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SCRITTI VARI
DI PIETRO VERRI.
L : ;
SCRITTI VARI
PIETRO VERRI
ORDINATI DA GIULIO GARGANO
B PRECBDVTI
DA UN SAGGIO CIVILE SOPRA l' AUTOfiE
PER
VINCENZO SAIiVAGlVOIil.
VOLUME SECONDO.
FIRENZE.
FELICE LE MONNIRR.
4854.
ARTICOLI TRATTI DAL CAFFÈ,
ARTICOLI TRATTI DAL CAFFÈ.
WL CJJEVE.
Cos*è questo GAFFfeT È on foglio di stampa, ehe » pid>-
bUcherà ogni dieci giorni. ^ Cosa contirrà questo fo^ di stam^
pa? Cose ¥arìe, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte
da diversi antorL, cose tatto dirette aUa pobblìea oittilà.— ^F«
bene: ma con quale stiU saranno eglino serUti quesH fogli? Coi»
ogni stile, che non anno].-— E ein a quando fate voi tonto di
cùnlinaare quesV opera? Insìno a tanto che avranno spaccio.
Se il pubblico si determina a leggerti, noi oontinooremo per
un anno, e per pia ancora; e in fine d'ogni anno, del trenta-
sei fogli se ne farà nn tomo di moie discreta : se poi il pub-
bh'co non li legge ^ la nostra fatica sarebbe inatiie, perciò ci
formeremo anche al quarto, anche ai terso foglio di stampa.-^
Qualfimti ha faUo nascere un lak progetto? Il fine 4' una ag*«
gradevole occopazione per noi, il fine di far qnel bene che
possiamo alia nostra patria, il fine di spargere delle utili co^
gnizioni fra i nostri cittadini, divertendoli, come già altrove
fecero e Steeie, e Swift, e Adtsson, e Pope, ed altri. — Ma
perchè chiamate questi fogli II Caffè? Ve lo dirò ; ma an-
diamo a capo.
Un Greco originario di Citerà, isoletta riposta fra la Mo«
rea e Candia, mal soiOfrendo F avvilimento e la schiavitù in
eoi ì Greci tatti vengono tenuti dacché gli Ottomani hanno
conquistata quella contrada, e conservando un animo antico,
malgrado l'educazione e gli esempj, son già tre anni che si
risolvette d'abbandonare il suo paese : egli girò per diverse
città commercianti, da noi dette le scaU del Xéevante; egli vide
le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha, dove
eambiò parte delle sue merci in caffè del più squiàto c|ie
dare si possa al mondo: indi prese il partito di stabilirsi in
ItaHa, e da Livorno sen venne in Milano, dove son già tre
4 IL CAFFÈ.
mesi che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed
eleganza somma. In essa bottega primieramente si beve un
caffè, che merita il nome veramente di caffè; caffè vero ve-
rissimo di Levante,. e profumato col legno d'aloe, che chiun-
que lo prova^ quand' anche fosse T uomo il più grave, Taomo
ilpiù plombeo della terra, bisogna che per necessità si risve-
gli, e almeno per una mezz' ora diventi nomo ragionevole.
In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un'aria
sempre tepida e profumata che consola; la notte, è illuminata,
cosicché brilla in ogni parte riride negli specchi e ne'crìstalli
sospesi intorno le pareti , e in mezzo alla bottega ; in essa hot-
tega, chi vuol leggere, trova sempre i fogli di novelle politiche,
e quei di Colonia, è quei df Sciaffusa, e quei di Lugano^ e varj
altri ; in essa bottega, chi vuol leggere, trova per suo oso e
il Giornale Enciclopedico, e l'Estratto della Letteratura Eo-
ropea, e simili booae raccolte di Novelle interessanti^ le quali
fanno che gli nomini che in prima erano Romani, Fiorenti-
ni, Genovesi, o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Eu-
ropei ; in essa bottega v'é di più un buon Atlante che decide
le questioni che ^ nascono nelle nuove politiche f in essa bot-
tega perfine si radunano alcuni nomini, altri ragionevoli,
altri irragionevoli; si discorre, si parla, si scherza, si sta sul
serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo ^co, mi son
compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi
vedo accadere, e tntt' i discorsi che vi ascolto degni da regi-
strarsi ; e siccome mi trovo d'averne già messi in ordine va-
rj, cosi li do alle stampe col titolo^ Il .Caffè, poiché aj^nto
son nati in una bottega di caffè.
Il nostro Greco adunque (il quale per parentesi si chia-
ma Demelria) è un uomo, che ha tutto l'esteriore d'un
uomo ragionevole, e trattandolo, si conosce che la figura che
ha gli sta bene : nella sua fisonomia non si scorge né quella
stupida gravità che fa per lo più r ufficio della cassa ferrata
d'un fallito, né quel sorriso abituale, che serve spesse voUe
d'insegna a una tìmida falsità. Demetrio ride quando vede
qualche lampo di ridicdo, ma.porta sempre infrante un ono-
rato carattere di quella sicrarezza, che nn nomo ha di sé
quando ha ubbidito alle leggi. L'abito orientale, eh' et veste,
IL CAFFÈ. a
gli dà ona maeslosa decenza al portamento, cosicché lo cre-
dereste dì condizìoD signorile, anziché il padrone d' ana bot-
tega di caffé; e convien dire che vi sia realmente una in-
trìnseca perfezione nel vestito asiatico in paragone del nostro,
poiché laddove i fanciulli in Costantinopoli non cessano mai
di dileggiare noi Franchi, qui da noi, non so se per timore o '
per riverenza, non si vede che osino render la pariglia ai
Levantini. Gli Europei che si stabiliscono in quelle contrade
vestono quasi tutti Tabito o armeno, o greco, o talare in
qualunque modo, né se ne trovano male, anzi ripatriando ri-
sentono il tormento -del nostro abito con maggior energia, in
vece che nessun di essi, stabilendosi fra di noi nelle città
dovè il commercio li porla , può risolversi a fare altrettanto.
Noi cambiam di mode ogni veni' anni, e vedremmo la più
ridicola incostanza del mondo, se ci si presentasse una col-
lezione degli abiti europei da soli quattro secoli a questa parr
te: i ritratti antichi ce ne fanno fede: sembra che andiamo
ciecamente provandoci con ripetuti tentativi per trovare una
volta la forma deir involto in cui deve rinchiudersi il corpo
umano , eh' é pur sempre lo stesso ; e quel eh' è più, si é che
malgrado tutte le nostre instabilità , e malgrado la sicurezza
in cui siamo, che da qui a vent' anni, chi si vestisse come
facciamo ora noi, sarebbe ridicolo; pure crediamo ridicole le
ragioni medesime che ci dimostrano l' irragionevolezza del
nostro vestito. Gli Orientali in vece tagliano gli abiti loro
sulla stessa forma, su cui li tagliavano i loro antenati alcuni
secoli fa, poiché, quando Si sta bene, non v'é ragione per
variare; l'abito loro perfino é più elegante, più pittoresco,
più sano, più comodo del nostro. Su quest' argomento io seri-
vere! volentieri molte pagine, se non vedessi che si scrive-
rebbero inutilmente. £ sapete perché le scriverei? perchè io
nato, allevate^ in Italia, non ho mai potuto naturalizzarmi còl
mio vestito; e quando devo ogni mattina soffrire che mi si
sudici il capo colla pomata, che mi si tormenti con cinque-
cento e non so quanti colpi di pettine, che mi s'infarini, e
mi si riempian gli occhi, gli orecchi, il naso e la bocca di
polve ; quando vedo rinchiudere i miei capelli entro un sac-
co, che mi pende sulle spaHe, quando mi sento cìngere il
r
6 IL CAFFÈ.
collo, i fianchi, le braccia,* le ginocchia, i piedi, da tanti tor-
mentosi vincoli, e che, fatto tatto ciò, al minimo soffio d'aria
la sento farsi strada sino alla pelle, e intirizzirmi nell'inver-
no; e devo portar meco un pezzo inutile di panno, chp si
chiama cappello, benché non sia un cappello; e devo portar
meco una spada, quand' anche vado dove son sicuro da ogni
oltraggio, né ho idea di farne; non so contenermi, che non
esclami: Oh ragionevoli, oh felici sartori, berreltieri, e uo-
mini dell'Asia, ridete di noi, che avete ben ragione di ridere!
Son pochi di, dacché il nostro Demetrio ebbe opcasione
dì parlar del suo mestiere» e ne parlò da maestro. Si trova-
-vano nel GafTè un negoziante, un giovane studente di filoso-
fia, ed uno dei mille e ducento curiali, che vivono nel nostro
paese. Io stava tranquillamente ascoltandoli, non contribuendo
con nulla del mio alla loro conversazione. Il caffè è una buona
bevanda, diceva il negoziante; io lo faccio venire dalla parte
di Venezia, lo pago cinquanta soldi la libbra, né mi disco-
sleròmai dal mio corrispondente; altre volte lo faceva venir
da Livorno, ma v'era diversità almen d'un soldo per libbra. —
V'è nel caffé, soggiunse il giovane, una virtù risvegliatiya
degli spiriti animati, come nell'oppio v'é la virtù assoporativa
e dormitiva.— Gran fatto, replicò il curiale, che quel legume
del caffé, quella fava ci debba venire sino da Costantinopoli!
Qui DemelriQ, il quale in quel punto era disocciapato ,
prese a parlare in tal modo.
STORIA NATURALE DEL. CAFFÈ.
« 11 caffè, signori mìei, non é altrimenti una fava o un le-
gume, non nasce altrimenti nelle contrade vicine a Costanti-
nopoli ; e se siete disposti a credere a me, ohe ho viaggiato
il Levante, ed ho veduto nell'Arabia i campi interi coperti
di catiré, vi dirò quello che gli é veramente. Il caffé che noi
Ori|sntali comunemente chiamiamo Cauhè, e Cahua^ é pro-
dotto non da un legume, ma bensi dà un. albero, il quale al
suo aspetto paragonasi agli aranci ed a' limoni quand' hanno
le loro radici fisse nel suolo, poiché s'alza circa quattro o
cinque braccia da terra ; il tronco di esso comunemente s' ab-
IL CAFFfc. 7
bmccìa con ambe le mani, le forglie dono disposte come quelle
degli aranci , come esse sempre verdi anche nelV inverno , e
come esse d'an verde brano; dì pia, l'albero del caffè nella
disposizione de' suoi rami s'estende presso poco come gli
aranci, se non che nella sua vecchiezza i rami inferiori ca-
dono alquanto verso il pavimento. 11 caffè cresce, e si rìpro-
duce con poca fatica anche nelle terre, le qnali sembrereb-
bero sterili per altre piante ; e in due maniere si moltiplica,
e col seme (il quale è queir istesso che ci serve per la be-
vanda) e col produrne di nuove pianticelle dalle radici. È
bensì vero, che il seme del caffè diventa sterile poco dopo
che è distaccato dall'albero, ed alla natura deve imputarsi,
non alle pretese cautele degli Arabi, se ei non produce por-
tato che sìa da noi, poiché non è altrimenti vero che gli
Arabi lo dissecchino ne' forni, né nell' acqua bollente a tal
fine, come alcuni spacciarono. L'albero del caffè finalmente
s'assomiglia agli aranci anche in ciò, che nel tempo medesi-
mo vi si vedono e fiori e frutti, altri maturi, altri no, seb-
bene il tempo veramente della grande raccolta nell'Arabia,
dia nel mese di maggio. I fiori somigliano i gelsomini di Spa-
gna, I frutti sembrano quei del ciriegio, verdastri al bel prin-
cipio, poi rossìgnì, ìndi nella maturanza d'un perfetto por-
porino. 11 nocciolo di esso frutto rinchiude dna grani di caflè,
i quali si combaciano nella parte piana, e son nodriti da un
filamento che passa loro al lungo, di che ne vediamo vesti-
gio nel grano medesimo. Si raccolgono i frutti maturi del
caffè scuotendone la pianta; essi non sono grati a cibarsene,
si lasciano disseccare esposti al sole; indi facendo passare
sopra di essi un rotolo di sasso pesieinte, si schiudono i gusci,
a ne esce il grano. Ogni pianta presso a poco produce cinque
libbre di caffè all' anno, e costa si poca cura il coltivarla,
eh' egli è un prodotto che ci concede la terra con uùa gene-
rosità che poco usa negli altri.
» Neil' Oriente era in uso la bevanda del caffè sino dal
tempo della presa dì Costantinopoli fatta da' Maomettani,
cioè circa la metà del secolo decimo quinto ; ma neir Europa
non è piò d'un secolo da che vi è nota. La più antica me-
moria che se n'abbia è del 1614, anno in cui ne fu portato a
8 IL CAFFÈ.
Marsiglia, dove si stabilì la prima bottega di caffè aperta in
Europa Tanno 1671. La perfezione delia bevanda del caffè
dipende primieramente dalla perfezione del caffè medesimo,
il quale vuol essère arabo, e nell'Arabia stessa non ogni
campo lo produce d*egual bontà, come non ogni spiaggia
d'una provincia produce vini di forza eguale. 11 migliore
d'ogni altro è quello ch'io uso, cioè quello che si vende al
Bazar, ossia al mercato di Betelfaguy, città distante cento
miglia circa da Mocha. Ivi gli Arabi delle campagne vicine
portano il caffè entro alcuni sacchi di paglia, e ne caricane
i cameli; ivi per mezzo dei Baniam i forestieri lo comprano.
Comprasi pure il buon caffè al Cairo, ed in Alessandria,
dove vi è condottò dalle caravane della Mecca. I grani del
caffè piccoli e di colore alquanto verdastro sono preferibili a
tutti. Dipende in secondo luogo la perfezione della bevanda
dal modo di prepararla, ed io soglio abbruciarlo appena
quanto basti a macinarlo; indi reso eh' egli è in polve entro
una caffettiera asciutta, lo espongo di nuovo all' azione del
fuoco, e poiché lo vedo fumare copiosamente, gli verso sopra
l'acqua bollente, cosicché la parte sulfurea e oleosa, appena
per l'opera del fuoco si schiude dalla droga, resti assorbita
tutta dall' acqua ; ciò fatto,, lascio riposare il caffè per un mi-
nuto, tanto che le parti terrestri della droga calino al fondo
del vaso; indi, profumata altra caffettiera col fumo del legno
d'aloe, verso in essa il caffè che venite a prendere e che tro-
vate si squisito.
» Il caffè i'dllegra l'animo, risveglia la mente: in alcuni è
diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente
utile alle persone che fanno poco moto, e che coltivano le
scienze. Alcuni giunsero perGno a paragonarlo al famoso Ne-
pente tanto celebrato da Omero; e si raccontano de' casi
ne' quali coir uso del caffè si son guarite delle febbri, e sì
son liberati persino alcuni avvelenati da un veleno cos^galante
il sangue ; ed è sicura cosa che questa bibita infonde nel san-
gue un sai volatile, che ne accelera il moto e lo dirad4, e Io .
assottiglia, e in certa guisa lo ravviva.
» Questa pianta animatrice, naturale per quanto sembrai
al suolo dell'Arabia, fu verso Jl fine dello scorso secolo dagli
IL CAFFÌS. 0
Olandesi trasportala neir isola di Java a Batavia^ indi molU-
plicatasì, ivi se ne dilatò dai medesimi la piantagione anche
Derisola di Geylan, poscia col tempo se ne portò in Europa
e in Olanda; e in Parigi per curiosità se ne coltivano le
piante, le quali nelle serre riscaldate T inverno reggono e
producono fratti, e tanto se n'ò uni verbalizzata la cultura
presentemente, che neir America e nell'Indie Orientali se
né fa la raccolta, cosicché abbiamo caffè di Surinam^ del-
l!isola Bourbon, di Cayenne, della Martinica, di San Domin-
go, della Guadalupa, delle Antille, dell' isole di Capo-Verde.
Il cafiè d'Arabia è il primo, quello dell' Indie Orientali vien
dopo, il peggiore d'ogni altro è quello d'America.»
Cosi terminò di parlare Demetrio ; ed io credetti al suo
discorso, poiché lo trovai conforme a quanto ne aveva lette
nelle Memorie deli* Accademia Beale delle Scienze di Pari^
dell'anno i7i3 in un Mimoire del signor Jussieu, a quanto ce
ne attestano i Viaggi dell'Arabia Felice del signor La Roque,
del Cavalier di Marchais, le Memorie del signor Gareia. Bla
poiché ebbe terminato il suo ragionamento Demetrio» s'alzò il
curiale, e osci dalla bottega ripetendo: Gran fallo, che quél le-
gume del caffè, qtMlla fava,ci debba venire Hno da CoslantinopoHJ
Ebbimo nel Caffè gran soggetto di ridere, e ce lo som-
ministrò un magro poetuzzo, il quale venne a sfoderarci on
coronale di sonetti petrarcheschi tanto dolci, tanto armonio-
si, tanto esangui, e vuoti di pensieri, che avrebber' fatta la
lor comparsa naturale in nna bottega di droghiere fra l'op-
pio e il sugo de' papaveri. Son già mille e quasi ottocen-
l'anni, dacché al nostro, buon amico Orazio non piacevano
versus inopes rerum nugceque canorm: eppure certi poverelli
si provano anche al di d'oggi di carpire la stima e l'onore
de' loro cittadini con canore inezie! Fatto sta che sbadigliam-
mo Intii quanti ^ ben bene all' onore e gloria del coronale,^ e
per destarci dal sopore petrarchesco in coi eravamo, un tale
fii cavò di tasca on pezzo di carta, e ci pregò di ascoltare un
pezzo di sua poesia in prosa; essa ci piacque, la richiesi, la
olleoni ; ed eccovi cosa contiene.
IO
IL TBWPIO DBll' IQNOHAIfKA.
In una ccMitrdtia riposta circa a ({aaraiita gradi di latita-
dine trovasi nna spazìosissina yaHe, di cui il facile pendio
invita gii uomini a scendere sino aliatine, ed ivrsta riposto
il magnificò tempio sacro alla Dea Ignoranza. Annose querce
ricoperte di ghiande gli stanno d'intorno, e il suolo è ripieno
dovunque di ginestra e di bruco. La struttura del vasto tem-
pio è gotica, ed alla sommità della gran porta vedesi rozza-
mente scolpita un' enorme bocca sbadigltante; stansi ai due
lati dì essa porta due statue, ima alla dritta e l'altra a manca,
le quali voltansi dispettosamente le spalle in atto di- allonta-
narsi una dall' altra ; e leggesi scrìtto sul piedestallo di una.
Teorica; suiraltro. Pratica. Appena entrasi sulla soglia, si sco-
pre una infintta torba, diversa d'abiti, dì volto e di coetumi,
onde è ripieno il vasto edifìcioi altri rappresi da un abituale
sopore laseìaiysi trasportare avanti e indietro dal moto altrui;
altri occupati a parlar sempre con tuono penetrante di voce,
decidono durante tutta la giornata; altrì stupidamente sorri-
dono alla vista de' continui accidenti che si vedono succedere
l'uno all'altro fra quella moltitudine; ma tutti ignorano il
nome della Dea, e il luogo ove soggiornano. Ivi sono coperte
le panetr di varie pitture, e stravaganti arnesi, ivi vedonsi
sopraveste inzolferate, ivi mannaje e lacci, ivi eculei e tor>>
ture d'ogni sorte, ivi stan delineati naufragj e guerre civili»
ivi d'ogn' intorna vedonsi espresse in varie fórme la Morte
e la squallida ^teriMlà. Da un rostro elevato grida e declama
ad ogni istante una spolpata vecchia: Giovani^giovani, ofcófr
tatemi, non vi fidale di voi medesimi; quello che senUte enhrodi
voi è luUo illusione; badale ai vecchi^ e credete bene quel che
esei hanno fatto. Ivi da un altro canto grida e si smanta un
gravissimo caduco: Gioicani, giovani, ìa ragione è una chimo-'
ra; se voUte distinguere il vero dal falso^ raccogliete i volideèia
moUitmdine : giovani, giovani, ta ragione è una chimenL, FcaU-»
tanto siurta la turba, e s'avanza e si ritira, e sbadiglia e sor-
ride, e vede e non osserva, e ascolta e non intende, e fen*
donla di tempo in tempo alcuni medici^ i quali in abito da
IL TlQMPiU DBIX' IGfiHNUMZA. 11
sacerdoti, colla sacra bipenne in mano, slrasciiuttio all'ara
ddla onorata Bea le innocenti vittime amane, le qorii col
loro sangue inaffiano il non mai disseccato santuario. Slassi
la possente Dea rappresentata in una colossale statua di su-
ghero, a coi servono di base una prodigiosa mole di libri di«-
sposti in forma d'un cono. Oh quanti, oh quanti libri vena*
rati da noi, e rilegati spleudidamenle nelle nostre blUiotecfae,
servono ivi a questo ministero 1 Oh quanti potcei io nomi-
narne, se non temessi e la sorpresa de' miei lettori, e la
persecuzione infallibile di cbi è interessato a nascondere al-
cune verità I Dietro la grand' ara della Dea stassi un piccolo
recinto segregato dalia gran nave di cui s'è detto : ivi tro-
vansi alcuni filosofi entrativi per una angusta porticella su
coi sta scolpita questa parola Paucis : vedonsi scritti intorno
alle mura di quel recinto queste parole: Eìemenii de' corpi,
sensibilità, cagione del moto, quantità di moto, cagione delV at-
trazione, e simili detti: ivi que' pochi segregati cantano inni
alia Dea, ringraziandola perchè ascondendoci le malattie, le
aventure a venire, e la giornata del morir nostro, ci lasci le
ore della vita prive di molte sollecitudini. Ma se, per ventu-
ra, qualcuno di questi osa passar scopertamente in mezzo
alla folla della gran nave, voi credereste di vedere una ter-
rìbile tempesta neU' Oceano : grida, urli, malediche voci rini-
Inmibane d'ogni parte, e fanno echeggiare le capaci volte;
alcuni s'astengono da quel passaggio, e questi scansano così
gl'insulti; altri procurano di deludere la folla coprendosi alla
meglio, e nascondendosi con una scorza posticcia; ma gli ef-
fluvi fitofiofici per lo più trapelano malgrado le avvertenze, e
sono questi i più vivi pungoli per riscuotere i vo^ried^ni-
marli alla persecuzione. A' piedi dell' ara ewi una porta per
dove si scende in una spaziosa caverna sotterranea, ed ivi
al pallido lume di alcune lampadi sta una schiera di gravis-
aimi sapienti maneggiando ed imparando a mente voluminosi
consulenti, npetenti, trattatisti : ivi stanno ammirando le im-
patinate medaglie, le rosicate isericioni, le patere, i tripodi
antichi, alcuni mal sbarbati e mal lavati eroditi ; ivi declinano
con scrupolosa esattezza i verbi di lotte le lingue i profon-
dissimi gnmimatici, e giudicano delle opere nuove sulla bilan-
12 IL TEMPIO dell' IGNORANZA.
eia delle lor leggi ; ivi in somma sianno per anni e lustri
scavando il vero sapere qnegli nomini i quali credono soliai
mondo di possedere la intima cognizione delle vere scienze;
ivi si abbruciano ogni anno nel giorno della solennità stabi-
lito le opere di -Bacone, di Galileo e di Newton, un eseto'-
plare dello Spirito delle leggi, e un altro del TraUalo delle
sensazioni.
Sei* armonia del verso servisse ad abbellire si fatti pen-
sieri, forse il tmn^ierò de' poeti non sarebbe si grande , né la
professione di poeta si poco onorevole.
Kiiimairvi »i:i« cononERCio.
11 commercio- consiste nella permutazione d'una cosa
còli' altra. É cagionato dal bisogno che si ha della cosa che si
vuole acquistare, e dàiV abbondanza che si ha della cosa che
si vuole cedere in contraccambio.
Quando il commercio é prodotto più dal bisogno delle
cose straniere, che d^W. aì^ondanza delle proprie ,^ si chiama
Commercio passivo : ctm chiamasi Commercio aUivo quello che
viene cagionato' più dall' abbondanza delle cose proprie, ch^
dal bisogno delle straniere.
Per nome di bisogno si sottintendono due diverse idee:
runa è il bisogno assolutamente detto, il quale è nella serie na-
turale delle cose; e tale è quello che ci porta ad evitare il
proprio deperimento: Tallra è il bisógno artefatto, nato daUa
opinione e dal lusso. Il primo cerca le cose necessarie, l'altro
le utili. •
L* abbondanza pure ha due aspetti: una è Vassoluta,M
quale anche può dirsi superfluità; l'altra è relaUva, ossia mi
minor bisogno che sacrifichiamo a un maggiore; e in questo
senso non v'è nazione comunicante colle altre, che non ab-
bia abbondanza.
Nel commercio attivo l'abbondanza dev'essere assoluta.
La nazione avendo più a dare che a ricevere, quella somma
ELEMENTI DEL GOMMBKCIO. 13
che le resta di credito viene compensala eolla Ifonete, con-
trassegno con coi, per oniyersale consentimeiito delle naiiO"
ni, sì valdtano le azioni clie gli nomini hanno salle cose. One-
sta somma, che resta a compensarsi in moneta, si chiama la
Bilancia del Commercio.
La nazione che ha il eommereio allivo preponderante, si
rende ogni hanno per moltiplico padrona, se non di diritto,
di fatto, delle nazioni che hanno il commercio meno in vi-
gore del suo. Allora la nazione diventa veramente ricca ; la
cDltnra delle terre, la popolazione,! comodi della vita, la
copia di tntto, sono i beni che un felice commercio produce
néir interno; la stima e i riguardi sonoqaelli non minori che
prodnce al di fuori.
La nazione presso coi pjrepondera il commercio pateito
perde ogni giorno cotesti beni, e corre alla propria distru-
zione. Il male va crescendo per moltipUco, i cattivi effetti
diventano cagioni, sin tanto che ridotta alla perfetta dipen-
denza da' suoi vicini, priva d'abitanti, diventa nn pa<^ non
ad altro buono che a traspìantarvi colonie.
Il commercio intemo impedisce la perdita delle ricchezze
della nazione, T estemo ha per oggetto d- aumentarle: il pri-
mo s'oppone al passivo, F altro le compensa.
Di qualunque specie sieno i tributi che paga nna nazione
al sovrano, essi rimontano tutti a un primo princii»o, che é
la capilazione , o sia il tributo sulle terre, o stilla consumazio-
ne, ovvero solle merci; é sempre vero che a misura delia
popolazione si accresce il numero de' consimiatori e de' com-
pratori, e che le terre rendono fdù dove sono più coltivate.
Un re che comandi a due milioni d'uomini sparsi n^o spa*
zio di mille miglia, è dieci volte almeno più debole d'un re
che comandi a venti nrilioni d'uomini sparsi nello spazio di
cinquecento miglia. Le rendite del sovrano crescono eolla po-
polazione dello Stato, e scemano con essa, e la popolazione
dello Stato dipende interamente dalla natura del commercio.
Dove l'industria e l' agricoltura danno ptà facili mezzi a sos»
sistere, ivi non mancano giammai gli abitanti. £ dunque mas-
simo interesse del sovrano la buona direzione del commercio.
Se tutte le nazioni intendessero i proprj vantaggi» fa*
II. 2
14 ELUIEMTi DEL COflfHCftClO.
rebbero in itiado d'av«re nel loro inlecno le cose che loro
biso^naiio; per quanto fosse possibile. Allora il commercio
esterno sarebbe il minimo possìbile, essendosi ridotto al mi*
ninao^ passibile il bisogno che lo produce. Cresce il commer-
cio sin tanto che egli è ben inteso da alcune nazioni, e 9ce-
ma- 41M11MI0 è universalmente conoscioto. Intanto però che i
901^ pofitiei non gìongane a questo forse chimerìco grado
di perfeiùone universale, la nacione che avrà in prima inerti
gli occhi sul commercio profitterà della indolenza delle altre,
e diverrà ricca, popolata e florida a loro spese.
Quando una nazione è giunta ad avere dentro di sé
quante occorre al compimento de? suoi bisogni, eUa è nella
intera indipendenza dalle altre, né ha più a temere il com^
mereie rovinoso; ma per ottenere questo conyiene che la na-
fliotie sia estremamente ristretta^ o vasta estremamente. Nel
pfiilfee caso, 41 governo travaglia pia a diminuire i bisogni che
aeodéisfàirli; e questo freno alle passioni degli uomini non bì
può iikiporre che a un numero limitato, e per untompo pure
limitato: gli antichi Lacedemoni furono in questo caso.
Quimdo poi la nazione sia vasta in guisa da potere cogli in-
terni fralti della terra e dell' industria soddisfore interamente
i proprj bisogni, allora pure è néir indipendenza : ma la na*-
tara in un ristretto spazio non suede produrre quanto richie-
dono i bnognì d'opinione degli nominL Nella China cento
milioDÌ d'abitanti in un cbma de' più felici hanno potuto ri-
nttuiare ad ogni straniera mercanzia senza Invidiar nnlla ai
forestieri. Ogni nazione che sia nella mediocrità non può
sperare né di ceotonere intèramente le voglie degl' individui,
né di naturalizzare entro di sé tutte le cose delle quali é av-
vezza à far uso. Egli é però vere che se questo non é spera-
bile perfettamente, pure, a mtsura che una nazione s'accosta
a questo stato d'indipendenza, ne risente efficacemente i van-
taggile col commercio attivo può ricompensare e sorpassare
le perdite che le restano, e decidere per sé la bilancia. Que-
sto é il solo scopo che si può proporre nel sistema presente
d'Europa.
Tutto si là per gradi netta natura. Il coripo politico é una
nacehina, le di cui diverse e complicate ruote né sono per-
SLEMEKTi DEL COMMBBaQ. i|S
celiìbììi a molti , nò soffrona impaneiiiSBte d'«SMr« n^olte ad
OD (ratio scomposte. Ogni scossa è fatale, e dai faaesli efiéCU
discoprono poi gì' incauti la contiguità che jion avevano ra^**
visalain prima. Vi Ynole l'opera di chi perfeUamonte ne eof
Dosca tutta la meccanica per mettervi mano. I progetti fH
pronti e universali se pia abbagliano, sono altresì pia dilficjyu
e pericolosi ad eseguirsi, ed ò tanto più stabile la felicita
d'una nazione, iinanto più per gra^i se ne innalza Vediflcia
Miglior melodo di totti è il cominciare dal por rimedio alle
perdite attuali, alle quali provveduto che si sia, più facile as^
sai riesce il distendersi al commercio kierativo. L!«maniià
non consente che si facciano do' saggi a «pese della pubblica
felicità, sulla qoale nuUa convieno intentare di nnovo», se la
evidenza non oi proviene suU' esito felice della nostra intra-
presa.
I primi oggetti i quali si presentano sono quelli eho rt->
«guardano la più grande, la più utilf) e la più ialolioe parte
della nazione, che è il popolo. Quanto é di suo «so, forma i'
capi principali del commercio , come qiieUi che s^bene se*
paratamente presi sieno dipeco valore, nnniti però, e tanle
volte ripetuti, formano le somme più conaiderabilU Chi vive
nelle città ò. colpito di ordinarlo dalle sole* spese del lusso di
alcuni pochi cittadini; in vista deUe quali sembrano non der
gne d'attenzione le più grandi realmente, cioò quelle della
plebe e de' contadini : ma- chi vi riflette, vede ohe apf^ona na
uomo, ogni trecento, spende negli oggetti del lusso, e oh9
gli abiti di ducento novi^nta nove uomini costano assai pia
della gala del ricco.
Non v' è paese in coi non si possa, introdinre Isbbrica di
panni e tele, quali fanno bisogno al vesliio del popolo; e
qoand' ancho le terre non somministrasserp lini e lane ba^
stanti, o le somministrassero di qualità cattiva , è sempre
vero che converrebbe anzi .prendere da' forestieri queste mal-
terie prime e tesserle, che comperare le manifatture, poiché
tutto il prezzo della manifattura non uscirebbe , e t^nti oit-
tadini di più avrebbero il vitto ne) paese, quanti sono impie-
gati .nella manifattura, Frattantq però pongasi ogni studio per
migliorare il prodotto delle lane e de' lini n^io Stato.
16 ELEMENTI DEL COMHEBCIO.
Le manifattore per i bisogni del po{k>lo sono, come si é
détto, le più importanti per ritenere là maggior somma del
denaro; ma di più sono le piA facili a stabilirsi, non richie-
dendosi per esse né una straordinaria destrezza e eleganza
He' manifaltorìeri, né i grandiosi capitali che vi vogliono
per le fabbriche di lusso. Molti non intendono questi princi-
pj, e in nna nazione rovinata vorrebbero cominciare dalle
stoffld di lusso, come se a un ammalato che sviene per la per-
dita del sangue, un chirurgo, negUgentando di citìudergli la
vena, cominciasse a proporgli di cavalcare per rendere più
robusto il temperamento.
Le tele e piti ancora i panni difficilmente si distinguono
sé sieno legalmente tessuti e tinti allorché sono nuovi : l*oso
soltanto lo discopre. Se si lascia ad ogni fabbricatore la li-
bertà di tessere e tingere come vuole, nessuno nemmeno
neir intemo della nazione si fiderà' delle manifatture del suo
paese. Come v' é una marca legittima agli argenti , senza di
' coi nessun uomo cauto li comprerebbe, cosi deve esservi
ùtia marca legittima ai panni, senza di cui nessuno arrischia
il -suo denaro. Nessuna fabbrica di panni può riuscire senza
questa precauzione eseguita a rigore.
La facilità d'un lungo uso nel commercio, ovvero la
scarsezza del denaro della nazione che ci vende le merci , fa
si che talora esse giungano a minor prezzo di quanto coste-
rebbero fabbricate da noi medesimi ; donde ne nasce una
sorte di ritrosia in chi deve metter mano al commercio, co-
me se fòsse una legge poco giusta e umana l'obbligare il mi-
nuto popolo a pagare di più quanto può ottenere a minor
prezzo. Questa difficoltà cessa qualora s'abbia di mira il pub-
blico bene, e si rifletta che chiudendo questa uscita del de-
naro della nazione, essa ne rimarrà tanto più fornita, onde
crescendo la copia del denaro, il prezzo delle opere tutte e
de' generi crescendo a proporzione, s'accresceranno nelle
mani di ognuno i mezzi per provvedersi colle interne mani-
fatture.
In un paese, che non sia un'isola, la proibizione d'una
merce che vi ha spaccio, é un inutile tentativo, che essendo
inosservato ricade in discredito del legislatore. Perché il
BLBMSIITI DEL GOMHEBCIO. 17
popolo non preferisca le merci forastiere alle nazionali, con-
▼iene primieramente diminnire quanto è possìlNle il prezzo
delle nazionali ; 9^ accrescere il prezzo delle manifattore
straniere ; 3** procurare che le manifattore nazionali non la
cedano in bontà alle forastiere.
Questo timone della nave è sempre nelle mani del so-
Trano. Colle esenzioni e colle somministrazioni fatte ai fab-
bricatori, egli diminuisce il prezzo delle interne manifattore;
aggravando le imposizioni alla introduzione delle merci stra-
niere, egli accresce il prezzo delle manifatture esteme; e con
abili ministri e buone leggi egli perfeziona le inteme mani-
lattare. Il primo passo naturale dunque verso la riforma del
commercio è la deputazione di persone di zelo e d'intelli-
genza, la retta costruzione delle tariffe, e la rettificazione
delle leggi commercianti.
L'oomo naturalmente corre all' utile, e sebbene non sia
per Io pia sensibile alle attrattive della verità per so stessa,
pure per un secreto pìso la sente, quando questa lo conduce
a migliorare la spa fortuna. Travaglia esso per il bene della
società, quando vi trova rutile proprio. La grandmarle del
legislatore è di sapere ben dirìgere la cupidigia degli uomi-
ni Allora si scuote l'utile industrìa de' cittadini ; l'esempio,
l'emulazione e l'uso fanno moltiplicare i cittadini utili, i quali
cercano a gara di farsi più ricchi col somministrare alla pa- .
Ina merci migliori a minor prezzo.
La libertà e la concorrenza sono l'anima del commer-
cio; cioè la libertà che nasce dalle leggi, non dalla licenza.
Qnindi ne siegue, che l'anima del commercio è la sicurezza
deOa proprietà fondata su chiare leggi non soggette all' arbi-
trio; ne siegue pure che i monopoij, ossia i privilegi esclu-
sivi » sieno perfettamente opposti aUo spirito del commercio.
Stabiliti che sieno in una nazione i buoni prìncipj del
commercio, allora s'accrescono le nozze de' cittadini abilitati
a mantenere una famiglia; allora vengono da' paesi esteri è
meno attenti al commercio noove famiglie chiamate dall'utile
e dai maggiori comodi della vite, e si naturalizzano tanti cit-
tedini, quanti erano in prima gli operaj, che in paesi esteri
vivevano colle manifattore comperate da noi; allora consu-
18 ELKUEMTI DEL COSUIGBCiO.
mando essi il prodotto delle terre, sairagricoltara ricade uoa
nuova rugiada che la rinvigorisce ; in somma il primo passo
al bene come al male facilita gli altri, come i gravi, il di cut
moto s'accelera colla caduta.
Né alcuna nazione disperì di avere dentro dì sé questi
beni, soltanto che lo voglia. I varj giri che ha fatto il commer-
cio sulla terra, ora per T.Asia, ora sulle coste d* Affrica,. ora
in Grecia, ora in Marsiglia, ora in Italia, ora nel Portogallo,
ora neir Olanda, consecutivamente mostrano ch'egli non é.
legato dal climax II buon governo lo invita, lo scaccia il cat-
tivo; onde dovunque il commercio é in rovina, è legittÌBia
conseguenza il dire che vi sia un difetto^organieo nel sistema,
a meno che un' accidentale cagione e passeggera non possa
assegnarsi.
Gli uomini del volgo credono che sieno in contraddizione
gli attuali interessi delia nazione con quelli del sovrano in
fatto del commercio. Credono essi impossibile rianimare il
commercio, se il principe non diminuisce le imposizioni per
qualche tempo. Ora essendo ogni anno necessaria al sovrane
la stessa rendita sulla quale è fondato il mantenimento della
milizia e de' magistrati, ogni riforma si risguarda come una
bella speculazione e nulla più. Questa falsa supposizione non
deriva da altro se non dalla poca riflessione che fassi sulla di*
versa natura de' tributi, de' quali, se una parte si trova atr
tualmente cosi incautamente posta, che s'opponga all'utile
commercio, è sempre però vero che dall'abuso di una cosa
non si può provare l'intrinseca pravità della sua indole. I tri-r
buti sono per loro natura indifferenti al commercio, al quale
anche possono contribuire ; né lo rovinano che quando o sono
mal diretti, o quando veabnente eccedono le forze d'uno
Stato.
Ogni tributo. suUa uscita delle mani fat lupe fabbricai in-
ternamente, ovvero sulle dorate nate nello Stato^ e phenea
possono ridursi a manifattura, è pernicioso al commercio.
Ogni tributo sulla introduzione delle saaterie^a lavorarsi
nello Stato è pernicioso al comn^ercio.
Ogni tributo sulla uscita delle «aterie nazionali, che
servono alle manifatture interne, è salutare al commercio.
ELEMENTI DfiL COMMERCIO. 10
Ogni Irìbato sulla introduzione delle manifottnre stra-
niere è salutare al commercio.
Tali sono i principj universali per regolare le tariffe, i
quali si moderano ne' casi particolari , avendo riguardo alla
dipendenza de* forestieri, ed ali' incentivo al contrabbando,
U quale cresce colla gabella. Ed ecco come il principe possa,
conservando i tributi, animare il commercio, togliendo sol-
tanto la viziosa ripartizione del tributo medesimo. Un mi-
lione in mano d'un imbecille fa men bene ad una nazione,
cbe la sola penna in mano d'un abile ministro.
Finalmente altri vi sono, ì quali credono cbe il primo
passo per rianimare il commercio sia promulgare leggi, ossia
prammaticbe per annientare il lussò ; cioè quel lusso sul quale
vìve la maggior parte degli artigiani; quel lusso il quale è il
solo mezzo per cui le ricchezze radunate in poche mani tor-
nino a spargersi sulla nazione ; quel lusso il quale lasciando
la speranza ai cittadini d'arricchirsi, è lo sprone più vigoroso
dell' industria ; quel lusso finalmente il quale non va mai di-
sonito dalla universale coltura eoripolimento delle nazioni.
Ovunque il suolo basti ai bisogni fisici degli abitanti, non
poò esservi indùstria senza lusso. Le terre sono in proprietà
della minor parte deUa nazione; i proprietarj se non hanno
lusso, non le fanno coltivare ohe quanto giovi a riceverne i
Insegni fisici; ma, conosciuti i bisogni del lusso, promoveranno
ragricoltura, cercando da essa come soddisfare, oltre ai pri-
mi bisogni fisici, anche ai bisogni sopravvenuti del lusso.
Quindi i contadini troveranno facile sussistenza, s'accresce*
ranno le nozze, e si moltiplicherà la popolazione.
Ifi prammatiche non convengono che a quelle teri'e in-
grate che non somministrano quanto basta alla vita fisica
degli abitanti : ed è ben miserabile quella pretesa politica che
insegna a conservare le ricchezze nelle mani d'alcune fami-
glie ; poichò dovunque sieoo disegoalmenie distribuite le ric-
chezze, tatto ciò cbe tende a diminuire la disegoa^anza ò
nn tene presùoso agli occhi d'un illuminato legislatore, acni
deve esser noto, che più le ricchezze sono egualmente distri-
boite su molli, più s'accresce la ricchezza nazionale, poiché
un piecolo patrimonio viene con più attenzione coltivato che
20 ELEMENTI DfiL COUMfiRCIO.
uo grande. È pare agli occhi d'un illuminato legislatore un
bene tatto ciò cbe tende a rìscaotere i poveri, e ad eccitarli
air indastrìa coir aspetto della fortuna. 11 solo lusso vek'a-
mente pernicioso in una nazione cbe abiti un suolo fecondo,
é quello che toglie alla coKura le terre, consacrandole alle
eacce, ai parchi ed ai giardini.
Ogni vantaggio d'una nazione nel commercio porta un
danno a un'altra nazione ; lo studio del commercio, che al
di d'oggi va dilatandosi, è una vera guerra che sordamente
si fanno i diversi popoli d'Europa. Se ì buoni autori fossero
intesi, si vedrebbe che essi hanno palesato il vero secreto
degli Stati; ma per la maggior parte gli iiomini non accor-
dano la loro slima che alle còse straordinarie, né sospettano
che i principj della politica sieno si semplici come lo sono.
tà/k COmUEDIA.
Che inconvincibil razza di gente che sono mai qne' pe-
danti, i quali, nelle cose che sono iFatte per eccitar nell'ani-
mo qne' moti che si chiamano sentimento, in vece di abban-
donarsi alla magìa della illusione, cavan di tasca il pendolo
o il compasso, per esaminarle freddamente e giudicarne I Si
presenta ad essi un quadro pieno di poesia e di espressione,
dove r atteggiamento, la disposizione , e le fisonomie delle
diverse figure sarebbero atte a porre la parte sensibile di noi
in movimento, e spingerla o verso Y orrore, o verso la com-
passione, o verso la maraviglia, o verso qualch' altro stato
significato con altro vocabolo; in vece, dico, di presentarsi
all' azione che V artefice ha cercato di far nascere in chi
deve rimirare, e dalla natura di essa azione giudicar poi del
merito della* pittura; in vece, dico, di ciò, si restringono a
criticare il disegnò, e la proporzione d' una gamba o d' un
lito , una piegatura stentata di una calza, o simile piccolo
difetto, e della scoperta di esso gloriosi, perdono un vero
piacere con una spensieratezza, che mal corrisponde alla
LA COMMEDIA. 21
cautela con cor sono essi si raramente sparsi nella serie delle
nostre sensazioni. Lo slesso che dico della pittura, dicasi
della musica, dicasi della poesia, di latte le arti in somma
che hanno per mira di fare una dolce illusione ai sensi no-
stri, e di eccitarvi col mezzo della immaginazione on dolce
torbamenio. Chi non si scagnerebbe contro uno di costoro ,
il quale alla lettura del più bel pezzo di Dante, mentre fa
dire al conte Ugolino quel doloroso:
Ahi , cruda terra, perchè non t'apristi!
in vece di lasciarsi agitare dall' azione che fa il poeta sopra
ogni caore sensibile, si fermasse ad osservare che l'accento
cadendo «alla settima sillaba , cioè sol perchè, il verso non è
dolce, .8 cho la terra non può esser crudele, molto meno
erada? Eppure i mezzo eruditi sono appunto in questo caso,
uè v' è chi giudichi bene delle cose di sentimento, che o il
popolo quando possa prestarvi attenzione, ovvero gli uomini
di lettere e i filosofi veramente tali, 1 quali a forza d* un fe-
lice naturale e d'un continuato viaggio sono passati al di
là della sommità di quello scoglio a coi ci fa ascendere una
mal ragionata educazione, e sono giunti a scoprire questa
grande verità , che le regole e le leggi d'ogni cosa dipendente
dal sentimento sono stabilite con questo nome , unicamente
perchè sono credute necessarie per produrre V elfetto a cui
si destina V opera qualunque ella sia, e che in conseguenza
qualora l'opera ottiene il suo elfetto, in vece di trovarla cat-
tiva per le regole che vi si trasgrediscono, ragion vuole che
si trovino tante regole inutili quante sono le trasgredite.
Ma io potrei scrivere un ìn-^foglio inutilmente, poiché la
classe, come ho già detto, di questi pedanti non si muta mai,
a cesto di ribattere la dimostrazione medesima , quand- ella
potesse spargersi in materie che non possono rappresentarsi
coi segni di più e meno. Unì) dt costoro appunto s'è scate-
nalo nel nostro Caffè contro il valoroso, il benemerito, ril-
lastre signor dottor Goldoni, uomo al di cui talento comico
ha resa giustizia in prima T Italia, e al di d'oggi può dirsi
la parte colta dell'Europa, al di cui onestissimo carattere e
amabili costumi rendono giustizia i molti e rispettabili suoi
22 LA COMMBOU.
amici. Pretendeva costai che gì' Italiani huino torto quando
trovano* piacere alle commedie del Goldoni, declamava che
il Goldoni non ha il vero talento comico, che il Goldoni non
oeierva nessuna regola,, che il Goldoni non sa la lingua,
che il Goldoni non può paragonarsi a Molière in veron con-
to, e continuava su questo gusto. Io che son persuaso che
il più gran castigo che possa darsi ad un ignorante ardito
è di lasciarlo ignorante e ardito; io che sono persuaso che
il peggior impiego che possa farsi della ragione umana , è
adoperandola con un pedante, mi sono fatto portare una
tazza dello squisito caffè del buon Demetrio, e ine la sono
sorbita deliziosamente lasciando declamare il pedante a sua
posta; ma giunto a casa me ne vendico, e vendico l'onore
non dirò del Goldoni, al quale un elogio di più aggiunge po^
00, ma l'onore del popolo d' Italia, il quale frequenta e ap*
plaude al nostro protocomieo.
La commedia è destinata a correggere i vizj dilettando;
e questa definizione della commedia, s'ella non è conforme
à quella che ne danno gli eruditi scrittori che hanno im«
pacato ogni cosa fuori che l'arte di distinguere le cose buone
dalle cattive, mi pare preferibile all'altra, che la commedia
è quella che purga V animo col riso, poiché mi pare che il
i^iso purghi cosi poco l'animo, quanto la slogatura ddle ossa
dell' omero purghi l' infamia nella tortura.
Nelle commedie del signor Goldoni primieramente è po<*
sto per base un fondo di virtù vera, d'umanità , di benevo-
lenza, d'amor del dovere, che riscalda gli animi di quella
pura fiamma che si comunica per tptto ove trovi esca, e che
distingue l'uomo che chiamasi d'onore, dallo scioperato. Ivi
s' insegna ai padri la beneficenza- e V esempio, ai figli il ri-.
spetto e l'amore, alle spose l'amor del marito e della fami*.
glia, ai mariti la compiacenza e la condotta; ivi il vizio viene
accompagnato sempre dalla più universale e possente nemi-
ca, cioè l'infelicità; ivi la virtù provata ne' cimenti anche
più rigidi riceve la ricompensa; in somma ivi stanno con
nodo si indissolul^ile unite la virtù al premio, e la dissolu-
tezza alla pena, e sono con si vivi e rari colorì dipinte e
r una e l' altra, che v' è tutta l' arte per asaociare le Idee di
LÀ COMMEDIA. 93
onesto e atile nelle menti amane con <|iiel nmk», il quale se
ona rolla al fine giongessimo a rassodare , aarebbero i due
nomi di pazzo e di malvagio sinonimi nel linguaggio
eoniHie.
Io non dirò che le ottanta e pia commedie del signor
Goldoni dilettino tutte; dirò che spirano tutte la virtA, e eke
la maggior parte di esse veramente diletta. Che ditetlinom6y
ogni lettore deve accordarmelo, poiché parlo in materia in
coi non v'é miglior giudice cranpetente; che dilettino gli
spettatori sembra cosa molto probabile, direi quasi delle pro*
ittbilmente probabili, anzi delle probabilmente probabiliori ,
posto che vediamo il concorso cfa'esise hanno avuto, ed hanno
tuttavia per tutto ove si rappresentano.
Gli abitatori di Parigi, ^quelli cioè che sono arvesziogni
giorno a vedere sui loro teatri le* più belle produzioni dram-
fflaticbe che gli uomini abbiano fatte, almeno dacché le
memorie sono giunte a noi , essi ascoltano con applauso le
eommedie del valoroso nostro Italiano. Nella Germania molle
delle sue conunedie si rappresentano tradotte ed applaudite»
Pongasi tutto ciò da una parte deUa bilancia , pongasi dal-
l'altra parte il piccol numero degli insensibili pedanti, e poi
si giadichi, se in una cosa die piace cosi universalmente vi
sia una ragioiae perchè piaccia, oppure se sia un effetto
La vita degU uomini di genio è sempre stata il bersaglio
delle freccio degli uomini mediocri, e Molière sarebbe stato
da essi oppresso, se la protezione d' un gran monarca non lo
avesse difeso. Sia detto a gloria nostra, gì' italiani hanno
htto per quest' iBustre paesano quello che avrebbe potuto
hre un monarca, e la sensibilità della nazione al merito ha
offerto in tributo air eccellente comico T allegria, le lagrime
e gli applausi de' pieni teatri.
Sin dalle montagne, ove ha scelto di passare ì giorni
ddla gloriosa sua vecchiaia il maestro vivente del teatro , il
signor di Voltaire, vengono gli elogi al ristoratore disila com-
BMdia, al lÀbenUofe deU'Italm dot Barbari, ài yero dipintore
della iValura, signor Goldoni; ed in fatti il nostro comico per
tiberarci dalla vera barbarie, in cui erano le scene d'Italia> ha
24 LA COMMEDIA.
dovuto superare i primi ostacoli^ cioè la difficoltà di avvezzar
i commedianti a imparare a memoria^ e la difficoltà di avvez-
zare gli oditori a gustare le cose imparate a memoria. (1 no-
stro comico ha dovuto per gradi mostrarci la commedia , e
molte, ce ne ha mostrate, le quali, oso predirlo, si mire-
ranno un giorno con gloria dell'Italia, come ora con diletto
e istruzione.
Egli è vero che il nostro autore sapeva poco la lingua
italiana quando cominciò a scrivere; ma nelle opere che
diede in seguito si riputi di molto. Egli è vero che i suoi
versi quanto sono facili, altrettanto ancora sono lontani da
queir armonia e da queir apollinea robustezza che fa piacere
la poesia; e tal difetto lo ha comune col Molière. Egli è vero
ancora, che il pennello di questo dipintore della natura rie-
sce meglio assai nel rappresentare i caratteri del popolo, che
riesca rappresentando i caratteri delle pèrsone pia elevate ;
e di ciò son d' accordo. Ma sieno d' accordo ancora tutti i
sensibili e ragionevoli, nel trovare che il Goldoni ha tutta
r anima comica , e tutto il merito della più pura virtù , che
scaturisce dappertutto nelle sue produzioni.
Il soggiorno ch'egli ora fa, per sua gloria, in Parigi,
spero che sia per esser fruttuoso all'Italia, alla quale manca
ancora la vera arte dei commedianti. Qui m'avveggo che
alcuno, e forse molti de'miei lettori sospetteranno ch'io cada
in un accesÌBodì delirio; ma si tranquillino, si calmino, e se
vogliono delle verità, leggano; e se non ne vogliono, restino
come sono.
Nella Francia dunque, dove il comico Molière, il comico
Baron erano insieme commedianti, essi che sentivano tutu
la energia dei ridicoli e delle passioni che dovevano rappre«
sentare, diedero esempio agli altri, e servirono di modello del
modo di rappresentar sulla scena. Essi erano ben veduti albi
Corte aHora la piùbriUante d'Europa, erano ben accolti nelle
più nobili e pulite compagnie del Regno, e cosi agevolmente
impararono l'arte di parlare, di moversi, di vestirsi, e di rap-
presentare in somma al naturale ogni nobil personaggio. Sta-
biliti gli esemplari , i quali frequentemente si mostravano ,
facil cosa divenne l'averne buoni allievi; e tali sono per tra-
LA COalHEDlA. 25
dizione i commedianti che in Francia anche al di d'oggi
rappresentano le composizioni drammatiche. Là non vedre*
ste gii innamorati parlare alle lor belle con una canna in
mano, come se sempre fossero di viaggio, col cappello in
lesta (indecentissima cosa), con nn abito -malfatto e lo-
goro, avanzo di an rigattiere. Là non udireste gli urli, e il
(flOD di voce .
Lacerator dì ben costrutti orecchi,
cose latte che quasi universalmente accompagnano le com^
pagaie de' commedianti d'Italia. Là vedreste insomma la
nobile natura ^ il costume rappresentato come egli è , anzi
vedreste la commedia divenuta una vera scuola di gentilez-^
za e di buone maniere^ onde, se il nostro signor Goldoni ,
che sente il bello , che conosce il buono , al suo ritorno in
questa patria, a cui ha fatto tanto onore, avrà forze tali da
portare la riforma , ed atterrare gli avanzi della barbarie
che ancora abbiamo pur troppo, spero che ciò si farà. Voglia
il buon Genio d' Italia che ciò si possa, e che nasca qualcuno
degno d' imparare T arte onorata del Goldoni, e degno di so^
stenerne la gloria presso i Ogli nostri*
ft^A VORTIJGNA B£Ì JLtBRI»
Son pochi di,, che un filosofo venne a visitarmi per ceri
care il mio parere su un libro destinato da esso per pubblicarsi
colla stampa.— Qual è il fine, gli dissi'y amico^ per cui volete
snidare al pubblico, coW aggiungere il vostro nome alla lunga
lista degli autori t Dalla vostra risposta sceglierò la misura
con coi stimare il merito dell'opera vostra*— Io voglio, mi ri-*
spoae il filosofo, farmi un nome presso agli uomini miei con-
^niporanei, col mezzo del quale procurarmi la loro const-*
derazione, che contribuisca al mio ben essere.— L'impresa è:
dìQcile, risposa io, e voi sapete meglio di me quanta parte:
^bia il caprìccio della fortuna nell' accreditare un astore, qì
U ' 3
2G LA FOHTiiNÀ DUI UBUl.
nel lasciarlo neH' angolo polveroso d' una sUmperia esposto
alle Ugnuole, ed alle maledizioni dello stampatore. Pure, leg*
géte: poiché volete il parer mio, ve lo darò schietlameate. Al-
lora il filosofo cominciò cosi :
La poUlica sacrifica molU migliaja di f?t7(^mtf umane per
diioUerrare sino negli antipodi nuove rappresenlOiioni di tfa-
lore,nè allroeffelto produce che quello di renderne V uso più in-
comodo. Si cercano a dilatare i confinij né si riflette che la eir^
conferenza è aUa massa come il quadrato alla radice. Non v'è
armata che non si abbandoni alla fuga prima che la decima
parie sia estinta; l\ abito men fallo alla guerra è quello del sol*
dato. Gli editti di alcuni sowani di Costantinopoli su alcuni
casi parUcoUjuiy il parere di alcuni privati Romani, o di ùUri
oscuri curiali, purché sieno morii, regolano la vita e le for-
tune.
L amor del ben essere^ più forte di quello deUa stfissa eH-
stenzUf dovrebbe servire nel morale^ come neUa meUcaniea la
pravità. Guai atta umanilà se si eseguissero alcune teoriche dal
volgo riattale ! I geni ^ ^^ ^^^ <' assomigUano più ehei i me*
diocri fra di loro, e l'uomo,.**
Basta così, amico, gli dissi; il vostro libro non vale un
zero. Quest'opera o non sarà intesa, o lo sarà malamente,
e consegnandola al pubblico non avrete il vostro intento: al-
meno vént'anni opere si fatte devono languire sconosciute,
0 devono passare per la trafila dell' indolenza, e del ridicolo
per lo meno. Avete voi vocazione di passarvi? — No, davve-
ro, rispose il filosofo. Ebbene, datemi adunque, mi disse, il
parer vostro su un' altr' opera che ho iù mente, poiehè au-
tore voglio essere, e autore applaudito.
Primieramente, continuò il filosofo, il titolo del libro sarà
La Cucina p(Mlica. Proverò al principio, che gli avvenimenti
politici dipendono dagli uomini che gli trattano, cosa che
nessuno potrà negarmi. Passerò in seguito a dimostrare, che
gli uomini in gran parte dipendono dai kiro attuai umore,
ossìa daUo stato attuale del loro animo, or vigoroso e intra-
prendente, ora debole e timido; e confermerò con molti fatti
Bt««ioi la variabilità di quest'umore, per cui molti eroi in
alcuni punti della lor vita sono stati uomini, e uomini meno
LA FOHTUNl DEI LIBBI. 27
che mediocri. L'onore fero poscia vedere come dipenda dallo
stato della ooslra digestione, e la nostra digestione dalla
natura de' cibi che ci alimentano; e qni avrò campo di par-
lar mollo di anatomia e di fìsica, coli* aiuto delle qoali pro-
verò il mio assunto.
Da questi principj ne nasce dunque, che la massima in-
fluenza negli affari parte dalla cucina, e che da essa si spe-
discono come da prima origine le più importanti decisioni.
Onesto sarà il soggetto della prima parte.
Nella seconda parlerò dei metodi di riformare la cucina,
e rettificandola secondo le sane viste della politica; e prìmie*
ramente, di destinare il cuoco ad ogni persona che interessi
il ben essere degli uomini a qnest' oggetto importante, colle
istruzioni secrete ora di abbondare, ora di scemare le droghe,
a misura che d'attività o di ponderazione fa d'uopo; pas-
serò poi ad un' analisi chimica delle particolarità di esse dro-
ghe, delle erbe, delle diverse carni, e tutti in somma i ma*
teriali di cucina, e della influenza loro particolare a ciascuna
snl nostro stomaco, e tutto ciò fondato sulle più esatte spe-
rìenze. Finalmente concluderò la mia opera con una com-
piuta serie di vivande, atte ciascuna a svegliare passioni dif-
ferenti; con che sarà perfetto il mio trattato. Ebbene, che
ve ne pare ? soggiunse il filosofo.
— Ottimo, risposi io; il vostro libro è d'una idea tutto
nuova, a portata d' ognuno , e dovrebbe piacere. Gli uomini
unano più chi li diverte, che chi gì' instruisce, poiché sen-
tono il male deUa noia continuamente, e rare volte il malo
dell' errore.
Il filosofo ha approvato il mio parere. — Ebbene, dis-
se, conviene essere frivola per principio, siamolo di buona
grazia. La verità più grande di tutte é, che convien cercare
costantemente la propria felicità.
Cosi, fini la conversazione, onde fra pochi giorni comin»
cierà la bell'opera, e fra un anno al più ve la prometto
pubblicata.
^s
€0]VSOIl»AZI0liri stili lilJSSO*
quid €Hlm ratUmt tlmmmu
Jut cupbmu? JnVEHàL., Stt X.
Quando io dico Lusso, non intendo già di dinotare qaa-
lanqne cosa di cni gli nomini ia^cian nso, senza di cni per
altro potrebbero vivere: il secolo in cni siamo, e la molle
educazione che ci fu data, non ci lasciano le severe idee del-
l' antica frugalità degli Spartani ; perciò per Lusso intendo
ogni cosa realmente inutile ai bisogni e comodi della vita, di
cui gli uomini facciano uso per fasto , ovvero per semplice
opinione.
Nemmeno qui prendo a scrivere del lusso per la relazione
eh' egli ha con un uomo o con una famiglia, ma per la re-
lazione eh' egli ha colla intera nazione. Il lusso è nn vizio
contro cui declatnano a ragione i sacri Oratori; il lusso
rovina molti patrimonj : ma ogni vizio morale non è un vi-
zio politico, come ogni vìzio politico non ò un vizio morale.
Suppongo primieramente una nazione , a cui la terra
somministri appena il necessario fisico per nodrirsi, e difen-
dersi dalle stagioni: gli abitanti di essa non conosceranno il
lusso, poiché nessuno vorrà mai spogliarsi del necessario fi-
sico per acquistare un bene di opinione.
Suppongo, in secondo luogo, che nella nazione medesima,
perfezionandosi l'agricoltura, ognuno degli abitanti venga a
ricevere, oltre il necessario fisico, una porzione di superfluo:
gli abitanti cercheranno di vendere alle nazioni vicine qnel
superfluo, e con esso procureransi nuovi comodi della vita;
e sinlanto che i fondi resteranno egualmente divisi fra i na-
zionali , siccome chiunque cercasse di distinguersi col fasto
delia profusione si vedrebbe disprezzato, e schernito da' suoi
cittadini, e terminerebbe in breve colla totale rovina , cosi
in quella nazione non si conoscerà il lusso.
Dovunque vedesi lusso, vi é del superfluo , e vi è spro-
porzionata divisione di ricchezze: or ora parleremo di questi
due oggetti; ma stabiliamo in prima:
CONSIDBBIZIONI SUL LUSSO. 29
Se il lasso ha per oggello le manifatldre nazionali , è cosa
evidente che il restringerlo altro eflTetto non potrà produrre,
che quello di togliere il pane agli artigiani che campano
salle manifattore; desolare cittadini industriosi e utili ; ob-
bligarli ad abbandonare la patria; dare in somma un colpo
erodete e funesto a molti membri della nazione, che hanno
diritto alla protezione delle leggi, e alla nazione stessa, spo-
gliandola d' un numero di nazionali , diminuendosi il qu^le
scema la vera sua robustezza.
Né credasi di ritenere i maltrattati artigiani con rigo-
rosi proclami; poiché la sperienza c'insegna, che leggi tali
altro effetto noti producono che la creazione arbitraria di
nuovi delitti; né la custodia de'conGni può essere si esatta,
né si facile il punire una trasgressione, che non si può com-
mettere che fuori della giurisdizione del legislatore, a meno
di non sovvertire tutto l'ordine delle cose, pareggiando l'in-
tenzione ai delitti, e coir immolare poche sventurate vittime^,
accelerare la partenza di molti.
Poiché dunque il lusso, che ha per oggetto le manifat-
tore inteme, non può proibirsi senza discapito della nazione,
ritorniamo a ragionare sul lusso ohe ha per oggetto le ma-
nifatture straniere, quello cioè che suppone un superfluo
nella nazione, ed ana sproporzionata distribuzione delle ric-
chezze ne' nazionali.
È male che il superfluo d'una nazione esca per pagare
gli artigiani forestieri del lusso: sarebbe bene che altrettanti
artigiani si stabilissero nella nazione : cosi crescerebbesi la
popolazione, e non uscirebbe il denaro ; ma è un male an-
cora più grande il diminuire il superfluo della nazione.
Principio universale si é questo, che là dove la princi-
pal sorgente della ricchezza nazionale venga dai prodotti
dell'agricoltura, ogni legge, che limiti l'arbitrio di conver-
^re il denaro in un dato genere di merci, s' oppone alla pro-
sperità dell' agricoltura medesima ; poiché i terrieri pungono
leoltivatòrì per avere il superfluo, perchè il superfluo può
cambiarsi in denaro^ e perciò amano il denaro , perché con
ci^ possono procurarsi l'adempimento d' inflniti desiderj.
Se la nazione impiega il suo superfluo nella compera
30 CONSIDERAZIONI SUL LUSSO.
delle manifattare di lusso d' un dato paese , tosto che sia a
lei vietato di procararsi quelle manifattare, il superfluo noB
serve più a queir uso che lo rendeva più caro alla nazione:
dunque la nazione cercherà con tanto minore sollecitudine
il superfluo, quanta era l'avidità con cui prìma cercava la
manifattura; e gli animi cadendo in una indolente indifié-
renza, 1* inazione e V inerzia per nna facilissima discesa si
stenderanno sulla faccia del terreno meéesimo, e v'impri-
meranno la naturale loro infecondità.
Non si dà azione senza moto, non si dà moto senza un
principio. impèllente. La proposizione è vera egualmente e
nelle cose fisiche e nelle politiche: qualunque passione che
scuota r animo de' cittadini , e gli allontani da quel mortai .
languore, che ò 1* ultimo periodo che precede l'annienta-
mento delle nazioni; qualunque passione, dico, è buona agli
occhi d' un politico , nò paossi togliere alla nazione senza
danno, a meno di non sostituirvene un' altra. Ora la vanità
de' terrieri, spingendoli al lasso, ò quella stessa che serve
d'uno sprone e stimolo incessante a tener risvegliata l'indo*
stria de' colti valori, e far si che non risparmino né cura , aè
cautela, nò fatica per ampliare il prodotto della nazionsde
agricoltura. Che se con una legge suntuaria si spenga lo va^
nitè de' terrieri , né uscirà il superfluo, né vi sarà più nella
nazione; onde, in vece di accrescere la ricchezza nazionale,
si sarà scemata l' agricoltura, che é la vera sorgente della
ricchezza nazionale medesima.
Abbiamo accennato disopra come il lusso supponga le
ricchezze sparse disegualmente fra i nazionali, e giova per
poco eh' io riascenda ai principj delle cose, per presentare le
idee con metodo e con chiarezza. 11 fine per cui gli oomini
hanno stabilita nella società la (orma de' differenti governi,
il fine per cui concorrono attualmente a conservarla, é certa-
mente la piopria felicità; d'onde ne nasce che il fine di ogni
legislazione non può allontanarsi dalla pitolica felicità, senza
una violenta corruzione de' principi d'onde emana la forza
legislatrice medesima; e la pubblica felicità significa la mag-
giore felicità possibile divisa sul maggior numero possibile.
Se dunque le ricchezze e i poderi sono un bene , il primo
CONSIDBRikZIOMI SUL LUSSO. 31
fra Uàliì gli umani diritti vuole che le ricchezze e i poderi
siano divisi sul maggior numero possibile de'nazionali. L'Anno
Giubilaico presso gì' Isradiii e la Legge Agraria de' Romani
eiaoo un' immediata emanazione di questi luminosi principj.
Ella è pure cosa per sé chiara , che dovunque le vaste
possessioni sieno raggruppate in una sola mano, V opulento
padrone minore attività adopera per accrescere il prodotto
di esse, di quello che non lo facciano i molti, che dovendo
collivare un piccolo patrimonio hanno una incessante occu-
pazione di non trascurare i minimi prodotti: quindi il totale
della raccolta è sempre più abbondante, quanto sono più ri*
partitelo possessioni; ed in conseguenza quanto più seno ri-
partite le possessioni, tanto più s' accresce la vera e reale
ricchezza d' uno Stato.
Da ciò ne segqe, ohe se il hisso nasce, come abbiam
detto, dalla ineguale ripu-tizione de' beni, e se l'ineguale ri-
partizione de'beni è contraria alla prosperità d'una nazione,
il lusso medesimo sarà un bene politico, in quanto che dissi-
pando i pingui patrimonj torna a dividerli , a ripartirli, e ad
accostarsi alla meno sproporzionata divisione de'beni. Il
tosso è dunque un rimedio al male medesimo che lo ha
fatto nascere; poiché l' ambizione de' ricchi che profondono,
serve di esca ai vogliosi d'arricchirsi, e i denari ammassati,
come una fecondatrice rugiada, ricadono su i poveri ma in-
dostriosi cittadini; e laddove la rapina o l' industria li sot-
trassero alla circolazione, il lusso e la spensieratezza loro.,
li restituiscono. Coloro dunque che credono pernicioso il lusso
ad ano Stato, perché rovina le famiglie potenti, errano in ciò,
che trasportano sul rostro del legislatore le idee domestiche,
te quali in quell'altezza dovrebbero scomparire, in riverenza
delle grandi mire politiche e universali del ben essere di tutti.
Ho detto che VAnno Giubildico e la Legge Agraria trae-
vano la loro origine dalla natura medesima della umana so-
cietà; ma non perciò ho detto che sieno elleno stabilimenti
booni , e degni d' adottarsi nel caso in coi si trova l'Europa
presentemente. Lo spirito della teocrazia de' Giudei era di
«^staccarli dal commercio di tutti gli altri popoli; l'aspetto
dell'Arca, e la possente voce de' profeti erano spinte fortis-
32 CONSIDERAZIONI SUL LUSSO.
girne, che da loro soie mettevano in azione qaegK uomini.
Lo spirito de' Romani era repabblicano , religioso e gaer-
riero, non già commerciante, onde l'amor della patria, la
decisione degli aruspici, e la gloria marziale scuotevano si
^ attamente quegli uomini alle grandi azioni, che d'altri mo-
tivi non avevano bisogno. Gli uomini presentemente in Eu-
ropa trovansi divisi bensì in diverse provincie, e sotto
diversi governi ; ma vivendo tutti sotto una mansueta peli-
gione di pace, con usi, costumi e opinioni poco dissimili,
formano piuttosto diverse famiglie d'uno Stato, che nazioni
diverse: un incessante reciproco commercio le unisce; la
stampa, i fogli pubblici, i ministri ohe vicendevolmente ri-
siedono alle corti , i lumi finalmente che ogni giorno più
vanno allontanando gli uomini dall'antica ferocia, rendono
sempre più importante l' industria come il solo mobile che
rimane perchè gli animi degl' intorpiditi Europei non ca-
dano in quel mortale letargo che insterilisce e spopola le
Provincie. Quindi, perchè l'industria si tenga in moto, neces-
saria è la speranza d'arricchirsi, e in conseguenza è neces-
sario che i patrìmonj de' ricchi spensierati siano un punto
di vista agli occhi de' poveri industriosi , in guisa che colla
speranza d' impossessarsene, lavorino, inventino, perfezio-
nino le arti e i mestieri, e mantengano nella nazione quel
moto che nodrisce , ravviva e rinvigorisce i corpi politici.
Quando tutti ì beni sono commerciabili, tutti i beni restano
esposti in premio delia industria; e quanto più beni si sot-
traggono al commercio , e fansi ristagnare separati dalla cir-
coilazione, tanto minori incentivi rimangono all'industria.
Qualora dunque ci sforziamo di eternifezai'e i beni accu-
mulati in alcune famiglie, formiamo un progetto direttamente
contrario alla ragione ed alla pubblica utilità, e tentiamo
con impotente violenza di distornare il corso della natura
delie cose medesime, la quale incontrando gli argini inav-
vedutamente opposti , freme, s'innalza, e squarcia d'ogn' in-
torno, sintanto che, superati gli ostacoli, torna al placido e
maestoso sue ci)rso. Quindi , malgrado le leggi, rarissime sono
le famiglie che possano vantare sei generazioni d' una so-
stenuta opulenza.
'" €0N^I0BftAZlONI SOL LUSSO. 33
Chiunque s'attenga alle semplici lamentazioni d' alcuni
storici romani, attribuisce la cadata di quella terrìbile nazione
allosso tanto detestato da' qne' scrittori: ma noi sappiamo
che il genio di quella nazione fu sempre d'ingrandirsi col-
l'anni, non già di fare l'industriosa guèrra col commercio;
sappiamo che ivi le arti e f mestieri non erano professioni
di Qomini ingenui, ma soltanto de' servi; ^ sappiamo che il
egolamrato della economia politica romana era tanto lon-
tano dalla vera legislazione, che frequentissime erano in
Aoma le carestie; né v'ò maraviglia, sapendo noi tutto questo,
the trovinsi gli scrittori imbevuti di quegli errori che erano
comuni alla loro nazione.
La potenza e la vera grandezza di Roma è cominciata
appunto dopo che il lusso vi si vide introdotto, cioè colla di-
strazione dell'emula Cartagine, qualunque sieno state le mu-
tazioni interne del governo di Roma. La intera Francia ,
l'Inghilterra, la Germania sino all'Elba, si sottomìsero a
Roma, mentre vi regnava il lusso; e l'intera costa dell' Af-
frica, e le vaste Provincie dell'Asia Minore, e if valoroso
Mitridate non furono vinti che dai Romani nati fra '1 lusso.
Quattro secoli trascorsero prima che Roma immersa nel lusso
perdesse o del suo credito, o della sua forza, o de'suoi Stati;
thè se poi anche Roma piegò alle leggi universali, ed ebbe
il suo fine come il suo principio , non è mio instituto il rife-
rirne le ragioni, che ha si bene illustrate l'immortale signor
Carlo Secondai. A me basta l'aver provato, che il lusso non
é stato cagione della rovina de' Romani.
Che se anche il lusso fosse stato cagione del deperimento
< DioD. Halicar., lib. II; Tit. Liv., lib. Vili, cap. 30, 28; Seneca,
Epist, LXXXVIII} Ctcer.y in Ferr.^ VII. Romolo non permise che due prò-
fc«iioni agli uomini liberi , V agricoltura e la milizia ; i mercanti e gli operaj voa
erano nel numero de*citUdini. Dion. Halicar., lib. IX ; Cicer., De Officiis^ lib. \,
cap. 42. Quindi presso i latini scrittori , commerciante , operaio e barbaro,
toonaTan lo stesso. An quidquam stuitius quam quos singutos sicut
•perariosg barbar»squù conUmnat, tot aUquid putare eist uni»erto$?
Cicer., Tute» Quast.^ lib. Vj e nel Codice, lib. V, de naturalibns liberiti »i
confondono indistintamente la donna quae mercimoniif pitblìce prtefuit, t ìà
schiavi , ristrìoaa e la scostumata. Veggasi Considérationr sur la grandetm
*t U dècadence des Rvmains, cap. X , e V Esprit des LoÌ9e,\ìh. XXI, cap. 10.
34 C0NSIDEB4Z10MI SUL LUSSO.
della Repabblica, e dello stabilimento del Principato, ciò
proverebbe V incompatibilità del lasso col sistema repubbli-
cano, non già coi sistemi degli Stati soggetti a nn solo. Il
principio delle repubbliche è F ogoaglianza , togliehdosl la
quale, e condensandosi le ricchezze in mano di pochi, si apre
la strada alla tirannia: quindi il lusso è odioso alle repubbli-
che, poiché egli è un indizio che le ricchezze sono troppo
disugualmente ripartite, e in conseguenza sovverlHo il prin-
cipio stesso del governo. £ come la speranza di distinguerai
col lusso è un fortissimo incentivo per ammassare le ricchez-
ze , cosi i saggi legislatori delle repubbliche hanno costante-
mente proibito il lussò, e preferiscono ^e proteggono talvolta
il giuoco anche più rovinoso, malgrado i disordini che stra-
scina seco , per avere un mezzo discioglitore de' pingui pa-
trimonj al pari del lusso , il quale però seco non istrascini
la pericolosa distinzione neiresterna comparsa.
Ma il principio degli Stali governati da un solo è la di-
suguaglianza, poiché si pone la massima disuguaglianza pos-
sibile fra un uomo e oh altro, chiamandone uno sovrano e
r altro suddito; e come questa diversità da nomo a uomo non
é fondata su una diversità fisica, ma soltanto sulla base del-
l'opinione, quindi la splendidezza e la magnificenza haBBo
lor sede nelle corti o de' monarchi o de' loro rappresentanti;
e gli nomini naturalmente spinti a invidiare» e pareggiare
quei che credono più felici di essi , cercano d' imitarli con
altrettanta splendidezza e magnificenza, a misura de'mezzi
che sono in loro potere: cosi dal sovrano all' ultimo delta
plebe stendesi quella catena , che comincia dall' eccesso del
superfluo , e per molti gradi termina ai puri fisici bisogni.
Da questi principj chiari per sé, ma che però non ai
presentano alle menti degli uomini senza la contenziosa me-
ditazione sulla natura de' governi, ha tratta il signore di
Montesquieu la teorica che si legge nel libro ventesimo, al ca-
po quarto : Le Commerce a du rapporl avec la conslUulUm.
Dans U qoHwmémeiiU d'un seuI il est fonde iur le luxe, et wn
óbjet uniqne est de proeurer à la nalion qui le fail lout ee qui
peul servir à son orgueuil, à ses délices et à ses fantaitits.
Dans le gowememenl de plusieurs , il est ordinairement fimdr
CONSIDERAZIONI SUL LUSSO. 3ft
sur V economie. Quanti accreditali scrittori hanno illa^rata iu
questo secolo, e presso le più colte nazioni y V Economia pò-
Mca, sono in una universale conformità di parere intorno la
felice influenza che ha il lusso ne' paesi soggetti a un mo-
narca. Le opere di David Hunie, del barone di fiielfeld, del
signore di Fòribonnais, del signore di Melon, tutte parlano
on aniforme linguaggio in favore del lusso. Veggasi la bel-
l'Apera che ha per titolo Recherches et considéralions sur les
fmiues de France, tom. I, pag. 101; ivi si vede che un se-
colo fa in Francia v'erano tuttora qne'pregiudizj d'opinione,
die facevano credere un male il lusso. Cosi ivi: Onétoil per-
twdéque le Royoume i'épuisoit jtar le$ denrées de luxe que lui
fimrnissoieni se» voisins. On crut y retnédier par des his somp-
ivaires qui achevèrent d'écraser nos manufaciures. E di quei
tempi appunto parlando il signor Mirabeau nella Teoria dei
Trtòuto, cosi si spiega a pag. 191: On a quelquefois voulu
faxer ì» luxe eous le preUxle du rélahlissement da bon ordre
ti de la modesHe. Les loix sompluaires ne valenl rien. Il ri-
spettabile aalore dell' Essai polilique sur le Commerce , al
capo IX, pag. 10l(, cosi parla: Le luxe, Vobjet de tanl de va-
gictt dédamalions, qui parlent moins d*une saine connoissanee
w^une sévérUé de mmurs, que d'un esprit ckoQìin et envieux....
In somma dovrei trascrivere intere pagine se volessi qui ri-
ferire le innumerabili autorità degli scrittori economici più
rispettabili, tutte conformi in favore del lusso. La ragione ci
prova Futilità e la necessità del lusso; l'autorità si unisce
alla ragione, e la sperienaa e' insegna che le virtù sociabili,
romanità, la dolcezza, la perfezióne delle arti, lo splendore
delle nazioni, la coltura degl' Ingegni, sono sempre andate
crescendo col lusso: quindi i secoli veramente colti sono stati
i secoli dd maggior lusso; e per lo contrario, i secoli più fru-
gali e parchi sono stati quei ferrei secoli, ne'quali le passioni
feroci degli nomini fecero lordar la ferra di sangue umano,
«sparsero la diffidenza, l'assassinio è il veleno nelle società
Cenate eoTih d'infelici selvaggi.
iiA eoi/nvAzioivi: dix iiinro.
Nella nostra Italia la coltivazione del lino è conoscìaU,
e nella Lombardia principalmente; perciò non credo eom
affatto inutile T inserire inqaesto Foglio un pensiero spettante
appunto la perfezione di questa parte della nostra agricol-
tura.
Il seme che si adopera neir agricoltura, contribuisce m
gran parte a rendere il prodotto di buona o cattiva qualilà»
Questa proposizione è provata dalia sperienza di ogni piil siu-
pido contadino. Da eie ne scaturisce naturalmente per con-*
seguénza, che anche il lino nato da un ottimo seme sarà
più perfetto di quello che non lo sia il lino nato da an sena»
men buono.
I migliori lini della Francia, cioè quelli di Picardia, di
Brettagna e della Normandia sono prodotti dal seme di lino,
che ogni cinque anni almeno si fa venire dal mare Baltico,
e singolarmente da Rig^. I filamenti di quelF erba sono più
lunghi, più sottili e più fibrosi d* ogn' altra sorta di lino; ma
va ogni anno degenerando il seme, cosicché al quinto anno
ha perduta tutta la naturale perfezione»
So che, per un comune pregiudizio, sì credè che le belle
tele di Harlem, quelle di Frisa, cioè delle migliori d'Oianda,
e molte delle tele di Slesia, le quali si fanno spacciare per
d' Olanda, sieno fatte non già di lino, ma bensì di canape.
Chiunque abbia posto il piede nella Slesia , chiunque sia an.
po' instrutto delle manifatture e produzioni dell' Olanda, mi
Bara testimonio che tutte le tele fine bianche, che in quel
paesi si tessono, sono non già di canapé ma di lino; né i
fili del canape cred' io che possano mai filarsi si sottilmente,
né ridurci a tale candidezza da formarne una tela veramente
fina.
Io vedo che alcuni terreni della Lombardia prodacom
lini buoni naturalmente : e perché non potrò io sospettare^
che se quei terreni stessi fossero seminati co' semi del BaU
lieo, produrrebbero lini di mollo migliori ? E chi mi proverà
lA COLTIVAZIONB DBL LINO. ZI
mai che fors' anco non «i giungesse a (essere con lini nostri
delte (eie paragonabili a quelle della Germania e dellHManda?
Non sarebbe molto il dispendio di fame una prova. Dalla
parte di Venezia o di Genova facii cosa è il farci spedire dal-
l'Olanda, ovvero da Riga, una mediocre quantità di seme di
Imo, e chiarircene seminando poche pertiche di terreno dei
migliore con esso. In fine d' un ah no un buon regolalore dei
propri ^^ potrebbe agevolmente calcolare se vi si trovi
vantaggio. Il prodotto d'una pertica sola, quando riesca buono
per fame merletti, darà una somma capace da premiare lar-
gamente r industria del tentativo ; e quando a tal perfezione
«rehe non giungesse, si avrà sempre un lino per lo meno
egoide a quello che raccogliamo comunemente, e la perdila
della, prova non sarà di gran daiknò. Bisogna nell'agricoUnra
tentare sempre, e non negligentare giammai veruna vista,
a meno che non vi si affacci un' aperta assurdità ; bisogna
tentare a costo di vedere andar falliti venti progetti , e rio-
scime no solo; bisogna tentare, ma rischiare poco, e consa-
crare alle prove una piccola porzione de' nostri fondi, in
guisa che riuscendo male non ce ne venga nocumento. Spero
i^he fra i lettori del nostro Foglio ve ne saranno alcuni che
approveranno questa massima; e forse in mezzo alla varietà
delle cose che si leggono nel nostro Gaffìe, chi sa che taluna
non giovi essenzialmente alla società? Tale è almeno il fine
che ci siamo proposto.
SA««IO B' JURKraiETICA POUTICA.
Ogni mille uomini ve ne sono 750 capaci di lagnarsi; ve
né sono duecento capaci di ridere ; ve ne sono quaranta ca-
paci di non far male agli uomini di merito; ve ne sono otto
capaci dì onorare il merito ; e due di merito. Qui resta pre-
gato il benigno lettore a credere fermamente, eh* egli ed io
siamo veramente i due fra i mille.
Ogni mille uomini, che dicano di essere ignoranti, non
II. 4
36 SAGGIO d' ARITIIKTICA POLITICA.
V9 n' ò nemmea uno che aon lo sia ; non ve n' jè nemmen
uno che creda verara^nle di esserlo.
Ogni mille uomini, che accumulano denaro, ve ne sono
oUocenlo trenta che soffrono tutta la lor vita i mali della po«-
vertà; vene sono cento quindici che fanno an po'di b«ae
agli altri prima di morire; ve ne sono cinquanta che pessoso
goderlo con animo tranquillo, e cinque che V impiegan bene.
Ogni mille donne, che dicono d'essere brutte o vec-
chie, non ve n* è una che non lo dica per intendersi seete-
nere V opposto.
Ogni mille letterati, ve ne dono novecento che lo fomp
per cercar pane, fortuna e gloria; ve ne sono settanta ckc
lo sono per assorbire le ore, e non annoiarsi; ve ne sono
venti che non sono gelosi dello ingegno altrui ; e ve ne. sano
dieci che coltivano ì* ingegno per rendere sé stessi latoiiBa-
mente migliori.
Amko DetMirio,
DiU agii Seriitori de( CaffIe, ch'io amo un §iwHm$, ehe
sto per incamminarmi nella carriera di fare U meél€o\ t^^Bóa
mollo tempo aspetto che scrivano qualche articolo sulla profes"
sione eh* io voglio intraprendere: essa ha molta influenza cer-
tamente sulla vita degli uomini, e merita che di essa si parli. Vi
prego, amico Demetrio, fate si che ne parlino una volta; ed
avrei mxìUo piacere se ne parlassero in guisa di farmi un pian»
del sistema che essi credon buono per riuscii^ felicemente.
Addio.
V'è un sistema buono per farsi un buon medico, e v'ò
un sistema buono per farsi volgarmente stimare un buon me-
dico : rare volte questi due sistemi possono eseguirsi dalla
stessa persona. Un giovane deve scegliere fra queste duo
strade. Se avete nell'animo un generoso amore della verità,
e tale da ricompensarvi, coi progressi che andrete facendo,
a
nvMJLA maiicÈiVA. «
SULLA MeOlClMA. 30
della contenzione che vi farà d'oo]M> usare per instrairvi; se
preferite la stima degli nomini ittominati alF applauso volgare
ed alle ricchezze che gli vanno compagne; se avete in soiìi-
ma di mira o la gloria o nnd direUevole occupazione per
voi neRò studio della medicina, allora appigliatevi al sistema
di formarvi un buon medico. Ma se all'incontro Toi ricercate
Q pane, e, propostovi lai flne, volete interporre i più brevi,
tomodi, e più sicuri mezzi per ottenerlo , scegliete il sistema
di farvi volgarmente stimare un buon medico.
Io do un' occhiata generale all' Europa , e dico che se
prendiamo tuttM medici europei in complesso, cdla sarebbe
cosa molto problematica il decidere se siano più gli nopaini
attmazzati, o risanati dall'arte loro* Se prendano dunque
la medicina non per quello che mi si dice che dovrebb'es*
sere, ma per quello ch'ella è in effetto, ella é un'arte che non
si può riporre fra le benefiche senza usare di molta indnl^
genza. Faeil cosa è il comprendere eh' io in questo senso iur
tendo colla parola Medicina non la scienza perse, ma la som^
ma delle azioni che'i medici in complesso esercitano su i
corpi umani.
Se l'amor della scienza stessa vi porta alla medicina,
riflettete al bel princìpio, che la medicina altro non è che
la fisica applicata al corpo umano, cioè a quella macchi?
na, la quale anche al di d'oggi è inolto imperfellamenle
conosciuta, e non lo sarà forse mai in tuila'la sua esten-
sione. Le parti nobili del corpo umano non possiamo noi ver
derle mai nell'esercizio loro, ma bensì inèrte, e già mutate
da quel fenomeno insigne che chiamasi morte, per cui dallo
slato di materia organizzata passa là spoglia umann a quello
di semplice materia; né coli' aiuto de' nostri sensi, benché
assistiti da' più perfetti stromenti ottici , possiamo noi ragio-
nevolmente lusingarci dì seguitare l'organizzazione sino ai
minimi elementi, da'qoali forse deriva il principio fisico del
moto, della circolazione, della traspirazione, del nodrìmento,
^ di tant' altre riparazioni e perdite e modificazioni diverse
(ii materia, che rendono mirabile egualmente che oscura
l' indole di un corpo organizzato.
. Che -se sì denso é il velo che ci nasconde i prìncipi per
40 SULLA MEDICINA.
i quali vìve, movesi, genera e si nutre un corpo pogto io
sanità) cioè un corpo posto in quello stato sul quale ci è Je-
cito fare maggior numero di sperìenze, poiché stato comune
alla maggior parte degli uomini; quanto più. dovete voi ere*
dere che siano oscuri i principi che guastano Tordrae della
economia animale, e fanno passar Tuomo dallo stato di sa-
nità a quello di malattia I Quello ch'io chiamo stala di samtàf
non é quello stato di perfetta sanità^ che non potrebbe tro-
varsi che in un corpo immortale; poiché se tutte Iq perdite
nostre venissero risarcite per l'opera di visceri perfettamente
sani, sarebbero le nostre perdite perfettamente risarcite: quin-
di non conosceremmo né la vecchiaia, né la morte naturale;
chiamo dunque stato di sanità quello in cui nessun dolore,
nessuna lassitudine, nessun fenomeno apparente ci avverte
d'alcun disordine avvenuto nel sistema della organizzazione
nostra.
V'é molto maggior differenza fra malattia e malattia,
di quella che jion vi sia fra un corpo sano .e un corpo sano*
Dirò di più: forse non si sono vedute da Ippocrate a questa
parte due malattie perfettamente eguali. Pare che le leggi
universali, colle quali è direttala fisica, sleno costanti e in-
violabili; ma pare altresì che i fenomeni particolari, ossia le
combinazioni de' principj invariabili, sieno variabili all'infi-
nìto: e come forse da Ippocrate a questa parte non sono com-
parse sulla terra due figure d'uomini perfettamente simili;
come forse da Ippocrate a questa parte non sono comparse
sulla terra due foglie d'albero perfottamente simili; cosi per
analogia facilmente può credersi, che due malattie perfetta-
mente simili non si sieno ancora date, da che gli uomini
hanno trovata l'arte di trjasmettere alle generazioni venture
i loro pensieri colla slabile testimonianza della scrittura. Cosa
molto più facile é sempre il comprendere, come una mac-
china ben costrutta eserciti le sue azioni, di quello che non
lo sia il prevedere edefinirc (ulte le cagioni straniere e in-
trinseche, per le quali può essere interrotta ne' suoi movi-
menti.
Da queste brevi riflessioni ne deduco una conseguenza;
ed è, che sempre sarà molto incerta e ne' suoi principj e
SULLA MBDICIMA. 41
neUa applicazione di essi prìndpj la medicina; e che un filo-
sofo che ne faccia la professione, adoperata che abbia la più
scrupolosa diligenza ne' casi particolari, avrà costantemente
compagno no cauto dubbio, ed un pirTonismo ragionevole,
che Io porXerà sempre ad ommettere, anzi che ad eccedere
operando.* A questo termine proponetevi dal bel princìpio di
giongere, e sappiate che quello che è stato detto forse troppo
generalmente delle scienze tutte, cioè che le estremità loro
si toccano, e che al principio e al termine egualmente tro-
vasi rignoranza, ciò particolarmente ò proprio della medici-
na; in cui quando siete mediocre, vi credete a parte de' se-
creti di natura, ma a misura che fate progressi, e che esa-
minate con maggiore analisi le vostre nozioni, scema.il
nomerò def secreti svelati, e vi accostate air ignoranza dotta,
che resta al termine della carriera.
Cosa ridicola in verità si è il leggere alcuni autori di
medicina, e specialmente di botanica, anche accreditati; non
T'èerba che non risani da qualche malore, non v'é malattia
che non abbia più erbe prontissime a sradicarla: pare, leg-«
gendoli^ che non vi sia, ormai più maniera di morire, se non
per grignoranti. All' occasione poi vediamo T effetto di tante
pompose promesse.
La medicina ò dunque un'arte di sua natura molto cir-
coscrilta, e che merita il nome di conghietturale che le vien
dato; ma s'ella non fa agli uomini tutto quel bene che se ne
promette il volgo, e che ne vanno proclamando i ciarlatani
addottorati, pure in mano d'un illuminato e onesto uomo, os-
sia, in una parola sola, in mano d'un filosofo, ella è un'arte
che non solamente serve a provare sin dove giunga l'indu-
striosa ricerca dell'ingegno umano, ma serve ancora a recare
solidi beneficj all'umanità, o prevenendo le malattie, o risa-
nandole.
Ma per giungere a ciò fare, primieramente io ricercherò
M on giovine la preparazione alle scienze, cioè una costante
' Medicamentornm autem usum ex magna parte Jsclepiadet non sine
^•tuia sustulitj et eum omnia fere medicamenta stomachum latdant ,
"■«licite ttteci sint, ad ipsias victtu rationem petins omnem eikram guam
^•nttmlit, Cc]«ns, lib. V, cap. 4.
4'
42 SULLA MBblCINA.
abitaazioDQ del suo intelletto di far raDali» delle proprie idee,
di definire esattamente ogni vocabolo, di tessere in somma
quasi in catena ben costretta i proprj ragionamenti, cosiccbè
il desiderio della verità sìa in esso sempre più robusto della
inerzia, alla qaale Torse più che ad altre cagioni dobbiamo
attribuire la parte maggiore de* falsi ragionamenti degli no-
mini. Se questa disposizione dell'animo, che i scolastici chia-
mano Logica, ò il primo fondamento delle umane cognizio*
ni; se questa è la sola scorta che può farci fare progressi
nelle scienze tutte, a più ragione dev'ella essere indispensa^
bile laddove si tratti d'una scienza di conghietture , dove
Tommissiòne d'un dato solo, o d'ungi osservazione, ci porta
a conseguenze talvolta perfettamente opposte.
Una mente chiara, r^gionatrice, vogliosa di fare agli
uomini qpel bene che può loro farsi colla medicina, conviene
che sia iti istatp di ben comprendere i libri scritti in latino
ed in francese. Ogni discreto lettore comprenderà benissimo,
eh' io col vocabolo Ialino non intendo la lingua de^ curiali ò
de* scolastici , lingua che non intenderebbe né Cicerone né
Livio né Tacito, se dovessero essere condannali a leggere
le tante belle cose che con essa lingua intermedia fra 1^ la-
tina e r italiana sono state scritte per la felicità, se non delle
nazioni, almeno di alcuni pochi, che mettevano a profitto la
pubblica bontà. Conviene che un giovine, che vuol farsi me-
dico davvero, intenda dunque la buona lingua latina, quale
la scrissero molti eccellenti medici, e cosi dicasi della lingua
francese.
Io non vi farò qui una lunga declamazione da pedante,
per provarvi che per guarir le malattìe, e per ragionare in
medicina^ sia necessaria la statica, l'idrostatica, la geome-
tria, l'algebra, e tutte le parti della matematica; molta im-
postura v'è certamente in si fatti discorsi, i quali li ripetono
alcuni poeti, li ripetono alcuni medici, e persino alcuni cu-
riali ^ quasi che le loro occupazioni esigessero l' Enciclopedia:
dirò bene, che le cognizioni della fisica universale sono ne-
cessarie, poiché, come ho già accennato, la medicina è l'ap-
plicazione della fisica al corpo umano. Convien dunque che
abbiate una idea di quello che gli uomini hanno osservato
SULLA MBOICIMA. 43
«qUi nalflra del caiore e del freddo, Bolla dilalaiione e cott-
deoMÌone de'corpi, suU'mtiestiiio loro moto, sulle leggi del
moto e della gravità, solla vegetazione, salta generazione, e
umili -oggetti risguardanti la fisiea. Nemmeno io esigerò da
voi, che siate un perfetto botanico, cosicché conosciate il nu-
mero, la famiglia e le proprietà d'ogni Olo d'erba. Nemmeno
esigerò io da voi, che siate un chimico, e che conosciate per
nome e per figora tutti i sali alcali, tutti gli acidi, e tutt'i
caratteri naezzo arabi e mezzo gotici co' quali si rendono
venenuide assaissimo inezie. A me basta che affatto non si^te
digiuno di qneste materie, e che sappiate all'occasione guài
sieno gli nutorì migliori da consultarsi^ per conoscere se acr
cade qualche eosa fondatamente.
^ La notomia sì, che dovete saperla; ma dovete sapere la
Dotoqi.ìa ragionata e comparata, non già la sterile nòmencla-
torà deUe ossa, dei muscoli, dei tendini, e delie altre parti
che formano il corpo dell'uomo. Siene otto <^ sieno quattro
i muscoli dell'occhio, sieno sette o sieno cinque i muscoli
del basso ventre, questo poco importa saperlo al predico; son
questi oggetti che interessano la chirurgia o il disegno. Ma
sapere come o per qual mirabile ipeccanismo il cibo nel ven-
tricolo cangi natura; come frammisto al fiele prenda ilco-
lore dal chilo; come la parte sottile filtrandosi per alcuni mi-
autissimi canaletti giunga nella cisterna del Pequet a distillarsi
io un latte puro; come questo frammisto al sangue ripari le
perdile di esso sangue, da cui si fanno continue secrezioni;
eterne queste secrezioni sieno si disformi fra di loro, sebbene
tutte emanate dallo stesso principio; ma il conoscere come
circoli il sangue, qualsia il primo mobile che lo spinge; eo*-
lae non rigurgiti, né prenda mai un moto contrario; come
per esse si riparino le perdite dei muscoli, delle v-ene, delle
arterie, e persino delie ossa; come dallo stato d'un fluido
passi una particella di esso sangue a quello d'un perfettissi*
mo solido: queste sono le mire che convengono a un medico.
Poiché siate a questo segno disposto, e per la felice di-
sposizione della mente, e per le cognizioni delle lingue, e
per la notizia delle cose fisiche, e per un ragionato sistema
di notomia; allora consacratevi alla medicina, scegliete gli
44 fiVLtk MEDlClNi.
ottimi autori, ed ivi esaminando i loro sistemi, e meditando
fiolle diverse sorti di malattie da essi esposte, su i fenomeni
che le accompagnano, sa i rìmedj che giovano, e galle opi-
nioni loro delle cagioni, instraitevi, e approfittate dei lami e
della pratica di molli secoli.
Ridicola pretensione in vero si è quella di coloro i qaaH i
cercano di cuoprire la ignoranza loro nella teoria della medir
Cina, vantando la pratica in favor loro. Vastissima ò par troppo i
la serie dei disordini ai quali è soggetta la macchina del
corpo amano, e in paragone di essa la vita di un nomo è un i
lampo passaggero. S' egli è vero che da Ippocrate a questa
parte fonte non si sono vedute due malattie esattamente si* i
mili; come potrà mai sperare on aomo solo, che dopo alcuni i
pochi anni di proprie osservazioni, le malattie, che gli s^ i
presentino, sieno continue ripetizioni d'altre inalattie da hri i
vedute, il che voitebhe dire la voce pratica? Ippocrate era il i
decimonono medico di soa famiglia, e aggiungeva la propria il
pratica a quella di dicìotto generazioni che gliela avevano i
trasmessa, e forse anco diciatto generazioni sarebbero state ì
non bastanti a compilare gU Aforitmi, se ad esse non si fossero >
aggiunte le innumerevoli tavolette appese al tempio d' Esc»- i
lapio» contenenti l'esatta descrizione di ana vastissima serie )
di malattie. Allora fu che, dopo la sperienza di molti secoli, <
e dopo una sterminata serie di casi raccolti, venne dato il >
dìstin^oere quelle poche leggi universali che son comuni a
molte malattie, e che infiniti diversi fenomeni somministra*
rono il filo per riascendere ad alcuni prìncìpj. Le osservazid-
ni, le sperienze, e più forse i casi fortuiti e gli errori me*
desimi di molti secoli che vennero dopo, accrebbero il
materiale della scienzai da tutto quest'ammasso ereditato
dalle generazioni passate, an baon medico cerca di dedorne
la sua pratica, la qaale diventa la pratica di più secoli, la
pratica di molti uomini condensata in an nomo solo; e que-
sta è la vera praltai rispettata dai saggia da cai paò sperarsi
giovamento.
Come per diventare un pittar valente non bastano le os*
servazioni su i disegni, solle statue, solle pittare, e sm i bassi-
rilievi, ma vi vuole il nodo medesimo; co^ nella medicina
SUtLA MSDlCUfA. 45
conviene che il medico contragga itna sorte d'abitiuiine cogli
ammaiati, Ja qoale presentando ai saoi sensi i sintomi di-
versi delie malattie con maggiore efficacia di quello che non
ì» possono lare le descrizioni o gr intagli, lo renda più si-
coro di sé medesimo. Non vi consiglio però di prendervi que*
sta per principiUe occupazione. La principale deve essere su
i lilM-i; e chi predica il contrario, cerca di farvi un buon io^
fermiere tatl'al più, non mai un buon medico: ma, seconda-
riamente, nnite alla speculazione tranquilla del vostro stiidio
anclie Fuso di esercitarla sugli ammalati.
Ma del polso che diremo noi? Oseremo noi in queste fo*
glietto svelare gli arcani déirarte, ed esporci alla vendetta dei
p^Mido-medic», per dar materia di pensare ad alcuni pochi?
« La dimostrazione sarebb'eila capace di far fronte ad una opi-
nione venerala per secoli, e sostenuta dalle coiitinne decla-
mazioni di quanti vogliono parer medici, senza essersi presa
la briga di diventarlo? Io voglio osarlo, e vuo' scrivere una
proposizione scandalosa, empia, nefanda, abbominevole ;
ed eccola: La cognizione dei p^lso vai poco a illuminare
«a medico. Io vi comincio a dire, che Ippoerate, e tutta la
soa Scuola, n<m ha mai fatto gran caso del polso; che Tosser-
vaiione sulla pulsazione dell' arteria si è cominciata a fare
<iaiChinesi; poscia gli Arabi la posero in credito; e questo
credito andò forse per parte d'alcuni a tal segno crescendo,
che finalmente alla pulsazione dell' arteria si vennero ad at-
Irihnire tali proprietà da renderla la verga divinatoria della
a^dicina. ^
Non pretendo io già dire che la pulsazione deirarteria
non sia un fenomeno da osservarsi in ogni ammalalo, come
* La medicina pulsorta e talmente radicata presso a' Cbinesi , che gian-
Cwotalvolu a predire dal polso nn malore, che il medico steaso cerca a far
■aseere poi, acciocché la prediaione non rimanga sema effetto; e Tcggasi su
^ ciò Mèmoire» de la Chine del padre Le Comte, alla lettera ottava. Ga-
W, De Crisib., al lib. Ili, cap. li, assicura che Ippoerate non aveva fatto
*>i gira ifaso del polso, sia che non lo conoscesse , sia che non lo credesse
(il che « più verosimile) un mesto sicuro per conoscere le malattie. Erofìlo
^i per testimonianza di Plinio, lib. XXIX, cap. i,e llb. XI, cap. 3S, portò
lapatsia polsoria a segno d'asserire, che era necessaria cosa a un medico l'és-
tetmiuico t geometra per conoscere perfett^meate il polso.
46 SULLA MEDICINA.
s'osserva il calor delle carni, il colore dèi volto, Gome s'os^
servano gli occhi, la lingua, la flessibilità delle viseere^j la
libertà della respirazione, le secrezioni del sangue, e sialiti;
dirò di |HÙ, che la pulsazione deirarleria essendoci una i^uida
per conoscere presso poco lo sialo delhi circolazione del san*
gae, ella è un sintomo da osservarsi anchacon particolare
attenzióne. Ma il pretendere colla pulsazione dell' arteria di i
distinguere una ad una le infinite malattìe; il pretendere coifai
pulsazione dell' arteria di conoscere t progressi « le ^diverse i
vicende de' mali del corpo umano, questo è un pretendere i
cosa-di cui compare l'assurdità per poco che vi si rifletta.
Primieramente, il moto del sangue con somma facilità si i
altera nel corpo 4imano coll'urto semplice d'una passione aih- \
che non forte; secondariamente, riflettete ch^ tutte le vtaria- i
zioni possibili ad accadere nella pulsazione dell' artepia si tf i
ducono a quattro elementi , e sono: divenilà di tèmpo , divertUé
di luogo, diversUà di forza, Mversiià d'ondulazione. Quattro i
elementi non possono produrre più che véntiquattro combi- \
nazioni, come*è chiarito da varie ricerche fatlesi in propo^ n
sitò: dunque il polso non potrebbe indicare tutt' ai pia ohe <
ventiquattro stati diversi del corpo umano, non mjii là se-
rie quasi infinita de' siali pe' quali realmente può passare
Ma direte: questi stati sono suscettibili di molte differenze <^
più o meno. Va benissimo; ed io vi pregherò a dimi, se eoi
semitico tatto (senza un esatte orologio alla iviano , che vi
segni i intnuti secondi, e i terzi, se fosse possibile) si pe^
sano definire le minime difl^erenze? Vi domando, se credete
pi»S8Ìb0ej che un polsista possa paragonare matematicainenle
la celerità o equi-distanza del polso della sera con quello
della mattina? Vi domando se, dopo il toccamento di tanti
polsi quanti ne esaminano i poisisti, sia sperabile questo
esatto confronto? Gran bella scoperta eh' è staila quella del
polso! Chi vuol farsi credere n^edico, sebbene non sappia
render ragione della sua professione, sebbene sia un perfetto
iì^norante, si appoggia alla perizia del polso, riclama uà dono
di natura, intrinseco a lui, d! conoscere tutte le malattie dal
polso; e il volgo gli perdona la sua ignoranza, si fida de' suoi
toccamenti, lo crede capace di risanare, e lo paga abboudaur
SULLA HBDICINA- 47
Icmeole. Se poi due o (re poIsisU si conducono separatamente
a visitare an ammalato, senza che si siane potuti fra di loro
concertare, uno dirà che non v'è febbre, l'altro cheT'è feb*
bre; uao dirà che entra, l'altro che va in declinazione: del
che rari sono gli uomini che non ne abbiano avuto più d'an
esempio sotto gli occhi in vita loro; esempio il quale solo b»«
slerebbe a convincere.
Se meno si sostenesse T opinione del polso, sarebbero ^m*-
stretti coloro che vogliono fare il medico ad iostruirsi, e mt^
nere sarebbe il numero delle infelici vittime dell'ignoranza:
Io per altro trovo cosa degna di riflessione, il vedere come
in molte città della nostra Italia si sottoponga ai più impar-
ziali e rigidi sperimenti un uomo che cerchi d'essere nae-
stradi cappella di qualche cattedrale, e si facciano rigerosi
esami e disap|)as6Ìonati gìudizj per eleggere il più armonico
fra i concorrenti; e nessuna città, ch'io sappia, adoperi la
metà di altrettante cautele avanti di permettere a un uomo
di operare jsulla vit^ dei cittadini. Io credo verameste che
soa distonazione sia un minor male ndla repuBblica, di quello
cbe non lo sia un omicidio.
Ritorniamo al proposito nostro. Se volete dunque essere
buon medico, io v'ho in breve indicata la strada che a me
pare la buona per diventar tale. Due avvenimenti mi riman-*
g^Do ancora, e ve li dirò tosto; appartengono essi alla buonn
morale. Primieramente, siate in guardia sopra voi medesimo,
aecioccbé i frequenti spettacoli della notomia, e rafoiéoaziono
4i veder soffrire gli uomini , non incalliscano in voi quel
dolce e benefico principio dì sensibilità che produce la com-
passione, ossia il patimento de' mali altrui. La maggior parte
delle virtù umane viene da questa sorgente, ed ogni animo
ben fatto deve procurare. di mantenersela intatta e delicata
più che sia possibile. In secondo luogo, sovvengavi che gli
ammalati sono uomini più deboli per lo più degli altri, i quali
affidano alla vostra dottrina e all'onestà vostra la loro vita
e le loro debolezze; sovvengavi che se passando d' una visita
all'altra voi vi faceste giuoco della debolezza altrui, è se fa-
ceste servire a rallegrare gli sfaccendati i racconti di quanto
vedete o udite nelle famiglie che in voi confidane; so^^en-
48 SULLA MEDICINA.
gavi, (Meo, che voi sareste agli ocebi vostri medesimi, non
che a qaelli di ogni onorata persona, nn vero infame uomo,
an uomo indegno della stima d'ogni animo bennato, un mo-
stro in somma da far ribrezzo a qualunque è capace di virtà.
La secrelezza e la discrezione sono due virtù particolarmente
necessarie a un medico onorato.^ Eccovi in somma additata
la strada per diventare un buon medico. Quando lo sarete,
aspettatevi che il volgo de^pretesi medici vi fugga, aspetta-
tevi che dissemini di vói che avete della teorica, ma non va-
lete in pratica; aspettatevi di ottener poco lucro, e molle
persecuzioni; e cercatevi una di queste tre cose, che sono
le sole colle quali potrete passare la vostra -vita al coperto
detta cabala, o un nome procuratovi colle opere stampate, o
un sovrano che con tutta la sda forza vi protegga, ovvero
roscarità d'una vita ritirata che vi celi ai morsi dell'invidia.
Se poi vi bastasse l'essere volgarmente creduto buon
medico, fate il vostro giro alle scuole pubbliche, fatevi ad-
dottorare, mettetevi a correr le strade in seguito a qualche
boon polsista, rompete molte scarpe, imparate a scrivere una
ventina di ricette, imparale a mente una quarantina di pa-
role, greche, una trentina di aforismi d'Ippocrate, celebrate
le virtù del polso, arricchite la lingua colla creazione di
noove frasi e parole nuove, ricevete le pensioni che vi ver*
ranno assegnate , e sopra tutto pregate il cielo che i lumi
della sana filosofia non continuino à fare i progressi che tallo
di vanno facendo in Europa.* Gonchiudo il mio ragionamento
con tre ottave tolte da un poema inedito d*un autore che
pensava presso poco come penso io.
Oh genti? oh genti! o voi che avete in cura
De' cittadini conservar la vita.
Aprite gli occhi. Oh quanti mai ne fura
Degli impostori medici l'aitai
Di quanti va nella magione oscura
L'alma sdegnosamente dipartita,
* Ifel ctìArt giamMnto eht Ippocnite «sigeva il«gi'iD»iali néBa me^i*
Cina, stanno rinchiast tulli i provvidi precetti delPonealk da pratiearat da
un medico.
' In hae artiam tota evenite ut' unicaititie te medicnm profittnii
crtéati$r. Plioio, lib. XTLÌX, cap. i. -
^ SOLLA MEDICINA. 40
Perchè aflErelUta vieo Torà fatale
Da un mejdico , che è jnedico stivale !
Poniti a letto, fossi anche un atleta,
Fossi anche un toro, fossi un elefante;
Dopo una settimana di dieta.
Trangugia docilmente un buon purgante;
Indi la vena s'apra, e V inquieta
Cantaride t' infonda un vescicante
Alle coscio, alle gambe due canteri
Popolatori delli cimiteri;
Indi lasciati dare le coppette «
Le sanguisughe, e varj ser vizia li,
E nuovo sangue^ e poi nuove ricette,
E intorno al letto medici e speziali ;
E dimmi poscia ch'io non vaglio un ette^
Se con tanti rimedi non t'ammaU.
Fidati pur se vuoi ; ma in questa forma
Passa la bella donna, e par cìte dorma.
SULLO SHRITO DELU LmERATtIRA IN ITALIA.
Le idee e le opioioni degli uomini si cangiano con
maggiore yelocità di quello che non si cangino le lingue:
forse perehè.ogni mutazione di nn segno esteriore compare
una real mutazione agli ocebi d'ognuno; laddove le succes-
sioni delle diverse idee ed opinioni, facendosi per gradi in-
sensibili, non vengono conosciute cjbe da quei pochi pensa-
tori sparsi nell^ massa del genere umano, i quali costitui-
scono una minima porzione della noslra specie. Sono più
secoli dacché si usano le voci uomo dolio e uomo filosofo, e
quasi in ogni secolo queste voci hanno rappresentato cose
diverse, ed opposte talvolta Tuna all'altra.
Al rinascimento delle lettere in Italia, mentre i Medici
accolsero i Greci rifugiati dopo la presa di Costantinopoli,
era qran filosofo colui il quale aveva letto Platone, e che sa-
peva ridirne a mente alcuna definizione, avesse ella o non
avesse significato. Chiunque sapeva leggere allora qualche
II. 5
50 SULLO SPIRITO DELLA LBTTBBATURA IN ITALIA.
pezzo deW Iliade 0 àeWVlifsea, era un uomo dotto; chi poi
gioDgeva a scrivere qualche servile imitazione di quegli an-
tichi originali, era dottissimo, e'talora divino per pubblica ac-
clamazione. La poesia era allora sovranamente onorata in
Italia, e ciò doveva fisicamente accadere per la singolare sen-
sibilità che abbiamo air armonia, e per la vivacità della im-
maginazione, più popolare in Italia che forse in altra parte
d^Europa; qualità entrambe immediatamente dipendenti, anzi
che dall'educazione, dal grado di latitudine sotto cui siamo
riposti. Un uomo dotto nel secolo decimoquinto doveva in-
I tendere il greco ed il latino: doveva credere agi' influssi
delle stelle, e formarsene un sistema, con cui predire gli av-
yenimenti, e dare la spiegazione de' fenomeni. Tutte le idee
chimeriche della magia contribuivano pure alla composizione
dell'uomo dotto. Era poi onorato col titolo di filosofo allora
colui che sapeva ben a mente le categorie d'Aristotele, che
sapeva disputare suW universale a parte rei, suUe quiddità,
sul blielri, e su altre si fatte gravissime inezie e delirj del- ^
l'umana debolezza; la quitte gonfia di tante barbare parole, ^
con ispido sopracpjgiio, e con sucida dimenticanza della per- ^
sona, cercava di carpire dal volgo i suffragi, ed acquistarsi un ^
dispotico impero sulle menti degli uomini. ^'
A queste opinioni altre ne successero nel secolo decimo ^
sesto, e fu allora che lotti quasi gì' Italiani, capaci di colti- *
var le lettere, si slanciarono disperatamente o nel platonico ^
mare dei sonetti e delle canzoni amorose, ovvero nello stu- '^
dio della grammatica italiana e della latina eloquenza. Non ^
v* è quasi terra in Italia, in cui non si sia composto un canzo- ■
niere, e non si siano lodate le trecce bionde di madonna, V an-
gelico viso, 0 il castissimo e soavissimo sguardo di lei. Romanzi
in ottava rima pieni di stregherie, di palagi Incantati, di ca-
valli volanti, di cavalieri che con una lancia scompigliavano
un intero esercito, cose tutte in somma seducenti aD' im-
maginazione, ma nemiche giurate del buon senso, piovvero
allora da ogni parte; frattanto che i freddissimi e numerosi
pedanti conjogando, declinando, compassando ogni frase,
ogni parola, ogni perìodo, costringevano gl'ingegni a sacri-
ficar la cura delle cose per quella dei segni che le rapprc-
SULLO SPIRITO DELLA LETTERATURA IN ITALIA. ol
senUiio, ed a lìmifarsì a quellq idee sole, che potevano
esporsi con qoe' toroj di frase, delle quali permettevano che
si facesse uso. Uomo dòlio significò dunque allora un' altra
cosa, cioè significò un uomo che sapeva scrivere all' occa-
sione una lettera o orazione latina , con una Ungua che chia-
mavano del seco! d'oro, e che per lo più altrp non recava
all'animo che un armonioso suono di ben disposte voci. Vero
è che alcuni osarono scrìvere da uomini pensatori anche in
qae' tempi; ma furono essi appunto i meno riputati, e taluni
atrocemente esposti alle persecuzioni de' loro contemporanei,
per tal modo che anche al di d' oggi non è possibile pruden-
temente il rendere l'onore che si vorrebbe al loro nome; né
alcuni pochlssiny in un secolo sono quelli, da' quali debba la
storia prendere l'indole e la fisonomia, dirò cosi, d'un se-
colo intero. £7omo filosofo fu anche in que' tempi quasi lo
stesso che nel secolo precedente; se non che, le scoperte
che s'erano poco prìma fatte sul globo che abitiamo, la na-
vigazione resa più industriosa e più ardita, eccitava in al-
cuni delle idee della storia naturale, della figura della terra,
delle osservazioni celesti , e con esse alcune elementari idee
della geometrìa. Venne sul fine di questo secolo il gran Gali-
leo, l'onore della patria nostra, il gran precursore di Newton,
qaello di cui sarà glorioso il nome insin che gli uomini con-
serveranno l'usanza di pensare, quello perfine, le di cui sven-
tare saranno una macchia ed un obbrobrio eterno per il se-
colo in cui visse. Scosse egli il prìmo il giogo di quella scienza
di vocaboli, che tiranneggiava le menti degli uomini, e che
senza né amare né cercare il vero ammantavasi del titolo
di Filosofia. Egli additò non solo, ma percorse gran parte di
quella strada, che è la sola per cui le limitate facoltà degli
nomini possono giungere a contemplare qualche parte degli
arcani di natura. Il sistema planetario, le leggi della gravità,
qnelle de* fluidi , la teoria della resistenza de' solidi, una sene
di verità geometriche, le leggi del moto, la perfezione degli
stromenti ottici, l'arte d' interrogar la natura con una indu-
striosa sperìenza, sono tutti doni che da quella grand'anima
furono 0 interamente o in parte fatti, non dirò all'Italia od
al suo secolo, ma all'uman genere, ed alla posterità più ri-
52 SULLO SPIRITO DBLLA LETTEBATUaA IN ITALIA.
mota. Ma i SimpHcii, ch'«gli introdace ne* suoi dialoghi,
erano tanti a' suoi tempi, e tale era la possanza 4i essi, che
per una quasi universale sedizione le luminose vie di questo
grand' uomo furono dichiarate assurde, e pochi e paurosa- i
mente celati furono quelli che seguirono l' additato sentiero. ,
Nel secolo decimo settimo poi gì' Italiani, costanti alle ,
parole, e pur troppo sino all'ora trascuranti le idee, dopo ^
avere per due secoli conjugate, declinate, e poste in tondi ;
armoniosi giri le parole, passarono a riporre ogni loro atten- ,
zione principalmente sulla loro combinazione, e sulla cojrri- i
spondenza d'una coli' altra; e da qui ne nacquero gli infiniti i]
freddura] , che provavano che la donna è un danno, la moglie
E questa meccanica e puerile occupazione dilatò il suo
impero per modo d' imbrattare la poesia non solo, ma le più
gravi orazioni e politiche e sacre, le familiari lettere degli
amici, e persino ogni socievole conversazione dovunque vo*
lesse far pompa di non volgare talento. Allora gli acrostici,
i bisticci, gli equivoci, gli anagrammi diedero una gotica forma
alla letteratura d'Italia; allora gl'Italiani capaci di qualche
coltura si divìsero in accademie, le quali si attribuirono le
più strane divise, e ciascuno degli accademici volle diven-
tare confratello de' cavalli da maneggio, e come il Leggiadro
galoppa, lo Spiritoso raddoppia, l'Ardente corvetta, VÀgile fa
il passo-salto, il Superbo passeggia; cosi un altro Leggiadro
recitava sonetti, nn altro Spiritoso era eccellente nelle sesti-
ne, un altro Ardente si distingueva nelle terze rime, un altro
Agile era professore di ottave, un altro Superbo foceva ana-
creontiche da far languire di dolcezza. Il titolo d'un letterato
un maglio, la sposa una spesa; ed in que'tei»pi si applaudiva |
a quei versi fainosi: ^
Mi sferza e sforza ognor lo amaro amore *
A servire, a servare a infida fede; it
Miei danni Donna cruda non mi crede , ^
Mi fere e fura, e di cure empie il core.
Lima chi V ama , e chi la mira more; ^
Vuol eh' oltre agli altri vada chi non vede ^
Per merto a morte, e con un chiodo chiede i
Darla a me , che T amò, qual fieria un fiore. ^
SCLLO SPIBITO DELLA LBTTKBÀTCBÀ IN ITALIA. 53
nediocremente conosciuto occopava ana buona mezza pa-
gina, cioè il «gnor Tal de' Tali fra gV Indotti il Sottile^ fra
§U Amati il DisiMoltOy fra gli Spensierati V Ottuso, e cosi
aranti in infinito quante erano le patenti d'accademia, che
facevano il corredo delle lettere di que' tempi: fanciullaggini
che seriamente prendevansi da taluni, ma che ^rano T og-
getto della compassione dei pochi uomini veramente illumi-
nali, e della disistima in cui le lettere d'Italia allora ven-
nero tenute dall' estere nazioni.
S' introdusse poscia poco a poco lo spirito della filosofia
nell'Europa; il Gran Lord Verulam aveva eccitati gl'In-
glesi a scuotere il giogo; l'immortale Galileo nella nostra
Italia non minore spinta aveva data agF ingegni; il primo
aveva fatto il disegno, l'altro in parte aveva innalzato
r edificio. Comparve alla fine Descartes, sublime e bene*
merito genio, di cui gli errori stessi sono degni di ve-
nerazione, tanto è l'ingegno e l'industria che dovunque
trovansi nelle opere* sue. Poco anch' egli fu felice nella sua
patria, né potrebbe la Francia liberarsi dalla macchia d'aver
lasciato profugo e inonorato morire fra i ghiacci di Svezia
quest'illustre ristoratore della filosofia, se le generazioni
che vennero dappoi, non avessero cercato con ogni sforzo di
riparare la vergognosa dimenticanza de'loro antenati. Le vite
de* grand' uomini, nati in secoli o fra nazioni incolte, sono
composte d'una successione di sventure: l'invidia, la gelo-
sìa, la cabala, la malignità, la detrazione, tutte gli attaccano
di mille parti; ma gli scritti loro rimangono, e i germi di lu-
minosa verità col tempo si schiudono, sinché, comunicandosi
per tradizione d' uno in un altro il loro genio, cresce il nu-
mero degli uomini illuminati, e cresce a segno di sforzar
gr ignoranti ostinati al silenzio, e di riparare con una fama
tarda si, ma sicura, ai torti che in prima furono fatti al me-
nto. Cosi avvenne degli scritti di quest'uomini nati per l'am-
naestramento degli altri: nuovo aspetto prese la filosofia in
tntla V Europa; e sebbene il numerò delle verità che in que-
sto cambiamento si scopersero non sia molto vasto, il me-
^<^o di ragionare che s' introdusse fa la cagione de' scopri-
nienti che si fecero dappoi, e che si vanno facendo tuttavia.
5-
61 l^ULLO SPIRITO DELLA LETTEB4TUEÌL IN ITÀUA.
Si sostituirono allora, a cKr vero, nuovi erroriià vecchi; ma
gli errori vecchi avevano per base l'antica autorità, che più
si avanza e più cresce; e i nuovi errori avevano per base la
ragione, la quale col proseguire ad esercitarsi li discopro.
Ostinatissima guerra fecero le scuole a questo nuovo geneie
di filosofare; ma la ragione finalmente la vinse, e allora si
chiamò filosofo un uomo il quale credeva di spiegare tutt'i
fenomeni dell' universo coi soli due principi di materia e di
moto. Si credette allora co' vortici di aver trovato la cagione
de* moti de* corpi celesti, colla materia sottile di spiegar la
cagione della gravità, dell'ago magnetico, e della luce; mm
restò un solo angolo delle cose naturali, che un filosofo al-
lora non credesse d'intendere, e di potere altrui spiegare.
Verso que' tempi medesimi altra idea si uni colle parole
uomo dolio, e di tale ebbe il nome colui, che molto fosse ver-
sato nella cronologia, nelle medaglie, nelle cronache, nelle
pergamene antiche, e nelle iscrizioni; e allora ad illustrare
una lampada sepolcrale, ad illustrare un piedestdio, un tri-
pode, una patera, o simile oggetto, si spesero anni e lustri,
e si pubblicarono grossi tomi, i quali certamente non contri-
buirono molto all'avanzamento dkle cognizioni umane, o aUa
gloria della patria nostra.
Ai di nostri non può negarsi che molto ^on siasi miglio-
rata la condizione degli ingjegni e nell'Italia e in tutta l'En-
ropa. Il gran Newton ha svelato dimostrativamente il sistema
nostro planetario; egli ha fatto conoscere una nuova fona
compagna indivisibile della materia, per cui reciprocamente
s' attrae; egli ha scomposta la luce ne' suoi principi , e ne ba
dimostrate le proprietà; egli insomma ha aggiunto alla ra-
gione, che Descartes aveva già portata nella filosofia, l'ana-
lisi sua fida scorta, per cui va ogni giorno più dilatandosi la
sfera delle umane cognizioni. Cosicché al giorno d' oggi fio-
sofo è colui che fa precedere l'esame all'opinione, che pesa
gli oggetti indipendentemente dal sentimento altrui. Se a
questo filosofo domandi cosa è materia, egli dubita di non
aver dati per definirla, ed è tanto cauto nel determinarsi»
quanto erano corrivi a farlo quei che chiamavansi filosofi
cinquant'anni sono.
SIXLO SPIttlTO DBLLÀ LETTERATUKA IN ITALIA. HH
Io qui non so contAnermi che non faccia una breve ma
importante nsciU dal mio soggetto, e sia per coloro i qnali
malignamente abusando del nome sacro di fiìotofo, credono
di dimostrarsi tali manifestando noncuranza, e talvolta per-
ma» discredito delle più sublimi verità rivelatrici dell'Eterna
Sapiensa, venia le quali sono d'un primo ordine superiore
ad ogni altra daiee di cose, verità le quali vuole il dovere,
r interesse e la ragione egualmente che sieno da noi vene-
rate. So che un si grave argomento dev' essere trattalo con
quella maestà eh' lo non so darvi, e che non si comporta colla
nahira d'un ameno foglio periodico, di cui lo scopo è soltanto
di fomentare la curiosità per la lettura, e indicare qua e là
alcune verità del second' ordine: pure è bene avvertir di pas-
saggio qoe' tali^ se ve ne sono, eh' essi col loro modo di par-
lare danno mu prova di essere lontani dalla filosofia, cioè
dair amor del sapere, più assai di quello che non lo aia un
perfètto ignorante; poiché un errore, ed un errore fonda-
mentale, quale è questo, è una quantità negativa del sapere.
Chiunque poi ad ogni nuova proposizione, per sana ed inge-
ooa ch'ella sia, cerca di trovarvi una nascosta incredulità,
e procura di denigrare il buon nome degli uomini illuminati
€<m falso zelo di pietà, e con una vera e reale invidia che
lo rode nel fondo del cuore, quegli non è certamente né filo-
sofo, né buon cristiano, né uomo d' onore.
Ma ritorniamo sulla strada, ed osserviamo che il titolo
di «omo dolio realmente costa al di d' oggi assai più di quello
che non lo costava per V addietro; onde la maggior parte di
eoloro che V ottennero ne' tempi trascorsi, molto dovrebbero
sodare ai di nostri per ottenerla di nuovo. Lo spirito filoso*
fico s'è dilatato oltre i confini della fisica: egli regge ed anima
l'eloquenza, la poesia, la storia, le bell'arti tutte insomma;
il cuore umano ed i principi della sensibilità sono alfine più
eenoscioti ^i queHo che in prima non lo erano; ed il senso
della maggior parte degli Europei é reso molto più squisito
e delicato di quello che da lungo tempo non lo sia stato
giammai.
Neil' Italia nostra però vi sono tuttavia gli Arislolelici
delle lettere y come vi furono della filosofia ; e sono quei te-
56 SDLLO SPIRITO DELLA LETTHRATDBA IN ITALIA,
naci adoratori delle parole, i qaali fissano (atti i loro sguardi
sol conio d' nna moneta, senza mai valutare la bontà intrin-
seca del metallo ; e corron dietro, e preferiscono nel loro com-
mercio, nn pezzo d' inalile rame ben improntato e liscio a un
pezzo d'oro perfettissimo, di cai l' impronto ^ia fatto con
minor cara. Immergeteli in nn mare di parole, sebben an- i
che elleno non v'annunzino che idee inatili o volgarissime, i
ma sieno le parole ad una ad nna trascelte, e tutte insieme i
ariàonìosamente collocate ne' loro periodi, sono essi al colmo )
della loro gioia. Mostrate loro una catena ben tessuta dì ra- i
gionamenti utili, nuovi, ingegnosi, grandi ancora; se una i
voce, se un vocabolo, una sconciatura risuona al loro picco- u
lissimo organo, ve le ributtano come cosa degna di nuUa. i
Sono que' tali come quel raccoglitore di libri, il quale gli sce- \\
gtieva sulla eleganza della rilegatura, rare volte osservan- . w
done il titolo, non che l' opera ; e cosi preferiva le opere del it
celebre Gomez rilegate in vitello, alla storia del presidente De ^
Thou legata In pergamena. ^
Questi inesorabili parolaj sono il più forte ostacolo che ^
incontrano anche al di d' oggi in Italia i talenti , che sareb- |j
bere dalla natura altronde felicemente disposti per le lette- ^
re : essi co' loro rigidi precetti impiccoliscono ed estinguono ^
il genio de' giovani nell' età appunto più atta a svilupparsi ; ^
essi colle eteme loro dicerie intimoriscono talmente i loro
disgraziati alunni, che in vece di sollevarsi con un felice ar-
dimento, scrivendo, a queir altezza a cui giunger possono le
loro forze, con mano tremante servilmente si piegano alla
scrupolosa imitazione di chi fo testo di lingua; e quel pittore,
il quale nelle prime opere sue, se fosse stato libero, avrebbe
prodotte molte bellezze e alcuni difetti, per migliorare poi
sempre colla propria sperienza, s'agghiaccia colla pedanteria
dell'imbecille e venerato suo maestro, e per troppo temere
i difètti, non produce più né difetti né bellezze proprie, ma
oscure e dlspregevoli copie non mai capaci di dar un nome
all' autore.
Questa disgrazia dell' Italia è provenuta, cred' io, da ciò
che neir Italia, quasi appena dopo il risorgimento delle let-
tere, si pretese di aver fissata la lingua, e si pretese di più di
SDLLO SPlBITO DELLA LETTERATURA IN ITALIA. 57
averla fissata con confini si immobili, che la lingua italiana
della scrittara avrebbe dovuto avere tutta la rigidezza delle
lingue morte, perdendo quel naturale tornio, e quella pie-
ghevolezza air idee di ciascuno scrittore, che formali pri-
mario genio delle lingue vive. Io non pretendo già che debba
388er lecito ad un pulito e colto scrittore il far usò di que' vo-
caboli che sono talmente municipali d'una parte d'Italia, si
che nelF universale lingua italiana non sieno conosciuti; io
non pretendo neppure che un pulito e colto scrittore ignori
la grammatica della lingua in cui scrive, e macchi i suoi di-
scorsi con frequenti errori o barbarismi; nemmeno pretendo
che sia lodevole un perfetto libertinaggio di lingua, introdu-
cendo senza ragione negli scritti delle frasi o de' modi di
dire ignobili, o forestieri al genio della lingua: io dico bensì,
che il merito della lingua ò un puro merito secondario, che
egli é Un puro abbellimento del discorso; né può essere mai
risgaardato come un merito primario , se non se da coloro
iqnaìi non sanno far uso della miglior parte dell'uomo^ Dico
di più, che quando si sono voluti stabilire per cardini della
lingaa i Giambullari, i Capponi, i Monlemagni, i Firenzuola,
IBor^hini, i Rossi, i Monaldi, i Cavalcanti, i Gelti, i Fazii degli
liberti, i Sacchetti, i Marignolli, i Bronzini, gli Stadini, e si
fatti oscnrissimi scrittori, de' quali l'Europa colta non ne legge
neppur un solo, allora dico che s' è preteso di fare una riso-
lozione alquanto immatura, e che la lingua non si potrà mai
chiamare stabilita sodamente insino a tanto che varj e varj
valentuomini non Y abbiano piegata alle diverse loro idee, e
resa versatile e maneggevole a ben dipingere e rappresen-
tare tuir i diversi oggetti che possono affacciarsi alla imma-
ginazione d' un uomo superiore al volgo. Non credo di far
torto a quei che non nomino, nominando due scrittori che
abbiamo per sventura dell' Italia perduti, cioè il signor dot-
tore Antonio Cocchi, ed il signor conte Francesco Algarotti; i
quali con diverso stile bensì, ma con un medesimo spirito di
filosofia hanno arricchita la nostra lingua colle loro opere, e
ci hanno lasciati libri pieni di idee grandi e nòbili, adornate
da uno stile che le rende ancor più leggiadre. Allorquando
la nostra Italia in varj generi ne avrà prodotti altri ancora
58 SULLO SPII^ITO DELLA LETTEBATUBÀ IN ITALIA.
di simili, allora i npstri posteri avran ragione di vantarsi)
che la loro 4ingaa abbia ricevala una stabile forma*
Qaando Orazio, T incomparabile Orazio, onorava la lingua
di Roma co' suoi versi immortali, ana turba di pedanti fre-
meva contro il nuovo autore, ed erano appunto costoro quella
greggia servile d' imitatori, che ad Orazio tanto sovente mo-
vevano ora il riso, ora la noia. Lo storico Livio accusavano
essi di padovaneggiare nel suo stile; in ogni paese al comio-
ciare che fece il buon secolo s' incontrarono tali ostacoli, ove
più, ed ove meno; e il gran Cornelio, il gran Molière, che
fecero ammirare le produzioni dell' ingegno umano sol tea-
tro, innalzate forse al disopra di quanto gli uomini avevan
mai veduto prima d' essi, il gran Cornelio, il gran Molière,
es8\ pure hanno sparsi nelle loro opere dei difetti, o vogliam
dire degli errori di lingua, né perciò son essi meno illustri o
nella loro patria, o dovunque vi sia senso per la tragedia o
per la commedia.
Un' altra cosa pure fa mollo torto alla letteratura d'Italia,
ed è il modo con cui fra gli scrittori si trattano le dispute let-
terarie. Chiunque osa scrivere dovrebbe mostrarsi uomo
d' un ingegno e d' una coltura al disopra del comune livello
degli uomini; il mestiere d'un autore è d' illuminare la mol-
titudine, di comunicargli coi suoi scritti le utili verità, di ren-
dere gli uomini più saggi, più felici e più virtuosi, tre cose
le quali realmente sono una cosa sola. Quale stima o quale
deferenza dovranno avere gli uomini comuni per le lettere,
se chi s' intrude in questa nobile professione la avvilisce con
canaglieschi modi, e coli' usare delle più basse e facchinesche
ingiurie, le quali appena meritano scusa qualora se ne ascolti
uscire il suono da una bettola ripiena d' ubbriac)ii? Bppure
cotesto è un vizio nostro ereditato; e dal tempo del Caslelve-
tre a questa parte^ rare volte sono passati dieci anni in Italia
senza che siasi dato alla ciurma de' lettori l' obbrobrioso spet<
taccio di due che, usurpandosi il luminoso carattere di let-
terati , si prendono villanamente l' un i' altro pe' capelli, e si
rimescolano nel fango fra le fischiate e gli urli e lo schia-
mazzo d' un ozioso gregge d' insensati partigiani. Neir In-
ghilterra, la parte che qui fanno colali disonori delle lettere,
SULLO SPIRITO DELLA LETTERATURA IM ITALIA. ti9
la faQoo i galli , ed a quegli animali conviene assai più che
BOD ad uomini il pungersi e lacerarsi V un Y altro per diver-
Uinento degli spettatori.
Non mancarono a due insigni nostri letterati, al signor
Lodovico Antonio Muratori, ed al signor marchese Scipione
Maffei, di simili scrittori frenetici , i quali loro s'avventarono
colle più vili e plebee contumelie; ma que' genj superiori non
interrappero per ciò il placido e maestoso corso della loro
carriera, nò vollero mai far l'onore ad una schiatta d' uo*
mini tanto dà loro distante, di discendere e far rientrare
qaegr insetti nella pozzanghera d'onde pretendevano alzar-
si; gli uomini di lettere non farebbero mai nulla di grande,
se 8i lasciassero^distorre da' loro oggetti ad ogni ragghio che
ascoltano.
Quando però la disputa sia una urbana e pacifica ricerca
della verità, la quale s'eserciti in modo da non far nascere
cattiva opinione o della morale o della educazione di chi la
sostiene ; se il soggetto di essa è degno d'essere rischiarato,
allora la disptita diventa una parte rispettabile della lettera-
tura, e contribuisce al progresso delle cognizioni degli uomi-
ni. Il signor La Motte cosi trattò la dìsputa con madama
Bacier, ed il monarca autore del PftUosophe Bienfaisant così
disputò col cittadino di Ginevra. Il signor d'Alembert, nella
disputa Sul teatro, ha sostenuta pure la sua causa con quella
nobile decenza che era degna di lui. La contumelia e il fiele
scolastico sono uno sfogo di que' sventurati, i quali risve-
gliano alla mente la favola del serpente che rosica la lima.
L'uomo di merito non odia che il vizio, disprezza i vili, e
compassiona quegli infelici, i quali, amareggiati nel fondo del
coore per la non curanza in cui vengono tenuti, non hanno
la forza di celare ne' loro scritti il crudele sentimento che
gli avvelena.
Da queste due cancrene, cioò dalla pedanteria de' paro-
la}, e dalla scurrilità de' spavetitacchi dell' infima letteratura,
sembra che a grandi passi vada liberandosi la nostra Italia:
ogni giorno più va diminuendo il numero de' loro fautori , e
gli estremi loro sforzi sono una prova che lo spirito filosofico
va facendo progressi grandi sulle ingiuste loro posèessioni.
