- 
rio, nel  quale  da  alcuni  si  voleva  pur  trovare  della  maligni- 


HfiHORIB  SULLA   VITA   DI  PAOLO  FUSI.  S25 

(à,  perchè  sì  credeva  opera  di  persona  invisa.  Fa  posto  pri- 
gione r antere y  perchè  si  credeva  che  non  lo  fosse,  e  palese- 
rebbe la  persona.  Frisi  si  presentò  a  difendere  un  nomo  che 
era  nelle  carceri  per  di  lui  colpa.  Si  trattava  della  libertà 
d'on  onesto  uomo,  e  della  sussistenza  della  moglie  e  dei  figli» 
e  del  perìcolo  di  perdere  lo  stipendio  col  quale  campavano. 
Un  uomo  senza  cuore  e  canto  si  sarebbe  col  silenzio  posto 
al  coperto  della  procella  in  cui  soffiavano  venti  troppo  po- 
tenti: egli  osò  di  presentarsi,  tranquillamente  sostenendo  non 
esservi  le  supposte  malignità,  e  in  ogni  caso  costituendosi 
egli  colpevole,  se  nella  stampa  da  lui  approvata  v'era  colpa. 
Si  trovò  volgarmente  inopportuno  un  tal  passo  :  i  pochi  uo- 
mini di  animo  integro  non  cosi  giudicarono.  Ciò  gli  cagionò 
molti  dispiacerì.  Io  non  racconterò  vane  altre  simili  inquie- 
tudini, che  dovette  soffrire  il  signor  Frisi  nella  sua  patria  «ino 
agli  ultimi  periodi  delta  sua  vita  :  queste  vicende  odiose  me- 
glio è  coprirle  a  chi  verrà  dopo  di  noi.  Le  vite  de'  filosofi  sa- 
rebbero la  véra  satira  de'  loro  tempi,  se  potessero  scriversi, 
o  si  dovessero,  con  cinica  libertà.  Da  Socrate  sino  a  noi  gli 
uomini  sono  stati  ingiusti  verso  chi  era  voglioso  d'illuminar- 
li; e  il  signor  Frisi,  persuaso  poi  colla sperienza,  negli  ultimi 
anni  di  sua  vita  a  nessun  costo  non  volle  più  accettare  inge- 
renza alcuna  né  per  acque,  né  per  fabbriche,  né  per  cosa 
consimile.  Gli  studj  suoi,  i  suoi  fratelli,  i  suoi  amici  (e  ne 
aveva)  occupavano  i  suoi  pensieri  interatnente ;  e  riguardo 
alla  moltitudine,  ei  soleva  frequentemente  ripetere,  che  to- 
sto ch'egli  avesse  loro  usata  la  cortesia  di  morire,  avrebbero 
parlato  bene  anche  di  lui  ;  il  che  si  è  pienamente  avveratOk 
La  verità  sta  ne' libri,  e  rare  volte  pure  vi  sta;  l'uomo  che 
ingenuamente  la  presenti  nelle  cose  ordinarie  della  vita,  peg- 
gio poi  negli  affari,  s'espone  ad  una  pericplosa  carriera.  Mi 
guardi  il  cielo  eh'  io  per  ciò  intenda  di  soffocare  il  generoso 
entusiasmo  dèi  bene  che  anima  gli  uomini  più  benefici  della 
società!  Cerco  soltanto  d'avvertirli,  acciocché  stien^reparali 
alle  offese,  e  si  consolino' considerandole  come  un  noioso, 
bensì,  ma  sicuro  e  costante  testimonio  del  loro  ^merito. 

Dopo  due  anni  da  che  insegnava  la  meccanica  e  l'idrau- 
lica ai  giovani  destinati  alla  professione  d'ingegnere,  egli 
n.  28 


326  MEMORIE  SULLA   VITA   DI  PAOLO  FRISI. 

chiese  'ed  ottenne  il  permesso  di  cedere  la  Francia  e  l' In- 
ghilterra; e  qnesto  viaggio  Io  fece  Fanne  f766.  Egli  a  Parigi 
ed  a  Londra  visse  co'  primi  uomini  del  secolo;  girò  per  os- 
servare i  canali  navigabili ,  e  qoanlo  aveva  relazione  al- 
l' idraulica  ;  volle  vedere  e  informarsi  di  quanto  può  interes- 
sare un  colto  viaggiatore  ;  e  vi  lasciò  molti  amici  dove  in 
prima  aveva  soltanto  ammiratori.  A  Parigi ,  per  parte  del  Mi- 
nistro di  Portogallo,  forongli  fatte  proposizioni  assai  onorevoli 
per  indurlo  a  stabilirsi  a  Lisbona,  dove  si  pensava  sotto  il 
ministero  del  marchese  di  Pombal  d'invitare  gl'ingegni  a 
studj  migliori;  ma  la  famiglia,  la  patria,  gli  antichi  amici 
furono  preponderanti  nel  di  lui  cuore.  In  queir  anno  venne 
ascritto  alla  Reale  Accademia  di  Stockolm.  Mentre  egli  era 
a  Parigi,  vi  giunsero  due  altri  Milanesi ,  il  signor  marchese 
Beccaria ,  che  s' era  acquistata  la  celebrità  col  suo  libro 
De*  Ddiiti  e  delle  Pene,  e  seco  lui  mio  fratello  il  cavaliere 
Alessandro,  col  quale  accompagnatosi  il  nostro  Frisi  ritornò 
nell'Italia,  indi  a  Milano,  ove  ei  passava  assai  bene  il  suo 
tempo.  Era  alloggiato  nel  Collegio  Imperiale  diretto  da'Bar- 
nabitir  nessuna  prescrizione  monastica  lo  limitava.  Un  de- 
cente appartamento,  la  libertà  di  accogliervi  in  qualunque 
ora  i  suoi  amici,  e  di  visitarti,  rendevangli  caro queO' alloggio 
offertogli  da' suoi  colleghi,  i  quali  a  gara  cercavano  di  ren- 
dergli accetto  il  convitto.  Égli  la  mattina  e  la  sera  soleva 
consacrarle  a  più  ore  di  studio,  il  che  regolarmente  fece  nel 
restante  di  sua  vita:  esattamente  faceva  le  sue  lezioni;  poi 
visitava  le  migliori  società,  d^^ve  per  la  prontezza  deh  suo 
spirito  e  per  le  amabili  sue  maniere  era  assai  caro.  Osser- 
vandolo tanto  divagato  nelle^case,  pareva  impossibile  che 
egli  fesse  1'  autore  delle  gravi  opere  che  di  tempo  in  tempo 
pubblicava;  e  leggendo  quelle  opere  medesime  profondamente 
pensate,  pareva  impassibile  che  il  suo  Autore  vivesse  buona 
parte  della  giornata  quasi  un  uomo  immerso  nelle  distrazio- 
ni. La  noili  era  uno  stato  sconosciutissimo  da  lui:  non  appa- 
riva nemmeno  eh'  egli  soffrisse,  qualora  le  profonde  medita- 
zioni de'suoi  ^coli  venivangli  interrotte  da  chi  entrava  a  vi- 
sitarlo; non  mai  sarebbesi  creduto,  alla  serena  e  vivace  ac- 
coglienza, ch*egli  in  quel  punto  abbandonasse  la  contenzione 


MBMOBIE  SULLA   VITA  DI  PAOLO  FBISI.  327 

degli  studj  sablimi  che  stancano  la  mente  ad  ogni  altro. 
Mentr'egU  cosi  viveva,  pubblicò  in  Milano^  nel  1768,  il  suo 
libro  sulla  Gravità ,  libro  che  portò  in  fronte  V  augusto  nome 
di  Giuseppe  Secondo. 

Quest'opera  De  Gravitale  è  divisa  in  tre  libri.  Nel  pri- 
mo trattasi  della  gravità  de' corpi  in  generale;  nel  secondo 
trattasi  della  gravità  delle  particelle  della  materia^  nel  terzo 
della  reciproca  gravità.  Il  primo  libro  apiega  la  teoria  del 
moto  de' gravi,  o  liberamente  cadenti  o  scagliati,  la  teoria 
de' pendoli,  delle  forze  centrali,  ec.;  il  secondo  libro  esami- 
na la  figura  della  terra,  le  leggi  della  gravità ,  il  flusso  e  ri- 
flusso del  mare  e  dell'  atmosfera ,  la  librazione  ddla  terra  e 
della  luna;  il  terzo  libro  tratta  delle  disuguaglianze  de'  moli 
de'  pianeti.  Il  signor  D'Alembert  e  il  signor  Bezout ,  facen- 
do alla  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Parigi  una  rela- 
zione di  <|aest' opera,  ecTÌsseroi'^  Quasi  luiU  questi  oggelliyi 
sono  trattali  con  fMlodi  affatto  nuovi  ^  servendosi  defla  sintesi 
quanto  era  possibile  il  farlo.  Vi  sono  idee  nuove  sul  principio 
della  composizione  delle  forse,  sul  prM/ema  della  piik  presta  co- 
duca,  *u\ia  osdlkusione  e  la  percussione,  sul  moto  deUe  sezioni 
coniche,  sulV  attrazione  de*  corpi  sferoidici,  sulle  élemzionie 
il  tempo  delta  marea,  suW  aberrazione  della  luce  tramandalad 
dai  Pianeti.  —  È  cosa  che  fa  onore  e  a  chi  seppe  rendere 
giustizia  a  un  estero,  riconoscendolo  autore  di  idee  e  melodi 
nuovi  su  i  massimi  oggetti  del  sistema  del  mondo,  ed  alla 
nostra  patria,  che  produsse  un  cittadino  dotato  d'ingegno 
tale  da  oltrepassare  a  questo  segno  i  confini,  e  dilatare  le 
umane  cognizioni  su  tali  argomenti.  In  queir  opera  istessa 
trattò  il  nostro  signor  Frisi  delle  macchie  solari  poste  a  varie 
distanze  del  sole;  trattò  pure  incidentemente  della  luce  zo- 
diacale e  della  variazione  di  essa;  esaminò  la  teoria  del  vento 
fra  i  tropici,  e  T  atmosfera  lunare,  quella  de' pianeti,  le  altezze 
misurate  col  barometro;  esaminò  alcune  inesattezze  del  gran 
Newton.  I  due  celebri  Accademici,  continuando  la  relazione 
aggiunsero  :  —  L'Autore  nel  primo  libro  espone  per  una  strada 
inventata  da  lui  la  composizione  de'  moti  di  rotazione,  e  il  metodo 
per  trovare  V  asse  e  la  velocità  di  rotazione  d*un  corpo  mosso  da 
qualunque  forza.  Nel  secondo  Ubro  ei  cerca  qued  figura  debba  avere 


328  MEMORIE  SULLA   VITA  DI  PAOLO  FEISt. 

la  terra,  supposta  V  ailrazione  e  supposto  il  moU>  diurno; 
e  dalle  osservazioni  de*  pendoli  e  dalle  diverse  misure  de'  gra- 
di ne  deduce  che  la  proporzione  de'  due  assi  della  terra  è 
come  230  a  231,  e  che  V  acqua  e  la  terra  aUa  superficie  som 
meno  dense  d*  un  quinto  che  non  lo  è  la  media  densità  del- 
la terra.  La  precessione  degli  equinozi,  ìa  nutazione  deW  aste 
della  terra  e  della  Urna,  sono  oggetH  dilucidati  nel  Mcondo 
libro,  e  co*suoi  metodi  ne  scaturiscono  risultati  conformi  a 
quei  che  un  Accademico  {iV  signor  D'Alembert  )  aveva  puWi- 
caU.  Si  mostrano  alcune  inesaUezze  che  Newton  e  Simpson  ave- 
vano lasciate  trascorrere  nella  soluzione  di  questi  problemiM 
terzo  libro  il  signor  Frisi  abbandona  il  metodo  di  esprimere 
le  disuguaglianze  de' pianeti  con  una  serie  di  coseni  d*  archi 
moltiplicali  t  e  le  esprime  colle  potenze  d^coseni  d*unarco  me- 
desimo ,  e  con  esso  più  comodamente  calcola  le  disuguagUawe 
lunari,  il  molo  de'nodi^  e  la  variazione  e  inclinazime  de' pia- 
neti* Vi  calcola  il  periodo  della  diminuzione  della  obbUqaHà 
deW eclittica,  e  i  limiti  della  massima  e  minima  oMiquità,  CciUa 
teoria  medesima  dimostra  che  non  potrebbero  restare  le  orbile  e 
gU  afelj  di  Saturno  e  di  Giove  quai  sono,  se  laforzadiproiesto- 
ne  di  Saturno  continuamente  non  crescesse ,  e  non  deeresces» 
queUa  di  Giove;  quindi, ciò  non  dovendosi  supporre,  ne  aceaderà 
che  il  tempo  periodico  di  Saturno  crescerà,  e  diminuirà  quello 
di  Giove.  Noi  crediamo  che  gli  oggetti,  e  H  modo  col  quale  mr 
gono  traltati  in  quesV opera,  meritino  V  approvazione  delt  Acca- 
demia. L'Autore  si  fa  conoscere  un  grande  geometra,  molto  be- 
nemerito per  V Astronomia  fisica.  —  Cosi  i  signori  D'Alembert  e 
Bezout.  Il  signor  Giovanni  Bernoailli,  nella  Raccolta  per  ^i 
Astronomi,  tomo  I,  p.  20tf ,  qualificò  qaest'  opera  sulla  Gra- 
vità ana  delle  più  profonde  ed  utili  opere  in  questa  materia, 
che  abbraccia  tutta  la  fisica  celeste,  e  colla  maggior  possibile 
chiarezza  e  brevità  espone  le  più  astratte  teorie  con  metodi 
inventati  daUAutore,  metodi  de' quali  l'applicazione  ai  casi 
riesce  interessantissima.  Sarebbe  inutile  fatica  s' io  racco- 
gliessi  i  molti  onorevolissimi  attestati  che  ottenne  quest'opera 
veramente  esimia,  poich'  ella  è  bastantemente  conosciuta  dai 
matematici.  Basti  per  tutti  quante  ne  stampò  il  signor  Bailly 
nella  Storia delV Astronomia  moderna,  t.  Ili,  p.  308:-^*  l'o^ 


HEMORIB  SULLA  VITA  DI  PAOLO  ^RISL  320 

Frisi,  geometre  d*I(<dìe,  a  parcouru  tous  les  sujeU,  a  Iraitè 
presque  touUs  leg  quesUons:  le  recueil  de  ses  (suvres  est  un 
iraité  lumineux  et  eomplet  dei  phénomènes  célesles;  son  ouvrage 
3ur  la  gravitalion  est  le  seul'où  le  syslème  du  monde  ait  èté  di- 
veloppé  dans  toutes  ses  parties. 

Neiranno  medesimo,  cioè  neirautunno  del  1768,  il  no- 
stra Matematico  passò  all'  Imperiai  Corte  di  Vienna,  dove 
presso  le  più  eminenti  persone  venne  distinto  ed  onoralo.  Fra 
qoeste  debbo  nominare  il  primo  il  signor  prìncipe  di  Kau- 
ni(z ,  che  senti  vera  stima  per  questo  nostro  concittadino  ; 
ravvisò  lo  spirito  e  il  genio  di  lui  ;  si  compiacque  di  conver- 
sar seco ,  e  conservògli  sinché  visse  una  ferma  protezione. 
Quantunque  il  gius  canonico  e  le  controversie  di  giurisdizio- 
ne fra  il  Sacerdozio  e  l'Impero  fossero  materie  affatto  aliene 
dalla  professione  del  nostro  Frisi,  vi  fu  chi  volle  ascoltarlo  su 
tale  argomento,  che  allora  era  uno  de'  primarj  oggetti  poli- 
tici. Egli,  istrutto  com'era  della  storia,  dotato  di  chiarissime 
idee,  si  spiegò  e  scrisse  anche,  cosi  comandato,  con  eviden- 
za tale,  che  comparve  nuovo  un  argomento  cotanto  dibattu- 
to,  e  riuscì  interessantissimo  lo  scritto  suo.  I  principj  suoi 
furono  i  medesimi  che  vennero  posti  in  fronée  allora  alla  leg- 
ge per  cui  fu  proscritta  la  bolla  in  Coma  Domini ,  cioè 
Giurisdizione  al  Sovrano,  Autorità  alla  Chiesa  ;  il  tempo- 
rale al  primo,  lo  spirituale  a  lei.  Alla  opinione  della  su- 
blimità del  suo  ingegno,  provata  dalle  opere  stampate; 
alla  stima  dello  spirito  che  ciascuno  ammirò  conversando 
con  lui ,  aggiunse  il  nostro  illustre  Frisi  le  prove  della  somma 
illibatezza  e  generosità  dell'animo  suo,  giacché  non  sola- 
mente non  volle  chiedere  grazia  veruna,  sebbene  l'occasione 
di  essere  accanto  al  signor  Principe,  che  seco  lo  condusse 
al  suo  castello  d'Austerlitz,  gli  somministrasse  tutta  T  op- 
portunità; ma  nemmeno  volle  accettare  una  offertagli  rimu- 
nerazione per  risarcirlo  della  spesa  del  viaggio  fatto  a  Vien- 
na, poiché,  in  tal  guisa,  diceva  egli  che  ne  avrebbe  perduto 
il  merito.  Ivi  ebbe  campo  di  frequentare  il  signor  don  Gio- 
vanni di  Braganza  e  il  signor  cardinale  Visconti,  allora  Nun- 
zio a  quella  Imperiai  Corte;  il  primo  de'quali  mantenne  una 
amichevole  corrispondenza  con  lui,  e  il  secondo  potè  dargli 

28* 


330  MEMORIE   SULLA   VITA  DI  PAOLO  FRISI. 

contrassegno  ancor  maggiore  della  sua  stima  e  benevolenza, 
interessandosi  con  felice  saccesso  per  collocare  canonico 
nella  onorevolissima  Basilica  Ambrosiana  il  di  lai  fratello 
don  Lui^i  Fri». 

Ritornato  nella  patria,  riprese  il  fila  de'  snoi  stod],  e 
oltre  le  assidue  lezioni  ch'egli  dava  a' suoi  uditori  nelle 
Scuole  Palatine,  pubblicò  con  le  stampe  di  Parma,  nel  1769, 
un  Commentario  sulla  Teoria  della  Luna,  concertato  vicen- 
devolmente coir  illustre  astronomo  ed  amico  sincerissimo  del 
nostro  Frisi  il  signor  Daniele  Melanderhielm  Svezzese  ;  e 
non  dimenticando  T  importante  stadio  delle  acque,  pubblicò 
un  nuovo  trattato  de'  Canali  navigabili,  dedicato  al  ministro 
plenipotenziario  signor  conte  di  Firmian  l' anno  1770»  Le 
Accademie  di  Copenaghen  e  di  Berna  in  queir  anno  scrìs- 
sero nel  loro  catalogo  il  nome  del  sublime  ed  instancabile 
nostro  Matematico.  Ma  dalla  placida  occupazione  degli  stndj 
venne  circa  a  que'  4empì  distolto  il  nostro  Frisi  per  diverse 
pubbliche  commissioni  di  cui  fu  incaricato.  Venne  egli  cliia- 
mato  a  Roveredo  per  decidere  una  questione  dipendente  da 
un  filatoio  mosso  coli'  acqua,  e  provvedere  l' acqua  da  bere; 
quindi  passò  a  Trento  per  una  chiusa  al  torrente  Fersina;  poi 
fu  spedito  dal  signor  Duca  di  Modena  a  visitare  le  montagne 
fra  Modena  e  Pistoia  per  costruirvi  la  nuova  strada;  poscia 
dal  Reale  Governo  di  Milano  fu  inviato  nel  Cremonese,  per 
esaminare  un  progetto  di  navigazione  dall' Oglio  aU'Adda 
sulla  Delmona;  e  dipoi  venne  adoperato  per  eseguire  lo 
spurgo  del  Navìglio  nella  cittA  di  Milano.  Fece  un  piano  pel 
Collegio  degl'Ingegneri,  cosi  comandato.  Fece  altro  piano, 
comandato  pure,  per  la  Specola  di  Brera.  Rispose  ai  quesiti 
ohe  gli  vennero  fatti  sul  nuovo  Acquedotto  di  Genova.  Wàtò 
il  fiume  Tres^i,  e  giudicò  deDa  possibilità  di  riunire  econo* 
micamente  i  due  laghi  di  Lugano  e  Maggiore  con  questo 
emissario.  Queste  furono  le  varie  commissioni  che  lo  fra- 
stornarono dal  corso  de' suoi  studj  dall'anno  1769  al  1774. 
La  fatica  maggiore  ch'ei  sostenne  allora  fu  nella  livellazione 
e  disamina  di  varj  progetti  di  canali  navigabili  del  Milanese, 
a  ciò  deputato  dal  Reale  Governo  per  insiiiuanone  della  Im- 
periai Corte. 


MBMORIE  solia  VITA  DI  PAOLO  FRISI.  33  i 

È  degno  di  memoria  dò  ch'egli  fece  a  Roveredo.  Si 
Totle  a  lai  deferire  il  giadizio  di  una  questione  che  ioTolgeva 
interesse  di  dae  parti  litiganti*  Trattavasi  di  definire  se  on 
sostegno  posto  recentemente  in  un  fiame,  attraversandolo, 
raUentasse  il  moto  saperiore  dell'acqua  a  danno  d'un  mulino 
già  collocatovi.  Lo  asseriva  il  proprietario  del  mulino,  lo  ne- 
gava l'interessato  nel  nuovo  sostegno;  e  intendeva  di  dimo- 
strare insussistente  il  reclamo,  giacché  dalla  livellazione  erasl 
provato  che  il  pelo  dell'acqua  immediatamente  passando  so- 
pra del  nuovo  sostegno,  riusciva  più  basso  non  solamente 
del  pelo  d'acqua  di  contro  al  mulino,  ma  più  basso  ancora 
del  fondo  stesso  del  fiume  preso  sotto  la  ruota  del  mufino. 
Era  dunque  mestieri  decidere,  se  un  sostegno  inferiormente 
collocato,  e  più  basso  del  fondo  d' un'  acqua  movente  una 
ruota,  potesse  danneggiare  il  movimento  di  essa  ruota  e  ral- 
lentarla, In  mezzo  all'impegno  delle  due  parti,  dalle  quaM 
difficilmente  potevasi  aspettare  una  convinzione  coli' addurre 
le  teorie,  il  nostro  signor  Frisi,  con  uno  di  que' semplicis- 
simi ritrovati  che  sono  proprj  dell'uomo  grande,  terminò  la 
questione.  Dispose  che  si  tignesse  di  bianco  un  raggio  della 
ruota  a  fine  di  potersene  da  ciascuno  facilmente  contare  le 
rivoluzioni.  Poscia  portatosi  collo  parti  contendenti  di  con-^ 
tro  al  mulino,  avendo  varj  oriuoli  gli  astanti,  si  fecero  re- 
plicate osservazioni  sul  numero  delle  rivoluzioni  che  faceva 
la  mota  in  on  minuto  di  tempo.  Poiché  tutti  furono  concordi 
nel  fatto,  e  che  tante  e  non  più  rivoluzioni  faceva  la  ruota 
nello  stato  d' allora,  ordinò  che  si  togliesse  il  sostegno  infe- 
riore; e  contate  poi  le  rivoluzioni  tolto  queir  impedimento, 
e  ripetutunente  contate,  ognuno  vide  che  maggior  numero 
di  rivoluzioni  faceva  )a  ruota  nel  secondo  caso.  Conobbe  al- 
lora ciascuno  che  veramente  il  nuovo  sostegno  pregiudicava, 
e  venne  tolto  ;  e  si  scopri  in  tal  guisa  un  paradosso  di  più 
neir  idraulica.  Cosi,  risparmiando  a  sé  medesimo  i'  odiosità 
di  pronunziare  un  giudizio,  ingegnosamente  operò  in  modo 
che  quasi  spontaneamente  la  verità  si  manifestasse  ad  ognuno. 

Ma  nei  canali  navigabili  progettati  nel  Milanese  non  fu 
possibile  r  evitare  V  urto  delle  opinioni.  Somme  fatiche  sop- 
portò il  signor  Frisi  facendo  più  livellazioni,  e  segnatamente 


332  MEMORIE  SOLLA  VITA  DI  PAOLO  FUSI. 

quella  dà  Milano  a  PaTia;  molte  visite  e  lìvellasìonì  fece 
guir  Adda  e  sul  icanale  che  si  è  poi  scavato  a  Paderno.  Egli 
introdusse  V  use  del  livello  a  cannocchiale,  non  senza  con- 
trasto de'  vecchi  ingegneri.  Ma  queste  fotìche,  queste  brighe 
trasportarono  il  nostro  Matematico  dal  campo  delle  scienze, 
ch'ei  signoreggiava  pacatamente,  nel  vortice  degli  affari, 
ove  trovossi  esposto  all'impeto  d'interes»  ed  opinioni  le  quali 
più  volte  gli  fecero  bramare  il  ritorno  a' tranquilli  suoi  stodj. 
Cosa  ei  pensasse  e  sol  progettalo  canale  di  Milano  a  Pavia, 
e  soli'  eseguito  a  Paderno ,  ognuno  può  conoscerlo  nel  libro 
della  Meccanica,  eh'  egli  dedicò  nel  1783  al  signor  ministro 
plenipotenziario  conte  di  Wilzeck.  In  mezzo  a  questi  labo- 
riosi ed  ingrati  doveri,  egli  si  consolava  nella  società  degli 
amici,  e  si  ricoverava  di  temilo  in  tempo  nella  solitudine, 
ove  colla  scorta  della  pia  sublime  matematica  penetrando 
ne' segreti  del  Sommo  Arte6ce  non  per  anco  conosciuti  dagli 
uomini,  contemplava  la  maestosa  fabbrica  dell'universo,  e 
assoggettava  al  calcolo  le  leggi  del  moto  de'  corpi  celesti.  Il 
frutto  di  si  profonde  e  memorabili  meditazioni  comparve  alla 
luce  dalle  stampe  del  Marcili  in  Milano,  l'anno  1774,  col- 
r opera  intitolata:  Cosmographia  Physica  et  MatkemaHea.^ 
Quest'opera  veramente  sublime  dimostrò  più  che  mai  ai  ma- 
tematici d'Europa  qoal  precisione  di  idee,  qual  nitidezza 
d'immaginazione,  qual  forza  e  perspicacia  d'ingegno  pos- 
sedesse il  nostro  signor  Frisi.  Da  molti  e  diversi  elementi 
risalire  all'  unità  del  prinéipio;  dall'unità  del  principio  scor- 
rere con  rapido  e  sicuro  passa  sulle  diramazioni  che  ne  de- 
rivano; nulla  omettere,  tutto  rappresentare,  conoscere,  cal- 
colare con  eleganza  ;  inventare  quasi  ad  ogni  fratto  nooTÌ 
metodi;  manifestarsi  signore  della  geometria  ngnalmente  e 
del  calcolo,  e  quella  delle  due  strade  trascegliere  per  coi  pò- 
levasi  ottenere  chiarezza  e  brevità  maggiore;  con  dimostia- 
zioni  quasi  tutte  sue  esporre  sotto  di  un  nuovo  aspetto  la 

'  Può  ricordarsi  come  ooa  cariositk,  che  Gemina  Friiio ,  matematico  4ì 
Lovaoto> stampò  in  AnTersa  nel  i5&4  una  Cosmografia  intitolata:  Cosmogr*' 
phia,  »tve  universi  Ortis  des^riptio.  Questi  due  libri  non  si  rassomigliano  per 
altro  se  non  pel  tholo  e  pel  nome  delPantore:  sono  doe  accoli  distanti  nel  tempet 
e  più  forse  ndla  ragione. 


MEMORIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FRISI.  333 

teoria  del  delo,  e  ciò  con  agevolezza  svolgendo,  e  maneg- 
giando maestrevolmente  gli  oggetti  in  modo  da  comprendere 
in  breyi  dimostrazioni  le  più  feconde  e  grandi  verità:  tale 
fa  il  carattere  che  si  riconobbe  in  questo  grand' nomo,  creato 
dalla  Provvidenza  per  vantaggio  e  accrescimento  delle  umane 
cognizioni.  Io  non  riferirò  Y  analisi  di  questo  compiuto  trat- 
tato di  Astronomia^  perchè  non  mi  sento  forza  per  degna- 
mente scriverne,  e  perché  talmente  è  conciso  T  Autore,  che 
Tolendosi  raccontare  la  serie  delle  verità  grandi  che  ci  ha 
fatte  conoscere,  si  rischierebbe  di  scrivere  poco  meno  di 
quanto  egli  fece;  essendo  la  sua  maniera  di  dimostrare  tanto 
rapida  e  precisa,  che  il  raccontare  cosa  abbia  dimostrato 
occuperebbe  talvolta  spazio  maggiore  della  dimostrazione.  La 
Cosmografia  è  un'  opera  che  non  può  essere  compendiata. 
Quest'  opera  comparve  in  due  volumi  in-quarto.  Il  primo 
dair  Autore  fu  dedicalo  aUe  Accademie  che  V  avevano  asso- 
ciato, fra  le  quali  allora  appunto  s'annoverò  quella  di  Upsal. 
Il  secondo  lo  volle  indirizzare  ad  alcuni  matematici  suoi  ìn- 
timi amici,  cioè  al  conte  Radicati,  al  cavaliere  Mozzi,  al 
cavaliere  di  Keraillo,  al  signor  di  Sejour,  al  vescovo  inglese 
Walmesley,  e  al  signor  Melanderhielm. 

Colla  abolizione  de'  Gesuiti,  il  Collegio  de'  Nobili  di  Mi- 
lano mancava  di  chi  lo  dirigesse;  e  il  Reale  Governo  sosti- 
tuì loro  i  fiarnabiti,  i  quali  erano  abituati  a  dar  educazione 
a'  giovani  nobili  nel  Collegio  Imperiale  ove  stava  V  alloggio 
del  nosth)  signor  Frisi.  Poi  si  trovò  superflua  la  separazione 
di  due  nobili  Collegj,  cessata  l' emulazione,  che  forse  poteva 
essere  utile  quando  erano  due  ceti  distinti  a  regolarli.  Il  Col- 
legio Imperiale  venne  destinato  ad  altro  uso,  e  i  nobili  edu- 
candi vennero  trasferiti  tutti  alla  Casa  de' Gesuiti.  Questa 
inaspettata  rivoluzione  pose  in  molto  imbarazzo  il  nostro 
Matematico,  il  quale,  dovendosi  portare  ogni  giorno  alla  Uni- 
yersità*  di  Brera  per  le  funzioni  della  sua  cattedra,  alle  quali 
non  mancava  giammai,  non  aveva  opportuno  ricovero  nelle 
case  del  suo  Ordine.  Non  v'era  comodo  collocamento  nel 
Collegio  de' Nobili,  disordinato  per  la  fabbrica  che  vi  si  stava 
facendo.  Il  Collegio  di  Sant'Alessandro  appena  basta  al  rico- 
vero di  quei  degni  Padri  che  vi  alloggiano.  L'altro  Collegio 


334  MEMORIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FRISI. 

di  San  Barnaba  potea  prestar  albergo  ad  nostra  Malematico; 
ma  tale  sitnazìone  sarebbegli  riuscita  sommamente  inco- 
moda, Biassimamente  ne' mesi  d' inverno,  attesa  la  disianza 
di  quel  Collegio  dall'  Università.  Volle  cosi  la  necessità  ch'ei 
pmisasse  a  trovarsi  alloggio  nella  eoa  famiglia,  erconsegaen- 
temente  a  porsi  quel  vestito  per  cui  non  fosse  indecente  l'al- 
loggiarvi. Non  aveva  egli  mai  avuto  pensiero  di  uscire  dalla 
Congregazione  de' Barnabiti,  fra  i  quali  viveva  benisùmo, e 
dai  quali  era  sinceramente  stimato  ed  amato.  Nel  Collegio 
Imperiale  egli  stava  decentemente  alloggiato,  e  libero  perfel- 
lamente.  Il  maggior  numero  de'  suoi  amici  era  fra  i  Barna- 
biti, che  sentivano  il  pregio  d'avere  un  collega  tanto  illustre 
e  buono,  al  quale,  oltre  la  gloria  cine  ne  derivava  all'Ordine, 
erano  debitori  dell'  incremento  de'  buoni  stndj  coli'  esempio 
non  meno  che  colle  istruzioni.  Il  nostro  illustre  Frisi  nem- 
meno pensò  mai  sotto  il  facile  pontificato  di  Clemente  XIV 
di  cambiare  vestito,  giacché  egli  amava  di  vivere  co' suoi 
colleghi ,  e  non  fu  poco  i'  imbarazzo  per  luì  di  dover  pensare 
a  far  casa  da  sé,  e  cambiare  quel  genere  di  vita  che  passava 
tranquillamente.  Pure  l' accennata  soppressione  del  Collegio 
Imperiale  lo  sforzò  a  iinplorare  la  protezione  del  signor  prin- 
cipe di  Kannitz,  la  quale  con  replicate  istanze  ne' principi 
difficili  del  pontificato  del  regnante  Pio  VI  finalmente  gli 
ottenne  la  focoltà  di  vestirsi  da  prete,  e  dipendere  dall'ar- 
civescovo sinché  gli  durasse  la  carica  di  regio  professore. 
Questa  mutazÌ4Hie  accadde  nella  primavera  dell'  anno  1*776, 
e  sì  portò  a  convivere  colla  rispettabile  sua  madre,  una  so- 
rella e  tre  fratelli ,  formandosi  una  famiglia  di  sei  persone, 
la  quale  disgraziatamente  in  otto  anni  si  é  ridotta  ai  dae 
soli  signori  Canonici  che  oggi  vivono.  Quantunque  però  sol- 
tratto  dalla  dipendenza,  egli  si  considerò  sempre  come  Bar- 
nabita. Frequentava  1  CoUegj  della  sua  congregazione;  ani- 
mava eolla  sua  presenza  le  loro  funzioni  scolastiche;  ne' giorni 
solenni  seco  loro  si  portava  a  convivere;  e  ne' tempi  nei  quali 
la  Chiesa  rammemora  la  Passione,  egli  andava  a  celebrarne 
i  sacri  riti  oo'suoi  cdlegfai,  fra  i  quali  trovò  amici  per  la  sua 
gloria  e.  felicità  sommamente  interessati.  Mentre  ei  venne 
chiamato  daHa  Bepobblica  di  Venezia  per  esaminare  alcani 


MEMORIE  SULLA  VITA   DI  PAOLO  FRl^I.  335 

progetti  sulle  acque  deUa  Brenta,  egli  propose  per  sostitalo 
alia  sua  cattedra  il  Padre  Racngni  Barnabita,  uomo  dì  cui 
il  nostro  Matematico  ayera  vera  e  sentita  amicizia.  Poscia, 
in  altra  occasione,  dovendo  pensare  a  supplemento  per  ma- 
lattia, e  non  potendolo  il  Padre  Racagni,  occupato  nelle  ca- 
riche deir  Ordine,  ci  propose  il  Padre  Salvioli,  pure  Bama- 
iHta,  di  coi  aveva  opinione  distinta:  Egli  fu  che  fece  conoscere 
il  valor  matematico  del  Padre  Domenico  Mariano  Fontana 
Barnabita,  e  contribuì  a  collocarlo  in  una  regìa  cattedra. 
Nella  meschina  e  affatto  plateale  ostilità  che  ebbe  a  sof- 
rire  il  nostro  illustre  cittadino  nella  sua  patria  per  le  Ef- 
femeridi^^ fra  i  Barnabiti  trovò  impegnati  amici  detta  ve- 
rità e  del  merito.  Nella  sua  ultima  malattia^  dai  Barnabiti 
ebbe  le  più  amichevoli  offerte  d'alloggio,  di  soccorso  d'ogni 
sorta,  non  accettate,  gli  è  vero,  ma  corrisposte  dalia  più  sin- 
cera riconoscenza,  avendo  voluto  nelle  ultime  angustie  della 
vita  l'assistenza  de' suoi  colleghi.  Credo  opportuna  la  me- 
moria di  questi  fatti,  perchè  provano  che  le  Comunità  reli- 
giose non  sono  sempre  quali  le  suol  dipìngere  la  maligna 
incredulità,  e  provano  a  un  tempo  stesso  la  costanza  e  bontà 
del  carattere  intrinseca  al  nostro  signor  Frisi. 

Ho  accennata  la  commissione  di  Venezia,  ove  fu  chia- 
mato nella  state  del  1777.  Nelle  Istituzioni  della  Meccanica, 
ristampate  nel  1783  in  Milano  dal  Galeazzì,  si  può  conoscere 
lo  stolto  di  quella  questione.  Egli  fu  distintamente  premiato 
da  quella  Bepùbbliea;  ma  le  fatiche  fisiche  di  livellazioni  ivi 
fatte  sotto  il  cocente  raggio  del  sole;  la  febbre  delie  opinioni 
ed  interessi,  ancora  più  faticosa  a  soffrirsi  per  un  uomo  av- 
vezzo a  ricercare  la  verità  con  rapidi  e  sicuri  metodi,  ad 
annoaziarla  con  fermezza  senza  cautela  ed  industria,  posero 
colmo  al  disgusto  eh'  egli  aveva  già  concepito  per  gli  afibri 
pubblici;  per  modo  che  ricusò  poi  ogni  altra  commissione, 
l)enché  richiesto ,  e  per  affare  privato  a  Piacenza ,  e  per  af- 

*  s'ingannò  ti  Giornalista  pisano. La  disputa  non  ebbe  origine  pel  silenzio 
degli  Eflèaierìdi^i;  Tebbe  perchè  asserirono  indirettamente  che  il  signor  abate 
Frisi  non  avesse  fatto  nulla  nel  problema  dalla  precessione  degli  equÌBoij.La  c|Qe. 
stione  e  tratUta  nella  lunga  lettera  data  allora  alle  stampe,  e  nella  lettera  stam- 
pata del  padre  Jacquicr. 


336  MEIIORIB  SOLLA   VITA  DI  PAOLO  FB1S1.  ^ 

fare  del  Comune  da  ona  città  ittastre  negli  Svizzeri  ;  e  tate 
detenninazione  era  si  ferma  in  lai,  che  neasmi  riguardo  pie 
mai  non  Y  arreUie  indotto  a  dipartirsene»  pretestando  egli 
la  salate  non  piA.  cosi  ferma  come  negli  anni  passali.  Quella 
di  Venezia  fa  veramente  V  ultima  commissione  eh'  egli  est- 
gol;  e  prima  aveva  diretta  in  Milano  la  costruzione  de*  cod- 
dottorì  posti  all'Archivio  pubblico  per  ordine  del  Reale  Go- 
verno; il  che  non  per  altro  debb' essere  ricordato,  se  non 
perché  anche  in  questo  egli  ebbe  il  merito  ili  far  conowere 
il  primo  agli  occhi  del  pubblico  nella  patria  questo  preserri- 
tivo  dai  fulmini,  sol  quale  stampò  anche  una  Memoria  in 
quell'anno  1776,  uscita  dall'  officina  del  Galeazzi. 

I  servigj  che  prestò  alla  patria  V  ottimo  nostro  cittadino 
non  furono  pochi.  Egli  coli' esempio,  colle  lezioni,  cogli 
scritti,  fu  il  primo  che  scosse  dal  sonno  la  nazione,  presso 
la  quale  inutilmente  s'era  mostrata  la  immortale  donna  Ma- 
ria Agnesi,  sottrattasi  nella  solitudine  alla  indifferenza  de'dt- 
ladini,  e  consolatasi  colle  opere  di  pietà,  per  non  aver  tro- 
iata altra  ricompensa  ai  voli  del  sublime  suo  ingegno  fuori 
che  1^  fama  presso  gli  esteri.  Erano  ignote  le  nuove  scoperte 
nelle  scienze  fisiche  e  matematiche:  il  pensare  era  un  vizio, 
lo  studio  era  imparare  i  pensieri  altrui.  Imitar  Cicerone  Del 
giro  e  nella  scelta  delle  parole;  porsi  in  mente  un  numero 
grande  di  leggi  ed  opinioni  di  dottori;  esercitarsi  a  sosteneie 
con  animo  imperterrito  e  contro  qualnnque^  evidenza  sua 
opinione  scolastica:  questi  erano  i  pregj,  e  quest'era  il  piano 
d' educazione  pubblica  in  que'  tempi ,  peggiori  assai  di  quelli 
che  avevano  preceduto;  poiché  lo  studio  della  erudizione  e 
della  critica  (de'  quali  i  nostri  padri  ci  hanno  lasciati  ono- 
rati monumenti)  era  derelitto  alla  metà  dì  questo  seeolo, 
quando  il  nostro  Matematico  fece  rivolgere  verso  Milano  gli 
sguardi  de'  filosofi  d' Europa.  Egli  il  primo  affrontò  suUa  cat- 
tedra e  colle  pubbliche  tesi  le  superstizioni,  le  stregberjei 
e  simili  errori;  sostituì  alle  opinioni  scolastiche  le  verità  di- 
mostrate; alle  frivole  questioni,  la  cognizione  del  cielo  ede'fe- 
nomeni  terrestri;  all'araba  dialettica,  l'infallibile  calcolo. 
Ne' Barnabiti  si  moltiplicarono  i  buoni  studj,  nella  città  si 
dilatarono.  Posto  ad  insegnare  la  meccanica,  V  archilettan 


MEMORIE  SOLLA  VITA   DI  PAOLO  FRISI.  337 

e  ridraalìca  agli  alanni  ingegneri,  ora  ci  lascia  un  collegio 
in  baona  parte  di  snoi  discepoli,  i  qoali  operano  per  prin- 
cipi» e  possedono  la  scienza  loro  a  onore  non  meno  che  a 
utilità  della  patria.  Fra  le  benemm^nze  di  lai  merita  pare 
distinta  memoria  la  bontà  colla  qnale  accolse  sempre  i  gio- 
Tani  di  talento  e  studiosi,  e  T impegno  col  quale  aiutò  sem- 
pre i  progressi  della  coltura.  Quella  gelosa  freddezza,  che 
ai  giovani  non  per  anco  formati  mostran  talvolta  gli  uomini 
di  qualche  nome  nelle  lettere,  non  Ai  mai  nei  nostro  eccel- 
lente cittadino:  ei  si  faceva  un  pregio-  di  contribuire  alla 
fama  altrui.  Il  libro  dei  Delitti  e  delle  Pene  del  signor  mar- 
chese Beccaria  egli  lo  fece  conoscere  a  Parigi,  inviandone 
un  esemplare  al  signor  D' Alembert r  ei  fu  sedotto  dall'ami* 
ciEìa  che  aveva  per  me,  e  volle  far  altrettanto  di  qualche 
altra  mia  produzione.  E^li  animava  gli  amici  a  scrivere,  a 
ripassare  le  cose  loro,  e  darle  alia  luce;  er tutte  le  di  ini  pre- 
mure tendevano  a  promovere  l' onor  nazionale  e  la  coltura 
della  patria.  Ma  questo  stesso  principio  doveva  renderlo  alieno 
dai  lodare  la  mal  fondata  ambizione  di  alcuni,  che  pur  cre- 
devano d'essergli  uguali,  perchè  avevan  dato  essi  pure  un 
libro  alla  stampa;  libri  dimenticati  un  momento  dopo,  come 
i  fogli  delle  novelle,  de'quai  libretti  v'era  anni  sono  la  smania 
di  produrne;  e  questa  indifferenza  di  lui  andava  poi  formando 
uno  stuolo  di  persone  poco  amiche  del  nostro  signor  Frisi, 
che  avrebbero  voluto  poter  mostrare  di  non  averne  stima 
appunto,  perché  avendone  somma  lor  malgrado,  non  era  loro 
riuscito  dì  meritarla  da  lui.  Qnai  fossero  le  eccellenti  lezioni 
ch'ei  dava  ai  giovani  ingegneri,  ognuno  l'ha  potato  conoscere 
dalle  Insliluxioni  di  Meccanica,  d'Idrostatica,  d'Idrometria,  e 
d'Archileltura  Statica  e  Idraulica  ad  uso  della  Regia  Scuola  eretta 
in  Milano  per  gli  Architetti  e  Ingegneri;  opera  che  egli  stampò 
in  Milano  presso  il  Galeazzi,  1777,  sotto  gli  auspicj  del  Reale 
Arciduca  Ferdinando,  governatore;  opera  per  cui  l'augusta 
Maria  Teresa  con  onorevole  Dispaccio  ordinò  una  gratifica- 
zione all'autore.  Comincia  l'autore  dalle  teorie  del  moto  uni- 
forme o  variabile;  spiega  i  principj  della  composizione  o  ri- 
soluzione delle  forze;  della  discesa  libera  de*  corpi  ne'  piani 
inclinati;  della  progressione  delie  curve;  del  moto  de'  pendo- 
li. 29 


338  MEMORIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FHlSi. 

li';  della  proiezìQDe;  deireqniUbrìo;  del  centro  dì  gravila:  poi 
ci  preeeata  ana  eccellente  teoria  mdl'ose  delle  niaccbine.8en- 
f)lici  e  composte;  ijakU  applica  i  principi  alla  teoria  della  mec- 
canica, cioè  «di'  architettura  statica;,  dà  una  nozione  degli 
ordini  d'avchitettara;  tratta  della  aolidità  reale  e  della  appi- 
Teote;  della  resistenza  de'  corpi  solidi;  degli  architravi;  ée' 
4eUi;  della  resistenza  de'  chiodi  .e  delle  catene  ;  della  tensio- 
oe  delle  corde;  del  taglio  delle  pietre  per  le  vòlte;  della  spinU 
delle  vòlte.  *  In  segalfo  applica  all'  idrostatica  le  leggi  del- 
l'equilibrio, de'flaidl;  tratta  del  livello  di  essi;  della  pressione; 
deUa  gravità  speoidca,  e  varj  problemi  da  essa  dipendeoU; 
tratta  deU'eqailibrlo, dell'aria  col  mercurio;  delle  misare  deUe 
altezze  col  barometro;  del  livello  reale  ed  apparente.  Passa 
quindi  all'idranlica:  insegna  la  cagione  del  moto  de'*flaidi,  e 
tratta  del  modo  di  calcolarne  la  velocità,  esaminando  i  metodi 
de' più  illustri  mal^natici.  Tratta  delle  acque  correnti;  de'mi- 
gliori  slromenti  per  paragonarne  la  pressione,  da  coi  dipen- 
de ia  velocità;  spiega  la  restatensa  dell'  acqua,  e  la  di  vena 
velocità  delle  acque  correnti  alla  superficie  de'  fiumi  ed  al 
fondo.  Dopo  ciò,  con  viste  generali  e  con  molta  erudiaione, 
tratta  della  direzione  de'  0umi  pnmarj,  e  delle  diverse  ma- 
terie che  seco  postano.  Poi  ragiona  di  varj  fiumi  d'Italia,  e 
di, varj  canali  navigabili,  e  sopra. tutto  dei  milanesi:  ooo 
omette;però.quei  di  Francia,  Fiandra,  Spagna,  Inghiltern, 
Svezia,  ec'L'imbocjcatura,  la  pendenza,  la  qualità  de' soste- 
gni, le  macchine  migliori  per  idpurgare  il  fondo,  e  simili  og' 
getti,  sono  discussi  con  mano  maestra,  con  luminosi  tocchi. 
Il  Giornale  di  Bouillon,  anujanziando  quest'opera,  la.  chiamò 


'  Il  Giornale  pisano  dice  che  tu  quest'opera  l'abate  Frisi  confata  a  t«rt« 
i  metédi  dati  da  Belidor,  Coiapift  e  Basiat  per  ealcobre  la  apiata  delle  fólle. 
Siccome  però  il  metodo  del  Bessut  d«  risaltati  diversi  dal  metodo  degli  altri  òm» 
cosi  evi^eoteroente  se  ne  dedure  che  non  sono  veri  enlrambo  questi  roctodif  e 
che  con  ragione  si  può  asserire  che  uno  di  essi  h  fallace.  Se  poi  nn  geomctia 
ridunàqael  prohlema  Ài  naso  deik  leya,'o  del  cnneo,  o  del  piaao  iadiatttìt  n* 
marra  convinto  che  i  melodi  del'Belidor»  del  Couplet  e  del  Bossut  sono  fallaci» < 
meritavano  d'essere,  come  fuiono,  confutati.  Lo  slesso  Giornale  rileva  l'espre*- 
sione  assolata  della  forsa  centrifuga  data  dal  Frisi,  il  quale  ha  forse  data  oaa 
aigttificaaione  troppo  eatcsa  alle  forinole  diflefenaiali  del-rooto  Tariahik»  il  1"*' 
difetto  gli  è  comune  con  altri  matemalk»  di  prima  sfera. 


IKMOH»   SDLLA   VITA   DI  PAOLO  PIGISI.  339 

digne  fruii  du  traioaU  d*un  dèi  piuf  iavoM  u^athémalieiens  de 
V Europe,  et  lr^s-€umréWMnt  du  phuuUìe  ff^fetseur  de  V Italie, 
Le  opere  che  aveva  date  alia  tace  il  chiarissimo  nostro 
cittadino ,  l' avevano  palesato  on  sovranio  ingegno  n^e  ma- 
tematklie^  e  nella  fisica  celeste  e  della  terra.  Un'  altra  cele- 
brità doveva  egli  acquietar  poi,  mostrandosi  elegante  scrfltore» 
critico  illnminato,e  nomo  di  molta  erudizione. Rimasero  mara^ 
Tigliati  non  pochi,  allorché  comparve  alla  tace  il  primt>  saggio 
dicoHa  letteratura  del  nostro  Autore,  che  fu  l'Elogio  del  Otdi- 
lee,  dediesrto  a4  Reale  Granduca  Arciduca  Leopoldo,  '  ti  qual 
Sovrano  si  degne  di  conservare  nel  molo  delhi  Università  di 
Pisa  il  Signor  Frìsi  alla  cattedra  stessa  ove  aveva  seduto  il 
Galileo.  In  quest'Elogio  ammirano  i  dottila  scienza  non  me- 
no che  r  erudizione  dell'Autore,  che  luminosamente  presenta 
lo  siato  in  cui  Galileo  trovò  le  umane  cognizfioni;  i  mozzico' 
qaali  s' avvide  degli  errori  comuni;  la  sagacità  con  cui  seppe 
rintracciare  II  vera  e  soslRoirto  ai  venerati  sogni  ;  gH  equi- 
voci insepàraflili  dai  primi  Dentativi  ove  il  Galileo  medesimo 
traviò  talvolta;  le  inquietudini  che  questo  grand'uomo  seffiri  ; 
in  una  parola,  l'analisi  dell' ingegno  e  delie  benemerenze  del 
Galileo.  Sul  conto  delle  amareirze  le  quali  soi^se  Galileo , 
cosi  si  esprime:  —  In  quésl'ammasso  d'idee  e  di  pregiudizi,  di 
raxioeifij  «  di  paséioni,  di  eìrtò  e  di  vt«f  che  avvolgono  il  genere 
ummM,  igenjrarie  ^uhHmi^  non  atendxi  mai  il  disprezzo,  hanno 
sempre  la  emuÌasion€y  e  qualche  valla  il  livore  e  là  rabbia  deg^ 
tiomJni  p^  volgari,.,,  ^a  Socrate  einoa  Galiho,  erano  divenute 
comuni  le  do^ianze  degli  uomini  di  kUere,  d*  avere  nella  lor  pa- 
tria m^Mor  eònÈiderazione  che  olfroee.-^Questa  maniera  di  scri- 
vere non  si  aspettava  da  un  uomo  che  supponevasi  ùnicamente 
oecuj^ato  neHe  proporzioni  delle  quantità.  Alcuni  gazzettieri, 
non  polendo  criticare  le  altre  opere  di  lui,  l^enchè  scritte  In 
lingua  da  essi  non  intèsa,  si  scagliarono  contro  lo  stile  di- 
questa;  e  perché  invece  di  scrivere  declamazioni  o  antitesi, 
BH^strevolmente  seguivar  la  placida  ragione,  pretesero  dt* 

<  Il  prino  Blofio  che  scrine  il  signor  Friii  (b  qatll»  di  GahbrìBllo  Ma»* 
fccdi;  ma  siccome  vejaae  stampato  unitamente  alle  Dissertaeioaà  pubblicate  in 
Lucca ,  cosi  passò  per  le  mani  di  minor  numero  di  lettori ,  e  tpiello  del  Galileo 
comparve  come  il  primo. 


3{0  MEMORIE  SULLA  VITA   DI  PAOLO  FRISI* 

trovarlo  freddo  e  stentato,  e,  qaasi  mancasse  egli  di  lalenlo 
per  le  lettere,  procararono  di  screditare  questo  genere  di  elo- 
quenza. 11  signor  Frisi  eompose  V  Elogio  del  gran  Newton, 
lo  fé  stampare  in  MUano,  dedicandolo  alla  Reale  Arcidachessa 
Beatrice.  Quest'Elogio  è -scritto  con  energia  e  con  eloquenza  su- 
periore ancora  a  fronte  di  qaello  del  Galileo.  Il  solo  esordio  lo 
annunziaiT-^'ttomo  virtuoso,  Vuomo  sensibile,  l'uomo  ragionaUh 
re,  leggendo  e  considerando  le  storie  delle  aniiche  nazioni^  e  tro- 
vandovi una  lunga  serie  di  vizj,  di  barbarie  e  d'errori,  s'alxa 
molte  volte  dai  libri,  sdegnandosi  e  rattristandosi  eoUa  $l£ssa  sua 
specie.  Per, poterne  formare  una  idea  migliore,  e  trovar  degli  og- 
getti più  consolanti,  bisogna  chfi  si  rivolga  alla  storia  degli  uomini 
di  lettere.  La  sacra  luce  deUa  veritànon  è  spuntata  che  lentafnente 
neUe  civili  società,.,..  Da  per  tutto  vi  sono  state  earnifieine  e  ear- 
ne/Sci.  Non  vi  è  parte  ancora  più  piccola  del  corpo  umano  in  cui 
non  siasi  trovata  Varie  di  pqrtare  i  dohri  più  acuti;  non  vi  è 
prodojito,  non  vi  è  elemento  della  natura,  che  non  9iasi  varith 
mente  imjnegaia  per  rendere  VaUrui  morte  più  lenta ,  e  la  vita 
più  tormentosa,  ec.  —  Anche  in  quest'opera  traspare  la  sen- 
sibilità del  nostro  Autore.  Come  suol  dissi  de'piUori,  che  nelle 
loro  figure  qualche  imitazione  sempre  vi  pongono  della  loro 
pròpria  Gsonomia,  cosi  gli  uomini  di  lettere  forz'é  che  lasci- 
ne conoscere  il  loro  animo  ne' loro  scritti.— /j  Galileo,  die'egU, 
fu  lungamente  perseguitato;  il  Cavalieri,  U  Cassini,  U  Grandi 
non  ebbero  obUigoiione  alcuna  aUa  patria;  tant'altri  illustri  Ila^ 
Uani  vissero  nella  mediocrità,e  non/urono  onorali  generalsnenle 
che  in  morte.  Il  Newton  fu  conosciuto  e  onoralo  da  tuUalasua 
nazione  sino  dalla  prima  gioventù.  —  Il  nostro  signor  Frisi 
poteva  aggingnere  il  suo  nome,  come  degno  collega^  di  que- 
gl'  illustri  Italiani;  sentiva  di  aver  con  essi  una  condizione 
comune,  e  il  vaticinio  si  ò  compiutamente  avverato  eolla  di 
lui  morte.  In  altro  luogo  di  quell'Elogio,  parlando  degl'Ila- 
lìani,  dice  che  gli  esteri  non  faranno  mai  un  giusto  c^ceih 
del  valore  degl'ingegni  italiani,  sintanto  che  unicamente  pa- 
ragoneranno le  scoperte  e  gli  scrìtti;  convenendo  inoltre  cal- 
colare la  mancanza  di  aìntr  e.  le  somme  opposizioni  che  si 
sono  dovute  da  noi  superare.  Egli  incidentemente  parlando 
delle  scuole  d' Italia  dice:— Affidale  in  quel  tempo  ai  Gesuiti* 


MEMORIE  SULLA   VITA  Di  PAOLO  FRISI.  341 

ridoUe  ad  una  dUcipìinfi  monaHica^  e  sistemale  c(m  altre  viste  e 
con  allri  fini-  partìeiilari,  erano  ancora  jriù  oscure  e  caliginose. 
Vi  si  cercava  piik  la  subordinazione  che  la  solida  istruzione  dei 
^vani....  Due  Gesuiti  di  maggior  nome,  il  Riccioli  ed  il  aran- 
domi, avevano  impiegalo  la  mediocrità  deloro  talenli  per  rica- 
vare  due  supposte  dimoslraxioM  delVimmobilità  della  terra,-^ 

Il  Gesuita  Castel  nella  Francia  s' oppose  alle  teorie  del  New- 
ton sulla  luce  e  sulla  gravità.  11  Gesuita  Gouyé  attaccò  i  cal- 
coli dell*  infinito  propostici  dal  Newton.  Il  signor  Frisi  nou 
era  punto  contento  de'  Gesuiti,  a  taluno  de'  quali  egli  attri- 
buiva il  pericolo,  evi  fu  esposto,  d'  essere  relegato  ad  inse- 
gnare la  matematica  pura,  per  abbandonare  la  mista  ad  al- 
tro soggetto;  disgusto  dal  quale  lo  preservò  la  protezione 
decisa  del  signor  principe  Kaunitz,  il  quale  non  voile  per- 
mettere che  un  Milanese  tanto  celebre  e  benemerito  venisse 
in  Milano  limitato  alle  mere  astrazioni,  e  per  una  trama  sor- 
damente ordita  cedesse  V  onorevole  cattedra  degli  alunni  in- 
gegneri a  chi  certamente  non  Vivrebbe  occupata  con  pari 
utilità.  S' aggiunse  che  i  gazzettieri ,  che  indiscretamente 
avevano  criticato  il  primo  Elogio,  erano  Gesuiti  soppressi. 
S'aggiunse  la  disputa  già  accennata  cogli  autori  delle  Efe^ 
meridi.  Tutto  ciò  lo  sciolse  da  quel  ritegno  eh'  egli  aveva 
conservato  sino  allora  per  non  manifestare  al  pubblico  la  opi- 
nione sua  sul  merito  scientifico  di  quella  Società  ,  di  cqi  più 
apertamente  poi  trattò  nel  suo  Elogio  del  Cavalieri,  ch'egli 
volle  in  segno  di  sua  amicizia  e  benevolenza  dirigere  a  me. 
— Si  sparse  aUora  in  Italia  una  società  d'uomini  (cosi  nell'Elogio 
del  Cavalieri)  legali  insieme  con  certi  vincoli,  che  aspirando  ad 
wna  specie  d'impero  sulle  opinioni  e  sugli  affari  degli  uomini, 
osaronadi  assumere  la  direzione  delle  pubbliche  scuole:  ma  non 
avendo  né  lumi  sufficienti,. né  viste  abbastanza  grandi  per  la 
puMica  educazione,  anzi  facendo  servire  gli  stessi  Hudj  ad  alti  e 
viste  particolan  con  molliplicarU  e  organizzarli  a  modo  lóro,  con- 
tribuirono  sistematicamente  a  fissarne  la  sempHce  mediocrità.— 
Poi,  dopo  di  aver  esposto  l'ammirazione  con  cui  ì  più  su- 
blimi geometri  di  quel  tempo  accolsero  il  metodo  degi'  indi- 
visibìli  del  Cavalieri,  aggìugne  :—/nmw^o  agli  elojj  comuni 
de' nazionali  e  degli  esteri,  mentre  di  qua  e  di  là  daminomi  stu^ 

20' 


Zi2  MtMOVLE  SCLLA   VITA    DI  PAOLO  VB18I. 

dùtoasi  generalwiemie  Im  muma  Gtmtubria —  ire  moU  omtoiio  di 
allacearìa,  il  Taequet,  U  BeUhd,  U  GmUino;  e  fue$U  erano  Ire 
GenUH.^.Nim  ti  pnò  m  «mo  di  dammiàmn  tome  mm  qu€$i  Or- 
dine^  che  ha  fallo  Umle  OFpotixUmi  alle  seienxe^  dopo  ài  eueni 
impadranilo  di  tamU  SntoU  e  di  UaOe  Università  ,  in  mexxo  a 
tuW  i  comodi  di  studiare,  sperimaUare,  osservare ,  non  abèto 
mai  prodotto  invenzione  alcuna  da  paragonarsi  a  qMUe  aUre  a 
cui  andava  contraddicendo,  non  abbia  fatto  alcun*  epoca  nefkt 
storia  delle  scienze  medesime!  —  Indi  cita  il  Cavalieri,  il  Mar- 
Senne,  il  De  Angeli,  il  Grandi,  i  Maarini,  il  Norid,  loSlel- 
lini,  tntU  claaslralì  di  altri  Ordini,  ai  nomi  de'qaali  non  crede 
che  pogsano  i  Gesuiti  giastamente  contrapporre.  Quest'argo- 
mento lo  ha  trattato  in  qaeir  Elogio  del  Cavalieri  esaltameli- 
te,  analizzando  gli  autori  più  rinomati:  fece  però  una  ecce- 
zione cortese  in  favore  de'  viventi,  la  quale,  come  ogni» 
vede,  non  poteva  bastantemeivte  risarcire  il  disgustoso  effett» 
delle  generali  asserzioni.  Yarj  dispiaceri  ebbe  poscia  a  so^ 
frirne  il  nostro  Autore  e  diretlamenle  e4i  riverbero,  siccome 
accade  ;  e  questi  giunsero  a  tal  segno,  che  si  tentò  di  cauta- 
nieiite  insinuare  nella  mente  di  molti  l'opinione  deirequivoco 
suo  merito  sulle  scienze  sublimi;  opinione  la  quale  però  non 
potè  generalmente  prevalere,  perché' la  celebrità  presso  gli 
esteri,  i  premj  delle  Accademie  d'£uropa,  le  medaglie  di 
varj  monarchi  speditegli,  l'aggregazione  alle  più  illustri  Ac- 
cademie, erano  fatti  che  s'andarono  giornalmente  rinnovando 
sino  all'ultimo  anno  della  sua  vita.  A  questa  elevazione  era 
egli  salito  interamente  col  proprio  ingegno,  e  cominciando 
la  carriera  con  mancanza  di  quegli  appoggi  ed  aiuti  che  po- 
tessero ottenergli  alcuna  predilezione.  Pure  non  si  mancò  di 
spargere  dubbj  sulla  di  lui  scienza;  e  cinque  anni  prima  della 
sua  morte,  avendo  soffèrta  una  malattia  grave,  non  si  rispar- 
miò di  pubblicare,  aver  egli  perduto  il  vigore  della  sua  men- 
te ;  alla  quale  calunnia  egli  non  rispose  altrimenti,  sa  non 
componendo  e  pubblicando  il  suo  trattato  d'Algebra. 

Alcuni  riconobbero  la  vera  pittura  de'  sentimenti  delPfl- 
lustre  Autore  in  varj  tratti  eh'  ^li  innestò  nell'  Elogio  id 
Cavalieri  ;  ed  io  ne  accennerò  alcuni,  ^  Non  si  possono  mai  é^- 
haslansa  commendare  quegli  uomini^  dic'egli,  che  avendo  for« 


MEMOBIE  SCLLA   VITA  DI  PAOLO  FRISI.  3(3 

éufieienti  per  meller  mano  a  delle  cpere  pHmUive  e  originali, 
sanno  poi  ancora  discendere  a  delle  altre  opere  puramente  ele- 
mentari ed  istruttive.  Nelle  prime,  danno  esii  a  conoscere  la  #«- 
pèriitrità  dello  spirito;  nelle  seconde,  mani festano' ancora  i  più 
dolci  sentimenti  del  cuore^  la  delicatezza,  l'onestà,  la  premura 
di  corrispondere  all'  obbligo  de'proprj  impieghi.  -Tale  egli  era 
nellascuola,  e  i  valorosi  giovani  che  sono  nelGollegio  degl'In- 
gegneri ne  fanno  la  prova.  Sembra  di  vedere  l'anima  ferma 
del  nostro  signor  Frisi  leggendo  qaella  dura  condizione  di  gua-- 
dagnare  i  suffragi  pubbHci  colla  subordinazione  sino  delle  opi- 
nioni! Egli  non  (radi  mai  la  verità,  e  non  simulò  mai  opinio- 
ni o  sentimenti.  L'animo  suo  era  essenzialmente  retto,  bene- 
fico e  semplice.  —  La  rivalità,  il  sospetto,  die' egli ,  l'invidia 
{ignòbili  passimi)  non  arrivano  ordinariamente  sino  a  quei  qenj 
primarj,  che  attendo  ben  mentala  la  pubblica  estimazione ,  non 
hanno  bisogno  alcuno  di  guadagnarla  sugli  altri.  Essi  rispellano 
ciò  che  devimo,  stimano  ciò  che  possono ,  e  si  rendano  insieme 
tra  loro  tutte  le  pubbliche  testimonianze  del  merito  e  della  vir- 
tù,— Egli,  infatti,  in  tutte  le  opere  volle  tribuire  luminosa- 
mente  giustizia  al  merito  di  ciascuno  ;  e  non  solamente  cavò 
dall'  obblivione  il  nome  del  nostro  Cavalieri,  onore  della  par 
tria,  ma  anche  della  signora  Agnesi  ne  scrisse  in  quest'Elo- 
gio, qualificandola  d'  aver  ridotte  a  maggiore  chiarezza  e 
semplicità,  e  d'aver  legate  insieme  tutte  le  scoperte  analitiche. 
Parve  ad  alcuni  che  nemmeno  acaso  egli  avesse  posto  il  tratto 
seguente:  —  i  vtct'nt  e  i  coetanei  possono  essere  qualche  volta  tiv- 
considerati  o  anche  ingiusti  ;  ma  la  posterità  non  lo  è  mai.  -^ 
Molla  somiglianza  si  trovò  fra  la  situazione  dell'  Autore  e 
quella  del  suo  oggetto: — Bonaventura  Cavalieri  nacque  in  Mi- 
lano nel  llt98.  Esso  era  d*una  famiglia  n^  nobile  né  ricca.  Non 
aveva  ne  protezioni  né  appoggi.  Era  d'un^  temperamento  tran- 
quillo e  placido,  e  portalo  naturalmente  agli  studj.  In  simili 
circostanze  molti  altri  Italiani  scelsero  la  vita  claustrale... — £ 
più  ancora  vi  si  riconobbe  nel  trattò  seguente; — I  confratelli 
Cui  quali  viveva  nel  Collegio  di  Pisa  cercarono  di  distoglierlo 
dagli  studj  geometrici  o  matematici.  Dicevano  essi  che  questi 
profani  studj  sono  estranei  a  coloro  che  vivendi  ne*chi(^iri 
devono  unicamente  occuparsi  degli  oggetti  superiori  della  re- 


344  MEHOBIE  «OLLA  VITA   DI  PAOLO  FRISI. 

ligione,  e  delle  olire  cognizioni  the  vi  apparlengono.  Aon  tono 
gvaniU  dopo  quel  tempo  eimili  idee.  Non  si  è  arritalo  cosi  p^e- 
ilo  né  coH  generalmente  ad  intendere  che  tulle  le  verità  ti  col- 
legano  imieme^  le  divine  e-  le  tiiitatte.  Àncora  ai  tempi  wttiri 
si  sono  inlimale  da  alcuni  superiori  dauslrali  delle  proibir 
zioni  di  non  attendere  ad  altri  studj  che  a  qudH  deUa  volgare 
filosofia  e  della  teologia,  TaU  fn-oibizioni  non  risguardaooM 
però  un  giovine  coraggioso  ^  e  non  servirono  che  a  maggior- 
mente infervorarlo  nella  carriera  di  già  inlrapres<L  —  Ho  ere- 
dolo  bene  di  trascrivere  questi  squarci ,  i  qoali  mostrano  i 
sentimenti  dell'  Autore ,  ne  manifestano  con  evìdenxa  il  ca- 
rattere, e  bastano  soli  a  palesare  qoal  fosse  il  di  lui  merito 
come  pensatore  e  ootno  di  lettere;  mentre  V  analisi  che  fa 
delle  scoperte  fisiche  e  matematiche  del  Galileo,  del  Newton 
e  del  Cavalieri,  lo  palesa  nomo  che  poteva  orizzontalmeDle  rii- 
mirare  qoegli  oggetti,  e  da  vicino  contemplarli,  laddove  la 
parte  anche  più  colta  della  specie  nostra  gli  ammira  elevali 
e  rimoti. 

Ho  accennata  la  grave  malattia  che  il  signor  Frisi  soffri 
cinque  anni  prima  della  sua  morte,  cioè  Tanno  1779.  Egli  la 
sopportò  con  una  superiorità  d'animo  esimia;  a  tal  segno  cbe, 
quantunque  per  tre  mesi  si  trovasse  in  quello  stato,  non  mai 
volte  giacere  a  letto.  Somma  debolezza;  aridità  di  fauci  tale 
da  non  potere  inghiottire  senza  V  aiuto  di  continui  sorsi 
d'  acqua;  la  sordità,  a  cui  sin  dalla  gioventù  fu  soggetto,  a& 
cresduta  notabilmente  in  quél  periodo;  la  febbre;  tutta  que- 
sta comitiva  d' incomodi  non  bastò  a  turbare  la  serenità  del 
di  lui  animo,  non  ad  esprìmere  querele  dalla  bocca  di  loi, 
che  gustava  come  poteva  la  società  degli  amici,  ed  anche  io 
quello  stato  si  distraeva  colla  lettura  e  coUp  studio.  Si  dnhilò 
che  questa  malattia  fosse  cagionata  dalla  impressione  sofferta 
nel  ritornare  due  anni  prima  dalla  commissione  di  Yenexia, 
allorché  tra  Brescia  e  Pakizzolo  venne  assalito  da'  ladri  di 
strada.  Ma  anche  in  quel  disgraziato  incontro  el  conservò  oo 
sangue  freddo  ed  una  tranquilh'tà  di  animo  veramente  mirt- 
bile;  e  tale,  che  a  me  non  pare  che  questo  fatto  fosse  cagione 
del  male  che  poi  ebbe  a  ^ìfrire.  Ritornava  da  Venezia,  in 
conipagnia  del  signor  Canonico  Teologo  suo  fratello,  il  nostro 


MiBllOBIB  SULLA  VITA    DI   PAOLO  FRISI.  346 

signor  Frisi  nel  mese  di  ottobre  del  1777.  Dopo  aver  pran- 
zato a  Brescia  il  giorno  22^  correvano  la  posta  alla  volta  di 
Milano.  Eranvi  ancora  due  ore  prima  che  finisse  il  giorno. 
Avevano  an  domestico.  Improvvisamente  si  videro  nomini 
armati  alla  testa  de'  cavalli  e  al  calesse,  ila  cosa,  sebbene  non 
aspettata,  era  chiara  al  primo  presentarsi;  il  signor  abate 
Frisi  fa  il  primo  tranquillamente  a  dar  loro  notizia: — Siete  for- 
tunati, diss'  egli;  ecco  una  borsa  con  settanta  feechini;^e  là, 
consegnò  loro.  Vollero  T  orinolo,  ed  egli  tranquillamente  lo 
cavò;  e  siccome  stava  egli  rimirandolo  prima  di  darlo,  e 
i  ladri  Tolevan  sollecitamente  averlo ,  con  mirabile  indiffe- 
renza disse  loro:-^-Jlfa  lasciale  almeno  che  anch*io  veda  che  ora 
é.....  sona  le  venlidue..».*  prendete.'r--Co\QTO  in  seguito  gli  ruba- 
rono persino  le  fibbie  dalle  scarpe,  ed  un  cammeo  che  aveva 
in  dito  colla  tesla  di  Galileo.  Al  fratello  fecero  spoglio  aguale. 
Ritrovatosi  colle  scarpe  slacciate,  e  senza  alcuna  moneta  o 
valore,  si  fé  condurre  in  quell'arnese  dal  conte  Duranti  nella 
sua  villa  di  Palazzolo.  Ivi  per  aver  cortesemente  albergo  e 
denait^y  non  ebbe  bisogno  d' altro  che  di.  dire  il  suo  nome. 
La  notte  vi  dormi  placidamente;  e  venuto  a  Milano,  raccontò 
qqesta  vicenda  con  tanta 'indifferenza  e  grazia,  che  non  sem^ 
brò  nemmeno  che  fessegli  accaduta  cosa  di  suo  disgusto.Egli 
vedeva  tutto  dal  baon  aspetto:  e  forse  questa  qualità  sociale 
fa  cagione  di  precipitare  i  suoi  giorni  ;  poiché,  non  valutando 
egli  gV  incomodi  sia  tanto  che  non  erano  ridotti  ad  un  grado 
da  non  potersi  sopportare,  e  non  parlandone  egli  mai,  anzi 
nemmeno  volendo  ammettere  di  averne,  trascurò  di  preve- 
nire gl'inconvenienti  che  terminarono  poscia  immaturamente 
la  sua  vita,  e  privarono  le  scienze  degli  ulteriori  progressi , 
coi  quali  le  avrebbe  sempre  più  arricchite. 

Oltre  la  medaglia  d'oro  che  aveva  avuto  in  premio  dal 
Re  di  Prussia;  la  collana  e  medaglia  d'  oro  che  poi  ebbe  in 
dano  dall'  Augusto  Giuseppe  11^  allora  arciduca;  la  medaglia 
d'  oro  coir  impronto  del  Re  di  Danimarca,  in  premio,  della 
nissertazione  solle  variazioni  del  moto  de'  pianeti,  coronata 
dalla  Reale  Accademia  di  Copenaghen;  altra  medaglia,  pure 
d'oro,  avola  in  dono  dal  Re  di  Svezia,  da  cui  v* era  luogo 
da  sperare  che  lo  decprasse  dell' ordine  della  Stella  Polare , 


340  BfEMOniE   SULLA    VITA   Dt  PAOLO  FRISI. 

singólarrtietite  dopo  la  conversazione  sommanienle  graziosa 
che  qiiel  Sovrano  eM)e  col  nostro  signor  Frisi  assai  longìh 
niente  ne!  {^assaggio  che  fece  per  Milano;  V  oltre  il  preiuiodi 
Parigi,  e  V  actessU,  e  il  premio  che  riportò,  ranno  prima  dì 
morire,  dalla  Imperiale  Accademia  di  Pielrèborgo;  oUrfrb' 
consrderaziotìe  che  mostrarono  per  esso  i  più  disfinti  per»- 
naggi  che  passarono  per  Milano,  T Augusta  Maria  Teresa  volle 
dal  trono  onorare  il  nostro  illustre  cittadino  con  un  Dispae- 
.cìo  del  primo  settembre  1777.  Dichiarò  quella  Sovrana  la  cen- 
àìderazione  sua  verso  del  professore  abate  don  Paolo  Frisi, 
riconóscendo  il  valore  di  esso  nella  teoria  non  meno  che  n^a 
pratica;  e  le  ntili  istruzioni  d^  idraulica  e  d' idrometria,  coBe 
«juali  andava  educando  gli  alunni  ingegneti:  per  là  (jMite be- 
nemerenza comandò  che  ^i  venisse  pagata  una  rhnuneftH 
zlone  straordinaria  di  cento  zecchini.  Quasi  conlemporaneJ- 
mente,  cioè  il  3  ottobre  1777,  il  Senato  Veneto  in  Prt§adi 
fece  il  Decretò  col  quale  assegnò-  al  nostro  signor  Frisi  cia- 
quecento  zecchini  di  retribuzione,  per  l*  epera  da  esso  pre- 
stata calla  più  desideràbile  dili^nsa  nella'  commissione  della 
Brenta ,  e  ciò  In  riguardo  alla  fama  e  celebrila  del  Professore. 
Tali  furono  le  espressioni  di  quel  sovrano  Decreto.  Grfnn- 
diosi ,  i  malevoli,  loro  malgrado  erano  costretti  a  conteaersi; 
e  questi  applausi  de'  Sovrani  e  degli  esteri  risarctvaùo  ab- 
bondantemente il  nostro  Matematico,  e  facevano  ch'ai  aoo 
éiii^sissé  punto  la  ìndiflTerenza  del  volgo  de'  suoi  concifladiai' 
Egli  seiii))re  più  andò  stringendo  il  numero  delle  elise  ficit 
quali  viveva?  e  negli  ultimi  tempi  egli  si  limitò  alla  soefctì 
degli  amici  non  molti,  ma  veri  e  degni  di  lui,  nella  qQ>l^ 
giocondamente  passava  le  ore  che  gli  rimanevano  disoccnjnK 
da'  severi  suoi  studj ,  e  dalle  meditazioni  sue  profonde  e  bì- 
blimi.  Sebbene  per  pensare  non  è  sempre  mestieri  d' essere 
solitario  nel  gabinetto,  colla  penna  e  col  libro  alla  maDo:gÌ 
uomini  di  stadio  acquistano  fors'  anco  la  parte  migliore  édk 
cognizioni  senza  un  tale  apparato.  Il  signor  Frisi  era  kk^ 
lare  in  questo  proposito:  egH  ritrovava  spesse  volte  ne'e^ 
la  soluzione  de'  probleibi  più  ardui ,  e  rinvenzione  do'inale> 
più  semplici  ed*  eleganti.  Istrotte  da  tale  esperienza,  o  ii^ 

'  U  {ioino  2t  maggio  1784. 


MSIipRlE  SULLA    VITA  DI  PAOLO  FRISI.  347 

volle  accertatone,  solea.Bcorrer  la  sera  gli  etemenli  del  pro- 
blema che  aveva  a  risolvere;  e  coricatosi  piena  la  mente  di 
c|uelle  idee,  ritrovava  dormendo  la  soluzione ,  ed  al  primo 
svegliarsi  la  mattina  stendea  infatti  il  problema  ridotto  alla 
sua  forma;  la  quale  singolarità  non  io  soltanto  più  volle  Tho 
Ja  esso  ascoltata,  ma  gli  amici  di  lui  del  pari  la  sapevano. 

Se  nelle  molte  sue  opere  erasi  mostrato  sublime  Geome- 
Ira,  Astronomo,  Idraulico,  Meccanico  il  nostro  signor  Ftisi; 
>e  oogli  Elogj  del  Galileo ,  del  Cavalieri  e  del  Newton  ,  non 
>enza  altrui  sorpresa,  era^i  fatto  vedere  eziandio  eruditole 
;olto  uomo  di  lettere;  con  due  altri  Elogj  si  palesò»  quale  egM 
ìvaf  uomo  di  eccellente  morale,  e  quale  avrebbe  potuto  esr 
«ere,  se  le  circostanze  ve  lo  avessero  condotto,  cioè  uomo  di 
^(ato.  I  due  £]o$j  di  Pomponio  Attico  e  dell'Augusta  Maria 
Teresa  lo  dimostrano.  Pomponio  Attico  ci  si  rappresenta 
;oine  il  modello  della  virtù,  della  pradenaca,  della  generosità. 
—  ■Un  uomo  che  sdegnava  le  cosmiche  AL  utia  corrolia  repubblica, 
love  luUi  «rono  dworaU  daW amhi;iiqne  di  ottenerle;  un  uomo 
:ke  non  domqndawi  nulla ,  mentre  ^  aUri'  cospiravano  a  iutlo; 
quantunque  non  oioeese.  imitatori^  nonpoUua  però  mancare  d'am- 
miratoH.,.,,  Signorili  maniere,  costumi  eoaù^animo  coriese,  una 
lerta  dolcezza  d\  aspetto  che  non  era  senza  severilàt  una  certa 
piacevolezza  di  discorso  che  non  efa  senza  dignità  »  facevano 
irovare  nella  conversazione  di  Attico.il  più  gentile  cavaliere  di 
lulla  Roma-  Egli  aveva  nel  suo  discorso  e  nella  sua  vita ,  come 
ìisse  Cicerone,  quelVunione  tanto  difficHe  della  gravila  e  del- 
l' umsLnità:  semplice,  affabile,  nimico  di  ogni  finzione,  insoffe- 
rente di  otgni  falsità,  religioso  osservatore  diogni promessa,  nemr 
ire  uguale  a  sé  stesso,  uomo  di  tutt*  i  kempi,  di  tutC  i  Itioghi,  e 
mn  tulle  le  peì-sone,  aveva  sempre  la  stima  e  Vamoiee  di  tutte,— 
Ilosi  ci  descrive  egli  il  sua  eroe;  e  questa  maniera  di  pensare 
i  di  scrivere  osavano  deridere  e  insultare  alcuni  sgraziati 
Ijazzettieri ,  de' quali  può  dirsi  quel  tratto  che  il  signor  Frisi 
)ose  appunto  nello  stesso  Elogio,  cioè,  che  V  entusiasmo  pel 
ner.ilo  allrui  è  stato  sempre  la  misura  del  merito. pr(^rio;  come 
■"  indifferenza,  e  più  ancor  V  avversione  per  gli  uomini  grandi, 
7  siala  sempre  il  contrassegno  di  un  animo  basso  e  volgare.  —- 
La  grazia  e  l'energia  dello  stile  non  dee  collocarsi  net  falso 


348  MnHMUB  SCIXA  TITA  N  PAOUO  FUSI. 

hHo  MleamUien,  o  ndt-inireeeio  MU  pgroU  ricncaU  t  «n- 
poUou:  U  àiteono  riuce  «m  vero  splendore  ddt  ardnu,  dalla 
^irtmiexxa,  éàUa  eewifUeiià  ééfU  Uee,  e  éeUa  ndriUà  e  turfuri- 
teixa  ddle espresskmL-  -Cosi  ins^naya,  e  cosà  ficmeYa  l'in- 
morfafe  nostro  concKladìno.  In  qndP  Elogio  di  Attico  l'Au- 
tore TI  trasfuse  ì  sentimenti  del  soo  cuore.  Parlandoyi  ddb 
famiglia  di  Attico,  ei  dice:— iV'elbi  sua  famiglia  seppe  putm 
gne'  doiei  senlimenU  eke  sono  inspiratì  daUa  parenteìa  e  dal 
sangue;  senUmenli  che  U  caiUoo  eosUsme  e  ìa  stnvoUa  edun- 
xiome  giungano  mtHU  veUe  a  sopprimere,  «a  eke  per  gU  nmm 
tuoni  e  virinosi  tn/liiiscoiio  più  da  vicino  e  pw  eontinuamnU 
nella  gioeondiià  della  rìlo.  ~  Cod  ei  visse  apponto  nella  sua 
ftimìglia  il  nostro  ottimo  abate  Frisi;  e  forse  alla  decadenu 
dì  sna  salate  contriboì  molto  il  vedersi  negli  aitimi  sei  anni 
perire  la  madre,  on  fratello  e  doe  sorelle.  Vi  si  conosce  la 
pratica  morale  dell'Aotore,  generoso,  benefico  e  mison- 
tissirao,  quale  egli  fa  sempre. — Il  lusso  poi,  dice  egli,  e  f  ec- 
cesso deUe  spese  vohMuose  e  superflue  toglie  molle  voUe,  a 
rende  più  difficiU  i  mezzi  della  generosità  e  della  beneficenza.  Li 
facoltà ,  per  quanto  siano  atibondanti,  hanno  un  limite,  e  la  Uhe- 
ralità  ha  sempre  per  base  una  saggia  economia,  —  Questa  era 
una  massima  intrinsecamente  riposta  nel  di  lai  animo;  e  con 
essa,  quantunque  assai  eircoseritta  fosse  la  di  lui  fortuna,  ei 
seppe  essere  beneOco  e  liberale  costantemente.  In  queir  Elo- 
gio di  Attico  vi  si  osservano  de'  tratti  i  quali  sono  una  con- 
seguenza di  lunghi  ragionamenti. — Le  virtù  grandi  e  rabiult 
obbligano  ad  un  eerto  rispetto  anche  gU  uomini  faeinorosL-^  al- 
trove: ~  Nelle  cose  eivUi  e  politiehe  succede  come  nelle  fisiek, 
che  il  moto  impresso  continui  per  molto  tempo, — Raccontando 
come  gli  Ateniesi  in  segno  di  riconoscenza  innalzassero  a 
Pomponio  delle  stàtue,  cosi  riflètte:— firono  questi  gli  onori 
pubblici  che  anticamente  si  tributavano  al  merito  e  aUa  virA' 
Gli  antichi  esempj  sono  stati  nobilmente  imitaii  a'  giorni  nostri* 
non  solo  di  là  da'  monti,  ma  ancora  nelle  più  colte  città  d*/»- 
Ito,  e  senza  aspettare  di  spargere  sulle  tombe  de' freddi  elo^i 
*hanno  saputo  onorare  con  monumenti  pubbUd  la  vita  de'nas» 
noli  e  degli  esteri,  che  le  avevano  o  difese,  o  beneficate,  o  istruita- 
È  stato  sempre  del  comune  interesse  di  avere  nello  stesso  lempf 


MEMORIE  SCLLA  TITA   DI  PAOLO  FRISI.  349 

cùtmetse  le  testimonianze  della  rieùnoseenzaa  quelle  del  merito, 
e  disenotere  cogli  eeempj presenti  V indifferenza  per  la  fHrlù»  -^ 
Questo  pezzo  è  mi  ricordo  per  la  nostra  patria,  ih  cai  i  citta- 
dini, che  r hanno  distintamente  onorata,  non  hanno  ottenuto 
alcuno  di  que' solenni  contrassegni  d'onore  che  vedonsi  nelle 
sale  pubbliche  di  molte  altre  città  d'Italia,  e  siiigolarmenté 
nella  Terraferma  Veneta.  Infatti,  noi  non  abbiamo  verun  mo- 
nomento  in  onore  di  Tristano  €alco,  o  di  bernardino  Gorio, 
che  ci  hanno  scritta  la  storia  della  patria.  Nessuna  memoria 
si  -é  eretta  per  pubblico  decreto  al  laborioso  e  benemeritio 
nostro  signor  conte  Giorgio  Giulini.  Lo  stesso  dicasi  del  Ca- 
valieri, del  Cardano,  di  Lodovico  Settala,  e  di  altri.  Il  vi- 
vente signor  Primicerio  Lupi  a  Bergamo  attualmente  gode 
V  onore,  che  la  sua  patria  da  esso  illustrata  gli  ha  fatto  scol- 
pire il  busto  per  pubblico  decreto.  Da  noi  non  v'  è  corona  aK 
cona  che  la  patria  destini  a' figli  suoi.  Forse  ciò  nacque  dalla 
breve  durata  deller  nostre  municipali  magistrature;  fors'anco 
nasce  dall'essere  noi  cittadini  d'una  popolosa  ciittà,  dove 
ciascuno  è  una  piccola  frazione  del  tutto,  e  quindi  meno  par- 
tecipa della  gloria  distribuita  sopra  una  di  vasta  estensione; 
forse  la  fisica  del  clima  o  la  impressione  de' passati  governi, 
le  conseguenze  de'quali  si  perpetuano  per  molte  generazioni, 
sono  1  veri  motivi  di  questa  viziosa  indifferenza.  Voglia  il 
buon  destino  ch'ella  cessi  una  volta,  e  che  le  iscrizioni,  i 
busti,  le  medaglie,  i  pubblici  onori  ricordiìio  Agnesi,  Frisi, 
Beccaria,  ed  altri  degni  delia  gratitudine  della  patria  che 
hanno  illustrata  I 

L' Elogio  dell'Augusta  Maria  Teresa,  sebbene  tratti  un 
argomento  sol  quale  altri  nomini  di  merito  distinto  hanno 
scritto;  non  si  confonde  perciò^  col  numero,  il  valoroso  Pa- 
dre Turchi  da  un  tal  soggetto  ne  ha  tratta  una  morale  uti- 
tiSBìma  istruzione  per  i  Sovrani,  piena  di  verità  e  di  senti- 
Duento,  e  scritta  còlla  nobile  semplicità  sua  propria.  Il  signor 
ibale  Frisi  ha  fatto  un  epilogò  della  storia  de'  quarant'  anni 
lei  regno  di  quella  immortai  Sovrana;  ed  ha  maestrevol- 
nenté  poste  in  luce  le  azioni  principali  e  i  punti  precisi  di 
;onvergenza,  d'onde  ne  risaltano  i  cambiamenti  felici  delle 
opinioni,  l'abbandono  degli  antichi  errori,  la  fermentafa^iotie 
IL  30 


suo  MBIIORie  SULLA  VITA  91  PÀOLO  FUSg. 

e  reviviscenza  dei  corpi  clie  si  andavano  sciogUendo  ludV  iner- 
zia, la  cottura,  la  ragione,  la  irirln,  ricbiaaiate,  accette  e  pnv 
tette,  la  fortunata  rivolozioneinsomma  preparata  ed  in  jMite 
eseguita  sotto  di  qneU'Angnsta.  Beneficato  da  lei,  rìcoadolto 
nella  patria  sotto  i  sovrani  anspicj  ed  al  reale  stipeadio» 
l'abate  Frisi  volle  essere  grato  alla  Jienefattrice  Sovrani, 
come  sempre  lo  fa  verso  chiunque.  In  quell'Elogio  sem- 
bra lo  stile  del  nostro  signor  Frisi  ancora  |hù  eloquente 
e  vibrato. — Disgraziato  colui  che  ha  bisogno  di  prtoeUi  per  «- 
sere  veritiero,  hmono,  sensibile  ai  maU  aUruiy  eke  ha  hisejm 
d*  essere  acampagnaio  sempre  dal  maeslro  per  conoscere  e  per 
ragUmarel^CoA  egli.— /<  mnciiare  di  Zenla,  di  Torino  s  di 
Hochstedl,  U  principe  Eugenio  di  Sav<^a^  neUa  maggiore  osesr 
rHà  deUa  notte  e  deUa  nebbia  attacca  V  armata  ottomana,  la  ssr 
però,  la  disfece^  e  non  vide  diesarsi  la  nebbia,  e  spargerti  i 
primi  raggi  del  Soie,  che  defila  tenda  dd  Visir  fuggitivo* -ùa 
questo  bel  quadro  ei  ci  tappresenta  la  vittoria  di  Belgrado 
del  1717;  e  il  principe  Eugenio  medesimo  viene  altrove  effi- 
giato cosi: — uomo  uguabnente  grande  nel  far  la  guerra  e  wA 
trattar  ìa  pace;  generale  isìsieme  e  saldato  ndla  sua  armala; 
uomo  di  Stalo  nel  gabinetto;  ndia  sua  b&flioteea  un  fUasofo^  ti 
coUegadi  Mùrlborough,  Vomico  di  LeiJbniixediMontesguiea,ec 
-*-  Merita  d' essere  trascritto  quel  vibrato  periodo  in  coi  di* 
pinge  H  maresciallo  di  Bellisle  che  supera  l'avvenioBe  del 
cardinale  di  Fleury  per  la  guerra:— CTn  uomo  d*una  vastaaor 
bixioncy  di  una  seducente  eloquenta ,  e,  come  fu  detto  di  BrUea- 
nico,  di  una  fama  maggiore  degli  esperimenti  fatU  per  meriterk, 
il  maresciallo  di  Bellisle  superò  facilmente  te  opposizioni  ii  ^ 
ministro  debole  e  inconseguente,  e  trovò  in  mo  favere  uWebil»" 
dine  già  inveterala  deUa  nazion  francese  di  riguardare  la  Ùes 
d^ Austria  come  «euHfca.— Questo  è  quello  stile  che  osavano  é 
chiamar  freddo  e  st|»ntato  alcuni  insensati  parolaj,  e  saremino 
assai  più  onorati  presso  degli  esteri,  se  ce  io  proponessero  per 
modellò;  sebbene  Teloquenza  di  questo  genere  non  s' insegai 
né  s'impara  giammai,  soUjinto  si  rende  pia  decorosa  coU'ainte 
di  buoni  precetti.  D'una  tempra  uguale  è  il  tratto  che  eirtp- 
prasenta  il  primo  ministrò  di  Francia,  il  vecchio  cardinale  di 
Fleury.— X'nimiiittà  e  la  /SloM^a  Ira  le  principali  disgr§sie ed 


MEVOUB  SULLA  VITA   BI  PAOLO  FRISI.  SH 

nmiro  seeolo  conterà  sempre  e  con^^ngerà  che  unm  H  fUnida 
armata^  UmU  generosi  eampùmi,  tanU  Inumi  eiUaéM.^  siano 
staU  ìd  viuinm  di  un  ministro  ecclesiastieo^  che  Me  benei  il  eemr 
dorè  di  disapprovare  in  iscriUo  le  risoluzioni  già  prese  daUa 
sua  Corte,  ma  che  infievoUio  dagU  anni  non  ebbe  bastemU  co- 
raggio da  opporvisi,  né  un' anima  ubbastama  grande  per  riti- 
rarsi dallo  strepito  de^i  affari,  e  coronare  di  una  gloria  pa- 
cifica i  pochi  giorni  di  vita  che  gli  restavano.  ^  Lft  filosofia 
anima  lo  stile  in  quest'  Elogio  singolarmente.  —  Quelita  che 
U  volgo  chiama  fortuna^  dice  il  signor  abate  Frisi,  q^idìà  che 
i  poeti  cercano  di  raffigurare  colla  volubilità  d  una  ruota  e 
di  una  donna,  agli  occhi  del  filosofo  non  è  aUro  che  una 
eombinasione  di  cause  morali  e  fisiche,  per  cui  deve  risultare 
indispensabilmente  un  effetto  dato.  —  £i  da  filosofo  tratta 
gli  oggetti  di  Slato.  Descrìve  la  rìT<^urioDe  di  Genova , 
indicando  le  cagioni  di  tal  politico  avvenimento. -^OimniId 
jono  ingiusti  coloro,  die' egli,  cfu  da  un  risireUa  oriMzonte, 
dall'angolo  di  una  casa,  che  non  sanno  ben  regolare,  a^ano 
lo  sguardo  loro  sul  trono,  decidono  deg^i  oggelH  che  non  pos- 
sono abbastaiixa  distinguercy  e  misurano  le  più  graMi  e  salu- 
tari operazioni  dai  particolari  difetti  che  accompagnano  sempre 
le  cose  umane,  e  dai  quali  non  si  può  mai  sciogliere  inleramenle 
U  bene  umversaleì  —  Cosi  egli.  Troppo  converrebbe  trascrive- 
re, se  volessi  indicare  i  tratti  dell'  Elogio  di  Maria  Teresa,  che 
più  mi  sembrano  degni  di  osservazione;  lo  è  tutto,  e  tutto 
collima  a  far  conoscere  lo  spirito  del  benefico  regno  di  tale 
Sovrana.  Anche  in  qnest'  Elogio  egli  trova  occasione  di  ri- 
cordare T  infelice  condizione  degli  uomini  che  più  onorano 
l'Italia  col  loro  ingegno:  il  Borelli  mendico,  Francesco 
d'Ascoli  bruciato  vivo,  Pietro  d'Abano  bruciato  in  efllgie. 
Machiavello  torturato,  Sarpi  astossinato,  Tasso  e  Galileo  posti 
in  prigione,  Giannone  morto  in  carcere,  gli  altri  esposti  aHa 
invida  maldicenza,  alla  insolente  rivalità,  ec.  Anche  in  gue- 
st' Elogio  non  dimentica  i  Gesuiti. — L*  anno  1773  fu  doj^pia- 
mente  fàusto  alle  lettere.  Fu  allora  sdoUo  quell'Ordine  di  per- 
sone, che  non  avendo  nei  loro  studj  cUrepoMaia  fcc  mediocrità 
letteraria,  avevano  sempre  aoulo  la  parte  principale  neUe  nuh- 
ìestie  date  a  coloro  che  maggiormente  si  distinguevano,  -^  Se 


352  HfilfORlB  SULLA  VITA   DI   PÀOLO  FAISf. 

qaeste  Memorìe  che  scrivo  passeranno  alle  generazioni  ven- 
tare (il  che  accadere  fors'  anco  pel  merito  dell' argomento), 
d«^ranno  maravigliarsi  ì  lettori,  come  ai  tempi  nostri  siasi 
potnlo  spargere  nella  moltitudine  il  discredilo  e  snlla  scienu 
di  questo  grand'  nomo,  e  sul  talento  di  Ini  nell'  arte  di  seri- 
vere.  Questa  maraviglia  sarà  ntrlissima  i  poiché  potrà  dar 
lena  e  coraggio,  singolarmente  ai  giovani  d*  ingegno  pia  ele- 
vato, e  persuaderli  che  appunto  tai  grida  sono  il  contrassegno 
del  vero  merito;  laddove  i  facili  applausi,  comunemente  ac- 
cordati ,  lo  sono  detta  letteraria  mediocrità.  Volesse  il  ciek» 
che  i  posteri,  sensibili  ai  progressi  delle  umane  cognizioni  ed 
aUa  gloria  nazionale,  grati  a  chi  gli  ammaestra  e  contribù- 
sce  a  si  nobili  oggetti,  sentendo  d' onorare  sé  medesimi  ono- 
rando la  virtù,  potessero  trovare  inverosimile  il  mio  ra^ 
conto!  Sarebbe  questo  il  solo  caso  in  cui  avrei  piacere  che 
si  sospettasse  della  mia  veracità. 

Aveva  viaggiato  prima  F  Italia,  poi  la  Francia;  l' Inghil- 
terra, r  Olanda ,  la  Germania  e  V  Ungheria,  il  nostro  signor 
Frigi  ;  restavagli  da  osservare  una  parte  a  noi  vicina  e  me- 
ritevole d' osservazioni  politiche  e  fisiche,  cioè  il  paese  degli 
Svizzeri.  £i  volle  esaminarlo,  e  nelF  autunno  del  1778  vi  fece 
un  giro,  di  cui  ce  ne  rimangono  le  conseguenze  nella  me- 
moria Dei  fiumi  wlterranei,  ch'egli  stampò  insieme  ad  altri 
opuscoli,  dedicandoli  al  prìncipe  Augusto  di  Saxe-Gotha,  uno 
,de'  pia  distinti  e  generosi  ammiratori  del  nostro  signor  Frisi. 
Questi  opuscoli  dispiacquero  ad  alcuni,  perché  vi  si  combat- 
tono le  opinioni  delle  influenze' meteorologiche  della  Iona,  e 
del  calor  centrale  della!  terra  ;  dispiacquero  altresì  a  quei  che 
ei  chiama  osservatori  empirici,  perché  sprovveduti  della  nO' 
eessarìa  teorìa,  si  avventniraho  con  qualche  fisico  stromenbi 
alla  mano  a  calcolare  le  altezze  de' monti,  fidandosi  a  due 
soli  punti  d'osservazione.  Dobbiamo  essere  riconoscenti  al 
nostro  Filosofo  anche  per  questo,  ch'egli,  sinché  visse,  pro- 
curò d'allontanare  quanto  potè  le  opinioni  dannose,  e  rispetlè 
sempre  sé  stesso  e  gli  avversar],  non  nominando  alcuno,  e 
sempre  propagando  la  verità  con  que'  nobili  mezzi  e  con 
quella  pacata  maniera  che  le  convengono.  ^ 

'  11  «primo  saggio  contro  le  ìnfluenBe  dielU  luna  lo  stampò  né*  logli  del 


MEMOUE  SULLA   TITA   DI  PAOLO  FE181.  .353 

Ho  già  di  sopra  accennato  il  trattato  d'  Algd»ra  eh'  ei 
cppipose  tutto  di  pianta  dopo  che  s'em  volato  ergere  la 
voce.chè  la  malattia  avesse  infievolitele  forze  della.8aa  mente. 
Non  si  poteva  smentire  V  invidia  con  an  mezzo  più  vittorioso 
di  quello.  U  Trattato  comparve  alla  Uice  colle  stampe  del 
Galeazzi.  in  Milano  V  anno  1782,  e  portò  in  fronte  il  nome 
del  ministro,  grande,  e  non  meno  segnalato  e  costante  pro- 
tettore del  merito,  signor  Principe  di  Kaunitz.  La  prefazione 
contiene  la  storia  dell'Algebra  e  Geometrìa  analitica,  ove  con 
erudizione  vasta  «  con  imparzis^lità  si  fanno  conoscere  i  nomi 
di  coloro  «che  sono  benemeriti  di  qaesta  scienza  sablime.  Le 
Effemeridi  letterarie  di  Roma  ne  fecero  si  bene  l'estratto, 
che  io  non  potrei  meglio  dar  idea  del  libro  che  approfittan- 
done. Il  Trattato  cpmincia  spiegando  eoo  somma  chiarezza  le 
operazioni  primarie  dell'Algebra,  che  sono  illiistrate  con  varj 
problemi  opportunamente  trascelti.  Benché  nel  pri^no  Capo 
tratti  delle  equazioni  del  primo  e  del  secondo  grado,  nuUa- 
dimeno  vi  si  trovano  alcuni  problemi  indeterminati  del  se- 
condo grado,  ne' quali  le  incognite  devono  avere  la  oondi- 
mne  di  essere  numeri  interi.  Le  difficoltà  di  qaesta  materia, 
trattata  da  uomini  grandi,  si  sviluppano  dal  nostro  signor 
Frisi  con  una  chiara  brevità.  Passa  poi  alle  progressioni  ed 
atte. serie  crescenti  e  decresoenti  in  infinito,  d'onde  ne  ri- 
cavala vera  nozione  dell^ infinito. geometrico  ed  algebraico; 
il  qual  infinito  significa  una  quantità  maggiore  di  qualunque 
limite,  o  minore  di  qualunque  limite  assegnabile.  Questa  de- 
finizione viene  rappresentata  dalle  divisioni  che  non  ammet- 
tono un  quoziente  finito  esatto.  Egli  è  chiaro  che  il  numero 
determini  è  maggiore  di  qualunque  numero  dato,  cioè  che 
è  algebf  aicam^dte  infiinito.  Il,  quadrato  di  questa  quantità  air 
gebraicaiuente  infinita  chiamasi  un  infinito  del  second'ordi- 

Cajgf^  c^e  s^  pubblicavano  in  Milano  da  ipna  Società,  nella  q«ale  avevano  parte  ì] 
marchese  Beccaria,  il  Padre  Boscovich,  il  cavaliere  Colpani,  il  conte  Carli,  e  varj 
altri.  Questi  Fogli  periodici  vennero  tradotti  poi  in  tedesco  in  Zurigo  dal  Fùeslin 
nel  1760,  «.comparvero  sparsi  in  francese  nella  Gaaette  liUéraire  de  V&trop9,^ 
che  si  stampava  a  Parigi  alle  Gallerie  del  Louvre.  Fuvvi  chi  volendo  sosteneve 
Y  opinione  antica,  se  la  prese  contro  di  quel  ]f  oglio,  e  il  signor  Frisi  confermò  Iji 
insussistensa  delle  influense  lunari  colk  armi  sue  proprie,  cioè  colla  teoria  della 
gravità  universale  e  col  calcolo* 

30* 


.384  HmORIB  SULLA  VITA  Ol  PAOLO  fUSl. 

ne;  il  cobo,  ìnfiDÌto  del  terzo,  ec^  •  coii  progredendo.  Cosi 
dicasi  di  flna  inrogressione  decreeoente  all'  infittilo.  La  ndioe 
qm^ànÌB.  d'un  nimieio  sordo  é  finita;  il  nomerò  de*  teraini 
ohe  respone  é  infinito.  Tenaioa  il  primo  Capo  applioaiido  h 
dottrina  al  calcolo  della  probabilità.  Il  secondo  G^  lecte 
anll'  anadiai  geometrica  rstlilinea,  ove  colla  scelta  de'fnlde- 
ml  e  coli'  deganza  delle  sohizìoni  il  signor  abate  frisi  an- 
stra  la  profondai  della  soa  dptirina.  Molli  problemi  di  Psp|M, 
troppo  comidtcati  nell'  aolora  anticOy  vengmio  sciolti  eoa  ele- 
gante sem^ìyi;  e  mia  gran  parte  de*  problenri  defi'Aiitae- 
tica  mdversale  del  Newton,  ne*  qorii  si  desiderava  ia  «Mtnh 
aione  geometrica,  vengono  %9ffM  con  ugnale  etegaau  di 
analiai  e  di  aintesi.  U  tene  capo  tratte  dell'  analisi  dette  «- 
%wtd  eonicbe  con  antodi  4omiiiasi  e  sea^diei,  senta  Is  an- 
hagi  di  una  impUeatissima  sintesi,  ebe  in  alcuni  libri  oiean 
le  cose  più  chiare.  Dicono  i  citali  Giornalisti  non  esservi  un 
tjratteto  di  aeiioni  coniche  pin  di  questo  feeòndo  di  bei  p»- 
hlemi  e  di  eleganti  metodi.  UCapo  cpiinto  verte  solla  inveb* 
clone  od  evcdosione  algebraiea:  generalmente  tratta  deOe 
eqoaiioni.  Ivi  presenta  la  dimostrazione  dtreUa  del  celebre 
binomio  del  Newton,  qaalnnqDe  sia  l' esponente  o  intere,  o 
fratto,  0  positivo,  0  negativo;  e  la  soluzione  merita  ona  di' 
•  stinte  B)emoria.,Il  Capo  sesto  verte  salle  formolo  trigooosK- 
triche;  dimostra  le  generali  formolo  che  esprimono  le  pe> 
ienze  dea  seni  e  coasni,  e  deie  tangenti  di  un  apeo  qnaloe* 
qpe«  dello  quali  si  fa  oso  per  divide»  pn  arco  in  qaaloDQQe 
nomerò  di  parti.  Il  settimo  Capo  contiene  le  formolo  Ioga* 
riilmiebe.  Ivi  entra  rilkistre  Autore  a  terminare  la  fanesa 
controversia  fra  il  Leibnit^i  e  il  BernonitU,  esposte  negli  Alti 
éi  Berillio  del  i749.  Egli  è  di  parere  che  non  vi  ria  cke  en 
logaritmo  della  unità  e  deUe  quantità  positive;  e  che  il  lag>- 
rilmo  delle  quantità  negative  indichi  solamente  che  la  pro^ 
gressione  geometrica  non  deve  considerarsi  in  una  parìe 
pppo^ta^  e  tutt'  i  termiiM  di  oasa^si  riferiscono  aUa  wM  ne- 
,gatijv.a  ;  e  par  conseguenza  te  eonsiderariono  di  on  tarmili^ 
positivo  0  negativo  non  può  rappresentare  fai  proponione  di 
due  quantità.  Nel  Capo  ottavo  prende  a  trattore  d^Ue  fornu^ 
ciclometriche  ;  e  all' occasione  di  considerare  alcuae  carUt 


MBMOBIl  SOLLà  VITà  DI  PAOLO  MIU.  85tf 

traUa  della  dimostrazione  con  coi  Newton  prova  T  impos- 
sibilità di  quadrare  una  iìgara  orale,  ed  accenna  qnakhe  dif- 
fic<rftà.  Tratta  poi  delle  tangenti  de*  seni,  degli  aieiii  circo- 
hiri,  e  col  4Blieiso  di  queste  medesime  serie  passa  a  dare  una 
sotaizion  generale,  senza  servirsi  di  radici  immaginarie  del 
famoso  problema  di  Cotes.  Trattasi  nel  Capo  nono  dell'analisi 
isopérimetriea,  ed  ivi  con  una  spec^  di  geometrica  inQnile- 
siflMle  risolve  con  facilità  e  con  eleganza  diversi  problemi 
de  fnaximis  et  mìfiliim,  i  qoali  con  altri  metodi  riescono  assai 
più  complicati.  In  quel  medesimo  Capo  vi  si  trova  una  saga- 
eiesima  sintesi,  coir  aiate  della  qoale  si  emendano  aknne  sOi- 
luzioni  pòco  esaUe  date  da  altri,  benché  cd^rì,  geometri. 
Nel  Capo  decimo  espone  i  limiti  deli'AlgdMra  di  Cardano:  ivi 
trovassi  diversi  metodi  per  la  soluzione  delle  equazioni  del 
terzo  grado;  ed  il  celebre  caso  irreducibile  vi  ò  trattato  in 
^uisa,  che,  dimostrandosi  le  imperfezioni  de'  metodi  comnni, 
«i  trova  coir  approssimazione  e  colle  costruzioni  geometriche 
la  radice,  e  se  ne  adducono  elegantissimi  esempj.  In  esso  Cam- 
pitolo si  fa  l'applicazione  del  parallelogrammo  analitico  del 
IVewton  a  diverse  equazioni.  Il  Capo  undecimo  s' intema  nel- 
r  Algebra  degl'  infiniti:  ivi  «  vedono  spiegati  con  somma 
chiarezza!  principi  del  calcolo  difiérenziale  e  integrale.  Passa 
Indi  al  calcoio  esponenziale,  alla  differenziazione  delle  quan^ 
lìtà  esponenziali  e  logaritmiche,  che  contengono  anche  Ioga 
ritmi  di  logaritmi;  dalle  formolo  difierenziali  si  ricavano  i 
melodi  di  integrazioni.  Tutta  questa  dottrina  ò  trattata  con 
esempj  scdti,  e  maneggiati  con  somma  destrezza  di  calcolo. 
Viene  poi  spiegato  il  calcolo  de'  seni  e  coseni;  e  sono  ridotte 
in  formolo  le  difierenziali  e  le  integrali  di  quella  specie,  e 
tutto  dò  con  metodi,  la  novità  e  F  eleganza  de' quali  colpi- 
sce. Il  Capo  duodecimo  delle  serie  infinita  ò  mirabile  singo- 
larmente ove  tratta  deUa  sommazione  deUe  serie;  attesa 
la  brevità  e  la  precisione,  colla  qaade  insegna  a  ritrovare 
il  termine  generale,  la  scala  di  relazione,  la  somma,  s'è  pos- 
sibile, ovvero  la  riduzione  ialla  quadratura  e  rettificazione 
di  qualche  curva  semplicissima.  Il  Capo  decimoterzo,  della 
Geometrìa  curvilinea»  contiene  la  teoria  d^e  curve  tanto  al- 
gebraiche,  quanto  meccaniche.  I  metodi  ritrovati  dal  etgoor 


356  MBMOBIE  SULLA  VITA  DI  PAOLO  PAlSi. 

abaie  Frisi  rendono  facilissima  la  soluzione  di  vari  proUe- 
mi,  i  qoali  s^nza  dì  essi  eon  molta  difficoltà  si  scìolgoDo.  il 
decimoqaarto  Capitolo  tratta  delle  formolo  isoperìmetrìche, 
e  supera  per  la  sablimìtà  e  novità  dette  cose  tutti  i  prece- 
denti. Finalmente  nel  Capo  decimoquinto,  delle  formok  into^* 
grabili,  termina  la  sua  grand'  opera; 

Qoest'  opera  sublime^  composta  dal  nostro  signor  Frisi 
di  slancio,  serve  di  primo  tomo  delV  ultima  edizione  delle 
opere  sue.  Nel  secondo  volume  ei  ristampò  la  Meccanica  e  il 
Trattato  per  gì'  Ingegneri.  Nel  jterzo  la  Cosmografia,  la  quale 
ei  vide  e  corresse  sino  alla  pagina  337,  avendo  nel  rimanente 
supplito,  dopo  la  fatai  perdita,  i  di  lui  degni  fratelli  signori 
Canonici.'  La  repubblica  letteraria  aspetta  di  veder  pubblicato 
il  quarto  ed  ultimo  volume,  che  conterrà  gli  Elogj  composti 
dal  nostro  illustre  signor  Frisi;  fra  i  quali  quello  del  signor 
D'Alembert,  ch'ei  scrisse  negli  ultimi  periodi  della  sua  vita; 
e  gli  altri  suoi  opuscoli  chiuderanno  il  volume.^  Più  volle, 
parlando  meco  degli  studj  suoi,  il  signor  abate  Frisi  mi  disse 
che  quegli  stessi  problemi  d'Algebra  che  nel  maggior  vigore 
della  gioventù  gli  costavano  sforzi  di  mente,  nell'età  malora 
gli  svolgeva  con  somma  facilità;  e  ciò  attribuiva  alla  lunga 
afoittiazione  di  combinare  quelle  idee  e  di  ragionare  colle  for- 
mole.  L'Algebra  era  divenuta  per  lui  quasi  un  giuoco  negli 
ulthni  suoi  anni,  e  singolarmente  si  compiaceva  dì  ridurre  a 
principi  semplici  e  chiari  le  teorìe  più  astratte,  e  ristrin- 
gere nello  spazio  di  poche  righe  quanto  con  altri  più  labo- 
riosi e  difficili  metodi  leggevasi  esteso  per  interi  volumi  collo 
spinalo  di  lunghissimi  calcoli.  In  ciò  forse  consisteva  la  ca- 
ratteristica superiorità  del  nostro  illustre  concittadino,  cioè 
in  una  sagacità  tutta  sua  propria,  colla  quale  sapeva  rìnv^ 
nire  la  più  breve  e  semplice  strada  per  giugnere  alla  verità 
ricercata;  per  modo  che,  ai  paragone,  sembra  che  inavvedu- 
tamente altrì  geometri,  benché  sommi,  abbiano  per  tortaosi 
e  difficili  sentieri  consumata  la  fatica  loro,  e  adoperati  gli 
sforzi  del  loro  ingegno  per  giugnervi.  Tale  è  sempre  stala 

*  L'JSlogio  del  D^AIembcrt  lo  hanno  pubblicato  i  signori  fratelli  Fiiaii**" 
rendo  rediiione  del  quarto  tomo. 


MEMORkfi  SULLA   VITA  DI  PAOLO  FKIU.  357 

l'apparenza  d'ogni  sublime  prodazione  della  mente  degli  uo- 
mini, di  comparire,  cioè,  semplice  e  facile,  sebbene  rarissima 
e  diflQcìlissima  a  ritrovarsi. 

D'nn.  altro  piccolo  lavoro  del  nostro  signor  Frisi  non 
debbo  omettere  di  far  parola,  ed  è  la  Lettera  ch'egli  scrisse 
a  Monsignor  Fabroni,  la  eloquenza  del  quale  è  cpnsacrata  a 
eternar  la  memoria  degl'  illustri  Italiani.  Questa  lettera  con- 
tiene le  notizie  della  scienza  e  della  sublimità  d'ingegno  del 
signor  Perelli;  il  quale  aveva  tanto  più  bisogno  che  tai 
notizie  venissero  pubblicate,  quanto  ch'egli,  per  naturale 
indolenza  nel  corso  di  sua  vita  trascurando  ogni  lavoro, 
nieni'  altro  lasciò  in  morte,  se  non  la  memoria  de'  contem- 
poranei ,  che  conversando  con  lui  s' erano  accorti  a  qoal  se- 
gno ei  fosse  profondo  matematico.  Nessuno  forse  poteva  farlo 
meglio  del  nostro  signor  Frisi,  e  per  quello  ch'ei  valeva 
nelle  matematiche,  e  per  aver  vìsspto  lungamente  col  signor 
Perelli  nel  tempo  in  coi  erano  entrambi  professori  nell'Uni- 
versità di  Pisa.  Il  signor  abate  Frisi  aveva  avuto  motivo  di 
scontentarsi  del  signor  Perelli,  il  quale  nelle  questioni  per  le 
acque  Bolognesi  non  aveva  preso  quel  fermo  e  libero  partito 
che  s' aspettava.  Questa  soverchia  pieghevolezza  del  signor 
Perelli  potò  far  languire  bensì  la  corrispondenza  fra  di  (oro, 
ma  non  cancellò  giammai  nel  cuore  del  nostro  Matematico  la 
verace  stima  e  la  benevolenza  che  per  esso  aveva  concepita; 
e  sulla  tomba  del  signor  Tommaso  Perelli  ei  tributò  quegli 
onori  che  erano  dovuti  al  di  lui  merito. 

Frattanto  s'andava  insensibilmente  accrescendo  quello 
sconcerto  organico  che  doveva  porre  un  troppo  vicino  ter- 
mine alla  virtuosa  vita  del  nostro  signor  Frisi.'  Una  callosità 
ossia  tumore  nel  perineo,  trascurata  nella  origine,  e  giudicata 
un  efietto  della  soppressione  delle  perdite  emorroidali,  pile 
qqali  dapprima  era  soggetto,  venne  a  suppurazione  nella 

*  Sino  alVetk  di  quaraotoUO  anni  visse  il  signor  abate  Frisi  con  una  conti- 
oaita  prosperiti  di  salute,  ti  primo,  contrassegno  di  sconcerto  lo  provò  nel  i 776 
io  giugno,  allordiè,  sema  avvedersene,  per  un  deliquio  «ad<)e  nella  s^cristia  4i 
San  Nasiaro  Pietra  Santa,  il  che  non  portogli  conseguenaa.  Poi  nel  177^'cbbe 
una  lunga  malattia  di  tre  mesi  durante  la  state.  Non  si  conobbe  in  lui  la  menoma 
alleraaione  d'umore:  sempre  ragionevole  e  giocondo  scrbossi  in  rocsio  a  quegli 
accidenli  che  avrebbero  sgotncnlalo  un  allr'uorao. 


358  MEMMOB  SCLLA.  YITà  IH  PAOU>  THSL 

stale  dd  1784,  e  da  ciò  naeqiie  Ui  necessiti  in  Ini  di  wi 
iBcire  di  casa.  Scoppiò  il  toniore,  il  quale  non  ai  cicatrìnè 
mai  perfettamente,  onde  si  conobbe  esserrl  nna  fistob  che 
areva  forata  Faretra.  Molte  fatafilà  si  combinarono  perchè 
un  incomodo,  il  quale  per  sé  medesimo  non  doreva  àbbn- 
Tiare  i  giorni  suoi,  diTentasse  cagione  della  soa  morte.  Si 
obUigò  al  letto;  si  tormentò  con  cavatici  la  piaga  per  dito' 
tarla;  dnrft  dei  mesi  la  cara  di  tenlatìrl.  Finalmente  veeoe 
connglialo  di  fore  fl  taglio  della  fistola,  in  cui  si  erano  rìeo- 
nosctali  doe  seni.  La  operazione  Tenne  rappresentata  came 
snperficiale  e  di  nessun  perìcolo.  Egli  scelse  qoesto  parIHo. 
La  sera  precedente  prese  congedo  dagli  amici  che  YeniYtM 
a  tenergli  compagnia,  dicendo  loro  cbe  per  alcnni  grorai, 
sincbè  non  fosse  sapporeto  il  taglio,  non  poterà  né  seder 
sol  letto,  né  godere  della  società.  É  incredibile  la  presenxa  di 
spinto  colla  quale,  non  mai  parlando  de'tiislì  argomenti  del 
male,  anzi  evitando  <^ni  discorso  malinconioo,  sostenenli 
ronYersazione  con  piacevoli  argomenti  di  noTelle  letterarie, 
di  notizie  de'soot  mostri  corrìspondentì,  e  di  ogni  altro  sof 
getto  ameno.  «-Aon  occorre  iI/ìmestarCT,.qaest'era  la  risposta 
cb^egli  pacatamente  dava  a  cbi  si  mostrava  voglioso  d'arere 
da  lor  piò  minatamente  le  sue  nuove.  Una  eccezione  per» 
egli  faceva  in  favore  de'  suoi  doe  frateffi,  di  qualcun  altro  e 
di  me;  poicbé  a  parte,  quando  non  v'era  compagnia,  trsnqvi}- 
lamente  parlavamo  del  suo  male.  La  disgrazia  colfocd  h 
fistola  dove  non  essendo  visibile  ad  alcuno  di  noi,  altro  bob 
ci  rimaneva  che  opinare  soli'  altrui  relazione.  Eravamo  aDa 
metà  di  novembre  quando  si  spaccò  quel  seno.  L'operazìooe 
rìusd^  tale,  che  uno  de'  chirurghi  della  cura  mi  assicurò  poii 
con  mia  sorpresa,  che  era  un  taglio  maggiore  di  quello  che 
si  fa  per  la  pietra;  Il  che  non  ascoltai  senza  fremito.  Sostesae 
questa  fenta  crudele  il  nostro  infelice  signor  Frisi  senza  pv 
dare  un  grido;  ami,  terminato  il  taglio,  egli  disseiSignorii 
iermmino;  andiamtme  fuori;  e  pregò  di  non  adularlo,  dabt- 
tando  che  a  questo  fine  si  fossero  Indotti  ad  assicurarlo  che 
r operazione  fosse  finita.  Otto  giorni  sopravvisse,  e  laseri 
delP operazione  mi  disse,  ch'egli  n  oMpHUwadiMlflrireiipi*' 
Giacque  supino  ed  immobile  sette  giorni  senza  lagnarsene. 


MBXOBIB  SULLA  TITA  «I  PAOLO  FRUL  359 

DelM^,  abbattalo  di  foncé,  d'animo  sempre  costante;  poolds- 
siiBO  esigendo  da§;li  altri,  e  sempre  moslralKltsi  grato  per 
ogni  servigio  0  attenatone^  cosi  passò  qnel  tempo;  lusingato 
sempre  che  tatto  andasse  ottimamente.  La  notte  del  21  al  32 
mollo  aoffri  al  mtre.  Si  credette  ana  erisipile;  era  la  fatai 
cancrena  che  si  formava.  A  mezzodì  del  22  novembre  venim- 
mo avvertiti 9  i  fratelli  ed  io,  del  (atale  colpo.  Nella  neoea* 
sita  di  avvisarlo,  pregammo  il  Padre  Raccagni  Barnabita 
di  assumersi  questo  ultimo  disgustoso  oflScio.  Lo  condosai  io 
stesso  alla  casa  dell'  amico  pericolante,  concertando  seco  lui 
il  modo  meno  aspro  per  dargli  quel  tristo  annunzio;  tanto 
pjòf  ebe  poco  tempo  rimaneva  per  compiere  ai  doveri  della 
religione.  Il  signor  Ftisi  aitribuiva  a  timidezza  del  Padre 
Raccagni  il  consiglio,  appoggiato  ai  replicati  riscontri  de' chi- 
rarglù;  ma  avendo  dallo  stesso  inteso  come,  in  qneir  ora  in* 
solita,  a  tal  (ine  io  fossi  ivi  in  una  vicina  stanza ,  bramò  di 
parlarmi.  Udito  da  me  come  veramente  i  cbirorgbi  temevano, 
e  che  io  credeva  opportuno  di  chiamare  i  soccorsi  della 
Chic^,  pacatamente  e  senza  la.  minima  alterazione  mi  ri- 
spose: Voi  lo  wniigUtUe,^,  è  tubiio  fatto.  Venne  cosi  a  coro- 
nar la  sua  vita  coUa  fermezza  d' un  ucuno,  colla  pietà  d' un 
cristiano  illuminato,  e  colla  ragionevolezza  d'un  filosofo,  che 
nello  spazio  della  sua  vita  orasi  fatto  uno  studio  continuo  di 
rendere  la  ragione  l' arbitra  delle  azioni  sue.  Spirò  la  sera 
dei  22  novembre,  all'età  di  cinquantasei  anni,  sette  mesi  e 
nove  giorni,  avendo  perduto  la  parola,  e  forse  anche  il  senso, 
immediatamente  dopo  i  Sacramenti. 

A  me,  che  intimamente  conosceva  il  signor  abate  Frisi, 
la  di  lui  eroica  fermezza  nel  tagKo  ha  fatta  sorpresa  mag* 
giore  di  quello  che  non  lo  doveva  fare  in  un  altro.  Io  sapeva 
eh'  egli  era  sensibilissimo;  che  un  semplice  discorso  di  cosa 
atroce  lo  scuoteva  in  guisa  insopportabile  per  lui.  Sapeva 
che  alcuni  mesi  prima,  essendosi  trattato  di  tagliare  alla  di 
lui  sorella  un  tumore  al  seno,  ei  nemmeno  poteva  reggere 
alla  idea;  e  considerò  quasi  un  bene  la  febbre  che  le  soprag- 
giunse, e  colla  quale  lentamente  e  senza  camificinà  terminò 
i  suoi  giorni.  Sapeva  che  nella  medicazione  egli  era  irritabi- 
lissimo, e  soggetto  a  convulsioni  per  eccessiva  sensibilità. 


360  MBMOBIB  SOLLA   VITA  DI  PAOLO  FA18I. 

Egli  voBe  domar  la  natara.  Si  determinò;  stabili  il  giorno; 
si  preparò  la  séra  precedente  colla  lettura  della  Storia  d'In- 
ghilterra al  tempo  di  Carlo  I.  La  fermezza  colla  qoale  tanti 
illostrì  cittadini  innocenti  sottoposero  il  collo  alla  mannnia, 
ebbe  ona  reazione  sai  di  lai  cuore.  Incontrò  il  dolore  da  no- 
mo; ed  era  preparato  a  soffrirne  immobilmente  on  maggiore 
ancora.  Tanto  potè  sempre  sopra  di  Ini  ano  stoico  principk) 
di  yirtoosa  filosofia,  cbe  servigli  di  norma  dorante  il  cono 
della  troppo  breve  sua  vita! 

Nella  lunga  ultima  malattia  ei  s'occupò  non  solamente 
nel  correggere  la  stampa  della  Cosmografia,  ma  stava  nd 
tempo  medesimo  ultimandola^  e  dandole  una  nuova  forma; 
e  dal  letto  compose  l'Analisi  della  Teoria  della  luna  e  de*pia- 
neti,  che  non  ebbe  tempo  di  finire.  Tale  era  il  costume  sno 
nella  ristampa  delle  di  lui  opere,  che  cominciava  colla  scoria 
del  manoscritto  preparato  per  me^zo  il  volume,  e  il  rima- 
nente lo  andava  formando  nel  mentre  che  si  stampava  il  già 
disposto. 

I  signori  Canonici  Frisi  (che  anche  nella  lunga  matattia 
avevano  mostrata  la  più  tenera  sollecitudine  verso  d'un  fn- 
tello  che  veneravano  qual  padre,  ed  amavano  quale  il  mi- 
glior amico),  oppressi  da  colpo  sommamente  crudele,  vollero 
far  celebrare  solenni  esequie  al  defunto,  che  trasportalo  nella 
chiesa  di  Sant*  Alessandro,  e  fattovi  un  separato  d^ponto» 
venne  tumulato  il  giorno  24  cogli  onori  d' un  Regio  Profes- 
sore. I  Padri  Barnabiti  si  prestarono  con  ogni  oflSciosità  aOe 
brame  de'  generosi  fratelli,  e  1  medesimi  Barnabiti  reaeio 
un  pubblico  omaggio  al  nome  dell'  esimio  loro  collega ,  po- 
nendo sulla  facciata  della  loro  chiesa  la  seguente  iscri- 
zione: 

PAVLLO  FRISIO 

VIRO  GLARISSIMO 

CONG.»  D.  PAVLLI 

ATQ.  ITALIAE 

ORNAMENTO 

PARENTALIA. 

Ivi  poi  ;si  collocò   un  monumento  colla  medaglia  del 


MBMOBIE  SULLA   VITA   DI  PAOLO  FBISI.  361 

signor  Frisi  scolpita  in  marmo  di  Carrara  dal  valoroso  signor 
Giaseppe  Franchi,  e  colla  iscrizione  in  cui  si  legge: 

PAVLLVS  .  FHISIVS 

MEDIOLANENSIS 

E  .   CONGR.  S.  PAVLLl 

PHIL0L06YS  .   PHISIGVS  .  MATHEMATiCTS 

OD.  6RAVIS8.   DISCIPLINAS 

ILLYSTRÀTAS  .   AVCTAS  .   PAOPA6ATAS 

IN.   SOGIETÀTES.   SCIENTIARVM 

EVROPAE  .   FRIMARLIS  .  ADSCrFVS 

ET  .   IMMORTALE  .   APTD  .  OMNES 

GENTES  .  KOMEN  .   ADEPTVS 

VIX.  ANN  .  LVI.   M.  Vii.  D.  IX. 

PIE  .  ET  .  GON$TANTER 

DECESSIT  .  X  .  K  .   DEC  . 

A  .   MDCCLXXXIIlI. 

Un  allro  monumento,  con  urna,  si  ò  eretto  nella  chiesa 
della  Madonna  d'Ornago  colla  iscrizione: 

PAVLO  .  FRISIO  .   MEDIOI^NENSI 
PH1LOL060  .   PBISICO  .   MATHEBIATICO 

QVI  .   PATRIAM 

CELEBBITATE  .  NOMINIS  .    ILLVSTBAVIT 

EXEMPLO  .   VQCE  .  SGBIPTIS  .  DOCVIT 

MORYM  .   INTEORITATE  .  ORNAVIT 

AMICO  .   OPTIMO 

.       .  PETRVS  .  VBRRVS 

P  . 

Mal  i  marmi  e  le  iscrizioni  fanno  bensi  onore  a  noi,  che 
mostriamo  sentimento  di  venerazione  per  ruomo  di  merito; 
naa  nulla  accrescono  alla  fama  di  luì,  che  colle  opere  sue  si 
è  eretto  il  pié^  durevole  monumento  di  ogni  altro.  Non  i  bronzi 
o  i  marmi  scolpiti  hanno  fatto  passare  sino  a  noi  il  nome 
d' Archimede ,  ma  bensì  le  scoperte  eh'  ei  fece.  L'adulazione 
o  l'invidia  sfigurano  le  cose  per  un  determinato  periodo; 
II.  "*  51 


362  XBMOBIB  SOLLA  VITA  DI  PAOLO  FBISL 

r inesorabile  tempo-dìatriigge  i  prestigi  *  lentameiite  h  ptaeida 
ragione  esamina,  e  la  peateriti  finalmente  prononzia  Vim- 
mutabile  gindizio,  collocando  le  opere  a  quel  grado  che  loro 
conviene.  Il  trattato  d'Algebra  ripieno  di  nuovi  metodi,  sem- 
plici, brevi,  ingegnosissimi;  il  trattato  di  Meccanica,  incoi 
oltre  la  teoria  sta  compilato  l'estratto  delle  moltissime  osser- 
vazioni, fatiche  e  meditazioni  sue  sulle  acque;  la  Cosmogra- 
fia, ove  in  un  volume  ritrovasi  radunato  quanto  sinora  gli 
uomini  hanno  potuto  scoprire  e  su  i  fenomeni  grandi  della 
Terra,  e  sol  sistema  solare  e  de'  Pianeti  ;  la  Cosmografia,  il 
più  vasto,  il  più  sublime  trattato  che  abbia  l'astronomia,  ri- 
pieno di  scoperte  originali  del  nostro  autore;  finalmente  gli 
Elogj  del  Galileo,  del  Cavalieri ,  del  Newton,  di  Pomponio 
Attico,  del  conte  Silva,  di  Maria  Teresa,  del  D'Alembert 
e  del  Perelli,  jdettali  da  una  mente  che  luminosamente  ve- 
deva gli  oggetti,  e  scritti  con  una  eloquenza  che  non  è  d^ 
stinata  a  spremere  lagrime,  ma  a  grandeggiare  e  nobilitare 
gli  oggetti,  a  dilatare  l'amore  della  virtù  e  delle  scienze,  a 
imprimere  la  venerazione  verso  chilo  coltiva,  con  una  elo- 
quenza che  trascorando  l'ultima  dilicatezza  de' suoni  può  of- 
fendere l'orecchio  d^on  timido  sibarita,  o  la  scrupolosa  esal- 
tezza di  un  freddo  parolaio ,  ma  anche  nel  tempo  stesso  solleva 
l'anima,  e  la  scuote  col  benefico  entusiasmo  del  bello  e  del 
vero:  tali  insomma  sono  i  monumenti  preziosi  e  incorrnl- 
tibili  che  l'immortale  signor*  Fri^  si  é  eretto  a  sé  medesimo; 
i  quali  vivranno  pòi  che  saranno  fatti  in  polve  i  marmi,  che 
l'amicizia  e  la  gratitudine  di  alcuni  ha  fatti  scolpire  in  onore 
di  lui. 

Fra  i  personaggi  più  distinti  che  onorarono  il  nostra 
signor  abate  Frisi,  io  debbo  nominare  il  signor  prìncipe  di 
Kaunitz,  il  signor  duca  Francesco  di  Modena,  il  signor  prìn- 
cipe Angusto  di  Saxe-Golha ,  il  signor  principe  di  Salm  Salm» 
il  signor  duca  De  La  ftochefoucault,il  signor  ex-doge  Agostino 
LomelUno,.il  viceré  di  Sicilia  signor  marchese  Caracciolo, H 
signor  Don  Giovanni  di  Braganza.  Egli  aveva  una  corrispon- 
denza letteraria  molto  estesa,  e  mantenuta  assiduamente  eoi 
più  distinti  uomini  d'Europa:  il  Padre  Jacquier,  in  Roma;  i 
Zanetti^  Manfredi,  Canterzani,  Cadali,  a  Bologna;  Walme- 


MBMOBU  SULLA  TITA  DI  PAOLO  FUSI.  36 1 

sley,  MocÌ4)B,  Waring,  Maskelyne,  Ma(y,  nell'InghiUeira; 
D'Alembert,  Gopdorcet,  Bailly,  de  KeraìUo,  Walelel,  Clai- 
raalt,  La  CoDdamine,  La  Gafll^t  Thomas,  in  Francia;  Per- 
ner,  Melanderhielm,  Wargeoiin,  nella  Svezia;  Formei, 
Bemooilli,  La  Gtfinge,  a  Berlino;  Ealer  a  Pietrolrargo; 
TrenU>ley,  Le  Sage,  De  Saoaanre,  Bonnet,  Bertrand,  a  Gi- 
nevra.— Questa  corrispondenza  del  nostro  insigne  Matemati- 
co, meati»  giovava  a  Ini,  non  era  di  poca  otilità  a  molti  aUri 
ancora;  poichò,  oltre  la  corioaità  di  essere  noi  informati  de' 
progressi  delle  scienze  ed  arti*,  e  delle  novità  della  vasta, 
sebbene  non  numerosa,  repnbbGca  de' pensatori,  i  Milanesi 
che  hanno  viaggiato,  provaraio  di  quanta  utilità  fosse  per 
essi  una  lettera  del  nostro  signor  Frisi,  per  mezzo  di  cui  po- 
tevano conoscere  direttamente  la  miglior  compagnia  del 
paese;  laddove  i  passaporti  e  le  lettere  ministeriali,  ne- 
cessarie per  la  sicorecza,  altro  non  prodocono  per  le  più 
che  an  imbarazzante  invito  a  on  pomposo  e  tristo  pran- 
zo, offèrto  con  noia  e  cerimonia,  e  con  noia  e  cerimonia  ac- 
cettato.» 

Negli  ultimi  anni  di  sua  vita,  malgrado  i  replicati  au- 
menti di  soldo,  egli  non  godeva  più  di  ducente  venti  zecchini 
annui  di  stipendio  come  Professore  e  Regio  Censore;  e  tfue- 
st'  era  tutta  la  ricchezza  eh'  egli  possedeva,  e  colla  quale  de- 
centemente alloggiava,  decentemente  vestivasl,  manteneva 
un  domestico  a  servirlo,  stampava  le  di  Ini  opere,  e  poteva 
trovar  persino  il  modo  di  beneficare.  Bensì  è  vero,  che  dalle 
commissioni  per  le  acque  Bolognesi,  indi  da  quelle  del  Tiro- 
Io,  e  sopra  tutto  dall'ultima  incambenza  di  Venezia,  ei  potè 
radunare  qualche  somma  che  gli  servi  di  scorta  al  bisogno. 
I  premj  di  Berlino, di  Parigi,di  Copenhaghen  e  di  Pietroburgo, 
contribuirono  anch'  essi  a  procurargli  de'  comodi.  Ei  potè  as- 
sistere la  famiglia,  viaggiare  l'Italia,  la  Francia,  l'Inghilter- 
ra, l'0ian4a,  la  Germania,  gli  Svizzeri.  £i  raccolse  un  ga- 
binetto pregévole  di  libri,  singolarmente  matemàtici  ;  *  man- 
tenne una  dispendiosa  corrispondenza  di  lettere.  Tutto  potè 
fare,  perchè  nulla  dissipò  mai  per  capriccio.  Egli  perù,  che 

'  I  libn  matematiei  poMooo  vederti  cella  libreria  de*  PP.  GonventnaU  di 
Pavia,  da'  quali  furooo  afidameoU  pracnrati 


364  MEMOUB  SULLA  TITà  M  PAOLO  FUSL 

non  pensava  mai  al  mali;,  né  sospettava  clie  nn  nomo  po- 
tesse essere  fingìosto,  nd  mentre  frenava  ogni  voglia  ailH- 
trarla  per  castodire  il  denaro,  non  si  sarebbe  curato  di  cfaìn- 
dello  ed  assicurarlo  :  molte  volte  toccava  ai  fratelli  o  agli 
amici  di -avvisarlo,  acciocebè  non  lasdisse  i  denari  alla  di- 
sposizione di  cbi  entrava  nella  di  Ini  camera  ;  e  tanto  pfù 
comodo  sarebbe  stato  il  furto,  poi  cb'  egli  non  soleva  mai  te- 
ner nota  di  quanto  spendeva,  ma  più  o  meno  strìngeva  le 
voglie  a  misura  cbe  gli  rimanevano  più  o  meno  scarsi  i  mez- 
zi. Non  bo  conosciuto  un  uomo  più  alieno  di  quello  eh'  ei  lo 
fosse  dal  lasciar  comprendere  mai  d'avere  pia  bisogni  che 
mezzi.  Sempre  nobile,  decente,  misurato,  alienissimo  dal 
contrarre  debiti,  ricusando  costantemente  dalla  stessa  mano 
dell'  amicizia. ogni  soccorso,  non  permettendo  mai  che  alcuno 
sacrificasse  ì  comodi  proprj  per  accrescerne  a  lui  ;  con  serenità 
mirabile  sapeva  adattarsi  alla  propria  condizione,  e  non  sa- 
peva comprendere  come  tanti  si  lagnassero  d'essere  mal  as- 
sortiti di  beni  di  fortuna,  mentre  possedevano  il  doppio,  il 
triplo,  e  più,  di  quanto  bastava  a  lui  per  renderlo^indipen- 
dente  e  contento.  Pare  impossibile  come  egli,  con  mezzi  cosi 
scarsi,  fosse  generoso;  eppure  lo  fu,  non  óolamente  nel  rega- 
lare i  libri  suoi,  ma  secretamente  soccorrendo  le  persone 
eh'  egli  slimava,  e  che  credeva  bisognose  di  soccorso.  Potrei 
accennare  alcune  di  tai  beneficenze  venute  per  ventura  a 
mia  notizia,  ma  non  per  mezzo  del  signor  Frisi,  il  quale  alla 
generosità  univa  la  più  nobile  discrezione  e  nn  secreto'  im- 
penetrabile. La  generosità  e  beneficenza  avrebbero  limiti'' 
troppo  angusti,  e  sarebbero  troppo  umilianti  per  coloro  verso 
da'  quali  si  eseroitano,  qualora  non  vi  fossero  altri  mezzi  se 
non  i  beni  di  fortuna.  Una  parola  opportunamente  detta  ad 
un  Ministro,  una  lode  amichevolmente  pronunziata,  un  consi- 
glio suggerito  a  tempo,  un  incoraggiamento,  un  lume;  tutti 
questi  sono  mezzi  opportuni,  co' quali  l'uomo  benefico  sparge 
l'influenza  della  sua  viriù,  e  procura  lo  stabilimento,  le  con- 
venienze, e  talvolta  persino  la  gloria  delle  persone  che  ne 
sono  degne,  e  giacciono  sconosciute.  Di  tai  mezzi  con  cuore 
e  saviezza  più  e  più  volte  faceva  uso  il  benefico  nostro  signor 
abate  Frisi;  e  non  sono  Dochi  coloro  i  quali  a  lui  son  debitori 


«EMORIB  SULLA  VITA  DI  PAOLO  FRISI.  3G5 

d*essere  stali  conosciuti  dai  Ministri  prìmarj,  e  collocati. 
Questo  nobile  sentimento,  però  sempre  subordinalo  alla  ra- 
gione, non  mai  degenerò;  e  limitandosi  ai  soli  uomini  di  stu- 
dio, non  brigò  giammai  per  alcuno. 