60 SULLO SPIRITO DELLA LETTERATURA IN ITALIA.
A misura che saranno discreditati questi nemici degl' inge-
gni, l' Italia andrà distinguendosi fra le nazioni colte, e per
poco che il cielo le conceda paciGci giorni , tornerà forse
nn' altra volta a far rivolgere verso di lei lo sguardo ammi-
ratore dell' Europa.
1 «lUDizj papai^ARi.
Due avvocali e un giudice comparvero in questa cauta. Il
primo avvocalo cominciò éosi a parìofe in favore del
popolo:
Non v'é razza d'uomini che più mi muova la indegnazio-
ne, quanto quella d'alcuni i quali per vendicarsi, come
possono, del poco conto in cui sono tenuti dagli altri uomi-
ni, fanno eteme declamazioni contro l'umanità, e degradano
la specie umana sino ai conGni della bestialità, credendo
d' aver essi soli il privilegio esclusivo della ragione. Preten-
sione si è questa la più ingiusta e la più ridicola che dare
si possa; e per poco che il signor giudice, si compiaccia di
ascoltarmi, credo di potergli ad evidenza mostrare la verità
del mìo assunto. E primieramente, come la natura ha dotalo
ogni uomo di una data forza di muscoli, così gli ha confidala
una data porzion di ragione; altrimenti l'uomo non sarebbe
più uomo, cioè aniìnaU ragionevole , come da tutti universal-
mente vien definito: ora, come inetta cosa sarebbe il dire
che molti e molti uomini uniti non abbiano più forza a mo-
vere un peso che un uomo solo, cosi deve essere assurda e
inetta V opinione di coloro che sostenessero che molte por-
zioni di ragione radunate non sieno maggiori d'una porzion
soia. Perciò vediamo i principi più sapienti proporre ne' loro
consigli le più ardue e importanti deliberazioni della mo-
narchia, acciocché tutta la ragione che in quegli uomini sta
divisa, radunandosi insieme su un solo soggetto, lo esamioii
lo penetri con maggior forza ; onde conoscerne la natura, e i
I G1UD12J POPOLÀUI* 61
buoni 0 cadivi effetti che deve prodarre. Dà qui ne viene ,
che le repubbliche anche piccole hanno potuto ottenere una
prodigiosa superiorità sulle nazioni nemiche, come avvenne
della Grecia coi Persiani , e di Roma con buona parte dei-
Torbe conosciuto.
I grandi uomini hanno avuta tutti una grande opinione
della ragionevolezza degli altri uomini; poiché i grandi no-
mini, essendo quelli i quali più avidamente hanno compe-
rata la fama a costo di mille incomodi e perìcoli, non avreb-
bero anteposta la fama, ossia l'opinione favorevole degli
nomini, ai comodi fisici della vita tranquilla e privata, se non
avessero creduti giusti estimatori del merito quegli uomini
stessi dai quali a si caro prezzo mendicavano i suffragj.
Di più, l'ingiusto vantato disprezzo degli uomini è un
seme dal quale nascono millervizj nell'uomo; il quale di-
sprezzando gli uomini non cura più la riputazione , cioè la
riunione della opinione che essi hanno di lui, e cosi sciolto
da questo potente vincolo si dà in preda ad ogni inclinazio-
ne, sottraendosi al più possente freno che sia fra le cose
terrestri per contenere i vizj e le azioni più abbominevoli.
L'opinione, ch'io sostengo favorevole al giudizio della
amanita, è quella che mi restringe ad indicare appena que-
ste himinosé ragioni, ben persuaso dell'accorgimento del si-
gnor giudice, per cui non fa bisogno d'inutili esortazioni o
di declamazioni ricercate, ma bensì della sola e nuda veri-
tà, la quale accennata appena entra nell' intelletto , e l' ob-
Utga a sentirne la forza. Io non mi servirò dunque dell' au-
torità delie scuole, le quali convengono che il consenso
Httiversale faceta morale evidenza, il che significa che l'opi-
nione universs^e degli uomini non è soggetta a errare; non
mi servirò d'infiniti esempj che potrei citare delle storie, che
fonno in favor mio; all'evidenza delle ragioni addotte ag-
giungerò soltanto l'autorità dì Pomponio secondo, autore di
tragedie, il quale, secondo riferisce Plinio alla lettera 17 del
libro settimo, dicere tolebai ad populum provoco, atque ita ex
pepuH aeeensu vel dUtemu suam aut amici senlentiam seque-
^Qiur, tanto egli stimava il popolo, tantum ille póputo dahaL
Aggiungerò l'autorità del padre della romana ebqneiiza , il
li. 6
62 I GIUDIZJ POPOLARI.
quale al principio del secoudo libro delle Tusculane : noi, dice,
muUitudinis judicia prohari vokbamuf: papularis est enim iUa
faeuUas^ et efeclus eloqu enlim est audienlium approbeUio. Cele-
bri SODO gli esempj de* due Francesi Malberbes e Molière, i
qaali prima di sottoporre al pubblico le opere loro consttUa-
vano le loro fantesche, e sul giudizio loro ritoccavamo le
produzioni dei loro ingegno. Mille altri simili fatti ci sommi-
nistra la storia e di Apelle e di altri grandissimi- aomini, che
del giudizio popolare facevano tale uso da risgaardarlo corno
la pietra di paragone del merito. Resta dunque chiarameuto
provalo, che, e per ragione intrinseca, e per T opinione
de*grandi uomini, e per il bene della repubblica, e per V aor
torità ed esempio degl'ingegni più rinomati, il giudizio del
popolo è conforme alla ragione, ed è il vero tribunal com-
petente del bello, del grande e del buono, come breve-
mente ho detto.
Poiché ebbe finita la esposizione delle sue ragioni il primo
avvocalo, il secondo così a dir prese contro il popolo:
La indegnazìone che il mio avversario sente contro co-
loro che non fanno stima de' giudizj popolari, può dirsi pro-
dotta da quei medesimi principi eh' egli rimprovera a noi ,
cioè, che godendo egli dell'aura della fortuna, e in conse-
guenza dei pubblici omaggi , 1 quali non mancane mai ai fé*
liei, ha pure>un massimo interesse a sostenere il proprio
merito sulla infallibilità della universale opinione; e chi con-
trasta codesta opinione, può essere agli occhi suoi sospetto di
quel delitto che di rado si perdona, cioè di mancare d'una
stima sentita verso di lui. Qualunque siasi il principio onde
emani questa vigorosa sua eloquenza, che dà il nome di ri-
dicola alla opinione nostra, entriamo brevemente ad esami-
nare il merito della causa, e la forza delle ragioni addotte.
Io non contrasterò al mio avversario che ogni uomo ab-
bia una porzion di ragione, non già per la definizione alle-
gata deir animala ragionevole; che tali non sono gli uomini
fatui , ma perché i fatui e i pazzi sono uomini esclusi dal
calcolo del quale trattiamo^ e formano un sì piccol numero
I 6I0DKJ POPOLAMI. 93
nella oniaiiiCà die 'appena è sensibile. Se ogni nomo nel gin-
dicare si serrìsse imparzialmente della proprì^i porzion di
ragione, il giedizio di molli varrebbe certamente più del gin-
diiio di pochi, come le braccia di molti mnorono meglio on
peso, efae te braccia di pochi; ma nel muovere il peso ognuno
adopera la forza muscolare che ha; nel gindicare degli og-
getti , non cosi ognmio adopera la forza del proprio intellet-
to. In ogni nazione un piccol numero si arroga il primato, e
il giudizio di sei o sette è ripetotOi come dall'eco, da venti o
trenta mila, i quali desimint suumjudicium adhibere; id habéni
raium quod ab eo quem probanl judicatum * tndint^ come dice
Cicerone, De natura Deorum, Mb. 1. Ovvero come dice Plinio,
lib. y, cap. 1: Cum indagare vera pigeal ignoraniicB, pudùre
menUri non piget^ aut alio (idei proniore lapsu quam uhi fai-
fm rei gravie auetor exlilil; o come Seneca, De etto beala : Ad
rumorem eomponimur optima rati ea qua magno asserìsu re-
cepta sunt; non ad ralionem, sed ad iimililudinefià ìHvfmus.
Di tutte le fatiche quella ch'ò più insopportabile air uo-
mo, si è il far uso della ragione; e perciò vediamo la molti-
tadine in tutte le nazioni amare il vino , o l'oppio , o il ta-
bacco, o qualonc^e altro licer forte e droga che assopisca e
levi dalla tentazione di mettere in eonienzioso moto il pro-
prio spìrito. In fatti, ne'eonsigli che crederemo noi mai che
cerchino i principi iUnmiiiati? I monarchi e i conquistatori
più celebri si sono sempre determinati da loro soK, e ne'con-
Bìgli hanno confidato quanto confidano i minatori che rom-
pono una rupe sulla eventualità di ritrovarvi o ferro , o ra*
me, o argento, o oro, o forse di gettare il tempo e la fatica.
Ogni uomo ha le sue private passioni che lo disviano dal cer-
care la verità, e si determina ad opinare talvolta per vene-
razione a questo, ora per avversione al voto d'un altro;
perciò Roma appunto ne' grandi affari e ne' pericoli impor-
tanti confidava la salvezza con un pien potere in mano o
de' consoli, o d'un dittatore; e a questo sistema, anzi che
ad altro , attribuir doveva la parte avversa la romana gran-
«iezza.
Che gli uomini grandi abbiano, cercando la fama, cer-
cato in conseguenza la stima della moltitudine, è vero; non
64 1 dlUDUJ FOPOI.ABI.
percbè credessero ragionevole il popolare ineosluite giadi-
zio, ma perchè hanno conosciuto che la riverenza degli al-
tri nomini verso di essi gli sottraeva dalle vessacioni loro, e
li metteva in caso di servirsene a migliorar la vita. Maomet-
to, queir illustre impostore, da una bassa è oscnra forlnna è
giunto al trono, alla gloria de' primi conquistatori, ed ha ar-
mato il braccio a più .di dugento mila, e gli ha guidati a suo
talento, poiché seppe rendersi venerabile agli occhi loro.
Grederem noi che Maometto avesse stima del giudizio di
quelli de' quali con tante assurdità si prendeva giuoco? No
certamente; gli uomini erano macchine agli occhi suoi, le
quali a forza d* errori i più grossolani si lasciavano guidare
da queir avveduto Arabo. Cosi dicasi d' Alessandro, che si
fece crédere figliuol di Giove; e di quasi tutti i conquistatori,
i quali hanno stimato, si poco ragionevoli gli uomini, a segno
di soggiogarli colle Savoie le più ridicole, cogli oracoli, e si-
mili testimoni della umana debolezza.
1/accusa ingiusta che ci fa Tavversario, cioè che la opi-
nione nostra induca a disprezzare la riputazione , e a darsi
in preda ad ogni vizio, merita risposta. Ricercare l'opinione
favorevole del volgo ella è una necessità de' più scellerati, i
quali temendo che gli uomini illuminati, che sono il piccol
numero, non li conoscano, cercano a bilanciarsi col partito
della moltitùdine; ma chi ricerca Y opinione de'poehi, non
può traviare dallo stretto sentiero della virtù. Quale sperania
può mai avere un uomo di merito nella stima popolare f
L'ostracismo è sempre pronto in ogni età, in ogni paese; e
se il merito non è armalo ed osa comparire, l'amor proprio
del volgo si scaglia contro di esso, come contro un oggetto
che umilia anche non volendo; perciò, da Socrate sino a Se-
condai, la vita de' grandi uomini, di quelli cioè che per la
virtù e per l'ampiezza delle cognizióni hanno fatto maggior
onore all'umanità, è una compilazione di continui disastri,
e dalla commedia delle iVu&t' sino all' OracUi des nouveaux
philosophes , V invidisi dei mediocri scrittori ha osato attac*
care e lacerare il nome e le azioni di qualunque ha potuto
valere più degli uomini comuni.
Ma tempo è ormai ch'io corrisponda alle citate autorità;
I GTDDIZJ POPOLARI. 65
ed al citato testo di Cicerone contraporrò quello ehe lo
stesso Oratore dice al libro V delle TuscuMne: An quidquam
ttuUius quarti quos singulos sient operarios barbarosqut conlein-
wu, eo$ aliquid putare esse universos? E qael che altrove, pe-
rorando ÌD favore di Sesto Roscio : Sic est vulgus: ex veritate
pauca, ex opinione^ mulla eslimaL E Gnalmente nelle Tuscu-
iane, lib. II: Est enim philosophia paucis contenta judieibus,
mulliliulinem consulto ipsa fugiensy eique ipsi et suspeeta , et
invisa, ut vel si quis universam velit vituperare, seeundo id pò-
pulo possit facere. Pretenderà ora V avversario che Cicerone
sia per lui?
Ma legga egli Seneca, epistola 29; JSfunquixm volui pò-
jmlo piacere, tiam quoì ego scio non probat populus , et quee
probat populus ego nescio. Legga lo stesso Seneca De vita
beata: — Argumentunt pessimi turba est; ed altrove: Stat
contra rationem defensor mali sui populus. Legga insomma
tutti gli antichi sehsatì scrittori , e vedrà come la loro auto-
rità confermi la opinione nostra, e sarà dalla evidenza co-
stretto a confessare, che il giudizio popolare non è mai stato
il tribunal competente né del grande, né del bello, nò dei
buono.
Cosi finì la breve sua arringa il secondo avvocato; e il giu-
dice , che attentamente aveva ascoltati entrambi , cosi prò-
nuficiò:
Qualanqne sia la lingua o V autore che dica mia ragio-
i>e, la ragione medesiiha ha sempre egual peso ; onde del
numero delle autorità citate da ambe le parti non vogliamo
tenerne conto.
Vero è che molte forze riunite producono effetto mag-
giore; vero è che gli uomini comuni non adoprano la forza
della loro ragione per giudicare; ma vero è altresì che molti
giadizj non devono darsi dalla ragione, ma bensì 80ltanl,o
dal sentimento, il quale è comune a tutti gli uomini, e da
tutti si adopera. Chi assiste ad una rappresentazione teatrale,
non ride riflettendo se debba piangere o ridere , ma bensì
sentendo puramente Y impressione pietosa o vivace della fa-
6*
G6 .1 GIUDIZJ POPOLABI.
Yola: perciò il giadice competente del teatro e dell'eloquema
è il popolo; e i poeti e gli oratori che lo ricusano, son veri
pedanti che ignorano i principj dcil loro mestiere. La strada
del caore dell' nomo è comanemente aperta , la strada del-
l'intelletto non già; perciò tutti godono in vista d'una no-
bile azione, tutti inorridiscono in vista di un'azione indegna,
ma pochi si scuotono a una. verità grande, pochi deridono
un grande errore.
Quel popolo di Roma che fremendo applaudiva il corag-
gio di Regolo che ritornava a morire in Affrica, e che avrebiie
insultato qualunque avesse osato di dirne male, quel popolo
istesso bilanciava fra Catilina e Cicerone, incerte qual de'dae
fosse il padre o l' inimico della patria. Nel primo caso, basta
avere sensibilità per decidere bene; nel secondo non basta,
ma convien ragionare. La sensibilità essendo epmune , la
moltitndine decise bene: il raziocinio essendo non comune ,
la moltitudine si divise parte per la verità , parte per V er-
rore; e se raccoglieremo dalle storie, e dagli esempj che ab-
biamo veduti in vita nostra, troveremo che per lo più l'er-
rore ha il maggior numero di seguaci. Su questi prìncipi
fondiamo la sentenza nostra, e dichiariamo d'aver buono il
giudizio volgare nella musica, nella pittura^ nella poesia
drammatica, e in tutte le facoltà le quali hanno per One
primario il dilettare, giacché gli uomini devono giudicare
essi medesimi della impressione che sentono; ma dichiaria-
mo incompetente il giudizio del popolo in tutto ciò che per
conoscersi richiede ragionamento, poiché questa é la facoltà
umana, ad esercitar la quale s' é sempre opposta qna invin-
cibile inerzia in tutti ì secoli,. e, dove più dove meno, presso
tutte le nazioni.
67
DE6U ONORI RESI AI LKITERiTI.
ScrìUori del Caffè, rispondete a questa quistione : Perchè mai
gli uomini di lettere erano 'onorali ne* tèmpi addietro, e
lo sono si poco ai tempi nostri?
Chi ci fa questo quesito dev'essere sicarameiitc profes-
sore di sonetti e canzoni, ovvero grammatico squisito, se
mai però non fosse qualche valente antiquario. Quest' è la
solita cantilena che ridicono coloro i quali, senza ibgegno e
senza discernimento, vorrebbero aver parte nella repubblica
delle lettere. Il corpo di essa repubblica è vasto assai, né vi
fa bisogno d'altro che di volerlo, per esservi compreso; ma
doe sono le classi de' cittadini, che compongono questa so-
cietà sparsa sul globo: la prima classe è quella di pochi, i
quali dalla natura felicenienle disposti, e dalla educazione
preparati a coltivar le cognizioni umane, tratti da una spinta
interna, e da un amore del vero o della gloria, coltivano il
sapere, e comunicano talvolta al pubblico le idee che vanno
rischiarando; la seconda classe è di que* molti ì quali, o per
inerzia di preferire un mestiere sedentario ad uno più fatico-
so, ovvero per una vana lusinga di credere importanti quelle
frivole cognizioni che per una sventurata educazione hanno
preferite alle altre, prendon la penna in mano, e vi spor-
cano fogli, quinterni e risme di carta noiosissìmamedte. La
prima classe é dei nobili letterati, quei della seconda sonò i
letterati plebei. Ognuno comprenderà facilmente ch'io col
nome di nobile non intendo in questo silo di parlare degli
antenati, il merito de'quali vai poco dovunque, ma nulla af-
fatto nella professione delle lettere.
Nel secolo decimoltavo, in cui viviamo, non hanno cer-
tamente ragione ì letterati davvero di lagnarsi, né so che
realmente si lagnino. Il pubblico legge assai più di quello che
iion si sia mai letto forse dacché s' è inventata V arte dello
scrivere. Un libro non è più riservato a quelle sole caverne,
dove al pallido lume d' una lampada se né stava un irsuto
68 DEGLI ONOBI RESI AI LETTERATI.
sapiente ne' secoli scorsi, come un mostro della specie uma-
na. Un libro è un mobile che si trova nelle stanze più ele-
gantemente adornate; un libro, trovasi sulle petti niere delle
più amabili dame; un libro perOne é letto, per poco che Fau-
tore abbia avuto talento di scriverlo»
Ora si tosto che universalmente si legge, ogni autore
che sappia scrivere, cioè che scriva cose che paghino della
fatica di leggere, e che le scriva con ordine, con chiarezza
e con grazia; ogni autore, dico, che sappia scrivere, è sicuro
.di ottenere, tosto o tardi, la stima e la considerazione del
pubblico. Tutto il ditDcile sta al bel princìpio che un giovane
intraprende, la carrie/'a; allora certamente, non avendo né
credito né sperienza, incontra inGniti ostacoli a scrivere ed
3 stampare, e più forse ha del merito, e più gli ostacoli sono
ostinati; allora può darsi ancora che la prima opera per man-
canza d' industria rimanga neir oscurità per qualche tempo;
ma passato che s*è una volta per questo strétto disgustoso,
la strada b' appiana da sé medesima. Io trovo che per un
uomo, che abbia una felice disposizione d'ingegno, non v'é
strada in cui possa più nobilmente soddisfare la propria am-
bizione, quanto quella delle lettere: per essa non vi si richie-
dono ofiicj di sorte alcuna; non vi si richiedono né le noie
delle anticamere de' grandi, né si devono digerire i freddi
accoglimenti de' protettori, né si deve temere e sperare con
una crudelissima alternativa: l'uomo di tèsta passa la sua
giornata a suo talento con geniali occupazioni, indi colie
produzioni sue giunge a farsi un nome e un credito, più o
meno grande, è vero, ma certamente sempre superiore a
quellp che ottengono coloro ì quali possono carpire le ca-
riche col solo merito degli pfficj o delia dissimulazione. Un
marchese Scipione MafTei, un Lodovico Antonio Muratori, un
conte Francesco Algarotti nella nostra Italia hanno a' di no-
stri goduto di tutta quella considerazione e di tutti que' ri-
guardi che possono solleticare di più l'amor proprio d'ogni
uomo. Essi furono onorati da più d'un sovrano; ogni fore-
stiero di qualche distinzione, che passasse nelle città ove di-
moravano, si faceva una particolare cura di visitare e cono-
scere quegl' illustri scrittori, e certamente, in paragone d'uno
DK6U OXO&I RESI Al LETTERATI. 69
di essi, nessun magistrato o giudice d* Italia pretenderà di
occupare un posto luminoso neir universo.
Celebre è il fatto di quel viaggiatore, che giunto alle
barriere di Parigi, chiese al gabellieri contezza dell'alloggio
del signore di Fontenelte, e che non sapeva persuadersi
come perfino i gabellieri non sapessero indicargli la casa
d'on loro cittadino che faceva tanto onore alla sua patria.
Chianque sia un po' istrutto delle novelle letterarie di Europa,
saprà quali testimonianze di stima e d' amicizia abbia rìee-
Tute il signor di Voltaire da due sovrani letterati e illustri
protettori di chi coltiva le lettere, fi noto a tutti il glorioso
iavito che una delle pili grandi principesse ha fatto al signore
D'Alembert. Il miglior poeta drammatico che abbia prodotto
l'Italia, già da molt'anni gode del più onorato e dolce de-
stino alla corte imperiale. Insomma, ognuno che per poco
sia iniziato nelle cose che risguardano ratinale stato delle
lettere d'Europa, deve conoscere che non mai forse furono si
onorati gli uomini che hanno contribuito a rischiarare 11
pubblico, ed a diffondere le utili verità, quanto lo sono in
questi tempi. Quasi tutti i sovrani, che attualmente regnano
in Europa, accordano favori alle lettere.
Ma k plebe letteraria grida, e smanìa e declama con-
tro l' ingiustizia del secolo, contro il decadimento delle lette*
re; e perchè i nostri proavi, appena usciti daUa barbarie, fa-
cevano gran conto de' grammatici, e de' poeti, e de'Iapidaij,
vorrebbero che anche netta piena luce di questo secolo acca-
desse altrettanto. Certamente che i Marsilii Ficini, i Pico
detta Mirandola, e si fatti astrologi e cabalisti aristotelici, se
si giorni nostri comparissero col puerile corredo di quella
Ungua che allora chiamavàsi scienza, sarebbero poco onora-
ti; e chi ad essi somiglia, è nato troppo tardi per ricever co-
n>Da. È comparso, anni sono, un libro in Italia, che è uno
^'e'più benemeriti libri che da molto tempo siansi fatti; e
fiono alcune lettere di Virgilio all'Arcadia di Roma. Sin dal
^mpo del valoroso Tassoni qualche cosa s'era osato dire in
Italia sulla poesia petrarchesca; ma alcune verità erano come
^emmie nella preoccupata mente de' letterati d'Italia.
L'autore delle LeiUre di VirsiUo dà un giusto valore alle
70 DE6L1 ONORI RESI Al LSTTKRATl.
cose ed agli originali che ci eravamo proposti d'imitare
eternamente, sotto pena di risgnardare come rea di lesa pe-
danteria chiooqae osasse uscire dallo strettissimo giro stabi-
lito. La maggior parte de' lettori si sono scatenati contro la
verità che veniva in quelle lettere annunziata, • direi quasi
dimostrata: pure delle ristampe di quel bel I0>ro se ne sono
fatte, e mi vado lusingando che sparsi qua e là ve ne siano
molti di sediziosi, e che il regno de' pedanti sia per. dorare
più poco.
Sorge una dìsputa fra due o pia oscuri scrittorì per sa-
pere qoal fosse la patria d'Omero, di Plinio, del Tasso, o
che so io; ciascuno vi suda degli anni, partorisce un grosso
tomo, e lo fa stampare, e poi si lagna perchè nessuno lo
legga* Ma che vuol egli che gli nomini s' annoino a leggere
un ammasso disordinato di rottami d'^erudizione, per cavarne
poi una notizia la quale non contribuisce in nulla al bene di
alcuno? Viene un altro, e vi scarabocchia egloghe, sonetti,
eterne inezie in rima, le quali partono da un animo vuoto
d'idee, e non lasciano al lettore che il rimorso d'avere ma-
lamente speso il suo tempo: con qoal titolo pretende egli alla
stima de' suoi contemporanei?
Scrivete, o giovani di talento, giovani animati da un
sincero amore del vero e del bello, scrivete cose che riscuo-
tano dal' letargo i vostri cittadini, e gli spingano a leggere,
e a rendersi più colti; sferzate i ridicoli pregindìQ che in-
catenano gli uomini, e gli allontanano dal ben fare; comu-
nicate agli uomini le idee chiare, utili e ben disposte; cer-
cate insomma di rendere migliori e nel cuore e nello spi-
rito i vostri contemporanei, come fate sopra dì' voi medesimi;
e allora siate sicori che non vi mancheranno, coli' avanzarvi
nella carriera delle lettere, tutti i piaceri che s'ottengono e(dla
distinzione e colla stima universale. Vi saranno sempre, é
vero, in qualche angolo oscuro de' pedanti che mal soffi-r-
ranno di vedervi su questa strada; ma questi, a misura che
farete progressi, anderanno sempre più occultandosi, sin
tanto che resti ad essi tutta l' amarezza di dir male, ed a voi
non giunga neppure il suono deHa loro voce. Più voi.sarete
colti e amabili ne' vostri scrìtti, e più coloro spargeranno che
DE6LI ONdRI nESI AI LETTBIIATr. 7i
mancate di profondare le vostre idee. L' interesse di chi non
sa Bcriyer bene, ò di sostenere che gli autori che più nnìver-
salmeiite piacciono, non sanno seriyer bene.
Noi co' nostri Fogli ci siamo particolarmente proposti di
eonbatlere molte di quelle chimere che più s' oppongono ai
progressi degl'ingegni italiani. La natura ha fatto di tutto per-
ché noi fossimo distinti fra le più colle nazioni del mondo;
ma forse la troppa dolcezza del carattere di noi Italiani ci ha
falli con somma facilità piegare l'an dopo l'altro al giudizio
di alcuni pochi , i quali ci hanno yolato porre in ceppi , dirò
cosi, l'anima, e ce ne hanno pedanteggiate le facoltà. Tempo
è ormai che, in una materia libera qual'è quella delle let-
tere, sia dato ad ognuno il sentire con proprio sentimento ,
e il rendere le proprie idee quali si ricevono da' sensi ; et
oferio mere volo.
BEULA. VniilTA IMBIiIiE MFITFB.
Scrittori del Caffè,
Poiché vedo le mire vostre dirette principalmente al ben
Pibl»lico, ed a combattere gli errori volgari, io credo oppor-
iBDo di comunicarvi alcune riflessioni, le quali con miglior
ngioae potrei anche chiamare sensazioni , che attualmente
^i occupano dacchò son giunto in questa vostra patria. Sap-
piale donqne eh' io ho passato questi ultimi dieci anni nel
Nord, viaggiando per quasi tutte le più remote città che vi
^&o, ed appena saran tre mesi eh' io son di ritorno. Scrit-
twi del Caffè, che ne dite del freddo che si solTré general-
mente da' vostri paesani? S*io devo dirvela, nella maggior
P^rte delle case, ove convien ritrovarmi, io mi sento morire.
^ ne eccettuo una trentina al più di famìglie, le quali sono
pCTsaase che le sensazioni dolorose è meglio non averle che
^^e^, le altre kisciano che il sole le guardi dal capricorno
^za prendersene briga, e tremano, e si rannicchiano, e
Wiano diventare il naso e la faccia porporina, e soffrono
<IeUe piaghe ai piedi, alle mani, e pare che non siano essi
7Ì BOXA VTIUTà DBLLS STOTB.
che soflrono. Se pur ucke dò aecadesw per U pofetiàdeUa
nazione» ne vedrei il percKè; wul latti qae' trferi, liUi
qne'raiiiiieckiaiiBenti, tutti qae' nasi ìMorbetlati, taite ^adfe
piaghe à Tedoiio e nascooo in appartamenU deve la seta e
Toro adornano con lusso» e dove per gioagcre canmn pas-
sare per osa Imga trafila di serritorì e di slaniCL SerittMi
dd CAVfft» perehé non parlale di fwsla pazzia? In mezzo a
«aa gallerìa di pittare» ia mezza ai dìfwrhi^ aiTcHali» alfe
doratare» soUrtre miUe Tolte pie fredda che aaa ae ssfira 0
pia miserabile contadina ae'caalanì di Piettabargal Spa-
recchiate qae*aaohili. Tendeteli, liceTctemi ia aaa starna
meno add<rf>bata > ma riceTetemi ia aaa stanza di cai l'a»-
biente lepido sìa capace di caateasre an naaM» senza ^'egli
ahhia dolorau Uà bri faadra mi piace; an morbido e ricco
sedile sU bene; molta officiosità coaTìene: ma priaaa ddfe ^
magaifiteaze» prima delie espressàoai» la d' nopa piemetlne
la sicarezza dai mah; e qaaado mi rìceTete per tormeatarm
col freddo, io tì protesto che aeaoaa baoa officio tì discolpa .
dalla offesa oepitalitàL Se baoUsaeparteeitaiiaDa per «rerfl ^
dima d'Italia» andrebbe bene che anche ia Lombartfiasi
TiTOSse cmne ia Toscaaa, come ia Boan» come a Napoli;
BUI il Tootro cielo non è il cielo d'Italia, Inmhmdi miei; e
dare Tien BMxIta nere » e dove ^a molto» non Ta già 1
raichilettara toscana » e la aaaniara di TÌTCze mtSt im
dd nmaneate deU'ttafia. H Tostio cfiam ^ i
al cliflu di Germania: dnaiine ragion Tm
ancor toì altri deU^ iadaslria colla ^nala ìtì si & nasacre li
pnunaTera nello stanze in mano agli armo MTinTcnm* Ne
ad stiate a dire che le sidie fìrrJTmi m^» che i
sane, lo tì dirò che pia di cin^aanta ariliaaf d* i
Earopa tìtooo V inTenio aeOe stale» e fnesti <
Moni d' aomini sono figli d' on' altn riaipmntinB di
d'uomini nati e vissnli nelle stufe; e cod andata i
dno d tempi di Armiaio , e pia ia là se Tdele. la vi dirò
che nel Temo mdti maoèiHMi di ficadda, a che di miti ^
freddo se ne troTapo qaad talli gli a— ■ ^idm <pn fra <fi
Toi o nelle carceri o neUe stratte» nea che di caUo ncsam^
è moiio, eh' io sappia: io tì dirò che il freddo è il campai*
DELLA irriLITA DBLLB STOFB. 73
della sferilìtà e della morte. E voi, Signori del CiFPfe, aggion-
ge(e delle boone ragioni fisiche in difesa di questa canèa,
che saprete rìtroyanrele meglio di me^ e v'assicuro avrete
fatta un'azione da.... Perdinci! non ne posso più.... la penna
non mi regge nelle mani.... vado a mettermi a letto per li-
berarmi da questo tormento. Ivi starò come la lumaca sino
a maggio. Scrìvete, che il ciel vi salvi.
«Ut raviur vTiiii.
Uno de' pia forti ostacoli che incontrano i giovani di
talento sul bel principio della loro carriera, sì ò o la disap-
provazione o il disprezzo o il ridicolo delle persone colle
qoali devono conversare, e talvolta perfino de'loro congiunti.
Gli uomini, perdendo la gioventù, perdono i vantaggi fisici
della loro esistenza; pochi sono coloro i quali coltivando , o
eolie scienze o colla abituale riflessione, le facoltà del loro
animo , compensino coli' accrescimento delle qualità morali
il deperimento delle fisiche; e questi pochi soltanto possono
mirare senza un segreto sentimento d'invidia un giovane il
quale cerca a distinguersi, coltivando il suo spirito: ma la
maggior parte degli uomini giunti ad una certa età mirano
1 giovani come altrettanti esseri intrusi su questa terra , di
coi il dominio sia già devoluto ad essi per anteriorità di pos-
sedimento; nò risparmiano V occasione di umiliarli , di sco-
raggiarli, insomma di vessarli, per modo che, anzi che re-
sistere a si forti opposizioni, abbandonano la maggior parte
^piella strada che un felice genio li portava a correre, e poco
a poco s' addormentano in braccio a quell'inerzia che forma
i cittadini inutili d' ogni paese.
Altri distolgono i giovani dal proseguimento de'loro studj
eon buona intenzione , ma spinti da alcuni pregiudizj suc-
chiati col latte, la guarigione de'quali non potrebbe ottenersi
senta qualche contenzione di ragionamento, facoltà k quale
Bon viene mai logorata dalla moltitudine. Il dovere d'ogni
II. 7
76 CLI STUDJ LTlLf.
Forse qoel primo che strofinò on pezzo d'acciaio ail
ana calamita, e che attentamente osservò la direzione di
quel pezzo d'acciaio verso ana parte del cielo, meritò i rira-
proveri o il sorriso de'gravemente ignoranti suoi contempo-
ranei; ma quella pnerile occupazione era quella appunto che
doveva insegnare agli uomini a navigare nel mezzo dell'Ocea-
no ; e forse allorquando il gran Galileo col cannocchiale da
lui ritrovato osservava le stelle medicee, alcuni magistrati
avran creduto di avere occupazioni assai piò intere^anti
dette sue: eppure l'occupazione del Galileo ha cagionata la
rettificazione della geografia, ed ha salvato dal naufragio in-
finite navi col metodo deHe longitudini. Forse Arvèo, occupato
ad osservare con un microscopio il mesenterio d' una rana,
sembrò un uomo assorbito da fanciullesca curiosità ; e quel
microscopio in mano d'Àrvèo discoperse la circolazione del
sangue sconosciuta agli antichi.
So che le matematiche, quanto sono facili a schiudere
le verità anche meno sperate e pia sublimi, altrettanto sono
elleno avare nel somministrarcene di utili immediatamente;
ma lo spirito geometrico ò uno spirito che si diffonde su tutte
le scienze e su tutte le arti, e le perfeziona e le adorna in
guisa, che in quella dazione dove piò esso s' estenda, più de-
vono essere perfette nel loro genere tutte le cose che vi si fan-
no. Ascende questo spirito rischiaratore sulle cattedre degli
oratori, e li rende metodici, esatti e precisi; si diflbnde sulla
classe dei giudici, e gli addestra a paragonare i fatti, ad ana-
lizzare le probabilità, ed a ben decidersi; discende nelle ofii-
cine persino degli artefici, e suggerisce loro i metodi più
brevi, più sicuri, più industriosi per perfezionare i loro la-
vori. Infatti, ognuno potrà chiarirsi colla sperienza che tutte
le' mani fatture le migliori all'uso e le più esatte ci vengono
da nazioni fra le quali regna lo spirito geometrico ; e che
air incontro, dove esso non regni, tutto partecipa di quella
rozzezza e di quella inesattezza che caratterizza le nazioni
incolte.
Le cognizioni poi della fisica grandissima influenza hanno
a perfezionare tutte le manifatture e i comodi della vita; di
più, rendono, per cosi dire, più delicato e fino il gusto ia
GLI STO DJ UTILI. 77
Ogni eosa. L* arte de' tintori deve tott' i suoi avanzamenti
aNa Gsica; la farmaceotica, tanto interessante il nostro. ben
essere, dalla medesima pure riceve lume; insomma io spi*
rito delia Iraona fìsica sì adatta a tutte le cose ciie servono
air oso dcir uomoy ed ivi sono sempre più eleganti e più co-
mode, dove quella scienza abbia fatti maggiori progressi.
Il breve giro d'un discorso non mi dà campo di addurre
piò copiosi esempj^ né di far vedere ad uno ad uno i minu*
tissimi anelli dKque^la catena che unisce le cognizioni tutte
degli uomini per nì«ido tale, che non è possibile che una na-
ziooe sia perfezionata in un' arte o scienza qualunque , es»
sendo nella perfetta ignoranza di un- altra: pure quest^ è una
di qaelie verità, delie quali la spérienza e de' presenti e de'
passati secoli può convincere anche indipendentemente dalle
ragioni intrìnseche, le quali non si sviluppano che agli occhi
de' pochi ragionatori.
€iò posto, dunque, se per utililà s' intenda una necessità
fisica, senza di cui la società non potrebbe sussistere, nes-
sona scienza sarà da dirsi utile : se poi per utilità s' intenda
quello che il vero valore della voce importa, cioè atiiludine
3 far del bene, ogni scienza deve chiamarsi utile, poiché ogni
scoperta di verità è realmente un bene , un bene che talvolta
produce le feUcì conseguenze con una immediata azione, e
talvolta le produce con una lunga ed insensibile. Se dunque
le scienze le risguardiamo per la influenza che esse hanno
sulla massa universale di una nazione, le. scienze sono tutte
uHU; e la ripetuta distinzione di scienze utili e di scienze
lum utUi, è una vera e provata chimera venutaci dai tempi
dell'antica barbarie per tradizione, e contrastata da ogm
sana ragione. f
Non pretendo io perciò di dire che ogni giovane debba«
Qnieamente consultando il proprio genio, abbandonarvisi
*nza prendersi verun pensiero del tempo avvenire, o delle
P9irticolari circostanze nelle quali si trova. I doveri del pro^
Prio stato voglìon essere i piò preziosi di ogni altro all'uomo
onesto ^ e la dolce lusinga di potere un giorno consolare e
^^^ccorrere la vecchiezza rispettabile d'un amoroso padre,
^^'ona affettuosa madre, ha sempre più forza su un cuore ben
r
78 GLI STUOJ UTILI.
fatto, di quello che non ne abbia veran altro motiro: sod
belle le scienze, ma più bella infinitamente ò la virtù; un'ani-
ma capace di sentirne la dolce emozione ò an' anima granr
de, e incomparabilmente più grande di qnalanqae nomo, per
dotto che sia, se per disgrazia non abbia di simili sentimen-
ti. Qoello eh' io pretendo dì dire si ò che, a meno che una
vera necessità non ci costringa a farlo, noi non dobbiamo
mai distogliere o scoraggiare i giovani i quali per an nata-
rale talento si dispongono a coltivare qualunque scienza ed
arte; e che, qualora lo facciamo, ci esponiamo ad esser rei
di aver forse cambiato un cittadino illustre e benemerito in
uno sfaccendato oscuro, il quale inquieterà nella sua gi(v- i
ventù colla scostumatezza, annoierà nella età virile colle las-
situdini e co' sbadigli , e farà arrabbiare nella vecchiaia i pP- j
steri col suo malumore. i
Quasi ogni uomo, se avesse trovato aiuti e non osta* i
coli ne* suoi verd' anni, sarebbe riuscito buono in qualunque j
genere; ma quel giardiniere che vorrebbe coglier dai gelso-
mini le noci, e le castagne dalle rose, renderà sempre sta- ,
rile il terreno confidatogli. So che alcuni pochi, agitati da
un estro vincitore, malgrado gli ostacoli seppero resistere
e giungere alla celebrità; più di due terzi degli nomini più \
illustri in ogni genere dovettero combattere al principio della \
loro carriera: ma non tutti gli uomini capaci di far bene |
hanno queir elasticità e fermezza di fibra che non si con- ,
torce e modella anche ad una continuala pressione, che adzi ,
la maggior parte vi si piega ; ma questa nuova forma basta
bensì a toglierle la inclinazione primigenia, non già ad infon-
derne un' altra.
La maggior parte di que' cittadini i quali si annoiano
nel letargo dell' ozio, se una buona educazione gli avesise as-
sistiti, se la stima dei loro contemporanei avesse senùto loro
di sprone, sarebbero meno infelici in qualche ora del giorno»
la quale impiegassero a leggere o a pensare; la società di
essi sarebbe più colla, più astabile, meno agli assenti ingia*
riosa, e meno grave a chi ne partecipa; avrebbero essi qnal-
che cognizione della fisica, qualche gusto delle belle arti:
saprebbero trovare T* anima e la bella natora nella masica,
GLI STUDJ UTILI. 79.
nella piUora e nella poesia; e, negando o accordando gli ap-
plausi a chi bene o male le esercita, contribuirebbero ai pro-
gressi di qnest' arti. L' artigiano dovendo vendere ì suoi la-
vori a persone più colte e che più intimamente ne possono
giudicare, sarebbe costretto a raffinare la sua indostria; ì fa-
migliari, per qàeir universale principio d'imitazione inerènte
all'uomo, dirozzerebbero sempre più le loro maniere; e cosi,
dalla coltura di quei che non devono avere inqoietudiae per
il loro sostentamento, scende per un insensibile pendio Tuni-
versale ripulimento so tutta una nazione.
Ma se in genere di scienze vogliamo fare ì difficili, e
(onerarie piuttosto che accoglierle e invitarle; se pretendia-
mo che ogni scienza ci presenti la patente, e ci spieghi iro^
mediatamente a che essa è utile, prima di darle accesso nella
nostra casa, e permetterla ai figli nostri; non potremo mai
lusingarci di contribuire dal canto nostro al bene della nostra
patria, né d* avere la mente illuminata d' un buon cittadino.
Cosa strana, per altro, che ne' capricci delle mode nes-
suno osi interrogare a che sono elleno utili , e che tanto au-
steramente si giudichi delle scienze l Nessuno domanda a che
sia ulile quella polve bianca con cui ci incanutiamo i ca-
pelli; nessuno domanda a che sia utile quel pezzo di mer-
letto che ci copre mezza la mano e parte della gola; nes-
suno domanda a che sia ulile queir oro e quell'argento che
sopra imponiamo al vestito ; né v' è persino chi doipaadi-a
cosa sia ulile quella carrozzella, quello schioppettino, quella
gabbietta, e tanti arnesi di liliput che pendono al nostro ori-
volo, e rendono sonoro il nostro passo; é si pretende d'im-
pedire r acquisto di una serie di verità, se non si prova a
quale immediato utile elleno servono?
Osservo che uno dei soggetti sui quali, generalmente
parlando, gli uomini mostrano minore equità ne' loro giudizj,
sono Ile scienze e le lettere. Un briccone fallisce dolosamen-
^; un altro briccone uccide un buon cittadino : gli uomini
ne parlano per due o tre giorni, e poi tutto si dimenticai Ma
se un uomo, e molto più se un giovine, ardisce di fare un 11-
^fo, il qual libro non ripeta le comuni opinioni degli altri
libri, chi susurra da una parte, chi dalF altra; gli piovono
80 GLI STUDJ UTILI.
addosso i. crìtici, i satirici, gl'invidiosi. Raccogliete i voti
della moltitadiDe, rare volte lì troverete dalla parte della ra-
gione : eppore un libro che non sovverta i prlncipj della so-
cietà, che non offenda la morale, è certamente un mal mi-
nore in ogni caso d'un fallimento o d' un assassinio.
Non frapponiamo argini a quel felice fermento degl'in-
gegni che dà vita alla cultura delle nazioni e dei secoli: gli
errori medesimi, purché siano un tentativo, sono un bene;
servono essi di occasione perchè altri pensi sul medesimo
soggetto, e combattendo Terrore lo rischiari: irahal sua
qnemque voluptas nelle scienze. Lasciamo che i giovani se-
guano la loro stella, e purché s'occupino e restino in moto
con occupazioni per sé non cattive, godiamo della loro in-
clinazione ; non perdiamo un bene per correr dietro a una
chimera da noi cieduta r ottimo: l' ozio ed il torpore sono
i massimi mali da temersi in un giovine.
SULLA SPENSIERATEZZA NELLA PRIVATA ECONOMIA.
L'argomento, sul quale io vo' parlare in questo Foglio, è
tale, che e per l' importanza sua e per la vastità potrebbe a
ragione somministrare materia ad un' opera intera. Io però
considero che l'opera, fatta <;h' ella fosse, verisimilmente
non sarebbe letta che da coloro i quali meno ne hanno bi-
sognò; laddove un breve Foglio, che altro più non dimanda
che ona mezz'ora ogni dieci giorni, se non altro per allon-
tanare la noia, forse può ottenere un' occhiata anche da
chi vive spensieratamente; e il fine d'ogni onesto scrittore
dev'essere sempre (come altra volta pure ho detto, é come
non si ridirà mai abbastanza ) di giovare il più essenzial-
mente che si può agli uomini. A questo fine onorato, che ci
siamo principalmente proposto, attribuiamo noi la benevo-
lenza e la parzialità con cui quest^ opera nostra viene gene-
ralmente accolta.
Gli enormi mali che nascono nelle famiglie per la spen-
StJUA 8MN8ISBAnZ2A NELLA PRIVATA BCONOMIA. 61
tt'enitezza nella fffiyaCa economia, sono bastantemente noti
al primo rivolgervi il pensiero che ciascun faccia. V ingia-
stizia e le maledizioni de' creditori, V inquietodine defila mi-
seria a cui corre in braccio, il decadimento de' figli, la man-
canza della loro edacazione, il crudele contrasto che deve
fiire ne' loro animi an giorno la memoria e il desiderio del
passato fasto colla inopia attnale, contrasto terribile a sof-
frirsi e produttore d' infinite iniquità, un abisso insomma
di disordini e di calamità, le quali inviluppano e la famiglia
propria e queUe de'tradili creditori, vengono in conseguenza
d'aver trascurata la domestica economia. Che se anche que-
sta spensieratezza trovisi presso d' un uomo isolato , i co-
modi della vita che vanno scemandosi più che s'invecchia,
cioè più che ne cresce il bisogno, devono amareggiare per
modo gli ultimi anni della sua vita, si che, paragonando i
pochi piaceri della magnificenza divorati frettolosamente
nella gioventù co' lunghi rammarichi che rimangono a sof-
frire negli ultimi anni , fanno provare, quando non v' è più
rimedio, d'aver malamente provveduto al proprio ben essere.
Non oserò io qui parlare di que' doveri che dipendono
da'motivi sovraumani, dai quali viene vietato un colai abuso
delle ricchezze. Noi ci limitiamo a venerare gli oggetti su-
blimi in ogni nostro scritto, nò crediamo quest' opera perio-
<lica degna di trattarli. Devono esser eglino i primi che di-
rigano la nostra vita; ma noi circonscriviamo I nostri discorsi
entro i confinì d' una morale pratica filosofia.
n prìncipalfine di quella rovinosa spensieratezza che fa di-
naro i patrìmonj anche più vasti, ò l'amore di distinguersi
fra gli altri cittadini, e di mostrarsi colla profusione e col
fasto più possenti o più magnanimi di essi. Ma questa pos-
B&nta e questa magnanimità nostra , se non ha per base
mi fondo di beni corrispondente alla scena che vogliamo rap-
presentare su questo teatro, non si riduce che ad una vera
iUnsìone, che acceca quell'uomo solo che va in rovina, ed
eccita una inumana derisione nel cuore della moltitudine, ed
Qna compassione più ragionevole in quello de' pochi ^aggi.
Sono que' spensierati , come i cacciatori raccontano delle
^^aglie, le quali, ascondendo neHa terra il lor capo, credono
82 SULLA SPENSIERATEZZA NELLA PRIVATA ECONOMIA.
da oessano esser vedute per eìò ch'esse» neasone vedono. I
cittadini, dove più dove ineno, si conoseon Tan TaUro, e
presso poco universalmente si sanno le facoltà d'ognono; né
chi ha crediti conserva con un profondo eeoreto gli arcani ,
sicché non se ne lagni e non ne ragioni : per tal nodo ehe
lo spensierato, circondato da parassiti e da qualche imbecille
o scaltrito confidente, mentre crede di mostrarsi poderoso di
beni e signorile d'animo, viene anzi universalmente disprei-
zato come un uomo che si lascia andare in rovina , o come
un uomo che ha la bassezza d' usurpar V altrui , e di tradire
la buona feda per provare la nobiltà de' suoi pensieri^
Se coloro i quali si caricano d'^un Tasto superiofe alle
loro forze, potessero ascoltare quello che d'essi dice la eitli,
e quel che dicono quei medesimi che più loro stanno al fianeo,
e come edera tenace li circondano , e vi ficcano le radici
nel tronco, e s' alimentano col loro sugo; se potessero ascol-
tare la disistinui, la indifferenza, e molle volte ancora la
maldicenza con cui corrispondono alle loro profusioni, cer-
tamente vedrebbero che il fine che s'erano proposti, non
l'ottengono; ma che anzi n'ottengono uno perfettamente
contrario. Alcuna volta , e non di rado, è accaduto che di à
tristi verità si sieno scoperte da quegl' incanti medesimi che
ne erano la vittima; e allora le esclamazioni coatro la tra-
dita amicizia s' intesero senza fine , qhasi che potesse essere
amicizia fra due, uno de' quali cei^ca di far servire V altro al
proprio fasto; quasi che fosse capace di amicizia chi vive
profittando del disordine altrui ; quasi che gli amici si com-
prassero! Un uomo onesto, beneficato o da un vano o da
uno stolido, può e deve aver gratitudine per lui; ma l'ami-
cizia, avendo per base il nobile seolimento del merito, noa
può darsi se non fra due. che vicendevolmente si abbiano in
pregio ; ora il numero degU onesti uomini essendo per di-
sgrazia il minore, deve anzi far maraviglia dovunque la gra-
titudine per benefici profusi senza esame e senza scelta »
ritrovi; né l' amicizia d' un nomo ragionevole può m<ai ope-
rarsi ^he nasca con questi mezzi, i quali altro non provano
che un vizio o una dappocaggine in chi gli adopra.
Crasso lagnavasi con Roscio, perché, dopo averlo p^
SOLLA SPBNSIBEATEZZA NELLA PftlVATÀ BCONOMIA. 83
dae anni avuto alle laa(e we cene , gli c<mlra8(a8se il co-
mando d' ima pravincia. Foì ami dovréiU aver rimono , gli
rispose Roacio, dt^pulondò a m# qi$€$ki carica, a me che, per
empiere U fastoso tittiiMro dei dnquanla oommeneali voHri ,
ho potuto per due atmi abbassarmi a vivere nella caterva de* pa-
ratati ingenui e libertini cfte sedem aUe vostre cene. Tale fo la
risposia dìRosciOvilqaaleiiaUiralmeiiie doveva avere assai più
amicizia eoi caoco diCraaso anzi che con Crasso medesimo. In-
faUi,e chi mai può aver nell'animo nemmeno riconoscenia per
ciii facendoci suo commessale non pensa a farci ana distinzio-
oe, né a darei preferenza con un disegno meditalo, ma aollanto
a riempiere il nomerò de' sedili già preparati pel convito?
Chi mai può Iroyarsi Insingato nelF amor proprio per aver
parte ad una universale e indistinta dilapidazione d* un pa-
Irìoìonio? Il saggio mal soffre d' essere attaccato al carro di
trionfo d' uno spensierato; e V uomo capace di sentimenti
sente ribrezzo a pascersi della rovina altrui.
Di tuUe le. profosioni^ a parer mio, la più stolida è quella
del convito. So che la società si anima e si fomenta mira-
bilmente colla reciproca comunicazione della mensa; sembra
€he ivi la famigliarità si accresca, e cpn tal mezzo vediamo
i cittadini meno forestieri V uno coli' altro ne' paesi dove
tal costume è più univeisalmente ricevuto: ma le cene e i
conviti che producono questi beni della vita e questa reci-
proca fratellanza fra i cittadini, non son già quelle numerose
6 di fasto, nelle quali altro più non iscorgesi che la profu-
sione del convitatore, e l' avidità o il tedio de' convitati; ma
bensì quelle alle quali presiede una reciproca brama d'esser
srato, e dove l'amicìzia e la scelta animano la società, a
coi una ben intesa ma non rovinosa mensa serve d' ceca-
fiione.
Gli uomini riposti in dignità devono per decenza del
loro carattere dare di tempo in tempo di tali fastosi conviti ;
^ questo spettacolo vien risgoardalo dall'uomo ragionevole
che lo dà , come un incomodo del proprio stato; e dall'uomo
ragionevole che vi partecipa, come un cerimoniale contras-
segno d' onore , non mai come un giorno in cui si prepari a
giocondamente pranzare. Ma chi senza necessità profonde
84 SOLLA 8PBNSIRBATBZZA NBLLA PRIVATA ECONOMIA.
per qaesta strada, non lascia aUro vestìgio della sua roviila
che il macellaio e il pizzicagnolo arricchiti, e tre o quattro
bricconi gallonati a soe spese; laddove una sontuosa galle*
ria, un magnifico palagio, una rinomata biblioteca, restando
almeno fra le rovine, puossi, compiangendo la sproporzione
del patrimonio colle idee, avere una sorta di dispiacere che
le forze fossero si limitate in un uomo capace d'idee grandi.
Se coloro i quali hanno ottenuto in retaggio un pingue
patrimonio, possedessero la difflcil arte di ben goderlo,
quanto non potrebbero eglino migliorare la loro condiztonel
Quante virtù, quante nobili qualità, le quali limangono ste-
rilì e celate da quella implacabile necessità che limita i pa-
trimonj ristretti , non potrebbero mai risplendere nella pia
chiara luce, e lasciare un glorioso nome dopo una gloriosa
vita per le pubbliche e private beneficenze! Quanti giovani
e uomini di talento da togliersi da queir angustia domestica
che s'oppone a' progressi d'ogni bell'arte, e con una libe-
rale si ma giudiziosa protezione da crearsi uomini eccellenli!
Quanto più nobile e magnanima cosa è il poter dire: il tal
generoso cittadino ha dato alla patria il tale architetto, sol-
levandolo sin da' primi anni dalla mendicità in cui avrebbe
dovuto vivere forse servilmente tutta la vita, e l'ha assistito,
e gli ha dati maestri, e lo ha fatto viaggiare a sue spese, e
lo ha formato insomma uno de' più celebri uomini che ab-
bia l' Italia nell'architettura; il tal tempio, il tal palagio ,
che onorano la nostra città, saranno un eterno monumento
ai posteri e del talento dell'artefice e della beneficenza del
mecenate! — Se a questi potrà aggiungersi il tal eccellente pit-
tore , il tale scultore , intagliatore ec, tutti assistiti , conso-
lati, soccorsi, protetti insomma dal benefico cittadino, qoal
vita 0 qual memoria più benedetta può essere mai, e pia
adorata di questa in ogni tempo , e presso d'ogni colta na-
zione?
Felice quella città in cui trovasi unito nella stessa per-
•sona un vivo e illuminato amore del merito ad un vasto
patrimonio! la sua casa diventa l' asilo di tutti quegli ottimi
cittadini , che o già fanno o promettono onore alla lor pa-
tria; ivi ritrovano grata ospitalità tutti gl'ingegni i qu^^
SULLA SPENSIERATEZZA NELLA PRIVATA EGONOMIA. 85
coNiTaoo con amore qaalanqae parte della vasta serie delle
maaiie cognizioni, dalla più sablime astronomia sino air ul-
tima delle beli' arti ; egli assiste e col consiglio e coir opera
i giovani ancora incerti; egli dà lena ed emulazione con
una rischiarata protezione ai timidi; egli sa che gl'ingegni
Don volgari e vigorosi, a segno di spiccare qualche felice
slancio al dì là del comune livello, hanno per lo più ne'primi
anni una sorta dì rigidezza nell'animo che mal si piega alle
eomoni maniere, e gli spinge talvolta a certi irregolari modi
di agire, che il volgo sott' altro aspetto non vede che sotto
qoeUo del ridicolo o dell'imprudenza, e il retto conoscitore
ravvisa come difetti bensi, ma che provano un fondo di ot-
time qualità, non altramente che un esperto minatore da
ana terra sterile e ingrata che incontra riconosce V oro che
ivi deve trovarsi vicino. Da tai lumi assistito, il ricco ama-
tore del merito vedesi circondato dalla più colta e rispetta-
bile compagnia, di cui egli è V anima e il promotore.
Qual uso non hanno fatto neir Irlanda in quest' ultimi
amii delle ricchezze loro alcuni ilhistri cittadini di DuUino,
fra i quali merita distinta lode il signor Samuele Madden,
colla erezione dell'accademia d'Agricoltura, Commercio e
Manifatture, accaduta non sono molt' anni, ed a coi l'illu-
stre e benefico signor Madden ha in sua porzione assegnato
più di 500 zecchini annui di sua rendita?* Questa beneme-
rita associazione, la quale distribuisce premj annui a chi più
siasi distinto o nell'avanzamento dell'agricoltura o nella
perfezione delle arti, ha fatto nascere nella sua patria le più
bette tele che al di d' oggi trovinsi nel Nord. La reale società
di Londra è pure opera in origine di privati cittadini. L'Ac-
cademia Reale or ora eretta in Torino è pure essa una società
originariamente progettata da alcuni illustri privati, de' quali
il merito ha ottenuta poi la. reale protezione, sotto l' ombra
di coi r Europa vede nel fiore degli anni de'grandi genj, ed
' Veggasi la bell'opera del signor Genoveìrf) che ha per titolo ; Storia del
^>ommereh della Gran Brettagna, stampata ìa Napoli , in-S.» toni 3. Egli
aUcsta questo fatto al tomo I,pag. i34. Io vorrei trovare espressioni tali da
invogliare i miei lettori a provvedersi di quest'opera eccellente del signor Geno-
^^f la quale 10I9 batta a somministrare dna cogniiione molto estesa sul com-
"Krcio. La lettura di quest'opera è mollo utile, amena e interessante.
11. 8
86 SULLA SPBNSIEKATEZZA NELLA PRIVATA BCOHOMA.
ano singolarmente che nelle più soblimt lioerche deUo spi-
rito amano sembra ormai innalzato a quella prima elasse ehe
gli assicura un nome presso la più rimota posterità.
Or quanto diversa (irebbe la gloria di chi, avendo super-
fluo di ricchezza, invece di ricercarla danna schiera di pa-
rassiti, a si fatti oggetti rivolgesse la nobile ambizione! Qual
cosa vi può esser mai che innalzi un privalo al rango d' un
sovrano quanto di simili giudiziose beneficenze t Ma ^iudizwte
appunto devono essere queste beneficenze, poiché V oaore
e la stima, qualora vengono accordate att'ipocrìsla del merito
anzi che al vero merito, ossia qualora, o per brighe, o per
riguardi, o per debolezza di non resistere alla importunità,
s' accordi la distinzione e il premio a. chi più lo soUeeita
( cosa che rare volte s'induce a fare F uomo di vero merito,
opponendosi a ciò la modestia, o un sentimento nobile del
profHrio valore); allora, dico, le ricompense medesime e le
distinzioni diventano un mezzo efficacissimo per opprimere i
buoni ingegni, ed avvilirli sempre più. Lodovico XIV, ohe ha
dato il nome al quarto secolo illustre negli annali del genere
umano, cercava ei medeshno gli uomini di merito, e preve-
niva le loro suppliche. Yiviani ricevette nella Toscana i doni
di quel monarca , prima eh' egli osasse nen^meno pensare
a chiedere il real suo favore. Il merito giammai non va unito
colla importunità o colla sfrontatezza.
Ma troppo mi svia la moUiplicità degli dggetti che mi
si affacciano alla mente; e ragion vuole ch'io alla brevità sa-
crifichi molle idee accessorie , che pure vi vorrdibero aver
luogo, per ritornare al principale soggetto di cui ho preso
a scrivere. L' uomo spensierato nella domestica economia è
come queir uomo dipintoci dalla favola, il quale, alzatosi la
mattina da letto, e sentendosi soddisfatto il sonno, portò al
mercato il letto e lo contrattò, senza prevedere che fra po-
che ore sarebbe ritornata la sera e con essa nuovo bisogno
del sonno. Chiunque spende in un giorno più di quello che
realmente gli fruttìno i suoi beni in quel giorno, o deve aver
risparmiato già ne' giorni antecedenti delle sue entrate ,
ovvero deve risparmiare ne' giorni che verranno. Chiun-
que spende in un anno più della sua entrata, deve o ripa-
SULiÀ SPBNSUUIATBZZA MftLtA FB1V4TA ECONOMU. 87
niflo eoD rìspannìo, ovvero sbilanciare la famiglia, poi ro-
vìnarsi* OgDono sa questa verità. Ma se ognuno, prima
d'Impegnarsi in nn dispendio superiore alle sue forze, vi
rìfleUesse e conoscesse che se in. quesl' anno dieci, che ha
d'entrata, non bastano a' suoi capricci, e voglia spenderne
due di più , dovrà l' hanno venturo o (are che otto di en-
trala bastino ai capricci t cosa più difficile a farsi con otto che
con dieci), ovvero decidersi per la totale propria rovina; cre-
derem noi che con questa ragionevole prevenzione cederebbe
aDe lusinghe che dapprincipio lo fanno scapitare? Crederei»
wn che in vista dei mali e delle angoscio estreme d* una
meritata e non aspettata povertà, e forse anco in vista delta
ignominia d'una fede mancata ai creditori, potrebbe aver
forf a il pitcere di caricarsi molte vesti di dorature non prò-
prie ma carpite dalla bottega d'un incauto mercante; di far
trottare le ricche frange toHe a credito, e cucite sugli abiti
dei ben sudati e mal pagati lacchè; di aprire una prodiga
mensa ad una stolida turba di domini, i quali, anzi che dfani-
mali ragionevoli, meritano talvolta il titolo di lambicchi. di-
geritori e distillatori di chilo? Io noi credo già, anzi mi par
dimostrabile che la maggior parte de' mali che devastano
l'aman genere, sìeno i mali che si fanno gli uomini da
loro medesimi , per non adoperare la parte migliore di
essi, cioè quella che accozzando le idee ricevute da ogget-
ti, e paragonandole ed esaminandole, ci dispone a for-
marne un retto giudicio, e a prevedere l'avvenire di quella
strada per cui imprendiamo a correre, cioè queir uso divi*
natorio che fa della ragione il saggio, il quale non aspetta
U disordine, ma lo previene.
Dovunque più pensano gli uomini, ivi sono i minori
mali; ed uno de' massimi beni che fanno al mondo le scienze,
sr è quello di scuotere colla emulazione e colla curiosità gli
nomini da quel letargo a cui per naturale inerzia si abban-
donano, e riporre in moto l'animo loro ad avvezzarli a pen-
sare; facoltà, la quale se ben s'eserciti sugli oggetti delle
scienze, forma gli uomini illustri; se ben s' eserciti su tutti
gli oggetti che circondano Y uomo posto in società , forma
il vero saggio.
88 8DLLA SPENSIERATEZZA NELLA PBIYATA BGONOMU.
Ho conosclato an aomo di senno, il qaale, avendo sor-
tito dalla natura un animo disinteressato, e forse anche al di
là de' confini del disinteresse inclinato a spendere, per porre
on giusto limite a questa inclinazione pericolosa, divideva 4a
sua entrata in dodici parti eguali, ed ogni mese ae prendeva
una per suo uso; poiché lo sbilancio in tal guisa se gli mani-
festava più sollecitamente, nò poteva lasciar correre tanta pro-
digalità in pochi giorni , che pregiudicasse notabilmente a
tutto Tanno. L' uomo di senno deve distendere le annue sue
rendite sullo spazio di trecento sessanta e più giorni; né deve
dimenticarsi mai di paragonare quello che gli avanza di tempo
colla somma del denaro che vuol conservare. L'uomo di
senno deve di più conservarsi costantemente un diaerelo sus-
sidio a parte per provvedere a tutti i casi; cosi egli si man-
tiene nella perfetta osservanza della giusliiia in ogni con-
tralto; ei gode di tutti i vantaggi che accompagnane la pua-
tualìlà; ei trova tutto fl credito presso chi deve aver a fu»
con lui; ei vive ndla maggior indipendenza poaailiila in cai
un uomo può trovarsi, quahinque sia il «sterna setto cai vive;
egli perfine ò capace di soccorrere un amiee o on infdiee
aU' occasione; e siflktti piaceri sono, per verità, assai pie du-
revoli e puri, di quello che non lo sia lo sfane di fuci cre-
dere qurtlo che ognuno sa che non siamo.
Non v'ò vìzio più swdido delf avarìzia; non vi é casa
che più convenga all' uomo ragionevole dell' a^wtto della
decenza e di quella eleganza proporzionata aDa sua condi-
zione, che deve mostrare e netta persona propria e in ogni
oggetto che lo circondi o gli appartenga; non v' é quaiià
umana ddi' animo che più Io innalzi, quanto la vera liheia-
Mia : ma questa per esser tale deve non eccedere le forze di
ehi la esercita; la scelta, e il modo col qnafe si fiinne i be-
nefici, servono mirabilmente o a dar loro od a seemame
il pregio; e l'uomo che ha veramente giubato, ò cotai il
quale sa godere de' piaceri attuali, senza pregiudicare ai pia-
ceri a venire.
89
I TRE mE€€AT€iÈa.
L'eccapazìone di scrivere, e singotarmeole di scrivere
un'opera periodica, pare mollo geniale e graa^iosa; e certa*
mente v' è qualche cosa che non i volgare nel piacere di ve-
dersi in an. regolato carteggio colla specie umana, vedere che
nn buon nuikiero di persone crede le cose che scrivete degne
deU' incoDQtodo di leggerle, poter comanicare ai vostri cittadini
con somma facilità le idee che vi occorre di comunicar loro,
addossarsi una certa qnal magistratura di ragione che sottrae
- la vostra vita e i pensieri vostri dalla pscurità, ottenere in-
somma r approvazione di qaei che più si stimano, e qnalctte
meschina cicalata da qualche rettile scrittore, contrasaegm
tatti di buon augurio. Chiunque da quest'aspetto mirerà Toc^
cnpazione. nostra, dovrà persuadersi che realmente abbiamo
trovato il modo di passar bene molte ore della nostra vita; e
ve l'accordo. Ma le qose di, questo mondo hanno sempre due
manichi, diceva un antico filosofo ; e, per dirla, aveva molta
ragione. Ogni situazione ha le sue traversie, e gli scrittori
del Caffè hanno anch' essi le lor buone seccature quanto ogni
altro essere di questo mondo ; e se io questa mattina ho do-
valo soffrirne alcune in grazia de' miei lettori, ogni ragion
vuole eh' io non trattenga quel eh' è d'altri, e le trasmetta
a' miei lettori sane e intatte quali mi sono state confidate.
Qnesta mattina, dnnque, era il solo tempo che mi rima-
neva per riempiere questo Fc^lio; l'editore me ne faceva
Sstanza, io lo aveva già promesso, ed aveva già incominciate
akane righe su un argomento che mi costava fatica. Appena
un mezzo .qjuarto d'ora era trascorso dacché avevaintrapreso
^ scrìvere, ebe mi vien detto che un certo abate aveva som-
ma premura di parlarmi. L'urbanità non consente di ricusare
gli abati che hanno somma premura. — Venga il signor aba-
te.-* Eccoti il signor abate lindo, fresco, bel parmcchino,
bella riverenza, il qoal comincia a domandarmi come iosUa
'di salute. — To' to', diss' io fra me stesso, che sia qn medico
costui? poi, la cosa parendomi troppo strana, gli chiesi del suo
8*
90 1 TRE SBGGATOKI.
nome. — Sono il Tal de' Tali. — Benissimo; in che posso ob-
bedire ii signor Tal de' Tali? — U piacere^ mi rispose, di co-
noscere personalmenie uno degli scrìilorì del GAPFk mi ha
condotto da lei. 0 perdinci, che bel Foglio I Le assicuro ch'io
non le potrei ben ridire quanto mi piacdal Quante belle cose
ha detto del Goldoili, ma soprattutto quelbel titolo di Pnlf»-
comico che le ha dato, mi piace estremamente. FrebocomU»!
Non si poteva dir meglio: il nostro Proboe&mleo! — Signor
Tal de' Tali', gli diss' lo, le sono veramente molto obbfigato
per l'officio gentile ch'ella yQ<d far meco; ma egoafaneate
dispiacemi che vossignoria trovi si ben adattato mi vocabcOo
trascorso per paro errore di «tunpa : Proloeemleo dovea diie,
cioè primo comico dell' Italia, giacché questa lode ben sima-
rìtn fra le altre il nostro signor Goldoni; ma Probocome^,
dandolo per distintivo al signor Goldoni, sarebbe «lata sa' of-
fesa agli altri scrittori comici, i qvali se non aeno^ da para*
gonafsi a Ini, a parer mio, nell'arte del teatro, possono Mdh-
dimeno pretendere il titolo di probità al parer d'ogni altio<«
— Ma pnre quel Prohocomico io loeredea,«oggÌQii8el'ébatft*.
— Signor no, gli dras'io; pare a lei che tornasse n icottto 9
grecheggiar in tal gaisa con due parole ambo itAliane per
dire Proboeomieoì Signor abate, la maggior parte de' nostri
lettori ha inteso, sin da che si distribuì qvel Foglio ^nfnto, eiii
v'era errore dì stampa ; cosi quel Nodaro in vece di fiottio,
cosi alcuni altri, i quali sono sempre inevitabili quando gli
autori sono lontani delle miglia dalla stamperia. — Beuitsi-
mo, soggiunse l'abate; ella dice bene. £ fli noVìtà di mondo
non ne abbiamo nessuna? — Nessuna «è* lo sapfpla. ^ Abbia-
mo una bella stagione per verità. — Bdla assai veraraeate.
•^ E il signore se ne sta sempre cosi la maltfoa In sua casa»
sempre aHo studio, sempre faticando? --E Vossignorìa, signor
Tal de' Tali, la mattina se ne va sem^e in giro a visitar le
persone? — Non vorrei esserle di disturbo. — Oh didisturbol
non è possibile, ma veramente ho qualche cosa da fare. —
Giacché dunque non san di disturbò, fili sarà permesso pro-
fittare del vantaggio che ho di esser seco.-* Oh padrone....
— Oh signore.... — In verità.... — L'assicuro.... Son cosl^Mt-
gaio....— Tanto gentile....— Anzi lei.... - %'ossig noria dunque,
1 TlIB SBCCATOm. 91
a quel che yedo, vive il veroo nella etafo? -- Signor si, «o-
n'eiit vede. — £ non iae soffre? — Non signore. — £ pmb
wriveiey e pensare in qoest' ambiente? <- Signor «i; alla
me^io. ~ Per altro il calore è assai sensibile. — Io feci mott^
al senrilore perché accrescesse il fuoco, e frattanto ripetei
due 0 tre volte tmitihnente al signor abate, che avevo qnaU
ci» kvoro per le mani da sbrigare. 11 caler crebbe ; io vidi
dopo m'ora le vaghe hiei del signor Tal de' Tali briiaBii
comeqoctie d'nn vbbrìaco, e il bel4;olor porporino del sao
votto «ecresoetìn per gradi: — Yedrem, dicea fra me stesso,
eli di noi dnela vìnce. Finalmente, dopo una serie d' inaile,
aoo ne potè più, e congedossi macavigliatissimo come io
vegga ad on' aria si cidda.
Appena Ini solo, che benedissi e padre e madre e tutti
gli iseendenti miei che mi hanno trasmesso in corponnaan*
gae che somiglia an poco a quello delle salamandre^ e che
rogge ai caldo ^ù degli ^tri. Ripresi la penna e le inter*
rolleidee.... Eccoti un nuovo annunzio. Il figlio del legnainote
di casa, che ha una grazia da diìedermi^ che prega, che sup-
plica, che in due parole si sbriga. — Pover uomo, sarà qualche
bisogno, qualche occasione da far del bene: venga il figlio
del legnaiuolo. — Signore, coavien sapere che mio padre Gia^
conio che ha faUo il tetto deBa tal casa, e le finestre della
tale stanza, e cosi Giacomo non ha voluto l'anno passato
esBeve assistente deBa cmifiratemita de' legnaiuoli, perché
Siefano suo cognato avea detto che neìV amministrazìooe
delle limesine della cenfratermta volevasi mettere on anovo
legebmento; e perciò Lucia sua moglie, che viene ad esser
poi mia zia, pottkè è moglie del fratello di mio padre, e cosi
Giacomo non ha voluto essere assistente. In questo mentre
Antonie, che era fratello di Lucia, perchè avendo saputa la
gran bontà di Vossignoria...* — Con questo limpido ragieia»^
neato prosegifi per un mezzo quarto d'ora senza oh' io p»*
tessi intendere cbe diamine si volesse dire. la fine^ dopo mólta
Ittica, il risultato di tutta questa bella spedizione era che il
padre di costui era prefetto deMa confraternita, che ai doitea
f&>« un officio generale de' morti, e che voleva eh' io gli fa-'
<^8i l'onoffe, la grazia, la gloria di fargli un sonetto per i
92 1 TRE SECCATOBl.
merli legnaiaoU. Figuratevi, son già alcODÌ anni eh' io non
foccio (Mù il cigno, e mi pare che a far la parte da nomo sol
teatro di qoesta vita sia abbastanza ; e poi salire in fiUcona
per i legnaiuoli I E poi fere un sonetto! -^ Via, fanciul mio,
prendi questo scudo; vanne dal Tale, digli da mia parte che
ti faccia un sonetto colla coda, saluta tuo pa<ke, e sta con Dìo.
->Ma, signòte.... noi volevamo aver qualche cosa d^suo; per-
chè il priore e l'assistente.... per far vedere che almeno se
aerviamo hi casa, potiamo far capitale della protezione....—
I^aadami in pace, fanciullo, per amor del cielo; credimi che
dandoti uno scodo ti do maggior prova di benevolenza che
ae ti dassi un sonetto. AddTo.... — Sono mortificato^... - E per-
chè mortificato! Va, quandp tu pigli moglie ti darò una do-
te, lascia fare; non sei contento? — Poiché cosi ella vuole....
— Addio» addio ; raccomanda a tuo padre che si sbrighi a
portarmi il mio armario.—
Lodato ii cielo, eccomi liberato anche dal sonetto: ri'
mungono due ore, e in queste due ore voglio assolutamente
star solo a terminare il mio foglio. Mentre sto facendo questo
bel proposito.... Signore, è qui un Italiano venuto da Germania,
ohe ha commissione del Tale di visitarlo. — Il Tal9 ò mio in-
timo amico! Non vo' differire ad avere sue nuove. Venga
l' italiaito. -^ Servitor divotissimo. — Padron mio; -— Io bo
ordine dal signor Tale di visitare Vossignoria. -* Che fa il
mio rispettabile, il mio caro amico? — Bene.— Gli chièdode'
suoi affari, della sua femiglia, e sin qui andò bene, se non
chetai feri l'orecchio il pasticcio che il mio Italiano faceta
lalfodendo le parole o le frasi tedesche nella lingoa nostra.
— Goti Tautendl Che caldo fa in questa stanza 1 A proposito,
m'é stato detto che Vossignoria è un uomo studiato. - 0^
Vossignoria non creda a queste ciarle, gli rispos' io; sono oa
nomo come gli altri, so leggere e scrivere, e qualche volta
mi divevto con qualche libro. — Che libri ha letto lei? — I^
dirò, ho letto il C^iloaniro PeàeU, ho ietto Gutrin Mttàà'M^
e la Frusta Letteraria. -.Buone cose, buone cose, oh 0Ì
rallegro: anch' io in mia gioventù mi son dilettato molto di
studio, e particolarmente di magia bianca. — Bravissimo, bel^ {
studio la magia bianca! - Oh bello assai. Per esempio, come
1 TRB SECGATOBI. 93
irebbe Vossignorìa a far andar per acia nn uovo senza toc-
carlo?— Il problema per venta è difficile. — Problema! No»
non c'entra proòtema, non fa bisogno di nessuna droga. Dirò
io. Faccia un buco neir ooyo , poi prenda an cannellino, e
«loci tatto Tnovo, sicché non ne rimanga che il gascio: in-
ieade? — Intendo benissimo. — Bene; poi prenda una spa-
gna, e la mattina di buon'ora vada in un pi:ato, e giri la
spugna sull'erba: Vossignoria sa bene cos'è la rugiada? —
Si, si; so cos'è. —Bene, la rugiada entra nella spugna: inten-
de? — Ottimamente. — Bene, quando la spugna sia bene in-
zappata di rugiada, faccia entrar quella rugiada nell' uovo;
e riempiuto ch'ei sia, ne turi il foro con un po' di cera: in-*
tende? — Intendo. — Esponga quell'uovo ai raggi del sole ; i
raggi del sole attraggon la rugiada, e non potendo la rugiada
uscir dall'uovo, perchè l'uovo è chiuso.... intende? — Vada
pure. — Bene; non potendo la rugiada uscir dall'uovo, per-
chè roovò é chioso, innalza il sole l'uovo poco a poco a vi-
sta d'occhio.... — E l'uovo va a fare una frittata nel sole,
non è vero? diss'io. — Non so poi dove vada a finire; ma
so che va in aria, e l'ho veduto più volte. — Vossignorìa l'ha
veduto? — Signor si, io, io l'ho veduto, e fatto più vòlte. — Me
ne rallegro assai, soggiunsi io. Ma dica, di grazia, e Vossi-
gnoria, dopo aver fatti si prodigiosi progressi nella magia
bianca, s' è poi arrestato sul più bello in tal guisa, e non ha
pensiate seriamente a volare? ~ A volare io non ho pensato,
perchè mi pare cosa impossibile. — Adagio, signore, ripresi
io , possibilissima. Vossignoria a digiuno si beva due o tre
pinte di rugiada ; intende? indi col suo bel ventre scoperto
si presenti ai raggi del sole s intende? Il ventre essendo chiu-
so, e la rugiada dovendo salire, si sentirà tratto in alto per
l'ombilieo dal sole istesso, e con un po' d'industria potrà tra-
sportarsi dove vuole per l'aria: intende? — Oh oh, curiosa
cosai mi soggiunse l'Italiano; mi pareche Vossignoria abbia
studiato poco assai. — Se gliel- ho detto sin dal principio ch'io
so leggere e scrivere, e non pretendo di più: intende?-^ Vos-
àgaorìa perché replica ^aeW intende? Pare che voglia dir
eh' io parli male. — Vossignoria ha preso il eioccdatte questa
mattina? — Signor no. — Eh, il eioccolatte al Signore. E cosi
94 I XBE MCCATOM.
verto yora delpranxo prese cgU il «io ckiectìlatte, cse ne
aadò quando al cielo piacque; lasciandomi il capo pieno di
seccatore potentissime, le qoaU ora che le ho consegnate al
mio caro lettore, mi sento assai sollevato, ^
Da qoesU sincera relazione ognuno potrà «tendere ta-
cilmente, che anche il mestiere di scrittole ^^^afi* «i^;
suoi mali, e che gli oziosi sono un flagello eonlmuo di chi
coltiva le lettere, qualora non si determim robusiameiite a
rompere ogni lega con essi, a costo di lasciar dire tutto il
male che sanno e possonè, cosa che non manca mai in simil
caso.
m IfiNORAWK mi SCMTTOM DEI CAJFM'È.
Io non so, per grazia del cielo, né leggere né scrivere;
ma, senza saper leggere e senza saper scrivere, so però dire
il ftitlo mio all'occasione; e se ciò sia, ne giudicherete voi me-
desimi, scrittori del Cafi*, alla lettura di questa carta scara-
bocchiato da un dottore in legge, ma composta da me, ac-
ciocché venga alle vostre mani. Voi vedete, scrittori del Caf-
fè, eh' io al bel principio mi chiamo un ignorante: questo vi
serva di prova ch'io non pretendo di fare il ciarlatano in
faccia di nessuno, che dico bianco il bianco, e dico nero
queUo che è nero; e se vi farete riflessione, forse troverete
che questa mia ingenuità può meritare più stima di quella
die non ne meriti l'arte di parlar con una penna d?oca.
Io adunque sono, come ho già protestato, un ignorante,^
cioè un uomo che non «a nulla di lutto quello ch'è stato det-
to, «atto o pensato dagli uomini. Il mondo è cominciato pei
me quaranl'anni sono; desidero che termini più tardi che sia
possibile, né mi curo di saper le pazzie degli uomim, te
quali presso a poco saranno sUle per lo passato sul gusto «Ti
quelle che posso vedere attualmente sotto gli occhi. Non mi
curo de' fatti altrui, e certamente i fatti degli uomini morh
OH MflOlANTB A«U 0CU1TO1I DEL GAPFk. 95
e iseppeHiU migliaia d' anni gono non mi incomoderò mai a
rìceitarli.
Ora che y' ho fatta la dichiarazione del mio carattere,
vi devo mostrare per qoal ragione io,, che de' fatti altmi non
mi prendo briga ^ pure spenda ano scado con questo signor
dottore, aceìocchò scriya a voi ì miei sentimenti. Sappiate
dunque che per quella ragione per cai non m' impaccio
nelle cose d' altri, per la medesima nemmeno soffro che altri
b' impacci delle cose mie; e siccome ho inleso raccontare che
Yoi nel vostro Foglietto andate spargendo delle massime eon-
liarie alla libertà d'essere ignorante, e cercate di fare che
gli altri ridano ài noi» e vorreste pare acquistarvi una inde-
bita saperiorità a spese nostre; cosi sono costretto a fare la
generosità d'uno scudo al detto signor dottore che scrìve le
mie beone ragioni che ho da dirvi, acciocché voi altri scrit-
tori del Caffè facciate una volta giudizio, e stando ne- limiti
deDa ragione, lasciale vivere in pace il genere umano, come
torna comodo a ciascuno.
Non sono molti giorni che in una conversazione si par-
lava di Commercio (maladetio commercio, al di d'oggi dapper^
tolto se ne parla!). Io dunque dissi, che per far fiorire il com-
mercio vi vuol altro che de' bei ragionamenti; vi vogliono
quatlrioi. Un certo quondam prese a contrastare la mia pro-
posizione, e sostenne che il commercio produce i quattrini,
non i quattrini il commercio; sostenne che i molti quattrini
sono nn inapedimento al commercio; sostenne.... oh quante
eose che sostenne! La mia proposizione Tavea già detta in
vita mia qoarantanove volte, ed era passata per boona; ora
i'ho detta per la cinquantesima volta, e tutta la compagnia
n ò Catta la beffa di me, ed ha approvata l'opinione del
quondam. Quel quondam ho poi saputo che legge i Fogli del
CiFPk.
Ieri si parlava di un medico. Io ho detto che egli poteva
ttser bravo medico in leorica, ma che in pratica non valeva
OD zero. Questa proposizione è chiara come il sole: ognuno
i'ba sempre potuta dire; e certamente l'ho sempre intesa
ripetere da tutti gli uomini savj. Un certo quidam: Si, si,
olisse; la porta del Tempio della Ignoranza ;— e si pose a sor-
96 UN IGNORANTE AGLI 8CRITT0BI DEL CAFFÈ.
ridere, e gli altri fecero lo stesso; ed io rimasi di stacco, e
seppi poi che Toi altri nel Caffè avete posto in ridicolo qae-
sta opinione.
Altre volte dacché avete pubblicato qoel vo^ro Caffè, ho
dovuto udire chi diceva bene del lusso, chi diceva male dei
fidecómmessi, chi «i rideva di quel grand' uomo di Giusti-
niano, e di fiaido, e di Bartolo, chi sosteneva che in Milano
ogni quattro giorni ne piove uno: insomma non si sa più
come vivere in pace, e dire buonamente il fatto proprio, che
dappertutto andate disseminando le mille opinioni^ o scrittori
del Caffè, che mi fanno venir la bile; e oltre allo scudo che
devo per voi spendere col signor dottore, temo che ne dovrò
spendere un altro col medico e collo speziale per liberar-
mene.
I medici non dicon male degli ammalati, i cariali noo
dìcon male de'litiganti; non vedo ragione perchè gli uomini
di lettere non facciano lo stesso con noi, tanto più poi quanto
che l'ammalato crede d'aver bisogno del medico, il litigante
crede d' aver bisogno del curiale, noi non crediamo d' aver
bisogno dei letterati, e possiamo far loro de' bratti scherzi.
Fate giudizio. Schiavo, scrittori del Caffè. .
LE JUSCHEBE DELU COIHEDU RAUiNA.
Il nostro buon Demetrio si è lagnato con noi, perchè da
tanto tempo non si faccia più menzione della sua persona in
questi Fogli; e per dirla, il nostro buon Denietrio, che ci dà
un caffè si squisito tutti i giorni, che è tanto ragionevole e
discreto con tutti, ha ragione di lagnarsi della dimenticanza
nostra. Nella scorsa settimana si venne a parlare nella bot-
tega della compagnia de' commedianti, delle <]iver8è rappre-
sentazioni che si sono finora. fatte, di quelle che si devon
fare, e cose simili. — Siete per altro curiosi voi altri Italia-
ni, prese a dire Demetrio: e per verHà non so come possiate
giustìGcare il gusto vostro nella scelta delle maschere che
I.E MASCHERE DELLA GOHMfiOJA ITALIANA. «J7
avcie Fiposttf sul teatro- LasGumo a parie il Pantalone, che
almeno è ana figura caricala bensi, ma finalmente figura
umana; nia come v'è venata in capo la fantasia di vestire
due personaggi in guisa che abbiano la testa, da moro e le
manrda bianco, e che questi^ due mori sieno due originari
Bergamaschi? Come malanno v' è tenuto in capo di fare un
dottore che ha nero il naso e la fronte, e bianco il restante
del volto? Per verHi, soggiunse, non so trovare nò ragio-
nevolezza né origine di sì fatti mostri che avete fissati su i
teatri, e che pure sui teatri rappresentano la parte dr uomi-
ni. — B^ bello, amico Domelrio, rispos' io; voi siete Greco,
e voi altri Greci, e particolarmente Greci caffettieri, in fatto
di eradizione non potete vantarvi di saperne molta. Ascol-
tatemi per poco, chiè potrò forse soddisfarvi.
L' uso di srappresentare sul teatro colla maschera al viso
è della pia remota antichità teatrale; e nella vostra Grecia
stessa, ne' suoi bei giorni, nessun atto si presentava selle
scene dtrimenti che colla maschera. Di pia: neir antica com-
niedià erano le maschere talmente costanti, ohe v'era la ma-
schera dell'avaro, la màschera del parassito, la maschera del
servo fedele, la maschera del servo astato; cosicché, al solo
presentarsi l'attore sulla scena con quella masohera, prima
anche che parlasse, sapevasi il personaggio che doveva rap-
presentare; siccome appunto, am^e fra di itoi, tutte le ma-
schere d'Arlecchino èanno la medesima figura, tutte le ma-
schere di Brighella, Dottore e Pantalone si rassomigliano per
tal modo, che nessuno s'aspetta delle astuzie dal Brighella,
0. delle dappocaggini dairArìecchino. Cominciamo dunque
Demetrio, a stabilire che il costume d? aver maisclhere inva-
riabili adattate a un eerto carattere viene dalla veneranda
antichità de' teatri greci e romani; e crediatemelo sulla pa
rota, se non volete phe vi faccia venire per la posta una eru-
ditissima dissertazione con mille e più citazioni in margine
che ve lo provino.
Erano presso i Romani antichi due professioni distinte,
quella del eommedianle , e quella del mimo. I mimi avevano
la faccia nera , e si mostravano sul teatro fuUgine faciim o&^
éucii; né accostumavano già essi di comparire sulla scena
II. .9
98 LB MASCHERE DEIXA GOMMEDU ITALIANA.
con calzari rilevati come i conunedianti, ma sibbene sesza
talloDi alle scarpe ; e perciò avevano il nome di mimo, cofoe
«i atlesla Diomede : pìanipe$ grmce dieilur Mimui, adto au^
lem kUme planipes^ quod aclores pìamU judibus pmeentum in-
Iroireni, Eccovi dunque , Demetrio miot che rArlecchino e
il Brighella 8' assomigUano già a due mimi antichi, e per la
faccia bruna 9 e per la immutabilità deUa^ loro naacbeni, e
per i calzari. Ma ciò non basta ancora, direte voi ; con^
vien provarmi che anche l'abito del corpo fosse simite presso
gli antichi. Benissimo; ed io vi proverò che de'mlm^ anticlii
ve n' erano vestiti appunto come V Arlecchino nostro. Leg-
ate quel passo d'Apuleio, dove dice: num ex €o mrgwmeiUarÉ
III» me eonsuevitse Tragwdi eyemuie, Aflrtonif cocoa » IftiM
centuclo. Notate che al mimo si dà per distinttvn ilaniu-
elusy cioè il vestito di cento pezzi di vaij colori , il vestito
insomma d'Arlecchino. Di pia ancora Vossio nelle institu-
sieai poetiche e' insegna che Sannùmes Mimum ag^Mnl ratei
tapU^m»^ e notate qui due cose: la prima, che Somiio e Jii-
mm erano ddh> stesso mestiere; la seconda, che TArìee-
chino e il Brighella si chiamano per antichissima tradizione
anche a' di nortri Zanni; e Zanni è una voce corrotta da
Sannào, Prendetemi dunque un mimo con capo rasato^ con
faccia annerita, con vestito di varj^pezzi a più coleri, con
scarpe piane, dategli il none di Canato, come lo troviamo
presso gli antichi, e dubitate se è possibile che questo mir
mo non sia lo stesso stessissimo del nostro Arlecchino.
Dunque ; direte voi , potrem noi credere che il grave
Ponio Catone, il grave Marco Tullio Cicerone, e si fotti gravi
uomini abbiano veduto rAriecchino sulle scene di Roma?
Signor «1, ohe lo potremo credere; ne volete una dimostra-
zione, ehe Cicerone lo ha veduto f Leggete il libro De Ora-
fort, dove descrive l'Arlecchino fedelissimamente con que-
sti termini : Qmd enim palesi tom rtdtculum , ottani Sannio
esse^ qui ore, vullu, imilandis molihus , voce, denique ccrpare
ridelur ipeol Dubiterete voi dopo ciò che i due Satini o
Zanni deHa commedia nostra non sieno un avanzo del tea-
tro antico, trasmessoci senza interruzione dai tempi deHa
repubblica sino ai nostri? Potevano bensì restar oppresse e
LE MASCUEaE DELLA COMMEDIA ITALIANA. 99
la iragedia e la baena commedia dai secoli delia barbarie
incoi fa avvolta rilalia; ma quel grossolano piacere che
ogni pili rozza nazione, prova co' spettacoli mimici non si
volle mai proscrivere nemmeno nei tempi della maggior
ignarana;a;, e pare mollo verisimile , che,, mentre il teatro
d' Italia si perdeva» restassero nondimeno le buffonate mimi-
che o sulle piazze o in qualche luogo destinato agli spetta-
coli: e di ciò ne troviamo memoria sino al secolo XII. ^
. Va bene» disse allora. Demetrio: voi m'avete impressa
nel mimo una profonda venerazione per rArl^chino e il
Brighella» e rendo onore al vostro tak^nfo per fore le genear
logie, e nobilitare le origini: ma non vorrete già provarmi
che il Dottore e il Pantalone sieno d' una si antica prosa-
pia.-^ No, bemetrìp» rispos'io. L'.origine del Dottore non
oltrepassa il secolo duodecimo, quando Irnerio apri in Bolo-
gna la nuova scuola della giurisprudenza, sulla quale si regge
anche al di d' oggi buona parte dell' Europa. Io credo nata
la maschera del Dottore quando i due celeberrimi dottori
Bulgaro e Martino disputarono se tutto il mondo fosse del-
l' imperatore a solo titolo di proprietà, ovvero anche di usu-
frutto ; e eertamente vi voleva una maschera col naso nero,
la fronte nera e leguancie rosse, per rappresentare al natu-
rale un uomo che disputa se tutto V universo sia d' un sólo
nomo per proprietà ovvero per usufrutto; ed alcuni eruditi
preiepdono che il dono di questa maschera sia stato forsQ il
più fortunato, che gU uomini abbiano, ricevuto dalla scuola
d' IrneriOé
Pel Pantalone non ci avete fatto rimprovero, o Deme-
trio; pore, per dirvene una parola, io credo^ che verso la fine
del secolo XIV, o al principio del XV, sia stata accresciuta
al nostro teatro questa maschera, nel tempo in cui il vastis-
sìaio conunercio de' Veneziani faceva colare nel solo Stato
di Bftil^s r annua somma di zecchini seicento novanta cin-
que mila, per alMrettanti lavori di lana che si trasmettevano
< Su di qucit*argomento chi voglia erudirsi più ampiamente, vegga Nieu.
pprt, Bittttim qui apitd Romano* ohtinuernnij Du Bos, Réfte»ions sur la
poésit 0t la peintura, tomo 111, ed il Trattato tal Teatro italiano del. Aie
coboni.
iOO LS BfASCUBttE DELLA COMMEDU ITALIANA.
a Venezia, d'onde si vendevano poi in Levante: del che po-
tete assienrarvi leggendo la disputa contemporanea del Doge
Tommaso Moéenigo riferita dallo storico Sanado nel Rerum
lUUiearutn Scriplores, Tom. XXII, pag. 954.
Demetrio si mostrò persuaso delle mie ragioni , e mi
pregò di riporlo nel Foglio, come ho fatto.*
Sin tanto che la Commedia esporrà sa i teatri i vi z} degli
uomini, poco ne sarà sempre il frutto. Declami sin che vuole
il poeta comico, o sferzi col terribile flagello del ridicolo
l'avaro, ripbcrita, il sanguinario, il gioocaitor di male fede^
nessuno di questi l'ascolta. Se ne sta l'uno contando le soe
monete; se ne sta l'altro col collo torto truffando il suo pros-
simo; questi fa un'ingiusta pace di pardi; quell'altro carica
le sue pistole: hanno ben altro da fare costoro che venire
alla commedia t Meglio è, cred'io, il prender di mirai di-
fetti, non i vi zj degli uomini f
Al GIOVANI D'MtìEGNO CHfi THIIGNO I PKMNTI.
io credo che ciò ohe constiluisce la massima dHRerenza
fra le bell'arti e le arti meccaniche, ciò sia, che per riuscire
eccellente in quelle, si richiegga uno spirito che più ricerchi
le bellezze di quello che non tema i difetti; laddove il talento
che più teme i difetti, anzi che cercar le bellezze, è queHo
che fa distinguere nelle arti meccaniche. Ufi orologiàro, un
macchinista qualunque deve principalmente curare che nes-
suna parte scabrosa o trascurata rimanga dal suo ordigno,
anzi che adomarlo d'aHri vezzi nuovamente 'ritrovati ; che
se tal legge sia la norma dello scultore, del pittore, del poeta
e dello scrittore, tu vedi agghiacciarsi la mano dell' artefice,
pentirsi e ripentirsi, e lasciare alla fine un freddo, un affet-
' Il periodo che segue, Ifggesi nel Caffè a pie dello scritto del Verri.
Abbiamo creduto ben fatto riportarlo, liccome nota strettamente connessa al-
l'articolo sulle Maschere della Commedia italiana.
AI GIOVANI D' ingegno CHE TEMONO I PEDANTI. 101
tate, un insipido lavoro. Chi è destinato ad operar colla lima,
tema che ogni snperficie non sia perfettamente levigata, che
ogni costa non sia perfettamente affilala, e chiamando con
ogni sforzo latta V anima agli occhi, lavori e sudi, e non si
stanchi per giunger alla perfezione: ma colui che, assistito
dalla natura di un'anima più elevata e d*una più fertile im-
maginazione, esercita una di quelle che con universale ve-'
cabolo chiamiamo belle arti, intraprenda ed ardisca, né tema
i difetti servilmente, ma secondi quel caldo genio che lo
agita, e vada con una sorta di feroce talento a carpir le bel-
lezze dell'arte. Le bellezze alloggiano vicine ai difetti, e qua-
lunque volta una cosa insipida ricerchi di animare, la spingi
appunto verso i difetti; e se dì più la inoltri, la inzuppi di
follìa. I più sublimi tratti d'eloquenza, le più grandi e tra-
giche espressioni della pittura, le più appassionate inflessioni
della musica, il sublime insomma in ogni cosa d' immagina-
zione è sempre all' orlo del ridicolo e della caricatura ; un
grado che vi si aggiunga, ve Io porta. Un tal linguaggio è
sconosciuto a tutte le anime fredde o incallite sotto il giogo
della pedanteria; invano cerchi da esse quel giudizio delle
cose che nasce dalla squisita sensibilità e da una sorla di
reazìon del cuore: se di si falli principj con essi ragioni, tu
foi lo stesso che parlando di musica al sordo, o di pittura al
cieco: manca in essi il sensorio, né il ragionamento tuo lo
può far nascere.
Nella organizzazione degli uomini v'é qualche cosa di
slmile a quello che la fìsica ci dimostra nell' armonia, cioè,
che al suono d'una corda le altre che con lei consonano
fremon tutte ; ma se a questo fenomeno sì presenti uno stro-
mento discorde, non ne vedi alcun effetto. Proverem noi a
una corda stonante, che ora é il tempo di scuotersi? Lo
stesso di de' pedanti generalmente. Costoro non s' ìnducon
mai a giudicar buona o cattiva una cosa qualunque, per-
chè provino al suo affetto una emozione aggradevole o dis-
gustosa; ma chiaman buono quel che somiglia a un tal mo-
dello che si sono prefisso per il modello del buono; chiaman
cattivo tutto ciò che da questo si allontana.
Se alla voce d' un oratore, se ad una scena di teatro tu
9*
102 AI GIOVANI D* INGEGNO CHE TEMONO I PEDANTI.
vedi cader le tagrìme agli uditori, sappi che queste lagrime
sono una matematica dimostrazione dell' eloquenza dell'ora-
tore e della bellezza del dramma. Lascia pur che il pedante
di marmo resti solo insensibile, e ti citi una farragine di te-
sti e d' autori di lingua ; lascia pur che ti scagli contro le
autorità male intese d'Aristotile, di Quintiliano e d'Orazio;
lascialo sminuzzar (ezzo a pezzo l'orazione o la favola, e
trovarvi quelle macchie, le quali provano che ha de' di-
fetti, quelle macchie delle quali Orazio non s'offendeva,
non ego paucis offendar macviUs. Se dopo ciò si ripeta o l'ora-
zione 0 il dramma, vedrai il ghiacciato pedante pianger di
rabbia, perchè tutti i sensibili spettatori piangono una seconda
volta di tenerezza. Ma se tu tremi, e se cirila penna in mano
non sei tu il primo commosso dì quel sentimento che vuoi
eccitare in altrui, come potrai mai farlo nascere? Se men-
tre neir agitata fantasia ti si devono destar le idee, il gelato
flagello della pedanteria ti fischia sul capo, e t'inorridisci
per tema di non derogar con qualche vocabolo, con qualche
frase, all'implacabile autorità de' parolaj, come potrai mai
sollevarti dalla mediocrità?
Un uomo che avea le gambe rattratte dalla podagra, si
che giacea immobile da più anni a sedere, scrisse un com-
piuto trattato sull'arte di ballare, e con somma fatica s'in-
gegnò dì dimostrare qual uso dovesse farsi ora del tendine
di Achille, ora d* altro muscolo, e come il centro di gravità
^el corpo umano cader dovesse ora sul calcagno ed ora sulla
parte più molle della pianta del piede , e cosi dicendo. Si
fec'egli portar in teatro, dove un eccellente ballerino, igno-
rantissimo nella scienza de' muscoli e della statica, rapiva
gli applausi di ognuno colla grazia e colla maestria dell'arte:
il povero podagroso cercava di far popolo, e strillava e citava,
e dicea molte villanie in buona lingua; ma gli spettatori ab-
bandonavansi alla seduzione dell' eccellente pantomimo, e
lasciavano dissertar solo sul ballo Tuomo delle gambe fa
sciate; per il che prese al gottoso talento di scrivere un li-
bro, e gli die il sonoro titolo La canwmata teatrale. Questo
libro fu ripieno di assai podagrose idee e di assai lepidi sil-
logismi, co' punti e virgole religiosamente a lor luogo, per
AI GIOVANI d'ingegno CHE TEMONO I PEDANTI. 103
lo ehe pomposamente vi spiccava la maestà grammaticale.
Ei nel suo libro s' era proposto d' insegnare la vera arte del
ballo a tutta l' Italia ; e V Italia imparò la vera arte di ride-
re. Ma come la uniformità del ridicolo annoia, sol punto in
eoi stavano i leggitori per provar quesl' ultimo sentimento,
gli rimontò la podagra sino alle mani, e cessò di scrivere.
Fortana per il ballo cbe i pedanti ballerini son rari, quanto
frequenti sono i pedanti delle lettere.
Chiunque si determina a coltivar qualcuna delle belle
arti, se non ba quella delicata sensibilità cbe fa provare un
raccaprìccio, e scorrere per le vene un dolce freddo in tri-
buto tii colpi maestri deli' arte, non farà mai nulla di buono.
Nelle scienze e nelle cose di puro ragionamento, il miglior
giudizio è quello cbe si dà dopo un maturo esame ; ma se
nell'eloquenza, nella poesia, nella pittura, nella musica, tu
pensi prima di esclam^^re : bello I buono ! o V artefice non
vale, o non vali tu slesso ; poicbè succede lo stesso effetto,
o cbe tu sia straniero aUe cose, o cbe le cose sleno straniere
a te. Non vi perdete, o giovani di talento, a compilar pre-
cetti, non siate paurosi nelle bell'arti; lasciate cbe sfuggano
alcuni difetti, purcbè sleno ricompensali da molte bellezze. I
tratti che vi proponete da imitare sian quegli che fan na-
scere in voi l'emozione; non temete, e non badate a quei
sgberrì, a quegli assassini della letteratura eh' io chiamo pe-
danti ; seguite franchi il buon genio che vi guida, e sia que-
sto costantemente l' inlimo sentimento. Non v' arrossite di
far degli errori : le più belle cose degli uomini Qe hanno ; le
sole mediocri possono non averne, perchè le mediocri solo
son fatte a sangue freddo. Lasciale ai meccanici temer gli er-
rori ; voi temete i precetti de' pedanti ; e contenti di quella
venustà che danno sempre le buone idee allo stile, e di
quella coltura che allontani la lingua vostra dalla barbarie,
scrivete, e attraverso del gracchiare di que' pedanti che cer-
carono d'avvilire Orazio, che giunsero a far impazzire il
troppo compiacente Torquato Tasso, seguite tranquillamente
la vostra carriera. Hoc habet ingenium humanum ut cum ad
toUda wm iuffècerU, in vacuU el futUibus se atferal. — fijacon. ,
de Àitg, SeUn*
104
Ili ISmCiiOIiARi:.
Trovai jersera an uomo nel Caffè, d'aa carattere e d'un
amore tanto curioso, che merita veramente eh' io ne faccia
qualche menzione ne'miei Fogli. Questo è un uomo che pare
che ami la singolarità delle opinioni anche più che non la
verità, e che dell' ingegno se ne prevalga pia per difendere
i suoi paradossi , anzi che per indagare la vera indole degli
oggetti. Portò il caso che cadesse il discorso sulF architettu-
ra; ed ei cominciò col dire che Vitruvio, Palladio, Vignola,
Michelangelo e simili, non hanno mai ben ragionato sulla
maniera comoda d'alloggiare. Qual' invenzione, diss'egli,
più sgraziata, più ridicola, che quella delle scaie? Che? non
è forse bastantemente vasta la terra, perchè gli uomini in
lungo e in largo vi si stendano; e dovransi da un canto tro-
vare sterminati deserti abbandonati affatto , e dall' altro' do-
vransi sopraimporre una, due, tre case, e per giungervi poi
formare quell'ammasso disordinato di sassi che chiamasi la
scala; dove ritrovi il vecchio ansante , il fanciullo col capo
rotto, dove perdesi uno spazio inutilmente, senza che l'oc-
chio possa mai esseme pago?— Ma, soggiuns'io, signore, co-
me vorreste voi che dal pianterreno si salisse altrimenti al
piano superiore? — Primieramente, rispose il mio Singola-
re, primieramente il piano superiore non vi dev'essere: così
sf vive senza rumore sul capo, e senza tanti pericoli pe'tre-
muotì. Vedete l'Asia quasi tutta: l'Asia non usa piani supe-
riori; ogni casa è tanto sollevata dal pavimento, quanto è
alta la stanza d'abitazione; cosi nelle città si respira un'aria
salubre; cosi le strade non sono più tanti tristissimi canali
incavati, quasi nella superfìcie della terra, ma anzi sono
ameni viali che invitano al passeggio. Secondariamente poi,
quand' anche vogliate ostinatamente aver un piano superio-
re, fatevi un'andata come la natura la fk nelle colline, e per
tutto ove forza è d' ascendere, fate un piano inclinato senza
quegl' inospiti inciampi che chiamate gradini , i quali sono
veramente contrari ad ogni ragione.— Parlò poi in seguito
a SII^GOLARE. 105
deIJe finestra, e laolto declamò contra 1' aso di farle o verso
strada o verso il cortile, sostenendo che queste sono altret-
tanti inviti ai ladri, altrettante aperture per le quali entra
ad assordarvi il mormorio della strada, o vedonsi gli affari
domestici dagli estranei. — E dove prenderà Vossignoria la
tace?— D'onde? rispose il mio Singolare; dalle cupole che
termineraono il vòlto d* ogni stanza. La luce ci vien dal
cielo, e dal cielo si dee prendere, e cosi potete far uso di
tnll'i lati deia stanza anche dove le Gneetre ve lo inpedi-
rebbero.— Molte si fatte cose ancoraci disse suirarchitettnra;
indi, terminalo questo soggetto, taluno della bottega si la-
gnò eoi nostro caffettiere 1>emetrio perché non fosse hastan-
temente caldo il caffè. — Caldo! esclamò il Singolare; pos-
sibile che il pregiudizio di sorbir caldo il caffè sussìsta ancora
malgrado la più evidente ragione in contrario! Io sono ne-
micissimo di tutte le bevande o calde o fredde: l'azione si
del calore che del freddo s' esercita sulla lingua e sul velo
palatina con tal forza, che dfminuisce notabilmente il senso
cbedeve farci distinguere la bevanda; non si distingue mai
bene verun cibo o droga o bevanda, sé ella non sia a un tal
grado da non far sentire né freddo né caldo al palato : il
caffè io lo prendo sempre tepido. — Oh! a proposito di caffé,
prese a dire un altro, il primo tomo del Foglio del Caffè é |;ià
perfezionato; e, a quello che si dice , gli autori pensano di
continnare ancora per lin anno, — Si? rispose il Singolare :
va benissimo. Vi saranno, al conto che ho fatt'io, a que-
st'ora settecento cinquanta mila libri stampati, è nói dovre-
mo r obbligazione agli scrittori del Caffè di contarne sette-
cento cinquantamila e uno. — Io, che procuro di non lasciatmi
contaminare dalle malattie degli autori, non ho preso nessun
partito contro il mio Singolare: ognuno ha le proprie opi-
nioni; e chi vuol farsi leggere dal pubblico deve essere tol-
lerante dei giudtzj diversi che ciascuno ha diritto di proffe
rìre: solamente lo interrogai quale opinione avesse del me-
stiere dì far libri; ed ei mi rispose che era r opposto del
mestiere d' un veinditore di caffè, poiché i libri fanno addor-
mentare, ed il caffè risveglia^ Vennero allora ad avvertirlo
che era giunta la sua carrozza: ei ci lasciò; e osservai che
106 IL SINGOLARE.
la carrozza aveva due timoni e un cavallo solo. Se il mio
Singolare, di cui non so. né il nome uè Talloggio, vuol tras-
mettermi qualche cosa da lui scritta^ io gli prometto d'in-
serirla nel Foglio, e son sicuro che non dispiacerà a' nostri
lettori.
VESÀMJk IPATRIA iMBOIi' WTMLMMM9L. '
Sono nelle città le botteghe del caffé ciò che sono nella
umana macchina gV intestini, cioè canali destinati alle ul-
time e più grosse separazioni della natura,, ne' quali ordina-
riamente per qualche poco di tempo quelle materie racchiu-
donsi, che se in porzione qualunque obbligate fossero alla
circolazione, tutto il sistema Gsico si altererebbe. In queste
botteghe adunque si digeriscono i giuocatori, gli oziosi, i
mormoratori, i discoli, i novellisti, i dottori» i commedianti,
i musici, gV impostori, i pedanti, e simil sorta di gente, la
quale, se tali vasi escretorj non ritrovasse, facilmente nella
società s^ introdurrebbe, e questa ne soffrirebbe un notabile
pregiudizio, Tale per^, almeno in alcune ore del giorno, non
è, la bottega del nostro Demetrio, in cui se talvolta qualche
essere eterogeneo vi s'introduce, per ordinario di persone
di spirito e di colto intelletto è ripiena, le quali, scopo
delle loro meditazioni e de' loro discorsi si fanno la verità e
V amore del pubblico bene, che sono le sole due cose per
le quali asseriva Pitagora che gli uomini divengono simili
agli Dei.
In questa bottega s'introdusse jer l'altro un incognito,
il quale nella sua presenza e fisonomia portava seco quella
raccomandazione per la quale esternamente lampeggiano le
anime sicure e dilicate; e fatti i dovuti offizj di decente ci-
* Sebbene questo Articolo, nelP originale editiope del Cjlttì, non porti la
eonsueU icgattura P degli »ltrì Articoli di Pietro Verri, oìoodiineiio il BìMiehi
nel suo catalogo lo annovera fra jquellt- scritti dal nostro Aniore: il modo ci
pensieri d'altronde ne fanno bastante leslimonio.
DELLA PATRIA DEGL ITALIANI. 107
viltà, si pose a sedere, chiedendo il caffè. V'era sfortunata-
mente vicino a lui un giovine Alcibiade, altrettanto persuaso
e contento di sé quanto meno persuasi e contenti sono gli al-
tri di lai : vano, decidente e ciarliere a tutta prova. Guarda
egli con un certo sorriso di superiorità l'Incognito; indi gli
chiede se era egli forestiere. Questi, con un'occhiata da capo
a' piedi, come un baleno, squadra T interrogante, e con una
cercaria di composta disinvoltura risponde: No, signore.— È
dunque Milanese? riprese quegli.— iVb, signore; non sono Mila-
nese, soggiunse qtiesti,— A tale risposta, atto di meraviglia fa
l'interrogante; e beh con ragione, perché tutti noi colpiti
fummo dall'introduzione di questo dialogo. Dopo la maravi-
glia, e dòpo la più sincera protesta di non intendere, sì ricercò
dal nostro Alcibiade la spiegazione.— Sono Italiano, risponde
r Incognito,' e un Italiano in Italia non è mai forestiere, come
un Francese non è forestiere in Ftancia, un Inglese iti ìnghil-
terra, un Olandese in Olanda, e cosi discórrendo, — Si sforzò in-
vano il Milanese di addurre in suo favore l'universale co-
stume d' Italia, di chiama)*e col nome di forestiere chi non é
nato e non vive dentro il recinto d'una muraglia; perchè
l'Incognito, interrompendolo con franchezza, soggiunse^ —Fra
i pregindizj dell'opinione v'è in Italia anche questo; né mi
maraviglio di ciò se non allora che abbracciato lo veggo dalle
persone di spirito, le quali con la riflessione, con la ragionò
e col buon senso dovrebbero aver a quest' ora trionfato del-
l' ignoranza e della barbarie. Questo può chiamarsi un genio
mistico degl'Italiani, che li rende inospitali e nimicì di lor
medesimi, e donde per conseguenza derivano l'arrenamento
delle arti e delle scienze, e impedimenti fortissimi alla glo-
ria nazionale, latinale mal si dilata quando in tante fazioni
o scismi viene divisa la nazione. Non fa (segoilò^egli) certa-
mente grande onore al pensare italiano 1- incontrare, si può
dire ad ogni posta, viventi persuasi d'essere di natura e di
nazione divèrsi da' loro vicini, e gli uni cogli altri chiamarsi
col titolo di /bre^ém; quasiché in Italia tanti forestieri si ri-
trovassero quanti Italiani.
Da questo genio di emulazione, di rivalità, che dai
Cioelfì e Ghibellini fino a noi fatalmente discese, né viene la
lOS DELLA PATRIA DBGL* ITALIANI.
disunione, e dalla disuoione il reciproco disprezzo. Chi é
queir Italiano che abbia coraggio di apertamente lodare ana
manifattura, un ritrovato, una scoperta, un libro d'Italia,
senza Jl timore di sentirsi tacciato di cieca parzialità e di
gusto depravato e guasto? — A tale interrogazione, un altro
Gaflettante,.a cuiiè eco Alcibiade, esclamò: che la natura degli
uomini era tale di non tenere mai in gran pregio le cose pro-
prie. -^ Se tale è^ia natura degli uomini, riprese rincogni-
to, noi altri Italiani siamo il, doppio almeno più uomini degli
altri , perchè nessun oltremonlano ha per la propria nazione
r indifferenza che noi abbiamo per la «oslra. — Bisogna cer-
tamente che sia cosi, io risposi. Appare Newton neir Inghil-
terra; e lui vivente l'isola ò popolata da' suoi discepoli, da
astronomi, da ottici e da calcolaleri, e la nazione dirende la
gloria del suo immortale maestro contro gli emuli suoi. Na-
sce n^lla Francia Descartes, e dopo la sua morte i Francesi
pongono in opera ogni sforzo per sostenere le ingegnose e
crollanti sue dottrine. Il cielo fa dono all'Italia del suo Gali-
leo; e Galileo ha ricevuti più elogi forse dagli estranei a
quest' ora che dagli Italiani. —
Fattasi allora comune, in cinque eh' eravamo al Caffé,
la conversazione^ e riconosciuto l' Incognito per uomo colto,
di buon senso e buon patriota , da tutti in varj modi si de-
clamò contro la infelicità, a cui da un pregiudizio troppo ir-
ragionevole siam condannati, di credere che un Italiano non
sia concittadino degli altri Italiani , e che V esser nato in uno
piuttosto che in altro punto di quello spazio
Cbe Appennìn parte, il mar circonda e l'Alpe,
confluisca più o meno all'essenza o alla condizione della per-
sona^ Fu allora che rallegratosi un poco, l'Incognito cominciò
a ragionare in tal guisa. — Dacché convinti i Romani della
gran massima attribuita al primo dei loro Re, di avere gU
uomini in un solo giorno nemici prima, e poi cittadini, si de-
terminarono per salvezza della Repubblica ad interessare
tutta Italia nella loro conservazione, passo passo tulli gl'Ita-
liani ammisero all'amministrazione della Repubblica: il per-
chè non vi fu più distinzione di quiriti , di latini ^ di provin-
DELLA PATBU DEGt' ITALIANI. 109
d'ali, di colonie, di municìpj; ma dal Varo alFArsa tatti i
popoli divennero in an momento romani. Ora tuUi wno Ro-
mani, parlanda degV Italiani dice Strabene ; tutti adanqoe
partecipi degli onori di Roma, e tatti ridotti alla medesima
coodizione, con la sola distinzione del censo, cioè di patrìzj
e di plebe. Se le nazioni dovessero gareggiar fra dì esse per
la nobiltà, noi Italiani certamente non la cediamo a nessun' al-
tra nazione d' Europa; perchè, trattone alcune colonie, e la
posteriore indulgenza degl'imperatori allorché spento era il
vigor de' Romani , erano tutte aDa condizione di provincie
rette da magistrati italiani, e da regolata milizia tenute in
dovere; nel tempo che l'Italia rerum Domina si chiamava,
come prima dicevasi la sola Roma.
In cotesti tempi crediamo noi che un patrizio italiano
fosse più o meno d' un altro, o fosse forestiero in Italia?
No, certamente; se perino la suprema di tutte le dignità,
cioè il consolalo, comune sino agli ultimi conOni d' Italia si
rese. Siamo stati adunque tutti simili in origine; che origine di
nazione io chiamo quel momento in coi l'interèsse e l'onore
la unisce e lega in un corpo solo, in un solo sistema. Vennero i
Barbari, approfittando della nostra debolezza, ad imporci il
giogo di servitù, non rimanendo se non che in Roma un gero-
glifico della pubblica libertà nella esistenza del Senato Romà-
no. Sotto a' Goti pertanto siamo tutti caduti nelle medesime
circostanze, e alla medesima condizione ridotti. Le guerre in-
sorte fra' Goti e Greci, la totale sconfitta di quelli e la sopravve-
nienza de' Longobardi han fatto che l' Italia in due porzioni
rimanesse divisa: la Romagna, ii Regno di Napoli e l'Istria
sotto ai Greci; e il tulio rimanente sotto de' Longobardi. Una
lai divisione non alterò la condizione degl' Italiani se non in
qoanlo che quelli che sotto a' Greci eran rimasti , seguirono
a partecipare degli onori dell' Impero trasferito in Costanti-
nopoli; memorie certe ne' documenti essendosi conservate di
Romagna, d'Istria e di Napoli, de' THlmni, de^'Ipali o Con-
*oU, nel tempo che l'altra parte d^Italia sotto il tirannico go-
verno de' Duchi e dei Re barbari si perdeva. Ma rinnovato
l'Impero in Carlo Magno, eccoci di nuovo riuniti tutti in un
sistema uniformo. Questo fu lo stato d'Italia per Io spazio di
u. * 10
ilO DELLA PATUIA DBtìL* ITALIAM.
undici secoli; e questo non basta a persuader grltaliaìii d'es-
sere tutu «mili fra di loro e d'esser tulli italiani? —
Qui dolcemente interrogò un Caffeliante, pia per piacere
che la conversatone progredisse più oltre, che per vagbezzst
di opporsi: s'egli credesse che dopo tali tempi gl'Italiani patito
avessero sproporzionatamente qualche deliquio o alterazioBe
di Stato, o sia di condizione e di dignità? — Dopo tali tempi, il
nostro Incognito prontamente soggiunse, è noto ad ognuno
cosa accadesse. La di8t9nza degl' Imperadorì , la loro debo-
lezza , e la gara fra i concorrenti all' Impero diede comodo
agi* italiani di risvegliare e porre in molo i sopiti spiriti di
libertà; e ciascheduna città dal canto suo, tentò di scuotere
un giogo che non aveva origine da verun diritto, ma bensì
dalla forza sola, e che per la tirannia era diventilo insoppor-
tabile. Allora fu che modificandosi in varie guise questo ori-
ginario e perdonabile trasporto di obbedire alle leggi e non
all'altrui volonlàj alcune delle città si eressero, e, per me-
glio dire, ritornarono ai proprj principj d' un governo re-
pubblicano; ed alcune altre sotto a' proprj capi o ecclesia-
stici 0 secolari esperienza fecero delle proprie (brze. Quindi
nO' venne che alcuni Italiani delle proprie città divenissero
padroni o sovrani; ed alcune altre nella condizione di repub-
blica si mantenessero. Felice l'Italia, se questo comune genio
di libertà sparso per tutta questa .superficie fosse slato diretto
ad un solo fine, cioè all' universale bene della nazione! Ma i
diversi partiti del Sacerdozio e dell'Impero tale veleno negli
animi degl'Italiani introdussero, che non solo città contro
città, ma cittadino contro cittadino, e padre contro figlio,
si vide fatalmente dar mano all'armi. Allora alcune città,
mercè V industria e il commercio; della debolezza delle altre
si approfittarono; uè la pace di Costanza altro produsse che,
fomentando la disunione, prepararle città quasi tutte a per-
dere intéramente la libertà per quella medesima via per la
quale credevano di ricuperarla. Ora, ciò posto, qual difife-
ronza ritrovar si può mai fra Italiano e Italiano, se uguale è
r origine, se uguale il genio, se ugualissima la condizione?
B se non v' è differenza , per qual ragione in Italia tale in-
dolenza, per non dire alienazione, regnar deve fra noi da vi-
DELLA PATRIA DEGL'ITALIANI. Ili
lipeDderei scambievolmente, e da credere straDÌero il bene
della nazione? —
Ma il nostro Alcibiade, riscosso come da un sonno, e
come se nulla avesse inteso del segvilo ragionamento, pren-
dendo con una certa tal quale impazienza il risultato di esso,
cioè le ultime parole, esclamò: — Se le vostre massime si ren-
dessero comuni, non vi sarebbe più dislina;ione fra città e
città, fra nobile e nobile; e inutili ornamenti sarebbero i eQn<>
trassegni d'onore e le. decorazioni che ci vengono dalle mani
dei principi.
— £ che male ci trovereste voi, soggiunse V Incognito,
io (al sistema? Una muraglia che chiuda e cinga trentamila
case, ha forse per qualche magia acquistata prerogativa mag-
giore d'un' altra che non ne cinga che mille, quando tanto
neiruna che neir altra il popolo sia deUa medesima orìgine
e della medesima condizione? Non nego io già che, dati i
jNregiudizj e gli seismi presenti, non dobbiamo anche a que-
sti dooar qualche cosa, e distinguere le città che non sono ad
altre leggi soggette che alle proprie; e dopo queste distin-
guere ancora le città di primo e di secondo rango, cioò
qaelle che sono state partecipi della maggiore di tutte le no-
biltà, vale a dire della romana, che nel tempo di mezzo
ritornarono allo stato repubblicano, e che capitali sono di pro-
vincia 0 di considerabile territorio, da quelle altre che ori?
gine hanno meno lontana e che in provincia sono ridetto.
Bispettabili altresì sono i personali distintivi caratteri degr in-
dividui, come pubbliche testimonianze del loro merito, sìa
per uffizj e dignità ch'essi coprono, sia per onori d'opi-
nione onde aono cosi coperti; cosicché venerabili sono le in-
segne tutte, dai quadrupedi ai volatili sino ali' ultima stella
della coda dell'Orsa minore, e da queste alle intellettuali so-
stanze dell'Empireo; ma non per questo si dirà mai che^un
Italiano sia qualche cosa di più o di meno d'un Italiano, se
non da quelli a' quali manca la facoltà di penetrare al di là
del confine delle apparenze, e che pregiano una pancia do-
rata e inargentata più che un capo ripieno di buoni sensi ed
ntilinente ragionatore. Alziamoci pertanto un poco, e risve-
gliamoci alla fine per nostro bene. Il Creatore del tutto nel
112 DELLA PATRIA DEGl' ITALIANI.
sistema planetario pare che ci abbia volato dare un'idea del
sistema politico. Nel foco dell'Ellissi sta il Sole: piatieti
o globi opachi che ricevono il lume da lui, vi si aggirano in-
tomo nel tempo medesimo che sopra i proprj assi esegui-
scono le loro rivoluzioni. Una forza che li spinge per linea
dritta contro un'altra che al Sole medesimo gli attrae, fa che
un moto ferzo ne nasca, onde, secondo le reciproche loro di-
stanze e grandezze , mantengono intorno al centro comune
il lor giro. Alcuni di quésti globi intorno dì sé hanno de' globi
più piccoli che con le medesime leggi si muovono ; alcuni
altri seno soli e isolati^ Trasportiamo questo sistema alla no-
stra nazionale politica. Grandi o picciolo sieno le città, sieno
esse in uno o in altro spazio situate, abbiano esse partico-
lari leggi nelle rivoluzioni sopra i proprj assi, sieno fedeli al
loro naturai sovrano ed alle leggi, abbiano più o menò di
corpi subalterni; ma benché divise in dominj diversi e ub-
bidienti a diversi sovrani, formino una volta, per i progressi
delle scienze e delle arti, un solo sistema; e 1' amore di pa-
triotismo, vale a dire del bene universale della nostra na-
zione, sia il solet;he le illumini e che le attragga. Amiamo
il bene ovunque si ritrovi; promuoviamolo ed animiamolo
ovunque rimane sopito o languente; e lungi dal guardare
coll'occhio dell'orgoglio e del disprezzo chiunque per mezzo
delle arti e delle scienze tenta di rischiarar le tenebre che
l'ignoranza, la barbarie, l'inerzia, l'educazione hanno sparso
fra di noi, sia nostro principale proposito d' incoraggirlo e
premiarlo. Divenghiame pertanto tutti di nuovo Italiani, per
non cessar d' esser uomini. —
Detto questo, s'alzò improvvisamente l'Incognito, ci sa-
lutò graziosamente, e parli, lasciando in tòlti un ardente de<
siderio di trattare più a lungo con lui, e di godere della ve-
rità de' di lui sentimenti.
113
n TU, TOM • MfJBM.
Gli antichi Italiani, ne* tempi ne' quali da Roma si spe-
dÌTano i decreti all' Inghilterra ed alla Siria, parlandosi l'un
rallro, usavano la seconda persona singolare , e cosi scri-
vendo Orazio ad Augusto diceva:
Godi piuttosto un nobile trionfo, -
Ed udirti acclamar principe e padre;
Né inulto cavalcar veggasì il Parlo,
Te duce. Augusto.
Né altro modo di conversare era in queUempi conosciuto io
Italia. Gredevaù allora che i precetti dell'urbanità non fos-
sero giammai violati dalla natura delle cose, e perciò, per di-
segnar la persona sola alla quale si parlava, dieevasi Tu.
Noi, che, grazie al cielo, abbiamo degli oggetti che ci occu-
pano assai più vasti di quelli che non avevano gli antichi
Ilaìiani , noi che per conseguenza siamo uomini d* una im-
portanza altrettanto maggiore, non soffriamo che ci venga
dato del Tu; e la ragione si è, perchè ciascuno di noi vale
almeno per due, onde in tutta confidenza ci vien dato del
Foi; anzi, malcontenti di valer per un paio, esigiamo con
ogni ragione che nessuno ardisca d' indirizzare il discorso
né supponendoci uno né supponendoci più d* uno, ma bensì
che si parli aUa nostra SignoHa. Noi propriamente siamo
tanti sultani ; e chi ci parla non deve osar di parlare a noi,
ma deve esporre i suoi pensieri alla nostra inseparabile Si-
anùria, che fa 1' ufficio di gran visir. 1 Tedeschi sono andati
ancora più oltre di noi; poiché, sembrando troppo modesta
la creazione d'un solo gran visir, hanno creati molli gran
visir per un sultano solo, e cosi parlano sempre a loro, terza
persona del numero plurale. Da queste vaghe invenzioni
^'nostri antenati ce n' è venuto il vantaggio di trovarci in
continua dissensione colla grammatica, di dover rendere le
idee nostre con infinitì giri di parole, di snervare sensibil-
mente tutto ciò che vogliam dire, e di tassellare il discorso
con moltissime riempiture che non contengono veruna idea.
10*
114 IL TU, VOI E LEI.
Nello scrivere poi eon tante raffinatissime invenzioni è cosa
da rovinar nn galantuomo , perchè bisogna supplicare divo-
tamente la sua Signoria a concederci V onore de* riveriti suoi
coniandamentif e la gloria di protestarci divotissimi ed obbUga-
tissimi servitori; cose tanto gentili e belle, che se le trovas-
simo scolpite snlle piramidi d' Egitto da que' scultori mede-
simi che adoravano le cipolle, 1 coccodrilli e i buoi, ancora
dovrebbero parere strane alla ragione. Se Tallio, allorché
faceva la soprascritta delle sue lettere in questi termini : À
Cesare Imperatore, gli avesse taluno detto: Sappi, Tallio, che
da qui a diciolto secoli, in questo luogo stesso ove tu scrivi,
si dovrà al più meschino avvocatene scrivere cosi: aW Illu-
strissimo Si^Mre Signore Padrone Colendissimo il Signore Av-
vocalo Tale ; che avrebbe mai pensato il consolare Tullio in
qoe* tempi? I Francesi e gl'Inglesi si sono dipartiti dalla ra-
gione meno di noi; ma i Francesi camminano già alla terza
persona di gran galoppo; e i più naturali e costanti nel
bene so questo articolo fra le nazioni a noi vicine, sono i
Napoletani.
Se io, scrivendo a un gentiluomo, dicessi, 'per esempio,
cosi: Sappi ch'io stimo la tua virtù, bramo la tua umicixia ,
desidero di provartelo , addio ; qua!' inurbanità o licenza pò*
trebbe mai rimproverarsi al mio stile? Eppure son costretto
a esprimere presso poco questi miei pensieri con questa far-
ragine di palloni da vento: Prego V. S, lUustrissima ad es-
sere persuasa che è profondissima in me la stima deUe notUi
sue virtù, che sarei felice se potessi ottenere V onore deità sua
grazia, e che qualunque volta ta medesima si degnerà conceder"
mi le occasioni per contestarle la verità di questo mio riv0rente
desiderio, Ella accrescerà que' titoli in me, pe' quali ho la gioria
di dirmi divotissimo oWigatissimo Servitore, La metà per Io
meno di queste parole sono vuote di senso, e la terza parte
sono bugie: il gentiluomo che riceve la mia lettera , la con-*
sidera come un foglio di carta sporcato d'inchiostro secondo
si usa, me ne spedisce un altro sullo stesso conio, e con que-
sta mutua maniera di scrìvere si rimane sempre sid liminare
della corrispondenza senza entrarvi mai.
Dico di pia, che io stile diventa talmente languido, che
IL TU, VOI E LEI. 115
Bon é possibile l' esprimere bene e nobilmente oon esso ve-
ron pensiero an po' saperìore alle volgari oflSciosità. Questa
imita la sentono a prova tutti gì' Italiani cbe vogliono nella
lor liDgaa scrìvere conservando un carattere elevato. I ira-
giei singolarmente sono nella necessità di ricorrere alla sem-
plicità antica per sostenere con dignità il diabgo:
Signor, che pensi? In quel silenzio appena
Riconosco Gaton. DoY*è lo sdegno ec.
Cosi si parla a Catone. Se invece l'autóre avesse detto: Che
pefuaii , 0 signor? ognimo sente quanto sia meno augusta
questa seconda maniera di parlare. Se poi invece dicesse:
Cht pensa Vostra Eceellenta, signor Don Catone? la tragedia
farebbe rìdere assai. Questa prova facciasi su mille altri
fsempj, e troverassi cbe sostituendo il nostro Voi^ o Leiy al
Tic che ci detta la natura, ogni più bel discorso deve neces-
sariamente snervarsi.
I Qwikere fì-a le molte stravaganze che hanno voluto
immaginare, hanno però questo di buono, eh' essi non par'*
lano altrìmenti a veruno , nò a veruno scrivono, che in se-
conda persona singolare. Scrìveranno essi al re in questi
(emiini:
Sire,
Ci rallegriamo del tuo am^enimento al trono: sappiamo che
. tu sei giusto, che sei illuminato, che sei clemente, onde renderai
cospicuo il tuo regno, e memorabile presso i posteri per la feli-
cità pubblica. Possa tu godere per molli anni delle benedizioni
nostre, e della g\oria di aver benefieataVumanila.il nostro amore
e la felicità nostra per la tua real persona, sono eguali alle tue
luminose virtù. Tai sono i veri sentimenti de* fedeli tuoi sudditi.
Cosi si scrìveva a Cesare, ad Augusto ed agli altrì impera-
tori, mentre l'Impero Romàno comprendeva buona parte
d'Europa, e s'estendeva sull'Asia e sull' Affrica. Pare che
col tempo, a misura che son venute meno le cose, sieno di-
ventate più ampollose le parole, e che gli nomini abbiano
cercato di farsi una illusione con ciò , e nascondersi il pro-
prio decadimento. Le formalità in ogni genere sono sempre
116 IL TU, VOI E LEI.
tanto più care e imprescindibili, quanto è minore la vera
forza 6sicà.
Un certo signor Agapito SHmle , discendente da quattro
o cinque oziosi che avevano consumato il grano di alcune
pertiche di terra vivendo oscuramente in un viliaggio, e che
perciò si credeva nobile , ricevette una lettera curiosa , e
nella soprascritta vi stava cosi : Al conosciutisHmo che co-
manda, che ha dirilto di comandare , da coltivarsi moltissimo ,
che comanda, Agapito Stivale. Il signor Agapito fu maraviglia-
tissimo per tutto questo caos di roba; e ciascuno de'miei let-
tori lo sarà al pari del signor Agapito, sin tanto che non fac-
cia la seguente riflessione: che conosciutissimo rassomiglia
molto a illustrissimo, che signore è quello che comanda, che
padrone è quello che ha diritta di comandare , e finalmente
che colendissimo è la stessa cosa che il dire da coUivarsimol'
tissimo: e la stessa impressione che fanno i titoli dati al si-
gnor Agapito a tutti noi, la devono fare presso i forestieri i
titoli ordinar] delle nostre lettere, e probabilmente la faranno
anche presso gì' Italiani che Terranno dopo di noi. Io vado
sperando che torneranno gli nomini ad essere nna unità, ed
a non vergognarsi d'esser uomini; più la coltura dell'inge-
gno s' avanza , e più ci accostiamo a quella vera e dolce ur-
banità che consiste semplicemente nel non cagionare dispia-
cere o disagio ad alcuno, conformando liberamente i modi
nostri alla natura delle cose, e non contorcendo nò la per-
sona, nò la lingua, nò i pensieri su i modelli ereditati. Al-
lora si scriverà e si parlerà come esige la ragione. Frattanto
conviene avere la santa flemma, e presentare le nostre im-
barazzatissime circonlocuzioni alle signorie, acciocchò le pas-
sino agli uomini possessori di quelle signorie, e lasciar che la
grammatica si lagni se scriviamo in femminino anche agli
uomini: Ella sa. Ella ben conosce ec. E indirizzare le nostre
lettere agli lUustrissimi Signori , Signori Padroni Colendissi-
mi, poichò tali mutazioni sono l'opera del tempo, non mai
della ragione
117
US PAlftOUS.
È già stato detto che ogni virtù consìste nelle parole,
nelle erbe, nelle pietre : col trascorrere de' secoli, le erbe e
le pietre hanno perduta buona parte della loro virtù neir opi-
nione degli uomini; ma le parole nèThanno perduta, né v*è
apparenza che sieno per perderla giammai. Sinché Cesare si
contentò di usurpare la libertà pubblica, e di rendere sudditi
della sua, persona i Romani, che eran sudditi delle leggi, Ce-
sare visse onorato, libero e forse amato: cercò Cesare \à pa-
rola Be: i cittadini romani, che gli avevano cedute tutte le
cose, non gli vollero cedere quella parola, e lo trucidarono.
Cromwell ben intese questa verità, e si contentò di prendere
agr Inglesi le leggi e la libertà senza cercare altra parola
che quella di Proteltore. Gli uomini sono generalmente ben
rappresentati da quella sentinella, la quale lasciava passare
per ana porta chiunque diceva voglio uscire, e rimandava
chiunque diceva vàglio entrare. Alcune sere fa, mi trovai in
una adunanza dove un uomo lesto faceva il giuoco de' bus-
solotti con mirabile destrezza. Uno de' spettatori, poco da me
discosto, con un sorriso di compiacenza di sé stesso, pretese
di spiegare la cagione di tanti portenti, attribuendola alle
candele artefatte, le quali illuminavano la stanza. Un'altra
volta, trovandomi presente ad alcuni maravigliosi equilibrj
di persona fatti da un uomo del mestiere , udii un altro che
ne spiegava la cagione ad un vicino, sostenendo che era per
forza della calamita. Né l'uno né l'altro di que' bravi spi ega-
torì di prodigj rifletteva che sarebbe stalo un prodigio ancora
più difficile a comprendersi, se vi fossero candele col lume
delle quali comparissero e sparissero gli oggetti a piacere ;
se vi fossero delle calamite disposte in guisa da tenere un
corpo umano appoggiato col capo sii una punta in equilibrio;
e che, ricorrendo alla disinvoltura ed all' àbituazione d' en-
trambi, la spiegazione era molto più vera e naturale. Uno si
accontentò della parola candela , l'altro si accontentò della
parola calamila; in guisa che ne cavo un teorema generale,
118 LE PAROLE.
che gli uomini sono difficilissimi a contentarsi delle cose, e
facilissimi a contentarsi delle parole , trattine i soli gramma-
tici, i quali per l'opposto difficilmente s'appagano delle pa-
role, e ricevono pazientemente le cose significate da esse,
buone o cattive. In generale gli uomini sono come coloro i
quali immaginavano che la terra fosse una vasta superficie
orizzontale. Chi porta questa superficie? dicevano alcun!.— Un
elefante sul suo dorso, rispondevano i dottori. — E l'elefante
dove appoggia i suoi piedi? (erano i begli spiriti che anda-
vano sin là colla indiscreta domanda). — L'elefante preme la
schiena d'una testuggine, soggiungevano i dottori. —E questa
su di qual base venisse sostenuta nessuno s'immaginò di do-
mandarlo. Il popolo va sempre appena un dito al di fuori de-
gli oggetti che immediatamente feriscono i suoi sensi, e tosto
ch'ei sia alla schiena dell'elefante, non cerca più in là. Le
parole sono le arbitro dell'universo. Le parole Antico, Mo-
derno, Guelfo, GhiheUino, Teorica, Pratica, e simili, sono le
vere parole magiche. Queste riflessioni è vero che non fanno
nascere in noi una molto vantaggiosa idea della ragionevo-
lezza universale degli uomini ; ma questa palpabile verità è
sempre bene conoscerla ; è sempre bene il valutar gli oggetti
per quello che intrinsecamente meritano, il prevenirci noi
medesimi per non essere contaminati, se è j^ossibile, dal-
l'errore comune, ed amare con tutto ciò gli uomini, nostri
fratelli, e far loro del bene , e perchè lo vuole il dovere, e
perchè gli errori umani, a ben esaminarli, sono una sorta
di febbre morale, più degna della compassione del saggio,
che di verun altro sentimento.
119
FRA UN MANOARIIVO CHINESE E UN S011E<1ITAT0RE.
Mandarino. Perdonatemi, signore: io viaggio l'Europa
per Istriiinni; compiacele, vi prego, alla mia curiosila. Perché
VI chiamale voi #oWccitotor«? Che soUécitnclìne avete per pro-
SoUecilalore, Volentieri ve lo spiegherò. Io mi chiamo
soUeeUatore, perchè sollecito acciò si decidano le cause.
Mandarino. E che vuol dir le eause?
Sollecilatore. Vuol dire le dispute di giurisprudenza,
Mandarhu>, Cosa è questa giurisprudenza?
SoUecilalore. La giurisprudenza è la scienza deHe cose
umane e divine. Parte del giusto e dell'ingiusto.
Mandarino. Voi dunque sapete la giurisprudenza?
SoUeciiatore. Sicuramente ; è mio mestiere.
Mandarino. Sia ringraziato il ciclo che finalmente mi
trovo beo ricompensalo de' miei lunghi e pericolosi viaggi.
Eccomi un uomo che sa le cose umane e divine, cioè lulte
te cose, il quale potrà rischiarare i miei dubbj< Ditemi dun-
qoe, Sollecitatore, ditemi come il grand' Essere Creatore del-
l'aniverso abbia impresso il molo ne' corpi celesti, ditemi
<^<nQe mantengasi vìvo senza consumarsi o scemare sensibil-
mente il fuoco del sole : è tanto tempo che vi ho pensalo
sema poter penetrare questi misteri, ne ho consultali tanti
inulilmenle per averne idea chiara, che merito finalmente
<i'es8ere illuminato.
SoUecilalore, Mandarino^ mi fate ridere: che volete voi
eh' io sappia di queste cose? voi dovete^domandarle all'astro-
nomo. Noi giurisperiti non badiamo a queste sottigliezze; il
nostro mestiere c'insegna le cose di questo mondo, non già
dell'altro.
Mandarino. Ma perchè dunque mi diceste che era vostro
n^esliere la scienza delle divine e delle umane cose?
SéUtcitalore. Mandarino, voi noii sapete i primi principj:
120 DIALOGO FRA UN MANDARINO CHINESE EC.
Divinarum humanarumque rerum nolUia, recti alque injusli
scientia. S'impara nella prima lezione: ognuno lo sa.
Mandarino. Veramente io non vMntendo troppo, Solleci-
tatore; pure lasciamo le cose celesti, e veniamo aita scienza
delle cose umane. Ditemi di grazia, perchè mai l'ago magne-
tico si rivolge verso il nord ; perchè i corpi gravitino sulla
terra; perchè l'aria sembri pesar meno quando è pregna di
particelle umide ; perchè la luce sia un composto di sette di-
verse materie , come ho veduto chiaramente da che sono in
Europa. Caro SoHecilatore, ditemene qualche cosa.
Sollecitatore* MsLndmno y siete veramente mandarino
Sapete che se qualcuno ci ascoltasse^ riderebbe di voi ma
sonoramente? Che volete eh' io sappia di queste inezie? son
giuochi da fanciulli, Mandarino, cotesti.
Mandarino, Sollecitatore mio, la contemplazione dell' ani-
verso e de' miracoli della natura giuoco da fanciulli! Cosa è
dunque che tu chiami scienza, cosa è che tu chiami grande?
se non lo sono, prima, il Creatore, poi le stupènde opere
della sua mano? Ma giacché questa tua scienza delle divine
e delle umane cose non comprende né le cose divine né le
cose naturali, illuminami almeno sulle cose degli uomini.
Dimmi un po', Sollecitatore; quando è stato che i tuoi Euro-
pei hanno principiato ad aver qualche idea dell' antichis-
simo Impero dov' io son nato, e che in Europa si chiama la
China?
Solleeilatoire. Che vuoi tu eh' io m'impacci degli affari
de' tuoi Chinesi? Ho ben altro da fare.
Mandarino, Ma non sai tu la giurisprudenza, mi dicesti?
Sollecitatore. È il mio mestiere; te l'ho già detto.
Mandarino. E la giurisprudenza non è, m'hai pur detto,
la scienza delle umane e delle divine cose?
Sollecitatore. Ogni principiante te lo dirà, se non lo sai.
Mandarino. Ma a che si riducono queste divine e umane
cose, che sai per tuo mestiere?
iSoUecitatore. Ti voglio compiacere. Ora, per esempio,
ho due punti brocardici per le mani....
Mandarino. Brocardici! non intendo questa parola.
SoUedtatore. Voglio dire due articoli difficili. Gran pa-
DIALOGO FBA ON BfANDABINO CBINESE BC. 121
zìenza che ci vaolé con voi altri Mandarini I Questi due punti
brocardici sono : il primo per vedere se il maschio dalla fem-
mÌDa debha essere preferito nel fedecommesso in concor-
renza d'an estraneo; l'altro è per fare la graduazione d'un
coDCorso fra i chirografarj e gl'istromentar], e distinguere le
poziorità, e liquidare le doti e i beni vincolati.
Mandarino. Sulla mia parola, Sollecitatore, io non in-
teDdo che ti voglia dire.
SoUecilatore. Vuol dire.... Quando una madre viene a
morire nel tuo paese, chi diventa padrone della sua roba?
Mandarino. Suo marita, se vive ; e, se è morto, i suoi
figli.
SoUecilalore, E se vi fosse un fedecommesso in con-
trario?
Mandarino. Che vuoi tu dire colla 'parola fedecommesso?
SollecHaiore. Povero Mandarino! Fedecommesso è una
legge fatta da un uomo privato, con cui dispone in chi de-
vono passare i beni suoi in inOnito.
Mandariw). Nel mio Impero i privati non fanno leggi; e
se osassero farne, sarebbero puniti come rei di lesa maestà.
H far leggi non spetta che al sovrano.
SoUecilatore. Ma un uomo non dispone del suo? Se è suo
un bene, deve pur poterne disporre.
Mandarino. Ne dispone sin che è uomo ; ma tosto che la
morte ha distrutto Tuomo, e che i due prinoipj che compone-»
▼ano l'uomo si sono separati, uno andando in altre regioni,
l'altro corrompendosi nel sepolcro, non è più chi debba dis-
porre di qae' beni. La legge ha regolate le successioni se-
condo i gradi di parentela, e non abbiamo altra norma, e
non ne vengono disordini.
S(Mecilatore. £ impossibile cfa' io mi faccia intendere su
qaesto punto; l'ignoranzia è troppo ctassa. Dirò qualche cosa
dell'altro. Quando nella China un uomo fallisce, cosa si fa?
Mandarino. Se è per sua colpa, sì fa appiccare come reo
d'aver violata la fede pubblica de' contratti, e d'aver rubato
l'altrui: se è per semplice disgrazia 9 v'è un fondo destinato
per soccorrerlo, in caso che abbia capacità di regolare i pro-
prj interessi.
II. 11
122 DIALOCM) FRA UN MANDARINO CHINBSE EC
SolledUUore. Noa cerco qaesto. I beni d'an fallito come
si dividono?
Mandarino, A proporzione del credito di ciaacimo.
SolUcUaUn'e. Ma i creditori più antichi non hanno (radi
Toi alcun privilegio?
Mandarino, I creditori più antichi hanno ricevuto gl'in-
teressi per più anni, e non v' è ragione per prediligerli. La
sostanza del fallito in quindici giorni si divide; e se basta a
pagare la metà dei crediti^ si dà a ciascuno il cinquanta per
cento, e cosi terpaina.
Solleeitaiore. Ma chi ha i suoi crediti per istromento, vo-
lete voi paragonarli a chi gli ha su un semplice biglietto?
Mandarino, 0 il credito è provato, o non lo è : se é pro-
vato, qualunque sia il mezzo con coi si prova, è tutt' uno; se
non lo è, non si pagar.
SoUeeilatore, Mandarino, la vostra legge non. mi qua-
dra: So colla giurisprudenza, co* fedecommessi, e co' falli-
menti guadagnò due mila scudi all' anno.
Mandarino, Se non avessi altra mercanzia, Sollecitatore,
tu morresti di fame a Pekino.
Sollecitatore, Perchè voi altri Ghinesi siete ignoranti,
siete stati ignoranti, e sarete sempre ignoranti; n'è v'ò pa-
ragone fra di voi altri e noi Europei.
Mandarino, Vedete voi in Europa molti Ghinesi che ven-
gano a chiedere qualche cosa del vostro?
SoUecUalore. Voi siete il primo che abbia veduto in vita
mia.
Mandarino, Ed io degli Europei nella Ghina ne ho ve-
duti migliaia prima che ne uscissi. Voi altri venite a com-
prare il nostro thè, le nostre porcellane, le nostre vernici,
le nostre stoffe di seta» i nostri colori, i nostri profami, le
nostre carte, le nostre pitture, e le case europee quasi tutte
ne hanno. Delle mercanzie vostre, e dei vostri iedecommes-
si^.ginrispfttdenze, scienze divine e umane, e sollecitatori,
non ne ho mai inteso a parlare nemmeno alia corte di Pe-
kino.
123
8V I PABOIiJJI.
Ne* Fogli nostri dell'anno scorso abbiamo in dirersi luo-
ghi parlato di quel ferreo rigorismo di lingua, che alcuni
grammatici vorrebbero pure che fosse neiritàlia la prima
legge delle lettere; e ci siamo assai chiaramente e co'fatti e
co'discorsi mostrati ragionevolmente libertini in questa ge-
nere. So che taluni d^'rigidi osservatori di que' principj hanno
monnorato contro di noi ; né in ciò troviamo noi motivo di
maraviglia, o di lamentanza veruna: ma cosa importante as-
sai pel progresso delle lettere e delle scienze si è, che nella
universale opinione vengano una volta fissati i giusti confini
che aver debbe l'autorità de' puri grammatici, acciocché l'uf-
ficio loro non resti né affatto destituito di forza, né innalzato
sino alla tirannia degli ingegni, alla quale tentano di giungere
qualora non trovino valide opposizioni. Lo scoraggiamento,
che inspira negli animi de' giovani inclinati alle lettere la fer-
rea voce di tanti accigliati grammatici, lo sconvolgimento
d'idee, che con ripetuti e incessanti tolpi fanno essi nelle
tenere menti, rivolgendole tutte alla considerazione mecca-
nica delle parole, e spègnendo co' gelati loro precetti ogni fe-
lice germe di filosofia e di gènio, sono un male sì importante
per gl'ingegni italiani, che noi non ci stancheremo mai di
tratto a tratto ragionarne, e opporvìci per quanto è a noi
permesso; giacché, come l'errore, cosi anche la verità più
facilmente s'imprimono presentandosi alla mente con repli-
cati tentativi, e sotto diversi aspetti. Ella è cosa per sé evi-
dente, che l'essenza d'un discorso consiste nelle cose che si
dicono, e le parole altro non sono che i mezzi coi quali vien
significato il discorso: quindi è evidènte pure che il primo
oggetto dell'attenzione d'un uomo ragionevole devono essere
le cose, e le parole devon essere un oggetto assai secondario.
I^er giudicare del merito d'un' opera, la prima importante
l'isla deve esser quella della natura delle idee ch'ella contie-
ne, se giuste ovvero false, se grandi ovvero volgari, se
importanti ovvero frivole. Dopo di ciò, deve aversi di mira
124 su I PAROLAI.
il metodo col quale esse idee sono disposte, dal qual metodo
dipendono principalmente la chiarezza, la facilità e T im-
pressione più 0 meno efficace, che esse idee possono fare
nella mente. Dopo ciò deve pur porsi mente alla diffusione
o ristrettezza del discorso; due estremi, i quali egualmente
rendono noiosa e difficile la lettura ; uno , perchè, essendo
molto da loro distanti le idee principali e interessanti del-
l'opera, difficilmente lo spirito umano si risovviene di latte
le antecedenti, onde non restano impressi con esatti contor-
ni, dirò cosi, gli anelli di quella catena la qual rappresenta
il passaggio dalla verità conosciuta alla incognita: Taitro,
perchè, accavallandosi le idee forti e primitive Tunaairaltra,
richiedesi troppa fatica e contenzione nell'animo del lettore
per interrompere cop continui ragionamenti del suo la lezione.
Dopo tutti questi oggetti vengono le parole e la disposizione
di esse; e chiunque ne'suoi precelti o nella sua pratica in
segna o fa vedere di anteporre il pregio delle parole ad ogni
altro, e di giudicare d'un autore sull'osservazione di alcuni
capricciosi precetti dettaci da alcuni privati, e non mai adot-
tali universalmente dall'Italia,, offende il senso comune ed
ogni principio di ragionevolezza.
Sappiamo esattissimamente che gli uomini già inzuppati
di principj di tirannia grammaticale non si convertono mai;
poiché non è ppssibile convertire altrui, se non col ragiona-
mento, e chi è avvezzo a posporlo alle parole, non lo sente.
Coloro non leggono i nostri Fogli; né ad essi intendiamo noi
di ragionare : ma i nostri Fogli son letti da molti uomini il^^
minali e discreti , son letti da alcuni giovani minacciali dalla
tirannia de'pedanti; e deve esser caro ai lettori nostri il ve-
derci in guardia per combattere questi nemici degl'ingegni
italiani, acciocché, se è possibile, colla generazione presente
sia spanta la sella de' Parolai, che da tre secoli a questa parte
non ha mai fatto nulla di buono. Di essa potrebbe dirsi qoello
che Quintiliano scrive nel lib. II delle IwtUuzùmi, cap. 9:
Nihil enim pejus est iis qui paulum aliqui^ ultra primas HUi-
ras progressi falsam sibi 8cienli0 persuasionem in4uerunt, nom
et credere prmeipiendi perilis indigmntur, et jure quodam pò-
tetlatis quo fere hoc hominum genus inluscit, imperiosi aique
su I PAROLAI. 125
scBvientes sluUitiam suam perdocenL Seno costoro degni del
lilolo che dà Cicerone nelle questioni accademiche di optnto-
sisHmi homines; e vedendo con quale ostinazione ricasido di
piegarsi alla hice dell'evidenza, pare che siano dipinti da
Quintiliano, InstiluL Orai., lib. XII, cap. 11, dove dice : Vtlui
sacramento rogali, vel etiam super slitione eonstricli, nefiu du-
cunt a suscepta semel persuasione discedere.
L'autorità degli antichi è perfettamente contraria alle
pretensioni del dispotismo grammaticale. Noi vediamo presso
Quintiliano come cura verborum derogai affeclihus fidem. Noi
vediamo presso Orazio che la bellezza d'un' opera in ciò
consiste,
ut sibi quisquis
Sperei idem , sudet multum., frustraque lahoret
Àusus idem,
Vediamo che gli ornamenti e le lisciature del discorso fu-
rono disapprovate, quando giunsero alla tirannia a cui si
vorrebbero portare dai grammatici, da Cicerone, ad Heren-
nmm, lib. IV, dove così: Gravilas minuilur exornalionibus [re-
quenler coUocaiis, quod est in his lepor et fesliviias, non dignitas
ncque pulchritudo, Vediam presso Salviano delle proteste si-
mili a quelle che abbiamo fatto noi, e che prima anche di
noi han fatto tutti gli uomini ragionevoli: Nos, rerum magis
qucan verborum amatores, utilia potius quam plausibilia secta-
mur; non id qucsrimus ul in nobis inania smculorum ornamenr
la, sed ul sàlubria rerum emolumenta laudenlur. Seneca poi fu
de'più decisi oppositori contro la tirannia dei puristi gram-
maticali: ivi leggesi chiaramente nell'epist. CXViCujuscumque
walionem videris sollicilam etpolilam, scilo animum quoque
wm minus esse pusillis occupatum, Oralio vullus animi est,
*i circumlonsa et fucata est et manufacla, ostendit illum quoque
non esse sineerum, et habere aliquid fracti; non est ornamenlum
tJtWfe concinnitas. Ed altrove, dando precetti al giovane Luci-
lio, cosi s'esprime: Nimis anxium esse le circa verba et com-
posiiionem, mi Lucili, nolo: haÒeo majora qw» cures; qu(Bre
quid scribasy non quemadmodum.
In somma tutti i più accreditati scrittori dell' antichità,
^ infatti ed espressamente, ci hanno lasciata testimonianza
il*
126 so I PAIOLA!»
di aver pensalo rof>|M6to di quel che Torrebbero farci pen-
sare i dispotici grammaUdy de' quali alcuni c'incolpano di
novalori, sebbene da noi non si sostenga che un'antichissima
o|Mnione favorevole alla libertà della repubblica letteraria:
ma dice pur bene il gran Galileo ne' suoi Dialoghi: è V istesso
eaer le opinioni nuove agli uomini^ ed esser gli uomini nuovi
alle opinioni Noi non disprezziamo chianqae fa un esatto sta-
dio della propria lingua; anzi molto lo lodiamo , purché egli
con questa cognizione sola non pretenda di giudicare altro
che della lingua; purché egli conosca che il merito della lin-
gua solo non fa un libro buono o cattivo, un autore stimar-
bile 0 dispregevole. Ogni parola che sia intesa da tutti gli
abitanti d* Italia è secondo noi una parola italiana: V autorità
e il consentimento di tulU gV Italiani, dove si tratta della lor
Ungua, è maggiore dell'autorità di tutti i grammatici^ sebben anco
s* unissero a ricusarla. Questo é uno de' nostri principj, il
quale é pure il principio di tutti gli uomini ragionevoli in que-
st'affare. Ogni frase o parola poco inlesa per tutta V Italia,
sebben anche fosse registrata su tutti i dizionari, non deve usarsi^
qualora m sia in sua vece altra parola comunemente inlesa.
Qualora uno scrittore dica cose ragionevoli, interessanti ^ e le
dica in una lingua che sia inlesa da tutti gV Italiani, e le scriva
con tal arte da esser letto senza noia, quelV autore deve dirsi
un buono, scrittore italiano. Questi sono i canoni che la ra-
gione suggerisce a chiunque la consulti.
Quasi tutte le nazioni del mondo hanno una sorta di
musica, ma quasi nessuna delle nazioni del mondo^trova di-
letto nella musica che le é straniera. Da qui nasce un ra-
gionevole sospetto, che la disposizione sia naturale all' uomo
di formarsi un diletto fattìzio col suono, ma che questo di-
letto sia puramente fattizio e di convenzione , non mai in-
trinsecamente inerente alla natura della cosa stessa. Le na-
LA MUSICA. 127
zioDÌ toKe rìsgoardano come- musica quella alla quale sono
state avvezze coli' educazione, e risgnardano come un ru-
more barbaro quella, delta musica altroTe, a cui non abbiano
con moltiplicate azioni addomesticato V udito. La musica dei
Chinesi, la musica degli Ottentotti, la musica de' Peruviani,
la moslca degli Irocbesi, la musica perfino degli Europei,
cessa d'essere musica coli' espatriare, e diventa, straniera
ch'ella sia , un barbaro rimbombo d' un mal accordato mor-
morio. Io non oserò alzar quél velo sotto cui i profondi geo-
metri celano ai profani le ingegnose loro investigazioni che
^rì^Itano dai paragoni delle quantità; io non oserò violare i
sacri penetrali, dove con acutissimo occhio investigatore de-
gli arcani di natura si lamina, se un suono sia un fascette
di più voci consonanti, le quali corrispondono ad alcune date
dimensioni di corde cbe fra di esse inviolabilmente conser-
vano una data proporzione : si fatte investigazioni, illustrate
principalmente in questi ultimi tempi dai più benemeriti e
cbiari genj del nostro secolo, non sono l'oggetto del mio di-
scorso, nel quale io vo' parlare della musica, e non dell' ar-
monia. Convien dunque in prima eh' io dichiari cosa io m'ia-
tenda col nome di armonia ; ed è quella sensazione compo-
sta, che risulta dalla combinazione di più voci che percuotono
l'orecchio ad un tratto. Pare che questa abbia certe leggi
fisiche e universali, e che in favore di essa debba ogni orec-
chio decìdere; pare che in favore di essa tatto il genere
ornano debba non aver dispareri nel chiamare alcune combi-
nazioni più dolci e naturali consonanti, altre più aspre e stra-
niere dissonanti^ né su di ciò penso io di stabilir cosa alcuna.
Della sola musica vo'io scrivere quel che penso; e per mu-
sica intendo quello che chiamano altri melodia, cioè un dato
stile di successione d' un suono all' altro, il quale diversifica
^ per la celerità, o per la diseguaglianza, o per la distanza
de' passaggi da voce a voce, ovvero perfine per l'arte di-
versa di rattenere o spingere la voce medesima con mag-
giore energia. Per musica, in una parola, intendo quella suc-
<^^ione di suoni che sveglia negli animi di chi n' è appas-
sionato diversi affetti di tenerezza, di ardire, di compassione,
di orgoglio; e cosi andiam dicendo degli altri movimenti del-
128 LA MUSICA.
r animo, i quali per una sorla di magia co' suoni si desiano.
Distinguerò dunque in tre classi tutto ciò che è compreso col
nome universale di musica: il semplice suono, V armonia, e
la musica. D semplice suono io lo considero come una sem-
plice tessitura di parole d' una lingua , le quali non conten-
gano veruna idea : V armonia la paragono a una serie di pa-
role giudiziosamente rappresentanti un ragionamento; la
musica nella mia idea è simile ad una serie di parole , le
quali, ben declamate, sieno atte a svegliare i sentimenti del
nostro animo, onde la musica è del regno armonico l'elo-
quenza. Non so se quella che noi chiamiamo eloquenza, ossia
Tarte di suscitare i moti dell'animo, sia universale a tatto
Tuman genere, risguardo ai mezzi che adopera; anzi soo
molto disposto a credere che, sebbene ogni nazione possa
essere commossa da un eloquente dicitore, pure, essendo di-
versificata in mille guise la sensibilità de' varj popoli per la
moltiplice forma di legislazione e per le fisiche differenze
de' climi, sotto ai quali vìvono, l' arte dell' eloquenza pare
deve variare colla sensibilità degli ascoltatori;, e benché sia
universale e immutabile il princìpio di quest' arte di andare
al cuore dell'uomo, e determinairlo per quel mobile, pure i
mezzi per giungervi devono modellarsi sulle varie strade che
trovansi aperte in ogni nazione. Si fatte dubitazioni che mi
passano per la mente avrebbcr bisogno degli aiuti de' viag-
giatori; e se per benefìcio delle cognizioni umane si molti-
plicassero i Ghandin, i La Calile, i Maopertuis, i La Gondami-
ne, e i viaggiatori in lontani paesi preferissero sempre, come
questi benemeriti uomini, il piacere d' essere eiatti e yen
dici, e la costante fama presso ai posteri, alla mal intesa
voglia d' imporre per alcuni anni ai loro paesani per finire
poi tosto 0 tardi discreditati nel mucchio de' romanzieri, al-
lora ci sarebbe dato l' esporre non solo i dubbj che un po' di
filosofia fa nascere nelle menti, ma anzi le vere e dimostrale
teorie di molti importantissimi oggetti, tanto più sicure quanto
che appoggiate su molti fatti inconcussi.
La musica dnnqqe, come eccitatrice delle passioni, ^
un'arte la quale forse è universale a tutta la terra; ma, di-
pendendo essa dalia diversa catena d' idee delle nazioni di-
LA MUSICA. 129
yerse, deve cambiare di mezzi pel* eccitar le passioni, cam-
biando ì gradi di longitudine o di latitudine. Forse quello
che io chiamo manca, altro, non é che Y occasione per cui
noi da noi medesimi facciamo nascere le passioni che a lei
attribuiamo; forse la inusica non è altro che quello che sono
aleone macchie fatte a caso sulle pareti, ovvero alcune nubi
accozzate pure a caso nel cielo, nelle quali gli uomini d'im-
maginazione più agile e fervente ravvisano facilmente ogni
sorta d' oggetti esattamente disegnati per la pittura. In fatti
come mai spiegheremo noi altri quel fenomeno che pure
assai famigliàrmente vediamo accadere, cioè, che mentre al-
cuni, air udire il medesimo cantore e lo stesso suonatore
d' istromento, mostrano i trasporti della interna sensibilità,
e ne' muscoli della fisonomia, e neir inquietudine del loro
corpo, e nelle involontarie acclamazioni di applauso, o quasi
dimentichi d'ogni altro oggetto, tutti assorbiti e incantati
mostransi dalla magia dell' arte ; nel tempo stesso alcuni, al-
tronde dotali di squisito, di' dilicatissimo senso nel gustare
e distinguere le bellezze e i difetti delle altre arti, immobili
€ insensibili ascoltino quasi per compiacenza la stessa ma-
sica, e attentamente notino i piccoli difetti, e quelle minime
negligenze, le quali talvolta apposta vi si lasciano, acciocché,
come co' tratti aspri del pennello posti a lor luogo si ren-
dono più efficaci i tratti finiti e dilieati d'una pietra, cosi av-
venga nelle dolcezze e maestria della musica ? Se noi divi-
deremo gli nomini in due classi , una degli amatori della
musica, l'altra degli indifiérenti per la musica, troveremo
che la classe de' secondi è la maggiore ; che se dagli ama-
tori della musica vorremo levar fuori tutti coloro i quali sono
ipocriti in musica, e fingono di. trarne diletto per ciò soltanto
cbe credon cosa di fino gusto il farlo; se da questa classe sot-
trarremo pure coloro i quali per pura incitazione altrui si
dichiarano partigiani della musica, pseudo-amatori tutti quanti
i quali co' loro poco giudi;iiosi applausi talvolta innalzano alle
^elle le più mediocri cose, ed avviliscono ì professori che
liatmo anima e affetto; se, dico, da questa classe vi ai tor-
Tanno tutti coloro che non meritano di esservi annoverati »
troveremo forse che assai più piccola è la classe di quei
130 LA MUSICA.
che amano la magica che non si crede comanemente. Dal che
sempre più mi confermo nella opinione, che il soavissimo dì-
letto che cagiona la eloquenza della musica col moovere de-
liziosamente gli affetti deir animo nostro, sia un diletto total-
mente fattizio e formato dalla artìfizipsa flessibilità che
r educazione ha data ai nostri organi; ma perchè l- orìgine
del diletto, che fa nascere in noi la musica, non sia dipen-
dente dalla originaria natura delle cose, non. è perciò ch'egli,
poiché è prodotto in noi, non sia un vero e reale diletto cbe
dolcemente agita le anime sensibili, né perciò dobbiamo noj
averlo men caro; e mal uso farebbe un filosofo, il quale sa
quanto saggia sia V economia dei piaceri innocenti in questa
vlta^ della ragione, se l'adoperasse a diminuire la sensibilità
alla musica col discoprirne la Vanità intrinseca dei mezzi
che essa adopera per eccitarla.
Le verità di questo genere vogliono sempre essere troppo
pagate; ed io preferisco que' momenti beati d' un soave deli-
rio che di tempo in tempo provo all' udire la vera musica,
che tutte le scoperte de' problemi più elevati che possono
Carsi sulla naturaci essa. Io potrei stendenni ben lungamente,
se volessi presentare a' miei lettori un pomposo corredo di
erudizione; ma tale non è l' idea che mi sono proposta, e le
opinioni di Platone sulla musica, e i prodigj del teatro greco,
e le favole della virtù sua che si sono sparse per la medi-
cina, e simili anticaglie o errori non fauno al mio proposito.
E in che consiste mai la magia colla quale la musica
eccita le nostre passioni ? Qual è l' arte con cui può sperarsi
di eccitarle? Sono questi articoli d' un tal genere, che è più
facile il sentirli che il definirli con parole. Io provo che una
voce anche sola può eccitar^ i movimenti del mio animo;
io provo che perfino parlando, siccome vi sono de' suoni di
voce che riescono disaggradevoli al mio orecchio, cosi ve ne
sono che grati moltissimo li ritrovo, e ciò independentemente
dalle relazioni eh' io posso avere con chi mi parla : cantando
poi, questa differenza s'accresce notabiUnente. Osservo che
vi sono alcune voci naturalmente appassionate, le quali, poche
noie che cantino, bastano a togliere il mio animo dalla ina-
zione, e imprimervi i dolci movimenti della musica: alcam
LA MUSICA. 131
stromeoti pure riescono appassionati nataralmente al mio
orecchio ; V oboe singolarmente. Non pretendo io già che lo
stesso accader debba presso ogni orecchio disposto per la
nasica; dico semplicemente quello che accade dentro di me;
credo bensì che ogni orecchio sensibile distingua le voci in
appassionate, e in non appassionate. Osservo di più, che le
cose più semplici, le più natarali, sono quelle appunto che
fiiDoo maggior impressione. Vi vuole neHa musica, come nel*
^architettura, la schiettezza, la nudità, dirò cosi, dell'ordine
toscano; gli ornamenti gotici, gli arabeschi, le bizzarrie am-
massate e sovraimposte F una all' altra eccitano ammirazione
talvolta, spessissime volte tedio, non mai diletto. Un'aria
flebile cantata da una voce appassionata è ben difficile che
non faccia il suo effetto. tJn' aria parlante, dove il composi*
tore abbia potuto colpire il segno, cosicché la modulazione
<ie' tuoni rappresenti naturalmente quel che dicono le parole,
sicDramente riesce: ma si tosto che le voci umane prendono
aspreggiare cogli usignuoli, e scorrere su e giù per infinite
scalette, e balzare con mortalissimi salti da' (noni più acuti
ai più gravi, e tremolare incessantemente di voce con una
incostanza che appena può l'animo porvi mente, allora po*
^ bensì il musico aver gli applausi de' professori, ma diffi-
cilmente dagli uomini sensibili alla musica.
Io distinguo molto il giudizio de' professori dal giudizio
^U uomini che sono particolarmente affezionati alla mu*
sica; fra i primi, la maggior patte non amano il lor me-
stiere che per il bene che ne ritraggono, e ^ forza di i^nder-
▼isi abituati s' incalliscono all' azione della musica, e la ri-
scardano come quella penosa carriera per cui forza è che
s'affatichino per vivere; osservo di più che i difi^rentì prò*
f^Kssori di mn^ca hanno ciascuno, o per la scuola a cui sono
s^ti formati, ovvero per la disposizione primitiva decloro
^'Sani, hanno, dico, ciascuno il loro forte e il loro debole,
^no è singolarmente- esatto anche nelle più scabrose intona-
zioni, un altro si distingue per la volubilissima agilità, un
^Ro riesce singolamente nel brillante di alcuni giri di mo-
^Qlazione, e così vadasi dicendo ; quindi i professori per lo
più» anzi che abbandonarsi senza prevenzione all'azione della
132 hk MUSICA.
musicale di giudicarne daU* effetto che fa neir animo (il che
sogliono gli aomìni sensibili alla musica considerare per
r unica e vera pietra di paragone), invece esigono dal mu-
sico quel genere di maestria, che V amor proprio ha fatto
che preferissero ad ogni altro.
Non v' ^ cosa che faccia più pena quanto il vedere al-
cuni compositori di musica, i quali possedono esattamente
le leggi deir armonia, e la maneggiano con ogùi destrezza,
come un facitor di anagrammi , volgendo e rivolgendo le
consonanze e le dissonanze co' piedi ora in giù ed ora ro^
vesciate , senza cercare nemmeno la strada per eccitare le
passioni del cuore, e senza provocarle mai; e questa pena poi
si converte in una sorta di sdegno, quando, ascoltando io le
loro composizioni, la mia immaginazione supplisce, e, dando
forza alla musica, fa nascere in me quegli affetti che il com-
positore non conohbe mai. Pare che il mio amor proprio si
offenda che un nome senza perdere la tranquillità si prenda
giuoco della sensibilità mia : e vorrei che per agitarmi l'uomo
si desse almen la briga di agitar prima sé medesimo. Insom-
ma io trasporto nella musica i sentimenti che sono comuni
agli amanti, cioè jl desiderio di non esser solo inquieto.
Molte cose vi sono nella musica, le quali mi sembrano
affatto inutili, e potrebbero chiamarsi pedanterie musicali.
Una di queste si è il trillo. Ogni periodo di melodia deve
avere nella penultima nota un trillo ; ogni aria deve termi-
nare con una lunga rivoluzione di voci, ossia cadenza, e nella
penultima nota deve avere un trillo. £ qual piacere può mai
risvegliare ne' sensi umani quel tremolare di voce, e quel-
rincostante oscillazione d' una nota all' altra reciprocamente,
che chiamasi trillo ? E quand' anche potesse in alcune occa-
sioni servire quest' artificio che chiamasi trillo, ad esprimere
o il canto dell' usignuolo, o il tremolar delle frondi, o simile
oggetto, come mai sarà possibile eh' ei desti negli animi no-
stri qualche affetto, se ne abusiamo continuamente facendolo
diventare un metodico finimento di tutt' i pensieri musicali?
Non sd se le cadenze sieno sempre necessarie al fine delle
ariette, anzi credo di no ; ma quando anche si voglian f^tre^
io credo che possano terminarsi con molta grazia anche senza
LA MUSICA. 133
il trillo con ana ben situata appoggiatura. Io so che le voei
ehe vanno sino al mìo animo sono qodle ehe non sono né
troppo gravi né troppo acute ; quelle che per una recondita
eonnessione deUe mie idee mi sembrano appassionate; quelle
voci le qdali sviluppandosi descrìvono una curva, cosicché
non mai formano angoli, dirò cosi^ né urlano mai nel mio
orecchio; io so che il mio cuore é commosso allorquando
tma di queste yoci, ferma e non tremolante, scorre dotee^
niente su yaij mezzi tuoni, e tocca singolarmente delle corde
minori non aspettate da me, senza che ne'passilggi d^nna
voce all'altra Ti sia distacco alcuno, ma anzi yi sia una bre-
Yìsuma si ma artificiosissima strada, la quale per degrada-
zioni insensibili mi trasmuti un tuono coir altro senza ch'io
m'avveda del momento in cui ciò sia fatto.
Oh quante volte accade di dover dire ad alcune arie
quello che soleva l' ingegnosissimo autore dei Mondi, il sigtter
Fonlenelle: Mugica, che vuoi tu? S'ascc^tano delle arie eccel-
lentemente intaonate, dette con una prodigiosa agilità, con
vna perfetta egaaglianza di corde nella voce, con esattissimo
ngore di tempo, con trilli, con lunghezza mirabile di cadenza
senza prender fiato; MuHea, che vuoi tu? Ancora non lo so,
se non m\ desti nel cuore yémn sentimento. Io ho ascoltato
delle voci afie quali non si poteva rimproverare verun di-
fetto; ma il mio animo faceva loro il rimprovero massimo,
poiché non sentiva nulla. I ballerini da corda si pagano per-
chè ci faccian maraviglia ; i musici si pagano perché ci mo-
vano: eppare la massima parte de' musici vuol fare da balle-
'ù»© da corda.
n. 12
134
IIJUDI* — «•▼nuiÀ Mmnmmh*
Eravì neU* India un giovine, rieco dì beni di forlwia,
d' oUiaio carattere^ il di cai nome era Badi, Questi avea sor-
tito dal cielo OD cuore sensibile, e. un animo scbietto e sio-
eero. Se per virtù intendete uno sforzo, ei non era vtrta^,
^^ichè tutte le azioni le più benefiche e generose era aoii
spinto dal suo cuore medesimo a farle. Badi era il pia favo-
revole interprete deHe azioni degli uomini , e le risguardava
semiptre dal late migliore che aver potessero; dolce nel suo
iratto, iM^ile nelle sue idee , fedele amico , generoso citta-
dino, ottimo giovine in una parola. Al corredo di queste qoa-
lite, aya ricca sua condizione, s' accoppiava l' elegania del
suo aspetto, da cui traluceva la bontà e dolcezza del suo ca-
rattere. V educazione ch'egli aveva ricevuta nella si^itudiie
dei Bracmani V aveva già iniziato nella sapienza orientale;
ed era sul punto di cominciare il corso della vita civile en-
trando neUiu società degli uomini. Badi, prima di farle, « ri-
tirò in una sua villa, per riflettevo agiatamente alla nuova
situazione a cui doveva passare, e soegliere quel sisteoa
che gli paresse più conforme alla ragione ^ e più cenfaeente
air indole 4}ropria. — Io sono, diss'egU, 4;onscio a me stesso di
non avere malignità nel mio animo; nessuna parte dei miei
afiètU mi farà arrossire, quantunque sia |>alc«e; amo a^r
del bene; sono incapace ài verun tradimento: perchè doo-
que dovrò io dissimulare quello che ho nel cuore, cenae ta-
luno mi ha suggerito? Finga chi ha ragione di nascondersi;
io non ho motivo di farlo. Gli uomini, dicono alcuni che
sono esseri cattivi: forse lo saranno quando hanno interesse
dì esser tali, come il leone che aiTamato assale V uomo: con
me, che non vo' far male ad alcuno, e che voglio anzi far
tutto il bene che posso, qual interesse possono mai avere di
nuocermi? Il leone pasciuto vede V uomo, e lo lascia pel soo
viaggio. Io vo'dunque essere sincero perfettamente: qo^^
virtù mi concilierà la benevolenza degli nomini ; nessano po-
trà di me diffidare; se io tratterò gli uomini come se fossero
BAOif — NOVELLA IKOIAKA. 13d
aniei, essi tratteraniio me, per conseguenza, da ajnko*
Id mndo efae coloro che kannp T immagioazione melanco
Dica, e cbe tanto dìcon male della specie umana, sieno mal*
trattati perelié essi i primi non sanno essere buoni e sinceri
l 'serpenti i stessi non fanno male se non sono offesi : dir» uno
eestaro che V uomo, questo artificioso animale che ha saputo
fabbricarsi città, inventar Hague, inventar scrittura, e regi-
strare in un vohmie i doveri d' un uomo verso un altro ri-
dotti in precetii, debba essere men heneOco di un serpente Z
La cosa è chiara che quesia diffidenza è un sogno d'una nera
faatasia* Io mostrerd a ehi cosi pensa, che basta esser veri-
tièro e boom^, ma esserto decisameote, per essere b^a vo-
lato dagli QomÌBì. —
Tale fu il ragionamento presso a poco che fece il giovano
Baia; e se àe veoae alla capitale, risoluto di secondar sempre
i moti del suo buon cuore, e soprattu^o di non tradire gem-
mai larveriià. Appena' ivi iu, che molti congiunti ed amici
^'ennero a ritrovarlo ed^ conoscerlo , giucche da mplt'anoi
era sialo assente, vivendo nella solitodine de'Bracmani. £i
si mostfd cortese e buoaò con tutti. Uà suo cugino, ^deforme
assai d'aspetto: Baàij gli disse> io m coasolo eoa voi, poi«-
die vi y^o formato di Q]»a figura che deve conciliarvi la he*
nevolenaa d'ognuno,— S vero^ rispose Badi, ch'io son bello»
ma eie non basta per essere caro alle persone colle quali s'ha
da TiTcre.-*- Air udire siffatta risposta di Bwiiy tutto il eroe-
Ohio de'eoBgiuBti e degli amici volle scoppiar dalle risa» e
Fon dopoTaUro se ne parti; e per tutti i quartieri della città
si riaeppe che il giovane B<tdi s*era chiamato da sé medesimo
hello ; e universalmente si cominciò a spargere il ridicolo
sopra di lui. Badi ne fu inteso, e quasi non poteva indursi a
crederiOb—U mio specoluo mi dice che la mia fisonomia è fatta
come le fisonomie che » chiamano belle : ognuno lo vede»
non ò cosa nascosta ; perchè donqim non potrò vederlo aa«
ch'io? e se r ho veduto, perchè non potrò dire d' averlo ve-
duto? Se fossi g^>bQ, direi che son g^bo; son b<^lo, e dico
che son belo; nemmeno perciò muterò il mio sistema.—
Dovette Y indomani presentarsi il giovane ^oili ad un
ministro favorito del re: lo fece; fu accolto con singolare
136 BADI, — NOVKLLA UfDURA.
benevolenza, ebe fé' «tapire tutti i cortigiani circootaiiti : il
ninistro gli disse buon giorno. AW adire ona distinzìoBe si
onorevole, tatti si affollarono intomo al giovine Badi: ognano
volle toccargli la mano; ognano lo trovò amaliile, e di vn
merito singolare ; ognano si affrettò a cercare la di lai. ami-
cizia ; e Badi si compis^cque d' aver ben definiti gli aemini
per animali innocni e baoni. Passò d'indi AuitneU' appara
lamento della moglie del favorito, dov'era già precorsa la
notìzia dei graziosi ssimo salolo cbe avea ottenoto Badi: la
signora ricevette la riverenza di- Badi con nn sorrìso pieno
di bontà, indi gli permise di sedere in circolo cogli altri. Un
cagnolino della signora, frettolosamente entrato, ricevette in
giro le più amorose carezze da tutti gli astanti; la signora lo
amava teneramente, e lo cbiamava il sao Lilii — Gbe ne dite.
Badi, disse la signora, del mio LiUi? — Liniera on cane mez-
zanamente bello. Badi francamente rispose: — Signora, io ne
ho vedati di più belli di lai.— -Un profondo silenzio si fece al-
l'istante nella stanza: la signora morsicavasi le ]aMI>ra, e cia-
scuno rimase immobile per la sorpresa. Poscia, rinvenuti che
farono, si parlò di varie materie. Badi prese commiato; cia-
scuno se ne andò pe' fatti saoi; e nella città si sparse la no-
vella della inciviltà di BaéUy il quale fu giadicato come il
giovane il più stolido e brutale che si fosse mai veduto dopo
la creazione del mondo. Un buon parente volle avvertirne
Badi, sebbene Badi medesimo erasi già accorto del freddo
accoglimento che dovunque gli veniva fatto, e da alcuni
sorrisi che travedeva, che ropinione pubblica non era in suo
vantaggio. Ma questo non bastò a fargli cambiar sistema. —
No, amico, gli disse, io vo' costringer gli uomini a forza di
candore e di rettitudine ad amarmi. —
Pochi giorni dappoi trovossi in casa d'una signora, iUo-
stre per nascita e per beni di fortuna. Era ella gianta circa
al quarantesimo anno dell' età sua , e conservava tuttavia
delle memorie della passata bellezza: una leggiadrisnma
fanciulla, la di lei flglhi, stavale accanto, come la giovanetta
Iride si dipinge vicina alla maestosa Gionone. Un urbani»-
simo cortigiano, che ivi era a farie visita:— Signora, le disse,
vi vuole niente meno che tutta la credenza che io ho in voi
BADI^ — NOVELLA INDIANA. 137
per persuadermi che la signorina sia veramente figlia vostra ,
e noD sorella /e sorella gemella. — Che ne dite> Badi? sog-
giuDse la signora; vedete se i cortigiani sanno adulare! •—
Sicaramente, replicò Badi, e d' una adulazione poco nasco-
sta. — Il viso della signora impallidi, poscia s' infiammò; le
parole si perdettero, sintanto che Badi si licenziò. Ciò por si
riseppe nella città; e Badi fu universalmente riconosciuto
eome un giovane stolido, malnato, e da fuggirsi.
Di là a pochi giorni, un poeta venne a visitar Badi una
mattina. Badi gli die un ottimo caffè a bere. Poscia TAganip-
peo con nn melato complimento cominciò a palesare al gio-
vane Badi la stima che faceva de' talenti di lui, e Topinione
che aveva del di lai giudizio assennato e sincero.... — Oh per
siacero non dubitatene, V inlerruppe Badi; ma per assennato
potreste ingannarvi. Ho fatto anch' io de' versi bene o male,
ma non perciò credo di poter essere buon giudice. — Eccellente
giudice sarete, o signor Badi; ed io ne son tanto sicuro, che
or ora vi leggo una cosuzza fatta cosi a ghiribizzo sopra un
certo mio collega. Ascoltatela , e ditemene schiettamente il
parer vostro. — Poi cominciò a leggere una villanissiraa satira
piena di viluperj e di sciocchezze, che cominciava così, tra-
ducendola in nostra lingua :
Ob somaro da basto e da cavez^ !
Oh bestiaccia spolpata scarnata!
Ve'cbeìio mio colpo la tua nuca spezza;
Ve* eh* io ti meno giù alla disperala
Su quella nuca tua da lunghi orecchi
Febea onnipossente sciabolata.
£ così proseguì il poeta per una buona mezz' ora con una
tessitura di parole da ubbriaco cucite felicemente in rima.
E poi che l'ebbe finita: — Ebbene, signor Badi, che ve ne
pare? M'avete promesso d'esser sincero, ora mantenetemene
la parola. — La manterrò, rispose Bcuii. La poesia è cat-
tiva, cattivissima, detestabile: un uomo dabbene deve ver-
gognarsi d'esser poeta in tal guisa; ed un poeta deve arros-
sire d' imbrattar col fango della satira il vezzoso linguaggio
della poesia. Il poeta rimase assai malcontento di Badi;
parli}^S3nc, disposto a fare una salirà contro di lui.
12*
138 BADI, — NOVELLA INDIANA.
Varj altri sk fatti incontri ebbe Badi nei breve corso d'un
mese, che io tralascio. Finalmente, nn vicino ingiostamente
gli mosse una lite, e nel tempo stesso venne a vacare un
posto al quale poteva aspirare con ragione, poiché nessuno
aveva più diritto di Badi ad ottenerto per prìvilegj deUa sna
famiglia, e per le disposizioni sue naturali a ben esercitarlo.
La signora di qoarant' anni era sorella del primo presidente
del consiglio di giustizia; il poeta era famigliare con molti
consiglieri : Badi perde la lite. La moglie del favorito del re
si ricordò del sno cagnolino; dipinse con colorì abbominevoli
al ministro la persona di Badi : il posto fu dato ad altri. Un
sno zio venne a morte, e mosso dal discredito pubblico in
cui era caduto Badi, lo privò della eredità. Cercò Badi una
sposa; tutte quelle che potevano convenirgli, gli» rifiutarono.
Allora Badi ritornò al suo casino di villa, e riflettendo
alla propria situazione ed al sistema seguito sin allora: — Ah,
disse, io ho creduto che bastasse non offendere essenzial-
mente gli nomini neir onore, nella libertà o ne' beni per
essere accetto: insensato ch'io fui! e la gloria, la vanità,
l'orgoglio altrui, perchè mi son io proposto di maltrattarli
cosi? A che giova una sincerità che umilia l' amor proprio
altrui senza far bene? Che crudeltà è stata la mia, senza av-
vedermene, di frizzar dardi cosi avvelenati e duri nel cuore
degli uomini! Una nuova luce risplende agli occhi miei.
Ogni virtù umana dev' essere utile agli uomini: ed a che io
è stata la mia eccessiva sincerità? Poniamovi i confini. Io
non dirò mai il falso, ma nemnAeno dirò tutte le verità. Quelle
che umiliano l'amor proprio altrui senza far bene, le lacerò. —
, Cosi stabili, e cosi fece. Ritornò Badi in città: ognuno lo
trovò amabile; nessuno lo riconobbe quasi per quello di
prima: si appellò della lite, e la vinse: vacò una noova ca-
rica, e l'ottenne: chiese una sposa, e l'ebbe: e visse tran-
quillamente isuoi giorni; e lasciò scolpita sulla facciala della
sua casa questa sentenza: / fanatici sanno far cose grandi,
e gli uomini' di giudizio san viver bene.
139
AICINI PENSIERI SULL'ORIGINE DEGLI ERRORI.
Tre gono le principali sorgenti de' nostri errori : F ignor
raDza della connessione d'un fenomeno cogli altri; gli stretti
limiti della nostra sensibilità; e T imparagonabili tà delFesten-
sione coli' intensione delle sensazioni nostre. Limitati a quei
solo nomerò d'idee che ci somministrano i sensi, la natura
islessa ha allontanati con uno spazio insuperabile da noi gli
elementi delle cose, ed ha circoscritta la sicurezza de' nostri
giadizj alla sola convenienza o disconvenienza delle idee
nostre. Non parlo io perciò di quella intima connessione, che
forse unisce con anelli non interrotti la universal catena
de' fenomeni dell'universo; ma parlo soltanto di quella con-
nessione, di cai il tempo ci fa nascere Fidea, onde, costan-
temente dopo an tal fatto veggendo succederne un tal altro,
s'inventarono i nomi di cagione e d' effetto. Se le azioni
della vita non si dovessero intraprendere se non precedute
dalla evidenza di ciò che deve succederne dappoi, noi sa-^
remmo gli esseri più immobili che la natura abbia riposti
sQlla terra; tanto ci scostiamo dalla immobilità, quanto diamo
alla ventura. La indispensabile necessità di agire ci costringe
ai ricorrere ad un nuovo genere di evidenza pratica, la quale
propriamente è una probabilità fortissima, di curie prove non
le abbiamo che dalla spérienza della successione d' un feno-
meno air altro. Questa sperienza, in alcuni più vasta e ordi-
nata, in altri più ristretta e confusa, cagiona una diversa
disposizione all' errore; e quanto è maggiore il numero dei
fenomeni che conosciamo uniti per questa connessione, chia-
mata cagione ed efletto, tanto minore è la probabilità che
abbiamo di esporci alF errore.
Provengono gli errori nostri altresì dai limiti ristretti
della sensibilità nostra; la quale, o spossata talvolta e man-
cante d'energia, leggermente reagisce sugli oggetti che col-
piscono i sensi, ovvero fortemente percossa ed assorbita da
un solo fantasma vincitore , gli altri non vede che appanna-
ti» e con mal definiti contorni: nel primo caso, ella trovasi su
140 ALCUNI PENSIERI SULL'ORIGINE DEGLI ERRORI.
qualcaoo di qae' gradi intermedj che accostano al sonno;
neir altro, salla strada che conduce al delirio.
Finalmente l' imparagonabilità dell' estensione colla in-
tensione delle sensazioni nostre è cagione de' nostri errori; e
su di ciò non ho veduto alcuno che vi abbia fatta osserva-
zione. La vita 6 una serie di momenti più o meno prolunga-
ta, quanto sono più o men distanti i due punti dalla prima
sensazione all' ultima; ma sebbene questa serie sia non mai
spezzata, e si combacino con somma adesione tutti gl'isfaDli
per modo che non ci venga dato sentirne la divisione, con
tutto ciò il momento attuale è talmente diviso dal passato e
dal venturo, quanto è diversa una cosa che esiste da una
cosa che più non è, o che abbia soltanto la possibilità di es-
sere. Forse fra le combinazioni fìn ora accadute non si son
date due foglie perfettamente uguali, o due momenti perfet-
tamente uguali. Il senso della nostra esistenza forse manca di
quella precisione , che ci sarebbe d' uopo per renderci od
conto esatto in tal proposito. L' uomo è paragonabile ad un
tiume diverso ad ogni istante , sebben conservi V istesso
aspetto. Da ciò ne segue che V intensione e la durata, sia
de' beni, sia de' mali, sono quantità incommensurabili, e
perfettamente eterogenee nell'animo nostro; e mentre il
freddo calcolatore uguaglia una sensazione breve e forte con
una più mansueta e prolungata, l'uomo le trova disegnali;
poiché tutto lo spazio della durata è nello scritto del geome-
tra una quantità che esiste contemporaneamente alla quan-
tità d'intensione: sono elleno altrettante figure da quattro
Iati rinchiuse fra paralelle, altre più in Lungo prodotte, altre
più vicine a sé stesse in ogni loro parte, ma tutte compren-
denti un' aja eguale. Ma l' uomo, che deve scegliere fra due
sensazioni, vede ammucchiala l'una, e da portarsi tutta nel
momento che segue; e dell' altra non se gli presenta che il
capo assai meno voluminoso e più maneggevole. L'igno-
ranza comune de'principj delle cose e delle venture combi-
nazioni somministra sempre qualche grado di probabilil^
d'ogni parte; e questa tanto più s'accresce, quanto lo spazio
viene protratto; ed. ecco l'uomo, che ingordamente divo-
rando il piacere più intenso, e allontanandosi con ribrezzo
ALCUNI PBNSIBBI SULL' 0KI61NE DEGLI ERRORI. 141
dal più intenso dolore, si giUa in braccio ai mali che da
principio meno l'offèndono, qualunque poi esser debba la loro
durata.
Da ciò ne segue cbe il calcolo della durata e intensione
de' beni e mali, sebben giustissimo per definire il grado di
felicità di ogni essere, non ò però quello che presiede ai gin-
dizj dell' nomo.
tiijftì RimcoiiO.
11 talento di rendere nn oggetto ridicolo è propriamente
Ifarte d'interessare quella porzione di malignità^ che sta ri-
posta quasi sempre in qualche angolo del cuore degli uomini,
contro l' oggetto che cerchiamo tii far cadere in discredito.
V è già chi ha fatto vedere che il riso non viene um» sol
labbro dell' nomo^ se non quando ei fa qualche confronto di
sé stesso con un altro con proprio vautaggio; e che il riso è
il segnale del trionfo delF amor proprio paragonato. Quésta
proposizione deve sembrare un paradosso a ehionque la legga
perla prima volta, e tale sembrò a me pure: ma chi è capace
di contenzione e di seguir le tracce de' movimenti, anche
dilicati, della fM'opria sensibilità, vedrà grado a grado verifi-
carsi questa teorìa eziandio ne' casi ne'qaali sembrali riso
la più innocente e disinteressata sensazione di ogni altra.
Crescerà il paradosso al bel princìpio, se si rifletta come gli
aomìni i più umani e benefici sieno per Ip più coloro i quaK
più sovente, e di cuore, come sogliam dire, si lasciano mo-
vere al riso; e per lo contrario assai più incalliti, e occulti,
e capaci di cabale e raggiri sieno coloro , solla fronte de' quali
0 di raro o non mai compare la giocondità e il riso. Ciò av-
viene, cred' io, perchè l'uomo non è malvagio giammai gra-
(nttunentey e tanto minore invito ha per esserlo quanto meno
ò infelice^ e come gli uomini quanto a più alta e indipen-
dente autorità sono innalzati , tanto più generosi sono e buo-
ni, non restando ad essi più altro a bramare che la lode e
142 SUL BIOIOOLO.
l' amere de' loro simili, cosi quegli ai qoali é stato daAo sn
feliee temperamento, e dwi neVcontinai cenfroiiii cbe temo
di sé stessi cogli altri sono beneficati dalla natora a segno di
pet» sempre decidere favorevefanenle per loro stessi, altro
più non <lesideffaB0 che d' ottenere anco V amere di quelli
su. i quali ottengono tante vittorie. Moltissima delioatezza
d' ingegno e ylvacilà d' immaginazione rìchiedesi in chiun-
que ricerchi di ben maneggiare la sferza del ridicolo; poiché
si tratta di solleticar destramente l'amor proprio degli nomi-
ni, e risvegliare, senza che essi pur se ne avveggano, le più
care e inseparabili loro passioni a combattere con noi. Fra
cento che aspirano all' onore di ben riuscirvi, forse due o tre
vi riescono, e la maggior parte degenera o in basse e plebee
contumelie, ovvero in ricercate e fantastiche allasìeni, che
risvegliano tutt'al pia mo imprestato sorriso di cMiveniloae
dagli astanti, non un sorrìso che patta dalla vera compia*
cenza del cuore. Taluno vnel porre in ridicolo un giovane
nobile» ricco, voluttuoso e spensierato; e, per ciò fare, me lo
descrive superbamente vestito, e /eirconéalo n^ta persona di
tutta la pMi squisita elegaoza che sappia inventate svile rive
della Senna l'ultimo raffinamento del lusso: l'aria eh'ei fende
è imltatoamata da profumi deliziosi che spirano dal suo corpo
che aonr sembra mortale; ei discende le scale dopo aver
ricevuto i servigj e gli omaggi di una schiera di salariati
adulatori; si gitta entro un dorato coechio moUeneate, e pre-
creduto da riccamente gallonati lacchè rapidamente percorre
le strade della città, che lo dividono dalla sua bella, dove
riceve l'accoglienza la più distinta. Dico, che colui che per
questa strada prende a maneggiare il ridicolo, manca di gio-
dlzip per ben maneggiarlo,, poiché nessono, facendo il con-
fronto di sé medesimo colla pittila- di quel ganimede, potrà
mai sinceramente sentire hi superiorità propria sopra di esso,
né ridere di ci^ore per conseguenza. Il solo sentimento che
da pittare si bene espresse può nascere è il desiderio di po-
ter fare altrettanto. Io a quel tale diiei: volete voi porre io
ridicolo quello sventato dissipatore de' suoi beni? dipingetelo
in un dialogo col mercante creditore; dipingetelo occupato
di mille bassissimi intrighi e cabale in secreto per racco*
SOL IIDICOU). 143
gliere con cbe sosiMMre il fusto appàreDte; dipingetolo in
coiiv^rsaskmc con m uomo di «pirito, che rHe?a e sferza
le wioediezzfli die^scoiio dsila becca di imo stordito, e non
« «rresteao neHa gola quand'anche avesse un i»rillanle ogni
dikj, cento hbbre 4i ricamn stiU'ahìto, e dieci staffieri nel-
rMrticamera : questa è la strada per cui potrete fame una
piUera tele, che i circostanti, confrontandota a sé stessi, la
tfoviae posfK)BÌbile, e ne ridano, e si compiacciano con voi
del trioDffo che avete dato al loro amor proprio, atterrando
OD oggetto che con dispiacere vedevano pia aUo alzarsi del
loro livello. Oltre q«esta maligaiià, ne nasceri anclie nn utile
eeatimeato, per cai si modererà in altri la vogHa d'imitare
qoel bnHanle e vuoto originale; e conoscendo che H fasto e
bprofBsi^ie non fasuo mai nascere negli uomifii quei sentii
nenti di stima che producono la virtù e I* ingegno, e cono-
weiMbafoai duri passi oondacano la spensieratezza e la tra^
iiearafiza d'una nobile economia, «i volgeranno a cercare
altrove migliori osgelti d'invidia, e cercheranno di formarsi
bnonl, virtuosi e illuminati cittadini. Questa è la strada che
ceavien battere, direi a <jQel tale. Dunque la prima massima
per ben osare idei ridicolo si è quella di non cercare mai di
i9)argerlo, se Bon sa gli oggetti che gli nomini possane Irò-
we posponibili nel nascosto confrei^ fcfae lénae con essi
^; altrimenti la malignità umana, che non perde mai
l'ooeasiotie di lare lult'i o^fronti consalanti che può, ren-
derà ridicolo r inesperto maneggiatore del ridicolo istesso.
Un'altra oéservazione {Mire è necessario di fare prima di
gettare il ridio(^ sopra un oggetto; ed è ch'ei non sia per
<è medesifiio presentato in guisa di eccitare in noi qualche
forte emozione. Alcuni ineaperti, per voglia d'avene il nome
^Msai pertcojieao di mett<^atori, disnmanamente irkzano i
loro sali «entro on miserabile che viene ^fìroatato per mano
del earnefìise per hi mttà. Ciò vuol dire propriamente sovver-
tire Ipilneipj della morale umana, e pretendere che taccia
nel cuore degli uomini il benefico sentimento di copf arnione
verso un infelice esposto al pubblico vilipendio, sen&hnento
cbe ogni cuore non indurito e non iorastiero alla virtù deve
provare. (Mi dicasi di chi cerca di porre in ridicolo la pre-
14.4 SCL BIDICOLO.
potenza, la venalità dei giodici/il tiadimento, e simili pia^
gfae della società, le quali an2i che dar luogo a quel leggiero
vantaggiò che il confronta di noi con essi fti nascere, allor-
ché sorridiamo, eccitano in vece Fabbominazione e lo sde-
gno d'ogni cuore non corrotto. Conviene dunque che l'og-
getto che si sceglie per rendere ridicolo, sia soltanto capace
di eccttàre in noi quella emozione che chiamasi invìdia; e
che destramente ei ci venga rappresentato per modo che co*
nosciamo d' avere indebitamente provato noi per V addietro
il penoso sentimento dell'invidia, che anzi sentiamo noi
stessi a lai preferibili; il che non si ottiene si tosto che l'og-
getto per sé medesimo ecciti in noi le forti emozioni di com-
passione, 0 dì ribrezzo, o simili. Conviene di più, che il ridi-
colo cada sopra oggetti che, come èissl, abbiano oflfeso il
nostro amor pròprio in qualche guisa; perciò non riuscirà mti
a far ridere davvero i suoi lettori colui che pone lor davanti
gli occhi costumi da essi mal conosciuti, ovvero ad essi af-
fatto indifferenti. Un errore di calcolo de' più grossolani fatto
da un algebrista non farà mai ridere gli uomini di mondo, tà
un nastro anche giallo posto su un abito nero non farà mai
rìdere un'accademia di scienze. H vezzo poi del ridicolo,
scelto che s'abbia bene il soggetto, sì è qodlo di dipingerlo
verisimilmente ed in caricatura, ma con una tranquillità
d' animo, e con una pace si calma, che non trapeli nel mot-
teggiatore vemn fiele che a ciò fare lo s{»Dga. Il ridicolo
vuole della malignità bensì, ma di quella che viene, per così
dire, a fior d'acqua, non già di quella viziosa e nera, che
resta nel fango, e di cui sono composte le anime atrabiliari, e
perverse. Ogni onesta persona si adegna tosto che il ridicolo
diventa maldicenza assoluta, ovvero discende in bassezze e
scurrilità. Nulla pia piace alle genti non affatto grossolane,
quanto una sorta dì decenza e di nobile eleganza in tutto;
queste, se non sono viriù, sono almeno qualità che le accom-
pagnano caramente. Il talento di ben maneggiare il ridicolo
è una qualità che se non fa amare un uomo, è però cagione
che per timore si finga d'amarlo. Gli. uomini sono in una
serie di contraddizione ne'ioro sentimenti verso grillastri
motteggiatori: sentono la gratitudine verso di essi per tutte
SOL HIOICOLO. 145
le vittorie che il loro amor proprio ha ottenute per mezzo
loro; ma nel tempo stesso, temendo di non restame altresì
la vittima, ed essendo il timore ana disaggraderole sensazio-
ne, come ognuno sa , odiano chi in essi la produce. Io però
non sono ancora ben persuaso per rispondere a chi mi richie-
desse se il talento del motteggio sia ntile o no alla società.
Conosco che il flagello del ridicolo è nna delle più possenti
eorrezioni che si diano per i difetti degli nomini, ma v«do
altresì che il medesimo flagello pnò essere il più crudele sup-
plieio per atterrire l'uomo di genio, e costringerlo a restare
nomo volgare. Nelle società dove gli uomini siano molto in-
clinati dalla educazione a slanciare ed a temere il ridicolo,
io osservo che molto raffinamento v'ò negFingegni, ma que-
sta nniyerssde coltura non va accompagnata dalla produzione
dì quegli ingegni feraci e sublimi, che osano cariare le grandi
verità, ed avventarsi alla folta nebbia entro oui stanno ripo-
ste; io noni vedo in esse quei felici ardimenti che si slan-
ciano al di sopra del livello della mediocrità. Farmi che il
ridicolo stuzzichi gli uomini inferiori alla mediocrità a giu-
gnervi, e prema sul capo ai vigorosi, acciocché non Toltrepas-
Bino. In fatti , la ragione e la sperienza ci provano egualmente
che r uomo allora soltanto è capace di ergersi a qualche
grande oggetto, qualora egli abbia di esso la mente e l'anima
ripiena, e siane come assorbito interamente; cosicché poca
0 nessuna attenzion ei faccia a tutta la innumerevole folla
^eglt ulOcj e delle cure che occupano periodicamente il
^^ggior numero. Ora un tal uomo deve per una indispensa-
bile incolpabilità presentare il fianco disarmato al ridicolo:
che se da' primi anni sia già piegato a temerlo, forz' é ch*ei
contrapponga questo timore a quel felice entusiasmo che lo
porterebbe al grande, e la forza di esso o si estingua o per lo
meno si elida, cosicché si pieghi alla condizione degli uomini
volgari. Non v'é cosa più facile che il gettare il ridicolo sulle
azioni d' un grand' uomo, se a lui si avventi prima che la
N>blica estimazione lo abbia cinto di quella sacra nebbia
in cui Venere ascose il Trojano per guidarlo sicuro in Carta-
gine. L' uomo capace di grandi cose forz' é che degli oggetti
che gli agflano la mente ne parli con nna energìa proporzto-
II. 15
146 SUL BOHCOLO.
nata al fientimeiiio clie ne ha grandissimo; ed ogni idea on
po' gigantesca, per poeo «he tv la spinga, facilmente la tra-
sporti entro ai confini del ridicolo. Io osservo ohe le naziau
d' Europa, le qaali lampeggiano sopra le altre per la gloria
degl'ingegni e delle armi, sono forse quelle nelle qnali il ri-
dicolo ha minor porzione nella vita civile. Osservo pare, che
dovunque la celia, il motteggio, ossia il ridicolo sono ia
onore singolarmente, ivi il cuore e i dolci sentimenti d'una
reciproca fidanza non possono aver laogo in conto alcuno, e
con ciò vien posto un argine insaperabile alle più dolci e vir-
tuose corrispondenze sociali. Convìen distinguer bene doe
cose separatissìme, e sono la gioia ed il ridicolo: una na-
zione clw halli, canti, beva, e passi il suo tempo festosamente,
non è perciò una nazione di motteggiatori. Anzi dirò cbe
ogi^i società, in cui si faccia studio di spargere il ridicolo,
deve per necessità essere fredda, circospetta e triste, né mai
può gustare la gioia vera e sincera , la quale esige la libertà
del cuore e la sicurezza d'ognuno. Nella Camera de'Gomoni
di Londra un cittadino, animato della felicità e della gloria
della patria, arringava per una deliberazione che stavasi per
prendere: nel maggior fervore della sua eloquenza avveaDS
che gli cadde la parrucca a terra. Ognuno sa quanto sia
numerosa la Camera de' Comuni d'Inghilterra; neppure
un sorrìso svegliò quest'effetto della gravità: il cittadioo
riprese la parrucca, se la^ ripose, e prosegui il discorso
senza che alcuno avesse fatto nemmeno cenno d'accorgersi
d' un accidente ri naturale e si frìvolo. Io eredo che aa
filosofò viaggiatore avrebbe da questo solo fatto potuto cal-
colare qual 8Ì9 la forza politica dell' Inghilterra. U rìso ò
una convulsione privativa dell'uomo, e che, per quanto
sappiamo, la natura non ha concessa a veron altro animale,
giacché non basta il raggrinzamento d' alcuni muscoli del
volto, per cui sollevisi il labbro superiore, e mostrinsi i denti,
perchè dicasi uno ridere. I viaggiatori ci dipingono i popoli
dell'Asia come n^ioni presso l^e quali è sconosciuto il ridare,
almeno qnel rìdere sonoro e smascellato che praticasi da noi;
sensazione eh' io non so bene se debbasi anzi ripone fra le
piacevoli, ovvero fra le dolorose, massimamente per la lassi-
8DL UDICOLO. 147
Mine clie laseìa dqpo di sé. Io so che Tiionio, dopo un- rìso
ebe sia alquanto durato , trovasi tristo ed abbattuto potente-
mente: so pure che il sublime del diletto che provasi nella
società é quello che sì manifesta con un sincero sorriso, e che
accrescendosi questo movimento al di là, degenera, e lascia
TDota il cuore. Troppo mi dilungherei se m'abbandonassi a
queste idee; serviranno elleno per un altra Foglio; per ora
coneludo cosi: i vantaggi che. porta alla società il talento di
spargere il ridicolo si restringono a correggere non i vizj
degli uomini, ma bensì i loro difetti; e questi difetti, per la
maggior parte, sono talmente inseparabili dalle buone qualità
essenziali , che togliendoli bene spesso si corre pericolo di to-
gliere insteme quelle. I mali die l'uso del ridicolo fa, impe-
dendo i progressi dei talenti e della generosa virtù , sono mas-
siim, a parer mio. Per ciò asserisco che questa sorta di pirite
è opposta alla pnbblica felicità.
SVIiIiA FOBTIJIVA.
Ogni nazione, ogni secolo, ogni uomo parla della fortu-
na» e ne parla quasi come di un essere esistente da sé, a
cui attribuisce i ^mminili difetti di volubilità, di capriccio,
e talvolta persino di amicizia singolare per la giovinezza, e
di avversione per l'età matura. L'uomo, naturalmente incli-
nalo ad attribuire agli oggetti che son fuori di lui i movimenti
che prova in sé stesso, e perciò spinto facilmente alla poesia
cimatrice d'ogni essere; l'uomo, che non regge al delicato
esame de' minutissimi fili che uniscono i fenomeni l'uno coi-
l'altro, se non per una fattizia organizzazione d^idee, e che
perciò tutti gli oggetti che immedialamente non si succedo-
no crede indipendenti l'uno dall'altro; l'uomo, fatto in som-
^^ quale egli è, deve personalizzare la successione dei fe-
nomeni dell'universo, e chiamarìa poi con qualche nome, e
il nome che le diamo noi è la Fcrtuna. Le sètte antiche di
coloro che, forse per la distanza in cui sono da noi, godono
148 SULLA FORTUNA.
tsttora il nome di filosofi, in gran parte applaudirono a que-
sto yolgar modo di ravvisare gli oggetti, e gli stoieì ed i pla-
tonici rìsgoardarono la Fortuna come un essere o un genio
distinto; e sebbene la scuola di Epicuro sembrasse scostarsi
alquanto da questo popolare metodo d'immaginare, pure Lu-
crezio la rìsguarda come una potenza, ovvero forza nascosta
che calpesta i fasci e le scurì consolarì:
Usque adeo res humanas vis abdita qUiBdam
ObUrU, et pulchros fasces soRvasque securet
Froculcare et liniihrio sibi hab^re videtur,
LiJ). V.
Se per altro ricerchisi la vera definizione di questa voce
Fortuna y non trovasene altra che questa: Ignoranza della
eoneal^Muione degli oggetti che influiscono immetHatamente su-
gli uomini. Nò credasi superfluo il circoscriverla ai soli og-
getti che influiscono immediatamente sopra di noi; poiché
nessun fenomeno the non abbia una immediata influenza so-
pra Tuomo viene da esso attribuito alla Fortuna, sebbene ne
ignori la cagione. Con una mano getto un dado , coll'altra ob
globo: l'uomo volgare non dirà che il globo siasi posto in
quiete al tal determinato sito per opera della Fortuna, ed at-
tribuirà alla Fortuna che a un tal determinato sito stasi posto
in quiete il dado: nessuno attribuirà alla Fortuna oh^ un fiocco
di ^eve cada più alla.sua destra che alla sinistra, e attriboirà
alla Fortuna 6e cade più alla destra che alla sinistra- una carta
da giuoco; eppure, come le leggi del moto, benché scono-
sciute, paiono sufficienti anche al volgo per (cagionare gU ani
di questi fenoi^eni , cosi potrebbero sembrar buone anche ad
appagarlo sugli altri: ma ciò non segue, perché gli noi iofloi-
scono immediatamente sopra il ben essere dell' uomo, e gli
altri gli sono indifierenti.
Quello che singolarmente contribuisce a confermare gli
uomini nella opinione dell'esistenza di quest'essere chiamato
Fortuna, è il vedere come spesse volte un felice avvenimento
sia seguito da un altro pure fefice, e talvolta da una catena
di fauste cose le quali accompagnano la vita degli, ani: e
cosi alPopposto una sventura sia come foriera di un'altra;
onde s'intralciano i tristi come i buoni avvenimenti, per modo
SULLA FORTUNA. 149
che pare che una cèrta quale fatalità regga al bene lotte le
azioni deiroDO, e spìnga e preoìpiti alla miseria tatti gli sforzi
dell'altro. Questa attrazione dei beni e dei mali non é per
altro tanto difficile ad intendersi, sicché sia d'uopo di farne
una Dea, e collocarla nel cielo. Acciocché l'uomo faccia le
me azioni bene,, cosicché facilmente ottenga il fine per cui
le intraprende, fa di mestieri ch'egli abbia singolarmente un
certo goal ardire e fidanza di sé stesso, per modo che abbia
ferma la voce, la mano e il passo, e sembri quasi persuaso
di coipandair alle cose, anziché implorar da esse l'aiuto. Su
di ciò é senza dubbio fondato l' antichissimo detto , ohe la
Fortona è amica degli arditi, e la sperienzai;iomaliera assai
lo comprova. Ora, non vi essendo cosa che più contribuisca
a dare a)l' uomo una vantaggiosa opinione del proprio valore,
ipoinìfi l'esito felice delle sue intraprese; e per lo contrario
wUa che tanto lo renda di sé stesso diflGidente, quanto l'ino-
tililà de'^uoi tentativi, chiara cosa é come una felicità di-
sponga ad otienernei un'altra, una sventura produca altre
3yjentoire; e così quell'astro, quel destino che gli uomini vol-
gari ripongono tanto lontano dall'uomo, reafanente risiede
nella opinione che l'uomo ha di sé medesimo.
Generalmente parlando la fisonomia d'un uomo lieto di
sé e confidente viene chiamata una fisonomia fortunata; e
per lo contrario ogni fisonomia che dimostri avvilimento, ti-
more o melanconia, si giudica fisonomia da sventure. Né in
ciò s' inganna la opinion comune , se non nella cagione, che
la maggior parte degli uomfni, costanti adoratori della ma-
raviglia, vanno a ricercare fra' spazj, per quanto sappiamo^
aconnessi perfettamente dai piccolissimi afifari dei piccolissi-
mi nomini. Le passioni nostre continuate per qualche tempo
lasciano sul volto le traccio loro particolari ; perciò la fisono-
mia fortunata é un sicuro indizio d'un uomo che fida nelle
proprie forze, e che per conseguenza opera con quel vigore
il quale é il più sicuro mezzo per far uscire dalla folla delle
comJbina^oni le più avventurose. Se nella storia non avessi-
mo altro che le vite sole di Maometto e di CromweU, esse
basterebbero a farci intendere quanto sieno facili e gli uo-
mini e le intere nazioni a piegarsi ad un uomo che sia inti-
180 SULLA VORTOIfA.
mamento persuaso di poterle piegare. Forse tal verità rincliio-
devasi neir antico assioma delle scoole: Fortis imctginatio gè-
nerat tofum. Una forte persuasione, nna viva immagine che
colf>isca robnstamente la fantasia d'un uomo, produce il caso,
ossia forma quello che chiamasi ventura o Fortuna.
I Romani ebbero un'opinione fortissima, che, fintanto che
custodivasi presso di loro il Dìo Termine, i confini dello Slato
<li Roma non s| sarebbero ristretti giammai; e in fatti, sin-
ché questa immaginazione restò ben viva nelle mentì roma*
ne 9 essi trionfarono di tutte le nazioni colle qtiali ebbero
guerra* Questa immaginazione fu si forte, cbe tròvavansi com*
pratori del terreno che occupava il campo d'AAttibale vicino
a Roma, mentre parevano le cose ridotte alla inevitabile ca-
duta di Roma. Tutta la storia romana sino alla distrazione di
Cartagine ci prova e la ostinata immaginazione di sicurezza
appoggiata agli errori della superstizione, e la costanza deffa
Fortuna che va sempre compagna alla persuasione vigoroM
di finir bene. La disfatta del console Fulcro, che disprezzan-
do, non da saggio nel solo silenzio dell'animo, ma da mal ac-
corto in faccia del volgo, gli auguij presi dai pòOi, volle dar
la battaglia sotto infausti auspicj, prova abbastanza queato
possa Topinione sugli avvenimenti, e quanto sia pronta la
Fortuna a seguir un esercito persuaso di averla con sé; e
quanto siano sventurate le imprese, alle quali s'accingono
gli uomini con diffidenza, e presentimento dì mal riuscirfi.
Queste verità erano certamente conosciute da que'saggi re-
pubblicani , presso i quali era in abbominazioné la greca filo-
sofia, che tendeva a togliere la credenza agli augnrf» Agli
oracoli ed a qualunque superstiziosa opinione, per tal modo
che ogni nuova maniera di pensare e di ragionare sulle cose
riguardavano come una oorruzione dèlia repubblica. Rozi i ^
illetterati erano costoro agli occhi di cbi semplicemente o^
servava il progresso delle scienze, ma saggi e profondi filo-
sofi dovevano essere riconosciuti da chiunque esaminasse la
costituzioBe di quella società, e conoscesse il princifHO ffl<^
toro delle azioni degli uomini. Nelle cose umane pochfssnne
sono le grandi azioni prodotte dalla verità, e moltissiine qu^
che devono il loro nascimento all'errore: togli 1* errore e
SULLA TOBTOMA. 15i
rignoranza a un popolo eofiqvisitolove) e lo riduci a livello
eogi altri popoli. Tutti gli errori die éanao ardire e fidanza
deBe proprie forze a una nazione, die fasno temere ai ۓtta'>
don f»à la viltà ehe la morte, che ispirano ad eséi un amo»
rdbesto e feroee perla patria» sono il vero Palladio della glo^
ria d'on popolo.
La persuaaìoiie di riuscir bene fa die per lo più si riesca
bete, e il buon rìnecimento conferma nella persuasione di
ben rìoscire. H Umore di un cattivo esito fo lo stesso; e cosi
vanno i felid avvenimenti moltipticafHiosi, e siiibilmente le
srentnre, diventando cagioni gli efiètti; per lo che disse
l'Ariosto :
Non comincia Fortuna mai per poco
Quando un mOjrlal si piglia a scherno e a giuoco.
Che se Tuomo potesse agevolmente cancellare dal suo
animo la impressione che ha ricevuto da una stentura, e r^
confortarsi, e rinvigorire sé stesso, facendo nascere un sen-
timento di fidanza di sé, e ripigliando con fibra più elastica
ancora le azioni della vita; se tal facoltà, dico, fosse pienar
laente in potere dell'uomo, allora non vedrebbesi quella
costante successione di casi aggradevdi ovvero disaggrado-
^oli, dalla quale principalmente nasce Tidea volgare della
Fortuna; e direbbesi in vece : sui cuique moret /Infuni Pot'^
tuaum,
lo non pretendo con ciò di dire che gli avvenimenti della
vita di un uotnò siono talmente in mano di esso, sicché possa
ottenere il compimento perfetto de'suoi desldeij ; dico soltanto,
che, posti due uomini nelle stesse circostanze, dando ad uno
^i essi una mehte che ragioni , e dando airaltro deHa debo-
lezza d'animo e della imbecillità, il pritoo domerà molti pie
o^ooli che non farà il secondo; e finirà il primo per adot<-
tarsi ùtt sistema assai più agiato e tranquillo di quello che
non farà il secondo, al quale converrà passar la vita edifr-
cando ordigni^ ehe ad ogni tratto crolleranno, e l'obblighe-
Tstnno a ritornare da capo. Che se pur r imbecille, per qualche
rara combinazione, verrà dalla mano d'un protettore cavalo
^al labirinto per cui va errando, e posto in più luminosa
ili'2 SULLA FORTUNA.
comparsa, io dico che male della Fortuna di esso si giadiea
da chi lo vede di lontano; e che se la Fortuna dee misurarsi
dal numero dei beni che ciascun gode, probabilmente coloi
anche in quello stato dèye dirsi abbandonato dalla Fortana»
tanto ei stesso si troverà per tutto il corso della vita straniero
nella situazione in cui è riposto , e timoroso e ansante inces-
santemente di perderla. Se v'è bene che godiamo, egli é
quello che abbiamo noi stessi veduto di lontano, ed a carpire
Il quale slam camminati noi stessi, sormontando gli ostacoli
ehe ci si frapponevano: la casa che più ci piace d'abitare, è
quella che abbiamo saggiamente edificata da noi. Un sovrano
nato sul soglio ha molto minor piacere ricevendo gli omaggi
e i titoli dovuti al suo grado, di quello che non ne provi un
uomo di mente e di coràggio, il quale col merito è giuolo
al ministero, e che veggendosi superióre agli uomini che gli
stanno d'intorno» può lusingarsi con ragione che ciò dinoti
una fisica e reale superiorità in suo vantaggio.
Ogni uomo incontra degli ostacoli per giungere ai fini
che si propone; Tuomo confidente e robusto ne supera assai
più, sienp essi fisici, sieno essi morali, che non ne supera il
timido, e il troppo circospetto. Il coraggio, purché non giunga
sino alla frenesia, diminuisce in effetto i pericoli anche fisici.
Ctii si batte colta spada tremante; chi timidamente si gella
a nuoto in un fiume; chi fugge alla vista di una fiera, è piò
in pericolo di colui che con fermezza di cuore impugna il fer-
ro, nuota, 0 sta fermo. La sperienza e la storia ci provano
ancor |»ù quanto l'opinione costante e forte di noi medesimi
possa per conciliarci quella degli uomini, e quanto un tratto
vigoroso fatto a tempo possa decidere la moltitudine in fa-
vore d'un uomo solo. Pochissimi uomini hanno carpito la For-
tuna 3enza aver fatto nella lor vita qualche azione che presso
gli uomini volgari vien chiamata imprudente; ma somma pru-
denza, ossia sommo sapere, è quello che sa ne' casi straordi-
Harj uscire dalle ordiiiarie leggi, e trovarne di opportune alle
circostanze. Questa massima è vera, ma sarà sempre perico-
losa, qualora, venga adottata da un uomo che abbia la vanità
di comparir grande senza esserlo, poiché V> precipita in nna
turbolenta serie d'imprudenti azioni, contraddittorie bene
SCLU FORTUNA. 153
spesso le ane colle altre, le qaali finalmente lo conducono al
discredito ed airabbandono.
Gli uomini volgari hanno una folla immensa di desiderj ,
poiché desiderano gli oggetti uno ad uno separatamente, né
spingono i loro sguardi sino alle cagioni che li producono;
gli Domini capaci di ergersi sopra degli altri scoprono nella
folla degli avvenimenti civili le poche cagioni motrici, l'au-
torità, le ricchezze e simili; e verso uno di questi oggetti
condensano tutt'il desiderio: quindi ne segue, che mentre
gii nni cercano di accostare a sé le foglie d'un albero legale
una ad una con moltiplici fragilissimi Oli, gli altri pochi con
Qua sola fune bene annodata al tronco dell'albero gli dieno
Dna continua e non interrotta spinta, all'azione della quale
costantemente adoperata diffidi cosa é che l'albero alla fine
non ceda^ mentre i minutissimi fili qualche foglia al più
arranno staccata,' ma rotti per la maggior parie, lasciano de-
luse le speranze del mal avveduto volgare. Un uomo solo é
un piccolissimo oggetto; ma un uomo che costantemente di-
rìga, e con vigore, le sue azioni ad uno scopo solo per il corso
della sua vita, deve censidefarsi come un oggetto piccolissi-
mo bensì, ma moltiplicato per tutto quello spazio di tempo
per cui ha agito. Le macchine della statica ci fan vedere co-
inè una forza, benché piccola, giunga a smovere un peso
per grande ch'ei sia, purché sìa continuata per un tratto di
tempo. Una forza eguale a 1, che duri il tempo 100, smove
(pieHo stesso peso , per cui sarebbe di bisogno a smóyerlo in
OD sol colpo la forza di 100. Questo principia statico é pure
adattabile agli avvenimenti umani. L'uomo che condensi la
^ anima, e la diriga verso un oggetto solo, se abbia lena
e robustezza di perseverare nella stessa direzione per lungo
tratto di tempo, giunge per lo più a ottenere quanto s' era
proposto. Il carattere più disposto di ogni altro alla Fortuna
adunque quello che non ha divisa la sensibilità, e sminuz-
zata intorno a varj oggetti, ma bensì che la spinge tutta co-
spirante verso un oggetto solo, e costantemente ve la tiene;
<l'oQde nasce il volgare verissimo avviso: Guardati daWm-
wod'ttn solo affare.
Le storie ci somministrano copiosamente gli esempj di
154 SOLLA FOKTDNA.
nomini, i quali a forza d'ostioaxione, opposenclo od aDÌmo
imperterrito ad ogni ostacolo, giunsero ai fini anche piA ele-
vati che s' erano proposti. Il vigore con cai si dirìgono gli
avvenimenti, e la costanza con cm si tengono di mira, sòdo
i veri elementi della Fortuna; ma osserviamo che negli oo-
mini soperìori prevale il vigore,*nei secondar) prevale la co-
stanza. Io osservo di più, che' una piccola sventura in qb no-
mo di fibra forte, in vece di essere presaga delle sventare a
venice, anzi lo rinvigorisce, lo risveglia, e lo sforza a cor-
rere alla Fortuita con passo più fermo. Quanti hanno fatto im-
prese grandi, e grandi rivoluzioni, per ciò solo che dai loro
cittadini non ottenevano que' riguardi che sentivano di bw-
rìtarel Se un uomo si trova nella prima età sua agiato di
beni di fortuna, ed assistito dalla buona t^inione e stima de-
gli altri uomini , difficilmente si pone in moto per cambiar
situazione; aiizi la inerzia e l'indolenza naturale lo vincono
e l'inchiodano nella condizione in cui è nato: ma se o i beoi
manchino, ovvero il capriccio volgare gli ri(msi quella por-
zione di stima che l'uomo valente cerea ed esige, allora Io
vedi riscuotersi, e diventa ambizioso, e per quella strada,
per cui il naturale genio e la constituzione permettono di
spingersi, lo vedi correre alla Fortuna. Accade negli oomioi
quello che nelle nazioni; cioè che quelle piantate in terreni
fertili e ih climi felici, facilmente s'abbandonano al letargo
ed all'inerte godimento de' loro naturali vantaggi; laddove le
nazioni poste sotto climi più ingrati, ed abitatrici di un saolo
sterile, costrette per non perire a ricorrere aUa industria,
tanto con essa si addomesticano, e la fanno propria, »ccbè
non riparano soltanto le mancanze della natura, ma gion-
gono in opulenza a superare le altre. A questo principio at-
tribuir si debbono i pochi sforzi che fanno per lo più i or-
bili per coltivare l'ingegno, e distinguersi dalla folla del
genere umano, dalla quale per una ereditaria opinione tro-
vansi già, benché senza lòr merito, di tanto distinti. Vi vuole
una qualunque vessaatione pon eccessiva, perchè quella avri-
lisce più che non stimola, ma una moderata vessazione, pff'
che l'uomo corra anche alla Fortuna delle lettere, curii acuti^
mortalia a>rda.
SULLi F01IT97NA. 15tt
Ghinnqae siasi esaminato nell* intimo dei proprio cuore,
coDOSce qoal difièrenza vi sia da tin uomo che ^eHe azioni
della Tita diffidi di so medesimo, e nn nomo cbe perfetta-
mente confidi. Felice Taonu) che sa diffidare quando esami'-
na, e confidare quando opera, la diffidenza guida Tintelletto
alla yeriià , la fidanza .guida le operazioni al loro termine.
L' ingegno di chi è persuaso di sé stesso trovasi nella sua
masàma vivacità ; ì termini si presentano^ opportuni ai di-
scorso; le positure della persona, il tono di voce, le maniere
toite sono eleganti, naturali e piacevoli; tutto va coi vento a
seconda. Dammi l'uomo medesimo abbattuta e mal conlento
di sé medesimo , e vedrai ch'ei tormenta in vano la sua mente
iasterìlita, da cui nulla gli vien suggerito che vaglia: le pa-
role mancano ad esprimere i suoi pensieri ; tutto à imbaraz-
zato e sconcio in lui; la voce, il moto, tutto è spiacevole, e
raTvilimento scorgesi in ogni menoma azione. Sono ben rari
gli nomini che non abbiano qualche volta in vita provalo
Tono e l'altro dì questi due stati, almeno per breve tempo.
Non vi séÉb die gì «ekiccbi d' insfituto, che non credono
d'essere giammai stati sciocchi per tutta la vita loro. Questa
i&assima differenza, che trovasi neiruomo col cambiamento
della opinione del valor proprio, fa vedere abbastanza quanta
sieno diverse le disposizioni nell'uomo medesimo di riuscir
bene in qualunque impresa, e di correre alla Fortuna. Con-
viene aver moltissimo spirito per conservarne nelle traver-
sie, e pochissimo basta per dimostrarne fra gli avvenimenti
piacevoli
Ho nominata poco fa la Fortuna delle lettere, perchè nella
repubblica capricciosissima delle lettere appunto pare che
singolarmente signoreggi la Fortuna; e voglio con ciò dire che
l'applauso o il discredito di alcune opere viene prodotto da
prìncipi si poco conosciuti, e da una influenza tanto oscura
e nascosta agli occhi degli uomini, che sarebbe impossibile il
prevederlo. A noi non è lecito lagnarci della Fortuna lettera-
ria) dopo che essa si é apertamente decisa a favorire i no-
stri Fogli; e sarebbe interesse nostro il sostenere che real-
mente gli applausi del pubblico sieno la giusta misara del
i&erilo di un'opera: ma il principale interesse nostro si è di
156 SOLLA FORTUNA.
non tradire là verità, la quale è in contrario, e ci prova che
né tatte le opere applaadite meritano, né tatto le opere non
applaudite demeritano di esserlo. Mille esempj mi si affacciano
alla mente, ma pericolosa cosa sarebbe nominarli, e offen-.
dere le passioni di molti. Noi lasceremo che il lettore da sé
medesimo li ritrovi, e non avrà da lardar molto.
Goncladiam dunque queste brevi riflessioni. Fortuna vuol
dire ignoranza nostra: più l'uomo è illuminato, e minore è
il numero degli avvenimenti che attribuisce alla Fortuna. La
energia de' nostri desideri , e la costanza nel fidare in noi stes-
si, formano per la massima parte quel cieco essere che iia
il nome di Fortuna. 11 saggio la riconosce con Seneca: Natu-
ra, Providentiay Falum, Fortuna, nomina sunt unius et ejus-
dem Dei varie ageniis in rebus humanis.
r
PKIfMEBI SVULA sounnjDiiis.
La solitudine continuata per lungo tratto di tempo, èan
male , come un male sono tutti gli altri modi fisici di esi-
stere, se non sieno mai interrotti. La gloria, gli onori, le
ricchezze, il potere, tutti diventano mali, e mali insopporfa-
bili air uomo, tosto che accompagnino tenacemente ogni mo-
mento della sua esistenza. Chi possedè questi beni, e da laogo
tempo s' è abituato a possederli, ritrova i momenti più deli-
ziosi della vita, qualora gli riesca di confondersi col popolo,
ed esser dimenticato nella folla de'gregarj. Un sovrano, av-
vezzo agli ossequj ed alla ubbidienza, si rallegra e volalHio-
samente gode dell' incontro in cui taluno non conoscendolo
lo tratti da uomo. Un letterato illustre, e possessore della sti-
ma meritata, si consola incontrando un pedagogo imperar'
rito che senza conoscerlo lo tratti da principiante. Un /te-
chissimo e accreditato negoziante gode se tahiho, sconoscen-
dolo, gli esibisca un mestiere per campar la vita. L'uomom
somma sì consola qualora esce da quello stato che incessao-
lemente lo accompagna; e il villano entrando nella cìUa
PENSlBttl SULLA SOLITUDINE. 157
prova quella gioia che sente il cittadino ad oscime. I (Maceri
Osici dell'uomo non tanto dipendono da una tale azione fatta
sugli organi, quanto da ana mutazione fatta allo stato di
essi. Vastissimo sarebbe il camp<f per dedurne le spiegazioni
di moltissimi fenomeni morali; ma io, per ora restringere mi
voglio air argomento che mi sono proposto^ cioè alla solitU"
(line; la quale è certamente nn male se è continuata per
lungo spazio, ma disseminata giudiziosamente negl'in tervalli
della vita, è un bene de' più dolci e deliziosi che abbia Tuo^
mo in questo mondo. So che la massima parte degli uomini
non conosce questo bene: io lo conosco, e ne sento tutto il
valore; e giacché le circostanze della mia vita mi tolgono il
potere di goderne liberamente, come ardentemente vorrei ,
voglio almeno internarmi vi col pensiero, e sviluppare a me
medesimo i prìncipj di questo disparere fra i pochi e i
molli.
La maggior parte degli uomini manca di quel vigore
che è indispensabile per conoscere i principj della giustizia,
della virtù, e per conoscere gli elementi della felicità; per^
ciò la vita dei più è un tessuto di azioni contraddittorie , e
di pentimenti che si succedono a vicenda; perciò molti nato*
ralmente buoni ricercane il parere altrui ad ogni passo, e in
vece di provvedersi d'una bilancia domestica, corrono dai
vicini a far pesare ogni merce che occorre ad essi di con-
traltare; perciò moltissimi, dalla educazione corrotti, sprov-
veduli d' ogni guida dipendente da principj , ai quali non si
giunge che con lena ed uso della facoltà ragiondtrice , altra
norma non hanno delle azioni loro, che V immaginazione
ossia il capriccio. Tutta quésta massa di uomini deve neces-
sariamente abborrire la solitudine; poiché, si tosto eh' essi
abbiano occasione di riflettere sopra di loro stessi, altro sen-
timento non possono provare se non se quello delia disistima
propria e del rimorso, e perciò cadono in braccio alia tristez-
za, e sentonsi avvilire, e perciò impazientemente ricercano
lo strepito e la dissipazione continua per cui vivono fuori di.
loro medesimi , sfuggendo la vista o ridicola o vergognosa.
0 abbominevole delle proprie azioni. Non è dunque maravi-
Slia se la maggior parte degli uomini, associando per espc-
IT. ìi
158 PENSIERI SULLA SOLITUMNB.
rienza l'idea della solitadiiìe coir idea della noia, deir avvi-
limento 0 del rimorso, la fugga con ogni sforzo, e la riguardi
come un male potentissimo. Gli a<Mnini spensierati nella so-
litudine ritrovano le vendicatrici Erinni favoleggiate da'Gre-
ci, e tanio più atroci sono, quanto la solitudine è maggiore;
siccome accade fra le tenebre, allorché l' animo non può oc-
cuparsi nemmeno della vista degli oggetti esterni.
D^ questo principio, cioè dalla mancanza degli elemenli
della virtù e del sapere, nasce la serie delle azioni mal con-
nesse nell'uomo, e da essa 1' abborrimento al riflettere so-
pra sé medesimo^ e perciò la fuga della solitudine; la quale
quanto è maggiore, tanto s'accresce la tolleranza verso gli
oggetti esterni. Da ciò ne viene che l' uomo sensato più fa-
cilmente s' annoia nella società che nella solitudine, e 1' uo-
mo volgare al contrario più focilmenle nella solitudine che
fra la società.
Esamina V uomo di senno : egli s' è sviluppati i principj
che devono guidare tutte le azioni. Domandagli cosa é virtù :
egli te ne dà una idea lìmpida, per cui focilmente distingui
quale azione vi sia conforme, e quale no. Domandagli cosa
é urbanità: ei te ne descrive i veri confini, onde immedia-
tamente conosci sin dove s' estendano le sue leggi. Gli uo-
mini, die' egli, han ragione di pretendere da me questa
somma di azioni; il rimanente é in poter mio di organizzar-
lo , e disporlo come mi pare. Senza chimere ei distingue la
strada che s' ha da battere, e senza inquietudine vi passeg-
gia. I suoi sludj, le geniali sue occupazioni tutte hanno una
abituale tendenza a renderlo migliore. S' ei trascorre la sto-
ria, non è già per farsi un magazzino di nomi e di epoche
in mente; ma bensì per esaminare una serie dì fatti e di
azioni, e conoscendone gli effetti estfarne le generali teorie
sulle utili 0 dannose ali* uomo. S* ei volgesi all' esame delle
cose naturali ^ ei non si limila a ripetere destramente le cu-
rióse esperienze fatte da altri per far maraviglia agl'indotti ,
ma dalle poche nozioni che può rìtrame ne eslrae il me-
todo per accrescere 1 comodi della vita, e. conservarsela sana.
Cosi dicasi, a proporzione, delle altre occupazioni dell'uomo
di senno. E come vuoi che costui, che ha cercato di diventare
PENSIERI SULLA SOUTUDlKE. jl59
una boona compagnia di sé medesimo, abbia un bisogno in>
cessante di sfar lontano da sé, e non si sdegni e rammariebi
anzi moltissimo, qualora la combinazione delle cose lo tra-
sporti suo malgrado nel vortice clamoroso ed inquieto degli*
affari 0 degli nflScj?
Oh beata tranquilla solitudine, in cui V uomo depone la
mascbera! In qne' momenti soli egli è perfettamente libero;
in qne' soli momenti ei si consacra a sé medesimo , e si esa-
mina e si perfeziona ripiegandosi in sé stesso. Pelici le ani-
me innocenti e buone, che sì esaminano senza arrossirei
Uomini falsi e avviluppati in mille tortuosi raggiri figli deì-
r ignoranza, uomini avviliti sotto il giogo del vizio , qoal di-
stanza fra di voi e l'anima virtuosa, ]posti cbe siate entrambi
in faccia di voi stessi (
Io provo che è un dolcissimo piacere V alternare la so-
litodine e la società: nella prima pongo in ordine le mìe
idee, neiraltra le acquisto e le strofino colle idee degli altri;
farei malcontènto del mio essere se dovessi consumare tutta
la Yita a riordinare senza raccogliere, o a raccogliere senza
aver tempo di riordinare. L' abituazione a poter vivere an-
che solo una parte del giorno è un valentissimo mezzo a
preservarci dai vizj nati dalla debolezza. Chi ha incessante
bisogno d'essere dagli uomini distratto, deve per necessità
rendersi pieghevole alle opinioni degli uomini, e diventare
mna frazione della società, anzi cbe un essere che da sé
stesso esista. No ho osservati alcuni altronde dotati di molta
sensibilità e di cuore disposto alla virtù: si trovano essi fra
persone che sparlano d* un uomo di merito, che disappro-
vano una lodevole riforma, che per passione o ignoranza, in
somma ingiustamente, distribuiscono le lodi e il biasimo?
legano al grido , si uniformano alla opinion comune, e seb-*
bene il loro intimo senso diversamente loro suggerirebbe, Io
soffocano, lo lasciano inconsultato, e, per necessità di ren-
^^T9ì àggradevoli a quel ceto del quale hanno assoluto bise-
co per evitare la solitudine, sacrificano con vile condiscen-
denza Tamicizia, la verità e la virtù medésima ad una mal
intesa urbanità. L' uomo invece che può avvezzarsi alla so-
litudine, ha un bisogno maggiore di conservare puro ed in-
100 PENSIERI SULLA SOLITUDINE.
nocente iMntimo senlìmento di sé stesso, di quello che non
lo abbia di cattivarsi V accoglimento favorevole di veron ao-
mo, o di venin celo d'uomini; ei saprà dunque non tradire
giammai il suo cuore; egli oserà difendere l'amico assente con-
tro la mordacità altrui; egli oserà mostrare rispetto ali* uomo
di merito reso ridicolo da uomini ridicoli; egli oserà mostrare
abbominio per una azione malonesta, sebbene applaudita dal
volgare consenso. La stHitudine dà all'animo un non so qaal
vigore senza del quale non v'ò virtù. Chi non osa avere nna
opinione e un sentimento proprio; chi va mendicando le opi-
nioni e i sentimenti altrui per modellarvi i proprj discorsi ,
questi non è né può essere uomo ' veramente virtuoso; per-
cbè, si tosto che ei troverassi fra i cattivi, sarà loro simile;
né sarà buono che per virtù altrui, qualora fortunatamente
viva fra un ceto di gente che conosca la virtù; probabilità
la quale è vinta dall' opposta. Quando è indispensabile il bi-
sogno di vivere cogli uomini, ne viene di conseguenza che
tutto si sacrifica a quel bisogno; quando sappiamo vivere an-
che senza la società degli uomini, siamo meno schiavi dei
loro capricci, siamo più liberi, e conseguentemente più pa-
droni delia virtù nostra.
Chiunque esamina i mali della società, trova facilmente
che la maggior parte di essi trae la sua origine non già dalla
ferocia, ma bensì dalla debolezza. Per un delitio feroce , ne
trovi mille d' imbecillità. Forse tal verità è stata conosciuta
dai nostri padri, i quali stabilirono per massima che l'uomo
di coraggio fosse l' uomo virtuoso, e il codardo risguardarono
come privo di virtù. La sorda cabala, la simulata amicizia,
i raggiri, la maldicenza degli assenti, la perfidia, la simula-
zione, non sono d' ordinario componibili col coraggio e ro-
. bustezza dell' animo , e sono per V appunto le sorgenti
de' principali vizj che avviliscono ed inquietano la umana
società. Se nella educazione de' giovani, gì' institutori o m-
gionassero indipendentemente dagli usi, ovvero preferissero
l'utile de' giovani al comodo proprio, in vece di far loro ris-
guardare la cieca ubbidienza come una massima qualità da
seguirsi , farebbero loro vedere la sola illuminata docilità e
la illuminata fermezza essere la prima base d'ogni onorato
PENSIERI SULLA SOIITUDINS. Ì6l
carattere. La vanità e la ìndoleiiza negl' instilutorì sono eer-
tameote pia soddisfatte, quando trovino ne' loro alunni al-
trettanti aatomj esecntorì; e l'amor proprio di nn despota è
sempre di pensar per tatti, e far operar tatti per sé; ma un
padre o un maestro benefico, che guarda per primo fine delle
8oe care il formare un fanciullo ad esser uomo , che vuol
dare alla patria un virtuoso cittadino, al sovrano un utile
suddito , non cessa mai di ripetere che è necessario esami-
nare prima di risòlvere, conoscere prima di fidarsi, far tutto
per ragione e niente per debolezza, seguire la verità e la
virtù piuttosto che l'esempio. Per ciò fare, conviene che l'uo-
mo impari a saper vivere con sé stesso; poiché altro non é
la debolezza dell'animo che V opinione d'aver bisogno degli
Domini; e chi sa esser bene con sé stesso, non può avere
forte opinione dì questo bisogno.
Le lettere e le arti sono deliziose compagne della soli-
todine. Esse occupano delle ore vohittuosamente , per poco
che l'animo e l' immaginazione sieno capaci di estasi. Sono
qoesle le più cortesi e grate verso de' loro amanti: la musica,
la pittura, la poesia, la meccanica, la fisica sperimentale, e
simili, possono. formare la felicità d' un saggio nella tolitudi-
ne; ma vogliono essere amate d' un amor puro, e senza se-
condi fini : se non le ami per loro sfesse, e se le coltivi per
servirtene di mezzo ad ottenere altri fini, ti puniranno colla
Boia. Ma se sinceramente le coltivi e le ami , siane sicuro
d'una proporzionata ricompensa: soavissime combinazioni
d'idee ti si ofifriranno all' animo, e te lo terranno in una in-
cessante attenzione di variati oggetti; e nell' ozio tacito e
tranquillo assaporerai le più innocenti e vivaci voluttà che
possa provar V nomo.
Gli uomini dissipati negli ufficj della vita, non possono
nemmeno avere idea di questi beni, come non hanno idea
di una forma di governo libera gli- schiavi dell' Asia nati e
allevati sotto il dispotismo; né presumo io di creare quelle
idee nuove col mio discorso, le quali non possono nascere
che dal sentimento d' una situazione per cui l'uomo sia pas-
salo : gli uomini però che sanno rendere a loro medesimi
conto delle sensazioni proprie, saranno meco di parere che le
if)2 PBK8IBRI BOLLA SOLITDDIKC.
ore di floliladioe iono necessme a dii yiYe in società, cobm
le oie di società a chi Tire ìd soUtodiae, per non caden
nella noia; che V amerà della soUtodìne è amai conforme al-
r amore deVa rirtù; e che in somma la solitudine è an de-
mento che contribnisce a renderei nùgliorì e più felici, se
abbiamo V ladostria di ben distrìfanirla*
SDUA INTERPUTAZIONB DEUS LBML
Fra le opinioni delle menti amane, alcane ve ne sonot
le quali per la utilissima loro azione, e per la ranìtà egaai-
mente de' loro oggetti, meritano il nome di benemeriti erro-
ri, e di famosissime chimere. Tali sono i delirj de' chimici
per la pietra filosofale; gli stndj de' geometri per rettificale
0 qiiadrare le corvè che racchiudano perfettamente un'aia;
i lavori de' macchinisti per inventare artificialmente un or*
digno che perpetuamente stia in moto ; al che aggiungo le
meditazioni de'politici per organizzare una società d'uomini,
nella quale la felicità e sicurezza da leggi immutabili vea-
gano egualmenle divise su tutti gli uomini che la compon-
gono. Queste chimere hanno mirabilmente contribuito ai
progressi della fisica, delle matematiche e della graad'arle
de' legislatori; poiché, scavando in queste miniere, per ri-
cercarvi quello che non v' è, si sono incontrate per via ca-
sualmente vene e sirati non preveduti e utilissimi Ognmio
facilmenle può sapere di quanti rimedj, di quante tintore e
curiosità interessantissime siamo debitori alla vanità degli
alchimisti; sanno i geometri quanta luce abbia portato alla
sublime teoria delle curve la ricerca dell' equazione sa U
retta e la circolare, dal cavaliene Isacco (Newton) dimostrata
impossibile; cosi dico deUe altre sublimi chimere di lai fetta.
La repubblica perfetta è stata lo scopo delle estasi di molti
uomini grandi e heoefici, i quali da Platone sino al di d'oggi
si sono lasciati assorbire dalla virtuosa immaginazione di ve-
dere gii uomini liherì e sicuri perfettamente. Questi sogni
SULLA INTHaPEBTAZIONB DBtLB UGfil. 163
hanno però mirabilmente schiariti i veri intereMì del genere
atoane; e ae é Tero cbe r opinione sia la direttrice e pa-
droBa della forza, essa dovrà tanto più rivolgersi al comnn
bene, guanto meno l' opinione sarà da lai distante.
Gli nomini comuni altra società non conoscono che
quella nella qnale sono nati e cresciuti : essi non mai rivol-
sert il pensiero ad analizzarci prineipj che la compongono;
perciò credono la loro propria la sola forma perfetta di so-
ciale mstitozione, pronti a pagare cordialmente col più sin-
cero disprezzo qualunque proposizione che loro venga (atta
per cambiare in maglia Gli nomini, air incontrario» i quali
dopo esser passati per V errore nei primi anni della lor vita,
iiaoDo potuto conoscerlo, e riscuotersi , e ricercare da loro
medesimi la realtà degli oggetti, sdegnosi forse dell' inganno
psssato, quasi avessero una macchia da togliere alla memo-
ria delle loro opinioni, si slanciano nel regno delle riforme,
e con avidità mal cauta ad ogni pensiero applaudono , per
poco che abbia apparenza di novità , e si appropriano facil-
mente un piano di naova legislazione aglla più leggiera ap-
parenza di utilità. U saggio trovasi nel mezzo di questi due
estremi, e col dubbio e coir esame va cautamente bilancian-
de, senza abborrire e senza adorare le cose vecchie o le
naove, per ritrovare a discernere le cose vere ed utili indif-
ferentemente.
Un' altra fortissima o^iosizionc trovasi nella mente delia
maggior parte degli uomini, qualora vogliasi indurli a qual-
che rirorma d' opinioni ne' pubblici regolamenti ; e questa
viene dall' esame negletto dei principi delle cose , e dagli
stretti conOoi della vista comune, cioè d'escludere ognibaona
instiluzionci, si tosto che se ne affacci un inconveniente, a
vedeir lui solo isolato senza discenderne nel bilancio dei beni
e mali , che pur dee farsi in ogni scelta politica. Non v* è
legge né sistema, né vi possono essere, dai quali non na-
scano alcuni inconveniepti; nelle cose umane si tratta sem-
pre di scegliere il men male, non mai di stabilire cosa per-
fettiisinia: e questo è lo scoglio appunto de' politici inespei^
ti, la ricerca del sistema senza difetti; questa ò la pietra
filofoAca lorot qnesta è la loro quadratura del circolo.. La
161 SULLA INTEBPBETIZIONE DELLE LEGGf.
massima, che nelle amane cose bisogna scegliere li men
male, e non cercare la perfezione che non yì pnò essere , è
une massima che è detta e rìpetnta da ognuno; ma rari as*
sai sono coloro, che quando sono nel caso particolare , non
operino appunto con viste direttamente opposte a questa
massima. Ciò ho dovuto conoscere pochi giorni sono nel no-
stro Caffé, coU'occasione di parlare solla interpretazìon delle
leggi con un uomo, altronde ragionevole, che non mi è mai
riuscito di persuadere. Io raccontai quello che trovasi nella dis-
sertazione SuUe ragiùni di promulgare o abolire le leggio scritta
da un re, che é un membro illustre deOa repubblica delle
lettere, indipendentemente dalla Corona. Ivi dunque si legge
che neir Inghilterra v' era una legge che proibiva la Bigti^
mia. Un uomo fu accusato d'aver cinque mogli: siccome la
legge si osserva letteralmente in Inghilterra, e che il caso
delle cinque mogli era commesso, cosi l'accusato fu riposto
in libertà senza alcuna pena. Io raccontai questo fatto , e il
mio avversario cominciò a ridere di tutto cuore sulla stupi-
dità di quei giudici, i quali non avevano nemmeno potuto
capire che chi ha cinque mogli ne ha due, e che se la Biga-
mia, ossia le due mogli, hanno tre anni di galera, chi ne ha
sposate cinque è stato bìgamo due volfe e mezzo , e in con-
seguenza deve stare per lo meno in galera sette anni e mez-
zo. Ohi ohi ohi schiamazzò fortemente; e tutti' gli astantì
fecero eco con esso lui, chi deridendo tutta quanta l'Inghil-
terra, la quale in fatti poi non è tanto ridicola, massima-
mente sul mare; chi deridendo l' autore che racconta questo
fatto; ed altri quasi sospettando che fosse una Tavoletta in-
ventata dal mio capriccio quella che aveva esposta. Io lasciai
calmare questo tumulto, chiesi frattanto una tazza di caffé ;
poi fatto Iqogo a placidamente ragionare, cosi presi a di-
scorrere.
— Sarebbe mai possibile. Signor mio, che l'amor proprio
vi concentrasse tanto in voi stesso, da credere che tutti i giu-
dici d' Inghilterra non sappiano che cinque é più di due , e
che sposar cinque mogli é più che sposarne due? Non voglio
crederlo. Non trionfale dunque di questa scoperta, di grazia,
e supponiamo pure che i giudici inglesi sappiano che il due
SULLA INTERPRETAZIONE DELLE LEGGF. i6tS
è un numero minore del cinque, poiché sin là vi sono certa-
mente arrivati. II dileggio e la disapprovazione vostra dun-
que cade sa di ciò, che avendo gì' Inglesi una legge che pn-
nisce chi ha due mogli, e non avendone alcuna che punisca
chfneha cinque, non abbiano inteso lo spìrito della legge,,
ossia la intenzione del legislatore nella sentenza, e siensi at-
(eonti allo stretto senso letterale. Dunque voi avete trovato
assurda eosa che il giudice abbia rigidamente osservata la
letteradella legge^ e non lo spirito. Esaminiamo se veramente
sia (ale.
Comincio a stabilire un principio, secondo ogni ragione
ebiarissi0)o, cioè che altra cosa è il legislatore, altra cosa è
il giadiee. Il legislatore è sempre il sovrano ,o sìa egli un
Domo, 0 uno scelto numero dì uomini , o la intéra nazione
radonata, giusta la diversità de' governi. La legge è un ordine
pobblico del sovrano che obbliga le azioni de' sudditi geoe*^
raimente. Quest' augusta facoltà di promulgar leggi è ine-
rente alla sovranità i stessa, cosicché non può esercitarsi che
dal sovrano, o da chi è da esso delegato a tal fine , promul-
gandole però sempre in nome del sovrano. Il giudice per lo
contrario non paò essere il sovrano ; debb'essere o un uómo,<
0 un ceto di uomini, ma non ad altro fine fatti giudici che
per fare osservar le leggi: il legislatore comanda, il giudice
fa eseguire il comando. Se il legislatore farà eseguire o il
giodiee comanderà, la sicurezza pubblica sarà sconvolta;
poiché, riunendosi nella stessa persona queste due facoltà,
ne nasce il potere di opprimere impunemente e colle solen-
nità della giustizia chiunque; e l'opinione della sicurezza di
sé medesimo, opinione preziosissima in cui realmente tutta
consiste la civile libertà, ne verrebbe radicalmente distrutta.
1^' dunque conforme alla ragione, che il giudice non si eriga
mai in legislatore, e come dice il gran Bacone: Si Judex
iraniiret in Legislalorem , omnia ex arbitrio penderent {De
^ugm. scienL, lib. Vili , aph, 44). Questa cardinale verità
è stata luminosamente promulgata dall'immortale autore
dello Spirito delle leg^ (lib. XI, cap. VI), dove si legge: —-
Qualora neUa medegima persona o nel medesimo corpo di mar
aratura la possanza legislalrice è unila aUa facollà esecu--
1C6 SULLA »TEEPBKTAZI€»iS DKLLC LIMI.
trite, man viepiù libertà ; poiché s<jniò iemere che h sk$só
nuntarea o $emlo non ffieeimo U$gi HiFmmkhe per e$e§mirle
tìrannieamente,
W accorgo che qaesli prìacipj sono faiiBeiite contrari
atte idee che l'edocazioiie ha stampate con incessaati pre-
cetti ndla mente dei ptA, che nessuia maggior impreasiene
débbon fare di qoeUo che soghono i paradossi pi4 strani e
capricciosi. Per andare al Toro gradatamenle, abbiate • Si-
gnori miei, la bontà di riflettere qnale sarebbe lo stato d'ona
società d'uomini in coi non yi fossero leggi di sorta akana,
né scritte, né per tradixioBe. In questa società vi sareUiero
dei giudici nondimeno, p<4chè è necessaria naa forza qna-
lonqae che prevenga o assorbisca le nsarpezioni e rintestina
goerra che è sempre pronta ad accendersi. Quale sareM>e
raotorìtàdi questi giudici ?Dispotica perfettamente. Potrebbon
essi togliere a chiunque, beni, fama, Iftertà, vita ; e i beai, la
fama, la vita, la libertà d'ogni cittadino dipendendo daJ parere
d'un giudice che non ha altra legge che il parer suo, ogni citta-
dino sarebbe nella schiavila perfettamente. Forse il caso potreb-
be riporre nella giudicatura degli uomini di pn^ità, che ascol*
tando la voce di qoeUa legge naturale che ha dettate tutte le
buone leggi sèrilte, non osassero del poter loro che per conte-
nere i malvagi; forse le decisioni di questi giudici sarebbero un
moddk) d'equità e di sapienza; ma forse ancora potrebbon es-
sere questi giudici tutto il contrario, e questa sola possflùlità
toglie l'opinione della libertà in ogni lÀttadino, il quale non
può essere giammai sicuro di sé, o del suo testimonio dette
proprie azioni. Anco su i troni ddl'Asia si veggono sovrani
che hanno nel cuore tutte le più benefiche virtà atte a ren-
Jere felici i loro popoli : allora la tiramiia pratica oeria v' é,
ma vi resta la tirannia dt sistema; cioè dbe l' impero del-
Tuomo è maggiore di qoetto della legge. In libero pepuìo im-
feria Ug^m potentiora suni quam àotntnum, scrive Livio(Iib.lI,
cap. II). Dunque cominciamo a stabìSre questa verità dioM-
strata, cioè che, dove non vi fossero les;gi e vi tessero giodi-
ci, ivi r arbìtrio del giudice sarebbe IHimitaOa e dispotico;
il che equivale a qnest' altra postzicme, che tosto che il legi-
slatore e il giudice sono la stessa persona , questa persona è
SULLi IKTERPUBTAZiOME DELLE LGiGCL 167
ìlHmiUla e dispolka; il che significa ehe in queHa nftzvocie
non v'é libertà polilica. -—
Allora OBO de' miei ascoltatori m'ìaterrappe chiedendo-
mi cosa m' intendess' io di dire colle iparole l^ertà polUica;
se forse m' aressi formala un'idea che si potesse in ona
Dazione far da ehianqae tutto quello ehe il capriccio o le
passioBi »igg;erÌ8Cono. — Signore, gli rispos' io, col nome di
l^tÀ poUlicM io intendo V opinione che ha ogni cittadino di
possedere sé medesimo, e quello che è suo , é di poterne a
suo piacere disporre sin tanto ch'ei non trasgredisca le leggi
promalgate con legittima autorità. Dico dunque che questa
libertà politica sarebbe annientata in una nazione in cui il
giudice fosse tegislatore. Dico dunque che in qdella nazione
vi sarebbe la servita per sistema ; la quale è man violenta,
ma pia durevole assai della servitù per abuso. Queste verità,
mid Signori, soioio appunto qudle che hanno spinto gl'Inglesi,
amantissimi, e non a torto, della libertà polìtica, a stabilire
che il giudice sia perfettamente servo della legge , e mero
cflecQtore ^ essa letteralmente. Ecco il ragionamento che essi
hanno fatto: Se il giudice diventa legislatore, la libertà pò-
Hliea è annichilata; il giudice diventa legislatore si tosto che è
lecito interpretar la legge; dunque si proibisca al giudice l' in-
terpretar la legge ; dunque si riduca ad esser mero esecutore
della legge; dunque eseguisca la legge nel puro e stretto si-
golGeato delle parole, e nella materiale disposizione della
tetterà.
Che il giadice, tosto che la legge è soggetta a interpre-
tarsi più in un senso che in un altro, diventi legislatore, è
cosa per sé evidente; basta per esserne convinto il riflettere
che ifUerpreiare vuol dire sostituire sé stesso al luogo di chi
ha scritto la le*gge, e indagare cosa il legislatore avrebbe
verisimilmente deciso nel tale o talaltro caso, su cui non
parla chiaramente la legge. Inierprelare significa far dire al
ie?isIatore più di quello che ha detto, e quel più è la misura
della facoltà legislatrice che si arroga il giudice. Su due casi
pnò aver luogo la interpretazione: il primo caso è quando
i^Ua legge non sia preveduto F affare che si deve decidere ,
^ che sia atfere nuovo sul quale non siavi legge alcuna chinra
168 SULLA INTBtfBIETÀZlOllB DBLLB LBGGL
e manifesU: il secondo caso è qnaodo nel corpo delle leggi
vi siano due diversi principj» fra i qaalisia dubbio quale dei
due debba dirigere la decisione dell' affare. Nella prima sup-
posizione, il giudice, col pretesto d*interpretare la mente del
legislatore, realmente fabbrica una nuova legge, sulla quale
appoggia una sentenza; e conseguentemente il legislatore ed
il giudice coincidono perfettamente nella stessa persona.
Nella seconda sopposizione poi, il disordine è meno palese ,
ma non però vi sta meno; poiché il giudicare con leggi fab-
bricate dì propria opinione, ovvero il giudicare sulle leggi
legittimamente promulgate bensì, ma moltiplici, varie, op-
poste, ed avere la scelta libera di prenderne or Tona ed ora
Taltra, sulle quali stabilire sentenze opposte in casi altronde
simili, è presso a poco, quanto alla sicurezza e libertà politica,
la cosa medesima; e il giudice che abbia facoltà di scegliere
più una legge che un' altra per giudicare un caso , » è real-
mente legislatore, essendo che ei dà forza di legge più ad
un testo che ad un altro della legge istessa. Dunque l' inter-
pretar la legge fa diventare legislatore il giudice, e confonde
le due persone del legislatore e del giudice, dalla assoluta
separazione delle quali dipende essenzialmente la libertà po-
litica d' una nazione. Dunque una nazione che cerchi la li-
bertà politica, deve proibire ad ogni giudice ogni qualunque
libertà d'interpretare le leggi: altrimenti facendo, ne accade
quello che il chiarissimo signor Genovesi ha scritto nel suo
ragionamento sul commercio, cioè che allora le leggi in mano
del polente e deWaslulo sono sempre armi pronte e farli ad of-
fendere ed ingannare ; ma non già armi da difesa in mano del
debole o dell' ignorante.
Due partiti dunque restano da prendersi nello stabilire
il sistema d'una naziope, per ciò che risgnarda l'officio del
giudice: o render il giudice mero e servile esecutore della
lettera della legge, ovvero lasciargli T interpretazione di essa
legge. Osservinsi i beni e i mali che contengono queste due di-
sposizioni, e vediamo se abbia avuto veramente torto la nazio-
ne inglese. Se il giudice è mero e servile esecutore della lettera
della legge, ne nasce il disordine che abbiamo veduto nel*
Tesempio accennato al principio di questo discorso; ed é, che
' SULLA INTBBPABTAZIONB DELLE LEGGI. 169
moUi casi non si possono dal giodice decidere, perchè la legge
DOD gli ha prevedati, né è possibile il contenere in nn solo
codice tolte le azioni cfae il caprìccio dell' uomo può fare.
Rispondo: o si tratta di un giudizio criminale, come era
Y accennato, e qual male sarà mai che resti impunito un no-
mo solo che ha fatta un' azione contraria al buon regola-
mento della società, la quale azione è stata ommessa dal le-
gislatore? Il male certamente non è grande; tale sarebbe se
qoest'esempio servisse per altri casr consimili : ma il legisla-
tore d' Inghilterra rimediò immediatamente a quest' unico
disordine, promulgando una nuova legge universale, in cui
vedevasi proibita la ptìligamid sotto le pene imposte per Tad-
dietro alla bigamia; cosi restò chiuso l' adito ad altri di spo-
sare più dì due mogli, per sottrarsi alla pena imposta inav-
vedutamente a chi sposava due mogli. Il primo caso restò
impunito, perché commesso prima che letteralmente fosse
vietalo dalla legge, la quale non obbliga prima che sia pro-
mulgata; gli altri casi consimili generalmente si sottoposero
alla pena coUa dichiarazione del legislatore istesso, cui solo
spetta ampliare o ristringere il numero delle azioni libere
de' cittadini. Vero è che non è possibile descrivere in un
codice tutte le azioni che possono commettere gli uomini;
ma è vero altresì che tutti si riducono a classi i delitti ; e
che una serie d' anni suggerisce le giornaliere forme o ad-
dizioni che si debbono fare al codice, per comprendere con
poche leggi generali i casi tutti verisimilmente contingibili.
Che se poi si tratta di causa civile, il prudente legisla-
tore può togliere la metà delle liti col circoscrivere la ca-
pricciosa libertà degli uomini nel patteggiare o donarsi fra
di loro; ed io dico che circoscrìvendo e limitando i testa-
menti ad alcune formole, fuori delle quali non sia valido il
testamento; e stabilendo i gradi delle successioni limitate;
cosi pure proponendo le formole d'altri contratti, la metà
delle dispute di privata giurisprudenza verrebbe tolta dal
mondo. Ristretti in tal guisa da un sensato codice i limiti
delle azioni legittime , facile sarebbe il ridurle anch' esse a
elassi; e presentandosi un caso che in nessuna classe sia
compreso, il legislatore (► un corpo da esso delegato lo ter"
II. 15
170 SULLA UiTESPRETAZlOIIB DELLE LEGGI.
minino coi prìncipi della semplice eqoilà, condensando, per
qoel solo caso imprescindibile, le due p^iMme del legislatore
e del giadice nello stesso corpo; ma ciò immediatamenfe sia
tolto colla promolgazione d' ana legge generale , che in av-
f enire comprenda i casi simili. A ciò dunque si ridoeono
grinconyenienli di rendere il giadice serro della lettera deUa
legge; cioè, che nn primo delitto pnò essere impunito, e che
in una dispaia ci?ile ommessa dalla \6gs^ si dovrà rìcorren
al legislatore o al dallato da esso, in vece di arer la sen-
tenza dal giodiee. .Questi inconvenienti non sono frequenti
dovunque vi sia una legiriazione ben fatta, né sono mai
grandi inconvenienti; laddove la perdita della libertà polili-
ea, inseparabile dalla interpretazione della legge, è un male
di sistema, un male abituale, cbe lima e rode ogni prìoeipio
animatore e motore degli nomini.
Il più dolce, il più benefico imparo è qo^o delle leggi:
esse non conoscono parzialità, non banno affetti; sode, im-
mutabili, ordinano lo stesso ad ognune. —
— Ma a cbe riducete voi Tufficìo del giadice? mi replicò
uno dell' adunanza; voi rendete inutile il giudice, se la sola
legge provvede a tutto.-— Signore, gli replicai, la legge deve
prescrìvere come si provveda a tutto; ed il giudice deve ese-
guire quanto prescrive la legge. Un codice non basta per te-
nere una nazione tranquilla e sicura: bisogna che i metodi
per la sicurezza e tranquillità pubblica prescritti nel codice,
sienp posti in esecuzione; e quest' è quello che spetta al gia-
dice. Non è leggiero l'ufficio suo: l'ufficio del giudice è prin-
cipalmente la verificazione dei fatti; ei deve trovare la ve-
rità, e cercarveia con sollecitudine, e conoscer bene come la
cosa sia ; e fatto ciò, la legge fa il restante, cioè comanda
come debba essere. Il solo dispotismo stabilmente utile, anzi
necessario per la prosperità d' una nazione, è il dispotismo
delle leggi; il vero dispotismo propriamente detto, cioè ih
volere assoluto e indipendente d'un solo, non è utile chepas-
saggiero nelle nazioni corrotte per ricondorle ai loro prioci'
pj.Da ciò vedrete. Signori, che il fatto del poligamo inglese
non è realmente né tanto inverisimile , né tanto strano, n^
tanto ridicolo quanto vi é sembrato. —
SULLA I?iTBBPRBTAZIOKB DBLLB LEGGI. 171
Cosi terminai il mio disconio, e cìascano del Caffé si
allò e prese congedo* Un mio amico, che si trorò a caso
salla porta, ascoltò i ragionamenti che facevano fra dr loro i
miei uditori. Uno disse: QueW uomo è sempre etrano neile
tvf ^ntònt. Un altro soggiunse : Belle cose in teorica, ma in
pratica, poveri noi! Un terzo brontolava col soo compagno:
Sempre quéW Inghilterra, sempre Inghilterra! Un quarto so-
steneva che tutto queUo che avete udito sono altrettanti sojlsmi.
la 8omma> anche in questa occasione, si conobbe che l'uomo
rìDQDcia ai pregiadizj più tardi che può; che la ragione dif-
ficilmente persuade le menti già incallite con una opinione;
ebe dalla ignoranza alla verità la strada è assai più facile
che dall'errore alla verità; che l'uomo nel regno dell'immagi-
nazione lascia fabbricare in qualunque maniera, distruggere
fi^i spiace; che finalmente l'amor proprio inerente all' uomo,
è assaissimo Interessato a sostenere ìe cose che ha giudicate
Qoa volta per vere , e il piegarsi imparzialmente alia verità
è una sorta d'eroismo.
Oh quanti sbadigli, quanti stiramenti v' erano ieri mat-
tina al ciaiifò 1 Gente che era stata tutta la notte al Ballo,
gente anikeiata, e che voleva for crédere d'essersi divertita,
veniva in foHa a ricercare qualche sorte di vita, e a ripi-
gliare nn po' di vigore alia spossata sensibilità con una tazza
del nostro eccellente cafifè. Il nostro Demetrio era tutto in
faccende, e di tratto in tratto mi slanciava qualche occhiata
greca birbissima, perché egli ed io eravamo ì soli, che dopo
Aver ben cenato la sera, ben dormito la notte, colle gambe
in vigore, colla mente senza nebbia, godevamo del dolce
sentimento di non esistere male fra tanti che combattevano
<^lla lassitudine, col sopore e colla incallita sensibilità. Pal-
udi e sformati erano i volti, rauca la voi», scomposti gli ab-
bigliamenti, stordita la testa. Chi aveva mal di capo, chi mal
172 LA VESTA DA SALLO.
di gob^ cbi ma potentissima tosse. 0h che spedale, lettori
miei, che eia mai quello! Basta, dopo aver dìsfribiiita una
mezza botte di eaHè, on dopo l'altro partirono tatti f nostri
noiosamente dirertiti, e restammo soli Demetrio ed io, onde
avemmo tatto il campo di ragionare solla scena che ci era
presentata.
Hi racconta allora Demetrio, come ne' primi mesi dopo
il soo arrivo da noi, on sao amico gli propose di Tonire nna
sera al Ballo, ed ei cariosissimo di conoscere le osanxe ed i
costomi de' paesi accettò l'invito, e si preparò a godere d'an
delizioso spettacolo. Venne la sera, ed entrato appena nella
sala del Ballo, restò offeso dall' aria veramente malsana che
vi si respira, e che si manifesta e per la sensibile polve che
viene ad imbrattarvi il viso, le mani, gli occhi e la bocca, e
per quel sciagurato poUpourri di odori di materie passate
per gli arelerj, di arrosti, di traspirazione di corpi non totU
mondi, e di altre simili cose non certamente amene ali' im-
maginazione. — Appena, disse Demetrio, m' avvidi che era
por fona che alternativamente entrassero nel mìo polmone
tanti rifiati d' altri uomini, appena mi sentii rosicar la pelle,
impastare la bocca, e caasticamente rodere gli occhi da tante
materie eterogenee immiste in queir aria^ che mi trovai mal
conlento di esservi venuto. — Infatti, i Greci e gli abitatori
tatti di quelle felici contrade sono avvezzi a respirare l'aria
del Peloponneso imbalsamata dagli aranci, ed a cercare il
piacere ne' giardini, dove la natura tutta depurata ed abbel-
lita sembra sollevarli al di là della condizione dell' uomo
terreno $ né può far maraviglia, se la grave, la malsana, la
fetida atmosfera in coi Demetrio si trovò trasportato, gli
parve un cattivo preiodio per trovar ivi il piacere. Pure, rin-
venuto Demetrio da questa prima scossa, girò rocchio in-
tomo per incontrarsi nei leggiadri ichinguiB (tale è il nome
che neir Impero Ottomano dassi ai ballerini); e non rincon-
trando altri che uomini e donne, vestiti tutti a lutto con
nere gramaglie, s' accrebbe la sorpresa di lai, sentendo che
non già ad un funerale, ma ad un ballo cosi si costuma da
noi di vestire, e che tutti gli uomini e donne che ivi vedeva
erano tutti gli t chin^is. Stette quasi per ritornarsene Dome-
Li FESTA Di BALLO. J73
(rio a fare i fadì suoi, ma ìa curiosila di veder (olio lo trai-
(enne ancora. Vide egli dunque molti iehinguis, che passeg*
giando in costa, ed inciampando in chi voleva passar lora
framezzo, si davano ora la dritta, ora la sinistra, con una
serietà colla quale si tratterebbe nn affare di Stalo; indi,
coDtenti d'aver ballato dieci minuetti, sbadigliavano soave*
mente sdraiati su una sedia. Vide Demetrio delle file, ossia
delle langhe strisele irregolari di ichinguis grandi, piccoli,
zoppi, gobbi, le quali si movevano e s' intrecciavano senza
che alcuno potesse intenderne la simetria; e fra quelle due
strisele ora cadeva un cappello, ora nel presentare sollecita-
mente la mano si dava un amoroso pugno, ora un buon
piede impresso sdì lembo della tonaca nera delta donna
gliela hcerava'y sudavano frattanto e si smaniavano, e face*
van polvere molta gli ichinguis, sinché giunti alla estremila
deDa striscia, protestavano di non poterne più, e quasi esige*
vano la compassione degli spettatori per Una fatica che non
averano Intrapresa né per far bene ad alcuno, né per di-
Tertire alcuno, ma colla speranza di divertire sé stessi, mal-
grado la sperienia di tre mila volte di seguilo, nelle quali si
sono noiosamente stancati. Frattanto le tròmibe, i tiibpani e
i contrabbassi avrebbero proibito ad ogni uomo di poter ra*
gìonare per poco con un altro, quando il continuo vagare
della maggior parte, e V urto e il passaggio irregolare non
l'avessero già reso difficile. Infatti, cercando sempre il pia-
cere, vanno errando da una parte air altra della sida molti
ammantati colle nere zimarre, e il piacere si rifugia sempre
altrove. Quindi tutti i viventi che s'incontrano fra quelle in-
nomerevoli linee incrocicchiate, destinate all'errore dei pas-
seggianti, ricevono urti e scosse tali, c^e chi volesse parlare
non sarebbe mai sicuro verso qual pairle del mondo debba
terminare un periodò già innoltrato. I seguaci di Macone an-
che più fervidi ivi non potrebbero fare certamente le lor
preghiere rivolte alla Mecca.
—Almeno, soggiunse Demetrio, almeno avessi potuto ve-
dere qualche oggetto che mi ricompensasse di tutt'i mali
<!be soffrìva ! ma le donile erano coperte il voHo con una
tela annerita, e con una melanconica barba di velo nero ;
i5*
174 LA FESTA DA BALLO»
gli uomini eoQ nna maschera che aveva 1* aspetto 4' on cra-
nio amano imbianchito ; e chi russava sonoramente da ana
parte, chi spalancava elocfuentissimamente la bocca dall' al-
tra, annonziàndoci il tedio mortale in cui era assorto chi
svogliatamente andava errando con on perpetuo moto, sin
tante che la pazienza d^ buon Demetrio fu tutta esaarita, e
te ne venne a casa sua più convalescente che sano, ripe-
tendo quel detto d' Orazio i.Si£ime sertavU Apollo.
Demetrio non v' incappa più* — Oh uomini, si pose egli
ad esclamare^ oh uomini che volete avere la definizioDe di
animali ragionevoli; non basta a voi Faver trovata nel
mondo la febbre, la podagra, il mal di pietra, e V infinita
schiera deg^ altri mali innestati alla natura umana, che vo-
lete anche cambiare in tormenti veri e reali quelle azioni
che avete destinate alla vostra gioia! Oh uomini, non sapete
ancora che 1* indole d' ogni piacere è di essere di breve do-
rata, e che protraendo per (ulta la lunga notte d'inverno i
vostri baccanali, quand' anche fossero tutti all' opposto di
quello che pur sono, dovete ritornarvene carichi di noial
Oh uomini, non sapete ancora che V uniformità è la madre
del tedio, e che una variata successione di oggetti è la sola
ohe può tenervi V animo in un dolce movimento, e che per-
ciò condensando tutti i vostri tetrissimì, lunghissimi balli io
nn solo mese dell' anno, e ripigliandoli più vojte la setli-
mana, dovrebbono stomacarvi, quand' anche fossero le feste
che davano le fate ne'romanzii Oh uomini..... -^Bel bello, caro
{)emetrie, soggiunsi io, lasciate a parte le vostre filippiche,
lasciate lo dtile del patriota vostro Demostene ; ne patireb-
bero ì vostri polmoni, e gli uomini non si cambieranno per
tutto ciò. Gli uomini o^rcan0 il piacere ; ma la mAS[gior
parte degli uomini crede di trovar piacere itegli oggetti do?e
si dice che vi si trovi; e quando non ve lo trovano, essi oe
incolpano sé stessi anzi che rivocare in dubbio l' autorità
della moltitudine ; onde per non aver la taccia di avere on
guasto sentimento del buono, fìngono di aver gioia, laddove
adoperano sforzi infiniti per farla comparire. Cosi la molti-
tudine, composta tutta di individui che rispettano il parere
della moltitudine, è un vero composto di tanti uomioi i
LA FESTA DA BALLO. 17{$
qoaJi non palesalo il loro vero Bentimento, ma bensì cìa-
seooo lo simula, credendo che gii aHri non lo simulino. —
- Ebbene^ soggionge Demetm, io lascio le mie declama-
zioni; lasciate v<»i le vostre riflessioni ilosofiche; e se volete,
questa primavera, nel mio easino fuori di eitt4 balliamo <^nì
quiodìci giorni per Ire oquaUr'ore. Avremo dodici signore,
avremo venti signori. La sala è comoda, l'aria salubre, a
mezzanotte il ballo sarà finito. Vi darò una cena dilicata e
non pesante ; ritornerete sani e allegri alle vostre case, e
vedrete che è miglior mestiere il passar bene il nostro tempo
ed il cercare i piaceri nostri, di quello che non lo sia eolle
deelamaxioni e eolie ragioni il voler insegnare alla moltitu-
dine a passar bene i sud giorni, cosa cbe non sarà mai. —
Cosi terminò la nostra conversazione. Entrò nelk bot-
tega in qnel punta na nuovo sonnaechipso venuto dal ballo,
il quale si disperava pensando di dovervi ritornare fra po-
che ore, quasi che dovesse perire lo Stato, s'egli vi avesse
mancato ; ed io me ne venni placidamente verso mia casa
ascrivere questo fatto, e mi pr^aro a g<klére delle deliziose
feste del mio Demetrio.
Secura quies et ruseia fatlen vita.
Ho ricevuta la lettera ségneote, la quale forse non sarà
discara a' nostri lettori. Io vorrei certamente passare i miei
giorni come li passa il mio amico : quella villa che mi de-
scrive è il modello appunto ch'io mi proporrei. Tanti cer-
velli, tante diverse fiiccie ha la felicità : vedremo se qoal-
ch' altro uomo vede quella felicità sotto un aspetto nn pq' con-
forme a quello sotto il quale la vedo io. Ecco insomma la
lettera:
AmìcOk
È ormai trascorso un intero mese daoohè me ne sto in
questa fortunata campagna, a>bergato dal più cortese e giù-
J76 LE DELIZIE DELLA VILLA.
dizioflo osiate eli* io m' abbia conoficiato al mondo ; e fa bi-
sogno eh' io lo veda soli' Effemeridi per persuadermi che dh
mese appunto sia già passato. €aro amico, se il tempo della
nostra felicità ci pare cosi corto, e quello deUa noia cosi
lango, non potremo mai giadiear bene per intimo senti-
mento deHà somma de' momenti felici paragonata a queHa
de' momenti infelici ; ed ecco forse l'origine delle nniversali
doglianze degli nomini sai loro destino.