Nella  famiglia,  egli  era  amato  e  riverito  come  un  padre, 
come  un  benefattore,  come  l'intimo  e  il  miglior  amico.  Io 
sono  testimonio  della  tenera  benevolenza  che  reciprocamente 
Taniva  e  colla  virtuosa  sua  madre,  donna  d'ingegno  e  di 
condotta  mirabile,  e  co' fratelli,  de' quali  ho  fatta  giusta  ed 
onorata  menzione  da  principio.  La  nobile  cortesia,  la  grazia, 
la  benevolenza  di  quella  famiglia,  rendeva  caro  quel  soggiorno 
e  a  chi  la  formava,  e  a  chi  contemplava  quel  ricovero  della 
virtù.  Incapace  ciascuno  d'una  parola  dispiacevole,  umano 
co' serventi,  ragionevole,  discreto;  è  una  vera  fatalità,  che 
nel  breve  periodo  di  sei  anni,  la  madre,  due  fratelli  e  due 
sorelle  sieno  mancati  I 

Mancava  ancora  un  onore  letterario  al  nostro  signor  Fri- 
si, quello  cioè  d'essere  annoverato  fra  gli  otto  Accademici 
esteri  della  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Parigi.  Era  già 
disposto  che  alla  prima  vacanza  eì  vi  sarebbe  collocato;  ma 
la  morte  troncò  il  filo.  Questa  inaspettata  sventura  cagionò 
un  sentimento  universale  di  dispiacere  nella  città.  ^  Allora 
tacque  l'invidia,  e  subentrò  il  pensiero  della  perdita  irrepa- 
rabile che  s'era  fatta.*  Un  uomo  che  nel  corso  della  virtuosa 
sua  vita  non  aveva  mai  recato  danno  ad  alcuno  ;  che  molti 
aveva  beneficati  ;  che  moltissimi  aveva  istrutti  ;  che  col  suo 

<  Bon  meno  grande  fu  il  dispiacere  che  alla  perdita  dell'  illustre  signor 
abate  Frisi  dimostrarono  gli  uomini  più  colti  ed  illuminati ,  che  sono  sparsi 
nelle  cittì  d*  lulia  e  d*  oltremonte.  Nella  sola  città  di  Brescia,  dai  signori  conte 
Giamhatifta  Gorniani  e  cavaliere  Giuseppe  Colpani,  si  e  voluto  adornare  la  tomba 
del  nostro  Frisi  con  una  ghirlanda  di  poetici  Bori.  Anche  il  signor  canonico  don 
Lodovico  Ricci  di  Chiari  tributò  alcuni  versi  alla  memoria  dell' illustre  matema- 
tico defunto.  Fa  molto  onore  a  tai  soggetti  la  sensibilitit  che  mostrarono  io 
favore  di  chi  ha  tanto  illustrata  l' lulia.  Fra  i  Barnabiti,  a  gara  furono  occupati 
ad  onorare  la  tomba  dell'  immortale  loro  collega  il  Padre  Giovenale  Sacchi  ed 
il  Padre  Fontana. 

S  Le  di  lui  ceneri  furono  onoraU  dall'  Accademia  delle  Scienze  di  Harlem 
due  anni  dopo  la  di  Ini  morte,  cioè  nel  1786,  avendo  ella  coronata  del  premio  la 
Dissertatione  di  lui  sulle  disugnaglianu  de'  Satelliti  di  Giove  i  e  i  «ignori  Cano- 
nici fratelli  hanno  ricevuto  la  medaglia  d'oro,  ultimo  pro6t(o  dell'ingegno  del 
glorioso  loro  fratello. 

51* 


366  MimORlB  SULLA   TITA  DI  PIOLO  VEISI. 

nome  dava  lustro  alla  patria;  di  coi  i  costami  erano  sempre 
stati  irreprensibili;  comparve  tate  qua!  fo,  nel  momento  in^ 
cai  lo  perdemmo. 

Possa  quest'ingenuo  racconto  della  vita  e  degli  stndj  dt 
questo  grand'oomo  svegliare  l'emulazione  ne' concittadini 
del  Cavalieri,  di  Frisi,  dell'Agnesi,  e  rincorarli  almeno  colla 
^speranza  che  tosto  o  tardi  il  merito  è  collocato  dalla  ragione 
nel  vero  suo  aspetto! 


3C7 

LETTERE. 


ÀU'abate  Antonio  Genovesi, 

Milano 

Vi  presento,  iilastrìssimo  signore,  un  omaggio  che  yi  si 
deve  da  ogni  Italiano,  e  ve  lo  presento  con  quella  soddisfa^ 
zione  e  compiacenza  che  si  risente  quando  si  offre  libera- 
mente tributo  al  merito.  La  benefica  virtù  eh»  accompagna 
le  vostre  azioni,  mi  ha  fatto  nascere  rispetto  per  roi  ;  le  vo- 
stre cognizioni  mi  hanno  posto  nel  cuore  la  stima  ;  e  Poso 
che  ne  avete  fatto  rendendole  di  pubblica  ragione,  mi  ob- 
bliga ad  easerven»  grato.  Le  verità  più  immediatamente 
congiunte  colla  prosperità  delle  nazioni  meritano  le  medita- 
zioni di  un  filosofò  a  preferenza  di  molt'altre  ;  e  voi  ne  avete 
dato  un  luminoso  esempio  all'  Italia,  ch'io  vorrei  pure  imi- 
tare degnamente.  Appena  comparve  la  vermone  fatta  della 
Storia  del  Commercio  della  Gran  Brettagna  dal  signor  Don 
Pietro  vostro  degno  fratello  colle  annotazioni  vostre,  io  la 
lessi  con  avidità  e  con  genio.  Permettetene,  illustrìssimo  si- 
gnore, che  mentre  il  pubblico  rende  giustizia  al  pregio  di 
quella  bell'opera,  io  mi  sfoghi  con  voi,  e  vi  manifèsti  i  sen- 
timenti che  mi  ha  fatto  nascere  nell'animo.  Due  fratelli  che 
cooperano  insieme  ad  un  lavoro  geniale  e  benefico,  è  una 
prospettiva  consolante  e  che  tocca  il  cuore  ;  tanto  più  io  mi 
y'  interessai,  quanto  allora  mi  trovava  apponto  in  circostanze 
simili,  tioè  in  una  dolcissima  unione  con  mio  fratello  Ales- 
sandro, coltivando  le  lettere  con  genio  uniforme,  ed  occu- 
pandoci entrambi  a  un  comune^lavoro  d' un'opera  perìodica. 
Non  tatti  gli  uomini  son  fortunati  a  segno  di  gustare  i  deli- 
ziosi uffetti  di  famiglia,  com'  è  accaduto  a  voi,  illustrissimo 
signore,  ed  a  me:  mi  sono  sentilo  un  gelo  al  cuore  leggendo 


368  LETTERE. 

la  prefazione  del  secondo  tomo  dì  quell'opera,  e  conoscen- 
dovi privato  per  sempre  dell*  illustre  compagno  de*  vostri  la- 
vori; io  in  ciò  ho  un  vantaggio  sopra  di  voi,  ed  è  uno  de*  più 
preziosi  beni  che  desidero  di  conservare  ;  ma  le  circostanze, 
della  vita  ci  hanno  divisi.  La  seconda  opera  da  voi  pubbli- 
cata, cioè  le  Lezioni  vostre  sulle  materie  di  pubblica  Econo- 
mia, ristampate  da  noi  ultimamente,  sono  degne  di  voi,  né  voi 
medesimo,  illustrissimo  signore,  potete  calcolare  a  qual  ter- 
mine giungeranno  i  beneficj  che  fate  agli  uomini.  Quanti  ec- 
citati dal  facile  metodo,  dalla  presentazione  di  nuovi  oggetti, 
dalla  evidenza  delle  verità  che  pubblicate,  combatteranno  i 
pregiudizj  ereditati  I  quanti  che  ne  correggeranno  sé  stessi  I 
quanti  interessati  difensori  dei  disordini  ereditati,  per  verc- 
•condia  di  promovere  il  danno  pubblico  in  faccia  d*  una  na- 
zione illuminata,  si  raffreneranno!  Chi  può  calcolare  qual 
limite  avranno  le  benefiche  verità  che  voi  avete  cosi  felice^ 
mente  annunziate?  In  questo  mio  scritto  ^  vedrete  trattata 
una  pìccola  parte  di  quella  scienza  che  professate:  Tho 
trattata  adattando  alla  mia  patria  i  vostri  principj,  che  sono 
-quelli  della  ragione.  Ho  dovuto  farmi  carico  di  molte  obbie- 
zioni, le  quali  non  meriterebbero  d'essere  confutate;  ma 
«pero  che  voi,  saggio  conoscitore  degli  uominr,  non  mi  rim- 
provererete se  ho  avuto  cura  più  di  persuadere  le  verità,  che 
di  scrivere  un'  opera  ingegnósa  ed  elegante.  Ho  procurato  di 
esaurire  P  argomento,  e  non  lasciare  nelle  menti  di  chi 
m*  avesse  letto  alcun  dubbio  sulla  proposizione. 

Vi  è  stato,  il  credereste?  vi  è  stato  chi  osò  asserire  che 
41  signor  Don  Antonio  Genovesi,  se  avesse  saputo  le  partico- 
lari circostanze  del  Milanese,  avrebbe  consigliato  di  conser- 
vare i  vincoli  sul  commercio  de'  grani,  lo  ho  osato  di  rispon- 
dere per  voi,  e  dire  che  voi  sareste  del  parer  mio ,  e  censi* 
gliereste  la  libertà,  come  avete  chiaramente  consigliato  io 

<  Pare  che  questa  leltera,  a  cui  manca  h  data,  fosse  una  dedicatoria  scritta 
dal  Verri  in  minuta  pel  caso  eh* egli  avesse  stampatala  sua  opera  S»/ie  leggi 
vimtolmntl  il  Commerciò  de'  Grani,  oppeoa  dopo  averla  composta,  dok 
nel  i 769)  ma  io  qoeiraoQO  stecso  morì  il  Genovesi  »  ab  il  Vetri  divulgò  Uk 
srritto  se  non  molti  anni  di  poi ,  cioè  quando  in  mexKO  alle  contraddisioat  di 
que*  tempi  turholenti  credette  che  giovar  potesse  ad  impedire  errori  che  tenta* 
vano  di  rìpullnlarc. 


LETTEBE.  «  369 

Ogni  vostro  scritto.  Voi  avete  scritto  chiaro,  illustrissimo  si- 
gnore; vedete  come  vi  si  fanno  i  cementi.  Si  dice  che  in 
una  regola  monastica  il  lesto  diceva  :  I  frali  H  vestiranno  di 
bSanee,  e  il  commentatore  in  margine  vi  scrisse  :  Ciùè  nero; 
questo  è  il  caso  nostro. 

Godete,  o  patriota  illustre,  della  soddisfazione  che  meri- 
tale e  per  l'onore  che  fate  air  Italia,  e  per  la  spinta  che  date 
a  migliorare  la  condizione  degli  oomlni,  e  per  l'indole  be^ 
nefica  vostra  ;  accogliete  colla  naturale  bontà  vostra  questo 
mio  tenue  lavoro,  che  io  pubblico  sotto  i  felici  vostri  auspicj, 
e  permettete  che  io,  vostro  ammiratore,  con  vera  riconoscenza 
e  rispetto  abbia  la  libertà  di  sottoscrivermi,  ec. 

Al  marchese  Giacapo  Maria  Teodoli.  —  A  Forlì. 

Milano,  14  luglio  1770. 
Eccellenza.  —  A  primo  aspetto  Y.  E.  ha  ragione  di  so- 
spettare colpevole  il  mio  silenzio  dopo  la  pregiatissima  sua 
del  4  maggio,  a  cui  aniti  ricevetti  la  Nuova  Citerea,  e  il 
poemetto  per  le  nozze  del  signor  conte  Pietro  di  lei  stima- 
tissimo figgilo.  Pieno  di  gratitudine  per  il  prezioso  dono  e  per 
le  gentili  maniere'colle  quali  si  ella  che  il  valoroso  Padre  Let- 
tore Ghini  r accompagnarono,  non  ho  voluto  dare  le  grazie 
prima  di  averne  gustato  il  merito  ;  né  mìo  malgrado  mi  è 
^tato  questo  fattibile  più  sollecitamente,  distratto  come  por 
troppo  sono  dalle  brighe  di  ufficio.  Vuole  TE.  V.  il  mio  pa- 
-ere?  lo  esporrò  senza  riguardo  e  quale  Tho  nell'anima.  La 
poesia  del  Padre  Lettore  Ghini  non  è  un  pario  d' impetuosa  e 
)ollente  fantasia,  ma  essa  mi  pare  figlia  della  placida  e  be- 
lefica  ragione  :  la  facile  organizzazione  de'  suoi  versi  non 
irodace  scosse  nell'  animo,  ma  soavemente  v'  insinua  idee 
itilissime  ;  mi  pare  una  poesia  ministra  del  vero,  e  tutta  gui- 
[ata  da  un  felice  genio  di  filantropia  che  tende  a  rendere  gli 
lommi  migliori.  Chiunque  ha  gusto,  è  allettato  da  una  pagina 
11'  altra  fino  alla  fine,  e  nessuno  vi  può  essere  che  da  quel- 
opera  non  ritragga  o  cognizioni  o  affetti.  Lo  stile  è  eguale 
I  soggetto,  e  col  dividere  nella  scrittura  i  marielliani,  il 


370  LETTeiE 

poela  si  8olli:9e  al  pregiudizio  di  coloro  che  per  para  inini- 
cizia  dette  cose  ngove  disdogoano  on  nieiro,  il  qvwle  se  nette 
altre  liogoe  europee  piace»  mollo  pia  riesce  neUa  nostra  Ho- 
I  gaa  armoniosissiraa  e  dekissima.  Le  annotamni  sono  piew 

I  di  cose  scelte:  erodizione,  notizie  deU' antichità,  detta  storii 

I  natarale,  di  fisica,  dell'estere  nazioni,  e  soprattutto  an'ec- 

!  cetteale  morale,  che  spira  affètti  di  famiglia,  di  eitUdiiio, 

d' nomo  benefico.  Debbono  essere  ben  pontiti  i  mormoratori 
'  della  sua  Citerea.  L' ostracismo  è  sempre  pronto  al  prino 

I  balenare  M  varo  merito;  ma  la  ragione  e  la  verità  cod  pasti 

lenti  e  contrastati  ridacooo  a'  loro  piedi  il  fanatismo.  Nats- 
ralissimo  è  il  ritrito  che  fa  di  Cesare,  e  cosi  trovo  felice- 
mente frammischiate  le  idee  grandi  di  vera  gloria,  le  ima- 
gini  più  naturali  del  costume,  e  i  sali  attici,  che  mi  tengono 
sempre  in  lena.  Io  ringrazio  ronoralissimo  Padre  Lettore  della 
bontà  che  mi  ha  dimostrato,  e  del  vero  piacere  che  mi  ^ 
fktto  provare.  La  vera  filosofia  che  nel  Poemetto  di  lai  ri- 
splende,  mi  £a  nascere  rispetto  per  lui  ;  le  cognizioni  onde 
sono  piene  le  annotazioni  esigono  ammirazione  ;  la  benefi- 
cenza e  bontà  della  sua  morale  rendono  a  lui  aperti  i  caori 
sensibili.  Eccole,  mio  signor  conte,  veramente  <iaeUo  che  mi 
fa  nascere  la  lettura  di  quest'opera.  Desidero  per  il  beoc 
d' Italia  ch'egli  abbia  quel  dolce  ozio  e  quella  foriunataa» 
bizione  che^li  facciano  produrre  altre  cose  dì  questo  cooi« 
Il  poemetto  poi  dd  Padre  Maestro  Fusconi  é  bizzarrissi- 
mo;  non  si  può  trovare  nò  maggiore  naUnralezza  nelle  idee  e 
nel  verso,  né  maggiore  vivacità  d' imagini.  La  similitadiae 
del  villano  che  osìserva  il  Mondo  Nuovo  è  felicissima,  e  latti 
queUa  favoletta  ò  tessuta  e  condotta  con  somma  leggiadria; 
egh  fa  scaturire  gli  encong  e  gH  augurj  da  soggetti  «ftito 
impensati,  e  trova  la  via  di  sorprendere  caramente  in  i^ 
tasti  de'  più  ribattuti.  Non  aveva  la  sorte  di  conoscere  ^ 
sto  amabile  scrittore,  ed  io  felicito  V.  £.  d' avere  un  figlia^ 
ed  una  nuora  degna  di  lei,  e  che  possono  inspirare  a'  v^i 
si  belle  idee,  ft  pieno  di  lazzi  vivacissimi  quel  Padre  Foseoii; 
quelle  sue  teste  da  pettitiare,  quelle  paienteai  sidla  segi*- 
tozza  delle  donne  e  simili,  mi  hanno  colpito.  InsomoM  io 
avrei  pure  curiosità  di  sapere  se  una  coni  bella  coppia  M^ 


LETTERE.  371 

mantenuto  in  eredito  il  yatieinio,  e  se  gli  embrioni  di  quel 
eofanetto  sieno  comparsi  alla  luce:  certo  che  ono  Sposo  e 
una  Dama  tanto  colti  dovevano  questo  omaggio  alla  buona 
poena  di  non  farla  mentire,  ed  io  lo  desidero  per  la  conso- 
lazione di  y.  E. 

Eccole  detto  il  mio  parere^  o  per  meglio  dire,  le  mie 
sensazioni  su  queste  due  belle  cose  ;  perchè  alle  Arti  imita- 
trici, Poesia,  Musica,  Pittura,  io  m*  offro  passivamente;  non 
cerco  di  ragionare,  presento  indifferentemente  la  mia  anima, 
e  riitico  poi  quali  movimenti  vi  abbia  sentiti  ;  né  credo  che 
altrimenti  si  deUNi  giudicarne.  Fontenelle  si  presentava  ad 
udir  la  musica  con  questa  disposizione  ;  e  quando  ella  lo  la- 
sciava perfettamente  In  quello  stato  in  cui  T  aveva  trovata, 
le  chiedeva  con  ragione  :  Muiica,  che  vuoi  da  mef  — *  Questo 
non  prova  nulìa,  diceva  freddamente  un  geometra  al  vicino 
che  inangeva  ascoltando  una  bellissima  tragedia  ;  e  il  geo- 
metra aveva  torto,  perchè  era  tempo  di  sentire  e  non  di  ra- 
gionare. Queste  mie  sensazioni  però  ella  si  degna  di  valu- 
tarle più  che  non  meritano,  ed  io  non  posso  addurre  in  di- 
scolpa d'averle  palesate  nienl' altro  che  l'obbligo  da  lei 
gentilmente  impostomi  colla  maggiore  ingenuità  ;  e  deside- 
roso d' incontrare  occasioni  di  mostrai^le  la  mia  obbedienza 
e  gratitudine,  passo  con  perfetta  stima  a  dichiararmi,  ec, 

ÀI  eavalier  Gaetano  Filangieri. 

Milano,  36  agosto  1780. 

Eccellenza.  --  Il  Padre  Rottigni  mi  ha  portato  il  pre- 
zioso regalo  che  Y.  £.  si  è  degnata  di  farmi.  Io  la  ringrazio 
della  istruzione  che  mi  ha  data  colla  lettura  dell'  aureo  suo 
Ubro,*  e  la  ringrazio  della  lusinga  ch'ella  ha  fatto  all'amor 
proprio  dimostrandomi  che  un  profondo  e  benefico  pensa- 
tore quale  Y.  E.  abbia  creduto  eh'  io  potessi  intenderlo  ed 
ammirarlo.  Io  le  confesso  che  al  primo  aprire  del  libro  ho 
dubitalo  che  l' impegno  fosse  troppo  vasto,  e  che  l' autore 
non  potesse  poi  reggere  alla  Immensa  carriera  ;  ma  alla  pa- 

*  Lm  ScitrtM  della  Legishtiont* 


372  LETTEKE. 

gina  59  ho  ascoltato  la  voce  d' Ercole  che  ha  rimbombalo 
sai  mio  coore,  e  il  mio  dubbio  è  svanito  :  a  misura  cbe  mi 
sono  avidamente  innoltrato  nella  leltara,  sempre  più  ho  sen- 
tito che  grandeggiavano  le  idee,  e  le  primordiali  verilà  k- 
minosamente  posavano  appoggiate  ai  fatti  d' ona  vasta  eru- 
dizione. Aspetto  con  impazienza  il  secondo  libro,  il  quale 
m' interessa  principalmente.  Vorrei  poter  significarle  la  ve- 
nerazione che  hanno  fatto  nascere  in  me  i  sablimi  suoi  lami, 
e  più  ancora  Y  oso  generoso  e  benefico  eh'  ella  ne  fa  iA  be- 
neficio della  società  umana.  Io  felicito  Y.  E.,  e  più  aacòra 
felicito  cotesla  sua  illaslre  patria,  nella  quale  s*  ascolla  eoa 
pace  e  onore  la  voce  libera  d' un  filosofo  che  indica  sapien- 
temente gli  errori  sinora  venerati.  Questa  é  una  sacra  espia- 
zione all'ombra  onorala  dell'infelice  Pietro  Giannone,  colpe- 
vole d' esser  nato  cinquantanni  prima  del  suo  tempo.  Possa 
y.  E.  goder  lungamente  e  in  pace  insieme  cogli  api^ù 
dell'Europa  l'ammirazione  de'  suoi  cittadini!  Quesl'è  il  volo 
che  esprime  il  mio  animo  riconoscente  e  sensibile,  mosso  dal 
patriolismo  italiano.  Sono  con  infinita  stima,  riconoscenza  ed 
ossequio,  ec. 

À  Giuseppe  De  Neechi  ÀquUa, 

Da  casa,  3  gennaio  1781. 
Ella  mi  ha  favorito  con  due  compitissimi  fogli,  ed  io  la 
prego  a  non  sapermene  male  se  ho  differito  il  riscontro  per 
molli  doveri  oflQciosi  che  me  lo  hanno  impedito.  Primiera- 
mente, mi  spiace  d' intendere  ch'ella  sia  incomodata,  poiché 
di  vero  cuore  le  desidero  tutti  i  beni  ;  e  questo  mio  sinceio 
desiderio  nasce  dalla  stima  distinta  che  mi  pregio  di  Gue 
de'  suoi  talenti,  delle  sue  cognizioni,  e  soprattutto  della  bootà 
e  chiarezza  dell'  animo  di  lei.  U  signor  conte  Corniani  gta- 
dica  di  me  colla  parzialità  che  il  signor  Don  Giuseppe  onora- 
Ussimo  gli  ha  suggerita  :  io  gli  sono  obbligato  per  od  errore 
tanto  per  me  glorioso,  e  lo  prego  di  fargliene  i  ringrasia- 
menti  in  mio  nome.  Le  poesie  di  quel  chiarissimo  Cavaliere 
vanno  al  cuore  e  partono  dal  cuòre.  Ella  sa  quanta  parte  ab- 


LETTBRB.  373 

bia  il  caso  nel  dare  credito  a  una  composizione  manoscrilta 
presentata  DiU  majorum  geniium,  e  non  v'  è  punto  da  ca- 
varne alcun  sinistro  augurio  se  V  Orazione  gratulatoria  sia 
fors'  anco  Tergine  ancora  e  non  letta.  La  Corte  è  yn  vortice 
turbolento  ;  e  non  ò  facile  che  si  fissi  lo  sguardo  sopra  la- 
vori che  si  esaminano  nel  placido  silenzio  d'un  amatore.  La 
tesi  la  credo  però,  esattamente  vera,  cioè  che  la  serie  della 
nostra  storia  «i  presenta  vicende,  costumi  e  governi,  che 
fanno  l'elogio  de'  viventi.  Io  non  credo  che  vi  siano  che  due 
epoche  paragonabili  a  questa,  cioè  sotto  il  dominio  dell'  ar- 
civescovo Giovanni  Viscónti,  e  sotto  qnello  del  mio  caro 
Azzone  Visconti.  La  versione  d'Orazio  è  un'occupazione 
degna  di  lei,  che  lo-  ha  saputo  si  ben  vestire  all'  italiana  con 
mio  sommo  onore  :*  ella  vi  si  occupi  con  buon  animo,  sicuro 
di  averne  gloria  e  ricompensa;  ma  della  dissertazione  sulla 
Distribuzione  degli  Impieghi  non  ardirei  di  fartene  eguale 
vaticinio.  Se  i  distributori  delle  cariche  potessero  dimenti- 
care ogni  personale  riguardo  nel  conferirle,  ed  essere  eroi, 
le  cose  di  questo  mondo  camminerebbero  meglio  ;  ma  cento 
sorprese  strappano  la  nomina  aQe  cariche,  e  molte  volte 
l'oomo  di  merito  consegui  un  collocamento  per  tutt' altro 
mezzo.  Bacone  scrìsse  :  Ad  honoret  raro  ascendiiur  niti  per 
mixturam  honorum  et  malarum  artium.  Quando  gli  uomini 
errano  per  equivoco  di  mente,  un  libro  può  illuminandoli 
condurli  al  buon  cammino  ;  ma  quando  V  uomo  travia  per- 
chè preferisce  il  proprio  al  pubblico  interesse,  non  v'  è  altra 
maniera  di  correggerlo  se  non  dimostrandogli  che  s'inganna 
ogni  volta  che  sappone  ohe  il  proprio  vero  e  durevole  inte-i 
resse  sia  in  contraddizione  col  bene  pubblico  :  la  qual  tesi 
vera  e  verissima  non  si  può  dimostrare  se  non  con  una  lunga 
serie  di  ragionamenti;  e  i  distributori  delle  cariche  o  gli 
hanno  fatti  prima  di  giungere  agli  onori,  e  non  hanno  me- 
stieri d' un  nuovo  libro,  ovvero  non  gli  hanno  fatti,  e  non 
avranno  pazienza  e  comodo  per  farli.  Ella  vede  con  ciò  una 
critica,  ma  amica  e  onesta,  della  sua  Dissertazione  non  nata 
ancora.  Io  non  pretendo  però  alia  infallibilità,  e  le  sottopongo 

'  Le  Odi  di  Orazio,  di  coi  si  parla ,  erano  dedicate  a  Pietro  Verri. 
II.  3:2 


374  LETTEBE. 

baonameDte  la  mia  opioìoDe.  La  ringrazio  finalmenle,  ma  di 
vero  cuore,  della  parte  ch'ella  prende  alle  sovrane  benefi- 
cenze versate  sopra  di  me  senza  alcun  mio  merito.  Bramo  di 
poterle  mostrare  in  fatti  la  vera  stima,  V  affetto  e  la  distinta 
considerazione  colle  quali  mi  protesto,  ec. 

Al  Padre  Francesco  Fontana,  Bamabila. 

Milano,  8  gennaio  1785. 

Molto  Reverendo  Padre,  Signor  colendissimo.  —  Sono 
commosso  neir  intimo  del  mio  animo  leggendo  le  due  subli- 
mi Elegie  che  Y.  R.  e  il  chiarissimo  Padre  Sacchi  consacrano 
alla  tomba  del  comune  amico  nostro  Frisi.  La  singolarissima 
bontà  colla  quale  mi  onorano,  sempre  più  accresce  le  mie 
obbligazioni.  Paragonando  me  stesso  col  ritratto,  vedo  che 
mi  rappresentano  quale  vorrei  essere.  Non  comprendo  io 
stesso  se  nella  mia  devota  gratitudine  v'abbia  parte  mag-  I 
giore  r  onor  sommo  che  Y.  R.  e  1*  ornatìssimo  suo  Collega  j 
fanno  a  me,  ovvero  queUo  che  fanno  alla  memoria  del  no-  < 
stro  Frisi,  che  ho  amato  e  che  amerò  sin  che  avrò  vita.  Egli 
doveva  ottenere  i  sentimenti  e  gli  encomj  che  tributano  a 
lui  pel  suo  merito,  e  perchè  sommamente  amava  e  stimava 
il  loro  carattere,  ingegno  e  dottrina.  Io  non  posso  attribuire 
se  non  a  questa  seconda  cagione,  che  mi  pregio  di  aver  co- 
mune, la  parte  della  gloria  che  me  ne  ricade.  Spero  che 
Y.  R.  e  il  veneratìssimo  suo  Collega  mi  permetteranno  di  fre- 
giare colle  eccellenti  loro  Poesie  le  Memorie  che  vorrei  pub- 
blicare sul  nostro  Frisi.  Frattanto  colla  più  rispettosa  ricono- 
scenza ho  r  onore  di  protestarmi,  ec. 

A  Baldassare  Papadia.  —  A  Lecce, 

Milano,  i  giugno  1793. 

Illustrissimo  Signor  padron  colendissimo.  —  Somma- 
mente cousolante  per  il  mio  amor  proprio  è  stala  la  pregia- 
tissima lettera  che  Y.  S.  illustrissima  si  è  degnata  di  seri- 


LETTERE.  375 

venni  in  daU  del  17  scaduto/  L'epoca  deU' imperator  Fe- 
derico ch'eUa  ha  avvertila,  mi  è  costata  veramente  assai 
fatica,  perchè  neMìbri  io  Fho  trovata  o  in  verisimile  o  par- 
ziale, 0  peggio  ancora,  onde  ho  dovalo  da  molti  frammenti 
indovinare  il  disegno  d' un'  antica  fabbrica  nel  descritto  da- 
gli autori.  Anche  l' epoca  della  mutata  disciplina  ecclesia- 
stica mi  è  riuscita  faticosa  ;  ma  conGdo  d' aver  indovinato 
co'  passi  degli  scrittori  contemporanei  per  quai  modi  la  giu- 
risdizione romana  siasi  eslesa,  e  in  Milano  v'  erano  i  docu- 
menti autentici,  i  quali  recano  un  grado  di  probabilità  anche 
sulla  soggezione  imposta  ad  altre  Chiese.  Io  ho  già  mano- 
scritto in  buona  parte  il  secondo  tomo  sino  alla  prigionia  del 
re  Francesco  I  ;  il  materìade  per  il  rimanente  sino  a'  giorni 
nostri  è  già  raccolto  da  alcuni  anni ,  ma  diverse  circostanze 
si  sono  combinate  colla  naturale  mia  inerzia,  e  non  so  se 
avrò  voglia  di  ultimare  la  Storia.  Sicuramente  che  la  bontà 
colla  quale  V.  S.  illustrissfma  l' accoglie  e  mi  onora,  è  uno 
stimolo,  lo  la  supplico  di  aggradire  il  sìncerissimo  ringrazia- 
mento che  le  offro,  e  di  considerare  in  me  uno  che  ambisce 
di  mostrarle  la  più  sincera  riconoscènza,  la  stima  distinta 
dovuta  al  suo  merito,  e  il  divoto  ossequio  col  quale  ho  l'onore 
di  protestarmi,  ec. 

*  Questa  li  aggirava  intorno  al  primo  tomo  della  Storia  di  Sfilano, 
toccando  principalmente  alcuni  punti  di  essa  che  al  Papadia  erano  sembrati  di 
maggior  rilievo. 


FINE. 


INDICE  DEL  SECONDO  VOLUME. 


Artieoll  tratti  dal  Cmffè. 

Il  Caift Pag.  3 

Il  Tempio  dell' Ignorania 10 

Elementi  del  Commercio i3 

La  Commedia 20 

La  foTtnoa  dei  Libri 25 

Contideraaioni  ini  Lnsio 28 

La  coltiTaiione  del  Lino 36 

Saggio  d*  Aritmetica  politica 37 

Sulla  Medicina 38 

Pensieri  sullo  spirito  della  Letteratura  in  Italia 49 

I  gindii)  popolari 60 

Degli  onori  resi  ai  Letterati 67 

Della  ntilitli  delle  Stufe 71 

Gli  studj  utili 73 

Sulla  spensieratena  nella  privata  economia 80 

I  tre  Seccatori 89 

Un  ignorante  agli  scrittori  del  CaJBfh 94 

Le  maschere  della  Commedia  italiana 96 

Ài  giovani  d*  ingegno  che  temono  i  pedanti. iOO 

II  Singolare 104 

Della  Patria  degl'Italiani. 106 

Il  1»^  iroi  e  /e/ 113 

Le  Parole 117 

Dialogo  fra  nn  Mandarino  chinese  e  un  Sollecitatore 119 

Sa  i  Parolai 123 

La  Musica 126 

Badi,  novella  indiana 134 

Alcuni  pensieri  sull'origine  degli  errori. 139 

Sul  Ridicolo 141 

Sulla  Fortuna 147 

Pensieri  sulla  Solitudine 156 

Sulla  interpretasione  delle  Leggi 162 

La  festa  da  ballo. 171 


378  INDICE. 

Le  delisie  della  villa Pag.  i75 

Storia  naturale  del  Caccio 1S3 

Dei  lucri  de'Medici. 186 

La  buona  compagnia '.  .  .  .  i87 

Sull'innesto  del  Vainolo i93 


Ricordi  disinteressali  e  sinceri. 331 

Ricordi  di  Pietro  Verri  ad  una  sua  figlia S5i 

Memorie  appartenenti  alla  vita  ed  agli  studj  di  Paolo  Frisi 303 

Lettere 367 


SCRITTI    VARI 

DI   PIETRO   VERRI. 

APPENDICE. 


PEIVSIERI 

SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE 

NEL   1790. 


PREFAZIONE. 


Malgrado  il  dispotismo  sotto  del  qaale  sono  nato  e  ere- 
flciuto,  le  mie  idee  non  sono  qaelle  d' ano  schiavo,  ed  i  miei 
sentimenti  sono  quelli  d' un  nomo  che  sente  la  dignità  pro- 
pria. Paragonandomi  co'  miei  concittadini,  conosco  che  agli 
occhi  loro  debbo  comparire  stravagante,  pericolqso  ed  impru- 
dente. Se  fossi  nato  neir  Inghilterra,  o  nella  Francia ,  io  sa- 
rei un  uomo  come  gli  altri;  nato  neir  Italia  e  singolarmente 
pel  Milanese,  io  non  posso  sfogare  i  miei  pensieri  se  non 
collo  scrivere,  e  per  non  turbare  la  placidezza  della  mia  vita 
rinunziare  air  idea  di  pubblicare  un  libro  che  non  conciterebbe 
che  paura  ed  odio  contro  il  suo  autore.  Ombre  sacre  dei 
Bruti,  a  qual  depressione  sono  giunti  i  vostri  eredi!  L'unica 
medicina,  che  potrebbe  tentarsi  sulla  massa  avvilita  d'una 
nazione  ingegnosa,  ed  un  tempo  sede  della  virtù,  sarebbe 
la  vergogna  della  propria  abbiezione.  Forse  la  Rivoluzione 
Francese  s'estenderà  negli  Svizzeri,  ed  avremo  vicino  un 
paragone,  che  apra  gli  occhi  ai  figli  nostri.  Lo  voglia  il  buon 
destino!  Amo  la  mìa  Patria,  compiango  i  suoi  mali,  e  mo- 
rirò prima  che  ne  disperi  il  risorgimento. 


P.  YEULI.  Jppeadiu. 


SULLO, STATO  POLITICO  DEL  MILANESE 

NEL  4790. 


Non  ho  parte  alcuna  ne'  pubblici  avvenimenti,  jiò.  al* 
cono  mi  ha  invitato  ad  occuparmene.  Vedo  molti  che  se 
ne  sono  assanti  V  impegno,  e  sono  persuasi  di  saperne  quanto 
basta.  Bramo  che  vengano  ricompensati  colle  benedizioni 
avvenire.  Frattanto  io  forestiero  alla  mia  patria,  avendo  ona 
maniera  di  ragionare  europea  e  non  milanese,  per  genio 
scrivo  in  questo  libriccino  quello  eh'  avrei  detto  e  scritto  a 
nome  pubblico,  se  vi  avessi  avuto  parte.  Cardano  abbandonò 
la  patria  ;  Corio,  Calchi,  Giulini  vennero  a  morire  senca  al- 
cun pubblico  onore.  Cavalieri,  ignoto  a  noi,  fu  ammirato  dagli 
esteri.  Frisi  fu  trascurato  e  contraddetto  :  Donna  Maria  Agnesl 
passa  la  sua  vecchiaja  in  un  ospedale.  Beccaria  non  ha  ri- 
cevuto applauso  che  dai  forestieri  :  è  glorioso  per  me  di  tro- 
varmi in  così  buona  compagnia.  Faccia  il  buon  destino  che  i 
signori  Delegati  pensino  e  scrivano  meglio  di.  quello  che  ho 
fatto  io,  unicamente  per  dare  sfogo  alle  mie  idee  sulla  feli- 
cità pnU>lica,  argomento  prediletto  delle  mie  azioni, e  de'miei 
pensieri. . 

GOVERNO  SPA€NUOLO. 

Dappoiché  colla  morte  di  Francesco  II  Sforza  il  Ducato 
di  Milano  passò  allo  stato  di  provincia  della  monarchia  di 
Spagna,  e  venne  a  presiedervi  un  governatore  in  nome  del 
sovrano,  il  governo  di  questo  paese  fa  un  vero  mostro  po« 
litico.  Un  governatore  scelto  fra  i  più  illustri  soggetti  della 
Corona,  veniva  a  risiedervi  per  tre  anni,  e  talvoUa  era  pro- 
lungata la  sua  commissione.  Egli  aveva  il  sommo  comando 
della  armala  ed  era  luogo-tenente  del  monarca.  Ma  un  fo* 


4  SULLO  STATO  POLITICO  DEL  HILAlfESE. 

restiere  per  lo  più  militare,  ignorando  la  lingea,  le  leggi,  i 
sistemi;  alla  lesta  d'nn  goyemo  che  era  on  yero  intricatis- 
simo labirinto,  nel  quale  i  nazionali  medesimi  più  volle  tro- 
vavansi  neir  incertezza,  avendo  da  un  lato  il  corpo  nspelta- 
bilissimo  del  etere  che  faceva  valere  i  privilegj,  le  immanità, 
la  giurisdizione  propria  ;  dall'  altro  il  corpo  potente  del  se- 
nato e  de'  togati,  padroni  della  vita,  delle  fortane  privale  e 
pubbliche,  e  degli  affari;  con  a  fronte  il  corpo  non  meno 
poderoso  dei  nobili  che  possedeva  il  secreto  del  catastro  dei 
carichi  delle  terre,  reggeva  la  yettovaglia  della  città,  aveva 
ligie  tutte  le  arti,  i  mestieri,  la  mercatura  ed  i  cittadini 
tutti:  nn  governatore  in  tal  sistema  politico  ritornava  nella 
Spagna  tanto  ignorante  delle  cose  milanesi,  qnanto  allorché 
ti  «ra  venuto. 

Il  clero  era  immune  dalla  gravezza  sulle  terre;  preten- 
deva qualunque  ecclesiastico  di  non  dover  contribuire  panlo 
al  tributo,  e  questa  pretensione  si  estendeva  per  sino  ai  co- 
loni de' loro  fondi  ed  ai  generi  di  loro  Consumazione.  Le 
loro  persone  erano  sacre  e  inviolabili,  né  mai  avrebbe  osato 
la  forza  del  sovraoo  di  arrestare  un  ecclesiastico  per  qua- 
lunque più  atroce  misfatto.  Le  loro  case  erano  di  asilo  a 
chiunque  vi  si  ricoverasse,  per  modo  che  yivetano  nella 
loro  patria  indipendenti  affatto  dal  loro  sovrani).  Le  carceri 
dell'arcivescovo  e  dell'Inquisizione,  gli  sbirri  da  essi  di- 
pendenti servivano  alla  fòrza  e  giurisdizione  ecclesiastica 
adoperata  anche  sui  cittadini  laici  ;  si  viddero  scomunicati 
il  governatore,  il  presidente  del  senato,  il  gran  cancelliere,  ec, 
allorché  vollero  fare  ostacolo  all'esercizio  di  tale  giurisdi- 
zione. L' arcivescovo  teneva  affezionati  i  primarj  della  (oga 
e  del  corpo  nobile,  collocando  ne'  benefkii  migliori  i  loro  fra- 
telli, figli  0  bene  affetti. 

U  senato  corredalo  nella  sua  instiluzione  di  somma  aa- 
torìtà,  ed  operando  immediatamente  in  nome  della  maestà 
del  monarca,  si  reputava  maggiore  del  governatore  stesso; 
la  vita,  la  libertà,  la  fortuna  cKogni  cittadino  erano  abban- 
donate al  potere  illimitato  di  questo  corpo  terrìbile,  che  si 
credeva  sciolto  dai  rigidi  principi  di  ragione,  ed  osava  dire 
che  giudicava  tamquam  Deus.  Oltre  gli  affari  di  giustizia,  « 


SCLLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE.  8 

molto  s'ingeriva  anche  nelle  cose  politiche,  registrandosi 
presso  del  senato  tolti  i  rescritti  sovrani.  Questa  somma  di- 
gnità collocata  in  on  corpo  di  gtorìsperiti,  venne  talvolta 
amiliafa  dalla  potenza  militare  dei  governatori.  I  togati  però 
d' ordinario  andarono  d' accordo  col  ceto  ecclesiastico,  e  re- 
cìprocamente giovavansi,  ed  avevan  comune  interesse  di  al- 
lontanare il  governatore  dall' immischiarsi  nei  loro  affari 
L'  azienda  della  camera  era  abbandonata  ai  togati,  e  diffi- 
cilmente giungeva  il  governatore  a  penetrare  i  misteri  del 
bilancio  camerale.  Frattanto  in  pochi  anni,  alcuni  togati  am- 
massarono un  patrimonio  cospicuo,  e  bastino  i  due  soli  pre- 
sidenti Aresi  e  Clerici  per  giustificazione.  11  corpo  de'  patrizj 
dirigeva  il  Duomo,  Sant'Ambrogio,  regolava  la  vettovaglia  e 
le  strade,  dirigeva  tutte  le  maestranze  delle  arti,  gli  ospe- 
dali, orfanotrofj  e  tutte  le  pie  fondazioni,  distribuiva  le  doti 
e  le  elemosine.  Qualunque  cittadino  cercasse  di  esser  sinda- 
co, cancelliere,  cassiere,  agente,  medico,  chirurgo,  inge- 
gnere ec.  di  queste  pie  fondazioni,  dovea  procurarsi  la  pro- 
tezione d'  un  patrizio,  e  con  questi  mezzi  i  nobili,  favorendo 
i  protetti  0  dall'  arcivescovo,  o  dai  togati,  si  appoggiavano  a 
questi  due  corpi.  Cosi  era  formato  realmente  un  governo,  in 
coi  tre  corpi  si  dividevano  il  dispotismo,  lasciando  la  rap- 
presentanza del  sovrano  al  governatore,  ed  al  vero  monarca 
non  rimanendo  se  non  la  nomina  alle  cariche,  l'immagine 
solle  monete  ed  il  nome  alla  lesta  degli  editti.  * 

*  Sotto  il  dispotismo  non  si  ardisce  pensare,  meno  poi  scrivere,  quindi  po- 
che memorie  abbiamo  sol  governo  della  Spagna  nel  secolo  passato.  Da  un  MS. 
che  trovasi  però  presso  il  principe  Belgiojoso,  opera  del  senatore  Giovanni  Bat- 
tista Visconti,  intitolato  «SValo  della  Repubblica  Milanese  l'anno  Ì610,  vc- 
desi  in  qnal  forma  il  conte  di  Fuentes  allora  governasse  lo  Stato.  Il  senatore  era 
testimonio  vivente^  e  ci  lasciò  memoria  come  il  Fuentes  da  se,  sensa  saputa 
d' alcun  tribunale,  spediva  chiunque  in  galera  (così  si  visse  in  Milano  dal  1600 
al  -1610).  Il  senato  fece  alla  corte  le  rimostranse:  la  corte  riprovò  il  dispotismo 
del  governatore,  e  comandò  che  la  giostisia  punitiva  si  reggesse  dal  senato,  di 
che  se  ne  rise  il  Fuentes,  che  perseverò  a  far  incarcerare  e  legare  al  remo  a  suo 
arbitrio'.  Fuentes  sensa  dar  nemmanco  notisia  alla  corte  impose  a  suo  capriccio 
de'  nuovi  carichi,  e  siccome  il  vicario  e  XII  di  provisione  ricusarono  di  concor- 
rervi, Fuentes  se  ne  sbrigò  col  farli  mettere  tutti  in  prigione.  La  manifattura 
delle  armi  era  da  noi  un  ricchissimo  artìcolo  d*  industria,  e  Fuentes  per  una 
ridicola  politica  di  non  dare  armi  ai  vicini,  proibì  l' esportazione  e  rovinò  coti 
una  cospicua  manifattura  naiionale.  Veggasi  il  MS.,  fog.  i79  e  284  a  tergo.  Nò 
P.  TBBRl,  Jpptndict.  i* 


6  SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESB. 

Terminata  la  domi  nazione  della  Spagna,  e  sobentralo 
r  imperatore  Carlo  VI  innamorato  del  sistema  spagnaolo  ; 
lasciò  sin  che  visse  la  forma  di  governo  che  era  nel  Milane- 
se,  e  forse  ebbe  in  ciò  V  avvedutezza  dì  tenersi  ben  afletU  i 
nuovi  sodditi,  giacché  l' abilodine  pnò  nella  massa  degli  uo- 
mini assai  più  che  la  ragione,  ed  in  nn  paese  illangoidito, e 
oppresso  da  più  secoli  di  cattivo  governo,  ogni  novità  falla 
dal  prìncipe  trova  la  ripugnanza  pubblica.  Anche  la  laee  è 
penosa  agli  occhi  infermi,  e  conviene  per  gradi  rinforzare 
prima  r  occhio,  al  che  non  si  è  poi  voluto  por  mente  sotto 
di  questo  principe.  I  corpi  pubblici  vennero  onorati,  la  città 
ebbe  il  trattamento  de'  grandi  di  Spagna.  Alcune  famiglie  di- 
stinte per  la  nascita  e  le  ricchezze  le  ascrisse  al  Grandado 
di  Spagna,  decorò  del  toson  d' oro  alcuni  Milanesi.  Due  Mi- 
lanesi vennero' collocati  vice-rè  nel  Regno  di  Napoli,  altri 
vennero  adoperati  nel  mistero  delle  corti.  Nelle  sue  armate 
alcuni  Milanesi  giunsero  alle  prime  dignità.  La  carica  lomir 
uosa  di  castellano  di  Milano  venne  aflSdata  «1  maresciallo 
marchese  Visconti  ;  cosa  che  non  so  essere  mai  accaduta  per 
r  addietro  di  collocarvi  un  nazionale.  I  governatori  sotto 
Carlo  VI  furono  moderatissimi,  e  lasciarono  il  regolare  corso 
agli  affari  il  principe  Eugenio  di  Savoja,  il  principe  Lewen- 

qui  col  solo  Fneotes  termina  la  stona.  Altro  Manuscrilto  dello  stesso  senatoie 
Visconti  conservasi  dal  signor  principe,  che  ha  per  titolo  Governatori,  in  coi  a 
fog.  350  tergo,  leggesi  che  D.  Pietro  de  Toledo  (goTernatore  dal  1616  al  Ì6i$y 
di  sua  dispotica  autorità  fece  impiccare  un  uomo  che  serviva  il  marchese  del 
Maino,  sema  partecipazione  «hà^tribanale  di  giustiaia.  E  cosi  poco  riguacdò  mo- 
strò il  Toledo  verso  del  monarca,  che  arhitTariamente  levò  la  carica  di  gran  caa* 
celliere  a  D.  Diego  Salassar  nominato  dal  re,  e  coaferi  tal  cmpicna  digaitli  a 
D.  Giovanni  Salamanca,  il  che  saputosi  dal  re,  altamente  disapproTÒ  il  Atto,  • 
comandò  che  il  Salassar  venisse  ripriitinato;  se  ne  rise  il  Toledo,  e  Salassar  ne» 
ebbe  più  carica,  di  che  veggasi  il  MS.  suddetto,  fog.  539.  Nel  libriccino  stampato 
che  ha  per  titolo:  Fita  del  Presidente  A  resi,  a  pag.  370  leggesi  che  il  D.Lnigi 
de  Gonsman  Denge  de  Leon  (che  fu  goveniatore  dal  1663  al  166S)  di  sua  dispo* 
tica  autorità  fece  impiccare  no  miserabile  orbo  che  cantava  cansoni  perule  sCnde. 
Si  piantò  secretamente  la  forca  alla  piasta  dei  Mercanti  a  porte  chiuse,  e  di  vottt 
▼enne  stroasato  e  seppellito  sensa  partecipasione  ad  alcm  Tribunale. 

I  saccheggi  che  i  governatori  poi  fecevano  erano  enormi.  Veggasi  il  I** 
bretto  stampato,  intitolato  :  il  Governo  del  duca  d'Ossuna  nello  Stato  di  Mi» 
lano,  a  pag.  SS.  Qnel  signore  ammassò  ben  cinque  cento  mille  oneie  d*  a^ole 
di  regali.  Non  pnò  negarsi  che  il  governo  fu  assolutamente  dispotico  a  niias  ^1 
sovrano  e  del  popolo,  e  la  città  fioritiisima  di  Milano  fu  annichilata. 


SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE.  7 

Stein,  il  conte  Colloredo,  il  conte  di  Diam,  ed  il  conte  di 
FrauD.  I  tributi  arbitrar]  e  rovinosi  sulle  terre  si  radunarono 
nella  sola  tassa  cbiamata  Diaria,  e  quindi  si  respirò  sotto  il 
governo  di  Carlo  VI  quanto  Io  comportava  la  condizione  dei 
tempi  e  le  invasioni,  alle  quali  il  paese  venne  esposto.  I  peg- 
giori tempi  per  un  governo  dispotico  sono  quando  it  sovrano 
vuole  fare  tutto,  o  quando  indolentemente  si  annoia  degli 
affari.  Nel  primo' caso  tutto  si  sconvolge  dalla  smania  di  creare 
cose  lìuove,  nel  secondo  tutto  si  calpesta  e  si  divora  dai  po- 
tenti ministri.  Carlo  YI  si  tenne  ad  un  punto  di  mezzo,  con- 
servando le  antiche  pratiche  municipali,  e  vegliando  perchè 
non  venisse  oltraggiata  la  provincia.  Ma  tale  infelicità  è  sem- 
pre precaria,  quando  a  un  popolo  manchi  una  costituzione. 

MABIA  TERESA. 

Maria  Teresa  imperatrice  e  regina,  che  credeva  un  male 
tutto  ciò  che  era  spagnuolo,  e  che  se  n'  era  annoiata  vivendo 
e  regnando  suo  padre,  appena  rimase  tranquilla  sul  trono, 
ascoltò  i  progetti  del  conte  Pallavicini,  genovese  ambizioso 
ed  attive,  che  aveva  in  mente  di  comandare  in  questa  pro- 
vincia. Ottenne,  prima  il  carattere  di  plenipotenziario,  indi 
fu  governatore.  Costui,  nato  cittadino  libero  d' una  libera  pa- 
tria, non  ebbe  animo  elevato  a  segno  di  conoscere  la  dignità 
propria,  e  per  vanità  di  comandare  si  fece  servo,  ed  avrebbe 
pur  voluto  degradare  gli  uomini  allo  stato  di  schiavitù, 
per  fare  egli  la  parte  d' un  despota.  Nel  suo  soggiorno  alla 
corte  di  Vienna,  egli  fomentò  la  nazionale  prevenzione  degli 
Austriaci  contro  degli  Italiani,  e  travagliò  ad  imprimere  nel- 
r  animo  di  Maria  Teresa  una  pessima  opinione  contro  dei 
Lombardi,  acciochè  qualunque  lamento  nostro  fosse  scredi- 
tato e  di  nessun  effetto  contro  il  volere  di  lui.  Una  princi- 
pessa amabile  e  sensibile  s' irritò  facilmente  contro  un  po- 
polo che  le  si  fece  credere  sleale  ed  avverso  d' animo.  Ella 
formossi  un'idea  esagerata  della  scostumatezza  dei  Milanesi, 
presso  dei  quali  ella  credette  che  la  religione  si  riducesse  a 
feste 9  e  processioni,  e  scioccherie  di  streghe  senza  alcun 
principio  di  virtù;  credeva  che  le  donne  fossero  prostituite  ad 


8  8CLL0  STATO  POLITICO  DEL  HILAXESB. 

ona  dissolalezza  generale,  e  ona  principessa  gelosa  ne  fre* 
mera;  credeva  querula ,  insidiosa,  falsa  in  corpo  talta  la  no- 
stra generazione,  e  con  tali  funeste  prevenzioni,  radicale 
in  una  persona  amabile,  pia  e  coslumatissima,  si  alzò  qael 
moro  inespognabile  che  ci  separò  per  sempre  da  lei,  e  lasciò 
libero  il  campo  ai  ministri  di  deprimere  e  vilipendere  il  no- 
stro paese.  Pallavicini,  è  vero,  conobbe  il  bilancio  camerale 
e  assieorò  il  pagamento  ai  creditori  della  Camera,  abolì  gli 
abusi,  rettificò  i  metodi,  portò  ordine  e  luce.  Promosse  la 
perfezione  del  censo  sulle  terre,  pose  argine  all'  autorità  dei 
senatori,  ciascun  de'  quali  da  sua  casa  osava  spedire  ordioi 
in  nome  del  sovrano;  ma  invece  di  sgombrare  il  dispotismo, 
invece  di  creare  una  norma  stabile  e  fissa  di  governo ,  ossia 
una  costituzione,  egli  lasciò  la  provincia  nella  abbiezione, 
s' appropriò  il  dispotismo,  e  colla  riunione  rese  sempre  più 
funesta  la  prepotenza  ministeriale.  Da  prima  molti  potevano 
far  del  male,  ma  molti  ancora  potevano  preservare  dal  male 
un  cittadino;  poi  radunata  la  forza  in  un  solo,  non  rimase 
più  riparo  contro  l' ira,  l' odio  e  la  vendetta  di  lai.  Pallavi- 
cini odiava  il  conte  Biancani,  lo  minacciò  di  volerlo  fare  im- 
piccare; fiiancani  fuggissene  verso  degli  Spagnaoli ,  i  quali 
allora  avevano  invasa  parte  del  Milanese.  Venne  poi  arre- 
stato. Pallavicini  deviò  dalla  forma  regolare,  e  si  formò  ona 
Commissione  per  giudicarlo.  Maria  Teresa  V  autorizzò.  Que- 
sta Commissione  lo  condannò  a  perder  la  testa  come  diser- 
iore e  fellone.  Vi  fu  un  uomo  dabbene  nella  Commissione  che 
rimase  solo  del  parere  che  non  fosse  sufficientemente  pro- 
vato il  delitto,  e  merita  d'  esser  nominato:  il  vicario  di  giu- 
stizia Bassotta,  che  poi  non  fece  più  fortuna.  Sulle  tracce 
del  Pallavicini  camminarono  i  successori;  quindi  al  senato 
'si  tolse  ogni  ingerenza  nella  università  di  Pavia:  si  levò 
dalla  dipendenza  del  senato  il  protofisico;  si  spogliò  il  pre- 
sidente del  senato  del  diritto  di  supplire,  alle  assenze  del 
gran  cancelliere.  Si  ridusse  il  senato  allo  stato  di  mero  tri- 
bunale di  giustizia,  e  il  governo  si  rese  padrone  dell'uni- 
versità di  Pavia,  delle  cose  ecclesiastiche  e  della  facollà 
medica  e  sue  dipendenze.^  Il  ceto  ecclesiastico  sotto  Maria 

<  Per  conoscere  V  abuso  che  il  sena  lo  facera  della  sua  aotorilì^  Usti  ricor* 


.    SULLO  STATO  POLITICO  DEL  BIILANE9E.  9 

Teresa  venne  sottomesso  a  pagare  il  tributo ,  come  ogni  al- 
tro cittadino;  gK  Asili  furono  aboliti,  abolita  rinqaisizione, 
e  latte  le  carceri  dei  Frati:  assoggettati  i  sacerdoti  per  i  de- 
litti al  tribonale  come  ogn' altro,  tolta  la  censura  de' libri 
agli  ecclesiastici,  ed  il  governo  s'impadroni  della  censura. 
11  corpo  de'  nobili  vide  comparire  un  regio  ministro  a  pre- 
siedere al  Banco  Sant'Ambrogio;  un  regio  delegato  a  tutte 
le  civicbe  adunanze;  colla  pubblicazione  del  censo  perdette 
V  antico  diritto  di  ripartire  il  carico;  coU'abolizione  delle  uni- 
versità perdette  la  giurisdizione  sui  corpi  delle  arti  e  mestie- 
ri, e  tutta  questa  massa  di  autorità  tolta  a  questi  tre  corpi 
sotto  Maria  Teresa,  venne  collocata  nel  suo  ministro  pleni- 
potenziario, che  non  intendendo  gli  affari,  geloso  dell'auto^ 
rità;  s'era  abbandonato  ad  alcuni  segretarj,  dai  quali  ostil- 
mente era  villaneggiata  la  nazione.  Cosi  il  governo  dal  1760 
al  1770  potè  a  ragione  paragonarsi  a  quello  della  Yallacchia, 
mentre  un  Ospodaro»  rivestito  del  sovrano  potere,  colla  sua 
unica  volontà,  anzi  coir  unica  volontà  de' suoi  scrivani,  di- 
spoticamente dispone.  Povero  popolo!  Nel  tempo  in  cui  la 
sovrana  delusa  ci  credeva  avversi  alla  dominazione  di  lei , 
avesse  ella  almeno  vedute  le  chiese  ripiene  dei  Milanesi  pal- 
pitanti, allorché  venne  ella  attaccata  dal  vaiolo,  impetrando 
dal  cielo  la  sua  guarigione  colle  lagrime  I  Frattanto  ci  teneva 
depressi  un  ministro  invisibile ,  e  rintanato  fra  una  galleria 
di  cattivi  quadri,  fra  ana  libreria  di  volumi  conosciuti  pel 
solo  frontispizio,  segnando  comodamente  senza  leggere  i  de- 
creti che  gli  presentavano  i  suoi  scrivani  favoriti.  Una  soia 
parola  incautamente  proferita  dal  nobile  Vitali  fu  cagione, 
per  cui  di  notte  venisse  circondata  la  sua  casa,  la  sbirraglia 
portasse  la  desolazione  alla  dama  sua  cognata  ed  agli  altri 
parenti,  ed  egli  venisse  come  un  malfattore  incarcerato,  e 
per  più  mesi  privato  della  libertà.  Una  sola  vivacità  senza 
conseguenza  del  marchese  Carini  cagionò  una  simile  violen- 
za, ed  un  uomo  di  settant^anni ,  di  probità  conosciuta,  e  colto, 

dare  che  alcani  ciUadini  anche  beonati,  in  uno  stravitzo,  avendo  mancato  di  ri- 
spettare un  naoo  che  era  il  por^inajo  del  senalore  Guidoni,  vennero  accasati  di 
sedizione,  processati  ed  impiccati,  il  che  accadde  sotto  Carlo  VI  ;  e  la  memoria 
se  ne  conserva  tuttora. 


10  SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE. 

venne  posto  In  castello.  Dorante  la  notte  giravano  per  la 
eittà  de'commìssarj,  e  leggevano  le  carte  che  si  trovaTano 
nelle  tasche  de'  cittadini.  Di  giorno  gli  sbirri  sparsi  per  le 
strade  gettavano  le^  stanghe  nei  raggi  delle  ruote  di  quelle 
carrozze  che  a  lor  gindizio  correvano,  e  la  contessa  Breb- 
b?a  nata  Zonati  fa  la  prima  a  trovarsi  co^  sorpresa.  I  fer- 
mieri  generali  collegati  cogli  scrivani  erano  frattanto  gli  ar- 
bitri del  paese,  e  non  venivano  promossi  alleearìchesenoii 
i  loro  faalori  e  dipendenti,  uè  dal  trono  emanavano  onorifici 
diplomi  che  su  tal  gemia;  tanto  arditamente  era  dolosa  dai 
suoi  ministri  r  imperatrice  e  regina!  ^  Se  taluno  avesse  ar- 
dito di  recarsi  alla  corte  e  rappresentare  a  pie  del  trono  i 
danni,  correva  gran  rischio. 

Se  si  presentava  al  ministro,  doveva  tentare  talvolta  per 
pia  settimane  prima  di  poterlo  vedete;  indi,  mediante  ano 
zecchino  al  cameriere  signor  Diletti ,  veniva  introdotto,  e  si 
trovava  on  corpulento  e  timido  nomo  che  sospettava  che  si 
avesse  nn  pugnale  nascosto»,  ascoltava  con  impazienza ,  nalla 
comprendeva,  sì  conosceva  prevenuto  che  tutto  fosse  cabala 
o  raggiro,  e  questo  fu  il  governo  veramente  tirannico  che 
soffrimmo  dorante  il  ministero  del  conte  Firmian,  il  qosde, 
morendo  nella  state  del  1782,  lasciò  una  schiera  di  poveri 
creditori  che  non  saranno  pagati.  Cosi  un  Ministro  scelto 
per  impedire  ogni  prepotenza,  esercitava  il  suo  officio,  e  ri- 
duceva gli  uomini  benestanti  alla  scelta  o  di  avere  nemico 
un  uomo  armato  del  sommo  potere,  ovvero  di  cedergli  la 
somma  di  danaro  eh'  ei  richiedeva ,  colla  sicurezza  di  non 
più  riaveria.  Cosi  Maria  Teresa  fa  servita  nel  Milanese. 


*  Gli  avvocati  ^e*feraii«n  geaerali  die  li  protesterò  contro  la  Camera,  ven- 
nero  un  dopo  Tallro  premiati  ed  idnalzati  alle  cattedre  senatorie:  cosi  Laro1)erteii- 
ghi,  Mutoni,  Fenaroli.  I  fcrmieri  dal  paese  trassero  abbastansa  per  fonaaie  IR 
rìechissìme  fiimiglie,  ed  attrihaendo  a  tutte  tre  ^4,000,000  h  una  pfoposisiopi 
naoderata.  Aggiungasi  la  Terosimile  somma  da  essi  distribuita  per  ricompeosan 
le  protezioni,  e  vedrassi  che  per  uà  verosimile  calcolo  36,000,000,  avranno  co- 
storo smunto  dal  popolo  più  di  quello  che  entrò  nell'erario,  al  quale  pagarono 
cinque  milioìii  annui;  onde  nei  venti  anni  cbe  continuarono  neli* appalto,  ftf 
pagare  tre  al  sovrano,  essi  saccheggiarono  quattro  nella  provincia.  Maria  Teresa 
ne'  suoi  dispacci  li  qualificava  sempre  Benemeritij  essi  furono  poi  onorati  di  (>* 
Ioli,  ordini  e  feudi,  e  furono  i  padroni  di  questo  paese. 


5DLL0  STATO  POUTIGO  DBL  M1LAN£SB.  11 

Venne  finalmente  il  reale  arciduca  Ferdinando ,  pieno 
di  attività,  di  facile  penetrazione;  levò  immediatamente  dalle 
mani  de'  subalterni  Ja  verga  di  ferro  colla  quale  eravamo 
percosii.  Da  quei  pùnto  sino  al  1786  non  vi  è  stato  uomo  al 
quale  «ia  stata  fatta  sorpresa,  o  soverchieria;  la  libertà  indi- 
viduale fu  rispettata,  ognuno  potè  accostarsi  al  governatore 
e  presentargli  la  sua  ragione.  Accadde  quel  che  sempre  suc- 
cede nei  paesi  soggetti  al  dispotismo,  cioè  che  avendo  il  po- 
tere un  principe  illuminato  e  buono ,  cessarono  i  mali  pub- 
blici e  privati.  Ma  la  condizione  d'un  popolo  è  sempre 
nBiìserabìle  e  precaria  quand'ella  non  è  appoggiata  ad  alcuna 
costituzione,  ma  sempUcemente<)ipende  dalla  casuale  volontà 
dì  ehi  è  posto  a  governarlo. 

OIUSEPPE  SECONOOw 

Giuseppe  Secondo  conobbe  che  il  sistema  era  viziato; 
ma  non  conobbe  che  una  contemporanea  ed  universale  di- 
struzione delle  leggi  e  delle  pratiche  d' un  paese  è  un  rime- 
dio peggìor  del  male.  Non  fece  alcun  caso  dell' opinione»  che 
pure  è  la  regina  del  mondo,  e  fece  sentire  agli  uomini  tutta 
la  illimitata  potenza  d' un  monarca  che  non  conosce  altra 
norma  che  il  suo  volere.  Senato,  toga,  magistrato  camerale, 
vicario  e  tribunale  di  provvisione,  podestà,  giudici  al  galle, 
cavallo,  vicario,  pretorio,  congregazione  dello  Stato,  semi- 
nar] vescovili,  altari  sirile  strade,  confraternite,  monache, 
frati,  collegiate,  tumulazione  de'cadav^i,  amministrazione 
di  pie  fondazioni,  tutto  venne  in  un  colpo  distrutto.  Si  vid- 
dero  i  senatori  senza  alcona  distinzione,  e  mutato  titolo,  anda- 
re avvititi  al  nuovo  tribunale.  Scacciati  i  seminaristi  elvetici 
dal  loro  palazzo,  ed  ivi  inalberata  l'aquila,  e  collocatovi 
un  nuovo  consiglio  di  governo.  Tolta  al  governatore  arciduca 
ogni  ingerenza,  e  condensata  la  somma  potenza  nel  solo  capo 
di  quel  consiglio,  dal  quale  dipendeva  il  destino  d'ogni  mi- 
nistro, inferiore,  incerto  sempre  di  essere  congedato' da  un 
giorno  all'altro.  Chi  volle  farsi  sacerdote  ed  ottenere  carica 
ecclesiastiea^non  ebbe  più  che  il  solo  ministro  :  chi  bramava 
impiego  civico,  dovette  impetrarlo  dal  solo  ministro:  chi  bra- 


12  BOLLO  STATO  POLITIGO  DSL  ■lIJkHISfc. 

mò  nelle  pie  fondaiioni  impiego,  doYelle  praetiani  al  solo 
ministro;  it  qoale  come  arfoilro  delU  nooya  PoUee  ebbe  h 
facoltà  di  carcerare  e  condannare  persino  ad  on  determinato 
genere  di  pene  afflittive  e  disonoranti,  sema  trafila  gìadi- 
ziaria,  qoalonqne  cittadino.  Ciascuno  rimase  slngottito  a  tale 
qiettacolo  d' on  «nascherato  dispotismo. 

Nuova  forma,  metodo,  vocaboli,  ebbero  i  tribonati  di 
giostizia.  Comparvero  nuovi  magistrati  col  titolo  d'ìntendentì 
politici  signoreggiando  i  consìgli  municipali  ddle  città,  alle 
quali  non  fu  più  lecito  di  opinare  o  impetrare ,  se  non  per 
bocca  di  rappresentanti  scelti  dal  governo.  Le  monache  scac- 
ciate dai  loro  ritiri  divennero  un  oggetto  di  derisione  e  di 
compassione  per  molti.  Un  giardino  pubblico  formato  doye 
risiedeva  il  silenzio  ed  il  ritiro  delle  Celestine,  le  case  na- 
merizzate,  le  lampade  dell'  illttminazione  poste  nelle  strade, 
le  guardie  della  Police  venule  a  Milano  dalla  Germania  col 
pretesto  dì  tenere  in  ordine  la  città,  marciando  armate  da 
principio  di  bastone,  che  a  loro  talenlo  esercitavano  sulla 
pazienza  degli  avviliti  cittadini;^  né  di  ciò  solo  contento,  di 
tempo  in  tempo,  per  tenere  la  cillà  in  ordine,  costoro  la- 
sciaron  correre  dei  colpi  di  fucile  sulle  strade,  ed  nccisero 
qualche  cittadino.'  Degli  uomini  benemeriti  si  viddero  scar- 
tali e  dimessi ,  dei  favoriti  che  non  avevano  reso  alcun  ser- 
vìgio al  princf|)e  si  viddero  innalzati:  nuovi  supplizj  inven- 
tati, si  bollarono  sulla  faccia  i  rei,  si  pensò  a  dare  una  lenta 
morte  opprimendo  la  respirazione  con  pesanti  massi  di  fe^ 
ro,  ed  impedendo  il  moto  delle  membra,  e  limitando  per 
sino  Tacqua  ai  condannati,  senza  che  tali  crudeltà  servissero 
nemmeno  d'esempio,  perchè  esercitavansi  nelle  segrete  car- 
ceri. Si  cercd  una  capricciosa  divisione  ne'  delitti,  formando 
una  classe  di  delitti  poliUei^  e  con  questo  vocabolo  si  stabili 
il  capo  del  consiglio  governativo  che  senza  formalità  di  gio- 

'1 

'  tJo  gemìluomo  per  éuerù  incautamente  posto  a  geUare  acqoa  ^ìòb» 
ad  un  nuovo  ({narlieredi  costoro  venne  bastonato  sul  fatto,  e  non  ci  parlò  di  n* 
paratione. 

'  Al  laghetto  fu  ucciso  un  carbonajo  :  si  fece  il  proceaso  ;  renBtfo  k 
'guardia  di  Poiice  condannate  ali* ergastolo,  ma  si  trovò  modo  di  lìhcrark  dalb 
pctta« 


SOLLO  STATO  POLlTiCP  DEL  MILANESE.  13 

dizìo,  di  solo  SUO  ordine,  potesse  condannare  anche  a  pène 
afflittive  e  disonoranti,  senza  altra  difesa  o  processo.»  Il  corpo 
ecclesiastico  venne  contenuto  non  solo,  ma  in  faccia  del  po- 
polo degradato.  I  commissarj  entrarono  in  molti  monasteri 
e  scacctaronvi  le  monache  ;  molti  convénti  di  frati  vennero 
distrotti,  tolte  le  confraternite  in  un  ponto  vennero  abolite  ; 
molle  chiese  distrùtte,  vendute  e  profanale;  annientate  molte 
festività,  proibite  le  processioni,  tolte  ai  parrocbi  le  loro 
parrocchie  ed  institoito  nuovo  riparto.  Tolta  a  Roma  ogni 
nomina  ai  benefizj,  appropriandole  al  gti verno;  obbligati  i 
regolari  a  staccarsi  dai  loro  generali;  proibite  le  solennità 
a'  Santi  patroni  delle  chiese;  piantata  una  teologia  sola  nel- 
r università  di  Pavia,  la  quale  ridiice  a  mera  pareva  la  pri- 
mazia del  Pontefice  Romano,  ed  insegna  una  crudele  ed  ii^ 
giusta  dottrina  sui  bambini  morti  prima  del  battesimo,  scrlla 
predestinazione  e  solla  grazia. Queste  rapide  operazioni,  ese- 
guite senza  preparare  la  pubblica  opinione,  e  con  violenza , 
avvilirono  il  corpo  de'  ministri  della  religidne,  «rL  annebbia- 
rono nel  volgo  istessole  opinioni  religiose  e  con  esse  la  mo- 
ralità. Il  corpo  de*  nobili  perdette  tolto,  poiché  il  ministro 
regio  nominò  alcuni  che  rappresentassero  le  nuove  congre- 
gazioni municipali,  avocò  a  sé  medesimo  tutte  le  pie  fon* 
dazioni,  incorporò  nel  monte  regio  il  fianco  Sant'Ambrogio, 
e  quindi  il  presidente  del  consiglio  di  governo  riunì  nella  sua 
persona  tutta  la  podestà  legislativa,  esecutiva,  giudiziaria  e 
dittatoria. 