Io sono adunque in una villa lontana da *** quattr'ore,
cioè lo spazio di circa dieci miglia italiane, appunto quanto
basta ad allontanare dai rumori della città e dalle visite
importune, lasciandoci comodamente godere degU avvan-
taggi che si hanno nella vicinanza della capitale. L'aria qui
è sana, temperata e rìdente; il paese ci presenta da ona
parte una vasta pianura tutta si ben coltivata, che sembra
un séguito di non interrotti giardini ; dall' altra parte co-
minciano le collinette coperte dì uve eccellenti, che proda-
cono vini squisiti: qui non si sanno i nomi di nebbia, di
flussioni 0 di mal di capo, cose che per isperìenza ho pro-
vato andar sempre accompagnale: la vista è amena e va-
riata quanto immaginar potete; in conclusione il luogo- solo
merita il nome che porta, cioè YElito.
In questa deliziosa contrada, il marchese N*** vi ha fab-
bricata la casa, dove ora mi vuole in compagnia d'altri gen-
tili e colti suoi amici. Immaginatevi un. salone di otto lati
esattamente eguali, il quale finisce in una sorte di cupola, e
prende la luce da otto finestre (superiori al tetto della casa),
oltre quattro porte che sono a pianterreno in mezzo al quat-
tro lati opposti perfettamente in croce. Quattro belle stanze
quadrate fiancheggiano il salone ai quattro lati che riman-
gono ; cosi ogni lato del salone ha nel mezzo una porta, e
queste alternativamente conducono una alla stanza, l'altra
a un portico formalo in tre archi, e sostenuto da quattro co-
lonne, due ad ogni sostegno, pei quali portici si scende da
uno ad un viale che conduce al borgo, dagli altri tre a tre
differenti giardini La scala è in una delle quattro stanze; ed
una loggia interna al salone dà la comunicazione a latie le
stanze superiori, delle quali quattro sono sopra quelle de-
LE DELIZIE DELLA VILLA. i^^
senile a iH'anterreno, e quattro sopra i portici, restando ad
ogni stanza un piccolo ritiro triangolare per tenere chi Toole
DO domestico vicino, o per altro uso. La cnclna e gli altri
nfficj restano sotterra, e gl'impiegati in essi alloggiano in
due vicine case, le quali servono d'imboccatura del viale
che va al bon;o. Tutta la fabbrica è involta di muraglie mas-
siccie, con tutte le opere di legno egregiamente lavorate,
cosicché vi si ha il maggior asilo possibile contro tutte le
stagioni. I mobili di queata casa sono fatti corrispondente-
mente: qui non vedrete oro né argento, ma tutte le sedie e
le tavole comode, durevoli e liscie, cosicché maneggiandole
non trovate angeli o asprezza che conservi la polve, o v'im-
Imiti 0 laceri in verun conto. Il pavimento del salone é di
marmo bianco ; quello di tutte le altre stanze è di legno di
noce connesso con qualche simmetria, e cosi ben custodito
e Incido, che quasi riflette V immagine di chi vi sta sopra.
Le moragUe tutte al di dentro sono intonacate d' una sorta
di stocco, che al pulimento ed alla dolcezza del tatto lo cre-
dereste un vero marmo; cosicché, Jn qualunque parte vi ap-
poggiale, non correte verun rischio di sconciare o offendervi
né la persona né gli abiti. Qui non vedreste quadri di sorta
alcuna, né pitture, tranne quelle della cupola del salone e
della stanza detta fra noi Alene; ì quadri offuscano le stanze,
piacciono al primo colpo d' occhio, poi vi si avvezza, e non
K ne sente che V oscurità e la tetraggine : qui tutto é di al-
legro colore, non però bianco affatto; onde più dolce é la luce,
né ferisce dolorosamente gli occhi.
V é una stanza per le scienze, e questa si chiama Alene:
ella è riposta dirimpetto alla scala; la vòlta di essa é di co-
lor celeste, né ha altro ornamento che delle stelle di diversa
Snmdezza, disposte nel medesim' ordine in cui sono sul no-
stro emisfero. Ivi sta sul pavimento un' esatta meridiana.
Bolla quale cade un raggio di sole attraversando una piccola
apertura fatta nella muraglia. I quattro lati óelV Alene sono
coperti di quattro quadri dipinti a olio precisamente coinci-
denU ai lati come una tappezzeria : ivi stanno simboleggiale
le scienze tutte ; d' un canto alcuni Amorini che indirizzano
Qn telescopio ; ivi vicino, un altro cbe collo specchio ustorio
178 LE BBLIZIB DELLA VILL4.
accende fuoco; poco discosto, od terzo che osserTa attenta-
mente entro nn microscopio; chi ha in mano de' prismi, e
chi delle camere ottiche: da un altro canto, v' è la macchina
elettrica, e diversi amorini che la pangom» in moto e ne
eatraggono le scintille; qui la pneatnaUca, là l'idraulica; chi
dissotterra iscriuoni: e cosi del rimanente totta a chiwoscnro
bianco e celeste è dipinta intorno la stanza. Una taycla im-
mobile sta nel mezzo di essa, sotto la qnale stanno riposti
circa trecento volami e non più, lutti scelti e con eleganza
rilegati nniformemente. Un esattissimo pendolo astronomìce,
nn quadrante, varj teloscopj e cannocchiali, sfero, macchine
insomma le più perfette di tutta la fìsica, riempiono la stanza,
della quale ciascuna di noi ha una chiave, acciò svanisca
«olla libertà nostra di goderne la sicurezza dai disordini che
le visite, che talora vengono in nostra assenza, potrebbero
cagionare.
il giardino, che resta dalla parte opposta al viale, è tatto
sai gusto francese a parlerre, circondato da due remote a^
lée$ di portici verdi ; questo è propriamente folto pel gosto
del secolo. I due altri giardini laterali sono fatti pel gaslo
nostro. Quello che resta alla sinistra entrando, è destinalo
alla botanica del palato : ivi trovate tutte le erbe e i Miì
più saporiti dell'Asia, dell'Affrica e dell'America, e gli aspa-
ragi, i poponi e le lattuche più squisite d' Olanda, le qoaii
senza offendere l'illustre lignaggio degli ananassi e deiraw
di Buona-Speranza, s'alimentano sullo stesso terreno: col
mezzo delle serre riscaldate attentamente ivi avete i frnlii
più esotici e pellegrini; ed al finire dell'autunno raccoglielc
le pesche, le cerase, e tali altri simili doni di primavera e
d' estate. Il Marchese ha ricusato di ammettere fra _q^]
vegetabili la vastissima serie delle piante forestiere, le qoah
sterilmente occupano il terreno, né ad altro uso servono cl»e
a compiere le pretese classi, nelle quali gli uomini si osti-
nane a dividere le produzioni della natura. Tutto qui s^f^'^
deve e all' istruzione o ai piaceri dell' odorato e della men-
sa; il fasto, la vana magnificenza, non sono degne d'un
uomo di gusto che cerca il vero, non l' ostentazione e l'opi-
nion del volgo.
LE DELIZIE DELLA VILLA. 179
L'altro giardino posto alla dritta sembra a chi lo mira
àt\ bel principio ancora da ^rsi : ivi non vedete viàli^ non
parterre, non simmetrìa àlcana^ ma bensì la natura ferace
che ha prodotto una sorta di boscaglia irregolare per dove
noD si sa bene come entrare; ma avvicinandovi, nn sentiero
vi guida in quel delizioso boschetto, dove le erbe che pre-
mele son dittamo, timo, serpillo^ e simili fragrantissime che
imbalsamano co'kr naturali profami Tana 'che respirale;
ivi per (ubi sotterranei vi sbocca V acqua condotta nascosta-
meote dalle vicine sorgenti della collina, e così artificìesa-
meote disposta, che «ombra nascere e serpeggiare ia diversi
piccoli ruscelli che vanno inaffiando le rose, le fragole» le
violette, ed altri fiori ed erbe grate per la figura e la fra-
granza. Gli uccelli ivi liberamente vivono, e fanno il loro
nido, e sono si domesticati cogli uomini (fatti animali bene-
fici in quel recinto), che quasi non temono d' essere da noi
toccati. Questo passeggio è delizioso in ogni stagione, ma
sopramodo nella state quando le piante sono ben coperte; e
i[QÌ SODO si giudiziosamente disposte, che sembra opera li-
bera della natura quello che è V nltimo raffinamento dell'ar-
te. Queste pianto poi sono tutte fruttifere, e nessuna stenle
vi si sopporta, onde nel passeggio medesimo trovate che la
natora vi presenta di prima mano ì suoi più deliziosi doni.
Nel mezzo di questo incantato boschetto v' è una circolar
pianura, nella quale stanno pittorescamente sparsi diversi
foitami d'antica architettura, colonne, archi, piedestalli,
'Bcrizioni, scale mezzo diroccate, statue cadute e infrante,
tante anticaglie insomma coperte d'erbe su di esse na-
Meati, e si graziosamente disposte e interrotte da alcune
piante nate fra' dirupi, eh' io mi rimasi attonito ed assorto
per la sorpresa e per la vaghezza del disordine : credea ta-
lora d'essere ad una scena di teatro, e talora di premere gli
rogasti avanzi della commerciante Cartagine, o della con-
quistatrice Roma: insomma, cosa non ho veduto sinora
tanto deliziosa, quanto questo disordinato giardino, il quale
^on costa meno al padrone spesa e incomodo degli altri due.
Eccovi descritto il luogo della mia dimora : ora vi dirò
<^ome in questo luogo si viva. Siamo sei ospiti, e il Marchese
180 LE DELIZIE DELLA VfLLA.
che fa sette; abitiamo ciascano in una stanza di sópra. Sino
a mezzodì, ciascuno vive come vuole; e questo è il tempo
in coi, compiati gli atti di nsligione, con on libro me la passo
nel delizioso boschetto: giaoto ilmezzodi, ognuno è vestito,
te si impiegano le due ore prima del pranzo o in ascoltare la
lettura di qualche manoscritto del Marchese, o in fare qnal-
che osservazione, ovvero nella lettura di qualche squarcio di
buon autore, e talvolta nella declamazione di qualche trage-
dia o commedia delle più scelte; cosi passano le due ore
dolcissimamente e con profitto. Ne viene poscia il pranzo:
ivi non v' accorgereste che il Marchese sia il padrooe di
casa; non comanda, non disapprova, non offre a veruno. La
tavola è dilicata quanto essere è possibile ; i cibi sono toUi
sani e di facile digestione ; non v'è una fastosa abbondanza,
ma v' è quanto basta a sodisfare : le carni viscide o pesanti,
Taglio, le cipolle, le droghe forti, i cibi salati, i tartoffi, e
simili veleni della umana natura, sono interamente proscrivi
da questa mensa, dove le carni de' volatili e di polli, le erbe,
gli aranci e i sughi loro principalmente hanno luogo. I sa-
pori sono squisiti, ma non forti ; ogni cibo che fortemente
operi sul palato istupidisce poco o molto il palato medesimo,
e lo priva d' un infinito numero dì piaceri più dilicati ; oltre
di che, qualunque cibo che fortemente stimoli il palato, for-
temente ancora agisce sulle tonache del ventricolo e degli
intestini, e da qui ne vengono infiniti niali che compensano
con molta usura il piacere della sensazione provata. I vini
xaccolti dalle vicine colline hanno molto sapore e pòca forza,
cosicché mischiati con qualche porzion d'acqua rassembrano,
al leggier acido loro, alle limonate, e sono una gustosa be-
vanda che aiuta la pronta digestione. Nessun cibo d'odor
■forte è ammesso alla nostra mensa, ed è proscritta ogni
erba che infracidendosi dia cattivo odore; perciò i caci e i
cavoli d'ogni sorta ne restano esclusi. Tale è il nostro pranzo,
che terminiamo con un' eccellente tazza di caffé, soddisfatti?
pasciuti, e non oppressi da grossolano nodri mento, dàlqo^
^sopito lo spirito spargerebbe la nòia nella società nostra,
jiella quale anzi dopo il pranzo sembra rianimarsi la comane
jiiarità.
T LE DELIZIE DELLA VILLA. I8l
Allora è, che allestiti i cocehi e sellati i cayalli, Tiag*
giamo unitamente ora ad una terra vicina, visitando le civili
persone che vi alloggiano, ora in luoghi solitarj di bella ve-
duta, ovvero dove qualche curiosa sorgente d'acqua, o qual*
ch'altra naturale produzione degna di osservarsi c'invita.
Queste geniali partite ci fanno sparire il tempo sino a sera,
avvicinandosi la quale ce ne ritorniamo al nostro Eliso. Ivi
la domenica si balia, e tutte le compagnie del vicinato ven-
gono a passarvi quella sera. La piccola orchestra sta solla
loggia ; nella gran sala è il ballo ; e neUe due stanze libere
a pianterreno, in una vi sono le tavole de' giuochi, nell'altra
ona cena campestre, a cui chiunque vuole partecipa, to«
gliendo, senza la formalità di sedere, da una mensa ben
fornita di deliziosi cibi freddi e di squisite bottiglie, quanto
abbisogna. A mezzanotte Onisco regolarmente il ballo.
Le altre sere talvolta le passiamo colla musica: tre della
nostra compagnia son buoni suonatori, e formano un con-
certo a tre, eseguendo delle suonate a tre stromenti, delle
quali appunto, come di più facile esecuzione, il Marchese ha
fatto una copiosa e scelta raccolta ne' suoi viaggi, e la con*
serva legata in diversi volqmi. Frattanto altri giuoca, o legge,
0 ascolta, o ragiona, come piace. Talvolta per tema che l'uni-
formità non ci annoj, varj altri passatempi vi s'introducono;
né v'è cosa che si reputi frivola presso di noi, quando serve
air importantissimo alTare d' impiegar il tempo con piacere ^
perciò mille giuochi si sono messi in campo ; mille scherzi
innocenti, ora cadendo sopra l' uno, ora sopra l'altro, ralle-
grano la compagnia sen/' avvilire l' amor proprio di alcuno.
Così passa con una dolce allegria la sera ; né altra maggior
cura ha il Marchese di quella di prevenire sempre il tedio,
e far sostituire una nuova occupazione a quella che prose-
guendo potrebbe illanguidire l' attenzione. Cosi viene V ora
della cena, dopo la quale ciascuno passa nella propria
stanza.
La maldicenza e la irreligione sono le sole lingue proi-'
hi te severamente in questa innocente nostra vita ; tutto re-
spira r umanità e la vera virtù. La premura di renderci re-
ciprocamente grato questo soggiorno, è la passione che ci
II. -• . 16
182 LE DELIZIE DELLA VILLA.
anima tutti a ricenda ; in conclasione si rive cosi beata-
mente, che i Mita ni dell' Asia, qnand' anche fossero intima-
mente pèrsnasi che cento milioni di nomini sono nati per
essi, non credo che provino in vita loro il piacere di vivere
come lo proviamo noi. Qoeiro che sovranamente abbella
(alto, è il Marchese, nomo che ha conosciuto tolte le corti e
Regni floridi d'Europa; uomo che ha avuta famigliarità co-
gli nomini più cospicui in ogni genere, e che da' suoi viaggi
e da' suoi studj, ai quali per natura è stato sempre inclinato,
ha cavata una quantità di tante notizie, ed una si fatta col-
tura e grazia di farne uso, eh' io non saprei nominarne un
altio di più gentile e interessante conversazione. Egli è
uomo amabile, ma non debole; deciso, ma non ributtante.
In questa sua campagna, altri commensali non vi sono che
i suoi amici ; ed ha saputo si bene farsi intendere su gue-
st'articolo, che alcuno non osa inlrodurvisi, se non è for-
malmente pregato da lui. Di tutti quelli che quiyi cenano al
ballo liberamente, un solo non ardirebbe presentarsi a parte-
cipare della nostra vita ordinaria. Cosi questo vero saggio sa
vivere nel mondo ; sa goderlo senza esseme schiavo.
Ili sono trovato spesse volte in compagnie splendide in
villa, non mai in una si ben concertala e insieme cosi ge-
niale come si è questa; dove per compimento di perfezione,
non provo il dispiacere di vedere il padrone di casa incomo-
darsi, e comperare Y attuale magniGcenza colla carestia fo-
tura, sentimento che mi ha amareggiato nel secreto del
cuore ogni volta che mi sono trovato nel caso di averlo.
Il patrimonio del Marchese è di dodici mila scudi al-
l' anno : nei primi anni della gioventù gli ha spesi regolar-
mente in viaggiare; ritornato poscia nella patria, quattro
mila soli scudi si è riservati pel suo mantenimento, e otto
mila all'anno ne spese nella costruzione di qaesV Eliso. Fi-
nito y Eliso, altra distribuzione ha stabilita alla sua entrata:
quattro mila scudi per la sua persona, mille scudi per le ri-
parazioni MV Eliso, due mila scudi per sollevare i poveri,
mille scudi per aiutare e ricompensare gli uomini di merito
che producono qualche buona cosa in qualunque genere, e i
quattro mila scudi che rimangono servono a passare due mesi
LE DELIZIE DELLA VILLA. 183
ogD'aDno dalia vita che vi ho descritta, senza che nnai al-
cuna dì queste partite ecceda a danno dell'altra. Se vi do-
lessi dire come e con qaali nobili maniere impieghi ì mille
scadi a premiare ora on letterato, ora un pittore, ora on ar-
tista, e quanto bene faccia alla sua patria con soli mille scodi
annoi, avrei soggetto per farvi ana nuova lettera : vedreste
Ve vero che un cittadino illuminato ha più influenza nel
mutare una nazione, che non ne abbiano i più gravi volgari
Catoni. Ma tempo è di finirla : v' abbraccio e sono ec.
Dall' Eliso, S ottobre 1764.
STORIA NTATIJIMlIìI: DEIi €ìIl€€AO«
Ogni ragionevole lettore, al solo titolo di Storia naturtUe
del Caccao, sarà persuaso che quanto sono per dire su questo
argomento non è, né può essere una invenzione delia mia
mente, ma deve per necessità essere una raccolta dì notizie
spettanti a questa droga, di cui altri prima di me ha scrìtto.
Chiunque voglia dire che è tradotta, ricopiata o altro, come
s'è detto della Storia del Caffè, è padrone; gM scritti slam-
pati sono come le facciate delle case, sulle quali chiunque
passa per la strada è libero a dire il parer suo, e chiunque
si determina a stampare le cose sue deve sottoscrìversi a
qnesto contratto. Credo che a buona parte de' discreti nostri
lettori non sarà discaro d' avere in questo Foglio una idea
^"^ana droga tanto familiare fra di noi, poiché gli autori che
ae trattano non sono tanto comodi ad aversi quanto il no-
stro Foglio.
V* è un errore volgare sulla indole del caffè, di che ab-
biamo parlato nel primo Foglio, ed è di crederlo un legume.
V* è un errore volgare sull* indole del caccao, ed è di cre-
(lerlo una ghianda. I grani di caccao che veggìamo in £uro*
pa, de* quali ci serviamo per formare il cioccolatte, trovansi
i^on già uno ad uno separatamente pendenti dai fami del-
, l' albero, ma bensì raggruppati a guisa d' un grappolo, il
quale sta involto in un baccello, ossia guscio, della figura
184 STORIA NATURALE DI^L CACCAO.
presso a poco d'un cilriolo. Cotesti cetrioli contengono per lo
più venti, venticinqae, trenta, e persino trentacinqne grani
di caccao, tutti per entro disposti con maravigliosa simetria,'
come presso a poco lo sono que' del granato. Né qae'citrioH
restano già appesi ai rami secondar] dell'albero, come lo
sono i fratti di Europa, ma bensì sono inerenti al gran troDco
0 ai rami primitivi, cosa la quale non è si rara nelle piante
d'America.
Quattro mesi a un dipresso vi vogliono perché il fratto
del caccao giunga alla maturezza; e se nn guscio non per
anco maturo venga spaccato, vi ritrovi fra le cellette ove do-
veano esservi i grani, una materia bianchiccia e consistente
la quale trasmutasi poi in una mucillagine d'un acidetto soa-
vissimo al palato, che fra gli ardori della state s{erve delizio-
samente ad estinguer la sete.
Il cacaotiere, ossia l' albero del caccao, è una pianta di
mediocre grandezza, le di cui foglie cadono a vicenda, e si
riproducono per modo eh' egli è sempre coperte^ di foglie, e
sempre schiude, produce e matura il suo frutto. Con tutto
ciò, la principale raccolta fassi due volt$ Y anno, cioè verso
la fine di dicembre e circa la fine di giugno, e la prima è
«empre più abbondante. Il prodotto che deriva dalla coltiva-
Eione di quest'albero altronde dilicatissimo, è molto raggaar-
devote, poiché la fatica di venti soli schiavi Mori può ren-
dere cento mila libbre di caccao all'anno, le quali, valutan-
dole al prezzo che colà corre, a circa dieci soldi milanesi la
libbra, danno il prodotto di circa cinquanta mila annue lire
milanesi, ossìa tre mila trecento trentatrè gigliati all'anno.
Il cacaotiere si riproduce con que' medesimi grani che ne
vengono a noi; se non che appena distaccati dall'albero, e
rotto il baccello, si piantano, poiché altrimenti disseccandosi
perdono ogni disposizione a vegetare. 11 terreno poi, in coi
meglio riesce questa piantagione, si é laddove là terra sia
vergine, ossia laddove la terra da lungo tempo non sia stata
coltivata, ed abbia profondità molta, onde possano allungarsi
liberamente le radici della pianta.
La parte interna de' grani del caccao é bianchiccia al-
lorché si colgono, ma con cinque o sei giorni di fermenta-
STORIA NATOBALE DEI. CACCAO. 185
zione che essi fanno radunati in mucchio, perdono quel-
r amido soverchio che li farebbe infracidire, e prendono
quel color brano ohe conservano dappoi. I grani del caccao
sono il frodo più oleoso che sinora siasi trovato al mondo,
ed hanno ciò di proprio, che laddove tutt' i fratti contenenti
particelle oleose, quali la noce, la mandorla, i pinocchi, le
dive, invecchiandosi rancidiscono, i grani del caccao mara-
vigliosamente si conservano illesi da ogni corruzione.
La patria naturale del caccao sono le contrade d'Ame-
rica riposte fra i due tropici, e singolarmente il Messico, le
Provincie di Guatìmala e di Nicaragua, lungo le sponde del
Rio delle Amazzoni sulla spiaggia di Caraca,cioò da Comana,
0 Cordova, persino a Gartagena, o all' isola d' Oro. Le pian-
tagioni che altre volte v' erano di cacaotieri nella Martiniélf,
sono slate quasi interamente distrutte, parte schiantate da' fu-
riosi venti, e parte perché ivi si è trovato più conto a pro-
movere le coltivazioni dello zucchero e del caffé. Dal Mara-
gnan molto caccao viene ogni anno a Lisbona, ma di qua-
lità assai inferiore a quello che sì coltiva dalle Colonie
Nell'anno 1520 hanno cominciato gli Spagnuoli a fer
Qsodelcioccolatte, che era la bevanda quasi comune degl'in-
felici Messicani. L'olio, ossia butirro, del caccao, è sanissimo
ad osarsi, anzi é un rimedio; e se l'usanza delle antiche un->
zioni (molto salubri a preservare dai malori che oi cagionano
te violenti matazioni dell' atmosfera, ed a conservare la pie-^
ghevolezza e la forza ai muscoli) ritornasse, il butirro del
caccao sarebbe certamente da preferirsi ad ogni altra pò*
mata, poich' egli non lascia alla pelle né sudiciume né ve-
ran cattivo odore, il che non accade dell'altre pomate; e
ben lo sanno moHe dilicate donne, le quali por preservare
la pelle del volto da quella secchezza da cui poi nasce l' in-
crespamento, ne fanno uso con profitto.
Qoest'é appunto quello ch'io credo sarà letto 8enz9
noia da quei ragionevoli e cortesi lettori del nostro Foglio, f
quali sanno che le descrizioni delle piante d'America non
possono farsi in Milano senza prevalersi d' altre descrizioni,
^ quali si trovano sugli autori
ihG
»£! lilJCni D£'in[£DI€I.
10 san medico poUista: tocco dugento polsi al giorno j e rice-
vo dw mila scudi Vanno in ricompensa dermici toccamenii. Quel
qiorno appunto in cui pubblicaste U discorso contro i PoUisUh
acquistali Ire clienti di più. La mia rendita è tanto più stM,
quanto eh* ella ha per cauzione gii errori degli uomini. La vo-
straMga è tanto più difficile, quanto che avete per avvér$(uj
lutti coloro ai qtMli vorreste far del bene.Giudicate, scrittore P..^-:
V animai raqionevohi in questo caso siete voi, o lo sono io? Stn-
chè gii uomini saranno deboli mentre sono ammalati, osn'a
lincee gli uomini saranno uomini, awanno tutta la docilità fer
chi farà sperar loro la guarigione; tutte le ragioni avranno sem-
pre minor forza di quel principio inerente edCuomo medetim
Questo è un pezzo d'erudizione, che potreste riporre nel Gaffì.
11 si^or dottor Anonimo è servito. Ecco riposto nel
Gaffe il biglietto che mi ha trasmesso. 11 signor Polsisla
ha più buon senso che non ne abbiano la maggior parte de'
suoi compagni: il ragionamento eh' egli fa è giastissimo a
considerarlo sotto un aspetto solo. Se la commedia, che noi
uomini rappresentiamo su questo globo, non dovesse eoosi-
stere in al^ro che nel profittare de' mali e delle debolezze
altrui, il signor Polsista avrebbe ragione, e seco lui avrebbe-
ro pur ragione tutti i cariali che rovinano i patrimoni, tutti
que'che contraggon debiti per fallire, lotti ì. ladri, adorne^
stiei e di slrada; in una parola, non vi sarebber pia prioeipl
né di religione, né di morale, né d'onestà. Due mila scodi
l'anno sono nn bene; ma la vergogna di guadagnarli con ob
mefiitiere o inutile o pernicioso alla società, é un male. Taccio
le ragioni superiori. Resta a bilanciare qnàl sia maggiore, »
il bene o il male; e questa decisione dipende dal senso di
ciascheduno. Se io dovessi fare il medico, farei ogni sfo'*'
per radunare in me latte quelle eogniiioni le quali poteff»;
ro rendermi capace da sollevar dai malori gli uomini che sì
fidassero di me; e quel poco che io mi procacciassi «>' ^^
' DEI LOCBl DB MEDICI. 187
sapere, me lo goderei come un onorato fratto del mio talen-
to, senza rimorsi e senza vergognarmi della mìa professione
in faccia a chi che sia. Chi pensa altrimenti, forse ne riceverà
maggior lacro; ma questo lucro deve pagarlo colla conti-
nua inquietudine di essere smascherato, colla continua solle-
cìtadine di nascondere la propria ignoranza, colla fuga atten-
tissima delle occasioni, in cui debbasr incontrare un medico
veramente tale; insomma con rUnorsi, con amarezze e con
00 fascio di sventurate sensazioni, le quali non son mai ben
pagate, qualunque sia la somma del danaro che producono.
Io non ho nessuna vergogna nel dir delle verità e nello scri-
verle. GV impostori hanno sempre un crudelissimo disprezzo
di loro medesimi nel fondo del cuore. L' animai ragionevole
dunque credo che lo son io.
IiA BlIOUTA €OnPA«]VIA«
La maggior parte degli uomini hanno un vero bisogno
di passare il loro tempo più che possono nella compagnia di
molti uomini, per tal modo che, qualora per circostanze par-
ticolari venga ciò loro impedito, gli vedi abbattati, tristi, deso-
lati, più che se loro qqalche mal fisico fosse veramente accadu-
to. Osservo inoltre che a questi tali, punti da quest'artefatto
bifiogno, nemmeno il mal di capo, nemmen la febbre, bastano
a superare Tinterna voce di questo, a meno che non giungano
a un grado insigne. Questo bisogno io lo chiamo artefatto, e
per ciò tale lo chiamo, perchè presso varie nazioni egli è per-
fettamente sconosciuto; e forse, se daremo una libera occhiata
alla terra, troveremo che esso va sempre crescendo a misura
che i popoli vivono sotto un più pacifico governo, ed abitano
una porzione meno ingrata del globo. La sapienza è sempre
stata il patrimonio di pochi; perciò non è dato a molti il sentire
questa grande verità: che Tuomo è tanto più indipendente,
quanto sono minori i bisogni di lui, e che quanti più biso-
gni si forma, tanto più crescono le catene, che k> riducono
188 LA BUONA COMPAGNIA.
a soffrire nel l^reve corso de'saoì giorni una esislenta preca-
ria e subordinata ai capricci altrui. Si fatti principj non
possono mai rendersi universali, ma bensì dirigono la vita
di alcuni pochi sparsi con molta parsimonia sul nostro Pia-
neta, e questi pochi sono realmente più paesani fra di essi, di
quello che non lo sieno coloro che hanno comune la patria.
Quello che fa maraviglia piuttosto, si è il vedere come la
maggior parte degli nomini, avendo un vero bisogno della
società degli uomini , trascuri talmente Y arte di vivere in
essa società, che invece di riportarne quella dolcezza e qael
conforto che gli animali deboli ricercano dalla compagnia
de' loro simili, ritornino per lo più alla loro solitudine ama-
reggiati e guasti da infinite passioni e idee oppostissime al
fine propostosi. In questo breve discorso vo' provarmi, se
posso, a illuminare alcuni principj relativi a quest'argomento.
Ognuno m'accorderà facilmente che si dia la buona comr
pagnia, e che si trovi la cattiva compagnia,* ma se dovessi rac-
cogliere le diverse definizioni che ciascheduno dovesse dare
di queste dure diverse sòrte di società, troverei un vero caos.
Riduciamole però ai primi elementi. Ognuno chiama buona
compartita qneUa dove passa bene ilsno tempo; eatlivay quella
dove lo passa male: e ognuno passa bene il soo tempo, dove
non resti offeso il suo amor proprio; e lo passa male^ dove
all' incontro l' amor proprio venga offeso.
Poni una bella dama, di cui la più forte passione sia
quella di ottenere il vanto di bellezza, attorniata di altre an-
cor più belle e leggiadre di lei: qualunque sia il fortuito giro
delle idee e de' discorsi tenuti in quest'adunanza, sii si-
curo che la bella dama ha sofferto dai volti delle più belle
continue mortificazioni al suo amor proprio; ch'ella avi'à
passato male il suo tempo; e conseguentemente eh' ella Del-
l' ìntimo dei suo cuore darà il nome di cattiva compagnia a
quell'adunanza. Poni un uomo mediocre, ma che pure abbia
una costante passione di passare per nomo di spirito, attor-
niato di nomini d'uno spirito al suo superiore; fa che essi
brillino a segno d'offuscarlo, e lo vedrai oseire dalla compa-
gnia con qne' sentimenti che porta seco la bella dama. La
superiorità de' talenti o dell'avvenenza non si soffre dalla
LA BUONA COMPAGNIA; 189
umana debolezza giamniai, sintanto eh' ella non sia tanto in-
signe) da rendere affatto ridicola la pretensione di gareggiar^
vi; e questa è forse la vera cagione per cui rarissìnie sono
te ?ere amicizie fra due belle, e fra gli uomini di lettere, co«
moDemeote; e quando colla ragione giungano ^ superare
gli ostacoli fortissimi che V amor proprio loro frappone, v' è
ragione di credere che le facoltà del loro animo s' esercitino
ancora più sul cuore che sulla fantasia o sull' ingegno. Ba-
sta non esser vile per sacrificare alla virtù le ricchezze; vi
VQoie della forza per sacrificarvi i piaceri; vi vuole una ro-
basta e benefica filosofia per sacrificarvi V ambizione.
Ma per formarci una universale e limpida idea delF eis-
senza d' una buona società , vediamo in prima qual sia il
fine per cui viene essa formata. Gli uomini ubbidiscono al
bisogno di passare delle ore del giorno socievolmente a fine
li passare quelle ore bene: da ciò ne deriva dunque per
'Onsegoenza che la buona compagnia si è quella d'onde mag-
n'or nnmero d' uomini partono contenti. La buona compa-
gnia dunque deve rassomigliarsi assai più al governo demo-
cratico, che a qualunque altro; fors'anco può ella sussistere
fiotto r aspetto d'una aristocrazìa clemente; fors'anco può
ritrovarsi in figura d' una moderata monarchia: ma se il di-
spotismo 0 l'anarchìa vi s'introducono, la buona compa-
gnia non è più da sperarsi. Chiamo conversazione anarchica,
quella dove gli uomini radunati, non obbedendo a veruna
legge sociale, formano un tumultuario mormorio; dove più
parlano in una volta, e s' interrompono, e si urtano, e s'in-
comodano vicendevolmente; dove si mette a prova la forza
polmonare, e si urla, e si schiamazza; dove l'uomo educato,
M per sventura vi si trova, deve essere asperso deireloquente
saliva degli infuocati declamatori , e spalmato potentemente
dal loro eterno gesticolare; dove una idea o non viene pro-
posta, 0 viene spezzata prima che interamente sia prodotta,
e la contraddizione , e la inurbanità, e la scurrile maniera
<li schiamazzare e smascellarsi, rattristano, annoiano ed
amareggiano alla perfine ciascuno, e lascianlo ritornare a
casa stanco, svaporato, e pentito di aver avuta parte a quel
confesso, che potrebbe chiamarsi la Noce di Benevento.
100 LA BlìOXA COMPI GNU.
Chiamo converaazHme diqiotica, quella óoie n solo irro-
gandosi, o per causticità naturale del sao amore, o per ona
ìnordinata voglia di mostrarsi saperiore ad ognuno, il pri-
mato, con taono imponente di voce lascia ad ogni tratto
travedere la disistima e il nesson conto in coi tiene gli
uomini che gli sono presenti; e trascurando il merito mo-
desto dell'uomo ben educato, ed avvilendo, e mortificando,
e profittando d' ogni presa per slanciare mordacissimi traili
nel fondo dell'animo altrui, sparge la confusione ed ilrw-
sore sulla faccia degli uomini sensibili; ovvero, impadronen-
dosi implacabilmente del discorso, trasmota la sala della bo-
cìetà in ferocissimo liceo, e costringe gli nomini alla noia
d' essere etemi uditori. Le società di queste due classi ana^
chiche o dispotiche non si frequentano mai senza pentirse-
ne: la prima non può chiamarsi hurma compajjfnta da nessono;
r altra può chiamarsi tale da un scio.
Acciocché il crocchio, in coi ti trovi , possa meritare ii
nome di buona compagnia, bisogna prima di tutto che chilo
compone sieno lutti onesti e virtuosi; poichò non ti senti-
rai mai r animo libero veramente e aperto a queHa dolce fra-
tellanza, che è il massimo diletto d'una radunanza d'aomini,
se hai ragione di temere o che taluno stia in agaato per con-
traddirti, ovvero che i discorsi che sei per fare, possano
esaere ridetti, o contraffatti, o mutilati altrove, dal che te ne
nascerebbero brighe e inquietudini infinite. Un uomo solo
d' una probità sospetta basta dunque a guastare la booD<
compagnia.
Si richiede dappoi , che ognuno che compone la comp*"
gnia, sia dirozzato bastantemente^ ed abbia ona certa doio
di gentilezza , si che non ofTenda alcuno. Due leggi di con-
venzione reggono gli uomini mentre vivono insieme; Is P"'
ma è il cerimoniale, la seconda è Ja citilià. A misura che gt>
uomini si sono resi più socievoli, s'è diminuita la sece^U^^
del cerimoniale, uso che realmente altro non produceva che
un perenne commercio d' inutile falsità , ed un ridicolo iid-
barazzo da tutte le parti. Ma se la ragione va persaadendo
agli uomini la destruzione del cerimoniale, la stessa P^^^
prova la necessità di conservare quella che chiamasi civm
I.À BUONA COMPAGNIA. 191
in vigore. Si è quesU civiUà una quasi virtù, ed una al(en-
ziooe eostanie a non lasciare che nelle parole o negli aUi
nosfari traspaia cosa che offenda o dispiaccia agli altri ; essa
è una emanazione di quel primo principio che e' insegna di
non far ad altri quello che dispiacereM)eci fatto a noi. Se vai
u cercare la compagnia degli uomini per riceverne un bene,
ra^on vuole che. tu non faccia ricevere un male agli altri
uomini che per un fine eguale al tuo si son radunati , ma
che anzi contribuisca quella porzion di bene che per te puossi
in tributo agli altri.
Non pretendo io già, che portando questi principj air e*
stremo, gli aoniini debbano radunarsi per amministrarsi Vnn
l'altro un insipido pascolo d' adulazione; dico bensi, che non
è ririuosa né urbana cosa il convivere si, che colle parole,
ed tono di voce , co' gesti, uil uomo persuada agli altri di
averli in nessun conto. Vi vuole un punto di mezzo fra la
sciapita dolcezza e la rusticità; vi vuole una cert* aria di li-
bertà e di bontà d' animo; vi vuole insomma una vera vo-
glia di passar bene il tempo, e di lasciar la brigata contenta
di noi. Si fatte dilicate differenze è impossibile esprìmerle
bene colle parole; dipendono però da questo prin^ principio
universalissimo, e che non è soggetto a veruna eccezione:
Quando un uomo parie dalla tua compagnia contento di $è
slesto , parU conlenlo di le.
Alcune volte nella vita socievole si suol dare il nome di
uomo amabile a taluno, che realmente non lo sembra a nes-
suno ; questo nome talvolta si dà per timore della lingua al*>
trai, talvolta per adulazione e per altri riguardi: ì* uomo ama-
bile non è già quello che sappia con maggiore vivacità d'in-
gegno superare gli altri in un racconto, in un bel detto , in
una spìrìtosa e pronta risposta. Entriamo nel centro del cuore,
e vedremo che V nomo che ciascuno di noi trova amabile ,
è colni, parìando col quale ciascuno di noi crede dì far buona
comparsa ; l'uomo amabile per ciascuno di noi è colui, dal
quale crediamo d'essere tenuti in conto; l'uomo amabile
jierfine é colui^ il quale sa dare risalto allo spirilo nostro anzi
che far pompa del suo. Il nostre amor proprio è sempre il
più costante distributore degli elogj o de' biasimi.
192 LA BUONA COMPAGNIA.
Posto ciò, ella è cosa per sé manifesta, che V oomo che
ragionevolmente entra in nna compagnia per passarvi bene
il 800 tempo, deve essere sollecito non tanto d'impadronirsi
della conversazione, qaanto di dare risalto e pregio alle
cose buone che per ventura vengano dette da altri, e fare
il mestiere di Socrate, la levatrice de' pensieri altrai, aiotan-
doli ad esprimersi , e adomando e rendendo nobili le altroi
espressioni. Questo è il solo genere di talento di coi non «
può mai far uso con eccesso nella società.
La maldicenza sugli assenti fa alcune volte V effetto di
piacere in una compagnia, poiché V amor proprio di talli
gli astanti al primo incontro sembra migliorar di condiiione
quanto altri si deprime; ma, un momento dopo, viene la ri-
flessione in soccorso, e fa nascere V aborrimento verso il
maledico, da cui ciascuno teme a ragione egnal Irattameolo,
assente eh' egli sia.
V arte di scherzare riesce essa pure; ma, acciocché il
suo effetto sia grato costantemente, vi vuole una delicalena
somma di spirito, ed un Ano accorgimento del cuore umano.
Lo scherzo non deve mai cadere su un difetto vero d'alcono,
ma sibbene su que' soli difetti i quali appena meritano qoe-
stp nome, anzi suppongono delle virtù: tu puoi vivacemente
scherzare, con un uomo dì studj profondi e di chiaro nome,
sulle distrazioni che gli accadono ne' minuti oggetti, perché
appunto queste distrazioni in lui provano V energica spinta
del suo animo verso gli oggetti più grandi. Tu puoi scher-
zare sulla cattiva compera fatta da un uomo generoso e ric-
co ^ poiché appunto questa mancanza di esaltezza é un di-
fetto compagno dell'indole generosa; e cosi dicasi di miNe
siipill soggetti di piacevoli scherzi. Ma chiunque voglia secon-
dare il talento della celia, conviene in prima ch'ei la distin-
gua bene esattamente dall' ingiurìa. Alcuni, pretendendo di
scherzare, dicono delle grossolane villanie: il mestiere degli
scherzi non é fatto per essi; e si ricordino di quel giumento»
il quale vedendo accarezzato un cagnuolino, perché festosa-
menie saltellava d' intorno al suo padrone, volle imitarlo, e
nT ebbe il destino che si menitava.
11 mestiere di contraddire poi é per comune coosent'
LA BUONA COMPAGNIA. 193
mento uno de* più sciagarati che si dieno al mondo: io lodo
molto che i progressi della ragione abbiano tolta in buona
parte l'antica barbarie longobarda de' duelli, e che per ana
contraddizione non si obblighi più un uomo a ricorrere al
giudizio della spada; ma starebbe assai bene che con una
nniversal legge sociale venisse obbligato il contraddittore ad
accettare la scommessa, qualora vengagli proposta; e diver-
rebbe cosi la seccatura un fondo censibile d' onorato lucro
per gli uomini clie sanno vivere, dispensandoli da una noiosa
disputa.
Le compagnie dove si fatti doveri si eseguiscono, sono le
compagnie eh' io chiamo buone; di tali ne conosco, ed è in-
teresse di ogni uomo il fare in guisa che, quanto è possibile,
le altre cerchino d'accostarsi a si fatto modello. Se cosi vi*
vono gli nomini insieme , allora veramente la società è un
vero ristoro deUa vita; in essa si prende l' ilarità che rin^-
nova vigore e lena agli uomini, per occuparsi lodevolmente
il rimanente del giorno ne' doveri di cittadino, di parente o
di amico; in essa nasce e si fomenta la santa, la adorabile
amicizia, eh' è forse il più gran dono umano che il Cielo ab-
Ina fatto agli uomini, per consolarli della schiera infinita
de' mali che circondano la carriera di questa vita mortale.
fitviiii'rarBiESTO mEJL vaiuoiiO.'
La questione sull'innesto del vaiuolo non è già del ge-
nere di quelle che interessano appena la curiosità degli uo-
mini di lettere; neUe quali entra il saggio rare volte colla
speranza di scoprire la natura delle cose disputate, e bene
spesso altro non vi ritrova che nuovi argomenti per confer-
marsi in un cauto sistema di dubitazione. La questione del-
rinnesto è tale, che vuole l' interesse della intera umanità
elle venga quanto più si può rischiarata, e che con ogni im-
* Abbiamo creduto Al poter omettere in questa ristampa le iafioite cita-
BÌoni d' opere riportate dall'Autore in pi% di pagina.
II. 17
tf4
é fcruRiBW ala «pn» m<cn. iiimi 'aAmè metnaatm^ eoa-
vjpnf «mtfiaritt. e yn»?¥r«'wfe 1 ai» irìÉp d» 9 fvft: se
&» a Mia 11 APLMUJM1 4r'
Toi». e 1
ta. se j» aJtr» «ssetl* bì ^wcifCT «i aì^a ^Ama. scmn-
dioiP. <à(f fK^a ckp m: iara T^'Lm* s^^tT^mlo d*ifcr
C0«trA<Be«L per faaafc» h' cn ptes^Q?!. a calaave ^■ririi-
le ^adi? aji ili ■inai che «JmApaa «■ «a aesellisi
fa if laiaBf 4egft ai MfaL Pepa toarti 1
stri e fccttiiti- che fcaaaa parta ia péfaalarelai
flMTiaaesta. a awaaa icsta^aspeiaie akraclaria: aèiaÌB
pacale aùe caasb^aaóoaì alba bì ivapatt^a^ se aaa di pre-
scalare i bcti e le aaaervaDaai che Iw raccalte ada Miara
di qae'cra»raooiiaì, e dì Laiiliw chi varrà laverie per
^acMa strada aacdesìan per cai è pasrUt la via Beale, a
Teder chiara ia faerta MaleriaL
La spinta dì partita è seaipre aaa Bacchia, aache aele
pia iadiflèreati contraversìe: la Tcrilà è seaapre pia fcdU e
l^à aagasta di qaaiaaqae Tìtlorìa riportata eoa capnosi e
sofistici ra^iooaaieBlL Keile aulerìe poi dove ki spirilo di
partito poò casioBar ia podita dda vita a qaakhe ìacaato»
conrerrcbbe essere aa vero nostro della specie omana per
averlo; aaiahhii panili aaa de' pia eaaran dMsi ddb ragi»-
ae e della scrìttara, se s'impiegasse ad ianalaare ona opi-
aioiie so i cadaveri deOe ìBaoceali Titliaie amaae saerifict-
levL Spero ^e i lettori tfoveraaao ia me qaelie dìspomoai
di caore capaci di preservarmi da aa si obbrobrioso sospet-
to; e che se le mie ragioai nan persaaderanao laloBO, Te-
drassi afanen chiaramente la iageaaità e rìadìflereaza colb
qoale ho cercato di ritrovare le vere. Potrebbe presso akoni
sceamr la fona ddle ragiooi che io aadrò rioereaado, il riflet-
tere come io abbia preso a trattare ana materia dlpeadenle
dalla medicina, senza essere io medico; ma si rifletta primie-
ramenle, che il soggetto eh' io tratto è pialtoslo ana questione
SLLL INNESTO DEL VAIUOLO. 193
slorica e di fallo, anzi che di medicina ; secondariamente
poi si esaminino le ragioni che sono per addurre, e quando
esse si trovino concludenti, sarà conveniente il dire chf io,
non medico, ragioni non male d' una materia medica.
L' economia della macchina del corpo nostro è si poco
conosciuta dagli uomini, e sono talmente profonde e riposte
le cagioni e del moto e del disordine di essa, che dopo le
più costanti osservazioni, dopo le più industriose ricerche, i
più illaminati scrittori delle cose mediche si trovano gianti
a quella dotta e filosoGca ignoranza, che avvicina gli nomini
grandi al volgo assai più che non ai mediocri professori.
Un'attenta osservazione sulla condotta dei più rischiarali
medici dell'Europa, ci convince di questa verità: cl»e la mi-
glior teoria medica si ò quella che venga appoggiata su fatti
costanti; e che ragionare un poco in medicina sia bene, par«
chò sia un poco; giacché la libidine del ragionare , e fabbri-
car capricciosi sistemi su principj che sfuggono i, sensi e
r osservazione, egli é un voler avventurarsi all' errore, anzi-
ché accostarsi alla cognizione intima ^elle strade che tiene
la invisibile natura. Sono quasi sempre ignote agli uomini le
vere cagioni de' morbi; sconosciuto é il meccanismo con cui
operano i rimedj. Non v' é chi sappisi veramente qual sia la
cagion della febbre intermiltente ; non v' é chi conosca per
qoai principj venga scomposta la nostra macchina per quel
veleno contagioso che dicesi venuto all'Europa dal nuovo
mondo ; oscurissima é pure l'indole della corteccia che chia'-
miamo china china; ignotissima parimenti l'azione di quel-
r unico metallo fluvido che chiamiamo Mercurio per una
immaginaria corrispondenza con un pianeta: ma noto è, per
una costante sequela di fatti, come la china china risani dalla
febbre intermittente, e il mercurio da quel veleno che tende
a spopolar la terra. Gli aforismi d' Ippocrale, che sono forse
il più utile monumento tramandato a noi dalla più remola
antichUà, altro non sono che alcune regole pratiche dedotte
da una lunga serie di osservazioni e di fatti. Il canone dun-
que più classico che vantar possa la buona medicina, é quello
che si deduce da una lunga serie di sperienze, per cui dal
passato prendesi norma per l'avvenire; e il filosofo medico
106 sull'innesto del vaiuolo.
sopporta in pace 1* ignoranza delle vere elementari cagioni
delle malaltie e de' rìmedj ; ignoranza inerente alla omana
natura circoscritta dal potere de' sensi, da' quali tosto che ci
dipartiamo, restiamo assorti nel fallace chimerico regno della
immaginazione a scapito dell' arte istessa.
Ciò posto, io non perderò il mio tempo nell' indagare
qnello che nessun medico saprà mai, la natura primordiale
insomma di quel veleno vaiuoloso, il quale per contagione
si comunica, e diffondendosi, per quanto pare, per tutte le in-
terne ed esterne parti del corpo umano, lo corrompe, e Io
difforma con una quasi pestilenziale malattia, che miele
buona parte dell' uman genere, ed altra ne difforma o sGgora
spietatamente. Di sì fatte nozioni non si credono in possesso
se non coloro i quali si contentano di alcune definizioni più
conformi alla poesia che non alla fìsica , né ren densi an
esatto conto a loro medesimi delle proprie idee. La vera na-
tura del vaiuolo m'ò ignota; non intendo come la maggior
parte degli uomini lo soffrano una volta nel eorso delta ior
vita; non intendo come, sofferto ch'egli si abbia, più non ri-
torni; e so che i medici maestri e guida dó^fli altri sono nella
slessa ignoranza in cui son io. Lasciam dunque da parte
tutt'i cbimerici sistemi sulle cagioni e sulla natura del
vaiuolo; e atteniamoci ai fatti, ne' quali se troveremo aato-
rità, numero e costanza, avremo «n filo per uscire dal la-
birinto dell'incertezza, in cui ci lascerebbe per sempre
l'oscurità invincibile in cui siamo condannati di Vivere per
rapporto alle cagioni.
Della malattia del vaiuolo non se ne trova menzione
presso i medici antichi, né presso alcuno scrittore antico.
Pare improbabile dunque che tal malattia fosse anticamente
conosciuta in Europa ; poiché né i medici ci avrebbero la-
sciate memorie di tant' altri malori meno importanti, trascu-
randone un ^i feroce; né gltstorici avrebbero potuto lasciarci
le memorie di fanti fatti senza frapporvi la morte di qualche
principe o grand'uomo perito per questa malattia; né i poéfi^
che tanto s' occupavano a descrivere le bellezze che gli ac-
cendevano, avrebbero forse dimenticato di accennare qnella
terribile malattia che tant' oltraggio può fare ai tratti del
sull'innesto del vaiuolo. 197
voUo più gentili. Per quanta possiamo raccogliere dalla storia,
il vaiuolo dal fondo delFEtiopta sì romanico nell'Arabia circa
l'anno 571, e nelle spedizioni che gli Earopei nostri antenati
fecero In Palestina, contrassero questa fatai pestilenza, e nel
ritorno la trapiantarono in Europa, verso l' anno 1090. Non
molta fa la strage che menò al bel principio si fatta pesti-
lenza^ che chiamiamo vaiuolo: circa tre secoli e mezzo andò
serpeggiando in diverse parti bensì, ma non si manifestò coi
crudeli e violenti effetti che circa l'anno 1872; e da quel
tempo a questa parte va scorrendo le varie parti d'Europa,
per modo che si calcola per adequato, che da una epidemia
all'altra di vaiuolo non corra che l'intervallo di cinque
anni.
Antico assai debb' essere il vaiuolo nel vasto impero
della China, per quanto ne vediamo dalle migliori relazioni,
e antico pure 1* uso di comunicarlo per innesto. Gonluttociò
sembra che in Europa il metodo d' innestare sia venuto dai
GìTcassi, presso i quali la bellezza delle fanciulle facendo il
principal ramo del commercio, da quell'interesse, che è sem-
pre la parte più filosofica dell' uoitio, fu o scoperta o dai Ghi-
nesi anticamente ricevuta l' usanza di prevenire il vaiuolo
naturale 9 fatale alla vita e alla bellezza, coli' innesto che la
sperienza presso loro ha fatto ritrovare sì utile: perciò l'in-
nesto, 0 sia l'inoculazione, viene chiamato dal chiarissimo
flbller modus eirecusicus. Chi mai avrebbe potuto pronosti-
care, che da quelle barbare e inospite contrade riposte fra
r Basino e il Caspio, d'onde gli Argonauti carpirono il mi-
sterioso vello d' oro al re Frisse , dovesse venire nella colta
Europa ana interessantissima scoperta, che somministrasse
materia a tanti uomini , chiari in medicina e benemeriti per
le lettere, di ragionare! Eppure così avvenne; poiché da una
donna circassa appunto l' innesto fu portato in Costantino-
poli nello scorso secolo, circa Fanno 1670, dove da principio
l'oso se ne dilatò bensì presso i Cristiani greci o armeni,
ma presso i Maomettani non già; per la pregiudicata opinio-
ne de' loro dottori, sul punto di una rigida fatalità reggitrico
dell' oni verso , alla quale credevano empietà il cercar di
sottrarsi. Col tempo poi anche ì pregiudizj maomettani si
17*
198 slll' innesto del vaiuolo.
tacquero. Da Coslantinopori qualche notizia ne trapelò in
Europa prima del 1713, e se ne trovano le vestigia negli ilm
di Lipsia^ nelle TransazUm filoto fiche inglesi, e neìY Appendice
del viaggio del signor De La Montraye; finalmente, nell'an-
no 1713» due medici greci pobbliearono air£oropa Tinneslo
che avevano veduto praticato generalmente a Costantinopoli;
e furono il signor Giacomo Filarini ed il signor Emanoelle
Timoni.
Poco o nessun effetto produssero i libri di que' due me-
dici. Le scoperte anche più grandi non si diffondono giam-
mai nei popoli se non col favore del tempo e degli urti ripe-
tuti a molte riprese: qualche discorso cominciossene soltanto
a fare tra i medici e alcuni curiosi; e un solo sperimento
d' innesto si fece a Parigi dal celebre medico Eller. Frattan-
to, nel 1718, il signor Worlley, marito della illustre milady
Montagne, ambasciatore per V Inghilterra presso la Porla
Ottomana, convinto dalle giornaliere sperienze che aveva
sott' occhio, fece innestare dal signor Maitland, chirurgo ce-
lebre, l'unico suo figlio a Costantinopoli con ottimo successo.
Ritornati poscia nella Gran-firettagna , e il signor Wortley
e Milady ed il signor Maitland cominciarono in Londra a pro-
mulgare i vantaggi dell'innesto, e ne diedero il primo esem-
pio col sottoporre all' innesto una lor figlia d' anni cinque;
il qual testimonio dell'intima persuasione loro, accompagnato
da un felice avvenimento, accrebbe il numero de'curiosi, ac-
ciocché con una più vasta serie di sperimenti si verificasse,
se quello che sì bene riusciva nell'Asia e in Costaniinopoli,
potesse esser d' egual beneficio alla specie umana anche ne'
climi nostri. 11 Collegio medico di Londra, fece a tal fine le
sue istanze, e il governo d' Inghilterra concesse sette condan-
nati a morte per servire di prova. Ciò fu nel 1721. Fra questi
condannati v'era una fanciulla di diciott' anni, sulla quale
il signor Mead, celebre medico, il quale si meritò la gloria
di vedere confidata la vita del jgrande Isacco Newton al suo
sapere, volle sperimentare l' innesto alla chinese. 11 metodo
chinese in ciò differisce dal circasso, che i Chinesi non fan?
no veruna incisione per comunicare il vaiuolo artificiale, ma
soltanto inzuppano un turacciolo di bambagia nella male-
sull'innesto del VAIUOLO. 190
ria raìuolosa, e lo inlradono per le nari; laddove i Circassi
fanno alcune superficiali incisioni nelle braccia e nelle co*
scie, dove la slessa materia iasinnano. De' sette condannati,
ano ebbe anticipatamente il vainolo naturale in prigione , e
i sei che rimanevano contrassero il vainolo per innesto, e ri*
sanarono; ma la fanciulla del signor Head, ne ebbe de' sin-
tomi assai pia gravi, massimamente al capo. Da ciò ne nacque
cbe atouno, ch'io sappia,, non ha più tentato dappoi il metodo
de' Chinesi; ma l' innesto colle incisioni per questi sei nuovi
esempj prese qualche credito e voga. Comparvero l'anno se-
guente due opere, oltre le accennate de' due medici greci Pi-
larini e Timoni, e furono del signor Maitland , che aveva fatti
già privatamente molti innesti in Londra dopo l'esperimento
de' condannati, e del signor Le Due. Infiniti sperimenti si an-
davano proseguendo neir Inghilterra, i quali confermavano
sempre più i fauiori del nuovo metodo d' innestare il vainolo,
e dilatavano il numero de' partigiani di esso. Ma come, dove
più dove meno, in ogni nazione però, trovasi una certa
persuasione della eccellenza delle usanze ricevute per tradi-
zione, la quale è una forza, dirò così, d' inerzia politica che
ricusa di ricevere una novità, per ciò solo che è nuova; cosi
un partito pure vi fu in Inghilterra di oppositori alla inocu-
lazione, i quali fecero ogni sforzo. per atterrarla. In una si
grave materia il ribrezzo volgare era in molta parte, convien
pur dire, ragionevole.
Tratlavasi di persuadere alle tenere madri, ai padri
amorosi, di consegnare i figli volontariamente in preda ad un
malore naturalmente mortale, colla speranza soltanto di ve-
derli risanati , e senza sicurezza che con ciò fossero preser-
vati; di far subire una malattia naturalmente mortale, la
quale forse non avrebbe il fanciullo avuta mai in sua vita.
Trattavasi perfino di offendere i precetti della religione, la
qnale non lascia in arbitrio nostro l'esporci a volontarj perir
coli della vita. Queste ragioni esamineremo separatamente in
seguita; ma riprendiamo in breve il proseguimento della sto*
ria dell' innestò.
Crebbe nell' Inghilterra si fattamente il numero degl' in-
nestali da ogni parte, tutti ristabiliti senza correre verun
200 sull' innesto del taioolo.
pericolo della vita; e tanto celeri forono i progressi di questo
naovo metodo, che nel 1723 la principessa Carolina di Gal-
les, che fu poi regina, sottomise all'innesto T augusta saa
famiglia, e lo stesso signor Mailland ne fece roperaziooe.
Questa classica approvazione data all' innesto in Inghilterra,
riscosse alcuni nella Francia a pensarvi; a ciò conlrìboi pare
la lettera stampata del signor La Coste diretta al signor Do-
dard, medico del Re Cristianìssimo nel 1723: in essa facevasi
teoreticamente conoscere il metodo dell' innesto. Dicesi che
il Duca Reggente fosse disposto a ordinarne delle sperìenze;
ma la morte lo prevenne, e il consenso de' medici francesi
allora s'oppose a tal novità, e fu chiamata da molti nefan-
da. Per venti anni ancora seguitossi, nell' Inghilterra princi-
palmente, a disputare e praticare l' innesto del vaiuolo, men-
tre i migliori medici d' Europa , e nell' Olanda e nella
Germania , colpiti dalla costanza de' felici eventi che ogni
giorno più venivano annunziati dall'Inghilterra, ne anda-
vano commendando l'introduzione: ma tale avvantaggio ave-
vano gì' Inglesi sul restante dell'Europa, che nell' isola la di-
sputa era già nelle .mani del popolo, e corredata da continue
ripetute sperienze; laddove nel nostro continente appena era
trattata da alcuni pensatori, i quali o non osavano o non
potevano ridurla al fatto. Quindi prima che fosse generalmente
sperimentato l' innesto nel restante dell'Europa, nel 1746 si
fondò in Londra uno spedale particolarmente per questa epe-
razione a pubblico comodo; e tanto importante si credette
quest'erezione per il ben pubblico, che il re medesimo vi si
pose alla testa come protettore, e la carica di presidente di
esso volle illustrarla il duca diMarlboroogh assistito dai conti
di Litchfìeld e di Northumberland. L'esempio delta real
famiglia e lo spedale fondato provano abbastanza quanto
fosse neir Inghilterra ormai costantemente decisa l' opinione
favorevole all'innesto del vaiuolo: da quel punto cessò ogni
opposizione nell'isola; i tre principi reali Enrico, Federico
e Guglielmo, si innestarono nel 17tf4, e l'anno seguente, per
unanime consentimento di tutta la società medica di Londra,
venne dichiarata l' inoculazione importante ed essenziale al
genere umano» Nulla di più ci somministra la storia inglese
SULL'INNESTO DEL VAIUOLO. 201
j;er ciò che spetta al vainolo, se non che i dae vescovi in-
glesi di Worcester e di Norwich, e il signor Some, pcr-
:aasero alle coscienze timorate lecito l'innesto, e la folla
ie* casi giornalieri tutti felici Io persuase importante ed es-
. jDziale a tutta la nazione, quale appunto Tavea definito uno
e' più onorandi consessi di medicina che sia in Europa. Cosi
jstò stabilito l'uso universale nell'isola d'innestare il vaino-
' >, uè d'allora sino al di d'oggi un solo scritto è comparso
'air Inghilterra, in coi si faccia opposizione a questo univer-
li metodo, il quale da dodici anni a questa parte è natura-
•'7zato perfettamente in quel Regno.
Il celebre signor Tronchin, che due anni sono ebbe
onore d'innestare il principe di Parma, ora Infante Duca,
u de' primi che osasse tentare questa operazione di qua dal
ilare , e ne diede il felice esempio in Amsterdam sopra un
110 figlio sino dall'anno 1748, mentre ivi aveva la carica
i' inspeltore del Collegio de' medici. Poco a poco si dilatò
i curiosità di esperimentare e nell'Olanda e negli Svizzeri
> particolarmente in Ginevra, dove circa il 1751 s'intro-
lasse r innesto, e sempre più andò accréscendo il numero
ie'saoi partigiani; e si dilatò l'usanza nelle Fiandre, nel
Brandeburghese, e nella Norvegia, e in tutto il Nord, per tal
modo che nella Svezia e nella Danimarca vi sono, suU'esem-
pio di Londra, eretti spedali per l' innesto nel 1754; e tale è
il credito e la sicurezza, con cui ivi l'operazione si pratica,
che la figlia del barone di Bernstorff segretario di Stato del
re di Danimarca, ricchissima erede, vi si sottopose, e perfino
il prìncipe reale stesso di Danimarca, ora re. In Gottemburg
s' è pure eretto uno spedale a tal fine; e celebre è la meda-
glia coniata a Stockolm in onore dell'innesto, dove vedesi
da una parte l'ara d'Esculapio con un serpe in aspetto d'of-
fendere, col quale si figura il vainolo, e la leggenda: suolalo
jure nocendi; avendo nel rovescio l'altra: oh infanles civium
felici ausu servalos !
La parte meridionale d'Europa fu più tarda ad esami-
nare questa interessante scoperta; e forse avrebbe differito
degli anni ancora, se il signore De la Condamine, che aveva
già tanto ben meritato e della navigazione e delle scienze
202 SULL* INNESTO DEL VAIUOLO.
colla immortale aoa spedizione alla lìnea equinoziale, ritor-
nalo dal suo filosofico pellegrinaggio d'America, non sì fosse
indotto a leggere neiradnnanza della Beale Accademia delle
Scienze di Parigi la sua prima Memoria; il che avvenne
nell' anno 1754. Cagionò negli animi de' Francesi un fer-
mento non piccolo queUa Memoria, né la chiarezza, il me-
todo o l'evidenza de* fatti poterono impedire che un nemho
d'oppositori non insorgesse contro questa nuova dottrina to-
sto che fa pubblicata. Fece il signor De la Condamine il viag-
gio d'Italia, e andò invitando dappertutto a fare sperimenti
suir innesto. I Toscani furono i più docili ad ascoltarlo: quindi
vediamo che ivi, nel 1755, più di ducente innesti s'erano
già fatti con prospero evento. Questi felici tentativi mossero
il governo della Toscana a ordinarne la speriehza pub-
blica in Firenze, ed ivi si fece sopra sèi fanciulli nel Regio
Spedale di Santa Maria degr Innocenti nel 1756. In que'
contnrni» cioè in Montecchi, Città di Castello e Ci terna,
s* andò dilatando la nuova maniera di prevenire il vainolo
naturale. Due anni dopo, il signor dottore Francesco Berzi
introdusse T inoculazione a Padova ; e sempre più andossi
propagando il nuovo metodo per T Italia, colV opera de' signori
medici Guarnieri, Battini, Tanì, Fantini, Pierotti, Turacchi,
Cei, e pe' scritti de' signori Peverini, Lunadei, Targioni, Paq-
lì, Caluri, Pizorno, Gandini,Mdnetti e Centenari. In Milano
il signor dottore Tadini diede il primo esempio, nel 1761, so-
pra i suoi figli ; sinora due soli innesti si ^ono fatti dappoi.
Il benemerito signor dottore Bicetti de' Buttinoni lo ha felice-
mente introdotto in Treviglio, ed ha stampate le storie de'
suoi innestati : la felicità di questi primi tentativi sinora non
ha fatto riforma nella generale opinione, la quale né si op-
pone, né si cangia.
In nessuna parte d'Europa trovò l'innesto tante opposi-
zioni, quante gliene furono fatte nella Francia. Abbiamo di-
sopra accennato come al tempo della Reggenza qualche di-
scorso vi si facesse per l'innesto, ma la morte del duca reg-
gente e la contraddizione de' medici francesi fecero perdere
ogni pensiero di provarne gli effetti. Appena nel 1756 alcuni
uochi sperimenti si cominciarono a fare nella Francia sotto
sull'innesto DKL VAIUOLO. 203
la direzione del signor Geoffroì ; qualch* altra sperienza se ne
fece dappoi in Lione : e di ciò trovassi le oottzic nelle Me-
morie éeW Acc9ideinia Beale delle Scienxe, Verso quel tenapo,
il duca d'Orléans, figlio del reggente, persuaso del vantaggi
d^rìanesto, volle settoporTi i due suoi figli, il duca di Ghar-
tres e noadasaigella di Montpensier; chiamò a tal fine il
signor Tronchia, e terminò feticemente T operazione in Pa-
rigi. A quest'esempio s'aggiunse quello del conte di Gisors,
figlio del maresciallo di fiellisle, per innestare il quale venne
da Londra il chiarissimo signor Kirkpatrik. L^autorilà di
queste illustri prove eccitò la curiosità de' Francesi da un
lato a non trascurare que' vantaggi che già godeva la mag-
gior parte dell'Europa, ed animò dall'altro lo zelo e l'im-
pegno d'alcuni teologi e di molti medici a forvi quelle s lesse
opposizioni che più di trent' anni prima v'erano state falle
neir Inghilterra. Più si dilatava in Parigi l'uso d'innestare, e
cresceva il numero deUe sperienze che provavano l'utilità del-
l'innesto, e più sembrava accendersi il partilo contrario, Due
principesse della casa di Lorena, figlie della contessa di firios-
ne, furono innestate felicemente dal signor dottor Gatti no-
stro italiano, e professore di medicina nell'Università di Pisa;
la figlia del duca d' Aigutllon fu parimenti sottoposta all' inne-
sto; e tutte, senza il menomo perìcolo, con leggerissima feb-
bre ebbero il vaioolo artificiale. (Quattrocento persone furono
innestate a Parigi, ebbero tutte il vainolo ^i ottima qualità,
senza vemn pericolo risanarono, senza veruna cicatrice o
deformità rimasta sul volto, o, come dicono i Toscani, senza
butteri di sorta alcuna, trattane una donzella, la quale ne
mori, incautamente esposta all' innesto, mentre da sei mesi
era priva de' suoi corsi. Pochi sono i medici che abbiano
scritto contro F innesta, e reso il pubblico giudice delle loro
ragioni; moltissimi cercarono di screditarlo con domestici e
clandestini ragionamenti : nella Francia io non so che altri
siansi co' loro scritti opposti al nuovo metodo, trattine quat-
tro, cioè: il signor Rast, medico di Lione, il signor Do-
rignjr, il signor Beet e il signor Hoc. Stamparono nella Fran-
cia in favore dell'innesto i signori Boyer, La Coste, Noguez,
Galèe, Macquart, Hosty, Morisot, Lavirolle, Yandermonde e
204 slll'mnesto dbl vaiuolo.
Montacla, La Condamìne, Camus, Joachim, De Beaax, Roux,
Davìdy Yernage, Robert, Bordeaux, Razoax e altri. Nel 1760
crebbe lo spìrito della dispota in Parigi, e il benemerito
signor De la Condamine si trovò sempre alla testa dei difen-
sori dell'innesto. Finalmente, nel 1762 Tenne l'epidemia del
yainolo in Parigi, e gli avversar] dell' inocalazione la incol-
parono di aver cagionato nna maggior mortalità, col traspor-
tare la contagione anco in qoe' quartieri deHa città dove na-
turalmente forse non avrebbe penetrato. Sotto qoest' aspetto,
non potendo più far comparire l'innesto pernicioso a chi lo
riceve, riuscirono gli oppositori a farlo passare per dannoso
al vicinato di chi vi sì sottopose; e con questa vista della sa-
lute pubblica sparsero il timore nel popolo, e giunsero a muo-
vere il Parlamento di Parigi a pubblicare un decreto, nel giu-
gno del 1763, che sospendeva i progressi del vainolo artifi-
ciale, sin tanto che la Facoltà Medica di Parigi, adonata, non
decidesse su gli avvantaggi e i danni di questo nuovo meto-
do, e sulle precauzioni da usarsi, caso che debbasì adottare.
Finalmente, l'anno scorso, a madama di fioufilers, stata in
prima innestata a Parigi, comparve il vainolo naturale. Gran
trionfo fu questo per gli anlinoculisti, i quali non tardarono
a pubblicare questo fatto in prova che il vainolo innestato
non preserva dal naturale. Il signor Gatti, che aveva fatto
l'innesto, con ingenuità degna d^un filosofo rischiarò questo
fatto, e sì conobbe che il vainolo le era bensì stato innesta-
to, ma senza effetto, non essendo comparsa che una sola bol-
la, senza veruna inquietudine della innestata; la quale bolla
per errore del signor Gatti fu creduta una espulsione vaiuo-
losa. Si vide adunque non già che il vainolo innestato ritorni,
ma bensì che, qualora l'innesto non prende, si può avere il
vaiuolo naturale in seguito; il che nessuno ha mai negato.
Tale è Taltaale situazione adunque dell'Europa sul pro-
posito dell'innesto del vaiuolo, che nell'Inghilterra, nella
Svezia, nella Danimarca, nella Norvegia, in Ginevra e nella
Toscana è adottato con pubblica autorità, né v' è verona op-
posizione ; nella Germania e nel restante dell'Italia non trova
né forti ostacoli né forte premura generalmente per promo-
verlo ; nella Francia soffre le più forti opposizioni^ e nella Spa-
SULL* INNESTO DEL VAIUOLO. 20o
gna e nel Portogallo è forse generalmente ancora sconosciuto.
Nessun medico di grido in Europa ha preso a combattere
l'innesto, trattone il signor Haen, il quale anche con una
opera ultimamente pubblicata vi si oppone. In Italia due soli
medici, eh' lo sappia, vi si sono opposti cq' loro scrìtti: uno si
è il signor conte Roncalli, con una lettera stampata nel 1759,
l'altro il signor dottor Giovanni Bianchi da Rimino, in una
sua lettera al signor conte Roncalli, 1759; i quali hanno dalla
parte opposta i medici sostenitori dell'innesto Targioni, Pove-
rini, Lunadei, Pauli, Berzi, Pizprno, Gandini, Centenari, Ma-
netti, Guarnieri, Baltini, Tani, Fantini, Pierotti, Turacchi,
Gei) Gatti ed altri ; per tal modo che, se la causa dovesse
essere decisa colla pluralità de' medici capaci di scrivere in
medicina, l'innesto verrebbe stabilito da tutta l'Europa, non
dalla sola Italia..
Ma, per formarci una più chiara idea dello slato delia
questione, conviene primieramente farci carico delle obbie-
zioni che vengon fatte all' innesto. Io le riferirò imparzial-
mente, e con eguale indifferenza cercherò di pesarne il valore
una ad una separatamente : nulla vi sarà del mio, né altro me^
rito può darmisi, che quello d'aver messo in ordine quando ho
raccolto dall'attenta lettura di alcuni autori ohe ne trattane^
La prima obbiezione è: se sia lecita avanti Dio TinocUr
Iasione. A me non spetta l'entrare ne' sacri penetrali teoU^
giei per fondarvi una opinione ; ma soltanto di stare al limi-
nare del Santuario, e dire che poiché ne' Stati d'Italia none
proscritta, poiché nel dominio stesso del Romano Pontefice
sì pratica, poiché sino dal 1758 senza ostacolo il signor dottor
Guarnieri ha usato l'innesto in Roma, poiché finalmente uno
de' più rinomati teologi, il Padre maestro Lorenzo Berti, ago-
stiniano professore nell' Università di Pisa, e teologo delle
Maestà Imperiali e Apostolica, ha in un consulto dichiarati»
lecita la pratica deli' innesto, v' é ogni ragione per non du«
bilari^, e interpretare il consenso della Chiesa favorevole
air innesto. . - ^
Dicono, in secondo luogo, gli oppositori all'innesto rxlhè' la
malattia del vaiaolo naturale non sia mortale che^ban ài rado
di sua natura, onde sia meglio aspettarla che accelerarne
II. * i8
206 sull' innesto del vaioolo.
Tadacca coU'ìimesto. Qoesla è ana delle più forti ragioni che
adduce 11 signor Haen. Pare strano meramente come an mè-
dico del credilo « della dottrina del signor Haen asserisea
ina proposizione, a coi contrasta la giornaliera sperienzadel
.popolo istesso, e rantorìtà de' pia rinomati scrittori di me-
dicina antichi e moderni. Nella raccolta medica del signor
Haller yien chiamato il yaiaolo una maUUlia, la quaUgli tio-
ffiìfit di qualunque età per un fatai destino sorprende, e uccide
la decima parie delV uman genere. Le più esatte osservazioni
sur vainolo naturale c'ingegnano che nell'Inghilterra, dove
quella malattìa non è tanto pericolosa quanto in alcune altre
regioni, ne muoiono di vainolo il 12, il 16» e talvolta il 20
per cento. Nell'America, dove più feroce è la malaltia del
vaìuolo naturale, ne muoiono 20, 30, e persino talvolta 40 per
cento. Nella Nuova-Inghilterra ne muoiono circa 14 ogni
cento. In altre contrade d'America ne soccombe il 15 per
ogni cento. Facendo poi un adequato generale di tutte le os-
servazioni fette in diverse parti del mondo, troviamo che la
mortalità per il yaiuolo naturale è di 10 per cento circa; il
che risulta e dalle esatte ricerche fatte dal signor Jorin e
da quelle del signor Schultz medico svedese, e dalle liste pob-
Wicate.da diciassett'annì a questa parte dagli spedali di Lon-
dra, e dalle osservazioni fatte in Ginevra sotto la direzione
de' magistrati. La malattia del vaioolo donqoe realmente
uccide la decima parte del genere umano. Il signor Haen
crede che ciò avvenga per colpa de' medici: io non oserò de-
cidere se ciò sia; dico bensì, che sin tantoché FEuropa non
fia popolata di medici che non lascino perire la decima
parte de' malati del vaiudo, come ora accade, il vainolo sarà
un malore mortale. L'arciduchessa Isabella, perita di vaioolo
nella Corte Imperiale di Vienna sotto gli occhi forse del 5i-
•gnor Haen, e assistita da uno de' più celebri medici d' Eu-
ropa, il «gnor barone Wan Svieten, è on forte argomento
contro il signor Haen. Da cinqoant'anni a questa parte^ l'im-
perator Giuseppe, il Deliino, il Principe d'Este, l'arcidn-
chessa Isabella, ai quali certamente non potevano mancare
tutt'i più celanti soccorsi della medicina più rischiarala, sono
miseramente caduti vittime del vainolo; né alcun privato
SOLL* liNNESTO DEL VAIUOLO. 207
oserà promettersi migliore assistenza o maggiore celebrità
dì medico. Goncla^iam dunque, che il vaiuolo è veramente
per sé una iQalattia mortale, e che qualora ci colga questa
contagione naturalmente, rischiamo d'essere almeno queir
r uno fra i dieci che deve -morire.
In terzo luogo si oppone cosi: Molti passano la loro vita
senza aver mai il vainolo; dunque V innesto, ci darebbe una
malattia certa per liberarci da una malattia incerta a venire.
A ciò parmi che si risponda assai concludentemente. Se cre-
diamo all'autorità di tutt^i più accreditati medici che hanno
scritto, pochissimi sono gli uomini, che avendo un corso na-
turale di vita, vadano esenti del vaiuolo. Isaac crede il
vaiuolo generale a tutti gli uomini. Rhases positivamente af- *
ferma, che alcuno non ne va esente: cosi asseriscono pure
A^erroe ed Avicenna. Fracastoro crede che ogni uomo
r abbia una volta; altrettanto dice Mercuria!. Avenzoar ri-
sguarda come un miracolo della medicina, se alcuno ne va
esente. Foresto dice che a ragione gli Arabi ed altri grandi
medici hanno stabilito che il vaiuolo fosse un tributo uni-
versale air uman genere. Dedoneo lo crede un malore inevi-
tabile; cosi Sennert, cosi Primeroso. Borelli afferma, che è
una rara eccezione della regola universale colui che non ha
sofferto il vaiuolo in un corso ordinario di vita; lo stesso as-
sicurano Banehin, Diemeboek e Sebisins. Appena uno in
mille lo sfugge, al parere di Riviere; lo stesso attesta presso
a poco Tulp; Solbait credè il vainolo una ereditaria conta^
gione, e perciò generalmente ìoiprescindibile; universale la
erede Low. Rìedlin épiù liberale di speranza, e accorda che,
ogni cento, due ne vadano esenti; Juncker non accorda esen-
zione a veruno. Il signor Habn, dopo cinquant' anni di pra-
tica, ci avverte che, in mille, uno o due al più lo sfuggono;
il signor Scardona crede uno ogni mille sìa privilegiato; il
signor Ludwig dubita se alcuno ne possa essere, esente. La
maggior consolazione di tutte trovasi .nella Raccolta del si-
gnor Haller, dove cosi: — Sebbene il vaiuolo non la perdoni a
ne$$uno, V osservazione però c'Hisegna che ire o quattro uomini
fra cento ne vanno immuni per tutta la vita, — Aggiungasi al te-
stimonio de' citati medici quello degli occhi nosjlri, i quaK ci
208 £1 Ll' IMNESTO DEL VAIUOLO.
attestano che poche e facilmente namerevoli sono le per-
sone a noi note, le quali sieno motte senza aver avuto il
vainolo; -e concludiamo facilmente che Iti probabilità di scan-
«arlo è piccola , e forse non giange al quattro per cento.
Dunque non è vero che molti passino la loro vita senza
pagar tributo a questa malattia funestissima, ma bensi
rari e rimarchevoli sono coloro i quali la scansino. Ma col-
r innesto è egli ben provato che si comunichi la malattia a
chi non l'avrebbe naturalmente? Io osservo che non (ulti
gì- innestati contraggono il vainolo. Dalle tavole d'innesti
fatti nell'Inghilterra nel 1721 e 1T28, vedo che a Boxbury
^^ ed a Cambridge alcuni, dòpo l'operazione, non ebbero il
vaiuolo, e furono fra quegli innestati dai signori Roby, Thomp-
son e Boylston. In Siena e in altri luoghi della Toscana,-
pure ad alcuni innestati non s' è schiuso il vainolo; di altri
si fatti esempj ne racconta il signor De la Gondamine; ed il
signor dottore Niccolò Saltini da Leriee, scrivendo al signor
Ma netti, cosi dice: La mia figlia ha resistito sino alla terza ope-
razione d'innesto senza effetto veruno. Se è vero che il vaiuolo
sia una malattia che si contrae per comunicazione, come
sembra; se è vero che questa comunicazione si partecipi
anche colle particelle morbose frammiste all'aria, anx^hepM
gli abiti di una terza persona, anche per una lettera sola ve^
nula da dove regni il vaiuolo; convien dire che coloro i quali
nella lor vita sfuggono da questa malattia, per ciò la sfuggo-
no, perchè non sianvi nel loro corpo quelle disposizioni che
sono necessarie per contrarla; giacché non è possibile nel
corso d'una vita ordinaria d'isolarsi talmente, si che non
abbiasi più volte ancora quel c«ntatto, o mediato o immedia-
to, che basti a farci schiudere il vaiuolo: e ciò somministra
un motivo ragionevole per credere, che la maggior parte di
quegli appunto, ai quali non doveva naturalmente accadere
tal malattia, siano coloro su i quali l' innesto non produce
effetto veruno. Dunque il ragionamento, invece, deve farsi
così: — Pochi son coloro che in loro vita scansino la merlai
malattia del vaiuolo; dunque è meglio esporci a una malattia
non affatto certa, ma sicuramente di esito felice, come ve-
dremo poi, aYizi che aspettare quella.
sull'innesto del VIIUOLO. 20t>
La qnarU opposizione è quella, salla quale comanemente
il Tolgo de' medici sparge il maggior nomerò di fatti sap*
posti e non provati giammai, cioè, che il vaiaolo non sia ba-
stantemente prevenalo coli' innesto, cosicché ei torni un'al-
tra volta dappoi. Vediamo in prima, che ne dicano i più
accreditali medici sul ritomo del vaìuolo. Il signor Tralles si
spiega cosi : — Non porrò io in dubbio la ieslim&nianza degli
autori che sostengono due volte poter venire it vaiuolo : pure
nella mia pratica un sol esempio non ne ho veduto mai, né da
veruno de' miei coUegki udito. So bene che il vaiuolo salvalico
talvolta vien preso in iseambio del vero vaiuolo da alcune ma-
trone che han voglia di saperne assai, alle quali con mala loro
rogUa ho talvolta contraddetto; so bene che alcun medico an-
Cora può ingannarsi, e prender una malattia per V altra. — II
signor Rosen così dice: -^ Quasi tulli i medici stabiliscono che,
avuta che s' abbia una volta questa malattia, se n* è esente per
sempre ; contuttociò vi sono alcuni esempj contrarj, sebbene in
piccolissimo numero. — I! signor Millin cosi scrive:^ Oppon-
gonOy che il vaiuolo naturale venga anche a coloro che Vebbero per
innesto. Ma convien confessare, che se ciò è vero, i casi son rari
talmente, che appena uno in mille ne troverai; né una osserva-
zione o due formano giammai una regola generale* — Il chiaris-
shno signor Mead s'esprime così*, ~~ L' esperienza ci prova
che il vaiuolo non torna la seconda volta, e che appena uno in
mille vive senza soffrirlo Quanto poi a quelli che avendo
avuto una volta il vaiuolo innestato, dicesi che V abbiano avuto
di nuovo, io stesso, sebbene ne abbia con somma diligenza falle
ricerche, neppur un solo fatto ben avverato ho potuto rinve-
nime. — Troppo lunga cosa sarebbe il riferire in questo luogo .
le stesse assicurazioni che leggonsi presso Boerhaave, Molin,
e Chirac, e altri. Tuffi migliori medici che hanno scritto
sull'innesto, sono dello stesso parere neir attestare che il
vaiuolo più non ritorna. Leggesi nel signor M anetti:— Da <e«-
santa e piti anni in qua, che si sono scoperti e osservati i suc^
cessi e gli effetti dell* inoculazione , non vi è un esempio auten-
tico e verificato di persona alcuna, alla quale sia tornato per
la seconda volta il vero vaiuolo, dopo di esser quella già stata
tiio(niIa(a.— Il consenso e l'autorità di questi illuminali scrii-
!8-
210 SULL' innesto OBL VÀItJOLO.
tori dovrebbe bastare a confondere le dicerìe di coloro, i
quali vanno, da quaranta e più anni a questa parte» inven-
tando i sogni di vainolo sopravvenuto agi' innestati, senza
che un fatto solo abbiano potuto provare. Pure, oltre V anto^
rità citata, abbiamo di più fatti positivi,. ì quali, a parer mio,
dimostrano che il vainolo innestato impedisce che il vaiaolo
non torni più. £ccone alcuni de' più qualificati e notorj. 11
dottor Ma(y, che si bene ha scritto sull'innesto, dopo aver
avuto il vaiuolo naturale all'età di anni ventidne, volle
sperimentare all' età di anni trentacinque se V innesto pò*
tesse dargli questa malattia di nuovo: s' inoculò da sé mede-
simo, ina il vainolo non comparve. Il dottore Rirkpatrìk vide
non pochi fanciulli che avevano avuto il vaiuolo per mezzo
dell' inoculazione, i quali coabitarono dappoi famigliarmente
co'vaiuolanti, senza contrarne giammai nuovo vaiuolo. Ric-
cardo Evans, uno de' sette malfattori destinati in Londra ai
primi sperimenti dell' innesto, ebbe in prigione il vaiuolo na-
turale ; e benché gli venissero poi fatte due infusioni mollo
grandi, e in esse infusa una copiosa dose di materia vaiuo-
losa, non ne ebbe né vaiuolo nò male alcuno, neppure dolo-
re, 0 infiammazione alle incisioni, le quali il sesto giorno si
trovarono interamente cicatrizzate. Elisabetta Harris, anche
essa condannata ai primi sperimenti dell'innesto, ebbe il
vaiuolo artificiale comunicatole alla chinese dal signor Mead,
come abbiam detto, e dappoi fu posta a servire a più di venti
vaiuolanti senza che più vi contraesse il vaiudo. Madami-
gella Baker ebbe in età d' anni dodici il vaiuolo per innesto,
e risanatane, volle sperimentare d'innestarsi di nuovo: sì fece
da sé stessa le incisioni, e v' intruse copia di materia vaiao-
losa per tre consecutivi giorni, senza che il vaiuolo le tor-
nasse. Un fratello del colonnello York , figlio del Gran-Cao-
c^lliere d'Inghilterra, avendo avuto il vaiuolo per innesto,
e temendo di averlo una seconda volta, si sottopose sino a
quattro inoculazioni, senza mai riaverne vaiuolo. Tutti que-
sti fatti non contestati, e resi pubblici da molti autorì, non
bastarono per imporre silenzio a chi minacciava il ritomo
delvaiuolo agi' innestati. Pochi anni sono, il cavaliere Henry,
il quale neir Inghilterra aveva avuto il vaiuolo per inneslo»
SXJLL' INNESTO DEL V4IU0LO. 211
volle nella Toscana convincere gì' increduli, e fecesi di bel
nuovo innestare con copiosa materia vaiuolosa, né vainolo o
malore di sorta alcuna ne contrasse. L'autorità de' più chiarì
scrittori medici, ì fatti notorj riferiti, la sperienza di più di
quaranta anni nell' Inghilterra, ancora non bastano: vi sono
de' medici, i quali senza aver mai letti gli autori cbe hanno
scritto dell' innesto, né vedute le sperienze, si ostinano a spac-
ciare delle vaghe dicerie sul ritorno del vaiuolo, e fra i cre^
doli loro clienti spargono la diffidenza e l' errore per questa
pratica. Ne so di alcuni, 1 quali forse non conoscono che
appena il nome degli autori che possono schiarirci su questo
punto, 1 quali vanno spargendo nella città nostra, che nella
Toscana il vaiuolo torni agi' innestati: ad essi io vo'dire,
che se altri libri non leggono, si addomestichino almeno coi
fogli pubblici, e impareranno che tanto é difficile il trovare
un solo esempio giustificato di un innestato a cui sia venuto
la seconda volta il vaiuolo, che presso il signor De Frances,
general ricettore delle finanze della Generalità di Soissons in
Parigi, è stata depositata l'anno scorso la somma di dodici
mila franchi in premio a chiunque possa nel termine di sei
anni provare con attestati concludenti, che sia sopravvenuto
il vaiuolo naturale ad uno che l'abbia avuto per innesto. In-
vece dunque di comunicare le loro notizie del vaiuolo ritor-
nato, alla debole sequela de' loro adoratori, si facciano cuore,
e la comunichino in Parigi, che avranno la gloria d'avere il
premio, e l' utile non indiflerente di quasi tremila scudi mi-
lanesi. Frattanto che questo premio non sia riportato da nes-
suno, vuole ogni ragione che ci determiniamo a credere, che
il vaiuolo innestato ci assicuri contro il vaiuolo naturale.
L' ultima obbiezione finalmente consiste in ciò, che po-
che essendo le bolle che compaiono sul corpo degl' innestali
in proporzione di quelle che compaiono quando il vaiuolo
viene da s^, pare che la natura non abbia avuto uno sfogo
sufficiente, e conseguentemente questa materia venefica possa
fare qualche altro danno alla sanità. Questa obbiezione sup-
pone che il vainolo sia uno spurgo, una secrezione che fasst
dal sangue; e questa supposizione vien fatta dalla maggior
parte de' medici, che cercano più di far piegare i fatti ai loro
212 sull'innesto del vàidolo.
sisiemì, che di fondar i sistemi sa i falCi. Se il vaiaolo fosse
ano spargo, una deporazione del sangae, converrebbe dire
che gli nomini sieno più sani e robusti presentemente, di
quello cbe non lo fossero gli antichi prima €he conoscessesl
in Europa il vainolo , poiché essi non avevano per conse-
guenza questo spurgo né questa secrezione. Se il vaìuolo fosse
uno spurgo del sangue, vivrebbero malsani coloro che non Io
hanno avuto, e sanissimi coloro che l'hanno sofferto con mag-
giore violenza ; il che non si vede. Qoal differenza v' é mai
fra il sangue di chi abbia avuto il vaiuolo, e di chi non l'ab-
bia avuto? nessuna certamente sensibile. Quanti ebbero il
vaiuolo bambini, e perché dopo trenta, dopo quaranta anni,
non avrebbero di nuovo il vaiuolo per purgare la nuova massa
del sangue, il quale s' é talmente rinnovato, che secondo tutte
le probabilità fisiche neppure la menoma particella ve n' è
rimasta? Ciò però non accade. Dunque il vaiuolo non è uno
spurgo, o una fermentazione o secrezione del sangue né
d'altri umori, come viene generalmente supposto. Mi si dirà:
cos'è dunqae il vaiuolo? Rispondo: è una funestissima ma-
lattia di cui vedo gli effetti, ma ne ignoro le cagioni; una
malattia che si comunica per contatto; dì cui l' indole intrìn-
seca m'é perfettamente sconosciuta, come lo era al Syden-
ham ed al Boerhaave. Ma come dovremo dunque condurci
per ben trattarla? Rispondo : co' fatti, con una serie copiosa
di osservazioni tratta dai più classici osservatori, usando quel
metodo che ha risanato, scansando que'rimedj che hanno
portalo nocumento, e confessando l' oscurità e l' ignoranza
nostra solla natura di essa. Ascoltisi il signor Manetti : — Da
moUi H crede che V innesto non produca uno sfogo adequato di
vaiuolo, e perciò temono che i soggetti inoculati più facilmente
siano sottoposti a certi incomodi ed a certe maUittie; ma V espe-
rienza, in tutti i coti maestra, dilegua anche questi timori,,.. Fra
lanU ormai da molli anni in qua stati inoculali in Firenze ed
in tutta la Toscana, non esiste neppure un esempio di tali acci-
denti 0 conseguenze. Il tempo sopra tutto è quello che alcuni tn-
siruisce, altri disinganna. — Veggansi le opere de' migliori me-
dici ìnoculatori, e troverassi che il pia felice Innesto é quello
in cui compaia minor numero di bolle: ciò lo prova colla prò-
sull' innesto del VAIGOLO. 213
pria sperieDza ì\ valoroso medico toscano signor Gatti, il
qoale da vero filosòlo ha scritto in Parigi an' òpera che fa
onore al sno nome ed-alla sua patria; né da Ini discorda an
solo degli autori che dell' innesto trattano, nel confermare
che la malattia è tanto più mite quanto minore è il nùmero
delle pustole o bolle vaiolose ohe compaiono.
Abbiam sinora data una idea storica delì'inoculazione, e
abbiamo sciolte, a quel eh' io credo, concludentemente le dif-
ficoltà che le si vanno opponendo da quaranta e più' anni a
questa parte; ma, per conoscere s'ella sia da adottarsi, ciò
ancora non basta ; convien conoscere che V inoculazione sia
utile, e d'una patente utilità; conviene esaminare come si i
faccia, e presentare al giudizio nostro una serie di fatti clas-
sica, sincera e numerosa, capace di determinarci per una
parte o per l' altra.
L'inoculazione è un soggetto di disputa. Io sceglierò quel
fatti i quali non sono nò posti in dubbio né contraddetti dai
nemrci medesimi dell' innesto. Io sceglierò quei fatti t quali
sono pubblicati còlla maggiore autorità. Io sceglierò quei fatti,
per fine, che non sono stati posti in dubbio né dal signor
Haen, né dal signor Kast, né da verun altro oppositore al
nuovo metodo. Eccoli.
Il dottore Hadow ha innestate 1200 persóne, fra le quali
ve n'erano 62 malsane, altre per lo scorbuto, altre per reu-
matismo, altre per asma oc; e ne mori una sola, ìropotandosi
la di lei morte alla trascnranza che s* é avuta hell' assisterla.
Dai registri pubblicati de' morti nello Spedale di Londra
dal 20 settembre 1746 fino al 24 marzo 1763, consta che in
esso Spedale vi sono stati ammalati di vainolo naturale 6486,
de' quali ne sono morti 1634; innestati 3434, de'quali ne sono
morti 10; cioè la quarta parte degli ammalati dì vainolo na-
turale è perita, e degl' innestati ne è perito uno ogni 347: e
qui è da notarsi come negli Spedali la mortalità d' ogni ma-
lattia è sempre maggiore; e se generalmente abbiam fissata
la mortalità del vainolo naturale al dieci. per cento, non al
venticinque come qui appare, l'innesto a proporzione do-
vrebbe ridurre il pericolo fuor degli Spedali a uno ogni otto-
cento circa. ^
214 e ULL' IMMESTO DEL VÀIUOLO.
Dì 2000 innesti fatti dal signor Browne, doe.sole donne
gravide ne sono perite.
Da una lista presentala al vescovo di Worcester, si yede
che di 1300 persone innestale tre soli casi sono andati infe-
licemente
Il signor Frevin os Aye, nella contea di Sossex^ ha in>
nestato 300, e ne é perito ano di febbre putrida sopragginn-
tagli dopo il declinare del vainolo.
il signor dottore Middleton. ne inocalò 30O, ed ano ne
peri.
A Ginevra, per testimonianza del signor Tronchin,
di 200 innestati è morta una fanciulla molto diticata, la
qnale con disapprovazione de' medici fa sottoposta all'opera-
zione.
11 signor Hosti, nel 1757, si portò a Londra per essere
testimonio degli effetti dell' innesto, e di 252 innestati che
vide, neppur ano ne mori.
Neil' Isola di San Cristoforo, 300 schiavi di ogni età fu-
rono innestati, e tatti felicemente si riebbero dal vainolo.
Nelle colonie inglesi d'America, nel 1700, furono inne-
state 2000 persone, e latte con fausto evento.
Il signor Ramby, chirurgo di S. M. ^ritaanica, ha inne-
slato 1000 persone senza la perdita di un solo.
Il signor Morand, nel 1755, aveva innestato 903 persone,
*— non solo sema la morte di alcuno, ma senza che ad essi fosse
sopraggiunlo neppure un aecidenle grave nel eorso del male, che
anesse fallo temere della loro aita*
Il signor dottore Domenico Poverini, un tempo medico di
Citerna nello Stato Pontificio, poi nella Città di Castello,
nel 1755 aveva inoculati più di dufento soggetti tutti felicemente,
e senza che veruno di essi sia restato neppwr segnato.
Séguito a prevalermi delle parole del signor Blanetti: —
// signor Pier Matteo Pierotti, successore del nominato signor
Beverini nella condona di Ciiema, vi ha iìMculatopiù di cento
fanckdli tutti quotiti a bene; e per. quanto egli medesimo esp:me
in una lettera indaiadei 7 settembre 1756, scritta al signor Pe-
verini, tutti hamo avuto un vaiuoh di specie benigna; e se in
alcuni si affacciarono degli accidenti, come sarebbe febbre rtsen"
SULL INNESTO DEL VAIUOLO. 2 lo
aia, ddirio, doUnif eonvuUicni ec, quesH tulli ti dileguarono
alla ffrima comparsa o eruzione del raiuolo, né veruno è restàio
segnalo, neppur di quelli nei quali le bolle furono in qualche
quantità. Per ragione unicamente di si vantaggiosi effetti ed
esempi , non poche madri^ in detto paese elleno stesse hanno inne-
stali i loro figliuoli^ e non lasciano continuamente di lodare e
ringraziare la divina beneficenza, che abbia voluto apprestare un
metodo cosi facile ed ulUe per un male di cui il mondo finora
si è cotanto doluto. —
I fatti d' Italia è bene riferirli colle parole stesse di chi
gli attesta. In Pirano, città dell'Istria, nel 1758, da giugno a
ottobre, il signor dottore Giovan Paolo Centenari innestò più
di 300 persone, e fra lutti questi che furono da me inoculati
neppur uno mori; e quello che forse è più, neppur uno restò
in alcuna parte offeso della persona, mentre per lo contrario mo-
rirono quasi altrettanti fanciulli, a' quali non si fece V innesto,
e rimasero molli altri che sopravìDissero, ciechi, e attratti ne'mem-
briy e nella faccia deformi, —
II signor dottore Gatti ha fatto felicemente più di 100 in-
nesti a Parigi.
A Nìmes sono stati fatti 78 innesti, tutti felici.
Io trascuro qui di accrescere il numero di simili fatti:
molti innesti felicissimi ha fatto il signor Gei ne' contorni di
Livorno; In Lerice, nella Toscana, molti innesti vi h» pure fau-
stamente fatti il signor dottore Niccolò Saltini; il quale scri-
vendo al signor Manetti, gli dice che in Lerice ognuno sma-
nia e desidera di fare inoculare i suoi figli; ma estendo io solo,
è necessario che aspettino il mio comodo. In Pistoia il signor
Taniy a San Pietro in Bagno il signor Fantini, a Prato il si-
gnor dottor Turacchi, insomma per la Toscana tutta, son
tanto ripetute e popolari le esperienze favorevoli^ che una
gentildonna persino, la signora marchesa Bufalini, da per
sé stessa ha inoculati con esito intieramente felice non solo molti
figliuoli dei suoi contadini e dipendenti, ma dei lerrazxam an-
cora di quei contorni; tanto i fatti provano che non v' è pe-
ricolo in questa operazione. #
Concludo la serie de' fatti da me raccolti, con quello in-
sijjfne di Costantinopoli, dove in un solo anno furono inno-
216
sull' innesto del vàiuolo.
stale diecimila persone, e (ulte, nessuna eceetluat«, se ne
liberarono.
Reeapitola%ione de' fatti mi/' innesco.
IimmUti. HorU.
Hadow Num. 1,200 i
Ospedale di Londra. .... i 5,434 iO
Browne » 2,000 2
Vescovo di Worcester. . . » 1,500 3
Frewio » 300 1
MIddleton. » 300 1
Ginevra » 200 1
Hosly » 25a 0
San Cristoforo » 300 0
Colonie inglesi » 2,000 0
Ramby » 1,000 0
Moraod » 905 0
Peverloi » 200 0
Pierotti » 100 0
Centenari » 300 0
Galli . » 100 0
Razottx » 1% 0
Costanlinopoli . » 10,000 0
Totale ImOtT !¥
D^i falli che abbiamo dunque potalo raccogliere da' più
classici aalorìy appare che in 24,000 e pia innestati, 19 ne
sono perìliy il che imporla che ogni 1200 ìnneslali ne muore
uno. Della legalità di quesli falli non credo che si possa nauo-
vereyerun dubbio, giacché quegringlesi, lanlo dell' isola che
delle colonie, hanno la pubblica alleslazione del lord Vescovo
di Worcester, del segretario della Società Reale di Londra
doUore Jurin, e del signor Ramby, primo cerusico della Corte
Britannica ; gli altri o sono attestati dal signor De la Gonda-
mine, di cui il credito è bastantemente stabilito in Europa, o
da quegli onorali medici d' Italia allualmenle viventi, i quali
gli hanno pubblicali essi medesimi colle stampe, apponendovi
il loro nome; né è credibile , che in fatti di lai natura , che
haniui lutto un paese per testimonio, si possa impunemente
abusare dalla credulità del pubblico. Chiunque sia slato in To-
scana, può servire di testimonio della ingenuità di que* fatti.
SOLL* INNESTO DEL VÀIUOLO. 217
Tutte le più esaKe ricerche, che da varj autori si sono
fatte finora intorno la vita amana, fanno conoscere che per
adequato V nomo vive Irentatré anni e alcuni mesi. Questa
notizia è talmento ricevuta, che dal numero de' morti in nn
anno in ogni paese moltiplicato per trentatrè, se ne viene
a dedurre ratinale popolazione di esso; cosicché, laddove
muoiono, per esempio, mille uomini all'anno, ivi presso a
poco la popolazione sarà di trentatrè mila anime. Ciò posto,
di 24,000 ne morranno verisimilmenle in un anno più di 600.
Dunque la probabilità sarà, che, ogni mese, di questi 24,000
ne muoiano tfO; V innesto dora circa un mese: dunque, se
dei 24,000 innestati ne fossero anche morti 50 , non do-
vrtebbesi ciò altrimenti attribuire all' innesto, ma anzi do-*
vrebbe allrièuirsi alle leggi ordinarie della natura, e do-
vrebbe credersi che ancora non innestati sarebbero morti.
L' innesto non rende gli uomini immortali per il tempo ch'et
dora , né può ciò da veruno pretendersi. Ma, di 24,000 e più
innestati, appena 19 ne sono morti; dunque per l'innesto
non ne muore veruno. Quesl' argomento mi pare senza
replica.
Un' altra riflessione pure convién fare, ed è , che sia nel
yaiuolo naturale, sia nel vainolo innestato, noi troviamo
che passa sempre l'intervallo di alcuni giorni dal contrarsi
la malattia al manifestarsi; ora, chi mi assicbra che a taluni
non sìa stato fatto anche l' innesto dopo che avevano glh
contralto il veleno vaìuoloso naturale? Ciò tanto più è proba-
bile, quanto che il maggior numerò d'innesti s'è sempre fatto
ne' tempi ne' quali la epidemia del vaiuolo regnava più: dal
che sempre più ci confermiamo nell' asserire, che la questio*
ne dell' innesto del vaiuolo ha in questi ultimi tempi mutato
aspetto. Sintanto che pochi erano i casi e le sperienze, e
che s' andavano facendo semplici tentativi per lo più negli
Spedali, dove l' assistenza non può mai essere tanto esalta,
si trattò di cambiare un pericolo maggiore in un minore; ma
al di d' oggi, che negli Stati soli della Corona Britannica ab-
biamo più dì 200,000 innestati; al di d'oggi, che in tutte
le parti d'Europa, trattane la Spagna e il Portogallo, si
sono moltiplicati prodigiosamente i fatti che pongono in
li. 19
218 sull' innesto del vaiuolo.
chiara lace qoesfa materia, la questione si ridaee a sapere
semplieemente, se debbasi prevenire ona. malattia mortale
quasi inevitabile, la qnale aramazza la decima parte per lo
meno dell' mnan genere, con una operazione niente perico^
Iosa e poco incomoda.
L' operazione dell' innesto consiste in dae snper6eialls-
sime incisioni, che si fiinno per lo più nella parte media ed
esterna delle braccia al disotto del tendine del muscolo Deir
tolde, una per braccio: alcuni le fanno alle coscio; e queste
incisioni, lunghe circa uh pollice, appena devono passar la
pelle. A queste incisioni si applica un tHo inzuppato nel ve*
lene vaiuoloso; poi si fascia. Quest'apparecchio si toglie dopo
quaraat'ore, e si medicano le Incisioni una roHa al giorno.
Sino al sesto o al settimo giorno il paziente sta bene; pure è
lodevol cosa eh' ei non esca di casa, ed abbia cura di non di-
sordinare nel vitto. 11 giorno ottavo, d'ordinario, compare
una leggier febbre; e il nono o il decimo, si vede l'eruzioa
del vaiuolo, e ciò consiste in 30, 40 o al più tfO pustole, e
che compaiono in tntt'il corpo, tutte discrete e d'ottima qua-
lità. Talvolta accade che tutto il veleno si scarichi dalle sole
incisioni, e che l'ammalato non abbia che una o due pusto-
le, e talvolta nessuna; ed anche in questo caso, se le incisioni
avrailno tramandata molta materia, l'esperienza di più di qua-
rantanni fa vedere che s'è pagato il tributo al vaiuolo, e che
più non ritorna. La febbre di suppurazione rarissime volte vie-
ne agi' innestati; e quella che viene al comparir delle pustole,
non è più grave di quella che può dare un raffreddore, e con-
siste in una febbretta che dura alcune volte venti qua Itr'ore, e
d'ordinario due otre, o tott' al più quattro giorni. Le ferite
nel giorno decimottavo cominciano a cicatrizzarsi, « nel vi-
gesìmo, da loro medesime, ordinariamente si chiudono. Non
v'è esempio che alcuno resti segnato dal vaiuolo innestato: per
ciò ebbe ragione di dire il chiarissimo signor dottor Manetti,
eh€ U sperienxe e U slorii fitto a quest'ora pubhUcalB sono
ptù chi ÉuficienU « persuader chicchessia; e qualora si iro^
vassero dei non capaci 4 non persuasi, non altro vi può esssr
nscesiorio per renderti parziaU, che il ridurU a vederne i suc-
cessi ocularmente.
8ULl'in«iwto del vaiuolo. 2t9
Pare imposdibile carne un metodo ai utile, gi seeeasario,
si poco penoso , dopo la serie di più di quarant' anni, con-
fermato nell' Inghilterra da innumerabili fatti, dopo il con-
senso universale di tuil'i medici inglesi, i quali sonoi mae-
stri della medicina d' Europa, dopo l'adozione fattane, e
nell'Inghilterra, e nella Svezia, e nella Danimarca, e in
buona parte degli Svizzeri, e nella Toscana; un metodo con-
tro il quale nessuno v' è che si opponga ne' paesi che lo eser-
citano; un metodo, insomma, si importante e benefico per
i' umanità , sia presso di noi un puro soggetto di conversa-
zione, e che vogliamo riserbare alla generazione ventura la
fortuna di profittarne, e il dritto di cercar le ragioni della
nostra indolenza. Pare strano altresì come il grido di questi
fatti classici, e che sono annunziati air Europa da cento au-
tori, non oscuri certamente nella repubblica delle lettere,
riscuota si poco generalmente gli animi, e ci lasci nella in-
dilTerenza; laddove, invece, una sola diceria si sparga contro
r innesto, mille lingue siano pronte a ripeterla e a stamparla
negli animi volgari. Appena morì in Parigi, nel 1759, il figlio
del fermier-generale De Gaze, il quale era stato innestato,
che dappertutto se ne sparse la novella, e ne trionfarono!
Bemici del nuovo metodo; si vide poi che egli era morto per
una caduta, Ireiitanove giorni dopo l'eruzione del vainolo,
dopo che perfettamente ne era risanato; e con prove giuri-
diche, e con attestato de' medici che assistettero alla inci-
sione del cadavere , in cui si trovò una gran còpia d' ac^ua
raccolta nel cervello, venne in chiaro che in nessun conto
poteva egli dirsi morto di vainolo. Caduto che fu il credito di
questo fatto, un altro se ne inventò, cioè, che il signor dot-
toreLìger,di Clermont fh Avergna, avesse innestato suo figlio,
e che essendo questi morto per l'innesto, il padre pure ne
fosse morto di rammarico; e questo fatto si pubblicò, e spàrse
in miHe guise, e presso molti discreditò il metodo d-innesta^
re: ma, fatte le ricerche sul luogo, si vide poi che i signori
Liger, padre e figlio, erano già morti quindici anni prima;
che il figlio non era mai stato inoculato; e che sino a quel
giorno nella città di Clermont non era mai siato fatto ve^
run esperimento per V innesto. (Jn altro fatto fu puM^licate
220 SULL* INNESTO DEL VAIUOLO.
della morie del figlio di lord Hillsboroagh , il quale vera-
mente morì dopo r innesto, ma ogni ragion vuole che non
per ciò se ne incolpi T innesto. 11 figlio del lord Hillsboroogh
cadde malato il ter^o giorno dopo V innesto, ed ebbe la in-
tera orazione delle pustole del vainolo il giorno quinto: ora
tutte le quasi infinite sperienze d' innesto ci assicurano che
Teruzion del vainolo. non accade mai prima del nono, o al
più dell'ottavo giorno dopo T innesto; perciò la ragione ci
persuade che il figlio del Lord aveva già contratto il vainolo
naturale prima che s'innestasse, e ch'egli è morto non già
di vainolo inoculato» ma di vainolo comune. Deve certamen-
te far maraviglia come alcuni uomini sianp si pronti e attivi
nel combattere la. causa della umanità, e si indolenti gene-
ralmiente gli spettatori, per i quali si fa la causa da alcuni co-
raggiosi filosofi, che hanno virtù e costanza tale di voler fare
del bene agli uomini, togliendo loro dalla mente uno impor-
tantissimo errore, senz' altra speranza che quella , deliziosa
per le anime sensibili, di esser conscie a loro medesime d'aver
promosso H bene.
Credo che quanto abbiam sinora avuto sott' occhio, ba-
sti a determinare il giudizio nostro in favore dell' innesto;
ma alcune altre brevi osservazioni ci restano a fare per ren-
dere queste nostre considerazioni più complete.
Il vainolo può egli comunicarsi -con egual indifferenza
in ogni età? Quai sono le circostanze nelle quali conviene
astenersene? Quali le preparazioni utili per ben disporvìsi?
Conviene trattare queste tre questioni.
Pi que' trecento innestati nell' Isola di San Cristoforo,
che disopra abbiam registrati, e de' quali neppur uno è pe-
rito, v^diam che ne dica l'insigne medico signor Mead: —
furono essi d*ogni età dai cinque anni sino ai trenta, e V^siio fu
si felice^ che sebben fossero Mori per la maggior parle^neppur uno
ne peri; poiché, quantunque la pestilenza del vaiuolo sia gra-
vissima setnpre neW America, con tutto ciò la sperienxa ci ha
insegnalo che gU Àgricani la soffrono più mortale ancora. ^ 11
signor Schultz attesta di aver fatto l'innesto a persone d'ogni
età, ed in particolare a un uomo persino di settant'anni, e tutti
felicemente risanarono dal vainolo. Il dotto signor Targionì
sull'innesto del VAICJOLO. 221
ei assicara, che gli adaKi s'innestano setaza pericolo akano
della vita. L'innesto riuteir suole più faeilmenU ne* btmlHni
e ne* fanciulli, benché negli aduUi eziandio eicuramenle si possa-
eanminisirare. Cosi ci attesta mia rispettabile società di no-
mini dottì> che ha destinalo il primo volume de' suoi lavori a
rischiarare l'importantissima questione dell'innesto. Di tre-
cento e pia innesti di vainolo fatti dal signor Giovan Paolo
Centenari nell' Istria l'anno 17S8, cosi ne dice egli stesso: —
Varie e distantissime furono le età degV innestati ; imperciocché
ho praticato in quel tempo V innesto a teneri bambini persino di
otto 0 dieci mesiy e Vho praticalo àllresi in giovani uomini e
donne d' anni.dieioUo, e in tutte queste operazioni ^ alle quali
sempre successe il vaiuolo di benigna natura^ non m'accadde mai
U menomo sinistro accidente. — La marchesa di Voyer, d'una
complessione molto dilicata, è stata innestata a Parigi dal
«ignor dottor Gatti dopo quindici anni di matrimonio ; così la
duchessa di Ghoiseul. Il cavaliere di Ghastellux, colonnello del
reggimento di Guienne; s'è fatto felicemente innestare d'anni
ventuno, e questa felice riuscita lo fece diventare sosteni-
tore del nuovo metodo, in favor del quale ha scritto. Questi
pochi fatti e queste autorità bastano, credMo, a toglierci il ri-
brezzo che taluni cercano di far nascere nelle persone che
hanno già passata la fanciullezza e l'adolescenza. Il testi-
monio de' fatti più autentici d'Europa ci prova che in ogni
età riesce felicemente l'innesto.
Le persone d'nna età già adulta devono temer dal vaiuolo
naturale più assai che non ne debbano i fanciulli. La spe-
rienza generale ci ha fatto stabilire, che per lo meno ne
mooionò il 10 per cento di vaiuolo naturale ; ma questo alla
maggior parte viene nella fanciullezza. Se il calcolo si facesse
solle persone adulte, troveremmo che forse ne muoiono M
per cento. Chi é nel caso, rifletta dunque che tanto deh-
b' essere maggiore la sollecitudine a ricorrere all'innesto,
quanto è maggiore il pericolo che incontrano colla dila-
. zione. Il signor principe di Darmstadt (stando alle sole case
sovrane) è slato la vittima dell' epidemia di due anni sono.
La sperienza ci ha^ insegnato, che l'innesto é riuscito
infelicemente sopra alcune donne gravide, e sopra altre oh^
10*
222 SULt'lKNKSTO.DKL VAlOObO.
non lo essendo, mancavano di qoe' contrassegni che diDoiano
uno stato regolare di sanità. La ragione dunque ò'insinaa di
non esporre a qnest* operazione chi sì trovi in questi casi.
Coloro altresì che sono sog^getti a epilepéia, tabe scrofulare,
scorbuto, lue celtica ec, in una parola, coloro che hanno si-
curo indizio di non esser sani, s'astengano dal tentare l'in-
nesto ; non già perchè assolutamente si debba credere peri-
coloso nemmeno per essi (che mille fatti ne abbiamo in con-
trario), ma perché per essi non v' è tutta quella morale e
palpabile sicurezza nell'operazione, che v' è per i corpi sani ;
ed io, scrivendo liberamente il parer mio, non voglio che ni
rimanga l' inquietudine d' aver contribuito a porre in rischio
un uomo anche solo su un articolo si importante.
Quanto poi alle preparazioni- colle quali devesi dispone
chi vuole innestarsi, io dirò, che Tudo ordinario de' medici
si è di prescrivere per dieta, alcuni giorni prima d^^innests,
cibi facili a digerirsi, e lontani dal formare sughi corrotti.
Erbaggi, farine, legumi, carni di pollo ec., sono i cibi che si
sogliono permettere a chi si dispone all'inoculazione. Ciò
pare conforme ad ogni ragione il farlo, purché non si ecce-
da né si estenuino le forze. Sogliono pure i medici purgare
una 0 due volle, e per poco che il temperamento sembri san-
guigno, aprir la vena. A questi purganti e a questa emissione
di sangue si oppone con ragioni talmente convincenti il si-
gnor Gatti, eh' io son convinto che ciò sia cosa per lo meno
superflua se non dannosa. Abbiamo un fatto riferito dal gran
conoscitore del vainolo, dal Sydenhaol, d'una fanciulla, la
(|uaie, risanata appena da una malattia per cui le furono fatte
copiose emissioni di sangue, fu sorpresa dal vainolo: si con-
solò il signor Sydenham, colla speranza che trovando il
vainolo un sangue sciolto e libero al moto, dovesse spiegarsi
felicemente più che in ogni altro caso; ma il fatto non cor-
rispose, e fu il vainolo mortale, e gravissimi i sintomi tutti
che r accompagnarono. In questa perplessità, qual dunque
sarà la scorta per definire come debbiamo prepararci 7 i fatti,
i soU maestri d'una scienza conghietlurale, quale è la me-
dicina. Ecco quai siano i fatti : En^anuele Timoni e' inse-
gna, che in Costantinopoli, al suo tempo, s' eseguiva l'innesto
80LL' INNESTO DEL VAIUOLO. 223
senza ianU eauleìe, anche nette pe^n/iori comliUiiuioid d'aria
e di conloglo, e. che V neguirìo cofi era una oomeguenxa del
profilo e protpero etilo, che quegli abilanU e quegV inoeulaiori
awvano oiservalo derivare dalla nalura propria, o efficacia
delV operazione stessa in tuli* i sessi, in luUe le eia, in luU'i
UmperamentL li veder poi^ che degl inoculali non ne moriva
alcuno, e che tal pratica meiteva anche tulli al coperto d* ogni
conica conseguenza, nel tempo medesimo che degli attaccali di
vatiiolo naturale ne moriva sino la metà, era la massima ragio-
ne, perchè in delie parti non si trovcusero oppositori,^ lì signor
ìlanetU sa tal proposilo sì spiega cosi: - Molli, innestando il
vaiuolo, non hanno avuto riguardo a purgare i soggetti che vo-
levano inoculare, ed hanno inserito loro il vaiolo mediante la
marcia presa da' malati di vainolo eonfluefUe, e nonostante sem-
pre sui essi è sopravenuto un vaiuolo assai mite e benigno, — £
quanto alla natora del vaioolo da cui si prende il yeleoo, le
sperìenze ci provano, cbe è indifferente eh' ei sia di buona
o cattiva qualità; nel che consultisi il signor Frewin, ed il
signor Burges, ed il «signor Kirkpatrick* Neppure i beneficj
dell' innesto s(ono limitali ad una stagione: vediamo per te-
stimonianza del signor Archer, il quale in Londra ha inocu-
lato moltissimi, che V innesto riesce felicemente in ogni sta-
gione: cosi nel 1758, in dicembre, sebben paia uno de' mesi-
meno opportnni, in Siena si sono fatti gl'innesti con ottimo
successo. Ma, per non riferire inutilmente una più lunga serie
d'autorità su questo 'proposito, io credo bene di qui inserire
una lettera scritta da un Fattore dì villa al nobile signor
Antonio Palmieri suo padrone: essa trovasi nel primo tomo
degli Àtli delVÀocademia delie Scienze di Siena, ed a me pare
tanto ingenua e semplice, che debba non esser discara a chi
legge queste mie osservazioni. Ecco la lettera.
Casenovole, 7 marzo 1^56.
Sono tre anni che circa al 10 d'aprile mandai a prendere
il mio ragazzo a CivileUa; e arrimlo qua, la mia moglie stiede
quallro giorni per vedere se veniva il vaiuolo, senza fare pre-
parazione alcuna, e vedendo che non li veniva, andò ad un po-
dere qui vicino ove vi erano tre ragazzi vaiuolosi , due de'quali
224 SULL' DfNKSTO DKL TAIUOLO.
avevano il vaiuolo di quello ealUvo, ed uno fU aveva pochieei^
mo, e boUe grane; con uno spillo pume una di quelle boUe pu^
tre fatta, e venendo a casa punee col detto spilio il ragazzo in un
braccio, ed il dello ragazzo sliede sempre vispo ^ e la pungilura
a poco a poco sempre più gli cresceva. Arrivato al fine di giorni
nove, U venne la prima febbre , e fino a tre, ma grandi , che lo
tenevano dissennato, e non -mangiava; e gli arriva a scappare
U vainolo^ ma pochissimo e di quello grosso^ come li s' era an-
nestato: ma li posso dire che dove s'era puntogli aveva fatto un
boccio come una grossa nocciòla , ed a tomo a tomo di fnolte
boUe ; basta, alta fine di giorni dodici andiede fuori. Due altri
contadini delti nostri venivano a vedere U detto mio ragazzo; e
quando V ebbe putrefatto, punsero altri due ragazzi de* suoi , ed
a questi alia fine de* quattro giorni li vennero le solite febbri tre e
grandi, U esci pochissimo vaiuolo, meno assai che non ne aveva
il mio, e guarirono prima. A questi li lascio considerare U pr§*
paramenti potevano farli , al più saranno andati col bestiame.
La mia ragazza poi, che fummo sciocchi, si sliede eissai più giof"
ni dopo Vinneslatura del ragazzo; cdla fine li s'innestò, e subito
li vennero le febbri, e U venne il vaiuolo pieeolino, nero, con
pochissime bolle d^cdtro vaiuolo grosso ; e qui compresi, che
quando' li s'annestò, era già internato; e li venne Vano eVallro,
cioè, l'innestato e il naturale. Basta, stiede da venti giorni che
si credeva che volesse morire, ed è al presente sana e prospera.
Queste sono le relazioni che li potso dare; ma io avendo altri
figliuoli sempre glielo annesterei, perchè ne ha vista V esperienza.
Da quella rustica naturalezza che trovasi in questo do-
cnmento, facile è lo scorgere quale opinione faccia nascere
<ii sé l'innesto, dovunque se ne faccia la sperienza« Da qui
si scorge quai necessità vi sia di purgare o cavar sangue
prima d' inneslare. Due errori credo che siano trascorsi a
quel buon Fattore; uno si è d' aver chiamate le febbri grandi,
perchè la sperienza di tutta la terra ci prova eh' elleno non
sono tali ; saranno bensì slate capaci di cagionar della sete
al fanciullo, e fargli perdere la voglia di mangiare, ma questi
non sono sintomi che da loro soli provino una gran febbre.
L' altro errore è quello della febbre comparsa quattro giorni
SULL IKMEUO DEL V AIUOLO. 225
dopo rìMMttOy eosa coBtrarissiifia pure alla più constanle
sperìenza, la qoale c'insegna che la febbre non compare che
circa r ottavo gioroo dopo T innesto: né v^ è da maravigliarsi,
se lo spirito d'un Fattore di villa o non abbia fatta una esatta
osservazione su i giorni, o l'abbia dimenticata, scrìvendola
relaiione alla sua foggia.
Ma ritorniamo un momento alle qualità necessarie per
subire con sicurezza V innesto: esse ci vengono additate dal
chiarissimo signor dottore Gatti neir aurea sua opera pubbli-
cata a Parigi Tanno scorso su questa materia. Tre condizioni
egli esigere sono: un fiato naturalmente dolce e sano; le carni
morbide generalmente in tutto il corpo ; e facilità di cicatriz-
zarsi, il che senza dolore si prova con una cutanea incisione.
Queste tre cautele esso le ha imparate ne' suoi viaggi della
Tarchia., e la sperienza sua e in Italia e nella Francia gli ha
Calto vedere che quei tre segni che osservano gli Orientali ,
sono quelli appunto, e non altri, che dobbiamo ossiervar noi,
e che, quando si trovino, è lin colpo sicuro.
E qui terminar potrei le mie riflessioni coli' autore delle
Novelle Letterarie di Firenze , cioè col dire i-^À me pare che
tum metta conto di quisiionare più sopra una prativa vanlttg-
giciisiima a noi mortali, com* è Vinoeulazione; — majiSìre che
invece di lasciar l' ingegno di chi vorrà leggere oppresso
sotto la pesante autorità de' fatti e degli autori, quasi sde-
gnosamente costretto a persuadersi in favor delllnnesto, non
sia male ragionare anche un poco in medicina, e ricercar fra
questo buio qualche barlume di ragione che appaghi. Que-
st' inoculazione par quasi una operazione magica. La malat-
tia del vainolo si acquista per contatto, lo preparo un fan-
ciullo colla più esatta forma del vitto, lo scelgo della miglior
complessione, e nella più dolce stagione lo faccio coabitare
con on ammalato di vaiuolo d'ottima qualità. Pare che questo
dovrebbe esser il più prudente modo di assicurarsi dagl' in-
sulti del vaiuolo: eppure ciò a nulla giova. 11 signor conte
ItODcalli medesimo, lo stesso impugnatore dell'innesto, c'in-
segna che con ciò molte volte s'acquistano vainoli di pessima
qualità, e che se ne muore, e la sperienza lo fa vedere ad
ognuno. Prendo iiivecc un fanciullo non preparato , in una
226 SULL'lMNBSfO DEL TAICOU).
stagione non favorevole , gì' ìnsimie por una sofMvfioiale fe-
rita in un braccio del veleno vaìooloso di non Inona qnaillA,
e ii fanciullo ha un leggerissimo vaisoio benigno , e risaMa.
Pare che siavi qualche cosa di misterioso e di magico che
non appaga la ragione: quel veleno tanto attivo^ che si co-
munica per r aria istessa, e cagiona una mortai malattia, in-
trodotto nel corpo per una incisione, perde la soa attività e
fa cessare ogni pericolo.
Nella lettera del signor Tissot al signor Haen ho trovato
il primo lam^o di quel sistema che si bene ha sviluppato il
signor Gatti, sistema che io da me stesso m'era già formato
in mente, e in coi mi son veduto prevenuto da nn s^ gnn
maestro, con Un secreto sentimento di piacere frammischiato
a un po' di pena, poiché ciò mi ha tolta la speranza di prò-
(hirre qualche cosa di noovo, e(riiie mi era lusingato. Ecco
dunque come può concepirsi V idea del vantaggio deH' inne-
sto. Il vainolo naturale cagiona un maio tanto più pcric«loflo
e mortale, quanto che la sede di esso si stabilisce is «aa
4)arte più nobile del corpo nostro. Le cure de' più valenti me-
dici tendono ad allontanare il vainolo più che si può dalle
parti yiiaXu— La noslraindicazifme è $kUa cosUmiememte, €mne
ii dice, di allontanare pièghe fowe pombUeil veleno vaiuoèoeo
dalle parti vitali j ed anche daUa faccia, dkse il celebre signor
dottor Targioni; iivaiuoio è micidiale quando fa qnakhe de-
poeitione,o decubito che chiamiamo, in qualeke triseera etmk-
nuta nelbe tre cavità del corpo; cosa che più d* una voUa è a»-
venuto di vedere, avendo ritrovati degli ascessi nei poUnomi e
nel fegato in alcuni morti in tempo di vaiuolo: oltreché non
sono per avventura pochi quegli che per una deposizione fattasi
nella gola, cioè per un* angina, in certe epidemie mtcàitait, jpe-
aiahnente di vaiuolo, morir si veggono: cosi ci attestano gli
AUi deW Accademia di Siena. Quando il vaioolo priocipal-
mento fissa la soa sede ael capo, come abbiam veduto neBa
giovane innestata alla ehioese dal signor I^ad, cagiona for-
tissimi dolori di ei^, e talvolta frenesia* 11 pmcipal pen-
colo danqae di questa malattia pare che consista tanto neiia
natmra stessa del v^no vaiuoloso, quanto nel luogo ove si
pianta la principale impressione, e stabilisce la sede. Ciò pò-
sull'innesto del vaiuolo. 227
8(0, il che è conforme alle osservazioni mediche, chi contrae
il yaiuolo per fortuito contatto, o per coabitazione, si espone
air azzardo che la sede del veleno si detenliini in una parte
nobile o ignobile: indi, contraendosi per le parti yeneficbe
frammiste all'aria, pare yerisimile che il polmone sia il più
disposto a divenir il centro e il punto massimo del male; lad-
dove f innesto determina la sede di esso male in una parte
lontana dalle vitali. L'utilità dunque deir rnnesto in ciò con^
siale, di scegliere e stabilire il sito dove il vaiuolo deve
esercitare la massima azione; e questo sito è quello appunto
dove si soffrono durante la malattia le maggiori irritazioni ,-
e he' contorni di esso compaiono in numero assai maggiore
le bdle, e punture e dolori sofl^onsi, e vedesi scarico di
maggior copia di veleno.
Io non pretendo perciò di spiegare esattamente V indole
del vainolo, di cui, come da principio ho detto, ognuno ne
ignora la natura, trattine i cattivi medici, ai quali soli è per^
messe di saper tutto: pretendo soltanto d'aver data una spie-
gazione, la migliore che si può, la migliore che sia stata ri-
travata sìnora in questa materia, e la sola che può in qualche
manlera dar ragione de' varj e complicati fenomeni che ri-
saltane dalle sperienze deìF innesto. Vorrei che grinoculatori
tentassero di rendere ancora più dolce e benigno questo me-
todo, se pure è poss^ile; vorrei che si esaminasse se con-
venga, invece d'innestar nelle braccia, stabilir la sede del
vaiaoio nelle coscio, ovvero nelle gambe, ovvero anche
ne' piedi, per allontanarlo sempre più dai visceri più dillcati.
Gol tempo ciò si farà; ma la benevolenza verso gli uomini
deve estendersi sino alle generazioni venture bensì, ma non
devono «sse preferirsi giammai alla generazione vivente. Mi
compiaccio prevedendo i vantaggi de' nostri successori, i
quali per moMi capi saranno meno infelici di noi , se qualche
impcovviso rovesciamenlo non viene a discomporre quell'or-
ganizzaziéne dve va sempre più aumentandosi in Europa;
ma vortei che, giacché siamo incamminati al bene, s'accele-
rassero i progressi , e che moltiplicandosi le coraggiose grida
dijqoegtì nemini sablimi che reggono le opinioni de' posteri,
e seflrimo le dicerie de' contemporanei, tutto si ponesse in
228 SOiX' INNESTO DSL VAIUOLO.
un moto ordinalo per accrescere le cognizioQi nostre, é sin-
golarmente le più utili alla vita ed alla sieorezza degli uo-
mini viventi. È da desiderarsi che cautamente e con ìnd»*
stria si estendano i beneficj dell' inoculazione, a segno che
quelle viste che al di d' oggi si hanno, vengano bene sehiaì-
rite quanto è possibile.
Abbiamo alcune notizie, come l' innesto si osi prospera-
mente non solamente nel vainolo, ma persino nella pesle.
Alcuni giornali de' più accreditatf d'Europa ci assicurano clie
in Costantinopoli s'innesta la peste, che coli' innesto s'acqui-
stano gli stessi vantaggi che col vainolo; giacché anche la
peste^ avuta una volta, più non ritorna. Dìcesi che il medico
del Sultano Muly Mustaphà Agà l' abbia felicemente inocu-
lata a quest' ora a molti. Il Magazzino inglese ci asaicara al-
tresì che il contagio pestilenziale negli animali perde ogni
pericolo coir innesto: V esperimento si fece su otto vitelli,
coir introdurvi per un taglio fatto nella gola la materia mor-
bosa delle nari e degli occhi d' un bue contagioso. Una let-
tera del dottor Schwenke, professore di chirurgia e d'anato-
mia all'Aia, ci conferma simili sperimenti. Sarebbe bene
che la curiosità si risvegliasse anche nell' Italia, e non ai la-
sciassero oziose sì grandi e utili viste; ma beasi sottoponen-
dosi alla sperienza, o venissero riposte fra i sogni, evvero
venissero confermate e rese di pubblico benefìcio. La medi-
cina che previene le malattie, ossia, per chiamarla col ter-
mine dell'arte, la medicina profilattica, per cui v*è tradi-
zione che Prospero Albino abbia scritto un trattato il quale
ora più non esiste, questa benefica medicina che non aspetta
il male per risanarlo, ma invigila e anticipa perché non
venga, è troppo generalmente negletta per disavventura del-
l' umanità.
Terminerò le mie osservazioni col riferire qndlo che
milady Montagne, di cui abbiamo fatta già menzione, scrì-
veva da Adrianopol! a Madama S. G. quasi mezzo secolo fo,
cioè nel 1717. Cosi diceva dunque quella leggiadra e aniahile
Milady: -.-Fi dirò un fallo che faravvi desiderare d'essere av'fo
sono. Il vaiuoto, si generale e sì crudele da noi t è divenuto
un* inezia in questo paese, col favore deW innesto ck0 vieii «a-
sull'innesto bel TAIUOLO. 229
IttNiòKo. T è una schiera di vecehiareUe, U quali inneHano per
professione: A tempo opportuno si è nèW autunno, scemati che
sono i grandi ccdori, ÀUora i padri di famiglia t^ accordano e adu-
nano quindici o sedici de* loro figli che ancora non abbiano avuto
U vaiuoìo; si chiama una delle vecchiareUe, la quale m un gu-
scio di noce porta la materia vaiuolosa della miglior qualità, fa
una leggiera incisione, la quale non è piii dolorosa di quello che
lo sarebbe una graffiatura^ e colVago ìj* introduce una stiUa di
essa maUria..,, I fanciuUi innestati giuocano e stanno bene per
otto giorni ancora dopo VinneUo: passati gli otto giorni, Hen la
felfbre; e cMora staàno 4 letto due giorni, e di rado tre; essi
non hanno ordinariamente che venti o trenta bolle sul viso, le
quaH non v'è esempio che lascino veruna impressione. Finalr
mente, otto giorni dopo sono essi sani e vegeti come se nemmeno
avessero avuta malattia. Le incisioni purgano molto durante il
vttiuolo, il che serve di sfogo al veleno vaiuoloso, acciocché non
si spanda violentemente altrove. Ogni anno questa openuionp
fossi a migliaia di fanciulli; e V ambasdator di Francia dice
che qui si prende il vaiuolo per sollazzo come altrove si prendon
le aeque. Non s* è veduto perir alcuno in queste parti per Vin-
nesio; ed io sono tahnenle conivinla della bontà di quest* opera-
zione, che son risoluta di sottomettervi il mio caro bambolo. Amo
la mia cara patria a segno, che desidero d'introdunvi questa
usanza; e non tarderei a scriverne a* nostri medici, se gli credessi
zzanti a ségno di preferire il bene del genere umano al lor pri-
vato interesse, e capaci di sacrificare un ramo si importante
della loro enlrata; ma temerei di espormi alle terribili loro ven-
dette, se cercassi di far loro uno scapito si grande. Chi sa che al
mio ritorno in Inghilterra io non abbia coraggio tale da muover
loro guerra! Ammirate V eroico zelo della vostra amica ec. —
Ha tempo è ornai di por flne a questo argomento. Si
tratta o di lasciar perire o di conservar la vita alla decima
parte del genere ornano. S' è interrogata la natura colle spe-
rienze in ogni parte d'Europa da un mezzo secolo in qua, e
più di eento mila innestati risanati, liberati dal flagello del
vainolo, provano in favore dell'innesto: la voce e gli scritti
de' più cospicui medici raccomandano questo nuovo metodo:
l'Inghilterra, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, Berna,
li. 20
230 soll' nofivTO bsl taioolo.
Ginefia, la Tofleana, F Istria, prafiilano dyi iioeslo preakwo
dono dd eielo. A questa operasioiie V Ean^ ka T^data sot-
toponi i principi reali d'Inghilterra, i principi reali di Duii-
marea, la casa d'Orléans, il real principe di Panna; un po' di
baoD senso basta per farci conoscere che yile d preziose agli
Stati non si ayyentorano. Se t' è chi in vista di sì chiari ar-
gomenti yi si opponga, forza è il diro ch'ei sia di quella
parte inferma della specie nostra che s' oj^ae ai progressi
del bene. Gli antipodi e il moto deHa terra, ora dimostrati,
forono da questa sorta di nomini acremente impagnatL La
circolazione dd sangue, l'uso dell'antimonio, del mercurio
e della china-china, ebbero fortissime opposizioni dai medici :
ora sono stabili e uniformi le comuni opinioni sa di cid, né
quasi si ricordano le passate dispute che come un aneddoto
della storia medica. Oso predire che fra pochi anni ciò acca-
4erà all'innesto pure; e che le saggie e ragionevoli persone,
prima che il volgo ancora della patria nostra sia istrutto,
sapranno profitterò in una si importante e premurosa occa-
sione de' lumi proprj. Reste a desiderarsi che quest'oggetto
sia ben noto ai medici; che leggano alcuno de' molti eccel-
lenti autori capaci di somministrarne idea, o che prima di
esseme perfettamente istrutti, non pronunzino il giudizio loro
sopra un punto si dilicate. Io son contento d' avere iner-
zialmente cercate la verità, di averla trovatii, e d' aver pro-
curato, scrivendola, di {Hresenterla acciocché si acquisti con
minor fatica e tempo di qneUo che ho io dovuto impiegarvi.
331
RICORDI DISINTERESSATI E SINCERI
At /« MW die$n .... $a /««.
Un librétto che svela i Tizj -dì coloro, che, abusando della
crednlitA e debolezza altraì , trovano in quella la rendita e la
considerazione, deve portare odio contro del suo antere. Lo
so che faccio nn cattivo contratto, che difendo chi non se ne
accorgerà, ed offendo chi cercherà di nuocermi: ma pare, se
posso scemare il nnmero delle innocenti vittime, ed obbligare
i malvagi a qualche ritegno, sarò ricompensato. Potessi al-
meno col mio scritto accrescere qualche poco d'avvedutezza
nel po|ft>lo, e dare qualche guida a quegli onesti cittadini che
si trovano nell' infelicità di dover alBdare o la loro vita o le
sostanze loro neDe mani altrui! lo presento agli onesti uo-
mini mm colleghi il risultato non già deHe mie speculazioni,
ma d' una lunga e ripetuta esperienza. 1 fatti che racconterò
polrd {trovarli coi nomi degli autori, e colle circostanze;
pure, benché ì dafini che ho veduto accadere, e in parte sof-
ferti, possano darmi titolo bastante per farlo, credo pia vir-
tuoso partito il dimenticare ogni personalità, e non avere in
vista che il solo bene che posso fare alla patria.
ob' mbdigi.
Poco, pochissimo aiuto possiamo sperare da' medici, ed
assaissimo vi è da temere; eppure l'umana debolezza, allor-
ché siamo infermi, si accresce, e si vedono anche degli uo-
mini ragionevoli abbandonarsi ai medici, ai cerretani, ai
fattucchieri. Quel filosofo ammalato, che aveva sul letto tali-
smani 9 amuleti, idoletti, ec, ebbe ragione di rispondere al
suo collega che gli chiedeva di sua salute: Voi lo vedete^ sto
moie assai, e mostrògli i testimoni della propria debolezza. Vi
232 RICOIM D1SINTBIBS8ATI E SIMCEU.
sono però alconi piò inuminatl, i quali, a?endo conosciulo
da V vicino la vanità deBa medicina, nemmeno colla febbre
perdono la evidenza che ne acqqislarono; e di tal natura sodo
la maggior parte dei medici, i qoali allorché si ammalano, o
non ammettono alcun collega, ovvero, se per F onore del-
l'arte lo ammettono, non mai abbandonano sé medesimi ai
metodi usati. Trent* anni fa, si raccomandavano bibite calde
dai medici per dilatare ì meati, per rilasciare le ostrazioni,
per purgare blandamente: ora i medici condannano le bibite
calde, che mflosciscono le viscere, levano il tono ai mosco-
li, ed invece prescrivono acque fredde, gelata, bagni freddi.
Trentanni fa, un ammalato di vaiocdo si teneva chioso, ri-
paratissimo dall' aria; si teneva ben coperto per lasciar adito
di presentarsi alla cote la materia morbosa: ora si vuole aria,
aria fresca, ventilata, nessun riparo nel corpo infermo, affin-
ché non si moltiplichi l' infracidimento.e la. corruzione. Alla
fine del secolo passato, si facevano morire di arsura i febbri-
citanti, volendo che il calore febbrile consumasse gli umori
peccanti: ora si vogliono bibite e copiose, per ammorzare il
calore febbrile. Da qui a trent* anni probabilmente si faranno
altre mutazioni. Poco buon senso basta per illuminarci solla
ciarlataneria medica, la quale é stata l'oggetto della deri-
sione e del disprezzo degli uomini di maggior ingegno, e per-
sino abbandonata al ridicolo della scena comica. Io non
prendo a scrivere un trattato sulla vanità della medicina; mi
basta dare rapidamente alcuni cenni , ed invitare il mio let-
tore di buona fede a risolvere tre soli quesiti. Avete voi v^
duto in vita vostra un solo ammalato, il quale sicuramente
dovesse soccombere, e che per opera del medico sia guarito?
Quando avete soltanto un leggier mal di capo, credete voi
che tutti i medici uniti abbiano podestà di liberarvene?
Quando vi duole un dente, trovata voi una sola droga, fr>
gì' innumerabili vasi ddlo speziale, che yi lìberi e vi sot-
tragga alla violente operazione di svellerlo? La medicina è
una vera meretrice con finti colori, con chiome finte, che ba
fìnte lusinghe e finta sensibilità: abbandonato a quella, perdi
tempo, danaro, e corrómpi la massa del tuo sangue. Isella
plebe, la maggior parie delle malattie nascono dall' eccesso
BfCOBDI DISINTBRBSSiTI E SINGEar. 233
della fatica e dalitf troppo misera qualità del nalrimento; nei
signori, la maggior parte delle malattie nasce dall'intempe-
ranza e dalla irragionevolezza. I contadini, gli artigiani po-
veri, qnasi sempre risaneranno col riposo e coli' alimento
sano e nutriente ; i facoltosi risaneranno colla sobrietà, col-
r ilarità e col moto. Queste sono le più sicnre e benefiche
preparazioni chimiche^ da presentarsi all' egra umanità. Ho
conosciuto pili onesti uomini che esercitavano la medicina, i
quali pensavano cosi, ed ingenuamente me l'accordavano:
ne ho conosciuto alcuni, i quali adattandosi alle idee vol-
gari jrreformabili, e considerando la fiducia dell'ammalato
come un buonissimo rimèdio, sostenevano il loro magico per-
sonaggio, e misteriosamente ordinavano medicamenti inai-
gnìficanli per tolt' altro oggetto, se non per quello dell'opi-
nione. A Soriso sul Bergamasco, si sono veduti immensi
prodigi operati per opinione. Mesmer e Cagliostro sono due
taumaturghi che hanno sapoto porre in attività somma la
fantasia degli ammalati, e si contano guarigioni maravigliose
da essi operate. Io adunque non condanno punto chi fa il me-
dico; avviso però il mio lettore a non abbandonare la sua vita
in mano d'alcuno, e rassegnarsi aUa condizione d'uomo che
seco porta d'avere ora sanità ora malattia; a persuadersi che
tutto dò che hatin principio, deve avere un fine inevitabi-
le, ed a conoscere che, per far grazia somma all'arte, al-
oieno tanti accelerano, quanti prolungano il loro termine,
coli' abbandonarsi ai medici.
Premessa tale idea giusta di questa lusinghiera arte, ora
convièn riflettere che l'arte medesima in questi ultimi secoli
ha deviato dal sentiero della retta ragione, e si è infelice-
mente ingolfata nel mare delle chimere e dei sogni. I prin-
eipj deli' arte medica sono e saranno sempre ignoti agli uo^
mini, e non v'è che la ciarlataneria, che possa vantarsi di
conoscerli. Il mistero della generazione, il mistero della nu-
trizione, il primo mobile della nostra macchina, tutto si soU
trae alle nostre ricerche, e s'asconde in una nebbia impene^
trabile. Cos' è febbre? Nessuno lo sa. Come si digerisce? Non
lo sa alcuno. Come operano i purganti, gli astringenti, i dia-
foretici, i narcotici? Un impostore spiegherà tutto, ma né
20^
234 RICORDI DlfllNTBRBSaATI B SIMGIRI.
s'intenderà egli medesimo, né od nomo ragionevole poirà
inciderle.
tJn'arl^rdonqoe, di coi sMgnprRDO e s'ignoreranno «em-
pre i principj, non sì può trattarla per principi, se non fon-
dando delle ipotesi, e qniiidi fabbricando sa basi iocertissi-
me, che non reggono al peso, e lasciano cadere tnUo il lavoro
colla sola sperienza de' falti. Si è eredato di eonoscere per
mezzo dell'anatomia d meecanismo della nostra siacchina, e
rimediare poscia ai disordini, come a quei 4'nn orologio; ma
l'anatomia grossolanamente ci mostra i pezzi del corposo
sfaggono ai sensi qnelle parti che eostitoiscona la vita, e dal
disordine delle quali nascono sconcerti. L'anatomia mostrai
visceri nello stato di morte; e dopo d'essersi ammorbati sqi
cadaveri, e d' avere caricata la memoria di tanti nomi greci
che è piacioio di dare alle budella, non siamo avanzati
un apice nella scienza di procurare la guarigione ad un aob
malato; anzi queste cognizioni utili per dirigere 0on minor
pericolo il èòltello d'un chirurgo, sono una miniera di sistemi
aerei, ne' quali vanno delirando colla loro immaginazione i
medici sull'azione dei solidi, reazioai dei fluidi, sulla ragione
semplice, inversa e composta delle forze operanti in noi ee.
La chimica, le di lai affinità, fermentazioni ec., hanno som-
ministrato un altro campo di delirj e sogni medici, che mir
litarmente schierando aetdi da una parte, alcali d^U'altrai
idea*do combattimenti, regioni prese, minacciate, hanno
moltiplicata V incertezza. Ora, quando non si conoscono i
prìnoipj delle cose, non rimane altra scorta alla ragione, »
non se queUa dei fatti: la <^le scorta fa appunto quella ohe
andò seguendo Ippocrate, epilogando e rìdocendo ad afori-
smi i fktti operati da dieci generazipni prec.edenti, e deposi-
tati nei registri d' Escalapio; e quindi si comprende perche
la medicina, dal tempo d' ippoerate a noi, o non abbia bUifi
alcun progresso, o forse anche sia retrograda, laddove tolte
le altre scienze, o quasi tutte, mirabilmente si sonoinnalaate.
11 nostffo italiano Sanlorìo prese il metodo ippocratico, tenie
la natura coti' esperienza, e dai fatti di qoarant' anni bene
confermati ha potuto trame alcuna utile teoria, onde franca-
menle asseriace che i medici correrannno sempre nel vortif^
RIGOSDI DISINTBKiSSSATI E SINCBU. 235
dei sogni e delle opinioni, seducendo gì' incanti e rovinan-
d<di, sin tasto elve animati da un sincero amore dell' umani-
tà, ilhimiiiati abbastanza per conoscere la Taiittà dell'arte,
eaotìssimainente si limitino ad imparare l'arte ditQcile ii
sapere, ed eperetanno in «piei soli casi,, ne'qn^li colla guida
ippocratica )a sperienza dà un probabile risultato di poter
giovare*
So bene che un medico perfettaniente sincero non ot-
terrebbe alcun lucro, o alcuna riputazione presso il popolo.
Egli dorrebbe alla maggior parte degli ammalati confessare
di non intendere il loro male, e di non saper che fare in loro
Tantaggip; e un medico simile verrebbe trascurato come un
ignorante : ma se io accordo al medico la simulazione di mo-
strar di conoscere quello che non intende, di aver mezzi da
sollevare, quando li ignora; se accordo al medico di usar
della debolezza ed ignoranza altrui, in vantaggio del de-
bole e dell'ignorante, a consolare e rinvigorire il quale tal
specie di ciarlatanerìa può moltissimo giovare; non posso
però riguardare se non come un ignorante pericoloso quello
che, non rendendosi conto esatto a so stesso delle cose che
veramente sa, opera arditamente sulla, vita altrui a caso. Il
solo nomo ragionevole è colui, che sa di sapere quello che
sa, e sa d' ignorare quello che ignora.
Stabilita cosi la base della giusta opinione ohe debbesi
avere della medicina, e del molto da temere e poco da spe-
ra» che v'è neir assistenza del medico, è bene che siamo
altresì avvisati delle male arti colle quali taluni abusano
della naturale semplicità. 11 poco che ho veduto io stesso,
mi autorizza a prevenire gl'incauti. Io ho (Conosciuto una
donna stravagante, la quale, per comparire in qualche modo
donna maraviglrosa , e per dominare meglio nella sua casa,
e rendere adorati ! suo! capricci , si voleva far credere am-
malata eon febbre, e durò più di trent'anni a starsene a letto.
Forse anco ella giunse a persuaderlo a sé medesima. Il me-
dico, prima dr entrare a visitarla, si tratteneva colla came-
riera, e la interrogava sogli accidenti ddia notte, sullo stato
del gioqrno ec.^ indi entrava gravemente in stanza, toccavale
il polso, e fatto silenzio, la interrogava: -* Avrebbe ella mai
236 BIGOBDI MSDITEKESSATI B SIHCBU.
sofferto doglia di capo?— Gran polsista! come indovina lotto!!!
Signor si, V lio sofferta. ~ E sete? arsura alle Unici? — Che
demonio! I! anche questo indovinai Ma dica, signor dottore
(giacché vedo ohe lei sa tolto), dica: donde proviene questo
dolor di capo che si di frequente mi tormenta?... — H medico
china la testa in atto di profondo raccoglimento di pensieri,
prende a toccarle il polso, e V ammalata avidamente aspetta
r oracolo. — Qoesta testa, dice il dottore con molta pausa,
questa tesla è restata distesa.... come in una forma dolente;
perciò sente il dolore nella parte che le duole..... — Grand' uo-
mo! ! ! (esclama l'ammalata) grand' uomo, parla come on an-
gelo! vi dice le cose con una chiarezza, con una precisione,
con una verità che sorprendono sempre! — U medico passa a
farle il racconto delle novelle dì città, delle avventure, di
quanto di ridicolo e di singolare ha potuto osservare nelle
case nelle quali è. stato a far le visite: la discrezione e la
carità non brillavano certamente in quei dialoghi. Soleva te-
nere il medico quell'ammalata come un fondo stabile di
buonissimo fruito, ed era l'ultima visita ch'ei faceva in fine
della giornata. Non partiva però mai senza averle scrìtto
tutte le sere la ricetta, e, quello che è degno di osservazio-
ne, era sempre esatlamente la stessa ricetta: — aqua eerata-^
rum nigrarum, succinum, laudanum liquidwm^ eonfeeUo J(-
ckermes; e tutto ciò in dose che nulla significava, .ma ogni
sera si scriveva, acciocché si ci'edesse che il rimedio variava
sapientemente secondo lo stato dell'ammalata. Questo me*
dico era uno dei più accreditati del nostro paese*
Ho veduto altro fatto, cioè un medico che fu richiesto
per visitare un' ammalata che tendeva a morire di consun-
zione; e siccopie si temeva che il metodo dei purganti, sol
quale insisteva il medico della cura, non fosse opportuno, e
che il male non nascesse altrimenti da supposte ostruzioni;
cosi si procurò dai congiunti di farla visitare nascostamente
da un altro medico famigliare della casa patema dell^ infer-
ma, e si tentò ciò nel dubbio che, facendo un consollo, non
si adulassero vicendevolmente i medici, come é il solito; ma
il medico straordinario, richiesto con intelligenza che non si
sapesse, volle prima di tutto confidarlo segretamente al i
UCOROI 01SINTEBBS8ATI B SIMCBBI. 237
dico della cara, e nella sua yisita adulò finissìBiamente il me*
dico omicida, saggerendo come da sé i rimedj medesimi che
adoperava il ministro della cara; colla quale condotta ven-
nero ad accecarsi i [trenti, togliendo ogni dubbio sulla qua-
lità del male, conosciuto lo stesso da due indipendenti (cre-
duti) professori. L'ammalata ne morì, ma i due medici vivono
buoni amici.
11 medico comunemente è incallito d' animo; soffra o
muoia l'infermo, ei mangia con buon appetito e dorme sa-
poritamente i sonni. Sin qui non v'è da rimproverarìo; la
natura umana è fatta cosi, si abitua e si rende col tempo in-
sensibile; e per vivere, cosi deve essere l'uomo che fa il me-
dico. Alcuni con troppa sincerità lasciano traveder su questo
articolo la loro indifferenza, ed in ciò fanno un male, perchè
privano l'ammalato di quella consolazione, che reca l'appa-
rente amicizia del medico. Il male maggiore è quello di quei
non pochi Esculapj , . che ridicono le miserie,' le debolezze,
le piaghe delle famiglie nelle quali sono ammessi, e se ne
servono per consolazione e trastullo. Il sommo abuso poi è
quello di volersi arrogare la padronanza di casa, e del corpo
del povero infermo, operando e tormentando le ultime ore
angosciose della vita. Dalia sanità all'agonia vi è un terrìbile
viaggio per l'audace ignoranza degli uomini d'ogni classe,
che col prelesto di farci bene ci opprimono. Dall'agonia alla
morte il passaggio è più consolante, perchè nulla v'è di
mezzo fra l'uomo e l'Essere eterno ed ottimo. Io tremo nel-
r incertezza ^éì mio avvenire, se mai dovrò terminare i miei
giorni con una malattia regolare, pensando che mi troverò
debole ed abbattuto, esposto alla maligna curiosità, all'indi-
screzione, al fanatismo, all'ardita e potente ignoranza di
molte classi d'uomini, senza mezzi di difendermi. Credo che
a misura che i lumi ed i sentimenti d'umanità faranno pro-
gressi, questo male andrà scemando; ma io non posào spe-
rare ancora tanti anni di vita per goderne il vantaggio: sa-
pessi alnieno quando fia la mia ora, che mi ricovererei prìttia
in un villàggio, e leggerei in volto del parroco di campagna
il valore del mio male; sulla faccia degli innocenti contadini
vedrei qualche lagrima in ricompensa dell'umanità mia; te
238 BIGOKDI DiSnTBUSilTI B SDIGOI.
r^ìgìone non mi presenteiebbe che aioli « oonforto. Medici,
chiniBgiii, speciali, parenti, aarétibero in citU, ed io, attor-
niate da'domestici, placidamente pagherei il iribotp alla nwr
lara.^. Ma V aTTenìre sta coperto d' nn velo impenetrabile.
Gltadini, nomini che amate di vireie, non vi fidate ai
medici; e se dovete chiedere consiglio ad alcnno, scegliete
uomo che si fidi pochissimo della sua arie, che abbia sto-
dialo il mestiere, e che sia d' indole moderatissima e placi-
dissima.
db' CHUUaGBI.
sSe nn osso mi va fuori di loogo, o mi si rompe, cer-
tamente io . non posso fare a meno di ricorrere ò ad nn
valente scultore, o ad un chirurgo, a meno che io non mi
accontenti di rimaner deforme o storpio dopo molti pericoli
e spasimi. Quindi è che della chirurgia abbiamo un reale
bisogno, laddove della medicina ne possiamo ragionevol-
mente far senza.
La chirurgia poi dividiamola in due parti, giacché sono
due mestieri realmente diversissimi che fa il chirurgo. Un
mestiere è dipendente dalla facoltà medica, ed è fallacissi-
mo ^ r altro mestiere è quello d'operatore, ed ha norma e
priucipj sicorì. Il chirurgo, per ciò che concerne i tumori, i
mali cutanei, gli empiastri, i pronostici e giudizj sull'origi-
ne, qualità e rimedj; per questa parte, dico io, è ciurmatore
al pari del medico.
Ho osservato venire a suppurazione quel tumore che il
chirurgo aveva predetto sciogliersi da sé, e sciogliersi l'altro
di cui aveva predetto V infallibile suppurazione.
Ho osservato incallirsi e inveterare quelle piaghe coi co-
atti ed altri empiastri, le quali coli' acqua tepida si risa-
navano.
Ho veduto uccidere V aminalato colla cnra d' una cuta-
nea eruzione. Questa è parte medica. Miglior consiglio è la-
sciar fare il suo corso fisico e naturale a simili infermità,
che d'ordinario s'inaspriscono e si prolungano coi pretesi
aiuti dell' arte.
j BICOIU BISlNTBBBSSàTI B SIMCBBI. 239
11 tamore comonemente svppara da sé, e si apre lo ^b-
I go, ovvero da sé si scompone; V acqua, i bagni, il vitto so-
brio, r ambiente opportuno, e la pazienza, som^ i migtioii
rimedj da adoperare; e se la malattia è sanabile, più presta-
mente partesi; e se non è sanabile, si muore con minori
tormenti: e l'arte, in simili malattìe, non credo già che possa
guarire quel male che sarebbe conducente alla morie, ab-
bandonato alla natura.
L'altro mestiere che fa 11^ chirurgo, cioè quello d'ope-
ratore colla mano, ha princìpj sicuri. Chi sa l'organizzazione
delle ossa, ed il meccanismo col quale sono congiunte, può
colla mano aiutata da' opportuni mezzi ricondurre l' osso al
suo luogo, e per la via più breve può accomodare al suo po-
sto nn osso spezzato, sicché coti' aiuto della nutrizione venga
nuovamente a* congiungersi: un valente statuario potrebbe
farlo quanto un chirurgo; ma quest'ultimo ha l'uso degli stro»
menti, ed uno studio particolare, onde più cautamente si ri-
corre a lai. Chi sa l' anatomia, come saper la deve un chi-
Turgo , può salvar la vita legando un' arteria squaìreiata da
una ferita; può estrarre innocuamente un corpo estraneo
intruso nel corpo umano; può restituire la vista, libefìindo
l'asse dell'occhio da un corpo opaco: qui non v'è dubbio
abnno, che Tarte del chirurgo non abbia pnncipj- sicuri, e
non sia di giovamento. Ma qual abuso non fanno' gli uomini
di tal mestiere? Abuso per ignoranza, abuso per la smania di
farsi nn nome, abuso persino per trovar lucro collo spasimo
alfTui. LMgnoranza del chirurgo porta con so la precipita-
zione dei suoi giudizi, e l'ostinazione irremovibile nelle cose
giodìcate. Chi è avvezzo a contemplar la natura, ad eserci-
tar la sua mente nella indagine della verità, è addestrato
dall'esperienza a saper dubitare, a non determinarsi troppo
preste sulle prime apparenze degli oggetti, ad esaminare le
cose per tutti i lati possibili, prima di scegliere un'opinione;
e scelta poi che l'abbia, sempre la tiene come una probabi-
lità, ma non mai come una cosa sicura. Ma un ignorante
chirurgo vede superficialmente un infermo, ràpidamente lo
esamina, decide che ha la pietra, lo induce a lasciarsi spac-
care, e poiché gli ha fatto un'enorme ferita, si trova che
240 UGCMWI DISUrrUIBSSATI B SIMGBil.
non Ti è pietra aknna: il fatto è accadalo, ed io conosco
rinfelice che ha sofferto^ vittima dell' ignorania del chinr-
go. Un chirurgo ignorante, al primo colpo d'occhio decide
che il feto si presenta male; gli fa an' evoloiione doloroàs-
simae l«nga, sin tanto che troya i piedi del hambino» e
per essi lo estrae morto colla sommità del capo forala dal
dito dell' ignorante chirurgo, che la giudicò il dorso. So d*im
chirurgo che s' ostinava a prendere un cordone spermatico
enfiato per una discesa, e tormentò barbaramente an infe-
lice, per farlo entrare dove non poteva. So d'un osso slo-
gato a una spalla, che malgrado l'atrocità degli sfoni d'w
chirurgo, non giunse mai a riporre a luogo. So d'an chi-
rurgo che amputò spietatamente alle radici un pene, che
forse poteva guarire, o essere sanato con minor perdila: e
^o che r ignoranza di colui giunse a segno di dimenticare ii
successivo bisogno di scaricare la vescica; per lo che coi>-
venne di far un taglio al perineo, e con una candeletta io^
trusavi ritrovare l'uretra da forare al sito ove eravi la piaga
del primo t9glio. Ecco i rischj della sempre rìselatissima
ignoranza di costoro, alla quale si sacrificano vittime amane.
Abuso si fa dell' arte per farsi un nome: un' o|)eraiioDe dif-
ficile, un giovane chirurgo la cerca, la desidera, la fa voloii-
tieri, anche su chi non ne abbia vero bisogno. Conosco oa
povero uomo che il chirurgo assolutamente voleva castrare»
e che guarì senza, perdere la sua virilità. So di una giovine»
alla quale il chirurgo voleva quasi per forza levare le glanr
dote alla gola, e atterrila seppe resistere, e guarì senza qae-
sto. So d' una partoriente, dalla qaale vele vasi estrarre a
brani il. feto; ed il cielo la salvò, essendo naturalmente
uscito nel momento crudele, in poi gli era imminente U
morte. So di un uomo di sommo merito, al quafe un ardito
chirurgo persuase di lasciarsi tagliare una fistola al perineo^
la quote appena gli dava incomodo; e dalla ferita vasta e
profonda, l'uomo di sommo merito mori pochi giorni dopo
per cangrena. Al collo dei chirurghi vorrei io che fosse ap-
pesa una medaglia, con queste parole: Posso squareitìt*
e non posso rimarginare. La cicatrice d' un taglio si fa non
dai cerotti, ma dal sangue; e se il sangue manchi di quella
RICQIEDI DISXNTBBBS8ATI B 8INCEBI. 2il
qualità, il taglio non si riparerà mai più, degenera in can-
grena, e si moore. Ma al chirorgo poco ciò preme, bastando-
gli Tapplaaso di aver fatta T operazione con franchezza, con
brevità e disinToitora, qaasi un ballerino da corda. La in-
sensibilità di costoro giunse a segno, che essendo nata di-.
spola fra due chirurghi , se un certo frate vecchio avesse
delle piaghe alla gamba perchè Y o^so fosse cariato, e soste-
nendosi all'opposto che l*osso era sano, e il male fosse ani-
camente negli qmorì ; i due professori si riscaldarono nella
dispota, e determinarono di tagliare la gamba per chiarirse-
ne. Io 80 questo fatto dal giovane di chinirgia, che operò
sotto la Idro direzione, e che rimase solo nella stanza assai
ìmbarazzdfto per frenar il sangue, perchè al momento che
ebbero la gamba, tolti gli altri con essa se ne partirono, af-
fine di visitarla. Se dopo ciò io diffido dei medici e del chi-
nirghi, sebbeee non rabbia provato sopra di me, credo di
aver buona ragione. Uomini dabbene, non siate facili a fidar^
▼i; risparmiate più che potete di mettere la vostra vita nelle
allrai mani; sopportate i mali dell'umanità, anziché esporvi
a soffrire di. più i mali della ciarlataneria ancora più funesti ;
e se dovete par ricorrere ad un chiitirgo, scegliete un uomo
nodesto, umano, studioso. Indi lasciatelo operare il meno
cbe potete.
In una nazione Illuminala, la morale è la princi-
T^ale catena che unisce uomo a uomo; e l'impostura è
seoQosciuta e screditata, a proporzione che si rischiara la
mente degli nomini : si vedono 1 medici prima abbandonare
la grossolana ciarlataneria, ed assumerne una più colta, al
che siamo giunti anche noi; poi sono costretti ad abbando-
nare anche questa, e conservare la sola jnerente al mestiere,
che è confortar omi parc^ l'ammalato, non mai palesare i
secreti delle famiglie^ rispettare la buona riputazione di
chiunque siasi affidato alla loro cura, diffidar dell'arte, ope-
rar poche volte, quando noi facendo siavi imminente perico-
lo, ed osservare fedelmente quel giuramento, che Ippocrate
^g«va da chlgnque volesse imparar V arte. Fintanto che la
nazione non gitmga a questa coltura, uomo onesto, che vuol
vivere e soffrir minori mali, tienti lontani medici e chirurghi.
Ji. SI
242 BICOUDI D1S1NTBRB86ATI B SIflCBRI.
DEGÙ AVVOCATI B GADSfma.
Per dipÌDgere al vivo e oon sinceri colori qaeata classe
41 aomini, o per meglio dire questa maadra che ò la feccia
la più corrotta deUa sodeià,
Chi mi darà la voce, e le parole ,
sì che possa prevenire gli aomini enesti a stare in goardiiT
Quello che io stesso ho veduto, quello che ho scoperto di
questa genia, è tale, che se volessi riferir tutto, sì crederebbe
il mio scritto una satira passionata, tanto la verità è poco
verosimile! Pure, indagando i gradi per i quali patfaraoDi
per giugnere a questa professione, chiaraoiente si ecoego
ohe non può rìq^cire diversamente da quello che rieice, o
che la insensibilità alla ragione, alla virtù, dehhotio «Mie
il rìsulteto della carriera legale quale eHa è presso di noie Ut
giovine, dopo d' aver bene o male imparato il latino, si de-
termina al fòro, passa in uno studio d'avvocalo o causidùoOi
ove incomincia a impratichirsi d'alcuni nomi d'autori; per
comodo del suo maestro, va a caccia delle amierità, le qoalt
corredano le allegazioni. Lo. studio è facchinesco e di pa-
zienza; non v' è principio veruno. In ogni caso, conviene li-
cercare r opinione degli autori, e non già il senso della ra-
gione umana. Autori per il 5i, autori per il no, ecco quello
che si presenta in ogni caso; e se talveUa qualche antece vi
stabilisce un prin^sipio chiaro, oon termina il trattato lebe
non ve lo imbrogli a segno, che, limitande, ampHande, àt
stinguendo, sottodistinguendo^ il risaltato è sempre, che tiMo
dipende dalle varie circostante dei singoli casi.
Primo principio, adunque, che si stampa neUe testa <W
giovine curiale alunno, è che non si danno pr^cipj eerti, ek
tutto è centrovectibile, che l' autorità deve eegukai e imi ii
ragione, e che in ogni caso si può scrivere JSku>, Inde.
Questo principio comincia ad ^imiiuHe l'use Mia ragione
e del sillogismo, da che ne deriva nessun senso di, giusle o ia-
giusto: per lo che osservate che la faccia d'un cnria&e, aaeltf
giovine, non si muta mai, né mai vi leggete rihrezio akenoai
I
I RlCOftDI DI91NTBHE8SATI E SINCERI. 243
raeconto d'una manifesta ìogìastizia, né vedete balenare
giammai quel fausto gaudio che al racconto d'una nobile -e
generosa azione si manifesta sulla faccia d'un uomo sensìbile.
Estinti, oppressi- dal peso della autorità ì germi della ragione,
resi problematici tutti gli oggetti, resi i nomi di virtù e di
giasttzia ottenebrati, eccoti Tuomo che si presenta a fare
r avvocato e il procuratore. Quest' uomo cosi modificato sa-
rebbe un apopletico, un imbecille, uno stupido, se nella sua
anima non rimanesse un principio di moto, il quale tutto per
necessità deve rivolgersi al maneggio, alla cabala, all'intrigo,
per moltiplicare il profitto proprio. Né dal correi^ questa tri*
stissima carriera lo allontaneranno i principj di religione,
poiché, quantunque abbiano i curiali sommo spavento del de-
monio e dell'inferno, pensano nondimeno che non esami-
nando mai i dogmi, e dicendo di crederli fermamente, ab-
biano fatto il più onde dal cielo aver la grazia di salvarsi;
al qaal fine aggiungono qualche stabile pratica di culto este-
riore, per procacciarsi un santo protettore nel quale confidare.
Tale ordinariamente é la loro religione , che lascia ad essi li*
bero il campo, quasi con tranquillità di coscienza, d'offuscare
ogni buon diritto, d'impedire che alcuno ottenga mai quel
che gli é dovuto, ne vada poi in rovina qualunque famiglia,
e ne nasca pur ciò che sa nascere. Ma la santa Messa ogtA
giorno, confessarsi con frequenza, mai pronunziare uno
scberzo amoroso, é tutto, secondo essi; il rimanente va bene.
Aleoni più giovani si sono alquanto dipartiti nell' apparenza
da questo originario sistema, e la coltura introdotta e sparsa
più generalmente gli ha obbligati ad indossare un più ele-
gante vestito di maniere meno rozze, a scrivere con minor
barbarie di quella che adoperavano i padri nostri; ma nel
fondo essenziale sono i medesimi, poiché la medicina, per
esempio, ha cambiato forma di studio, e dove prima era
una meccanica pratica di ricettare, ora é un ingegnoso am-
masso di opinioni e sistemi. I medici erano Aristotelici, ora
sono Cartesiani, ignoranti in un caso e nell'altro, e total-
mente ignoranti al di d' oggi ; ma i curiali studiano la stessa
dottrina, ed il cambiamento é soltanto nella vernice.
L'avvocato e il causidico dunque non hanno comune*
2H BICOilM mS^TWMSSSàXl B fDMZU.
nwnle idea e seotìnieiilo alcuna di vero e falso, di gioslo e
iagìiHfOy e eiedmio che il Tioceve, Apenieieau Ute, dipenda
dal HaiTOie e dall' iodustrìa. Posta questa base, essi dob lifio-
faoo mai na elienle, tosto che sia ia islalo di pagarli, ed al
diente sempre si mostrano incerti salla rìoacila dd soo af-
fare, per quanto possa essere erideale. Lo stadio l^ale è
noiosissimo, e la natura d ripugna; perciò il curiale ordina-
riamente poco e soperOcialmaite esamina le carte vostre. Il
curiale è per lo più istupidito ed affaticato, quindi ricorra
al Tostro patrocinatore. Se siete appassionato, vi sbadiglia in
faccia senza riguardo; parlategli ragione, parlategli senti-
mento, eccovi tante volte spalancata allo sbadiglio la bocca
dottorale, quante volte ìntuonale quelle corde. H cariale
uscirà con una scempiaggine per troncare il filo dd vostro
discorso patetico. Almeno il medico finge di aver premora
per voi; l'implacabile curiale con una faccia stupida vi lascia
chiaramente vedere, che se siete rovinato è Tultimodei suoi
fastidj. Regalatelo, vi ringrazia, e non si mota; adulatelo^
non ulte nulla; rìmproveraldo, si sdegna, e vi abbandona.
Sin qui bo esposto i vizj di quei curiali che non tradi-
scono il cliente. Ma qoal fondamento faremo noi della morale
d' uomo che ha incerte idee della giustizia, e che crede con
alcune esterne pratiche religiose di aver soddisfatto ai suoi
doveri?
I curiali sono coUeghi, amici, parenti fra di loro; sono
finalmente d'accordo, perchè reciprocamente s'aiutano a
spese dei spensierati che si. abbandonano nelle loro manL
Non è raro il caso, che concertino fra di loroi due causidici
avversar] la scena che debbono rappresentar nel giudizio.
Non é raro il caso che un causidico riceva doppia mercede,
avvisando r avversario dei disegni dJ suo cliente. Ho ve-
duto una famiglia ricca ed onorala involta in un rabbioso
litigio per l'arte del curiale che animò la donna di casa al
puntiglio. La lite era di nessuna utilità , ma di puro impegno.
In questa famiglia ricca ed onorata si facev.ano i congressi
con varj avvocati. Il causidico insligatore si era fatto un me-
rito presso ciascuno di questi avvocati, facendogli avere un
ricco e generoso cliente. Appena terminato il congresso, l'av-
ftXCORDI DISINTSBBSSATI E SINCERI. 245
versano era pontualmente avvisato di quante si stava per
fare. Lunghi affanni soffrirono gli onorati padroni, che con
boona fede e lealtà si erano lasciati sedurre. Spesero qualche
migliaia di zecchini, perdettero la lite, ed il procuratore
hene pagato acquistò la benevolenza degli avvocati. In altra
lite, in cui si trattava d'uh patrimonio, gli avvocati della
pupilla ricusarono, il giorno precedente alla sentenza, d'ac-
cettare la metà del patrimonio. offerto alla cliente.- La sen-
tenza le tolse il tutto. Il giorno medesimo gH avvocati av-
versari e gli avversar] causidici fecero insieme una partita
ad una villa, pranzarono allegramente, vuotarono del buon
Bourgogne, ed essendo portato un brindisi all'avvocato
della pupilla, dicendogli: — Alla vostra salate, giacché avete
perduta la causai !1 — Io perduta la causa? è la tale pu-
pilla, che rha perduta. — Cosi rispose; e fra gli evviva
passarono il convito e la giornata, vaticinando e augu-
randosi Tuno l'altro una larga ricompensa da' clienti che
avevano litigato. Se il giudice inclini a favore d'una par-
te, l'avvocato ed il causidico che se ne accorgono, e ai
quali preme assai più la benevolenza del giudice, col quale
hanno sempre a fare, che quella del cliente che eventual-
mente cade nelle loro mani, invece di promovere il buon
diritto del povero cliente che. si è abbandonato nelle braccia
loro, anzi lo atterriscono, lo avviliscono, cercano di dissua-
derlo dal promovere il suo diritto, e Io inducono a transigere
e a sacrificare il suo interesse. Se con tali arti giungono ad
acquistar favore presso de' giudici , e procacciarsi la benevo-
lenza dei domestici del giudice, del suo cancelliere, della
sua amica, o del direttore spirituale, il curiale ha fatto la sua
fortuna. I libri e le scritture poco più fe guarda un cariale
giunto alla celebrità : franchezza e parole suppliscono alle co-
gnizioni. Un tal curiale andava ad informare un giudice d'una
chiosa che egli stesso non sapeva, ed il timido cliente doveva
interrompere e contraddire al suo stesso patrocinatore che
sfigurava il fatto; pure l' informazione si doveva pagare,
bene o male fatta. Guai a <dii cade nelle mani d'uno di que-
sti celebri cariali! ei, dal momento in cui vi affidate a lai, si
considera padrone assoluto e dispotico delle cose vostre, e
2r
246 mCOEOl mSlNTBBBSSATI B SINCBBI.
senza consultare la vostra volontà promette , sottoscrive» im-
pegna. Povera gente innocente e scoBsigliata, che cadete nelle
mani di questa corrottissima feccia d' uomini» dei. quali un
paese starebbe più bene se non ne avesse, e contasse tanto
meno popolazione. L' imperatore Giuseppe II ha creduto di
rimediarvi con un buon libro, che è il regolamento giudizia-
rio. Vi vuol altro che un libro per rimediare all' immoralità
di costoro!
Uomo onesto, se mai la disgrazia ti riduce ad aver bi-
sogno d'un chirurgo, ovvero d'un legale, guardati bene di
non cercar mai soccorso dai professori più celebri. Coloro
hanno già formato il loro concetto; nulla preme ad essi l'esi-
to: prendono TuQmo come un automa, lo maneggiano come a
loro torna conto ; in essi non troverai che orgoglio e pigra
insensibilità: chiama in tuo soccorso un giovane che abbia in-
gegno, che abbia impegno di farsi un noiise, ma che non se
lo sia fatto; e soprattutto che pratichi poco,, ed il meno che
può, cogli altri di sua professione Se v'ò speranza d'essere as-
sistito bene, quest'ò l'unico Qne per ottenerlo; ma bada
bene di allontanarlo tosto che questo giovine comincia ad
aver credito.
DBGL' mOBGNBRl.
Io BOH tratto di quegli ingegneri che cogli studj felice-
mente eseguiti hanno imparata la geometria ed il calcolo; che
istrutti della solidità ed eleganza dell'architettura, delle leggi
dell'idraulica, dell'arte insomma, sono una parte colta deUa
città. Quando un uomo è passato per la traGla'd' una buona
educazione, o riesce un cittadino da bene, o almeno non é
«no sfrontato e indiscreto impostore, poiché prova il rossore
di comparirlo. Tratto di quegli ingegneri ignoranti, i quali
senza teoria alcuna essendo passati a far pratica sotto di un
ingegnere ignorante, maneggiando )o squadro, la tavola pre-
toriana ed un livello a liquori^ ^'arrogano il titob d'inge-
gneri, e sono quelli appunto i più aflaccendali, i più ricercati
l>er fare le stime dei fondi, per decidere sul prezzo dei con-
ftlCOBDI BISINTIIIKSSATI I SI?iCEEI. 2*1
tratti di essi, per fare le di visioni nelle famiglie. Guardati,
nomo onesto, da costoro: sono essi impostori ùiccendien che
Boo la cedono né ai medici, né ai cbirarglii, nò ai dottori, e
non solamente esercitano ona fallacissima facoltà, ma non
di rado la esercitano con mala fede, e propendendo da on
partito. Per convincersi della fallacia loro sulle stime, esami-
niamo rapidamente le stime delle terre e le stime delle case,
e vedremo quanto siano arbitrarj e ideali I loro principe.
La stima di un fondo di terra nasce come nna conseguenza
dell'attuale feconditi, sottraendone le spese per ottenerla. Se
vogliasi sapere la feconditi attuale d'un campo, questa è la
notizia d'un fatto. Sconsigliato è colui che domanda ad un
ingegnere quanto effettivamente produce un campo che Tin-
gegnere vede per la prima voUa. ILcolore della terra, l'aspetto
delle pianta e della vegetazione annua, possono indicare bensì
steriliti o feconditi, ma non mar il grado preciso da cui si
raccolga il vero e reale prodotto annuo. 11 contadino che col-
tiva il campo, il castaido che sopraintende ai poderi, essi
lo sanno; i libri d'una regolata amministrazione lo indicano.
Perché dunque ricorrere ad un ciarlatano per apprendere da
esso quello eh'ei medesimo non può sapere, se non interro-
gando il contadino? Perchè non lo interroghiamo noi mede-
simi? Infatti r ingegnere , per esercitare questa grossolana
arte magica, si pone a rimirare il campo col con ladino da
una parte, col castaido dall'altra, ed interrogandoli scrive
quello che da essi intende; indi, come dal tripode, pronuncia
l'oracolo sul valore del fondo. L'arte umana non può a priori
calcolare la fecondità d'una terra. Che se l'unica guida per
avere il vero attuale prodetto d' un fondo è il fatto , cioè
quanto grano, seta, vino, ec, se ne ricavi in una annata co-
mune, evidentemente se ne deduce^ che l'arte arcana del-
l'ingegnere si restrìnge a mendicare dal contadino quelle no-
tizie che ciascuno può dal medesimo ottenere. Un solo istante
di riflessione basta a far conoscere , che molto più astrolo-
gica e ciiarlalanesca sari la stima d' un ingegnere, se pre-
tende calcolare il prodotto possibile d'una terra, poiché sarà
sempre incerto il dato della spesa da farsi per un9 nuova col-
tivazione. Quindi la scienza di stimare i fondi di terra é
248 BICORDI DISINTBRBSfiATl B SINCBBI.
una solenne impostala; e per convincere ognuno, provisi a
far segoire la stima del fondo medesimo a doe ingegneri ,
senza cbe l'uno sappia dell'altro, e col fatto si vedrà che pro-
nonzieranno assai diversi risultati. Gfae se fallacissima è la
stima dei fondi , ancora più ridicola è la stima che fanno
gr ingegneri delle case. Consideri ognuno, che più case delia
stessa ampiezza e 'del disegno medesimo , poste in diversi
siti, hanno valor diverso più del doppio e del triplo. Suppon-
gasi una casa in un villaggio, l'altra nel centro di una città
popolosa, l'altra in un sobborgo della città; siano esattissi-
mamente simili: posto ciò, ognuno vede che quelle tre case
egualissime debbono avere una stima disugualissima. £ qoal
sarà la norma? L' opinione, il capriccio, il favore, e non di
rado la subornazione in favore d' uno dei contraente Io ho
conosciuto un ingegnere scelto di comune accordo fra chi do-
yeva comperare e chi doveva vendere una casa; il quale ve-
stitosi dell'importante persona di padrone, ascoltando gli
omaggi delle due partì, pesando il valore e l'ossequio, si de-
terminò a beneficare insignamente il venditore, e stimò la
casa più di quanto poco prima erasi venduto il più magni-
fico palazzo della città. Il modo poi di fare questa stima fu
di passeggiare per tutte le stanze, e dettare ad uno scrìvano
per ogni stanza, per esempio cosi: Sàia di 20 braccia di kuh
gheJiiia e di dieci di larghezza con soffiita a chiodi dorali ec, H
fino annuo lire 700; dllra slanza ec, lire 300; aUra, lire 280, e
cosi, assegnando un sopposto capriccioso fitto ad ogni stanza,
ascese a circa 12,000 lire di pigione; e quindi, calcolando al
moderato prezzo del 4 per cento, e dedotte le riparazioni ed
il tributo, emerseli valore della casa al doppio di quello che
pochi anni prima era stata pagata.
La stupidità di questo metodo è evidente, perchè tutti i
dati e tutti gli elementi sono aerei, quando veramente la casa
non trovasi appigionata. Questo ingegnere, che per fatalità fa
scelto a farAe la stima e la divisione in una famiglia, aveva
assunto un tuono dispotico e da padrone, e s' era dimenticalo
d' essére un estraneo che vive col suo mestiere mercenaria-
mente. Stimò i fondi esageratamente da una parte, li slimò
con più giusta misura dall' altra parte. Cosi intendeva, clic a
ftlCORDI DISINTBBSgSATI K SIffCBEI. 249
gara si doyesse dal contendenti impetrare la protezione soa,
per ay^ts nella propria porzione delle terre ehe avessero nn
prodotto vero, e non ideale. Una delle pArti finalmente lo
colse a proposito, mentre si era arbitrato di sostituire ad un
piano già accordato un altro, e giungere a sostenere che
non vi fosse mutazione ; e resa cosi manifesta la soa preva-
ricazione e mala fede, potè con giustizia ricusarlo. II fatto è
tale quale lo espongo. V ingegnere ebbe 450 zecchini in pa-
gamento di si beir opera. So che vi sono degli uomini di que-
sta professione che non operano cosi; ma so che più si opera
col maneggio e colla briga, che colla scienza, e che la massa
vive a spese dell'ignoranza e della pigrizia altrui, con una
impostura solenne.
Nella consegna e riconsegna dei fondi, per Io più i fit-
taiuoli guadagnano Y ingegnere, e dal trìpode si pronunzia la
sentenza di quanto gli si debba pagare dal proprietario; dico
dal trìpode, perchè gli ingegneri sì vantano di non dover mai
rendere ragione di quanto asserìscono, e quindi è che costoro
si considerano e sono dispotici padroni del paese, come di-
ceva il mio illustre amico Frisi.
Da questi brevi cenni che ho dati, i quali potrebbero
servire di abbozzo per un vasto libro, ogni onest'uomo
deve cavarne il suo profitto. Io ho raccontato fatti a me
noti: difiidiamo dei medici, dei chirurghi, dei legali, de-
gli ingegneri, ed insomma di tutti questi negozianti che
non hanno per capitale che ciarle , e vivono della debolezza
ed imbecillità del popolo. Se la ragione andrà facendo pro-
gressi nella nazione, dovranno costoro contenersi, e acco-
starsi, almeno in apparenza, alla probità, ma sinora hanno
bel gioco. Io non nego già che anche in queste classi vi
sia sparso qualche uomo dabbene: dico che la massa è cor-
rottissima; dico che è cosa di sommo pericolo V affidare la
vita, la roba, la convenienza a costoro; dico che bisogna sin-
golarmente star lontani da quelli che in queste classi para-
site hanno maggior celebrità, perchè, sicurì sul concetto
pubblico, a man salva sacrificano chiunque. Dico che sono
classi parasite, perchè vivono e campano senza contribuire
alla ricchezza o riproduzione, unicamente sottraendo o smun-
250 BiCOBDI BISINTBftKSSATI C SINCBBI.
gendo l' alimento dai credali o disgraziati che cadmia nelle
loro masi. Questo ho scrìtto per bene dei gatontoomini; ma
prevedo che pochi apriranno gli occhi, e saranno per profit-
tare della mia esperienza: alcimi, che avranno provato i mali
che rìferìsco, accorderanno che ho detio la verità senia
esageraizione.
RICORDI DI PIETRO VERRI
Alt VMA mVJk VIOI.IA.
[^77.]
0
RICORDI A MIA FIGLIA.
Un aomo può talvolta rideisi della opinione degli ooidìdì.
Io sono slato nel caso appunto* Non aveva certamente, me-
ritato il discredito, ma èra però. rinscito a taluno di farmi
passare per un novatore, cattiva cittadino, poco buon cri-
stiano, e compagnia pericolosa: io mi rivolsi alle lettere, ed
alle cognizioni locali della economia dello Stato^ stampai,
scrissi, ottenni qualche nome; ebbi un impiego i l'opinione
cambiòy e cambiò a segno che, fra le persone attualmente
in carica, nessuno ha generalmente una opinione cosi favo-
revole come la ho io. L*uomo, o per la carriera delle armi^ o
per r ecclesiastica, o per le scienze, o per 1^ cariche civili,
ha il mezzo di forzare le dicerie popolari a tacere, e va da
conquistatore sottomel tendo l'opinione. Ma la donna manca
di queste risorse. Debole, gracile, e timida per sua naiura,
non ha ])er mezzi che la dolcezza, la placida bontà, le virtù
del cuore. Questi sono i pregi che le procurano un marito,
che la aCTezionano, e che la conducono a quel grado di felicità
cui può aspirare.
Le virtù stesse sembrano divise in gran parte per ap-
pannaggio dei due sessi; un giovine robusto, ardito, in^w-
tuoso, piace ; una figlia, se tale fosse, dispiacerebbe. La virtù
sua è la modestia, il contegno: un po' di timides^za, la sensi-
bilità squisita, la compassione, qualche poco ancora d'imba-
razzo nella sua persona, formano il di lei pregio. Una donna
decisa, aspra e di franchezza, spiace, e sembra affumicala
dalle pipe d'un corposi guardia.
Dovete adunque con attenzione, mia cara figlia, procu-
rare sino dai primi anni di guadagnarvi la buona opinione; e
frattanto che voi siete ancora bambina, io vi anderò scri-
II. 22
21^1 RICORDI A MIA FIGLIA.
vendo quanto mi ftmbra ulile a voi di sapere e di meditare
per un (al fine.
La provvidenza del grand' Essere vi ha fatto nascere
da una famiglia nobile, e condecorala, e dotata di conve-
nienti facoltà: non avrete occasione di seniire i mali e l'av-
vilimento della povertà. Se però non dovete provarli per vo-
stra sorte, riflettete che molli altri simili nostri fratelli lì
soffrono. Voi siete bene alloggiata, e pasciuta, e vestila ; altre
figlie, che hanno una sensibilità uguale alla vostra, stanno in
un miserabile tugurio , (remano nelle notti d'inverno sulla
paglia, eotìroiìo \s fame, e a tutti questi màìr si aggiùnge la
vergogna della loro condizione. Siate attenta nel rispettare
l'umanità, badate che per disattenzione non mostriate mai
Irasenranza per gì' infelici. Somma bassezza é Tinsultarli col
fasto; la buona intlole vi suggerirà anzi di abbassarvi ad essi,
Irattarii con bontà, con cortesia^, e con maggior riflessione
che non fareste colte vòstre pari. Una vostra pari non resterà
offésa da una distrazione; una infelice, sempre occupata dei
mali propri, crederà che sia orgoglio e fasto in voi.
Chi. è mai ricco abbastanza, o chi Io fu mai per benefi-
care tutti i bisognosi? Nessuno, se intèndà^nsi beneficj i soli
donativi; làa se riflettiamo bene, il tesoro della beneficenza
d'un' anima buona é inesauribile. Un consiglio dato a tem-
po, uù paziente interessamento nelle miserie altrui, una pa-
rda detta a proposito, un rincoramento dato jprudentemenle
ad un abbattuto, è cento simili atti di animo veramente no-
bile e buono, sono veri e reali beneficj, che non Impoveri-
soono. chi li fa, e possono, o cavare dall' infelicità chi vi si
trova, ovvero rendergliela almeno più sopportabile. Con un
avviso dato saggiamente, impedirete che l'infelice non di-
venti àncora più miserabile ; coli* umana accoglienza lo ri-
manderete consolato, e almeno per qualche tempo gli cal-
merete il senso dei suoi mali, fra' quali un grandissimo si è
il timore del disprezzo. Un uflBcio fallo in buon tempo può
far rivolgere l'altrui beneficenza sopra di una famiglia. Ri-
cordatevi, cfara figlia, che le persone anche di merito distin-
to, quando sono infelici, cessano di essere amabili; non vi
ributti la malinconìa del loro volto ; non la noia dell' unifor-
RICORDI A UIÀ FIGLIA. 25o
mila dei loro discorsi. Uoa buona dama si fa un delizioso
piacere di rimandare sereno quel toUo che le si presenta ab-
battuto: date libero sfogo alla tristezza dell* infelice ; la to-
^ra bontà neir ascoltarlo, l'Interesisaryi cbe farete al suo
dolore, aoderanno gradatamente consolandolo; l'atmosfera
dell'anima baona infonde la pace in chi se le avvicina.
Seguendo i puri moviménti del vostro cuore benefico con
questa costante attenxione, voi avrete tante voci che vi be-
nediranno, quante persone povei^ ed afflitte si saranno pre-
sentate a voi ; e cominciando da questa classe di persone, la
buona opinione e fi buon nome piantano al basso radici pro-
fonde; la pianta s'erge, e ad onta dei venti ed ostacoli che
pia facilmente incontra fra «n livello più alto, francamente
li supera. Io ho sempre seguitato questo principio, e per sen-
timento e per riflessione. La classe ìnfima è la pia facile a
cattivarsi : essa valuta ogni atto di bontà che le venga fatte
dà una persona distinta. Io. ho fatto il mio sistema di comin-
ciare la mia riputazione dal popolò, salutando cortesemente
chiunque, essendo umano e popolare, e beneficando quanti
poteva, o con denaro, o con nfficj, o con maniere consolan-
ti. Ho procurato che nessuno, massime piccolo, partisse da
me se non contento; taluno ancora partiva entusiasta, e colle
lagrime di consolazione e di tenerezza sugli occhi. Questa
classe di persone ha costretto ì nobili, e i ministri medesimi,
a piegarsi, e od a tacere, od a dir bene di me. I poveri sono
invidiosi dì noi nati in un rango che, seòondo l'opinione loro,
è d'un' altra «fera: i nostri pari si che temono il nostro me-
rito. Perciò, se volete avere un buon nome, cominciate a
porre ogni vòstro studio per guadagnarvi la povera gente
e<^a popolarità, colla mansuetudine, colla dolcezza, colla
pazienza e coi beneficj.
' Non vi é in politica principio più sincera e più raffinato
di questo. Noi abbiamo bisogno della opinione pubblica; e il
mezza più sicuro, facile e costante per acquistarla, si è di cat-
tivarsi i voti dei popolani. Federico re di Prussia ha potuto
giungere al grado di glòria a cui è arrivato , ha potuto ab-
bassare tutti i grandi, ridurre i ministri ad esser meri stru-
menti dei suoi voleri , stabilire e creare una nuova potenza
256 RlCOftDI A MIA FIGUA.
in Eotopa ; ma odo dei mezzi prìneipalìssìmi è tUio ramor
della plebe^ Vestito sempre senza lasso, .abilaodo senza pom-
pa, rappresentando piv il soldato che il re, rìeeYendocon
ugnale attenzione le sappUclie del c«itadino e del prìncipe,
rispondendo di proprio pqgno ad on arf^[iano, se occonen;
vegliando perchè 1 pesi delle imposte non cadessero indisett-
lamente sulla pld)e, liberand(^ dalla senrilà dei nobili, egli
ba troYato nell' entusiasmo del suo popolo un fondo eapaee
di somministrargli i mezzi per resistere all' Impero, alla casa
d'Austria, alla Francia, alla Svezia, alla lloscovia coUegale
a di lui danno; e dopo una guerra di piA anni, concludere
la pace senza perdita di un solo palmo di terreno. I sovraai
accorti sempre si sono -gettati dal partito popolare: amaDi
colla plebe, cortesi, affettuosi, hanno trovato con ct^ i meiii
da regnare dispoticamente ; e cominciate da Giulio Cesare,
e vanite sino ili nostri tempi. Per lo contrario, la trascara-
tozza di questo ha sempre cagionato molti dispiaceri a ehi
ha creduto inutile il suffragio della plebe. La plebe, torno i
dirlo, è sensibile ai passi che facciamo per discendere «no
a lei, ce ne sa buon grado, e non dimentica né il nostro fa-
sto, né la nostra attenzione. Alcune dame, per mancanza
d'ingegno, appena si degnano d'abbassare il capo alla po-
vera gente che le saluta: queste sono ridicoli automi chenoa
rappresentano bene né la dama, nò la donna accorta. Li
cortesia è il segno dell'educazione nobile; la villania é pro-
pria di un' anima sciocca e vile. Tutte le dame e principesse
che hanno avuto buon nome di signore di merito, le ho co-
nosciute attentissime ad. usare cortesia con tutti, e singolar-
mente colla plebe.
Quando dico corlesia, umanità, bontà, affabililà^ non
dico dimestichezza ed abbiezione. Conviene, cara figlia, ài-
slingaere questi nomi, come viene distinta la virtù dal vizio-
Conviene colle persone della plebe adoperare tulla la dol-
cezza e pazienza; ma non vi abbandonate mai in presenza
di esse a far cosa che ecciti il riso a spese vostre ; non ischer-
zate o motteggiate con esse, per non ^r luogo a rispoale
indecenli. Se fate diiùenticare col vostro contegno la dislaou
che la fortuna ha posta fra esse e voi, cessa il motivo della
RICOBDI A MIA FIGLIA. 257
loro gralitudiDe ; non vi considerano più come discesa al loro
livello per bonlà e per virtù, e perdete i vantaggi della na-
scita senza compenso. Una signora nobile, col lasciarsi ve-
dere colla scopa a ripulire le stanze, si era avvilita a segno
da dovere soffrire alla fine gli insulti delle livree. Cento-paz-
zie innocenti fatte fra i vostri pari, sono vere sciocchezze se
siavi presente persona plebea. Conviene mostrarsi sempre
degna del posto nel quale siete nata; e come i bisogni fisici
non si soddisfanno che in disparte , cosi alcuni- abbandoni
dell' animo nostro non debbono avere per testimonio che i
nostri intimi amici.
La slessa massima che è da seguirsi colla plebe e coi
poveri, ragion vuole che la seguiate anche colle persone no-
bili e civili, ma timide ed avvilite. Alcuni sono decaduti a
questo grado per T oppressione domestica, altri per la pover-
tà, altri per mancanza di educazione : cercate di guadagnarvi
tutte queste persone colla vostra amorevolezza e cortesia.
Una dama negletta, generalmente sarà sensibilissima se non
la negligenterete voi; un cavaliere imbarazzato e timido vi
riguarderà come una divinità, se gli mostrerete di avere ri^
guardo per lui. Guardatevi dal motteggiare ; guardatevi dal
fasto ; siate cortese, civile, attenta singolarmente con queste
persone, ed avrete tante trombe che suoneranno le vostre
lodi, e costringeranno le vostre emule istesse a rispettarvi e
a dir bene di voi. Vi troverete men pentita se avrete man-
cato di attenzione alle vostre pari, o anche superiori, di quello
che sarete, se dimenticate i riguardi verso le persone plebee,
povere o abbattute ; perchè le prime non faranno gran caso
della dimenticanza, avendo esse un sentimento bastante di
quanto valgono, senza bisogno di testimonianze esterne che
loro lo ricordi ; ma le ultime provano una spina crudele nel
cuore ad ogni mancanza di riguardo; e la difierenza è come
toccare un membro sano, e toccare una piaga: il primo non
soffre X Taltra prova un dolore assai intenso.
L'opinione pubblica, come vi ho detto, sarà quella che
vi farà trovare un buon marito, che vi conserverà la di luì
stima, quella dei vostri parenti, dei vostri figli; T opinióne
obbligherà ciascuno a rispettarvi, cominciando dallo stesso
22*
2c{8 RICORDI A MIA FIGLIA*
sovrano» e venendo abbasso per ogni classe di persone. Qae-
sia sarà la sorgente della voslra felicità : e per acquistarla,
prima di tutto, abbiate, cara figlia, in mente adunque il som-
mo caso, e l'attenzione instancabile verso tutte le persone po-
ste ìtk condizione minore della vostra. Questo è il mezzo più
sicuro, ò runico onde riuscire a ciò. La rinomatissima si-
gnora contessa SimQnetti era precisamente cosi ; cosi era la
marcbesa Paola Litta, cosi la marchesa Calderari; e niente
è stato impossibile a queste tre dante quando si sono poste
un desiderio nel cuore.
Per ottenere l'opinione pubblica, abbiate sonmia atten-
zione nell' astenervi da ogni satira o disapprovazione. Io ho
dovuto più volte pentirmi di avere dimenticato questo prin-
cipio, e non ho mai cavato buon frutto dal discorso che of-
fendesse altrui. Un principio di virtù era forse quello che mi
spingeva spesso a smascherare gli uomini generalmeate cat-
tivi, e rappresentarli quali essi sono: mi pareva che in tal
guisa gli omaggi che rendeva colla lode agli uomini virtuosi
acquistassero pregio ; perchè chi loda tutto, e non parla mai
con disapprovazione, niente prova colle sue lodi. Per lo con-
trario, chi nei suoi discorsi è imparzialmente disposto a lo-
dare 0 biasimare, secondo giudica vero, quando encomia dà
un suffragio più significante. Anche di più mi pareva che
non possa essere, un' azione nobile e virtuosa il permettere
che sia confuso mai il buono col tristo, e che il disprezzo
ed il discredito generalmente dato al cattivo sarebbero un
efficacissimo mezzo per portare gli uomini al bene , laddove
la tolleranza pubblica lascia correre lauti nella strada del vi-
%ìo. Infatti, qualora un uomo cattivo, anche ricco, anche sia
in carica, gallonato, dorato, accompagnato da numerose li-
vree, vedesse chi incontra, sdegnare di salutarlo, evitarlo e
considerar la traspirazione del suo corpo come contagiosa,
questo solo basterebbe, se non a far ravvedere l'uomo cor-
rotto, certamente a farlo servire di esempio, cosicché i gio-
vani sì allontanino dalla carriera del male. Per lo contrario,
se l'uomo virtuoso, anche in povera fortuna e senza pompa,
si vedesse accolto con segni di stima e cortesia, generalmente
allora la società da sé medesima, indipendentemente dalle
BXCOttDl A MIA FIGLIA. 2ó9
leggi civili e dal governo, si rimoaterebbe; e la verità, la vir-
tù, il merito, rieevereU»ero tutti il possibile fomento per pro-
pagarsi. Cosi adunque l'uomo opererebbe virtuosamente col
detestare nei suoi discorsi le azioni ingiuste, col notificare le
bricconerie cbe vengono commesse singolarmente dalle per-
sone potenti e pregiate. Io bo fatto cosi più volte , e singo-
larmente parlando de' ministri venali ed ràsensibili all'onore
e alla verità; ma non bo mai ottenuto nulla di bene, perchè
gli uomini sono troppo corrotti, e manca generalmente quel
vigor d'animo che spinge alla detestazione del vizio. I nostri
cittadini avviliti tremano, e guardano come una stravaganza
e un delirio ogni impeto di vera e maschia virtù. Mi sono
fatto inimici i ministri : nessuno ha risparmiata un'adulazione
0 un ossequio ad alcuno di essi; e bisogna che anche al di
d'oggi io stia iti guardia sopra la mia lingua, perchè, sentendo
io con energia le cose, la natura mi porterebbe sempre a chìa-^
mare chai un chat, et Rollet un fripon; e questo non fa mai
bene. Anzi bo trovato, infatti, cbe non mai ho vissuto bene,
né mai hoavata consolazione di sorta alcuna, se non quando,
soffocando ogni principio d'amarezza e di sdegno, ho potuto
placidamente rìsguardare i virtuosi come rispettabili, e i vi-
ziosi come ammalati di una malattia di mente, senza insultarli.
Credo anzi che questo modo sia più ragionevole e degno di un
fitosofo; perchè, essendo per me una verità dimostrata, che è
nostro principale interesse di essere buoni e virtuosi, e che il
vizio, la bassezza e la falsità^ non producono che pochi beni
momentanei ed apparenti, e mali essenziaiissimi e durevoli ;
secondo me, cbi non ha veduta questa verità, e si lascia se-
durre dal vizio, 0 è un imbecille, o uno stordito che pensa
male ai proprj interessi, che si rovina da sé medesimo, e
che merita compassione, a preferenza dello sdegno e dell' in-
sulto.
Io bo voluto, cara figlia, mettere in chiaro questo pria*
cipio, perchè, siccome in me è stato il vizio il più forte che
si è attraversato alla mia felicità, forse potreste avere un
animo somigliante al padre; e di buon' ora vi voglio avvisa-
vo, acciocché tacciate buon uso della mia sperienza, e schi-
viate i mìei errori. In una donna poi singolarmente è da
260 «CORDI A MIA FIGLIA.
sfoggire Ogni tratto di lingaa mordace, perchè il pregio prin-
cipale deHa donna è la dolcezza e la modestia: laddove l'ar-
dire è il pregio dell' nomo. Vedete la Venere de'Medici, l'Er-
cole Farnese ; e dall'espressione dei loro muscoli capirete cosa
sia il bello nell' nomo, e quanto sia diverso dal bello nella
donna. Per avere adunque l'opinione pubblica favorevole, ò
necessario che abbiate somma attenzione alla vostra lingua,
e non mai lasciarvi sfuggire di bocca una parola che possa
mostrare disprezzo dì alcuno. Questo non solamente deve in-
tendersi di astenersi dal biasimo delle azioni o carattere degli
altri, ma anche dal disapprovare la figura, il vestito e i ridicoli
degli uomini, e sopra tutto delle donne. Ho osservato che le
donne veramente accorte e di spìrito, le quali hanno passata
felicemente la vita, furono quelle che non solamente non con-
tribuirono mai alla mormorazione, anche nelle piccole cose,
ma che anzi decisamente prendevano la difesa delhi persona
accusata o derisa, e cercando il pretesto di scusarla, o sol
fatto 0 suir intenzione, facevano Tapologia dell'assente. Que-
sta però è da farsi con modestia, e in .modo da non insultare
l'accusatore, a meno che egli stesso non avesse il primo man-
calo impodentemenle al rispetto che si deve ad una signora:
nel qual caso, o un silenzio accompagnato da serietà, o una
mutazione di discorso destramente introdotta, ovvero al caso
estremo una decisa e placida dichiarazione dì non amare
tali discorsi, fanno rientrare nel loro dovere chiunque, allor-
ché la signora, che ciò fa, goda della pubblica opinione. Vi
raccomando adunque, mia cara figlia, di badar bene che la
vostra lingua non pronunzi mai cosa che mostri disistima o
disprezzo ; che ella sia dolce e mansueta protettrice delie
persone che si vorrebbero o screditare o rendere ridicole;
e in tal modo mostrerete un carattere eccellente, sarete ri-
spettata ed adorata da tutti , vi guadagnerete la confidenza
di ognuno, e vi rinfrancherete nella opinione in modo che
vi troverete a mille doppj ricompensata dello studio che vi
avrete posto.
Un altro difetto potrebbe diminuirvi la buona opinione,
e l'amorevolezza pubblica, acquistata che l'aveste, od impe-
dìrvene anticipatamente l'acquisto; e questo è la troppa vo«
RICORDI A MIA FICLIA 261
glia di essere stimata, o, per dirlo meglio, la voglia inconside-
rata della stima pubblica; giacctiènon è mai troppo in noi
11 desiderio della stima, essendo questo il principio della vir-
tà. Alcune donne incantémente amano di sfoderare quello
che sanno, e carpiscono tutte le occasioni di un confronto
vantaggioso. Se trovansi con altre persone che non sappiano
il francese o a tedesco, si pongono a dirigere un discorso col
forestiere, o credono di brillare parlando francamente e ad
alta voce la lingua ignorala dalle pèrsone asiariti, o se non
ignorata, almeno non posseduta maestrevolmente. Le persone
astanti, singolarmente le donne, s'annoiano, cioè restano
mortificate ed avvilite, ricevono nel cuore dell' amarezza,
dell'invidia, dell'odio contro la donna che le ha poste in
quella situazione umiliante: per una vanità si fanno dell^
inimicizie, sorde bensì, ma^urevoli; si eccita dell'antipatìa;
ciaseona, presa da sé e Isolata, è una debole nemica; molti-
plicate, sono tante deboli fila per sé, ma che riunite* vi ?itter-
raho. Lo stesso dicasi del parlare di cose superiori al livello
delle persone astanti ; lo stesso dicasi finalmente del voler
parlare molto, e decidere. La donna di vero spirito tiene le
sue cognizioni per sé; modestamente ne fa uso quando l'oc-
casione lo vuole: cerca piuttosto di parlare sobriamente ma
sensato, che molto ed eloquente ; considera che non si può
essere benvoluta se non si ha attenzione a rispettare l'amor
proprio altrui, e finalmente conosce questa grandissima veri-
tà:— Nessuno parte contento da noi, s'^H non è contento di
sé medesimo;—- verità che, ben conosciuta, é il eardine della
più fina e sublime politica della società. Se una donna posta
in an circolo pretenderà di occupare Tattenzìone universale,
e col suo discorso dispoticamente vorrà impedire che cfa-
scuna faccia la sua figura, degradandole all'essere di ascol-
tatTici, quella donna sarà poi detestata e fuggita, ovvero po-
sta in ridicolo, perchè l'amor proprio di ciascuna è interessato
ad umiliarla.
Per lo contrario, una donna di spirito, invece di erigersi
in dittatrice, si occupa a lasciare il campo libero ad ognun(^
per parlare, e brillare, se puè^ella eccita il di^orso se lan-
guisce la materia ; ella mostra di stare attenta a quel di buono .
202 RtCOjaDl A BUA FlGl.U.
che ijiluno dìce^ e lo rileva ; ella è, coBOte diceva Soerale é\
sé medesimo , la levatrice dello spirito allrai; lo fa sbuccia^
re, Io rìpolìsce s^ occorre., lo mette in vista, ed è pipUiolo
rorgaoista che sa toceare opportanamente il tasto, che la
canna strillatite dell* organo. Da questa donoa og^ano parie
«contento di. so medesimo, perché gli è stato dato luogo di
esporre le proprie idee, che sono state vaiatale ed ascoUaO;
ha oonoscivlo che è stimato; e partendo contento di sé ine<
desimo, trova adorabile la persona che gli ha somministrato
il modo di passar cosi bene il suo tempo. Se avrete questo
principio, potrete essere circondata dalla più scelta campa-
gnia del paese ; e se avrete la .casa vostra aperta, ricordatevi
che dovrete parlare unicamente abbastanza per DMttefe gli
altri in lena di parlare ; e voi coli* attenzione a quanto si
dice 9^ e col rilevare i tratti meritevoli, o p^l cuore, o-per Jo
spirito, passerete per donna di vero spirito e colta, più di
qaeHo che fareste con dissertazioni o parole pedantesdie» Io
quali ricadrebbero in ridicolo, e in abbandono isolante. La
vostra piccola hbreria e il vostro studio debbono essere un
mistero; e se in piccola società vi accadrà di parlarne, fatelo
sempre con modestia, senza pretensione, e sarete adorala.
Bisogna anche astenervi da una eerta allegria dì schia-
mazzo e di baccanale, che ho veduta pregiudicare moltissimo
ad altre donne. Questa esclude la modestia, la. dolcezza, e
quella timidità muliebre.che fanno il pregioj il fiore e l'esca
più potente per incantare gli uomini. Una figlia che porla
con sé una festosa allegria, che riempie collo scoppiar dalle
risa la ^anza, che oQcupa di sé tutti gli spettatori, non èli-
luminata nei suoi proprj interessi, per più motivi. Gliuomim
temono che una moglie, diventi la tiranna e la padrona di-
spotica ; conseguentemente, vedendola troppo franca e decisa,
si allontanano e restano prevenuti a non pensare a lei. Sqbo
d'altronde più i timidi ed abbattuti d'anima, che gli allegri
e felici; e la gioia baccante insulta i primi, li mortifica «I
confronto, e gli Indispone. Io bramo, cara figlia, che, siale
felice, e vi penserò, e mi occuperò di rendervi tale ; e quello
che mancherà al vostro benessere non sarà mai colpa del
mio cuore: ma desidero che la vostra felicilà la leoghiale
RICORDI A MIA PIGLIA. 263
phittosto per TOi slessa, per la conversaiJone inltma óè\h
persoffe in ptecol numero che ri amano, ma Aon la poniate
mai in pompa quando 'siete in compagnia ; perchè ogni oon*
fronto omiliante per gli altri gli indisporrà contro di voi ; e
da qui nascono quelle che si chiamano antipalié, cioè dispia-
cere di eonyivere con attrai, e dispiacere del hene che loro
•capita. Esise non sono, a ben esaminarle, cfaie un elfetfo del-
l'amor proprio altrai incautamente avvilito ed offeso. Regola
generale : non si ama mai chi ci fa scomparire; si ama chi
ci persuade che noi abbiamo del merito : e una donna desti-
nata a vivere nella società, non sarà mai felice se non è ben
voluta. Btcordatevi che una debole inimica è un filo di seta
cr di refe che da sé poco danno vi può fare ; ma a quel de-
bole filo unitene un secondo, poi un terzo, e cosi avanti, si
forma una matassa che ha una forza da atterrare un Ercole.
Temete, cara figlia, di farvi mal volere, cercate ansi di farvi
perdonare i vantaggi che avrete e per lo spirito, ie per le co-
l^nizioni, e per la nascita, e per i comodi della vita: non
'vantate mai né ponete in pompa questi vantaggi ; ponetevi
cortesemente al Hvello di ognuno ; non vi arrogate giammai
il primato neU' offendere l'amor proprio altrui, né con pa-
role né eon fatti, e sarete adorata e felice, perchè general-
mente vi si saprà buon grado della modersaione che userete;
e quante meno cercherete voi a farvi valere, interesserete
'gli altri tante più ad innalzarvi. Anzi, come non manche-
ranno giammai delle donne leggiere ed incaute, che poste ih
'fortuna, col lor fasto e colla loro indiscreziooe offendano
mimor proprio altrui , sarete da tutta questa classe numero-
sissima di persone ofiésé ed umiliate posta In allo e portata
come io stendardo per fare arrossire e mortificare chi le ha
offese. Noa sarete mai troppo civile, troppo cortese, troppo
modesta, 0 troppo attenta al benessere altrui: un uomo po-
trebbe essere effeminato coir eccesso di questi delicati ri-
guardi ; una donna sarà nello stato dì sud perfezione.
Quando entrate in una conversazione, siate attenta, e
ponete prima di tutto il vostro animo in tranquillità. La mag-
gior parte delle dame nostre hanno ricevuto una si meschina
educazione, che il loro animo è in uh disordine sommo quando
264 EICOM» A MIA FI&LU.
entrano in ona nMÌB conversazione e grata eoinpagnia. Prire
di principi, ed incerte sol bene e sol male, non avendo altra
nonna che l'esempio, esse^ entrano nella sala come se yenis-
sero in mezzo a giudici nemici : temono la critica sul ve-
stito,, sol portamento, e so tutte le loro azioni. Alcune sepa-
rano questo doloroso momento con un impeto passaggero, e
scorrendo rapidamente la sala, vanno a salutare la padrooa
di c^sa, indi le altre, e il più presto che loro è possibile vanno
a sedersi nel circolo per togliersi al temuto spettacolo. Altre
più storditamente entrano, e vedono pochi degli oggetti degni
d'osservazione in quello stato d'orgasmo, sinché vanno a collo-
carsi anch' elleno il più presto che sia possibile neir asilo di
una sedia. Comunemente, o entrano in una maniera pazza,
ovvero con un ridicolo imbarazzo, e negligeptarido di salu-
tare i cavalieri che si sono alzati, insegnano a questi un'al-
tra volta a non iscomporsi per la dania, e viene quindi an-
nientato quel rispetto al sesso, che costituisce il pregio di
ona ripulita società. Voi, figlia mia, al limitare della porla
riflettete che valete per. lo meno qxianto ciascuna di quelle
signore che tro^veretè colà; e se anche taluna valesse di più,
non per questo siete voi dispregevole : date un' occhiata
tranquillamente all'adunanza, avanzatevi con passo naturale
e moderato, senza corsa e senza gravità, fate le riverenze a
ciascuna donna secondo l'usanza. Il meglio è non pronnniiare
alcun complimento: il solo inchino spiega abbastanza; ogni
frase ripetuta a ciascuna diventa una litania: variarla è diffici-
le. Da noi domandano alcune come si stia di aalote ; partono
prima di averne la risposta: qnesti sono complimenti da ospe-
dale; neir assemblea si soppongono tutti sani. Altri incauta-
mente domanderanno a chi é a letto se stia bene, e simili
scioccherie nate dalla cattiva usanza di volere pronunziare
un complimento. Altre ripetono un r- »erva sua, — altre uno—
schiavo* — Io mi diverto qualche volta di questo spettacolo, e di
rimirare le donne in questa febbre cagionata dal non avere
principi, ® ^^ n<>n riporre alcun sentimento nella abitadine
di conversare. Le compagnie si dovrebbero radunare per paa^
sarvi bene e felicemente le ore ; dovrebbe essere esclusa la
maligna diilìdenza ; una gioia tranquilla dovrebbe regnarvi»
EICORDI A MIA FIGLIA. 265
ed animarle la vicendevole cura di esser piacevole. Invece,
ciascuna è alla torUra, teme col silenzio di passare per in-
sipida, teme di far ridere col discorso, ora tiranneggia la
compagnia con un discorso prolisso ed insignificante, ora
la lascia torpire; si fìnge una forzata allegria che non parte
dal cuore, perchè si crede che sia del hon ton di aver pia-
cere nella società ; ^ si ritorna a casa colla stanchezza e colla
noia neir animo. Questo è il vero ritratto delle conversazioni
del giorno in cui vi scrivo. Forse migliorerà il senso della
società quando vi entrerete voi; ma difficilmente lo credo.
Sicuramente ve ne ànnoierete, ma, con piacere o con noia,
bisogna passare j»er questa vita, e conformarsi a queste usan-
ze. Entrate col vostro aniaio in calma, tranquillamente salu-
tale coir inchino, senza proferir parola, ciascuna dama. Qual-
che amica può essere T eccezione della regola ; parlatele ed
abbracciatela. Ricordatevi, se vi sono uomini in piedi, di rir
volgervi e salutarli, e non lasciarli cosi lungo tempo, mentre
voi siete a parlare con qualche amica. Poi, collocata al vo-
stro posto, abbiate timore di parlar troppo, non mai poco.
Yi raccomando, posta che sarete a sedere, al presentarsi
che faranno a voi i nuovi venuti, dame e cavalieri, alzatevi.
Questa usanza regna da noi su poche, ma è una villania il
non alzarvi, quando una persona civile vi salutar è un ob-
bligo il farlo; e se le altre non lo fanno, mancano allorodo-
vere; e appunto questa mancanza di civiltà è quella che
autorizza poi gli altri, e singolarmente gli uomini, a dispen-
sarsi dal rispetto che esigono le dame. Un uomo ha una spa-
da, e con quella può far rientrare nel suo dovere chi gfi
manca di riguardo: un uomo può avere anche altre ragioni
dì mortificare chi lo ha ofieso. Una donna deve prevenire
ogni insulto, ogni ofiesa; e la civiltà, T educazione, sono i più
possenti mezzi per tenere chiunque in dovere. Le cerimonie,
diceva un uomo di spirito , sono un' invenzione dei saggi per
tenersi lontani gl'insensati. Una donna deve condursi in
modo di non ricevere mai un affronto ; perchè, ricevuto che
rabbia, è irreparabile, ed ella non torna più esattamente a
quel grado di stima pubblica che godeva prima di riceverlo.
Una dama è una divinità che si regge colla mera opinione:
II. 23
266 RlCOUDl A MIA FIGLIA.
un esempio di un disprezzo che le sfa fatto, sfiora quel non
so che di sacro che la attornia. Se sarete cortese, nobile, at-
tenta, civile con tutti, vi rispondo io che, a meno di tro-
vare tìn ubbriaco o un furioso , nessun uomo oserà pronun-
ziare contro di voi una parola nemmeno dubbia sul conto
del rispetto che meritate ; peggio poi, non oserà mai alcuno
di farvi cosa che vi offenda. Per quanto siano gli nomini
mancanti di educazione, una dama civile, colta, affabile,
senza dimestichezza e senza abbiezione, savia, costamata,
senza ipocrisia, accorta e svelta senza far la civetta, una tal
donna, io dico, sempre ne impone e inspira riverenza; e
tenete pur certo, che noi altri uomini non ci prendiamo mai
la libertà di essere indecenti con .voi donne, se non quando
voi stesse c'invitate ad esserlo.
Niente è più facile ad una giovine, per poco ch'ella sia
d'una figura passabile, di occupare di sé molti uomini gio-
vani che incontra nella conversazione. Basta eh' ella colle
occhiate, col modo di presentarsi libero e sventato, con un
tono di voce alto e di schiamazzo, annunzi la speranza di
accordare facilmente dei piaceri , fossero anche soli quelli di
parlar seco di galanterie apertamente; i giovani, or per sot-
trarsi alla noia, o per curiosità, o per lusinga di ottenere il
loi^ intento, correranno a farle corona. Si rìderà in quel
crocchio, si toccheranno e baceranno le belle mani, si farà
fors' anche qualche gesto più ardito ; e la giovine, se è uoa
stolida, tornerà a casa consolatissima d'aver brillato, d'avere
conquistato essa Sola tutti i cuorì: frattanto, partita l'insen-
sata, i libertini ricapitolano tutta la passata conversalioDe;
gli uni la derìdono, gli altri pensano a rinnovare l'attacco,
colla speranza di avere un' avventura con lei ; si sparge la
voce della facilità trovata, nasce il discredito ; nesson uomo,
nessun giovine capace di sentimento si accosterà a quella ci-
vetta; non troverà chi la sposi, se è nubile; chi la stimi, se è
marìt^a ; cadrà nel vituperio, e non avrà giammai un cuore
capace di amare, che si degni di avvicinarsi a lei. Noi uomini
vogliamo possedere un cuore di cui l'acquisto lusinghi il no-
stro amor proprio. Se una stoflà sta esposta per insegna dal
mercante, non si compra quella per farsi un vestito; il mer-
BICORDI A MIA FlGLli. 267
canta accorlo ve la estrae da un ripostiglio serrato a chiave,
ve la presenta come cosa che difficilmente altrove trovereste.
Una facile conqaista ci fa nascere il caprìccio di tentarla una
volta ; ma il nostro cuore non vi ha parte alcuna: il tedio, la
noia, il disprezzo, sono i sentimenti che lasciano neir animo
deir uomo le donne facili. Sarete allevata, cara figlia, in
modo che sarebbe superfluo che io mi stendessi di più a pro-
varvi il cattivo negozio che fa una donna coir accostarsi, an-
che per poco, anche coir apparenza, alla scostumatezza ed
al libertinaggio. Vi dirò soltanto su di questo proposito, che,
in tutte le osservazioni che ho fatte, ho trovato costantemen-
te, che le donne costumate e caste hanno gustata una serie
di beni , quanto era possibile nelle loro circostanze ; e che le
facili e spensierate, per pochi piaceri divorati furtivamente,
hanno sofferti mali gravissimi. Tre dame ho conosciuta sul
fiore dei loro anni, morte fra gli spasimi di una malattia,
guadagnata coli' inconsiderata facilità, e non medicata per
lusinga, difficoltà e rossore. Una quarta da me conosciuta,
dopo estremi dolori offerti per mesi a cagione della stessa
malattia, per disperazione si è gettata da una finestra, e due
ore dopo spirò. Il fiore della bellezza in molte altre é svani-
to ; esse sono invecchiate negli anni più verdi per la stessa
causa. A questi mali dei quali io sono testimonio, e vi nomi-
nerei le persone se la virtù lo consentisse, aggiungete la in-
quietudine perpetua che dal marito o dai parenti venga a
scoprirsi il proprio disonore, il rimorso di mirarsi accanto
un marito, e saper di tradirlo nel tempo che lo accarezzate;
la necessità di dover lasciar conoscere la propria debolezza
a qualche domestico almeno; la ingiustizia di introdurre nella
famiglia degli estranei a depauperare i legittimi eredi ; la ver-
gogna di esser presto o tardi abbandonata, o trattata con in-
differenza, da queir oggetto che un tempo vi portò a mancare
ai più cari, ai più dolci, ai più sacri doveri verso voi stessa
e verso 1q sposo ; il perìcolo di esser voi stessa reggette del
disprezzo o delle millanterie di un amante: ponete tutta que-
sta serie di cose da una parte, insieme a qualche momento
avidamente rubato e consacrato alla voluttà ; ponete dall' al-
tra, la pace interna di un'anima buona e nobile, che non ha
268 BICORDI A MIA FIGLIA.
rossore di sé stessa, che adempie ai doveri di Gglia, di ma-
dre, di sposa, che onora in ogni sua azione sé medesima, che
gode della sanità, della freschezza dei saoi anni , della stima
pubblica, e ne' casti abbracciamenti dello sposo trova una più
para e placida voluttà protetta da tutte le leggi, a cui suc-
cedono i figli, tenero pegno di una lecita unione: esaminate
questi due quadri ^ e la scelta della donna di spirito, attenta
ai suoi proprj interessi, ò facile. La virtù ci reca i beni, il vi-
zio ì mali : questa è la più vera e costante massima anche in
politica. Ed io ho veduto molti uomini, anche di qualche spi-
rito, pregiudicarsi, e cadere, unicamente perchè non si fida-
rono abbastanza della virtù, e per un momento di contra-
rietà e di fallace speranza si rivolsero al vizio. E dunque
massimo interesse per la vostra felicità di tenervi in un con-
tegno che allontani da voi il vizio, ed ogni apparenza di vi-
zio. La conquista di una donna sventata può animare il tem-
peramento di alcuno in di lei vantaggio; la costumatezza, il
saggio contegno di una donna accorta e giudiziosa, impri-
mono rispetto , e interessano la moltitudine in suo vantaggio:
la virtù piace a quei medesimi che cercano di scostarla da
una donna, il vìzio è disprezzato da quegli stessi che per se-
durre ne fanno l'apologia.
Ma questa bontà di cuore, questa virtuosa fermezza nei
buoni principj, non la ostenterete, cara figlia: la vera virtù
è dolce, compassionevole, tollerante. Quelle donne che in-
nalzano lo stendardo della virtù, e sembrano portare la dì-
sapprovazione sulla fronte, quelle che si allarmano e si rag-
grinzano ad ogni motto equivoco, quelle che, sempre in
guardia a censurare le facezie anche più innocenti, portano
la pretensione dì riformare la società, sono per la vera virtù
quello che sono i parola], i pedagoghi, per le belle lettere. Se
in qua compagnia il tono fosse veramente indecente e disso-
luto, non bisogna che una dama vi si trovi; e se per disav-
ventura una volta vi capita, la donna accorta vi sarà capitata
per l'ultima volta. In questo caso però, essa non vi si mostrerà
corrucciata, non spirerà lo scandalo; avvedutamente procu-
rerà d'introdurre qualche discorso che distragga ad oggelli
piacevoli ed indifferenti: s'ella non può, si rifugierà nel si-
RICOBDI A MIA FIGLIA. 209
lenzio, e senza (rislezza e senza approvazione, ma placida-
mente, se ne ritirerà il piA presto possibile. I discorsi inde-
centi e le azioni tndetenti sono una mancanza di rispetto
verso la donna che é presente; e siccome ho accennato ohe
Taomo ripara, se vuole, i torti che riceve, e la donna noi può,
cosi l'espediente che la prudenza insegna ad ona donna, è di
mostrare di accorgersi che le sì manchi di rispetto. Il partito
che vi consiglio, cara figlia, è di mostrarvi distratta ogni
volta che vi si tiene un discorso equivoco, d'interromperlo,
se continua, con introdurre un discorso che tolga queir idea;
se poi, lo che sarà difficile, si persistesse ad indirizzarvi un
. discorso indecente, senza collera, ma pacatamente direte:
—Signore, questo discorso non lo amo.— La tranquillità d'una
donna impone, e sconcerta un dissoluto, laddove la collera
di essa dà luogo a porla in ridicolo. I gesti ancora, e i toc*
camenti di mano o di braccio, che taluni usano con una li*
berta da gente veramente poco educata, naturalmente non
sì faranno a voi , perchè il nobile e civile contegno che avrete
non permetterà di osarlo ; pure, se taluno lo ardisse, guarda-
tevi dal mostrarne mai collera, o da farvi conoscere offesa,
e scansate destramente l'attacco senza fare una risposta
diretta, ovvero con pace e freddezza dite: — Signore, questo
modo dì conversare non mi piace. —
Nella società bisogna anche guardarsi dal gesticolare
molto. Le persone che hanno molta immaginazione natural-
mente sono spinte a parlare ad alta voce, ad accompagnare
coi gesti ogni parola; sentono con molta energia, e vorreb-
bero sfogarsi, e comunicare' quello che sentono con ogni
aioto di mani, di occhi e di voce. Ti è però un so che di
scurrile in questo modo di esprimersi ; ed a noi Milanesi, che
per nostra disavventura siamo troppo languidi ed incerti nei
nostri sentimenti, di Acìlmente si perdonerebbe siffatto modo
di annunziarsi ; oltre di che, egli é impossibile di esser sem-
pre decenti. Una donna ben educata deve mostrare, come se
il di lei animo fosse sempre in calma e serenità. Il solo senti-
mento ohe le stia bene èia compassione, la quale turba qual-
che volta quella pacatezza. Quell'impeto, quella febbre che
si annunzia col gesticolare, mostrano un animo in burrasca
270 RlCOllDI A MIA JFIGLIA.
cpotiuoa; e ciò diminuisce il pìspelto che è lauto importante
di tenere impresso neir animo allrui. Sia adunque composta
la vostra persona, moderalo il tono della vostra voce; e
guardatevi sopra tutto dall' affettazione, cioè dall'incauta
imitazione d^' gesti o del tono altrui, tn uomo o una donna,
quando sieno eglino stessi, abbiano il loro tono, il loro modo
di moversi, come hanno la loro fisonomia; per poco che ri-
formino queUo che di sconcio siasi in essi inavvedutamente
sviluppato, sono «sseri belli e buoni nella loro classe. Ma
r uomo e la donna scimmie, sono mostri ridicoli e spregevoli.
Una piccola caricatura che è naturale e dà vezzo ad una
donna, se verrà imitata, diventerà una sguaiaU buffoneria in .
un' altra. 1 gesti studiati, le positure poetiche e pittoresche,
sono Scempiaggini che fanno stomaco invece di alleUare. La
grandmarle per essere amabile, è di perfezionare il fondo
nostro, non mai d'innestare sopra di noi la roba ricopiala.
Siate priginaie, siale voi medesima: io vi acconsento che vi
poniate allo specchio per osservarvi, e giudicare dei moli
vantaggiosi o sgarbati che possono prendere i muscoli del
vostro volto e del vostro corpo ; ma non intendereste certa-
mente il vp&tro interesse, se prendeste ad imprestilo i movi-
menti 0 le singolarità altrui.
Io non vi disapproverò se cercate di piacere. Bramo che
siate giudicata buona, rispettabile, bella, e degna d'amore.
Ma la maggior parte delle giovani traviano, ed io ve ne ad-
dito la strada. Per esempio, una giovinetta gracile, minu-
ta, bionda, può anche avere della grazia nell'essere sover-
chiamente timida d'un ragno, d'un sorcio, d'un lampo: fate
che una donna bruna, grande, di ardile fattezze, cerchi d'imi-
tare quel fanciullesco grido, e farà ridere di sé la hrigala.
Una certa serenità nobile ed imponente è maestosa in una
giovine di bella statura, che ha tratti grandiosi nel voU(|:
fate che una piccolina, di fattezze delicate e vivaci, voglia
imitarla, e ne avrete una stentala parodia. Lo slesso che è
sensibilissimo in tali salti, è sempre sconcio e forzato an-
che in salti minori. Noi abbiamo ciascuno la nostra fisono-
mia, né alcuno sforzo ci farà acquistare giammai la fisono-
mia d'un altro. Cosi l'indole nostra ed ogni nostra esteraa
RICORDI A MIA FIGLIA. 271
azione deve comporre «n lalto insieme armonico che assor^
(isca col viso» col disegno del corpo,. col tono natarale della
nostra voce, e finalmente col nostro umore. Vedete in un
giardino quanto sono meno belle, meno verdi, meno sugose,
le piante che si fanno forzatamente diventare una pirami-
de, nn sedile, un quadrato e simili, di quello che lo siano
Je piante anche irregolarmente sviluppate all' aria aperta,
come porti la natura. Se esaminerete questo principio, voi
lo troverete vero ancora nel genere umano. Le donne sìor
golarmente riescono affettate e spiacevoli, per T abbandono
che fanno del loro naturale, onde addossarsi un'esistenza
imitata. La vivace cerchi di ritagliare dalla vivacità i.vizj
e i difetti, ma la sviluppi, e non prenda un carattere di se-
rietà posticcia; la seria faccia lo stesso, ma non diventi
stentata con una vivacità sforzata. Ciascuna può essere ama-
bile, se raffinerà sé stessa; cesserà di esserlo, se vorrà trasfor-
marsi in un' altra. 11 gran precetto che gU antichi scrivevano
sul tempio della Sapienza era : — Conosci te stesso. — Cer-
cate di entrare in questo esame, che ^importantissimo. Non
è vero che l'amor proprio ci seduca* Nel secreto del nostro
coore vi è una voce che ci dice sempre il vero: basta en-
trarvi, ed entrarvi spesso, ed abituarci a riflettere sopra
i movimenti del nostro animo ; conoscerete, con un po' di
tempo ed un po' di riflessione, il vostro forte ed il vostro
debole. Presentatevi destramente dal primo dèi due lati, cer-
cate di migliorarlo, e celate e restringete quanto é possibile
il fianco debole; ma non siate mai la scimmia altrui, se volete
aver grazia ed essere amabile.
Se volete essere amabile, e godere della slima generale,
non dovete essere nemmeno troppo sincera. Io non intendo
con ciò di avvisarvi a non dire delle verità disgustose ad al-
cuno: questo è un documento troppo volgare; ed io mi rì*
stringo unicamente a palesarvi, cara figlia, quelle verità che
comunemente non si sogli.ono dire. Voglio dire, che se volete-
essere amabile, e godere della stima, dovete lasciar sempre
un velo sopra di voi stessa, in guisa che si conosca che il
vostro animo non è arditamente scoperto. Io ho mancato,
e manco spesse volte a questo precetto, e mi accorgo che mi
272 BlCOUDl A H!A FICILII.
pregiadko; e se non avessi ona carica che obbliga gli uomini
ad aTére per me dei riguardi, la mia troppa scbiettezza mi
diminoirebbe la stima altrai. Gli oomini non atlrìbniscono a
nn nobile sdegno di avere a ricorrere alle arti della sìmola-
zione, né al coraggioso orgoglio della yirtù, la franchezza di
palesare liberamente l'animo proprio; yi ravvisano bensì o
imperìzia nell'arte di saper vivere, ovvero imprudenza e
debolezza. Io non ho mai veduto nn altr* nomo slanciarsi ad
abbracciarmi come farei io, se un altro mi si aprisse li-
beramente. Trovo generalmente che la sorpresa che eccito
in loro, li lascia incerti se mi debbano perciò stimare; o 1q-
singandosi d'avermi conosciuto perfettamente, mi pregiano
meno. Generalmente gli uomini pia coperti ne impongono di
più ; perché un oggetto non ben distinto ed attorniato da
nebbia fa più paura, ed occupa di (mù l'attenzione degli no-
mini, che un oggetto illuminato e conosciuto; perchè, se è
bene il non far mai del male ìigli nomini, è male che alh
biano ona positiva sicurezza di non poter giammai ricever
male da noi. Se un sagrestano non coprisse la reliquia con
un velo, e non la riponesse lontana dallo sguardo, per poi
mostrarla rare volte, e con certe cerimonie, il popolo si av-
vezzerebbe alla reliquia, e non ne farebbe che poco conto.
Cosi accade dell'animo: se egli é lìmpido, schiètto, esposto
sempre alla vista di ognuno, cade nell'indifferenza, e forse
nel disprezzo. Un corpo nudo non è mai tanto volottaoso ed
interessante, se non quando sia destramente adombrato da
un velo. Una bella faccia istessa, velata che sia, ancor pia
seduce. Cosi le qualità del nostro animo sfacciatamente node
sptacciono ; velate ed elegantemente esposte a un lume anche
nn poco equivoco, ispirano riverenza , interessano la carìo-
sità, e fanno amare e pregiare chi sa cosi mostrarle. La virlA
stessa troppo nuda cessa di piacere. Una donna di coi le azioni
sono costantemente generose e benefiche, di cui il tratto è
sempre civile ed amabile, la di cui lingua non oflfende mai
alcuno, i di cui costumi si vedono esattamente virtuosi, ma
i di coi prìncipj nessuno esattamente conosce, perchè eHa
apertamente non palesa tutto; questo è il vero carattere di
una donna che può essere modello della sapienza e dell'ac-
RiCOnDI A MIA FIGUA. 273
cortezza. Tenete ferma questa grande venta, mìa cara figlia,
che gli oggetti perfettamente conosciuti si stimano meno, e
che gli nomini non si tengono giammai molto occupati di
noi, se non quando noi sappiamo far loro credere che v'è
ancora del paese da scoprire, lanciando loro sperare che lo
scopriranno, ma non concedendolo loro giammai.
Esaminate questo principio in ogni occorrenza , e trove-
rete che si verifica sempre tanto nella società, quanto in
amore. Le cose tutte, interamente possedute o esattamente
conosciute, cessano di essere pregiate. Badate dunque a. voi
stessa, non manifestate mai i principj generali che vi deter-
minano, non parlate mai di voi stessa, nò del vostro modo
di pensare o di agire. 11 parlare di noi stessi, o è debolezza
o è orgoglio ; e sempre è il più spinoso discorso che si possa
introdurre. Nemmeno dei mali nostri o degli interessi do-
mestici s'ha da parlare nelle conversazionL La donna accorta
spazia co' suoi discorsi lontana da sé, e lascia sé medesima
attorniata da quella sacra nebbia, che difendendola dagli
sguardi profani la fa riverire.
Sul vostro vestito non è possibile che io vi dia alcun
consiglio, giacché la moda cangia ogni anno. Egli è certo
che l'abito, che mentre vi scrivo, cioè nel 1777, è usato, e
trovato elegante e vantaggioso, sarà trovato ridicolo e mo-
struoso quando potrete leggere questi miei ricordi. Gli Asia-
tici sono assai più ragionevoli di noi; essi hanno trovato delle
forme di vestito veramente nobili , dignitose , comode e spi-
ranti grazia e gusto. Sono secoli che il taglio dei loro abbi-
gliamenti è fisso, e lo è talmente, che le dignità, gli uftlcj,
la nazione di ogni uomo si manifestano dal mòdo col quale
é vestito. Le donne sono voluttuosissime involte in quei finis-
simi turbanti ; elleno sole hanno conservato il vero cinto di
Venere; ma noi, col nòstro busto, col guardinfante, e con
cento pazzie, abbiamo sempre delirato e deliriamo tuttavia,
ci tormentiamo, siamo realmente cattive figure... Ma siamo
nel caso, cara figlia, in cui è sapienza Tesser pazzo fra i
pazzi. Come dunque faremo? Credo che singolarmente piac-
cia una persona, quando le cose che ha intorno danno un'idea
della somma mondezza del corpo che ricoprono, e d'una
274 BICOHDI A MIA FIGLU.
elegante Irascaratezza nell' abbigliarsi. L'idea di polizia na-
sce dall' aspeUo di nuovo che abbiano lutle le parli eke ci
vestono. Una sUìiSbl che ha perduto il Incido della seta, ck
mostri di essere passata molto fra le mani, disgusta; ma
quand'anche sia poco ricca, se ò in aspetto di nuova, piace.
I grandi abitoni di stoSe d'oro, sciupati, nei quali l'oro è
sbiadito o imbrunito, sembra che debbano avere un odore
rancido, e fanno disgusto. Oltre poi la stoffa, conviene che
ogni nastro ed ogni merletto appaia cosa poco usata; eqiM-
sta attenzione portatela su tutto, sulle scarpe,, sulle calze, e
singolarmente sui lini che vi toccano immediatamente. Nel
vestirvi non abbiate poi premura che tutto sia esattamefile
compassato; vestitevi anzi in modo, che chi vi osserva non
conosca lo studio usato, ma deggia piuttosto dire: Se sta bene
a malgrado della sua negligenza, quanta non sarebbe piò
bella se vi ponesae tutto il suo studio l— Figlia mia, questo è
il soUime dell'arte, ed ò il precetto massimo piMr piacere io
ogni modo. Datemi un ballerino mediocre, & vedete come »
slancia con impeto, e lascia vedere l'estrema forza e Tal-
. ienzione per ballare. Datemene un eccellente, e copre rarli-
ficìo, cela la forza ; col volto placido, con un moto naturale
di braccia, sembra che a caso quasi si collochi nelle più belle
positure e difficili atteggiamenU. Vedete in poesia alcune arie
del Meiastasio, alcune ottave del Tasso e dell'Ariosto: pare
che non siano costate fatica al loro autore, e che bastava vo-
ler dire quel pensiero, e che chiunque non potea dirlo che
cosi : quelli sono i pezzi che più incantano, quelli sono i
pezzi veramente sublimi. Nella musica, se una voce vi fa co-
noscere lo studio e la somma attenzione del cantante, vi an-
noia; il valente musico sembra che spontaneamente modoli*
e mentre esattamente osserva la musica, pare che la traaco-
ri. Tutta l'arte di piacere si riduce a conoscere l'arte, ma
celarla, ed operare in modo, che chi l'ammira, quasi dica:
io pure farei lo stesso; ma, provandosi, non vi riesca. Con
questo principio, se una donna si presenta attillata, ùoii^ e
studiosamente compassata, chi la. vede si maraviglia obeooo
sembri più bella ancora di quello che pare dopo tanto stiKiJ^^'
Una donna che si vesta con un moderalo e grazioso diio^
RICORDI A MIA FIGLIA. 275
dine, lascia laogo aH' immaginazione di figararsela mille Tolte
più bella ancora , se voglia darsi la pena di comparirlo. Un
uomo di spirito diceva ad nn ricco che aveva innalzata una
grandissima torre: — Tu credi di avermi data ona grande
idea della tna ricchezza, e t'inganni. Prima io l'aveva
grandissima; la tua torre mi ha fatto conoscere il limite di
qaello che puoi : to non avevi i mezzi per alzarla ancora
cinquanta braccia di pia. — Cosi chi sfodera tutto quello che
può, e lascia conoscere che ha fatto il fattìbile, mostra agli
altri il con6ne del suo potere; e anche negli abiti e neir eie-
ganza non è mai cosa saggia il mostrare di avere fatto il pos*
sibilo. Un pittore di gusto ti fa una beHa donna con qualche
leggiero disordine ne' capelli e neir abbigliamento; niente è
pia secco e stucchevole, quanto l'esatta simmetria: ella non
serve che su gli altari, ed ali* esercizio militare; e questi non
sono certamente i licei della grazia e della venustà. Una gra-
ziosa negligenza 6 adunque l'anima dell'abbigliamento; e lo
scopo di ben vestirsi è risvegliare l'idea della somma mon-
dezza del nostro corpo. Conviene inoltre che l'abbigliamento
abbia un non so che di leggiero, cosicché sembri che l'aria
lambisca il nostro corpo, e vi si cangi intorno facilmente.
Quindi un abito troppo stretto disdice. La mondezza del corpo
sveglia anche l'idea di quella dell' animo ; e perciò molti le-
gislatori religiosi istituirono i lavacri, le abluzioni e simili ri-
medi per purificare le colpe, essendo ancora collegate le idee
della purità del corpo e di quella dei sentimenti. Voi sarete
allevata in modo, che avrete un bisogno di essere monda tut-
ta, come le altre fanno nel viso. Nel vestire poi, conviene
uniformarsi alf usanza, non portandola all'eccesso. Mi pare
però che i colori indecisi convengano meglio alla bellezza
d'una donna, che i prìmigenj del prisma. Vi consiglio di
esaminarvi bene allo specchio prima di uscire di casa, di
adornarvi con grazia, e di porre ogni studio a coprire lo stu-
dio; insomma a far si che s'abbia a dire di voi :
Le negligenze sue sono arlìficj.
Fuori dì casa però, o nella compagnia, non mostratevi giam-
mai occupata di voi slessa, o del vetro vestito; tanto più darete
276 CICOSDl ▲ MU Fl&LU.
risalto aDa figura vostra; e sopiattailo astenetevi dal condan-
nare gF4W»nfai il gusto altrui. L'arte iosomma in tatto è quella
di non abbagliare al primo i^esenlarsi, alixi di far poco o
nisson senso, nu d'essere in modo, che quanto {mu yenite
esaminata, tanto più piacciate. Osservate il meui^omo; esso
sorprende, abbaglia, stanca, è sempre lo stesso oggetto : os-
servate un bel cielo anurro, sereno e stellato ; vedrete quei
ponti lucidi della grande volta, sparsi in disordine senza àm-
metria, ma con un ordine cosi vago, curioso, che ciascuno
cerca di ravvisarvi qualche figura. Rapito cosi rocchio, ra-
pita r immaginazione in un dolce incantesimo, non vi sa-
ziate di contemplarlo. Go^ è la figura della donna piacevole;
cosi è fl suo stile, il suo modo : nulla che annunzi preten-
sione di occupare di sé slessa, ma tutto ordinato in modo
che insensibilmente gli altri se ne occupino, e non se ne sa-
ziino. Siate piuttosto una bella notte, anzi che un bel giorno.
Lo slesso che dico del vestito, lo dico anche della carrozza,
livree, appartamenti ec., se dipenderà da voi: l'oro, il fasto
ciarlatanesco non sono l'insegna del gusto, non compongono
quello che piace. Il finimento, l'eleganza, la perfezione del
lavoro, la ragionevolezza dei mobili ec, costituiscono ciò che
piace in ogni secolo.
Fra le occupazioni sociali vi è il giuoco : procurerò che
non mi somigliate, perchè io non so giuocar bene nissun giuo-
co, anzi m'annoio. Se è possibile, è bene che impariate e
facciate uno studio dei giuochi di commercio. Bisogna procu-
rare di far bene tutto quello che si ha da fare ; e poi, il co-
noscere i giuochi è un capo di profitto sensibile, o almeno
impedisce una sensibile perdita. Giuocando, però, conviene
guardarsi dal mostrare avidità, ira, impazienza, come pure
svogliatezza e trascuratezza : il primo eccesso mostra on ani-
mo niente generoso, il secondo mostra fasto insultante. Pla-
cidezza e moderata attenzione, sono i segni che piace vedere
in una nobile signora che giuochi. Se un caso è dubbio, ri-
mettetevi al parere altrui; se è sicuro per voi, tranquilla-
mente dite la ragione; e se non vi si fa giustizia, tacete senza
mostrarvi malcontenta. Badate a tutto il giuoco anche con
attenzione maggiore di quella che mostrate, cercate poi di
BICOBDI A MIA FIGLIA. 277
non ginocare con persone collericfae o mal educate. A giuoco
di azzardo, odi molta importanza, non gioocate mai. Un no-
mo si pregindica, nna donna si prostituisce, perchè mostra
avidità, bisogno, e si pone in necessità di dover far di tutto
per mantenere quel vizio. In casa vostra non permetterete
mai che si rovini alcuno, e che nissuna famiglia debba male-
dirvi per questo. L'educazione che spero di darvi vi renderà
superfluo quello che scrivo su di ciò, onde tralascio quanto
di più potrei dire.
Se in vostra casa di città o di campagna, avete compa-
gnia a pranzo, anticipatamente procorate che tutto sia bene
in ordine ; e poi, quando la compagnia è adunata , non vi mo-
strate niente occupata del pranzo o della cena. Una donna
che sa regolare la sua casa ordina tutto in modo , che sem-
bra andar bene da sé, come ima macchina. La inquietudine
coi domestici, ì rimproveri sulla lentezza o disattenzione non
si possono manifestare in faccia alla compagnia ; perchè fa-
reste credere che i vostri domestici non siano avvezzi a ve-
der buona compagnia in casa vostra, e togliereste ai convi-
tati la libera giocondità, col lasciare ad essi credere che la
loro venuta fosse a voi cagione di scontento. La maniera più
nobile di fare la padrona di casa, è di non sembrare quasi la
padrona, ma di starvi come in un luogo terzo ; anzi, a tavola,
la maniera più conveniente è quella di starvi pure senza ri-
cordarvi che sia la vostra tavola, cioè apparentemente. At)-
bandonatevi ai discorsi che vi si faranno, non mai parlate
dei cibi o degli ornamenti della tavola, se non per necessi-
tà; ed interrogata, dite semplicemente e senza prolissità. Ma
se in apparenza dovete dimenticare il personaggio di padrona
di casa , realmente dovete state attenta che ciascuno sia dai
domestici puntualmente servito, e sopratutto badate che essi
non dimentichino i convitati di minor conto, il che sogliono
fare ; e con un' occhiata i vostri domestici sapranno inten-
dervi senza che alcuno della nobile comitiva se ne accorga.
In questa guisa , ciascuno sarà libero e starà con gioia alla
vostra tavola ; il fame gli onori, e distribuire le vivande, è un
tedio per la padrona, un incomodo pei suoi vicini, e porta
un cerimoniale noioso alla mensa, un rango, una preminenza
n. 24
278 filGOE»! A MIA FieUA.
che è morale. Niente e poi più disgustoso quanto il vedere
che il padrone di casa sgridi o rampogni i suoi domestici :
questa è una vera inciviltà commessa contro ciascun ospite,
al quale fate sentire di essere di cattivo umore, lasciate il
dubbio che lo siate per cagion sua : la giocondità e la repub-
blicana decenza sono quelle che attorniano la donna di spi-
rito quando usa ospitalità. Se il convite é stabilito prima,
siete in obbligo di far si che sia in ogni parte ben servito ;
se è un' improvvisata che sia in ecampagna , fiate le scuse dai
principio, e poi non parlate più, né in bene né in male» sulla
tavola : nessuno è tenuto ad aver pronto un pranzo nelle
forme.
Le cose arbitrarie non vi esponete mai a farle, se non
siete sicura di farle bene: dico esponete, perchè io non inten-
do di limitare tutti gli onesti capricci che potete soddisfare
nella stretta compagnia di pochissime persone amiche; dico
soltanto in faccia di parecchie persone. Per esempio, non vi
ponete a cantare se non siete certa di farlo in modo da pia-
cere, CQifì sicurezza di tempo, intonazione, portamento di
voce e padronanza dell' aria. Niente è più noioso quanto le
smorfie di alcune, le quali vanno tremando al cembalo, e
dopo cento difiicoltà, cantano miserabilmente, talora anche
perdendo il filo della musica. Questo è un talento che nessu-
no è obbligato di avere, se non chi ne fa la professione; è
un nobile ornamento, ma non si deve esercitare la pazienza
altrui al di là del bisogno. Lo stesso dite del talento del tea-
tro: se T occasione vi si presenta di recitare, fatelo, se siete
capace di farlo bene; e decisamente astenelevene, se non ve
ne sentite la franchezza e la capacità. Io non dico perciò che
avendo questi due talenti gli dobbiate esercitare con nna de-
cisione tale da far credere che vi riputiate soverchiamente
istrutta; conviene anzi sempre guadagnare i giudici colla mo-
destia, collo star lontana dalla pretensione. Gli uomini si sde-
gnano con chi cerca di forzare la stessa loro ammirazione, e
la celano piuttosto se non v' è nna certa spontaneità di con-
cederla; ma la modestia debb' essere semplice, moderata, e
non scimmiottesca e studiata: anzi, esercitando questi talenti
arbitrar], aspettate di esserne chiesta, e prestatevi con aria
UGOUM A MU rMUA. ^79
di eompraceBia al desìderìo alimi; e siate sempre caata ala-
seiare, quando tennìnate, il desiderio negli altri che conU-
nnaste. Il talento del baHo non è tanto arbitrario: potete,
anche ballando mediocremente, farlo senza perìcolo, perchè
il ballo è quasi un esercizio, di cerimoniale, e d'altronde non
esige questo talento l'attenzione di tolti gli altri testimoni,
come V esigono gli altri due talenti. Quanto più nasconderete
r artifizio e lo stadio che fate, A nel canto che nel decla-
mare e nel ballo, tanto più vi accosterete alla grazia ed al
bello. Dirò dei talenti quello che ho scritto sul vestito. Lasciate
che si creda che potreste fare assai più di quello che fkte,
siale un passo indietro del vostro limite, e T immaginazione
dei vostri giudici crederà che esso sia discosto ancora assai
più d' un passo.
Sin qui vi ho accennato alcune cose che riguardano il
vostro contegno esteriore, atte a conciliarvi la stima pubbli^
ca, ed a farvi passare per amabile e cara creatura: on vi
scriverò alcune altre cose che riguardano V intema felicità
vostra. Non vi farò un trattato di morale, ma vi indicherò al-
cuni ponti che merilano la vostra .attenzióne.
La filosofia che singolarmente dominò alla metà di que-
sto secolo,-tendettead esaltare le passioni, a dar loro impeto,
forza, entusiasmo, riguardandole come primo mobile del
cuore e delle azioni, e come la sorgente della vita morale e
d'ogni cosa grande. Alessandro, Cesare, Maometto, sareb*
bere tre nomi sconosciuti , se una violentissima ambizione
non gli avesse scossi dallo stagno in cui si trovavano, e sca-
gliati, a traverso :di una turbolentissima vita, a conquistate ,
a soggiogare la terra. Sarebbe ignoto il nome di Montesquieu,
di Newton, di Galileo, di Tiziano e di slmili uomini, se, ani-
mali da un' avidissima passione di gloria, non avessero fer-
mamente e costantemente superati i difficilissimi travagli, la
lunga noia e Y ingiusta freddezza degli uomini pigri e restii
ad innalzare un uomo cogli applausi al di sopra del loro li-
vello. Le passioni hanno inventate o perfezionate le arti tutte,
siccome hanno prodotto i tratti più insigni dirile più nobili e
delle più infami azioni. Non si può negare questa verità. Ma
chiederò io: l'uomo animato da violenti passioni, è egli più
280 RlGOaDI A MIA FIGLIA.
felice deir altro che le ha moderate? Dovendo io scegliere di
far cose grandi menando una vita affannosa) ovvero di pla-
cidamente godere della mia esistenza, la sapienza dove mi
consiglierà di propend9re? Soffiando io stesso sul fuoco delle
mie passioni, riguardandole come il prezioso germe della mia
vita i penso io da saggio al mio benessere? Che probabilità
6i è mai che, nelle combinazioni della mia vita, una ve ne sia
che mi apra il campo a diventare autore di una rivolozione
che lasci il mio nome ai posteri ? Che mi gioverà il lasciarlo
dopo una vita infelice? A me pare che questi declamatori
ed eccitatori delle passioni usino V eloquenza che ò in pra-
tica presso i caporali per adescare le nuove reclute : prendono
un giovine del popolo, mal in arnese, senza speranze; citano
uno o due esempj di soldati di fortuna diventati generali,
gallonati, titolati, arricchiti; seducono T idiota a dare il nome
a questa lotterìa. Egfì trovasi cosi legato ad una vita infelicis-
sìina, e cento mila incauti vivono nella più misera condizio-
ne per uno che ha fatto fortuna. Questi filosofi avevano il
progetto di liberare gli uomini da ogni specie dì schiavila,
di sostituire una forma di legislazione dettata dal bene gene
rale, di stabilire la fraternità e la virtù; rispettabile fanati-
smo, il quale in Parigi, dove aveva la sua sede, ha fatto pas-
sare alle carceri della Bastiglia successivamente questi
scrittori, che gli ha resi sospetti al governo, e che ha co-
stretto alcuni a ritirarsi in terra separata, non avendo forse
del resto risparmiato nemmeno up uomo alla violenza ed al
dispotismo di un ministro. Torniamo sulla strada maestra che
è stata battuta dai saggi dei secoli passati. Le passioni, fino a
tanto che sollecitano l'anima, seno eccellenti. La vivacità che
c'ispirano, il moto che producono in noi, abbelliscono, ci
raffinano il gusto, ci tolgono al letargo ed alla noia: ma s'el-
leno vi scorticano, vi pongono la febbre, altro partito non
«'è che rintuzzarle colla frequente riflessione: sono esse un
liquore spiritoso; in poca dose rianima, in molta ubbriaca o
rende furioso. Un amore violento, una furiosa ambizione »
un'avarizia affannosa, sicuramente rendono infelice il onore
che invadono; ci assorbiscono tutta V anima , ce la rendono
distratta da tutti gli oggetti piacevoli che ci si presentano alia
BUSOSDI À MU FlGLIJk 281
giornata, ci pongono aTanti agli oìDchi an bene che ci abba-
glia e grandeggia, e quanto corriamo più, tanto più sr allon-
tana. Esaminiamo più da vicino la yerità.
Cominciamo dall' amore. Io vi parlo di una cosa che non
mi è straniera, e yi faccio la descrizione di nn paese che ho
viaggiato molto. Primieramente V amore nasce sempre dalla
persuasione in cui s' è, d' aver reso sensibile il coòre dell'al-
tro ; e acuramente da principio uno dei dae s' inganna. Se
ingenuamente due amanti s' abbandonassero uno al libero
piacere dell' altro, sarebbe assai breve il perìodo, e la sazietà
coli' indifferenza verrebbero poche settimane dopo il primo
trasporto amoroso. Infatti i popoli agresti e non ancora inci-
viliti, quasi non conoscono che la parto fisica d^P amore,
come la natura lo cerca per la riproduzione dei nuovi esseri,
e come^gli animali fanno. Nasce fra noi la passione durevole
dell' amore dalle difficoltà e dai contrasti. Nessun romanzo
nemmeno ti fila questa dolce e funesta passione, se non fram-
mischiandovi lontananze dei due amanti, parenti che si op«
pongono ai loro desiderj, accidenti che sempre li scostano
dal fine cui anelano; e gli amorì di due maritati, che paca-
tamente convivono, sarebbero i più freddi ed insipidi amorì
del mondo, che neppure alcun poeta ha osato mai esperii
solla scena per toccare il cuore degli spettatori. Questo è tanto
vero, che le donne astute, le quali hanno saputo più longa^
mente tenere in lena i loro amanti, sono quelle le quali
sanno dar loro speranze, poi togliere, poi làdonarle con
qualche condiscendenza , indi lasciar temere un cambiamene
to, per poi somministrare nuòva esca a persuader d^ amare,
ed ammantandosi con un velo sempre volubilmente variato,
nascondere il vero fondo del loro carattere, occultare i loro
sentimenti,, e far gioocare i vezzi della loro figura, le grazie
del loro spirito, sempre artificiosamente con un'apparente in-
genuità capricciosa. Le donne conseguentemente più amate
sono quelle che meno amano, e non mentano di esserlo. Se
dunque si tratta di provar voi la passone dell' amore, ciò
significa 0 gettarsi in braccio a nn mare di angoscio, di av-
venimenti, ovvero fidare la vostra pace nelle mani di ano
scaltro conoscitore del cuore, che astutamente vi signoreggi.
24*
292 RICORDI A MIA FIGUA.
Cattivo contralto, e sotto di an aspetto e sotto ddl^tro:
cattivo per noi uomini; per una donna poi, pessimo; perchè
il mondo è tanto ingiusto, che perdona agli uomini nella loro
gioventù le pazzie del loro amore, e copre la donna di una
macchia che non le w loglio più : sia che negli uòmini singo-
larmente si cerchi il talento e la mente per gii aflEari, e nelle
donne al contrario la passiva ritcnulezza» per prima éóie; o
perchè la parte degli uomini sia quella deirattacco, e la fiem-
nrinina queUa della difesa, siccome lo è anche nei bruti;
onde il vincere non dia biasimo all'uno, e dia scorao all'allra
V abbandonarsi totalmente. Io ho conosciuto colla mia spe-
rienza una donna sola, la quale abbia fatta la sua felicità
coir amore; e in quel tempo medesimo in cui gli interessi del
di lei amore andavano più prosperamente., si poteva con ve-
rità asserire che assai felice di più sarebbe stata, se libera
dalla passione. La maggior parte degli uomini si accosta ad
una belladonna, loda ed esalta la leggiadrìa che spira intor*
no, latto adulano, sono sommessi, ossequiosi, prevengono i
deflìderj vostri per ambizione di piacervi: nel cuore della mag-
gior parte questo non è che un costume; se niente niente vi
fidate, temete che la vanità di avere fatto breccia li porterà
a vantarsi, ed a divulgare e quello che avrete detto, e di più
qaeUo che avrebbero voluto che diceste. Una sorda diceria
sola basta a macchiare il concetto della vostra virtù. Fra tanti
vi sarà taluno più riservato e più buono; sarà capace di essere
onesi' uomo anche in amore: temete di più quest' nomo, egli
può accendervi la passione funesta^ e poi, quando veramente
amereste, quando liberamente signoreggiasse il vostro cuore,
lo stesso possederlo lo renderà' annoiato; rimarrà ei medesi-
mo stupito di rimanere come ozioso, il bisogno di liberarsi
dal tedio lo farà correre dietro ad nn nuovo oggetto, ed ei
medesimo sarà maravigliato, pochi mesi dopo che con buona
fede vi giurava un amore interminabile, di essere annoiato
él voL Un bene che è nostro non ci piace mai tanto, quanto
un bene che cerchiamo di acquistare; ed il lungo possedere
cagiona Findifferenzà. Cosa farà adunque una giovine accorta
e di spirito? Dovrà ella essere un marmo, un ferro insensi-
bile alla più umana passione, airamore, alla delizia dei cuori
RICORDI A MIA FiaUA. 383
ben falli? Io vi rispondo che è impossibile il guardare colla
stessa iadifferenza un og^Uo noioso e comune, ed un og-
getto amabile; ma però è possibile il vegliare sopra di noi,
il mettere buon ordine perchè la nostra casa non avvampi e
si consumi. Considerale l' importanza somma della opinione
pi^Uica, la fallacia cho/è la base. di questa passione , il fine
del tedio a. cui si va incontro quando pur riesca bene, e che
non vi prevenga ramante coir abbandono; F illusione del
poco di reale che vi è nelle figurate delizie; e tenete la pas-
sione tuli' al più nei limiti d^ un leggiero movimento , pre^
servandovi, o colla distrazione su di alta oggetti, o colla pia-
cevole occupazione delle belle arti , o colla lontananza ; wa
siale bene attenta sopra di voi medesima , e sviale il fiumi-
cello prima che, ingrossando le acque, non vi strascini al
segno che inutilmente cerchereste il soccorso della ragione.
Per questo motivo, come per altri ancora, mia cara figlia,
cominciate di buon'ora ad eccitare in voi medesima il gusto
della occupazione : la sfaccendata oziosità lascia un bisogno
perenne di un oggetto che ci giunga ad occnpare; e la donna
si getta sconsigliatamente fra le braccia dell' amore, per lo
più per la noia di non avere niente da fare. Xa musica oc-
cupa molte ore della vita , il disegno egualmente; l'abitudine
di esaminare gli oggetti, e di cercare dì conoscerli, vi può
portare al genio dei fiori, delle erbe , al gusto dei mobili ed
addobbi , alle curiositi naturali , al conoscimento di quel
poco che si è scoperto nella fìsica, e cosi genialmente occu-
pare il tempo. L' abituazione alla lettura sopra di ogni altro
esercizio, è il più salutare e dolce ristoro della vita. Se io
viverò abbastanza per essere il vostro amico sinché abbiate
vent' anni , quello che scrivo sa^rà buono solamente a pro-
varvi r aOetto che \o aveva per voi quando appena vi accor-
gevate di essere al mondo ; ma se la legge universale degli
esseri mi avrà troncati gli anni .prima che voi pensiate da
voi medesima, sin d'ora mi è pensiero tenero e consolante
quello di sperare che i miei consigli , che scrivo per voi, vi
possano incamminare alla felicità che vi desidero. Una donna~
occupala colle proprie idee, abituata a riflettere prima di
operare, ad esaminare prima di credere, non sarà. facilmente
284 RICORDI A MIA FIGLIA.
la vìttima ói una galanterìa. I librì sono la più cara compa-
gnia, e la più istrottÌTa. Io approvo che voi leggiate stermi-
natamente tutte le commedie e tutte le tragedie possibili;
sono queste una dilettevolissima occupazione ; vi condacooo
a sviluppare insensibilmente in voi medesima ì penetrali del
vostro cuore e dell' altrui; v' insegnano il più nobile e decente
modo dì conversare; vi sviluppano i sentimenti nobili e ge-
neroBÌy e sono una eccellente lezione- di morale pratica. Ad-
che i romanzi scritti con decenza e con grazia gli approvo:
escludo soltanto! troppo libertini , i quaU, se avete T anima
delicaUr, vi stomacano; e se- sgraziatamente T aveste poco
fermai vi prostituiscono alla dissolutezza. La favola, la storia,
sono ettime cose d» esaminare r i ventagli stessi talora rap-
presentano o un' azione della mitologia o della storia : i
quadri nelle gallerìe trattano questi argomenti , ed è cosa me-
schina per una donna che si voglia credere colta e gentile,
r avere sotto gli occhi e nelle mani questi oggetti , e noo
conoscerli. Per lo di più poi, io non vi stimolerei molto a di-
ventare veramente dotta e scienziata; ma se il genio vi spin-
gesse, vi presenterei tutti i mezzi per riescirvi e vi darei
tutto il coraggio. Credo però, che né voi né alcuno dei miei
figli, se io vivo lungamente, passeranno mai la semplice col-
tura, e non sarete sommi in nessuna scienza od arte; e la
ragione si è, percjiè io credo che non vi sia che la sola infe-
licità e miseria che possa spingere ad affrontare le fatiche,
ed a costantemente sostenerìe; e senza questo sforzo conti-
nuato non si esce mai dalla raediocrìtà. Vi vuole la derisione,
il disprezzo, l'insulto, la dimenticanza dei nostri prossimi pa-
renti, per isforzarci a correre il sentiero, e farci arrampicare
sulla scoscesa montagna. Tutti gli uomini che ho esaminali
hanno fatto qualche progresso, nelle persecuzioYii e traversie.
Ora siccome io non voglio che siate giammai infelice, anzi dal
giorno in cui siete nata, voglio che godiate di tutti i beni pos-
sibili, cosi dico che voi e gli altri fratelli e sorelle vostre non
potranno mai esser sommi, perchè manca la ragione, fi me-
glio un uomo felice che un grand' uomo. Una dama, o altra
donna poi, se oltrepassa i limiti della semplice coltura, dif-
ficilmente troverebbe un partito; perchè r uomo è umiliato
RICORDI A UlA FIGLIA. 285
se la moglie ne sa più di lui. £ però vero che se anche yi
maritaste, se io vivo, Tarò in maniera che mai non vi possa
mancare dì che vivere libera e comoda. L' abiladine alla
lettura. però coltivatela, cara figlia, anzi falevene un obbUgo,
un bisogno. Il tempo degli amori è dodici anni della vita, cioè
dai diciotto ai trenta; chi lo continua al di là, lo fa con troppa
umiliazione: ma allo scomparire dei vezzi, allo sfiorarsi della
freschezza della prima gioventù, la donna diventa un'infe-
licissima creatura, se di buon'ora non ha prevenuto il mo-
mento. Lo specchio che vi diceva tante cose lusinghiere, vi
presenta una figura che va deperendo; gli uomini si fanno
Treddi ed indifferenti ; tutto diventa abbandono e solitudine
per mia povera donna leggiera , che non ebbe altra occupa-
zione, che l'adescare coli' incantatrice sua giovinezza: la
donna accorta, abituata a molte geniali occupazioni, sente
molto meno gì' insulti degli anni. Io posso dire di avere ve-
duto un caso atroce su questo proposito. .La signora Luisa
G....... giovine ricca e bella, aveva una schiera di adoratori,
ì quali col passare dei primi anni svanirono : ella erasi riti-
rata a Modena, e per avere una occupazione ottenne di es-
sere ammessa a quella corte, e diventare dama. Ma le sue
finanze erano troppo sbilanciate; dovette ritornare a Milano:
mancando di adoratori, non avendo mezzo dì brillare col-
r araldico lume, inquieta, annoiata, p^ssò a Pisa, dove ab-
bandonata dalla gioventù e dalle passioni, priva della ri-
sorsa di saper vivere con sé medesima, annoiata dalla situa-
zione presente, disperando di un migliore avvenire, si gettò
dalla finestra, e sopravvisse qualche ora d' infelicissima vita.
Io r ho trattata: era donna buona, ma leggiera. Gara figlia,
cominciamo di buon' ora a mobiliare bene l' interna nostra
ritirata, avvezziamoci a meditare, a leggere, a suonare, a
disegnare, a vivere delle ore soli e senza bisogno dì amori
0 di cortigiani: chi sa vivere con sé medesimo, non perde
mai la buona compagnia.
Ma per vivere bene con voi medesima, conviene che
abbiate la coscienza tranquilla. La dissipazione è necessaria
a chi sente gli spaventi e le larve della solitudine. Io non
vi scriverò un lungo trattato di teologia ; ed unican^ente vi
2g6 EICOftDI A MU FIGLU.
accennerò akani prìnclpj cbiari ed evidenti, i quali potraiH
no, liberandovi dalla soperstizìone inventata dalla ddwiezza
e dalla malizia di alcuni, consolarvi colla religione emanala
dalla Divinità. Volete veder Dio? mirate r immensa vdUa
del cielo, nna bella notte stellata, e prendete qaalclie noli-
zia d'astronomia. Volete veder Dio? prendete an microflco-
pio, e rimirate i minimi insetti. Volete veder Dio? riflellele
al dolce sentimento di consolazione che provate praticando
la virtù, ed al ribrezzo che provate pel viri©. Tetto vi an-
nunzia r immenso, il sainentìssìmo, l'ottimo Autore della
natura. Dio è giusto, è grande, è baono. Chìonqae cefcasae
di farvi credere che Dio comandi azioni ingiuste, che esìga
delle puerili e meschine pratiche, che ami la miseria attrri,
le altrui angosce, è un indegno di parlare di Dio. Dio ha
rivelata la religione; non dd>biamo mai presamere d'inte»-
deme i misteri, ma dobbiamo esaminare se gli tfibia rive-
lati. Chiunque vi dice :—^ Adora Dio, e credi all'eterna venti,
sebbene non comprendi, — dice bene. Chiunque vi dice:-?- Ti
minaccio le pene più atroci, se ardisri esaminare se Dio abbia
rivelato quello che dico,— è un impostore. Chiunque vi dice:
— Siate modesta, perdonate, compatite, frenate la colien e
l'imparienza; beneficale, amate le creature del nostro co-
mun padre Iddio, ed onoratda coUa pratica della virtù,— parla
il linguaggio della verità. Chi prìndpahnaite vi esorla a pra-
tiche esteme che terminano coli* arricchire i ceKbalariy aa
dar loro credito dimenticando la virtù, è un ipocrita. La le-
ligione innalza l'uomo, e lo accosta all' Essere sapremo;
la superstìrione degrada l'Essere eterno, lo deforma, lo im-
piccofisoe, ed attribuisce alla snuraa Bontà ì vizj di un li-
ranno atroce e bidietieo, alla somma Sapienza gli errori vol-
gari Chi vi dice:— Adora Dìo, e ammira le opero deOa sn
mano; riconosciti sua creatura; sagrifica l'oiocauslo delle
passioni malvagie , la colien, la vendetta, l'invidia, Gorgo-
glio; pratica la beneficenza, sii giusta, fedele, couipasBiouo-
vole; abbandonati con piena fiducia nelle braccia del sommo
Padre Dio;— dit vi parla cosi, vi annunzia la rdigione. Cbi
cerca d'avvilire l'animo vostro, di procurare direttamente
o indirettamente il vostro denaro, ehi vi consiglia delle divo-
INCORDI A MIA FIGLIA. 287
zioni invece delle virtù, vi annunzia la sapersUzione. La re-
Ugione tende a perfezionarci, e la saperslizione a renderci
imbecilli, o fanatici: fidatevi di quel ministro che non mo-
stra zelo maggiore per dirigere V uomo nobile e ricco, di
lueUo che adoperi col 4)lebeo e col povero. U vero spirito
della Chiesa considera egualmente preziose ogni uomo in
faccia alla Divinità. Con questi assiomi fecondissimi, mia
cara figKa, sciogUerete ogni problema, e vi preserverete dà
ogni seduzione. Siate buona, e confidate placidamente; e se
per debolezza vi accade di traviai:e, espiate il peccato con
azioni virtuose, non mai con estemi rituaU. Queste massime
servano a voi , ma non siano mai il soggetto dei vostri
discorsi. La religione è un affare seriissimo, e non conviene
che sia il soggetto dèlia conversazione. Gli uomini comune-
mente tremano di ragionare su di questo argomento , e fra
mlUe potete far conto che novecento novanta non V hanno
esaminato, e sono imbecilli e fanatici; e fra i dieci che ri-
mangono, e potrebbero ragionarne, vi sono degli impostori
che profittano degli errori pubblici: perciò, ragionando, sicu-
ramente si acquista il discredito e V animosità pubblica ; sì
ottengono gli ingiuriosi nomi d* ateo , d* eretico, d' incredu-
lo, e d'uomo di cattivo carattere. Quantunque pura fosse
la vostra religione , se mostrerete di disapprovare il sujier-
stizioso abuso che ne fanno gli interessati , siate certa che
avrete la taccia d' irreligiosa. Non vi mettete in mente di
correggere i pazzi nella loro pazzia; lasciate che ciascuno
reg<rfi fra sé e Dio la religione propria. Siate tollerante , e
non mostrate disprezzo delle opinioni popolarmente ricevute.
Cicerone era augure , e non derideva gli augurj che negli
scritti: conformatevi alle esteriori pratiche, anche in ciò
come nei vestiti , senza esagerare e senza mancare ; ma, i
sentimenti non seguono le mode , e la ragione sola li fa na-
scere nelle persone che operano per princìpi . Guardatevi da
coloro che facilmente motteggiano sulla religione, perchè si-
curamente, 0 sono vani o leggieri, o talvolta malvagi. Gene-
ralmente, chi si fa un pregio d'insultare la pubblica volgare
opinione, non ha maggior ritegno nei suoi discorsi nel par-
lare di una dama: anzi, cercando quel frizzante che lo di-
288 RICORDI A MIA FIGLIA.
stingila nelle compagnie , naloralmente coglierà la parte più
maligna per scoprire il lato debole di una donna, e smasche-
rare la condotta di lei, è fors'anco calunniarla. Un nomo
senza religione mi è sospetto, perchè' non temendo egli an
giadice scrutatore dei cuori, non può avere altro limite per
far male, tosto che ne rinvenga a lui utile senza pericolo, se
non una pregiudicata opinione dalla quale finalmente si scio-
glie. Io ho conosciuto uno di questi pretèsi filosofi, che buo-
namente voleva che Y aiutassi a preparare il veleno al suo
albergatore generoso che 1' aveva cavato dalla miseria, e
non aveva altro demerito che quello di essere un signore ric-
co, morto il quale, la moglie, innamorata del filosofo, avi^bbe
acquistato con che arricchirlo. Io era nel fiore della mia gio-
ventù; non ho avuta parte alla trama , e probabilmente per
ciò il colpo non si esegui : ma arrossisco di me medesimo,
ricordandomi di essere slato giudicato opportuno per una
tale complicità. Imparate a diffidare dell' irreligione e del-
ripocrisia, ed accostatevi all'adorazione di un Dio consola-
tore , colla virtù consolatrice dell' umanità. Della religione
non ne parlate mai ; e se in presenza vostra se ne discorre,
lasciate colla distrazione che s'accorgano che questo non
è argomento sul qualeamiate di parlare.
Voi avrete un marito, dei parenti è dei figli: questi sono
esseri che non sono punto indifferenti alla vostra felicità; pos-
sono accrescerla, e possono rovinarla; e perciò conviene fis-
sare i principj della vostra condotta relativamente a loro. Co-
minciamo dal marito. La scelta di un marito è principali^simo
oggetto; e se vi è momento della vita in cui abbiate bisogno
di tutto il soccorso della ragione, egli è quello in cui vi de-
terminate a legarvi con un nodo indissolubile ad un uomo,
dalla volontà di cui deve dipendere il vostro bene o mal es-
sere. Conseguenza di ciò è importantissima cosa che non
siate appassionata, e che la determinazione sia fatta a san-
gue freddo. Fate ogni sforzò, e usale ogni pcdsibile indostrìa,
per non innamorarvi prima di sceglierlo. Se la voluttà e le
sole sperate delizie del talamo vi guidano all'altare, mia cara
figlia, siete sedotta da una chimera. Quando i piaceri fisici
sono il principal fine a cui miriate colle nozze, vi annunzio
liCOBDI À MIA nCIUA. 2g9
che poco dopo coIl'abitaazioDe svaporeranno» e non troverete
più in esse nemmeno il soddìsHieimento della voluttà. Ma
qaando la conosciuta conformità di genio, la dolcezza del co^
storne, la probità dei sentimenti, la benevolenza che an gio-
vine ha per voi, tranquillamente vi persuadano che avrete
in quello un amico, «n compagno amoroso j un consolatore,
un discreto confidente e un amante; e che la cara prospet^
tiva di una dolce, pacifica e felice unione vi presenta un
beato avvenire; allora la voluttà viene animata dal sentimen-
to; la gratitudine, la voglia di render beato l'amico del vo-
stro cuore, il desiderio di piacergli, sempre più la rendono
stabile e saporita. Cosi io vissi colla vostra buona madre, e
al quinto anno F amava più che al quarto, a questo più che
al terso, e il momento in cui fui più indiflerente fu quello in
cui mi fidai di me medesimo, e mi abbandonai alle ragioni
che mi consigliarono di unirmi a lei. Temete di voi stessa e
di una scelta rovinosa, se avete una passione; e credetemi,
che sarebbe un paradosso apparente, ma una sensatissima ra-
gione, quella di una donna che confidandosi ad un'amica di-,
cesse: ipoterei il tale., se non ne fossi innamorata. Per cono-
scere il carattere dello sposo, non vi accontentate di quello
che vedete voi: è naturale che in faccia ad una giovine ama<
bile si facciano anche degli sforzi per comparire amabile. Il
carattere si manifesta singolarmente colle persone che dipen-
dono da noi, perchè con quelle ci abbandoniamo alla natu-
rale inclinazione, laddove coi nostri uguali, e più coi mag-
giori, forza è contenerci. Un uomo orgoglioso coi suoi inferiori
può esser quanto voglia ofilcioso nella conversazione; T offi-
ciosità è una vernice, il fondo è dispotismo ed orgoglio, e la
di lui moglie sarà una schiava. Un uomo austero, indiscreto
colle persone che dipendono da Ini, può esser galante e ri-
spettoso nella società; ma, fatta che siate sua moglie, sarete
una vittima. Un uomo umano coi domestici , benefico, discre-
to, quand'anche fosse poco officioso o distratto nella com-
pagnia, sarà umano, benefico, discreto anche colla moglie.