Nessuno  potè  pia  sperare  alcun  impiego  o  nella  carriera 
ecclesiastica  o  nella  municipale,  senza  il  favore  del  ministro. 
Si  viddero  persino  tutti  i  mendicanti  della  città  improvvisa- 
mente e  con  universale' sbigottimento  posti  in  carcere;  indi, 
perchè  troppo  costava  il  pane  che  consumavano ,  vennero 
rilasciati  con  giuramento  di  non  più  inendicare,  giuramento 
che  venne  deluso  al  momento  stesso  dalla,  necessità.  Venne 
distrutta  la  congregazione  dello  Stato,  acciocché  non  vi  fosse 

*  Una  donni  che  abitava  a  San  Rafaello,  forse  prostituta  da  nn  giorno 
all'altro,  presa  senza  formalitli  o  dtfesa>  coli*  ordine  del  capo  del  Consiglio  Go- 
▼etnativo,  venne  rasata,  con  un  cartello  infamante  al  collo  condotta  attraverso  la' 
città,  e  condannata  ad  un  anno  di  carcere. 

r.  TEBM.  Jpptttdice,  a 


i2  SULLO  STATO  rOUTH»  BBL  WI^ 

. .___  /      AMXKA  i  mali 

mò  nelle  pie  fondasioni  impiego,  do^r^ 

miBÌslTo;  il  qoale  eome  aiWtro  d*//  ^,^^^,^, 
facoltà  di  «incerare  e  eoDdannare;^  venato  esposU  ad 
geoere  di  pene  aflhUiYe  e  d.»  ,  ^^  ^  ^  ^^^^^^ 
riaria,  qualunque  cittadino,  r  ^  ^^^  condannata  al- 

spettacolo  d'un  Mnascher  .g«ardo  alcuno  ai  servisi 

Nuova  forma,  me-  ^^  ^  ^^^^  ^  ^^^  ^^ 

gio8U.ia.Cemparyefr  ^^^^  ^^^^  ^^  ^^^  capiUno  di 
poUtici  sigboreggif  .  oto«,  ed  i  Milanesi  che  per  lo  passato 
quali  i»n  u  pip  ^^^^^^  jj^  carii^he ,  vennero  anche  in  ciò 
^****  .  ^'*^r«zM  àéHe  maniere  e  V  insulto  resero  an- 
elate dai     >     ^^^  ^^  rivoluzione,  la  qoale  realmente  ha 

*'°"r^'^'^n»i  <»i  tal"- 

nsiea^^^^^  matazioni  seguite ,  alepne  poche  sono  in  bene, 

™^*^     0i'ù  sono  in  male.  Dalla  serie  delle  cose  accennate  ne 

/»^  ana  verità  con  evidenza,  e  questa  verità  è  che  il  Mi- 

^^  da  più  secoli  geme  sotto  del  dispotismo^  non  essen- 


ti, alcuna  costituzione  che  valga  a  porre  alcun  limite  a 
.(lalunque  volere  del  monarca  o  del  ministro  rivestilo  del 
potere  di  lui.  Ciascuno  dei  primarj  fra  i  corpi  dispotici,  sotto 
dello  Spagnolo ,  era  padrone  di  togliere  la  Ubertà  a  qualun- 
que, cittadino  per  innocente  eh-  ei  fosse;  e  per  mancanza 
d' ogni  altro  titolo,  si  faceva  per  soddisfazione.  Fa  tolto  que- 
sto ingiusto  potere  ai  corpi,  ma  invece  d' eliminarlo,  se  Io 
appropriò  il  ministro ,  il  quale  cambiamento  rese  bensì  più 
facile  il  rimedio  col  tempo  successivo,  avendo  in  un  ponto 
solo  condensato  il  male;  ma  non  liberò  gii  uomini  da  qoeUo 
stato  di  alìbiezì4me9  che  è  l' obbrobrio  della  specie  mnana  ; 
anzi,  ridotto  l'assoluto  potere  a  un' sol  puntp,  più  versatile 
ed  attivo  si  mostrò  con  cambiamenti  di  sistemi  iniialzati,  di- 
roccati successivamente  con  inquietudine  continua  del  popolo 
e  con  nessuna  gloria  del  principe,  il  quale  colle  frequenti 
novità  £a  conoscere  al  popolo  di  avere  avventurate  le  leggi 
senza  averle  prima  esaminate,*  e  tanta  è  la  voglia  che  eia* 

*  Verso  Tanno  1750  di  più  appalti  ae  ne  formò  il  solo  della  Ferma  (•ae- 
rale. Di  doe  antichi  magistrati  ordinano  e  straocdìoario  se  ne  formò  un  aoIo.Una 
sola  cancelleria  segreta  si  formò  di  due  :  si  eresse  un  monte  di  creditori  camerali, 


t 


SDLLO  STATO  POLITICO  DEL  HtLANBSB.  15 

n  ministro  e  subalterno  ha  di  fabbricare  sulle  sae  idee 

stema,  che  persino  ai  vocaboli  si  volle  far  subire  un 

udizioso  cambiamento,*  e  senza  riguardo  alcuno  ai 

^.  diritti  ed  alle  reciproche  azioni  de'  corpi  morali  si 

'^  ilare  in  nuova  forma  le  Provincie  dello  Stato ,  lo 

in  parte  e  non  sì  potè  compassare  in  tutto,  co- 

^^  Muto,  poiché  ì  sistemi  atomatici  e  regolari  al 

^     ''  .dlvoUa  riescono  ineseguìbili.' 

.  DUOTO  ruolo  di  salariati,  si  pose  mano  al  regola  mento  delle  Tettovaglie. 

.iO  Taono  1755,  invece  di  un  governatore  si  pose  I*  amministratore  del  go- 
verno generale,  si  levò  al  presidente  del  senato  ia  facoltà'  di  vice  gran  cancelliere» 
si  creò  mi  ministro  plenipotensiarìo,  si  abolì  il  consiglio  d*  Italia  io  Vienna,  • 
dappoi  diventò  sempre  più  lesto  qualunque  cambiamento.  Verso  l'anno  1760  si 
creò  nn  consultore  di  governo,  si  pubblicò  una  nuova  forma  per  il  carico  sulle 
terre,  e  venne  spogliato  Io  Stato  del  possesso  di  pubblicare  le  imposte.  Verso 
il  1765  si  eresse,  nuovo  ordine  di  cose,  nn  consiglio  di  economia  clie  spogliò  il 
senato,  il  magistrato  e  la  cittày  una  fomaa  mista,  una  giunta  cconopiale,  uua 
giunta  di  stndj,  una  regia  delegasione  sul  monte  Sant'  Ambrogio,  la  distruzione 
del  monte  civico,  una  nuova  forma  al  monte  Santa  Teresa.  Verso  del  1770, 
abolisione  dell*  antico  magistrato  camerale,  e  formazione  di  un  nuovo,  divisione 
del  senato  in  due  parti,  creazione  di  tre  consultori  di  governo.  Verso  il  1780  si 
cambiò  forma  al  magistrato,  si  creò  un  segretario  di  Stato,  si  abolirono  i  Con- 
sultori; indi  nel  17S6^  si  fece  tutta  la  rivoluzione  del  paese. 

-  I  X.a  smania  di  cambiare  ogni  cosa  giunse  ad  imbastardire  persino  la  lia. 
gna,  sostituendo -espressioni  barbare  alk  chiare  e  regolari. 'Per  esempio,  prima 
dioe.vasi»  VQO^dare  un  ricorso  al  tribunale:  ora  dicesi,  vuo' dare  un  esibii»  al  tri- 
bunale. Prima  dicevasi,  il  consigliere  ha  fatto  la  relazione  :  ora  si  dice,  il  consi- 
gliere ha  fatto  il  ref erato,  DiecTasi  prima,  il  processo  è  chiuso  .«-ora  dicesi,  il 
processo  h  inroiolato,  Noi  avevamo  nei  tribunali  de'  eaneeUieri  e  da'scrivani^ 
ora  si  chiamano  eoncepistìe  eancejlisti.  Si  volle  far  vedere  il  dispreaxo  di  ogni 
cosa  nostra  ed  esigere  la  sommissione  persino  nella  scelta  dei  vocaboli. 

S  Per  dividere  in  minori  masse  la  provincia  del  Ducato  e  formife  il  M iti- 
-nese  con  maggieie  regolarità,  si  pensò  prima  se  tutu  TestentioAe  della  Lom- 
bardia austriaca  potesse  dividersi  in  eguali  porsioni,  ossia  in  sei  parti  eguaU: 
Milano,  Como,  Lodi,  Pavia,  Cremona  e  Mantova.  La  stima  censnaria  doveva 
servire  di  norma,  e  cosi  venne  da  priucipio  ordinato.  Si  accìnsero  all'  esecuzione, 
e  si  trovò  fra  li  molti  inconrenienti  quésto,  che  per  completare  la  sesta  patte  a 
Pavia,  conveniva  incorporare  a  quella  città  ti^tta  Porta  Ticinese  di  Milano  fino 
al  ponte,  e  forse  più.  Onde,  siccome  volevasi  che  ciascuna  provincia  concor- 
resse alle  spese  locali  della  sua  città,  e  dipendesse  dalla  giurisdizione  in  essa 
stabilita,  avrebbero  dovuto  li  proprietar)  delle  case  di  cittadella  pagare  doppia- 
mente per  le  strade  di  Milano  e  per  quelle  di  Pavia,  e  viaggiare  a  Pavia  per  far 
decidere  le  loro  questioni  in  prima  istanza.  L' assurdo  era  talmente  ridicolo,  che 
nemmeno  si  ardi  di  pubblicare  questo  ritrovato,  che  rimase  escluso  prima  di  pub- 
Micarlo.  Poi  non  saprei  come  si  stabilì  di  scindere  il  Ducato,  e  creare  a  Gallarate 
il  centro  d'*uua  distinta  provincia,  come  un  altro  centro  se  ne  formò  a  Pozzolo, 


IG  SOLLO  STATO  POLITICO  l>EL  MILANESE. 

EPOCA  DEL   1790. 

Ora  la  Maestà  di  Leopoldo  II  oUronearaente  invita  i  sod- 
ditì  a  presentare  li  loro  bisogni  ed  i  mali  loro,  a  recar&i  alla 
eorte  per  potere  a  viva  voce  saggerire  quanto  giovi  a  schia- 
rire gli  oggetti.  Non  si  poteva  desiderare  epoca  più  fausta  di 
questa.  Da  più  secoli  non  è  accaduto  a  questa  provincia  un 
si  felice  avvenimento.  Appena  erano  tollerate  le  rimostranze 
pubbliche;  conveniva  che  sopportasse  la  macchia  d'intri- 
gante, di  importuno,  di  fanatico,  chilo  promoveva.  Ora  s'in- 
vitano, sr  animano  i  Ggli  a  presentarsi  al  padre,  gli  uomini 
all'uomo  sovrano,  gli  esseri  che  soffrono  al  monarca  sensi- 
bile e  virtuoso.  Se  non  esporremo  tutto  «  Id  colpa  sarà  nostra. 
Se  colle  domande  indiscrete  e  inopportune  screditeremo  la 
causa  pubblica ,  nostra  sarà  la  colpa.Se  meschinamente  igno- 
rando i  prìncipi  cercheremo  un  sistema  precario  e  la  revivi- 
scenza di  pregiudizi  antichi ,  anziché  il  regno  stallile  della 
ragione,  la  colpa  sarà  tutta  nostra. 

Non  è  vero  che  lunghe  oppressioni  delle  generazioni 
passate  e  della  presente  generazione,  sbigottita  da  una  serie 
di  arbitrar}  atti  del  potere  ministeriale,  abbiano  ridotti  gli 
animi  alla  nullità,  e  degradati  al  ponto  di  considerare  una 
chimera  la  virtù,  ed  un  delirio  V  amor  della  patria.  Eccoci  a! 
momento  o  di  ccprire  i  nostri  homi  d'infamia  presso  della 
storia,  0  di  onorare  per  sempre  noi  stessi  e  i  figli  nostri 'in 
faccia  dei  secoli  venturi. 

Siamo  al  punto  di  un'epoca  che  sarà  memorabile  sem- 
pre, perché  coUà  scioperatezza  si  sarà  perduta  la  più  bella 
occasione,  sull'esempio  di  quanto  fecero  i  nostri  maggiori, 
costretti  ad  impetrare  alla  metà  del  secolo  decimo  quinto  un 
padrone  che  li  governasse  «  dopo  d'  aver  sofferto  i  disordini 


e  vi  si  posero  t  loro  Intendenti  politici  ;  poi  s*' «videro  dellUmposùlnlitk  di  s<^ 
»lenere  questa  diTtsione,  atteso  che  là  proTìncia  del  Ducato  ha  K  suoi  debiti  e 
crediti,  e  itaccatfdone  porsione  per  anóettèrla  a'  Pavia,  non  poteva  mai  qnella 
essere  pareggiata  al  rimanente  del  Pavese^  pereb^  partedpaTa  delle  anteriori  ob- 
bligationi  e  diritti  inerenti  al  Ducato)  quindi  questa  sepàraiione  venne  aboliu  ed 
il  Ducalo  si  riprislÌDÒ. 


SULLO   STATO  POLITICO   DEL  MILANESE.  17 

del  comando  dialconì  imbecillì,  che  allontanarono  ogni  nomo 
di  senno  dal  reggimento  della  città,  di  che  ci  fa  testimonio  la 
storia  9  ed  il  detto  famoso  di  messer  Nicolò  Macchiavelli  che 
al  proposito  nostro  ne  ha  assicurato  la  ricordanza. 

Le  passate  vicende  altro  sentimento  non  lasciarono  ne- 
gli animi  comuni,  fuori  che  il  timore,  né  altri  precetti  rice- 
vemmo dai  nostri  padri  che  la  sommissione  e  T avvilimento 
coonestato  coli'  onorevole  nome  di  prudenza.  La  veracità  in- 
genua, la  carità  verso  della  patria,  l'amore  del  giusto,  l'en- 
tusiasmo Mobile  del  vero,  ogni  slancio  di  un  cuore  buono  ed 
energico  scomparvero;  il  fuoco  sacro  insomma  della  virtù  ap- 
pena si  conservò  presso  di  alcune  anime  privilegiate,  la  di 
cui  vista  offende  gli  occhi  deboli  ed  infermi  che  dolorosamente 
soffrirono  la  luce.  Ognuno  si  riconcentrò  a  pensare  alla  sua 
famiglia ,  e  còl  nome  di  patria  si  promossero  obliquamente  i 
vantaggi  di  alcuni  piccioli  ceti  esclusivi,  e  si  considerò  ne- 
Uaico  della  patria  chi  suggerì  di  sollevare  li  cittadini  dall'  op- 
pressione di  alcuni  ceti.  Gli  uomini  volgari,  allevati  in  tai 
principj  e  sprovveduti  di  ogni  idea  pubblica,  altro  non  cer- 
cano che  la  repristi nazione  del  sistema  che  aboU  Giuseppe  IL 
Ma  chiunque  esamina  la  salute  della  patria  colla  attenzione 
che  merita  un  oggetto  si  prezioso,  non  pensa  cosi.  Egli  dice 
cosi:  Se  una  volta  è  caduta  al  primo  ìmpeto  che  venne  dato, 
dunque  non  rifabbrichiamola  più  colla  medesima  centina.  Un 
foglio  di  carta  nemmeno  firmato  dal  monarca  ha  in  un  mo- 
mento annichilato  la  congregazione  dello  Stato,  tutti  i  ceti 
municipali»  tutte  le  amministrazioni  che  la  pietà  de' nostri 
maggiori  aveva  istituite  per  soccorso  dell'  indigenza.  Dunque 
lutto  il  sistema  antico  era  precario,  non  aveva  per  base  una 
costituzione,  né  potevasi  allegare  ostacolo  di  legge  contro  la 
volontà  del  ministro.  Il  peggio  che  possa  accadere  dunque  é 
dì  tornare  a  tal  precaria  condizione.  Il  Milanese  fu  soggetto 
al  dispotismo  dal  momento  in  cui  cessarono  i  suoi  naturali 
)>rincipi.  Questo  dispotismo  si  esercitava  da  alcuni  corpi  po- 
tenti sotto  del  governo  spagnuolo,  poi  ne  furono  gradatamen- 
te spogliati,  e  venne  tutto  collocato  nell'arbitrio  d' un  uomo 
solo. 

Sarebbe  un  problema  accademico  il  disputare  quale  dei 

P.  TEBRI.  Appendice,  2' 


i8  SCLLO  STATO  POLITICO  DEL  MILAMESB. 

due  sia  pia  fonesto:  quello  che  fa  al  proposito  per  ora  si  è 
che  conviene  uscire  dallo  stato  d'ahbiezione  sotto  cui  si  geme, 
e  da  schiavi  malcontenti  diventare  soddìtì  ragionevoli  e  fe- 
deli al  nuovo  monarca,  che  ci  vuole  uomini  e  che  è  degno 
di  comandare  agli  uomini.  Una  costituzione  finalmenle  con- 
vien  cercare,  cioè  una  legge  inviolabile  anche'  nei  tempi  a?- 
venire,  la  quale  assicuri  ai  successori  la  fedeltà  nostra  da 
buoni  e  leali  sudditi,  ed  assicuri  ai  nostri  cittadini  un'  invio- 
labile prùprUlà,  essendo  questo  il  fine  unico  di  ogni  governo. 
Conviene  che  tal  costituzione  venga  garantita  e  difesa  da 
un  corpo  permanente  interessato  a  custodirla,  e  di  cai  le  voci 
possano  liberamente  e  in  ogni  tempo  avvisare  il  monarca 
dagli  attentati  che  il  ministero  coli' andare  del  tempo  potesse 
promovere  per  invaderla.  La  facilità  del  riclamo  farà  che  rare 
volte  si  dovrà  riclamare,  come  la  libertà  del  divorzio  produ- 
ce maggiori  riguardi  nella  famiglia,  e  rarissimi  sieguono  gli 
divorzj ,  laddove  le  leggi  lasciano  aperto  Io  scioglimento  del 
contratto  nuziale.  Guai  se  i  delegati  avessero  la  vista  miope 
a  segno  di  non  avere  avanti  degli  occhi ,  se  non  la  ripristi- 
nazione  dell'antico  sistema!.... 

PRINCIPIO  DELLA  BIFORHA. 

Non  ascoltisi  una  pusillanime  prudenza:  il  monarca  c'in- 
vita ad  esporgli  i  mali  nostri:  che  timore  vi  può  mai  essere 
nel  presentarglieli  tutii  con  ingenuità  e  candore?  Qaal  mag- 
gior male  può  mai  avere  un  paese  di  quello  di  vivere  sodo 
di  un  dispotismo,  che  a  suo  arbitrio  opera  sulla  massa  degli 
uomini?  Perchè  non  lo  es|>orremo  noi  dunque,  perchè  non 
impetreremo  da  un  monarca  giusto  ed  illuminato  la  estinzio- 
ne di  tal  mostro  ed  un  governo  moderato  e  monarchico? 
Questo  dispotismo  in  una  pipcola  provincia  rimota  dalla  corle^ 
centro  di  più  Regni  e  Stati  ereditar],  questo  provinciale  dispo- 
tismo non  può  essere  mai  di  utile  al  monarca ,  né  mai  eser- 
citabile  da  lui  immediatamente,  ed  ogni  principio  d' un  av- 
veduto sovrano  lo  induce  a  stabilire  un  governo  composto  in 
modo  che  V  autorità  de' ministri,  libera  e  pronta,  possa  agire 
sin  tanto  che  non  offende  o  danneggia  la  provincia,  ma  venga 


SULLO   STATO  POLITICO   DEL  MILANESE.  19 

rafirenata  e  contenuta  al  momento  in  cui  ne  voglia  abusare. 
Non  è  deir  interesse  del  monarca  di  lasciare  esposta  a  un  po- 
tere arbitrario  una  provincia  rimota,  conGnante  con  paesi 
liberi,  con  repubbliche  ed  altri  Stati,  provincia  di  facile  emi- 
grazione, e  che  depauperata  ed  oppressa  per  la  ingiustizia  del 
ministero  ricaderebbe  a  danno  del  monarca. 

Quindi,  chiedendo  noi  una  costituzione  civile,  cerchere- 
mo T  interesse  del  sovrano  medesimo,  non  che  il  nostro; 
cercheremo  quello  che  saremmo  vilmente  colpevoli  se  noi 
chiedessimo,  e  cercheremo  in  fine  un  rimedio,  che  quand'an- 
che non  ci  venisse  per  sciagura  dei  tempi  accordato,  sempre 
onorerà  la  virtù  di  chi  incaricato  ad  esporre  i  pubblici  biso- 
gni lo  ha  chiesto. 

Come  mai  giustificherebbero  altrimenti  la  loro  condotta 
coloro  che  accettarono  di  parlare  per  tutti,  e  che  a  tutti  sono 
responsali  d' avere  eseguita  onoratamente  la  importantissima 
commissione,  se  lasciassero  marcire  sotto  un  potere  arbitra- 
rio la  patria  signoreggiata  anche  in  avvenire  non  dalle  leggi, 
ma  dal  volere  degli  uomini  potenti?  No,  cittadini,  salvate  il 
nome  vostro  da  tale  infamia,  e  rinunziato  alla  commissione 
se  mancate  dì  lumi  o  d'animo,  cardini  di  tutta  sicurezza  della 
proprietà.  Ecco  lo  scopo  unico  che  debbesi  avere  di  vista ,  e 
da  cui  emaneranno  come  corollarj  tutte  le  riforme  che  sono 
da  proporsi.  L' uomo  deve  vivere  sicuro  sotto  la  protezione 
della  legge,  e  senza  bisogno  di  abbassarsi  a  impetrare  la  pro- 
tezione d' alcun  altro  nomo;  rinforziamo  la  riverenza  ed  il 
potere  delle  leggi,  annientiamo  il  capriccioso  potere  de'  mi- 
nistri, e  non  avrà  più  luogo  il  rimprovero  che  si  fa 
agi'  Italiani  di  essere  insidiosamente  officiosi,  ipocriti  e  si- 
mulati. Uomini  inconseguenti  ed  ingiusti,  voi  ci  opprimete 
sotto  un  governo  arbitrario,  non  ci  permettete  di  conoscere, 
altra  virtù  che  V  obbedienza,  non  ricompensate  se  non  i  più 
indifierenti  e  docili  a  qualunque  opinione,  e  ci  rimproverate 
d'avere  i  vizj  della  schiavitù,  voi  che  ci  tenete  schiavi!  Si 
facciano  tutti  gli  uomini  soggetti  alla  legge,  e  liberati  dai  pe- 
ricoli de' mali  d'  un  arbitrario  potere,  e  si  vedrà  comparire 
qualche  nobile  energia  negli  animi ,  V  ingenuità  modesta  ma 
non  tremjinte,  il  candore  prudente  bensì  ma  non  deriso,  la 


20  SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE. 

probità  dilatata  nelle  azioni  civili  non  solo,  ma  collocata  ne- 
gli impieghi  e  non  perseguitata:  la  yirlù  insomma  oserà  com- 
parire e  ritornare  dal  lungo  esilio,  e  la  nazione  s' alzerà  dalla 
pozzanghera  in  cui  infracidisce  da  secoli. 

Sicurezza  della  proprietà^  cioè  ogni  nomo  sia  in  avvenire 
sicuro  sotto  la  protezione  della  legge  e  nella  persona  e  nei  beni. 
Nessano  tema  più  che  gli  sia  tolta  la  libertà  altrimenti  che 
per  una  legale  ordinazione  del  potere  giadiziario;  nessano 
sia  o  bandito  o  posto  in  arresto  o  in  carcere  se  non  per  or- 
dine legale  del  poter  giodiziarìo.  Sia  fissato  un  termine  per 
detenere  un  uomo  sospetto  di  an  delitto;  ogni  sentenza  sia 
proferita  da  un  collegio  di  uomini  di  probità  e  lumi  conoscioti; 
prima  d'ogni  sentenza,  sia  il  reo  abilitato  a  dire  latte  le  soe 
ragioni.  In  una  parola,  sia  fissato  anche  da  noi  nn  sistema 
criminale  degno  di  Leopoldo  Secondo,  degno  della  luce  di 
questo  secolo.  Non  vi  sarà  da  insistere  minatamente  so  (al 
proposito,  avendo  noi  da  sapplicare  un  monarca,  che  ha  già 
fatto  ammirare  la  sublimità  della  sua  politica  in  tal  proposito. 
Ma  sia  eliminata  per  sempre  la  chimerica  divisione  di  delitti 
politici:  ogni  delitto  e  crimen  è  criminale,  ed  al  potere  non 
può  mai  essere  permesso  il  togliere  né  la  libertà  né  V  onore 
ad  alcuno. 

La  libertà,  T  onore,  la  vita  d'ogni  cittadino,  anche  l'ul- 
timo ed  il  più  vile,  debbon  essere,  all'ombra  sacra  delle  leg- 
gi ,  sicuri  da  ogni  attentato.  Non  sotto  pretesto  di  correzione, 
di  ragione  di  famiglia,  o  di  ragione  di  Stato,  o  di  spediente 
economico,  o  sotto  qualsivoglia  pretesto  la  facoltà  politica 
deve  attentare  alla  personale  sicurezza  del  cittadino;  e  se  tal- 
volta la  circostanza  esigesse  che  la  forza  politica  arrestasse, 
la  ragione  comanda  che  immediatamente  venga  ciò  dennn- 
«ziato  al  tribunale  giudiziario  competente,  onde  abbia  il  sao 
corso  la  giustizia,  senza  che  il  governo  politico  vi  abbia  ni- 
leriore  ingerenza.  Sotto  di  una  monarchia  giusta  ogni  uomo 
può  dire  d' essere  sicuro  di  conservare  la  libertà  personale , 
sintanto  eh'  ei  non  al^bia  offesa  una  legge  scritta  e  proclamata. 


SULLO  STATO  POLinCO  DEL   MILANESE.  2i 

CARICO  CEI<mUAR10. 

Sicurezza  della  proprielày  che  la  persona  e  V  onore  ri- 
guarda anche  il  tributo.  Se  il  carico  sulle  (erre  possa  accre- 
scersi col  solo  volere  del  sovrano,  la  proprietà  del  terriere 
sarà  incerta  nella  quantità,. perchè  cadente  su  quanto  rimane 
di  netto  prodotto;  quindi  il  terriere  vedrà  scemarsi  il  valore 
delle  terre  nella  vendita,  quindi  1* agricoltura  verrà  disani- 
mata ,  quindi  la  proprietà  dei  fondi  non  sarà  sicura,  <2uesta 
verità  è  stata  sentita  da  Carlo  VI  e  da  Maria  Teresa  nella 
serie  de'  dispacci  relativi  al  censo ,  net^quali  venne  poi  solen- 
nemente assicurata  la  provìncia  che  il  carico  regio  sarebbe 
maUètabile.  In  fatti  il  carico  regio  lo  è;  massetto  titolo  di 
spese  del  censo,  spese  degli  nf!iz},  spese  de- canc^lieri  ec, 
si  sono  sovraimposte  semme  sempre  crescenti  allo  Stato,  per 
modo  die  un  quarto  di  più  si  paga  per  tale  titolo  neir  an^ 
DO  179Ò.  È  abbandonata  quindi  alla  vx^lontà  del  consiglio  di 
governo,  aniiflel  solo  ministro  presidènte,  la  proprietà  d'ogni 
terriere. 

Conviene  dare  una  rapida  occhiata  al  sistema  tenuto 
finora  nella  direzione  delle  cose  censuarie.  Per  rimediare  agli 
abusi  ed  alla  possibile  prepotenza  d'  un  terriere  che  obbli- 
gasse i  compadroni  d' una  comunità,  si  è  formato  un  sistema 
che  urta  nel  vizio  opposto,  assoggettando  air  approvazione 
del  tribuoale  censuario  ogni  spesa,  prima  che  sì  faccia.  11 
tribiinale  fece  cambiare  natura  ai  cancellieri  comunicativi,  i 
quali  da  servitori  che  erano  della  comunità  si  resero  indipen- 
denti non«olò,  ma  rivestiti  di  autorità  regia ^  e  gradatamente 
giunsero  a  non  essere  più  eletti  dalla  comunità,  e  nemmeno 
ad  essere  da  quella  stipendiati.  Cosi  tutto  si  volle  regolare  col 
maggiore  dettaglio* 

Se  rompevasi  un  forno  in  una  terra  posta  all'  estremità 
del  Cremonese,  prima  d'intraprendere  la  riparazione  del  va- 
lore anche  d' uno  scudo,  conveniva  stendere  una  supplica  al 
tribunale  censuario,  farla  sottoscrivere  dai  deputati  deiresti- 
tuo,  talvolta  rimoti  d' abitazione,  poi  legalizzarla  dal  cancel- 
liere locale,  affidare  alla  posta  la  supplica  indirizzata  al  trì^ 


22  SULLO  STATO   POLITICO  DEL  MILAHES- 

banale ,  il  presidente  del  qnale  la  dirìgeya  ad  on  consgliere 
col  sao  decreto.  H  consigliere  aveya  la  casa  piena  di  carte 
simili,  talvolta  rìmaneya  sepolta  per  anni  la  domanda, e  do- 
yevasi  replicare  dooyo  ricorso.  Se  per  yentara  la  decretaTa, 
egli  solerà  eccitare  il  deputato  de'  riparti  conranali,  il  (piate, 
oppresso  dalla  fanragine  delle  carte,  di  «Btoli  ricorsi  di  mìUa 
corannità,  qoando  poteva  faceva  il  sao  voto,  opinando  per- 
cbè-sì  esaudisse  la  sof^lica.  Questo  parere  del  deputalo  dei 
ripartì  poteva  noovamente  rimanere  dimontieato  fra  ram- 
masso d^  consigliere  relatore,  ma  a'  egli  emergeva,  se  gli 
feceva  il  decreto  che  concedeva  la  richiesta  riparaiione  del 
Tomo ,  acciocché  avessero  i  terrieri  il  conanodo  di  far  coocece 
il  loro  pane.  Né  per  ciò  era  por  terminato  il  perìcolo,  perchè 
tale  decreto  passava  air  affoltelissima  segretaria,  dove  dove- 
vasi stendere  la  lettera  dal  tribunale  diretta  ai  jeaneeUiere 
della  comanità,  contenente  la  permissione  di  riparare  il  fono 
pabblico,  e  poteva  tardare  qualche  mese.  Finalmente  la  tetr 
tera  era  portata  alla  firma  dd  presidente  e  del  relatore,  e 
veniva  spedita*  A  tale  dipendenza  si  vollero  nmiUati  i  posses- 
sori prima  di  spendere  il  denaro  non  regio,  ma  loro.  Essi  ve- 
devano inespediti  e  dimenticati  i  foro  riporsi,  trovaransi 
inabilitati  a  provvedere  alle  istanti  premure  della  comanità, 
e  generalmente  gridavano,  sebbene  dai  ministri  (che  aveva- 
no la  smania  e  V  interesse  di  governare  tutto  e  farsi  obbedir 
in  tutto,  non  già  di  vedere  le  oose  in  ordine  stabile  e  ragio- 
nevole) lai  gridi  venivano  incolpati  di  sediziosi  per  sovvertire 
la  grande  opera  del  censo.  Questa  organizlask)ne,  opera  piò 
d' an  pedante  di  scnola  o  di  un  guardiano  di  convento ,  ehe 
d'un  legislatore,  qnesta  organizzazione  produsse  costan- 
temente r  effetto  di  vedere  una  somma  lentezza  nel  cono 
dell'azienda  del  «enso,  e  quindi  dal  1760  a  questa  parte  I^ 
direzione  del  censo  soffri  continue  mutazioni  sempre  inoli!- 
mente,  perchè  non  si  pensò  a  rimediare  alla  cagione  del  di- 
sordme.  Dalla  giunta  del  censo  si  trasferì  al  magistrato  togato; 
si  levò  al  magistrato  e  si  collocò  nel  supremo  consiglio  di  eco- 
nomia; si  levò  dal  consiglio  e  si  appoggiò  al  magistrato  ca- 
merale noia  togato,  indi  sofferse  varj  cambiamenti,  finalmente 
si  levò  dal  magistrato  eanaerale  e  ^  If asporta  al  consiglio  go- 


SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILAHESB.  23 

-veniativo;  ile  le  xuodifìcasiom  che  si  fecero  giUBsero  mai  a 
resaere  prottto  e  celere  il  coreo  degli  afiarì.  Gonyleiie  gover- 
nare quelle  che  Boa  pii6  caumiiDar  bene  se  non  si  governa 
coaviei^  ksGìftre  no  moto  spontaneo  a  tutto  ciò  ohe  per  la 
naturale  combioaaùone  degli  interessi  cammina  a  boon  fine. 
fsamiuiftQio  rapidamente  alcnniprincipj.giacchè  nello  scritto 
presenta  io^  intendo  di  dare  appena  i  cenni»  essendo  troppo 
grande  il  nnmero  de^li  oggetti  sui  qnali  non  si  poti^ebbe  esita- 
rire  la  materia  se  non, compilando,  non  nno  scrìtto^, ma  un 
votumo.  Due  interessi  solo  interessano  particolarmente  il  so- 
vrano per  la  materia  del  luwtro  censo.  Conservazione  del  ca- 
tastro  dei  fondi  censibili,  acciocché  sotto  nessun  pretesto 
venga  mai  abusivamente  sottratto  alcuno  dal  contribuire  ai 
pesi  dello  Stato,  e  quindi  rendersi  troppo  gravoso  il  carico  ri- 
partito sui  minori  contribuenti.  Ecco  il  primo  oggetto.  Con- 
servare Teconomia  dellecomunità  e  delle  Provincie  per  modo 
che  non  si  aggravino  inopportunamente  di  debiti,  e  non  si 
rendano  per  tal  modo  incapaci  nei  tempi  venturi  a.conki- 
buire  quanto  «debbano  all'  erario.  Ecco  il  secondo  oggetto. 
Ogni  formalità,  ogni  soggezione  che  non  sia  necessaria  per 
questi  due  fini^  è  una  mera  angustia,  una  oppressione»  e  non 
vale  la  pena  di  sopraccaricare  lo  Stato  colla  spesa  di  tanti  in- 
tendenti, vice-intendenti,  concepisti,  cancellisti,  destinatici 
rendere  lenta,  difficile  e  pedantesca  ramministrazione.  Ecco 
la  legge  colla  quale  sarebbero  fissati  i  due  oggetti.  Non  sarà 
mai  sottratta  idi'  estimo  censibile,  o  per  corrosione  de'fiumi, 
.  e  per  qualunque  altro  motivo  parte  alcuna,  se  non  previo 
.  r  assenso  delia  provincia  cui  appartiene,  previa  V  adesione 
dello  Stato,- e  con  successiva  annuenza  ed  ordine  del  tribu- 
nale del  censo,  né  si  potrà  mai  validamente  contrarre  un  de- 
bito da  comimità,  provincia  o  Stato,  se  non  coU'annuenza 
.  ed  ordine  del  tribunale  del  censo.  Chiunque  poi  intraprenderà 
una  lite  a  nome  d'una  comunità,  soccomberà  del  proprio^  a 
meno  che  non  siavi  preceduto  il  decreto  permettente  del  tri- 
bunale censuario.  Con  questa  legge  resta  cautelato  e  1'  uno  e 
V  altro  dei  due  oggetti,  ed  ogni  spesa  comunitativa  venendo 
a  pagarsi  nell'anno  in  coi  sì  intraprende  da  quei  medesimi 
che  la  determinano,  l' economia  è  raccomandala  abbastanza 


24  SULLO  STATO  POLITieO  OKL  WLANfltSB. 

dalF  iateresse  di  eìascono*  I  modi  od  quali  si  fanno  le  ele- 
zìeiii,  la  djirata  degli  uffici,  il  modo  per  far  legalmente  le 
determinazioni)  sono  determinati  dalla  riforma  censnarìa,  e 
qaalora  nascesse  querela ,  perchè  da  essa  irregdannente  si 
fosse  allontanato  alcun  prepotente  disponendo  di  cosa  corno* 
ne,  il  gindice  locale  proTyederebbe  al  ricorso  snUa  legge  della 
riforma  >  non  essendovi  ragione  alcuna  per  (enere  un  giadioe 
éeparato^  per  tali  materie.  In  questi  s^npliei  princìpj  sardibe 
da  organizzarsi  il  censo ,  ed  il  tribunale  censuario  potrebbe 
aHora  badare  meglio  che  non  ha  fatto  sinora  alla  stabile  eco- 
nomia d'ogni  pubblico ,  piantando  registro  di  fondi  e  crediti 
e  debiti  di  ciascuno,  e  facilitando  cosi i  yicendevoli  soceoni. 
11  tribunale  del  censo,  occupato  ed  oppresso  da  un  miooto 
meccanismo,  non  potè  giammai  sinora  dare  alcuna  occhiala 
generale,  onde  con  delegazioni  staccate  si  dovette  intrapren- 
dere le  operazioni  sui  debiti  comnnilativi  e  su  quanto  vi  è 
d' interessante.  Allorché  si  accrebbe  restìmo  censibile,  abo- 
lendo i  prìvilegj  del  clero  ^  pochissima  parte  y'  ebbe  il  tribu- 
nale del  censo  nella  novità  che  doveva  recare  un  tal  cambia- 
mento. Questi  sono  i  veri  oggetti  che  meritano  di  occupare 
un  ceto  di  ministri  regj.  Riassumendo  adunque,  si  dichiari 
nullo  qualunque  contratto  dai  corpi  pubblici  o  dalle  comunità 
se  non  venga  legittimato  con  un  speciale  permesso  del  prìn- 
cipe, come  è  già  per  legge  e  per  pratica.  Posto  ciò,  non  vi 
può  essere  più  attento  amministratore  di  quello  che  sopporta 
r  incomodo  deHa  spesa.  L'  economia  delle  comunità  si  regoli 
dai  deputati  dell'  estimo  e  dai  convocati,  giusta  la  riforma 
ordinaria.  L'  economia  della  provincia  si  regoli  dagli  estimali 
deputati,  e  scelti  dalla  provincia.  L'economia  generale  delle 
spese  dello  Stato  si  regoli  dai  deputati  che  formano  la  congre- 
gazione deHo  Stato.  Le  strade,  i  ponti,  le  spese  tutte  gene- 
rali, provinciali  e  comunitative  si  amministrino  con  qoeaU 
legalità,  e  sia  riservata  al  governo  la  facoltà  di  reprimere 
bensì  e  censurare  gli  abusi,  non  mai  quella  di  ordinare  ona 
spesa.  Proibito  il  contrarre  debiti,  proibito  il  far  lite,  tco- 
gansi  fermi  questi  due  cardini,  e  nel  rimanente  sciplgansi  1 
ceppi  della  schiavitù.  I  cancellieri  delle  comunità  si  srelgA- 
no  daHe  comunità,  e  servano  a  quelle,  come  porta  la  riforma 


StJLLO  STATO  POLITICO  DEL  MILAHESB.  25 

censuarìa.  Gessino  d'essere  ì  commessi  del  governo,  e  d'ili- 
quietare  la  società  combnitativa,  che  è  la  padrona  vera  dèlie 
spese  eh*  ella  fa  col  proprio.  Gli  esattori  si  scelgano  dalle 
comunità,  com'  è  giusto,  dovendo  esse  soccombere  del  pro- 
prio al  caso  della  loro  impotenza.  Tutte  le  spése  si  appaltino 
solamente.  Si  osservino  i  regolamenti  suUe  strade.  Se  nasce 
controversia  sulla  regolarità  d'un  convocato,  si  ricorra  al 
giudice ,  il  <)uale  sulle  leggi  della  riforma  censnarid  decida. 
Non  siavi  un  tribunale  distinto  per  giudicare  le  dispute  nel 
censo.  Sì  constituisca  il  loro  patrimonio  alle  città.  L' ufficio 
del  censo  si  occupi  degli  oggettr  che  interessano  H  pagamento 
dei  debiti  comunitalivi ,  provinciali  e  dello  Sfato;  vegli  sugli 
impieghi  de'  capitali;  conosca  della conrenienzal  d' intrapren- 
dere liti;  consulti  il  governo  sul  permesso  ai  corpi  pubblici 
di  contrarre  debiti;  vegli  alla  conservazione  del  .fondo  cen- 
sito, alle  regolarità  del  riparlo  de' pesi  pubblici,  e  lascisi  alla 

cura  dei tutto  il  rimanente.  Sia  presso  la  congregazione 

deir imposta  generale,  e  sia  per  fcostitozione  stabilito  che  mai 
non  possa  accrescersi  il  carico,  se  non  previo  1*  assenso 
dello  Stato. 

TARIVFE   DAZIABIB. 

La  sicurezza  della  proprietà  viene  tolta  colle  arbitrarie 
addizioni  d'  aggravio  alla  tariffa  de'  dazj ,  il  che  anche  ulti- 
mamente si  è  fatto  a  segno  cosi  enorme  da  opprimere  i  mer- 
canti, «ngolarmente  delle  città  vicine  al  confine,  come  Cre- 
mona, Pavia,  e  Como,  dove  l' eccessivo  carico  de'  dazj  porta 
i  cittadini  a  provvedersi  al  bosco  parmigiano,  al  Gravelìone, 
a  Chiasso,  laoghi  mercantili  distanti  un  breve  passaggio.  Cer- 
tamente le  tariffe  daziarie  coHa  mutazione  delle  circostanze 
esigono  de'  cambiamenti  secondo  la  variabilità  del  commer- 
cio, ma  tai  circostanze  lentamente  ad  ima  per  volta  si  pre- 
sentano. Quindi  per  la  sicurezza  de'  mercanti  è  necessario 
che  si  fissi  una  tariffa  con  carico  discreto  e  durevole,  e  che 
siavi  prima  l' adesione  dello  Stato,  avanti  che  facciasi  suc- 
cessiva novità. 

Sicurezza  della  proprietà  importa  dunque:  prima  un  si- 

p.  TEKBI.  Appendiet,  3 


26  soubo  sriTO  pounco  ml 

slema  enmÌDale  slabile,  fcgliiiionc  dl'enliia  d«lla 
ogni  nomo  TÌYa  aeiiro  della  sua  pioprielà  penonale.  Secon- 
do :  una  filabile  e  cortitmioiiale  mirara  di  tiibato  ebe  mmi 
poMa  vaiiam  o  eccedere  amia  .F  adewme  dalle  Stato.  Le 
prore  aÌDgolari»iniie  di  obbediema  e  di  docilità,  ^e  questa 
pcpTindaba date  Miipre,diiiuMtffano  ebe  con  tal  isodoiire 
non  peiderà  yenm  «uoidio  straoidmaiìe  opfortiBO  alle  ur- 
genze della  monarcbia,  e  che  onicamenle  si  assicarerà,  cbe 
il  mìBisfeiD  non  abuserà  maLpià  del  pelerò  confidatogli  a 
scapilo  e  rovina  della  provincia.  Nel  vizioso  sistema  spa- 
gnoolo  almeno  ciò  vi  era  di  buona  politica,  cbe  il  potere  dei 
oor|4  bilanciando  U  potere  goveniativo,  veniva  centenata 
un' autorità  dall'altra.  Lo  stesso  è  da  tosi  ora,  -collocando 
due  poteri  cbe  reciprocunente  veglino  sugli  abusi  T  uno  del- 
l'altro.;  il  governo,  perché  i  rappresentanti  non  si  arroghino 
parte  di  sovranità  sol  popolo;  i  rappresentanti,  perchè  la  so- 
vranità non  se  l' arroghi  il  governo,  e  cosi  la  provincia  ri- 
manga ordinata  sotto  una  felice  costituzi<«ie,  e  la  sovranità 
resU  (otta  illesa  presso  d'nn  benefico  monarca.  Quando  do- 
vevasi distruggere  il  dispotismo  spagnuolo  radicato  in  tre 
corpi  poderosissimi,  dovevano  affrontarsi  gli  interessi  di  cia- 
scun individuo  di  essi  e  sconcertare  pericolosamente  una 
massa  di  prepotenti  cittadini  che  sostenevano  il  dritto  loro, 
la  loro  ereditala  autorità.  Ora  si  tratta  di  distruggere  il  po- 
tere riunito  al  momento  nelle  mani  d' un  solo  ministro,  che 
tulio  teme  temporariameote  dalla  eventuale  nomina  del  mo- 
narca. Quindi  la  riforma  altro  non  può  produrre  che  bene. 
Sì  solleverà  anche  l'erario  del  principe  da  una  viziosa  schiera 
d'inulilissimi  salariati,  essendo  il  ruolo  camerale  oggidì  mag- 
giore del  triplo  di  quello  che  venne  Ossalo  sotto  del  gover- 
natore Pallavicini,  onde  in  quattro  mesi  oggi  paga  il  sovrano 
tanti  stipendj,  quanti  dovrebbe  pagarne  ogni  anno,  il  che  è 
accaduto  per  vizio  di  volere  lutto  governare,  anche  quanlo 
va  da  sé  assai  meglio  che  non  per.  moto  forzalo  del  governo. 


8VLU}  STATO  POLITICO  DEL  MILANBSB.  27 

PRIVATITB. 

Merita  però  la  materia  della  finanza  ohe  qaalch'  altro 
cenno  si  dica  sa  alcane  novità  fattesi  sotto  Giaseppe^cohdo, 
le  qnali  meritano  immediata  attenzione.  Pet  esempio,  il  tri- 
buto naoYamente  imposto,  la  tassa  degli  assenti,  punisce  ogni 
possessore  terriere  che  si  rechi  in  paese  estero.  La  natura  di 
questo  nuovo  carico  è  odiosa.  La  percezione-  difficjle;  il  pro- 
vento assai  tenue.  L' effetto  tende  a  diminuire  i  compratori 
delle  terre,  e  cosi  a  scemarne  il  valore.  Questo  tributo  non 
ha  altra  base  che  r  arbitraria  volontà  del  defunto  sovrano,  e 
dovrebbe  abolirsi.  Il  contributo  ecclesiastiòo  dovrebbe  ri- 
manere stabile  a  sollievo  universale.  Il  corpo  ecclesiastico, 
nella  luce  dei  tempi  presenti,  non  vorrà  obbligare  ì  laici  a 
sostenere  tutto  il  peso,  poiché  al  paro  dei  laici  il  corpo  ec- 
clesiastico ne  gode  i  frutti;  parte  anch'esso  della  società,  è 
giusto  che  contribuisca  alla  di  lei  conservazione.  La  tariffa 
della  mercanzia  nella  sua  forma,  e  per  la  semplicità  della  co^ 
stituzione,  merita  d' essere  conservata.  La  sovra  imposta  ec- 
cessiva fatta  nel  1788  alle  manifatture  di  seta  e  di  lana,  non  . 
può  durare  senza  rovina  de'  meicanti.  Sarebbe  da  abolire 
immediatamente,  e  frattanto  tornare  al  limite  della  nuova  ta- 
riffa. Merita  però  esame  aiichela  tariffa  si  "per  l'esuberanza 
del  tributo  su  d'alcuni  capì,  quant' anche  perchè  non  pare 
s' abbia  avuto  di  vista  che  la  finanza  ha  dimenticato  la  co- 
stanza della  riproduzione  annua,  la  quale  soia  può  dare  ali- 
menta durevole  alla  finanza  stessa.  Sulle  privative  è  stìata  nota- 
bilmente aggravata  la  mano  sul  popolo,  e  lo  è  stata  con  tale 
disinvoltura,  che  si  può  apparentemente  contraddire  questa 
asserzione  da  chi  è  interessato  nella  Reale  Finanza.  I  prezzi 
singolarmente  al  minuto  dei  tabacchi  di  minor  consumo  si 
sono  abbassati  ;  ma  la  foglia  del  Canada,  che  è  del  maggior 
consumo  nel  paese,  ostata  portata  dai  soldi  45  ai  85.  L'al- 
tezza consiste  nell'  avere  immaginato  il  nuovo  vocabolo.  Ta- 
bacco di  lusso,  al  quale  si  è  posto  il  prezzo  di  soldi  85,  ed  è 
lo  stesso  che  pochi  anni  fa  si  vendeva  a  soldi  45^  e  si  chia- 
mava Canada  a  pila. 


28  SDLLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE. 

Si  vende  poi  an  tabacco  di  scarto  di  foglia  d' Ungheria 
a  soldi  45,  e  se  gli  dà  il  nome  di  Canada  a  pila.  La  privativa, 
anni  sono,  introitava  più  di  cento  mille  zecchini  nel  solo  Stato 
di  Milaiio,  ed  è  bastantemente  gravato  il  pabblico  ponendola 
in  tatto  si  prezzo  e  qualità  che  durarono  sino  al  1780.  Non 
sarebbe  inverisimile  V  asserire  che  tutte  le  mutazioni  fatte 
nel  <le€ennio  in  tal  regalia,  con  disgusto  e  sopraccarico  del 
pubblico,  non  sono  punto  ridondate  in  utilità  delia  Reale  Ca- 
mera, attese  le  spese  accresciute  nella  fabbrica,  e  la  perdita 
fatta  del  provento  dei  pastori,  nelle  terre.  V  uniformità  intro- 
dotta nel  peso  e  prezzo  -del  sale  è  un'  operazione  opportuna- 
mente fatta.  La  qualità  di  questo  genere  di  prima  necessità, 
e  dal  quale  dipende  la  riuscita  de'  casci,  converrebbe  che  ri- 
tornasse qual  era  nel  1780,  e  che  non  si  ascoltassero  più  que- 
rele, seguendo  in  avvenire  un  metodo  costituzionale  e  co- 
stante, col  distribuire  sempre  la  stessa  qualità  e  proporzionala 
mischia  di  sali  Tripoli  e  Trapeni  per  l' interno  dello  Stato. 

A  tutela  quindi  della  proprietà  reale  è  necessario  che 
non  solamente  si  rimedino  i  moltiplicati  colpi  fatti  nel  trìba- 
te,  ma  che  la  bontà  e  sapienza  del  monarca  fissi  per  costi- 
tuzione il  liinite  d'ogni  tributo,  e  per  fare  ne' tempi  avve- 
nire addizione  o  cambiamento  vi  si  richieda  l'adesione  dei 
corpo  rappresentativo  dello  Stato,  unico  mezzo  che  può  as- 
sicurare al  popolo  tutta  la  priiprìeJtà  del  suo,  e  per  assicurare 
ìL  monarca  medesimo  dalle  insidie^  colle  quali  mai  il  mini- 
stero potesse  continuare  a  palliare  nuovi  aggravj;  giacché  per 
massima  quanto  più  è  depressa  una  provincia,  tanto  più  l'or- 
goglio ministeriale  liberamente  vi  campeggia,  e  il  popolo  non 
trova  fra  chi  lo  comanda  altro  amico  che  il  sovrano,  e  qoe- 
sti  fra  chi  1q  ama  ed  ha  zelo  per  lui,  non  trova  altri  che  il 
popolo. 

GIODIZIABIA. 

Il  regolamento  giudiziario  pubblicato  sotto  Giuseppe  Se- 
condo ba  stabilito  certi  principj  e  metodi  certi,  in  guisa  che 
r  arbitrio  dei  giudici  in  buona  parte  è  tolto.  Molto  v'  é  di 
buono,  e  che  in  pratica  riesce  felicemente,  onde  nel  suo  tutto 
conviene  conservarlo.  Due  soli  ri  tocchi  basterebbero  per  ren- 


SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE.  29 

dere  compita  in  questa  parte  una  buona  legislazione,  e  que- 
sti sono:  primieramente  un'addizione  ancora  più  vincolante, 
ed  espressa  per  contenere  l'immoralità  dei  curiali,  e  la  im- 
pudenza colla  quale  per  mestiere  impugnano  la  manifesta  yo- 
rilà,  e  moltiplicano  1  litigi  a- rovina  dei  clienti  ed  a  carico 
sommo  dei  giudici  oppressi  dalla  congerie  delle  liti,  e  quindi 
nasce  non  poter  dare  sempre  la  conveniente  attenzione  a 
tutte,  e  non  potersi  regolarmente  tenere  in  corso  il  tribuna- 
le* Secondariamente  dare  una  più  breve  e  semplice  forma  ai 
processi  dei  debitori  e  de'  fìtti  ed  altri  chiari  titoli.  Fatto  ció^ 
nulla  vi  sarebbe  da  ritoccare  al  regolamento.  Ma  non  con- 
fondiamo il  regolamento  giudiziario  colle  istruzioni  ed  orga- 
nizzazione data  ai  tribunali.  Quanto  pensato  e  ragionevole 
riesce  il  primo,  tanto  assurde  e  barbare  sono  le  seconde,  lì 
dispotismo  del  presidente;  la  podestà  di  separare  in  aula  il 
tribunale,  di  scegliere  il  relatore;  il  contraddittorio  principio 
di  tenere  occulto  il  relatore  in  città,  mentre  nei  borghi  lo 
stesso  è  preside  e  relatore  notissimo,  questi  sono  inconve- 
nienti che  meritano  la  mano  emendatrice  del  legislatore.  La 
libertà  civile,  il  corso  regolare  ed  imparziale  della  giustizia, 
suggeriscono  doversi  dare  al  presidente  tutta  l' autorità  per 
l'ordine,  regolarità  e  disbrigo  del  tribunale,  e  nessuna  di- 
retta o  indiretta  autorità  s&Ue  libertà  delle  opinioni,  o  pel  ri- 
sultato della  sentenza. 

Il  relatore  è  bene  c6e  sia  noto,  anzi  nominato  di  con- 
senso^ delle  parli,  come  facevasi  per  lo  passato.  La  giurisdi- 
zione di  podestà  dei  borghi  è  conveniente  che  sia  limitata  al 
grado  in  cui  lo  era  prima  del  nuovo  sistema.  Siccome  poi  i 
curiali  sono  realmente  una  massa  corrotta,  e  che  fa  profes- 
sione infame  di  intrico,  senza  moralità,  e  che  trattasi  di  ri- 
generare, e  correggere  una  generde  putredine,  cosi  sarà  op- 
portuno che  l'occhio  paterno  del  monarca  vegli  sull'esecuzione 
de'  regolamenti,  spedendo  anche  di  tempo  in  tempo  visitatori 
accorti,  fermi  e  zelanti,  che  abbiano  la  facoltà  di  conoscere 
il  modo  col  quale  viene  amministrata  la  giustizia,  l'opinione 
pubblica  degli  impiegati,  e  con  qualche  opportuna  dimissione 
giustificata,  contenere  poi  coU'ei^empio  ciascheduno  in  uffizio. 

L' istesso  tribunale  di  giustizia  che  giudica  nelle  cause 

P.  VEBBI.  Appendice.  i* 


30  SULLO  STATO   POLITICO  DEL  MILANESE. 

civili  sembra  che  potrebbe  essere  incaricalo  anche  dei  gin- 
dizj  criminali,  siccome  fu  prima  dell'  interinale  regolamento, 

ma  in  ciò  noli'  altro  rimane  da  proporre  dai se  non  la 

proprietà  personale  d'ogni  individuo,  un  collegio  di  giudici 
probi  che  proceda  con  leggi  fìsse,  e  dal  quale  unicamente 
ogni  azione  criminale  sia  giudicata,  e  fuori  del  quale  nessuna 
ingerenza  governativa  possa  mai  attentare  alla  libertà,  ed 
onore  d'  un  cittadino. 

Sicurezza  delia  proprietà  esige  adunque  prima  di  tutto 
che  col  ministero  unicamente  della  legge  possa  un  uomo  ve- 
nire arrestato,  e  che  soltanto  dopo  regolare  processo,  e  re- 
golare difesa ,  e  regolare  sentenza  di  un  collegio  di  uomini 
di  conosciuta  probità,  possa  dichiararsi  colpevole,  e  soggetto 
alla  pena  prescritta  dalla  legge. 

Sicurezza  deUa  proprietà  richiede  che  il  tributo  sia  pro- 
porzionato, fisso  ed  invariabile,  e  che  ogni  addizione  o  cam- 
biamento venga  esaminato  preventivamente  dal  corpo  rap- 
presentativo dello  Stato. 

Sicurezza  della  proprietà  per  conseguenza  vuole  ano 
slabile  metodo  giudiziario,  che  togliendo  V  arbitrario  al  gius- 
dicente assicuri  un  imparziale  e  fisso  regolamento  per  chiun- 
que veda  disputala  la  sua  proprietà.  Di  ciò  sinora  ho  rapida- 
mente trattato.  Due  oggetti  rimangono  ancora  da  toccare ,  i 
tronchi  maestri  dell'  albero,  e  sono  la  legislazione,  e  la  rap- 
presentanza pubblica.  Non  sarebbe  inai  più  sicura  la  proprietà 
malgrado  1  suggeriti  regolamenti,  se  il  potere  ministeriale  da 
solo  potesse  riclamare  leggi  nuove,  come  sinora  ha  fatto  ;  giac- 
ché una  legge  può  essere  o  crudele,  o  attentatoria  della  civile 
libertà,  o  ineseguibile  o  importuna;  quindi  chi  ha  la  facoltà 
di  proclamare  tal  leggi,  può  creare  nuovi  delitti  o  immagi- 
nare nuovi  supplizi,  e  conseguentemente  il  più  onesto  citta- 
dino può  trovarsi  tirannicamente  in  preda  alll  sgherri.  La 
pubblica  rappresentanza  è  pure  inerente  alla  sionrezza  della 
proprietà,  poiché  vana  ed  illusoria  sarebbe  ogni  costituzione 
scritta,  libro  di  mera  curiosità  ed  erudizione  riescirebbe,  qua- 
lora non  esistesse  un  corpo  destinato  ed  interessato  a  man- 
tenerla. Di  questi  due  oggetti  mi  resta  a  trattare  prima  che 
io  chiuda  il  discorso. 


SUH.0  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE.  31 


LEGISLAZIONE. 

ABbìamo  veduto  pubblicarsi  sotto  H  governo  del   conl^ 
Firmiaiì  alcune  leggi  che  sole  bastavano  a  turbare  la  sicu- 
rezza della  proprietà.  Alcune  prescrìvono  che  i  padri  doves- 
sero essere  tenuti  pei  figli,  ed  i  padroni  per  li  servitori  pel 
contrabbandi  di  tabacco.  Questa  legge  fece  tal  senso  che  il 
popolo  per  più  settimane  abbandonò  Fuso  del  tabacco;  onde 
si  dovette  poi  moderare  la  legge  con  poca  dignità  del  legisla- 
tore. Sotto  lo  stesso  governo,  per  altra  legge,  s'imposero 
cautele  ed  obbljghi4ali  ai  filatori  di  seta,  che  resa  difficile  e 
quasi  impossibile  l'osservanza  di  tanti  vincoli,  venne  scorag- 
giato questo  ramo  di  n^lonale  industria.  Gli  sgherri  e  gl'in- 
quisilori  ebbero  la  facoltà  di  visitare  entro  le  case,  nelle  offi- 
cine, ed  in  qualunque  ora  perquirere  sale,  tabacco,  e  quindi 
ostilmente  si  trattarono  1  popoli.  Tai  sorprese  non  si  fareb- 
bero alla  reh'gione  del  remoto  monarca,  se  prima  d'essere 
pubblicate  nuove  leggi,  venissero  proposte  al  corpo  rappre- 
sentante lo  Stato,  al  quale  fosse  permesso  di  esporre  al  trono 
ì  mali  che  per  ventura  di  quelli  possono  derivare. 

Sicurezza  della  proprietà  esige  dunque  che  il  monarca 
venga  preventivamente  schiarito  dal  corpo  rappresentante  lo 
Stato  avanti  che  una  legge  sia  proclamata. 

CORPO  DELLO  STATO. 

La  politica  del  dispotismo  e  della  capricciosa  cecità  ebbe 
in  orrore  ogni  corpo  rappresentante  la  nazione,  perchè  que- 
sto corpo  è  il  solo  che  fa  argine  all'  abuso  del  potere  mini- 
steriale, ed  è  l'organo  per  mezzo  del  quale  la  verità  dalla 
capanna  passa  al  trono,  ed  il  monarca  è  istrutto  del  male  e 
del  bene  che  fanno  le  persone  impiegate  nei  governi.  Quindi 
si  cercano  tutti  i  prelesti  o  per  estinguerli,  ovvero  per  for- 
marli in  modo  che  riesca  una  mera  illusione  da  scena  per 
appagare  i  semplici;  ma  la  vera  e  slabile  politica  d'un  mo- 
narca illnminatp,  buono,  previdente,  considera  sotto  un 
aspetto  opposto  una  tale  istituzione,  come  il  solo  ed  impre- 


32  SULLO  STATO  VOLITICO  BEL  MILANESE. 

scindibile  mezzo  per  regnare  con  gloria,  per  evitare  le 
insidie  dei  cortigiani,  per  accostare  sé  stesso  al  popolo,  e  ren- 
dersi forte  coir  adesione  degli  interessi  comuni.  Cerca  di  for- 
mare nn  corpo  che  sia  al  sicnro  d'ogni  oppressione  ministe- 
riale, coIil^)osto  di  tanti  quanti  bastano  per  rendere  difficile 
la  subornazione  e  dibattere  gì'  interessi  pubblici,  e  scelto  dal 
^  popolo  che  rappresenta,  e  dal  quale  unicamente  può  ricevere 
il  mandato  per  avere  una  rappresentanza  legittima.  La  mae- 
stà di  Leopoldo  II  non  ci  vuole  schiavi,  ci  yuole  sadditi.  Le 
massime  del  suo  governo  sono  già  pubblicate  :  imperocché  la 
costituzione  dei  Belgi  ben  lungi  d'essergli  invisa,  la  propose 
anzi  per  modello  degli  altri  Regni  e  provincie  deU'  angusta 
sua  casa.  Nelle  tenebre  dei  secoli  passati,  mentre  i  pochi  uo- 
mini che  coltivavano  la  loro  ragione  tutti  s' occupavano  o  nel- 
l'erudizione o  nella  matematica  o  nelle  cose  naturali,  trasen- 
rando  la  scienza  della  società  ed  i  diritti  che  la  fanno  sussi- 
stere, nell'ignoranza  di  quella  oscura  notle  una  insidiosa 
politica  bastava  per  tenere  atterrita  e  sommessa  la  massa 
degli  nomini,  sicché  non  s'accorgesse  né  della  lesione  dei  suoi 
diritti,  né  dei  mezzi  per  rianimarla.  Ma  la  notte  ha  fatto  loogo 
a  nuovo  giorno,  le  opinioni  rapidamente  si  cambiano,  e  Topi- 
nione  è  la  regina  del  mondo  a  cai  si  piega  la  forza  stessa.  Se  il 
potere  intermedio  ministeriale  perseverasse  ne'  suoi  antichi 
prìncìpj,  verrebbero  col  tempo  esposti  anche  i  migliori  princi- 
pi, anche  i  popoli  dell'indole  più  placida,  a  tutti  i  mali  che  ac- 
compagnano nn  rapido  cambiamento  d'ordine.  Nella  chiara 
luce  de' tempi  presenti  è  necessario  un  corpo  rappresentante  lo 
Stato,  che  liberamente  possa  informare  il  monarca  de' mali 
e  dei  disordini,  e  che  sia  organizzato  per  modo  da  ottenere 
questo  fine,  «d  ottenerlo  stabilmente.  Abbiamo  il  catastro 
censnario:  dividansi  i  possessori  in  tante  masse  propriamente 
eguali;  ogni  conranìtà  compresa  in  questa  massa  scelga i 
suoi  deputati,  e  gli  eletti  raduninsi  nel  borgo  che  sia  centro 
di  essa,  e  nominino  il  pubblico  rappresentante.  Gli  nominali 
formino  il  corpo  dello  Stato.  Gonyiene  che  il  loro  numero  sia 
tale  da  impedire  la  seduzione  ministeriale  e  rendere  atile  al 
suo  fine  la  rappresentanza.  Conviene  pure  che  il  loro  officio 
8ia  per  sei  anni,  e  che  ogni  tre  se  ne  cambi  la  metà.  QneaK 


SUILO  STATO  POLITICO  DKL  MILANESE.  33 

assemblea,  oome  tutte  le  altre  municipalità,  potrà  radunarsi 
quando  voglia»  e  trattare  gli  affari  senza  angustia  o  predo- 
mìnio dei  ministri.  Ella  potrà  direttamente  umiliare  ai  trono 
le  sue  circostanze,  e  sarà  il  vero  tubo  ottico  per  cui  il  mo- 
narca vedrà  la  verità,  annebbiata  in  prima  dagli  interessi 
de' ministri,  i  quali  sono  la  cateratta  agli  occhi  del  monar- 
ca. Ella  sceglierà  il  suo  presidente,  che  durerà  sei  mesi  : 
conosce/a  delle  nuove  leggi,  e  veglierà  alla  conservazione 
della  costituzione.  Tutte  le  spese  gen«rali  incombenti  allo 
Stato  dovranno  essere  decretate  xla  questo  corpo  di  rappre- 
sentanti e  dipendenti  dalla  sua  determinazione,  trattone  il 
tributo  fisso  sulle  terre,  il  quale  sarà  perpetuo,  e  determinato 
ttC^Ua  quantità.  Non  si  potrà  intraprendere  fabbrica  alcuna, 
strada,  canale,  edifìcio,  od  impegno  qualunque  che  porti  ca- 
rico allo  Stato,  aduna  città,  provincia,  o  comunità,  senza  il 
previo  decreto  del  corpo  rappresentativo.  Tutti  i  conti  sa- 
ranno subordinati  air  ispezione  del  governo,  al  quale  rimane 
la  facoltà  di  impedire  ogni  abuso  del  danaro  pubblico.  Nel- 
l'imposta annuale  preventiva  si  porrà  sempre  una  partita 
d'approssimazione  delle  spese  eventuali,  e  dentro  i  limiti  di 
questa  sarà  facoltativo  a  tutti  i  corpi  pubblid,  giusta  la  loro 
assegnazione,  di  far  le  spese.  Il  riparto  dei  pedi  pubblici  si 
farà  sempre  sul  catastro  censuario.  Ogni  individuo,  all'atto 
che  prende  possesso  della  sua  carica,  giurerà  fedeltà  inviola- 
bile al  monarca,  e  di  non  acconsentire  giammai  a  partire 
del  suo  posto,  e  ritirarsi,  se  non  quando  sia  rimpiazzato  dal 
suo  successore  legittimamente  eletto.  Ogni  controversia  che 
nascesse  fra  città  e  città,  verrà  decisa  clal  corpo  rappresen- 
tante lo  Stato  dal  quale  dipenderanno. 

he  siradie  che  non  sono  né  comunitatìve,  nèr^provinciali, 
non  guidando  da  una  città  all'  altra,  servendo  all'  uso  gene- 
rale, incombono  fin  d'ora  alla  generalità  dello  Stato  per  la 
manotenzìone.  Avrà  insomma  tutta  l'economia  appartenente 
all' .azienda  generale  dello  Stato. 

Sulle  massime  istesse  si  organizzi  ogni  consiglio  muni- 
cipale ,  ed  in  tal  modo  saranno  formati  i  corpi  pubblici  perma- 
nenti e  con  individui  successivi  e  temporanei,  e  inerendo  alla 
riforma  ceiisuaria  riceverà  una  forma  legale  stabile  la  prò- 


34  SOLLO  STATO  POLITICO  DEL  HILA1IE6B. 

yincia,  suddita  d'an  monarca  illaminalo  ed  amano  che  l'avrà 
per  sempre  assicurate  contro  il  funesto  dispotismo  ptovimàaie 
che  i'ha  degradata  ed  oppressa. 

GOHGLITSIOIfB. 

Riassamendo  le  cose  sin  qai  detfe,  Cotto  d  ridaee  a  pò- 
chi prìncipi  e  chiari.  Siamo  noi  radunati  per  esporre  al  Boove 
sovrano  che  ce  Io  ordina  ì  gravami  ed  i  mali  della  provineiat 
Ci  siamo  noi  sottoposti  per  sistema  ad  nn  governo  arbitrano 
e  dispotico?  Si.  Un  tate  governo  è  egli  on  male  per  ohi  vi  è 
soggetto?Egli  é  il  sommo,  il  primo  del  mali.  Possiamo  dun- 
que nói  occultare  la  sincera  esposizione  di  tale  sommo  mde 
nella  rimostranza  che  stiamo  per  fare?  No,  se  non  vogliamo 
meritare  il  titolo  di  traditori  della  patria,  e  se  non  vogliamo 
essere  riputati  li  pia  inetti  degli  uomini.  Posisiamonoi  temere 
alcun  rimprovero  esponendo  questo  gravame?  No.  JSotto  d*oii 
monarca  che  ha  dichiarato  in  falccia  dell'  Europa  di  amare  la 
Costituzione  Belgica,  e  di  bramare  che  servisse  di  modello 
agli  altri  suoi  Stati,  non  è  possibile  che  sia  discara  la  sopplica 
di  darci  una  simile  costituzione.  Sotto  di  an  monarca  che  è 
giusto,  e  vuole  U  ben  essere  e  la  contentezza  de*  buùì  popoli,  «m 
è  possibile  che  dia  n^al  ricevuta  la  proposizione  che  ha  per 
base  la  giustizia^  e  per  fine  il  ben  essere  e  la  amteniezzade^sfiM 
popoli.  II  sovrano  comanda  al  ministre  di  non  immischiarsi 
colle  nostre  deliberazioni,  comanda  a  noi  di  fargli  conoscere 
i  bisogni  del  suo  popolo,  e  dubiteremo  noi  se  ci  siapeimesw 
di  fargli  conoscere  il  bisogno  massimo,  cioè  il  bisogno  di  ot- 
tenere una  volta  la  sicurezza  della  pfopHe(d?  Chi  é  posillaiH- 
me,  chi  è  imbecille,  noìi  stenda  la  mano  al  timone  degli  af- 
fari. E  che?  Avrete  voi  dunque  accettata  la  sublime  ^ricadi 
parlare  per  tutti  ì  vostri  concittadini?  Vi-siete  indossato  l'at- 
gusto  ministero  di  reggere  la  causa  pubblica  in  qaest'impo^ 
tantissima  occasione,  senza  consultare  i  lumi  vostri,  sentt 
consultare  il  vostro  animo?  Se  aveste  impallidito,  se  areste 
diffidalo  in  quel  momento,  se  aveste  chiesto  soccorso,  assi* 
sienza  nei  lumi  d'altri  iàtrutti  cittadini,  la  timidezza  vostia 
sarebbe  stata  virtuosa.  Ma  ora,  posti  in  alBcio  a  vegliare  solb 


SULLO  STATO  FOLIXIGO  DEL  UlLAflESE.  33 

flìciireiia  della  palrk,  mostrerete  rm  nti'aoinia  da  sebiavo 
palpitante  per  il  pericolo  dello  sdegno  ministeriale,  che  forza 
è  pare  d'affrontare  per  essere  fedeli  al  vostro  re>  jdki  vostra 
patria?  Cosi  non  operavano. i  nostri  maggiori ,  quando 
nel  ±i8l^  n  25  g^no,  stabfllrono  in  Gostanza  la  cestita- 
zione  chesta vnel  cocpo  delle  leggi,'  e  qnajido  nel  1450^  li  3  di 
marzo,*  altra  costilnzìone  stipularono  een  Fianeesco  Morza, 

Ni»  vi  ò  sicarózza  della  proprietà,  se  non,  dove  vi  sia 
ima  costitozione.  Non  vi  è  costttnzione  se  non  doye  siavi  un 
corpo  interessato  a  difenderla  e  capace*  di  farlo. 