Badate che non abbia vizio di giuoco; rarissime volte si cor-
regge tale inclinazione rovinosa. Se un giovine avrà amato
altri oggetti, è meglio, perchè saprete cosa aspettarvene;
li. %S
290 RICQKDI A MIA PIGLIA.
s'egli è slato costante, e di baona fede, arele .ragione di
pfomettervene altrettanto; ma se volnbìle, e conendo in
traccia delle novità ha tradite le passioni, ed ha cercata la
libidine piuttosto che Tamore, difendetevene. Le qualità d'imo
sposo che possono rendervi felice sono quelle dell' animo;
cuore sensibile, morale, onestà, grazia ed ingegno. Se voi
non poteste stimare il vostro sposo, sareste infelice^ un bel-
lissimo stupido, un bellissimo maionese uomo, vi rendereb-
bero insopportabile il giogo del matrimonio: ma conviene
altresì che una bell'anima non sia collocata in una figura di-
spiacevole. Badate anche aU' indole deHa famiglia: V orìgine
inOuisce sol naturale dei cavalli, dei cani e degli uomini;
la regola ha delle eccerioni, ed io sono interessato a soste-
nerlo; ma in generale è cosa degna di riguardo. Da unHme-
sta famìglia ove si viva con onorevole concordia, per lo più
esce un giovine buono: può egli riuscir tale anche da una fa-
miglia del tutto opposta, quidora, tormentato sino dai primi
anni dal vizj, e stomacato dagli inconvenienti di essi, si
animi d'odio contro del vizio stesso, ed a^racd la consola-
trice virtù. Un discreto patrimonio ognuno sa che è uua
condizione essenziale. Una famiglia non molto numerosa, e
formata da persone discrete, è pure «n bene da valutarsi. Aa*
che 1 natali simili ai vostri sono da considerarsi. Fere, se
dovete sortire dalla sfera vostra (il che non è bene), sarà mi-
nor pericolo il maritarvi scendendo che innalzandovi: è mi-
giiore la condizione di chi ha fatto un beneficio, che di chi
r ha. ottenuto. Soprattutto, caca figlia, scegliete senza la se-
duzione d'amore, e preferite i sentimenti alla figura, e il
corso della vita alle prime notti. Questo è in compendio il
po^ che so dirvi intorno al modo di- vivere bene col marito.
Per vivere bene col marito bisogna comparire amabile
agli occhi di lui. Dopo i primi sfoghi dell'amore, ooa donna,
per bella e giovine che sia, s'ella è trascurata, e se sconsiglia-
tamente si sarà abbandonata senza ritegno, avrà perduto per^
sempre le attrattive e i vantaggi che aveva. Conviene che il
pudore verginale sempre vi accompagni, e che le caste con-
discendenze che avete collo sposo non sieno mai né umi-
lianti per lui., per un' insultante freddezza , né una prostttu-
KIGOHBI A WA FIGLIA. 291
jEione sfrontata; ma siano condite colla modestia, animate
pìnttoste daUa sensibilità del caore, che dal fisico bisogno;
ÌBsonuma che lo «poso trovi in voi quasi il contrasto fra la
natura animale e la pudicizia, cosicché l'una goderebbe
delle carezze, se la seconda non vegliasse a porvi limite
e freno. Non permettete mai che lo sposo sfacciatamente
vi riguardi, oppur senza limite vi tocchi. Un velo, cara
figlia, un velo conviene che vi circondi; poiché un og-
getto pienamente conosciuto annoia aHa fine, statene certa.
Conviene usare delle moderate ripulse: talvolta l'uomo ha
piacere di essere sconsigliato dal troppo volere; e nel gra-
zioso rifiuto riconosce V amore vero della sua sposa che an^
tepone la sanità del marito al piacer proprio. Ma le ripulse,
le difficoltà siano giudiziose, amorevoli; non mai lasciqo
luogo al mortificante sentimento della vostra indiflìerenza. 11
momento medesimo della voluttà sia pgdico e virtuoso, e
porli seco il sacro carattere di una azione protetta dal cielo
e dalle leggi. In questa guisa il marito vi considererà più da
amante che da sposo svogliato. Noi nomini siamo fatti cosi,
che sconsigliatamente cerchiamo di possedere la donna senza
limite, e vorremmo vederla nelle nostre braccia abbandona-
ta; ma se ciò otteniamo,, bentosto diveniamo di ghiaccio per
r incauta che si é prostituita. A questo .contegno conviene
con somma accoratezza accoppiare la mondezza del vostro
corpo, al che non potete aver mai troppa attenzione: lavatevi
soventi volle, e cambiate spesso i lini che toccano le car-
ni: tenete monda la bocca e i denti, acciocché il vostro fiato
sia piacevole; in una parola, abbiate cura che niente sia nella
vostra persona di disgustoso, e nemmeno di trascurato, i re-
ciproci riguardi che si usano fra di loro i coniugi, contribuii
scono. a mantenere fra di essi un reciproco rispetto. In caso
però di malattia, ogni riguardo célsa; e voi dovete pensare
unicamente a difendere, soccorrere, sollevare il vostro spo-
so; poiché beneficando voi con tali servigj il marito, vi affé*
zionerete sempre più a lui, essendo il cuore fatto in guisa
che amiamo tanto più chi abbiamo beneficato, quanto più
abbiamo speranza di trovarli grati; e questo nuovo legame
vi stringerà più a lui di quello che potrebbe allontanarvene
292 RICORDI A HU FIGLIA.
in quelle circostanze la di lai immondezza accidentale. Ter-
minata poi che sia la cagione, ripigliate il decente contegno
abituale, e ve ne troverete contenta. Gò è quanto ho pen-
sato e sperimentato io per la felicità coniugale, riflettendo
alle sole relazioni fisiche: ora dirovvi quello che ho pensato
per le relazioni morali.
Un amante si tiene in Iena colla grazia e colla volnbi-
lità del capriccio, ma an marito pacifico possessore non si
conserva se non con 1* amicizia e colle piacevoli virtù. Ogni
uomo ha le proprie inclinazioni, chi alla musica, chi allo
spettacolo, chi atta poesia, chi ai cavaUi, alla caccia, all' eco-
nomia ecc. Variata è la scena, ma ciascuno di noi ha il sno
genio. Se la moglie si mostra affatto indifferente alla nostra
passione, e|la naturalmente si scosta da noi, e ci riesce meno
cara. La moglie accorta si studia d'informarsi in quella ma-
teria, e si presta con attenzione e interessamento a quel*
l'oggetto, o ai discorsi che ne derivano, e questa strada con-
duce alla confidenza, alla società del cuore, la quale nasce
da molta uniformità, e dal vicendevole interessamento per
quello che interessa il nostro amico. In questo perà conviene
che stiate cauta a non dare negli eccessi , come una signora
che ho conosciuto io, la quale, per secondare la passione del
marito pei cavalli^ andava colle sue illustrissime mani nella
stalla a prendere il tridente, ad adattar la paglia per cori-
carvi i cavaUi. Queste vili prostituzioni stomacane, e fanno
demeritare la stima comune. La vostra attenzione anohe per
le debolezze dello sposo debb' essere una nobile compiacenza
dettata dall' amicizia, non un' adulatrice abbiezione. Nella
società coniugale conviene saper fare di buona grazia dei
sacrifici, e mostrarvi serena in qualche compagnia che vi
annoj , e rimanere in villa o in città con buona grazia, an-
che sènza voglia; e cosi adattarsi al sistema del marito e
della casa, sempre nobilmente, e senza viltà. Le cose asso*
lutamente indecenti sono le sole che una moglie saggia può
e deve ricusare; nel rimanente» ella avrà somma cara di
adattarsi al genio del marito. Il vostro sposo avrà dei difetti
come ogni altro «omo, e voi dovete prudentemente opersra
io modo da correggerli, o almeno da moderarne te cattive
IlIGORDI A MIA FIGLIA. 293
consegaenze: ma questo conviene che si faccia con somma
arte e delicatezza: i yizj nostri non bisogna mai combatterli
dì fronte, ma si deve acquistar tempo e terreno con disìn-
voltora. Per esempio, il vostro sposò spende incantamento,
mosso da momentanei capricci, e poco dopo si annoia della
cosa comprata; se nell'accesso del capriccio gli contraddite,
attizzate sempre più la soa voglia, mostrate nn animo so-
spetto di dominarlo, ed egli diventerà diffidente. Trovate un
pretesto per differire ; non mancano mai almeno quelli di cer-
care se a minor prezzo altrove si possaaver lo stesso, ovvero
miglior cosa, ose altrimentimeglio si possa preparare un la-
voro: lasciate che il tempo ammorzi il momentaneo impeto,
eqaasi da sé svanirà la voglia; e vi ringrazierà d'avergli ri-
sparmiato uno sproposito. Lo stesso dico dell' ira e di ogni
altra impetuosa voglia: non vi opponete, scansate, ottenete
tempo, ed otterrete la calma. Conviene studiare il carattere
di vostro marito, e conoscere i momenti opportuni per par-
largli d'interessi o di cose di noia, e farlo con buona ma-
niera. Guardatevi soprattutto di non lasciare travedere mai
che vostro marito vi rechi nausea o ribrezzo : una parola sola
indiscreta su questo articolo potrebbe farvi perdere per sem-
pre il cuore di hii, e farlo rivolgere a cercare la voluttà fuori
delle vostre braccia. Cercate sopratutto la stima del vostro spo-
so; e questa non T otterrete ohe con la pratica costante della
virtù : rendetevi sempre buona, umana, amorevole coi dome-
stici, frenando la maldicenza, ma con nobile decoro; siate sem-
pre misurata nei vostri discorsi ; e risparmiando l'altrui ripu-
tazione, siate gelosa custode di nn segreto fedelmente riser-
vato: siate impegnata nei vantaggi del marito e della sua
casa, e otterrete la stima di lui sicuramente. Non dategli mai
motivo di sospettarvi» non che infedele, nemmeno sventata :
questo é il punto in cui una moglie diventa una schiava, e si
degrada senza rimedio ; e se mai, per miseria vostra, lo sposo
sedotto dalla novità di altro oggetto vi diventasse infedele,
cara figlia, in quel punto vi voglio un' eroina; e se noa lo di-
ventate, siete perduta: voglio che prendiate tale impero di
voi stessa, da non mostrarvi mai, con anima nata, istrutta del
torto che vi si fa; che non permettiate mai a veruno di par-
25*
294 BICORDI A MIA FI6LIA.
larvene, é sempre difendiate la condotta di vostro marito,
come se fosse innocente : qnesta maischia Ywtèt opererà in
modo, che al primo rafifreddamenta del capricm dì ìtàr mW
rerà con ribrezzo la donna per cai ha potato far torto ad una
moglie virtuosa , e verrà ad piedi vostri ad espiare col penti-.
mento e con amore il rammarico che vi avrà cagionato. Le
gielosie, le guerre delle mogli, non fanno che eternare i tn-
viamenti dei mariti. Rapporto al vostro animo, voi dovete
operare coi marito col metodo medesimo che vi ho indicato
per il vostro corpo ; cioè sempre qnalche angolo dei vostri
sentimenti rimanga adombrato ed oscuro; perché, sìccone
ho detto, an oggetto conosciuto perfettamente, si pregia
meno, per belio eh' ei sia, d'un oggetto Imono e bdlo b» in
parte velato. Di vostro marito parlatene sempre con amicizia
e con rispetto, e sopra tatto tenete per cerio che ki prima
ingiaria che sttc<^da fra i coniugati, rompe senza rimedio la
confidenza e l'amore. Uno sdegno, una vivacità, nn f^sporto
momentaneo si perdonano , sono un inconveniente insepara-
bile dalla nostra organizzazione ; ma on freddo disprezzo, un
odio tranquillo, una vera ingiuria, rompe irreparabilmente
l'amiciiia. Non date mai occasione al vostro sposo di essere
geloso ; e su di questo punto studiatelo bene, perchè talvolta
Tuono ben educato e sensìbile, per non mostrarsi indiaereto
• tiranno, soffre dissimulando, il che poi lo coadoce a cei^
care altrove qnell' amore, che non crede di trovar nella spo-
sa ; ovvero, dopo lunga pazienza, ha luogo uno scopi»o tanto
pia vioieato, quanto da più lungo tempo si va fonnando la
materia che lo cagiona. Badate minutamente, mia cara figlia,
eeome vostro marito accolga le persone che vengono da voi,
e con quai termini parli di esse qaando siete soli, e qoal fiso-
«MDia fiKCìa vedendovele intomo, e prendete norma da
questo senza aspettare una formale dichiarazioiie; rìsfiar-
nìando la quale, anzi prevenendotaiv libererete lo sposo da
un grave peso, e voi stessa sottrarrete da nn atto di deter-
minazìene, come donna buona « pendente, che adempie ai
suoi doveri, senza bisogno die le si ricordino. Siate sincera-
mente fedele, e aelia somma dei piaceri, ne godrete hieom-
[arabilmente più che ponendovi snH' infida, ftilsa, affanno-
RICORDI ▲ MU VIGLU. S9S
sisslma strada deUa galanterìa , di cui yi h* già scrìtto trat-
tando di^' amore. Se v'è pace, bene, e voluttà pilray cara
figlia, sia fra le care braccia della virtù.
La virtù deve essere la base della vostra politica : nella
famiglia non terrete mai proposito alcuno che possa accen-
dere la dissensione, non rìdirete mai cosa alcuna udita, né
racconterete cosa alcuna veduta, che possa animare la di-
scordia domestica : siate l'angelo della pace della casa; con-
eiliate gli animi, fomentate la benevolenza, animate quel
comune accordo, quella riunione, a cui solo le famiglie deb-
bono la pace e la prosperìtà ; e godrete della stima di tutti,
non che di quella pace e di quella prosperìtà che contribuite
a conservare. Che se i caratteri d^ parenti sieno tanto stu-
pidi o prevaricati, che la riconciliazione fosse impossibile, e
che, immeritevoli di stima, fossero incapaci di sentirla; al-
lora almeno ristrìngetevi a non servire mai di mezzo ad ac-
creseere il male : le cancrene inoltrate non sono più sensibi-
li, né capaci di guarìgione; ma é diiScile che voi illuminata
diventiate membro di una famigUa corrotta a questo segno,
a meno che il mento dello sposo non fosse un compenso. Vi
vuole coi parenti tanto maggiore cerimonia , quanto meno
mentano sentimento ; e questo è il partito col quale terrete
in riserva i vizj loro, nonr dando loro mai confidenza o di-
mestich^zza tale, onde osino di liberamente palesarveli. I sa-
lariali difficihnente hanno afiétto sincero pei padroni : 1^ or-
goglio è comune ad ognuno, ed anche la plebe sente che
sianso tutti fratelli e sorelle, e che la conditione di ^rvirsè
umiliante: per quanto sia buono il padrone, è sempre vero
che un domestico deve continuamente sagrifìcare il proprio
bene per lui. Caldo, freddo, pioggia, neve, sonno, fame,
stanchezza, sono mali che soffre chi serve, e ciò pei* un mi-
serabile salario che lo conduce alla vecchiezza a mendicare.
Non è dunque sperabile che questa classe d'uomini sia amica
deUa classe di altri uomini per cui vive male. Tenete per
certo che amicizia non ne hanno, né possono averne; onde
misuratevi. Siale discreta, siate umana, non amareggiate la
loro condizione, assisteteli nelle malattie loro; soccorreteli,
ma siale misurata; perchè troppa dimestichezza e troppa li-
296 RICORDI A MIA PIGLIA.
beralità, invece dì conciliarveli, li renderebbe insolenti e in-
sopportabili. Singolarmente colle cameriere guardate a que-
sto ; e se volete conservarle buone, siate benefica con misura,
discreta ma non confidente, e sempre nobilmente signora.
Coi figli ascoltate i dettami del vostro cuore. Leggete
gli autori che trattano dell* educazione fisica e morale. Ab-
biamo degli ottimi libri che vi proveranno quanto opportuna
ed uoiana cosa sia che la madre allatti i figli ; quanto dan-
noso e crudele è Y uso delle fasce, e tutte le attenzioni per
conservarli. La prodigiosa mortalità dei bambini, che per
mèftà muoiono prima d'aver compiuto Y anno, mortalità che
non si vede nella razza degli animali, prova che ì metodi
comunemente usati sono pessimi : quindi, invece di far auto-
rità, r uso comune è anzi un indizio di quello che si deve
piuttosto evitare. Su di questo proposito non ne parlate mai
in conversazione, perchè le vostre massime sarebbero una
satira indiretta dei padri e delle madri che vi ascollassero,
e la minor vendetta che potrebbero fare contro di voi, sa*
rebbe il deridervi come una sputa-sentenze, una filosofessa,
o una stravagante. Non abbiate mai il ridicolo progetto di ri-
formare le teste della moltitudine, né T altro non meno ridi-
colo progetto di giustificare voi medesima, quando battete
tracce diverse da quelle che segue chi vi ascolta. Seguite la
verità, la ragione, il cuore e non T usanza, in una parte cosi
importante, come è questa della vita dei teneri vostri bam-
bini; operate, e non fate dissertazioni; e armatevi di una
ferma e maschia virtù, perché il bene che farete loro, a mal-
grado del vostro modesto silenzio, vi cagionerà dei sarcasmi
e delle punture, e non degli ostacoli : ma bisogna avere un
nobile coraggio, e rendersi preparata a resistere agli urli
deir amor proprio altrui offeso. Io, sebbene nomo e deciso,
alcune volte mi trovai disperata per la vostra educazione ;
solo contro le opinioni di tutti, e singolarmente delle donne
che vi avevano in cura. Non vi farò un trattato ; vi consiglio
a leggere chi ne ha scritto, e a leggerne più d' uno; e vi dirò,
per regola generale, che i vostri veri maestri debbono essero
gli stessi bambini : badate ai loro gemiti, e astenetevi da
qualunque cosa che li faccia piangere; satollale la loro fame.
BICOBJM A MIA FIGUA. 297
riparateli dal freddo, riparateli dal soffrire ealdo, impedite la
troppa luce, il soverehìo mmore, vegliate perchè non soffra-
no, e siate certa che T istinto della natura è quello che ani-
ma i bambini ; e se negli adulti le voglie artificiose portano
ad appetire anche cose nocive, nei bambini ogni movimento
è il risaltato della semplice organizzazione che tende a con*
servarsi. Sabito che an bambino grida, cessate di operare
sopra di lai : non lo violentate giammai a trangugiare medi-
camenti nauseosi. Io non ho trovato di meglio, quanto l'uso
dell' etiope minerale. Se ne danno tanti grani quant' è l'età,
e talvolta si mescola col diagrìdio, porzione eguale all'età;
per esempio, se il bambino è di cinque anni, prendete cin-
que grani dell'uno, e cinque grani dell' altro; e questi dieoi
grani che non hanno sapore, confondeteli in un cucchiaio di
zuppa: il bambino li prende senza avvedersene, e i vermi e
le indigestioni se ne vanno. Credo bene una volta al mese
di fare questa purga, al momento in cui osservate, o debo-
lezza, o pallore, o lingua sporca, o fiato cattivo nel bambino.
I contadini, che respirano l' aria libera e non prendono che
cibi semplici, non hanno bisogno di arte medica per vege-
tar bene ; ma nella città, colla vita rinchiusa e con alimenti
alterati, forza è ricorrere ad un male per evitame un altro.
State attenta che non si accosti ai vostri bambini alcuno che
abbia commercio col vaioolo, e soprattutto medici, chirurgi,
barbieri ; sono persone sospette ; e ciò sintanto che non sia
terminata la spunta dei denti, perchè innestare prima di
questo termine mi sembra pericoloso, acciocché non cada
conteinporaneamente all'eruzione del vaiuolo, quella talvolta
violenta d' uno o più denti, e cosi la malattia artificiale non
combini con altra, o renda grave e forse funesta la provvi-
denza. Terminata la dentizione, sobito innestate; sia ciò
però non mai nei massimi caldi, né mai mentre il bambino
sia valetudinario. Tenete ì vostri bambini allegri, liberi ; la-
sciate uno sviluppo facile alla natura; in ^nessuna parte siano
compressi o violentati, né con busto né con legaccia, né con
precetti, divieti, penitenze, correzioni ; a ciò aggiungete il
moto, il cambiamento d' aria quanto più potete, la salubrità
dei cibi, brodi lisci, carni di pollo, erbaggi, farinacei, frutti
298 BIGORM A MU Wl€Mk,
bea malori, pane senta littiìte: evitate i delei, le eami, le
cose «Bte, salate, le salse forti, f^ areni. iBsomm leggete
il libro De l'éducalion phifsique des enfims; e Faltrir Lei €ii^
fmu éUvés sd(m Vordn de la mdwre. Leggete Loeke, Rona-
seaa, e formatevi on sisteiiia che Mm per l>ase la ragione,
la sperìenza, V amanita, senza badar ponto alle volgari opi-
nioni, che portano alla tomba la metà dei bandùni, àecogM
dissi, prima di nn anno, e lasciano in molti di quelli cbe so-
perano il cimento degli incomodi per tolta la vita :
zoppi, gobbi, infermi, deformi, sono cari pia cbe gli i
fratto delle iascie, non meno che della edoeanoiie. L'ilarìli
deUa mente, la libera giocondità del cuore, hanno s<»iflBa io-
fluenza «allo stato nostro fisico : se questo lo proviamo noi
vegeti e robosti, e già solidamente organizsati, non vi è
dubbio cbe anche più lo debba provare il bambino, il lu-
ciulk) gracile e delicato. Un bambino rattrielato, impaurile,
oppresso, digerisce male, e forma eonsegnentemeDle assai
male la vegetazione. Non vi è peggio quanto il voler correg-
gere, o aumiaestrare, formare ì lanciullL On misero bambino
che ascolta ricordi continqi sol tono della voce, solla viva-
cità dei suoi movimenti, soHa naturale disattenzione pel «e-
nmonìile, sulla scelta delle parole, e «olle proprie aaoni in
generale, deve o avvilirsi, o credersi incapace di far bene,
ovvero deridere o insultare l'indiscreto censore. Ndk pri-
ma età, tristo il bambino che compare on uomo prematom:
alla virilità egli sarà imo stolido; perchè se i movkneiiti del-
raniflM di lui sono tanto placidi da sopportare una perpetna
norma, scemato il primo impeto vegetale, rànarrà torpido ed
imbecille per mancanza di energia. Quegli sventurati che
nefla prima età sanno presentarsi composti, pronunziare uà
complimento, sedere decentemente, e da creature ben edu-
cate in un circolo, a me fanno tanta compassione, quanta i
cani di un saltimbanco, educati non pd bene di essi, ma per
quello defl' educante. Lasciate, mia cara figlia, che i vostri
bamboli vivano come vogliono, vadano per terra, corrano e
si rallegrino in ogni modo che non li esponga a perìcolo es-
senziale : teneteli lontani dal cader nel fiiooo, abbasso di
una scala, da una finestra ; nel rimanente lasciateli liberi ,
BtCOAOl ▲ MIA FIGLU. 299
non li contrariale; è men male che cadano, e ricevano
qualche contusione, di quello che sia conservarli eott' animo
angasUato. Per V edocazione morale poi, in ana parola vi
dico tatto : siate boona e onesta coi vostn bambini, ablnale
la stessa probità Qon essi, come se fossero nomini; e con
questo solo precetto avrete sbandito ogni soverdiieria, ogni
finzione, ogni prepotenza* Io ho fatto cosi con voi, e vi he
insegnata la monde col mio esempio : Roossean non mi pia*
ee, perchè il suo piano é an inganno costante, ed attornia il
sno Emilio da molti avvenimenti artificiali : se il giovine si
sveglia, conosce la soverchieria, si sdegna d'esser trattato
da sciocco, detesta il precett^nre. Prima base, la esimia fede
e probità nostra coi nostri figli, non mai delnai o sorpresi,
ma amati, compatiti, e beneficati da noL Nemmeno abbiate
la smania di renderli colti e dotti anticipatamente: la pianta
che predace fratti prematuri ha d'ordinario corta vita; e gli
organi d^la mente^ si logorano osandone avanti tempo ana
meno che qoelO della generazione. Mio fratello Alessandro
a vent'anni sapeva leggere e scrìvere senza ortografia, e
niente di più. Due sono i punti cardinali; il rimanente im*
porta poco. Procurare che la macchina vegeti sana, libera e
gioconda : <|Desto è il primo* Procurare che non germoglino
né falsità, uè siiKUilazione, né vendetta, aè odio, n^ prepo-
teosa, nò malignità, nò ingiustizia: questo ò il secondo
punto. A questi ogg^li essenziali volgete ogni vostra coia*
Se avete mezzo d'insegnare le linguQ ai bambini coU'usoi
farete loro un beneficio^ come io V do fal,to a voi} e vegliate
acciocehò ì domestici o altre persone non vi guastino i figli*
Se gli amerete (come son certo), darete loro una buona edu«
cazioiie, e ne caverete poi in fine il premio di essere una
matrona onorata dai vostri figli adulti, laddove le donnic-
ciuole prepotenti e sciocche, per V ambiziop^ di comandare
per alcuni anni ai teneri loi:o figli, in neompensa ben meri-
tata si trovano poi disprezzate come vecchie stordite* In ve-
rità, ò ben insensata qd impertinente la pfeteusione di al»
cuni parenti che si lagnano perchè i loro figli non hannp per
essi nò rispetto nò interessamento. La maggior parte dei
lìgli nobili potrebbe 4ir loro :— A voi non debbo nessuna ri-
300 UCOftDI A MU FlfiUA.
conoscenza per la yìla, poiché certamente voi non avevate,
né potevate avere intenzione di fare alcun bene6cio a me
che non esisteva. Nato appena, mi avete staccato dal seno
materno, e confidato a poppe mercenarie, quasi sdegnaste di
compiere meco questo dovere di natura. Mi avete lasciato
gemere legato miseramente daDe fascio che m' impedivano
il molo necessario ai muscoli; mi conservavate sporcamente
inzuppato nelle fecce, che tadvolta mi strozzavano la circo-
lazione del sangue, e la respirazione medesima. Poi, confi-
dato sempre alla discrezione di donne mercenarie, mi tene-
ste lontano da voi come una creatura noiosa ed importuna :
appena passati i primi anni, mi esiliaste dalla casa, che ab-
bandonai con amarìssima desolazione, e venni trsisportato a
convivere sotto il dispotismo di alcuni frati, o dì alcune mo-
nache. Ivi ho sofferto fante, sete, sonno, lassitudine, aflfonni,
percosse ; ivi la virilità è stata in pmcolo di esaurirsi innanzi
tempo per mille turpitudini : ivi i libri mi divennero tanto
odiosi, quanto il remo ad un forzato. La religione non mi si
stampò in mente, se non accompagnata da spettri, da larve,
e da ativcissime superstizioni. Mi lasciaste languire fino a
vent' anni in queir esilio, non mi richiamaste alla famiglia
che per non tenermi più lungamente lontano; e pretendete
da me amore, riconoscenza, cordialità? €osa mai avrebbe
potuto farmi di peggio un nemico?— I vostri figli non diranno
cosi, né voi me lo direte mai, perehé la base nostra é la be-
neficenza, la ragione, il cuore; laddove, comunemente, di
questa mercanzia non se ne conosce che il nome. Se sull'ar-
ticolo dell'educazione dovessi scrivervi di più, sarebbe inu-
tile quello che ho scritto : V anima buona ed Illuminata svi-
luppa da sé stessa i prtncipj.
Finalmente qualche ricordo vi darò sul proposito del-
l'amicizia, n mìo cuore é slato più volte tradito in folto
d'amicizia : ho provato che le persone che non dovevano che
a me solo, al mio entusiasmo per beneficarti, tutto il loro
stato, e che mi mostrarono tutta la sensibilità, mi hanno vol-
tate le spalle tosto che hanno creduto del loro interesse di
torio. Cara figlia, questa che sono per dirvi è una crudele
verità. Cara figlia, l' amicizia é comunemente una chimera.
RICORDI A MIA FIGLIA. 301
Una donna, giovine o vecchia, facilmente vi invidierà nel
secreto del suo caore ; e un nomo che vi esibisce amicizia, o
cerca l'amore, o, se non lo cerca, correte rischio di legarvi
con on essere insipido ed incapace di amicizia. L' imbecil-
lità umana è grande più che non pare : le menti per lo più
si voltano con un soflio di vento; pochissimi hanno veri sen-
timenti proprj. II miglior partito è quello di usare cortesia
ed onestà a tutti, ed amicizia non legarla con alcuno.
Se in questi liberi e brevi documenti non ho scritto cose
piò interessanti, attribuitelo primieramente air ingegno mio,
che non va più alto ; secondariamente alla massima, che mi
sono proposto di scrivervi per utilità vostra, non per mia glo-
ria, e di scrivervi con quell'amorosa ingenuità, che non si può
seguire qualora si stenda un libro da pubblicarsi ; e se questo
mio scrìtto coatribuirà a rendervi cautamente felice, e se vi
sarà come un testimonio dell' affetto qhe ebbi per voi sino
dai primi vostri anni , io sono pienamente ricompensato dèi
mio studio. Per renderlo più sopportabile dovrei ritoccarlo,
ma fprse vi sarà più caro avere il mio primo abbozzo origi-
nale come una memoria d' un vostro buon amico.
II. 1W5
MEMORIE
APPARTENENn ALLA VITA EO AGLI STUM
DI PAOLO FRISI.
305
MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI.
L' elogio del nostro illastre cittadino don Paolo Frisi lo
trovano gli assenti , lo troveranno i posteri nelle immortali
opere del sao ingegno: la Cosmografia, il trattato d'Algebra,
la Meccanica, le altre minori prodazioni ch'egli ha pabbli-
cate, conserveranno etema la memoria di lai. Chi intrapren-
desse a descriverci come e sin dove, penetrando egli nelle
scienze sublimi, dilatasse i confini della amana ragione; chi
ci esponesse lo stato nel quale egli trovò le scienze, gfi sforzi
da esso adoperati per tentare impensato cammino, le diffi-
coltà che se gli affacciarono, la costanza colla quale ardi af-
frontarle, gli ingegnosi ripieghi che immaginò per superarle;
chi maestrevolmente eseguisse un tal lavoro, presenterebbe
agli occhi éfi\ pubblico una maestosa pittura , in cui si ve-
drebbero raccolte le scoperte eh' ei fece, i nuovi spazj aperti
per esso alla mente degli uomini, e quanta riconoscenza e
ammirazione siasi meritato quest' uomo grande dàlia intera
umanità. Con questa mira (di determinare la stima che si deve
alla memoria dei veri saggi) scriss' egli dei Gallieo , del Ca-
valieri, del Necton e del D'Alembert, radunando in poco spa-
zio lo spirito di questi uomini sublimi spargo nelle opere loto;
ed egli ben poteva penetrare sin dove ascesero. Per offerire
un omaggio simile a un sovrano ingegno, vi vorrebbe un al-
tro Frisi, e la natura non è prodiga.
Un sommo Geometra, il di cui nome è tòcro nei fasti
dell' amicizia e del sapere; quei che, postosi di mezzo fra
Newton e gli uomini, fu il primo a sgombrare la sacra neb-
bia e svelame gli arcani; quei che difese Frisi pochi anni
sono, ha pronunziato già in Roma l'elogio funebre di lui. Io
mi limiterò a scrivere le Memorie della vita e degli studj suoi:
26*
306 MmOftU SOLLA TITA DI PAOLO FRISI.
io efae ebbi la sorte d' essergli amico, e di trovare costante-
meste in quel grand' noma nn amico; io che da impensata
sciagura vedo troncata quella dolce nm'one che sino dagli
anni della rimota nostra fancinllezza formata, andò, senia
interrompimento alcuno, crescendo sempre e confermandosi
per Reciproci olficj ed uniformità di sentimenti, cerco di ren-
dergli il tributo che posso : e sia questo degno di lui , degno
di que' puri ed onesti sentimenti che ci unirono , la Tenta.
Descrivendolo quale egli era , farò il ritratto d' un uomo ri-
spettabile^ caro a chi lo conobbe intimamente ; che beneficò
moltissimi, non fece male ad alcuno; fabbricò tutta da sé me-
desimo la sua gloria; buon figlio, buon fratello, buon amico,
buon cittadino; che fece un lodevole uso del suo talento,
del credito suo, del suo denaro; un uomo, insomma, che
sari un modello d' un' anima fermamente virtuosa. Egli ne'
suoi volami ha mostrato sin dove s' innalzasse nell' astrono-
mia, nella meccanica, nel calcolo: io scriverò quello ch'ei
non poteva scrivere; mostrerò come egli vivesse, qoai fos-
sero i suoi costumi e le sue azioni; e il mio lavoro senza
pompa verona d' eloquenza non sarà, lo spero, indiflerenle
agli uomini di studio, ai quali faccio conoscere un loro illa-
stre collega; né lo sarà alle anime sensibili, poiché quello che
scrivo lo sento.
Gli uomini del primo ordine, un. Galileo, un Newton,
un Frisi, non hanno bisogno di illustri antenati: pure, siccome
tutte le circostanze della vita loro piacciono, perchè quanto
ò maggiore il numero de' fatti conosciuti, tanto più speriamo
dì comprendere le vere cagioni della bro elevazione; cosi
non ometterò d' informarne i miei lettori. L' origine del no-
stro Frisi viene da una onesta famiglia Slrasburgbese. L'avo
di lui fu Antonio Frisi, che addetto al servizio militare morì
nella Lombardia, lasciando un figlio, Giovanni Mattia, senza
appoggio» senza parenti, in paese straniero, colla sola ere-
dità dello spoglio paterno. S' impiegò questi nel treno delle
armale, indi ottenne d'essere interessato in varj appalti ; per
il che fece una conveniente fortuna. S' ammogliò con Fran-
cesca Magnetti, da coi ebbe cinque maschi e due femmine.
Sedotto dalla lusinga di viver meglio, perdette il bene ch'ei
MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 307
possedeva. Egli arditamente abbracciò impegni maggiori deHe
sae forze, sMngolfò d'onde non poteva uscirne; le sventare
lo circondarono da ogni parte: mori lasciando a carico della
védova sposa sette 6gli, il principale patrimonio de'qoali
ftirono la saviezza, il caore e la prudenza d' ana madre ve-
ramente virtaosa, e l'ingegno e il giudizio di cui prematu-
ramente furono tutti dotati. Il primo fu Antonio, il quale
avendo fatto studio di botanica, di chimica e di medicina ,
cominciava a rendere operosi i suoi talenti , quando sul fiore
della età e sul liminare della fortuna la morte lo rapi. Il se-
condo fu Paolo, di cui scrivo le Memorie; Il terzo è il cano-^
nico teòlogo della basilica di Santo Stefano, don Antonio
Francesco, cbe s' è fatto nome distinto fra gli eruditi colle
illustrazioni pubblicate sulle Antichità Monzesi. Il quarto è il
signor don Luigi, canonico della imperiale basilica di San-
t' Ambrogio, versato ei pure ne'sacri studj e nella erudizione;
r ultimo fu Filippo, che per la carriera della giurisprudenza,
giovane ancora, mori regio Pretore, ed egli pure die saggio
del suo ingegno coir opera che pubblicò De Imperio et /u-
risdiclione. Questi cinque fratelli ebbero, come già accennai,
due sorelle *■ eziandio; e cosi era formata la numerosa fami-
glia del suddetto Giovan Mattia.
Nacque Paolo Frisi Tanno 1728 il giorno 13 aprile. Ap-
pena giunto a qtieir età in cui l'uomo comincia a far uso della
ragione, egli si palesò vogliosissimo d'imparare, tollerantis-
simo della fatica; niente dissipato, niente capriccioso, ma esa-
minatore attento d'ogni cosa. AIT età di tredici o quattordici
anni io mi trovava seco lui alle pubMiche scuole de'Barnabitl
in Sant'Alessandro, ed egli non mostrava niente di fanciul-
lesco. Esattissimo ai suoi doveri, paziente al lavoro, si di-
stingueva dagli altri, facendo meglio degli altri. Sin da quella
età frequentava la Biblioteca Ambrosiana, ed ivi passava le
ore che i suoi pari davano ai divertimenti, acquistando nuovi
lumi e nuove idee. La natura lo aveva organizzato per essere
un uomo di studio. Egli apprese tutti gli erroti che in que'
* Una di qneste sorelle sposò il nobile signore don Stefano Castiglione
Zaneboni; morì, e rimane dì essa il solo discendente per la madre dalla famiglia
Frisi^ per nome don Aicaido.
306 MBMORIB SULLA VITA DI PAOLO FBUI.
tempi s' innestavano nelle menti 4e' fanciulli; ma facile di-
venne poi il cancellarli, e rimaaegli Tabitiiazione alla fatica,
nel che consiste il pùncipal vantaggio che può ritrarsi dalla
edncazion volgare delle scuole. Air età .di quindici anni egli
entrò nella Congregazione de' Chierici Regolari di San Paolo,
o sia de' Barnabiti; ^ o fosse questa risoluzione presa per un
fervore religioso, o che a tal partito lo portasse la condizio-
ne domestica, o vi fosse indotto da' maestri, i quali distin-
guevano la esimia penetrazione della di lui mente, e anti-
vedevano r onore . che doveva fare al loro ceto un .giovine
che dava somma speranza: egli in quella Congrejgazione fece
i suoi voti. L' usanza allora di quel Collegio voleva che fosse
interdetto nel primo anno ogni studio ed ogni lettura scien-
tifica agli alunni; di che parlandomi più volle l'illustre ami-
co, mi palesò che quell' anno era stato per lui il più disgu-
stoso di sua vita, non avendo egli potuto imparare altro se
non la geograGa sulle carte, che per buona sorte, servendo
di ornamento alle pareti di quei chiostri, divennero libri
per lui. Terminate le umane lettere, nelle quali, e singolar-
mente nella poesia latina e italiana, erasi molto distinto,
passò ad ascoltare quella che chiamavasi Filosofìa, cioè m
impasto di opinioni aristoteliche e di immagjnazioni carte-
siane. J^aolo Frisi, che per istinto slanciavasi "verso della ve-
rità, smaniava non rinvenendola; e malgrado le promesse del
maestro, non trovava che parole o idee senza base. La inge-
nuità del suo carattere, la brama di istruirsi, lo rendevano ono
scolare che imbarazzava il lettore colle obbiezioni. S'intese
da esso nominare la Geometria come una scienza da cono-
scersi, l'ignoranza della quale indebitamente rimproveratagli
dal maestro, serviva di risposta alle obbiezioni , mancan-
done migliore. Paolo Frisi trovò nella Biblioteca del Collegio
gli elementi di Geometria, e ben tosto si avvide che qneHo
stadio era fatto per lui a preferenza: in pochi giorni ne scorse
e comprese gli elementi; si innoltrò da sé, ed avea già fatti
passi da gigante prima che se ne avvedessero i suoi colleghi-
Da Milano fa spedito al Collegio de' Barnabiti in Pavia
* Vestì l*«bilo di BaraabiU il giorno li luglio 1743 io Monia.
SHSnORIE SOLLA VITA DI PAOLO FRISI. 309
per fare il corso dì teologia. Egli, dotato di memoria pronta
e tetiace, lasciaTa nella scuola gli scrìtti che gli venìan det-
tati; e sebbene nella sua stanza fosse occupato dèlie materna-
tkhe, rispondeva al paro dè*sooi compagni alle questioni teo-
logiche , apprese in quel tempo soltanto eh' eì le scrivea e le
udiva spiegar nella sicuola. Ivi a Pavia fece conoscenza col
Padre Rampìnelli Olìvetano, matematico d'un merito distinto,
discepolo di Manfredi,' e maestro dell' Agnesi. La conoscenza
del Ramplnellr, le conversazioni che ebbe seco, giovarongri
molto per avere lumi e direzione ^ e per animarsi sen>pre più
nelle scienze esatte e sublimi. Per buona sorte gli era toccato
per maestro di teologia il Padre don Pietro Besozzi , uòmo
assai illuttiinato, e che fu il primo che nelle scuole di Sant'Ales-
sandro in Milano facesse conoscere le scojperte del New-
ton. Questo Padre Besozzi aveva un animo signorile: fa
sommamente considerato nella sua Congregazione; e non
è r ultima delle sue lodi quella d' aver egli conosciuto , amato
e aiatato il nostro Frisi, prima ancora ch-ei facesse que' pro-
gressi che gli acquistarono la celebrità, e V averlo sostenuto
contrTO ì pregiudizj ; giacché in que' tempi nella Congregazio-
ne de' Barnabiti e in tutta la Lombardia eran^ sconósciuti e
giacenti i buoni studj e le belle arti. Una falsa eloquenza la-
tina, uno studio di memoria nella teologia o nella ginrispru-
denza, erano le sole occupazioni api^Iaudite. Le matematiche
yeniran considerate cóme inutili e profane speculazioni, non
conformi alla monastica disciplina. Contro tali opinióni doveva
urtare il nostro Frisi , e non lasciarono esse , corredate anche
dall'autorità, di attraversare i di lui progressi. Gli ostacdì
arrestano le anime deboli, e rinvigoriscono per lo contrario
le anime energiche e non volgari; e tale si mostrò sempre
quella del mio amico. Egli, addomesticato già co' principj ma-
tematici di Necton, prese a svolgere la teoria della Terra; e
air età di venfidue anni trovandosi in Lodi ad insegnare la
filosofìa, compose la sua dissertazione sulla Figura della Terrà.
Questa prima sua opera dovea farlo conoscere dall'Euro-
pa,' e giudicare dm pochi sublimi matematici sparsi ne' suoi
Regni. Ha come renderla pubblica? L' autore era un giovine
sconosciuto. Egli viveva sotto il comando di persóne che non
310 MEMOBIE SULLA VITi DI PAOLO VRISI.
apprezzavano tali sladj. Mancava di ogni appoggio, mancava
di mezzi pet ìntfaprendere Y edizione d' nn libro di calcoli
inintelligibili allo stampatone, che non si espone senonaVibri
di pronto e sicuro spaccio. Era destinata a rìipanere eterna-
mente sconosciuta quest' opera, e fors'anco V autore sarebbe
stato costretto alla fine ad abbatadonare la carriera materna-
tic9, se non porge vagli soccorso il conte Donato Silva, «iva-
liere nostto milanese, che promosse i buoni studj, e giovò «
molti uomini d'ingegno. Ecco per qoal mezzo ciò si fece. —
Il dottore Antonio Frisi, il botanico, era caramente amato
dal Conte, ed aveva presso di hii la benemerenza d'avergli
giudiziosamente ordinato in classi Y orto botanico della sua
villa di Cinisello. Il Conte fn iL primo ad introdurre in Mila-
no il gusto delle piante esoticbe. Vivendo egli famigliarmenle
eoi dottore Antonio Frisi, seppe da Ini il lavoro che nn soo
fratel Barnabiti avea fatto, e le difficoltà che gì' impedivano
di pubblicarlo. Bramò di avere il manoscritto. Egli sapeva
abbastanza di geometria per aceorgersi almeno che Ja Ì)ii-
eertazione non era cosa volgare ; ai addos66 Y impegno di
larla stampare, come esegui in Milano l'anno 1751 dal Eic-
ehìni;e l'Accademia delle S<^ienze di Parigi, l'anno 1753,
aggregò il nostro Frisi Accademico corrispondente, avendo
egli non più che venticinque anni. Egli jfù, durante la sai
vita, sempre grato ed affezionatamente interessato pel(?onte
Donato Silva; frequentissimamente lo visitò sin che visse, e
in morte stampò l' elogio suo. Noi Milanesi saremo sempic
riconoscenti alla memoria di quel degno Cavaliere, all'opera
del quale fors' anco dobbi(imo l' onore di annoverare fra gli
illustri nostri cittadini Paolo Frisi,
Questa prima di lui opera ha il titolo: P. D. Paulli Frini
M^éliolanefuU, CongregalionU D. PauUi Clerici Regularit, ec»
J)Ì9qui$iUo Malh^maliea in eautsam Phymam Figurm el m-
gnilwUnis TeUuris noslra. — Mediolani, in Regia Curia, Sa-
periorum permiuu ,^MÙCCLly in*4<», pag. 66. L'oggetto di
quest' opera è di conciliare la teoria della gravità e della fona
centrifuga con le diverse osservazioni che sin allora eraitfi
fatte. Dimostra che sono inevitabili nelle osservazioni alenai
minimi errori di sessanta tese per ogni grado, d'un canlesi-
MBMORIB SULLA VlTà 01 PAOLO PKI8I. 311
mo di lìnea nel pendoto; Sviluppa la teoria che Newton avea
iodicata nei libro III, proposizioni t9 e 30 de' suoi Principj.
Calcola quanto diminuisca la gravità in ciascuna particella del
globo terrestre per la rotazione diurna; ne scopre una for-
inola nuova. Dà una solazton generale al problema déll'attra*
zione de' corpi rotondi, e l' applica a' varj casi per determi-
nare la gravità in ciascun punto d'una sferoide. Fa conoscere
che la Terra è una sferoide schiacciata , qual la dimostrò
Newton; trova la proporzione degli assi, la lunghezza de'
pendoli, la estensione dei gradi, de'paralelti e del meridia-
no a ciascuna latitudine. Quindi paragonando le osservazioni
d'Inghilterra, della Francia, della Lapponia e del Perù, fa
conoscere la esatta corrispondenza di esse colla teoria, poiché
le minime deviazioni dall'esattezza sono tali, che si cono-
scono iuevitabili nella pratica. Il segretario dell'Accademia
delle Scienze di Parigi scrisse all'autore: — En virile, MhH'
<ieur, à votr U d^uein que vou$ voiu éiUx propose, et plus
«acore à la manière doni il m'a paru qve v&us Vexéeuliex, je
iCawois jamais devine qvie votre ouwrage fai eehti d^un jeune
Maihémalicien. Ceti, Moneieur, eommeneer par &ù tee aulret
oii( eoutume de finir. (CoM riscontrò il signor di Foucby in
data di Parigi, 26 aprile 1782.) lì signor Francesco Maria 7.a«
notti da Bologna gli scrisse (il 22 marzo 1762): Pochi, poehie^
Hmi Itbri «£ veggono tudre alla luce cimili a quesio che F. Jl.
et ha inotai'O sopra la Figura dsÙa Terra. Io lo scorsi subilo
ammirando V infinito possesso che ella ha di tutte le ntatemoH-
cHe seienxe, e queUa f^onehexxa e speditexxa che è propria solo
M gran maestri. Lo sUsso giudizio ne ha dato poi Eustachio.
m<é nipote, che è astronomo, ed ha voluto leggere U libro von
P<ù agio. Ed egH ed io siamo presi di aUissima stima del raris-
*ifM e singoiearissimo ingegno di Lei, ec.
I forestieri che cercavano di conoscere questo giovine
^l^abita, le cosfucue Accademie che lo aggregavano, le
<M>rrispondenze co' più distinti letterati del secolo che egli in
^ve s'era procurate, annientarono tutti gH ostacoli ch'egU
«veva trovati fra' suoi ««Sleghi; aaii l' estempio produsse in
<Mla Congregazione un cambiamento negli studj de'giovaAi,
niUentò le istanze de' vecchi sul punto delle loro antiche pra-
312 HEMOBIE SULLA ¥1TA DI PAOLO VUSH»
tìche; (alche insensibilmente crescendo ilbaon paiiUa, e rin-
forzandosi con nuove aggregazioni, si fidassero gli stadj de'
Barnabiti a tal coltura, che quella Congregazione oggidì è il
primiero ornamento della nostra patria. Matematici profondi,
flsici giudiziosi; oratori sacri, colti e maestri de' costumi;
poeti energici e facondi; abili maestri d'architettura, d'idrao-
liea e d' altre facoltà ; tutto ciò ritrovasi oggidì ne^ CoUegi
de' Barnabiti.
Nella città di Casale nel Monferrato la filosofia s'inse-
gnava da un Barnabita; la Congregazione ne presentava tre ,
ejl Re ne sceglieva uno, che si considerava regio professore.
Questa scelta cadde sul nostro Frisi, che i Barnabiti aveva-
no nominato il primo per giusta premura di fare onore al pro-
prio lóro Ordine. Ivi egli conobbe il conto Radicati, nomo di
sublime ingegno, profondo matematico, colto letterato, di coi
non si valutavano nella città che i difetti della vivace soa in-
dole. Conoscerlo e affezionarsegli furono nel nostro Frisi doe
avvenimenti poco <liscosti T uno dall'altro. Il Conte divenne
suo amico; trovarono e l' uno e 1' altro la soddisfazione di
parlare con chi intendeyagli; la bontà del carattere dell' un*
e deH' aliro strinse la loro^unione. Radicati fececono^erela
coHa letteratura a Frisi, che allora era semplicemente, male-
malico. La vicendevole loro affezione ne formò due amici
che erano sempre insieme. Questa unione dispiacque ai ve^
chi Barnabiti. Trovandosi il. nostro Frisi al servigio, del So-
vrano in qualità di regio professore, non credeva che gli
disdicesse o gli si potesse impedir l'amicizia con un signore
di nascita illustre; ma s' ingannò, e gli convenne partirsene,
perdere \^ cattedra, e passavo a Novara colla carica di pre«
dicatore e coli' obbligo di farvi le annuali prediche e recitarla
La Congregazione de' Barnabiti non ebbe, mai lo spirilo di
persecuzione: dopo pòchi mesi venne don Paolo Frisi riposto
nella sua carriera, e collocato ad insegnare la filosoOa ^
V Università di Sant' Alessandro in Milano l'anno 1763, ove
rimase per tre anni.
L; opera della Figura della Terra, alla quale doveva iJ
nostro Frisi la celebrità, e di cui avevano fatta onorevolissi-
ma menzione i Giornalisti di Lipsia, quei d'Amsterdam e di
HEMORIB SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 313
Firenze, venne critfcata neir Italia da un Gesuita , dall' au--
lore della Storta Letleraria d'Italia, il Padre Zaccaria. Lo
storico considerando V attrazione come una ipotesi, spargen^
do dubbj, citando le opere del €lairautt, del Bouguer e d'al-
tri, e deplorando la degradata condizione degl' Italiani, un
di maestri, ora adulatori quasi delle dottrine d' oltramonte ,
indirettamente cercò di rappresentare il nuovo libro come un
ingegnoso bensì ma inconcludente lavoro, dettato dalla sma-
nia di sostenere le cose inglesi. Frisi fecegli una ytvace e
breve risposta , da cui ricavossi che il Gesuita non era ba^^
s(antemente geometra per intendere e censurare quel libro.
Non è da maravigliarsi poi se nel rimanente di sua vita non
ebbe amore pe' Gesuiti; i quali portando all' eccesso un prin-
cipio buono, che è la slima e l' affetto pel ceto loro; educati
dalla prima gioventù con opinione che tutto l' ottimo fosse
compreso nel loro corpo; intimamente persuasi che niente
meritasse vera stima, se non quanto o era in loro, o da essi
dipendeva; ofiTesero e Sarpi e Galilei e Giannone e Muratori
nell'Italia; Fontenelle, Pascal, Amault, Montesquieu, Vol-
taire, Helvetias e gli Enciclopedisti nella Francia; il che for-
mò poscia una generale cospirazione fatale ai Gesuiti, perchè
gli attaccò nella pubblica opinione , unico appoggio col quale
sostenevano quel maraviglioso ediOcio. Gli uomini di lettere
banno maggiore influenza nel destino delle generazioni ven-
tare, di quanto ne abbiano gli stessi monarchi sugli uòmini
vìventi. Spargono i primi semi de'lor pensamenti; sémi tardi
bensì a produrre, ma che nella gioventù s'innestano; e l'uomo
di lettere determina le opinioni del secolo che vien dopo di luì.
I libri de' filosofi son quelli che hanno finalmente costretto i
tribunali, malgrado la tenacità delle antiche pratiche, a non
incrudelire più contro le streghe ed i maghi, a non inferocire
conte torture, a non infliggere pene atroci per opinioni, a
limitare i snpplìzj ai soli casi estremi. I libri hanno resa ac-
cessibile al mèrito la strada degli onori, battuta in addietro
da chi scaltramente simulando adulava gli errori volgari.
Alle opere de'fìtosofì siam debitori scialle nostre infermità
ora assistono mediti illuminati é cauti, invece de' ciurma^
^ori ignoranti; se nel ceto degli avvocati la. pronta e il buon
II. 27
314 MEMORIE SOLLà VITA DI PAOLO FUSI.
senso veDiiero soslUaitì aHà maligna ed infida gravità; se
conoscendosi meglio la morale e i doveri dett'oomo e del cit-
tadino, r nomo soffre ahneno il rossore nel violar tai doveri,
e non si copre la perfidia imponila coir ipocrito velo d* una
sìmolata religione. Insomma i filosofi, trascurati, contrad-
detti, persegnitaii darante la loro vita, determinano aUaper-
fine la opinione; la verità si dilata, da alconi pochi si como-
nica ai molti, da questi ai pia; s' illaminano i sovrani, e
trovano la massa de' sudditi più ragionevole e disposta ad ae-
cogliere tranquillamente quelle novità che senza pericolo non
si sarebbero presentate fra le tenebre della ignoranza. La
opinione dirìge la forza, e i buoni libri dirigono la opinione,
sovrana immortale del mondo.
Le occupazioni del nostro Frisi, mentre fu lettore pub-
blico in Sant'Alessandro, furono degne di lui. Egli si pose
ad insegnare a' suoi uditori Tarté di ben ragionare; i prin-
cipi generali della fisica, che servono come di strade maeslre
a ulteriori studj ; i principi della morale , di cui ne stampò
un Saggio; e fu egli il primo che ardi pubblicamente soste-
ner dalla cattedra, che non vi erano né la magia nò le stre-
ghe;, e fu egli il primo che pubblicamente ne fece sostenere
le tesi, non senza qualche pericolo e inquietudine; essendovi
allora fra di noi la Inquisizione, armata tuttavia di uo potere
indipendente. Ma la celebrità ch^ egli aveva già acquistala,
e la benevolenza e famigliarità che avevano per lui le pe^
sene più riverite del nostro paese, servirono a pttfservarlo.
Egli era frequentemente e con distinzione accolto dal doca
Francesco di Modena, che governava il Milanese^ egli m
bramato nelle case più distinte e nelle migliori compagnie del
paese. Le sue maniere sempre ingenue e cortesi; la sua con*
versaiìone frizzante di sali, e abbondante di cose; la prudente
riservatezza e circospezione sua senza stento; la sensibilili
sua per ogni attenzione ch'ei ricevesse; la fermezza del suo
animo nel sopportare la mancanza dei mezzi, nobilmente o^
cattandola, e con una virtuosissima allegrezza ricusando ogni
«ssistenta che potesse recare altrui il mìnimo incomodo; ana
semplicità amabile, colta e originale di carattere, lo resero
sino da que* primi anni caro ai migliori conoseitorì del IB^
MEMORIE SOLLA VITA DI PAOLO FftlSI. 31$
rito. Egli amava la buona società, e vi sapeva vivere giudi-
ziosamente; e questo era appunto il lato per cui gl'invidiosi
TatUccavano, i quali,non contenti della illibata costumatezza
e della somma decenza che sempre F accompagnavano, fa-
cevangli rimprovero che gli studj e le occupazioni geniali di
Iqì non mostrassero quello spirito claustrale che se gì' impu-
tava a delitto di non possedere; quasi che 1* incauta o forse
necessaria determinazione, presa nella inesperta età di quin-
dici anni, potesse rendere colpevoli in un grand' nomo le
azioni le più innocènti; quasi che fossero sempre componibili
l'energia somma dell'animo, che audjicemente affronta le
difficoltà onde è attorniato il vero, e la mansuetudine clau-
strale; quasi che facilmente si accoppiassero nell' nomo me-
desimo sommo ardore di gloria capace di reggere alle mag-
giori fatiche, e indiflferenza per la propria oscurità. Tali sono
i paralogismi co' quali l' invidiosa mediocrità fu sempre so-
lita d'accusare gli wHnini sommi , concitar loro l'odio volga-
re ,.6 ridurli all'ostracismo. Ben se ne avvide il nostro Fi-
losofo, e cautamente cercò di sottrarsi ai pericoli, procurandosi
una cattedra che, rendendolo stipendiato d' un Sovrano , lo
staccasse onorevolmente dai doveri d' uno stato , pel qude ,
sebbene noi dicesse mai , egli veramente non aveva genio
dicano.
Il conte di Richecourt governava la Toscana, monsignor
^rati dirigeva l' Università di Pisa, ambidue uomini di vero
inerito, e conseguentemente amici degli uomini di merito. Il
nome del nostro Frisi era noto nella Toscana, l' Attica del-
l'Italia, ove lo studio delle Matematiche era in onore. Con
questa fortunata combinazione non fu impresa difficile pel
nostro Frisi Y ottenere una cattedra nella Università di Pisa :
inflitti al principio dell'anno 1756 passò a Pisa Lettore, allo
stipendio dell' Imperatore Granduca. Sinch' egli viase, fu ri-
conoscente al Conte, alla memoria di lui, a quella di monsi-
gnor Cerati » come sempre lo fu al conte Donato Silva e al
conte Radicati. Ciascuno che aUbia conosciuto il signor abate
Priai pii5 jtarmi testimonio se dei nominati sempre ne par-
lasse con amore, stima e riconoscenza distinta. Né il tempo,
^^ la cessazione del bisogno non alterarono mai la più co-
316 MBMOBIB SULLA VITA DI PAOLO FRISI.
stante e impegnata gratitadine eh' egli teneva scolpila nel-
r animo verso coloro che avevangli fatto del l)ene. Posso at-
testare che non mai V ho vedato nemmeno paziente , che in
faccia saa taluno prendesse a ridire a qualche azione di per-
sona benemerita verso di lai; e ciò era on principio talmente
innestato nel suo carattere, che per riconoscenza nemmeno
permetteva su di ciò nna libera e pacata ricerca della verìti
Io ricordo un difetto della di lai filosofia, ben me ne avvedo;
ma so pare che ogni anima virtuosa glielo perdona facilmeD-
te. Non ho conosciuto nn altr' nomo sul qaale la ragione po-
tesse tanto qaant'ella poteva suir animo di don Paolo Frisi,
al segno che compassionevole e umanissimo verso chi soffriva
mali reali e fisici, derideva qaasi chi s'assoggettava a sof-
frire per debolezza e per opinione; tanto era egli alieno dal
provarne, tanto poteva sopra di lui la ragione; ma la ragione
primordiale d' essere virtuoso e grato ai beneficj gli vietava
assolutamente l'uso della ragione medesima, qualora si fosse
adoperata per togliere qualche cosa al credito d'un nomo
benefico.
Fatto adunque Lettore di Pisa, appena giuntovi , secon-
do r a$o di quella Università, gli fu recato un semèstre anll-
oipato dello stipendio. La prima volta fu quella in cui si trovò
possessore d'una somma che parevagli immensa: io lo so da
lui stesso, che più volte me lo rammentò. Egli aveva sofferto
sino a quel momento le angustie, senza lasciarlo vedere
giammai; ma la gioia che provò in questa niotazione non fu
certamente quella d'un uomo volgare. Se gli affacciò alla
mente la rispettabile sua madre , donna di animo e di viriò
superiori alla fortuna, a cu! allora appunto era mancato Fonico
sostegno, con la morte del medico suo figlio primogenito. Se
gli affacciò la famiglia; i fratelli, altri da collocare, da edu-
care altri: s' avvide eh' ei poteva ricompensare i beneficj che
aveva ottenuti dalla degna sua madre, giovare ai minori fra-
telli ch'egli amava, e rendersi il benefattore di sua famiglia-
Tai deliziosi sentimenti provò queir anima virtuosa, e questi
costantemente lo occuparono persino che visse, e a qiMSti
sacrificò sempre ogni voglia di vanità o di caprìccio , se por
ne nacquero nel di lui animo, di che non mi son mai avvedalo.
MEMOHIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 3l7
Instancabilmente destinò il profitto de'saoi talenti a tal no-
bile oggetto, e ne fa meritamente ricompensato non sola-
mente coir amore e colla riconoscenza, ma col buon nso che
i fratelli fecero delle cnre di Ini, corrispondendo alle speran-
ze, svilappando indole, costume, talenti» quali sì ricbiedera-
no, accioccbé si compiacesse queir uomo grande de' consaur
guinei cbe gli diede la nascita , in buona parte formati dal-
l'esempio delle viHù di lui. Egli però, sebbene amasse di
parlare della sua famiglia, della madre, de' fratelli, delle so-
relle, non lasciava conoscere giammai d' aver avuta parte al-
tana nel beneficarli: la virtù sua modesta, semplice, nemica
del fasto, evitava ogni pompa. Non è facile il rinvenire al-
tr' uomo più economo e più generoso nel tempo medesimo del
nostro Matematico: egli in sua vita non ha gettato mai per
caprìccio; non ha mai lasciato mancare ciò che esigesse la
maggior decenza nella sua persona o alloggio: il rimanente
lo ha utilissimamente impiegato a vantaggio de'suot, i quali
non gli laart^iarono bramar certamente più riconoscente corri- .
spondenza. Egli infatti nella sua famiglia fu sempre amato
non solo , ma venerato qual padre, e assistito con la più amo-
rosa tenerezza. È difficile il ritrovare una famiglia, nella quale
si vivesse con maggiore cordialità e decenza di quella che
ho più volte ammirata presso i signori Frisi.
Ma tornando al nostro professore in Pisa, la prima e più
stretta amicizia che in quella città ei formò , fu col celebre
signor dottor Tommaso Pereili. V'erano allora in quella uni-
versità il dottor Seria , il P. Berti , e altri nomini , nella so-
cietà de' quali ottimamente viveva il nostro Professore in una
città men clamorosa di Milano , e perciò appunto più confa-
cente agli stodj. Vi si pose a soggiornare poi il conte Fran-
cesco Algàrotti, e vi morì: la ìntima società in cui visse col
nostro signor Frisi, l'amicizia che aveva per luì , contribui-
rono a fargli preferìre la dimora in Pisa. Il signor Ferner
Svezzese si trattenne lungamente pure in detta città di Pisa
per profittare della compagnia del nostro Matematico. Yarj
forestierì di merito fecero lo stesso , e tutti procuravano di
conoscerlo. Due fortune letterarie toccarono al nostro Frisi
in quel primo anno del suo collocamento a Pisa. La prima fu
318 UBMOBIE SULI.A VITA DI PAOLO FRISI.
che dalla Reale Accademia di Berlino venne premiala la di
lui Dissertazione sul molo annuo della Terra, con una meda-
glia d'oro del peso di once sei.^ Il quesito ohe la Reale Acca-
demia di Berlino aveva proposto, era: — Se il moto diamo
della tèrra sia sempre della stessa rapidità; come ce ne pos-
siamo asàcurare; e quando mai vi fosse disuguaglianza, quale
ne sia la cagione. — Questa sublime questione comprendeva
la precessione degli equinozj, la nutazione dell' asse, la va-
riazione dell' obbiiqoità dell'Eclittica, oggetti che sempre più
poscia andò sviluppando il nostro Astronomo durante il corso
della sua vita. L'altra fortuna letteraria l'ebbe dalla Impe-
riale Accademia di Pietroburgo, la quale dichiarò che fra
tutte le dissertazioni presentatele sul quesito da lei proposto,
relativo alla Elettricità , nessuno aveva meglio soddisfatto di
quella del signor Frisi, il quale, contento d'essersi meritalo
il premio proposto, s' era escluso dall'ottenerlo, poiché aveva
scritto in fronte alla Dissertazione il proprio nome. Egli aveva
già stampate in Milano V anno precedente alcun» Tesi sulla
Elettricità; egli aveva in mente una serie di sperienze da
farsi su di qnest' etere , le quali non ebbe tempo o occasione
d' intraprendere poi. Considerava l'Algebra come il miglior
mezzo per aprire i secreti della natura, e la paragonava al
denaro col quale si può fare qualunque viaggio , e senza del
quale si formano inutili progetti. Perciò egli riguardava le
esperienze, e sulla elettricità, e sulle arie, e sulle calamite,
e le stesse osservazioni celesti, come passatempi, a meno che
non si fosse formato da prima un piano, un sistema d' inve-
stigazione, siccome fece Newton analizzando la luce; e que-
ste curiosità medesime che ci presenta la fìsica le conside-
rava sterili maraviglie, sin tanto che sottoposte alla analisi,
e cimentate col calcolo, non se ne fosse riconosciuta la teo-
ria. Egli non si fìdava giammai d'un uomo , che mancando
della teoria pretendesse di supplirvi colla pratica: costoro so-
leva chiamarli empirici.
Queste verità, questi principi ch'egli ebbe fermi durante
' Al rovescio della tmmtgine del re ertri noe corona d'alloro eoo la kf*
genda: scibhtiauum bt litmakum ihcrehbmto.
MEMOBIB 80LLA VITA DI PAOLO FBlSf. 319
a saa vita) principi ch'ei non dissimulava, gli eccitarono
'avversione di molti. Gli nomini mediocri s' uniscono facil-
Dente contro dell'uomo grande, unicamente perchè s'accor-
lono d'essere conosciuti da lui per mediocri; e il volgo poi
i lascia sedurre dalla opinione riunita dei molti mediocri da
880 credati eccellenti. Un passero che vola sembra al ranoc-
hio che tocchi il cielo, e l'aquila lo vede strisciarsi sul fango
iciao al ranocchio. Gli attestati che dalle più autorevoli e
Qdipendentì Società dell'Europa venivano per annunziare e
loDOvar r annunzio del merito trascendente di questo nostro
ittadino, appena bastavano per imporne per pochi intervalli
Qa invidia. Eppure non aderenze di famiglia , non rìcchez-
e, non altri metti potevano conciliare le opinioni di Pietro-
orgo, di fierliiio, di Parigi, di Copenaghen verso d'hn clau-
Iraie mHanese. L'Accademia Imperiale dì Pietroburgo lo
lesse per socio in queir anno medesimo i756, e la Disserta-
ione salta Elettricità venne stampata negli Atti della Im-
eriale Accademia, e separatamente venne anche in Italia
nbblicata con te stampe di Lucc^ nel 1757.
Un secondo premio, non meno decoroso che importante,
ebbe dalla Reale Accademia delle Scienze di Parigi alprìn-
ipio dell' anno 1758 , allorché venne da essa coronata la Dis-*
ertazìone del nostro Frisi sul quesito proposto: — Se i corpi
elesti abbiano atmosfera , e posto che l' abbiano , quanto
'estenda. — Il premio fu di duemila e cinquecento franchi.
•a Dissertazione premiata ò un lavoro che forse da niun al-
n> fuorché da lui poteva eseguirsi. Sulle osservazioni de'più
elebrì astronomi provò che tutt' i corpi celesti hanno atmo*
fera; poi entrò a calcolare quai limiti dovessero avere in
irlù della universale e mutua gravità composta con la forza
BBtrifoga. Calcolò le atmosfere de' Satelliti di Giove e di
Giorno. Trovò che le macchie del Sole si rivolgono in un
'lupo periodico, e a distanze diverse dal Sole medesimo,
^vò, per esempio, che Y atmosfera di Giove, oltre due semi-
iametri e un quarto di Giove, non può avere una densità
'Qsìbile. Trovò che oltre trentaeinque semidiametri del Sole,
atmosfera di lui parimenti non può avere sensibile densità.
Nicolò l'altezza dall'atmosfera terrestre, la quale sette
320 MEmOUM SULLA TITA M PAOLO' mSL
l'eqnatofe ri limita a trentamaa tinqattuaAo tese parigine.
UùtM fl metodo di cakobre lo allaie dei moati cotte al-
tene del barometro. Trattò poscia ddle atmadere di Marte,
Venere e Mereurìo; e alia Lana ritrovò Y atmorim abani
non pia eiie on dodicesimo dddi lei diametro.
V anno medesimo 1758 Tenne associato il nostro Male-
malico alla Reale Accademia di Berlino. Onesta fa la «pmiU
iUostre Società che l'ascrisse, poìcliè già prima eia stala u-
norerato sodo dell' Institoto dì Bologna, e eorrìspoodente
della Reale Accademia delle Scienie di Parigi nel 1753, jioi
deOa Società Reale di Londra, e ddla Imperiale di Pietio-
borgo nel 1756. Un nooro eccitamento emanò dalT ìmperiiL
trono di Vienna, qoando avendo colle stampe di Locca de-
dicate al reale Arciduca Giuseppe, ora aognsto impeialoree
re, le Dìssertatienì sue V anno 1759, ebbe in dono ona col-
lana con medaglia d' oro, portante Y effigie dd medeano
sno Real Mecenate. In mezzo a tanti onori, i qoali avid»-
bero facifanenfe fatto nascere l'orgoglio nel coore d' od al-
tro, il nostro Frisi non cambiossi mai. Egli ^'oa definito «
aTOYa giodicato già di so medesimo ; né gli appUnsi né le
opporizioni non gli avrebbero fatta accreseero e dinùnùie
r opinione che aveva delle proprie forze: ei conriderara gli
applaosi e le opposizioni come fenomeni dipendenti da estone
combinazioni segregate da lai. Godeva del bene, e averi
l'animo sempre disposto a mirare le cose della vita dalblo
piò favorevole e giocondo : nelle avversità ei presentò seo-
pre mia fronte serena, nna sicorezza cbe partiva dal seoli-
mento, e da an animo non mai depresso. Modesto, discrelo,
ngnale sempre a sé medesimo, conservò verso degli amici t
verso degli stodj sooi, e sopratntto verso deUa saa famiglili
gli afletU e le core medesime anche ne' piò gloriosi momeoli
d^la sua vita.
I premi allenati e raccrescimento fattogli dello stipen-
dio di Pisa posero il nostro virtooso Malematico nella bn-
mata situazione di viaggiare l' Italia senza che per ciò man-
cassero i soccorsi destinati alla rispettabile soa madre, ed
alla soa cara famiglia. Egli dunque dalla Toscana passò a
Roma, indi a Napoli neir autunno dell'anno 1760. Il pap^
HKlfOIIlB SULLA VITA 01 PAOLO FRISI. 32t
Bezzonieo, Clemente XIII, volle consallarlo intórno le con-
troversie che allora più che mai si dibattevano in Roma fra
i Bolognesi e i Ferraresi, dipendentemente dal Reno ed altri
fiumi e torrenti di qu^e Legazioni. Egli formò il suo piano;
'ece indi la visita di quelle Provincie, e colle slampe di Lucca
Bel 1762 die poscia al pubblico il risultato di quanto jei ne
pensò. Quest'opera comparviB tradotta in francese, e magnifi-
camente stampata nella Stamperia Reale di Parigi Fanno 1774.
Egli opinò d' inalveare il Reno pel cavo Benedettino, e con-
darre altre acque di torrenti in Primaro. Queste proposi-
zioni vennero combattute da un nembo di scritture stampate
in Bologna , in Ravenna ed in Roma. 11 nostro signor Frisi
non volle combattere fra tanti partiti. Egli aveva per la sua
opinione i signori Gabriello Manfredi, Eustachio Zanotti e
Giacomo Mariscolti; ma anche allora la ragione rimase sof-
focata dalla moltitudine degli oppositori. Tuttavolta vi acqui-
stò il signor Frisi, oltre alcune rimunerazioni, una efficace
raccomaiìdazione del Papa in favore del signor don Antonio
Francesico, cui venne poscia conferito un pingue canonicato
nella Basilica di San Giovanni di Monza. Questo degno ec-
clesiastico neUa cordialità e impegno in prò della sua fami-
glia si mostrò d'animo uguale al maggior suo fratello. Profittò
egli in Monza dell* archivio prezioso d' antichi manoscritti ,
che in prima gelosamente si tenevano invisibili, e con fatica
ed accuratezza ordinatolo e trascritto in buona patte, con
varie Dissertazioni erudite ha già mostrato al pubblico qual
buon uso ei sapesse farne, e in breve ne vedremo produzioni
alteriori. Questi furono i beni che ricavò don Paolo dalla
Commissione delle Acque del Bolognese, dove in buona parte
( sotto gli auspicj d' un Cardinal Legato, uomo di Stato, che
antivedendo le benedizioni de' posteri, e ambendole, ha sa-
puto fermamente affrontare la forza d' inerzia e gì' interessi
privati de' contemporanei ) si esegui il progetto del nostro
signor Frrsi„ senza ricordarsi ch'ei ne fosse l'autore; il che
dimostra qual sia la sorte di lulU quelU che hanno proposto e
sostenuto qualche utile progetto in Italia; di essere contraddetti
a principio per ogni parte, e di essere appena ricordati quando
i^ progetto è stalo riconosciuto generalmente come utile ^ come
322 MBMOKIB SOLLA VITA DI PAOLO FUSL
80 di ciò scrìsse il signor Frisi medesimo. ^ L' abate Frisi
trovò quasi sempre contraddizioni, e talvolta amari disgwti
nelle eommissìoni che ebbe e in B^ogna e in Milano ed a
Venezia; e io non dìssimolerò che in qualche parte ve n'eUie
colpa. Avvezzata la di Ini mente agli stndj esatti, che ap-
poggiandosi a dati eerti, e con pari certezza legando varie
dimostrazioni, gaidano alle rìmote verità, ei rifintava d'ado-
perare le forze della sua mente in nessun' arte conghietto-
rale, come pure di fabbricare sulle probabilità. Ora la scienza
di -vivere colla maggior parte degli uomini è fondata sa dati
meramente probabili, quai sonoi reconditi sentimenti degli
animi altrui. Egli non adoperava pnnto la sagacità del suo
ingegno per antivedere se le verità idrostatiche e fisiche
ch'egli aveva trovate, sarebbero state bene o male aecoUe;
ei non calcolava il modo, il tempo, l' occasione per aanmi-
ziarle: le significava chiare e ferme, quali le avea conoscia-
te, e con buona fede ricercate. Quindi, In un affare nel quale
era entrato come idrostatico, si trovava impensatamente co-
stretto a sostenere la parte di uomo di mondo e di maneg-
gio; circondato da interessi privati contrarj, da gelosie di
mestiere, dall'amor proprio altrui irritato; e questa figuraci
non sapeva soslenerìa colla pazienza ed accortezza che con-
vengono per ben riuscirvi. Egli camminava dritto al bene;
promoveva il vantaggio pubblico ; cercava la solidità e sica-
rezza delle opere; e imparzialmente sosteneva quella che ri-
conosceva per buona causa , quasi che nelle umane questio-
ni, e molto più ne' pubblici affari , gli oggetti determioanti
fossero questi, e non piuttosto il risultalo delle opinioni e
di privati interessi di alcuni pochi, dalle quali forze combi-
nate ne risulla per lo più un partito che nessuno avrebbe
preveduto. Egli è vero però, che tollerò sempre con superi©
rità e fermezza mirabile le contrarie vicende e le ingiuslizie
che qualche volta dovette sopportare: cosicché sicuro della
propria rettitudine, irremovibile per nessun riguardo dalla
opinione che dopo maturo esame aveva adottata, presentò
un cuore costante ed innocente alle procelle, senza mai aver
la mente abbattuta, o dubitare di sé medesimo. Gostanza e
« Tomo II cklìe sue Opere. Milano 1783, pag. 400.
MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FBISI. 823
fermezza eh' egli non solamente ebbe nelle opinioni, ma ne'
sentimenti ancora più intimi dell'animo; perseverante ed
ìmmabile neir amicizia, neir affetto verso de' suoi congiunti,
nella benevolenza verso de' suoi scolari, nella riconoscenza
verso chi gli aveva fatto il minimo piacere.
Gli affari delle acque del Bolognese lo determinarono a
dividere quelle meditazioni, che in prima consacrava alla co-
g^nizione del sistema solare, coli' Idrostatica, sulla quale più
opere stampò, dedicandone un Trattato * al signor cavaliere
Giulio MosEzi, patrizio fiorentino, col quale s'era legato in
amicizia ; cavaliere di sommo merito pel suo carattere, poeta
sublime e sublime matematico, il quale aveva dedicato al no-
stro signor Frisi un trattato sul Rolamento momentaneo de'
corpi. Altre cose stampò, le quali vennero inserite nelle Rac-
colte degli Scrittori delle Acque. Die poi nuova forma alla
teoria dell'Idrostatica nell'ultima edizione della Meccanica,
pubblicata in Milano nel 1783. Non per ciò egli abbandonò
mai l'astronomia ed il sistema del mondo , che gli aveva frul-
lato una più tranquilla celebrità ; e colle stampe di Lucca
nel 1761 pubblicò il secondo volume delle sue Dissertazioni,
dedicato al serenissimo Duce di Genova signor Agostino Lo-
mellino, che egli onorava e amava sommamente, a cui fu
sempre caro il nostro signor Frisi, che mantenne sinché
visse una non mai interrotta corrispondenza con questo re-
pubblicano illustre, presso cui mirabilmente si riuniscono le
vaste idee di Stato e le precise delle scienze , la profondità
de' pensieri e il piò squisito sentimento del bello, l'amore
pel merito, e l'amabile gentilezza sociale.
Otto anni erano vicini a compiersi da che il nostro Fri-
si, domiciliato nella Toscana per cagione della cattedra sua
nella Università di Pisa, appena di volo aveva potuto visi-
tare in quest' intervallo la sua famiglia e la patria. Mancava
sempre qualche cosa alla sua felicità coli' esseme lontano.
Fortunatamente in quel tempo si cominciò a pensare alla
pubblica educazione della nostra gioventù, e a dar credito
alla derelitta Università di Pavia. Un illustre Milanese rico-
verato nella Toscana non poteva essere dimenticato, né lo
* Sumpalo in Firente 1770.
324 MWWMIIB SELLA TITA DI PAOLO FUSI.
fo. Gli Yeniie olferia la cattedra di matematica nelle Scuole
Palatine di Milano col medesimo stipendio che egli godeva
in Pisa, e l'accetta L'Imperatore Granduca nel concedefea
questo esimio Professore il congedo, Yolle onorarlo coli' ordi-
nare che sempre il di lei nome rimanesse scritto nel molo
de'Lettori di Pisa. D Senato diBoh^na, nello stesso anno 1764,
volle eleggere pare il nostro signor Frìsi come Leti ore ono-
rario dell' universale matematica; la qoal distinta onorificenza
tanto più comparve considerabile a chi ha notizia di qael Se-
nato , quanto chenon era limitata ad alcun tempo, né rislrelta
ad alcuna parte della matematica, come lo suol essere ad al-
tri lettori, a cui si conferiscon le cattedre per un IrleDoio,
dopo àtà quale, essi ne chiedono la conferma. Giunse egli
dunque a Milano, e fece la Prelezione nella primavera
del 1764, stampata neU' anno stesso in Mihino dal Galeazii.
Stavasi allora per innalzare la guglia, o sia torre fon-
data sul lanternino della cupola del Duomo di Milano, e que-
sto era il soggetto de' pubblici discorsi. Il nostro Matemali-
co, al quale non era forestiera l'architettura, non potè oc-
cultare il sentimento che gli cagionava un si folto progetto.
Mentre non è terminato il pavimento del Duomo , ma in parte
è simile a quello d'una stalla ; mentre la facciata è fatta per
metà, e pel rimanente móstra un rozzo acervo di sassi e mat-
toni; pensare a profondere ona cospicua somma di denaro
all'ornamento dell'ultima sommità, era un errore di me-
todo per lo meno. Egli disse poi , che non senza pericolo pò-
levasi aggiungere un tal peso ; che sarebbe stata fulminata
facilmente queir altissima torre ; che avrebbe resa deforme
la figura della chiesa. Ora ciascun vede eh' egli aveva fagìo-
ne, oche si sarebbe meglio fatto seguendo il suo parere. Ma
allora, per avere cercato co' suoi discorsi d'impedire una de-
formità veramente ridicola, fu esposto alla personale animo-
sità di alcun ingegnere, e di molti palrizj da colui sedotti;
quasi che il nostro Matematico tentasse di porre limiti al po-
ter loro sulla fabbrica della chiesa. Un'altra avventura espose
a maggiori amarezze il nostro signor Frisi. Egli, come regio
Censore, aveva approvato per la stampa un meschino Lana-
rio, nel quale da alcuni si voleva pur trovare della maligni-
HfiHORIB SULLA VITA DI PAOLO FUSI. S25
(à, perchè sì credeva opera di persona invisa. Fa posto pri-
gione r antere y perchè si credeva che non lo fosse, e palese-
rebbe la persona. Frisi si presentò a difendere un nomo che
era nelle carceri per di lui colpa. Si trattava della libertà
d'on onesto uomo, e della sussistenza della moglie e dei figli»
e del perìcolo di perdere lo stipendio col quale campavano.
Un uomo senza cuore e canto si sarebbe col silenzio posto
al coperto della procella in cui soffiavano venti troppo po-
tenti: egli osò di presentarsi, tranquillamente sostenendo non
esservi le supposte malignità, e in ogni caso costituendosi
egli colpevole, se nella stampa da lui approvata v'era colpa.
Si trovò volgarmente inopportuno un tal passo : i pochi uo-
mini di animo integro non cosi giudicarono. Ciò gli cagionò
molti dispiacerì. Io non racconterò vane altre simili inquie-
tudini, che dovette soffrire il signor Frisi nella sua patria «ino
agli ultimi periodi delta sua vita : queste vicende odiose me-
glio è coprirle a chi verrà dopo di noi. Le vite de' filosofi sa-
rebbero la véra satira de' loro tempi, se potessero scriversi,
o si dovessero, con cinica libertà. Da Socrate sino a noi gli
uomini sono stati ingiusti verso chi era voglioso d'illuminar-
li; e il signor Frisi, persuaso poi colla sperienza, negli ultimi
anni di sua vita a nessun costo non volle più accettare inge-
renza alcuna né per acque, né per fabbriche, né per cosa
consimile. Gli studj suoi, i suoi fratelli, i suoi amici (e ne
aveva) occupavano i suoi pensieri interatnente ; e riguardo
alla moltitudine, ei soleva frequentemente ripetere, che to-
sto ch'egli avesse loro usata la cortesia di morire, avrebbero
parlato bene anche di lui ; il che si è pienamente avveratOk
La verità sta ne' libri, e rare volte pure vi sta; l'uomo che
ingenuamente la presenti nelle cose ordinarie della vita, peg-
gio poi negli affari, s'espone ad una pericplosa carriera. Mi
guardi il cielo eh' io per ciò intenda di soffocare il generoso
entusiasmo dèi bene che anima gli uomini più benefici della
società! Cerco soltanto d'avvertirli, acciocché stien^reparali
alle offese, e si consolino' considerandole come un noioso,
bensì, ma sicuro e costante testimonio del loro ^merito.
Dopo due anni da che insegnava la meccanica e l'idrau-
lica ai giovani destinati alla professione d'ingegnere, egli
n. 28
326 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI.
chiese 'ed ottenne il permesso di cedere la Francia e l' In-
ghilterra; e qnesto viaggio Io fece Fanne f766. Egli a Parigi
ed a Londra visse co' primi uomini del secolo; girò per os-
servare i canali navigabili , e qoanlo aveva relazione al-
l' idraulica ; volle vedere e informarsi di quanto può interes-
sare un colto viaggiatore ; e vi lasciò molti amici dove in
prima aveva soltanto ammiratori. A Parigi , per parte del Mi-
nistro di Portogallo, forongli fatte proposizioni assai onorevoli
per indurlo a stabilirsi a Lisbona, dove si pensava sotto il
ministero del marchese di Pombal d'invitare gl'ingegni a
studj migliori; ma la famiglia, la patria, gli antichi amici
furono preponderanti nel di lui cuore. In queir anno venne
ascritto alla Reale Accademia di Stockolm. Mentre egli era
a Parigi, vi giunsero due altri Milanesi , il signor marchese
Beccaria , che s' era acquistata la celebrità col suo libro
De* Ddiiti e delle Pene, e seco lui mio fratello il cavaliere
Alessandro, col quale accompagnatosi il nostro Frisi ritornò
nell'Italia, indi a Milano, ove ei passava assai bene il suo
tempo. Era alloggiato nel Collegio Imperiale diretto da'Bar-
nabitir nessuna prescrizione monastica lo limitava. Un de-
cente appartamento, la libertà di accogliervi in qualunque
ora i suoi amici, e di visitarti, rendevangli caro queO' alloggio
offertogli da' suoi colleghi, i quali a gara cercavano di ren-
dergli accetto il convitto. Égli la mattina e la sera soleva
consacrarle a più ore di studio, il che regolarmente fece nel
restante di sua vita: esattamente faceva le sue lezioni; poi
visitava le migliori società, d^^ve per la prontezza deh suo
spirito e per le amabili sue maniere era assai caro. Osser-
vandolo tanto divagato nelle^case, pareva impossibile che
egli fesse 1' autore delle gravi opere che di tempo in tempo
pubblicava; e leggendo quelle opere medesime profondamente
pensate, pareva impassibile che il suo Autore vivesse buona
parte della giornata quasi un uomo immerso nelle distrazio-
ni. La noili era uno stato sconosciutissimo da lui: non appa-
riva nemmeno eh' egli soffrisse, qualora le profonde medita-
zioni de'suoi ^coli venivangli interrotte da chi entrava a vi-
sitarlo; non mai sarebbesi creduto, alla serena e vivace ac-
coglienza, ch*egli in quel punto abbandonasse la contenzione
MBMOBIE SULLA VITA DI PAOLO FBISI. 327
degli studj sablimi che stancano la mente ad ogni altro.
Mentr'egU cosi viveva, pubblicò in Milano^ nel 1768, il suo
libro sulla Gravità , libro che portò in fronte V augusto nome
di Giuseppe Secondo.
Quest'opera De Gravitale è divisa in tre libri. Nel pri-
mo trattasi della gravità de' corpi in generale; nel secondo
trattasi della gravità delle particelle della materia^ nel terzo
della reciproca gravità. Il primo libro apiega la teoria del
moto de' gravi, o liberamente cadenti o scagliati, la teoria
de' pendoli, delle forze centrali, ec.; il secondo libro esami-
na la figura della terra, le leggi della gravità , il flusso e ri-
flusso del mare e dell' atmosfera , la librazione ddla terra e
della luna; il terzo libro tratta delle disuguaglianze de' moli
de' pianeti. Il signor D'Alembert e il signor Bezout , facen-
do alla Reale Accademia delle Scienze di Parigi una rela-
zione di <|aest' opera, ecTÌsseroi'^ Quasi luiU questi oggelliyi
sono trattali con fMlodi affatto nuovi ^ servendosi defla sintesi
quanto era possibile il farlo. Vi sono idee nuove sul principio
della composizione delle forse, sul prM/ema della piik presta co-
duca, *u\ia osdlkusione e la percussione, sul moto deUe sezioni
coniche, sulV attrazione de* corpi sferoidici, sulle élemzionie
il tempo delta marea, suW aberrazione della luce tramandalad
dai Pianeti. — È cosa che fa onore e a chi seppe rendere
giustizia a un estero, riconoscendolo autore di idee e melodi
nuovi su i massimi oggetti del sistema del mondo, ed alla
nostra patria, che produsse un cittadino dotato d'ingegno
tale da oltrepassare a questo segno i confini, e dilatare le
umane cognizioni su tali argomenti. In queir opera istessa
trattò il nostro signor Frisi delle macchie solari poste a varie
distanze del sole; trattò pure incidentemente della luce zo-
diacale e della variazione di essa; esaminò la teoria del vento
fra i tropici, e T atmosfera lunare, quella de' pianeti, le altezze
misurate col barometro; esaminò alcune inesattezze del gran
Newton. I due celebri Accademici, continuando la relazione
aggiunsero : — L'Autore nel primo libro espone per una strada
inventata da lui la composizione de' moti di rotazione, e il metodo
per trovare V asse e la velocità di rotazione d*un corpo mosso da
qualunque forza. Nel secondo Ubro ei cerca qued figura debba avere
328 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FEISt.
la terra, supposta V ailrazione e supposto il moU> diurno;
e dalle osservazioni de* pendoli e dalle diverse misure de' gra-
di ne deduce che la proporzione de' due assi della terra è
come 230 a 231, e che V acqua e la terra aUa superficie som
meno dense d* un quinto che non lo è la media densità del-
la terra. La precessione degli equinozi, ìa nutazione deW aste
della terra e della Urna, sono oggetH dilucidati nel Mcondo
libro, e co*suoi metodi ne scaturiscono risultati conformi a
quei che un Accademico {iV signor D'Alembert ) aveva puWi-
caU. Si mostrano alcune inesaUezze che Newton e Simpson ave-
vano lasciate trascorrere nella soluzione di questi problemiM
terzo libro il signor Frisi abbandona il metodo di esprimere
le disuguaglianze de' pianeti con una serie di coseni d* archi
moltiplicali t e le esprime colle potenze d^coseni d*unarco me-
desimo , e con esso più comodamente calcola le disuguagUawe
lunari, il molo de'nodi^ e la variazione e inclinazime de' pia-
neti* Vi calcola il periodo della diminuzione della obbUqaHà
deW eclittica, e i limiti della massima e minima oMiquità, CciUa
teoria medesima dimostra che non potrebbero restare le orbile e
gU afelj di Saturno e di Giove quai sono, se laforzadiproiesto-
ne di Saturno continuamente non crescesse , e non deeresces»
queUa di Giove; quindi, ciò non dovendosi supporre, ne aceaderà
che il tempo periodico di Saturno crescerà, e diminuirà quello
di Giove. Noi crediamo che gli oggetti, e H modo col quale mr
gono traltati in quesV opera, meritino V approvazione delt Acca-
demia. L'Autore si fa conoscere un grande geometra, molto be-
nemerito per V Astronomia fisica. — Cosi i signori D'Alembert e
Bezout. Il signor Giovanni Bernoailli, nella Raccolta per ^i
Astronomi, tomo I, p. 20tf , qualificò qaest' opera sulla Gra-
vità ana delle più profonde ed utili opere in questa materia,
che abbraccia tutta la fisica celeste, e colla maggior possibile
chiarezza e brevità espone le più astratte teorie con metodi
inventati daUAutore, metodi de' quali l'applicazione ai casi
riesce interessantissima. Sarebbe inutile fatica s' io racco-
gliessi i molti onorevolissimi attestati che ottenne quest'opera
veramente esimia, poich' ella è bastantemente conosciuta dai
matematici. Basti per tutti quante ne stampò il signor Bailly
nella Storia delV Astronomia moderna, t. Ili, p. 308:-^* l'o^
HEMORIB SULLA VITA DI PAOLO ^RISL 320
Frisi, geometre d*I(<dìe, a parcouru tous les sujeU, a Iraitè
presque touUs leg quesUons: le recueil de ses (suvres est un
iraité lumineux et eomplet dei phénomènes célesles; son ouvrage
3ur la gravitalion est le seul'où le syslème du monde ait èté di-
veloppé dans toutes ses parties.
Neiranno medesimo, cioè neirautunno del 1768, il no-
stra Matematico passò all' Imperiai Corte di Vienna, dove
presso le più eminenti persone venne distinto ed onoralo. Fra
qoeste debbo nominare il primo il signor prìncipe di Kau-
ni(z , che senti vera stima per questo nostro concittadino ;
ravvisò lo spirito e il genio di lui ; si compiacque di conver-
sar seco , e conservògli sinché visse una ferma protezione.
Quantunque il gius canonico e le controversie di giurisdizio-
ne fra il Sacerdozio e l'Impero fossero materie affatto aliene
dalla professione del nostro Frisi, vi fu chi volle ascoltarlo su
tale argomento, che allora era uno de' primarj oggetti poli-
tici. Egli, istrutto com'era della storia, dotato di chiarissime
idee, si spiegò e scrisse anche, cosi comandato, con eviden-
za tale, che comparve nuovo un argomento cotanto dibattu-
to, e riuscì interessantissimo lo scritto suo. I principj suoi
furono i medesimi che vennero posti in fronée allora alla leg-
ge per cui fu proscritta la bolla in Coma Domini , cioè
Giurisdizione al Sovrano, Autorità alla Chiesa ; il tempo-
rale al primo, lo spirituale a lei. Alla opinione della su-
blimità del suo ingegno, provata dalle opere stampate;
alla stima dello spirito che ciascuno ammirò conversando
con lui , aggiunse il nostro illustre Frisi le prove della somma
illibatezza e generosità dell'animo suo, giacché non sola-
mente non volle chiedere grazia veruna, sebbene l'occasione
di essere accanto al signor Principe, che seco lo condusse
al suo castello d'Austerlitz, gli somministrasse tutta T op-
portunità; ma nemmeno volle accettare una offertagli rimu-
nerazione per risarcirlo della spesa del viaggio fatto a Vien-
na, poiché, in tal guisa, diceva egli che ne avrebbe perduto
il merito. Ivi ebbe campo di frequentare il signor don Gio-
vanni di Braganza e il signor cardinale Visconti, allora Nun-
zio a quella Imperiai Corte; il primo de'quali mantenne una
amichevole corrispondenza con lui, e il secondo potè dargli
28*
330 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI.
contrassegno ancor maggiore della sua stima e benevolenza,
interessandosi con felice saccesso per collocare canonico
nella onorevolissima Basilica Ambrosiana il di lai fratello
don Lui^i Fri».
Ritornato nella patria, riprese il fila de' snoi stod], e
oltre le assidue lezioni ch'egli dava a' suoi uditori nelle
Scuole Palatine, pubblicò con le stampe di Parma, nel 1769,
un Commentario sulla Teoria della Luna, concertato vicen-
devolmente coir illustre astronomo ed amico sincerissimo del
nostro Frisi il signor Daniele Melanderhielm Svezzese ; e
non dimenticando T importante stadio delle acque, pubblicò
un nuovo trattato de' Canali navigabili, dedicato al ministro
plenipotenziario signor conte di Firmian l' anno 1770» Le
Accademie di Copenaghen e di Berna in queir anno scrìs-
sero nel loro catalogo il nome del sublime ed instancabile
nostro Matematico. Ma dalla placida occupazione degli stndj
venne circa a que' 4empì distolto il nostro Frisi per diverse
pubbliche commissioni di cui fu incaricato. Venne egli cliia-
mato a Roveredo per decidere una questione dipendente da
un filatoio mosso coli' acqua, e provvedere l' acqua da bere;
quindi passò a Trento per una chiusa al torrente Fersina; poi
fu spedito dal signor Duca di Modena a visitare le montagne
fra Modena e Pistoia per costruirvi la nuova strada; poscia
dal Reale Governo di Milano fu inviato nel Cremonese, per
esaminare un progetto di navigazione dall' Oglio aU'Adda
sulla Delmona; e dipoi venne adoperato per eseguire lo
spurgo del Navìglio nella cittA di Milano. Fece un piano pel
Collegio degl'Ingegneri, cosi comandato. Fece altro piano,
comandato pure, per la Specola di Brera. Rispose ai quesiti
ohe gli vennero fatti sul nuovo Acquedotto di Genova. Wàtò
il fiume Tres^i, e giudicò deDa possibilità di riunire econo*
micamente i due laghi di Lugano e Maggiore con questo
emissario. Queste furono le varie commissioni che lo fra-
stornarono dal corso de' suoi studj dall'anno 1769 al 1774.
La fatica maggiore ch'ei sostenne allora fu nella livellazione
e disamina di varj progetti di canali navigabili del Milanese,
a ciò deputato dal Reale Governo per insiiiuanone della Im-
periai Corte.
MBMORIE solia VITA DI PAOLO FRISI. 33 i
È degno di memoria dò ch'egli fece a Roveredo. Si
Totle a lai deferire il giadizio di una questione che ioTolgeva
interesse di dae parti litiganti* Trattavasi di definire se on
sostegno posto recentemente in un fiame, attraversandolo,
raUentasse il moto saperiore dell'acqua a danno d'un mulino
già collocatovi. Lo asseriva il proprietario del mulino, lo ne-
gava l'interessato nel nuovo sostegno; e intendeva di dimo-
strare insussistente il reclamo, giacché dalla livellazione erasl
provato che il pelo dell'acqua immediatamente passando so-
pra del nuovo sostegno, riusciva più basso non solamente
del pelo d'acqua di contro al mulino, ma più basso ancora
del fondo stesso del fiume preso sotto la ruota del mufino.
Era dunque mestieri decidere, se un sostegno inferiormente
collocato, e più basso del fondo d' un' acqua movente una
ruota, potesse danneggiare il movimento di essa ruota e ral-
lentarla, In mezzo all'impegno delle due parti, dalle quaM
difficilmente potevasi aspettare una convinzione coli' addurre
le teorie, il nostro signor Frisi, con uno di que' semplicis-
simi ritrovati che sono proprj dell'uomo grande, terminò la
questione. Dispose che si tignesse di bianco un raggio della
ruota a fine di potersene da ciascuno facilmente contare le
rivoluzioni. Poscia portatosi collo parti contendenti di con-^
tro al mulino, avendo varj oriuoli gli astanti, si fecero re-
plicate osservazioni sul numero delle rivoluzioni che faceva
la mota in on minuto di tempo. Poiché tutti furono concordi
nel fatto, e che tante e non più rivoluzioni faceva la ruota
nello stato d' allora, ordinò che si togliesse il sostegno infe-
riore; e contate poi le rivoluzioni tolto queir impedimento,
e ripetutunente contate, ognuno vide che maggior numero
di rivoluzioni faceva )a ruota nel secondo caso. Conobbe al-
lora ciascuno che veramente il nuovo sostegno pregiudicava,
e venne tolto ; e si scopri in tal guisa un paradosso di più
neir idraulica. Cosi, risparmiando a sé medesimo i' odiosità
di pronunziare un giudizio, ingegnosamente operò in modo
che quasi spontaneamente la verità si manifestasse ad ognuno.
Ma nei canali navigabili progettati nel Milanese non fu
possibile r evitare V urto delle opinioni. Somme fatiche sop-
portò il signor Frisi facendo più livellazioni, e segnatamente
332 MEMORIE SOLLA VITA DI PAOLO FUSI.
quella dà Milano a PaTia; molte visite e lìvellasìonì fece
guir Adda e sul icanale che si è poi scavato a Paderno. Egli
introdusse V use del livello a cannocchiale, non senza con-
trasto de' vecchi ingegneri. Ma queste fotìche, queste brighe
trasportarono il nostro Matematico dal campo delle scienze,
ch'ei signoreggiava pacatamente, nel vortice degli affari,
ove trovossi esposto all'impeto d'interes» ed opinioni le quali
più volte gli fecero bramare il ritorno a' tranquilli suoi stodj.
Cosa ei pensasse e sol progettalo canale di Milano a Pavia,
e soli' eseguito a Paderno , ognuno può conoscerlo nel libro
della Meccanica, eh' egli dedicò nel 1783 al signor ministro
plenipotenziario conte di Wilzeck. In mezzo a questi labo-
riosi ed ingrati doveri, egli si consolava nella società degli
amici, e si ricoverava di temilo in tempo nella solitudine,
ove colla scorta della pia sublime matematica penetrando
ne' segreti del Sommo Arte6ce non per anco conosciuti dagli
uomini, contemplava la maestosa fabbrica dell'universo, e
assoggettava al calcolo le leggi del moto de' corpi celesti. Il
frutto di si profonde e memorabili meditazioni comparve alla
luce dalle stampe del Marcili in Milano, l'anno 1774, col-
r opera intitolata: Cosmographia Physica et MatkemaHea.^
Quest'opera veramente sublime dimostrò più che mai ai ma-
tematici d'Europa qoal precisione di idee, qual nitidezza
d'immaginazione, qual forza e perspicacia d'ingegno pos-
sedesse il nostro signor Frisi. Da molti e diversi elementi
risalire all' unità del prinéipio; dall'unità del principio scor-
rere con rapido e sicuro passa sulle diramazioni che ne de-
rivano; nulla omettere, tutto rappresentare, conoscere, cal-
colare con eleganza ; inventare quasi ad ogni fratto nooTÌ
metodi; manifestarsi signore della geometria ngnalmente e
del calcolo, e quella delle due strade trascegliere per coi pò-
levasi ottenere chiarezza e brevità maggiore; con dimostia-
zioni quasi tutte sue esporre sotto di un nuovo aspetto la
' Può ricordarsi come ooa cariositk, che Gemina Friiio , matematico 4ì
Lovaoto> stampò in AnTersa nel i5&4 una Cosmografia intitolata: Cosmogr*'
phia, »tve universi Ortis des^riptio. Questi due libri non si rassomigliano per
altro se non pel tholo e pel nome delPantore: sono doe accoli distanti nel tempet
e più forse ndla ragione.
MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 333
teoria del delo, e ciò con agevolezza svolgendo, e maneg-
giando maestrevolmente gli oggetti in modo da comprendere
in breyi dimostrazioni le più feconde e grandi verità: tale
fa il carattere che si riconobbe in questo grand' nomo, creato
dalla Provvidenza per vantaggio e accrescimento delle umane
cognizioni. Io non riferirò Y analisi di questo compiuto trat-
tato di Astronomia^ perchè non mi sento forza per degna-
mente scriverne, e perché talmente è conciso T Autore, che
Tolendosi raccontare la serie delle verità grandi che ci ha
fatte conoscere, si rischierebbe di scrivere poco meno di
quanto egli fece; essendo la sua maniera di dimostrare tanto
rapida e precisa, che il raccontare cosa abbia dimostrato
occuperebbe talvolta spazio maggiore della dimostrazione. La
Cosmografia è un' opera che non può essere compendiata.
Quest' opera comparve in due volumi in-quarto. Il primo
dair Autore fu dedicalo aUe Accademie che V avevano asso-
ciato, fra le quali allora appunto s'annoverò quella di Upsal.
Il secondo lo volle indirizzare ad alcuni matematici suoi ìn-
timi amici, cioè al conte Radicati, al cavaliere Mozzi, al
cavaliere di Keraillo, al signor di Sejour, al vescovo inglese
Walmesley, e al signor Melanderhielm.
Colla abolizione de' Gesuiti, il Collegio de' Nobili di Mi-
lano mancava di chi lo dirigesse; e il Reale Governo sosti-
tuì loro i fiarnabiti, i quali erano abituati a dar educazione
a' giovani nobili nel Collegio Imperiale ove stava V alloggio
del nosth) signor Frisi. Poi si trovò superflua la separazione
di due nobili Collegj, cessata l' emulazione, che forse poteva
essere utile quando erano due ceti distinti a regolarli. Il Col-
legio Imperiale venne destinato ad altro uso, e i nobili edu-
candi vennero trasferiti tutti alla Casa de' Gesuiti. Questa
inaspettata rivoluzione pose in molto imbarazzo il nostro
Matematico, il quale, dovendosi portare ogni giorno alla Uni-
yersità* di Brera per le funzioni della sua cattedra, alle quali
non mancava giammai, non aveva opportuno ricovero nelle
case del suo Ordine. Non v'era comodo collocamento nel
Collegio de' Nobili, disordinato per la fabbrica che vi si stava
facendo. Il Collegio di Sant'Alessandro appena basta al rico-
vero di quei degni Padri che vi alloggiano. L'altro Collegio
334 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI.
di San Barnaba potea prestar albergo ad nostra Malematico;
ma tale sitnazìone sarebbegli riuscita sommamente inco-
moda, Biassimamente ne' mesi d' inverno, attesa la disianza
di quel Collegio dall' Università. Volle cosi la necessità ch'ei
pmisasse a trovarsi alloggio nella eoa famiglia, erconsegaen-
temente a porsi quel vestito per cui non fosse indecente l'al-
loggiarvi. Non aveva egli mai avuto pensiero di uscire dalla
Congregazione de' Barnabiti, fra i quali viveva benisùmo, e
dai quali era sinceramente stimato ed amato. Nel Collegio
Imperiale egli stava decentemente alloggiato, e libero perfel-
lamente. Il maggior numero de' suoi amici era fra i Barna-
biti, che sentivano il pregio d'avere un collega tanto illustre
e buono, al quale, oltre la gloria cine ne derivava all'Ordine,
erano debitori dell' incremento de' buoni stndj coli' esempio
non meno che colle istruzioni. Il nostro illustre Frisi nem-
meno pensò mai sotto il facile pontificato di Clemente XIV
di cambiare vestito, giacché egli amava di vivere co' suoi
colleghi , e non fu poco i' imbarazzo per luì di dover pensare
a far casa da sé, e cambiare quel genere di vita che passava
tranquillamente. Pure l' accennata soppressione del Collegio
Imperiale lo sforzò a iinplorare la protezione del signor prin-
cipe di Kannitz, la quale con replicate istanze ne' principi
difficili del pontificato del regnante Pio VI finalmente gli
ottenne la focoltà di vestirsi da prete, e dipendere dall'ar-
civescovo sinché gli durasse la carica di regio professore.
Questa mutazÌ4Hie accadde nella primavera dell' anno 1*776,
e sì portò a convivere colla rispettabile sua madre, una so-
rella e tre fratelli , formandosi una famiglia di sei persone,
la quale disgraziatamente in otto anni si é ridotta ai dae
soli signori Canonici che oggi vivono. Quantunque però sol-
tratto dalla dipendenza, egli si considerò sempre come Bar-
nabita. Frequentava 1 CoUegj della sua congregazione; ani-
mava eolla sua presenza le loro funzioni scolastiche; ne' giorni
solenni seco loro si portava a convivere; e ne' tempi nei quali
la Chiesa rammemora la Passione, egli andava a celebrarne
i sacri riti oo'suoi cdlegfai, fra i quali trovò amici per la sua
gloria e. felicità sommamente interessati. Mentre ei venne
chiamato daHa Bepobblica di Venezia per esaminare alcani
MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRl^I. 335
progetti sulle acque deUa Brenta, egli propose per sostitalo
alia sua cattedra il Padre Racngni Barnabita, uomo dì cui
il nostro Matematico ayera vera e sentita amicizia. Poscia,
in altra occasione, dovendo pensare a supplemento per ma-
lattia, e non potendolo il Padre Racagni, occupato nelle ca-
riche deir Ordine, ci propose il Padre Salvioli, pure Bama-
iHta, di coi aveva opinione distinta: Egli fu che fece conoscere
il valor matematico del Padre Domenico Mariano Fontana
Barnabita, e contribuì a collocarlo in una regìa cattedra.
Nella meschina e affatto plateale ostilità che ebbe a sof-
rire il nostro illustre cittadino nella sua patria per le Ef-
femeridi^^ fra i Barnabiti trovò impegnati amici detta ve-
rità e del merito. Nella sua ultima malattia^ dai Barnabiti
ebbe le più amichevoli offerte d'alloggio, di soccorso d'ogni
sorta, non accettate, gli è vero, ma corrisposte dalia più sin-
cera riconoscenza, avendo voluto nelle ultime angustie della
vita l'assistenza de' suoi colleghi. Credo opportuna la me-
moria di questi fatti, perchè provano che le Comunità reli-
giose non sono sempre quali le suol dipìngere la maligna
incredulità, e provano a un tempo stesso la costanza e bontà
del carattere intrinseca al nostro signor Frisi.
Ho accennata la commissione di Venezia, ove fu chia-
mato nella state del 1777. Nelle Istituzioni della Meccanica,
ristampate nel 1783 in Milano dal Galeazzì, si può conoscere
lo stolto di quella questione. Egli fu distintamente premiato
da quella Bepùbbliea; ma le fatiche fisiche di livellazioni ivi
fatte sotto il cocente raggio del sole; la febbre delie opinioni
ed interessi, ancora più faticosa a soffrirsi per un uomo av-
vezzo a ricercare la verità con rapidi e sicuri metodi, ad
annoaziarla con fermezza senza cautela ed industria, posero
colmo al disgusto eh' egli aveva già concepito per gli afibri
pubblici; per modo che ricusò poi ogni altra commissione,
l)enché richiesto , e per affare privato a Piacenza , e per af-
* s'ingannò ti Giornalista pisano. La disputa non ebbe origine pel silenzio
degli Eflèaierìdi^i; Tebbe perchè asserirono indirettamente che il signor abate
Frisi non avesse fatto nulla nel problema dalla precessione degli equÌBoij.La c|Qe.
stione e tratUta nella lunga lettera data allora alle stampe, e nella lettera stam-
pata del padre Jacquicr.
336 MEIIORIB SOLLA VITA DI PAOLO FB1S1. ^
fare del Comune da ona città ittastre negli Svizzeri ; e tate
detenninazione era si ferma in lai, che neasmi riguardo pie
mai non Y arreUie indotto a dipartirsene» pretestando egli
la salate non piA. cosi ferma come negli anni passali. Quella
di Venezia fa veramente V ultima commissione eh' egli est-
gol; e prima aveva diretta in Milano la costruzione de* cod-
dottorì posti all'Archivio pubblico per ordine del Reale Go-
verno; il che non per altro debb' essere ricordato, se non
perché anche in questo egli ebbe il merito ili far conowere
il primo agli occhi del pubblico nella patria questo preserri-
tivo dai fulmini, sol quale stampò anche una Memoria in
quell'anno 1776, uscita dall' officina del Galeazzi.
I servigj che prestò alla patria V ottimo nostro cittadino
non furono pochi. Egli coli' esempio, colle lezioni, cogli
scritti, fu il primo che scosse dal sonno la nazione, presso
la quale inutilmente s'era mostrata la immortale donna Ma-
ria Agnesi, sottrattasi nella solitudine alla indifferenza de'dt-
ladini, e consolatasi colle opere di pietà, per non aver tro-
iata altra ricompensa ai voli del sublime suo ingegno fuori
che 1^ fama presso gli esteri. Erano ignote le nuove scoperte
nelle scienze fisiche e matematiche: il pensare era un vizio,
lo studio era imparare i pensieri altrui. Imitar Cicerone Del
giro e nella scelta delle parole; porsi in mente un numero
grande di leggi ed opinioni di dottori; esercitarsi a sosteneie
con animo imperterrito e contro qualnnque^ evidenza sua
opinione scolastica: questi erano i pregj, e quest'era il piano
d' educazione pubblica in que' tempi , peggiori assai di quelli
che avevano preceduto; poiché lo studio della erudizione e
della critica (de' quali i nostri padri ci hanno lasciati ono-
rati monumenti) era derelitto alla metà dì questo seeolo,
quando il nostro Matematico fece rivolgere verso Milano gli
sguardi de' filosofi d' Europa. Egli il primo affrontò suUa cat-
tedra e colle pubbliche tesi le superstizioni, le stregberjei
e simili errori; sostituì alle opinioni scolastiche le verità di-
mostrate; alle frivole questioni, la cognizione del cielo ede'fe-
nomeni terrestri; all'araba dialettica, l'infallibile calcolo.
Ne' Barnabiti si moltiplicarono i buoni studj, nella città si
dilatarono. Posto ad insegnare la meccanica, V archilettan
MEMORIE SOLLA VITA DI PAOLO FRISI. 337
e ridraalìca agli alanni ingegneri, ora ci lascia un collegio
in baona parte di snoi discepoli, i qoali operano per prin-
cipi» e possedono la scienza loro a onore non meno che a
utilità della patria. Fra le benemm^nze di lai merita pare
distinta memoria la bontà colla qnale accolse sempre i gio-
Tani di talento e studiosi, e T impegno col quale aiutò sem-
pre i progressi della coltura. Quella gelosa freddezza, che
ai giovani non per anco formati mostran talvolta gli uomini
di qualche nome nelle lettere, non Ai mai nei nostro eccel-
lente cittadino: ei si faceva un pregio- di contribuire alla
fama altrui. Il libro dei Delitti e delle Pene del signor mar-
chese Beccaria egli lo fece conoscere a Parigi, inviandone
un esemplare al signor D' Alembert r ei fu sedotto dall'ami*
ciEìa che aveva per me, e volle far altrettanto di qualche
altra mia produzione. E^li animava gli amici a scrivere, a
ripassare le cose loro, e darle alia luce; er tutte le di ini pre-
mure tendevano a promovere l' onor nazionale e la coltura
della patria. Ma questo stesso principio doveva renderlo alieno
dai lodare la mal fondata ambizione di alcuni, che pur cre-
devano d'essergli uguali, perchè avevan dato essi pure un
libro alla stampa; libri dimenticati un momento dopo, come
i fogli delle novelle, de'quai libretti v'era anni sono la smania
di produrne; e questa indifferenza di lui andava poi formando
uno stuolo di persone poco amiche del nostro signor Frisi,
che avrebbero voluto poter mostrare di non averne stima
appunto, perché avendone somma lor malgrado, non era loro
riuscito dì meritarla da lui. Qnai fossero le eccellenti lezioni
ch'ei dava ai giovani ingegneri, ognuno l'ha potato conoscere
dalle Insliluxioni di Meccanica, d'Idrostatica, d'Idrometria, e
d'Archileltura Statica e Idraulica ad uso della Regia Scuola eretta
in Milano per gli Architetti e Ingegneri; opera che egli stampò
in Milano presso il Galeazzi, 1777, sotto gli auspicj del Reale
Arciduca Ferdinando, governatore; opera per cui l'augusta
Maria Teresa con onorevole Dispaccio ordinò una gratifica-
zione all'autore. Comincia l'autore dalle teorie del moto uni-
forme o variabile; spiega i principj della composizione o ri-
soluzione delle forze; della discesa libera de* corpi ne' piani
inclinati; della progressione delie curve; del moto de' pendo-
li. 29
338 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FHlSi.
li'; della proiezìQDe; deireqniUbrìo; del centro dì gravila: poi
ci preeeata ana eccellente teoria mdl'ose delle niaccbine.8en-
f)lici e composte; ijakU applica i principi alla teoria della mec-
canica, cioè «di' architettura statica;, dà una nozione degli
ordini d'avchitettara; tratta della aolidità reale e della appi-
Teote; della resistenza de' corpi solidi; degli architravi; ée'
4eUi; della resistenza de' chiodi .e delle catene ; della tensio-
oe delle corde; del taglio delle pietre per le vòlte; della spinU
delle vòlte. * In segalfo applica all' idrostatica le leggi del-
l'equilibrio, de'flaidl; tratta del livello di essi; della pressione;
deUa gravità speoidca, e varj problemi da essa dipendeoU;
tratta deU'eqailibrlo, dell'aria col mercurio; delle misare deUe
altezze col barometro; del livello reale ed apparente. Passa
quindi all'idranlica: insegna la cagione del moto de'*flaidi, e
tratta del modo di calcolarne la velocità, esaminando i metodi
de' più illustri mal^natici. Tratta delle acque correnti; de'mi-
gliori slromenti per paragonarne la pressione, da coi dipen-
de ia velocità; spiega la restatensa dell' acqua, e la di vena
velocità delle acque correnti alla superficie de' fiumi ed al
fondo. Dopo ciò, con viste generali e con molta erudiaione,
tratta della direzione de' 0umi pnmarj, e delle diverse ma-
terie che seco postano. Poi ragiona di varj fiumi d'Italia, e
di, varj canali navigabili, e sopra. tutto dei milanesi: ooo
omette;però.quei di Francia, Fiandra, Spagna, Inghiltern,
Svezia, ec'L'imbocjcatura, la pendenza, la qualità de' soste-
gni, le macchine migliori per idpurgare il fondo, e simili og'
getti, sono discussi con mano maestra, con luminosi tocchi.
Il Giornale di Bouillon, anujanziando quest'opera, la. chiamò
' Il Giornale pisano dice che tu quest'opera l'abate Frisi confata a t«rt«
i metédi dati da Belidor, Coiapift e Basiat per ealcobre la apiata delle fólle.
Siccome però il metodo del Bessut d« risaltati diversi dal metodo degli altri òm»
cosi evi^eoteroente se ne dedure che non sono veri enlrambo questi roctodif e
che con ragione si può asserire che uno di essi h fallace. Se poi nn geomctia
ridunàqael prohlema Ài naso deik leya,'o del cnneo, o del piaao iadiatttìt n*
marra convinto che i melodi del'Belidor» del Couplet e del Bossut sono fallaci» <
meritavano d'essere, come fuiono, confutati. Lo slesso Giornale rileva l'espre*-
sione assolata della forsa centrifuga data dal Frisi, il quale ha forse data oaa
aigttificaaione troppo eatcsa alle forinole diflefenaiali del-rooto Tariahik» il 1"*'
difetto gli è comune con altri matemalk» di prima sfera.
IKMOH» SDLLA VITA DI PAOLO PIGISI. 339
digne fruii du traioaU d*un dèi piuf iavoM u^athémalieiens de
V Europe, et lr^s-€umréWMnt du phuuUìe ff^fetseur de V Italie,
Le opere che aveva date alia tace il chiarissimo nostro
cittadino , l' avevano palesato on sovranio ingegno n^e ma-
tematklie^ e nella fisica celeste e della terra. Un' altra cele-
brità doveva egli acquietar poi, mostrandosi elegante scrfltore»
critico illnminato,e nomo di molta erudizione. Rimasero mara^
Tigliati non pochi, allorché comparve alla tace il primt> saggio
dicoHa letteratura del nostro Autore, che fu l'Elogio del Otdi-
lee, dediesrto a4 Reale Granduca Arciduca Leopoldo, ' ti qual
Sovrano si degne di conservare nel molo delhi Università di
Pisa il Signor Frìsi alla cattedra stessa ove aveva seduto il
Galileo. In quest'Elogio ammirano i dottila scienza non me-
no che r erudizione dell'Autore, che luminosamente presenta
lo siato in cui Galileo trovò le umane cognizfioni; i mozzico'
qaali s' avvide degli errori comuni; la sagacità con cui seppe
rintracciare II vera e soslRoirto ai venerati sogni ; gH equi-
voci insepàraflili dai primi Dentativi ove il Galileo medesimo
traviò talvolta; le inquietudini che questo grand'uomo seffiri ;
in una parola, l'analisi dell' ingegno e delie benemerenze del
Galileo. Sul conto delle amareirze le quali soi^se Galileo ,
cosi si esprime: — In quésl'ammasso d'idee e di pregiudizi, di
raxioeifij « di paséioni, di eìrtò e di vt«f che avvolgono il genere
ummM, igenjrarie ^uhHmi^ non atendxi mai il disprezzo, hanno
sempre la emuÌasion€y e qualche valla il livore e là rabbia deg^
tiomJni p^ volgari,.,, ^a Socrate einoa Galiho, erano divenute
comuni le do^ianze degli uomini di kUere, d* avere nella lor pa-
tria m^Mor eònÈiderazione che olfroee.-^Questa maniera di scri-
vere non si aspettava da un uomo che supponevasi ùnicamente
oecuj^ato neHe proporzioni delle quantità. Alcuni gazzettieri,
non polendo criticare le altre opere di lui, l^enchè scritte In
lingua da essi non intèsa, si scagliarono contro lo stile di-
questa; e perché invece di scrivere declamazioni o antitesi,
BH^strevolmente seguivar la placida ragione, pretesero dt*
< Il prino Blofio che scrine il signor Friii (b qatll» di GahbrìBllo Ma»*
fccdi; ma siccome vejaae stampato unitamente alle Dissertaeioaà pubblicate in
Lucca , cosi passò per le mani di minor numero di lettori , e tpiello del Galileo
comparve come il primo.
3{0 MEMORIE SULLA VITA DI PAOLO FRISI*
trovarlo freddo e stentato, e, qaasi mancasse egli di lalenlo
per le lettere, procararono di screditare questo genere di elo-
quenza. 11 signor Frisi eompose V Elogio del gran Newton,
lo fé stampare in MUano, dedicandolo alla Reale Arcidachessa
Beatrice. Quest'Elogio è -scritto con energia e con eloquenza su-
periore ancora a fronte di qaello del Galileo. Il solo esordio lo
annunziaiT-^'ttomo virtuoso, Vuomo sensibile, l'uomo ragionaUh
re, leggendo e considerando le storie delle aniiche nazioni^ e tro-
vandovi una lunga serie di vizj, di barbarie e d'errori, s'alxa
molte volte dai libri, sdegnandosi e rattristandosi eoUa $l£ssa sua
specie. Per, poterne formare una idea migliore, e trovar degli og-
getti più consolanti, bisogna chfi si rivolga alla storia degli uomini
di lettere. La sacra luce deUa veritànon è spuntata che lentafnente
neUe civili società,.,.. Da per tutto vi sono state earnifieine e ear-
ne/Sci. Non vi è parte ancora più piccola del corpo umano in cui
non siasi trovata Varie di pqrtare i dohri più acuti; non vi è
prodojito, non vi è elemento della natura, che non 9iasi varith
mente imjnegaia per rendere VaUrui morte più lenta , e la vita
più tormentosa, ec. — Anche in quest'opera traspare la sen-
sibilità del nostro Autore. Come suol dissi de'piUori, che nelle
loro figure qualche imitazione sempre vi pongono della loro
pròpria Gsonomia, cosi gli uomini di lettere forz'é che lasci-
ne conoscere il loro animo ne' loro scritti.— /j Galileo, die'egU,
fu lungamente perseguitato; il Cavalieri, U Cassini, U Grandi
non ebbero obUigoiione alcuna aUa patria; tant'altri illustri Ila^
Uani vissero nella mediocrità,e non/urono onorali generalsnenle
che in morte. Il Newton fu conosciuto e onoralo da tuUalasua
nazione sino dalla prima gioventù. — Il nostro signor Frisi
poteva aggingnere il suo nome, come degno collega^ di que-
gl' illustri Italiani; sentiva di aver con essi una condizione
comune, e il vaticinio si ò compiutamente avverato eolla di
lui morte. In altro luogo di quell'Elogio, parlando degl'Ila-
lìani, dice che gli esteri non faranno mai un giusto c^ceih
del valore degl'ingegni italiani, sintanto che unicamente pa-
ragoneranno le scoperte e gli scrìtti; convenendo inoltre cal-
colare la mancanza di aìntr e. le somme opposizioni che si
sono dovute da noi superare. Egli incidentemente parlando
delle scuole d' Italia dice:— Affidale in quel tempo ai Gesuiti*
MEMORIE SULLA VITA Di PAOLO FRISI. 341
ridoUe ad una dUcipìinfi monaHica^ e sistemale c(m altre viste e
con allri fini- partìeiilari, erano ancora jriù oscure e caliginose.
Vi si cercava piik la subordinazione che la solida istruzione dei
^vani.... Due Gesuiti di maggior nome, il Riccioli ed il aran-
domi, avevano impiegalo la mediocrità deloro talenli per rica-
vare due supposte dimoslraxioM delVimmobilità della terra,-^
Il Gesuita Castel nella Francia s' oppose alle teorie del New-
ton sulla luce e sulla gravità. 11 Gesuita Gouyé attaccò i cal-
coli dell* infinito propostici dal Newton. Il signor Frisi nou
era punto contento de' Gesuiti, a taluno de' quali egli attri-
buiva il pericolo, evi fu esposto, d' essere relegato ad inse-
gnare la matematica pura, per abbandonare la mista ad al-
tro soggetto; disgusto dal quale lo preservò la protezione
decisa del signor principe Kaunitz, il quale non voile per-
mettere che un Milanese tanto celebre e benemerito venisse
in Milano limitato alle mere astrazioni, e per una trama sor-
damente ordita cedesse V onorevole cattedra degli alunni in-
gegneri a chi certamente non Vivrebbe occupata con pari
utilità. S' aggiunse che i gazzettieri , che indiscretamente
avevano criticato il primo Elogio, erano Gesuiti soppressi.
S'aggiunse la disputa già accennata cogli autori delle Efe^
meridi. Tutto ciò lo sciolse da quel ritegno eh' egli aveva
conservato sino allora per non manifestare al pubblico la opi-
nione sua sul merito scientifico di quella Società , di cqi più
apertamente poi trattò nel suo Elogio del Cavalieri, ch'egli
volle in segno di sua amicizia e benevolenza dirigere a me.
— Si sparse aUora in Italia una società d'uomini (cosi nell'Elogio
del Cavalieri) legali insieme con certi vincoli, che aspirando ad
wna specie d'impero sulle opinioni e sugli affari degli uomini,
osaronadi assumere la direzione delle pubbliche scuole: ma non
avendo né lumi sufficienti,. né viste abbastanza grandi per la
puMica educazione, anzi facendo servire gli stessi Hudj ad alti e
viste particolan con molliplicarU e organizzarli a modo lóro, con-
tribuirono sistematicamente a fissarne la sempHce mediocrità.—
Poi, dopo di aver esposto l'ammirazione con cui ì più su-
blimi geometri di quel tempo accolsero il metodo degi' indi-
visibìli del Cavalieri, aggìugne :—/nmw^o agli elojj comuni
de' nazionali e degli esteri, mentre di qua e di là daminomi stu^
20'
Zi2 MtMOVLE SCLLA VITA DI PAOLO VB18I.
dùtoasi generalwiemie Im muma Gtmtubria — ire moU omtoiio di
allacearìa, il Taequet, U BeUhd, U GmUino; e fue$U erano Ire
GenUH.^.Nim ti pnò m «mo di dammiàmn tome mm qu€$i Or-
dine^ che ha fallo Umle OFpotixUmi alle seienxe^ dopo ài eueni
impadranilo di tamU SntoU e di UaOe Università , in mexxo a
tuW i comodi di studiare, sperimaUare, osservare , non abèto
mai prodotto invenzione alcuna da paragonarsi a qMUe aUre a
cui andava contraddicendo, non abbia fatto alcun* epoca nefkt
storia delle scienze medesime! — Indi cita il Cavalieri, il Mar-
Senne, il De Angeli, il Grandi, i Maarini, il Norid, loSlel-
lini, tntU claaslralì di altri Ordini, ai nomi de'qaali non crede
che pogsano i Gesuiti giastamente contrapporre. Quest'argo-
mento lo ha trattato in qaeir Elogio del Cavalieri esaltameli-
te, analizzando gli autori più rinomati: fece però una ecce-
zione cortese in favore de' viventi, la quale, come ogni»
vede, non poteva bastantemeivte risarcire il disgustoso effett»
delle generali asserzioni. Yarj dispiaceri ebbe poscia a so^
frirne il nostro Autore e diretlamenle e4i riverbero, siccome
accade ; e questi giunsero a tal segno, che si tentò di cauta-
nieiite insinuare nella mente di molti l'opinione deirequivoco
suo merito sulle scienze sublimi; opinione la quale però non
potè generalmente prevalere, perché' la celebrità presso gli
esteri, i premj delle Accademie d'£uropa, le medaglie di
varj monarchi speditegli, l'aggregazione alle più illustri Ac-
cademie, erano fatti che s'andarono giornalmente rinnovando
sino all'ultimo anno della sua vita. A questa elevazione era
egli salito interamente col proprio ingegno, e cominciando
la carriera con mancanza di quegli appoggi ed aiuti che po-
tessero ottenergli alcuna predilezione. Pure non si mancò di
spargere dubbj sulla di lui scienza; e cinque anni prima della
sua morte, avendo soffèrta una malattia grave, non si rispar-
miò di pubblicare, aver egli perduto il vigore della sua men-
te ; alla quale calunnia egli non rispose altrimenti, sa non
componendo e pubblicando il suo trattato d'Algebra.
Alcuni riconobbero la vera pittura de' sentimenti delPfl-
lustre Autore in varj tratti eh' ^li innestò nell' Elogio id
Cavalieri ; ed io ne accennerò alcuni, ^ Non si possono mai é^-
haslansa commendare quegli uomini^ dic'egli, che avendo for«
MEMOBIE SCLLA VITA DI PAOLO FRISI. 3(3
éufieienti per meller mano a delle cpere pHmUive e originali,
sanno poi ancora discendere a delle altre opere puramente ele-
mentari ed istruttive. Nelle prime, danno esii a conoscere la #«-
pèriitrità dello spirito; nelle seconde, mani festano' ancora i più
dolci sentimenti del cuore^ la delicatezza, l'onestà, la premura
di corrispondere all' obbligo de'proprj impieghi. -Tale egli era
nellascuola, e i valorosi giovani che sono nelGollegio degl'In-
gegneri ne fanno la prova. Sembra di vedere l'anima ferma
del nostro signor Frisi leggendo qaella dura condizione di gua--
dagnare i suffragi pubbHci colla subordinazione sino delle opi-
nioni! Egli non (radi mai la verità, e non simulò mai opinio-
ni o sentimenti. L'animo suo era essenzialmente retto, bene-
fico e semplice. — La rivalità, il sospetto, die' egli , l'invidia
{ignòbili passimi) non arrivano ordinariamente sino a quei qenj
primarj, che attendo ben mentala la pubblica estimazione , non
hanno bisogno alcuno di guadagnarla sugli altri. Essi rispellano
ciò che devimo, stimano ciò che possono , e si rendano insieme
tra loro tutte le pubbliche testimonianze del merito e della vir-
tù,— Egli, infatti, in tutte le opere volle tribuire luminosa-
mente giustizia al merito di ciascuno ; e non solamente cavò
dall' obblivione il nome del nostro Cavalieri, onore della par
tria, ma anche della signora Agnesi ne scrisse in quest'Elo-
gio, qualificandola d' aver ridotte a maggiore chiarezza e
semplicità, e d'aver legate insieme tutte le scoperte analitiche.
Parve ad alcuni che nemmeno acaso egli avesse posto il tratto
seguente: — i vtct'nt e i coetanei possono essere qualche volta tiv-
considerati o anche ingiusti ; ma la posterità non lo è mai. -^
Molla somiglianza si trovò fra la situazione dell' Autore e
quella del suo oggetto: — Bonaventura Cavalieri nacque in Mi-
lano nel llt98. Esso era d*una famiglia n^ nobile né ricca. Non
aveva ne protezioni né appoggi. Era d'un^ temperamento tran-
quillo e placido, e portalo naturalmente agli studj. In simili
circostanze molti altri Italiani scelsero la vita claustrale... — £
più ancora vi si riconobbe nel trattò seguente; — I confratelli
Cui quali viveva nel Collegio di Pisa cercarono di distoglierlo
dagli studj geometrici o matematici. Dicevano essi che questi
profani studj sono estranei a coloro che vivendi ne*chi(^iri
devono unicamente occuparsi degli oggetti superiori della re-
344 MEHOBIE «OLLA VITA DI PAOLO FRISI.
ligione, e delle olire cognizioni the vi apparlengono. Aon tono
gvaniU dopo quel tempo eimili idee. Non si è arritalo cosi p^e-
ilo né coH generalmente ad intendere che tulle le verità ti col-
legano imieme^ le divine e- le tiiitatte. Àncora ai tempi wttiri
si sono inlimale da alcuni superiori dauslrali delle proibir
zioni di non attendere ad altri studj che a qudH deUa volgare
filosofia e della teologia, TaU fn-oibizioni non risguardaooM
però un giovine coraggioso ^ e non servirono che a maggior-
mente infervorarlo nella carriera di già inlrapres<L — Ho ere-
dolo bene di trascrivere questi squarci , i qoali mostrano i
sentimenti dell' Autore , ne manifestano con evìdenxa il ca-
rattere, e bastano soli a palesare qoal fosse il di lui merito
come pensatore e ootno di lettere; mentre V analisi che fa
delle scoperte fisiche e matematiche del Galileo, del Newton
e del Cavalieri, lo palesa nomo che poteva orizzontalmeDle rii-
mirare qoegli oggetti, e da vicino contemplarli, laddove la
parte anche più colta della specie nostra gli ammira elevali
e rimoti.
Ho accennata la grave malattia che il signor Frisi soffri
cinque anni prima della sua morte, cioè Tanno 1779. Egli la
sopportò con una superiorità d'animo esimia; a tal segno cbe,
quantunque per tre mesi si trovasse in quello stato, non mai
volte giacere a letto. Somma debolezza; aridità di fauci tale
da non potere inghiottire senza V aiuto di continui sorsi
d' acqua; la sordità, a cui sin dalla gioventù fu soggetto, a&
cresduta notabilmente in quél periodo; la febbre; tutta que-
sta comitiva d' incomodi non bastò a turbare la serenità del
di lui animo, non ad esprìmere querele dalla bocca di loi,
che gustava come poteva la società degli amici, ed anche io
quello stato si distraeva colla lettura e coUp studio. Si dnhilò
che questa malattia fosse cagionata dalla impressione sofferta
nel ritornare due anni prima dalla commissione di Yenexia,
allorché tra Brescia e Pakizzolo venne assalito da' ladri di
strada. Ma anche in quel disgraziato incontro el conservò oo
sangue freddo ed una tranquilh'tà di animo veramente mirt-
bile; e tale, che a me non pare che questo fatto fosse cagione
del male che poi ebbe a ^ìfrire. Ritornava da Venezia, in
conipagnia del signor Canonico Teologo suo fratello, il nostro
MiBllOBIB SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 346
signor Frisi nel mese di ottobre del 1777. Dopo aver pran-
zato a Brescia il giorno 22^ correvano la posta alla volta di
Milano. Eranvi ancora due ore prima che finisse il giorno.
Avevano an domestico. Improvvisamente si videro nomini
armati alla testa de' cavalli e al calesse, ila cosa, sebbene non
aspettata, era chiara al primo presentarsi; il signor abate
Frisi fa il primo tranquillamente a dar loro notizia: — Siete for-
tunati, diss' egli; ecco una borsa con settanta feechini;^e là,
consegnò loro. Vollero T orinolo, ed egli tranquillamente lo
cavò; e siccome stava egli rimirandolo prima di darlo, e
i ladri Tolevan sollecitamente averlo , con mirabile indiffe-
renza disse loro:-^-Jlfa lasciale almeno che anch*io veda che ora
é..... sona le venlidue..».* prendete.'r--Co\QTO in seguito gli ruba-
rono persino le fibbie dalle scarpe, ed un cammeo che aveva
in dito colla tesla di Galileo. Al fratello fecero spoglio aguale.
Ritrovatosi colle scarpe slacciate, e senza alcuna moneta o
valore, si fé condurre in quell'arnese dal conte Duranti nella
sua villa di Palazzolo. Ivi per aver cortesemente albergo e
denait^y non ebbe bisogno d' altro che di. dire il suo nome.
La notte vi dormi placidamente; e venuto a Milano, raccontò
qqesta vicenda con tanta 'indifferenza e grazia, che non sem^
brò nemmeno che fessegli accaduta cosa di suo disgusto.Egli
vedeva tutto dal baon aspetto: e forse questa qualità sociale
fa cagione di precipitare i suoi giorni ; poiché, non valutando
egli gV incomodi sia tanto che non erano ridotti ad un grado
da non potersi sopportare, e non parlandone egli mai, anzi
nemmeno volendo ammettere di averne, trascurò di preve-
nire gl'inconvenienti che terminarono poscia immaturamente
la sua vita, e privarono le scienze degli ulteriori progressi ,
coi quali le avrebbe sempre più arricchite.
Oltre la medaglia d'oro che aveva avuto in premio dal
Re di Prussia; la collana e medaglia d' oro che poi ebbe in
dano dall' Augusto Giuseppe 11^ allora arciduca; la medaglia
d' oro coir impronto del Re di Danimarca, in premio, della
nissertazione solle variazioni del moto de' pianeti, coronata
dalla Reale Accademia di Copenaghen; altra medaglia, pure
d'oro, avola in dono dal Re di Svezia, da cui v* era luogo
da sperare che lo decprasse dell' ordine della Stella Polare ,
340 BfEMOniE SULLA VITA Dt PAOLO FRISI.
singólarrtietite dopo la conversazione sommanienle graziosa
che qiiel Sovrano eM)e col nostro signor Frisi assai longìh
niente ne! {^assaggio che fece per Milano; V oltre il preiuiodi
Parigi, e V actessU, e il premio che riportò, ranno prima dì
morire, dalla Imperiale Accademia di Pielrèborgo; oUrfrb'
consrderaziotìe che mostrarono per esso i più disfinti per»-
naggi che passarono per Milano, T Augusta Maria Teresa volle
dal trono onorare il nostro illustre cittadino con un Dispae-
.cìo del primo settembre 1777. Dichiarò quella Sovrana la cen-
àìderazione sua verso del professore abate don Paolo Frisi,
riconóscendo il valore di esso nella teoria non meno che n^a
pratica; e le ntili istruzioni d^ idraulica e d' idrometria, coBe
«juali andava educando gli alunni ingegneti: per là (jMite be-
nemerenza comandò che ^i venisse pagata una rhnuneftH
zlone straordinaria di cento zecchini. Quasi conlemporaneJ-
mente, cioè il 3 ottobre 1777, il Senato Veneto in Prt§adi
fece il Decretò col quale assegnò- al nostro signor Frisi cia-
quecento zecchini di retribuzione, per l* epera da esso pre-
stata calla più desideràbile dili^nsa nella' commissione della
Brenta , e ciò In riguardo alla fama e celebrila del Professore.
Tali furono le espressioni di quel sovrano Decreto. Grfnn-
diosi , i malevoli, loro malgrado erano costretti a conteaersi;
e questi applausi de' Sovrani e degli esteri risarctvaùo ab-
bondantemente il nostro Matematico, e facevano ch'ai aoo
éiii^sissé punto la ìndiflTerenza del volgo de' suoi concifladiai'
Egli seiii))re più andò stringendo il numero delle elise ficit
quali viveva? e negli ultimi tempi egli si limitò alla soefctì
degli amici non molti, ma veri e degni di lui, nella qQ>l^
giocondamente passava le ore che gli rimanevano disoccnjnK
da' severi suoi studj , e dalle meditazioni sue profonde e bì-
blimi. Sebbene per pensare non è sempre mestieri d' essere
solitario nel gabinetto, colla penna e col libro alla maDo:gÌ
uomini di stadio acquistano fors' anco la parte migliore édk
cognizioni senza un tale apparato. Il signor Frisi era kk^
lare in questo proposito: egH ritrovava spesse volte ne'e^
la soluzione de' probleibi più ardui , e rinvenzione do'inale>
più semplici ed* eleganti. Istrotte da tale esperienza, o ii^
' U {ioino 2t maggio 1784.
MSIipRlE SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 347
volle accertatone, solea.Bcorrer la sera gli etemenli del pro-
blema che aveva a risolvere; e coricatosi piena la mente di
c|uelle idee, ritrovava dormendo la soluzione , ed al primo
svegliarsi la mattina stendea infatti il problema ridotto alla
sua forma; la quale singolarità non io soltanto più volle Tho
Ja esso ascoltata, ma gli amici di lui del pari la sapevano.