Io  non  ho  esposto  quanto  richiedesì  per  questa  gran- 
d'opra,  unicamente  ho  dati  i  tocchi  principali.  Nobili,  aprite 
gli  occhi,  maturate  i  vostri  consigli,  nulla  precipitate.  Mirate 
intomo  TEuropa,  leggete  almeno  i  fogli  pubblici,  esaminate 
la  pubblica  opinione,  svegliatevi.  Non  è  più  tempo  da  arro- 
garvi soli  la  rappresentanza  della  città.  Ogni  cittadino  possi- 
dente, al  paro  di  voi  ha  diritto  di  eleggere  e  di  essere  eletto 
in  servigio  ddtta  patria.  Neil'  oscurità  de'  passati  secoli  pote- 
vate concentrare  la  municipalità  nel  vostro  ceto,  e  sostenere 
un'  oligarchia  ;  ma  la  ragione  ha  fatto  progresso  :  ora  fa  ri- 
brezzo e  sdegno  ciò  che  è  gotico  e  deforme.  Yi  vuol  giustizia 
nella  pienezza  della  luce  odierna,  che  rischiara  r Europa. 
Avete  voluto,  o  nobili^  degradare  i  vostri  concittadini,  e  il  mi- 
nistro provinciale  ha  degradati  voi  stessi,  e  tornerà  a  degra- 
darvi ben  tosto  che  le  circostanze  favorevoli  glielo  permette- 
ranno^ se  persistete.  La  rappresentanza  che  esercitate,  o  de- 
enrioni,  è  illegale  ed  abusiva  ;  vói  siete  eletti  dai  ministri 
regj,  e  non  dalle  città.  Milano  neouneno  vi  conosce  per  suoi 
rapprraentanti,  e  se  non  vi  dichiara  impetuosamente  il  dis- 
senso pubblico,  esaminate  se  gli  applausi  vi  mostrino  alcuna 
pubblica  eonfklenza.  Se  voi  insistete  sulla  pratica,  la  pratica 
medesima  autorizzereUie  il  governo  ad  operare  dispotica- 
mi^nle  su  di  voi.  Se  vi  accontentate  di  essere  schiavi,  purché 
abbiate  de'  schiavi  sottoposti  a  voi,  sarete  voi  i  nemici  della 
patria.  Se  scegliete  questo  partito,  vi  annuncio  in  breve  la 
rovina.  I  prineipj  sociali  sono  sviluppati  nel  centro  d'I^uropa, 

*  Moratoria  Med.  £v.  Dìsser.  XLVIII. 

3  Vèggasi  nsil* Archivio ^ublxlìco  aglietti  del  notaio  Damiaiio  Marliani. 


36  SULLO  STATO  VOLlTiCO  BBL  ULAIIISI. 

la  luee  diMasi  rapidamente^  il  popolo  milanese  ara  fn  poehi 
anoi  illomiiiato,  tì  chiamerà  TÌlissìmi  Iradilori  del  pobUioo, 

vi  chiamerà La  mia  pema  non  anticiperà  d'aimiiDiiarvi 

le  qndificazioni  che  ìn£rilibilmente  otterrete,  seioàsteleper 
un'olìgarehia  odiosa  ed  ingiosta.  Siate  nomiai,  e  se  volete 
comparire  nobili,  siate  nobili  ne'penmri,  e  generosi  ndle 
azioni;  siate  nobili  seguendo  disinteressatamente  laragioie 
e  la  giustizia.  Date  al  monarca  l'esempio  di  sacrificare  i  pre- 
giudizi e  le  pratiche  all'  interesse  pubblico  della  provÌDeii. 
Spogliatevi  d'ogni  idea  di  ceto;  il  ceto  d'un  uomo  dabbene 
è  il  genere  umano.  La  felicità  pubblica  sia  la  vostra  mira;  la 
ragione  e  la  virtù  vi  guidino.  Mostrate  di  conoscere  i  prin- 
cipj  deli'  immortale  autore  deUo  Spirito  delle  leggi,  e  d'esseie 
degni  cittadini  contemporanei  dell'autore  l>M'delim'«deH( 
pene.  Cittadini  scelti  per  parlare  a  nome  di  tutti,  parlate 
colla  verità  e  dignità  conveniente  al  popolo  che  rappréseit- 
tate,  e  per  bene  del  quale  é  ìnstitnito  il  governo.  L'esito  non 
è  in  vostra  mano,  lo  so;  le  cireostanze  poirebbero  rendere 
vane  per  ora  le  vostre  cure.  Ma  starà  sempre  il  vestigio  di 
quanto  ora  farete.  I  semi  della  verità  annunciata  dalle  aoto- 
revoli  voci  vostre  germoglieranno ,  e  i  nomi  vostri  saranno 
ricordati  con  gloria  insino^she  dura  la  memoria  degli  nomi- 
ni, e  la  storia  ne  passerà  il  racconte  ai  più  lardi  nipoti. 

Che  se  per  imperizia,  per  dappoccagglne,  obliquità,  tra- 
viaste, tradendo  la  patria  e  perdendo  una  si  bella  occasione.^ 
Se  lasciaste  fuggir  infruttuoso  un  momento  si  fausto  j  cbe  da 
secoli  non  s'è  veduto....  Se  trascuraste  di  procurare  una  co- 
stituzione custodita  da  un  corpo  indistruttibile,  per  cui  aia 
assicurata  la  proprietà  :  costituzione  modellata  suU'  esempio 
di  quella  dei  Paesi  Bassi,  già  lodata  e  conosciuta  degna  di 
servir  di  modello  ad  altri  Stali  d^l  re  Leopoldo  II  medesimo, 

che  ci  invila  a  proporgli  le  nostre  brame Voi  stessi  sarete 

gli  autori  di  tutti  i  mali  che  continuerà  a  far  per  l'avvenire 
il  potere  ministeriale.  Voi  stessi  sarete  autori  d'una  rivola 
/Jone  funesta,  e  della  carnifìcina  dei  vostri  concittadini,  gì^e- 
che  il  dispotismo  cosi  va  sempre  a  terminare,  e  chinnqoe  ha 
occhi  ne  scorge  l'epoca  non  rimota.  Voi  stessi  avreste  tradite 
la  patria,  e  un  re,  che  si  fida  di  voi,  e  vi  cerca  consiglio. 


SULLO  STATO  POLITICO  DEL  MILANESE.  37 


Ksfitm  di  S.  H.  IfcetoUca  per  la  conyoeazione  de'  Sappeseitaiti  pubblici 
aiae  di  esporre  i  bisogni  M  lilànese. 

LEOPOLDUS  Eie. 

Dacché  abbiamo  preso  le  redini  del  governo  dei  Regni  e  Stati 
a  nùi  devoluti  per  ereditaria  successione,  la  prima  nostra  tewm 
è  stata  di  pensare  ai  mezzi  di  procurare  possibilmente  il  benes- 
sere e  la  contentezza  de' popoli  ora  a  noi  soggetti,  fra' quali  chia- 
mano a  sé  un'eguale  sollecitudine  anche  quelli  della  nostra  Lonir- 
.  bardia.  A  questo  fine,  essendo  necessario  di  conoscere  i  loro 
bisogni,  non  meno  che  il  bene  generale  dello  Stato  per  poter 
provvedervi,  in  quanto  da  noi  dipende,  e  nella  fiducia  di  vedere 
corrisposto  questo  nostro  desiderio  dai  pubblici  impiegati  della 
Lxrmbardia,  coli'  impegno  di  vero  zelo  per  il  comune  vantaggio, 
abbiamo  stimato  bene  di  sentire  direttamente  dai  medesimi  ciò 
che  dopo  matura  e  riunita  deliberazione  crederanno  dover  fard 
presente,  all'  effetto  di  ottenere  da  noi  quella  provvidenza  che 
conduca  alla  prosperità  generale  dello  Stato,  non  che  particolare 
delle  singole  provinde. 

Quindi  colla  presente  reale  carta  ordiniamo  e  comandiamo 
al  nostro  Governo  generale  della  Ixymbardia  austriaca,  perchè 
vengano  da  esso  autorizzati  quanto  prima  i  Consigli  Generali 
della  città  dello  Stato  di  Milano,  cioè  di  Milano,  Pavia,  Cremo- 
na, Lodi,  Como,  Casal-maggiore,  i  quali  devono  considerarsi 
come  rappresentanti  le  provinde  relative  ad  esse  sd  dttà  per 
rappwto  agli  effetti  della  présente  nostra  determinazione,  a  sce- 
gliere e  nominare  ciascuno  dd  Suddetti  Consigli,  due  individui, 
sieno  poi  nel  corpo  di  essi  medesimi  o  altri  delle  rispettive  dttà, 
%  quali  si  rendano  quanto  prima  in  qualità  di  deputati  provine 
ciali  alla  dttà  di  Milano,  e  riuniti  sotto  la  direzione  e  presidenza 
del  conte  Luigi  Fratti,  delegato  regio,  e  prefetto  della  congrega- 
zione munidpale  di  detta  città,  si  facdano  a  deliberare  in  co- 
mune sopra  gli  oggetti  che  crederanno  poter  esigere  o  meritare 
un  sovrano  provvedimento,  e  spedalmcnte  sul  bisogno  a  noi  già 

p.  VERRI.  Appendice.  •  4 


38  SULLO  STATO  POUUGO  DEL  MILANBSB. 

stalo  esposto  dal  Consiglio  Generale  delia  città  di  Milano  ài  una 
rt^ffpresmtansa  permanente  della  società  generale  deUo  Stato^sul 
modo  di  eostruirla,  e  suUa  forma  da  darsi  alla  medesìma^  Le 
proposizioni  cT  essi  deputati,  ridotte  che  saranno  in  un  protocollo 
comune,  dovrà  questo  presentarsi  ai  Governo,  e  da  lui  imd- 
trarsi  a  noi  col  proprio  suo  parere,  per  sentirne  la  sovrana  de- 
terminazione. 

Affinchè  poi  possiamo  avere  dai  pubblici  stessi  gli  schiari- 
menti della  loro  opimUmie,  e  di  quanto  ragionevolmente  desidera- 
no, è  nostra  mente  e  volontà  che  %  suddetti  d^mtati  proviwidi 
scelgano  fra  loro  due  o  tre  soggetti,  i  quali  si  trasferiscano  in 
questa  nostra  città  di  Vienna,  non  solo  per  esporre  anche  diret- 
tamente a  noi  le  petizioni  de*  loro  pubblici  compilate  come  so- 
pra, ed  i  gravami  se  ne  avranno;  ma  anche  per  poter  rischiarire 
a  voce  ed  in  iscritto  tutto  ciò  che  sarà  loro  chiesto  per  il  mag- 
gior accerto  delle  sovrane  nostre  risoluzioni. 

Per  ciò  che  riguarda  la  città  e  Bucato  di  Mantova,  avendo 
veduto  da*  diversi  ricorsi  a  noi  pervenuti,  che  lo  stato  attuale  di 
quella  provincia  può  abbisognare  (f  una  particolare  e  separata 
considerazione  e  provvidenza,  è  perciò  nostra  intenzione  che  ven- 
gano pure  scelti  daUa  congregazione  municipale  di  Mantova  dm 
dqmtati,  i  quali  bene  istruiti  delle  occorrenze. di  detto  Ducato  si 
rendano  qui  per  il  sopraccennato  fine.  Desideriamo  però  che  il 
pròno  di  essi  d^tutali  sia  destinato  il  presidente  marchese  Zar 
netti,  le  di  cui  ottime  qualità  di  mente  e  di  cuore  (ibbiamo  avuto 
occasione  di  conoscere  particolarmente. 

Del  resto,  siccome  ci  teniamo  certi  che  gli  amati  nostri  sud- 
diti ed  abitanti  della  Lombardia  si  dimostreranno  animati  tm 
solo  dalV  amere  della  loro  patria,  ma  egualmente  da  un  sincero 
zelo  per  U  servigio  del  loro  sovrano,  tanto  più  che  non  desidera 
che  U  loro  bene  comune  i  cosi  confidiamo  pure  che  U  serenissimo 
Arciduca  si  farà  premura  di  secondare  colla  profUa  intimaivm 
a  ehi  si  sp^ta,  ed  in  ogni  altra  maniera,  il  più  sollecito  adempi- 
menlo  delle  sovra  esposte  nostre  intenzioni. 
Vienna,  6  maggio  4790. 


39 


ORAZIONE   FUNEBRE 
PBR  fillJSBPPE  SECONDO   IMPERATORE  E  RE.' 


Ministro  d' ana  religione  di  verità;  nel  (empio  dell'ol- 
timo  tnassimo  Iddio  scrutatore  de'  cuori  e  monarca  onnipos^ 
sente  dell'  universo  ;  in  raeczo  alla  pompa  ferale  che  ci  an- 
nunzia il  nulla  delle  umane  grandezze;  mentre  la  pietosa  cura 
degli  augusti  associa  la  riconoscenza  de' ministri ,  la  fedeltà 
de'  nobili,  e  la  generale  ossequiosa  cura  de'  sudditi  per  im- 
petrare riposo  e  pace  all'anima  di  Giuseppe  il  pio,  felice, 
augusto,  da  immatura  morte  rapito,  ardua  e  difficile  impresa 
mi  si  commette  di  pronunziare  il  funebre  elogio  fra  il  sagrifi- 
ciò  d'espiazione  e  le  solenni  preghiere  della  Chiesa^  Un  prìn- 
cipe che  nel  breve  regno  di  nove  anni  prese  a  svellere  tutto 
ad  un  (ratto  i  disordini  radicati  per  secoli  ne'  varj  Stali  della 
vasta  monarchia  austriaca;  che  da  un  canto  tentò  d'annien- 
tare ogni  superstizione  rad  p<^lo ,  ed  ogni  orgoglio  ne'  sacer- 
doti; che  costrinse  ne' limiti  à*  una  mera  esecuzione  tutta 
l'autorità  de' suoi  ministri  e  dei  tribunali,  spogliandosi  d'ogni 
corredo  di  fasto  o  d' arbitrio;  che  ai  nobili  tolse  di  mano  lo 
scettro  fendale  per  sollevare  la  suddita  umanità  travaglialri- 
ce;  che  affine  di  consolidare  la  potenza,  e  con  essa  la  sicu- 
rezza pubblica,  venne  ad  impegnare  una  guerra  disastrosa 
pel  sangue  versato  e  pesante  adegui  ceto  di  sudditi:  un  prin- 
cipe che  annientò  le  patrie  leggi,  i  patrj  magistrati  ed  i  palrj 
eostami  per  assimilare  ad  una  sola  norma  il  reggimento  delle 

<  Si  disputava  sulla  possibilità  di  faie  an  encomio  a  Giuseppe  11^  soisa.of'^ 
fendere  la  verilk,  e  colla  dignità  che  conviene  ad  un  sacerdote  che  park  in  chiesa. 
Per  prova  ne  ho  fallo  questo  breve  saggio.  Un  pittore  che  sappia  bene  la  sue  arte^ 
i^oglie  il  bello  anche  delle  65onomie  deformi,  fa  cadere  destramente  le  ombre  sulle 
pani  k  più  sconcie,  e  forma  una  bella  faccia,  che ^  il  riuatto  d'un  viso  odioso. 


40  ORAZIONE   FUNEBRE  PER   GIUSEPPE  SECONDO. 

Provincie  tutte ,  varie  di  costume,  di  clima  e  di  linguaggio: 
un  principe  insomma  che  prevenuto  dalla  morte  prima  che 
avesse  condotte  a  termine  le  sue  idee,  lascia  la  monarchia 
appoggiata  a  interinali  e  non  ancora  consolidati  nuovi,  siste- 
mi invisi  alla  moltitudine ,  è  un  argomento  delicatissimo  a 
trattarsi  coir  elogio  da  questa  cattedra  di  verità.  Gomone^ 
mente  gli  uomini  polenti  furono  i  fautori  de'  disordini  pub- 
blici, e  chiunque  volle  procurare  il  bene  della  massa  del  ge- 
nere umano,  offese  i  magnati,  i  quali  per  essere  fedeli  ed 
affezionati  al  monarca,  amano  di  possedere  una  frazione  di 
sovranità,  colla  quale  {Hombano  sul  popolo  infelice,  ignaro 
della  vera. cagione  dell'infelicità  che  soffre.  Quindi  i  rifor^ 
malori  ebbero  sempre  a  soffrire  l' odio  dei  pochi  potenti,  e 
non  furono  mai  ricompensati  dai  molti  popolari  che  benefi- 
carono, 0  che  avevano  in  cuore  di  beneficare.  I  pochi  aomini 
privilegiati ,  quei  che  esaminano  prima  di  stabilire  i  giudizj, 
quei  che  in  mezzo  al  faticoso  sovvertimento  del  terrepo  samio 
antivedere  la  futura  mèsse,  quei  che  insensibili  ai  clamori 
della  moltitudine,  che  inconsideratamente  echeggiano  le 
Iodi  0  i  biasimi  intuonali  da' grandi,  pesano  il  merito  morale 
dall'intenzione,  come  il  merito  civile  dalla  sagacità de' mez- 
zi, e  non  dal  solo  esito,  talvolta  indipendente  dalla  umana 
e  limitata  prudenza; quei  pochi,  dico,  sono  i  soli  che  degna- 
mente e  con  imparzialità  possono  anticipatamente  giudicare 
del  destino  che  avrà  la  memoria  di  Giuseppe  II  nei  fasti  del 
cadente  secolo*  Frattanto  brevemente  accennerò  i  principali 
oggetti  che  a  parer  mio  debbono  determinare  V  opinione  dei 
saggi,  e  rispettando  la  maestà  del  trono,  ma  più  ancora  ri- 
spettando l'angusta  Immortale  verità,  senza  fiele  e  senza 
adulazione,  senza  timore  e  senza  speranza ,  presenterò  on 
epilogo  dell' operosissimo  suo  regno.  Il  fasto,  la  molleziat 
la  voluttà ,  le  insidiatrici  lusinghiere  arti  che  s' afibllano  in- 
torno ai  troni,  che  vi  attraggono  tutto  il  sugo  vitale  smmito 
dalle  vene  de' sudditi,  che  spargono  un'impenetrabile  neb- 
bia intomo  al  regnante,  nascondendogli  la  pubblica  miseria 
de' popoli,  e  dall'opulenza  de' cortigiani  ingannevolmente 
li  fanno  argomentare  la  felicità  del  suo  regno;  che  allontanano 
dal  monarca  l'uomo  virtuoso  e  1'  uomo  illuminato,  lenden- 


OBAZIONB  FUNBBRB  PBR   QiUSBPPB  SBCONBO.  41 

dogli  sospetla  d' insubordìoazìoiie  la  virtù, e  ridìcola  e  vana 
la  scienza  deUibri;  che  formaDdo  della  corte  un  centro  mas- 
simo dì  riunione  della  avidità,  dell' orgoglio ,  della  frode, 
della  simulazione  e  dì  tutta  la  disastrosa  schiera  de'vizj  ma- 
scherati; con  ipQcrita  ed  ingentilita  forma  corrompono  ogni 
genere  di  bontà,  e  spargono  la  corruzione  gradatamente  sulla 
massa  medesima  della  nazione  ;  tutte  queste  larve  scacciò 
lontane  da  so  Giuseppe  Imperatore.  SemplicissimQ  nel  ve- 
stito, senza  corredo  dì  cortigiani,  senza  formalità  veruna, 
col  solo  necessario  mezzo,  del  quale  ogni  privato  fa  uso,  ei 
scorre  tutte  le  Provincie,  visita  e  riconosce  i  tribunali,  gli 
uomini,  e  persino  gli  ospedali  e  le  carceri;  esamina  lo  stato 
della  più  infelice  parte  dell'umanità,  entra  nella  povera  ca- 
panna del  contadino,  e  come  uomo  parla  all'uomo  suo  simi- 
le ;  di  tutto  s' informa,  tutto  conosce  cogli  occhi  propri  nella 
Lombardia,  nella  Boemia ,  nelle  Fiandre ,  nell'  Ungheria,  e 
nel  Sanato;  in  ogni  più  rimota  parte  il  sovrano  si  presenta 
qual padre  accessibile  a  ciascuno;  paziente,  attivo,  instan- 
cabile, abolisce  le  prosternazioni,  e  le  asiatiche  adorazioni 
de'  popoli  verso  del  monarca.  Non  è  possìbile  rinunziare  più 
al  fasto  di  quanto  fece  il  Sovrano.  Non  le  mense  d'Apicio , 
ma  la  s^ria  e  non  di  rado  trascurata  mensa  di  Pìttagora  ser^ 
vivangli  di  norma.  Parchissimo  nelle  spese  di  sua  augusta 
persona ,  si  considerava  sempre  come  amministratore  del- 
l'erario  pubblico,  non  come  padrone,  ed  aveva  sempre  fissa 
nel  pensiero  la  grande  verità,  che  ogni  spesa  superflua  del 
sovrano  è  una  sQttrazi<Mie  al  bisogno  di  qualche  suddito. 
Tale  fu.  costantemente  il  tener  della  sua  vita,  e  prima  «he 
ascendesse  al  trono,  e  poi  che  vi  sedette.  Non  amori,  non 
Jgeniali  predilezioni,  non  affetto  alcuno  privato  di  benevo- 
lenza 0  d' odio ,  nulla  insomma  di  quanto  seduce  la  umana 
gracilità,  nulla  poteva  accostarsi  all'  animo  di  Giuseppe,  che 
tolto  elevato  e  consacratosi  ali'  augusto  destino  prescrittogli 
dalla  divinità,  tutto  staccato  da  ogni  debolezza,  si  mostrò 
sempre  indipendente  e  imparziale  monarca,  di  cui  la  vita 
pubblica  annientò  quasi  quella  del  suo  individuo. 

Trovò  il  genere  umano  tormentato  dagli  errori,  dall'in- 
giustizia e  dalla  prepotenza  Mali  grandi,  molti  e  dilatati  cq- 

r.  vsftai.  App«ndk*,  4' 


42  ouzioNB  FimniB  Kt  dinsFra 

nobbe  non  essere  possibile  di  gnairìre  se  non  con  impeto, 
con  ardilissinM  sforzo,  con  perseveranza,  e  affrontando  gli 
orti  della  stessa  moltitudine  e  i  perìcoti  d' ona  rìTolorioiie. 
V  esempio  di  Pietro  Czar  di  Moseoria ,  al  qnale  (  non  so  se 
la  ragione  lo  approvi]  si  dà  il  nome  di  Grande,  lampeggiò 
alla  mente  di  Giuseppe  II.  Non  mancagli  vicino  chi  conti- 
nnamente  fino  dalla  gioventù  gì'  inspirasse  nel  enoie  le  mas- 
sime del  governo  della  Bnssia:  sedotto  dall'amore  detta  glo- 
ria ,  lusingato  di  far  bene  alla  generazione  vivente ,  ed  a 
molta  serie  di  ventore;  persuaso  che  basta  al  monarca  il  to- 
lerts  costantemente,  perchè  gli  uomini  a  tutto  si  pieghino; 
nessuno  vi  fu  che  ricordasse  al  buon  principe  ch'egli  bob 
era  più  padrone  degli  uomini,  di  quello  che  lo  fosse  dell'en- 
rio,  o  ch'egli  era  amministratóre  come  dell'erario,  eosi 
delle  leggi,  de' riti  e  delle  opinioni  dei  sudditi;  nessnno  ¥i 
fu  che  gli  ricordasse,  che  è  bensì  vero  che  degli  uomini  se  ne 
può  fòr  molto,  quando  il  legislatore  sapientemente  combini 
i  mezasi  e  disponga  le  opinioni,  ma  falso  che  se  ne  faccia 
quanto  si  vuole  col  semplice  comando  e  colla  forza  ;  la  qoale 
non  die  mai  la  coltura  o  la  felicità  a  verun  popolo,  ma  o 
fece  deserti  i  Regni ,  o  fece  i  sudditi  ribelli ,  o  schiavi  qoai 
mandre  di  bruti,  e  quindi  non  mai  produsse  a  verun  prìn- 
cipe una  durevole  gloria.  Le  circostanze  non  forono  bastan- 
temente favorevoli,  perchè  alcuno  potesse  indurre  tai  pen- 
sieri lielF  animo  di  quel  principe,  e  cosi  gli  Venisse  dubbio 
.  sulla  opportunRà  della  politica  del  Czar  Pietro ,  singolarmente 
esercitata  su  contrade  meno  agresti.  Quindi  amando  ferYi- 
damente  il  bene ,  impaziente  di  superare  gli  ostacoli ,  ani- 
mato della  nobile  passione  d 'essere  il  liberatore  dormali  che 
affliggono  gli  uomini,  avendo  la  sedacente  prospettiva  di 
collocare  il  suo  nome  nel  tempio  dell' immortalità  accanto  ai 
glorio»  principi  che  intieramente  si  consacrarono  a  utilità 
pubblica,  nulla  lo  trattenne  dall'  affrontare  tutti  gli  stenti,  le 
cure ,  le  difficoltà,  i  pericoli  d' una  generale  immensa  ri- 
forma. Sintanto  che  gli  uomini  appoggiavano  i  loro  errori 
alle  antiche  loro  costumanze,  inutilmente  si  sarebbero  sta^ 
cati  i  rami  sempre  ripullulanti  della  vasta  e  poderosa  radice; 
lutto  conviene  distruggere  dove  regni  un  morbo  contagioso, 


OBAZIONE  FUNBBBE  PEB  GiD$BPPB  SCGONBO.  43 

conviene  ridorre  V  aomo  «Ha  ncrdità,  e  coprirlo  poi  con  ab* 
bigliamenti  nuovi  ed  illibati.  Conviene  ridurre  gli  aomìni  a 
dubitare  di  ogm  opinione  per  liberarli  dai  veccbi  pregiudizi, 
e  sulle  rovine  goticlie  distrutte  innalzare  un  regolare  edificio 
della  società.  Questi  pare  ehe  fossero  i  principj  che  diressero 
le  operazioni  del  suo  regno,  principj  che  non  credo-do versi 
adottare  perehò  «stremi,  ma  non  deformi,  in  vista  della  no* 
bìlti  del  fine  che  si  proponeva  ;  felice  dispotismo  quello  che 
seaotendo  la  umanità  giacente  nel  letargo,  la  desta  a  cono- 
scere la  dignità  propria ,  a  foggir  dalla  miseria  per  abbrac- 
ciare la  ragione  e  la.  vitlàl  Nazioni  corrotte,  forza  è  pure 
che  giungiate  all'  ultimo  grado  d' annientamento  per  rinve- 
nire ruUimo  mezzo  che  vi  rimane  onde  risorgere.  Quella 
spiata  ch^  non  è  più  possibile  che  diale  a  voi  medesime,  il 
solo  padrme  ve  la  può  dare.  La  potenza  ecclesiastica  con- 
tenuta; innocenti  vittime,  gementi  per  incaute  promesse  fatte 
per  seduzione  nelFinespérta  età,  richiamate  alla  vita;  sostanze 
dei  poveri  distribuite  con  sapienza  ed  imparzialità  sulle  classi 
più  indigenti,  alberghi  destinati  a  sollievo  dell'  infelice  uma- 
nità, riordinate  le  pene  ai  delitti  proporzionate,  ab(rli(a  la 
tortura,  resa  quasi  obsoleta  la  pena  di  mort^,  prescritto  un 
metodo  invariabile  al  corso  della  giustizia,  aperto  l'adito 
all'  appellazione,  c^bligati  i  tribunali  a  dare  i  oftotivi  delle 
sentenze,  reso  libero  l'esercizio  d'ogni  utile  industria,  at- 
terrati gli  ostaceli  per  la  circolazione  delle  merci,  aperto  un 
facile  adito  pel  ricorso  al  ttono;  ecco  in  breve  i  punti  prin- 
cipali del  maestoso  edificio  che  disegnò  Giufeppe  IL  Ma  come 
eseguirlo  contemporaneamente  ndle  vaste  e  remote  provìa- 
eie?  Forza  era  pure  adoperare  V  opera  di  chi  presiedeva.  GH 
uni,  non  osando  d'affirontare  clamori  da  tanta  sovversione  in 
sepurabifi,  rimostravano  ostacoli  moltiplicati  ed  esagerati 
non  di  rado,  e  talvolta  sognati,  sia  che  preferissero  un  pla- 
cido e  regolare  ad  un  faticoso  ed  incerto  comando,  sia  che, 
come  sogliimo  le  anime  volgari,  nuUa  credessero  buono,  anzi 
noumeno  possibile,  trattone  qiMmto  erano' soliti  a  vedere 
accadere;  e  queste  difficc^  sempre  più  irritarono  l'impera- 
tore, a  superarle,  colla«^ita  energìa  delle  anime  grandi,  che 
più  credono  degno  di  loro  imprese,  quanto  ooao  esse  più  dif- 


44  ORAZIONE  FUNEBBB  PBB  GIDMPPB  »CONDO. 

Ocili.  Altri  presidi  delle  proyincìe ,  ciecamente  adattando 
r  impetaoso  spirito  del  monarca,  aggiangendoyì  T asprezza 
dell'orgoglio,  devastarono, insultarono qaanto  di  manicipale 
rimaneva,  o  nei  magistrati,  o  nelle  leggi,  o  nel  riti  de* po- 
poli, e  cosi  gli  afl&issero  nella  più  cara  e  veneranda  cosa,  ag- 
giungendo il  disprezzo  all'  offesa:  tanto  poco  conobber  gli  oo- 
mini  e  la  politica,  tanto  poco  s' occuparono  di  servir  bene  il 
monarca  e  lo  Stato!  Ah!  se  invece  le  mani  esecutrici,  dirette 
da  un  vero  zèlo ,  e  da  migliore  sapienza ,  celeri  a  spianare 
la  strada  del  bene  voluto  da  Giuseppe  II,  arrestate  si  fossero 
a  consultarlo  e  contraddire  pe'séli  ostacoli  che  la  ragione 
opponeva  per  l'indole  particolare  di  ogni  provincia!  Se  nella 
esecuzione  avessero  mostrato  ai  popoli  il  fine  retto  e  bene- 
fico deUe  operazioni!  Se  con  dolcezza  e  umanità  avessero 
temperati  i  parziali  danni  che  recar  deve  ogni  rivoluzione 
di  siistema,  sebbene  la  più  felice!  Ah!  se  tali  fossero  stati 
quali  essere  dovevano ,  no  che  non  si  sarebbero  ridotte  le 
novità  al  punto ....  ma  volgasi  il  pensiero  a  men  disgastoso 
oggetto,  e  bastino  questi  cenni  perchè  non  s'incolpino  al  mo- 
narca quei  danni  che  furono  dipendenti  non  dalla  soa,  ma 
dall'  altrui  volontà;  giacché  per  eseguire  con  celerità  i  dootI 
sistemi  era  pure  indispensabile  il  lasciare  il  più  ìUimitato  po- 
tere ai  capi,  e  in  un'  estesa  monarchia  non  era  fattibile  a^ 
certare  sempre  la  scelta. 

La  guerra  nella  quale  le  circostanze  impegnarono  ras- 
gusto  re,  fu  un  male  che  non  può  dissimularsi;  ma  l'Unghe- 
ria senza  un  libero  sfogo  alle  sue  derrate ,  gode  di  una  vi- 
ziosa abbondanza,  e  rimane  oppressa  dalla  superfluità  dei 
suoi  prodotti ,  mancandole  i  mezzi  per  procurarsi  le  produ- 
zioni di  altri  climi.  La  navigazione  del  Danubio  sgombra  da 
ogni  ostacolo  può  sola  rianimare  qud  vasto  e  poderoso  Re- 
gno, al  quale  doveva  Giuseppe  la  sua  corona  conservata  io 
fronte  dell' augusta  sua  madre.  Gli  avvenimenti  delle  armi, 
le  combinazioni  dei  gabinetti  possono  antivedersi  prossima- 
mente si,  ma  non  giammai  con  dati  sicuri.  L'esito  non 
sempre  prova  il  merito  del  progetto,  e  la  campagna  ultima 
in  cui  i  nemici  furono  da  ogni  parte  fugati  e  sconfitti,  di- 
mostra che  la  superiorità  delle  armate  europee  a  fronte  delle 


ORAZIONE  FUMEBBB  PER   GIUSEPPE  SECONDO.  45 

asiatiche,  fu  un*  opiDione  ragionevolmente  stabilita.  Ahi 
perché  mai  un  lento  e  irreparabile,  malore,  frutto  delle  ec- 
cessive fatiche  e  del  totale  sacriGcio  che  aveva  fatto  della 
propria  esistenza  per  consacrarsi  allo  Stato;  perchè  mai  nel 
pieno  vigore  degli  anni  viene  a  depravare  gli  umori  vitali 
dell'Imperatore,  e  gradatamente  strascinarlo  alla  tomba 
prima  che  fossero  condotte  a  fine  le  sue  viste  I . . . 

Resistè  egli  bensì  al  languore  del  corpo,  e  vigoroso  e 
attivo  neir  animo  pare  che  quest'  ultimo  fosse  indipendente 
da  quello,  ma  convenne  cedere  al  comune  destino.  Cristiano 
illuminato  e  fermo ,  con  rassegnazione  e  senza  debolezza 
onorò  la  religione  sino  aU'  ultimo  respiro ,  tutti  i  sacri  riti 
riverentemente  bramò  ed  ottenne,  mori  da  figlio  fedele  alla 
Chiesa,  quale  lo  riconobbe  il  sommo  pontefice,  comunican- 
dolo colle  sue  mani  in  Vienna ,  e  preconizzandolo  con  en- 
comio della  sua  religione.  Basta  ciò  a  sgombrare  ogni  so- 
spetto sulla  di  lui  credenza  e  amore  per  la  religione;  la  quale 
appunto,  perchè  gli  era  carissima,  cercò  di  mondare  da  quella 
superstizione,  e  da  quelle  pratiche  aggiuntele  poi  dalla  cu- 
pidigia dei  suoi  ministri,  e  dall' ignoranza  <lei  secoli  passati; 
superstizione,  che  opportunamente  proscritta,  ridurrebbe  la 
santa  religione  cattolica  inacessibile  ai  tratti  che  i  Protestanti 
slanciano  contro  di  lei.  Poco  rimane  di  compito  ed  eretto 
sotto  il  regno  di  Giuseppe,  poiché  la  motte  pre^'enne  l'esecu- 
zione; rimane  però  abbastanza  per  aspettarne  il  bene,  giac- 
ché il  successore  al  trono  non  incontrerà  più  antiphi  pregiu- 
dizi da  affrontare,  e  le  parti  sconnesse  dell'amministrazione 
non  occorrerci  più  di  svellere  per  collocarle  sopra  un  rego- 
lare disegno. 

L'ipocrisia  non  serve  più  di  maschera  al  vizio,  perchè 
è  derisa,  e  la  sapienza  del  nuovo  re  potrà  ricondurre  la  cal- 
ma e  la  felicità  ai  suoi  popoli  affaticati  dalla  sofferta  rivolu- 
zione, e  bramosi  di  pace  e  riposo. 


47 


DECADENZA   DEL    PAPATO, 

IDEA   D£L   GOVERNO   DI  VENEZIA   E   DEGLI   ITALIANI 
IN  GENERALE. 


La  decadenza  rovinosa  del  Papato  sarà  un'  epoca  nella 
storia  del  nostro  secolo.  11  destino  d' ogni  cosa  è  d' avere  il 
suo  periodo,  e  conseguentemente  doveva  pure  questa  potenza 
annientarsi  come  il  Galifato,  o  come  lo  stesso  impero  roma- 
no. Ma  la  ruìna  del  Papato  accadde  con  moto  più  violento 
di  quello  che  suole  condurre  alla  estinzione  la  vecchiezza 
delle  istituzioni  umane.  Credo  perciò  che  oltre  la  legge  uni-: 
versale  vi  sìa  intervenuto  della  colpa  in  chi  reggeva  questa 
potentissima  monarchia,  che  aveva  per  fondamento  igno- 
ranza dei  sudditi,  e  per  anima  la  furberia  degli  ecclesiastici. 
La  potenza  papale  nacque  coir  aver  distaccato  dalla  società 
universale  ì  ministri  dell'altare,  averne  formato  un  corpo 
distinto,  averlo  reso  potente,  e  dato  a  questo  corpo  la  costi- 
tuzione monarchica  la  più  attiva,  e  la  più  intraprendente 
d*  ogni  altra.  La  storia  dei  secoli  bassi  ci  fa  vedere  come 
siasi  operata  questa  progressione.  In  Roma  pagana  e  libera 
non  V*  erano  se  non  che  due  classi  di  uomini,  nobili  e  plebei, 
le  quali  nemmeno  impedivano  la  promiscuità.  Un  Romano 
vestiva  il  saio  e  andava  a  combattere,  vestiva  la  toga  e  sie- 
deva  in  senato  e  perorava  pe'  clienti,  o  intercedeva  ne'Co- 
mizj  presso  del  popolo;  prendeva  il  lituo  ed  offeriva  le  vitti- 
me ne' tempj:  Cicerone,  Cesare,  Pompeo  erano  sacerdoti, 
comandanti,  consoli,  tribuni  della  plebe,  senza  essere  pri- 
vatamente  incorporati  a  verun  ceto.  Da  noi  invece  gli  ec- 
clesiastici fanno  un  corpo  separato  affatto  dalla  società,!  mi- 
litari parimenti,  i  giurisperiti  pure  lo  fanno  quanto  è  loro 
possibile,  mancando  de' due  potentissimi  mezzi,  timore  delle 


48  DECADENZA  DEL  PAPATO  EC. 

pene  eteme  e  timore  delle  armi ,  co'  qaali  i  dae  altri  ceti 
acquistarono  consistenza.  Cosi  discendendo  per  grado ,  que- 
sto spirito  di  corpo  invase  tutte  le  professioni  a  segno ,  che 
persino  i  maestri  di  ballo  in  gualche  città  ottennero  di  ra- 
dunarsi e  formare  nn  corpo  colla  facoltà  di  proibire  ad  ogni 
uomo  che  non  vi  fosse  d' insegnare  a  ballare. 

Tutti  i  mestieri  cosi  si  formarono  in  tanti  corpi  isolali 
aventi  i  loro  statuti,  la  loro  giurisdizione,  i  loro  prìvilegj 
esclusivi,  ec.  Un  cittadino  è  una  minima  frazione  della  città, 
un  artigiano  è  una  maggior  frazione  del  ^uo  ceto.  Conse- 
guentemente ogni  uomo  s*  avvide  che  era  più  importante 
la  sua!  influenza  nel  ceto,  ch^  non^ella  città.  Consegaen- 
teménte  si  affezionò  al  ceto  più  che  alla  città;  e  gr in- 
teressi del  corpo  a  cui  si  trovava  ascrìtto  ,  immediatamente 
appartenendogli  più  davvicino,  si  rese  indifferente  al  citta- 
dino r  interesse  universale  della  città.  Quindi  le  città  diven- 
nero un'  associazione  non  più  dì  uomini,  ma  di  corpi,  iqnali 
in  masse  più  o  meno  grandi  urtandosi  per  vane  direzioni, 
ora  apertamente,  ora  con  industria  covando  i  loro  progetti, 
mantennero  una  sorda  guerra  civile  a  danno  del  tolto. 
Quindi  gli  ecclesiastici  si  considerarono  come  altrettanti  fo- 
restieri indifferenti  per  il  ben  essere  della  città,  ed  occupati 
della  propria  indipendenza  ed  autorìtà.  I  militari  pronti  ad 
opprìmere  e  scannare  i  loro  cittadini,  ed  a  porre  il  fuoco  aDa 
patria  non  furono  meno  indifferenti. 

I  curiali  impadronendosi  delle  pubbliche  amministra- 
zioni e  delle  cariche  civili,  poco  curanti  del  ben  essere  della 
città  ^  vegliarono  per  ammucchiare  prerogative,  onori  e  ric- 
chézze a  quel  ceto,  a  cui  si  conoscevano  debitori  della  im- 
ponènte persona  che  rappresentavano,  come  arbitri  delie 
vite  e  delle  fortune.  L' ecclesiastico  ricusò  di  obbedire  ai  tri- 
bunali, ricusò  di  concorrere  ai  tributi;  il  miUtare  ebbe  la  sua 
distinta  giurisdizione  ed  i  suoi  privilegj.  La  città  divenne  on 
annnadso  di  altre  piccole  città  indipendenti  e  rivali.  Tale  fo 
lo  spirito  creato  e  cresciuto  nei  secoli  tenebrosi,  e  continuato 
fino  al  secolo  presente.  Roma  grande  e  felice'  non  conobbe , 
come  dissi,  si  fatta  organizzazione;  ogni  cittadino  serviva 
indistintamente  la  patria  alle  armate,  nel  senafo,  nei  sagri- 


DECADBMZA   DEL  PAPATO   EC.  49 

ficj,  e  perciò  gì' imperatori  volendo  consegnare  la  somma 
potenza  nelle  loro  mani,  s' intitolarono  pontefici  massimi^ 
consoli,  trìboni  della  plebe  e  comandanti  generali,  ossia  im» 
peratorì.  In  Roma  allora  ogni  cittadino  amava  -soprattutto  1 
vantaggi  immediati  della  sua  famiglia ,  ed  in  seconde  ì  van- 
taggi della  patria.  Oggidì  tatto  V  entusiasmo  che  era  collo- 
cato perla  patria,  lo  sfogano  verso  il  corpo  cui  sono  imme- 
diatamente ascritti,  ed  io  credo  che  per  ritornare  alla  feli- 
crtà  ed  aHa  gloria  convenga  ritornare  agli  antichi  princiiy,  e 
distruggere  albtto  t[aeste  associazioni  di  mestieri.  Il  ceto  ec- 
clesiastico erolla,  e  da  ^anto  ha  già  perduto  prevedo ,  che 
finirà  colP  essere  annientato  o  reso  di  nessuna  importanza  ; 
resta  il  ceto  militare  contro  di  cui  sinóra  nessuno  ha  osato 
di  combattere.  Yeraméiite,  ad  esaminarlo  bene^  questo  ò  il 
più  vile  corpo  che  «a  nella  società;  poiché,  se  consideriamo 
il  soldato  comune,  conosceremo  che  un'  armata  è  composta 
dalla  feccia  ddla  nazione,  o  da  canaglia  cavata  daHe  carce- 
ri, o  da  schiavi  a  forza  ascritti ,  o  da  oziosi  e  spensierati 
che  nella  crapula  ubbriacati  furono  condotti  ad  un  commis- 
sario per  ascriversi  alla  milizia.  Gli  ufficiaci  poi  comunemente 
SODO  cadetti,  perciò  mancanti  di  educazione  e  di  talento ,  i 
quali  per  vivere  indossano  V  abito  militare;  la  parola  magica 
deir  onore  é  quella  che  indora  questa  putredine,  ma  niente 
é  meno  sensato  che  l'uso  di  questa  parola  colla  milizia  dei 
tempi  nostri.  Ognuno  comprende  essere  generosa,  nobile  ed 
onorata  azione  V  esporsi  coraggiosamente  ai  perìcoli  per  la 
salvezza  della  patria,  per  difesa  del  proprio  principe,  per 
servigio  dello  Stato.  Ma  il  vedersi  sgherro  prezzolato,  pronto 
ad  uccidere  chiunque  sènza  discernimento  alcuno ,  il  sotto- 
mettere sé  stesso  alle  catene  ed  alle  bastonate,  il  far  in  una 
parola  il  mestiere  del  mercenario'  assassino  e  carnefice,  non 
ha  connessione  veruna  coir  idea  d'onore.  I  soldati  sono  veri 
schiavi  sforzati,  il  rifiato  della  società,  il  sostegno  della  ti- 
rannia, e  r  obbrobrio  dell'  uman  genere  per  il  loro  mestiere 
e  costume.  I  filosofi  hanno  fatto  sgombrare  la  nebbia  che 
attorniava  il  santuario,  e  non  hanno  sioora  intrapreso  d'aprire 
gli  occhi  del  pubblico  sul  preteso  onore  dell' attuale  milizia. 
Se  lo  faranno,  anche  questo  ceto  si  annienterà ,  perchè  la 

t.  VERRI.  Appwdiee,  5 


53  DECADENZA   DEL  PAPATO   EC. 

forza  condensata  nelle  armate  ha  per  cemento  la  magka  pa- 
rola dell^  onore;  tolta  la  qaale,  e  diventati  i  soldati  od  og- 
getto di  ribrezzo  agli  attri  nomini,  non  vi  sarà  più  alcuimo- 
mo  che  sia  sedotto  ad  abbracciare  un  tal  mestiere;  dovranno 
i  principi  allora  abbandoiiare  V  idea  di  mantenere  in  tempo 
di  pace  tanti  sicarìt  al  loro  stipendio,  e  spargendosi  general- 
mente su  tutta  la  nazione  un'educazione  più  generosa  e  li- 
bera, ogni  qualvolta  per  la  difesa  della  patria-occorra  di  dare 
di  pìglio  alt* armi,  ogni  cittadino  si  presenterà  con  veto  sen- 
timento di  gloria,  e  cosi  si  risparmieranno  alla  società  gli 
orrori  di  tante  guerre  dì  mevo  capriccio,  die  formano  la  mi- 
seranda storia  di  Europa  da  varii  secoli;  e  non  essendo  la 
forza  macchinalmente  ed  automicamente  collocata  in  una 
classe  dì  uomini  ciechi  esecutori  del  comando  dhuntirannOi 
la  ragióne  e  la  virtù  diverranno  il  cemento  che  unirà  il  so- 
vrano col  suo  popolo.  Ma  appena  giova  d'aver  accennale 
queste  idee;  unicamente  rifletterò  chela  distrazione de'corpi 
sembra  inerente  allo  spirito  che  la  filosofia  ha  sparso  gene- 
ralmente; il  che  si  vede  e  nelle  operazioni  che  i  principi  in- 
traprendono sopra  del  ceto  ecclesiastico,  ed  in  quelle  che  in 
alcuni  paesi  si  sono  fatte  coir  abolizione  de'corpi  mercantici 
unicamente  rimanend^o  inlatto  sinora  il  ceto  militare,  forse 
per  mancanza  di  coraggio  di  palesare  su  é*  esso  pare  la 
verità. 

Il  corpo  de'  ministri  dell'  altare  ne'  prho^  tempi  de)  cri- 
^  stianesimo  non  aveva  uè  leggi,  né  vestiti,  né  privilegi  sepa- 
rati. Gli  uomini  ammogliati  erano  amplèssi  a  celebrare  i  mi- 
steri della  religione,  e  per  tal  guisa  il  sacerdote,  che  aveva 
moglie  e  figli,  era  sempre  cittadino  interessato  nel  bene  e 
nel  male  della  sua  patria.  Il  passo  principale  per  formare  on 
corpo  separato  ed  indipendente  dalla  società nniversalefu la 
legge  del  celibato  ecclesiastico,  per  cui  non  si  ordinano  se 
non  se  iionùni  isolati;  e  colle  ricchezze  ammassate  dal  corpo 
ecclesiastico  si  propose  una  fortuna  agli  ascritti,  indipen- 
dente adatto  dal  destino  degli  altri  cittadini. 

Formatosi  cosi  un  tal  ceto  in  ogni  città,  il  papa,  prò* 
fittando  della  debolezza  de' principi  e  della  cecità  de' popoli, 
s'eresse  in  monarca  di  tutti  gli  ecclesiastici,  distribolore 


DECADENZA  DEL   PAPATO   EC.        *  51 

de*  beneficj ,  fonte  d' ogni  facoltà;  e  proteggendo  i  suoi  nuovi 
sudditi  collocati  sotto  j^incìin  diversi,  sostenendo  le  loro 
persone  sacre  e  libere  dall'ordinaria  giurisdizione^  difen- 
dendo la  immunità  loro  da  ogni  pubblico  aggravio,  si  lormò 
eòi  reciproci  interessi  «qa  monarchia  papale  sparsa  bensì  in 
diversi  Regni,  ma  indipendente  dai  re,  anzi  terribile  allo 
stesso  trono  pel  potere  che  esercitava  suir  animo  de' popoli, 
e  colle  confessioni,  e  collo  prediche,  e  più  d'ogni  altro  poi 
colle  scomuniche.  Nàcque  allora  il  Oius  Canonico ,  nacque 
una  giurisdizione  ecclesiastica  collocata  negli  Stati  sovrani. 
Finalmente  sì  piantò  V  Inquisizione,  le  carceri,  i  sgherri,  le 
torture;  s'imprigionarono  i  cittadini  senza  saputa  del  sovrano, 
si  torturarono,  sì  confiscarono  i  loro  beni,  vennero  condannati 
al  supplizio,  si  eseguirono  le  condanne  da  un  ceto  di  cittadini 
che  senza  mutar  città  cambiarono  vestito,  e  si  credettero  non 
solamente  indipendenti  dal  sovrano  medesimo  naturale,  ma 
armati  di  forza  coattiva  indipendente  ancora  da  lui.  Percon- 
Bervare  lungamente  un  sistema  che  aveva  un'  assurdità  in- 
trinseca tanto  evidènte,  era  necessario  che  i  popoli  rimanes- 
sero nelle  tenebre,  col  favore  delle  quali  aveva  potuto  na- 
scere. Per  nome  di  popolo  io  intendo  anche  i  signori',  1  mi- 
nistri, i  sovrani,  tutti  coloro  che  non  hanno  per  norma  della 
loro  vita  l'opinione,  ed  unicamente  escludo  dalla  class» po- 
polare i  pochi  uomini  che  trassero  nascendo  il  bisogno  d'in- 
struirsi,  e  lo  ebbero  costante,  e  fòrte  a  segno  di  superare 
ogni  noia,  ogni  sedutone,  ogni  dlfficdltà.  Questi  uomini  pri- 
vilegiati che  hanno  l'abitudine  di  pensare  ed  il  discernimento 
della  verità,  sono  perseguitati  per  lo  più  mentre  vi vonoj  ma 
coi  scritti  loro  comandano  al  móndo  più  che  lo  può  un  so- 
vrano. I  papi  oonvien  dire  che  conoscessero  questa-  verità , 
poiché  tutti  gli  nomini  di  qualche  merito  nelle  sciena^e ,  nel- 
l' erudizione  e  nelle  lettere  furono  invitati  alla  loro  corte, 
beneficati,  accarezzati,  come  fra  gli  altri  fii  Nicolò  Macchia- 
velli,  il  libro  del  quale  sul  Principe  venne  dedicato  al  papa 
e  stampato  Uì  Roma;  o  fossero  cristiani  o  increduli,  o  costu- 
mati ovvero  libertini,  gli  uomini  che  sapevano  scrivere,  se 
li  tenevano  amici  i  papi,  come  quelli  i  quali,  aprendo  gli  oc- 
chi al  pubblico,  avrebbero  potuto  affrettare  la  rovina  del  gran 


52  '    DECADENZA  DEL  PAPATO  EC 

Colosso  ali'  opinione  appoggiato.  Un  errore  però  commisero 
ì  pa(à,  e  fa  quello  di  permettere  che  il  corpo  stesso  eecle- 
stastico  venisse  diviso  in  corpi,  frati  minori,  frati  dofflenica- 
ni,  frali  agostiniani,  éc.  Infatti  costoro  formarono  un  corpo 
di  opinioni  delle  private  scoole,  e  pretendendo  a  forza  che 
venissero  adottate,  costrinsero  i  papi  ad  incorporarle  nel 
simbolo,  e  quindi  nacque  una  sanguinaria  odiosissima  per- 
secuzione nel  secolo  XIII,  che,  senza  compenso  di  verana 
autorità,  alienò  T  animo  di  mt^lti  dalla  corte  romana.  Ma 
questa  alienazióne  non  poteva  avere  effetto,  sin  taolo  che  i 
popoli  continuavano  neUa  credenza,  che  il  pap%  fosse  nn 
Vice-Dio  in  ier^a.  L*  urto  dei  due  corpi  domenicano  e  ago- 
stiniano apri  la  breccia  fatale  aHa  potenza  pontiGcia,  che 
aveva  già  sofferto  dalle  opinioni  di  Gerolamo  da  Praga,  e 
Giovanni  Hus  incautamente  perseguitati.  Martino  Lutero 
agostiniano,,  sostennto  dal  suo  corpo  pel  quale  combatteva 
sul  noto  artìcolo  delle  Indulgenze,  fu  caguHie  per  cui  grada- 
tamente una  sensibile  parte  d'Europa  si  sottrasse  al  dominio 
papale.  Rimanevano  pur  tuttavia  fbdeli  aUe  antiche  opiniooi 
il  Portogallo,  la  Spagna,  la  Francia,  l'Austria  e  tutta  Italia. 
U  papa  le  circondò  con  un  muro  di  separazione.  Venne  proi- 
bito il  parlare  di  religione,  Tlnquisizione  divenne  attiva  più 
cjb^  mai,  si  proibì  la  lettura  de'  libri  che  in  qualunque  modo 
combaUessero  le  opinioni  romane,  e  con  tal  mezzo  si  con- 
servò r  opinione  de'  secoli  precedenti  nei  paesi  che  rimasero 
obbedienli  al  Papato.  Conveniva  che  la  corte  dì  Roma  soìk 
traccio  antiche  si  teoesse  amici  gli  uomini  sovrani  della 
f>iibblica  opinione  r  cioè  i  pensatori  e  gli  autori  di  merìio; 
ma  abbandonatasi  Roma  ciecamente  ad  un  nuovo  corpo 
ecclesiastico,  che  prometteva  d'essere  la  guardia- preteriaoa 
<lei  Papato,  cambiò  sistema,  e  cdla  persecuzione  oppresse 
chi  avrebbe  dovuto  accarezzare.  I  Gesuiti,  quei  maravigtiosi 
i^'annizzerì  della  sede  romana,  ceto  d'uomini  entusiasti  per 
la  potenza  e  gloria  della  loro  Gompagm'a,  arrogatisi  nel 
cieco  invanimento  di  prospera  fortuna  la  sovraaitÀ  delle  let- 
tere, spinsero  Rèma  ad  opprimere  ogni  letterato  che  alzasse 
la  testa  alla  gloria,  a  meno  che  non  fosse  ligio  ed  alunno  del 
loro  ceto.  Galileo,  Sarpi,  Giannone,  Muratori,  i  più  illoslri 


DECADENZA  DEL  PAPATO  EC.  b^ 

italiani  che  sostennero  l'onore  della  patria,  furono  animosa- 
mente e  crudelmente  persegaitati  da  Roma.  Muratori  do- 
vette la  sua  pace  air  amicìzia  personale  del  buon  pontefice 
Lambertìnì.  Lo  stesso  fecero  i  Gesuiti  anche  nella  Francia , 
prima  col  signor  Fontenelle,  indi  più  malignamente  ancora 
col  signor  Voltaire  e  col  presidente  di  Montesquieu.  L'Italia 
mancando  d' un  centro  dì  riunione  lascia  gli  uomini  di  let- 
tere rari  ed  isolati.  Galileo  tremava  solo  nella  Toscana; 
Gìannone  diffamato  dai  pergami  di  Napoli  fuggivasene  solo 
dalla  sua  patria;  Sarpi  stilettato  a  Venezia,  solo  passeggiava 
col  gìacco  sotto  la  tonaca;  Muratori  solo  nella  Lombardia 
invocava  Benedetto  XIV.  I  Francesi  in  Parigi  si  radunano , 
e  conosconsi  vicendevolmente.  La  persecuzione  che  a  man 
salva  esercitavano  i  Gesuiti  sopra  de'  poveri  Italiani,  non  fu 
loro  possibile  d'esercitarla  in  Francia  impunemente.  Gli  no- 
mini di  lettere  ivi  si  collegarono  e  formarono  una  società 
animata  per  la  difesa  comune.  Si  posero  a  combattere  con 
forze  riunite  quella  superstizione  istessa  della  quale  si  pre- 
valevano i  Gesuiti  per  diffamare  come  atei ,  cattivi  cittadini, 
e  sudditi  ribelli  gli  uomini  che  pei  loro  ingegno  e  sapere  for- 
mavano la  gloria  della  lor  patria.  Da  ogni  parte  si  videro 
verso  la  metà  di  questo  secolo  uscire  libri,  scritti,  poesie, 
storie,  commedie,  tragedie,  romanzi  esposti  con  uno  siile 
chiaro,  interessante,  ameno ,  e  lo  scopo  di  questo  nembo  di 
simili  libretti  fu  lo  smascherare  in  ogni  modo  possibile  l'im- 
postura. Fatti  della  storia  che  si  ignoravano,  perchè  affogati 
nel  fondo  d'immensi  e  noiosi  volumi,  vennero  presentati 
con  grazia  e  leggiadria;  le  persone  di  mondo  colla  piacevole 
lettura  di  tai  scritti  videro  oggetti  nuovi ,  interessanti ,  cu- 
riosi; l'amor  proprio  rese  gloriosi  i  giovani  d'aver  meno 
errori  de' loro  antenati.  Nelle  piacevoli  società  si  andò  spar- 
gendo il  nuovo  lume;  il  frizzante  ridicolo  si  uni  all'evidenza 
per  dissipare  il  prestigio,  la  rivoluzione  delle  opinioni  si 
estese  fino  a'  servi ,  che  resi  curiosi  per  qualche  moto  del 
padrone,  nelle  anticamere  trovarono  piacere  di  leggere  ed 
istruirsi;  i  tribunali,  i  ministri,  i  re  finalmente  vennero 
circondati  dal  nuovo  vortice.  I  Gesuiti  vennero  scacciati  pri- 
ma, e  poi  distrutti;  e  Roma,  il  terrore  un  tempo  dell'Europa, 

P.  ifEBRI.  appendice.  5* 


51  ViJCAWaZà,   »EL  PAPATO  EjC 

sDiaicberala,  aTrilila,  é  ornai  F  osgetlo  de&a  cMnpassioDe 
d*  Eoropa  st^aa.  Se  i  papi  non  aTesscro  permesso  die  vi 
fosse  OD  corpo  ecclesiastico  separato,  a  nio  credere  sarebbe 
(ultora  presso  poco  quella  che  fa,  soltanto  che  avesse  con- 
tiDuaU)  ad  essere  la  proteltrìce  degli  nomini  d' ingesno.  I  li- 
hri  SODO  quei  che  regolano  fl  mondo,  cominciando  dalla 
Bibbia,  dal  Corano,  venendo  aOe  Pandette,  al  Codice,  di- 
scendendo sino  alla  PucelU  i'OrlAau.  Io  credo  che  il  celo 
degli  ecclesiastici  di  ciascun  paese  sarebbe  stato  sempre  di- 
pendente piuttosto  dal  papa,  che  dal  soo  sovrano  naturale, 
senza  bisogno  d' alcon  ceto  di  frati,  perchè  meglio  è  obbe- 
dire ad  on  principe  tontano,  dal  quale  non  si  può  temere 
oppressione,  che  ad  uno  nelle  mani  di  coi  viviamo,  e  che  ci 
poò  opprimere:  meglio  é  .vivere  sotto  1*  obbedienza  di  colui 
che  ci  preserva  da  ogni  tributo,  e  che  ci  rende  immuni  e  sa- 
cri ,  anzichè.al  sovrano  che  ci  eguaglia  al  restante  del  po- 
polo. L'interesse  dell'ecclesiastico  francese,  spagnaolo,  te- 
desco, ec.,  era  di  mantenersi  suddito  della  monarchia  poB- 
tiflcia.  I  sovrani,  i  ministri,  i  magistrati,  non  vanno  a 
scavare  eertamente  negli  archivj  e  nelle  biblioteche  la  ori- 
gine ddle  opinioni,  né  hanno  ozio  o  voglia  di  diventare 
fìtosofi.  Se  Roma  si  teneva  benèvola,  ì  filosofi  e  i  re,  i 
magistrati  e  i  ministri  e  tatto  il  mondo  avrebbe  perseverato 
a  portare  la  soggezione  pontificia ,  e  considerare  la  propria 
sovranità  dipendente  da  Roma;  la  quale  poi  era  un  asilo 
aperto  a  tolti  gli  nomini  di  qualuoqoe  nazione,  i  quali  col- 
ringegno  potevano  farvi  una  fortuna  assai  maggiore  di  qaeUa 
che  loro  poteva  dare  il  sovrano.  La  rovina  di  Roma  è  od 
danno  per  T  Italia ^  giacché  perdiamo  con  lei  ogni  influenza 
neir  Europa,  e  ciascuno  di  noi  perde  la  patria  comune  in 
cui  era  lecito  di  fare  la  nostra  fortuna.. Il  fratismo  è  stato  la 
cagione  di  questa  rovina,. e  il  fratismo  è  una  unione  d'infe- 
lici che  menano  una  vita  meschina  e  schiava,  radunati  per 
seduzione ,  privi  d  -  ogni  sentimento  di  patria  e  di  famiglia , 
che  troverebbero  la  felicità  se  venissero  liberati ,  ed  in  ciò 
sono  esattamente  nel  caso  de'  soldati. 

La  massima  che  ho  accennata  rispetto  ai  corpi  politici t 
pare  che  i  sovrani  la  travedano,  almeno  rispetto  ai  corpi 


DECADENZA   DEL  PAPATO   tC  ^^ 

militari.  Per  quanlp  sia  vanlaggioso  il  sistema  delle  legioni 
proposto  da  varj  scrittori,  osservo  che  perseverarono  i  prin- 
cipi a  tenere  le  loro  milizie  divise  in  reggimenti  tutt*  al  più 
di  tre  mila  uomini  ciascuno.  Osservo  inoltre  che  nemmeno 
.sogliono  tenere  unito  questo  corpo;  ma  la  terza  parte  sola- 
mente; ossia  un  battaglione  viene  collocato  distante  dagli 
altri  due,  per  centinaia  di  miglia.  Osservo  che  nelle  promo- 
zioni si  cerca  di  balzare  da  un  reggimento  air  altro  Tufficia- 
le,  in  guisa  che  ciascheduno  come  accidentalmente  si  trovi 
in  quel  corpo.  A  me  pare  assai  avveduto  un  tal  metodo»  e  se 
mai  si  lasceranno  sedurre  i  sovrani  a  formare  masse  grandi 
di  milizia,  e  costantemente  unite  sì  che  acquistino  uno  spi- 
rito di  corpo,  lo  Slato  dipenderà  dalle  legioni  e  non  dal  mo- 
narca; il  quale  ha  bensì  mezzo  di  deprimere  ad  uno  ad  uno 
i  piccioli  corpi,  qualora  volessero  usar  della  forza  collocata 
nelle  loro  mani,  ma  non  cosi  F  avrebbe  contro  il  determi- 
nato volere  delle  legioni,  le  quali  innalzerebbero  e  deprime- 
rebbero il  sovrano  a  lóro  talento. 

In  mezzo  alle  rivoluzioni  dello  Stato,  Venezia  ha  una 
costituzione  che  merita  Tesarne  d'un  politico,  poiché  è  il 
solo  Stalo  che,  poco  più  poco  meno,  si  conserva  da  tre- 
dici secoli  senza  aver  sofferto  nemmeno  veruna  interna  ri- 
voluzione, e  senza  che  alcuna  nazione  forestiera  sia  mai  ve- 
nuta a  sottometterla.  Moltissimo  deve  attribuirsi  alla  situa- 
zione fisica.  La  costanza  però  del  suo  interiore  governo ,  io 
rattribuisco  a  ciò,  che  la  vera  sovranità  vi  è  ristretta  in  cin- 
quanta famiglie,  neHe  quali  vi  è  illegalmente  limitata.  Ciò 
non  descrivo  per  amore  d*un  paradosso,  ma  perchè  mi  sem- 
bra una  verità;  per  modo  che,  se  a  Venezia  la  sovranità  si 
esercitasse  da  chiunque  vi  ha  diritto  legittimo,  Venezia  ri- 
marrebbe un  ammasso  disabitato  di  scogli:  se  tutti  quei  che 
hanno  diritto  legittimo  alla  sovranità  rinunziassero,  e  legal- 
mente ne  investissero  quelle  50  famiglie  che  si  passano  il 
comando,  Venezia  pure  a  mio  credere  sarebbe  distrutta. 
Ecco  come  io  ho  cavata  questa  idea:  la  sovranità  di  quella 
aristocrazia  è  collocata  nel  ceto  di  tutti  i  patrizj  scritti  nel 
libro  d*  oro.  Suppongasi  800  famiglie ,  6Ò0  delle  quali  com- 
poste di  nobili  tormentali  dall'  inopia  ed  allevati  senza  sen- 


56  DECADENZA  DEL  PAPATO  EC. 

tìmenli,  senza  principi ,  in  gaisa  (ale,  che  se  qualche  por- 
zione della  forza  pubblica  venisse  mai  depositata  nelle  mani 
loro,  le  sostanze,  la  vita,  Toner  medesimo  dei  cittadini  ver- 
rebbero esposte  al  saccheggio,  alla  rapina,  al  yitapero;  e 
converrebbe,  o  che  la  città  rimanesse  ^bandonata,  o  chei 
cittadini  opponendo  forza  a  forza,  sconvolgessero  lacoslila- 
zione,  e  rinnovassero  la  repubblica.  Ma  come  impedir  mai 
che  an  si  gran  numero  di  membra  sovrane  non  eserciti  mai 
alcune  delle  magistrature  in  cui  sia  collocata  porzione  della 
forza  pubblica?  Non  v'  é  che  un'  aperta  violenza  che  possa 
rendere  per  tal  modo  soccombente,  e  sempre  soccombente  il 
numero  maggiore  di  un  corpo  aristocratico,  e  questa  vio- 
lenza aperta  é  quella  apfitonto  che  si  esercita  dal  terribile 
triumvirato  degli  Inquisitori  di  Stato.  Al  momento  in  cui  qual- 
cuno dei  nobili  minori  ardisca  alzar  la  voce  per  rivendicare 
a  sé  o  al  ceto  suo  I  diritti  della  costituzione,  ad  un  cenno 
solo  degli  Inquisitori  di  Stato  scompare,  e  passa  a  gemere  la 
libertà  perduta  in  un  carcere,  separato  per  sempre  dal  com- 
mercio degli  uomini.  Questo  odiosissimo  tribunale  dispotico, 
che  non  ammette  difese,  che  non  palesa  l'accusatore,  che 
inappellabilmente  dispone  della  vita  di  ciascuno,  è  l'unico 
mezzo  per  contenere  col  terrore  la  folla  scostumatissima  dei 
poveri  nobili.  Un  partito  solo  potrebbe  risparmiare  una  tal 
tirannia,  e  sarebbe  quello  d'escludere  per  sempre  con  un 
sol  colpo  dal  corpo  della  sovranità  le  membra  indegne  di  ri* 
manervi,  e  collocarle  nella  classe  suddita;  ma  allora  aUe  fa- 
miglie che  veramente  esercitavano  il  potere  mancherebbe  il 
freno,  che  ora  le  tiene  obbedienti  al  comun  bene.  Se  i  nobfli 
potenti  abusassero  del  poter  loro,  oggidì  il  ceto  de' nobili 
minori  alzerebbe  le  grida,  e  queste  verrebbero  accompa- 
gnate da  quelle  di  tutta  la  città;  allora  la  costituzione  ver- 
rebbe inalberata  come  lo  stendardo  della  pubblica  sicurezza, 
ed  il  ceto  eletto  sarebbe  forzato,  a  norma  deiroriginarìa  forma 
repubblicana,  di  accomunare  la  condizione  propria  a  quella 
di  ciascun  altro  nobile.  Questo  è  il  bene  che  fanno  i  BcBrM- 
boli;  sono  essi  lo  spauracchio  dei  nobili  eletti,  come  grio- 
quisitori  di  Stato  lo  sono  Si'Bamàboii  singolarmente.  Tale  è 
a  parere  mio  il  modello  di  quel  sistema  che  pare  assurdo 


DECADENZA   DEL   PAFATO  EC.  {^7 

agli  occhi  di  ciascuno  per  la  tirannia  dell'  Inqaisizione  ;  ma 
che  però  produce  od  governo  caro  ai  cittadini ,  ed  ana  co- 
stante uniformità  che  non  ha  esempio.  Credo  dunque  che  a 
questo  Tizio  debba  Venezia  la  sua  longevità,  la  sua  quiete  e 
felicità  interna,  e  cbe  qualora  si  pensasse  a  limitare  Y  atti- 
vità degli  Inquisitori,  la  sfrenata  libidine  dei  nobili  poveri 
introdurrebbe  immediatamente  un  disordine  tanto  generale 
ed  insopportabile,  che  gli  abitatori  abbandonerebbero  te  iso-* 
leUe  e  cercherebbero  altrove  un  asilo  migliore;  e  se  la  costi- 
iuzione  escludesse  i  nobili  poveri,  il  minor  numero  de*nobiH 
ricchi.,  munito  della  sicurezza  d' un  comando  perpetuo ,  ag- 
graverebbe il  peso  della  sovranità  sopra  del  popolo ,  e  Oni- 
rebbe  lo  Stato,  condensandosi  ben  tosto  il  potere  nelle  mani 
d' uD  solo. 