Se nelle molte sue opere erasi mostrato sublime Geome-
Ira, Astronomo, Idraulico, Meccanico il nostro signor Ftisi;
>e oogli Elogj del Galileo , del Cavalieri e del Newton , non
>enza altrui sorpresa, era^i fatto vedere eziandio eruditole
;olto uomo di lettere; con due altri Elogj si palesò» quale egM
ìvaf uomo di eccellente morale, e quale avrebbe potuto esr
«ere, se le circostanze ve lo avessero condotto, cioè uomo di
^(ato. I due £]o$j di Pomponio Attico e dell'Augusta Maria
Teresa lo dimostrano. Pomponio Attico ci si rappresenta
;oine il modello della virtù, della pradenaca, della generosità.
— ■Un uomo che sdegnava le cosmiche AL utia corrolia repubblica,
love luUi «rono dworaU daW amhi;iiqne di ottenerle; un uomo
:ke non domqndawi nulla , mentre ^ aUri' cospiravano a iutlo;
quantunque non oioeese. imitatori^ nonpoUua però mancare d'am-
miratoH.,.,, Signorili maniere, costumi eoaù^animo coriese, una
lerta dolcezza d\ aspetto che non era senza severilàt una certa
piacevolezza di discorso che non efa senza dignità » facevano
irovare nella conversazione di Attico.il più gentile cavaliere di
lulla Roma- Egli aveva nel suo discorso e nella sua vita , come
ìisse Cicerone, quelVunione tanto difficHe della gravila e del-
l' umsLnità: semplice, affabile, nimico di ogni finzione, insoffe-
rente di otgni falsità, religioso osservatore diogni promessa, nemr
ire uguale a sé stesso, uomo di tutt* i kempi, di tutC i Itioghi, e
mn tulle le peì-sone, aveva sempre la stima e Vamoiee di tutte,—
Ilosi ci descrive egli il sua eroe; e questa maniera di pensare
i di scrivere osavano deridere e insultare alcuni sgraziati
Ijazzettieri , de' quali può dirsi quel tratto che il signor Frisi
)ose appunto nello stesso Elogio, cioè, che V entusiasmo pel
ner.ilo allrui è stato sempre la misura del merito. pr(^rio; come
■" indifferenza, e più ancor V avversione per gli uomini grandi,
7 siala sempre il contrassegno di un animo basso e volgare. —-
La grazia e l'energia dello stile non dee collocarsi net falso
348 MnHMUB SCIXA TITA N PAOUO FUSI.
hHo MleamUien, o ndt-inireeeio MU pgroU ricncaU t «n-
poUou: U àiteono riuce «m vero splendore ddt ardnu, dalla
^irtmiexxa, éàUa eewifUeiià ééfU Uee, e éeUa ndriUà e turfuri-
teixa ddle espresskmL- -Cosi ins^naya, e cosà ficmeYa l'in-
morfafe nostro concKladìno. In qndP Elogio di Attico l'Au-
tore TI trasfuse ì sentimenti del soo cuore. Parlandoyi ddb
famiglia di Attico, ei dice:— iV'elbi sua famiglia seppe putm
gne' doiei senlimenU eke sono inspiratì daUa parenteìa e dal
sangue; senUmenli che U caiUoo eosUsme e ìa stnvoUa edun-
xiome giungano mtHU veUe a sopprimere, «a eke per gU nmm
tuoni e virinosi tn/liiiscoiio più da vicino e pw eontinuamnU
nella gioeondiià della rìlo. ~ Cod ei visse apponto nella sua
ftimìglia il nostro ottimo abate Frisi; e forse alla decadenu
dì sna salate contriboì molto il vedersi negli aitimi sei anni
perire la madre, on fratello e doe sorelle. Vi si conosce la
pratica morale dell'Aotore, generoso, benefico e mison-
tissirao, quale egli fa sempre. — Il lusso poi, dice egli, e f ec-
cesso deUe spese vohMuose e superflue toglie molle voUe, a
rende più difficiU i mezzi della generosità e della beneficenza. Li
facoltà , per quanto siano atibondanti, hanno un limite, e la Uhe-
ralità ha sempre per base una saggia economia, — Questa era
una massima intrinsecamente riposta nel di lai animo; e con
essa, quantunque assai eircoseritta fosse la di lui fortuna, ei
seppe essere beneOco e liberale costantemente. In queir Elo-
gio di Attico vi si osservano de' tratti i quali sono una con-
seguenza di lunghi ragionamenti. — Le virtù grandi e rabiult
obbligano ad un eerto rispetto anche gU uomini faeinorosL-^ al-
trove: ~ Nelle cose eivUi e politiehe succede come nelle fisiek,
che il moto impresso continui per molto tempo, — Raccontando
come gli Ateniesi in segno di riconoscenza innalzassero a
Pomponio delle stàtue, cosi riflètte:— firono questi gli onori
pubblici che anticamente si tributavano al merito e aUa virA'
Gli antichi esempj sono stati nobilmente imitaii a' giorni nostri*
non solo di là da' monti, ma ancora nelle più colte città d*/»-
Ito, e senza aspettare di spargere sulle tombe de' freddi elo^i
*hanno saputo onorare con monumenti pubbUd la vita de'nas»
noli e degli esteri, che le avevano o difese, o beneficate, o istruita-
È stato sempre del comune interesse di avere nello stesso lempf
MEMORIE SCLLA TITA DI PAOLO FRISI. 349
cùtmetse le testimonianze della rieùnoseenzaa quelle del merito,
e disenotere cogli eeempj presenti V indifferenza per la fHrlù» -^
Questo pezzo è mi ricordo per la nostra patria, ih cai i citta-
dini, che r hanno distintamente onorata, non hanno ottenuto
alcuno di que' solenni contrassegni d'onore che vedonsi nelle
sale pubbliche di molte altre città d'Italia, e siiigolarmenté
nella Terraferma Veneta. Infatti, noi non abbiamo verun mo-
nomento in onore di Tristano €alco, o di bernardino Gorio,
che ci hanno scritta la storia della patria. Nessuna memoria
si -é eretta per pubblico decreto al laborioso e benemeritio
nostro signor conte Giorgio Giulini. Lo stesso dicasi del Ca-
valieri, del Cardano, di Lodovico Settala, e di altri. Il vi-
vente signor Primicerio Lupi a Bergamo attualmente gode
V onore, che la sua patria da esso illustrata gli ha fatto scol-
pire il busto per pubblico decreto. Da noi non v' è corona aK
cona che la patria destini a' figli suoi. Forse ciò nacque dalla
breve durata deller nostre municipali magistrature; fors'anco
nasce dall'essere noi cittadini d'una popolosa ciittà, dove
ciascuno è una piccola frazione del tutto, e quindi meno par-
tecipa della gloria distribuita sopra una di vasta estensione;
forse la fisica del clima o la impressione de' passati governi,
le conseguenze de'quali si perpetuano per molte generazioni,
sono 1 veri motivi di questa viziosa indifferenza. Voglia il
buon destino ch'ella cessi una volta, e che le iscrizioni, i
busti, le medaglie, i pubblici onori ricordiìio Agnesi, Frisi,
Beccaria, ed altri degni delia gratitudine della patria che
hanno illustrata I
L' Elogio dell'Augusta Maria Teresa, sebbene tratti un
argomento sol quale altri nomini di merito distinto hanno
scritto; non si confonde perciò^ col numero, il valoroso Pa-
dre Turchi da un tal soggetto ne ha tratta una morale uti-
tiSBìma istruzione per i Sovrani, piena di verità e di senti-
Duento, e scritta còlla nobile semplicità sua propria. Il signor
ibale Frisi ha fatto un epilogò della storia de' quarant' anni
lei regno di quella immortai Sovrana; ed ha maestrevol-
nenté poste in luce le azioni principali e i punti precisi di
;onvergenza, d'onde ne risaltano i cambiamenti felici delle
opinioni, l'abbandono degli antichi errori, la fermentafa^iotie
IL 30
suo MBIIORie SULLA VITA 91 PÀOLO FUSg.
e reviviscenza dei corpi clie si andavano sciogUendo ludV iner-
zia, la cottura, la ragione, la irirln, ricbiaaiate, accette e pnv
tette, la fortunata rivolozioneinsomma preparata ed in jMite
eseguita sotto di qneU'Angnsta. Beneficato da lei, rìcoadolto
nella patria sotto i sovrani anspicj ed al reale stipeadio»
l'abate Frisi volle essere grato alla Jienefattrice Sovrani,
come sempre lo fa verso chiunque. In quell'Elogio sem-
bra lo stile del nostro signor Frisi ancora |hù eloquente
e vibrato. — Disgraziato colui che ha bisogno di prtoeUi per «-
sere veritiero, hmono, sensibile ai maU aUruiy eke ha hisejm
d* essere acampagnaio sempre dal maeslro per conoscere e per
ragUmarel^CoA egli.— /< mnciiare di Zenla, di Torino s di
Hochstedl, U principe Eugenio di Sav<^a^ neUa maggiore osesr
rHà deUa notte e deUa nebbia attacca V armata ottomana, la ssr
però, la disfece^ e non vide diesarsi la nebbia, e spargerti i
primi raggi del Soie, che defila tenda dd Visir fuggitivo* -ùa
questo bel quadro ei ci tappresenta la vittoria di Belgrado
del 1717; e il principe Eugenio medesimo viene altrove effi-
giato cosi: — uomo uguabnente grande nel far la guerra e wA
trattar ìa pace; generale isìsieme e saldato ndla sua armala;
uomo di Stalo nel gabinetto; ndia sua b&flioteea un fUasofo^ ti
coUegadi Mùrlborough, Vomico di LeiJbniixediMontesguiea,ec
-*- Merita d' essere trascritto quel vibrato periodo in coi di*
pinge H maresciallo di Bellisle che supera l'avvenioBe del
cardinale di Fleury per la guerra:— CTn uomo d*una vastaaor
bixioncy di una seducente eloquenta , e, come fu detto di BrUea-
nico, di una fama maggiore degli esperimenti fatU per meriterk,
il maresciallo di Bellisle superò facilmente te opposizioni ii ^
ministro debole e inconseguente, e trovò in mo favere uWebil»"
dine già inveterala deUa nazion francese di riguardare la Ùes
d^ Austria come «euHfca.— Questo è quello stile che osavano é
chiamar freddo e st|»ntato alcuni insensati parolaj, e saremino
assai più onorati presso degli esteri, se ce io proponessero per
modellò; sebbene Teloquenza di questo genere non s' insegai
né s'impara giammai, soUjinto si rende pia decorosa coU'ainte
di buoni precetti. D'una tempra uguale è il tratto che eirtp-
prasenta il primo ministrò di Francia, il vecchio cardinale di
Fleury.— X'nimiiittà e la /SloM^a Ira le principali disgr§sie ed
MEVOUB SULLA VITA BI PAOLO FRISI. SH
nmiro seeolo conterà sempre e con^^ngerà che unm H fUnida
armata^ UmU generosi eampùmi, tanU Inumi eiUaéM.^ siano
staU ìd viuinm di un ministro ecclesiastieo^ che Me benei il eemr
dorè di disapprovare in iscriUo le risoluzioni già prese daUa
sua Corte, ma che infievoUio dagU anni non ebbe bastemU co-
raggio da opporvisi, né un' anima ubbastama grande per riti-
rarsi dallo strepito de^i affari, e coronare di una gloria pa-
cifica i pochi giorni di vita che gli restavano. ^ Lft filosofia
anima lo stile in quest' Elogio singolarmente. — Quelita che
U volgo chiama fortuna^ dice il signor abate Frisi, q^idìà che
i poeti cercano di raffigurare colla volubilità d una ruota e
di una donna, agli occhi del filosofo non è aUro che una
eombinasione di cause morali e fisiche, per cui deve risultare
indispensabilmente un effetto dato. — £i da filosofo tratta
gli oggetti di Slato. Descrìve la rìT<^urioDe di Genova ,
indicando le cagioni di tal politico avvenimento. -^OimniId
jono ingiusti coloro, die' egli, cfu da un risireUa oriMzonte,
dall'angolo di una casa, che non sanno ben regolare, a^ano
lo sguardo loro sul trono, decidono deg^i oggelH che non pos-
sono abbastaiixa distinguercy e misurano le più graMi e salu-
tari operazioni dai particolari difetti che accompagnano sempre
le cose umane, e dai quali non si può mai sciogliere inleramenle
U bene umversaleì — Cosi egli. Troppo converrebbe trascrive-
re, se volessi indicare i tratti dell' Elogio di Maria Teresa, che
più mi sembrano degni di osservazione; lo è tutto, e tutto
collima a far conoscere lo spirito del benefico regno di tale
Sovrana. Anche in qnest' Elogio egli trova occasione di ri-
cordare T infelice condizione degli uomini che più onorano
l'Italia col loro ingegno: il Borelli mendico, Francesco
d'Ascoli bruciato vivo, Pietro d'Abano bruciato in efllgie.
Machiavello torturato, Sarpi astossinato, Tasso e Galileo posti
in prigione, Giannone morto in carcere, gli altri esposti aHa
invida maldicenza, alla insolente rivalità, ec. Anche in gue-
st' Elogio non dimentica i Gesuiti. — L* anno 1773 fu doj^pia-
mente fàusto alle lettere. Fu allora sdoUo quell'Ordine di per-
sone, che non avendo nei loro studj cUrepoMaia fcc mediocrità
letteraria, avevano sempre aoulo la parte principale neUe nuh-
ìestie date a coloro che maggiormente si distinguevano, -^ Se
352 HfilfORlB SULLA VITA DI PÀOLO FAISf.
qaeste Memorìe che scrivo passeranno alle generazioni ven-
tare (il che accadere fors' anco pel merito dell' argomento),
d«^ranno maravigliarsi ì lettori, come ai tempi nostri siasi
potnlo spargere nella moltitudine il discredilo e snlla scienu
di questo grand' nomo, e sul talento di Ini nell' arte di seri-
vere. Questa maraviglia sarà ntrlissima i poiché potrà dar
lena e coraggio, singolarmente ai giovani d* ingegno pia ele-
vato, e persuaderli che appunto tai grida sono il contrassegno
del vero merito; laddove i facili applausi, comunemente ac-
cordati , lo sono detta letteraria mediocrità. Volesse il ciek»
che i posteri, sensibili ai progressi delle umane cognizioni ed
aUa gloria nazionale, grati a chi gli ammaestra e contribù-
sce a si nobili oggetti, sentendo d' onorare sé medesimi ono-
rando la virtù, potessero trovare inverosimile il mio ra^
conto! Sarebbe questo il solo caso in cui avrei piacere che
si sospettasse della mia veracità.
Aveva viaggiato prima F Italia, poi la Francia; l' Inghil-
terra, r Olanda , la Germania e V Ungheria, il nostro signor
Frigi ; restavagli da osservare una parte a noi vicina e me-
ritevole d' osservazioni politiche e fisiche, cioè il paese degli
Svizzeri. £i volle esaminarlo, e nelF autunno del 1778 vi fece
un giro, di cui ce ne rimangono le conseguenze nella me-
moria Dei fiumi wlterranei, ch'egli stampò insieme ad altri
opuscoli, dedicandoli al prìncipe Augusto di Saxe-Gotha, uno
,de' pia distinti e generosi ammiratori del nostro signor Frisi.
Questi opuscoli dispiacquero ad alcuni, perché vi si combat-
tono le opinioni delle influenze' meteorologiche della Iona, e
del calor centrale della! terra ; dispiacquero altresì a quei che
ei chiama osservatori empirici, perché sprovveduti della nO'
eessarìa teorìa, si avventniraho con qualche fisico stromenbi
alla mano a calcolare le altezze de' monti, fidandosi a due
soli punti d'osservazione. Dobbiamo essere riconoscenti al
nostro Filosofo anche per questo, ch'egli, sinché visse, pro-
curò d'allontanare quanto potè le opinioni dannose, e rispetlè
sempre sé stesso e gli avversar], non nominando alcuno, e
sempre propagando la verità con que' nobili mezzi e con
quella pacata maniera che le convengono. ^
' 11 «primo saggio contro le ìnfluenBe dielU luna lo stampò né* logli del
MEMOUE SULLA TITA DI PAOLO FE181. .353
Ho già di sopra accennato il trattato d' Algd»ra eh' ei
cppipose tutto di pianta dopo che s'em volato ergere la
voce.chè la malattia avesse infievolitele forze della.8aa mente.
Non si poteva smentire V invidia con an mezzo più vittorioso
di quello. U Trattato comparve alla Uice colle stampe del
Galeazzi. in Milano V anno 1782, e portò in fronte il nome
del ministro, grande, e non meno segnalato e costante pro-
tettore del merito, signor Principe di Kaunitz. La prefazione
contiene la storia dell'Algebra e Geometrìa analitica, ove con
erudizione vasta « con imparzis^lità si fanno conoscere i nomi
di coloro «che sono benemeriti di qaesta scienza sablime. Le
Effemeridi letterarie di Roma ne fecero si bene l'estratto,
che io non potrei meglio dar idea del libro che approfittan-
done. Il Trattato cpmincia spiegando eoo somma chiarezza le
operazioni primarie dell'Algebra, che sono illiistrate con varj
problemi opportunamente trascelti. Benché nel pri^no Capo
tratti delle equazioni del primo e del secondo grado, nuUa-
dimeno vi si trovano alcuni problemi indeterminati del se-
condo grado, ne' quali le incognite devono avere la oondi-
mne di essere numeri interi. Le difficoltà di qaesta materia,
trattata da uomini grandi, si sviluppano dal nostro signor
Frisi con una chiara brevità. Passa poi alle progressioni ed
atte. serie crescenti e decresoenti in infinito, d'onde ne ri-
cavala vera nozione dell^ infinito. geometrico ed algebraico;
il qual infinito significa una quantità maggiore di qualunque
limite, o minore di qualunque limite assegnabile. Questa de-
finizione viene rappresentata dalle divisioni che non ammet-
tono un quoziente finito esatto. Egli è chiaro che il numero
determini è maggiore di qualunque numero dato, cioè che
è algebf aicam^dte infiinito. Il, quadrato di questa quantità air
gebraicaiuente infinita chiamasi un infinito del second'ordi-
Cajgf^ c^e s^ pubblicavano in Milano da ipna Società, nella q«ale avevano parte ì]
marchese Beccaria, il Padre Boscovich, il cavaliere Colpani, il conte Carli, e varj
altri. Questi Fogli periodici vennero tradotti poi in tedesco in Zurigo dal Fùeslin
nel 1760, «.comparvero sparsi in francese nella Gaaette liUéraire de V&trop9,^
che si stampava a Parigi alle Gallerie del Louvre. Fuvvi chi volendo sosteneve
Y opinione antica, se la prese contro di quel ]f oglio, e il signor Frisi confermò Iji
insussistensa delle influense lunari colk armi sue proprie, cioè colla teoria della
gravità universale e col calcolo*
30*
.384 HmORIB SULLA VITA Ol PAOLO fUSl.
ne; il cobo, ìnfiDÌto del terzo, ec^ • coii progredendo. Cosi
dicasi di flna inrogressione decreeoente all' infittilo. La ndioe
qm^ànÌB. d'un nimieio sordo é finita; il nomerò de* teraini
ohe respone é infinito. Tenaioa il primo Capo applioaiido h
dottrina al calcolo della probabilità. Il secondo G^ lecte
anll' anadiai geometrica rstlilinea, ove colla scelta de'fnlde-
ml e coli' deganza delle sohizìoni il signor abate frisi an-
stra la profondai della soa dptirina. Molli problemi di Psp|M,
troppo comidtcati nell' aolora anticOy vengmio sciolti eoa ele-
gante sem^ìyi; e mia gran parte de* problenri defi'Aiitae-
tica mdversale del Newton, ne* qorii si desiderava ia «Mtnh
aione geometrica, vengono %9ffM con ugnale etegaau di
analiai e di aintesi. U tene capo tratte dell' analisi dette «-
%wtd eonicbe con antodi 4omiiiasi e sea^diei, senta Is an-
hagi di una impUeatissima sintesi, ebe in alcuni libri oiean
le cose più chiare. Dicono i citali Giornalisti non esservi un
tjratteto di aeiioni coniche pin di questo feeòndo di bei p»-
hlemi e di eleganti metodi. UCapo cpiinto verte solla inveb*
clone od evcdosione algebraiea: generalmente tratta deOe
eqoaiioni. Ivi presenta la dimostrazione dtreUa del celebre
binomio del Newton, qaalnnqDe sia l' esponente o intere, o
fratto, 0 positivo, 0 negativo; e la soluzione merita ona di'
• stinte B)emoria.,Il Capo sesto verte salle formolo trigooosK-
triche; dimostra le generali formolo che esprimono le pe>
ienze dea seni e coasni, e deie tangenti di un apeo qnaloe*
qpe« dello quali si fa oso per divide» pn arco in qaaloDQQe
nomerò di parti. Il settimo Capo contiene le formolo Ioga*
riilmiebe. Ivi entra rilkistre Autore a terminare la fanesa
controversia fra il Leibnit^i e il BernonitU, esposte negli Alti
éi Berillio del i749. Egli è di parere che non vi ria cke en
logaritmo della unità e deUe quantità positive; e che il lag>-
rilmo delle quantità negative indichi solamente che la pro^
gressione geometrica non deve considerarsi in una parìe
pppo^ta^ e tutt' i termiiM di oasa^si riferiscono aUa wM ne-
,gatijv.a ; e par conseguenza te eonsiderariono di on tarmili^
positivo 0 negativo non può rappresentare fai proponione di
due quantità. Nel Capo ottavo prende a trattore d^Ue fornu^
ciclometriche ; e all' occasione di considerare alcuae carUt
MBMOBIl SOLLà VITà DI PAOLO MIU. 85tf
traUa della dimostrazione con coi Newton prova T impos-
sibilità di quadrare una iìgara orale, ed accenna qnakhe dif-
fic<rftà. Tratta poi delle tangenti de* seni, degli aieiii circo-
hiri, e col 4Blieiso di queste medesime serie passa a dare una
sotaizion generale, senza servirsi di radici immaginarie del
famoso problema di Cotes. Trattasi nel Capo nono dell'analisi
isopérimetriea, ed ivi con una spec^ di geometrica inQnile-
siflMle risolve con facilità e con eleganza diversi problemi
de fnaximis et mìfiliim, i qoali con altri metodi riescono assai
più complicati. In quel medesimo Capo vi si trova una saga-
eiesima sintesi, coir aiate della qoale si emendano aknne sOi-
luzioni pòco esaUe date da altri, benché cd^rì, geometri.
Nel Capo decimo espone i limiti deli'AlgdMra di Cardano: ivi
trovassi diversi metodi per la soluzione delle equazioni del
terzo grado; ed il celebre caso irreducibile vi ò trattato in
^uisa, che, dimostrandosi le imperfezioni de' metodi comnni,
«i trova coir approssimazione e colle costruzioni geometriche
la radice, e se ne adducono elegantissimi esempj. In esso Cam-
pitolo si fa l'applicazione del parallelogrammo analitico del
IVewton a diverse equazioni. Il Capo undecimo s' intema nel-
r Algebra degl' infiniti: ivi « vedono spiegati con somma
chiarezza! principi del calcolo difiérenziale e integrale. Passa
Indi al calcoio esponenziale, alla differenziazione delle quan^
lìtà esponenziali e logaritmiche, che contengono anche Ioga
ritmi di logaritmi; dalle formolo difierenziali si ricavano i
melodi di integrazioni. Tutta questa dottrina ò trattata con
esempj scdti, e maneggiati con somma destrezza di calcolo.
Viene poi spiegato il calcolo de' seni e coseni; e sono ridotte
in formolo le difierenziali e le integrali di quella specie, e
tutto dò con metodi, la novità e F eleganza de' quali colpi-
sce. Il Capo duodecimo delle serie infinita ò mirabile singo-
larmente ove tratta deUa sommazione deUe serie; attesa
la brevità e la precisione, colla qaade insegna a ritrovare
il termine generale, la scala di relazione, la somma, s'è pos-
sibile, ovvero la riduzione ialla quadratura e rettificazione
di qualche curva semplicissima. Il Capo decimoterzo, della
Geometrìa curvilinea» contiene la teoria d^e curve tanto al-
gebraiche, quanto meccaniche. I metodi ritrovati dal etgoor
356 MBMOBIE SULLA VITA DI PAOLO PAlSi.
abaie Frisi rendono facilissima la soluzione di vari proUe-
mi, i qoali s^nza dì essi eon molta difficoltà si scìolgoDo. il
decimoqaarto Capitolo tratta delle formolo isoperìmetrìche,
e supera per la sablimìtà e novità dette cose tutti i prece-
denti. Finalmente nel Capo decimoquinto, delle formok into^*
grabili, termina la sua grand' opera;
Qoest' opera sublime^ composta dal nostro signor Frisi
di slancio, serve di primo tomo delV ultima edizione delle
opere sue. Nel secondo volume ei ristampò la Meccanica e il
Trattato per gì' Ingegneri. Nel jterzo la Cosmografia, la quale
ei vide e corresse sino alla pagina 337, avendo nel rimanente
supplito, dopo la fatai perdita, i di lui degni fratelli signori
Canonici.' La repubblica letteraria aspetta di veder pubblicato
il quarto ed ultimo volume, che conterrà gli Elogj composti
dal nostro illustre signor Frisi; fra i quali quello del signor
D'Alembert, ch'ei scrisse negli ultimi periodi della sua vita;
e gli altri suoi opuscoli chiuderanno il volume.^ Più volle,
parlando meco degli studj suoi, il signor abate Frisi mi disse
che quegli stessi problemi d'Algebra che nel maggior vigore
della gioventù gli costavano sforzi di mente, nell'età malora
gli svolgeva con somma facilità; e ciò attribuiva alla lunga
afoittiazione di combinare quelle idee e di ragionare colle for-
mole. L'Algebra era divenuta per lui quasi un giuoco negli
ulthni suoi anni, e singolarmente si compiaceva dì ridurre a
principi semplici e chiari le teorìe più astratte, e ristrin-
gere nello spazio di poche righe quanto con altri più labo-
riosi e difficili metodi leggevasi esteso per interi volumi collo
spinalo di lunghissimi calcoli. In ciò forse consisteva la ca-
ratteristica superiorità del nostro illustre concittadino, cioè
in una sagacità tutta sua propria, colla quale sapeva rìnv^
nire la più breve e semplice strada per giugnere alla verità
ricercata; per modo che, ai paragone, sembra che inavvedu-
tamente altrì geometri, benché sommi, abbiano per tortaosi
e difficili sentieri consumata la fatica loro, e adoperati gli
sforzi del loro ingegno per giugnervi. Tale è sempre stala
* L'JSlogio del D^AIembcrt lo hanno pubblicato i signori fratelli Fiiaii**"
rendo rediiione del quarto tomo.
MEMORkfi SULLA VITA DI PAOLO FKIU. 357
l'apparenza d'ogni sublime prodazione della mente degli uo-
mini, di comparire, cioè, semplice e facile, sebbene rarissima
e diflQcìlissima a ritrovarsi.
D'nn. altro piccolo lavoro del nostro signor Frisi non
debbo omettere di far parola, ed è la Lettera ch'egli scrisse
a Monsignor Fabroni, la eloquenza del quale è cpnsacrata a
eternar la memoria degl' illustri Italiani. Questa lettera con-
tiene le notizie della scienza e della sublimità d'ingegno del
signor Perelli; il quale aveva tanto più bisogno che tai
notizie venissero pubblicate, quanto ch'egli, per naturale
indolenza nel corso di sua vita trascurando ogni lavoro,
nieni' altro lasciò in morte, se non la memoria de' contem-
poranei , che conversando con lui s' erano accorti a qoal se-
gno ei fosse profondo matematico. Nessuno forse poteva farlo
meglio del nostro signor Frisi, e per quello ch'ei valeva
nelle matematiche, e per aver vìsspto lungamente col signor
Perelli nel tempo in coi erano entrambi professori nell'Uni-
versità di Pisa. Il signor abate Frisi aveva avuto motivo di
scontentarsi del signor Perelli, il quale nelle questioni per le
acque Bolognesi non aveva preso quel fermo e libero partito
che s' aspettava. Questa soverchia pieghevolezza del signor
Perelli potò far languire bensì la corrispondenza fra di (oro,
ma non cancellò giammai nel cuore del nostro Matematico la
verace stima e la benevolenza che per esso aveva concepita;
e sulla tomba del signor Tommaso Perelli ei tributò quegli
onori che erano dovuti al di lui merito.
Frattanto s'andava insensibilmente accrescendo quello
sconcerto organico che doveva porre un troppo vicino ter-
mine alla virtuosa vita del nostro signor Frisi.' Una callosità
ossia tumore nel perineo, trascurata nella origine, e giudicata
un efietto della soppressione delle perdite emorroidali, pile
qqali dapprima era soggetto, venne a suppurazione nella
* Sino alVetk di quaraotoUO anni visse il signor abate Frisi con una conti-
oaita prosperiti di salute, ti primo, contrassegno di sconcerto lo provò nel i 776
io giugno, allordiè, sema avvedersene, per un deliquio «ad<)e nella s^cristia 4i
San Nasiaro Pietra Santa, il che non portogli conseguenaa. Poi nel 177^'cbbe
una lunga malattia di tre mesi durante la state. Non si conobbe in lui la menoma
alleraaione d'umore: sempre ragionevole e giocondo scrbossi in rocsio a quegli
accidenli che avrebbero sgotncnlalo un allr'uorao.
358 MEMMOB SCLLA. YITà IH PAOU> THSL
stale dd 1784, e da ciò naeqiie Ui necessiti in Ini di wi
iBcire di casa. Scoppiò il toniore, il quale non ai cicatrìnè
mai perfettamente, onde si conobbe esserrl nna fistob che
areva forata Faretra. Molte fatafilà si combinarono perchè
un incomodo, il quale per sé medesimo non doreva àbbn-
Tiare i giorni suoi, diTentasse cagione della soa morte. Si
obUigò al letto; si tormentò con cavatici la piaga per dito'
tarla; dnrft dei mesi la cara di tenlatìrl. Finalmente veeoe
connglialo di fore fl taglio della fistola, in cui si erano rìeo-
nosctali doe seni. La operazione Tenne rappresentata came
snperficiale e di nessun perìcolo. Egli scelse qoesto parIHo.
La sera precedente prese congedo dagli amici che YeniYtM
a tenergli compagnia, dicendo loro cbe per alcnni grorai,
sincbè non fosse sapporeto il taglio, non poterà né seder
sol letto, né godere della società. É incredibile la presenxa di
spinto colla quale, non mai parlando de'tiislì argomenti del
male, anzi evitando <^ni discorso malinconioo, sostenenli
ronYersazione con piacevoli argomenti di noTelle letterarie,
di notizie de'soot mostri corrìspondentì, e di ogni altro sof
getto ameno. «-Aon occorre iI/ìmestarCT,.qaest'era la risposta
cb^egli pacatamente dava a cbi si mostrava voglioso d'arere
da lor piò minatamente le sue nuove. Una eccezione per»
egli faceva in favore de' suoi doe frateffi, di qualcun altro e
di me; poicbé a parte, quando non v'era compagnia, trsnqvi}-
lamente parlavamo del suo male. La disgrazia colfocd h
fistola dove non essendo visibile ad alcuno di noi, altro bob
ci rimaneva che opinare soli' altrui relazione. Eravamo aDa
metà di novembre quando si spaccò quel seno. L'operazìooe
rìusd^ tale, che uno de' chirurghi della cura mi assicurò poii
con mia sorpresa, che era un taglio maggiore di quello che
si fa per la pietra; Il che non ascoltai senza fremito. Sostesae
questa fenta crudele il nostro infelice signor Frisi senza pv
dare un grido; ami, terminato il taglio, egli disseiSignorii
iermmino; andiamtme fuori; e pregò di non adularlo, dabt-
tando che a questo fine si fossero Indotti ad assicurarlo che
r operazione fosse finita. Otto giorni sopravvisse, e laseri
delP operazione mi disse, ch'egli n oMpHUwadiMlflrireiipi*'
Giacque supino ed immobile sette giorni senza lagnarsene.
MBXOBIB SULLA TITA «I PAOLO FRUL 359
DelM^, abbattalo di foncé, d'animo sempre costante; poolds-
siiBO esigendo da§;li altri, e sempre moslralKltsi grato per
ogni servigio 0 attenatone^ cosi passò qnel tempo; lusingato
sempre che tatto andasse ottimamente. La notte del 21 al 32
mollo aoffri al mtre. Si credette ana erisipile; era la fatai
cancrena che si formava. A mezzodì del 22 novembre venim-
mo avvertiti 9 i fratelli ed io, del (atale colpo. Nella neoea*
sita di avvisarlo, pregammo il Padre Raccagni Barnabita
di assumersi questo ultimo disgustoso oflScio. Lo condosai io
stesso alla casa dell' amico pericolante, concertando seco lui
il modo meno aspro per dargli quel tristo annunzio; tanto
pjòf ebe poco tempo rimaneva per compiere ai doveri della
religione. Il signor Ftisi aitribuiva a timidezza del Padre
Raccagni il consiglio, appoggiato ai replicati riscontri de' chi-
rarglù; ma avendo dallo stesso inteso come, in qneir ora in*
solita, a tal (ine io fossi ivi in una vicina stanza , bramò di
parlarmi. Udito da me come veramente i cbirorgbi temevano,
e che io credeva opportuno di chiamare i soccorsi della
Chic^, pacatamente e senza la. minima alterazione mi ri-
spose: Voi lo wniigUtUe,^, è tubiio fatto. Venne cosi a coro-
nar la sua vita coUa fermezza d' un ucuno, colla pietà d' un
cristiano illuminato, e colla ragionevolezza d'un filosofo, che
nello spazio della sua vita orasi fatto uno studio continuo di
rendere la ragione l' arbitra delle azioni sue. Spirò la sera
dei 22 novembre, all'età di cinquantasei anni, sette mesi e
nove giorni, avendo perduto la parola, e forse anche il senso,
immediatamente dopo i Sacramenti.
A me, che intimamente conosceva il signor abate Frisi,
la di lui eroica fermezza nel tagKo ha fatta sorpresa mag*
giore di quello che non lo doveva fare in un altro. Io sapeva
eh' egli era sensibilissimo; che un semplice discorso di cosa
atroce lo scuoteva in guisa insopportabile per lui. Sapeva
che alcuni mesi prima, essendosi trattato di tagliare alla di
lui sorella un tumore al seno, ei nemmeno poteva reggere
alla idea; e considerò quasi un bene la febbre che le soprag-
giunse, e colla quale lentamente e senza camificinà terminò
i suoi giorni. Sapeva che nella medicazione egli era irritabi-
lissimo, e soggetto a convulsioni per eccessiva sensibilità.
360 MBMOBIB SOLLA VITA DI PAOLO FA18I.
Egli voBe domar la natara. Si determinò; stabili il giorno;
si preparò la séra precedente colla lettura della Storia d'In-
ghilterra al tempo di Carlo I. La fermezza colla qoale tanti
illostrì cittadini innocenti sottoposero il collo alla mannnia,
ebbe ona reazione sai di lai cuore. Incontrò il dolore da no-
mo; ed era preparato a soffrirne immobilmente on maggiore
ancora. Tanto potè sempre sopra di Ini ano stoico principk)
di yirtoosa filosofia, cbe servigli di norma dorante il cono
della troppo breve sua vita!
Nella lunga ultima malattia ei s'occupò non solamente
nel correggere la stampa della Cosmografia, ma stava nd
tempo medesimo ultimandola^ e dandole una nuova forma;
e dal letto compose l'Analisi della Teoria della luna e de*pia-
neti, che non ebbe tempo di finire. Tale era il costume sno
nella ristampa delle di lui opere, che cominciava colla scoria
del manoscritto preparato per me^zo il volume, e il rima-
nente lo andava formando nel mentre che si stampava il già
disposto.
I signori Canonici Frisi (che anche nella lunga matattia
avevano mostrata la più tenera sollecitudine verso d'un fn-
tello che veneravano qual padre, ed amavano quale il mi-
glior amico), oppressi da colpo sommamente crudele, vollero
far celebrare solenni esequie al defunto, che trasportalo nella
chiesa di Sant* Alessandro, e fattovi un separato d^ponto»
venne tumulato il giorno 24 cogli onori d' un Regio Profes-
sore. I Padri Barnabiti si prestarono con ogni oflSciosità aOe
brame de' generosi fratelli, e 1 medesimi Barnabiti reaeio
un pubblico omaggio al nome dell' esimio loro collega , po-
nendo sulla facciata della loro chiesa la seguente iscri-
zione:
PAVLLO FRISIO
VIRO GLARISSIMO
CONG.» D. PAVLLI
ATQ. ITALIAE
ORNAMENTO
PARENTALIA.
Ivi poi ;si collocò un monumento colla medaglia del
MBMOBIE SULLA VITA DI PAOLO FBISI. 361
signor Frisi scolpita in marmo di Carrara dal valoroso signor
Giaseppe Franchi, e colla iscrizione in cui si legge:
PAVLLVS . FHISIVS
MEDIOLANENSIS
E . CONGR. S. PAVLLl
PHIL0L06YS . PHISIGVS . MATHEMATiCTS
OD. 6RAVIS8. DISCIPLINAS
ILLYSTRÀTAS . AVCTAS . PAOPA6ATAS
IN. SOGIETÀTES. SCIENTIARVM
EVROPAE . FRIMARLIS . ADSCrFVS
ET . IMMORTALE . APTD . OMNES
GENTES . KOMEN . ADEPTVS
VIX. ANN . LVI. M. Vii. D. IX.
PIE . ET . GON$TANTER
DECESSIT . X . K . DEC .
A . MDCCLXXXIIlI.
Un allro monumento, con urna, si ò eretto nella chiesa
della Madonna d'Ornago colla iscrizione:
PAVLO . FRISIO . MEDIOI^NENSI
PH1LOL060 . PBISICO . MATHEBIATICO
QVI . PATRIAM
CELEBBITATE . NOMINIS . ILLVSTBAVIT
EXEMPLO . VQCE . SGBIPTIS . DOCVIT
MORYM . INTEORITATE . ORNAVIT
AMICO . OPTIMO
. . PETRVS . VBRRVS
P .
Mal i marmi e le iscrizioni fanno bensi onore a noi, che
mostriamo sentimento di venerazione per ruomo di merito;
naa nulla accrescono alla fama di luì, che colle opere sue si
è eretto il pié^ durevole monumento di ogni altro. Non i bronzi
o i marmi scolpiti hanno fatto passare sino a noi il nome
d' Archimede , ma bensì le scoperte eh' ei fece. L'adulazione
o l'invidia sfigurano le cose per un determinato periodo;
II. "* 51
362 XBMOBIB SOLLA VITA DI PAOLO FBISL
r inesorabile tempo-dìatriigge i prestigi * lentameiite h ptaeida
ragione esamina, e la peateriti finalmente prononzia Vim-
mutabile gindizio, collocando le opere a quel grado che loro
conviene. Il trattato d'Algebra ripieno di nuovi metodi, sem-
plici, brevi, ingegnosissimi; il trattato di Meccanica, incoi
oltre la teoria sta compilato l'estratto delle moltissime osser-
vazioni, fatiche e meditazioni sue sulle acque; la Cosmogra-
fia, ove in un volume ritrovasi radunato quanto sinora gli
uomini hanno potuto scoprire e su i fenomeni grandi della
Terra, e sol sistema solare e de' Pianeti ; la Cosmografia, il
più vasto, il più sublime trattato che abbia l'astronomia, ri-
pieno di scoperte originali del nostro autore; finalmente gli
Elogj del Galileo, del Cavalieri , del Newton, di Pomponio
Attico, del conte Silva, di Maria Teresa, del D'Alembert
e del Perelli, jdettali da una mente che luminosamente ve-
deva gli oggetti, e scritti con una eloquenza che non è d^
stinata a spremere lagrime, ma a grandeggiare e nobilitare
gli oggetti, a dilatare l'amore della virtù e delle scienze, a
imprimere la venerazione verso chilo coltiva, con una elo-
quenza che trascorando l'ultima dilicatezza de' suoni può of-
fendere l'orecchio d^on timido sibarita, o la scrupolosa esal-
tezza di un freddo parolaio , ma anche nel tempo stesso solleva
l'anima, e la scuote col benefico entusiasmo del bello e del
vero: tali insomma sono i monumenti preziosi e incorrnl-
tibili che l'immortale signor* Fri^ si é eretto a sé medesimo;
i quali vivranno pòi che saranno fatti in polve i marmi, che
l'amicizia e la gratitudine di alcuni ha fatti scolpire in onore
di lui.
Fra i personaggi più distinti che onorarono il nostra
signor abate Frisi, io debbo nominare il signor prìncipe di
Kaunitz, il signor duca Francesco di Modena, il signor prìn-
cipe Angusto di Saxe-Golha , il signor principe di Salm Salm»
il signor duca De La ftochefoucault,il signor ex-doge Agostino
LomelUno,.il viceré di Sicilia signor marchese Caracciolo, H
signor Don Giovanni di Braganza. Egli aveva una corrispon-
denza letteraria molto estesa, e mantenuta assiduamente eoi
più distinti uomini d'Europa: il Padre Jacquier, in Roma; i
Zanetti^ Manfredi, Canterzani, Cadali, a Bologna; Walme-
MBMOBU SULLA TITA DI PAOLO FUSI. 36 1
sley, MocÌ4)B, Waring, Maskelyne, Ma(y, nell'InghiUeira;
D'Alembert, Gopdorcet, Bailly, de KeraìUo, Walelel, Clai-
raalt, La CoDdamine, La Gafll^t Thomas, in Francia; Per-
ner, Melanderhielm, Wargeoiin, nella Svezia; Formei,
Bemooilli, La Gtfinge, a Berlino; Ealer a Pietrolrargo;
TrenU>ley, Le Sage, De Saoaanre, Bonnet, Bertrand, a Gi-
nevra.— Questa corrispondenza del nostro insigne Matemati-
co, meati» giovava a Ini, non era di poca otilità a molti aUri
ancora; poichò, oltre la corioaità di essere noi informati de'
progressi delle scienze ed arti*, e delle novità della vasta,
sebbene non numerosa, repnbbGca de' pensatori, i Milanesi
che hanno viaggiato, provaraio di quanta utilità fosse per
essi una lettera del nostro signor Frisi, per mezzo di cui po-
tevano conoscere direttamente la miglior compagnia del
paese; laddove i passaporti e le lettere ministeriali, ne-
cessarie per la sicorecza, altro non prodocono per le più
che an imbarazzante invito a on pomposo e tristo pran-
zo, offèrto con noia e cerimonia, e con noia e cerimonia ac-
cettato.»
Negli ultimi anni di sua vita, malgrado i replicati au-
menti di soldo, egli non godeva più di ducente venti zecchini
annui di stipendio come Professore e Regio Censore; e tfue-
st' era tutta la ricchezza eh' egli possedeva, e colla quale de-
centemente alloggiava, decentemente vestivasl, manteneva
un domestico a servirlo, stampava le di Ini opere, e poteva
trovar persino il modo di beneficare. Bensì è vero, che dalle
commissioni per le acque Bolognesi, indi da quelle del Tiro-
Io, e sopra tutto dall'ultima incambenza di Venezia, ei potè
radunare qualche somma che gli servi di scorta al bisogno.
I premj di Berlino, di Parigi,di Copenhaghen e di Pietroburgo,
contribuirono anch' essi a procurargli de' comodi. Ei potè as-
sistere la famiglia, viaggiare l'Italia, la Francia, l'Inghilter-
ra, l'0ian4a, la Germania, gli Svizzeri. £i raccolse un ga-
binetto pregévole di libri, singolarmente matemàtici ; * man-
tenne una dispendiosa corrispondenza di lettere. Tutto potè
fare, perchè nulla dissipò mai per capriccio. Egli perù, che
' I libn matematiei poMooo vederti cella libreria de* PP. GonventnaU di
Pavia, da' quali furooo afidameoU pracnrati
364 MEMOUB SULLA TITà M PAOLO FUSL
non pensava mai al mali;, né sospettava clie nn nomo po-
tesse essere fingìosto, nd mentre frenava ogni voglia ailH-
trarla per castodire il denaro, non si sarebbe curato di cfaìn-
dello ed assicurarlo : molte volte toccava ai fratelli o agli
amici di -avvisarlo, acciocebè non lasdisse i denari alla di-
sposizione di cbi entrava nella di Ini camera ; e tanto pfù
comodo sarebbe stato il furto, poi cb' egli non soleva mai te-
ner nota di quanto spendeva, ma più o meno strìngeva le
voglie a misura cbe gli rimanevano più o meno scarsi i mez-
zi. Non bo conosciuto un uomo più alieno di quello eh' ei lo
fosse dal lasciar comprendere mai d'avere pia bisogni che
mezzi. Sempre nobile, decente, misurato, alienissimo dal
contrarre debiti, ricusando costantemente dalla stessa mano
dell' amicizia. ogni soccorso, non permettendo mai che alcuno
sacrificasse ì comodi proprj per accrescerne a lui ; con serenità
mirabile sapeva adattarsi alla propria condizione, e non sa-
peva comprendere come tanti si lagnassero d'essere mal as-
sortiti di beni di fortuna, mentre possedevano il doppio, il
triplo, e più, di quanto bastava a lui per renderlo^indipen-
dente e contento. Pare impossibile come egli, con mezzi cosi
scarsi, fosse generoso; eppure lo fu, non óolamente nel rega-
lare i libri suoi, ma secretamente soccorrendo le persone
eh' egli slimava, e che credeva bisognose di soccorso. Potrei
accennare alcune di tai beneficenze venute per ventura a
mia notizia, ma non per mezzo del signor Frisi, il quale alla
generosità univa la più nobile discrezione e nn secreto' im-
penetrabile. La generosità e beneficenza avrebbero limiti''
troppo angusti, e sarebbero troppo umilianti per coloro verso
da' quali si eseroitano, qualora non vi fossero altri mezzi se
non i beni di fortuna. Una parola opportunamente detta ad
un Ministro, una lode amichevolmente pronunziata, un consi-
glio suggerito a tempo, un incoraggiamento, un lume; tutti
questi sono mezzi opportuni, co' quali l'uomo benefico sparge
l'influenza della sua viriù, e procura lo stabilimento, le con-
venienze, e talvolta persino la gloria delle persone che ne
sono degne, e giacciono sconosciute. Di tai mezzi con cuore
e saviezza più e più volte faceva uso il benefico nostro signor
abate Frisi; e non sono Dochi coloro i quali a lui son debitori
«EMORIB SULLA VITA DI PAOLO FRISI. 3G5
d*essere stali conosciuti dai Ministri prìmarj, e collocati.
Questo nobile sentimento, però sempre subordinalo alla ra-
gione, non mai degenerò; e limitandosi ai soli uomini di stu-
dio, non brigò giammai per alcuno.
Nella famiglia, egli era amato e riverito come un padre,
come un benefattore, come l'intimo e il miglior amico. Io
sono testimonio della tenera benevolenza che reciprocamente
Taniva e colla virtuosa sua madre, donna d'ingegno e di
condotta mirabile, e co' fratelli, de' quali ho fatta giusta ed
onorata menzione da principio. La nobile cortesia, la grazia,
la benevolenza di quella famiglia, rendeva caro quel soggiorno
e a chi la formava, e a chi contemplava quel ricovero della
virtù. Incapace ciascuno d'una parola dispiacevole, umano
co' serventi, ragionevole, discreto; è una vera fatalità, che
nel breve periodo di sei anni, la madre, due fratelli e due
sorelle sieno mancati I
Mancava ancora un onore letterario al nostro signor Fri-
si, quello cioè d'essere annoverato fra gli otto Accademici
esteri della Reale Accademia delle Scienze di Parigi. Era già
disposto che alla prima vacanza eì vi sarebbe collocato; ma
la morte troncò il filo. Questa inaspettata sventura cagionò
un sentimento universale di dispiacere nella città. ^ Allora
tacque l'invidia, e subentrò il pensiero della perdita irrepa-
rabile che s'era fatta.* Un uomo che nel corso della virtuosa
sua vita non aveva mai recato danno ad alcuno ; che molti
aveva beneficati ; che moltissimi aveva istrutti ; che col suo
< Bon meno grande fu il dispiacere che alla perdita dell' illustre signor
abate Frisi dimostrarono gli uomini più colti ed illuminati , che sono sparsi
nelle cittì d* lulia e d* oltremonte. Nella sola città di Brescia, dai signori conte
Giamhatifta Gorniani e cavaliere Giuseppe Colpani, si e voluto adornare la tomba
del nostro Frisi con una ghirlanda di poetici Bori. Anche il signor canonico don
Lodovico Ricci di Chiari tributò alcuni versi alla memoria dell' illustre matema-
tico defunto. Fa molto onore a tai soggetti la sensibilitit che mostrarono io
favore di chi ha tanto illustrata l' lulia. Fra i Barnabiti, a gara furono occupati
ad onorare la tomba dell' immortale loro collega il Padre Giovenale Sacchi ed
il Padre Fontana.
S Le di lui ceneri furono onoraU dall' Accademia delle Scienze di Harlem
due anni dopo la di Ini morte, cioè nel 1786, avendo ella coronata del premio la
Dissertatione di lui sulle disugnaglianu de' Satelliti di Giove i e i «ignori Cano-
nici fratelli hanno ricevuto la medaglia d'oro, ultimo pro6t(o dell'ingegno del
glorioso loro fratello.
51*
366 MimORlB SULLA TITA DI PIOLO VEISI.
nome dava lustro alla patria; di coi i costami erano sempre
stati irreprensibili; comparve tate qua! fo, nel momento in^
cai lo perdemmo.
Possa quest'ingenuo racconto della vita e degli stndj dt
questo grand'oomo svegliare l'emulazione ne' concittadini
del Cavalieri, di Frisi, dell'Agnesi, e rincorarli almeno colla
^speranza che tosto o tardi il merito è collocato dalla ragione
nel vero suo aspetto!
3C7
LETTERE.
ÀU'abate Antonio Genovesi,
Milano
Vi presento, iilastrìssimo signore, un omaggio che yi si
deve da ogni Italiano, e ve lo presento con quella soddisfa^
zione e compiacenza che si risente quando si offre libera-
mente tributo al merito. La benefica virtù eh» accompagna
le vostre azioni, mi ha fatto nascere rispetto per roi ; le vo-
stre cognizioni mi hanno posto nel cuore la stima ; e Poso
che ne avete fatto rendendole di pubblica ragione, mi ob-
bliga ad easerven» grato. Le verità più immediatamente
congiunte colla prosperità delle nazioni meritano le medita-
zioni di un filosofò a preferenza di molt'altre ; e voi ne avete
dato un luminoso esempio all' Italia, ch'io vorrei pure imi-
tare degnamente. Appena comparve la vermone fatta della
Storia del Commercio della Gran Brettagna dal signor Don
Pietro vostro degno fratello colle annotazioni vostre, io la
lessi con avidità e con genio. Permettetene, illustrìssimo si-
gnore, che mentre il pubblico rende giustizia al pregio di
quella bell'opera, io mi sfoghi con voi, e vi manifèsti i sen-
timenti che mi ha fatto nascere nell'animo. Due fratelli che
cooperano insieme ad un lavoro geniale e benefico, è una
prospettiva consolante e che tocca il cuore ; tanto più io mi
y' interessai, quanto allora mi trovava apponto in circostanze
simili, tioè in una dolcissima unione con mio fratello Ales-
sandro, coltivando le lettere con genio uniforme, ed occu-
pandoci entrambi a un comune^lavoro d' un'opera perìodica.
Non tatti gli uomini son fortunati a segno di gustare i deli-
ziosi uffetti di famiglia, com' è accaduto a voi, illustrissimo
signore, ed a me: mi sono sentilo un gelo al cuore leggendo
368 LETTERE.
la prefazione del secondo tomo dì quell'opera, e conoscen-
dovi privato per sempre dell* illustre compagno de* vostri la-
vori; io in ciò ho un vantaggio sopra di voi, ed è uno de* più
preziosi beni che desidero di conservare ; ma le circostanze,
della vita ci hanno divisi. La seconda opera da voi pubbli-
cata, cioè le Lezioni vostre sulle materie di pubblica Econo-
mia, ristampate da noi ultimamente, sono degne di voi, né voi
medesimo, illustrissimo signore, potete calcolare a qual ter-
mine giungeranno i beneficj che fate agli uomini. Quanti ec-
citati dal facile metodo, dalla presentazione di nuovi oggetti,
dalla evidenza delle verità che pubblicate, combatteranno i
pregiudizj ereditati I quanti che ne correggeranno sé stessi I
quanti interessati difensori dei disordini ereditati, per verc-
•condia di promovere il danno pubblico in faccia d* una na-
zione illuminata, si raffreneranno! Chi può calcolare qual
limite avranno le benefiche verità che voi avete cosi felice^
mente annunziate? In questo mio scritto ^ vedrete trattata
una pìccola parte di quella scienza che professate: Tho
trattata adattando alla mia patria i vostri principj, che sono
-quelli della ragione. Ho dovuto farmi carico di molte obbie-
zioni, le quali non meriterebbero d'essere confutate; ma
«pero che voi, saggio conoscitore degli uominr, non mi rim-
provererete se ho avuto cura più di persuadere le verità, che
di scrivere un' opera ingegnósa ed elegante. Ho procurato di
esaurire P argomento, e non lasciare nelle menti di chi
m* avesse letto alcun dubbio sulla proposizione.
Vi è stato, il credereste? vi è stato chi osò asserire che
41 signor Don Antonio Genovesi, se avesse saputo le partico-
lari circostanze del Milanese, avrebbe consigliato di conser-
vare i vincoli sul commercio de' grani, lo ho osato di rispon-
dere per voi, e dire che voi sareste del parer mio , e censi*
gliereste la libertà, come avete chiaramente consigliato io
< Pare che questa leltera, a cui manca h data, fosse una dedicatoria scritta
dal Verri in minuta pel caso eh* egli avesse stampatala sua opera S»/ie leggi
vimtolmntl il Commerciò de' Grani, oppeoa dopo averla composta, dok
nel i 769) ma io qoeiraoQO stecso morì il Genovesi » ab il Vetri divulgò Uk
srritto se non molti anni di poi , cioè quando in mexKO alle contraddisioat di
que* tempi turholenti credette che giovar potesse ad impedire errori che tenta*
vano di rìpullnlarc.
LETTEBE. « 369
Ogni vostro scritto. Voi avete scritto chiaro, illustrissimo si-
gnore; vedete come vi si fanno i cementi. Si dice che in
una regola monastica il lesto diceva : I frali H vestiranno di
bSanee, e il commentatore in margine vi scrisse : Ciùè nero;
questo è il caso nostro.
Godete, o patriota illustre, della soddisfazione che meri-
tale e per l'onore che fate air Italia, e per la spinta che date
a migliorare la condizione degli oomlni, e per l'indole be^
nefica vostra ; accogliete colla naturale bontà vostra questo
mio tenue lavoro, che io pubblico sotto i felici vostri auspicj,
e permettete che io, vostro ammiratore, con vera riconoscenza
e rispetto abbia la libertà di sottoscrivermi, ec.
Al marchese Giacapo Maria Teodoli. — A Forlì.
Milano, 14 luglio 1770.
Eccellenza. — A primo aspetto Y. E. ha ragione di so-
spettare colpevole il mio silenzio dopo la pregiatissima sua
del 4 maggio, a cui aniti ricevetti la Nuova Citerea, e il
poemetto per le nozze del signor conte Pietro di lei stima-
tissimo figgilo. Pieno di gratitudine per il prezioso dono e per
le gentili maniere'colle quali si ella che il valoroso Padre Let-
tore Ghini r accompagnarono, non ho voluto dare le grazie
prima di averne gustato il merito ; né mìo malgrado mi è
^tato questo fattibile più sollecitamente, distratto come por
troppo sono dalle brighe di ufficio. Vuole TE. V. il mio pa-
-ere? lo esporrò senza riguardo e quale Tho nell'anima. La
poesia del Padre Lettore Ghini non è un pario d' impetuosa e
)ollente fantasia, ma essa mi pare figlia della placida e be-
lefica ragione : la facile organizzazione de' suoi versi non
irodace scosse nell' animo, ma soavemente v' insinua idee
itilissime ; mi pare una poesia ministra del vero, e tutta gui-
[ata da un felice genio di filantropia che tende a rendere gli
lommi migliori. Chiunque ha gusto, è allettato da una pagina
11' altra fino alla fine, e nessuno vi può essere che da quel-
opera non ritragga o cognizioni o affetti. Lo stile è eguale
I soggetto, e col dividere nella scrittura i marielliani, il
370 LETTeiE
poela si 8olli:9e al pregiudizio di coloro che per para inini-
cizia dette cose ngove disdogoano on nieiro, il qvwle se nette
altre liogoe europee piace» mollo pia riesce neUa nostra Ho-
I gaa armoniosissiraa e dekissima. Le annotamni sono piew
I di cose scelte: erodizione, notizie deU' antichità, detta storii
I natarale, di fisica, dell'estere nazioni, e soprattutto an'ec-
! cetteale morale, che spira affètti di famiglia, di eitUdiiio,
d' nomo benefico. Debbono essere ben pontiti i mormoratori
' della sua Citerea. L' ostracismo è sempre pronto al prino
I balenare M varo merito; ma la ragione e la verità cod pasti
lenti e contrastati ridacooo a' loro piedi il fanatismo. Nats-
ralissimo è il ritrito che fa di Cesare, e cosi trovo felice-
mente frammischiate le idee grandi di vera gloria, le ima-
gini più naturali del costume, e i sali attici, che mi tengono
sempre in lena. Io ringrazio ronoralissimo Padre Lettore della
bontà che mi ha dimostrato, e del vero piacere che mi ^
fktto provare. La vera filosofia che nel Poemetto di lai ri-
splende, mi £a nascere rispetto per lui ; le cognizioni onde
sono piene le annotazioni esigono ammirazione ; la benefi-
cenza e bontà della sua morale rendono a lui aperti i caori
sensibili. Eccole, mio signor conte, veramente <iaeUo che mi
fa nascere la lettura di quest'opera. Desidero per il beoc
d' Italia ch'egli abbia quel dolce ozio e quella foriunataa»
bizione che^li facciano produrre altre cose dì questo cooi«
Il poemetto poi dd Padre Maestro Fusconi é bizzarrissi-
mo; non si può trovare nò maggiore naUnralezza nelle idee e
nel verso, né maggiore vivacità d' imagini. La similitadiae
del villano che osìserva il Mondo Nuovo è felicissima, e latti
queUa favoletta ò tessuta e condotta con somma leggiadria;
egh fa scaturire gli encong e gH augurj da soggetti «ftito
impensati, e trova la via di sorprendere caramente in i^
tasti de' più ribattuti. Non aveva la sorte di conoscere ^
sto amabile scrittore, ed io felicito V. £. d' avere un figlia^
ed una nuora degna di lei, e che possono inspirare a' v^i
si belle idee, ft pieno di lazzi vivacissimi quel Padre Foseoii;
quelle sue teste da pettitiare, quelle paienteai sidla segi*-
tozza delle donne e simili, mi hanno colpito. InsomoM io
avrei pure curiosità di sapere se una coni bella coppia M^
LETTERE. 371
mantenuto in eredito il yatieinio, e se gli embrioni di quel
eofanetto sieno comparsi alla luce: certo che ono Sposo e
una Dama tanto colti dovevano questo omaggio alla buona
poena di non farla mentire, ed io lo desidero per la conso-
lazione di y. E.
Eccole detto il mio parere^ o per meglio dire, le mie
sensazioni su queste due belle cose ; perchè alle Arti imita-
trici, Poesia, Musica, Pittura, io m* offro passivamente; non
cerco di ragionare, presento indifferentemente la mia anima,
e riitico poi quali movimenti vi abbia sentiti ; né credo che
altrimenti si deUNi giudicarne. Fontenelle si presentava ad
udir la musica con questa disposizione ; e quando ella lo la-
sciava perfettamente In quello stato in cui T aveva trovata,
le chiedeva con ragione : Muiica, che vuoi da mef — * Questo
non prova nulìa, diceva freddamente un geometra al vicino
che inangeva ascoltando una bellissima tragedia ; e il geo-
metra aveva torto, perchè era tempo di sentire e non di ra-
gionare. Queste mie sensazioni però ella si degna di valu-
tarle più che non meritano, ed io non posso addurre in di-
scolpa d'averle palesate nienl' altro che l'obbligo da lei
gentilmente impostomi colla maggiore ingenuità ; e deside-
roso d' incontrare occasioni di mostrai^le la mia obbedienza
e gratitudine, passo con perfetta stima a dichiararmi, ec,
ÀI eavalier Gaetano Filangieri.
Milano, 36 agosto 1780.
Eccellenza. -- Il Padre Rottigni mi ha portato il pre-
zioso regalo che Y. £. si è degnata di farmi. Io la ringrazio
della istruzione che mi ha data colla lettura dell' aureo suo
Ubro,* e la ringrazio della lusinga ch'ella ha fatto all'amor
proprio dimostrandomi che un profondo e benefico pensa-
tore quale Y. E. abbia creduto eh' io potessi intenderlo ed
ammirarlo. Io le confesso che al primo aprire del libro ho
dubitalo che l' impegno fosse troppo vasto, e che l' autore
non potesse poi reggere alla Immensa carriera ; ma alla pa-
* Lm ScitrtM della Legishtiont*
372 LETTEKE.
gina 59 ho ascoltato la voce d' Ercole che ha rimbombalo
sai mio coore, e il mio dubbio è svanito : a misura cbe mi
sono avidamente innoltrato nella leltara, sempre più ho sen-
tito che grandeggiavano le idee, e le primordiali verilà k-
minosamente posavano appoggiate ai fatti d' ona vasta eru-
dizione. Aspetto con impazienza il secondo libro, il quale
m' interessa principalmente. Vorrei poter significarle la ve-
nerazione che hanno fatto nascere in me i sablimi suoi lami,
e più ancora Y oso generoso e benefico eh' ella ne fa iA be-
neficio della società umana. Io felicito Y. E., e più aacòra
felicito cotesla sua illaslre patria, nella quale s* ascolla eoa
pace e onore la voce libera d' un filosofo che indica sapien-
temente gli errori sinora venerati. Questa é una sacra espia-
zione all'ombra onorala dell'infelice Pietro Giannone, colpe-
vole d' esser nato cinquantanni prima del suo tempo. Possa
y. E. goder lungamente e in pace insieme cogli api^ù
dell'Europa l'ammirazione de' suoi cittadini! Quesl'è il volo
che esprime il mio animo riconoscente e sensibile, mosso dal
patriolismo italiano. Sono con infinita stima, riconoscenza ed
ossequio, ec.
À Giuseppe De Neechi ÀquUa,
Da casa, 3 gennaio 1781.
Ella mi ha favorito con due compitissimi fogli, ed io la
prego a non sapermene male se ho differito il riscontro per
molli doveri oflQciosi che me lo hanno impedito. Primiera-
mente, mi spiace d' intendere ch'ella sia incomodata, poiché
di vero cuore le desidero tutti i beni ; e questo mio sinceio
desiderio nasce dalla stima distinta che mi pregio di Gue
de' suoi talenti, delle sue cognizioni, e soprattutto della bootà
e chiarezza dell' animo di lei. U signor conte Corniani gta-
dica di me colla parzialità che il signor Don Giuseppe onora-
Ussimo gli ha suggerita : io gli sono obbligato per od errore
tanto per me glorioso, e lo prego di fargliene i ringrasia-
menti in mio nome. Le poesie di quel chiarissimo Cavaliere
vanno al cuore e partono dal cuòre. Ella sa quanta parte ab-
LETTBRB. 373
bia il caso nel dare credito a una composizione manoscrilta
presentata DiU majorum geniium, e non v' è punto da ca-
varne alcun sinistro augurio se V Orazione gratulatoria sia
fors' anco Tergine ancora e non letta. La Corte è yn vortice
turbolento ; e non ò facile che si fissi lo sguardo sopra la-
vori che si esaminano nel placido silenzio d'un amatore. La
tesi la credo però, esattamente vera, cioè che la serie della
nostra storia «i presenta vicende, costumi e governi, che
fanno l'elogio de' viventi. Io non credo che vi siano che due
epoche paragonabili a questa, cioè sotto il dominio dell' ar-
civescovo Giovanni Viscónti, e sotto qnello del mio caro
Azzone Visconti. La versione d'Orazio è un'occupazione
degna di lei, che lo- ha saputo si ben vestire all' italiana con
mio sommo onore :* ella vi si occupi con buon animo, sicuro
di averne gloria e ricompensa; ma della dissertazione sulla
Distribuzione degli Impieghi non ardirei di fartene eguale
vaticinio. Se i distributori delle cariche potessero dimenti-
care ogni personale riguardo nel conferirle, ed essere eroi,
le cose di questo mondo camminerebbero meglio ; ma cento
sorprese strappano la nomina aQe cariche, e molte volte
l'oomo di merito consegui un collocamento per tutt' altro
mezzo. Bacone scrìsse : Ad honoret raro ascendiiur niti per
mixturam honorum et malarum artium. Quando gli uomini
errano per equivoco di mente, un libro può illuminandoli
condurli al buon cammino ; ma quando V uomo travia per-
chè preferisce il proprio al pubblico interesse, non v' è altra
maniera di correggerlo se non dimostrandogli che s'inganna
ogni volta che sappone ohe il proprio vero e durevole inte-i
resse sia in contraddizione col bene pubblico : la qual tesi
vera e verissima non si può dimostrare se non con una lunga
serie di ragionamenti; e i distributori delle cariche o gli
hanno fatti prima di giungere agli onori, e non hanno me-
stieri d' un nuovo libro, ovvero non gli hanno fatti, e non
avranno pazienza e comodo per farli. Ella vede con ciò una
critica, ma amica e onesta, della sua Dissertazione non nata
ancora. Io non pretendo però alia infallibilità, e le sottopongo
' Le Odi di Orazio, di coi si parla , erano dedicate a Pietro Verri.
II. 3:2
374 LETTEBE.
baonameDte la mia opioìoDe. La ringrazio finalmenle, ma di
vero cuore, della parte ch'ella prende alle sovrane benefi-
cenze versate sopra di me senza alcun mio merito. Bramo di
poterle mostrare in fatti la vera stima, V affetto e la distinta
considerazione colle quali mi protesto, ec.
Al Padre Francesco Fontana, Bamabila.
Milano, 8 gennaio 1785.
Molto Reverendo Padre, Signor colendissimo. — Sono
commosso neir intimo del mio animo leggendo le due subli-
mi Elegie che Y. R. e il chiarissimo Padre Sacchi consacrano
alla tomba del comune amico nostro Frisi. La singolarissima
bontà colla quale mi onorano, sempre più accresce le mie
obbligazioni. Paragonando me stesso col ritratto, vedo che
mi rappresentano quale vorrei essere. Non comprendo io
stesso se nella mia devota gratitudine v'abbia parte mag- I
giore r onor sommo che Y. R. e 1* ornatìssimo suo Collega j
fanno a me, ovvero queUo che fanno alla memoria del no- <
stro Frisi, che ho amato e che amerò sin che avrò vita. Egli
doveva ottenere i sentimenti e gli encomj che tributano a
lui pel suo merito, e perchè sommamente amava e stimava
il loro carattere, ingegno e dottrina. Io non posso attribuire
se non a questa seconda cagione, che mi pregio di aver co-
mune, la parte della gloria che me ne ricade. Spero che
Y. R. e il veneratìssimo suo Collega mi permetteranno di fre-
giare colle eccellenti loro Poesie le Memorie che vorrei pub-
blicare sul nostro Frisi. Frattanto colla più rispettosa ricono-
scenza ho r onore di protestarmi, ec.
A Baldassare Papadia. — A Lecce,
Milano, i giugno 1793.
Illustrissimo Signor padron colendissimo. — Somma-
mente cousolante per il mio amor proprio è stala la pregia-
tissima lettera che Y. S. illustrissima si è degnata di seri-
LETTERE. 375
venni in daU del 17 scaduto/ L'epoca deU' imperator Fe-
derico ch'eUa ha avvertila, mi è costata veramente assai
fatica, perchè neMìbri io Fho trovata o in verisimile o par-
ziale, 0 peggio ancora, onde ho dovalo da molti frammenti
indovinare il disegno d' un' antica fabbrica nel descritto da-
gli autori. Anche l' epoca della mutata disciplina ecclesia-
stica mi è riuscita faticosa ; ma conGdo d' aver indovinato
co' passi degli scrittori contemporanei per quai modi la giu-
risdizione romana siasi eslesa, e in Milano v' erano i docu-
menti autentici, i quali recano un grado di probabilità anche
sulla soggezione imposta ad altre Chiese. Io ho già mano-
scritto in buona parte il secondo tomo sino alla prigionia del
re Francesco I ; il materìade per il rimanente sino a' giorni
nostri è già raccolto da alcuni anni , ma diverse circostanze
si sono combinate colla naturale mia inerzia, e non so se
avrò voglia di ultimare la Storia. Sicuramente che la bontà
colla quale V. S. illustrissfma l' accoglie e mi onora, è uno
stimolo, lo la supplico di aggradire il sìncerissimo ringrazia-
mento che le offro, e di considerare in me uno che ambisce
di mostrarle la più sincera riconoscènza, la stima distinta
dovuta al suo merito, e il divoto ossequio col quale ho l'onore
di protestarmi, ec.
* Questa li aggirava intorno al primo tomo della Storia di Sfilano,
toccando principalmente alcuni punti di essa che al Papadia erano sembrati di
maggior rilievo.
FINE.
INDICE DEL SECONDO VOLUME.
Artieoll tratti dal Cmffè.
Il Caift Pag. 3
Il Tempio dell' Ignorania 10
Elementi del Commercio i3
La Commedia 20
La foTtnoa dei Libri 25
Contideraaioni ini Lnsio 28
La coltiTaiione del Lino 36
Saggio d* Aritmetica politica 37
Sulla Medicina 38
Pensieri sullo spirito della Letteratura in Italia 49
I gindii) popolari 60
Degli onori resi ai Letterati 67
Della ntilitli delle Stufe 71
Gli studj utili 73
Sulla spensieratena nella privata economia 80
I tre Seccatori 89
Un ignorante agli scrittori del CaJBfh 94
Le maschere della Commedia italiana 96
Ài giovani d* ingegno che temono i pedanti. iOO
II Singolare 104
Della Patria degl'Italiani. 106
Il 1»^ iroi e /e/ 113
Le Parole 117
Dialogo fra nn Mandarino chinese e un Sollecitatore 119
Sa i Parolai 123
La Musica 126
Badi, novella indiana 134
Alcuni pensieri sull'origine degli errori. 139
Sul Ridicolo 141
Sulla Fortuna 147
Pensieri sulla Solitudine 156
Sulla interpretasione delle Leggi 162
La festa da ballo. 171
378 INDICE.
Le delisie della villa Pag. i75
Storia naturale del Caccio 1S3
Dei lucri de'Medici. 186
La buona compagnia '. . . . i87
Sull'innesto del Vainolo i93
Ricordi disinteressali e sinceri. 331
Ricordi di Pietro Verri ad una sua figlia S5i
Memorie appartenenti alla vita ed agli studj di Paolo Frisi 303
Lettere 367
SCRITTI VARI
DI PIETRO VERRI.
APPENDICE.
PEIVSIERI
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE
NEL 1790.
PREFAZIONE.
Malgrado il dispotismo sotto del qaale sono nato e ere-
flciuto, le mie idee non sono qaelle d' ano schiavo, ed i miei
sentimenti sono quelli d' un nomo che sente la dignità pro-
pria. Paragonandomi co' miei concittadini, conosco che agli
occhi loro debbo comparire stravagante, pericolqso ed impru-
dente. Se fossi nato neir Inghilterra, o nella Francia , io sa-
rei un uomo come gli altri; nato neir Italia e singolarmente
pel Milanese, io non posso sfogare i miei pensieri se non
collo scrivere, e per non turbare la placidezza della mia vita
rinunziare air idea di pubblicare un libro che non conciterebbe
che paura ed odio contro il suo autore. Ombre sacre dei
Bruti, a qual depressione sono giunti i vostri eredi! L'unica
medicina, che potrebbe tentarsi sulla massa avvilita d'una
nazione ingegnosa, ed un tempo sede della virtù, sarebbe
la vergogna della propria abbiezione. Forse la Rivoluzione
Francese s'estenderà negli Svizzeri, ed avremo vicino un
paragone, che apra gli occhi ai figli nostri. Lo voglia il buon
destino! Amo la mìa Patria, compiango i suoi mali, e mo-
rirò prima che ne disperi il risorgimento.
P. YEULI. Jppeadiu.
SULLO, STATO POLITICO DEL MILANESE
NEL 4790.
Non ho parte alcuna ne' pubblici avvenimenti, jiò. al*
cono mi ha invitato ad occuparmene. Vedo molti che se
ne sono assanti V impegno, e sono persuasi di saperne quanto
basta. Bramo che vengano ricompensati colle benedizioni
avvenire. Frattanto io forestiero alla mia patria, avendo ona
maniera di ragionare europea e non milanese, per genio
scrivo in questo libriccino quello eh' avrei detto e scritto a
nome pubblico, se vi avessi avuto parte. Cardano abbandonò
la patria ; Corio, Calchi, Giulini vennero a morire senca al-
cun pubblico onore. Cavalieri, ignoto a noi, fu ammirato dagli
esteri. Frisi fu trascurato e contraddetto : Donna Maria Agnesl
passa la sua vecchiaja in un ospedale. Beccaria non ha ri-
cevuto applauso che dai forestieri : è glorioso per me di tro-
varmi in così buona compagnia. Faccia il buon destino che i
signori Delegati pensino e scrivano meglio di. quello che ho
fatto io, unicamente per dare sfogo alle mie idee sulla feli-
cità pnU>lica, argomento prediletto delle mie azioni, e de'miei
pensieri. .
GOVERNO SPA€NUOLO.
Dappoiché colla morte di Francesco II Sforza il Ducato
di Milano passò allo stato di provincia della monarchia di
Spagna, e venne a presiedervi un governatore in nome del
sovrano, il governo di questo paese fa un vero mostro po«
litico. Un governatore scelto fra i più illustri soggetti della
Corona, veniva a risiedervi per tre anni, e talvoUa era pro-
lungata la sua commissione. Egli aveva il sommo comando
della armala ed era luogo-tenente del monarca. Ma un fo*
4 SULLO STATO POLITICO DEL HILAlfESE.
restiere per lo più militare, ignorando la lingea, le leggi, i
sistemi; alla lesta d'nn goyemo che era on yero intricatis-
simo labirinto, nel quale i nazionali medesimi più volle tro-
vavansi neir incertezza, avendo da un lato il corpo nspelta-
bilissimo del etere che faceva valere i privilegj, le immanità,
la giurisdizione propria ; dall' altro il corpo potente del se-
nato e de' togati, padroni della vita, delle fortane privale e
pubbliche, e degli affari; con a fronte il corpo non meno
poderoso dei nobili che possedeva il secreto del catastro dei
carichi delle terre, reggeva la yettovaglia della città, aveva
ligie tutte le arti, i mestieri, la mercatura ed i cittadini
tutti: nn governatore in tal sistema politico ritornava nella
Spagna tanto ignorante delle cose milanesi, qnanto allorché
ti «ra venuto.
Il clero era immune dalla gravezza sulle terre; preten-
deva qualunque ecclesiastico di non dover contribuire panlo
al tributo, e questa pretensione si estendeva per sino ai co-
loni de' loro fondi ed ai generi di loro Consumazione. Le
loro persone erano sacre e inviolabili, né mai avrebbe osato
la forza del sovraoo di arrestare un ecclesiastico per qua-
lunque più atroce misfatto. Le loro case erano di asilo a
chiunque vi si ricoverasse, per modo che yivetano nella
loro patria indipendenti affatto dal loro sovrani). Le carceri
dell'arcivescovo e dell'Inquisizione, gli sbirri da essi di-
pendenti servivano alla fòrza e giurisdizione ecclesiastica
adoperata anche sui cittadini laici ; si viddero scomunicati
il governatore, il presidente del senato, il gran cancelliere, ec,
allorché vollero fare ostacolo all'esercizio di tale giurisdi-
zione. L' arcivescovo teneva affezionati i primarj della (oga
e del corpo nobile, collocando ne' benefkii migliori i loro fra-
telli, figli 0 bene affetti.
U senato corredalo nella sua instiluzione di somma aa-
torìtà, ed operando immediatamente in nome della maestà
del monarca, si reputava maggiore del governatore stesso;
la vita, la libertà, la fortuna cKogni cittadino erano abban-
donate al potere illimitato di questo corpo terrìbile, che si
credeva sciolto dai rigidi principi di ragione, ed osava dire
che giudicava tamquam Deus. Oltre gli affari di giustizia, «
SCLLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 8
molto s'ingeriva anche nelle cose politiche, registrandosi
presso del senato tolti i rescritti sovrani. Questa somma di-
gnità collocata in on corpo di gtorìsperiti, venne talvolta
amiliafa dalla potenza militare dei governatori. I togati però
d' ordinario andarono d' accordo col ceto ecclesiastico, e re-
cìprocamente giovavansi, ed avevan comune interesse di al-
lontanare il governatore dall' immischiarsi nei loro affari
L' azienda della camera era abbandonata ai togati, e diffi-
cilmente giungeva il governatore a penetrare i misteri del
bilancio camerale. Frattanto in pochi anni, alcuni togati am-
massarono un patrimonio cospicuo, e bastino i due soli pre-
sidenti Aresi e Clerici per giustificazione. 11 corpo de' patrizj
dirigeva il Duomo, Sant'Ambrogio, regolava la vettovaglia e
le strade, dirigeva tutte le maestranze delle arti, gli ospe-
dali, orfanotrofj e tutte le pie fondazioni, distribuiva le doti
e le elemosine. Qualunque cittadino cercasse di esser sinda-
co, cancelliere, cassiere, agente, medico, chirurgo, inge-
gnere ec. di queste pie fondazioni, dovea procurarsi la pro-
tezione d' un patrizio, e con questi mezzi i nobili, favorendo
i protetti 0 dall' arcivescovo, o dai togati, si appoggiavano a
questi due corpi. Cosi era formato realmente un governo, in
coi tre corpi si dividevano il dispotismo, lasciando la rap-
presentanza del sovrano al governatore, ed al vero monarca
non rimanendo se non la nomina alle cariche, l'immagine
solle monete ed il nome alla lesta degli editti. *
* Sotto il dispotismo non si ardisce pensare, meno poi scrivere, quindi po-
che memorie abbiamo sol governo della Spagna nel secolo passato. Da un MS.
che trovasi però presso il principe Belgiojoso, opera del senatore Giovanni Bat-
tista Visconti, intitolato «SValo della Repubblica Milanese l'anno Ì610, vc-
desi in qnal forma il conte di Fuentes allora governasse lo Stato. Il senatore era
testimonio vivente^ e ci lasciò memoria come il Fuentes da se, sensa saputa
d' alcun tribunale, spediva chiunque in galera (così si visse in Milano dal 1600
al -1610). Il senato fece alla corte le rimostranse: la corte riprovò il dispotismo
del governatore, e comandò che la giostisia punitiva si reggesse dal senato, di
che se ne rise il Fuentes, che perseverò a far incarcerare e legare al remo a suo
arbitrio'. Fuentes sensa dar nemmanco notisia alla corte impose a suo capriccio
de' nuovi carichi, e siccome il vicario e XII di provisione ricusarono di concor-
rervi, Fuentes se ne sbrigò col farli mettere tutti in prigione. La manifattura
delle armi era da noi un ricchissimo artìcolo d* industria, e Fuentes per una
ridicola politica di non dare armi ai vicini, proibì l' esportazione e rovinò coti
una cospicua manifattura naiionale. Veggasi il MS., fog. i79 e 284 a tergo. Nò
P. TBBRl, Jpptndict. i*
6 SULLO STATO POLITICO DEL MILANESB.
Terminata la domi nazione della Spagna, e sobentralo
r imperatore Carlo VI innamorato del sistema spagnaolo ;
lasciò sin che visse la forma di governo che era nel Milane-
se, e forse ebbe in ciò V avvedutezza dì tenersi ben afletU i
nuovi sodditi, giacché l' abilodine pnò nella massa degli uo-
mini assai più che la ragione, ed in nn paese illangoidito, e
oppresso da più secoli di cattivo governo, ogni novità falla
dal prìncipe trova la ripugnanza pubblica. Anche la laee è
penosa agli occhi infermi, e conviene per gradi rinforzare
prima r occhio, al che non si è poi voluto por mente sotto
di questo principe. I corpi pubblici vennero onorati, la città
ebbe il trattamento de' grandi di Spagna. Alcune famiglie di-
stinte per la nascita e le ricchezze le ascrisse al Grandado
di Spagna, decorò del toson d' oro alcuni Milanesi. Due Mi-
lanesi vennero' collocati vice-rè nel Regno di Napoli, altri
vennero adoperati nel mistero delle corti. Nelle sue armate
alcuni Milanesi giunsero alle prime dignità. La carica lomir
uosa di castellano di Milano venne aflSdata «1 maresciallo
marchese Visconti ; cosa che non so essere mai accaduta per
r addietro di collocarvi un nazionale. I governatori sotto
Carlo VI furono moderatissimi, e lasciarono il regolare corso
agli affari il principe Eugenio di Savoja, il principe Lewen-
qui col solo Fneotes termina la stona. Altro Manuscrilto dello stesso senatoie
Visconti conservasi dal signor principe, che ha per titolo Governatori, in coi a
fog. 350 tergo, leggesi che D. Pietro de Toledo (goTernatore dal 1616 al Ì6i$y
di sua dispotica autorità fece impiccare un uomo che serviva il marchese del
Maino, sema partecipazione «hà^tribanale di giustiaia. E cosi poco riguacdò mo-
strò il Toledo verso del monarca, che arhitTariamente levò la carica di gran caa*
celliere a D. Diego Salassar nominato dal re, e coaferi tal cmpicna digaitli a
D. Giovanni Salamanca, il che saputosi dal re, altamente disapproTÒ il Atto, •
comandò che il Salassar venisse ripriitinato; se ne rise il Toledo, e Salassar ne»
ebbe più carica, di che veggasi il MS. suddetto, fog. 539. Nel libriccino stampato
che ha per titolo: Fita del Presidente A resi, a pag. 370 leggesi che il D.Lnigi
de Gonsman Denge de Leon (che fu goveniatore dal 1663 al 166S) di sua dispo*
tica autorità fece impiccare no miserabile orbo che cantava cansoni perule sCnde.
Si piantò secretamente la forca alla piasta dei Mercanti a porte chiuse, e di vottt
▼enne stroasato e seppellito sensa partecipasione ad alcm Tribunale.
I saccheggi che i governatori poi fecevano erano enormi. Veggasi il I**
bretto stampato, intitolato : il Governo del duca d'Ossuna nello Stato di Mi»
lano, a pag. SS. Qnel signore ammassò ben cinque cento mille oneie d* a^ole
di regali. Non pnò negarsi che il governo fu assolutamente dispotico a niias ^1
sovrano e del popolo, e la città fioritiisima di Milano fu annichilata.
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 7
Stein, il conte Colloredo, il conte di Diam, ed il conte di
FrauD. I tributi arbitrar] e rovinosi sulle terre si radunarono
nella sola tassa cbiamata Diaria, e quindi si respirò sotto il
governo di Carlo VI quanto Io comportava la condizione dei
tempi e le invasioni, alle quali il paese venne esposto. I peg-
giori tempi per un governo dispotico sono quando it sovrano
vuole fare tutto, o quando indolentemente si annoia degli
affari. Nel primo' caso tutto si sconvolge dalla smania di creare
cose lìuove, nel secondo tutto si calpesta e si divora dai po-
tenti ministri. Carlo YI si tenne ad un punto di mezzo, con-
servando le antiche pratiche municipali, e vegliando perchè
non venisse oltraggiata la provincia. Ma tale infelicità è sem-
pre precaria, quando a un popolo manchi una costituzione.
MABIA TERESA.
Maria Teresa imperatrice e regina, che credeva un male
tutto ciò che era spagnuolo, e che se n' era annoiata vivendo
e regnando suo padre, appena rimase tranquilla sul trono,
ascoltò i progetti del conte Pallavicini, genovese ambizioso
ed attive, che aveva in mente di comandare in questa pro-
vincia. Ottenne, prima il carattere di plenipotenziario, indi
fu governatore. Costui, nato cittadino libero d' una libera pa-
tria, non ebbe animo elevato a segno di conoscere la dignità
propria, e per vanità di comandare si fece servo, ed avrebbe
pur voluto degradare gli uomini allo stato di schiavitù,
per fare egli la parte d' un despota. Nel suo soggiorno alla
corte di Vienna, egli fomentò la nazionale prevenzione degli
Austriaci contro degli Italiani, e travagliò ad imprimere nel-
r animo di Maria Teresa una pessima opinione contro dei
Lombardi, acciochè qualunque lamento nostro fosse scredi-
tato e di nessun effetto contro il volere di lui. Una princi-
pessa amabile e sensibile s' irritò facilmente contro un po-
polo che le si fece credere sleale ed avverso d' animo. Ella
formossi un'idea esagerata della scostumatezza dei Milanesi,
presso dei quali ella credette che la religione si riducesse a
feste 9 e processioni, e scioccherie di streghe senza alcun
principio di virtù; credeva che le donne fossero prostituite ad
8 8CLL0 STATO POLITICO DEL HILAXESB.
ona dissolalezza generale, e ona principessa gelosa ne fre*
mera; credeva querula , insidiosa, falsa in corpo talta la no-
stra generazione, e con tali funeste prevenzioni, radicale
in una persona amabile, pia e coslumatissima, si alzò qael
moro inespognabile che ci separò per sempre da lei, e lasciò
libero il campo ai ministri di deprimere e vilipendere il no-
stro paese. Pallavicini, è vero, conobbe il bilancio camerale
e assieorò il pagamento ai creditori della Camera, abolì gli
abusi, rettificò i metodi, portò ordine e luce. Promosse la
perfezione del censo sulle terre, pose argine all' autorità dei
senatori, ciascun de' quali da sua casa osava spedire ordioi
in nome del sovrano; ma invece di sgombrare il dispotismo,
invece di creare una norma stabile e fissa di governo , ossia
una costituzione, egli lasciò la provincia nella abbiezione,
s' appropriò il dispotismo, e colla riunione rese sempre più
funesta la prepotenza ministeriale. Da prima molti potevano
far del male, ma molti ancora potevano preservare dal male
un cittadino; poi radunata la forza in un solo, non rimase
più riparo contro l' ira, l' odio e la vendetta di lai. Pallavi-
cini odiava il conte Biancani, lo minacciò di volerlo fare im-
piccare; fiiancani fuggissene verso degli Spagnaoli , i quali
allora avevano invasa parte del Milanese. Venne poi arre-
stato. Pallavicini deviò dalla forma regolare, e si formò ona
Commissione per giudicarlo. Maria Teresa V autorizzò. Que-
sta Commissione lo condannò a perder la testa come diser-
iore e fellone. Vi fu un uomo dabbene nella Commissione che
rimase solo del parere che non fosse sufficientemente pro-
vato il delitto, e merita d' esser nominato: il vicario di giu-
stizia Bassotta, che poi non fece più fortuna. Sulle tracce
del Pallavicini camminarono i successori; quindi al senato
'si tolse ogni ingerenza nella università di Pavia: si levò
dalla dipendenza del senato il protofisico; si spogliò il pre-
sidente del senato del diritto di supplire, alle assenze del
gran cancelliere. Si ridusse il senato allo stato di mero tri-
bunale di giustizia, e il governo si rese padrone dell'uni-
versità di Pavia, delle cose ecclesiastiche e della facollà
medica e sue dipendenze.^ Il ceto ecclesiastico sotto Maria
< Per conoscere V abuso che il sena lo facera della sua aotorilì^ Usti ricor*
. SULLO STATO POLITICO DEL BIILANE9E. 9
Teresa venne sottomesso a pagare il tributo , come ogni al-
tro cittadino; gK Asili furono aboliti, abolita rinqaisizione,
e latte le carceri dei Frati: assoggettati i sacerdoti per i de-
litti al tribonale come ogn' altro, tolta la censura de' libri
agli ecclesiastici, ed il governo s'impadroni della censura.
11 corpo de' nobili vide comparire un regio ministro a pre-
siedere al Banco Sant'Ambrogio; un regio delegato a tutte
le civicbe adunanze; colla pubblicazione del censo perdette
V antico diritto di ripartire il carico; coU'abolizione delle uni-
versità perdette la giurisdizione sui corpi delle arti e mestie-
ri, e tutta questa massa di autorità tolta a questi tre corpi
sotto Maria Teresa, venne collocata nel suo ministro pleni-
potenziario, che non intendendo gli affari, geloso dell'auto^
rità; s'era abbandonato ad alcuni segretarj, dai quali ostil-
mente era villaneggiata la nazione. Cosi il governo dal 1760
al 1770 potè a ragione paragonarsi a quello della Yallacchia,
mentre un Ospodaro» rivestito del sovrano potere, colla sua
unica volontà, anzi coir unica volontà de' suoi scrivani, di-
spoticamente dispone. Povero popolo! Nel tempo in cui la
sovrana delusa ci credeva avversi alla dominazione di lei ,
avesse ella almeno vedute le chiese ripiene dei Milanesi pal-
pitanti, allorché venne ella attaccata dal vaiolo, impetrando
dal cielo la sua guarigione colle lagrime I Frattanto ci teneva
depressi un ministro invisibile , e rintanato fra una galleria
di cattivi quadri, fra ana libreria di volumi conosciuti pel
solo frontispizio, segnando comodamente senza leggere i de-
creti che gli presentavano i suoi scrivani favoriti. Una soia
parola incautamente proferita dal nobile Vitali fu cagione,
per cui di notte venisse circondata la sua casa, la sbirraglia
portasse la desolazione alla dama sua cognata ed agli altri
parenti, ed egli venisse come un malfattore incarcerato, e
per più mesi privato della libertà. Una sola vivacità senza
conseguenza del marchese Carini cagionò una simile violen-
za, ed un uomo di settant^anni , di probità conosciuta, e colto,
dare che alcani ciUadini anche beonati, in uno stravitzo, avendo mancato di ri-
spettare un naoo che era il por^inajo del senalore Guidoni, vennero accasati di
sedizione, processati ed impiccati, il che accadde sotto Carlo VI ; e la memoria
se ne conserva tuttora.
10 SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE.
venne posto In castello. Dorante la notte giravano per la
eittà de'commìssarj, e leggevano le carte che si trovaTano
nelle tasche de' cittadini. Di giorno gli sbirri sparsi per le
strade gettavano le^ stanghe nei raggi delle ruote di quelle
carrozze che a lor gindizio correvano, e la contessa Breb-
b?a nata Zonati fa la prima a trovarsi co^ sorpresa. I fer-
mieri generali collegati cogli scrivani erano frattanto gli ar-
bitri del paese, e non venivano promossi alleearìchesenoii
i loro faalori e dipendenti, uè dal trono emanavano onorifici
diplomi che su tal gemia; tanto arditamente era dolosa dai
suoi ministri r imperatrice e regina! ^ Se taluno avesse ar-
dito di recarsi alla corte e rappresentare a pie del trono i
danni, correva gran rischio.
Se si presentava al ministro, doveva tentare talvolta per
pia settimane prima di poterlo vedete; indi, mediante ano
zecchino al cameriere signor Diletti , veniva introdotto, e si
trovava on corpulento e timido nomo che sospettava che si
avesse nn pugnale nascosto», ascoltava con impazienza , nalla
comprendeva, sì conosceva prevenuto che tutto fosse cabala
o raggiro, e questo fu il governo veramente tirannico che
soffrimmo dorante il ministero del conte Firmian, il qosde,
morendo nella state del 1782, lasciò una schiera di poveri
creditori che non saranno pagati. Cosi un Ministro scelto
per impedire ogni prepotenza, esercitava il suo officio, e ri-
duceva gli uomini benestanti alla scelta o di avere nemico
un uomo armato del sommo potere, ovvero di cedergli la
somma di danaro eh' ei richiedeva , colla sicurezza di non
più riaveria. Cosi Maria Teresa fa servita nel Milanese.
* Gli avvocati ^e*feraii«n geaerali die li protesterò contro la Camera, ven-
nero un dopo Tallro premiati ed idnalzati alle cattedre senatorie: cosi Laro1)erteii-
ghi, Mutoni, Fenaroli. I fcrmieri dal paese trassero abbastansa per fonaaie IR
rìechissìme fiimiglie, ed attrihaendo a tutte tre ^4,000,000 h una pfoposisiopi
naoderata. Aggiungasi la Terosimile somma da essi distribuita per ricompeosan
le protezioni, e vedrassi che per uà verosimile calcolo 36,000,000, avranno co-
storo smunto dal popolo più di quello che entrò nell'erario, al quale pagarono
cinque milioìii annui; onde nei venti anni cbe continuarono neli* appalto, ftf
pagare tre al sovrano, essi saccheggiarono quattro nella provincia. Maria Teresa
ne' suoi dispacci li qualificava sempre Benemeritij essi furono poi onorati di (>*
Ioli, ordini e feudi, e furono i padroni di questo paese.
5DLL0 STATO POUTIGO DBL M1LAN£SB. 11
Venne finalmente il reale arciduca Ferdinando , pieno
di attività, di facile penetrazione; levò immediatamente dalle
mani de' subalterni Ja verga di ferro colla quale eravamo
percosii. Da quei pùnto sino al 1786 non vi è stato uomo al
quale «ia stata fatta sorpresa, o soverchieria; la libertà indi-
viduale fu rispettata, ognuno potè accostarsi al governatore
e presentargli la sua ragione. Accadde quel che sempre suc-
cede nei paesi soggetti al dispotismo, cioè che avendo il po-
tere un principe illuminato e buono , cessarono i mali pub-
blici e privati. Ma la condizione d'un popolo è sempre
nBiìserabìle e precaria quand'ella non è appoggiata ad alcuna
costituzione, ma sempUcemente<)ipende dalla casuale volontà
dì ehi è posto a governarlo.
OIUSEPPE SECONOOw
Giuseppe Secondo conobbe che il sistema era viziato;
ma non conobbe che una contemporanea ed universale di-
struzione delle leggi e delle pratiche d' un paese è un rime-
dio peggìor del male. Non fece alcun caso dell' opinione» che
pure è la regina del mondo, e fece sentire agli uomini tutta
la illimitata potenza d' un monarca che non conosce altra
norma che il suo volere. Senato, toga, magistrato camerale,
vicario e tribunale di provvisione, podestà, giudici al galle,
cavallo, vicario, pretorio, congregazione dello Stato, semi-
nar] vescovili, altari sirile strade, confraternite, monache,
frati, collegiate, tumulazione de'cadav^i, amministrazione
di pie fondazioni, tutto venne in un colpo distrutto. Si vid-
dero i senatori senza alcona distinzione, e mutato titolo, anda-
re avvititi al nuovo tribunale. Scacciati i seminaristi elvetici
dal loro palazzo, ed ivi inalberata l'aquila, e collocatovi
un nuovo consiglio di governo. Tolta al governatore arciduca
ogni ingerenza, e condensata la somma potenza nel solo capo
di quel consiglio, dal quale dipendeva il destino d'ogni mi-
nistro, inferiore, incerto sempre di essere congedato' da un
giorno all'altro. Chi volle farsi sacerdote ed ottenere carica
ecclesiastiea^non ebbe più che il solo ministro : chi bramava
impiego civico, dovette impetrarlo dal solo ministro: chi bra-
12 BOLLO STATO POLITIGO DSL ■lIJkHISfc.
mò nelle pie fondaiioni impiego, doYelle praetiani al solo
ministro; it qoale come arfoilro delU nooya PoUee ebbe h
facoltà di carcerare e condannare persino ad on determinato
genere di pene afflittive e disonoranti, sema trafila gìadi-
ziaria, qoalonqne cittadino. Ciascuno rimase slngottito a tale
qiettacolo d' on «nascherato dispotismo.
Nuova forma, metodo, vocaboli, ebbero i tribonati di
giostizia. Comparvero nuovi magistrati col titolo d'ìntendentì
politici signoreggiando i consìgli municipali ddle città, alle
quali non fu più lecito di opinare o impetrare , se non per
bocca di rappresentanti scelti dal governo. Le monache scac-
ciate dai loro ritiri divennero un oggetto di derisione e di
compassione per molti. Un giardino pubblico formato doye
risiedeva il silenzio ed il ritiro delle Celestine, le case na-
merizzate, le lampade dell' illttminazione poste nelle strade,
le guardie della Police venule a Milano dalla Germania col
pretesto dì tenere in ordine la città, marciando armate da
principio di bastone, che a loro talenlo esercitavano sulla
pazienza degli avviliti cittadini;^ né di ciò solo contento, di
tempo in tempo, per tenere la cillà in ordine, costoro la-
sciaron correre dei colpi di fucile sulle strade, ed nccisero
qualche cittadino.' Degli uomini benemeriti si viddero scar-
tali e dimessi , dei favoriti che non avevano reso alcun ser-
vìgio al princf|)e si viddero innalzati: nuovi supplizj inven-
tati, si bollarono sulla faccia i rei, si pensò a dare una lenta
morte opprimendo la respirazione con pesanti massi di fe^
ro, ed impedendo il moto delle membra, e limitando per
sino Tacqua ai condannati, senza che tali crudeltà servissero
nemmeno d'esempio, perchè esercitavansi nelle segrete car-
ceri. Si cercd una capricciosa divisione ne' delitti, formando
una classe di delitti poliUei^ e con questo vocabolo si stabili
il capo del consiglio governativo che senza formalità di gio-
'1
' tJo gemìluomo per éuerù incautamente posto a geUare acqoa ^ìòb»
ad un nuovo ({narlieredi costoro venne bastonato sul fatto, e non ci parlò di n*
paratione.
' Al laghetto fu ucciso un carbonajo : si fece il proceaso ; renBtfo k
'guardia di Poiice condannate ali* ergastolo, ma si trovò modo di lìhcrark dalb
pctta«
SOLLO STATO POLlTiCP DEL MILANESE. 13
dizìo, di solo SUO ordine, potesse condannare anche a pène
afflittive e disonoranti, senza altra difesa o processo.» Il corpo
ecclesiastico venne contenuto non solo, ma in faccia del po-
polo degradato. I commissarj entrarono in molti monasteri
e scacctaronvi le monache ; molti convénti di frati vennero
distrotti, tolte le confraternite in un ponto vennero abolite ;
molle chiese distrùtte, vendute e profanale; annientate molte
festività, proibite le processioni, tolte ai parrocbi le loro
parrocchie ed institoito nuovo riparto. Tolta a Roma ogni
nomina ai benefizj, appropriandole al gti verno; obbligati i
regolari a staccarsi dai loro generali; proibite le solennità
a' Santi patroni delle chiese; piantata una teologia sola nel-
r università di Pavia, la quale ridiice a mera pareva la pri-
mazia del Pontefice Romano, ed insegna una crudele ed ii^
giusta dottrina sui bambini morti prima del battesimo, scrlla
predestinazione e solla grazia. Queste rapide operazioni, ese-
guite senza preparare la pubblica opinione, e con violenza ,
avvilirono il corpo de' ministri della religidne, «rL annebbia-
rono nel volgo istessole opinioni religiose e con esse la mo-
ralità. Il corpo de* nobili perdette tolto, poiché il ministro
regio nominò alcuni che rappresentassero le nuove congre-
gazioni municipali, avocò a sé medesimo tutte le pie fon*
dazioni, incorporò nel monte regio il fianco Sant'Ambrogio,
e quindi il presidente del consiglio di governo riunì nella sua
persona tutta la podestà legislativa, esecutiva, giudiziaria e
dittatoria.
Nessuno potè pia sperare alcun impiego o nella carriera
ecclesiastica o nella municipale, senza il favore del ministro.
Si viddero persino tutti i mendicanti della città improvvisa-
mente e con universale' sbigottimento posti in carcere; indi,
perchè troppo costava il pane che consumavano , vennero
rilasciati con giuramento di non più inendicare, giuramento
che venne deluso al momento stesso dalla, necessità. Venne
distrutta la congregazione dello Stato, acciocché non vi fosse
* Una donni che abitava a San Rafaello, forse prostituta da nn giorno
all'altro, presa senza formalitli o dtfesa> coli* ordine del capo del Consiglio Go-
▼etnativo, venne rasata, con un cartello infamante al collo condotta attraverso la'
città, e condannata ad un anno di carcere.
r. TEBM. Jpptttdice, a
i2 SULLO STATO rOUTH» BBL WI^
. .___ / AMXKA i mali
mò nelle pie fondasioni impiego, do^r^
miBÌslTo; il qoale eome aiWtro d*// ^,^^^,^,
facoltà di «incerare e eoDdannare;^ venato esposU ad
geoere di pene aflhUiYe e d.» , ^^ ^ ^ ^^^^^^
riaria, qualunque cittadino, r ^ ^^^ condannata al-
spettacolo d'un Mnascher .g«ardo alcuno ai servisi
Nuova forma, me- ^^ ^ ^^^^ ^ ^^^ ^^
gio8U.ia.Cemparyefr ^^^^ ^^^^ ^^ ^^^ capiUno di
poUtici sigboreggif . oto«, ed i Milanesi che per lo passato
quali i»n u pip ^^^^^^ jj^ carii^he , vennero anche in ciò
^**** . ^'*^r«zM àéHe maniere e V insulto resero an-
elate dai > ^^^ ^^ rivoluzione, la qoale realmente ha
*'°"r^'^'^n»i <»i tal"-
nsiea^^^^^ matazioni seguite , alepne poche sono in bene,
™^*^ 0i'ù sono in male. Dalla serie delle cose accennate ne
/»^ ana verità con evidenza, e questa verità è che il Mi-
^^ da più secoli geme sotto del dispotismo^ non essen-
ti, alcuna costituzione che valga a porre alcun limite a
.(lalunque volere del monarca o del ministro rivestilo del
potere di lui. Ciascuno dei primarj fra i corpi dispotici, sotto
dello Spagnolo , era padrone di togliere la Ubertà a qualun-
que, cittadino per innocente eh- ei fosse; e per mancanza
d' ogni altro titolo, si faceva per soddisfazione. Fa tolto que-
sto ingiusto potere ai corpi, ma invece d' eliminarlo, se Io
appropriò il ministro , il quale cambiamento rese bensì più
facile il rimedio col tempo successivo, avendo in un ponto
solo condensato il male; ma non liberò gii uomini da qoeUo
stato di alìbiezì4me9 che è l' obbrobrio della specie mnana ;
anzi, ridotto l'assoluto potere a un' sol puntp, più versatile
ed attivo si mostrò con cambiamenti di sistemi iniialzati, di-
roccati successivamente con inquietudine continua del popolo
e con nessuna gloria del principe, il quale colle frequenti
novità £a conoscere al popolo di avere avventurate le leggi
senza averle prima esaminate,* e tanta è la voglia che eia*
* Verso Tanno 1750 di più appalti ae ne formò il solo della Ferma (•ae-
rale. Di doe antichi magistrati ordinano e straocdìoario se ne formò un aoIo.Una
sola cancelleria segreta si formò di due : si eresse un monte di creditori camerali,
t
SDLLO STATO POLITICO DEL HtLANBSB. 15
n ministro e subalterno ha di fabbricare sulle sae idee
stema, che persino ai vocaboli si volle far subire un
udizioso cambiamento,* e senza riguardo alcuno ai
^. diritti ed alle reciproche azioni de' corpi morali si
'^ ilare in nuova forma le Provincie dello Stato , lo
in parte e non sì potè compassare in tutto, co-
^^ Muto, poiché ì sistemi atomatici e regolari al
^ '' .dlvoUa riescono ineseguìbili.'
. DUOTO ruolo di salariati, si pose mano al regola mento delle Tettovaglie.
.iO Taono 1755, invece di un governatore si pose I* amministratore del go-
verno generale, si levò al presidente del senato ia facoltà' di vice gran cancelliere»
si creò mi ministro plenipotensiarìo, si abolì il consiglio d* Italia io Vienna, •
dappoi diventò sempre più lesto qualunque cambiamento. Verso l'anno 1760 si
creò nn consultore di governo, si pubblicò una nuova forma per il carico sulle
terre, e venne spogliato Io Stato del possesso di pubblicare le imposte. Verso
il 1765 si eresse, nuovo ordine di cose, nn consiglio di economia clie spogliò il
senato, il magistrato e la cittày una fomaa mista, una giunta cconopiale, uua
giunta di stndj, una regia delegasione sul monte Sant' Ambrogio, la distruzione
del monte civico, una nuova forma al monte Santa Teresa. Verso del 1770,
abolisione dell* antico magistrato camerale, e formazione di un nuovo, divisione
del senato in due parti, creazione di tre consultori di governo. Verso il 1780 si
cambiò forma al magistrato, si creò un segretario di Stato, si abolirono i Con-
sultori; indi nel 17S6^ si fece tutta la rivoluzione del paese.
- I X.a smania di cambiare ogni cosa giunse ad imbastardire persino la lia.
gna, sostituendo -espressioni barbare alk chiare e regolari. 'Per esempio, prima
dioe.vasi» VQO^dare un ricorso al tribunale: ora dicesi, vuo' dare un esibii» al tri-
bunale. Prima dicevasi, il consigliere ha fatto la relazione : ora si dice, il consi-
gliere ha fatto il ref erato, DiecTasi prima, il processo è chiuso .«-ora dicesi, il
processo h inroiolato, Noi avevamo nei tribunali de' eaneeUieri e da'scrivani^
ora si chiamano eoncepistìe eancejlisti. Si volle far vedere il dispreaxo di ogni
cosa nostra ed esigere la sommissione persino nella scelta dei vocaboli.
S Per dividere in minori masse la provincia del Ducato e formife il M iti-
-nese con maggieie regolarità, si pensò prima se tutu TestentioAe della Lom-
bardia austriaca potesse dividersi in eguali porsioni, ossia in sei parti eguaU:
Milano, Como, Lodi, Pavia, Cremona e Mantova. La stima censnaria doveva
servire di norma, e cosi venne da priucipio ordinato. Si accìnsero all' esecuzione,
e si trovò fra li molti inconrenienti quésto, che per completare la sesta patte a
Pavia, conveniva incorporare a quella città ti^tta Porta Ticinese di Milano fino
al ponte, e forse più. Onde, siccome volevasi che ciascuna provincia concor-
resse alle spese locali della sua città, e dipendesse dalla giurisdizione in essa
stabilita, avrebbero dovuto li proprietar) delle case di cittadella pagare doppia-
mente per le strade di Milano e per quelle di Pavia, e viaggiare a Pavia per far
decidere le loro questioni in prima istanza. L' assurdo era talmente ridicolo, che
nemmeno si ardi di pubblicare questo ritrovato, che rimase escluso prima di pub-
Micarlo. Poi non saprei come si stabilì di scindere il Ducato, e creare a Gallarate
il centro d'*uua distinta provincia, come un altro centro se ne formò a Pozzolo,
IG SOLLO STATO POLITICO l>EL MILANESE.
EPOCA DEL 1790.
Ora la Maestà di Leopoldo II oUronearaente invita i sod-
ditì a presentare li loro bisogni ed i mali loro, a recar&i alla
eorte per potere a viva voce saggerire quanto giovi a schia-
rire gli oggetti. Non si poteva desiderare epoca più fausta di
questa. Da più secoli non è accaduto a questa provincia un
si felice avvenimento. Appena erano tollerate le rimostranze
pubbliche; conveniva che sopportasse la macchia d'intri-
gante, di importuno, di fanatico, chilo promoveva. Ora s'in-
vitano, sr animano i Ggli a presentarsi al padre, gli uomini
all'uomo sovrano, gli esseri che soffrono al monarca sensi-
bile e virtuoso. Se non esporremo tutto « Id colpa sarà nostra.
Se colle domande indiscrete e inopportune screditeremo la
causa pubblica , nostra sarà la colpa.Se meschinamente igno-
rando i prìncipi cercheremo un sistema precario e la revivi-
scenza di pregiudizi antichi , anziché il regno stallile della
ragione, la colpa sarà tutta nostra.
Non è vero che lunghe oppressioni delle generazioni
passate e della presente generazione, sbigottita da una serie
di arbitrar} atti del potere ministeriale, abbiano ridotti gli
animi alla nullità, e degradati al ponto di considerare una
chimera la virtù, ed un delirio V amor della patria. Eccoci a!
momento o di ccprire i nostri homi d'infamia presso della
storia, 0 di onorare per sempre noi stessi e i figli nostri 'in
faccia dei secoli venturi.
Siamo al punto di un'epoca che sarà memorabile sem-
pre, perché coUà scioperatezza si sarà perduta la più bella
occasione, sull'esempio di quanto fecero i nostri maggiori,
costretti ad impetrare alla metà del secolo decimo quinto un
padrone che li governasse « dopo d' aver sofferto i disordini
e vi si posero t loro Intendenti politici ; poi s*' «videro dellUmposùlnlitk di s<^
»lenere questa diTtsione, atteso che là proTìncia del Ducato ha K suoi debiti e
crediti, e itaccatfdone porsione per anóettèrla a' Pavia, non poteva mai qnella
essere pareggiata al rimanente del Pavese^ pereb^ partedpaTa delle anteriori ob-
bligationi e diritti inerenti al Ducato) quindi questa sepàraiione venne aboliu ed
il Ducalo si riprislÌDÒ.
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 17
del comando dialconì imbecillì, che allontanarono ogni nomo
di senno dal reggimento della città, di che ci fa testimonio la
storia 9 ed il detto famoso di messer Nicolò Macchiavelli che
al proposito nostro ne ha assicurato la ricordanza.
Le passate vicende altro sentimento non lasciarono ne-
gli animi comuni, fuori che il timore, né altri precetti rice-
vemmo dai nostri padri che la sommissione e T avvilimento
coonestato coli' onorevole nome di prudenza. La veracità in-
genua, la carità verso della patria, l'amore del giusto, l'en-
tusiasmo Mobile del vero, ogni slancio di un cuore buono ed
energico scomparvero; il fuoco sacro insomma della virtù ap-
pena si conservò presso di alcune anime privilegiate, la di
cui vista offende gli occhi deboli ed infermi che dolorosamente
soffrirono la luce. Ognuno si riconcentrò a pensare alla sua
famiglia , e còl nome di patria si promossero obliquamente i
vantaggi di alcuni piccioli ceti esclusivi, e si considerò ne-
Uaico della patria chi suggerì di sollevare li cittadini dall' op-
pressione di alcuni ceti. Gli uomini volgari, allevati in tai
principj e sprovveduti di ogni idea pubblica, altro non cer-
cano che la repristi nazione del sistema che aboU Giuseppe IL
Ma chiunque esamina la salute della patria colla attenzione
che merita un oggetto si prezioso, non pensa cosi. Egli dice
cosi: Se una volta è caduta al primo ìmpeto che venne dato,
dunque non rifabbrichiamola più colla medesima centina. Un
foglio di carta nemmeno firmato dal monarca ha in un mo-
mento annichilato la congregazione dello Stato, tutti i ceti
municipali» tutte le amministrazioni che la pietà de' nostri
maggiori aveva istituite per soccorso dell' indigenza. Dunque
lutto il sistema antico era precario, non aveva per base una
costituzione, né potevasi allegare ostacolo di legge contro la
volontà del ministro. Il peggio che possa accadere dunque é
dì tornare a tal precaria condizione. Il Milanese fu soggetto
al dispotismo dal momento in cui cessarono i suoi naturali
)>rincipi. Questo dispotismo si esercitava da alcuni corpi po-
tenti sotto del governo spagnuolo, poi ne furono gradatamen-
te spogliati, e venne tutto collocato nell'arbitrio d' un uomo
solo.
Sarebbe un problema accademico il disputare quale dei
P. TEBRI. Appendice, 2'
i8 SCLLO STATO POLITICO DEL MILAMESB.
due sia pia fonesto: quello che fa al proposito per ora si è
che conviene uscire dallo stato d'ahbiezione sotto cui si geme,
e da schiavi malcontenti diventare soddìtì ragionevoli e fe-
deli al nuovo monarca, che ci vuole uomini e che è degno
di comandare agli uomini. Una costituzione finalmenle con-
vien cercare, cioè una legge inviolabile anche' nei tempi a?-
venire, la quale assicuri ai successori la fedeltà nostra da
buoni e leali sudditi, ed assicuri ai nostri cittadini un' invio-
labile prùprUlà, essendo questo il fine unico di ogni governo.
Conviene che tal costituzione venga garantita e difesa da
un corpo permanente interessato a custodirla, e di cai le voci
possano liberamente e in ogni tempo avvisare il monarca
dagli attentati che il ministero coli' andare del tempo potesse
promovere per invaderla. La facilità del riclamo farà che rare
volte si dovrà riclamare, come la libertà del divorzio produ-
ce maggiori riguardi nella famiglia, e rarissimi sieguono gli
divorzj , laddove le leggi lasciano aperto Io scioglimento del
contratto nuziale. Guai se i delegati avessero la vista miope
a segno di non avere avanti degli occhi , se non la ripristi-
nazione dell'antico sistema!....
PRINCIPIO DELLA BIFORHA.
Non ascoltisi una pusillanime prudenza: il monarca c'in-
vita ad esporgli i mali nostri: che timore vi può mai essere
nel presentarglieli tutii con ingenuità e candore? Qaal mag-
gior male può mai avere un paese di quello di vivere sodo
di un dispotismo, che a suo arbitrio opera sulla massa degli
uomini? Perchè non lo es|>orremo noi dunque, perchè non
impetreremo da un monarca giusto ed illuminato la estinzio-
ne di tal mostro ed un governo moderato e monarchico?
Questo dispotismo in una pipcola provincia rimota dalla corle^
centro di più Regni e Stati ereditar], questo provinciale dispo-
tismo non può essere mai di utile al monarca , né mai eser-
citabile da lui immediatamente, ed ogni principio d' un av-
veduto sovrano lo induce a stabilire un governo composto in
modo che V autorità de' ministri, libera e pronta, possa agire
sin tanto che non offende o danneggia la provincia, ma venga
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 19
rafirenata e contenuta al momento in cui ne voglia abusare.
Non è deir interesse del monarca di lasciare esposta a un po-
tere arbitrario una provincia rimota, conGnante con paesi
liberi, con repubbliche ed altri Stati, provincia di facile emi-
grazione, e che depauperata ed oppressa per la ingiustizia del
ministero ricaderebbe a danno del monarca.
Quindi, chiedendo noi una costituzione civile, cerchere-
mo T interesse del sovrano medesimo, non che il nostro;
cercheremo quello che saremmo vilmente colpevoli se noi
chiedessimo, e cercheremo in fine un rimedio, che quand'an-
che non ci venisse per sciagura dei tempi accordato, sempre
onorerà la virtù di chi incaricato ad esporre i pubblici biso-
gni lo ha chiesto.
Come mai giustificherebbero altrimenti la loro condotta
coloro che accettarono di parlare per tutti, e che a tutti sono
responsali d' avere eseguita onoratamente la importantissima
commissione, se lasciassero marcire sotto un potere arbitra-
rio la patria signoreggiata anche in avvenire non dalle leggi,
ma dal volere degli uomini potenti? No, cittadini, salvate il
nome vostro da tale infamia, e rinunziato alla commissione
se mancate dì lumi o d'animo, cardini di tutta sicurezza della
proprietà. Ecco lo scopo unico che debbesi avere di vista , e
da cui emaneranno come corollarj tutte le riforme che sono
da proporsi. L' uomo deve vivere sicuro sotto la protezione
della legge, e senza bisogno di abbassarsi a impetrare la pro-
tezione d' alcun altro nomo; rinforziamo la riverenza ed il
potere delle leggi, annientiamo il capriccioso potere de' mi-
nistri, e non avrà più luogo il rimprovero che si fa
agi' Italiani di essere insidiosamente officiosi, ipocriti e si-
mulati. Uomini inconseguenti ed ingiusti, voi ci opprimete
sotto un governo arbitrario, non ci permettete di conoscere,
altra virtù che V obbedienza, non ricompensate se non i più
indifierenti e docili a qualunque opinione, e ci rimproverate
d'avere i vizj della schiavitù, voi che ci tenete schiavi! Si
facciano tutti gli uomini soggetti alla legge, e liberati dai pe-
ricoli de' mali d' un arbitrario potere, e si vedrà comparire
qualche nobile energia negli animi , V ingenuità modesta ma
non tremjinte, il candore prudente bensì ma non deriso, la
20 SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE.
probità dilatata nelle azioni civili non solo, ma collocata ne-
gli impieghi e non perseguitata: la yirlù insomma oserà com-
parire e ritornare dal lungo esilio, e la nazione s' alzerà dalla
pozzanghera in cui infracidisce da secoli.
Sicurezza della proprietà^ cioè ogni nomo sia in avvenire
sicuro sotto la protezione della legge e nella persona e nei beni.
Nessano tema più che gli sia tolta la libertà altrimenti che
per una legale ordinazione del potere giadiziario; nessano
sia o bandito o posto in arresto o in carcere se non per or-
dine legale del poter giodiziarìo. Sia fissato un termine per
detenere un uomo sospetto di an delitto; ogni sentenza sia
proferita da un collegio di uomini di probità e lumi conoscioti;
prima d'ogni sentenza, sia il reo abilitato a dire latte le soe
ragioni. In una parola, sia fissato anche da noi nn sistema
criminale degno di Leopoldo Secondo, degno della luce di
questo secolo. Non vi sarà da insistere minatamente so (al
proposito, avendo noi da sapplicare un monarca, che ha già
fatto ammirare la sublimità della sua politica in tal proposito.
Ma sia eliminata per sempre la chimerica divisione di delitti
politici: ogni delitto e crimen è criminale, ed al potere non
può mai essere permesso il togliere né la libertà né V onore
ad alcuno.
La libertà, T onore, la vita d'ogni cittadino, anche l'ul-
timo ed il più vile, debbon essere, all'ombra sacra delle leg-
gi , sicuri da ogni attentato. Non sotto pretesto di correzione,
di ragione di famiglia, o di ragione di Stato, o di spediente
economico, o sotto qualsivoglia pretesto la facoltà politica
deve attentare alla personale sicurezza del cittadino; e se tal-
volta la circostanza esigesse che la forza politica arrestasse,
la ragione comanda che immediatamente venga ciò dennn-
«ziato al tribunale giudiziario competente, onde abbia il sao
corso la giustizia, senza che il governo politico vi abbia ni-
leriore ingerenza. Sotto di una monarchia giusta ogni uomo
può dire d' essere sicuro di conservare la libertà personale ,
sintanto eh' ei non al^bia offesa una legge scritta e proclamata.
SULLO STATO POLinCO DEL MILANESE. 2i
CARICO CEI<mUAR10.
Sicurezza della proprielày che la persona e V onore ri-
guarda anche il tributo. Se il carico sulle (erre possa accre-
scersi col solo volere del sovrano, la proprietà del terriere
sarà incerta nella quantità,. perchè cadente su quanto rimane
di netto prodotto; quindi il terriere vedrà scemarsi il valore
delle terre nella vendita, quindi 1* agricoltura verrà disani-
mata , quindi la proprietà dei fondi non sarà sicura, <2uesta
verità è stata sentita da Carlo VI e da Maria Teresa nella
serie de' dispacci relativi al censo , net^quali venne poi solen-
nemente assicurata la provìncia che il carico regio sarebbe
maUètabile. In fatti il carico regio lo è; massetto titolo di
spese del censo, spese degli nf!iz}, spese de- canc^lieri ec,
si sono sovraimposte semme sempre crescenti allo Stato, per
modo die un quarto di più si paga per tale titolo neir an^
DO 179Ò. È abbandonata quindi alla vx^lontà del consiglio di
governo, aniiflel solo ministro presidènte, la proprietà d'ogni
terriere.
Conviene dare una rapida occhiata al sistema tenuto
finora nella direzione delle cose censuarie. Per rimediare agli
abusi ed alla possibile prepotenza d' un terriere che obbli-
gasse i compadroni d' una comunità, si è formato un sistema
che urta nel vizio opposto, assoggettando air approvazione
del tribuoale censuario ogni spesa, prima che sì faccia. 11
tribiinale fece cambiare natura ai cancellieri comunicativi, i
quali da servitori che erano della comunità si resero indipen-
denti non«olò, ma rivestiti di autorità regia ^ e gradatamente
giunsero a non essere più eletti dalla comunità, e nemmeno
ad essere da quella stipendiati. Cosi tutto si volle regolare col
maggiore dettaglio*
Se rompevasi un forno in una terra posta all' estremità
del Cremonese, prima d'intraprendere la riparazione del va-
lore anche d' uno scudo, conveniva stendere una supplica al
tribunale censuario, farla sottoscrivere dai deputati deiresti-
tuo, talvolta rimoti d' abitazione, poi legalizzarla dal cancel-
liere locale, affidare alla posta la supplica indirizzata al trì^
22 SULLO STATO POLITICO DEL MILAHES-
banale , il presidente del qnale la dirìgeya ad on consgliere
col sao decreto. H consigliere aveya la casa piena di carte
simili, talvolta rìmaneya sepolta per anni la domanda, e do-
yevasi replicare dooyo ricorso. Se per yentara la decretaTa,
egli solerà eccitare il deputato de' riparti conranali, il (piate,
oppresso dalla fanragine delle carte, di «Btoli ricorsi di mìUa
corannità, qoando poteva faceva il sao voto, opinando per-
cbè-sì esaudisse la sof^lica. Questo parere del deputalo dei
ripartì poteva noovamente rimanere dimontieato fra ram-
masso d^ consigliere relatore, ma a' egli emergeva, se gli
feceva il decreto che concedeva la richiesta riparaiione del
Tomo , acciocché avessero i terrieri il conanodo di far coocece
il loro pane. Né per ciò era por terminato il perìcolo, perchè
tale decreto passava air affoltelissima segretaria, dove dove-
vasi stendere la lettera dal tribunale diretta ai jeaneeUiere
della comanità, contenente la permissione di riparare il fono
pabblico, e poteva tardare qualche mese. Finalmente la tetr
tera era portata alla firma dd presidente e del relatore, e
veniva spedita* A tale dipendenza si vollero nmiUati i posses-
sori prima di spendere il denaro non regio, ma loro. Essi ve-
devano inespediti e dimenticati i foro riporsi, trovaransi
inabilitati a provvedere alle istanti premure della comanità,
e generalmente gridavano, sebbene dai ministri (che aveva-
no la smania e V interesse di governare tutto e farsi obbedir
in tutto, non già di vedere le oose in ordine stabile e ragio-
nevole) lai gridi venivano incolpati di sediziosi per sovvertire
la grande opera del censo. Questa organizlask)ne, opera piò
d' an pedante di scnola o di un guardiano di convento , ehe
d'un legislatore, qnesta organizzazione produsse costan-
temente r effetto di vedere una somma lentezza nel cono
dell'azienda del «enso, e quindi dal 1760 a questa parte I^
direzione del censo soffri continue mutazioni sempre inoli!-
mente, perchè non si pensò a rimediare alla cagione del di-
sordme. Dalla giunta del censo si trasferì al magistrato togato;
si levò al magistrato e si collocò nel supremo consiglio di eco-
nomia; si levò dal consiglio e si appoggiò al magistrato ca-
merale noia togato, indi sofferse varj cambiamenti, finalmente
si levò dal magistrato eanaerale e ^ If asporta al consiglio go-
SULLO STATO POLITICO DEL MILAHESB. 23
-veniativo; ile le xuodifìcasiom che si fecero giUBsero mai a
resaere prottto e celere il coreo degli afiarì. Gonyleiie gover-
nare quelle che Boa pii6 caumiiDar bene se non si governa
coaviei^ ksGìftre no moto spontaneo a tutto ciò ohe per la
naturale combioaaùone degli interessi cammina a boon fine.
fsamiuiftQio rapidamente alcnniprincipj.giacchè nello scritto
presenta io^ intendo di dare appena i cenni» essendo troppo
grande il nnmero de^li oggetti sui qnali non si poti^ebbe esita-
rire la materia se non, compilando, non nno scrìtto^, ma un
votumo. Due interessi solo interessano particolarmente il so-
vrano per la materia del luwtro censo. Conservazione del ca-
tastro dei fondi censibili, acciocché sotto nessun pretesto
venga mai abusivamente sottratto alcuno dal contribuire ai
pesi dello Stato, e quindi rendersi troppo gravoso il carico ri-
partito sui minori contribuenti. Ecco il primo oggetto. Con-
servare Teconomia dellecomunità e delle Provincie per modo
che non si aggravino inopportunamente di debiti, e non si
rendano per tal modo incapaci nei tempi venturi a.conki-
buire quanto «debbano all' erario. Ecco il secondo oggetto.
Ogni formalità, ogni soggezione che non sia necessaria per
questi due fini^ è una mera angustia, una oppressione» e non
vale la pena di sopraccaricare lo Stato colla spesa di tanti in-
tendenti, vice-intendenti, concepisti, cancellisti, destinatici
rendere lenta, difficile e pedantesca ramministrazione. Ecco
la legge colla quale sarebbero fissati i due oggetti. Non sarà
mai sottratta idi' estimo censibile, o per corrosione de'fiumi,
. e per qualunque altro motivo parte alcuna, se non previo
. r assenso delia provincia cui appartiene, previa V adesione
dello Stato,- e con successiva annuenza ed ordine del tribu-
nale del censo, né si potrà mai validamente contrarre un de-
bito da comimità, provincia o Stato, se non coU'annuenza
. ed ordine del tribunale del censo. Chiunque poi intraprenderà
una lite a nome d'una comunità, soccomberà del proprio^ a
meno che non siavi preceduto il decreto permettente del tri-
bunale censuario. Con questa legge resta cautelato e 1' uno e
V altro dei due oggetti, ed ogni spesa comunitativa venendo
a pagarsi nell'anno in coi sì intraprende da quei medesimi
che la determinano, l' economia è raccomandala abbastanza
24 SULLO STATO POLITieO OKL WLANfltSB.
dalF iateresse di eìascono* I modi od quali si fanno le ele-
zìeiii, la djirata degli uffici, il modo per far legalmente le
determinazioni) sono determinati dalla riforma censnarìa, e
qaalora nascesse querela , perchè da essa irregdannente si
fosse allontanato alcun prepotente disponendo di cosa corno*
ne, il gindice locale proTyederebbe al ricorso snUa legge della
riforma > non essendovi ragione alcuna per (enere un giadioe
éeparato^ per tali materie. In questi s^npliei princìpj sardibe
da organizzarsi il censo , ed il tribunale censuario potrebbe
aHora badare meglio che non ha fatto sinora alla stabile eco-
nomia d'ogni pubblico , piantando registro di fondi e crediti
e debiti di ciascuno, e facilitando cosi i yicendevoli soceoni.
11 tribunale del censo, occupato ed oppresso da un miooto
meccanismo, non potè giammai sinora dare alcuna occhiala
generale, onde con delegazioni staccate si dovette intrapren-
dere le operazioni sui debiti comnnilativi e su quanto vi è
d' interessante. Allorché si accrebbe restìmo censibile, abo-
lendo i prìvilegj del clero ^ pochissima parte y' ebbe il tribu-
nale del censo nella novità che doveva recare un tal cambia-
mento. Questi sono i veri oggetti che meritano di occupare
un ceto di ministri regj. Riassumendo adunque, si dichiari
nullo qualunque contratto dai corpi pubblici o dalle comunità
se non venga legittimato con un speciale permesso del prìn-
cipe, come è già per legge e per pratica. Posto ciò, non vi
può essere più attento amministratore di quello che sopporta
r incomodo deHa spesa. L' economia delle comunità si regoli
dai deputati dell' estimo e dai convocati, giusta la riforma
ordinaria. L' economia della provincia si regoli dagli estimali
deputati, e scelti dalla provincia. L'economia generale delle
spese dello Stato si regoli dai deputati che formano la congre-
gazione deHo Stato. Le strade, i ponti, le spese tutte gene-
rali, provinciali e comunitative si amministrino con qoeaU
legalità, e sia riservata al governo la facoltà di reprimere
bensì e censurare gli abusi, non mai quella di ordinare ona
spesa. Proibito il contrarre debiti, proibito il far lite, tco-
gansi fermi questi due cardini, e nel rimanente sciplgansi 1
ceppi della schiavitù. I cancellieri delle comunità si srelgA-
no daHe comunità, e servano a quelle, come porta la riforma
StJLLO STATO POLITICO DEL MILAHESB. 25
censuarìa. Gessino d'essere ì commessi del governo, e d'ili-
quietare la società combnitativa, che è la padrona vera dèlie
spese eh* ella fa col proprio. Gli esattori si scelgano dalle
comunità, com' è giusto, dovendo esse soccombere del pro-
prio al caso della loro impotenza. Tutte le spése si appaltino
solamente. Si osservino i regolamenti suUe strade. Se nasce
controversia sulla regolarità d'un convocato, si ricorra al
giudice , il <)uale sulle leggi della riforma censnarid decida.
Non siavi un tribunale distinto per giudicare le dispute nel
censo. Sì constituisca il loro patrimonio alle città. L' ufficio
del censo si occupi degli oggettr che interessano H pagamento
dei debiti comunitalivi , provinciali e dello Sfato; vegli sugli
impieghi de' capitali; conosca della conrenienzal d' intrapren-
dere liti; consulti il governo sul permesso ai corpi pubblici
di contrarre debiti; vegli alla conservazione del .fondo cen-
sito, alle regolarità del riparlo de' pesi pubblici, e lascisi alla
cura dei tutto il rimanente. Sia presso la congregazione
deir imposta generale, e sia per fcostitozione stabilito che mai
non possa accrescersi il carico, se non previo 1* assenso
dello Stato.
TARIVFE DAZIABIB.
La sicurezza della proprietà viene tolta colle arbitrarie
addizioni d' aggravio alla tariffa de' dazj , il che anche ulti-
mamente si è fatto a segno cosi enorme da opprimere i mer-
canti, «ngolarmente delle città vicine al confine, come Cre-
mona, Pavia, e Como, dove l' eccessivo carico de' dazj porta
i cittadini a provvedersi al bosco parmigiano, al Gravelìone,
a Chiasso, laoghi mercantili distanti un breve passaggio. Cer-
tamente le tariffe daziarie coHa mutazione delle circostanze
esigono de' cambiamenti secondo la variabilità del commer-
cio, ma tai circostanze lentamente ad ima per volta si pre-
sentano. Quindi per la sicurezza de' mercanti è necessario
che si fissi una tariffa con carico discreto e durevole, e che
siavi prima l' adesione dello Stato, avanti che facciasi suc-
cessiva novità.
Sicurezza della proprietà importa dunque: prima un si-
p. TEKBI. Appendiet, 3
26 soubo sriTO pounco ml
slema enmÌDale slabile, fcgliiiionc dl'enliia d«lla
ogni nomo TÌYa aeiiro della sua pioprielà penonale. Secon-
do : una filabile e cortitmioiiale mirara di tiibato ebe mmi
poMa vaiiam o eccedere amia .F adewme dalle Stato. Le
prore aÌDgolari»iniie di obbediema e di docilità, ^e questa
pcpTindaba date Miipre,diiiuMtffano ebe con tal isodoiire
non peiderà yenm «uoidio straoidmaiìe opfortiBO alle ur-
genze della monarcbia, e che onicamenle si assicarerà, cbe
il mìBisfeiD non abuserà maLpià del pelerò confidatogli a
scapilo e rovina della provincia. Nel vizioso sistema spa-
gnoolo almeno ciò vi era di buona politica, cbe il potere dei
oor|4 bilanciando U potere goveniativo, veniva centenata
un' autorità dall'altra. Lo stesso è da tosi ora, -collocando
due poteri cbe reciprocunente veglino sugli abusi T uno del-
l'altro.; il governo, perché i rappresentanti non si arroghino
parte di sovranità sol popolo; i rappresentanti, perchè la so-
vranità non se l' arroghi il governo, e cosi la provincia ri-
manga ordinata sotto una felice costituzi<«ie, e la sovranità
resU (otta illesa presso d'nn benefico monarca. Quando do-
vevasi distruggere il dispotismo spagnuolo radicato in tre
corpi poderosissimi, dovevano affrontarsi gli interessi di cia-
scun individuo di essi e sconcertare pericolosamente una
massa di prepotenti cittadini che sostenevano il dritto loro,
la loro ereditala autorità. Ora si tratta di distruggere il po-
tere riunito al momento nelle mani d' un solo ministro, che
tulio teme temporariameote dalla eventuale nomina del mo-
narca. Quindi la riforma altro non può produrre che bene.
Sì solleverà anche l'erario del principe da una viziosa schiera
d'inulilissimi salariati, essendo il ruolo camerale oggidì mag-
giore del triplo di quello che venne Ossalo sotto del gover-
natore Pallavicini, onde in quattro mesi oggi paga il sovrano
tanti stipendj, quanti dovrebbe pagarne ogni anno, il che è
accaduto per vizio di volere lutto governare, anche quanlo
va da sé assai meglio che non per. moto forzalo del governo.
8VLU} STATO POLITICO DEL MILANBSB. 27
PRIVATITB.
Merita però la materia della finanza ohe qaalch' altro
cenno si dica sa alcane novità fattesi sotto Giaseppe^cohdo,
le qnali meritano immediata attenzione. Pet esempio, il tri-
buto naoYamente imposto, la tassa degli assenti, punisce ogni
possessore terriere che si rechi in paese estero. La natura di
questo nuovo carico è odiosa. La percezione- difficjle; il pro-
vento assai tenue. L' effetto tende a diminuire i compratori
delle terre, e cosi a scemarne il valore. Questo tributo non
ha altra base che r arbitraria volontà del defunto sovrano, e
dovrebbe abolirsi. Il contributo ecclesiastiòo dovrebbe ri-
manere stabile a sollievo universale. Il corpo ecclesiastico,
nella luce dei tempi presenti, non vorrà obbligare ì laici a
sostenere tutto il peso, poiché al paro dei laici il corpo ec-
clesiastico ne gode i frutti; parte anch'esso della società, è
giusto che contribuisca alla di lei conservazione. La tariffa
della mercanzia nella sua forma, e per la semplicità della co^
stituzione, merita d' essere conservata. La sovra imposta ec-
cessiva fatta nel 1788 alle manifatture di seta e di lana, non .
può durare senza rovina de' meicanti. Sarebbe da abolire
immediatamente, e frattanto tornare al limite della nuova ta-
riffa. Merita però esame aiichela tariffa si "per l'esuberanza
del tributo su d'alcuni capì, quant' anche perchè non pare
s' abbia avuto di vista che la finanza ha dimenticato la co-
stanza della riproduzione annua, la quale soia può dare ali-
menta durevole alla finanza stessa. Sulle privative è stìata nota-
bilmente aggravata la mano sul popolo, e lo è stata con tale
disinvoltura, che si può apparentemente contraddire questa
asserzione da chi è interessato nella Reale Finanza. I prezzi
singolarmente al minuto dei tabacchi di minor consumo si
sono abbassati ; ma la foglia del Canada, che è del maggior
consumo nel paese, ostata portata dai soldi 45 ai 85. L'al-
tezza consiste nell' avere immaginato il nuovo vocabolo. Ta-
bacco di lusso, al quale si è posto il prezzo di soldi 85, ed è
lo stesso che pochi anni fa si vendeva a soldi 45^ e si chia-
mava Canada a pila.
28 SDLLO STATO POLITICO DEL MILANESE.
Si vende poi an tabacco di scarto di foglia d' Ungheria
a soldi 45, e se gli dà il nome di Canada a pila. La privativa,
anni sono, introitava più di cento mille zecchini nel solo Stato
di Milaiio, ed è bastantemente gravato il pabblico ponendola
in tatto si prezzo e qualità che durarono sino al 1780. Non
sarebbe inverisimile V asserire che tutte le mutazioni fatte
nel <le€ennio in tal regalia, con disgusto e sopraccarico del
pubblico, non sono punto ridondate in utilità delia Reale Ca-
mera, attese le spese accresciute nella fabbrica, e la perdita
fatta del provento dei pastori, nelle terre. V uniformità intro-
dotta nel peso e prezzo -del sale è un' operazione opportuna-
mente fatta. La qualità di questo genere di prima necessità,
e dal quale dipende la riuscita de' casci, converrebbe che ri-
tornasse qual era nel 1780, e che non si ascoltassero più que-
rele, seguendo in avvenire un metodo costituzionale e co-
stante, col distribuire sempre la stessa qualità e proporzionala
mischia di sali Tripoli e Trapeni per l' interno dello Stato.
A tutela quindi della proprietà reale è necessario che
non solamente si rimedino i moltiplicati colpi fatti nel trìba-
te, ma che la bontà e sapienza del monarca fissi per costi-
tuzione il liinite d'ogni tributo, e per fare ne' tempi avve-
nire addizione o cambiamento vi si richieda l'adesione dei
corpo rappresentativo dello Stato, unico mezzo che può as-
sicurare al popolo tutta la priiprìeJtà del suo, e per assicurare
ìL monarca medesimo dalle insidie^ colle quali mai il mini-
stero potesse continuare a palliare nuovi aggravj; giacché per
massima quanto più è depressa una provincia, tanto più l'or-
goglio ministeriale liberamente vi campeggia, e il popolo non
trova fra chi lo comanda altro amico che il sovrano, e qoe-
sti fra chi 1q ama ed ha zelo per lui, non trova altri che il
popolo.