D*oai]c  viene  mai  che  i  costumi  di  noi  Italiani  sieno 
corrotti  a  segno,  che  per  tutta  l' Europa  omai  sia  una  ver- 
gogna il  dire:  sono  Italiano?  Yerametìte  siamo  screditati  in 
guisa,  che  non  è  possibile  di  esserlo  di  più.  Gl'Italiani  nella 
Germania,  Francia,  Inghilterra  hanno  tante  volte  tradito, 
mancato  di  fede,  uccisio,  fatti  debiti  senza  pagarli,  in  sómma 
tante  cattive  azioni  hanno  fatte,  «he  un  onesto  Italiano,  che 
passi  le  Alpi,  arrossisce  o  freme  per  la  nazione.  A  Vienna 
io  ho  osservato  appunto  che  il  paese  era  fatto  pei  malvagi 
Italiani,  i  quali  sorridendo  ascoltavano  i  rimproveri  razza- 
mente  e  stoltamente  dati  alla  nazione,  e  frattanto  colla  su- 
periorità dei  loro  pervertito  ingegno  gabbavano  il  Tedesco, 
iaddave  Fltaliano  d'onore,  appunto  impegnandosi  a  mostrare 
candore  ed  onestà,  finiva  coir  essere  gabbato  dal  Tedesco, 
per  sua  naturale  avidità  e  per  rappresaglia,  credendosi  esso 
di  poterlo,  non  che  impunemente,  lodevolmente  fare.  I  fore- 
stieri gei  che  vogliono  girare  V  Italia,  osservano  che  fin  noi 
stessi  siamo  malissimo  d' accordo.  Ci  raduniamo  nelle  con- 
versazioni, e  ciascuno  v'interviene  sommamente  cauto,  co- 
me  frammezzo  ai  nemici ,  temendo  la  interpretazione,  la  di- 
ceria, il  ridicolo.  Una  compagnia  di  amici  ^  una  cosa  non 
conosciuta.  Le  conversazioni  sono  una  riunione  di  gente, 
dove  ciascuno  interviene  j  perchè  vi  si  deve,  ciascuno  vi  si 
trattiene  con  fastidio,  ciascuno  se  ne  parte  con  noia  e  stan- 


58  DECADENZA  DEL  PAPATO  EC. 

chezza:  e  questo  é  ir  fratto  del  costume  cattire,  delllavidia, 
M  disonore,  dell'  iBdi^crela  smania  di  primeggiare,  in  som- 
ma dei  yìzj  ddl'  animo.  Le  lettere  giacciono  nell*  Italia ,  e 
non  tanto  per  V  immediata  oppressione  dell'  Inqnisisione,  la 
quale  si  limita  soltanto  a  parte  dell'  Italia,  quanto  per  l'in- 
vidia letteraria,  per  cui  alcuni  giovani  che  danno  im  vivace 
contrassegno  d'ingegno,  dalla  iìredda  e  maligna  acoogliensa 
de' vecchi  letterati  vengono  avviliti,  o  distolti  dalle  lettere  e 
dal  buon  sentiero,  e  finiscono  poi  coU' opere  o  sfaccendati i 
o  stentati  imitatori.  I Francesi  fanno  l' opposto,  ed  un  giovine 
ritrova  nei  vecchi  illustri,  gli  amici,  i  consiglieri,  i  faotori. 
Il  letterato  italiano  tome  che  s' alzi  alcuno  più  di  lui;  i  lette- 
rati oltremontani  amano  sinceramente  i  progressi  dette  scien- 
ze, amano  la  gloria  nazionale,  e  fanno  agli  altri  quello  che 
amerebbero  venisse  lor  fatto.  Nelle  nostre  famìglie  italiane 
quanta  miseria,  quante  gangrene  celate  per  certa  conve- 
nienza, lodevole  almeno  porchétta  invece  della  virtù  l  Paén 
tiranni  che  per  l'orgoglio  e  l'avarizia  opprimono  i  6gli, 
sforzano  le  figlie  indirettamente  al  carcere  perpetuo  del  mo- 
nastero, lasciano  languire  i  figli  nell'inopia,  temono  che 
acquistino  cognizioni  onde  potete  calcolare  il  valore  paterno. 
Mogli  indifierenti  perla  famiglia,  occupate  nelF adescare 
adoratori,  e  nel  coprire  coli' ipocrisia  allo  sguardo  de'mariti 
la  loro  prostituzione.  Fratelli  che  al  momento  in  cui  si  scio- 
glie colla  bramata  morte  del  padre  il  governo  dpmestico ,  si 
scostano  per  sempre;  figli  oziosi,  giuocatori,  libertini,  inde- 
liitati,  disposti  a  diventare  padri  tiranni.  Ecco  il  miserabile 
prospetto  >ero  e  genuino  della  maggior  parte  delle  famiglie 
nostre,  dove  invano  cerchi  un  sentimento  amoroso  e  conso- 
lante. Tali  sono  i  corrotti  nostri  costumi,  che  un  uomod^ono- 
re,  fermo,  nobile,  franco,  deve  sottrarsi  alla  società  e  vivere 
con  pochissimi.  La  corruzione  nasce  dar  primi  principi.  l}& 
pretucolo  s'accosta  ad  un  fanciullo,  e  comincia  ad  imf»a- 
dronirsi  dell'  anima  di  lui.  Cerca  di  prevìenire  la  ragione 
quanto  è  possibile,  ed  innestargli  netta  memoria  delle  parole, 
|)rima  che  il  fanciuUo  possa  avere  delle  idee.  Queste  parole 
sono  da  credersi,  da  non  intendersi  mai»  da  non  esaminarsi, 
e  guai  se  il  fanciullo  ne  dubita;  s'impallidisce  il  prete,  i 


DECADENZA  DEL  PAPATO   EC.  50 

parenti  rimangono  aconiti,  il  fanciullo  si  vede  diventalo  un 
oggetto  d' orróre  ;  fede,  fede,  fede,  fanaticamente  gli  sì  grida 
air  orecchio,  ed  il  fanciullo  nelle  cose  più  necessarie  della 
vita  avvenire,  della  morale,  della  cognizione  de'proprj  do- 
veri, invece  di  essere  invitato  a  ragionare  ,  a  formarsi 
de' principi,  a  dedurne  conseguenze  pratiche,  invece  di  ciò, 
sgomentato,  stordito,  impara  a  fuggire  ogni  esame  con  ri- 
brézzo, e  ad  obbedire  ciecamente  al  prete.  Crescendo  nel- 
l'età, sempre  più  si  va  rinfor2ando  questa  schiavitù  dell' in- 
telletto. Il"  prete  sopl-à  di  ogni  cosa- va  ripetendo  fed&,  e  fede 
deóa;  indi  impone  varj  esterni  esercizj  di  religione,  ascoltar 
messe,  recitar  rosarj.  Visitar  chiese,  mangiar  magro.  Che  il 
fanciollo  poi  nelle  sue  azioni  sia  nobile  o  vile ,  generoso  o 
interessato,  sincero  o  simulato,  sensibile  o  crudele,  questo 
niente  sì  cura,  purché  «i  pieghi  alfe  pratiche  esterne.  Cosi 
va  vegetandalo  schiavo:  giunge  la  pubertà,  quel  momento 
m  cui  per  una  rivoluzione  meravigliosa  cominciamo  a  rice- 
vere la  spinta  a  produrre  i  nostri  simili;  la  natura  da  ogni 
lato  inquietamente  ci  porta  a)la  voluttà;  l' idea  d' una  donna 
basta  a  darci  un  moto  febrile  nel  sangue;  la  ragione  non 
basta  a  frenare  il  potente  invito  della  fisica,  e  l'anima  del 
giovine  strascinata  nella  ricerca  del  piacere  venereo ^  assorta 
rimane  da  un  delirio  che  lo  trasporta.  Il  prete  insegna  che 
una  sola  compiacenza  in  questi  pensieri,  un  semplice  desi- 
derio rendono  rei  d'interminabile  eterna  dannazione^  R  gio- 
vine nel  momento  di  calma  inorridisce  nel  trovarsi  colpevole 
dell'ira  celeste,  piange,  si  pente;  ma  la  calma  tosto  cede  al- 
l' impeto  del  sangue,  nuovamente  è  sedotto  dalla  voluttà;  un 
pensiero,  un  toccamenta  lo  fanno  ricadere,  e  dì  nuovo  si 
vede  la  spada  divina  pendente  sul  capo.  Dopo  varie  alterna- 
tive ,  convinto  al  fine  di  non  potere  altrimenti  vivere  che 
come  nemico  di  Dio,  ornai  persuaso  che  dalle  eterne  pene 
niente  altro  lo  può  liberare  che  la  vecchiaia,  si  dispera,  e 
conoscendo  che  non  può  camminare  nel  seniiero  della  legge, 
si  volge  al  partita  di  cercare  almeno  tatti  ì  vaniagg!  che  può, 
senza  alcun  ritegno,  sinché  durra  la  vita:  rubare,  tradife, 
assassinare,  avere  un  desiderio  venereo,  sono  tutti  peccati 
classificati  nel  medesimo  ordine  di  mortali  nella  mente  di 


60  DECADENZA   DEL  PAPATO   EC 

qael  giovane;  onde,  poiché  si  trova  nella  necessità  di  e&sere 
peccatore,  niente  v'  é  d'assordo  fra  la  scelta  d' uno  di  que- 
sti. Ecco  in  qaal  modo  V  Italiano  viene  allevato  ai  delitti. 
L' abaso  della  confessione  poi,  la  fallace  speranza  nelle  pra- 
tiche d'atto  esterno  di  colto,  vi  si  uniscono  a  sempre  piò 
incamminarlo  ndla  scelleratezza.  È  vero  che  nella  Spagna, 
nella  Francia,  ed  in  parte  della  Germania  la  religione  è  la 
medesima,  ma  neH' educazione  popolare  vi  è  anìto  qualche 
principio  di  virtù.  Lo  Spagnoolo  coir  esempio  e  colla  voce 
impara  a  non  macchiarsi  con  acloni  codarde ,  a  mantenere 
religiosamente  la  fede,  a  non  violare  T  amicizia,  ad  essere 
grato  e  riconoscente  ai  beneficj.  Il  Francese  impara  làpofoia 
d* onore  e  la.  legge  a  caratteri  d' oro;  un  uomo  senza  onore  è 
un  vilissimo  rifiato  della  natura-;  chi  si  fida  di  un  nomo 
d' onore  non  deve  mai  pentirsene;  impara  a  diventare  cor- 
tese, gentile  ed  amabile.  Il  Tedesco  dalla  prima  infanzia  im- 
para la  fedeltà  verso  del  principe ,  il  coraggio  ne'  perìcoli , 
acquista  un'  inclinazione  alla  guerra.  I  preti  spagnaoli,  fran- 
cesi,  tedeschi  sono  educati  con  queste  massime  onde  impri- 
mano nelle  menti  dei  giovani,  contemporaneamente  eolle  idee 
religiose,  le  idee  sociali.  Quindi  se  r  impeto  della  gioventù 
conduce  V  uomo  a'  pericoli  della  libidine  ,  e  rompe  il  freno 
alla  religione,  gli  rimane  per6  il  sentimento  della  virtù, 
sente  d' essere  un  peccatore  bensì,  ma  un  uomo  onesto,  nn 
uomo  d' onore,  un  uomo  che  non  ha  violato  i  doveri  sociali, 
e  custodisce  con  tanta  più  cura  V  innocenza  morale ,  poi- 
ché é  la  sola  che  rimane  dopo  aver  perduta  l'innocenza 
religiosa. 

Il  mal  costume  dunque  da  noi  si  propaga  alla  ventura 
generazione,  perchè  non  abbiamo  altro  principio  delle  no- 
stre azioni  che  la  religione,  ed  i  ministri  della  religione  non 
hanno  veramente  né  virtù ,  né  scienza.  La  riforma  d' Italia 
potrebbe  nascere  dalle  operazióni  che  va  facendo  V  impera- 
tore Giuseppe;  conviene  sottomettere  alla  podestà  sovrana! 
preti,  abbassare  l'orgoglio  loro,  ed  aprire  gli  occhi  al  po- 
polo. Fatto  ciò,  tutta  la  cura  dovrà  rivolgersi  ai  seminar], 
non  ammettere  alla  educazione  ecclesiàstica  se  non  giovani 
d'animo  sensibile,  delicato,  riflessivo,  di  contenzione  nello 


DECADENZA  DEL  PAPATO  EC.  61 

studiose  di  placidezza  nel  carattere;  dar  loro  ana  colta  eda- 
eazione ,  di  cai  la  base  sia  la  morale  pratica,  e  la  cognizione 
della  storia  ecclesiastica.  La  generazione  attuale  non  si  muta; 
tutta  la  speranza  sta  nelle  ventare.  Ma  per  cambiare  V  in- 
dole d'an  popolo,  an  principe  solo  é  poco;  vi  vuole  un  sé- 
guito di  principi  che  camminino  tutti  suiristesse  tracce, 
poiché  la  generazione  vivente  opponendosi  alla  riforma  della 
crescente,  sempre  le  imprime  buona  parte  de'vizj  suoi,  e 
cosi  ci  vuole  ana  gradata  diminazione  di  vizio  per  quattro  o 
cinque  generazioni. 

L' imperatrice  .Maria  Teresa  aveva  una  pessima  opi- 
nione degr  Italiani,  e  credeva  che  noi  Milanesi  fossimo  av- 
versi alla  dominazione  di  lei ,  e  sempre  disposti  all'  opposi- 
zione ai  di  lei  ordini,  ingrati ,  scostumati,  tergiversatori  ;  e 
in  conseguenza  ella  aveva  per  principio  di  tenerci  bassi,  I  mi- 
nistri fomentarono  questa  opinione,  poiché  tanto  meno  si 
dava  retta  alle  pubbliche  querele,  e  tanto  maggiore  autorità 
conveniva  che  il  monarca  affidasse  al  ministro  pretore  di 
una  tale  provincia. 

Un  sovrano  accorto  deve  allontanare  da  sé  quel  mini- 
stro che  gr  insinua  diffidenza  verso  il  suo  popolo.  Il  popolo 
naturalmente  ama  il  proprio  sovrano,  e  gl'interessi  sono 
scambievoli  fra  V  uno  e  Y  altro.  Il  malvagio  ministro  semina 
la  diffidenza,  rende  odioso  il  sovrano  alla  città,  e  la  città  a 
lui,  come  il  malvagio  domestico  fa  nascere  e  coltiva  la  di- 
scordia, affine  di  pescare  nell'acqua  torbida. 

Quello  che  v'  era  di  più  curioso  é  che  il  ministro  che 
era  alla  testa  del  nostro  paese,  dopo  dieci  anni  non  lo  cono- 
sceva, e  credeva  di  buona  fede  ano  spirito  avverso  nel  po- 
polo, che  singhiozzando  correva  nelle  chiese  per  impetrare 
la  vita  di  Maria  Teresa  minacciata  dal  vainolo.  Ciò  acca- 
deva perché  alcuni  segretarj  s' erano  impadroniti  degh  af- 
fari, e  impaurivano  il  conte  di  Firmian ,  supponendogli  d'es- 
sere in  mezzo  ai  serpenti;  egli  sì  appiattava  nella  sua  bi- 
blioteca, inaccessibile  a  tutti  i  ricorsi  ;  e  se  talora  v'era  l'uomo 
fortunato  al  segno  di  parlargli  col  mezzo  d' una  moneta  al 
cameriere  diletto,  il  parlare  era  superfluo,  perché  rare  volte 
intendeva  un  affare  pel  suo  verso,  e  quand'anche  lo  ìnten- 

P.  VEBRl.  Appendice.  *  0 


62  DECADENZA  DEL  PAPATO  BC. 

desse,  credeva  iUosoria  e  cabala  T  evidenza  medesima.  La 
venuta  a  Milano  del  reale  arciduca  Ferdinando  è  stato  il  mo- 
menlo  in  cui  ebbe  fine  nn  tal  governo;  ma  l' opinione  dél- 
r  imperatrice  non  si  cambiò  mai  più,  fin  cb'  ella  visse.  Con- 
cludendo io  dico,  che  se  v*  é  in  politica  una  massima  senta 
eccezione,  ella  è  questa,  che  chiunque  aliena  dal  popolo  Tani- 
mo  del  sovrano,  o  quello  del  popolo  dal  sovrano,  è  uomo  da 
allontanarsi  da  tutti  i  pubblici  impieghi,  poiché  ha  certamoile 
un  fine  perverso,  se  non  è  uno -sciocco.  Questa  massima  la 
vorrei  stampata  in  un  quadretto  nel  gabinetto  d'ogni  sovrano 
e  d'ogni  ministro,  acciocché  egli  pure  possa  distingaere  i 
suoi  subalterni  ufficiali. 


63 

MEMORIA   SU   NICOLA   PECCI. 


La  sera  del  6  maggio  1788  morì  Nicola  Peeci»  commen- 
datore d^rOrdme  militare  di  Santo  Stefano.  Qaesf  nomo  si- 
gnificò molto  nel  governo  di  Milano  per  lo  spazio  di  22  anni. 
Egli  era  nativo  di  Siena;  poverissimo  gentiluomo  andosscaie 
a  Roma,  e  vi  si  trattenne  nello  stadio  d'un  avvocato,  colla 
speranza  di  trovare  collocamento.  Non  potendo  continuare, 
accettò  d'essere  «canonico  a  Siena,  dove  avendo  fatto  cono- 
scenza con  Miledi  Walpol,  pel  di  lei  mezzo  acquistò  il  fa- 
vore di  Richecourt,  ed  un  picciolo  impiego  in  Firenze. 

L'abate  Giusti,  che  a  Vienna  era  alla  testa  del  diparti- 
^  mento  d'Italia ,  dopo  d'aver  conosciuto  dav vicino  per  molti 
anni  in  Milano  la  tenacità  e  la  prepotenza  dell'  aristocrazia 
lasciata  dai  SpagnuoU»  il  dispotismo  del  Senato,  e  l'ostinata 
o{4posizione  che  s'incontrava  per  ogni  utile  slabìlimentp. 
pensò  di  sostituire  alle  cariche  vacanti  uomini  educati  diver- 
samente, dai  quali  non  aspettarsi  resistenza  per  le  riforme, 
ch'ei  divisava  di  recare.  Chiese  due  Toscani  per  collocarli  in 
Senato,  e  dal  conte  di  Richecourt  venne  nominato  il  signor 
Nicola  Pecci  per  uno  dei  due,  e  cosi  venne  fatto  senatore  circa 
Tanno  1763. 

Il  signor  Nicola  Pecci  era  uomo  d'una  dolce  ed  amabile 
società,  di  carattere  molle  e  voluttuoso,  di  suo  fondo  alieno 
dall'ambizione  e  da  ogni  impeto,  paziente  ma  non  conten- 
zioso nel  lavoro,  avente  idee  chiare  ma  non  sublimi,  uomo 
colto  ma  non  dotto,  di  carattere  soverchiamente  timido  ;  la 
quale  ultima  qualità  contribuì  principalmente  alla  sua  fortu- 
na, renden<k>lo  circospettissimo  nel  discorso,  e  sommamente 
deferente  a  sostener  queir  opinione ,  che  fosse  più  piacevole 
a  chi  fosse  armato  del  potere. 


64  MEMORIA  SU   NICOLA  PECCI. 

Egli  in  Senato,  nella  causa  tra  i  fratelli  Conti  Archetti, 
era  relatore,  e  restò  solo  in  voto,  sostenendo  il  partito  che 
era  stato  favorito  dalla  corte,  e  seppe  simalar  tanto  bene 
nelle  informazioni,  che  malgrado  la  scaltrezza  de' curiali, 
tutti  lo  credevano  d' un  parere  opposto  a  quello  che  ei  pa- 
lesò. Questa  era  una  proprietà  sua  veramente  singolare,  ch'à 
rappresentasse  e  riferisse  le  cagioni  contrarie  con  tolta  la 
loro  evidenza,  senza  artificio  veruno  per  diminuirne  la  fona, 
indi  concludesse  con  opposto  sentimento,  senza  allegare  mo- 
livi valevoli  a  distruggere  le  contrarie  ragioni. 

Era  insolita  la  casualità  del  Senato,  che  un  relatore  ri- 
manesse solo,  e  che  l' unànime  parere  contrario  prevalesse, 
poiché  cautamente  i  relatori  divisavano  le  opinioni  prima 
d'avventurarsi,  e  tacitamente  oravi  la  convenzione  di  valu- 
tar sommamente  l'opinione  del  relatore,  dalla  quale  reciproca 
deferenza  nasceva  il  potere  terrìbile  di  ciascun  individuo  del 
Senato.  Questa  mortificazione  la  diede  il  Senato  al  senatore 
Pecci,  non  saprei,  se  mosso  più  dalla  giustizia,  che  dalla  bra- 
ma di  umiliare  questo  nuovo  senatore,  che  non  aveva  adot- 
tato quelle  esteriorità  di  contegno  spagmiolo,  che  gli  aitrì 
riguardavano  come  sacre  ed  inviolabili,  e  che  lasciava  cono- 
scere d'avere  collocata  la  sua  spefahza  nell*  aderire  al  conte 
ed  al  governo,  anziché  uniformarsi  allo  spirito  di  corpo,  co- 
me aveva  fatto  un  altro  Toscano  di  lui  collega.  Dopo  tal  fatto 
il  signor  Pecci  non  poteva  più  vedersi  in  Sonata,  e  la  vita  di 
senatore,  che  gli  era  da  prima  gravosa  per  la  lunga  e  noiosa 
sessione,  per  le  lunghe  udienze  e  per  le  ore  che  gf  impedi- 
vano la  vita  sociale,  gli  divenne  insopportabile  colia  società 
di  persone  animate  contro  di  lui.  Si  pose  quindi  con  ogni  as- 
siduità a  coltivar  la  benevolenza  del  conte  di  Firmian,  e  non 
dimenticò  di  guadagnarsi  il  suo  cameriere  Giuseppe  Diletti, 
toscano,  facendo  là  corte  alla  di  lui  moglie.  II  segretario  Ca- 
stelli, pure  toscano,  che  aveva  sommo  potere  sull'animo  del 
conte  di  Firmian,  era  stretto  seco  lui  in  amicizia.  In  quel 
tempo  si  pensava  ad  impinguar  l'erario  regio,  togliendo  dalle 
mani  de' privati  le  regalie,  e  restituendole  alla  Camera,  che 
le  aveva  alienate,  o  per  donazione  o  per  vendita,  nei  seeoh' 
precedenti.  Il  conte  di  Firmian  segretamente  incaricò  il 


UEMOaU  SD  NICOLA  PBCCI.  65 

signor  Peccì  di  stabilir  le  massime  per  dar  rimborso  ai  pos- 
sessori, e  le  massime  ch'ei  stàbili,  furono  le  più  favorevoli 
alla  Camera,  e  talmente  ingioste  a  danno  dei  privati,  che  in 
buona  parte  la  corte  medesima  se  ne  diparti.  Qaesto  oggeito 
delle  regalie  stava  molto  a  cuore  ai  fermieri  generali,  e  con 
essi  a  quanti  avevano  parte  al  governo  di  questo  Stato,  giac- 
ché speravasi  di  poter  fare  a  spese  de*  possetsori  delle  regalie 
un  fondo  alla  Camera  di  Milano,  suflSciente  per  mantenervi 
il  reale  arciduca  Ferdinando,  senza  abolirvi  la  ferma.  Quindi 
le  opinioni  del  signor  Pecci  collimarono  cogli  interessi  di  quei 
che  avevano  maggior  parte  nel  destino  del  Milanese;  alla 
utilità  delle  sue  opinioni  si  accoppiava  la  placidezza  delle  sue 
maniere  decorosamente  officiose,  e  quindi  ottenne  d'essere 
liberato  dalla  vita  senatoria,  erìgendo  una  nuova  Commissio- 
ne^ e  facendolo  capa  del  collegio  fiscale;  e  questo  fu  il  primo 
passo,  ch'ei  fece  probabilmente  senza  altro  disegno,,  fuori 
che  quello  di  sottrarsi  ad  una  vita  dura  ed  incomoda. 

L'idea  di  questo  collegio  fiscale  era  aderente  a  quella 
della  redenzione  delle  regalie.  Pareva  cosa  ragionevole,  che 
il  fisco,  ossia  la  regia  Camera,  dovesse  essere  diretta  con 
principi  stabili  ed  uniformi,  e  non  variabili  secondo  le  opi- 
nioni di  ciascun  avvocato  fiscale;  i  quali  essendo  più,  e  cam- 
biandosi, ed  operande  ciascuna  da  sé,  e  dipendendo  dall'  ar- 
bitrìo  del  presidente  il  chiedere  il  suo  voto  pi4  all'  uno  che 
all'  altro  di  essi,  ora  opinavano  in  un  modo,  ora  in  un  altro, 
con  una  variabile  giurisprudenza.    • 

Si  pensò  quindi  a  fare  un  capo,  di  questi  fiscali,  ed  a 
dargli  un  capo  da  cui  solo -dipendesse  commettere  un  affare, 
e  che  avesse  facoltà  di  correggere  e  cambiare  le  opinioni 
degli  avvocali  fiscali,  prima  che  fossero  presentate  ai  tribu- 
nali. Questa  odiosa  commissione,  che  limitava  l'arbitrio  dei 
presidenti,  e  che  degradava  gli  avvocati  fiscali,  sottoponen- 
doli nel  loro  ufficio  alla  censura,  cercò  il  signor  Pecci  in  qual- 
che modo  di  compensarla,  facendo  eleggere  dalla  corte,  col 
titolo  di  aggiunti  al  collegio  fiscale,  varj  giovani  i  quali  lo 
assistessero,  e  del  successivo  collocamento  dei  quali  egli  ebbe 
cura.  Pecci  amò  di  collocare  varj,  e  riuscì  a  beneficare  molti 
cittadini,  il  che  formògli  un  partito  di  persone  a  lui  affezio- 

P.  TERRI.  appendice.  ^  0* 


66  HBMOBU  SD  NICOLA  PBCCI. 

na(e,  eh'  ei  seppe  conserTarsi  c^a  pacatezza  del  sao  natu- 
rale. 

Ma  qnesta  nuova  istif azione  non  potè  reggere,  e  quindi 
nel  1771,  air  occasione  che  il  eonte  di  Firmian  lo  condusse  a 
Vienna,  qoal  nomo  di  sua  confidenza,  per  sistemare  le  cose 
per  r imminente  residenza  del  reale  arciduca  in  Milano,  yo- 
lendosì  abolire  il  nuovo  collègio  fiscale,  convenne  fare  nna 
promozione  di  Pecci,  che  fu  fatto  consultore  di  governo  per 
gli  afikri  di  giustizia.  Era  concertato,  che  due  consaltori  as- 
sistessero al  governo,  quantunque  i  riguardi,  che  Tatigiista 
Maria  Teresa  aveva  per  H  vecchio  consultore  Silva,  avessero 
posto  nel  piano  tre  consultori,  Silva,  Pecci  e  Cristiani,  da  ri- 
dursi in  due  soli  alla  prima  vacanza.  Péeei  e  Cristiani  crede- 
vano certamente  di  rimaner  soli,  ed  il  destino  invece  li  ha 
gettati  i  primi  nella  tomba,  vivendo  attualmente  il  consaltor 
Silva  colla  sua  mente  vegeta  air  età  di  96  anni. 

Dacché  fu  consultore,  il  cavaliere  Pecci  si  guadagnò  T ani- 
mo della  reale  arciduchessa,  non  meno  che  del  reale  arcidu- 
ca. Non  ebbe  più  commissioni  odiose,  e  colla  sua  placidezza, 
e  colle  sue  maniere  gentilmente  dignitose,  éi  s'acquistò  la 
benevolenza  di  molti.  Cambiò  il  nome  della  carica,  ed  in  uno 
di  quei  sistemi  di  corto  perìodo,  che  succedevano  Tono  al- 
Taltro,  fu  chiamato  segretario  di  Stato.  Quindi,  abolita  tal  ca- 
rica, fu  vice-presidente  del  consiglio  governativo,  nella  qua! 
carica  mori. 

Egli  mancò  di  ogni'  energia  si  di  mente,  che  d'animo.  I 
nemici  dèi  conte  Verri  avevano  ordita  la  trama  di  perderlo 
sotto  il  piissimo  regno  di  Maria  Teresa,  col  farlo  comparire 
autore  del  lunario  eh'  ei  non  aveva  fatto,  e  nel  quale  si  vole- 
vano trovare  delle  empietà,  che  non  v'erano.  11  signor  Pecci 
secondò  questa  trama,  nella  quale  si  voleva  anche  involgere 
Paolo  Frisi,  e  qualche  altro  giovane  di  merito  del  paese.  Non 
ebbe  ripugnanza  alcuna  il  signor  Pecci  di  dar  l'opera  sua  a 
tal  raggiro,  che  terminò  poi  con  la  disapprovazione  della 
corte  sulle  procedure  fatte  dal  governo,  e  colla  derisione 
delle  poche  persone  sensate,  le  quali  facilmente  colla  sem- 
plice lettura  del  lunario  conobbero,  che  non  partiva  daBa 
penna  afia  quale  si  voleva  attribuire. 


HBMOUA  SO  NICOLA  PBCCI.  67 

Volevasi  dal  partito  gesuitico  collocare  il  padre  Boscho- 
vlch  a  Milano^  dove  insegnava  la  matematica  nelle  scuole 
palatine  il  padre  Frisi,  che  il  signor  Pecci  aveva  trattato,  e 
conosciuto  In  Toscana,  ed  ei  pare  si  prestò,  non  senza  simu- 
lazione, ad  esegnirB  nn  tal  progetto,  che  dalla  corte  poi  fa 
riflutato.  Peoci  doveva  la  saa  fortuna  al  conte  Firmian  ;  eppwre 
egli  sottoscrisse  un  progetto  alla  corte  per  levare  tutta  Tan- 
torità  dalle  mani  del  sao  benefattore,  e  dividerla  con  Cristia- 
ni. Queste  sono  macchie  del  suo  carattere,  il  qoale  aveva, 
come  dissi,  la  debolezxa  e  la  timidità  per  base;  quindi  non 
aveva  né  yiolente  ambizione,  né  violeiite  cupidità  di  guada- 
gno, né  violente  invidia ,  od  odio  violento,  uè  opinione  al- 
cuna ch'ei  fosse  disposto  a  sostenere  con  energia:  ma  occu- 
pato timidamente  di  visite  private  e  personali,  ei  beneficò 
alcutil,  perchè  sentiva  d'aver  bisogno  d'appoggi;  ma  non  si 
avventurò  mai  per  far  bene.  Non  si  lasciò  corrompere,  o  com- 
prare da  alcuno,  ma  prendendo  la  croce  di  Santo  Stefano, 
si  rese  capace  di  avere  pensioni  ecclesiastiche,  e  ne  ebbe; 
sicché  alla  fine,  tutto  compreso,  soldo  e  pensioni,  aveva  da 
due  mila  zecchini  annui  da  disporre.  Egli  però,  da  uomo  sa- 
vio, fu  sempre  misurato  nelle  spese,  nel  vestito,  nell'equi- 
paggio, e  neir  alloggio  giunse  appena  nei  limiti  della  decen- 
za, e  si  erede  continuamente  soccorresse  i  suoi  parenti  in 
Toscana,  il  che  ridonda  in  elogio  del  suo  cuore. 

Consideranda quest'uomo  come  ministro,  egli  merita  di 
essere  riposto  nel  numero  dei  volgari,  senza  grandi  vizj,  e 
senza  grandi  virtò.  Egli  non  aveva  amore  pel  ben  pubblico  e 
per  la  giustizia,  e  non  conosceva  la  vera  gloria,  ma  nem- 
meno era  prepotente,  né  persecutore.  Ei  cercò  di  promuovere 
i  buoni  sludj  nella  università  di  Pavia,  e  vi  contribuì.  Non 
so  poi,  s'egli  sia  stato  colpevole  di  dare  alle  dispute  teologi- 
che quella  importanza,  che  le  fa  primeggiare,  e  che  prepara 
al  secolo  venturo  una  schiera  di  fanatici  :  inclinerei  a  discol- 
parlo, perchè  egli  era  sciolto  dai  vincoli  della  superstizione, 
e  superiore  agli  errori  volgari  in  questa  materia.  Un  anno 
prima  di  morire,  si  guadagnò  la  benevolenza  pubblica  con 
pochissima  fatica;  e  questo  fatto  prova  piuttosto l'abbiezione 
dei  Milanesi,  che  l'eroismo  del  signor  Pecci. 


68 

Eia  parlila  per  Hom  a  sìSMr  cMrfe  di  Wìbnà  I 
Siro  plewp^leuam  ;  «neva  Pmcì  ala  testo  del  emn» 
dd  MìtoMe.  Usa  ffttdfa  di  «Idali  ìafaidi,  CM  iB  Mm 
Cfasi  Mirala  la  Mih—  cri  tHalt  di  prifce,  per 
ìa  pace  ed  ia  aniiae  la  cillà:  par  pria»  essrdto 
eoitaa  aferaaa  baaloBala .  Tarii  ciUadBi,  e  Tateraanche 
oMfaao  per  le  strade  di  noUe  potesse  caaiarc.  La  città  fie- 
avra,  i  fi^  paMdìei  raceoalaTaBO  i  tanatti,  che  sDonu 
sirìlappaf  aao  nelle  Fiandre  aastrìaehe  centra  le  aorità  ;  Pecd 
eonuuidè  die  la  poKee  cessasse  di  far  iasaUi,  e  qoeslo  laUh 
rale  sentimento  d'an  nomo  timido,  fa  accolto  comeaBlnllo 
singolare  di  benevolenza.  Non  terminò  però  d'essere  aDa  le- 
sta di  qoesto  paese,  cbe  non  commettesse  on'  azione,  die  bob 
si  saprebbe  a  qoal  principio  attrìboìre.  Una  meretrice  stm 
nella  contrada  di  San  Raffaello  ;  fu  presa  dalla  pctke,  us 
prescelta  essa  sola,  fra  sei  altre  domiciliate  nella  stessa  vl 
11  direttore  della  poUce  fa  di  parere  di  farla  trasportare  per 
un  anno  nel  carcere  di  correzione.  Pecci  approvò  questa  ceo- 
danna,  anzi  la  rése  più  ignominiosa,  aggiungendovi  di  sn 
privata  aatorità,  che  fosse  tradotta  con  appeso  nn  cartello  al 
collo,  radendole  il  capo;  e  questa  sentenza  fo  esegoila  il 
giorno  dopo  la  di  lei  carcerazione,  senza  che  fosse  stala  di- 
fesa, e  senza  la  cognizione  d'alcun  tribunale.  Forse  anco 
Pecci  s'inimaginò  d'indovinare  il  piacere  del  Sovrano. 

Tale  è  la  n»emoria,  che  ha  lasciato  dopo  di  sé  il  signor 
Pecci,  ed  è  stata  esposta  so  qoesto  foglio  senza  amore,  e  sesia 
odio,  nuli'  altro  avendo  in  vista,  che  la  semplice  verità* 


69 
niAftiOGO 

L'IMPERATORE  GIUSEPPE  SECONDO  ED  UN  FILOSOFO. 

{Quantunque  sia  contro  la  verità  della  storia  questo  Dialogo  fra  due 
esseri  che  non  si  accostarono  mai ,  ho  creduto  che  una  tale  fin- 
zione fosse  opporttma  per  illuminare  alcuni  principi  di  politica.) 


Giuseppe.  Ho  viaggiato  più  volte  per  le  mie  provincie, 
ho  attentamente  esaminato  Io  stato  loro,  ed  il  risaltato  con- 
corde di  tutte  le  mie  osservazioni  mi  ha  fatto  vedere,  che  il 
clero,  ì  ministri  ed  i  nobili  sono  tre  corpi  che  opprimono 
Tumanità  e  legano  le  mani  ai  monarchi ,  e  che  non  era  spe- 
rabile una  felice  rivoluzione,  se  non  rimediando  a  questi 
abusi.  Ho  veduto  che  il  clero  è  nn  vero  status  in  slalu ,  che 
r  orgoglio  e  r  interesse  sono  i  soli  principj  che  animano  gli 
ecclesiastici,  e  la  religione  è  un  mezzo,  non  già  un  fine; 
essi  cercano  sempre  T  indipendenza;  vorrebbero  essere  li- 
beri da  ogni  giurisdizione;  le  loro  abitazioni,  i  beni  loro,  le 
loro  persone,  tutto  vorrebbero  sottrarre  dall'autorità  del 
principe,  ed  in  qualità  di  maestri  degli  altri  uomini,  an;i  dì 
nìediatori  fra  gli  uomini  e  la  divinità,  tentano  di  erigersi  in 
arbitri  fra  il  monarca  ed  il  suo  popolo:  per  poco  che  si  la- 
scino fare,  terrebbero  il  sovrano  come  uno  scolare  nella  loro 
tutela.  Pronti  a  commuovere  V  incauta  moltitudine  contro  la 
legittima  autorità,  tosto  che  ella  mostri  vigore,  sappiamo  a 
che  siano  giunti  sotto  un  principe  debole  e  col  favore  del- 
l'ignoranza. 

Il  ceto  dei  ministri  scelti  uno  ad  uno  dal  sovrano  è  pure 
per  abuso  diventato  un  corpo  resistente  al  sovrano  medesi- 
mo ,  non  coiraperta  opposizione  di  cui  è  capace  il  clero,  ma 


70  DUUKK)  FAA  GIU8BPPB  MGOHOO  ED  UN  FlLOSOrO. 

sempre  sodo  Y  apparenza  di  aenrigio.  L' usanza  di  rendere 
perpetue  le  cariche,  e  di  non  rimnoTere  gì' indiTidui  nomi- 
nali senza  on  delitto  ed  on  processo,  ha  fatto  A  che  i  miai- 
stri  sedenti  ne'  collegj  e  tribnnali,  poco  dopo  la  loro  elezione 
dimenticandosi  del  beneficio  s' accostumino  alla  carica,  quasi 
fosse  ereditaria  di  famiglia,  e  qoasi  V  autorità  loro  fosse  una 
parte  della  sovranità  inerente  al  loro  ufficio.  Quindi  gli  ordini 
più  benefici  emanati  dal  trono  indirettamente  si  eladeTtno, 
o  temporeggiando  colle  formalità,  ovvero  rimostrando  gl'ìn- 
convenienti  della  esecuzione,  o  immaginati  o  esagerati.  Da 
ciò  ne  nasceva  che  i  ministri,  invece  d^ essere  esecutori  de- 
gli ordini  sovrani,  e  servitori  dello  Stato,  erano  degenerali 
in  una  classe  d' uomini,  che  limitava  la  sovranità ,  e  si  ar- 
rogava in  personale  utilità  una  maggior  parte  degli  omaggi 
del  popolo,  forse  la  migliore.  La  classe  dei  nobili  poi,  aite- 
vaia  nel  pregiudizio  e  neU'  ignorante  orgoglio  del  gius  feo- 
dale,  avviliva  impunemente  la  più  utile  e  laboriosa  porzione 
de'miei  sudditi  sino  alla  schiavitù,  e  coi  pretesi  privilegi  saoi, 
emanati  dai  secoli  più  tenebrosi,  presentava  un  obice  osti- 
nato a  qualunque  utile  riforma.  Tanto  più  terribili  erano 
questi  abusi,  quanto  che  il  clero,  i  ministri  e  i  nobili  si  riu- 
nivano nel  comune  interesse  di  attraversare  la  potenza  del 
monarca,  e  reciprocamente  si  sostenevano  contro  del  nemico 
comune.  Questo  fu  il  risultato  che  ricavai  dai  miei  viaggi,  e 
dalle  mie  osservazioni. 

Prima  di  ascendere  al  trono,  ebbi  tutto  il  tempo  per 
prepararmi  a  rappresentare  sol  teatro  dell'  Europa  la  mia 
parte.  Dovetti  scegliere  o  di  essere  un  sovrano  dozzinale  de- 
stinato alla  serie  cronologica,  ovvero  di  sbrigarmi  da  qaesli 
nemici.  La  mia  anima  attiva  e  sensibile  alla  gloria,  presela 
seconda  determinazione.  Pensai  al  modo  per  riuscirne,  e  non 
ancora  V  avevo  io  ben  fissato,  quando  ricevetti  il  sommo  po- 
tei^.  Quindi  da  principio  camminai  con  qualche  incertezza. 
Se  fossi  stato  sicuro  di  vivere  per  un  paio  di  secoli ,  e  con- 
servare per  si  lungo  spazio  di  tempo  le  forze  della  mente, 
forse,  per  giangere  al  mio  fine,  avrei  preso  gli  uomini  dalla 
parte  dell'  opinione,  e  colla  pubblica  educazione  preservando 
la  generazione  crescente  dai  pregiudizi  i  ed  iUominaodola 


DIALOGO  FRA  GIUSEPPE  SECONDO   ED  UN  FILOSOFO.  71 

coi  sooi  veri  interessi,  avrei  ridotto  al  discredito  ed  alla  de- 
testazione i  corpi  ecclesiastici,  ministeriali  e  nobili,  a  meno 
che  non  avessero  cangiato  lo  spirito;  ma  la  vita  di  un  so- 
vrano non  è  più  lunga  di  quella  d' ogni  altro  uomo ,  e  ten- 
tando un  tal  mezzo  placido  e  naturale,  o  avrei  lasciato  tutia 
la  gloria  del  fatto  a'  miei  successori  senza  parteciparne,  ov- 
vero avrebbero  questi  incautamente  rotti  i  fili  d*  ogni  mia 
operazione.  Conveniva  venire  ad  una  scossa,  ad  un  generale 
terremuoto,  esporsi  all'odio,  alla  maldicenza,  incutere  spa- 
vento e  timore ,  ed  inalberare  avanti  gli  occhi  attoniti  dei 
sudditi  una  volontà  sovrana  irresistibile,  che  rovesciando  le 
leggi,  i  sistemi  e  le  opinioni  sino  a  quel  punto  rispettate, 
riducesse  gli  uomini  in  uno  stato  di  stordimento  e  d'indiffe- 
renza. Questo  fu  il  mio  progetto ,  e  credo  che  fosse  il  solo 
mezzo  per  ottenerne  il  fine. 

Filosofo*  Ma  quando  avete  cosi  ridotto  il  clero  senza 
autorità ,  i  ministri  senza  condecorazione,  i  nobili  sonica  po- 
tere, ed  il  popolo  senza  leggi  e  sbalordito ,  avete  voi  peiisato 
se  la  morale  pubblica  potesse  reggere  col  clero  ridotto  in 
tale  stato;  se  potevate  aspettare  zelo  ed  affetto  da  ministri 
degradati;  se  nelle  vostre  armate  avreste  conservata  la  buona 
volontà  senza  T aiuto  dei  nobili? 

Giuseppe.  La  morale  V  insegnerà  il  clero,  quando  dispe- 
rando dei  fini  mondani  predicherà  coli'  esempio  e  col  cuore 
la  semplicità  della  religione.  Sono  bastantemente  disingan- 
nato del  preteso  zelo  dei  ministri  :  con  questa  parola  gab- 
bando il  principe  non  cercano  che  V  interesse  loro.  Ho  so- 
stituito a  ciò  un'organizzazione  di  registri  che  gli  obbliga  a 
caminar  diritto.  Per  le  armate  tanto  mi  serve  un  generale 
nobile,  che  di  fortuna.  Sono  opinioni  ridicole. 

Filosofo.  Dubito  assai  di  ciò.  Il  clèro  è  un  ceto  d'uomidi 
soggetti  alle  stesse  passioni  che  agitano  ogni  altro  uomo  o 
ceto  d'uomini:  colla  violenza,  col  disprezzo,  col  sovverti- 
mento d' un  sistema  non  si  produrrà  mai  l' effetto  di  rendere 
quegli  uomini  vestiti  di  nero  più  illibatamente  affezionati  al 
loro  sacro  ministero.  Ciascun  ecclesiastico  considererà  l'epoca 
in  cui  vive  come  quella  d' un  disastro,  si  distaccherà  coll'af- 
fétto  da  quello  spirito  di  corpo  che  costituisce  l' uailbrmitàf 


72  DIALOGO  FRA  GIUSEPPE  SECONDO  ED  UN  FILOSOFO. 

perchè  si  ama  qaella  classe  a  cui  si  è  ascrìtto,  fin  (anloche 
ella  è  onorata ,  e  quando  cessa  d' esserlo ,  qaasi  si  sdegna 
r  uomo  di  trovarvìsi.  Quindi  V  ecclesiastico  perde  ogni  cura 
della  religione ,  volge  in  tal  fondamento  tutti  i  pensieri  a  sé 
medesimo,  alla  fortuna  propria  disgiunta  affatto  dalla  dispe- 
rata fortuna  del  suo  corpo  politico;  diventa,  se  occorre,  dis- 
soluto, scostumato,  imbroglione;  senza  ritegno  si  abbandona 
al  proprio  genio,  perchè  gli  avviliti  suoi  superiori  maneano 
di  mezzi  per  contenere  la  disciplina.  Da  tutto  ciò  necessaria- 
mente/leve nascere  che  la  morale  pubblica  affatto  svapori 
colla  degradazione  di  quelli  che  ne  sono  gli  unici  maestri,  e 
per  conseguenza  il  popolo  dovrà  corrompersi  sempre  più, 
fino  al  segno  di  non  avere  altro  limite  della  improbità  faorì 
che  i  giudici  criminali,  i  quali  saranno  essi  pure  corrotti 
colla  massa  di  tutta  la  nazione. 

Giuseppe.  Veramente  il  clero  ne'  miei  Stati  promoveva 
una  gran  buona  morale I  appena  aveva  l'insegna  d*ana  sfac- 
ciata ipocrisia;  e  questo  era  Punico  omaggio  che  rendeva 
alla  virtù.  Moltiplicate  le  superstizioni^  fomentate ,  promos- 
se; ridotto  a  fasto  e  pompa  de' preti  lo  stesso  culto  della  di- 
viniti, ammassate  ricchezze  a  spese  della  credulità  pab- 
blical...  Questi  sono  gli  oggetti  che  occupavano  il  clero,  al 
quale  realuaente  era  ìndifferentissima  cosa  che  il  costarne 
pubblico  fosse  buono  o  cattivo,  purché  si  portasse  danaro  al 
convento,  ed  alimento  all'orgoglio  sacerdotale. 
\  Filosofo.  Chi  vede  l'oggetto  dal  solo  ^anto  difettoso,  non 
lo  vede  con  esattezza.  Niente  vi  è  di  perfetto  nel  mondo ,  e 
un  monarca  non  deve  mai  immaginarsi  di  togliere  i  mali 
del  mondo,  ma  soltanto  di  ridurli  al  manco  male.  La  que- 
stione è,  se  il  clero  sia  diventato  più  umile,  ossìa  meno  no- 
civo allo  Stato  colla  seguita  degradazione  e  rivoluzione  di 
cose.  Altra  questione  può  farsi ,  e  ciò  è  se  vi  fosse  altro 
mezzo  per  migliorare  lo  stato  del  clero,  come  a  me  sembra. 
Giuseppe.  Vediamo  di  grazia  cosa  avreste  fatto  voi 
Filosofo.  Eccolo.  Avrei  promosso  ai  Vescovadi  uomini  di 
vita  illibata  non  solo,  ma  disfnteressati ,  lìmosìnieri,  nejnici 
del  fasto,  apostolici,  e  capaci  di  parlare  al  popolo  il  linguag- 
gio paterno  ed  amorevole  della  religione.  Avrei  badato  pe^ 


DIALOGO  FRA  GIUSEPPE  SECONDO  ED  UN  FILOSOFO.    73 

che  DeHe  cariche  distìnte  deHa  Chiesa  fossero  promossi  sog- 
getti d'indole  corrispondente,  colti  ed  innamorati  del  culto 
divino.  Sopra  tutto  posta  avrei  tanta  attenzione  di  escludere 
i  caratteri  austeri  e  violenti,  e  data  l'autorità  ai  prudenti, 
miti  e  tolleranti,  che  rendessero  amabili  t  doveri  della  reli- 
gione. A  questi  superiori  ecclesiastici  lasciato  avrei  pienissi- 
ma facoltà  di  punire  con  pene  canoniche  i  loro  subalterni  ; 
non  carcere,  non  multe  pecuniarie;  ammonizioni,  minaccio, 
sospensioni,  interdetto,  espulsione  del  ceto:  ecco  i  cinque 
gradi  di  gasligo  che  avrei  lasciato  in  libero  potere  de'  supe- 
riori. Avrei  però  organizzate  le  cose  in  modo  che  il  capric- 
cio e  V  opinione  di  un  uomo  solo  non  potesse  mai  infliggere 
nemmeno  tai  pene;  ma  che  sempre  fosse  una  congregazione 
ecclesiastica  che  conoscesse  le  cause  di  tal  natura.  I  Parro- 
chi  li  avrei  resi  tutti  amovibili,  e  non  mai  fissi  a  perpetnità, 
conoscendosi  che  la  loro  immovibilità  H  rende  inerti,  orgo- 
gliosi, e  non  di  rado  scostumati.  I  seminarj  soprattutto  poi 
sarebbero  stati  oggetti  di  mia  cura:  essendo  impossibile  la 
correzione  degli  uomini,  e  facile  la  docilità  della  gioventA, 
avrei  posta  ogni  attenzione  neUa  scelta  di  giovani  da  collo- 
carsi nel  seminario,  dovendo  T indole  placida ,  T ingegno 
pronto ,  rinclinazione  allo  studio,  e  certa  nobile  disposiziciie 
di  natura  intervenire  per  primordiale  disposizione,  accioc  ;hè 
nn  giovine  venga  giudicato  abile  alla  educazione  del  semi- 
nario, da  cui  devono  uscire  i  maestri  e  direttori ,  gli  emm- 
plari  degli  altri  cittadini.  Nei  studj  dei  seminarj  avrei  dispo- 
sto che  nulla  v'  entrasse  la  controversia;  che  la  stòria  eccle- 
siastica, insegnata  con  imparzialità,  e  con  essa  le  diverse 
opinioni  nate  nella  Chiesa  fossero  la  principale  occupazione 
de'  studj; e  che  la  teoria  e  la  pratica  delia  vera  morale  fosse 
Tatto  principale  della  religione  dopo  il  cullo  della  diviintà. 
Decenza,  tolleranza,  prudenza,  fraterna  benevolenza,  pro- 
bità, dovrebbero  essere  le  doti  da  coltivarsi;  disinteresse  « 
alienazione  dal  fanatismo,  dovrebbero  incessantemente  ri- 
cordarsi ai  giovaiii  leviti.  Questo  è  quello  che  avrebbe  po- 
tato cambiare  V  aspetto  del  clero,  e  renderlo  più  rispettabile 
e  più  utilew  lo  non  avrei  rotto  con  Roma  per  altro ,  che  per 
ottenere  la  libertà  di  far  questo,  e  di  porre  moderatamente 

t.  TEftftl.  Appendict.  7 


74  DIALOGO  FRA  «IDSBPPB  SECONDO  JtD  UN  FILOSOFO. 

lìmite  a  taale  vUtime,  monaclie  e  fratt ,  che  merilaYano  ri- 
fonna;  mar  con  minore  violenza. 

filusep!^.  Io  era  sdegnato  della  prepotenza  ecclesiasUca, 
che  voleva  non  solamente  la  indipendenza ,  ma  il  comindo 
nei  miei  Statile  che  da  perì  a  pari  intendeva  di  eontenderia 
e  garrir  meco.  Con  nn  colpo  ardito  ho  fatto  in  polvere  quel 

C<>l0S80« 

Filosofe.  E  avete  fatto  in  polvere  U  costqme  dei  vostri 
popoli,  rendendoli  incerti  come  lo  vanno  sulla  retigiene, Un 
monarca  non  deve  operare  mai  perchè  «degnalo.  Ogài  atto 
di  sua  volontà  porta  influenza  su  molti  milioni  d*  aomìiii. 
Dopo  maturo  consiglio  devesi  operare,  antivedendo  coHa 
fredda  ragione  le  conseguenze  d' ogni  novità.  Le  grandi  ia- 
trai^ese  vogliono  bensì  impeto  nella  esecuzione^  ma  debbono 
essere  precedute  dal  dohbio  e  dall'esame  tranquillo.  I  popoli 
perderaum  il  costume,  diventeranno  iodiSerenti  per  la  n- 
Uf  ione,'  non  avranno  altra  connessione  col  sovrano  che  la 
ft»na,  e  se  i  ministri  ed  S  militare  acquistano  questi  gradi, 
sarà  in  perìcolo  la  sovramtà  de*  vostri  successori. 

Qiusepp^.  Per  questo  poi  toccherà  ad  essi  il  pensarci: 
quanto  a  me,  non  ne  ho  punto  inquietudine ,  e  sodo  certo 
che  come  il  clero  non  osa  più  credersi  indipendente,  cosi 
nemmeno  i  ministri  ardisccmo  più  di  considerarst  coireg- 
g^iti  meco,  ma  si  conoscono  meri  esecutnrì  dei  miei  co- 
mandi. 

Filosofo.  È  vero  che  i  ministri  sono  avvHitì,  che  il  loro 
ufficio  è  diventato  precario  ed  ìnceHo,  che  tutti,  quando  ri- 
cevono lo  stipendio,  tremano  .che  ciò  non  sia  per  raltim 
volta,  e^he  prima  di  esporre  la  loro  opinione,  badan  bene 
per  minuto  alla  fisonomia  dei  loro  presidenti,  per  non  dispia- 
cer loro ,  perché  da  essi  dipende  il  destino  diciaschèdoBo; 
ma  nessuno  ha  impegno  perchè  riescano  fremente  i  auoTÌ 
regolaoientì,  a  nessune  preme  nel  «eereto  del  suo  cuore  h 
gloria  e  la  felicità  del  vostro  regno ,  ciascuno  opera  aaica- 
mente  quante  basta  per  eontinoare  nello  stipendio. 

6iu»0ppe.  Aggiungete,  opera  dritto,  òpera  senza  aili- 
trk),  dà  corso  agli  a£Eari,  serve  insomma  e  non  comanda. 

Fi(oao/b.  Cioè  tutte  le  carte  sono  segnate  con  nameii 


MÀLOfiO  FKA  GIUS»»  8KCOIIIK»  B9  CN  FlLQSWa  W 

proigresflivi,  e  nan  se  ne  fa  disper^om;  Mte  le  propo^mni 
sono  genite  e  si  manctanaalla  censara.  Ma  non  scmo  sincere 
le  propo8Ì2ìoni,  né  sincere  le  spedkìonì;  tutto  è  serrilmente 
curvato,  e  la  ingenua  opinione  nessuno  osa  pidesaria,  dipen» 
dende  il  tutto  dal  dìspolismo  inimitato  del  vostri  presidenti, 
i  quali  tanto  pia  a  man  salva  operano  per  caprìccio ,  quanto 
me^io  s'ammantano  eoi  forzato  parere  dei  loro  consigli. 
L' organizsaaione  d' un  dicastero  è  un  bene  sicuramente  ; 
ma  è  un  bene  secondario,  essendo  il  primario  bene  la  bucma 
veloBtà,  la  rettitudine  ed  i  lumi  de' ministri^  le  quali  pro- 
prietà vogUmie  necessariamente  una.non  pericolosa  indipen- 
denza ndle  opinioni.  Se  il  presidente  vuole  un' ingiustizia,  il 
eondgiiere  deve  saerìficare  la  sua  morale,  ovvero  la  sua  ca- 
rica j  e  non  è  buon  sistema  il  costituire  gli  uomini  in 
questa  alÉemativa,  in  cui  la  morale  sari  sempre  sacrificata. 
^tfiMf^.  Ho  conosciuto  gli  uomini  abbastanza;  non  vi 
è  ìdtro  commercio  fra  il  sovrano  ed  il  suddita,  che  falsità! 
Nei  dispacci  sempre  il  monai:ca  pària  dei  suoi  amatissimi 
popoli,  sempre  del  suo  paterno  amere;  nelle  loro  rimostranze 
i  sudditi  impilati  sempre  parlano  del  loro  z^o,  pronti  a 
sacriicare  tutto  per  il  loro  padrone.  Pia  ridicola  commedia 
di  questa  non  v'  è.  Uno  comanda,  gli  altri  obbediscono.  Uno 
pensa,  eseguiscono  gli  altri.  Ecco  i  veri  rapporti  genuini, 
che  unicamente  sì  debbono  trovare  fra  il  sovrano  ed  i  mi- 
nistri: se  .questi  ultimi  s'ingerìdcono  nel  eamando ,  se  viene 
loro  voglia  di  pemsare ,  è  sempre  a  spese  del  sovrano ,  ed  il 
loro  zelo  ò  veramente  dì  fare  il  loiro  privato  interesse. 

Filòsofo.  La  virtù,  dioesi,  sta  ripesta  fra  due  estremi; 
e  fra  due  ^stremi  parimenti  stanno  le  verità  morali.  Errore 
è  il  credere  facilmente  ai  sentimenti  che. ci  vanta  chi  ha  bi- 
sogno di  noi:  enrore  è  il  credere  che  nessuno  da  noi  dipen- 
dente p96sa  avere  sentimenti  per  noi.  Nessuna  organizza- 
zione antomaticn  produrrà  mai  un  effetto  paragonabile. al 
servizio  reso  col  cuore ,  e  con  sincero  ed  ingenuo  interessa* 
mento;  ed  é  men  male  Tessere  qualche  volta  dehisi  da  un 
mentito  ed  ipocrite  zelo,  di  quello  che  sia  lo  spegnere  agni 
sentimento  d' affètto  ne'  nostri  servitori.  Non  é  possibile  che 
un  monarca  pensi  solo  a  tutto  nella  vasta  sua  monarchia: 


à  per  sngsenigli 

per  medificaRo 

emanati  dal  trono  soBe  aon  pre- 


Ghueppe,  Cerlamente  eoA  deUiono  fare,  e  peggio  per 
cesi,  ee  non  lo  fìuioo;  me  ne  sbrigo  da  nn  momento  all' al- 
tro, iero  ad  essi  la  carica,  il  soldo,  e  serrano  d'esempio. 

FilMofo.  L' esempio  ìneote  timore  bensì;  ma  leloed  af- 
fello  non  mai 

Gimtqtpe.  Ed  il  timore  è  appunto  il  solo  canto ,  per  tm 
si  troTa  la  slrada  di  andare  al  coore  d'4>gni  nomo.  Tatti  sono 
sensibili  al  timore,  pochissimi  all'  eroiismo,  che  osmi  è  eoa- 
fermalo  nei  libri  dei  romanxi  e  nei  poeau.  I  don  GfaiseSoUe 
sono  rari. 

Fikuofo,  Il  timore  £a  che  mi  ministro  operi  il  meno  che 
può,  e  ponga  in  vedala  quanto  opera  il  più  che  pnè,  e  serva 
senza  alcun  interessamento,  per  avarìxia  e  per  bisogno.  Cer- 
tamente da  una  mandra  di  schiavi  non  vi  è  perìc<^  che  il 
monarca  trovi  contraddixione  ai  sooi  voleri.  Comandi  agli- 
pure  dì  mettere  il  fuoco  alla  città,  che  s' armano  di  fiaccete 
e  la  inceneriscono;  ma  questa  deca  obbedienza  è  roTinosa 
per  la  gloria  del  monarca,  e  per  i  suoi  mteressi.  L'abuso 
del  potere  dei  ministri  meritava  riforma;  i  tribunali  gladi- 
ziarj,  che  ad  arbitrio  disponevano  deHa  vita  e  delie  sostanze, 
dovevano  essere  contenuti,  e  limitati  ad  amministrare  gio- 
stizia  regolarmente  coli' appoggio  delle  leggi;  dovevano  es- 
sere ridotti  a  servire  lo  Stato,  non  a  signoreggiarìo.  I  medici 
sono  fatti  per  gli  ammalati,  e  non  gli  ammalati  per  i  me- 
dici; ma  degradandoli,  spogliandoli  di  ogni  esteriore  conde- 
còlrazìone,  riducendoli  al  semplice  meccanismo,  rendendola 
loro  situazione  precaria  e  dipendente  da  un  mero  capriccio. 
le  cose  sono  state  portate  ali'  estremo  opposto  vizioso.  Non 
si  farà  né  il  bene  del  prìncipe ^  nò  il  bene  dello  Stato,  poi- 
ché alla  lunga  tutte  due  queste  cose  sono  una  sola  cosa. 

Giuseppe.  Un  buon  piede  formidàbile  militare  renderi 
sempre  formidabile  e  rispettata  la  potenza ,  e  sarà  garante 
dell'  esecuzione  de'piani. 

Fihsofo.  Resterà  a  vedere  qoal  caso  col  tempo  si  potrà 


DIALOGO  FBÀ  eiCSnWB  SECONDO  BD  UN  PltOSOVO;         77 

fare  di  questa  miiìkfa.  Il  popolo  naseénte  non  è  pia  conte- 
nqto  >  né  dall'  imponenle  corredo  della  religione  »  né  dalla 
pompa  stessa  del  monarca  «  che  non  ha  virioto  nemmeno  es- 
sere debitore  ai  popoli  di  quella  ereditaria  iirusione.  Uomini 
plebei,  allevati  così  senza  prìncìpj  esenra  contegno,  s'arro- 
leranno  soldati  o  per  forza  ò  per  volontà.  Naturalmente 
formeranno  la  opinione,  che  un  uomo  vale  un  altro  uomo, 
e  che- il  fantaccino  ed  il  monarca  sono  due  uomini.  Con  que- 
sta idea  chiara  io  monte  dovranno  essi  esporsi  alla  miseria , 
alla  mutilazione,  ai  disagi,  alla  morte  per  obbedire  ad  un 
altro  uomo,  che  gli  dà  un  nero  pezzo  di  pane  ed  un  pezzo 
di  bue  al  giorno  per  mercede,  e  li  bastona  e  li  incatena 
senza  risparmio.  Avranno  per  loro  condottieri  uomini  plebei 
innalzati  per  grazia  alla  milizia,  i  quali  commettendo  una 
viltà,  qualora  vengano  anche  scacciali,  nulla  perdono  ritor- 
nando alla  primiera  loro  condizione.  In  verità,  che  una  tale 
milizia  noi!  sarà  tanto  sicura,  quanto  quella  che  unita  col 
giuramento,  cimentata  dai  doveri  di  fedeltà  imposti  dalla 
religione,  animata  dagli  ufficiati  nobili,  che  soffrendo  insie- 
me coi  soldati  gì'  incommodi  ed  1  pericoli ,  col  loro  esempio 
autorevole  loro  rendono  i  mali  più  leggieri,  gloriosa  di  ser- 
vire ad  un  monarca,  la  di  cui  grandezza  si  comprende  coU'ap- 
parato  e  colle  insegne  inseparabili  dalla  sacra  sua  persona , 
non  ardis.ce  nemmeno  di  paragonare  sé  stessa  colla  potenza 
quasi  divina,  a  cui  obbedisce. 

Giìtseppe.  Aiìdaie  a  viaggiare  la  Moscovìa,  esaminate  que- 
gli eserciti  che  hanno  posto  in  pericolo  imminente  Federico  li 
e  l'Impero  Turco,  e  vedrete  se  le  vostre  ideesieno  la  verità, 
ovvero  speculazioni  di  filosofo  che  non  conosce  gli  uomini. 

Filosofo,  Conosco  la  Mosco  vi  a.  So  che  ivi  più  d'una  ri- 
voluzione anche  in  questo  secolo  ha  sparso  il  sangue  del  le- 
gittimo monarca,'  per  collocare  sul  trono  un  nuovo  padrone. 
So  che  queir  Impero  presenta  sterminati  deserti,  somma  mi- 
seria e  schiavi  abbrutiti.  So  che  queir  Impero  è  una  vera  de- 
corazione da  teatro,  che  da  lontano  fa  comparsa,  e  veduto 
da  vicino  ò  un  meschino  mobile.  Chi  prende  per  modello 
quella  autocrazia,  deve  temerne  gli  effetti.  L'imitazione  è 
sempre  dannosa.  Montesquieu  ha  dimostrato  che  i  regolamenti 

P.  yZMA.  Appendice.  V 


78       DUUMO  FftA  cmsBm  ncomia  s»  dm  nLosovo. 

debbono  essere  direni  sotto  efimi  diversi.  Pietro,  ebe  cbiti- 
man  a  torio  il  grande,  e  tale  non  è  che  per  i  ykj  grandi  e 
imponenti»  «  propose  capriociosamente  per  modello  T  Olanda, 
paese  mancante  di  terra,  e  repubblicano.  Chi  si  proponesse 
Pietro  e  la  lioscom  per  modello,  rìscbierebbe  d'andare  in 
rovina,  spopolare  lo  Stato,  e  lasciare  an  nome  infansto  dopo 
di  so. 

Giuseppe.  Basta,  ho  fatto  nn  colpo  ardito  ;  ho  roTesciato 
(otti  gli  antichi  sistemi;  erano  fabbriche  vecchie  sema  mi 
buon  disegno  ;  se  i  noovi  edificj  cadranno,  avrò  sempre  fatto 
il  bene  di  aver  tolta  dagli  nomini  radoranoné  succhiata  col 
latte  per  le  ereditate  chimere,  avrò  sèmpre  spianata  la  strada 
per  le  utili  riforme  ;  nna  crisi  violenta  era  il  solo  mezzo  per 
liberare  i  corpi  politici  dalle  antiche  malattie. 

Filotofo,  Forse  da  questo  disordine  ne  potrà  venire  nn 
bene.  Londra  è  debitrice  al  funesto  incendio  del  1666,  d'es- 
sere una  città  ben  fabbricata.  Lisbona  è  abbellita  dopo  il  ter- 
remoto del  1775.  Ma  non  per  questo  un  incendio  ed  un  ter- 
remoto sono  un  beneficio.  Forse  le  generazioni  venture  ne 
staranno  mèglio;  ma  con  questo /or^e  la  generazione  attuale 
tutta,  senza  alcun  forse^  ne  soflVe  il  danno. 


79 


PENSIERI  DI  UN  BUON   VECCHIO, 

CHE  NON  È  LETTERATO. 


Io  non  ho  mai  cercata  la  verità  nei  libri.  La  maniera, 
nella  quale  io  ho  cercalo  di  scavarla,  è  il  mio  cervello.  Ho 
esaminati,  molto  i  miei  pensieri,  paragonandone  gli  uni  agli 
altri,  e  mi  sono  talmente  abituato  in  questo  lavoro,  che  non 
potrei  vivere  senza  di  questa  occupazione.  I  cambiamenti 
maravigliosi,  violentissimi,  accaduti  nella  Lombardia,  mi  co- 
stringono a  scavarne  la  miniera  dal  mio  cranio  su  queir  ar- 
gomento. Eccovi  buonamente,  cari  miei  patriotti,  quel  che 
ho  potuto  trovare  col  mio  travaglio  ;  ve  lo  presento  senza 
pretensione,  e  spero  che  possa  contribuire  a  portar  lume  so- 
pra degù  oggetti  importanti  che  ci  stanno  d'intorno. 

Per  vivere  tranquilli  e  sicuri,  bisogna  che  siamo  nelle 
mani  di  uomini  dabbene,  cioè  di  uomini  giusti,  caritatevoli, 
e  che  abbiano  una  buona  testa  ;  cosi  la  penso  io.  Posto  ciò, 
ho  fatta  riflessione  che  quando  un  sovrano  pretende  d'esser 
padrone  di  uno  Stato,  tutti  gli  abitanti  di  quello  Stato  sono 
nelle  mani  dei  ministri  che  nomina  quel  sovrano.  Ora  la 
scelta  dipendendo  dall'opinione  di  un  uomo  solo,  il  quaìe 
non  ha  né  tempo,  né  voglia,  né  modo  per  conoscere  il  me- 
rito de' soggetti,  la  scelta  stessa  deve  cadere  sulle  persone 
bene  spesso  men  capaci,  e  meno  buone.  L' uomo  dabbene  e 
che  abbia  una  buona  testa,  naturalmente  si  tiene  lontano 
dalla  corte.  Son  troppe  le.  umiliazioni,  son  troppo  ributtanti 
i  sacrificj  in  quei  dorati  recinti  ;  e  l' uomo  retto  non  é  orgo- 
glioso bensì,  ma  sente  la  propria  dignità,  e  non  può  piegarsi 
a  tollerare  l' abbiezione.  I  cortigiani  in  massa  sono  gente,  o 
divorati  dalla  smania  di  figurare  senz'  alcun  merito,  ovvero 
sono  pieni  di  debiti,  e  non  di  raro  di  delitti  ;  e  questo  mi- 


80  PENSIERI  DI   ON  BUON   VECCHIO, 

serabile  sialo  dell*  aDimo  loro  è  quello  che  li  costringe  a 
starsene  con  faccia  ridente,  é  sommessa,  neU' abituale  ado- 
razione del  sovrano  ;  a  trangugiare  con  serenità  i  bocconi 
più  amari,  a  non  avere  altra  opinione  fuori  di  queUa  che 
conduce  alla  fortuna.  Ivi  un  animo  fermo  e  robusto  dee  es- 
^  sere  odiato  :  un  animo  candido  e  leale  deve  esservi  deriso  : 
un  animo  sensibile  vi  passerà  per  imbecille.  Vidi  e  conobbi 
anch*  io  le  inique  corti, 

Avea  ragione  il  Tasso.  Ora  dico  io:  e  come  sarà  mai  pos- 
sibile che  il  destino  di  un  popolo  stia  in  buone  mani,  quando 
la  scelta  dei  ministri  si  farà  da  una  corte  o  mediatamente  o 
immediatamente?  Sarà  un  prodigio  o  un  mero  azzardo  se 
verrà  scelto  un  uomo  dabbene;  anzi  le  cariche  pubbliche  si  da- 
ranno a  preferènza  a  chi  saprà  meglio  guadagnare  con  som- 
messioni  e  con  ogni  sorte  di  bassezza  11  favore,  a  chi  meglio 
saprà  mascherarsi  con  un'aria  di  bonarietà,  e  questo  quando 
il  principe  sia  buono;  ma  laddove  sia  un  violento  dispotico, 
la  insensibilità  per  i  mali  pubblici,  e  l'ardita  esecuzione  d'ogni 
volere  del  sovrano,  saranno  i  titoli  per  essere  prescelti.  L'ani- 
ma di  un  carnefice  farà  fortuna.  Ecco  come  ho  ragionato  io 
senza  allri  libri;  e  per  primo  principio  ho  trovato  che  un  paese 
non  può  star  bene ,  se  non  è  in  buone  mani ,  sempreché  la 
scelta  si  debba  far  da  una  corte. 

In  qual  modo  adunque  potrà  una  provincia  veder  collo- 
cato il  suo  destino  in  buone  mani?  Quai  sono  gli  uomini  che 
Bàetìtano  d"  esser  collocati  negl*  impieghi  pubblici?  Mi  sono 
posto  a  scavar  nella  miniera  del  mio  cervello,  lenendo  dietro 
questi  due  fili,  e  ho  trovalo  che  l'opinione  del  popolo,  qualora 
non  sia  emanata  per  sorpresa  da  alcuni  ardia,  ma  venga  pla- 
idamenle  manifestata,  quella  opinione  emana  da  un  giudice 
competente.  II  popolo  rare  volte  s'inganna,  quando  ha  da 
giudicare  sulla  probità  di  un  uomo,  e  suUa  fiducia  che  meri- 
ta, e  sa  benissimo  farne  la  scelta  fra  i  suoi  concittadini, 
co"  quali  è  avvezzo  a  convivere.  Ogni  uomo  disappassionato 
considera  per  buon  cittadiAO  colui  che  non  fa  debiti,  e  sa  mi- 
surarsi onoratamente  (jolle  proprie  facoltà  ;  che  grato  ai  bc- 
neficj,  con  rispetto  e  ainore  ricompensa  il  padre  e  la  madre 
delle  cure  ch'ebbero  per  lui;  colui  che  lontano  dalle  risse, 


CHE  NON  È  LETTERATO.  81 

dal  gìaoco,  dalF  nbbriachezza,  dal  libertinaggio,  egualmente 
che  dall'ozio,  impiega  il  suo  tempo  senza  danno  -altrui.  Il 
popolo  conosce  Y  uomo  caritatevole,  umano,  benefico,  e  ét- 
gno  del  titolo  di  buon  cittadino  ;  insomma,  il  senso  morale 
del  popolo  abbandonato  tranquillamente  a  sé  medesimo,  non 
s' ingannerà  che  ben  dì  raro  nella  scelta  degli  uomini  per  ì 
pubblici  impieghi.  Non  sarà  buon  giudice  il  popolo  sul  me- 
rito letterario,  perchè  a  ciò  non  basta  il  semplice  e  nudo  buon 
senso;  ma  siccome  il  nudo  buon  sensio  è  giudice  competente 
della  moralità  delle  azioni,  cosi  il  giudizio  popolare,  qualora 
non  sia  sedotto  o  precipitato,  sarà  sempre  retto,  rispetto  alla 
moralità.  Se  dunque  i  pubblici  impieghi  verranno  dati  col 
libero  e  tranquillo  giudizio  del  popolo,  noi  saremo  in  buone 
mani. 

Vado  ricercando  nel  mio  cervello  come  mai  il  giudizio 
del  popolo  possa  non  essere  libero  e  tranquillo  ;  e  trovò  che 
nelle  adunanze  popoHuri  vi  si  mischiano  degli  uomini  arditi, 
provveduti  di  robusti  polmoni.  Costoro  urlano  declamanda 
in  favore  del  tale  o  del  tal  altro,  e  portano  la  sfrontatezza  a 
segno  di  richiedere  i  voti  popolari  anche  per  loro  medesi- 
mi. Costoro  possono  sedurre,  6  sorprendere  nel  momento 
deir  elezione  la  docile-  e  incerta  moltitudine,  che  sbalordita 
darà  la  sua  nomina  a  un  cattivo  soggetto.  Ne'  paesii  ricchi  11 
denaro  può  guadagnar  gli  elettori.  V  ipocrisia  può  suggerire 
alla  moltitudine  che  sia  uii  uomo  dabbene,  è  virtuoso  patriot^ 
ta,  un  uomo  sin  allora  seonodciuto,  e  di  cui  la  vita  passata 
nel  vizio  rimane  coperta  dall'  oscurità.  In  questi  casi  il  giu- 
dizio del  popolò  non  sarà  nèiibeto,  né'  tranquillo,  p^x^bè 
carpito  per  sedazione  e  con  sorpresa.  . 

Come  mai  potremo  noi  andar  ali*  incontro  di  simili  in- 
sidie, e  far  in  modo  che  il  popolo  gfudichì  con  pausa  e  tran- 
quillità? Seguendo  il  filo  di  queste  idee,  a  me  pare  che  do- 
vunque si  debban  fare  relezioni  (suppongo  nelle  chiese  an^  . 
che  per  essére  il  luogo  più  spazioso),  si  obblighino  tutti  i 
votanti,  appena  entrati,  a  porsi  a  sedere  al  loro  posto,  e  non 
permettasi  che  alcuno  sì  stacchi,  o  vada  girando;  in  tal  modo 
nessuno  potrà  avere  immedi isHa  influenza  sopra  i  sutTragj. 
Collocati  che  siano  gli  elettori  tranquillamente  al  loro  pesto. 


82  PENSIERI  M  UN  BUON  VECCHIO, 

io  vortei  che  V  ecclesiastico  che  presiede  a  ^ella  chiesa 
facesse  loro  an  breve  discorso  presso  poco  ne'  termim  se- 
guenti : 

tt  Padri  di  famiglia,  cittadini  tittti  che  m' ascoltate,  yoi 
vi  trovate  radunati  nel  tempio  del  Signore  per  fare  una  im- 
portantissima elezione.  Non  risgnardate  quest'atto  come  una 
proCanazione  del  sacro  luogo;  no,  cittadini,  siete  radoDati 
avanti  della  Divinità.  L' occhio  penetrante  di  Dio  vi  sta  ri- 
mirando come  fedeli  congregati  per  un  atto  sacro  di  religio- 
ne. Siete  qpi  per  invocare  il  celeste  aiuto,  acciocché  v'iUn- 
mini  per  fare  una  buona  scelta.  Siete  qui  per  rendere  un 
omaggio  solenne  alla  probità  ;  siete  qui  per  liberare  la  patria 
comune  dai  raggiri  dei  viziosi.  Invocar  l'Enle  supremo,  ono- 
rar la  virtù,  evitar  le  insidie  del  vizio,  questi  sono  atti  di 
vera  ragione,  questa  è  una  parte  essenziale,  del  culto  che 
rendiamo  al  Creatore;  questo  è  un  sacro  rito  che  dobbiam  ce- 
lebrare con  quel  raccoglimento  ch'esigono  la  grandezza  del- 
Tòggotto,  e  la  maestà  della  religione. 

»  Come  vostro  pastore,  come  ministro  di  una  religioiie 
di  pace  e  di  carità,  cittadini  miei,  ascoltate  i  brevi  ricordi 
ohe  sono  per  darvi.  Le  mie  parole  non  »  diri§[eranno  ai  re- 
probi, se  pur  ve  ne  fosse  taluno  in  quest'adunanza;  essi  non 
si  moverebbero  uè  aU' evidenza  dèUa  verità,  nò  alle  attrat- 
tive ddda  virtù.  I  loro  errori  vengon  dal  cuore,  e  non  dalia 
mente,  e  il  loro  cuore  corrotto  è  insensìbile^  come  il  marmo. 
Dio  li  giudicherà:  preghiamolo  perchè  cambi  il  toro  cuore; 
questa  non  può  esser  l' opera  che  di  Dio,  non  mai  delle  mie 
parole.  Non  ò  dunque  ai  malvagi  che  io  parlo  :  parlo  a  voi, 
buoni  cittadini,  che  nel  vostro  cuore  desiderate  il  bene;  che 
non  volete  macchiare  la  vostra  anima  coU'ayer  avuta  parie 
nei  mali  della  patria;  e  a  voi  dico:  non  siate  docili  ai  consi- 
gli di  alcuno.  Io  che  vi  parlo,  mi  considererei  come  aa  pre- 
varicatore fiolenne  se  vi  suggerissi  di  dar  la  nomina  ad  un 
tale.  No,  cittadini,  non  badate  ai  consigli  di  alcuno  ;  qaesli' 
sono  terribili  momenti,  ne' quali  l'insidiosa  astuzia  mette 
tutto  in  moto  per  ingannare  la  vostra  docilità.  La  nomina  che 
farete  non  cada  mai  su  di  un  soggetto  che  abbia  fotte  brighe 
per  ottenerla^  L'uomo  dabbene  non  ò  mai  intrigante;  al  con- 


CHE  NON  fe  LITVXBATO,  83 

(rado  è  modesto,  e  aspetta  di  essere  ricercato.  Gvatdatevi 
dalia  seduzione  di  ^ei  ciarlatani,  che  dopo  di  aver  menata 
nna  vita  ridìcola  o  rergognosa,  da  poco  in  qua  gridane, 
schiamazzano  da  energameni,  e  si  erigono  in  protettori  deUa 
plebe,  diffamando  con  ogni  sorta  di  mezzi  quei  oittadini 
agiati,  onesti  e  tranquilli,  dai  quali  avete  tratto  sirnH-a  Tali- 
monto  vostro  e  della  vostra  famiglia  in  mercede  dei  vostri 
lavori.  Guardatevene,  dico;  le  loro  voci  sono  insidioso.  Se 
vorraimo  collooiti  in  carica,  aiiopreranno  l'autorità  di  coi 
gH  avete  rivestiti,  per  isfogare  la  loro  maleviideitta  e  invidia 
contro  quelli  che  odiano.  L'adopreranno  per  ammassare  ona 
fortuna,  e  radunare,  se  possono,  intorno  di  loro  qaeHe  no*- 
ebétze  che  si  sforzano  d' infamare  come  un  delitto,  perchè 
non  sono  nelle  loro  mani.  Disgraziala  città,  se  nominando 
di  lai  soggetti,  Venisse  il  destino  di  lei  conOdato  a  simili 
manil  Siavi  d'esempio  la  Francia,  che  ha  dovuto  soffrire  mali 
estremi  sin  che  rimase  in  preda  a  quella  scellerata  fazione, 
che  adulando  la  plebe,  e  seducendola  ci^lo  promesse,  e  col* 
l'idea  della  sovranità,  fece  sopportar  la  longa  e  squallida 
agonia  deUa  fame  a  tutto  il  popolo,  e  inondò  la  Francia  di 
sangue  innocente,  di  che  ne  rimarrà  un  vestigio,  orrendo  alla 
memoria  de' posterL  No,  cittadini,  state  in  guardia  contro 
tuiii  i  consigli,  e  nel  dar  la  nomina,  considerate  che  l'ooclùo 
4ì  £Ko  vi  vede,  che  a  lui  sarete  responsabili  delle  ingiustizie^ 
delle  prepotenze  e  delle  sciagure  del  nostro  paese,  se  por 
una  cattiva  scelta  di  soggetti,  questi  mali  cadranno  solla  pa* 
tria;  considerate,  cittadini,  che  in  questo  caso  non  vi  scuserà 
la  buona  intenzione,  se  non  avrete  adoprata  la  vostra  ragione, 
per  quanio  vi  permettevano  le  forze  vostre,  per  riuscire  in 
una  buona  scelta.  Nò  vi  basterà  il  dire  :  ho  preso  consiglio 
dal  tale,  ho  seguito  il  suggerimento  del  tal  altro  ;  no,  Dio  vi 
ha  dato  la  ragione,  e  vi  ha  distinti  dagli  animali  bruti  con 
questa  impronta  della  Divinità,  e  dovete  render  conto  a  Dio 
del  non  uso  che  ne  avrete  fatto  in- questa  importantissima 
occasione  :  l' uomo  si  definisce  un  animai  ragionevole,  non 
già  un  animai  docile. 

»  Ma  come,  M  direte  Voi,  come  poss'  io  indovinare  in 
qual  modo  eserciterà  la  sua  carica  queir  uomo,  a  cui  darò  il 


84  PENSIBU  DI  UN  BUON  VECCHIO, 

mio  veto?  Dio  non  pretende  che  siate  profeti;  pretende  che 
adoperiate  la  vostra  ragione  imparzialmente,  perchè  diale  la 
nomina  fondata  quanl'è  possibile  sulla  ragione;  ed  io  mi 
farò  brevemente  a  soggerìrvi  le  qualità  che  devono  delermi- 
narvela. 

x>  Prima:  cercate  di  nominar  un  nomo,  di  cqi  la  vita 
passata  vi  sia  nota,  e^che,  fedele  ai  doveri  del  proprio  stato, 
sia  buono  nella  sua  famiglia,  non  sia  spensierato  in  far  de- 
biti, sia  puntuale  ne* suoi  impegni,  e  viva  onoratamente  lon- 
tano dalla  ubbrìachezza,  dal  giuoco,  dalla  sfcontata  prostitu- 
zione ;  se  ne  conoscete  una,  nel  quale  s' adempiano  tatie 
queste  qualità,  voi  non  sarete  mai  per  pentirvi  d! avergli  data 
la  nomina.  Non  crediate  già  che  per  regolar  un  paese  faccia 
bisogno  di  grande  scienza;  basta  la  costanie  probità,  la  qual 
probità  è  un  indizio  quasi  sicuro  anciie  di  quel  buon  senso 
che  basti  a  giudicare  de'  pubblici  affari. 

»  Seconda  :  non  crediate  né  il  bene  né  il  male  che  vi 
venga  detto  ali'  orecchio  sulla  vita  passala  di  chi  dovete  no- 
minare. Nelle  brighe,  che  si  fanno  in  simili  occasioni,  non  si 
risparmia  anche  la  calunnia,  singolarmente  per  diffamare 
qualche  uomo  di  una  ferma  onestà,  che  possa  far  paura  ai  loro 
pensieri,  e -che  si  vorrebbe  perciò  appunto  escludere  dai  pab- 
blici  affari.  Astenetevi  dal  badare  a  tai  maligne  sedoiioDi: 
credete  piuttosto  alla  buona  fama  di  cui  ha  goduto  un  citta- 
dino sino  a  questo  punto,  e  non  date  retta  a  quello  che  visi 
può  dire  di  mate. 

)»  Terza:  se  fia  possibile  lo  scegliere  un  nomo  che  abbia 
le  qualità  dette  di  sopra,  e  che  vi  aggiunga  un  animo  sinoero 
e  férnio,  che  non  si  piega  facilmente  a  seconda  del  vento, 
avrete  compito  al  dover  vostro,  e  comparirete  illibati  avanti 
il  tribunal  di  Dìo. 

»  Dunque  non  darete  il  vostro  voto  nò  per  amicizia,  né 
per  compiacenza  ad  alcuno,  non  lo  darete  a  chi  fa  istanxa 
per  ottenerlo;  lo  darete  ad  un  uomo  di  buona  fama,  dei 
quale  sappiate  che  la  sua  vita  domestica  é  buona,  e  che  ab- 
bia adempiuto  sin  ora  ai  doveri  di  buon  cittadino  con  una  vita 
senza  macchia,  a  un  uomo  in  Gne  che  sia  fermo  e  leale  nel 
bene. 


GHB  NON  È  LETTERATO.  85 

»  Eccovi  quello,  cittadini  fedeli,  che  dopo  aver  invocato 
t'aiuto  celeste  in  qualità  dì  ministro  del  SanUiario,  lio  giudi- 
cati) di  dovervi  dire.  Lo  spirito  di  Dio  vi  rischiarì,  e  benedica 
l'elezione  che  siete  per  fare,  e  porti  sopra  di  voi  tutti  la  divina 
grazia,  e  le  benedizioni  di  tutto  il  popolo  di  questo  paese, 
che  troverà  confidato  il  suo  governo  a  uomini  giusti,  affe- 
zionali al  bene,  vigilanti  per  il  buon  ordine.  Dio  esaudisca 

il  mio  voto! Frattanto  sulle  tracce  de' sacri  riti  passiamo 

a  recitare  piamente  il  santo  inno  Veni  CrecUor*  » 

Appena  dopo  la  preghiera,  senz'altro  cicalio,  si  do- 
vrebbe passare  alla  elezione.  Varj  sono  i  metodi  per  farla 
senza  tumulto,  e  con  liberi  voti,  e  per  ora  non  ho  stancato 
il  mio  cervello  per  farne  la  scelta,  essendovi  gli  esempj  di 
altri  paesi,  che  potrebbero  servir  di  norma.  L'elezioni  fatte 
in  tal  modo  dal  popolo  saranno  dunque  una  scelta  libera  e 
tranquilla  fatta  dal  popolo,  e  eaderà  sopra  una  massa  dì  buoni 
cittadini.  Se  poi  questa  massa  fosse  troppo  numerosa,  allora 
trovo  ch'ella  costerebbe  troppa  spesa  allo  Stato  e  troppa  .con- 
fusione negli  affari.  Dico  troppa  spesa,  perchè  gli  uomini 
eietti,  moHì  non  avendo,  per  vivere  e  mantenere. le  loro  fa- 
ldiglie, che  la  professione  che  esercitano,  e  dovendola  ab- 
bandonare per  occuparsi  degli  affari  pubblici,  non  si  può  a 
meno  di  assegnar  loro  sali' erario  pùbblico  una  proporzio- 
nata ricompensa.  Dico  troppa  confusione,  perchè  in  una  nn-  - 
morosa  adunanza  naturalmente  vi  nasce,  e  pochi  sono  sem- 
pre quei  che  possedendo  il  talento  della  parola,  o  la  franchezza 
di  parlare  in  pobblieo,  veglione  cimentarsi  a  produrre  ì  loro 
lumi.  U  rimedio  sarebbe  presto  ritrovato,  qualora  questa  nu- 
merosa adunanza  (suir  esempio  delia  Francia)  passasse  alla 
seconda  nomina  d' un  determinate  minor  numero  ;  i  quali 
fossero  veri  deputati^  ritornando  ad  essére  sempiici  cittadini 
quei  eh'  erano  nelle  prime  nonune,  e  questa  scelta  dovrebbe 
essere  tanto  meno  pericolosa  per  la  pubMica  felicità,  quanto 
che  fatta  da  cittadini  già  prescelti  dalla  pubblica  opinione. 

Cosi  pensando,  io  credo  d'aver  trovato  il  modo,  col 
quale  si  collocherebbero  nelle  cariche  uomini  degni  di  occu- 
parle, e  verrebbe  consegnato  il  governo  del  nostro  paese  in 
buone  mani  ;  ma  gli  uomini  anche  buoni  talvolta  cessano  di 

P.  YEBRI,  Appendice.  8 


80  PENSIBftl  DI   DN  BUON   VECCHIO, 

esser  ttili,  e  il  maggior  perìcolo  di  prevaricare  è  dppanlo 
quando  sono  rivestiti  di  un  pubblico  potere.  Allora  l'oomo 
posto  a  sovrastare  agli  altri,  cessa  d' eisserne  compresso  dal- 
l' altrui  repulsione  ;  Y  orgoglio  naturale  a  ciasciuo  si  dIUla 
ed  abitua  nel  suo  cuore.,  e  in  seguito  una  schiera  di  vizj  ten- 
d3nli  al  dispotismo,  che  portano  alla  corruzione  anche  Too- 
mo  buono.  Cercando  nel  mio  cerveQo  il  modo  per  prevenire 
questa  funesta  malattia,  non  ne  ho  trovato  che  un  solo,  qoel 
medesimo  che  ha  meglio  incorso  la  Francia,  cioè  che  i  pub- 
blici impieghi  sieno  tutti  temporarj,  in  guisa  tale  che  V  im- 
piegato non  perda  mai  di  vista  i.doe  estremi,  cioè  la  ricono- 
scenza che  deve  al  popolo  che  V  ha  collocato  a  governarlo, 
e  il  momento  non  lontano,  in  cui  ritornerà  ad  essere  nella 
classe  del  popolo,  e  a  sopportare  et  medesimo  quei  danni  ai 
quali  avesse  aperta  la  strada.  Queste  sono  le  idee  che  ho  ca- 
vate dai  libri,  ma  nella  solitudine,  ragionando  con  me  m^ 
desimo;  e  scavando,  come  dissi,  nel  mio  cervello  per  trovarvi 
la  verità.  Se  il  nostro  paese  diventerà  rdoa  repubblica,  il  som- 
mo pencolo  che  corre  è  nelle  prime  elezioni.  Una  popola- 
zione d' nomini  nata  sotto  un  governo'  arbitrario  che  da  se- 
coli  regge  il  destino  della  provincia ,  una  popolazione  che 
sin  ora  non  ha  saputo  far  altro  se  non  soffrire  con  sommes* 
sione,  che  non  ha  mai  osato  di  pensare  al  governo  pubblico, 
che  non  conosce  altra  prudenza  civile  che  il  silenzio  nelle 
prime  scelte,  corre  gran  perìcolo  di  farle  assai  male;  e  per- 
ciò ho  perento  ai  mezzi  coi  quali  si  potrebbe  evitare  questo 
rovinosissimo  pericolo.  Incamminata  che  fosse  questa  orga- 
nizzazione, posto  una  volta  in  buone  mani  il  governo,  reie- 
zioni consecutive  si  farebbero  da  una  nazione  che  avrebbe 
già  incominciato  a  provare  la  dolcezza-di  un  governo  repub- 
blicano, e  il  pop(^o  che  non  si  muta  colle  parole,  coi  fatti 
steurament*  si  muterebbe.  U  popolo-  non  sarebbe  più  igno- 
rante dei  pubblici  interessi  ;  il  discernimento  si  raffinerebbe; 
e  se  da  noi  soli  siamo  troppo  deboli  per  difenderci  da  voà 
potente  invasione,  V  egida  nella  gran  repeM>lica,  che  ora  ei 
comanda,  potrebbe  lasciarci  liberi  e  garantiti,  mentre  noi  ci 
avremmo  formato  uno  Stato  placido  e  felice,  collocando  in 
buone  mani  il  nostro  governo.  Tai  sono  ì  desiderj  e  i  pcB- 


CHE  NON  È   LETTERATO.  87 

sieri  dì  un  buon  vecchio,  che  non  ha  pretensione  alcuna. 
Alcuno  dirà  che  io  non  ho  energia.  A  questo  tale  io  rispon- 
derò, che  un  vecchio  per  lo  pia  non  ne  ha,  e  ciò  serva  per 
mia  discolpa.  Potrei  domandare,  se  l'energia  giova  a  cono- 
scere bene  gì'  interessi  della  patria?  Se  l'energia,  che  è  uno 
dei  primarj  meriti  di  un  comandante  d' armata,  possa  essere 
un  pregio  per  un  piloto,  che  ha  da  guidar  la  nave  attraverso 
agli  scogli?  Ma  io  non  voglio  condannare  l'energia  di  chi 
l'ha,  anzi  mi  pregio  di  onorare  l'energia  della  virtù.  Se 
qualch*  altro  mi  rimproverasse,  perchè  nel  mio  scritto  non 
vi  sia  civismoy  io  mi  limiterò  a  invitarlo,  perchè  dia  in  questi 
tempi  alla  patria  de'  consigli  più  opportuni  de'  miei. 


89 


MOZIONE  DEL  CITTADINO  VERRI 

HUNiaPAUSTA 

ALLA  MUNICIPALITÀ  DI  MILANO. 


Dov*  è  il  sepolcro  dell*  ìmmortal  Beccaria?  Qual  monu- 
mento  di  riconoscenza  avete  eretto,  o  Milanesi,  a  quel  subli- 
me genio,  che  fra  le  tenebre  comuni  osò  il  prinio  slanciarsi 
e  indicare  il  gran  problema  della  scienza  sociale.  La  massima 
felidlà  divisa  sul  maggior  numero?  Qual  atto  di  riconoscenza, 
o  Milanesi,  avete  eretto  a  qaest'  uomo  grande,  che  ha  illu- 
strato la  vostra  patria,  e  di  cui  il  libro  immortale  Dei  delilii 
e  deUe  pene  trovjasi  tradotto  in  tutte  le  lingue  d' Europa,  e 
collocalo  fra  le  opere  di  filosofla  più  sublime  in  tutte  le  bi- 
blioteche del  mondo?  A  tai  domande  dovreste  arrossire,  se 
non  vi  servisse  di  scusa  il  timor  che  avevate  degli  ostacoli 
che  attraversassero  la  vostra  riconoscenza:  quegli  ostacoli 
medesimi  che  non  permisero  che  pur  una  edizione  di  quel 
libro  si  facesse  a  Milano  ;  quegli  ostacoli ,  in  virtù  de'  quali 
nemmeno  osarono  i  fogli  pubblici  inserire  una  riga  d' enco- 
mio air  occasione  della  di  lui  morte.  Ora  ostacoli  più  non  vi 
soi^o,  e  sarebbe  una  macchia  T indifferenza,  il  torpore  eTin- 
sensibilità  verso  il  merito  eminente  di  un  vostro  cittadino, 
che  vi  ha  istrutti  e  onorati,  e  con  una  calda  ed  animosa  filo-, 
sofia  ha  osato  perorar  la  causa  degli  uomini  più  meschini  é 
maltrattati,  e  la  perorò  non  senza  pericolo,  e  con  esito  feli- 
ce. La  tirannia  ne  impallidi,  r  umanità  palpitante  fece  ascol- 
tar la  sua  voce  ;  gli  strazj,  le  torture,  le  atrocità  furono  o 
tolte  afi^tto  o  diminuite  in  tutte  le  procedure  criminali;  e 
questa  è  l'opera  di  un  libro  solo.  Cittadini  municipalisti,  fate 
che  cessi  da  questo  momento  la  macchia  d'ingratitudine. 
Mostrate  che  conoscete  il  merito  :  che  sapete  onorarlo,  che 

P.  VERRI.  Appendice,  .  —  8* 


00  MOZIONE  ALLA   MUNICIPALITÀ   DI   MILANO. 

siete  grati  ai  benefattori  del  genere  amano,  e  a  quei  clic 
hanno  onorato  il  nome  di  Uìlaneae. 

Decreiate  an  busto  di  marmo  a  Cena-e  Beccaria^  citta- 
dino milanese,  autore  del  libro  De^deUUi  e  delle  pene^  e  que- 
sto busto  Tenga  nobilmente  collocato  nella  sala  del  Comune, 
dove  tenete  le  vostre  adunanze. 

A  Paolo  Frisi  sta  un  piccolo  monumento  nella  cbìesa 
dove  é  sepolto,  e  un  altro  in  di  luì  onore  in  una  chiesa  cam- 
pestre di  Ornago.  L' amicizia  potè  compiere  in  parte  a  que- 
sto dover  pubblico  verso  di  un  grand' uomo,  perchè  avendo 
egli  rivolte  le  speculazioni  del  suo  sublime  ingegno  sulle  forze 
motrici  del  sistema  solare,  e  sulle  leggi  idrauliche,  co'  suoi 
placidi  sludj  non  s' erano  tanto  insospettiti .  i  custodi  della 
pubblica  autorità.  Vennero  stampate  le  memorie  di  soa  vita, 
il  che  non  si  osò  fare  di  Beccaria.  Però  non  dovete ,  citta- 
dini, lasciar  la  gloria  alla  privata  amicizia  d' un  solo  dì  av^ 
onorata  e  ricompensatala  memoria  d'un  Hlustre  matematico 
del  primo  ordine,  ascritto  atte  primarie  accademie  d'Europa, 
dalle  quali  riportò  più  volle  i  premj  de 'concorsi  ;  e  quindi  a 
Paolo  Frièi,  cittadino  milanese,  autore  della  cosmografia,  per 
pubblico  decreto  sarebbe  da  farsi  parhnenti  un  busto  di  mar- 
mo da  collocarsi  nella  sala  del  Comune  accanto  a  Beccaria. 
Ricordatevi  che  il  collegio  degl'  ingegneri  è  stato  riformato 
da  lui,  e  che  i  soggetti  colti  e  dotti  che  vi  sono,  oscirono  dalla 
sua  scuola. 

BcnaverUwa.  Cavalieri^  il  precursore  di  Aet&lon,  era  ono- 
ralo da  tulli  i  matematici,  e  non  se  ne  sapeva  nemmeno  il 
nome  in  Milano,  dove  nacque  nel  secolo  passato.  Egli  illustrò 
la  patria  colie  sue  scoperte  nd  caicolo  sublime;  creò  naovi 
metodi,  e  lasciò  un  gloriee»  vestigio  odia  scienza.  Leggete 
r  elogio  che  ne  ha  fatto  Paolo  Frisia  e  liberatevi  dalla  mac- 
chia di  lasciar  più  lungamente  nella  dimenticanza  mi  illastre 
cittadino,  che  ha  fatto  sommo  onore  alla  patria.  Sta  questo 
il  terzo  busto  da  collocarsi  insieme  cogli  altri. 

Lodovico  SeUaia  viveva  nel  [urineipio  del  secolo  passala 
Fu  un  medico  di  sommo  grido,  ch'esercitò  l'arte  liberalmente 
su  tanti  anche  più  poveri  cittadinL  La  fama  di  lei  era  tale, 
che  i  principi  stranieri  a  lui  ricorrevano  per  consiglio  neloro 


MOZlQfiE  ALLi  MUNICIPALITÀ  DI   MILANO  91 

mali.  Malgrado  la  tacilarnità  e  il  mistero,  con  che  s'am- 
mantavano ne'suoi  tempi  le  opinioni  dei  gabinetti,  il  suo  trat- 
tato suHa  politica  lo  dimostra  un  uomo  che  avea  veduta  la 
verità,  e  avea  cuore  di  dirla.  Io  lo  credo  un  cittadino  meri- 
tevole di  ottenere  onori  distinti  dalla  sua  patrìa,  e  propongo 
che  per  esso  pare  si  faccia  il  quarto  basto. 

Manfredo  Settala^  figlio  di  LodomcOy  che  formò  la  galle- 
ria celebre  per  tutta  l'Europa,  fece  conoscere  le  curiontà 
della  stona  naturale,  della  fisica,  della  meccanica,  ^  arricchì 
la  patria  di  un  museo  dì  curiosità,  che  ora  miseramente  fu 
dissipato.  Come  cittadino  distintamente  benemerito,  vi  pro- 
pongo di  decretargli  il  quinto  busto. 

Giorgio  Giulini  fu  un  uomo,  in  cui  l'esimie  qualità  mo- 
rali compensarono  quanto  poteva  mancargli  di  filosofia,  e  in 
cui  la  veracità  e  l'esattezza  supplivano  ai  difetti  della  grazia 
e  del  gusto.  Egli  ha  compilati  tutti  1  fatti  de'  secoli  più  tene- 
brosi della  nostra  storia;  ha  portato  una  sana  critica  nell'esa- 
me delle  carte  de' bassi  tempi.  Ha  sacrificato  i  comodi,  ab- 
breviata la  vita  per  illustrare  le  antichità  patrie,  come  real- 
mente le  ha  Illustrate.  Merita  il  sesto  busto  daUa  civica 
riconoscenza. 

Questi  sei  cittadini  cavati  per  opera  vostra  dalla  dimen- 
ticanza, e  collocati  nella  vostra  sala,  saranno  un  solenne  te- 
stimone del  sentimento  che  avete  pel  merito,  della  ricono- 
scenza che  deve  la  patria  ai  cittadini  che  l' hanno  (worata. 
Attesteranno  in  favore  de'  vostri  lumi,  che  conoscono  l' inti- 
ma connessione  che  passa  fra  i  progressi  della  ragione  e  la 
felicità  sociale.  Serviranno  di  stimolo  ad  altri  per  incammi- 
narsi nell'onorata  carriera  delle  scienze.  A  Verona,  a  Vi- 
cenza, a  Padova,  le  sale  del  Comune  sono  ornate  colle  me- 
morie de'  cittadini  più  illustri,  e  si  gloriano  di  mostrarle  ai 
passaggeri.  Togliamoci  noi  la  macchia  o  di  non  avere  avuti 
mai  uomini  di  merito,  o  di  non  averli  mai  saputo  onorare. 

Ricordatevi  che  uno  dei  primi  passi  che  fece  la  Francia 
nella  sua  rivoluzione  fìi  l'onorare  Bousseau  e  Voltaire. 

È  cosa  invidiosa  il  parlarvi  de' viventi;  una  eccezione 
sola  io  farò.  Maria  Agnesi  vive  tuttora  oscuramente.  Nes- 
suna altra  donna  d'Europa  ha  potuto  pareggiarla  nella  scienza 


02  MOZIONE  ALLA   MUNICIPALITÀ  DI   MILAKO. 

soblime  dell'  algebra.  Le  sue  hliluzioni  analUiehe  passano  per 
il  più  bel  libro  nel  soo  genere.  Benedetto  XIV,  cb'  era  sen- 
sibile al  merito,  la  pose  nel  ruolo  de' professori  dì  Bologna. 
La  sua  modestia  la  fece  vivere  ignorata  e  senza  alcana  ri- 
compensa nel  paese.  Cittadini,  voi  non  darete  gli  onori  se  non 
a  chi  v'  importuna,  o  a  chi  fa  briga  per  ottenerli?  Andate 
voi  in  cerca  del  merito  nascosto;  nominate  a  ufià  cattedra  di 
scienza  analitica  questa  ìllastre  donna;  assegnatele  uno  sti- 
pendio, lasciandola  libera  a  dare  o  non  dare  le  lezioni  :  in 
tal  modo  vedranno  i  dotti  nazionali  e  gli  esteri,  cbe  n^a 
Lombardia  spanta  l'aurora  di  un  nuovo  giorno. 


93 


METODO  DA  CANGIARE  LE  OPINIONI 
DEGLI  DOMINI. 


Gli  abitanti  di  Lesbo  farono  un  tempo  attaccali  da  una 
malattia  nervosa,  per  cai  ^oelF  isola  celebre  deir  arcipelago 
divenne  memorando  oggetto  della  commiserazione  di  tutta 
la  Grecia.  L'origine  del  male  si  attribaiva  a  cattivi  alimenti 
da  essi  prescelti,  suir opinione  che  anzi  fossero  ottimi  per  la 
sakibrità;  alimenti  senza  sugo,  e  di  apparenza  schianto* 
Quindi  è  che  questi  isolani  pallidi  e  scarnati  vedevansi  tri- 
stamente passeggiare  con  lentezza  e  a  stento  per  le  vie, 
ascendere  le  gradinate  con  affannoso  re^piro;  e  ciò  dicasi 
de'  meno  ammalati,  giacché  i  più  miseri  non  si  reggevano 
sulle  gambe,  e  stavansene  sdraiati  nelle  case,  loro  tollerando 
appena  una  scarsa  luce,  perché  l'aperto  chiaro  del  giorno  gli 
scuoteva  dolorosamente;  un  rumore  che  fosse  più  d'un  sem> 
plice  mormorio  era  un  tormento  al  loro  oreccbio.  A  tale 
estenuazione  finalmente  erano  giunti^  che  tutto  spirava  graci- 
lità, languore,  tristezza,  consunzione  ^  termine  vicino  ;  né 
mai  sospettavano  della  cagione  di  tale  sciagura^  e  credevano 
anzi  che  gli  alimenti  tenuissimi  che  prendevano,  fossero 
quelli  ai  quali  erano  debitori  d' essere  ancora  vivi.  Tanto 
può  sul  destino  di  un  popolo  una  opinione!  Giunse  la  fama 
di  tale  sciagura  nella  Beozia,  dove  una  setta  di  empirici  ro- 
busti, e  persuasi  di  non  ingannarsi  giammai,  prese  la  risolu- 
zione d' imbarcarsi,  e  far  vela  r  Lesbo,  promettendosi  la 
guarigione  immediata  di  quegl'  isolani.  Un  suono  improvviso 
di  squilla  spaventò  gì'  infermi  all'  arrivo  degli  empirici,  i 
quali  dapprima  si  posero  a  declamare  sulle  piazze  di  Lesbo 
contro  la  stolidità  degli  abitanti,  perché  credessero  salubri 


94  METODO  DA   CANGIARE   LB  OPINIONI  DEGLI  UOMINI. 

gli  alimenti  de'  quali  facevan  uso.  Ignoranti,  stupidi,  imbe- 
cilli, uomini  da  nulla,  questi^  erano  i  vqzzi  dell'eloquenza  de- 
gli empirici  beoti.  I  gracili  Lésbiani  non  avevano  mezzi  per 
corrispondere  alle  ingiurie,  ma  fremevano  air  oltraggio.  A 
tal  preludio  successero  i  fatti.  Armati  gli  empirici  di  fasci 
d'ortiche,  di  verghe,  di  flagelli,  scorrevano  per  le  vie  per  ob- 
bligare i  languenti  a  camminare  risolutamente.  Quindi  altri 
di  questi  rimiravansi  caduti,  altri  ansanti  angosciosamente, 
altri  quasi  moribondi  impetrando  dal  cielo  i  fulmini  che  in- 
cenerissero quel  branco  dì  fanatici.  Le  case  de'  poveri  Lé- 
sbiani erano  violentemente  forzate,  le  finestre  tutte  spalan- 
cate, eie  deboli  pupille  de' più  ammalati  tormentate  da' raggi 
cocenti  del  sole.  Gli  infelici  si  appiattavano  ne'  ripostigli,  sve- 
nivano d^  angoscia,  era  l'isola  piena  di  agonizzanti;  e  il  caso 
venne  a  sapersi  per  ventura  in  Atene,  dove  Leucippo,  che 
era  onorato  come  uno  fra  ì  migliori  che  sostenevano  la  glo- 
ria della  scuola  di  Socrate,  mosso  da  generoso  sentimento  di 
umanità,  radunò  un-drappello  di  amici,  e  con  essi  si  affidò  al 
mare,  affine  di  salvare  dall'  eccidio  gli  sventurati  Lésbiani.  I 
venti  fiirono  propizj,  e  ben  tosto  giunsero  alle  spiagge  del- 
l' isola  questi  amici  della  virtù,  ed  apostoli  della  filosofia. 
Bisognò  loro  adoperare  dapprima  la  forza  per  sottomettere 
l' audacia  deglfempirìci,  e  riuscì  loro  felicemente;  ma  come 
ir  fine  che  si  erano  proposti  gli  Ateniesi,  non  era  di  soggio- 
gare que' Beoti,  ma  di  renderli  innocui;  cosi  Leucippo,  radu- 
natili, prese  a  parlar  loro  in  tal  forma:  ^  Chi  y^  insegnò  mai, 
incauti  che  s^ète,  a  voler  rimediare  agli  effètti  senza  prima 
ascendere  alle  cagioni?  Chi  v'  istrusse  mai  a  irritare  contro 
di  voi  gli  uomini  per  ottenere  presso  di  essi  fiducia  nette 
nuove  opinioni  che  loro  volete  innestare?  Prima  di  affiron- 
tare  gli  errori  deglf  uomini,  imparale  a  dubitare.  Il  daUbio 
è  il  padre  della  verità.  L' ignoranza  sola  ò  la  madre  dell'au- 
dacia, e.  reca  la  desolazione.  Partite.  Non  oltraggiate  più  a 
lungo  Vumatoità.— Esffl  abbandonarono  kr  sponde  di  Lesbo.  I 
lésbiani  benedicevano  Leucippo  e  gli  amici  suoi,  e  ringrazia- 
vano gli  Dei,  che  gli  avessero  loro  spediti  a  liberarli  dalle 
fauci  della  morte.  Gli  Ateniesi  ben  presto  si  fecero  stretti 
amici  de' Lésbiani;  moderavano  qoe'filosofi  il  tuono  delia  lor 


METODO   DA   CANGIARE  LE   OPINIONI   DEGLI  UOMINI.  95 

voce  alla  sensibililà  ;  le  epìnionì  si  cangiarono  sul  modo  di 
nodrìrsi,  e  gli  atleti  di  Lesbo  vennero  celebrati  per  fama  in 
tutta  la  Grecia.  Allora  fu  che  nacque  il  proverbio,  che  degli 
uomini  il  Governo  non  ne  fa  quello  che  ne  vuol  fare;  ma 
bensì  quello  che  ne  sa  fare. 


97 


MODO   DI  TERMINARE   LE   DISPUTE. 


Giovanni  Locke  neW Analisi  dell*  iniendimenlo  umano, 
fra  le  grandi  verità  che  ci  fece  conoscere,  c'insegnò  anche 
qaesla,  che  la  maggior  parte  delle  dispute  sono  non  di  cose^  ma 
di  parole,  atteso  che  gli  uomini  al  medesimo  vocabolo  attri- 
buiscono idee  differenti.  Una  buona  definizione  chiara  e  pre- 
cisa toglierebbe  la  maggior  parte  delle  dispute,  singolar- 
mente nella  politica,  dove  le  idee  non  sono  semplici,  ma 
astratte,  e  dove  gli  uomini  alle  parole  Libertà,  Giustizia,  Go- 
verno  ec.  attribuiscono  delle  idee  vaghe,  e  non  ben  contor> 
nate.  Sarebbe  un  servigio  assai  importante  che  si  renderebbe 
al  pubblico  neir  attuai  rivoluzione  delle  idee,  qualora  si  ret- 
tificasse un  piccolo  vocabolario,  e  che  T  evidenza  della  defi- 
nizione obbligasse  gli  uomini  ad  attribuire  V  idea  medesima 
alla  stessa  parola.  Ma  quest'opera  non  verrà  mai  a  uscire- se 
non  da  una  mente  profonda,  pacata,  e  abituata  a  svolgere  le 
proprie  idee,  e  da  un  cuore  bastantemente  nobile  per  non  sa- 
crificare agli  idoli,  ma  unicamente  all'augusta  verità* 

Libertà.  Questa  parola  significa  la  sicurezza  di  godere 
delle  facoltà  fisiche  e  morali,  e  delle  proprietà  sin  tanto  che 
la  legge  non  lo  vieti.  In  ciò  consiste  la  libertà  civile,  ma 
la  piena  libertà  comprende  la  sicurezza  che  la  legge  non  vieti 
mai  se  non  le  azioni  che  violino  la  libertà  altrui. 

Tirannia.  Con  questa  parola  s' intende  quel  governo,  in 
cai  gli  uomini  in  carica  possano  più  che  non  può  la  legge, 
e  dove  le  leggi  che  si  pubblicano,  o  vietino  o  comandino 
azioni,  che  non  abbiano  per  oggetto  la  conservazione  della 
libertà  altrui. 

Anarchia,  £  un  disordine  generale  della  società,  dove 

P.  VlRM.  Appendice.  9 


98  MODO  DI  TERMINARE  LE   DISPUTE. 

gli  audaci  usurpano  il  potere,  seducono  colla  speranza  del 
bottino,  e  traggono  dal  loro  partito  un  branco  di  disperati,  i 
quali,  senza  legge  o  freno,  col  pretesto  di  ben  pubblico  in- 
vadono le  proprietà,  insultano  al  buon  senso,  e  riducono  un 
popolo  o  alla  agonia,  ovvero  alla  guerra  civile. 

Popolo.  È  la  massa  di  tutti  gli  uomini  cbe  sono  nella 
nazione.  Qualunque  unione  d'uomini,  che  ardisca  di  operare 
0  parlare  a  nome  del  popolo,  a  meno  che  non  sia  la  maggio- 
rità della  nazione,  è  una  unione  ribelle  e  usurpatrice. 

Governo  legiUimo.  È  quello  che  ne'  suoi  atti  e  nelle  sae 
leggi  rispetta  e  seconda  la  volontà  generale  del  popolo,  per 
il  quale  è  institaito. 

Governo  tuurpaio.  È  quello  che  ponendosi  in  guerra  ma- 
nifesta coi  popolo,  lo  atterrisce  con  atti  arbitrar],  e  proclama 
regolamenti  e  ieggi  oppressive  del  popolo. 

Tributi.  Sono  il  sacrificio  d' una  porzione  della  propria 
fortuna  consegnata  al  pubblico  erario  pet  la  tutela  generale 
della  società.  Il  limite  di  tal  sacrifìcio  è  fissato  da  quello  dei 
veri  bisogni:  tutto  il  di  pia  sarebbe  usurpazione.  Ogni  altro 
metodo  è  tiranniee.  La  pubblicità  dei  conti  è  una  parte  es- 
senziale à'  un  governo  giusto:  il  mistero  e  l' oscurità  sono 
indizio  di  rapina. 

Leg^.  Debb' essere  universale  per  esser  giusta.  Un  tem- 
porario  regolamento  che  particolarmente  concernesse  alcone 
professioni,  può  esser  giusto;  ma  quello  che  risguardasse 
alcuni  ceti  (se  pure  vi  son  ceti)  non  può  esser  giusto  giam- 
mai. Ogni  uomo  è  cittadino  ugwile  a  ogai  altro  in  faccia  delia 
legge. 

EguagUanza.  V  uomo  virtuoso  ii<m  sarà  ma!  uguale  al 
birbante  ;  Y  uomo  d' ingegno  non  lo  sarà  mai  allo  scimunito; 
l'uomo  fermo  e  coraggiose  non  sarà  mai  uguale  al  pusillani- 
me: quindi  vi  SODO  delle  disuguagliamse  morali  fra  gli  uomini, 
come  ve  ne  sono  delle  fisiche  fra  il  vecchio  e  il  giovine,  fra 
lo  storpie  e  il  ben  organizzato,  fra  l'atleta  e  l'infermo.  U 
voler  portar  l'uguaglianza  fra  queste  classi  sarebbe  una  vera 
stolidità.  Basta  che  siano  gli  uomini  tutti  uguali  innanzi  alia 
legge,  e  che  la  nascita  non  dia  privilegio  alcuno,  nel  che  solo 
può  consistere  l' uguaglianza. 


MODO  DI  TERMINÀBE   LE  DISPUTE.  99 

Patriotismo,  Qaesto  vocabolo  signjOca  un  disinteressato 
e  costante  amore  della  patria.  Nelle  rivoluzioni  politiche  i 
faziosi  e  turbolenti  ne  inalberano  la  insegna,  e  con  questa 
maschera  cercano  di  farsi  valere.  Ma  chi  serve  a  una  fazio- 
ne, chi  sconvolge  Y  ordine  sociale,  chi  eccita  la  guerra  civi- 
le, chi  calpesta  la  morale,  chi  non  paga  i  suoi  debiti,  chi  in- 
vidiosamente attenta  alle  proprietà,  non  è  un  patriota,  ma 
bensì  un  catilinario,  un  ipocrita,  uno  scolorato.  Volete* voi  co- 
noscere on  buon  patriota?  Fatevi  render  conto  di  quanto  ha 
fatto  per  la  patria. 

Civismo»  Vocabolo  nuovo  cavato  dalla  voce  latina  Civis, 
Non  è  già  sinonimo  di  buon  cittadino,  cioè  di  un  uomo  che 
ami  i  suoi  paesani,  allontanando  per  quanto  può  i  mali  della 
patria,  che  sia  fedele  a'  proprj  doveri,  d' un  uomo  benefico, 
confortatore,  ìsiruttivo,  salutare  al  paese.  Civismo  è  parola  di 
partito. 

Misura.  La  lingua  francese  fa  uso  di  questa  parola  vys- 
iure  per  dinotare  una  risoluzione  presa,  una  determinazione 
fatta,  uno  spedìente  trascelto.  Gr  Italiani,  che  hanno  questi 
modi  più  esatti  per  esprimersi,  lascialo  ai  falegnami,  calzo- 
lai, martori,  il  vocabolo  di  misura,  poiché  non  hanno  bisogno 
dell'allegoria.  Questa  parola  in  italiano  s'adopera  ordinaria- 
mente per  indicare  uno  slancio  al  di  là  del  buon  ordine. 

Aristocratico.  L'etimologia  significa  il  governo  degli  ot- 
timati. Qualora  un  governo  s' affidi  agli  uomini  migliori  del 
paese  pel  merito  delle  loro  virtù  e  per  superiorità  del  loro  in- 
gegno, gli  uomini  saranno  felici.  In  questo  senso  l'aristocra* 
tico  sarà  il  migliore  di  tutti  i  governi.  Questo  nome  i  ci  visti 
U)  4AQno  per  ingiuria.  Giacobino,  aristocratico,  molinista, 
giansenista,  eretico,  papista,  sgraziati  vocaboli  inalberati  da 
partiti  che  si  odiano  e  che  dilaniano  la  città,  la  quale  noii 
può  avere  altra  divisione,  che  savj  e  pazzi. 

Aristocrazia*  Quantunque  in  origine  significasse  gli  uo- 
mini prescelti  a  governare^  si  corruppe  dappoi  quando  i  go- 
vernanti giunsero  a  fare  che  i  figli  loro  succedessero  nelle 
loro  cariche,  e  quindi  ndla  repobblica  apparve  una  classe  se- 
parata di  famiglie  governanti,  e  venne  condannata  la  parte 
maggiore  del  popolo  a  servire;  e  gli  onori  è  i  premj  e  le  for- 


fOO  MODO  DI  TEBtflNARE  LB  DISPUTE. 

tune  divennero  privative  de' nobili!  Quindi  VarislocraziaèW 
migliore  fra  i  governi,  presa  nel  suo  originario  significalo, 
essendo  che  nella  massa  di  mille  uomini  for^e  appena  due 
hanno  i  talenti  e  V  animo  per  governare  bene  uno  Stato. 

Democrazia.  &  il  governo  di  tutti,  cioè  ogni  nomo  go- 
verna, ed  è  governato.  Considerato  esattamente  un  tal  go- 
verno, non  ha  esistito  giammai,  perchè  in  ogni  unione  o 
comizio  sempre  taluno  primeggia,  e  ottiene,  e  carpisce  l'as- 
senso della  docile  e  incerta  moUitadine.  In  qualche  modo 
ne'  piccolissimi  paesi  può  trovarsi  quella  democrazia,  che  la- 
scia il  voto  a  chiunque  nella  sala  delle  pubbliche  determi- 
nazioni ;  ma  in  ogni  altro  luogo  il  governo  sarà  sempre  una 
aristocrazia  o  permanente  o  temperarla,  non  rimanendo  in 
questo  secondo  caso  al  popolo  che  l' elezione  degli  ottimati. 

Cittadino.  Questo  vocabolo  non  con.viene  che  per  dino- 
tare un  repubblicano,  ossia  un  uomo  che  ha  una  Patria,  e 
una  Città  propria.  Gli  abitanti  delle  città  signoreggiate  non 
sono  popolate  da  cittadini,  ma  bensì  da  sudditi.  Il  nome  ono- 
revole di  cittadino  non  si  debbe  rendere  abusivo,  altrimenti 
vairrà  quanto  quello  di  conte  a  chi  non  possedeva  contea; 
marchese  a  chi  non  dominava  una  marca  ;  principe  a  chi  non 
regnava  su  di  uno  Stato.  Ne'  paesi  conquistati  e  sudditi  é 
tanto  vano  il  titolo  che  gli  abitanti  sì  danno  di  cittadino, 
quanto  quello  che  i  paglietti  di  Napoli  si  danno  di  duca  e 
principe. 

Energia.  Se  dalla  azione  in  cui  è  lodevole,  si  trasporti 
al  pensiero,  ella  disordina  l'intelletto,  e  guida  l'uomo  al  de- 
lirio. Operare  con  energìa,  ma  prima  di  determinarsi,  tanto 
più  si  debbono  maturare  i  consigli,  quanto  più  importante  è 
r  oggetto.  L' energia  nel  giudicare  conduce  alla  ferocia  e  al 
delitto. 

Scioano.  £  il  nome  di  una  famiglia  di  Francia.^  Se  ne  fa 
uso  da  taluni  per  dileggiare,  e  rendere  odiosi  coloro  che  non 
si  uniscono  al  loro  partito.  Gli  uomini  sono  sempre  gli  stessi. 

'  Non  h  ^ik  il  nome  d*  una  famìglia ,  ma  tibbene  quello  del  partito  reaUita 
francese,  che  nella  Vaodca  e  nelle provincie  dell'ovest  aveva  preso  le  armi  contro 
la  rivoluzione,  nel  i 790;  e  deriva  da  chai-huanij  dal  grido  con  cui  que' parti- 
giani solevano  ragunarsi. 


MODO  DI  TERMINARE   LE  DISPUTE.  101 

Scioano  serve  presso  de'  civisli,  come  presso  gP  ipocriti  ser- 
vivano anni  sono  le  voci  incredulo,  novatore.  Sono  accuse  che 
si  danno  a  chi  non  presenta  nella  sua  vita  altro  appìglio  per 
accusarlo.  Questi  pensieri  mi  meriteranno  il  nome  di  Scioano 
(Ghouanj. 

Repubblicano.  Chiamo  con  tal  vocabolo  un  uomo,  di  cui  la 
probità  forma  il  carattere,  di  cui  gli  affetti  signoreggia  la  fi- 
lantropia ossia  la  benevolenza,  che  ha  una  costante  avver- 
sione per  qualunque  ingiustizia^  che  odia  la  prepotenza  e  la 
tirannia  sotto  qualunque  titolo  e  pretesto  ella  si  presenti,  e 
che  non  s' avvilisce  mai  ad  essere  schiavo  d' alcun  uomo,  o 
d' alcuna  fazione.  Tali  furono  Catone,  Bruto,  Cicerone,  veri 
repubblicani. 

Schiavitù.  Il  primo  grado  è  quando  si  viola  la  proprietà 
reale,  e  chi  governa  toglie  arbitrariamente  la  fortuna  del  go- 
vernato. Il  secondo  grado  è  quando  si  viola  la  libertà  de' peti- 
sieri,  e  chi  governa  animando  alla  delazione,  aprendo  le  let- 
tere, premiando  il  tradimento,  obbliga  gli  uomini  a  fìngere 
sentimenti  e  opinioni,  rende  sospetto  l' amico,  il  parente,  e 
quindi  proscrive  la  gioia,  la  confidenza,  e  ogni  sentimento 
sociale.  Il  terzo  e  sommo  grado  di  schiavitù  è  quando  Fuomo 
perde  la  proprietà  della  persona  propria,  costretto  a  prestarsi 
a  un  determinato  servigio  senza  poter  destinare  chi  suppli- 
sca per  lui.  Sarebbe  un  insulto  impudente  fatto  al  buon  senso 
se  si  osasse  vantare  libertà  sotto  tali  governi. 

Egoismo.  Significa  un  concentramento  d'affetti  a  ciò  che 
ha  relazione  con  noi.  Qualora  1'  ordine  sociale  sia  corrotto  e 
pervertito,  e  che  nella  nazione  sia  stupido  il  senso  morale, 
e  sieno  annebbiati  gli  oggetti  del  diritto  pubblico,  non  ri- 
mane al  saggio  altra  scelta  che  o  l' imprudenza  o  l'egoismo. 
Un  uomo  di  spirito  posto  in  simili  circostanze  diventava  lu- 
maca (cosi  diceva} ,  cioè  si  rannicchiava  nel  suo  guscio. 


p.  TEHRi.  Jpiiendie», 


103 

DEL  FILOSOFX)  N.  N.   AL  MONARCA  N.  N. 


Vi  esporrò  danqae  la  verità  poiché  voi  lo  volete,  e  neUe 
langhe  conversazioiii,  efae  avete  bramate  di  aver  meco,  ve 
ne  siete  mostrato  degno.  Aecostandomi  ad  un  principe,  come 
voi,  che  regna  sa  di  una  nazione,  la  prima  cosa  che  debbo 
fare  é  il  lodarvi  ;  cosi  sì  è  fatto  sempre,  ma  non  sempre  con 
tanta  verità  e  ragione  quanto  ne  trovo  io.  Voi  siete  un  vero 
prodigio.  Allevato  in  mezzo  aRe  ilfosioni  ;  circondato  dall'adu- 
lazione ;  ascoltando  la  dottrina  constante  d' essere  voi  pa- 
drone vero  di  tutto  Io  Stato,  d' essere  questo  un  podere  ere- 
ditario neHa  vostra  augusta  famiglia  ;  incensato  con  adora^ 
zione  dagli  interessati  cortigiani  ;  ogni  vostro  detto  applau- 
dito   come  mai  posso  non  considerarvi  per  un  vero 

prodigio  se  avete  preservato  il  buon  senso  ;  se  siete  da  voi 
medesimo  giunto  a  conoscere  gF  inganni  che  prevennero  la 
ragione;  se  trovate  in  voi  una  mente  illesa,  e  un  cuore  retto 
e  sensibile  ;  e  se  passionatamenle  cercate  V  ajuto  altrui  per 
meglio  distinguere  la  verità  I  Ora  che  vi  ho  reso  T  omaggio 
puro  che  vi  è  dovuto,  dall'  ammirazione  passo  a  rendervi  il 
servigio  che  è  degno  di  voi. 

Sé  vm  permanete  nello  stato  ^ella  vostra  fortuna,  e  che 
passiate  il  rimanente  di  vostra  vita  sul  trono,  voi  non  sarete 
felice.  Per  un  uomo  sensibile  come  voi,  egli  è  uno  stato  come 
di  solitudine  e  d' isolamento  il  non  potervi  mai  trovare  con 
vostri  eguali.  Tutti  gli  applausi,  tutte  le  compiacenze  che  vi 
vengono  usate,  voi  stesso  pure  mei  diceste,  vi  sono  insipide, 
perchè  sempre  dubitate  che  tàt^w\  m-iìQriose.  L'uomo  è  come 


tèi  LETTERA  DEL  FILOSOFO  N.  N.   AL  MONARCA  M.  N. 

nel  deserto  quando  non  trova  ì  suoi  simili.  Il  vivere  è  noio- 
so, o  si  vìva  co'  superiori,  ovvero  cogli  ìnferìorì.  La  ugua- 
glianza è  la  sola  che  ammette  società,  gioia,  cordialità.  Voi 
padrone,  gli  altri  sudditi,  tutto  è  studiato,  tutto  è  artefatto, 
la  natura  non  la  trovate  mai  ;  fra  gli  amalissimi  Muddili  e 
r  adorato  sovrano  non  v'  é  altro  commercio  che  di  menzogna 
e  frode  ;  perciò  i  principi  hanno  un  vero  bisogno  di  cercare 
dissipazione  nella  caccia,  o  nella  guerra,  o  nella  vita  milita- 
re, ne' viaggi,  ne' lavori  di  mano;  e  smaniosamente  se  ne 
interessano  per  riempire  il  vuoto  della  giornata,  che  sempre 
è  lunga  e  noiosa  a  un  animale  che  non  convive  co' suoi  si- 
mili. Un  monarca  è  un  uomo  quasi  sempre  annoiato. 

A  questa  noia  aggiungasi  la  inquietudine  propria  della 
fine  del  secolo  XVIII.  Se  per  lo  passato  i  monarchi  erano  la 
viva  immagine  di  Dio,  gli  unti  del  Signore,  ora  una  setta  che 
va  dilatandosi  sempre  più  gli  chiama  tiranni,  mangiatori 
d'uomini,  pubblici  nemici  del  genere  umano.  I  monarchi  si 
dileggiano  e  s'insultano  ne'  giornali,  si  rendona  odiosi  ne'li- 
bri,  sì  espongono  al  ridicolo  dai  pantomimi,  e  la  tragedia 
col  pugnale  insanguinato  gli  abbatte  con  pubblico  applauso. 
Il  patìbolo  è  il  genere  di  morte  che  taluno  ha  subito,  altri 
balzati  dal  trono  vanno  errando  mendichi  con  un  titolo  in- 
signìOeante.  E  come  si  può  mai  fare  un  si  pericc^so  mestiere 
senza  continua  inquietudine?  Dunque,  vivendo  nello  stato  nel 
quale  la  nascita  vi  ha  collocato,  avrete  sempre  al  fianco  la 
noia  e  la  inquietudine,  due  socie  che  non  rendono  mai  pos- 
sibile che  viviate  felice  ;  indi  quand'  anche  la  vita  vostra  sia 
lunga,  e  non  sia  abbreviata  da  violente  cagioni,  voi  finirete 
oscuro  in  un  aveUo,  e  il  nome  vostro  sarà  d' uso  per  le  ta« 
vole  cronologiche,  e  non  più.  Voi  non  siete  nato  né  per  on 
si  triste  mestiere,  né  per  una  eterna  oscurità.  Voi  siete  de- 
gno di  fare  epoca  immortale^  di  collocarvi  fra  gli  eroi,  ed 
io  ve  ne  spalanco  la  vìa. 

Non  sono  rare  nelle  storie  le  abdicazioni  spc^itaneameiitè 
fotte  dai  monarchi  :  scesero  dai  loro  troni  per  la  noia  insop- 
portabile che  stavaglt  sempre  al  ^nco;  ma  scesero  essi  e 
lasciarono  che  un  successore  vi  si  collocasse  col  medesimo 
potere.  Costoro  provvidero  alla  propria  Moità,  nulla  fecero 


LETTERA  DEL  FILOSOFO  N.  N.  AL  MOHAEGA   N.  N.  lOtt 

per  beneficio  della  nazione  nell'  atto  in  cai,  con  poca  fatica 
e  con  somma  loro  gloria,  poteyan  faHo.  Meglio  per  voi,  che 
potete  essere  il  primo  cKe  generosamente  liberi  ana  nazione 
é*  uomini  oppressi  e  inerti.  Il  nome  vostro  passerà  agli  uo- 
mini venturi  famoso,  come  quei  di  Ercole,  di  Teseo  e  d'altri 
pochi.  Rinunziato  al  diritto  d' opprimere  (sebbene  voi  non  lo 
abbiate  esercitato  mai,  lo  possedete},  e  abolite  radicalmente 
la  degradazione  degli  uomini  del  vostro  Stato.  Già  ne' nostri 
colloqoj  siamo  giunti  a  questo  punto,  e  la  vostra  anima  si  è 
slanciata  olire  la  piccola  sfera  d'  ambizione  de'  sovrani,  e 
aspira  ad  ottenere  1'  ammirazione  e  V  amore  della  genera- 
zione presente ,  e  la  riconoscenza  eterna  dell'  universo.  Ri- 
mane che  io  vi  proponga  il  metodo  eh'  io  giudico  adattato 
a  tal  fine. 

Le  scosse  violente  portano  la  rovina  di  varj,  la  desola- 
zione di  molti,  e  lo  sbigottimento  universale.  Voi  monarca 
assoluto,  avete  tutti  i  mezzi  di  fare  che  il  vostro  popolo  giunga 
ad  avere  un  governo  ragionevole  senza  soffrire  alcuna  scossa. 
Ho  osservato  che  intorno  a  voi  avete  uomini  d'un  onesto  ca- 
rattere, e  sensibili  ;  non  poteva  essere  altrimenti  presso  un 
principe  che  conosce  la  virtù,  e  quindi  ha  ribrezzo  pe'  dela- 
tori, pe'  buffoni,  e  per  ogni  viltà.  Il  primo  passo  sia  quello 
di  formare  un  senato,  lasciando  la  nomina  de' senatori  al 
vostro  popolo,  e  dando  a  quel  corpo  la  facoltà  di  fare  le  leggi, 
poi  quella  delle  imposizioni;  dar  indi  le  armi  al  popolo,  e  or- 
ganizzare una  milizia  nazionale  ;  finalmente  pubblicare  una 
costituzione  democratica,  e  abdicare  la  vostra  dignità,  collo- 
candovi a  passare  i  vostri  giorni  all'  ombra  di  sante  leggi  fra 
cittadini  resi  liberi. 

Eccovi  la  illustre  carriera  che  in  due  anni  di  tempo  po- 
tete scorrere,  aiutando  colla  medesima  autorità  vostra  quei 
moti  che  l'inesperto  popolo  malamente  intraprendesse.  Ec-. 
covi  il  luminoso  sentiero  della  gloria  aperto;  la  fortuna  lo 
presenta  a  voi  il  primo.  Slanciatevi  sulla  carriera  della  eter- 
nità, e  siate  pur  certo  che  il  cambiamento  delle  opinioni  po- 
litiche è  fatto  in  tutta  l'Europa.  Le  monarchie  e  le  domina- 
zioni di  qualunque  sorta  hanno  il  tarlo  alla  radice,  e  il  male 
noii  ha  rimedio.  Le  inquisizioni,  gli  ergastoli,  le  atrocità  non 


106  LETTEBA    DBL  VHjOÌOPD  II.H.  AL  ■ORAMIA  II.H. 

ÀraBDO  che  aeeekraie  la  caitala  de'lnmi;  bob  à  patri  |kd- 
Imgare  il  destino  le  aon  cel  goyenio  della  giostiziay  e  pro- 
fenrendo  la  raiMiia,  F  ingidia  e  1*  orgoglio.  Voi  non  aspette- 
nte  il  desliaOy  lo  sigaoieggìeffete  leadeadovi  padre  della  li- 
bertà del  Teatro  popolo. 


107 


DIALOGUÉ    DES    MORTS. 


Le  Roi  FRÉDÈRIG  et  VOLTAIRE. 

Prédéfic,  Oh  eh,  patriarche  Voltaire!  tudìeu,  je  vous 
tronve  irne  boline  fois!  Qae  diable  faites-vous  ìci-bas?On  vous 
cberche  pàrloot,  et  òn  ne  tous  rencontre  jamais. 

Voltaire,  Ah  sìrel...  c'est  bien  voas...  rindéfinissable 
Frédéric...  que  je  fois?  Je  vous  ai  cherché  de  méme;  mais  là- 
haot  Bons  étions  aniques  en  notre  espéce;  ici  notis  né  som- 
mes  que  du  peuple. 

Frédéric.  Rien  n'est  plus  vrai:  ici  nous  sommes  conlem- 
porains  de  tous  les  grands  hommes  qui  ont  successi vement 
honoré  te  terre.  Tontefors  il  me  paralt  qu'après  avoir  un 
peu  satisfait  ma  eifrioi^té  ))ar  la  connoissance  de  nos  ancè- 
tres,  on  trouve  plus  de  sympathie  à  s'approcher  de  ceux  qui 
vivaìent  de  notre  temps:  ce  sont  pour  ainsì  dire  nos  com- 
patfiotes. 

Vollairé.  Ne  serail-ce  pas  Tespérance  d'obtenir  encore 
les  hommages  de  ceux  qui  étoient  accoutumés  à  vous  en 
rendre?  car  les  ombres,  toutcis  ombres  que  nous  sommes, 
coDservent  toujours  quelque  reste  de  lieurs  habitudes.  Toute- 
fois,  voas  n'avez  plus  de  quei  flatter  leur  amour-propre,  ni 
aucun  moyen  de  relever  votre  gioire;  ainsi  ce  qui  cimentait 
notre  union  n'est  plus. 

Frédéric,  Pas  cela,  cher  patriarche;  c'est  que  les  événe- 
menls  qui  nous  intéressent  sont  très  indìlTérents  pour  les 
aotres.  Par  exemple,  Cesar,  avec  lequel  je  viens  d'avoir 
une  longue  conversation,  m'a  bàillé  vìngt  fois  en  face  au 
récit  que  je  lui  fìs  de  la  revolution  qui  vient  d*arriver  en 
Franco:  il  regarde  toujours  les  Gaules  comme  un  petit  obj et. 

Voltaire.  Il  n*a  pas  tort;  tout  est  relatif.  Eh  bien,  sire, 


108  DIALOGOE  DES  MOKTS. 

avoDez  qae  voas  voas  ètes  moqné  un  pea  mal  à  propos  dcs 
géomètres,  et  qoe  voas  étiez  prophéte  malgré  vons  lorsqoe 
voas  croyìez  dire  une  absurdité:  savoir  que  les  géomètres 
devoient  changer  la  constitutìon  fran^ise  et  la  rendre  répa- 
blicaine.  L'esprit  géométrique  a  réussi. 

Frédéric.  Avouez  aussi,  patriarche,  que  voas  voas  ètes 
moqué  un  pea  mal  à  propos  de  M.  Lefranc  de  Pompignan: 
sa  verta,  son  patriotisme,  lui  méritèrent  la  charge  de  presi- 
dent  de  TAssemblée  Nationale. 

Voltaire,  Eh  bien,  c'est  ce  qui  arrivo  dans  le  monde:  on 
se  trompe!  Voos  avez  em  que  les  géomètres  ne  voas  esti- 
maient.  guèr.e:  vous  ne  leur  pardonnìez  pas  de  débiter  que 
les  conqnérans  étaient  des  monstres,  qui  à  la  téle  des  boor- 
reaux  mercenaires  exer^aient  impunément  tous  les  crìmes. 
Je  ne  pardonnais  pas  non  plus  à  Tévèque  Lefranc  de  Pompi- 
gnan d'avoir  osé  relever  mes  travers.  Nous  nous  sommes 
égarés  dans  nos  jugemens  par  notre  amour-^propre;  nous 
n'avons  rien  à  noas  reprocher  là-dessus. 

Frédéric,  Mais  en  conscience,  cher  patriarche,  croyez* 
voas  que  les  infinis  de  premier  ordre,  les  abscisses,  les  or^ 
données,  la  raison  dìrecte  ou  inverse,  aient  cansé  la  Révola- 
tioB?  Sottises  que  toat  celai 

Voltaire,  En  vérité,  sire,  jé  crois  qoe  l'esprit  géométri- 
que répandu  sur  la  masse  de  la  nalion  lai  a  donne  Thabi- 
tade  de  raisonner,  et  qu'appliquant  la  raison  aux  objets  da 
gonvernement,  la  nalion  s'est  éclairée  :  elle  a  era  d'abord 
que  le  gouvernempnt  la  foalait  aux  pìeds,  par  pure  iUosioii; 
qu'elle  est  la  plus  forte  ;  que  la  force  de  tout  gouvernemeot 
n'est  qu'une  portion  de  la  force  nationale.  Elle  a  vu  qoe  tout 
gouv^rnement  doit  èlre  fait  poor  le  bien-ètre  de  la  natioD, 
et  que  c'est  une  absurde  prévarication  de  rendre  la  natioo 
le  jouet  da  caprice  du  gouvernement:  cotte  majeslé  magiqae 
et  imposante,  que  la  Ggure,  le  ton,  l'air  de  grandear  de 
Louis  XIY  répandaient  autour  du  tròno,  Téclat  des  exploils 
de  ses  armes  ;  la  Hollande  humiliée,  le  Palatinat  aoéanti) 
l'Espagne  réduite  en  province,  le  théàtre  frangais  enrichi 
des  chefs -d'oeuvre  sous  sa  proteclion,  Téloquence  animée) 
tous  les  beaux-arts  embellissant  son  tròno  ;  la  laogue  frao- 


DIALOaOE  DE9  MORTS.  109 

Qoise  devenae  la  langoe  de  TEarope  :  toule  cette  pompe, 
celle  magniflcence  réanies  avaienl  inspiré  aax  Fran^ais  un 
eothodsiasme  d'adoralion  ;  ils  ne  sentaienl  plas  lenrs  cbalaes, 
glorìeux  de  la  gioire  de  leur  monarque.  Mais,  sire,  pea  à  peu 
la  forlune  a  changé:  le  successeor  n*avait  pas  cet  ascendant 
personnel;  la  gioire  des  armes.francaises  s'est  éclipsée:  vons 
savez,  sire,  quel  Iraitemenl  yous  lear  files  à  Rosbach.  Une 
immense  delle  loajours  plus  pesanle  par  la  dissìpalion  d'ane 
cour  où  la  prodigalité  était  aa  rang  des  qnalilés  royales;  des 
matlresses  choisies,  lirées  de  la  lie  du  peuple,  qui  filaienl  le 
Irésor  de  la  nailon,  et  qui  faisaienl  sauler  les  minislres  au 
gre  de  ìeurs  caprices  :  tout  cela  enfin  fit  disparailre  le  pres- 
tige. 

Frédérie.  Ecoulez,  mon  cher  philosophe;  sì  j'avais  élé  à 
la  place  de  Louis  XVI,  on  ne  se  serali  sùrement  pas  ainsi  mo- 
qué  de  moi,  et  je  n'anrais  pas  rhonqenr  d'ètre  le  reslaura- 
leur  de  la  liberlé  fran^aise. 

Voltaire.  Je  le  crois,  mais  vous  auriez  laissé  ce  tilre  à 
volre  successeur.  Tonte  puissance  civile  ou  mililaire  n'est 
fondée  que  sur  l'opinion,  sire;  et  dé9  queTopinion  nationale 
est  changée,  la  revolution  est  inévitable.  Un  grand  bomme 
peut  prolonger  ce  terme,  iL  est  vrai;  mais  il  ne  cbangera  pas 
pour  cela  Tordre  des  choses. 

Frédérie.  L'opinion,  diles-vous?  l'opinion!...  je  m'en 
moque,  et  je  m'en  suis  toujours  moqué,  mon  cher  palriarche. 
Lorsqu'on  est  à  la  téle  d'une  centaine  de  milliers  de  soldals 
bien  aguerris,  qu'on  a  de  quei  les  nourrir,  et  qu'on  sait 
mouvoìr  la  machine,  on  se  flche  de  l'opinion. 

VolUiire.  A  vous  enlendre  on  s'aper^oit  que  vous  avez 
élé  roì,  car  malgré  volre  esprit,  vous  en  avez  conserve  les 
travers.  Mais  ces  soldals  sur  lesquels  vous  complez»  sire, 
sonl-ils  aulre  chose  que  des  hommes?  Tanl  que  leur  abru- 
tissement  leur  rend  supportable  leur  esclavage,  vous  failes 
tout  ce  que  vous  voulez  avec  ces  aulomales;  mair  dans  un 
pays  où  la  ralson  a  fait  des  progrés,  vos  soldals  mal  nour- 
rìs,  mal  payés,  mal  Irailés,  au  lieu  de  comballre  l'insurreclion 
des  peuples,  s'accordent  avec  lui  pour  briser  leurs  chalnes, 
comme  cela  est  arri  ve  à  point  nommé.  Ainsi  l'opinion  se  mo- 

P.  VEnRI.  Appendice.  10 


110  DUL06ITS  BES  VOln-S. 

qne  des  rofs,  s'ite  osent  Fatlaqner  lorsqo'elle  est  assez  ré- 
pandoe. 

FridéTie.  Eh,  mon  cher  raonsienr,  c'est  qne  la  discipline 
mìlitalre  élait  négltgée  en  France:  yotlà  le  yrai  motif  de  la 
désertion  de  la  troape. 

Voltaire.  Cesi  qo'à  mesore  qa'an  penple  sort  de  la  bar- 
bàrie, et  qoe  la  masse  des  eonnoìssances  s'agrandit,  il  faut 
que  la  discipline  militai  re  se  relftche.  A  mesaré  qne  votre 
discipline  est  plas  rigide,  on  a  plus  de  diflSeulté  à  faire  des 
recraes^;  à  mesare  qne  cela  deyient  plus  difficile,  il  fant  mal- 
tiplier  les  avanies,  les  injnstices  et  la  vidlence  pour  recmter: 
ainsi  on  rend  foojoars  plus  apparente  la  tyrannie,  et  p1a8 
haissable  le  gouvemement.  G*est  de  la  classe  de  la  nature 
humaine  qn'il  fant  tirer  vos  hérod:  nn  citoyen  bien  né  ne 
Yoit  que  la  honte  de  derenir  le  support  de  la  tyrannie  s'il 
endosse  ranifbrme  ;  ainsi  vous  n'arez  ponr  ofliciers  qae 
le  rebut  de  la  sociélé.  L'honneur  est  nn  mot  vide  de  sens  : 
chez  nne  telle  milìce  la  senle  organisation  mécanìque  la 
sontient  ;  cheque  indivlda  ne  cherche  qa'à  s'échapper  s'ìl 
peut  ;  les  penples  détestent  la  forme  militaire  dn  gouveme- 
ment: nn  moment  de'relàche,  une  fante  sente  fait  sauter  en 
l'air  le  despote  et  renverse  le  tròne. 

Frédéric,  Eh  bien,  monsieur  le  docteur,  qn'auriez-yoùs 
dono  fait  de  mieux,  si  vous  étiez  né  sur  le  tròno? 

Voltaire.  Si  j'élais  né  roi,  j'aurais  été  bercé  dans  mon 
enfance  tout  comme  un  autre  :  les  flattenrs  m'auraient  gate. 
Il  est  si  donx  de  se  persuader  que  nous  valons  mieux  qae 
4ous  les  hommes;  que  toiile  une  generation  est  faite  poor 
obéir  à  nos  volontés;  il  est  si  séduisant  d'ètre  nn  Dien  adoré, 
que  la  fatuité  se  serait  emparée  de  moi-méme,  et  j'aurais  era 
de  bonne  foi  que  le  despotisme  est  l'état  naturel  de  l'homme, 
jusqu'à  ce  que  mon  penple,  levant  enfin  la  tète,  me  fit  sentir 
ses  forces  et  me  réveillàt  d'un  bon  rève. 

Frédéric.  De  la  fatuité?  cela  est  un  peu  fort,  mon  cher 
Voltaire!  Ehi  pour  le  vulgaire  des  rois,  passe  encore;  mais 
poni  Frédéric,  colui  que  vous  appeliez  le  Salomon  dn  Nord, 
cehii  qui  attira  à  sa  cour  Voltaire,  qui  était  l'ami  du  mar- 
quis  B'Argens,  colui  qui  fonda  une  Académie  des  sciences,  et 


DIALOGUB  DB8  MOBTS.  Ili 

y  placa  llaupertais  et  Eoler;  Frédéric,  qaì  enireleDail  une 
correspondance  amicale  avec  D'Alembert;  Tami  d'AlgarotU, 
le  protecteor  de  Deuina;  du  moins  Frédéric  sera  une  excep- 
Uon  à  la  règie.  J'ai  toujoors  honoré  le  ménte. 

Vollaire,  Sice,  le  temps  de  Tillusion  est  passe;  nous  som- 
mes  des  ombres.  Yous  éliez  ambilieux,  vous  sentiez  le  be- 
soia  de  vous  attacher  tes  bommes  de  leCtres  pour  embellìr 
vos  onvrages,  et  vous  rendre  célèbre  :  les  bons  écrtvains 
soat  les  seuls  conducteurs  qui  unissent  un  grand  homme 
avec  la  posiérité  I  mais  dans  le  fond  vous  étiez  tout  comme 
les  antres:  vous  Q'aimtez  les  gens  d'esprit  qu'aulantqu'ilsen 
avaient  assez  pour  vous  connoitre  et  vous  juger;  vous  les 
auriez  écrasés.  Jourdain  élait  votre  fait.  Pour  moi,  vous  esti- 
miez  mes  conooissancesen  me détestant,  car  vous aviez  de« 
viné  que  je  vous  avois  défini.  D'Alembert  étaìt  assez  peu 
p^iilosopbe  pour  adorer  votre.  faveur,  malgré  les  coups  de 
patte  un  peu  rudes  que  lui  donnait  votre  corFespondance  : 
cela  a  dure  de  loin  ;  mais  dès  qn'il  vous  a  a[^roché,  il  a  pre- 
teste sa  sante  pour  faire  retraite  au  plus  t^t.  Vous  le  regar- 
diez  comme  le  chef  de  la  cabale  pbilosophique  de  Paris,  et 
le  flattiez  par  intervalle  sans  Taimer.  Les  autres  bommes  de 
lettres  ont  tous  décampé,  et  à  la  6n  vous  aviez  fait  banque- 
route  tout  de  bon,  et  à  la  place  des  philosopbes  vous^  aviez  un 
Lucchesioit...  Accoutumés  à  distrìbuer  les  rangs,  les  menar- 
ques  s'indignent  qu'un  homme  se  fasse  par  lni*mème  un  nom 
indépendamment  d'eux;  et  cela  non  pas  seulement  dans  la 
philosophie,  mais  mème  à  la  guerre. 

Frédéric.  Mais  vous,  monsieur  de  Voltaire,  veus  Ten- 
nemi  acbarné  de  J.-B.  Rousseau  parce  qu'il  était  meilleur 
poète  lirìque  que  yous;  vous  l'ennemi  implacable  de  Man- 
pertuis  parce  qn'il  était  plus  mathématicien  que  vous; 
vous  qui  aviez  tant  d'aversion  contre  J.-J.  Rousseau  parce 
qu'il  étaìt  éloquent  et  plus  profond  philosophe  que  vous; 
étiez-voos  tout  de  bon  Fami  dn  mérite  ?  Ao  diable  Fhypo- 
crisie!  Yous  vous  accointez  des  rois,  vous  leur  prodiguez 
l'encens  par  pure  ambition,  sans  les  aimer;  vous  tenez 
des  deux  parts,  par  commerce  de  vanite  réciproque:  nous 
n'avoDS  point  de  reproches  à  nous  faire,  pas  mème  sur  cet 


112  DIALOGUK  DBS  HOBTS. 

article.  Rancane  à  part.  Et  que  dìMI,  volre  grand  Choiseul, 
de  cette  révolatlon?  L'avez-vous  vo? 

Voltaire.  Qae  yoolez-yous  qu'il  dise?  qne  pent-il  dir 
de  bon?  Vous  vons  ètes  moqaé  de  lui,  sire,  et  yoiis  afiex 
raison.  G'était  un  petit  homme  sana  principes,  glorìeux, 
vaio,  bardi,  remuant,  qui  à  force  de  répét^er — je  suit  un  grand 
ministre  —  est  parvenu  à  le  faire  croire  aux  antres  et  i  le 
croire  luì-mème  tout  de  bon.  11  sera  persuade  que  toot  cela 
n'est  que  la  punition  des  renvois  qu'on  lui  a  doanés,  el  qoe 
si  on  lui  laissait  le  temps  d'acbever  ses  projets,  le  tròoe  se^ 
rait  afiermi.  Cboiseul  était  un  homme  d'Étatfanraron;aas8Ì 
c'était  assez  à  la  mode  de  notre  temps.  Il  n'y  avait  que  yoos, 
sire,  qui  n'étiez  pas  régenté:  les  autres  pays  étaient  goover- 
nés  par  des  cbarlatans  qui  en  imposaient  aux  monarqaes  par 
le  ton,  par  l'encolure,  par  le  mainlien  mystérieux,  par  le 
don  de  la  parole:  ils  se  croyaient  perdus  sans  leor  secoars. 
Les  yrais  bommes  d'État  ne  peuyent  avoir  part  à  radmiois- 
tratìon  que*  dans  un  gouvernement  où  la  yertu  pr^ide.  Les 
princes  faibles  sònt  gouvemés  par  des  courtìsans  ou  des  en- 
piriques;  les  despotes  sont  servis  par  des  esclayes  sans  moears; 
les  bons  princes  qui  respectent  la  dignité  de  Thomme  Mot 
aidés  par  des  bommes  yertueux,  amis  de  la  liberté. 

Frédéric,  Mais  enGn  je  suis  curieux  d'apprendre  ce  qoe 
la  Franco  ya  devenir;  jusqu'à  présent  je  n'y  vois  qu'ane  re- 
volution. Pour  le  roi,  mòn  confrère  sera  dans  Theareiue 
jmpuissance  de  ne  pouvoir  nuire  à  personne,  non  plus  qoe 
colui.  d'Angleterre.  Mais  vos  beaux-esprits,  votre  Bayle,  vo- 
tre  Necker,  votre  Mirabeau,  réussironl-ils  à  fofmer  une  cons- 
tìtution,  à  la  faire  agréer  à  T Assemblée  Nationale?  L'amoar- 
propre  d'auteur  y  entrera-t-il  à  contrarier,  &  prodqire  des 
débais  ?  Le  Francais  réussira-t-il  à  fixer  une  Assemblée  Na- 
tionale, à  élablir  la  forme  de  son  électìon  ? 

Voltaire.  Eh  pourquoi  non,  sire,  dès  que  des  hommes  de 
.  genie  s'en  mèlent,  dès  qu'on  est  sensible  à  la  gioire  ^'^^ 
le  bienfaiteur  de  sa  patrie? 

Frédéric.  Mais  que  deviendra  l'Europe,  cher  Vollaìrei 
et  l'équilibre  tant  vanlé?  et  toules  les  menées  sourdes  da^ 
cabinets,  que  deviendront-elles? 


DIALOGUB  DBS  HORTS.  I13 

Voltaire.  Elles  devìendroot  ce  qu'elles  pourront;  mais 
quand  méme  la  poliiìqqe  changerail  de  face,  le  genre  homaìn 
auraìt-il  de  quoi.se  pJaindre?  La  France  jnsqa'à  présent  a 
donne  d^s  pompons,  des  danseors,  des  frìseurs  et  desxoisi- 
uiers  au  reste  de  TEarope;^  son  tour  est  vena  de  lui  don- 
ner  le  sentiment  de  la  Uberté.  Tant  que  les  prindpes  dù 
droit  des  ciloyens  ont  élé  naturels  à  la  Grande-Bretagne,  ìls 
étaienl  détachcs  du  continent;  le  vulgaire  regardait  les  Ab- 
glais  eòrame  de  bizarres  hérétiques  qui  avaient  une  morale 
feroce:  inainlcnant,  sire,  c'est  dans  le  centro  du  cóntinene 
que  les  vérités  lumineuses  ònt  para  au  grand  jour;  elles  sont 
respeclées,  et  le  sereni  dans  des  Itvres  qui  passent  dans  les 
mains  de  toul  le  monde;  on  sera  témoin  de  sa  gioire  et  de 
son  bonheur.  Enfantés  par  la  nouvelle  législatioo,  on  sera  à 
mème  de  comparer  le  despolisme  que  Fon  souffre,  avec  la 
liberto  qu'on  voit  régner  à  deux  pas:  Tabus  da  poavoir  de- 
yieodra  insapporlablcvle  peuple  sentirà  ses  forces,  et  suirra 
tòt  au  tard  Texemple  de  la  France» 

Frédéric.  Ecoutez,  patriarcJie,  entre  nons,  jen'en  serais 
pas  fàché;  que  mes  suecessetrrs  y  pensent,  c'est  lear  affaire. 
Pour  le  roi  mon  nevea,  illnminé,  il  joue  le  ròle  de  Louis  XV; 
colui  qui  lui  succèderà  pourra  à  son  tour  élre  le  restaarateor 
de  la  liberté  du  Brandebourg,  car  Guillaume-Frédéric  est  à 
l'abri  par  la  gioire  de  mon  règne»  qui  ne  sera  pas  si  tòl  oublié. 
Si  les  rois  mes  voisins  n'avaient  pas  élé  des  despotes,  s'ils 
ne  m'avaienl  pas  ìnsollé,  croyez-vous  que  j'aurais  quitte  mon 
cabinet,  ma  musique,  la  soeiété  aimable  des.  gena  de  goùt  et 
d'esprit,  pour  les  horreurs  et  le  carnage  de  la  vie  miliiaire  ? 
A  Vienne  on  se  moquait  de  moi ,  on  me  raillait  comme  un 
parvenu  à  la  royauté:  la  hauleur  autrichienne  me  for^a, 
malgré  moi,  de  devenir  mt  eonquéranL  Les  cabales  des 
cours,  les  inlrigues,  les  menées  de  cabinet  me  forcérent  à 
cabaler^  à  intriguer,  à  surprendre  à  mon  tour,  et  à  foire 
voir  que  méme  dans  ce  métier  j'étais  babile  aulant  qu'un 
autre.  L'acharnement  de  mes  ennemis,  qui  dans  le  Cond 
haì'ssaient  l'usage  que  je  faisais  de  ma  raison^et  ne  me  par- 
donnaient  pas  d'avoir  foùlé  aux  pieds  les  préjugés  dont  ìls 
étaient  les  esclaves,  leur  acharnement,  dis*je,  me  forca  à 


114  DIALOGUB  DKS  MOtTS. 

devenir  soldat.  Si  l'Emope  de  mon  temps  eùt  é(é  gOQTernée 
par  des  monaniaes  limilés  dai»  leor  poayoir;  si  les  aatres 
natioBS  de  l'Eorope  eossent  Teca  sous  ane  constUnlìon  libre, 
je  me  aeraìs  conteDté  de  yivre  en  paiT,  de  joair  des  plaisirs 
dea  beaax^rta,  de  les  yoir  éclore  et  flearir  antonr  de  moi, 
de  rendre  heareox  mea  compatriótes:  ainsì,  loin  de  m'oppo- 
ser  à  Tolre  présage,  cher  Voltaire,  je  regrette  qu'il  n'aìt  pas 
élé  ayéré  od  aiécle  ploa  tòL 

VcUafre.  Je  ne  sais  pas  si  yoes  ètes  sincère  dans  ce 
moment;  je  sais  hien  qae  voas  prenez  votre  parti,  mème  fcì- 
basy  en  homme  d'esprit,  eomme  voas  avez  toojoars  foit 
Toatefois  ne  craignez  pas  poar  yos  soccessears  :  TAIlema- 
gne  ne  se  hàtera  pas  d'imi (er.  Il  faat  qae  les  Espagnols  et  les 
Italiens  aìent  aaparavant  lear  toar.  Malgré  lenr  sapersCitìon, 
malgré  la  corraplion  des  monirs,  ils  ont  plas  d'éteffé  qoe 
vos  Allemands. 

Frédéric.  Adiea,  Voltaire;  je  vais  chercher  Marie-Tlié- 
rèse:  je  suis  curieux  de  savoir  la  sensation  qa'elle  aora  recoe 
par  les  noavelles  da  joar,  car  elle  ne  les  ignorerà  sàrement 
pas:  ce  gras  Foulon  en  arrivant  ici  a  fait  tant  de  tapaget 
Adiea,  patrìarche. 

Voliaire.  Adiea,  sire;  et  moi  je  m'en  vais  chercher  ma 
bonne  marquise  da  Ghàtelet:  il  y  a  tonte  apparence  qoe  ma 
conversation  sera  plas  amicale. 


115 

OSSERVAaONI 
SULLE  PROPOSTE  FATTE  DAI  DELEGATI 

AL    CONSIGLIO    GENERALE  DI    MILANO, 

nella  Consulta  del  20  di  gennaio  4792.  * 


Tre  oggetti  prìneipalnieiite  si  hanno  di  mira  nella  Con- 
8uUa(  sono:  procurare  un  numeroso  concorso  alle  adunanze 
del  Consìglio;  discutere  gli  affari  nella  maniera  più  utile;  e 
rianimare  la  pubblica  estimazione  verso  del  Corpo  Decurìona- 
le.  La  proposizione  di  questi  argomenti  prova  che  aUualmente 
vi  sono  (re  mali  da  riparare,  cioè:  Y  indifferenza  di  alcuni 
Decurioni,  un  vizio  nei  determinare  gli  aflarì,  e  finslmenie 
una  diminuzione  nella  conQdenza  pubblica  verso  del  Corpo 
che  rappresenta  la  Ciltà.  Questi  mali  essenzialissimi,  perchò 
di  sommo  pregiudizio  alla  patria,  hanno  eccitalo  lo  zdo  dei 
Signori  Delegati  ad  opinare  sui  mezzi  a  ripararli  ;  ciascuno, 
in  seguito,  venne  incaricato  d'esaminare  la  Consulta,  ed  espor- 
re il  proprio  sentimento.  Siamo  concordi  nell' ammettere  i 
mali  ohe  ci  attorniano:  ma  non  tnttr  siamo  della  stessa  opi- 
nione sulla  scelta  dei  rimedj. 

Nella  Consulta  si  considera  necessaria  la  frequenza  delle 
adunanze,  per  rendere  più  solenni  ed  autorevoli  le  deHberatio^ 
ni,  0  per  servire  di  esempio  aUe  altre  civiche  carieke.  Io  però 

*  Era  gili  al  lermine  la  stampa  di  qaesto  volume,  quando  ci  pervenne  copia 
ddle  presenti  Osservaaioni ;  alle  quali  siamo  lièti  di  potere  dar  luogo,  siccome 
quelle  che  sebbene  tpparìscano  rapidamenu  dettate,  rivelano  larghi  coneetti ,  e 
dinotano  sempre  più  quanto  fosse  veggente  lo  ingegno  del  nostro  Autore  nel 
concepire  ed  applicare  i  principi!  di  quel  sistema  parlamentare^  che  trept^  anni 
dopo  divenne  gius  pubblico  in  Italia. 

L'EniToKB. 


110  OSSBRYAZIONI  9ULLB  PBÒPOSTE 

considero,  che  le  adunanze  le  qoali  devonsi  tenere,  come  la 
nostra,  a  porte  chiuse,  non  sono  atte  a  tal  fine;  ed  altronde, 
la  pompa  ed  il  decoro  non  sono  certamente  gli  oggetti  pri- 
mari, né  conformi  ai  tempi  ed  alle  circostanze.  —  La  fre- 
quenza nelle  adunanze  è  necessaria,  perchè  la  Città  è  muta, 
e  non  parla  che  per  la  bocca  dei  Sessanta  Decurioni,  che  se- 
condo la  pratica  di  due  secoli  e  mezzo  sono  destinati  a  par- 
lare per  tutti;  e  gli  interessi  di  tutti  debbono  non  essere 
trascurati,  ma  conosciuti,  esaminati,  e  discussi  dal  maggior 
numero,  e  colla  maggiore  attenzione,  dei  Rappresentanti  del 
Pubblico.  —  Questo  è  il  vero  motivo  per  cui  la  indifferenza 
di  chi  trascura  di  frequentare  le  adunanze  è  un  male.  Sa- 
rebbe anzi  colpevole  questa  indifferenza-,  se  nelle  adunanze, 
quali  sono  le  nostre,  si  potessero  realmente  conoscere,  esa- 
minare e  discutere  gli  interessi  della  patria;  ma  disgraziata- 
mente non  vi  può  essere  colpevole  alcuno  neir  attuale  re- 
golamento; quindi  lo  credo  che  non  sia  fondata  la  Consulta, 
laddove  sembra  incolpare  che  la  frequenza  manchi  per  dì* 
felto  jdégli  $timoli  d^  onore  e  di  patrioUitmo.  Io  sono  stato  de' 
più  negligenti  nel  presentarmi  alle  adunanze;  e  certamente 
non  sono  mai  stato  insensibile  agli  stimoli  d'onore  e  all'amore 
della  patria;  e  credo  che  lo' stesso  che  asserisco  io  con  ve- 
rità, k)  potranno  del  pari  asserire  gli  altri  Signori  Decarìoni 
che  rare  volte  Comparvero  alle  adunanze.  Esaminiamo  come 
si  tengano  le  Sessioni,  e  come  vi  si  deliberino  gli  afikri. 

Un  biglietto  d'avviso  indica  il  giorno  e  l'ora,  ma  non 
l'oggetto  dell'adunanza.  Compaiono  i  Decurioni,  ignari  del- 
l'argomento, di  nulla  prevenuti.  Si  legge  una  Consulta,  una 
relazione ,  una  proposizione  qualùnque ,  che  giunge  naova 
ed  impensata  al  maggior  numero.  Non  sempre,  nemmeno 
il  subalterno  lettore,  ha  chiarezza  di  voce  e  pronuncia 
felice  per  essere  inteso.  La  maggior  parte,  nella  quale  io 
mi  ripongo,  rimane  nell'  oscurità  sul  merito  dell'affare.  Nes- 
suno parla;  nessuno  può  cercare  lumi  o  spiegazione.  Com- 
paiono i  bussoli.  Si  fa  la  proposizione;  le  rosse  indicano: 
amfàirme  alla  Consulta;  le  bianche:  fare  altra  determinazione. 
Conviene  determinarsi:  o  ciecamente,  o  di  credulità  abban- 
donarsi alla  opinione  di  chi  distese  la  Consulta,  ovvero  eie- 


FATTB   àt  CONSIGLIO  GENERALE  DI  MILANO.  117 

camente  rìcasarla.  —  Se  prevalgono  le  bianche  (caso  assai 
raro),  allora  V  altra  deierminazione  da  farsi  ritorna  agli  stesai 
Delegati  di  prima,  ai  qaali  vagamente  è  notò  che  la  prima 
proposizione  è  bensì  esclusa,  ma  ne  ignorano  il  perchè;  e 
quindi  stendono  an'  altra  proposizione  che  viene  poi  nuova- 
mente letta,  e  come  la  prima,  difllcìlmente  intesa  ;  onde,  per 
non  lasciare  eternamente  in  sospeso  ogni  affare,  convien 
pure  una  volta  concorrere  ;  e  postochè  non  mai  è  possibile  di 
schiarire  col  tempo  dippiù  gli  affari,  toma  meglio  approvare 
di  slancio  le  proposizioni.  Asserisco  quindi,  che  i  Decurioni 
sono  coartati  a  dare  una  palla  per  il  si  o  per  il  no  sui  pub- 
blici oggetti,  la  maggior  parte  delle  volte,  senza  poterli  com- 
prendere; per  modo  che,  tutta  la  cognizione  e  potere  del  Con- 
siglio generale  condensato  in  alcuni  pochi  Decurioni,  si  ridaee 
il  maggior  numero  alla  umiliante  e  noiosa  comparsa  di  essere 
affatto  inutile  al  servizio  del  pubblico. -^  In  questo  stato,  gli 
stimoli  d'  onore  ed  il  patriottismo  allontanano  dall'  essere  te- 
stimonio insignificante  del  disordine. 

Fintanto  che  il  Consigliò  generale  della  Città  fu  compo- 
sto di  cittadini  eletti  dalla  Città  stessa ,  per  esercitare  una 
temporaria  commissione,  sempre  si  trattarono  gli  oggetti  deHa 
patria  coli-  uso  deHa  parola  ;  di  che  ci  fanno  fede  i  documenti 
antichi.  Poi,  sotto  il  duro  governo  del  Lautree,  che  di  sua 
autorità  nominò  sessanta, individui,  destinandoli  a  parlare 
per  la  Città,  la  cosa  «ambiò  di  natura;  e  siccome  quasi- tutta 
l' incuinbenza  del  Consiglio  dopo  quell'  epoca  si  limitò  unica- 
mente alle  nomine,  nulla  vi  è  di  strano  se  cessasse  ogni  oc- 
casione di  trattar  affari  còlla  parola ,  ed  unicamente  colla 
ballottazione  si  palesassero  i  suffragj.  Cosi  venne  a  stabilirsi 
V  usafìza  di  rimanere  sempre  in  silenzio  e  passivi,  non  gi4i 
per  legge,  ma  per  opportunità  della  cosa.  Ma  ora  che  il  gè* 
nerale  Consiglio  non  solamente  è  ripristinato  nelle  sue  anti 
che  costumanze,  ma  inoltre  è  aeereseiulo  di  rilevanti  faeoUà 
e  prerogative,  come  leggesi  nella  Consulta,  la  necessità  di 
dipartirsi  dall'  adunanza  muta,  sembra  indispensabile ,  se  si 
voglia  che  i  lumi  e  le  cognizioni  de'  Decurioni  > liberamente 
concorrano,  come  ò  ragionevole,  neNa  determinazione  degli 
affari. 


lig  OSSBAVAXIOM  SULLE   PROPOSTE 

Si  {HTopone  neUa  Goosulta,  per  ottenere  la  frequenza 
nelle  aduoanze,  di  porre  la  pena  ai  mancanti.  Ghiimqae,  per 
ite  adunante  consecutive»  non  intervenga,  sarà  privato  per 
«n  anno  d$l  diriUo  d* intervenire  in  Consiglio;  i  recidivi  ri- 
marranno sospesi  per  dae  anni;  e  gli  oUeriormenie  conto- 
mact  a  mancare,  potranno  anche  essere  aeacciati  dal  Corpo 
Decurionale.  —  Questa  legge  umiliante  e  scolastica  certa- 
mente non  contribuirebbe  a  conciliar  la  venerazione  del  po- 
polo verao  il  ceto  de'  Decurioni.  —  Io  non  considero  che  sia 
un  diriUo  personale  questo  d' intervenire  in  Consiglio:  lo  con- 
sidero im  ufi9cio  pubblico.  La  frequenza  alle  adunanze  è  ne- 
cessaria, perchè  tutti  gli  agenti  della  Città  concorrono  a 
provvedere  agli  ailari.  Se  per  un  anno  veng^  interdetto  ano 
degli  agentif  la  Città  avrà  un  aiuto  di  meno.  Se  varj  incor- 
rono nella  pena,  si  può  ridurre  in  piccol  numero  r  arbitrio 
di  disporre  del  denaro,  pubblico.  Quindi  si  accrescerebbe  ii 
male  che  si  tenta  di  togliere;  e  la  legge  camminerebbe  al 
fine  opposto  a  quello  che  si  prefigge.  Sarebbe  minor  male 
il  rieorrere  al  violento  e  duro  partito  di  cassare  per  sempre 
y individuo  trascurato,  anziché  conservarlo  nel  ceto  deca- 
rionale  dopo  averlo  macchiato  colla  interdizione  d'un  anno. 
Non  pare  adunque  ammissibile  una  tal  legge,  e  sembra  che 
loveee  di  percuotere  gli  effetti  convenga  rimediare  ^e  ca- 
gioni, riduoendo  le  Sessioni  utili;  offerendo  i  mezzi  per  ri- 
fchiaiare  le  menti  di  ognnno  sugU  affari;  aprendo  T adito 
ai  suggerimenti  di  chiunque  in  Ì>enefìcio  pobUico;  uod  oc- 
cultando le  cognizioni,  ma  spandendole,  offrendole,  e  ditor 
landò  la  confidenza  e  la  luce.  Cosi  si  renderanno  le  ado- 
Banie  tali,  che  ameranno  d'  intervenirvi  lutti  i  buoni; 
ponendo  in  comune  le  opinioni,  ciascuno  sarà  animato  dalla 
speranza  di  contribuire  ai  servigio  della  patria.  Allora  na- 
scerà la  voiglia  e  Io  zelo  d' intervenire  alle  adunanze,  dalle 
quali  allontanano  presentemente  la  noia ,  il  tedio  è  V  omi- 
liazione  d' una  antonomlca  seduta,  e  la  distanza  mortificante 
posta  fra  i  pochi  che  conoscono  e  dirigono  gli  affari,  ed  i 
■tolti  che  eondannati  al  meccanismo  delk  ballottazione  noz 
vi  prestano  ohe  la  presenza  ed  il  nome. 

Posto  adunque  per  principio,  che  l'attuale  mancaoza 


FATTE   AL   CONSIGLIO  GB>KRALE  DI   MILANO.  ^1^ 

dalle  Sessioni  nasca  dalla  viziosa  maniera  colla  quale  si  itàU 
tano  gli  affari,  il  rimedio  al  primo  disordine  emanerà  dal 
baon  sistema  che  s'introduca  nella  discussione  degli  attarì. 
Conviene  formarsi  idee  precise  su  questo  importante  ogget- 
to. Gli  affari  si  propongono  prima,  indi  si  esaminano,  final- 
mente si  determinano.  Se^  dopo  la  proposizione,  cada  im- 
mediatamente la  determinazione,  tutto  è  azzardo  e  confusione. 
NeMa  Consulta  si  tratta  di  due  estremi,  cioè  della  "proposizwwie 
e  della  deteriahiazione  degli  affari;  e  questi  due  estremi  si 
toccano  per  modo  che  sembra  voglia  escludersi  per  sistema 
Tesarne,  che  è  il  vero  ed  unico  fine  per  cui  si  fa  l'adu- 
nanza. 

Nella  Consulta  sì  suggerisce  il  continuare  neW  antico  si- 
stema, tuttavia  osservato,  di  presentare  lutti  gli  affari  in 
iscrìtto.  Sicuramente  che  tale  debb' essere  per  necessità  il 
modo  d' ogni  proposizione,  non  potendo  fondarsi  veruna  de- 
terminazione sulla   mutabilità  d'una  vocale   proposizione 
che  svanisce  colle  reminiscenze.  Anche  fe  verbale  relazione 
converrà  sempre  si  scriva  all'atto  in  cui  venga  falla,  e  vò^- 
gliasì  indi  passare  a  stabile  determinazione.  Stìnbfa  qulihfi 
da  approvarsi  pienamente  il  modo  proposto  nella  Consulta  ; 
cioè  la  proposizione  d' ogni  affare  sempre  sia  ridotta  a  scrit- 
tura. Quanto  alla  determinazione  dell'affare   da  prendersi 
a  palle  segrete,  sem1>ra  opportunissimo  il  suggerimento  della 
Consulla  dì  prescrivere,  e  convalidare  anche,  se  bisogna,  con 
nuovo  decreto   questo  provvido  metodo.  — Ma  debbo  dire 
che  sarà  sempre  viziosissima  la  maniera  di  trattare  gli  affa- 
ri ,  qualora  gli  stringano  fra  i  due  estremi,  proposizione  e  de- 
terminazione, escludendo  l'esame  intermedio,  che  n' è  l'anima. 
Questo  esame  non  si  può  fare  altrimenti  che  coli'  uso 
della  parola.  Tutte  le  adunanze  1'  hanno  sempre  ammessa, 
per  modo  che  non  solamente  le  altre  Mense  civiche  e  tutti 
i  Consigli  delle  città  provinciali,  tua  perfino  tutti  i  Capitoli 
regolari  e  secolari,  tulli  i  ceti,  anche  di  più  centinaia  di 
persone,  non  l' hanno  proscritta  giammai.  Una  adunanza  di 
muli,  avanti  di  cui  si  fa  una  proposizione,  e  che  sempre 
passa,  a  palle  segrete,  a  decidere  senza  discussione  inter- 
media, è  un  vero  mostro  che  non  ha  esempio  nel  regola- 


120  ossmr AZUMI  sculb  paoronB 

mento  di  ogni  alln  adoDanza.  Tale  azzardo  eia  tollera- 
bile fin  tanto  che  il  Consiglio  generale  si  radunava,  come 
dissi,  qoan  nnicamente  per  ludlottare  le  elezioni  e  le  no- 
mine,  come  per  lo  passato  ;  ora  che  col  soo  assenso  obbliga 
il  patrimonio  di  lotti  i  cittadini,  e  dispone  delle  spese,  non  é 
possibile  che  la  Città  che  rappresentiamo  abbia  la  confi- 
denza in  noi,  se  trascuriamo  di  operare  con  inlnizione  od 
esame,  e  ciecamente  ci  riposiamo  snila  penetrazione  e  zelo 
di  alcuni  pochi,  ai  quali  accediamo  per  credulità.  È  un  do- 
yere  della  nostra  onestà  di  considerarci  come  curatori  del 
patrimonio  dei  nostri  concittadini,  e  non  prestare  mai  l'as- 
senso nostro,  se  non  a  causa  ben  conosciuta,  con  lealtà  ed 
esame.  Non  è  possibile  il  tarlo  in  un'  adunanza  dove  sia  in- 
terdetto per  legge  V  uso  della  parola. 

La  mente  degli  uomini  è  fatta  in  modo,  che  facilmente 
r  attenzione  si  svia  e  si  rivolge  ad  altri  pensieri,  quando  ven- 
ga ad  ascoltare  la  lettura  d' un  affare  il  quale  sempre  non  può 
interessare  per  sé  medesimo.  A  me,  che  non  ho  un  orecchio 
bastantemente  sensibile,  sfuggono  anche  le  parole  ed  i  pe- 
riodi; se  egualmente  accada  ai  più  remoti,  ne  dubito:  ma, 
dato  che  esattamente  giunga  il  suono  delle  voci ,  asserisco  con 
franchezza  e  verità,  che  pochi  reggono^  impadronirsi  di  slan- 
cio, e  cella  prima  lettura,  della  massima  dell' affare.  Nei  tri- 
bunali, per  quanto  un  relatore  sia  esatto  e  chiaro  sempre, 
deve  ascoltare  delle  interpellazioni,  e  ripetere  cose  già  dette. 
La  natura  umana  è  falla  cosi;  ed  a  meno  di  non  volere  che 
la  massa  de'  Decurioni  precipiti ,  senza  conveniente  istruzio- 
ne, la  decisione  degli  affari,  non  si  può  contendere  loro  l' uso 
della  parola:  la  qual  legge  nuova,  senza  esempio,  e  direi  an- 
che ingiuriosa  al  Corpo  Decurionale,  crederebbesi  dal  pub- 
.  blico  immaginala  per  l'odioso  principio  di  conservare  dispo- 
ticanienle  nelle  mani  di  alcuni  pochi  individui  tutta  I'  auto- 
rità di  cui  a  giuslo  titolo  deve  parlecipare  l' intero  ceto  de' 
Sessanta.  Io  so  che  il  pubblico  farebbe  torto  ad  alcuni  col 
supporre  questa  voglia  esclusiva  di  dominazione;  ma  sicura- 
mente una  tal  legge  farebbe  nascere  siffatta  opinione* 

La  singolarità  poi  di  una  legge,  che  proscriva  da  un  Corpo 
deliberativo  l' uso  delia  parola,  rende  interessante  l' esame 


FATTE    AL  CONSIGLIO   GENERALE   DI  MILANO.  121 

dei  motivi  che  hanno  fatto  nascere  la  proposizione.  La  Con- 
salta  gli  espone  eolle  seguenti  parole:  Molli  inconvenienti  in- 
separabili dalla  manifestata  conlrarielà  delle  opinioni,  dalVim- 
pegno  di  sostenerle  reciprocamente ,  dalla  conseguente  collisione 
e  rivalità  di  parliti  ^  e  dalla  seducente  eloquenza  non  sempre 
accompagnata  dalla  ragione  o  dalla  prudenza....  Se  questi  mo< 
tivi  fossero  attendibili ,  converrebbe  dire,  che  latte  le  nume- 
rose adunanze,  nelle  quali  è  permesso  Tuso  della  parola,  aves- 
sero traviato,  e  che  il  migliore  fra  tutti  i  modi  per  dilucidare 
e  ben  comprendere  gli  affari  fosse  la  taciturnità.  La  conse- 
guenza emana  direttamente,  e  dalla  natura  di  essa  si  pa- 
lesa r  indole  della  proposizione.  Esaminiamo  questi  motivi. 

Si  teme  la  ma$Hfestata  contrarietà  delle  opinioni.  Temiamo 
anzi  le  occulte  contrarietà  delle  opinioni.  ->  Le  adunanze  si 
fanno  appunto  per  manifestarle  in  un  liberale  conflitto:  cia- 
scuno presenta  il  parer  suo;  si  sviluppa  l'affare,  si  mostra 
sotto  i  varj  aspetti,  e  si  pone  Y  adunanza  in  grado  di  dare 
i  segreti  suflragj  a  causa  conosciuta.  Le  opinioni  basse  o  in- 
tetessate  non  osano  manifestarsi;  le  opinioni  erronee  di 
buona  fede  perseverano  nel  silenzio,  e  cedono  alla  luce  della 
verità. 

Si  teme  l' impegno  di  sostenere  le  proprie  opinioni.  Chi  so- 
stiene una  opinione  ragionevole  con  impegno,  è  un  uomo  fer- 
mo; chi  con  impegno  sostiene  una  opinione  irragionevole,  è 
un  ostinato;  non  sembra  esservi  nulla  da  temere.  La  ballot- 
tazione segreta  decide. 

Si  temono  collisioni  e  rivalità  di  parlilo.  Se  vi  fossero 
partiti,  e  rimanessero  coperti  dal  silenzio,  sarebbero  più  in- 
sidiosi e  funesti.  I  partiti  manifesti  produrebbero  V  ottimo 
effetto  della  gara  di  vegliare  perché  nessuno  oltrepassi  i  pro- 
prj  doveri ,  o  li  trascuri. 

Finalmente  si  teme  una  eloquenza  seducente,  irragionevole 
e  imprudente.  A  me  sembra  che  nessun  motivo  siavi  di  te- 
mere quest'  eccesso  di  raffinamento,  e  quest'  abuso  della  elo- 
quenza. Primieramente,  non  vedo  che  gli  oggetti  che  noi  trat- 
tiamo possano  somministrare  materia  per  la  seducente  elo- 
quenza, non  sempre  accompagnata  dalla  ragione,  che  è  la 
base  della  eloquenza.  Poi,  non  credo  incauti  a  tal  segnò  i  Dc- 

P.  TF-ERI.  Jppeiufice.  .  Il 


i22  OSSiaVAXlOlfl  STLU  PftOrOlSTE 

eorioBi  da  eedere  faalneiile  alb  fedasìoiie.  È  ver»  dM  deHa 
parola  può  fanene  abuso  come  d'ogni  altra  cosa;  na  chi 
volesse  proibife  il  fioco,  per  limore  ét^  incendj,  toglie- 
rebbe alla  città  qb  elemento  necessario  alla  vita.  Chi  da  mia 
adunanza  proscrìTesse  per  legge  Foso  ddla  parola,  per  evi- 
tare P  animosità ,  togliereUie  da  qnefla  adunanza  il  solo 
mezzo  per  esaminare  gli  oggetti  soi  quali  deve  determinare. 
11  ceto  de'  Decurioni  è  tale  pel  numero,  età,  nascita  ed  edu- 
cazione, che  sicuramente  si  può  parlare  senza  temere  al- 
cun inconveniente;  ma  sicuramente  non  si  potranno  mai  far 
comprendere  ad  essi  gli  affari ,  sintanto  che  vengono  condo- 
nati al  silenzio,  opportuno  per  le  elezioni,  inc<Nmpatibile  colla 
disamina  degli  aflkrì.Credo  quindi  non  doversi  in  verun  confo 
stabilire  per  legge  quel  silenzio  che  sinora  non  è  stato  che 
per  usanza  conservato.  Credo  anzi  doversi  espressamente  di* 
chiarare  libera  la  parola  a  chiunque,  giacché  pia  non  ci  ra- 
duniamo per  semplici  elezioni  e  nomine,  come  dissi,  ma  per 
conoscere  della  amministrazione  dell'erario  civico;  e  il  si- 
lenzio diventa  nel  nuovo  ordine  di  cose  incompatibile. 

Né  sarebbe  di  bastante  supplemento  alla  discussione  il 
partito  suggerito  nella  Consulta,  cioè  di  lasciare  alcuni  giorni 
di  spazio  fra  la  proposizione  dell'  affaree  la  decisione,  e V esi- 
bire in  quell'  intervallo  le  scritture  nella  Segreterìa;  acciocché, 
volendo  un  Decorìone  esaminarle,  lo  possa,  e  stenderne  anche 
i  rìliev]  per  consegnarli  al  capo  del  Consiglio,  al  quale  deb- 
bano parteciparsi.  11  qoal  partilo,  secondo  leggesi  nella  Con- 
sulta, ai  signori  Delegati  sembra  talmente  opportano  che 
dicesi:  CoW  accennalo  metodo  si  oUerrà  il  IripUee  vantaq^, 
d*  informare  più  esallamenU  deUe  cose  da  determinarsi  dai  si- 
gnori votanliy  di  risolvere  i  duòbjy  e  di  abilitarli  ad  assentire 
0  dissentire  con  piena  cognizione  di  cauta.  Su  di  che  si  pre- 
sentano alcune  osservazioni/ 

Si  crede  dunque,  col  proposto  metodo,  di  poter  émfor- 
mare  più  esattamente  delle  cose  da  determinarsi  dai  signori  vo- 
tanti. I  votanti  ascolteranno  la  lettura  di  due  earte,  cioè  la 
relazione  ed  i  rilievi  ;  e  come  si  è  detto' di  sopra  che  di  slan- 
cio la  semplice  lettara  non  basta  (laddove  sia  proibito  V  in- 
terpellare e  chiedere  schiarimento)»  invece  di  avere  più  schia- 


FATTE   AL  CONSIGLIO   GKNEfiALB   DI   MILANO.  S23 

riiè  le  menti»  si  accrescerà  V  oscarità  e  V  incertezza ,  essendo 
più  difficile  prestare  l' attenzione  seguita  a  dae  carte  che  non 
ad  una  sola.  Potrà  certamente  esaere  nel  soo  voto  più  intbr* 
mate  qoell'  individuo  che  voglia  frequentare  abitaalmenle  la 
Segreterìa,  e  porsi  a  leggere  i  éocamenti;  ma  non  è  né  co- 
modo il  metodo,  né  sperabile  che  i  Decarìoni,  oltre  le  Ses- 
sioni, si  assogettino  a  simile  disciplina.  Fare  le  adunanze 
proibendo  in  esse  ogni  schiarimento,  e  condannare  i  volanti 
ad  informarsi  nell^Archivio,  per  poi  determinare  in  una  se- 
conda adunanza,  non  pare  un  metodo  piano  e  ragionevole. 

Si  crede  col  metodo  dì  risolvere  i  dulbj.  Non  si  risolve- 
ranno certamente  coiy  ascoltare  a  leggere  due  carte,  cioè  la 
proposizione  e  le  opposizioni.  I  dubbj,  non  è  possibile  il  ri- 
solverli, ae  non  è  permesso  di  proporli.  Molti  dubbj  nascono 
dalla  intelligenza  che  ciascuno  può  dare  ad  utìa  proposizio- 
ne; mostrando  il  dubbio,  si  scioglie;  nel  silenzio  non  si 
svolge  mai,  né  si  rischiara:  i  dubbj  si  propongono  sul  campo. 

Si  crede  che  col  metodo  suggerito  potranno  i  Signori 
Decurioni  abilitarsi  «d  assentire  o  dissentire  con  piena  co^i- 
zione  di  causa.  Anche  i  Signori  Delegati  conoscono  adunque, 
che  nel  modo  attuale  son  costretti  ì  Signori  Decurioni  ad  as- 
sentire o  dissentire  senza  piena  cognizione  di  causa  ;  e  que- 
sto solo  basta,  perchè  cessi  il  dubbio ,  gli  assenti  mancare 
degli  slimoli  d'onore  e  di  patriottismo.  Ma  col  metodo  propo- 
sto, non  si  otterrà  il  fine,  perchè  pochi  hanno  ozio,  mezzi, 
abitudine  al  lavoro  di  p^nna,  e  pochi  vorranno  esporre  la 
estimazione  propria  in  una  scrittura  polemica,  alla  quale 
molti  uomini,  sebbene  dotati  di  buon  senso,  sebbene  anche 
colti,  o  per  mancanza  di  uso  o  per  diffidenza  di  loro  mede- 
simi, difficilmente  si  esporrebbero;  tanto  più  che  colui  che 
prende  la  penna  per  esporre  un  parere  contrario  alla  Con- 
sulta, sarà  sempre  uno  contro  più  ;  e  le  animosità  e  i  parliti 
più  facilmente  nasceranno  col  mezzo  della  scrittura,  che  più 
impegna,  di  quello  che  non  facciano  la  voce  e  le  obbiezioni 
verbali. 

Conchiudo  dunque  che  il  proposto  mezzo  non  avrebbe 
giammai  il  fine  di  recar  lume  bastante  \yer  determinare  a 
cosa  conosciuta;  mentre,  come  dissi,  la  rapida  iettora  della 


124  OSSBRVAZIOm  SULLS  1PROP08TB 

proposta,  e  delle  obbiezioni,  e  della  risposta,  caderà  sempre 
sotto  la  legge  d'ogni  scritto  ascoltato  leggere,  ebe  dai  pia  non 
verrà  mai  esattamente  compreso  :  oltre  di  che,  le  opiniooi  di 
ciascuno  rimanendo  sempre  isolate  (qniind'  anche  ciascano 
potesse  dare  il  suffragio  con  cognizione).  Terrebbe  tolto  dalla 
adonanza  il  fine  stesso  per  cui  le  adunanze  si  fanno,  cioè 
quello  di  rischiarare  reciprocamente  le  menti,  palesando  i 
diversi  pensieri,  e  discutendo  opinione  controt>pìnione  ;  unico 
mezzo  per  accertare  convenev4>lmente  un  partito:  il  che  qua- 
lora si  faccia,  saremmo  sicuri  che  le  proposizioni,  che  in  av- 
venire  usciranno  dal  Consiglio  di  Città,  saranno  tali  da  poter 
comparire  ragionevoli  ed  opportune  al  Governo  e  ai  triba- 
nali:  né  ciò  è  seàipre  accaduto  per  lo  passato,  con  morti- 
ficazióne anco  di  alcuni  Decurioni,  i  quali  avrebbono  dalo 
un  suffragio  opposto  a  quello  che  diedero,  qualora  aves- 
sero avuto  le  notizie  dell'  affare  che  col  discorrere  acquista- 
rono poi. 

Né  si  creda  mai  che  chi  suggerisce  di  far  uso  della  pa- 
rola nel  Consiglio  de'  Sessanta  Decurioni  intenda  di  permet- 
tere un  cicaleccio,  e  una  contemporanea  licenza  di  parlare. 
Questo  è  quello  che  sembra  assai  temuto  dai  Signori  Dele- 
gati ;  ma  nessuna  adunanza  può  tollerare  un  tal  disordine. 
Chiunque  abbia  a  fare  un  breve  quesito,  e  voglia  anche  dif- 
fusamente parlar  sull'affare,  s'alzi  ;  e  se  è  solo  alzato,  parfi, 
e  nessuno  T interrompa.  Se  più  ad  un  tempo  s'alzassero, 
parli  prima  l'anziano,  indi  tutti,  secondo  l'anzianità.  Cessati 
i  discorsi,  si  paesi  alla  ballottazione.  Se,  dopo  letta  la  propo- 
sizione, nessuno  si  alzasse,  si  passi  come  ora  alla  ballottazio- 
ne ;  ma  non  saprei  come  potesse  accettarsi  la  nuova  proget- 
tata legge  d*  inibire  qualsivoglia  mozione,  rilievo  ed  arringo 
verbale  da*  Signori  Decurioni  nel  Consiglio,  sotto  V  espressa 
legge  4:he  dal  capo  del  medesimo  col  suono  del  campanello  s*  im- 
ponga immeditOo  silenzio  altrasgressore,  n(  debba  o  possa  aversi 
alcun  riguardo  all'esposto  in  tal  forma:  legge,  che  sarebbe  anche 
da  estendersi  ai  rilievi  in  iscritto  prodotti  suUe  cose  o  risohi- 
xioni  della  corrente  Sessione. 

Né  credo  possibile  che  i  Signori  Sessanta  Decurioni,  che 
attualmente  sono  liberi,  e  potrebbero,  volendo,  parlare,  siano 


FATTE  AL   CONSIGLIO  GENBBALB  DI  MILANO.  125 

per  proibire  con  legge  a  loro  medesimi  la  facoltà  di  parlare, 
e  cosi  condannarsi  a  perseverare  neir  ingiusta  ed  irragio- 
nevole condizione  di  deliberare  su  i  pubblici  oggetti  senza 
poterli  bene  ed  accertatamente  conoscere. 

Io  non  escluderei  il  savio  ed  opportuno  suggerimento 
proposto  nella  Consulta  di  non  determinare  gli  affari  di  slan- 
cio, ma  d'interporre  un  termine  adeqwHo  a  ciascun  agl'are, 
entro  il  quale  siano  le  carte  esposte  nella  Segreteria  alla  vi- 
sione dei  Signori  Decurioni.  Questo  è  un  previde  pensiero  da 
adottarsi  ;  ma  non  sempre  otto  giorni  sarebbero  un  tempo 
bastante,  come  infatti  sì  è  veduto  nella  presente  occasione 
in  cui  si  ò  dovuto  accordare  più  ampio  spazio  per  V  esame. 
Né  mi  sembra  conveniente  il  proibire  che  si  faccia  copia  di 
alcuna  scrittura,  qualora  il  Decurione  da  sé  la  faccia,  e  non 
venga  a  stornarsi  il  lavoro  de' scrivani  della  Segreteria,  d'onde 
non  debbono  uscir  mai  gli  originali.  Sembra  conveniente 
pure  la  consueta  facoltà  a  ciascun  Decurione  di  porre  il  suo 
voto  in  iscritto,  e  consegnarlo  al  capo  del  Consìglio,  per  es- 
servi letto  ;  ma  non  pare  che  sìa  necessario  porre  in  iscritto 
il  proprio  sentimento,  essendo  ragionevole  che  anche  a  vo- 
ce, ed  a  più  universale  intelligenza  ciascuno  lo  possa  espor- 
re. Sembra  ragionevole  la  proposta  comunicazione  de'  rilievi 
in  iscritto  ai  delegati  o  Mense  che  fecero  la  proposizione; 
ma  se  nella  loro  replica  prendessero  mai  de'  nuovi  equivoci, 
è  giusto  che  finalmente  chi  vota  nel  Consiglio  possa  sulla  re- 
plica dire  le  sue  occorrenze.  Il  tutto  è  maggiore  della  parte: 
il  Consiglio  è  più  che  la  Delegazione:  ella  prepara  gli  affari,  e 
quello  li  determina  ;  quindi  non  sembra  da  adottarsi  che  le 
risposte  della  Delegazione  si  debbano  a  dirittura  leggere  nel 
Consiglio  e  tosto  mandare  a  palle  segrete  :  il  qoal  metodo  da- 
rebbe tutto  il  vantaggio  contro  dell'individuo  che  avesse 
fatti  i  rilievi,  che  pure  dev'essere  ascoltato  prima  che  si 
passi  alle  palle  segrete.  Mi  sembra  però  opportunamente 
fatta  la  classificazione  degli  affari  meritevoli  di  dilazione , 
quale  viene  posta  all'  allegato  XIII  della  Consulta,  il  quale 
in  massima  sembra  da  ritenersi,  cioè  :  Bilanci  preventivi  e 
consuntivi  delle  imposte;  spese  straordinarie  di  entità.  E  io 
direi  tutte  le  straordinarie  aoche  minime,  contratti,  e  desi- 

P.  TERBI.  Àpptndice,  W 


1^  o*atLVi\ hzio^i  sCLLm  WKirosiE 

derafi  d'oeiù  serta-  propoM««ni  e  «pplicic  al  SovraMo  o  al 
GoT^rno,  nuove  oreantaaansni  civiche  e  sislemaiiMn.  c»se 
<li  petenti,  éispense  d'ordini,  e  deereli  di  ^M  di  mjfwimiix 
oggetti  lotti  da  detenùnr»  non  di  slamò»  neiCoMBgiio  in 
M  MIO  pmpe0ti,  sa  bensì  cai  tmpo  pvemHnie  cvnsmo 
per  esaminare  le  carte. 

Nella  Conwlla  *i  tratta  del  casn  in  cu  «  iniMyìdiio  *rf 
CoflMlio  m  adenti  daBa  (sessione  eia  cominciaiB.  Si  fii  di- 
slinjione  dala  Sessione  per  nomina,  db  Sessione  per  a^h- 
rt  -^  Si  propone  eh»  qualora  drihènai  fcre  nna  nomina  o 
elexìone,  si  facciano  dóndeie  le  saie  dri  palano  prina^  per 
VHOefhià  d^mfpraqj  eMugimlmmaro  ée'r^tnti;  e  «pondo 
mai  venisse  «ale  ad  m  indivich»  ■*&  SesoioM,  nele  quali 
dehbonsi  defiberare  gli  aferi,  propone  la  Consnlla  in  tal  ear- 

genza  mmHMfifer  HUenemmio,  ed  H  rmUaiie  immem  pmm 
amlémmire  tsàUdmmmée  fe  méUeUe  iéef^mtm  e  dMmiw.mm 
Còda  plnra^tUà  ad  eme  reloHeeL  Qoande  pure  Teusseil  caso  dì 
differii  asaentare  an  individoo  daBa  Sessione  di  nomine  o 
eiezioni,  la  Consnlta  dice:  rfeonofCMRio  iwfepnMBftito  3  prwr- 
gtghe  la  wkakme  eM  ntper$ti(€  nrnmnv,  li^nehè  smorv.  Aspo 
di  atere  adunque  distinii  i  due  casi  di  adnnansa  per  nomine, 
e  di  adunanza  per  deliberazioni  d*  affari,  e  ncIT  uno  e  nel- 
l'aHro  opinano  i  Signori  Delegati  non  doversi  scio^ere  Tada- 
nainra  qualora  lalimo  à  ossenti;  H  el«  è  talmente  tagìoae- 
Toir,  cl»e  non  pare  siasene  fatto  un  problema.  Soggiungeva 
Consilia:  Cùmprendermmo  fe  Eceettenze  Vottre  la  noiaòHe  di- 
vtrrtlà  dei  due  cari,  e  la  raqkme  nel  primo  di  precwrmre  néik 
éUxi&ni  oRe  cariche  ed  impieghi  la  manima  egua^iamadivoti, 
emù  la  am$eguefuea  nel  ucondo  di  aiteneni  àlwuiggior  nuvnero 
deqH  hMrtdui  odvmaH.  lo  non  comprende  alcuna  notabile  di- 
versftà«  Le  elezioni  cadono  so  quello  cbe  abbia  ottenuto  un 
maggior  nomerò  df  suffragi  favorevoli;  fa fluuftmà  eguagUania 
di  voli,  invece  di  contribuire  alle  elezioni,  le  rende  incerte  e 
bisognose  d'on  secondo  esperimento.  Il  Beeorione  cbe  si  as- 
senta dopo  eorofttciata  V  adunanza  non  produce  altro  effetto 
se  non  di  sottrarre  il  suo  volo;  e  cosi  tanfo  le  deliberazioni 
cbe  le  elezioni  aliora  saranno  fatte  con  un  voto  di  meno. 


FATTE  AL  CONSIGLIO   GENERALE  DI  MILANO.  127 

Non  sembra  che  questo  sia  un  oggetto  che  meriti  alcana  di- 
scussione, né  sembravi  motivo  per  formare  un  carcere  o  un 
conclave  per  le  elezioni;  giacché  questa  antica  usanza  intro- 
dotta per  conservare  il  mistero,  non  serviva  punto  air  og- 
getto nemmeno  allora,  e  tutto  ciò  che  abbagliava  e  ne  im- 
poneva altre  volte  ai  cittadini,  inopportunamente  si  cerche- 
rebbe di  farlo  ora  rivivere,  attese  le  mutazioni  essenziali 
accadute  nelle  opinioni  generali  da  ctaqnant'  anni  a  questa 
parte;  convenendo  anche  a  noi  , di  collocarci  in  qualche 
modo  al  livello  de'  tempi  ne'  quali  vìviamo,  e  modellarci  non 
salle  opinioni  che  furono,  ma  bensì  sa  quelle  che  sono  nella 
mente  degli  uomini  nostri  contemporanei. 

I  fallimenti  sono  un  oggetto  sul  quale  la  Consulta  ha 
suggerito  una  legge,  che,  in  massima,  non  può  jueritare  che 
applauso.  —  Un  uomo  fallito  è  civilmente  morto,  e  macchiato 
d' infamia  ;  e  con  ciò  solo  si  rende  indegno  di  rimanere  nel 
Corpo  rappresentante  la  Città.  Un  fallito  é  interdetto  dal- 
l'amministrazione  del  proprio  patrimonio;  e  sarebbe  un 
vituperio  ed  un  assurdo  che  potesse  essere  un  agente  ed 
amministratore  della  Città.  Pare  saggia  ed  accettabile  la  pro- 
posta legge  con  qualche  piccola  variazione  :  se  per  espellere 
dal  Corpo  Decurionale  un  fallito  abbia  ciò  la  farsi  mediante 
fprtvia  deliberazione  del  Consiglio,  si  dovrji  temere  che  più 
d' una  volta  la  legge  rimanga  ineseguita.  Le  lagrime  della 
moglie ,  k)  spettacolo  de'  figli  innocenti ,  1  riguardi  per  le 
adunanze,  porranno  in  tsonflitto  l'umanità  e  la  compassione 
col  dovere.  Siccome  il  fallimento  è  un  fatto  legalmente  ma- 
nifesto, e  sul  quale  non  potrà  mai  nascere  controversia,  così 
sembrerebbe  più  certa  V  esecuzione  di  quesla  legge  provvi- 
da, qualora  V  atto  stesso  del  legale  aprìmento  del  concorso 
tenesse  luogo  di  deliberazione,  e  che  prima  di  quest'atto 
legale  ognuno  ricevesse  sempre  gli  avvisi  ;  al  momento  dopo 
quest'atto,  autenticamente  manifestato  al  Consiglio^  si  pas- 
sasse a  considerare  vacante  la  piazza. 

Sembra  fuori  d' ogni  dubbio  la  giustizia  della  legge  pro- 
posta, perchè  esca  datt'  adunanza  un  Decurione,  tostochè  si 
abbia  a  deliberare  sopra  di  affare  a  cui  siavi  interesse  perso- 
nale 0  reale  di  persona  congiunta  in  primo  grado  di  parentela. 


128  OSSERVAZIONI  SULLE  PROPOSTE 

Parimenti^  le  rinanzie  al  Decurionalo  opportunamente 
si  consalta  che  né  sieno  condizionate  né  verbali. 

Cosi  pnre  la  nnova  modula  del  giuramento,  semplice  e 
chiara,  persuade  per  adottarla. 

E  rispetto  poi  alla  proposizione,  che  leggesì  nella  Con- 
sulta relativamente  alle  elezioni  de'  nuovi  Decurioni,  di  esclu- 
dere tuta  quelli  che  per  le  altuaU  loro  cariche,  ingerenze  ed 
occupazioni  saranno  realmente  e  slàbilmenie  impediti  dal  pro- 
miscuo esercizio  e  disimpegno  delle  civiche;  \*  è  da  temere  con 
ciò  si  apra  l'adito  ai  pochi  che  formano  lo  scrutinio,  di  re- 
stringere la  facoltà  del  Consiglio  nella  scelta,  essendo  inde- 
terminati e  vaghi  i  limiti,  quali  cariche  o  ingerenze  sieno 
incompatibili  ;  e,  altronde,  non  è  mai  da  presumersi  che  la 
maggiorità  de'  voti  del  Consiglio  generale  sia  per  anteporre 
soggetti  inutili. 

Il  rimedio  al  disordine  attuale  consiste  nel  rìchiamare 
all'  intero  Corpo  la  cognizione  degli  affari  ;  giacché  é  sempre 
un  pessimo  sistema,  quando  le  deliberazioni  si  fanno  a  nome 
d'  un  Corpo  numeroso,  ove  la  collegialità  sia  di  mera  appa- 
renza: essendoché  ivi  alcuni  pochi,  che  realmente  dispongo- 
no degli  affari,  nemmeno  compromettotio  il  loro  nome;  e  po- 
trebbero, volendo,  impunemente  coprire  coi  suffragi oUenuU 
senza  cognizione  tutte  le  private  loro  mire  a  danno  stesso 
della  cosa  pubblica. 

Per  ultimo,  si  propone  di  formare  una  delegazione  per 
una  generale  riforma  di  ordini  civici  a  qualunque  rapporto, 
segnatamente  delle  vettovaglie.  Ne'  tempi  addietro  si  crede- 
va che  r  unico  mezzo  per  conservare  1*  abbondanza  fossero 
le  leggi  vincolanti  e  coercitive;  e  se  si  farà  la  raccolta  degli 
ordini  sulla  vittovaglia,  non  si  troveranno  che  le  prove  di 
questa  asserzione.  L'uscHa  dallo  Stato  della  granaglia,  il 
trasporto  interno,  l'ammasso,  erano  proibiti,  né  si  eseguiva- 
no se  non  con  licenza;  ora  non  più  vi  sono  tali  impedimenti, 
non  notiOcazione  di  grani,  non  coartata  introduzione  nella 
città.  I  principj  dell'  economia  civile  sono  mutati,  e  sebbene 
i  vincoli  diano  un  grado  di  autorità  a  chi  amministra ,  da 
molti  si  pensa  che  il  moto  spontaneo  dell'  industria  e  la 
concorrenza  libera  dei  mercanti  stabiliscano  su  basi  più  si- 


FATTE   AL  CONSIGLIO  GENERALE  DI  MILANO.  129 

cure  la  provvisione  e  il  prezzo.  Su  di  ciò,  moir  anni  sono, 
avendo  io  esposto  il  mio  sentimento  colla  stampa,  non  pos&o 
dipartirmene,  perchè  lutto  quello  che  ho  potuto  osservare 
ne'  vent'  anni  consecutivi,  mi  ha  confermato  nella  mia  opi- 
nione. 

Ho  esposto  il  mio  sentimento  coli'  ùnico  oggetto  di  sug- 
gerire quello  che  a  me  sembra  opportuno  per  rendere  ope- 
róso e  sempre  più  onorato  dal  pubblico  il  Consiglio  g^n^ale 
della  Città.  Non  si  tratta  se  non  di  provvedere  acciocché 
regolarmente  ciascuno  dei  Signori  Sessanta  possa  contri- 
buire al  bene  della  patria.  Tosto  che  questa  strada  venga 
aperta,  come  è  ragionevole,  né  scarseggerà  la  frequenza  alle 
adunanze,  né  si  precipiteranno  le  determinazióni  sugli  affa- 
ri, né  mancherà  la  pubblica  estimazione  col  suo  assenso  dt 
convalidare  la  rappresentanza  che  assumiamo. 

.  Per  ricapitolare  quanto  si  è  esposto,  si  subordinano  gli 
articóli,che,  qualora  fossero  adottati  dall'eccelso  generale  Con- 
siglio, mi  sembrerebbero  conducenti  a  stabilire  il  buon  ordi- 
ne nelle  venture  Sessioni. 

I.  Gli  affari,  per  regola  generale,  si  proporranno  in  iscrit- 
to. Se  però  a  voce  venisse  fatta  qualche  proposizione,  su  di 
essa  non  potrà  prendersi  deliberazione  alcuna  prima  che  sia 
ivi  scritta  e  letta. 

II.  Le  deliberazioni  sempre  si  faranno  a  ballottazione 
segreta,  e  sarà  nulla  qualunque  determinazione  che  fosse 
presa  altrimenti. 

III.  Dopo  la  proposizione  d'un  affare,  chi  abbia  qualche 
schiarimento  da  chiedere  o  riflessione  da  fare,  dovrà,  alzan- 
dosi, dimostrarlo;  e  se  trovisi  solo  alzato,  potrà  dire  1^  sue 
occorrenze. 

lY.  Qualora  più  d'uno  contemporaneamente  si  alzi,  la 
parola  V  avrà  prima  il  più  anziano,  e  poi  per  ordine  di  an- 
zianità r  avranno  gli  altri. 

y.  Non  sarà  permesso  giammai  l'interrompere  chi  parla; 
ed  in  caso  che  ciò  accadesse,  il  signor  vicario  per  ufficio  do- 
vrà ricordare  la  legge  a  chi  la  trasgredisca. 

VI.  Gli  affari  del  bilancio  preventivo  e  consuntivo  delle 
imposte,  le  spese  straordinarie,  i  contratti,  le  gapi^tche  al 


i30  OSfiBBTAZIOn  SCLLB  MOPOSTK  EC 

SoTrano  o  ^  Goremo,  le  nnoTe  orgmiziazìoni  ciylclie,  le 
dispeiue  d'aldini  e  gli  afiari  di  massimay  dou  si  determiae- 
raoBO  nella  adunanza  in  coi  si  |»ropongono,  ma  bensì  in 
esia  si  stabiltrà  on  tempo  congruo  per  .esaminare  le  carte 
nella  Segreteria;  indi  in  nnoTa  adunanza  saranno  deliberate. 

YIL  Sarà  lecito  a  ciasenno  degli  indiyidai  dì  avere  nella 
Segreterìa  la  comonicazione  delle  carte,  delle  quali  al  n^  YI; 
però  gli  originali  staranno  sempre  nella  Segreteria,  né  sarà 
lecito  distrarre  gir  officiali  per  farpe  copia. 

yiIL  Ciascuno  dei  Signori  Deeorìonì  potrà  dare,  anche 
in  iscritto,  la  sua  opinione,  la  quale  letta  nella  adananza, 
dopo  r  uso  conreniente,  rimarrà  poi  negli  alti. 

IX.  Se  sopray venga  ovvero  parta  alcuno  dei  Decurioni 
durante  la  Sessione,  non  perciò  rimarrà  sospesa. 

X.  Dovrà  assentarsi  d^ll'  aula  chiunque,  allorché  sì  ab- 
bia a  trattar  afiari  risgoardanti  interesse  personale  o  reale 
di  un  di  luì  congianlo  in  primo  grado.  Ciò  però  non  avrà 
luogo  per.  le  nomine. 

XI.  Tosto  che  sarà  aperto  il  legale  concorso  dei  credi- 
tori sulla  sostanza  d'un  Decurione,  la  di  lui  piazza  rimarrà 
vacante  senz'  altra  determinazione,  e  si  passerà  nelle  forme 
alla  successiva  nomina. 

XII.  Non  si  ammetteranno  rinuncie  de'Sìgnorì  Becu- 
noni,  se  non  lìbere  ed  in  iscritto. 

XIII.  Si  presterà  dai  nuovi  eletti  il  giuramento ,  se- 
condo la  presentata  modula  più  semplice. 


FINE. 


131 


i  INDICE. 

I 

S  — 

I 


Pensieri  sullo  stato  politico  del  Milanese  nel  i790 Pag.      1 

'  Orasione  funebre  per  Giuseppe  Secondo  Inoperatore  e  Re 39 

I         *       Dfcadensa  del  Papato,  idea  del  Governo  di  Venetia  e  degli  Italiani  io 

generale 47 

I  Memoria  su  Nicola  Pecci 63 

Dialogo  fra  T  Imperatore  Giuseppe  Secondo  ed  un  Filosofo 69 

Pensieri  di  un  buon  vecchio,  che  non  è  letterato 79 

Mosione  del  cittadino  Verri  municipalista  alla  Municipalità  di  Milano.    89 

Metodo  da  cangiare  le  opinioni  degli  uomini 93 

Modo  di  terminare  le  dispute 97 

Lettera  del  Filosofo  N.  N.  al  Monarca  N.  N i03 

Dialogue  des  Morts. 107  , 

Osseryaiioni  sulle  proposte  fatte  dai  Delegati  al  Consiglio  generale  di 

Milano,  nella  Consulta  del  20  di  gennaio  1792. .  .' 115 


spili