GIODIZIABIA.
Il regolamento giudiziario pubblicato sotto Giuseppe Se-
condo ba stabilito certi principj e metodi certi, in guisa che
r arbitrio dei giudici in buona parte è tolto. Molto v' é di
buono, e che in pratica riesce felicemente, onde nel suo tutto
conviene conservarlo. Due soli ri tocchi basterebbero per ren-
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 29
dere compita in questa parte una buona legislazione, e que-
sti sono: primieramente un'addizione ancora più vincolante,
ed espressa per contenere l'immoralità dei curiali, e la im-
pudenza colla quale per mestiere impugnano la manifesta yo-
rilà, e moltiplicano 1 litigi a- rovina dei clienti ed a carico
sommo dei giudici oppressi dalla congerie delle liti, e quindi
nasce non poter dare sempre la conveniente attenzione a
tutte, e non potersi regolarmente tenere in corso il tribuna-
le* Secondariamente dare una più breve e semplice forma ai
processi dei debitori e de' fìtti ed altri chiari titoli. Fatto ció^
nulla vi sarebbe da ritoccare al regolamento. Ma non con-
fondiamo il regolamento giudiziario colle istruzioni ed orga-
nizzazione data ai tribunali. Quanto pensato e ragionevole
riesce il primo, tanto assurde e barbare sono le seconde, lì
dispotismo del presidente; la podestà di separare in aula il
tribunale, di scegliere il relatore; il contraddittorio principio
di tenere occulto il relatore in città, mentre nei borghi lo
stesso è preside e relatore notissimo, questi sono inconve-
nienti che meritano la mano emendatrice del legislatore. La
libertà civile, il corso regolare ed imparziale della giustizia,
suggeriscono doversi dare al presidente tutta l' autorità per
l'ordine, regolarità e disbrigo del tribunale, e nessuna di-
retta o indiretta autorità s&Ue libertà delle opinioni, o pel ri-
sultato della sentenza.
Il relatore è bene c6e sia noto, anzi nominato di con-
senso^ delle parli, come facevasi per lo passato. La giurisdi-
zione di podestà dei borghi è conveniente che sia limitata al
grado in cui lo era prima del nuovo sistema. Siccome poi i
curiali sono realmente una massa corrotta, e che fa profes-
sione infame di intrico, senza moralità, e che trattasi di ri-
generare, e correggere una generde putredine, cosi sarà op-
portuno che l'occhio paterno del monarca vegli sull'esecuzione
de' regolamenti, spedendo anche di tempo in tempo visitatori
accorti, fermi e zelanti, che abbiano la facoltà di conoscere
il modo col quale viene amministrata la giustizia, l'opinione
pubblica degli impiegati, e con qualche opportuna dimissione
giustificata, contenere poi coU'ei^empio ciascheduno in uffizio.
L' istesso tribunale di giustizia che giudica nelle cause
P. VEBBI. Appendice. i*
30 SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE.
civili sembra che potrebbe essere incaricalo anche dei gin-
dizj criminali, siccome fu prima dell' interinale regolamento,
ma in ciò noli' altro rimane da proporre dai se non la
proprietà personale d'ogni individuo, un collegio di giudici
probi che proceda con leggi fìsse, e dal quale unicamente
ogni azione criminale sia giudicata, e fuori del quale nessuna
ingerenza governativa possa mai attentare alla libertà, ed
onore d' un cittadino.
Sicurezza delia proprietà esige adunque prima di tutto
che col ministero unicamente della legge possa un uomo ve-
nire arrestato, e che soltanto dopo regolare processo, e re-
golare difesa , e regolare sentenza di un collegio di uomini
di conosciuta probità, possa dichiararsi colpevole, e soggetto
alla pena prescritta dalla legge.
Sicurezza deUa proprietà richiede che il tributo sia pro-
porzionato, fisso ed invariabile, e che ogni addizione o cam-
biamento venga esaminato preventivamente dal corpo rap-
presentativo dello Stato.
Sicurezza della proprietà per conseguenza vuole ano
slabile metodo giudiziario, che togliendo V arbitrario al gius-
dicente assicuri un imparziale e fisso regolamento per chiun-
que veda disputala la sua proprietà. Di ciò sinora ho rapida-
mente trattato. Due oggetti rimangono ancora da toccare , i
tronchi maestri dell' albero, e sono la legislazione, e la rap-
presentanza pubblica. Non sarebbe inai più sicura la proprietà
malgrado 1 suggeriti regolamenti, se il potere ministeriale da
solo potesse riclamare leggi nuove, come sinora ha fatto ; giac-
ché una legge può essere o crudele, o attentatoria della civile
libertà, o ineseguibile o importuna; quindi chi ha la facoltà
di proclamare tal leggi, può creare nuovi delitti o immagi-
nare nuovi supplizi, e conseguentemente il più onesto citta-
dino può trovarsi tirannicamente in preda alll sgherri. La
pubblica rappresentanza è pure inerente alla sionrezza della
proprietà, poiché vana ed illusoria sarebbe ogni costituzione
scritta, libro di mera curiosità ed erudizione riescirebbe, qua-
lora non esistesse un corpo destinato ed interessato a man-
tenerla. Di questi due oggetti mi resta a trattare prima che
io chiuda il discorso.
SUH.0 STATO POLITICO DEL MILANESE. 31
LEGISLAZIONE.
ABbìamo veduto pubblicarsi sotto H governo del conl^
Firmiaiì alcune leggi che sole bastavano a turbare la sicu-
rezza della proprietà. Alcune prescrìvono che i padri doves-
sero essere tenuti pei figli, ed i padroni per li servitori pel
contrabbandi di tabacco. Questa legge fece tal senso che il
popolo per più settimane abbandonò Fuso del tabacco; onde
si dovette poi moderare la legge con poca dignità del legisla-
tore. Sotto lo stesso governo, per altra legge, s'imposero
cautele ed obbljghi4ali ai filatori di seta, che resa difficile e
quasi impossibile l'osservanza di tanti vincoli, venne scorag-
giato questo ramo di n^lonale industria. Gli sgherri e gl'in-
quisilori ebbero la facoltà di visitare entro le case, nelle offi-
cine, ed in qualunque ora perquirere sale, tabacco, e quindi
ostilmente si trattarono 1 popoli. Tai sorprese non si fareb-
bero alla reh'gione del remoto monarca, se prima d'essere
pubblicate nuove leggi, venissero proposte al corpo rappre-
sentante lo Stato, al quale fosse permesso di esporre al trono
ì mali che per ventura di quelli possono derivare.
Sicurezza della proprietà esige dunque che il monarca
venga preventivamente schiarito dal corpo rappresentante lo
Stato avanti che una legge sia proclamata.
CORPO DELLO STATO.
La politica del dispotismo e della capricciosa cecità ebbe
in orrore ogni corpo rappresentante la nazione, perchè que-
sto corpo è il solo che fa argine all' abuso del potere mini-
steriale, ed è l'organo per mezzo del quale la verità dalla
capanna passa al trono, ed il monarca è istrutto del male e
del bene che fanno le persone impiegate nei governi. Quindi
si cercano tutti i prelesti o per estinguerli, ovvero per for-
marli in modo che riesca una mera illusione da scena per
appagare i semplici; ma la vera e slabile politica d'un mo-
narca illnminatp, buono, previdente, considera sotto un
aspetto opposto una tale istituzione, come il solo ed impre-
32 SULLO STATO VOLITICO BEL MILANESE.
scindibile mezzo per regnare con gloria, per evitare le
insidie dei cortigiani, per accostare sé stesso al popolo, e ren-
dersi forte coir adesione degli interessi comuni. Cerca di for-
mare nn corpo che sia al sicnro d'ogni oppressione ministe-
riale, coIil^)osto di tanti quanti bastano per rendere difficile
la subornazione e dibattere gì' interessi pubblici, e scelto dal
^ popolo che rappresenta, e dal quale unicamente può ricevere
il mandato per avere una rappresentanza legittima. La mae-
stà di Leopoldo II non ci vuole schiavi, ci yuole sadditi. Le
massime del suo governo sono già pubblicate : imperocché la
costituzione dei Belgi ben lungi d'essergli invisa, la propose
anzi per modello degli altri Regni e provincie deU' angusta
sua casa. Nelle tenebre dei secoli passati, mentre i pochi uo-
mini che coltivavano la loro ragione tutti s' occupavano o nel-
l'erudizione o nella matematica o nelle cose naturali, trasen-
rando la scienza della società ed i diritti che la fanno sussi-
stere, nell'ignoranza di quella oscura notle una insidiosa
politica bastava per tenere atterrita e sommessa la massa
degli nomini, sicché non s'accorgesse né della lesione dei suoi
diritti, né dei mezzi per rianimarla. Ma la notte ha fatto loogo
a nuovo giorno, le opinioni rapidamente si cambiano, e Topi-
nione è la regina del mondo a cai si piega la forza stessa. Se il
potere intermedio ministeriale perseverasse ne' suoi antichi
prìncìpj, verrebbero col tempo esposti anche i migliori princi-
pi, anche i popoli dell'indole più placida, a tutti i mali che ac-
compagnano nn rapido cambiamento d'ordine. Nella chiara
luce de' tempi presenti è necessario un corpo rappresentante lo
Stato, che liberamente possa informare il monarca de' mali
e dei disordini, e che sia organizzato per modo da ottenere
questo fine, «d ottenerlo stabilmente. Abbiamo il catastro
censnario: dividansi i possessori in tante masse propriamente
eguali; ogni conranìtà compresa in questa massa scelga i
suoi deputati, e gli eletti raduninsi nel borgo che sia centro
di essa, e nominino il pubblico rappresentante. Gli nominali
formino il corpo dello Stato. Gonyiene che il loro numero sia
tale da impedire la seduzione ministeriale e rendere atile al
suo fine la rappresentanza. Conviene pure che il loro officio
8ia per sei anni, e che ogni tre se ne cambi la metà. QneaK
SUILO STATO POLITICO DKL MILANESE. 33
assemblea, oome tutte le altre municipalità, potrà radunarsi
quando voglia» e trattare gli affari senza angustia o predo-
mìnio dei ministri. Ella potrà direttamente umiliare ai trono
le sue circostanze, e sarà il vero tubo ottico per cui il mo-
narca vedrà la verità, annebbiata in prima dagli interessi
de' ministri, i quali sono la cateratta agli occhi del monar-
ca. Ella sceglierà il suo presidente, che durerà sei mesi :
conosce/a delle nuove leggi, e veglierà alla conservazione
della costituzione. Tutte le spese gen«rali incombenti allo
Stato dovranno essere decretate xla questo corpo di rappre-
sentanti e dipendenti dalla sua determinazione, trattone il
tributo fisso sulle terre, il quale sarà perpetuo, e determinato
ttC^Ua quantità. Non si potrà intraprendere fabbrica alcuna,
strada, canale, edifìcio, od impegno qualunque che porti ca-
rico allo Stato, aduna città, provincia, o comunità, senza il
previo decreto del corpo rappresentativo. Tutti i conti sa-
ranno subordinati air ispezione del governo, al quale rimane
la facoltà di impedire ogni abuso del danaro pubblico. Nel-
l'imposta annuale preventiva si porrà sempre una partita
d'approssimazione delle spese eventuali, e dentro i limiti di
questa sarà facoltativo a tutti i corpi pubblid, giusta la loro
assegnazione, di far le spese. Il riparto dei pedi pubblici si
farà sempre sul catastro censuario. Ogni individuo, all'atto
che prende possesso della sua carica, giurerà fedeltà inviola-
bile al monarca, e di non acconsentire giammai a partire
del suo posto, e ritirarsi, se non quando sia rimpiazzato dal
suo successore legittimamente eletto. Ogni controversia che
nascesse fra città e città, verrà decisa clal corpo rappresen-
tante lo Stato dal quale dipenderanno.
he siradie che non sono né comunitatìve, nèr^provinciali,
non guidando da una città all' altra, servendo all' uso gene-
rale, incombono fin d'ora alla generalità dello Stato per la
manotenzìone. Avrà insomma tutta l'economia appartenente
all' .azienda generale dello Stato.
Sulle massime istesse si organizzi ogni consiglio muni-
cipale , ed in tal modo saranno formati i corpi pubblici perma-
nenti e con individui successivi e temporanei, e inerendo alla
riforma ceiisuaria riceverà una forma legale stabile la prò-
34 SOLLO STATO POLITICO DEL HILA1IE6B.
yincia, suddita d'an monarca illaminalo ed amano che l'avrà
per sempre assicurate contro il funesto dispotismo ptovimàaie
che i'ha degradata ed oppressa.
GOHGLITSIOIfB.
Riassamendo le cose sin qai detfe, Cotto d ridaee a pò-
chi prìncipi e chiari. Siamo noi radunati per esporre al Boove
sovrano che ce Io ordina ì gravami ed i mali della provineiat
Ci siamo noi sottoposti per sistema ad nn governo arbitrano
e dispotico? Si. Un tate governo è egli on male per ohi vi è
soggetto?Egli é il sommo, il primo del mali. Possiamo dun-
que nói occultare la sincera esposizione di tale sommo mde
nella rimostranza che stiamo per fare? No, se non vogliamo
meritare il titolo di traditori della patria, e se non vogliamo
essere riputati li pia inetti degli uomini. Posisiamonoi temere
alcun rimprovero esponendo questo gravame? No. JSotto d*oii
monarca che ha dichiarato in falccia dell' Europa di amare la
Costituzione Belgica, e di bramare che servisse di modello
agli altri suoi Stati, non è possibile che sia discara la sopplica
di darci una simile costituzione. Sotto di an monarca che è
giusto, e vuole U ben essere e la contentezza de* buùì popoli, «m
è possibile che dia n^al ricevuta la proposizione che ha per
base la giustizia^ e per fine il ben essere e la amteniezzade^sfiM
popoli. II sovrano comanda al ministre di non immischiarsi
colle nostre deliberazioni, comanda a noi di fargli conoscere
i bisogni del suo popolo, e dubiteremo noi se ci siapeimesw
di fargli conoscere il bisogno massimo, cioè il bisogno di ot-
tenere una volta la sicurezza della pfopHe(d? Chi é posillaiH-
me, chi è imbecille, noìi stenda la mano al timone degli af-
fari. E che? Avrete voi dunque accettata la sublime ^ricadi
parlare per tutti ì vostri concittadini? Vi-siete indossato l'at-
gusto ministero di reggere la causa pubblica in qaest'impo^
tantissima occasione, senza consultare i lumi vostri, sentt
consultare il vostro animo? Se aveste impallidito, se areste
diffidalo in quel momento, se aveste chiesto soccorso, assi*
sienza nei lumi d'altri iàtrutti cittadini, la timidezza vostia
sarebbe stata virtuosa. Ma ora, posti in alBcio a vegliare solb
SULLO STATO FOLIXIGO DEL UlLAflESE. 33
flìciireiia della palrk, mostrerete rm nti'aoinia da sebiavo
palpitante per il pericolo dello sdegno ministeriale, che forza
è pare d'affrontare per essere fedeli al vostro re> jdki vostra
patria? Cosi non operavano. i nostri maggiori , quando
nel ±i8l^ n 25 g^no, stabfllrono in Gostanza la cestita-
zione chesta vnel cocpo delle leggi,' e qnajido nel 1450^ li 3 di
marzo,* altra costilnzìone stipularono een Fianeesco Morza,
Ni» vi ò sicarózza della proprietà, se non, dove vi sia
ima costitozione. Non vi è costttnzione se non doye siavi un
corpo interessato a difenderla e capace* di farlo.
Io non ho esposto quanto richiedesì per questa gran-
d'opra, unicamente ho dati i tocchi principali. Nobili, aprite
gli occhi, maturate i vostri consigli, nulla precipitate. Mirate
intomo TEuropa, leggete almeno i fogli pubblici, esaminate
la pubblica opinione, svegliatevi. Non è più tempo da arro-
garvi soli la rappresentanza della città. Ogni cittadino possi-
dente, al paro di voi ha diritto di eleggere e di essere eletto
in servigio ddtta patria. Neil' oscurità de' passati secoli pote-
vate concentrare la municipalità nel vostro ceto, e sostenere
un' oligarchia ; ma la ragione ha fatto progresso : ora fa ri-
brezzo e sdegno ciò che è gotico e deforme. Yi vuol giustizia
nella pienezza della luce odierna, che rischiara r Europa.
Avete voluto, o nobili^ degradare i vostri concittadini, e il mi-
nistro provinciale ha degradati voi stessi, e tornerà a degra-
darvi ben tosto che le circostanze favorevoli glielo permette-
ranno^ se persistete. La rappresentanza che esercitate, o de-
enrioni, è illegale ed abusiva ; vói siete eletti dai ministri
regj, e non dalle città. Milano neouneno vi conosce per suoi
rapprraentanti, e se non vi dichiara impetuosamente il dis-
senso pubblico, esaminate se gli applausi vi mostrino alcuna
pubblica eonfklenza. Se voi insistete sulla pratica, la pratica
medesima autorizzereUie il governo ad operare dispotica-
mi^nle su di voi. Se vi accontentate di essere schiavi, purché
abbiate de' schiavi sottoposti a voi, sarete voi i nemici della
patria. Se scegliete questo partito, vi annuncio in breve la
rovina. I prineipj sociali sono sviluppati nel centro d'I^uropa,
* Moratoria Med. £v. Dìsser. XLVIII.
3 Vèggasi nsil* Archivio ^ublxlìco aglietti del notaio Damiaiio Marliani.
36 SULLO STATO VOLlTiCO BBL ULAIIISI.
la luee diMasi rapidamente^ il popolo milanese ara fn poehi
anoi illomiiiato, tì chiamerà TÌlissìmi Iradilori del pobUioo,
vi chiamerà La mia pema non anticiperà d'aimiiDiiarvi
le qndificazioni che ìn£rilibilmente otterrete, seioàsteleper
un'olìgarehia odiosa ed ingiosta. Siate nomiai, e se volete
comparire nobili, siate nobili ne'penmri, e generosi ndle
azioni; siate nobili seguendo disinteressatamente laragioie
e la giustizia. Date al monarca l'esempio di sacrificare i pre-
giudizi e le pratiche all' interesse pubblico della provÌDeii.
Spogliatevi d'ogni idea di ceto; il ceto d'un uomo dabbene
è il genere umano. La felicità pubblica sia la vostra mira; la
ragione e la virtù vi guidino. Mostrate di conoscere i prin-
cipj deli' immortale autore deUo Spirito delle leggi, e d'esseie
degni cittadini contemporanei dell'autore l>M'delim'«deH(
pene. Cittadini scelti per parlare a nome di tutti, parlate
colla verità e dignità conveniente al popolo che rappréseit-
tate, e per bene del quale é ìnstitnito il governo. L'esito non
è in vostra mano, lo so; le cireostanze poirebbero rendere
vane per ora le vostre cure. Ma starà sempre il vestigio di
quanto ora farete. I semi della verità annunciata dalle aoto-
revoli voci vostre germoglieranno , e i nomi vostri saranno
ricordati con gloria insino^she dura la memoria degli nomi-
ni, e la storia ne passerà il racconte ai più lardi nipoti.
Che se per imperizia, per dappoccagglne, obliquità, tra-
viaste, tradendo la patria e perdendo una si bella occasione.^
Se lasciaste fuggir infruttuoso un momento si fausto j cbe da
secoli non s'è veduto.... Se trascuraste di procurare una co-
stituzione custodita da un corpo indistruttibile, per cui aia
assicurata la proprietà : costituzione modellata suU' esempio
di quella dei Paesi Bassi, già lodata e conosciuta degna di
servir di modello ad altri Stali d^l re Leopoldo II medesimo,
che ci invila a proporgli le nostre brame Voi stessi sarete
gli autori di tutti i mali che continuerà a far per l'avvenire
il potere ministeriale. Voi stessi sarete autori d'una rivola
/Jone funesta, e della carnifìcina dei vostri concittadini, gì^e-
che il dispotismo cosi va sempre a terminare, e chinnqoe ha
occhi ne scorge l'epoca non rimota. Voi stessi avreste tradite
la patria, e un re, che si fida di voi, e vi cerca consiglio.
SULLO STATO POLITICO DEL MILANESE. 37
Ksfitm di S. H. IfcetoUca per la conyoeazione de' Sappeseitaiti pubblici
aiae di esporre i bisogni M lilànese.
LEOPOLDUS Eie.
Dacché abbiamo preso le redini del governo dei Regni e Stati
a nùi devoluti per ereditaria successione, la prima nostra tewm
è stata di pensare ai mezzi di procurare possibilmente il benes-
sere e la contentezza de' popoli ora a noi soggetti, fra' quali chia-
mano a sé un'eguale sollecitudine anche quelli della nostra Lonir-
. bardia. A questo fine, essendo necessario di conoscere i loro
bisogni, non meno che il bene generale dello Stato per poter
provvedervi, in quanto da noi dipende, e nella fiducia di vedere
corrisposto questo nostro desiderio dai pubblici impiegati della
Lxrmbardia, coli' impegno di vero zelo per il comune vantaggio,
abbiamo stimato bene di sentire direttamente dai medesimi ciò
che dopo matura e riunita deliberazione crederanno dover fard
presente, all' effetto di ottenere da noi quella provvidenza che
conduca alla prosperità generale dello Stato, non che particolare
delle singole provinde.
Quindi colla presente reale carta ordiniamo e comandiamo
al nostro Governo generale della Ixymbardia austriaca, perchè
vengano da esso autorizzati quanto prima i Consigli Generali
della città dello Stato di Milano, cioè di Milano, Pavia, Cremo-
na, Lodi, Como, Casal-maggiore, i quali devono considerarsi
come rappresentanti le provinde relative ad esse sd dttà per
rappwto agli effetti della présente nostra determinazione, a sce-
gliere e nominare ciascuno dd Suddetti Consigli, due individui,
sieno poi nel corpo di essi medesimi o altri delle rispettive dttà,
% quali si rendano quanto prima in qualità di deputati provine
ciali alla dttà di Milano, e riuniti sotto la direzione e presidenza
del conte Luigi Fratti, delegato regio, e prefetto della congrega-
zione munidpale di detta città, si facdano a deliberare in co-
mune sopra gli oggetti che crederanno poter esigere o meritare
un sovrano provvedimento, e spedalmcnte sul bisogno a noi già
p. VERRI. Appendice. • 4
38 SULLO STATO POUUGO DEL MILANBSB.
stalo esposto dal Consiglio Generale delia città di Milano ài una
rt^ffpresmtansa permanente della società generale deUo Stato^sul
modo di eostruirla, e suUa forma da darsi alla medesìma^ Le
proposizioni cT essi deputati, ridotte che saranno in un protocollo
comune, dovrà questo presentarsi ai Governo, e da lui imd-
trarsi a noi col proprio suo parere, per sentirne la sovrana de-
terminazione.
Affinchè poi possiamo avere dai pubblici stessi gli schiari-
menti della loro opimUmie, e di quanto ragionevolmente desidera-
no, è nostra mente e volontà che % suddetti d^mtati proviwidi
scelgano fra loro due o tre soggetti, i quali si trasferiscano in
questa nostra città di Vienna, non solo per esporre anche diret-
tamente a noi le petizioni de* loro pubblici compilate come so-
pra, ed i gravami se ne avranno; ma anche per poter rischiarire
a voce ed in iscritto tutto ciò che sarà loro chiesto per il mag-
gior accerto delle sovrane nostre risoluzioni.
Per ciò che riguarda la città e Bucato di Mantova, avendo
veduto da* diversi ricorsi a noi pervenuti, che lo stato attuale di
quella provincia può abbisognare (f una particolare e separata
considerazione e provvidenza, è perciò nostra intenzione che ven-
gano pure scelti daUa congregazione municipale di Mantova dm
dqmtati, i quali bene istruiti delle occorrenze. di detto Ducato si
rendano qui per il sopraccennato fine. Desideriamo però che il
pròno di essi d^tutali sia destinato il presidente marchese Zar
netti, le di cui ottime qualità di mente e di cuore (ibbiamo avuto
occasione di conoscere particolarmente.
Del resto, siccome ci teniamo certi che gli amati nostri sud-
diti ed abitanti della Lombardia si dimostreranno animati tm
solo dalV amere della loro patria, ma egualmente da un sincero
zelo per U servigio del loro sovrano, tanto più che non desidera
che U loro bene comune i cosi confidiamo pure che U serenissimo
Arciduca si farà premura di secondare colla profUa intimaivm
a ehi si sp^ta, ed in ogni altra maniera, il più sollecito adempi-
menlo delle sovra esposte nostre intenzioni.
Vienna, 6 maggio 4790.
39
ORAZIONE FUNEBRE
PBR fillJSBPPE SECONDO IMPERATORE E RE.'
Ministro d' ana religione di verità; nel (empio dell'ol-
timo tnassimo Iddio scrutatore de' cuori e monarca onnipos^
sente dell' universo ; in raeczo alla pompa ferale che ci an-
nunzia il nulla delle umane grandezze; mentre la pietosa cura
degli augusti associa la riconoscenza de' ministri , la fedeltà
de' nobili, e la generale ossequiosa cura de' sudditi per im-
petrare riposo e pace all'anima di Giuseppe il pio, felice,
augusto, da immatura morte rapito, ardua e difficile impresa
mi si commette di pronunziare il funebre elogio fra il sagrifi-
ciò d'espiazione e le solenni preghiere della Chiesa^ Un prìn-
cipe che nel breve regno di nove anni prese a svellere tutto
ad un (ratto i disordini radicati per secoli ne' varj Stali della
vasta monarchia austriaca; che da un canto tentò d'annien-
tare ogni superstizione rad p<^lo , ed ogni orgoglio ne' sacer-
doti; che costrinse ne' limiti à* una mera esecuzione tutta
l'autorità de' suoi ministri e dei tribunali, spogliandosi d'ogni
corredo di fasto o d' arbitrio; che ai nobili tolse di mano lo
scettro fendale per sollevare la suddita umanità travaglialri-
ce; che affine di consolidare la potenza, e con essa la sicu-
rezza pubblica, venne ad impegnare una guerra disastrosa
pel sangue versato e pesante adegui ceto di sudditi: un prin-
cipe che annientò le patrie leggi, i patrj magistrati ed i palrj
eostami per assimilare ad una sola norma il reggimento delle
< Si disputava sulla possibilità di faie an encomio a Giuseppe 11^ soisa.of'^
fendere la verilk, e colla dignità che conviene ad un sacerdote che park in chiesa.
Per prova ne ho fallo questo breve saggio. Un pittore che sappia bene la sue arte^
i^oglie il bello anche delle 65onomie deformi, fa cadere destramente le ombre sulle
pani k più sconcie, e forma una bella faccia, che ^ il riuatto d'un viso odioso.
40 ORAZIONE FUNEBRE PER GIUSEPPE SECONDO.
Provincie tutte , varie di costume, di clima e di linguaggio:
un principe insomma che prevenuto dalla morte prima che
avesse condotte a termine le sue idee, lascia la monarchia
appoggiata a interinali e non ancora consolidati nuovi, siste-
mi invisi alla moltitudine , è un argomento delicatissimo a
trattarsi coir elogio da questa cattedra di verità. Gomone^
mente gli uomini polenti furono i fautori de' disordini pub-
blici, e chiunque volle procurare il bene della massa del ge-
nere umano, offese i magnati, i quali per essere fedeli ed
affezionati al monarca, amano di possedere una frazione di
sovranità, colla quale {Hombano sul popolo infelice, ignaro
della vera. cagione dell'infelicità che soffre. Quindi i rifor^
malori ebbero sempre a soffrire l' odio dei pochi potenti, e
non furono mai ricompensati dai molti popolari che benefi-
carono, 0 che avevano in cuore di beneficare. I pochi aomini
privilegiati , quei che esaminano prima di stabilire i giudizj,
quei che in mezzo al faticoso sovvertimento del terrepo samio
antivedere la futura mèsse, quei che insensibili ai clamori
della moltitudine, che inconsideratamente echeggiano le
Iodi 0 i biasimi intuonali da' grandi, pesano il merito morale
dall'intenzione, come il merito civile dalla sagacità de' mez-
zi, e non dal solo esito, talvolta indipendente dalla umana
e limitata prudenza; quei pochi, dico, sono i soli che degna-
mente e con imparzialità possono anticipatamente giudicare
del destino che avrà la memoria di Giuseppe II nei fasti del
cadente secolo* Frattanto brevemente accennerò i principali
oggetti che a parer mio debbono determinare V opinione dei
saggi, e rispettando la maestà del trono, ma più ancora ri-
spettando l'angusta Immortale verità, senza fiele e senza
adulazione, senza timore e senza speranza , presenterò on
epilogo dell' operosissimo suo regno. Il fasto, la molleziat
la voluttà , le insidiatrici lusinghiere arti che s' afibllano in-
torno ai troni, che vi attraggono tutto il sugo vitale smmito
dalle vene de' sudditi, che spargono un'impenetrabile neb-
bia intomo al regnante, nascondendogli la pubblica miseria
de' popoli, e dall'opulenza de' cortigiani ingannevolmente
li fanno argomentare la felicità del suo regno; che allontanano
dal monarca l'uomo virtuoso e 1' uomo illuminato, lenden-
OBAZIONB FUNBBRB PBR QiUSBPPB SBCONBO. 41
dogli sospetla d' insubordìoazìoiie la virtù, e ridìcola e vana
la scienza deUibri; che formaDdo della corte un centro mas-
simo dì riunione della avidità, dell' orgoglio , della frode,
della simulazione e dì tutta la disastrosa schiera de'vizj ma-
scherati; con ipQcrita ed ingentilita forma corrompono ogni
genere di bontà, e spargono la corruzione gradatamente sulla
massa medesima della nazione ; tutte queste larve scacciò
lontane da so Giuseppe Imperatore. SemplicissimQ nel ve-
stito, senza corredo dì cortigiani, senza formalità veruna,
col solo necessario mezzo, del quale ogni privato fa uso, ei
scorre tutte le Provincie, visita e riconosce i tribunali, gli
uomini, e persino gli ospedali e le carceri; esamina lo stato
della più infelice parte dell'umanità, entra nella povera ca-
panna del contadino, e come uomo parla all'uomo suo simi-
le ; di tutto s' informa, tutto conosce cogli occhi propri nella
Lombardia, nella Boemia , nelle Fiandre , nell' Ungheria, e
nel Sanato; in ogni più rimota parte il sovrano si presenta
qual padre accessibile a ciascuno; paziente, attivo, instan-
cabile, abolisce le prosternazioni, e le asiatiche adorazioni
de' popoli verso del monarca. Non è possìbile rinunziare più
al fasto di quanto fece il Sovrano. Non le mense d'Apicio ,
ma la s^ria e non di rado trascurata mensa di Pìttagora ser^
vivangli di norma. Parchissimo nelle spese di sua augusta
persona , si considerava sempre come amministratore del-
l'erario pubblico, non come padrone, ed aveva sempre fissa
nel pensiero la grande verità, che ogni spesa superflua del
sovrano è una sQttrazi<Mie al bisogno di qualche suddito.
Tale fu. costantemente il tener della sua vita, e prima «he
ascendesse al trono, e poi che vi sedette. Non amori, non
Jgeniali predilezioni, non affetto alcuno privato di benevo-
lenza 0 d' odio , nulla insomma di quanto seduce la umana
gracilità, nulla poteva accostarsi all' animo di Giuseppe, che
tolto elevato e consacratosi ali' augusto destino prescrittogli
dalla divinità, tutto staccato da ogni debolezza, si mostrò
sempre indipendente e imparziale monarca, di cui la vita
pubblica annientò quasi quella del suo individuo.
Trovò il genere umano tormentato dagli errori, dall'in-
giustizia e dalla prepotenza Mali grandi, molti e dilatati cq-
r. vsftai. App«ndk*, 4'
42 ouzioNB FimniB Kt dinsFra
nobbe non essere possibile di gnairìre se non con impeto,
con ardilissinM sforzo, con perseveranza, e affrontando gli
orti della stessa moltitudine e i perìcoti d' ona rìTolorioiie.
V esempio di Pietro Czar di Moseoria , al qnale ( non so se
la ragione lo approvi] si dà il nome di Grande, lampeggiò
alla mente di Giuseppe II. Non mancagli vicino chi conti-
nnamente fino dalla gioventù gì' inspirasse nel enoie le mas-
sime del governo della Bnssia: sedotto dall'amore detta glo-
ria , lusingato di far bene alla generazione vivente , ed a
molta serie di ventore; persuaso che basta al monarca il to-
lerts costantemente, perchè gli uomini a tutto si pieghino;
nessuno vi fu che ricordasse al buon principe ch'egli bob
era più padrone degli uomini, di quello che lo fosse dell'en-
rio, o ch'egli era amministratóre come dell'erario, eosi
delle leggi, de' riti e delle opinioni dei sudditi; nessnno ¥i
fu che gli ricordasse, che è bensì vero che degli uomini se ne
può fòr molto, quando il legislatore sapientemente combini
i mezasi e disponga le opinioni, ma falso che se ne faccia
quanto si vuole col semplice comando e colla forza ; la qoale
non die mai la coltura o la felicità a verun popolo, ma o
fece deserti i Regni , o fece i sudditi ribelli , o schiavi qoai
mandre di bruti, e quindi non mai produsse a verun prìn-
cipe una durevole gloria. Le circostanze non forono bastan-
temente favorevoli, perchè alcuno potesse indurre tai pen-
sieri lielF animo di quel principe, e cosi gli Venisse dubbio
. sulla opportunRà della politica del Czar Pietro , singolarmente
esercitata su contrade meno agresti. Quindi amando ferYi-
damente il bene , impaziente di superare gli ostacoli , ani-
mato della nobile passione d 'essere il liberatore dormali che
affliggono gli uomini, avendo la sedacente prospettiva di
collocare il suo nome nel tempio dell' immortalità accanto ai
glorio» principi che intieramente si consacrarono a utilità
pubblica, nulla lo trattenne dall' affrontare tutti gli stenti, le
cure , le difficoltà, i pericoli d' una generale immensa ri-
forma. Sintanto che gli uomini appoggiavano i loro errori
alle antiche loro costumanze, inutilmente si sarebbero sta^
cati i rami sempre ripullulanti della vasta e poderosa radice;
lutto conviene distruggere dove regni un morbo contagioso,
OBAZIONE FUNBBBE PEB GiD$BPPB SCGONBO. 43
conviene ridorre V aomo «Ha ncrdità, e coprirlo poi con ab*
bigliamenti nuovi ed illibati. Conviene ridurre gli aomìni a
dubitare di ogm opinione per liberarli dai veccbi pregiudizi,
e sulle rovine goticlie distrutte innalzare un regolare edificio
della società. Questi pare ehe fossero i principj che diressero
le operazioni del suo regno, principj che non credo-do versi
adottare perehò «stremi, ma non deformi, in vista della no*
bìlti del fine che si proponeva ; felice dispotismo quello che
seaotendo la umanità giacente nel letargo, la desta a cono-
scere la dignità propria , a foggir dalla miseria per abbrac-
ciare la ragione e la. vitlàl Nazioni corrotte, forza è pure
che giungiate all' ultimo grado d' annientamento per rinve-
nire ruUimo mezzo che vi rimane onde risorgere. Quella
spiata ch^ non è più possibile che diale a voi medesime, il
solo padrme ve la può dare. La potenza ecclesiastica con-
tenuta; innocenti vittime, gementi per incaute promesse fatte
per seduzione nelFinespérta età, richiamate alla vita; sostanze
dei poveri distribuite con sapienza ed imparzialità sulle classi
più indigenti, alberghi destinati a sollievo dell' infelice uma-
nità, riordinate le pene ai delitti proporzionate, ab(rli(a la
tortura, resa quasi obsoleta la pena di mort^, prescritto un
metodo invariabile al corso della giustizia, aperto l'adito
all' appellazione, c^bligati i tribunali a dare i oftotivi delle
sentenze, reso libero l'esercizio d'ogni utile industria, at-
terrati gli ostaceli per la circolazione delle merci, aperto un
facile adito pel ricorso al ttono; ecco in breve i punti prin-
cipali del maestoso edificio che disegnò Giufeppe IL Ma come
eseguirlo contemporaneamente ndle vaste e remote provìa-
eie? Forza era pure adoperare V opera di chi presiedeva. GH
uni, non osando d'affirontare clamori da tanta sovversione in
sepurabifi, rimostravano ostacoli moltiplicati ed esagerati
non di rado, e talvolta sognati, sia che preferissero un pla-
cido e regolare ad un faticoso ed incerto comando, sia che,
come sogliimo le anime volgari, nuUa credessero buono, anzi
noumeno possibile, trattone qiMmto erano' soliti a vedere
accadere; e queste difficc^ sempre più irritarono l'impera-
tore, a superarle, colla«^ita energìa delle anime grandi, che
più credono degno di loro imprese, quanto ooao esse più dif-
44 ORAZIONE FUNEBBB PBB GIDMPPB »CONDO.
Ocili. Altri presidi delle proyincìe , ciecamente adattando
r impetaoso spirito del monarca, aggiangendoyì T asprezza
dell'orgoglio, devastarono, insultarono qaanto di manicipale
rimaneva, o nei magistrati, o nelle leggi, o nel riti de* po-
poli, e cosi gli afl&issero nella più cara e veneranda cosa, ag-
giungendo il disprezzo all' offesa: tanto poco conobber gli oo-
mini e la politica, tanto poco s' occuparono di servir bene il
monarca e lo Stato! Ah! se invece le mani esecutrici, dirette
da un vero zèlo , e da migliore sapienza , celeri a spianare
la strada del bene voluto da Giuseppe II, arrestate si fossero
a consultarlo e contraddire pe'séli ostacoli che la ragione
opponeva per l'indole particolare di ogni provincia! Se nella
esecuzione avessero mostrato ai popoli il fine retto e bene-
fico deUe operazioni! Se con dolcezza e umanità avessero
temperati i parziali danni che recar deve ogni rivoluzione
di siistema, sebbene la più felice! Ah! se tali fossero stati
quali essere dovevano , no che non si sarebbero ridotte le
novità al punto .... ma volgasi il pensiero a men disgastoso
oggetto, e bastino questi cenni perchè non s'incolpino al mo-
narca quei danni che furono dipendenti non dalla soa, ma
dall' altrui volontà; giacché per eseguire con celerità i dootI
sistemi era pure indispensabile il lasciare il più ìUimitato po-
tere ai capi, e in un' estesa monarchia non era fattibile a^
certare sempre la scelta.
La guerra nella quale le circostanze impegnarono ras-
gusto re, fu un male che non può dissimularsi; ma l'Unghe-
ria senza un libero sfogo alle sue derrate , gode di una vi-
ziosa abbondanza, e rimane oppressa dalla superfluità dei
suoi prodotti , mancandole i mezzi per procurarsi le produ-
zioni di altri climi. La navigazione del Danubio sgombra da
ogni ostacolo può sola rianimare qud vasto e poderoso Re-
gno, al quale doveva Giuseppe la sua corona conservata io
fronte dell' augusta sua madre. Gli avvenimenti delle armi,
le combinazioni dei gabinetti possono antivedersi prossima-
mente si, ma non giammai con dati sicuri. L'esito non
sempre prova il merito del progetto, e la campagna ultima
in cui i nemici furono da ogni parte fugati e sconfitti, di-
mostra che la superiorità delle armate europee a fronte delle
ORAZIONE FUMEBBB PER GIUSEPPE SECONDO. 45
asiatiche, fu un* opiDione ragionevolmente stabilita. Ahi
perché mai un lento e irreparabile, malore, frutto delle ec-
cessive fatiche e del totale sacriGcio che aveva fatto della
propria esistenza per consacrarsi allo Stato; perchè mai nel
pieno vigore degli anni viene a depravare gli umori vitali
dell'Imperatore, e gradatamente strascinarlo alla tomba
prima che fossero condotte a fine le sue viste I . . .
Resistè egli bensì al languore del corpo, e vigoroso e
attivo neir animo pare che quest' ultimo fosse indipendente
da quello, ma convenne cedere al comune destino. Cristiano
illuminato e fermo , con rassegnazione e senza debolezza
onorò la religione sino aU' ultimo respiro , tutti i sacri riti
riverentemente bramò ed ottenne, mori da figlio fedele alla
Chiesa, quale lo riconobbe il sommo pontefice, comunican-
dolo colle sue mani in Vienna , e preconizzandolo con en-
comio della sua religione. Basta ciò a sgombrare ogni so-
spetto sulla di lui credenza e amore per la religione; la quale
appunto, perchè gli era carissima, cercò di mondare da quella
superstizione, e da quelle pratiche aggiuntele poi dalla cu-
pidigia dei suoi ministri, e dall' ignoranza <lei secoli passati;
superstizione, che opportunamente proscritta, ridurrebbe la
santa religione cattolica inacessibile ai tratti che i Protestanti
slanciano contro di lei. Poco rimane di compito ed eretto
sotto il regno di Giuseppe, poiché la motte pre^'enne l'esecu-
zione; rimane però abbastanza per aspettarne il bene, giac-
ché il successore al trono non incontrerà più antiphi pregiu-
dizi da affrontare, e le parti sconnesse dell'amministrazione
non occorrerci più di svellere per collocarle sopra un rego-
lare disegno.
L'ipocrisia non serve più di maschera al vizio, perchè
è derisa, e la sapienza del nuovo re potrà ricondurre la cal-
ma e la felicità ai suoi popoli affaticati dalla sofferta rivolu-
zione, e bramosi di pace e riposo.
47
DECADENZA DEL PAPATO,
IDEA D£L GOVERNO DI VENEZIA E DEGLI ITALIANI
IN GENERALE.
La decadenza rovinosa del Papato sarà un' epoca nella
storia del nostro secolo. 11 destino d' ogni cosa è d' avere il
suo periodo, e conseguentemente doveva pure questa potenza
annientarsi come il Galifato, o come lo stesso impero roma-
no. Ma la ruìna del Papato accadde con moto più violento
di quello che suole condurre alla estinzione la vecchiezza
delle istituzioni umane. Credo perciò che oltre la legge uni-:
versale vi sìa intervenuto della colpa in chi reggeva questa
potentissima monarchia, che aveva per fondamento igno-
ranza dei sudditi, e per anima la furberia degli ecclesiastici.
La potenza papale nacque coir aver distaccato dalla società
universale ì ministri dell'altare, averne formato un corpo
distinto, averlo reso potente, e dato a questo corpo la costi-
tuzione monarchica la più attiva, e la più intraprendente
d* ogni altra. La storia dei secoli bassi ci fa vedere come
siasi operata questa progressione. In Roma pagana e libera
non V* erano se non che due classi di uomini, nobili e plebei,
le quali nemmeno impedivano la promiscuità. Un Romano
vestiva il saio e andava a combattere, vestiva la toga e sie-
deva in senato e perorava pe' clienti, o intercedeva ne'Co-
mizj presso del popolo; prendeva il lituo ed offeriva le vitti-
me ne' tempj: Cicerone, Cesare, Pompeo erano sacerdoti,
comandanti, consoli, tribuni della plebe, senza essere pri-
vatamente incorporati a verun ceto. Da noi invece gli ec-
clesiastici fanno un corpo separato affatto dalla società,! mi-
litari parimenti, i giurisperiti pure lo fanno quanto è loro
possibile, mancando de' due potentissimi mezzi, timore delle
48 DECADENZA DEL PAPATO EC.
pene eteme e timore delle armi , co' qaali i dae altri ceti
acquistarono consistenza. Cosi discendendo per grado , que-
sto spirito di corpo invase tutte le professioni a segno , che
persino i maestri di ballo in gualche città ottennero di ra-
dunarsi e formare nn corpo colla facoltà di proibire ad ogni
uomo che non vi fosse d' insegnare a ballare.
Tutti i mestieri cosi si formarono in tanti corpi isolali
aventi i loro statuti, la loro giurisdizione, i loro prìvilegj
esclusivi, ec. Un cittadino è una minima frazione della città,
un artigiano è una maggior frazione del ^uo ceto. Conse-
guentemente ogni uomo s* avvide che era più importante
la sua! influenza nel ceto, ch^ non^ella città. Consegaen-
teménte si affezionò al ceto più che alla città; e gr in-
teressi del corpo a cui si trovava ascrìtto , immediatamente
appartenendogli più davvicino, si rese indifferente al citta-
dino r interesse universale della città. Quindi le città diven-
nero un' associazione non più dì uomini, ma di corpi, iqnali
in masse più o meno grandi urtandosi per vane direzioni,
ora apertamente, ora con industria covando i loro progetti,
mantennero una sorda guerra civile a danno del tolto.
Quindi gli ecclesiastici si considerarono come altrettanti fo-
restieri indifferenti per il ben essere della città, ed occupati
della propria indipendenza ed autorìtà. I militari pronti ad
opprìmere e scannare i loro cittadini, ed a porre il fuoco aDa
patria non furono meno indifferenti.
I curiali impadronendosi delle pubbliche amministra-
zioni e delle cariche civili, poco curanti del ben essere della
città ^ vegliarono per ammucchiare prerogative, onori e ric-
chézze a quel ceto, a cui si conoscevano debitori della im-
ponènte persona che rappresentavano, come arbitri delie
vite e delle fortune. L' ecclesiastico ricusò di obbedire ai tri-
bunali, ricusò di concorrere ai tributi; il miUtare ebbe la sua
distinta giurisdizione ed i suoi privilegj. La città divenne on
annnadso di altre piccole città indipendenti e rivali. Tale fo
lo spirito creato e cresciuto nei secoli tenebrosi, e continuato
fino al secolo presente. Roma grande e felice' non conobbe ,
come dissi, si fatta organizzazione; ogni cittadino serviva
indistintamente la patria alle armate, nel senafo, nei sagri-
DECADBMZA DEL PAPATO EC. 49
ficj, e perciò gì' imperatori volendo consegnare la somma
potenza nelle loro mani, s' intitolarono pontefici massimi^
consoli, trìboni della plebe e comandanti generali, ossia im»
peratorì. In Roma allora ogni cittadino amava -soprattutto 1
vantaggi immediati della sua famiglia , ed in seconde ì van-
taggi della patria. Oggidì tatto V entusiasmo che era collo-
cato perla patria, lo sfogano verso il corpo cui sono imme-
diatamente ascritti, ed io credo che per ritornare alla feli-
crtà ed aHa gloria convenga ritornare agli antichi princiiy, e
distruggere albtto t[aeste associazioni di mestieri. Il ceto ec-
clesiastico erolla, e da ^anto ha già perduto prevedo , che
finirà colP essere annientato o reso di nessuna importanza ;
resta il ceto militare contro di cui sinóra nessuno ha osato
di combattere. Yeraméiite, ad esaminarlo bene^ questo ò il
più vile corpo che «a nella società; poiché, se consideriamo
il soldato comune, conosceremo che un' armata è composta
dalla feccia ddla nazione, o da canaglia cavata daHe carce-
ri, o da schiavi a forza ascritti , o da oziosi e spensierati
che nella crapula ubbriacati furono condotti ad un commis-
sario per ascriversi alla milizia. Gli ufficiaci poi comunemente
SODO cadetti, perciò mancanti di educazione e di talento , i
quali per vivere indossano V abito militare; la parola magica
deir onore é quella che indora questa putredine, ma niente
é meno sensato che l'uso di questa parola colla milizia dei
tempi nostri. Ognuno comprende essere generosa, nobile ed
onorata azione V esporsi coraggiosamente ai perìcoli per la
salvezza della patria, per difesa del proprio principe, per
servigio dello Stato. Ma il vedersi sgherro prezzolato, pronto
ad uccidere chiunque sènza discernimento alcuno , il sotto-
mettere sé stesso alle catene ed alle bastonate, il far in una
parola il mestiere del mercenario' assassino e carnefice, non
ha connessione veruna coir idea d'onore. I soldati sono veri
schiavi sforzati, il rifiato della società, il sostegno della ti-
rannia, e r obbrobrio dell' uman genere per il loro mestiere
e costume. I filosofi hanno fatto sgombrare la nebbia che
attorniava il santuario, e non hanno sioora intrapreso d'aprire
gli occhi del pubblico sul preteso onore dell' attuale milizia.
Se lo faranno, anche questo ceto si annienterà , perchè la
t. VERRI. Appwdiee, 5
53 DECADENZA DEL PAPATO EC.
forza condensata nelle armate ha per cemento la magka pa-
rola dell^ onore; tolta la qaale, e diventati i soldati od og-
getto di ribrezzo agli attri nomini, non vi sarà più alcuimo-
mo che sia sedotto ad abbracciare un tal mestiere; dovranno
i principi allora abbandoiiare V idea di mantenere in tempo
di pace tanti sicarìt al loro stipendio, e spargendosi general-
mente su tutta la nazione un'educazione più generosa e li-
bera, ogni qualvolta per la difesa della patria-occorra di dare
di pìglio alt* armi, ogni cittadino si presenterà con veto sen-
timento di gloria, e cosi si risparmieranno alla società gli
orrori di tante guerre dì mevo capriccio, die formano la mi-
seranda storia di Europa da varii secoli; e non essendo la
forza macchinalmente ed automicamente collocata in una
classe dì uomini ciechi esecutori del comando dhuntirannOi
la ragióne e la virtù diverranno il cemento che unirà il so-
vrano col suo popolo. Ma appena giova d'aver accennale
queste idee; unicamente rifletterò chela distrazione de'corpi
sembra inerente allo spirito che la filosofia ha sparso gene-
ralmente; il che si vede e nelle operazioni che i principi in-
traprendono sopra del ceto ecclesiastico, ed in quelle che in
alcuni paesi si sono fatte coir abolizione de'corpi mercantici
unicamente rimanend^o inlatto sinora il ceto militare, forse
per mancanza di coraggio di palesare su é* esso pare la
verità.
Il corpo de' ministri dell' altare ne' prho^ tempi de) cri-
^ stianesimo non aveva uè leggi, né vestiti, né privilegi sepa-
rati. Gli uomini ammogliati erano amplèssi a celebrare i mi-
steri della religione, e per tal guisa il sacerdote, che aveva
moglie e figli, era sempre cittadino interessato nel bene e
nel male della sua patria. Il passo principale per formare on
corpo separato ed indipendente dalla società nniversalefu la
legge del celibato ecclesiastico, per cui non si ordinano se
non se iionùni isolati; e colle ricchezze ammassate dal corpo
ecclesiastico si propose una fortuna agli ascritti, indipen-
dente adatto dal destino degli altri cittadini.
Formatosi cosi un tal ceto in ogni città, il papa, prò*
fittando della debolezza de' principi e della cecità de' popoli,
s'eresse in monarca di tutti gli ecclesiastici, distribolore
DECADENZA DEL PAPATO EC. * 51
de* beneficj , fonte d' ogni facoltà; e proteggendo i suoi nuovi
sudditi collocati sotto j^incìin diversi, sostenendo le loro
persone sacre e libere dall'ordinaria giurisdizione^ difen-
dendo la immunità loro da ogni pubblico aggravio, si lormò
eòi reciproci interessi «qa monarchia papale sparsa bensì in
diversi Regni, ma indipendente dai re, anzi terribile allo
stesso trono pel potere che esercitava suir animo de' popoli,
e colle confessioni, e collo prediche, e più d'ogni altro poi
colle scomuniche. Nàcque allora il Oius Canonico , nacque
una giurisdizione ecclesiastica collocata negli Stati sovrani.
Finalmente sì piantò V Inquisizione, le carceri, i sgherri, le
torture; s'imprigionarono i cittadini senza saputa del sovrano,
si torturarono, sì confiscarono i loro beni, vennero condannati
al supplizio, si eseguirono le condanne da un ceto di cittadini
che senza mutar città cambiarono vestito, e si credettero non
solamente indipendenti dal sovrano medesimo naturale, ma
armati di forza coattiva indipendente ancora da lui. Percon-
Bervare lungamente un sistema che aveva un' assurdità in-
trinseca tanto evidènte, era necessario che i popoli rimanes-
sero nelle tenebre, col favore delle quali aveva potuto na-
scere. Per nome di popolo io intendo anche i signori', 1 mi-
nistri, i sovrani, tutti coloro che non hanno per norma della
loro vita l'opinione, ed unicamente escludo dalla class» po-
polare i pochi uomini che trassero nascendo il bisogno d'in-
struirsi, e lo ebbero costante, e fòrte a segno di superare
ogni noia, ogni sedutone, ogni dlfficdltà. Questi uomini pri-
vilegiati che hanno l'abitudine di pensare ed il discernimento
della verità, sono perseguitati per lo più mentre vi vonoj ma
coi scritti loro comandano al móndo più che lo può un so-
vrano. I papi oonvien dire che conoscessero questa- verità ,
poiché tutti gli nomini di qualche merito nelle sciena^e , nel-
l' erudizione e nelle lettere furono invitati alla loro corte,
beneficati, accarezzati, come fra gli altri fii Nicolò Macchia-
velli, il libro del quale sul Principe venne dedicato al papa
e stampato Uì Roma; o fossero cristiani o increduli, o costu-
mati ovvero libertini, gli uomini che sapevano scrivere, se
li tenevano amici i papi, come quelli i quali, aprendo gli oc-
chi al pubblico, avrebbero potuto affrettare la rovina del gran
52 ' DECADENZA DEL PAPATO EC
Colosso ali' opinione appoggiato. Un errore però commisero
ì pa(à, e fa quello di permettere che il corpo stesso eecle-
stastico venisse diviso in corpi, frati minori, frati dofflenica-
ni, frali agostiniani, éc. Infatti costoro formarono un corpo
di opinioni delle private scoole, e pretendendo a forza che
venissero adottate, costrinsero i papi ad incorporarle nel
simbolo, e quindi nacque una sanguinaria odiosissima per-
secuzione nel secolo XIII, che, senza compenso di verana
autorità, alienò T animo di mt^lti dalla corte romana. Ma
questa alienazióne non poteva avere effetto, sin taolo che i
popoli continuavano neUa credenza, che il pap% fosse nn
Vice-Dio in ier^a. L* urto dei due corpi domenicano e ago-
stiniano apri la breccia fatale aHa potenza pontiGcia, che
aveva già sofferto dalle opinioni di Gerolamo da Praga, e
Giovanni Hus incautamente perseguitati. Martino Lutero
agostiniano,, sostennto dal suo corpo pel quale combatteva
sul noto artìcolo delle Indulgenze, fu caguHie per cui grada-
tamente una sensibile parte d'Europa si sottrasse al dominio
papale. Rimanevano pur tuttavia fbdeli aUe antiche opiniooi
il Portogallo, la Spagna, la Francia, l'Austria e tutta Italia.
U papa le circondò con un muro di separazione. Venne proi-
bito il parlare di religione, Tlnquisizione divenne attiva più
cjb^ mai, si proibì la lettura de' libri che in qualunque modo
combaUessero le opinioni romane, e con tal mezzo si con-
servò r opinione de' secoli precedenti nei paesi che rimasero
obbedienli al Papato. Conveniva che la corte dì Roma soìk
traccio antiche si teoesse amici gli uomini sovrani della
f>iibblica opinione r cioè i pensatori e gli autori di merìio;
ma abbandonatasi Roma ciecamente ad un nuovo corpo
ecclesiastico, che prometteva d'essere la guardia- preteriaoa
<lei Papato, cambiò sistema, e cdla persecuzione oppresse
chi avrebbe dovuto accarezzare. I Gesuiti, quei maravigtiosi
i^'annizzerì della sede romana, ceto d'uomini entusiasti per
la potenza e gloria della loro Gompagm'a, arrogatisi nel
cieco invanimento di prospera fortuna la sovraaitÀ delle let-
tere, spinsero Rèma ad opprimere ogni letterato che alzasse
la testa alla gloria, a meno che non fosse ligio ed alunno del
loro ceto. Galileo, Sarpi, Giannone, Muratori, i più illoslri
DECADENZA DEL PAPATO EC. b^
italiani che sostennero l'onore della patria, furono animosa-
mente e crudelmente persegaitati da Roma. Muratori do-
vette la sua pace air amicìzia personale del buon pontefice
Lambertìnì. Lo stesso fecero i Gesuiti anche nella Francia ,
prima col signor Fontenelle, indi più malignamente ancora
col signor Voltaire e col presidente di Montesquieu. L'Italia
mancando d' un centro dì riunione lascia gli uomini di let-
tere rari ed isolati. Galileo tremava solo nella Toscana;
Gìannone diffamato dai pergami di Napoli fuggivasene solo
dalla sua patria; Sarpi stilettato a Venezia, solo passeggiava
col gìacco sotto la tonaca; Muratori solo nella Lombardia
invocava Benedetto XIV. I Francesi in Parigi si radunano ,
e conosconsi vicendevolmente. La persecuzione che a man
salva esercitavano i Gesuiti sopra de' poveri Italiani, non fu
loro possibile d'esercitarla in Francia impunemente. Gli no-
mini di lettere ivi si collegarono e formarono una società
animata per la difesa comune. Si posero a combattere con
forze riunite quella superstizione istessa della quale si pre-
valevano i Gesuiti per diffamare come atei , cattivi cittadini,
e sudditi ribelli gli uomini che pei loro ingegno e sapere for-
mavano la gloria della lor patria. Da ogni parte si videro
verso la metà di questo secolo uscire libri, scritti, poesie,
storie, commedie, tragedie, romanzi esposti con uno siile
chiaro, interessante, ameno , e lo scopo di questo nembo di
simili libretti fu lo smascherare in ogni modo possibile l'im-
postura. Fatti della storia che si ignoravano, perchè affogati
nel fondo d'immensi e noiosi volumi, vennero presentati
con grazia e leggiadria; le persone di mondo colla piacevole
lettura di tai scritti videro oggetti nuovi , interessanti , cu-
riosi; l'amor proprio rese gloriosi i giovani d'aver meno
errori de' loro antenati. Nelle piacevoli società si andò spar-
gendo il nuovo lume; il frizzante ridicolo si uni all'evidenza
per dissipare il prestigio, la rivoluzione delle opinioni si
estese fino a' servi , che resi curiosi per qualche moto del
padrone, nelle anticamere trovarono piacere di leggere ed
istruirsi; i tribunali, i ministri, i re finalmente vennero
circondati dal nuovo vortice. I Gesuiti vennero scacciati pri-
ma, e poi distrutti; e Roma, il terrore un tempo dell'Europa,
P. ifEBRI. appendice. 5*
51 ViJCAWaZà, »EL PAPATO EjC
sDiaicberala, aTrilila, é ornai F osgetlo de&a cMnpassioDe
d* Eoropa st^aa. Se i papi non aTesscro permesso die vi
fosse OD corpo ecclesiastico separato, a nio credere sarebbe
(ultora presso poco quella che fa, soltanto che avesse con-
tiDuaU) ad essere la proteltrìce degli nomini d' ingesno. I li-
hri SODO quei che regolano fl mondo, cominciando dalla
Bibbia, dal Corano, venendo aOe Pandette, al Codice, di-
scendendo sino alla PucelU i'OrlAau. Io credo che il celo
degli ecclesiastici di ciascun paese sarebbe stato sempre di-
pendente piuttosto dal papa, che dal soo sovrano naturale,
senza bisogno d' alcon ceto di frati, perchè meglio è obbe-
dire ad on principe tontano, dal quale non si può temere
oppressione, che ad uno nelle mani di coi viviamo, e che ci
poò opprimere: meglio é .vivere sotto 1* obbedienza di colui
che ci preserva da ogni tributo, e che ci rende immuni e sa-
cri , anzichè.al sovrano che ci eguaglia al restante del po-
polo. L'interesse dell'ecclesiastico francese, spagnaolo, te-
desco, ec., era di mantenersi suddito della monarchia poB-
tiflcia. I sovrani, i ministri, i magistrati, non vanno a
scavare eertamente negli archivj e nelle biblioteche la ori-
gine ddle opinioni, né hanno ozio o voglia di diventare
fìtosofi. Se Roma si teneva benèvola, ì filosofi e i re, i
magistrati e i ministri e tatto il mondo avrebbe perseverato
a portare la soggezione pontificia , e considerare la propria
sovranità dipendente da Roma; la quale poi era un asilo
aperto a tolti gli nomini di qualuoqoe nazione, i quali col-
ringegno potevano farvi una fortuna assai maggiore di qaeUa
che loro poteva dare il sovrano. La rovina di Roma è od
danno per T Italia ^ giacché perdiamo con lei ogni influenza
neir Europa, e ciascuno di noi perde la patria comune in
cui era lecito di fare la nostra fortuna.. Il fratismo è stato la
cagione di questa rovina,. e il fratismo è una unione d'infe-
lici che menano una vita meschina e schiava, radunati per
seduzione , privi d - ogni sentimento di patria e di famiglia ,
che troverebbero la felicità se venissero liberati , ed in ciò
sono esattamente nel caso de' soldati.
La massima che ho accennata rispetto ai corpi politici t
pare che i sovrani la travedano, almeno rispetto ai corpi
DECADENZA DEL PAPATO tC ^^
militari. Per quanlp sia vanlaggioso il sistema delle legioni
proposto da varj scrittori, osservo che perseverarono i prin-
cipi a tenere le loro milizie divise in reggimenti tutt* al più
di tre mila uomini ciascuno. Osservo inoltre che nemmeno
.sogliono tenere unito questo corpo; ma la terza parte sola-
mente; ossia un battaglione viene collocato distante dagli
altri due, per centinaia di miglia. Osservo che nelle promo-
zioni si cerca di balzare da un reggimento air altro Tufficia-
le, in guisa che ciascheduno come accidentalmente si trovi
in quel corpo. A me pare assai avveduto un tal metodo» e se
mai si lasceranno sedurre i sovrani a formare masse grandi
di milizia, e costantemente unite sì che acquistino uno spi-
rito di corpo, lo Slato dipenderà dalle legioni e non dal mo-
narca; il quale ha bensì mezzo di deprimere ad uno ad uno
i piccioli corpi, qualora volessero usar della forza collocata
nelle loro mani, ma non cosi F avrebbe contro il determi-
nato volere delle legioni, le quali innalzerebbero e deprime-
rebbero il sovrano a lóro talento.
In mezzo alle rivoluzioni dello Stato, Venezia ha una
costituzione che merita Tesarne d'un politico, poiché è il
solo Stalo che, poco più poco meno, si conserva da tre-
dici secoli senza aver sofferto nemmeno veruna interna ri-
voluzione, e senza che alcuna nazione forestiera sia mai ve-
nuta a sottometterla. Moltissimo deve attribuirsi alla situa-
zione fisica. La costanza però del suo interiore governo , io
rattribuisco a ciò, che la vera sovranità vi è ristretta in cin-
quanta famiglie, neHe quali vi è illegalmente limitata. Ciò
non descrivo per amore d*un paradosso, ma perchè mi sem-
bra una verità; per modo che, se a Venezia la sovranità si
esercitasse da chiunque vi ha diritto legittimo, Venezia ri-
marrebbe un ammasso disabitato di scogli: se tutti quei che
hanno diritto legittimo alla sovranità rinunziassero, e legal-
mente ne investissero quelle 50 famiglie che si passano il
comando, Venezia pure a mio credere sarebbe distrutta.
Ecco come io ho cavata questa idea: la sovranità di quella
aristocrazia è collocata nel ceto di tutti i patrizj scritti nel
libro d* oro. Suppongasi 800 famiglie , 6Ò0 delle quali com-
poste di nobili tormentali dall' inopia ed allevati senza sen-
56 DECADENZA DEL PAPATO EC.
tìmenli, senza principi , in gaisa (ale, che se qualche por-
zione della forza pubblica venisse mai depositata nelle mani
loro, le sostanze, la vita, Toner medesimo dei cittadini ver-
rebbero esposte al saccheggio, alla rapina, al yitapero; e
converrebbe, o che la città rimanesse ^bandonata, o chei
cittadini opponendo forza a forza, sconvolgessero lacoslila-
zione, e rinnovassero la repubblica. Ma come impedir mai
che an si gran numero di membra sovrane non eserciti mai
alcune delle magistrature in cui sia collocata porzione della
forza pubblica? Non v' é che un' aperta violenza che possa
rendere per tal modo soccombente, e sempre soccombente il
numero maggiore di un corpo aristocratico, e questa vio-
lenza aperta é quella apfitonto che si esercita dal terribile
triumvirato degli Inquisitori di Stato. Al momento in cui qual-
cuno dei nobili minori ardisca alzar la voce per rivendicare
a sé o al ceto suo I diritti della costituzione, ad un cenno
solo degli Inquisitori di Stato scompare, e passa a gemere la
libertà perduta in un carcere, separato per sempre dal com-
mercio degli uomini. Questo odiosissimo tribunale dispotico,
che non ammette difese, che non palesa l'accusatore, che
inappellabilmente dispone della vita di ciascuno, è l'unico
mezzo per contenere col terrore la folla scostumatissima dei
poveri nobili. Un partito solo potrebbe risparmiare una tal
tirannia, e sarebbe quello d'escludere per sempre con un
sol colpo dal corpo della sovranità le membra indegne di ri*
manervi, e collocarle nella classe suddita; ma allora aUe fa-
miglie che veramente esercitavano il potere mancherebbe il
freno, che ora le tiene obbedienti al comun bene. Se i nobfli
potenti abusassero del poter loro, oggidì il ceto de' nobili
minori alzerebbe le grida, e queste verrebbero accompa-
gnate da quelle di tutta la città; allora la costituzione ver-
rebbe inalberata come lo stendardo della pubblica sicurezza,
ed il ceto eletto sarebbe forzato, a norma deiroriginarìa forma
repubblicana, di accomunare la condizione propria a quella
di ciascun altro nobile. Questo è il bene che fanno i BcBrM-
boli; sono essi lo spauracchio dei nobili eletti, come grio-
quisitori di Stato lo sono Si'Bamàboii singolarmente. Tale è
a parere mio il modello di quel sistema che pare assurdo
DECADENZA DEL PAFATO EC. {^7
agli occhi di ciascuno per la tirannia dell' Inqaisizione ; ma
che però produce od governo caro ai cittadini , ed ana co-
stante uniformità che non ha esempio. Credo dunque che a
questo Tizio debba Venezia la sua longevità, la sua quiete e
felicità interna, e cbe qualora si pensasse a limitare Y atti-
vità degli Inquisitori, la sfrenata libidine dei nobili poveri
introdurrebbe immediatamente un disordine tanto generale
ed insopportabile, che gli abitatori abbandonerebbero te iso-*
leUe e cercherebbero altrove un asilo migliore; e se la costi-
iuzione escludesse i nobili poveri, il minor numero de*nobiH
ricchi., munito della sicurezza d' un comando perpetuo , ag-
graverebbe il peso della sovranità sopra del popolo , e Oni-
rebbe lo Stato, condensandosi ben tosto il potere nelle mani
d' uD solo.
D*oai]c viene mai che i costumi di noi Italiani sieno
corrotti a segno, che per tutta l' Europa omai sia una ver-
gogna il dire: sono Italiano? Yerametìte siamo screditati in
guisa, che non è possibile di esserlo di più. Gl'Italiani nella
Germania, Francia, Inghilterra hanno tante volte tradito,
mancato di fede, uccisio, fatti debiti senza pagarli, in sómma
tante cattive azioni hanno fatte, «he un onesto Italiano, che
passi le Alpi, arrossisce o freme per la nazione. A Vienna
io ho osservato appunto che il paese era fatto pei malvagi
Italiani, i quali sorridendo ascoltavano i rimproveri razza-
mente e stoltamente dati alla nazione, e frattanto colla su-
periorità dei loro pervertito ingegno gabbavano il Tedesco,
iaddave Fltaliano d'onore, appunto impegnandosi a mostrare
candore ed onestà, finiva coir essere gabbato dal Tedesco,
per sua naturale avidità e per rappresaglia, credendosi esso
di poterlo, non che impunemente, lodevolmente fare. I fore-
stieri gei che vogliono girare V Italia, osservano che fin noi
stessi siamo malissimo d' accordo. Ci raduniamo nelle con-
versazioni, e ciascuno v'interviene sommamente cauto, co-
me frammezzo ai nemici , temendo la interpretazione, la di-
ceria, il ridicolo. Una compagnia di amici ^ una cosa non
conosciuta. Le conversazioni sono una riunione di gente,
dove ciascuno interviene j perchè vi si deve, ciascuno vi si
trattiene con fastidio, ciascuno se ne parte con noia e stan-
58 DECADENZA DEL PAPATO EC.
chezza: e questo é ir fratto del costume cattire, delllavidia,
M disonore, dell' iBdi^crela smania di primeggiare, in som-
ma dei yìzj ddl' animo. Le lettere giacciono nell* Italia , e
non tanto per V immediata oppressione dell' Inqnisisione, la
quale si limita soltanto a parte dell' Italia, quanto per l'in-
vidia letteraria, per cui alcuni giovani che danno im vivace
contrassegno d'ingegno, dalla iìredda e maligna acoogliensa
de' vecchi letterati vengono avviliti, o distolti dalle lettere e
dal buon sentiero, e finiscono poi coU' opere o sfaccendati i
o stentati imitatori. I Francesi fanno l' opposto, ed un giovine
ritrova nei vecchi illustri, gli amici, i consiglieri, i faotori.
Il letterato italiano tome che s' alzi alcuno più di lui; i lette-
rati oltremontani amano sinceramente i progressi dette scien-
ze, amano la gloria nazionale, e fanno agli altri quello che
amerebbero venisse lor fatto. Nelle nostre famìglie italiane
quanta miseria, quante gangrene celate per certa conve-
nienza, lodevole almeno porchétta invece della virtù l Paén
tiranni che per l'orgoglio e l'avarizia opprimono i 6gli,
sforzano le figlie indirettamente al carcere perpetuo del mo-
nastero, lasciano languire i figli nell'inopia, temono che
acquistino cognizioni onde potete calcolare il valore paterno.
Mogli indifierenti perla famiglia, occupate nelF adescare
adoratori, e nel coprire coli' ipocrisia allo sguardo de'mariti
la loro prostituzione. Fratelli che al momento in cui si scio-
glie colla bramata morte del padre il governo dpmestico , si
scostano per sempre; figli oziosi, giuocatori, libertini, inde-
liitati, disposti a diventare padri tiranni. Ecco il miserabile
prospetto >ero e genuino della maggior parte delle famiglie
nostre, dove invano cerchi un sentimento amoroso e conso-
lante. Tali sono i corrotti nostri costumi, che un uomod^ono-
re, fermo, nobile, franco, deve sottrarsi alla società e vivere
con pochissimi. La corruzione nasce dar primi principi. l}&
pretucolo s'accosta ad un fanciullo, e comincia ad imf»a-
dronirsi dell' anima di lui. Cerca di prevìenire la ragione
quanto è possibile, ed innestargli netta memoria delle parole,
|)rima che il fanciuUo possa avere delle idee. Queste parole
sono da credersi, da non intendersi mai» da non esaminarsi,
e guai se il fanciullo ne dubita; s'impallidisce il prete, i
DECADENZA DEL PAPATO EC. 50
parenti rimangono aconiti, il fanciullo si vede diventalo un
oggetto d' orróre ; fede, fede, fede, fanaticamente gli sì grida
air orecchio, ed il fanciullo nelle cose più necessarie della
vita avvenire, della morale, della cognizione de'proprj do-
veri, invece di essere invitato a ragionare , a formarsi
de' principi, a dedurne conseguenze pratiche, invece di ciò,
sgomentato, stordito, impara a fuggire ogni esame con ri-
brézzo, e ad obbedire ciecamente al prete. Crescendo nel-
l'età, sempre più si va rinfor2ando questa schiavitù dell' in-
telletto. Il" prete sopl-à di ogni cosa- va ripetendo fed&, e fede
deóa; indi impone varj esterni esercizj di religione, ascoltar
messe, recitar rosarj. Visitar chiese, mangiar magro. Che il
fanciollo poi nelle sue azioni sia nobile o vile , generoso o
interessato, sincero o simulato, sensibile o crudele, questo
niente sì cura, purché «i pieghi alfe pratiche esterne. Cosi
va vegetandalo schiavo: giunge la pubertà, quel momento
m cui per una rivoluzione meravigliosa cominciamo a rice-
vere la spinta a produrre i nostri simili; la natura da ogni
lato inquietamente ci porta a)la voluttà; l' idea d' una donna
basta a darci un moto febrile nel sangue; la ragione non
basta a frenare il potente invito della fisica, e l'anima del
giovine strascinata nella ricerca del piacere venereo ^ assorta
rimane da un delirio che lo trasporta. Il prete insegna che
una sola compiacenza in questi pensieri, un semplice desi-
derio rendono rei d'interminabile eterna dannazione^ R gio-
vine nel momento di calma inorridisce nel trovarsi colpevole
dell'ira celeste, piange, si pente; ma la calma tosto cede al-
l' impeto del sangue, nuovamente è sedotto dalla voluttà; un
pensiero, un toccamenta lo fanno ricadere, e dì nuovo si
vede la spada divina pendente sul capo. Dopo varie alterna-
tive , convinto al fine di non potere altrimenti vivere che
come nemico di Dio, ornai persuaso che dalle eterne pene
niente altro lo può liberare che la vecchiaia, si dispera, e
conoscendo che non può camminare nel seniiero della legge,
si volge al partita di cercare almeno tatti ì vaniagg! che può,
senza alcun ritegno, sinché durra la vita: rubare, tradife,
assassinare, avere un desiderio venereo, sono tutti peccati
classificati nel medesimo ordine di mortali nella mente di
60 DECADENZA DEL PAPATO EC
qael giovane; onde, poiché si trova nella necessità di e&sere
peccatore, niente v' é d'assordo fra la scelta d' uno di que-
sti. Ecco in qaal modo V Italiano viene allevato ai delitti.
L' abaso della confessione poi, la fallace speranza nelle pra-
tiche d'atto esterno di colto, vi si uniscono a sempre piò
incamminarlo ndla scelleratezza. È vero che nella Spagna,
nella Francia, ed in parte della Germania la religione è la
medesima, ma neH' educazione popolare vi è anìto qualche
principio di virtù. Lo Spagnoolo coir esempio e colla voce
impara a non macchiarsi con acloni codarde , a mantenere
religiosamente la fede, a non violare T amicizia, ad essere
grato e riconoscente ai beneficj. Il Francese impara làpofoia
d* onore e la. legge a caratteri d' oro; un uomo senza onore è
un vilissimo rifiato della natura-; chi si fida di un nomo
d' onore non deve mai pentirsene; impara a diventare cor-
tese, gentile ed amabile. Il Tedesco dalla prima infanzia im-
para la fedeltà verso del principe , il coraggio ne' perìcoli ,
acquista un' inclinazione alla guerra. I preti spagnaoli, fran-
cesi, tedeschi sono educati con queste massime onde impri-
mano nelle menti dei giovani, contemporaneamente eolle idee
religiose, le idee sociali. Quindi se r impeto della gioventù
conduce V uomo a' pericoli della libidine , e rompe il freno
alla religione, gli rimane per6 il sentimento della virtù,
sente d' essere un peccatore bensì, ma un uomo onesto, nn
uomo d' onore, un uomo che non ha violato i doveri sociali,
e custodisce con tanta più cura V innocenza morale , poi-
ché é la sola che rimane dopo aver perduta l'innocenza
religiosa.
Il mal costume dunque da noi si propaga alla ventura
generazione, perchè non abbiamo altro principio delle no-
stre azioni che la religione, ed i ministri della religione non
hanno veramente né virtù , né scienza. La riforma d' Italia
potrebbe nascere dalle operazióni che va facendo V impera-
tore Giuseppe; conviene sottomettere alla podestà sovrana!
preti, abbassare l'orgoglio loro, ed aprire gli occhi al po-
polo. Fatto ciò, tutta la cura dovrà rivolgersi ai seminar],
non ammettere alla educazione ecclesiàstica se non giovani
d'animo sensibile, delicato, riflessivo, di contenzione nello
DECADENZA DEL PAPATO EC. 61
studiose di placidezza nel carattere; dar loro ana colta eda-
eazione , di cai la base sia la morale pratica, e la cognizione
della storia ecclesiastica. La generazione attuale non si muta;
tutta la speranza sta nelle ventare. Ma per cambiare V in-
dole d'an popolo, an principe solo é poco; vi vuole un sé-
guito di principi che camminino tutti suiristesse tracce,
poiché la generazione vivente opponendosi alla riforma della
crescente, sempre le imprime buona parte de'vizj suoi, e
cosi ci vuole ana gradata diminazione di vizio per quattro o
cinque generazioni.
L' imperatrice .Maria Teresa aveva una pessima opi-
nione degr Italiani, e credeva che noi Milanesi fossimo av-
versi alla dominazione di lei , e sempre disposti all' opposi-
zione ai di lei ordini, ingrati , scostumati, tergiversatori ; e
in conseguenza ella aveva per principio di tenerci bassi, I mi-
nistri fomentarono questa opinione, poiché tanto meno si
dava retta alle pubbliche querele, e tanto maggiore autorità
conveniva che il monarca affidasse al ministro pretore di
una tale provincia.
Un sovrano accorto deve allontanare da sé quel mini-
stro che gr insinua diffidenza verso il suo popolo. Il popolo
naturalmente ama il proprio sovrano, e gl'interessi sono
scambievoli fra V uno e Y altro. Il malvagio ministro semina
la diffidenza, rende odioso il sovrano alla città, e la città a
lui, come il malvagio domestico fa nascere e coltiva la di-
scordia, affine di pescare nell'acqua torbida.
Quello che v' era di più curioso é che il ministro che
era alla testa del nostro paese, dopo dieci anni non lo cono-
sceva, e credeva di buona fede ano spirito avverso nel po-
polo, che singhiozzando correva nelle chiese per impetrare
la vita di Maria Teresa minacciata dal vainolo. Ciò acca-
deva perché alcuni segretarj s' erano impadroniti degh af-
fari, e impaurivano il conte di Firmian , supponendogli d'es-
sere in mezzo ai serpenti; egli sì appiattava nella sua bi-
blioteca, inaccessibile a tutti i ricorsi ; e se talora v'era l'uomo
fortunato al segno di parlargli col mezzo d' una moneta al
cameriere diletto, il parlare era superfluo, perché rare volte
intendeva un affare pel suo verso, e quand'anche lo ìnten-
P. VEBRl. Appendice. * 0
62 DECADENZA DEL PAPATO BC.
desse, credeva iUosoria e cabala T evidenza medesima. La
venuta a Milano del reale arciduca Ferdinando è stato il mo-
menlo in cui ebbe fine nn tal governo; ma l' opinione dél-
r imperatrice non si cambiò mai più, fin cb' ella visse. Con-
cludendo io dico, che se v* é in politica una massima senta
eccezione, ella è questa, che chiunque aliena dal popolo Tani-
mo del sovrano, o quello del popolo dal sovrano, è uomo da
allontanarsi da tutti i pubblici impieghi, poiché ha certamoile
un fine perverso, se non è uno -sciocco. Questa massima la
vorrei stampata in un quadretto nel gabinetto d'ogni sovrano
e d'ogni ministro, acciocché egli pure possa distingaere i
suoi subalterni ufficiali.
63
MEMORIA SU NICOLA PECCI.
La sera del 6 maggio 1788 morì Nicola Peeci» commen-
datore d^rOrdme militare di Santo Stefano. Qaesf nomo si-
gnificò molto nel governo di Milano per lo spazio di 22 anni.
Egli era nativo di Siena; poverissimo gentiluomo andosscaie
a Roma, e vi si trattenne nello stadio d'un avvocato, colla
speranza di trovare collocamento. Non potendo continuare,
accettò d'essere «canonico a Siena, dove avendo fatto cono-
scenza con Miledi Walpol, pel di lei mezzo acquistò il fa-
vore di Richecourt, ed un picciolo impiego in Firenze.
L'abate Giusti, che a Vienna era alla testa del diparti-
^ mento d'Italia , dopo d'aver conosciuto dav vicino per molti
anni in Milano la tenacità e la prepotenza dell' aristocrazia
lasciata dai SpagnuoU» il dispotismo del Senato, e l'ostinata
o{4posizione che s'incontrava per ogni utile slabìlimentp.
pensò di sostituire alle cariche vacanti uomini educati diver-
samente, dai quali non aspettarsi resistenza per le riforme,
ch'ei divisava di recare. Chiese due Toscani per collocarli in
Senato, e dal conte di Richecourt venne nominato il signor
Nicola Pecci per uno dei due, e cosi venne fatto senatore circa
Tanno 1763.
Il signor Nicola Pecci era uomo d'una dolce ed amabile
società, di carattere molle e voluttuoso, di suo fondo alieno
dall'ambizione e da ogni impeto, paziente ma non conten-
zioso nel lavoro, avente idee chiare ma non sublimi, uomo
colto ma non dotto, di carattere soverchiamente timido ; la
quale ultima qualità contribuì principalmente alla sua fortu-
na, renden<k>lo circospettissimo nel discorso, e sommamente
deferente a sostener queir opinione , che fosse più piacevole
a chi fosse armato del potere.
64 MEMORIA SU NICOLA PECCI.
Egli in Senato, nella causa tra i fratelli Conti Archetti,
era relatore, e restò solo in voto, sostenendo il partito che
era stato favorito dalla corte, e seppe simalar tanto bene
nelle informazioni, che malgrado la scaltrezza de' curiali,
tutti lo credevano d' un parere opposto a quello che ei pa-
lesò. Questa era una proprietà sua veramente singolare, ch'à
rappresentasse e riferisse le cagioni contrarie con tolta la
loro evidenza, senza artificio veruno per diminuirne la fona,
indi concludesse con opposto sentimento, senza allegare mo-
livi valevoli a distruggere le contrarie ragioni.
Era insolita la casualità del Senato, che un relatore ri-
manesse solo, e che l' unànime parere contrario prevalesse,
poiché cautamente i relatori divisavano le opinioni prima
d'avventurarsi, e tacitamente oravi la convenzione di valu-
tar sommamente l'opinione del relatore, dalla quale reciproca
deferenza nasceva il potere terrìbile di ciascun individuo del
Senato. Questa mortificazione la diede il Senato al senatore
Pecci, non saprei, se mosso più dalla giustizia, che dalla bra-
ma di umiliare questo nuovo senatore, che non aveva adot-
tato quelle esteriorità di contegno spagmiolo, che gli aitrì
riguardavano come sacre ed inviolabili, e che lasciava cono-
scere d'avere collocata la sua spefahza nell* aderire al conte
ed al governo, anziché uniformarsi allo spirito di corpo, co-
me aveva fatto un altro Toscano di lui collega. Dopo tal fatto
il signor Pecci non poteva più vedersi in Sonata, e la vita di
senatore, che gli era da prima gravosa per la lunga e noiosa
sessione, per le lunghe udienze e per le ore che gf impedi-
vano la vita sociale, gli divenne insopportabile colia società
di persone animate contro di lui. Si pose quindi con ogni as-
siduità a coltivar la benevolenza del conte di Firmian, e non
dimenticò di guadagnarsi il suo cameriere Giuseppe Diletti,
toscano, facendo là corte alla di lui moglie. II segretario Ca-
stelli, pure toscano, che aveva sommo potere sull'animo del
conte di Firmian, era stretto seco lui in amicizia. In quel
tempo si pensava ad impinguar l'erario regio, togliendo dalle
mani de' privati le regalie, e restituendole alla Camera, che
le aveva alienate, o per donazione o per vendita, nei seeoh'
precedenti. Il conte di Firmian segretamente incaricò il
UEMOaU SD NICOLA PBCCI. 65
signor Peccì di stabilir le massime per dar rimborso ai pos-
sessori, e le massime ch'ei stàbili, furono le più favorevoli
alla Camera, e talmente ingioste a danno dei privati, che in
buona parte la corte medesima se ne diparti. Qaesto oggeito
delle regalie stava molto a cuore ai fermieri generali, e con
essi a quanti avevano parte al governo di questo Stato, giac-
ché speravasi di poter fare a spese de* possetsori delle regalie
un fondo alla Camera di Milano, suflSciente per mantenervi
il reale arciduca Ferdinando, senza abolirvi la ferma. Quindi
le opinioni del signor Pecci collimarono cogli interessi di quei
che avevano maggior parte nel destino del Milanese; alla
utilità delle sue opinioni si accoppiava la placidezza delle sue
maniere decorosamente officiose, e quindi ottenne d'essere
liberato dalla vita senatoria, erìgendo una nuova Commissio-
ne^ e facendolo capa del collegio fiscale; e questo fu il primo
passo, ch'ei fece probabilmente senza altro disegno,, fuori
che quello di sottrarsi ad una vita dura ed incomoda.
L'idea di questo collegio fiscale era aderente a quella
della redenzione delle regalie. Pareva cosa ragionevole, che
il fisco, ossia la regia Camera, dovesse essere diretta con
principi stabili ed uniformi, e non variabili secondo le opi-
nioni di ciascun avvocato fiscale; i quali essendo più, e cam-
biandosi, ed operande ciascuna da sé, e dipendendo dall' ar-
bitrìo del presidente il chiedere il suo voto pi4 all' uno che
all' altro di essi, ora opinavano in un modo, ora in un altro,
con una variabile giurisprudenza. •
Si pensò quindi a fare un capo, di questi fiscali, ed a
dargli un capo da cui solo -dipendesse commettere un affare,
e che avesse facoltà di correggere e cambiare le opinioni
degli avvocali fiscali, prima che fossero presentate ai tribu-
nali. Questa odiosa commissione, che limitava l'arbitrio dei
presidenti, e che degradava gli avvocati fiscali, sottoponen-
doli nel loro ufficio alla censura, cercò il signor Pecci in qual-
che modo di compensarla, facendo eleggere dalla corte, col
titolo di aggiunti al collegio fiscale, varj giovani i quali lo
assistessero, e del successivo collocamento dei quali egli ebbe
cura. Pecci amò di collocare varj, e riuscì a beneficare molti
cittadini, il che formògli un partito di persone a lui affezio-
P. TERRI. appendice. ^ 0*
66 HBMOBU SD NICOLA PBCCI.
na(e, eh' ei seppe conserTarsi c^a pacatezza del sao natu-
rale.
Ma qnesta nuova istif azione non potè reggere, e quindi
nel 1771, air occasione che il eonte di Firmian lo condusse a
Vienna, qoal nomo di sua confidenza, per sistemare le cose
per r imminente residenza del reale arciduca in Milano, yo-
lendosì abolire il nuovo collègio fiscale, convenne fare nna
promozione di Pecci, che fu fatto consultore di governo per
gli afikri di giustizia. Era concertato, che due consaltori as-
sistessero al governo, quantunque i riguardi, che Tatigiista
Maria Teresa aveva per H vecchio consultore Silva, avessero
posto nel piano tre consultori, Silva, Pecci e Cristiani, da ri-
dursi in due soli alla prima vacanza. Péeei e Cristiani crede-
vano certamente di rimaner soli, ed il destino invece li ha
gettati i primi nella tomba, vivendo attualmente il consaltor
Silva colla sua mente vegeta air età di 96 anni.
Dacché fu consultore, il cavaliere Pecci si guadagnò T ani-
mo della reale arciduchessa, non meno che del reale arcidu-
ca. Non ebbe più commissioni odiose, e colla sua placidezza,
e colle sue maniere gentilmente dignitose, éi s'acquistò la
benevolenza di molti. Cambiò il nome della carica, ed in uno
di quei sistemi di corto perìodo, che succedevano Tono al-
Taltro, fu chiamato segretario di Stato. Quindi, abolita tal ca-
rica, fu vice-presidente del consiglio governativo, nella qua!
carica mori.
Egli mancò di ogni' energia si di mente, che d'animo. I
nemici dèi conte Verri avevano ordita la trama di perderlo
sotto il piissimo regno di Maria Teresa, col farlo comparire
autore del lunario eh' ei non aveva fatto, e nel quale si vole-
vano trovare delle empietà, che non v'erano. 11 signor Pecci
secondò questa trama, nella quale si voleva anche involgere
Paolo Frisi, e qualche altro giovane di merito del paese. Non
ebbe ripugnanza alcuna il signor Pecci di dar l'opera sua a
tal raggiro, che terminò poi con la disapprovazione della
corte sulle procedure fatte dal governo, e colla derisione
delle poche persone sensate, le quali facilmente colla sem-
plice lettura del lunario conobbero, che non partiva daBa
penna afia quale si voleva attribuire.
HBMOUA SO NICOLA PBCCI. 67
Volevasi dal partito gesuitico collocare il padre Boscho-
vlch a Milano^ dove insegnava la matematica nelle scuole
palatine il padre Frisi, che il signor Pecci aveva trattato, e
conosciuto In Toscana, ed ei pare si prestò, non senza simu-
lazione, ad esegnirB nn tal progetto, che dalla corte poi fa
riflutato. Peoci doveva la saa fortuna al conte Firmian ; eppwre
egli sottoscrisse un progetto alla corte per levare tutta Tan-
torità dalle mani del sao benefattore, e dividerla con Cristia-
ni. Queste sono macchie del suo carattere, il qoale aveva,
come dissi, la debolezxa e la timidità per base; quindi non
aveva né yiolente ambizione, né violeiite cupidità di guada-
gno, né violente invidia , od odio violento, uè opinione al-
cuna ch'ei fosse disposto a sostenere con energia: ma occu-
pato timidamente di visite private e personali, ei beneficò
alcutil, perchè sentiva d'aver bisogno d'appoggi; ma non si
avventurò mai per far bene. Non si lasciò corrompere, o com-
prare da alcuno, ma prendendo la croce di Santo Stefano,
si rese capace di avere pensioni ecclesiastiche, e ne ebbe;
sicché alla fine, tutto compreso, soldo e pensioni, aveva da
due mila zecchini annui da disporre. Egli però, da uomo sa-
vio, fu sempre misurato nelle spese, nel vestito, nell'equi-
paggio, e neir alloggio giunse appena nei limiti della decen-
za, e si erede continuamente soccorresse i suoi parenti in
Toscana, il che ridonda in elogio del suo cuore.
Consideranda quest'uomo come ministro, egli merita di
essere riposto nel numero dei volgari, senza grandi vizj, e
senza grandi virtò. Egli non aveva amore pel ben pubblico e
per la giustizia, e non conosceva la vera gloria, ma nem-
meno era prepotente, né persecutore. Ei cercò di promuovere
i buoni sludj nella università di Pavia, e vi contribuì. Non
so poi, s'egli sia stato colpevole di dare alle dispute teologi-
che quella importanza, che le fa primeggiare, e che prepara
al secolo venturo una schiera di fanatici : inclinerei a discol-
parlo, perchè egli era sciolto dai vincoli della superstizione,
e superiore agli errori volgari in questa materia. Un anno
prima di morire, si guadagnò la benevolenza pubblica con
pochissima fatica; e questo fatto prova piuttosto l'abbiezione
dei Milanesi, che l'eroismo del signor Pecci.
68
Eia parlila per Hom a sìSMr cMrfe di Wìbnà I
Siro plewp^leuam ; «neva Pmcì ala testo del emn»
dd MìtoMe. Usa ffttdfa di «Idali ìafaidi, CM iB Mm
Cfasi Mirala la Mih— cri tHalt di prifce, per
ìa pace ed ia aniiae la cillà: par pria» essrdto
eoitaa aferaaa baaloBala . Tarii ciUadBi, e Tateraanche
oMfaao per le strade di noUe potesse caaiarc. La città fie-
avra, i fi^ paMdìei raceoalaTaBO i tanatti, che sDonu
sirìlappaf aao nelle Fiandre aastrìaehe centra le aorità ; Pecd
eonuuidè die la poKee cessasse di far iasaUi, e qoeslo laUh
rale sentimento d'an nomo timido, fa accolto comeaBlnllo
singolare di benevolenza. Non terminò però d'essere aDa le-
sta di qoesto paese, cbe non commettesse on' azione, die bob
si saprebbe a qoal principio attrìboìre. Una meretrice stm
nella contrada di San Raffaello ; fu presa dalla pctke, us
prescelta essa sola, fra sei altre domiciliate nella stessa vl
11 direttore della poUce fa di parere di farla trasportare per
un anno nel carcere di correzione. Pecci approvò questa ceo-
danna, anzi la rése più ignominiosa, aggiungendovi di sn
privata aatorità, che fosse tradotta con appeso nn cartello al
collo, radendole il capo; e questa sentenza fo esegoila il
giorno dopo la di lei carcerazione, senza che fosse stala di-
fesa, e senza la cognizione d'alcun tribunale. Forse anco
Pecci s'inimaginò d'indovinare il piacere del Sovrano.
Tale è la n»emoria, che ha lasciato dopo di sé il signor
Pecci, ed è stata esposta so qoesto foglio senza amore, e sesia
odio, nuli' altro avendo in vista, che la semplice verità*
69
niAftiOGO
L'IMPERATORE GIUSEPPE SECONDO ED UN FILOSOFO.
{Quantunque sia contro la verità della storia questo Dialogo fra due
esseri che non si accostarono mai , ho creduto che una tale fin-
zione fosse opporttma per illuminare alcuni principi di politica.)
Giuseppe. Ho viaggiato più volte per le mie provincie,
ho attentamente esaminato Io stato loro, ed il risaltato con-
corde di tutte le mie osservazioni mi ha fatto vedere, che il
clero, ì ministri ed i nobili sono tre corpi che opprimono
Tumanità e legano le mani ai monarchi , e che non era spe-
rabile una felice rivoluzione, se non rimediando a questi
abusi. Ho veduto che il clero è nn vero status in slalu , che
r orgoglio e r interesse sono i soli principj che animano gli
ecclesiastici, e la religione è un mezzo, non già un fine;
essi cercano sempre T indipendenza; vorrebbero essere li-
beri da ogni giurisdizione; le loro abitazioni, i beni loro, le
loro persone, tutto vorrebbero sottrarre dall'autorità del
principe, ed in qualità di maestri degli altri uomini, an;i dì
nìediatori fra gli uomini e la divinità, tentano di erigersi in
arbitri fra il monarca ed il suo popolo: per poco che si la-
scino fare, terrebbero il sovrano come uno scolare nella loro
tutela. Pronti a commuovere V incauta moltitudine contro la
legittima autorità, tosto che ella mostri vigore, sappiamo a
che siano giunti sotto un principe debole e col favore del-
l'ignoranza.
Il ceto dei ministri scelti uno ad uno dal sovrano è pure
per abuso diventato un corpo resistente al sovrano medesi-
mo , non coiraperta opposizione di cui è capace il clero, ma
70 DUUKK) FAA GIU8BPPB MGOHOO ED UN FlLOSOrO.
sempre sodo Y apparenza di aenrigio. L' usanza di rendere
perpetue le cariche, e di non rimnoTere gì' indiTidui nomi-
nali senza on delitto ed on processo, ha fatto A che i miai-
stri sedenti ne' collegj e tribnnali, poco dopo la loro elezione
dimenticandosi del beneficio s' accostumino alla carica, quasi
fosse ereditaria di famiglia, e qoasi V autorità loro fosse una
parte della sovranità inerente al loro ufficio. Quindi gli ordini
più benefici emanati dal trono indirettamente si eladeTtno,
o temporeggiando colle formalità, ovvero rimostrando gl'ìn-
convenienti della esecuzione, o immaginati o esagerati. Da
ciò ne nasceva che i ministri, invece d^ essere esecutori de-
gli ordini sovrani, e servitori dello Stato, erano degenerali
in una classe d' uomini, che limitava la sovranità , e si ar-
rogava in personale utilità una maggior parte degli omaggi
del popolo, forse la migliore. La classe dei nobili poi, aite-
vaia nel pregiudizio e neU' ignorante orgoglio del gius feo-
dale, avviliva impunemente la più utile e laboriosa porzione
de'miei sudditi sino alla schiavitù, e coi pretesi privilegi saoi,
emanati dai secoli più tenebrosi, presentava un obice osti-
nato a qualunque utile riforma. Tanto più terribili erano
questi abusi, quanto che il clero, i ministri e i nobili si riu-
nivano nel comune interesse di attraversare la potenza del
monarca, e reciprocamente si sostenevano contro del nemico
comune. Questo fu il risultato che ricavai dai miei viaggi, e
dalle mie osservazioni.
Prima di ascendere al trono, ebbi tutto il tempo per
prepararmi a rappresentare sol teatro dell' Europa la mia
parte. Dovetti scegliere o di essere un sovrano dozzinale de-
stinato alla serie cronologica, ovvero di sbrigarmi da qaesli
nemici. La mia anima attiva e sensibile alla gloria, presela
seconda determinazione. Pensai al modo per riuscirne, e non
ancora V avevo io ben fissato, quando ricevetti il sommo po-
tei^. Quindi da principio camminai con qualche incertezza.
Se fossi stato sicuro di vivere per un paio di secoli , e con-
servare per si lungo spazio di tempo le forze della mente,
forse, per giangere al mio fine, avrei preso gli uomini dalla
parte dell' opinione, e colla pubblica educazione preservando
la generazione crescente dai pregiudizi i ed iUominaodola
DIALOGO FRA GIUSEPPE SECONDO ED UN FILOSOFO. 71
coi sooi veri interessi, avrei ridotto al discredito ed alla de-
testazione i corpi ecclesiastici, ministeriali e nobili, a meno
che non avessero cangiato lo spirito; ma la vita di un so-
vrano non è più lunga di quella d' ogni altro uomo , e ten-
tando un tal mezzo placido e naturale, o avrei lasciato tutia
la gloria del fatto a' miei successori senza parteciparne, ov-
vero avrebbero questi incautamente rotti i fili d* ogni mia
operazione. Conveniva venire ad una scossa, ad un generale
terremuoto, esporsi all'odio, alla maldicenza, incutere spa-
vento e timore , ed inalberare avanti gli occhi attoniti dei
sudditi una volontà sovrana irresistibile, che rovesciando le
leggi, i sistemi e le opinioni sino a quel punto rispettate,
riducesse gli uomini in uno stato di stordimento e d'indiffe-
renza. Questo fu il mio progetto , e credo che fosse il solo
mezzo per ottenerne il fine.
Filosofo* Ma quando avete cosi ridotto il clero senza
autorità , i ministri senza condecorazione, i nobili sonica po-
tere, ed il popolo senza leggi e sbalordito , avete voi peiisato
se la morale pubblica potesse reggere col clero ridotto in
tale stato; se potevate aspettare zelo ed affetto da ministri
degradati; se nelle vostre armate avreste conservata la buona
volontà senza T aiuto dei nobili?
Giuseppe. La morale V insegnerà il clero, quando dispe-
rando dei fini mondani predicherà coli' esempio e col cuore
la semplicità della religione. Sono bastantemente disingan-
nato del preteso zelo dei ministri : con questa parola gab-
bando il principe non cercano che V interesse loro. Ho so-
stituito a ciò un'organizzazione di registri che gli obbliga a
caminar diritto. Per le armate tanto mi serve un generale
nobile, che di fortuna. Sono opinioni ridicole.
Filosofo. Dubito assai di ciò. Il clèro è un ceto d'uomidi
soggetti alle stesse passioni che agitano ogni altro uomo o
ceto d'uomini: colla violenza, col disprezzo, col sovverti-
mento d' un sistema non si produrrà mai l' effetto di rendere
quegli uomini vestiti di nero più illibatamente affezionati al
loro sacro ministero. Ciascun ecclesiastico considererà l'epoca
in cui vive come quella d' un disastro, si distaccherà coll'af-
fétto da quello spirito di corpo che costituisce l' uailbrmitàf
72 DIALOGO FRA GIUSEPPE SECONDO ED UN FILOSOFO.
perchè si ama qaella classe a cui si è ascrìtto, fin (anloche
ella è onorata , e quando cessa d' esserlo , qaasi si sdegna
r uomo di trovarvìsi. Quindi V ecclesiastico perde ogni cura
della religione , volge in tal fondamento tutti i pensieri a sé
medesimo, alla fortuna propria disgiunta affatto dalla dispe-
rata fortuna del suo corpo politico; diventa, se occorre, dis-
soluto, scostumato, imbroglione; senza ritegno si abbandona
al proprio genio, perchè gli avviliti suoi superiori maneano
di mezzi per contenere la disciplina. Da tutto ciò necessaria-
mente/leve nascere che la morale pubblica affatto svapori
colla degradazione di quelli che ne sono gli unici maestri, e
per conseguenza il popolo dovrà corrompersi sempre più,
fino al segno di non avere altro limite della improbità faorì
che i giudici criminali, i quali saranno essi pure corrotti
colla massa di tutta la nazione.
Giuseppe. Veramente il clero ne' miei Stati promoveva
una gran buona morale I appena aveva l'insegna d*ana sfac-
ciata ipocrisia; e questo era Punico omaggio che rendeva
alla virtù. Moltiplicate le superstizioni^ fomentate , promos-
se; ridotto a fasto e pompa de' preti lo stesso culto della di-
viniti, ammassate ricchezze a spese della credulità pab-
blical... Questi sono gli oggetti che occupavano il clero, al
quale realuaente era ìndifferentissima cosa che il costarne
pubblico fosse buono o cattivo, purché si portasse danaro al
convento, ed alimento all'orgoglio sacerdotale.
\ Filosofo. Chi vede l'oggetto dal solo ^anto difettoso, non
lo vede con esattezza. Niente vi è di perfetto nel mondo , e
un monarca non deve mai immaginarsi di togliere i mali
del mondo, ma soltanto di ridurli al manco male. La que-
stione è, se il clero sia diventato più umile, ossìa meno no-
civo allo Stato colla seguita degradazione e rivoluzione di
cose. Altra questione può farsi , e ciò è se vi fosse altro
mezzo per migliorare lo stato del clero, come a me sembra.
Giuseppe. Vediamo di grazia cosa avreste fatto voi
Filosofo. Eccolo. Avrei promosso ai Vescovadi uomini di
vita illibata non solo, ma disfnteressati , lìmosìnieri, nejnici
del fasto, apostolici, e capaci di parlare al popolo il linguag-
gio paterno ed amorevole della religione. Avrei badato pe^
DIALOGO FRA GIUSEPPE SECONDO ED UN FILOSOFO. 73
che DeHe cariche distìnte deHa Chiesa fossero promossi sog-
getti d'indole corrispondente, colti ed innamorati del culto
divino. Sopra tutto posta avrei tanta attenzione di escludere
i caratteri austeri e violenti, e data l'autorità ai prudenti,
miti e tolleranti, che rendessero amabili t doveri della reli-
gione. A questi superiori ecclesiastici lasciato avrei pienissi-
ma facoltà di punire con pene canoniche i loro subalterni ;
non carcere, non multe pecuniarie; ammonizioni, minaccio,
sospensioni, interdetto, espulsione del ceto: ecco i cinque
gradi di gasligo che avrei lasciato in libero potere de' supe-
riori. Avrei però organizzate le cose in modo che il capric-
cio e V opinione di un uomo solo non potesse mai infliggere
nemmeno tai pene; ma che sempre fosse una congregazione
ecclesiastica che conoscesse le cause di tal natura. I Parro-
chi li avrei resi tutti amovibili, e non mai fissi a perpetnità,
conoscendosi che la loro immovibilità H rende inerti, orgo-
gliosi, e non di rado scostumati. I seminarj soprattutto poi
sarebbero stati oggetti di mia cura: essendo impossibile la
correzione degli uomini, e facile la docilità della gioventA,
avrei posta ogni attenzione neUa scelta di giovani da collo-
carsi nel seminario, dovendo T indole placida , T ingegno
pronto , rinclinazione allo studio, e certa nobile disposiziciie
di natura intervenire per primordiale disposizione, accioc ;hè
nn giovine venga giudicato abile alla educazione del semi-
nario, da cui devono uscire i maestri e direttori , gli emm-
plari degli altri cittadini. Nei studj dei seminarj avrei dispo-
sto che nulla v' entrasse la controversia; che la stòria eccle-
siastica, insegnata con imparzialità, e con essa le diverse
opinioni nate nella Chiesa fossero la principale occupazione
de' studj; e che la teoria e la pratica delia vera morale fosse
Tatto principale della religione dopo il cullo della diviintà.
Decenza, tolleranza, prudenza, fraterna benevolenza, pro-
bità, dovrebbero essere le doti da coltivarsi; disinteresse «
alienazione dal fanatismo, dovrebbero incessantemente ri-
cordarsi ai giovaiii leviti. Questo è quello che avrebbe po-
tato cambiare V aspetto del clero, e renderlo più rispettabile
e più utilew lo non avrei rotto con Roma per altro , che per
ottenere la libertà di far questo, e di porre moderatamente
t. TEftftl. Appendict. 7
74 DIALOGO FRA «IDSBPPB SECONDO JtD UN FILOSOFO.
lìmite a taale vUtime, monaclie e fratt , che merilaYano ri-
fonna; mar con minore violenza.
filusep!^. Io era sdegnato della prepotenza ecclesiasUca,
che voleva non solamente la indipendenza , ma il comindo
nei miei Statile che da perì a pari intendeva di eontenderia
e garrir meco. Con nn colpo ardito ho fatto in polvere quel
C<>l0S80«
Filosofe. E avete fatto in polvere U costqme dei vostri
popoli, rendendoli incerti come lo vanno sulla retigiene, Un
monarca non deve operare mai perchè «degnalo. Ogài atto
di sua volontà porta influenza su molti milioni d* aomìiii.
Dopo maturo consiglio devesi operare, antivedendo coHa
fredda ragione le conseguenze d' ogni novità. Le grandi ia-
trai^ese vogliono bensì impeto nella esecuzione^ ma debbono
essere precedute dal dohbio e dall'esame tranquillo. I popoli
perderaum il costume, diventeranno iodiSerenti per la n-
Uf ione,' non avranno altra connessione col sovrano che la
ft»na, e se i ministri ed S militare acquistano questi gradi,
sarà in perìcolo la sovramtà de* vostri successori.
Qiusepp^. Per questo poi toccherà ad essi il pensarci:
quanto a me, non ne ho punto inquietudine , e sodo certo
che come il clero non osa più credersi indipendente, cosi
nemmeno i ministri ardisccmo più di considerarst coireg-
g^iti meco, ma si conoscono meri esecutnrì dei miei co-
mandi.
Filosofo. È vero che i ministri sono avvHitì, che il loro
ufficio è diventato precario ed ìnceHo, che tutti, quando ri-
cevono lo stipendio, tremano .che ciò non sia per raltim
volta, e^he prima di esporre la loro opinione, badan bene
per minuto alla fisonomia dei loro presidenti, per non dispia-
cer loro , perché da essi dipende il destino diciaschèdoBo;
ma nessuno ha impegno perchè riescano fremente i auoTÌ
regolaoientì, a nessune preme nel «eereto del suo cuore h
gloria e la felicità del vostro regno , ciascuno opera aaica-
mente quante basta per eontinoare nello stipendio.
6iu»0ppe. Aggiungete, opera dritto, òpera senza aili-
trk), dà corso agli a£Eari, serve insomma e non comanda.
Fi(oao/b. Cioè tutte le carte sono segnate con nameii
MÀLOfiO FKA GIUS»» 8KCOIIIK» B9 CN FlLQSWa W
proigresflivi, e nan se ne fa disper^om; Mte le propo^mni
sono genite e si manctanaalla censara. Ma non scmo sincere
le propo8Ì2ìoni, né sincere le spedkìonì; tutto è serrilmente
curvato, e la ingenua opinione nessuno osa pidesaria, dipen»
dende il tutto dal dìspolismo inimitato del vostri presidenti,
i quali tanto pia a man salva operano per caprìccio , quanto
me^io s'ammantano eoi forzato parere dei loro consigli.
L' organizsaaione d' un dicastero è un bene sicuramente ;
ma è un bene secondario, essendo il primario bene la bucma
veloBtà, la rettitudine ed i lumi de' ministri^ le quali pro-
prietà vogUmie necessariamente una.non pericolosa indipen-
denza ndle opinioni. Se il presidente vuole un' ingiustizia, il
eondgiiere deve saerìficare la sua morale, ovvero la sua ca-
rica j e non è buon sistema il costituire gli uomini in
questa alÉemativa, in cui la morale sari sempre sacrificata.
^tfiMf^. Ho conosciuto gli uomini abbastanza; non vi
è ìdtro commercio fra il sovrano ed il suddita, che falsità!
Nei dispacci sempre il monai:ca pària dei suoi amatissimi
popoli, sempre del suo paterno amere; nelle loro rimostranze
i sudditi impilati sempre parlano del loro z^o, pronti a
sacriicare tutto per il loro padrone. Pia ridicola commedia
di questa non v' è. Uno comanda, gli altri obbediscono. Uno
pensa, eseguiscono gli altri. Ecco i veri rapporti genuini,
che unicamente sì debbono trovare fra il sovrano ed i mi-
nistri: se .questi ultimi s'ingerìdcono nel eamando , se viene
loro voglia di pemsare , è sempre a spese del sovrano , ed il
loro zelo ò veramente dì fare il loiro privato interesse.
Filòsofo. La virtù, dioesi, sta ripesta fra due estremi;
e fra due ^stremi parimenti stanno le verità morali. Errore
è il credere facilmente ai sentimenti che. ci vanta chi ha bi-
sogno di noi: enrore è il credere che nessuno da noi dipen-
dente p96sa avere sentimenti per noi. Nessuna organizza-
zione antomaticn produrrà mai un effetto paragonabile. al
servizio reso col cuore , e con sincero ed ingenuo interessa*
mento; ed é men male Tessere qualche volta dehisi da un
mentito ed ipocrite zelo, di quello che sia lo spegnere agni
sentimento d' affètto ne' nostri servitori. Non é possibile che
un monarca pensi solo a tutto nella vasta sua monarchia:
à per sngsenigli
per medificaRo
emanati dal trono soBe aon pre-
Ghueppe, Cerlamente eoA deUiono fare, e peggio per
cesi, ee non lo fìuioo; me ne sbrigo da nn momento all' al-
tro, iero ad essi la carica, il soldo, e serrano d'esempio.
FilMofo. L' esempio ìneote timore bensì; ma leloed af-
fello non mai
Gimtqtpe. Ed il timore è appunto il solo canto , per tm
si troTa la slrada di andare al coore d'4>gni nomo. Tatti sono
sensibili al timore, pochissimi all' eroiismo, che osmi è eoa-
fermalo nei libri dei romanxi e nei poeau. I don GfaiseSoUe
sono rari.
Fikuofo, Il timore £a che mi ministro operi il meno che
può, e ponga in vedala quanto opera il più che pnè, e serva
senza alcun interessamento, per avarìxia e per bisogno. Cer-
tamente da una mandra di schiavi non vi è perìc<^ che il
monarca trovi contraddixione ai sooi voleri. Comandi agli-
pure dì mettere il fuoco alla città, che s' armano di fiaccete
e la inceneriscono; ma questa deca obbedienza è roTinosa
per la gloria del monarca, e per i suoi mteressi. L'abuso
del potere dei ministri meritava riforma; i tribunali gladi-
ziarj, che ad arbitrio disponevano deHa vita e delie sostanze,
dovevano essere contenuti, e limitati ad amministrare gio-
stizia regolarmente coli' appoggio delle leggi; dovevano es-
sere ridotti a servire lo Stato, non a signoreggiarìo. I medici
sono fatti per gli ammalati, e non gli ammalati per i me-
dici; ma degradandoli, spogliandoli di ogni esteriore conde-
còlrazìone, riducendoli al semplice meccanismo, rendendola
loro situazione precaria e dipendente da un mero capriccio.
le cose sono state portate ali' estremo opposto vizioso. Non
si farà né il bene del prìncipe ^ nò il bene dello Stato, poi-
ché alla lunga tutte due queste cose sono una sola cosa.
Giuseppe. Un buon piede formidàbile militare renderi
sempre formidabile e rispettata la potenza , e sarà garante
dell' esecuzione de'piani.
Fihsofo. Resterà a vedere qoal caso col tempo si potrà
DIALOGO FBÀ eiCSnWB SECONDO BD UN PltOSOVO; 77
fare di questa miiìkfa. Il popolo naseénte non è pia conte-
nqto > né dall' imponenle corredo della religione » né dalla
pompa stessa del monarca « che non ha virioto nemmeno es-
sere debitore ai popoli di quella ereditaria iirusione. Uomini
plebei, allevati così senza prìncìpj esenra contegno, s'arro-
leranno soldati o per forza ò per volontà. Naturalmente
formeranno la opinione, che un uomo vale un altro uomo,
e che- il fantaccino ed il monarca sono due uomini. Con que-
sta idea chiara io monte dovranno essi esporsi alla miseria ,
alla mutilazione, ai disagi, alla morte per obbedire ad un
altro uomo, che gli dà un nero pezzo di pane ed un pezzo
di bue al giorno per mercede, e li bastona e li incatena
senza risparmio. Avranno per loro condottieri uomini plebei
innalzati per grazia alla milizia, i quali commettendo una
viltà, qualora vengano anche scacciali, nulla perdono ritor-
nando alla primiera loro condizione. In verità, che una tale
milizia noi! sarà tanto sicura, quanto quella che unita col
giuramento, cimentata dai doveri di fedeltà imposti dalla
religione, animata dagli ufficiati nobili, che soffrendo insie-
me coi soldati gì' incommodi ed 1 pericoli , col loro esempio
autorevole loro rendono i mali più leggieri, gloriosa di ser-
vire ad un monarca, la di cui grandezza si comprende coU'ap-
parato e colle insegne inseparabili dalla sacra sua persona ,
non ardis.ce nemmeno di paragonare sé stessa colla potenza
quasi divina, a cui obbedisce.
Giìtseppe. Aiìdaie a viaggiare la Moscovìa, esaminate que-
gli eserciti che hanno posto in pericolo imminente Federico li
e l'Impero Turco, e vedrete se le vostre ideesieno la verità,
ovvero speculazioni di filosofo che non conosce gli uomini.
Filosofo, Conosco la Mosco vi a. So che ivi più d'una ri-
voluzione anche in questo secolo ha sparso il sangue del le-
gittimo monarca,' per collocare sul trono un nuovo padrone.
So che queir Impero presenta sterminati deserti, somma mi-
seria e schiavi abbrutiti. So che queir Impero è una vera de-
corazione da teatro, che da lontano fa comparsa, e veduto
da vicino ò un meschino mobile. Chi prende per modello
quella autocrazia, deve temerne gli effetti. L'imitazione è
sempre dannosa. Montesquieu ha dimostrato che i regolamenti
P. yZMA. Appendice. V
78 DUUMO FftA cmsBm ncomia s» dm nLosovo.
debbono essere direni sotto efimi diversi. Pietro, ebe cbiti-
man a torio il grande, e tale non è che per i ykj grandi e
imponenti» « propose capriociosamente per modello T Olanda,
paese mancante di terra, e repubblicano. Chi si proponesse
Pietro e la lioscom per modello, rìscbierebbe d'andare in
rovina, spopolare lo Stato, e lasciare an nome infansto dopo
di so.
Giuseppe. Basta, ho fatto nn colpo ardito ; ho roTesciato
(otti gli antichi sistemi; erano fabbriche vecchie sema mi
buon disegno ; se i noovi edificj cadranno, avrò sempre fatto
il bene di aver tolta dagli nomini radoranoné succhiata col
latte per le ereditate chimere, avrò sèmpre spianata la strada
per le utili riforme ; nna crisi violenta era il solo mezzo per
liberare i corpi politici dalle antiche malattie.
Filotofo, Forse da questo disordine ne potrà venire nn
bene. Londra è debitrice al funesto incendio del 1666, d'es-
sere una città ben fabbricata. Lisbona è abbellita dopo il ter-
remoto del 1775. Ma non per questo un incendio ed un ter-
remoto sono un beneficio. Forse le generazioni venture ne
staranno mèglio; ma con questo /or^e la generazione attuale
tutta, senza alcun forse^ ne soflVe il danno.
79
PENSIERI DI UN BUON VECCHIO,
CHE NON È LETTERATO.
Io non ho mai cercata la verità nei libri. La maniera,
nella quale io ho cercalo di scavarla, è il mio cervello. Ho
esaminati, molto i miei pensieri, paragonandone gli uni agli
altri, e mi sono talmente abituato in questo lavoro, che non
potrei vivere senza di questa occupazione. I cambiamenti
maravigliosi, violentissimi, accaduti nella Lombardia, mi co-
stringono a scavarne la miniera dal mio cranio su queir ar-
gomento. Eccovi buonamente, cari miei patriotti, quel che
ho potuto trovare col mio travaglio ; ve lo presento senza
pretensione, e spero che possa contribuire a portar lume so-
pra degù oggetti importanti che ci stanno d'intorno.
Per vivere tranquilli e sicuri, bisogna che siamo nelle
mani di uomini dabbene, cioè di uomini giusti, caritatevoli,
e che abbiano una buona testa ; cosi la penso io. Posto ciò,
ho fatta riflessione che quando un sovrano pretende d'esser
padrone di uno Stato, tutti gli abitanti di quello Stato sono
nelle mani dei ministri che nomina quel sovrano. Ora la
scelta dipendendo dall'opinione di un uomo solo, il quaìe
non ha né tempo, né voglia, né modo per conoscere il me-
rito de' soggetti, la scelta stessa deve cadere sulle persone
bene spesso men capaci, e meno buone. L' uomo dabbene e
che abbia una buona testa, naturalmente si tiene lontano
dalla corte. Son troppe le. umiliazioni, son troppo ributtanti
i sacrificj in quei dorati recinti ; e l' uomo retto non é orgo-
glioso bensì, ma sente la propria dignità, e non può piegarsi
a tollerare l' abbiezione. I cortigiani in massa sono gente, o
divorati dalla smania di figurare senz' alcun merito, ovvero
sono pieni di debiti, e non di raro di delitti ; e questo mi-
80 PENSIERI DI ON BUON VECCHIO,
serabile sialo dell* aDimo loro è quello che li costringe a
starsene con faccia ridente, é sommessa, neU' abituale ado-
razione del sovrano ; a trangugiare con serenità i bocconi
più amari, a non avere altra opinione fuori di queUa che
conduce alla fortuna. Ivi un animo fermo e robusto dee es-
^ sere odiato : un animo candido e leale deve esservi deriso :
un animo sensibile vi passerà per imbecille. Vidi e conobbi
anch* io le inique corti,
Avea ragione il Tasso. Ora dico io: e come sarà mai pos-
sibile che il destino di un popolo stia in buone mani, quando
la scelta dei ministri si farà da una corte o mediatamente o
immediatamente? Sarà un prodigio o un mero azzardo se
verrà scelto un uomo dabbene; anzi le cariche pubbliche si da-
ranno a preferènza a chi saprà meglio guadagnare con som-
messioni e con ogni sorte di bassezza 11 favore, a chi meglio
saprà mascherarsi con un'aria di bonarietà, e questo quando
il principe sia buono; ma laddove sia un violento dispotico,
la insensibilità per i mali pubblici, e l'ardita esecuzione d'ogni
volere del sovrano, saranno i titoli per essere prescelti. L'ani-
ma di un carnefice farà fortuna. Ecco come ho ragionato io
senza allri libri; e per primo principio ho trovato che un paese
non può star bene , se non è in buone mani , sempreché la
scelta si debba far da una corte.
In qual modo adunque potrà una provincia veder collo-
cato il suo destino in buone mani? Quai sono gli uomini che
Bàetìtano d" esser collocati negl* impieghi pubblici? Mi sono
posto a scavar nella miniera del mio cervello, lenendo dietro
questi due fili, e ho trovalo che l'opinione del popolo, qualora
non sia emanata per sorpresa da alcuni ardia, ma venga pla-
idamenle manifestata, quella opinione emana da un giudice
competente. II popolo rare volte s'inganna, quando ha da
giudicare sulla probità di un uomo, e suUa fiducia che meri-
ta, e sa benissimo farne la scelta fra i suoi concittadini,
co" quali è avvezzo a convivere. Ogni uomo disappassionato
considera per buon cittadiAO colui che non fa debiti, e sa mi-
surarsi onoratamente (jolle proprie facoltà ; che grato ai bc-
neficj, con rispetto e ainore ricompensa il padre e la madre
delle cure ch'ebbero per lui; colui che lontano dalle risse,
CHE NON È LETTERATO. 81
dal gìaoco, dalF nbbriachezza, dal libertinaggio, egualmente
che dall'ozio, impiega il suo tempo senza danno -altrui. Il
popolo conosce Y uomo caritatevole, umano, benefico, e ét-
gno del titolo di buon cittadino ; insomma, il senso morale
del popolo abbandonato tranquillamente a sé medesimo, non
s' ingannerà che ben dì raro nella scelta degli uomini per ì
pubblici impieghi. Non sarà buon giudice il popolo sul me-
rito letterario, perchè a ciò non basta il semplice e nudo buon
senso; ma siccome il nudo buon sensio è giudice competente
della moralità delle azioni, cosi il giudizio popolare, qualora
non sia sedotto o precipitato, sarà sempre retto, rispetto alla
moralità. Se dunque i pubblici impieghi verranno dati col
libero e tranquillo giudizio del popolo, noi saremo in buone
mani.
Vado ricercando nel mio cervello come mai il giudizio
del popolo possa non essere libero e tranquillo ; e trovò che
nelle adunanze popoHuri vi si mischiano degli uomini arditi,
provveduti di robusti polmoni. Costoro urlano declamanda
in favore del tale o del tal altro, e portano la sfrontatezza a
segno di richiedere i voti popolari anche per loro medesi-
mi. Costoro possono sedurre, 6 sorprendere nel momento
deir elezione la docile- e incerta moltitudine, che sbalordita
darà la sua nomina a un cattivo soggetto. Ne' paesii ricchi 11
denaro può guadagnar gli elettori. V ipocrisia può suggerire
alla moltitudine che sia uii uomo dabbene, è virtuoso patriot^
ta, un uomo sin allora seonodciuto, e di cui la vita passata
nel vizio rimane coperta dall' oscurità. In questi casi il giu-
dizio del popolò non sarà nèiibeto, né' tranquillo, p^x^bè
carpito per sedazione e con sorpresa. .
Come mai potremo noi andar ali* incontro di simili in-
sidie, e far in modo che il popolo gfudichì con pausa e tran-
quillità? Seguendo il filo di queste idee, a me pare che do-
vunque si debban fare relezioni (suppongo nelle chiese an^ .
che per essére il luogo più spazioso), si obblighino tutti i
votanti, appena entrati, a porsi a sedere al loro posto, e non
permettasi che alcuno sì stacchi, o vada girando; in tal modo
nessuno potrà avere immedi isHa influenza sopra i sutTragj.
Collocati che siano gli elettori tranquillamente al loro pesto.
82 PENSIERI M UN BUON VECCHIO,
io vortei che V ecclesiastico che presiede a ^ella chiesa
facesse loro an breve discorso presso poco ne' termim se-
guenti :
tt Padri di famiglia, cittadini tittti che m' ascoltate, yoi
vi trovate radunati nel tempio del Signore per fare una im-
portantissima elezione. Non risgnardate quest'atto come una
proCanazione del sacro luogo; no, cittadini, siete radoDati
avanti della Divinità. L' occhio penetrante di Dio vi sta ri-
mirando come fedeli congregati per un atto sacro di religio-
ne. Siete qpi per invocare il celeste aiuto, acciocché v'iUn-
mini per fare una buona scelta. Siete qui per rendere un
omaggio solenne alla probità ; siete qui per liberare la patria
comune dai raggiri dei viziosi. Invocar l'Enle supremo, ono-
rar la virtù, evitar le insidie del vizio, questi sono atti di
vera ragione, questa è una parte essenziale, del culto che
rendiamo al Creatore; questo è un sacro rito che dobbiam ce-
lebrare con quel raccoglimento ch'esigono la grandezza del-
Tòggotto, e la maestà della religione.
» Come vostro pastore, come ministro di una religioiie
di pace e di carità, cittadini miei, ascoltate i brevi ricordi
ohe sono per darvi. Le mie parole non » diri§[eranno ai re-
probi, se pur ve ne fosse taluno in quest'adunanza; essi non
si moverebbero uè aU' evidenza dèUa verità, nò alle attrat-
tive ddda virtù. I loro errori vengon dal cuore, e non dalia
mente, e il loro cuore corrotto è insensìbile^ come il marmo.
Dio li giudicherà: preghiamolo perchè cambi il toro cuore;
questa non può esser l' opera che di Dio, non mai delle mie
parole. Non ò dunque ai malvagi che io parlo : parlo a voi,
buoni cittadini, che nel vostro cuore desiderate il bene; che
non volete macchiare la vostra anima coU'ayer avuta parie
nei mali della patria; e a voi dico: non siate docili ai consi-
gli di alcuno. Io che vi parlo, mi considererei come aa pre-
varicatore fiolenne se vi suggerissi di dar la nomina ad un
tale. No, cittadini, non badate ai consigli di alcuno ; qaesli'
sono terribili momenti, ne' quali l'insidiosa astuzia mette
tutto in moto per ingannare la vostra docilità. La nomina che
farete non cada mai su di un soggetto che abbia fotte brighe
per ottenerla^ L'uomo dabbene non ò mai intrigante; al con-
CHE NON fe LITVXBATO, 83
(rado è modesto, e aspetta di essere ricercato. Gvatdatevi
dalia seduzione di ^ei ciarlatani, che dopo di aver menata
nna vita ridìcola o rergognosa, da poco in qua gridane,
schiamazzano da energameni, e si erigono in protettori deUa
plebe, diffamando con ogni sorta di mezzi quei oittadini
agiati, onesti e tranquilli, dai quali avete tratto sirnH-a Tali-
monto vostro e della vostra famiglia in mercede dei vostri
lavori. Guardatevene, dico; le loro voci sono insidioso. Se
vorraimo collooiti in carica, aiiopreranno l'autorità di coi
gH avete rivestiti, per isfogare la loro maleviideitta e invidia
contro quelli che odiano. L'adopreranno per ammassare ona
fortuna, e radunare, se possono, intorno di loro qaeHe no*-
ebétze che si sforzano d' infamare come un delitto, perchè
non sono nelle loro mani. Disgraziala città, se nominando
di lai soggetti, Venisse il destino di lei conOdato a simili
manil Siavi d'esempio la Francia, che ha dovuto soffrire mali
estremi sin che rimase in preda a quella scellerata fazione,
che adulando la plebe, e seducendola ci^lo promesse, e col*
l'idea della sovranità, fece sopportar la longa e squallida
agonia deUa fame a tutto il popolo, e inondò la Francia di
sangue innocente, di che ne rimarrà un vestigio, orrendo alla
memoria de' posterL No, cittadini, state in guardia contro
tuiii i consigli, e nel dar la nomina, considerate che l'ooclùo
4ì £Ko vi vede, che a lui sarete responsabili delle ingiustizie^
delle prepotenze e delle sciagure del nostro paese, se por
una cattiva scelta di soggetti, questi mali cadranno solla pa*
tria; considerate, cittadini, che in questo caso non vi scuserà
la buona intenzione, se non avrete adoprata la vostra ragione,
per quanio vi permettevano le forze vostre, per riuscire in
una buona scelta. Nò vi basterà il dire : ho preso consiglio
dal tale, ho seguito il suggerimento del tal altro ; no, Dio vi
ha dato la ragione, e vi ha distinti dagli animali bruti con
questa impronta della Divinità, e dovete render conto a Dio
del non uso che ne avrete fatto in- questa importantissima
occasione : l' uomo si definisce un animai ragionevole, non
già un animai docile.
» Ma come, M direte Voi, come poss' io indovinare in
qual modo eserciterà la sua carica queir uomo, a cui darò il
84 PENSIBU DI UN BUON VECCHIO,
mio veto? Dio non pretende che siate profeti; pretende che
adoperiate la vostra ragione imparzialmente, perchè diale la
nomina fondata quanl'è possibile sulla ragione; ed io mi
farò brevemente a soggerìrvi le qualità che devono delermi-
narvela.
x> Prima: cercate di nominar un nomo, di cqi la vita
passata vi sia nota, e^che, fedele ai doveri del proprio stato,
sia buono nella sua famiglia, non sia spensierato in far de-
biti, sia puntuale ne* suoi impegni, e viva onoratamente lon-
tano dalla ubbrìachezza, dal giuoco, dalla sfcontata prostitu-
zione ; se ne conoscete una, nel quale s' adempiano tatie
queste qualità, voi non sarete mai per pentirvi d! avergli data
la nomina. Non crediate già che per regolar un paese faccia
bisogno di grande scienza; basta la costanie probità, la qual
probità è un indizio quasi sicuro anciie di quel buon senso
che basti a giudicare de' pubblici affari.
» Seconda : non crediate né il bene né il male che vi
venga detto ali' orecchio sulla vita passala di chi dovete no-
minare. Nelle brighe, che si fanno in simili occasioni, non si
risparmia anche la calunnia, singolarmente per diffamare
qualche uomo di una ferma onestà, che possa far paura ai loro
pensieri, e -che si vorrebbe perciò appunto escludere dai pab-
blici affari. Astenetevi dal badare a tai maligne sedoiioDi:
credete piuttosto alla buona fama di cui ha goduto un citta-
dino sino a questo punto, e non date retta a quello che visi
può dire di mate.
)» Terza: se fia possibile lo scegliere un nomo che abbia
le qualità dette di sopra, e che vi aggiunga un animo sinoero
e férnio, che non si piega facilmente a seconda del vento,
avrete compito al dover vostro, e comparirete illibati avanti
il tribunal di Dìo.
» Dunque non darete il vostro voto nò per amicizia, né
per compiacenza ad alcuno, non lo darete a chi fa istanxa
per ottenerlo; lo darete ad un uomo di buona fama, dei
quale sappiate che la sua vita domestica é buona, e che ab-
bia adempiuto sin ora ai doveri di buon cittadino con una vita
senza macchia, a un uomo in Gne che sia fermo e leale nel
bene.
GHB NON È LETTERATO. 85
» Eccovi quello, cittadini fedeli, che dopo aver invocato
t'aiuto celeste in qualità dì ministro del SanUiario, lio giudi-
cati) di dovervi dire. Lo spirito di Dio vi rischiarì, e benedica
l'elezione che siete per fare, e porti sopra di voi tutti la divina
grazia, e le benedizioni di tutto il popolo di questo paese,
che troverà confidato il suo governo a uomini giusti, affe-
zionali al bene, vigilanti per il buon ordine. Dio esaudisca
il mio voto! Frattanto sulle tracce de' sacri riti passiamo
a recitare piamente il santo inno Veni CrecUor* »
Appena dopo la preghiera, senz'altro cicalio, si do-
vrebbe passare alla elezione. Varj sono i metodi per farla
senza tumulto, e con liberi voti, e per ora non ho stancato
il mio cervello per farne la scelta, essendovi gli esempj di
altri paesi, che potrebbero servir di norma. L'elezioni fatte
in tal modo dal popolo saranno dunque una scelta libera e
tranquilla fatta dal popolo, e eaderà sopra una massa dì buoni
cittadini. Se poi questa massa fosse troppo numerosa, allora
trovo ch'ella costerebbe troppa spesa allo Stato e troppa .con-
fusione negli affari. Dico troppa spesa, perchè gli uomini
eietti, moHì non avendo, per vivere e mantenere. le loro fa-
ldiglie, che la professione che esercitano, e dovendola ab-
bandonare per occuparsi degli affari pubblici, non si può a
meno di assegnar loro sali' erario pùbblico una proporzio-
nata ricompensa. Dico troppa confusione, perchè in una nn- -
morosa adunanza naturalmente vi nasce, e pochi sono sem-
pre quei che possedendo il talento della parola, o la franchezza
di parlare in pobblieo, veglione cimentarsi a produrre ì loro
lumi. U rimedio sarebbe presto ritrovato, qualora questa nu-
merosa adunanza (suir esempio delia Francia) passasse alla
seconda nomina d' un determinate minor numero ; i quali
fossero veri deputati^ ritornando ad essére sempiici cittadini
quei eh' erano nelle prime nonune, e questa scelta dovrebbe
essere tanto meno pericolosa per la pubMica felicità, quanto
che fatta da cittadini già prescelti dalla pubblica opinione.
Cosi pensando, io credo d'aver trovato il modo, col
quale si collocherebbero nelle cariche uomini degni di occu-
parle, e verrebbe consegnato il governo del nostro paese in
buone mani ; ma gli uomini anche buoni talvolta cessano di
P. YEBRI, Appendice. 8
80 PENSIBftl DI DN BUON VECCHIO,
esser ttili, e il maggior perìcolo di prevaricare è dppanlo
quando sono rivestiti di un pubblico potere. Allora l'oomo
posto a sovrastare agli altri, cessa d' eisserne compresso dal-
l' altrui repulsione ; Y orgoglio naturale a ciasciuo si dIUla
ed abitua nel suo cuore., e in seguito una schiera di vizj ten-
d3nli al dispotismo, che portano alla corruzione anche Too-
mo buono. Cercando nel mio cerveQo il modo per prevenire
questa funesta malattia, non ne ho trovato che un solo, qoel
medesimo che ha meglio incorso la Francia, cioè che i pub-
blici impieghi sieno tutti temporarj, in guisa tale che V im-
piegato non perda mai di vista i.doe estremi, cioè la ricono-
scenza che deve al popolo che V ha collocato a governarlo,
e il momento non lontano, in cui ritornerà ad essere nella
classe del popolo, e a sopportare et medesimo quei danni ai
quali avesse aperta la strada. Queste sono le idee che ho ca-
vate dai libri, ma nella solitudine, ragionando con me m^
desimo; e scavando, come dissi, nel mio cervello per trovarvi
la verità. Se il nostro paese diventerà rdoa repubblica, il som-
mo pencolo che corre è nelle prime elezioni. Una popola-
zione d' nomini nata sotto un governo' arbitrario che da se-
coli regge il destino della provincia , una popolazione che
sin ora non ha saputo far altro se non soffrire con sommes*
sione, che non ha mai osato di pensare al governo pubblico,
che non conosce altra prudenza civile che il silenzio nelle
prime scelte, corre gran perìcolo di farle assai male; e per-
ciò ho perento ai mezzi coi quali si potrebbe evitare questo
rovinosissimo pericolo. Incamminata che fosse questa orga-
nizzazione, posto una volta in buone mani il governo, reie-
zioni consecutive si farebbero da una nazione che avrebbe
già incominciato a provare la dolcezza-di un governo repub-
blicano, e il pop(^o che non si muta colle parole, coi fatti
steurament* si muterebbe. U popolo- non sarebbe più igno-
rante dei pubblici interessi ; il discernimento si raffinerebbe;
e se da noi soli siamo troppo deboli per difenderci da voà
potente invasione, V egida nella gran repeM>lica, che ora ei
comanda, potrebbe lasciarci liberi e garantiti, mentre noi ci
avremmo formato uno Stato placido e felice, collocando in
buone mani il nostro governo. Tai sono ì desiderj e i pcB-
CHE NON È LETTERATO. 87
sieri dì un buon vecchio, che non ha pretensione alcuna.
Alcuno dirà che io non ho energia. A questo tale io rispon-
derò, che un vecchio per lo pia non ne ha, e ciò serva per
mia discolpa. Potrei domandare, se l'energia giova a cono-
scere bene gì' interessi della patria? Se l'energia, che è uno
dei primarj meriti di un comandante d' armata, possa essere
un pregio per un piloto, che ha da guidar la nave attraverso
agli scogli? Ma io non voglio condannare l'energia di chi
l'ha, anzi mi pregio di onorare l'energia della virtù. Se
qualch* altro mi rimproverasse, perchè nel mio scritto non
vi sia civismoy io mi limiterò a invitarlo, perchè dia in questi
tempi alla patria de' consigli più opportuni de' miei.
89
MOZIONE DEL CITTADINO VERRI
HUNiaPAUSTA
ALLA MUNICIPALITÀ DI MILANO.
Dov* è il sepolcro dell* ìmmortal Beccaria? Qual monu-
mento di riconoscenza avete eretto, o Milanesi, a quel subli-
me genio, che fra le tenebre comuni osò il prinio slanciarsi
e indicare il gran problema della scienza sociale. La massima
felidlà divisa sul maggior numero? Qual atto di riconoscenza,
o Milanesi, avete eretto a qaest' uomo grande, che ha illu-
strato la vostra patria, e di cui il libro immortale Dei delilii
e deUe pene trovjasi tradotto in tutte le lingue d' Europa, e
collocalo fra le opere di filosofla più sublime in tutte le bi-
blioteche del mondo? A tai domande dovreste arrossire, se
non vi servisse di scusa il timor che avevate degli ostacoli
che attraversassero la vostra riconoscenza: quegli ostacoli
medesimi che non permisero che pur una edizione di quel
libro si facesse a Milano ; quegli ostacoli , in virtù de' quali
nemmeno osarono i fogli pubblici inserire una riga d' enco-
mio air occasione della di lui morte. Ora ostacoli più non vi
soi^o, e sarebbe una macchia T indifferenza, il torpore eTin-
sensibilità verso il merito eminente di un vostro cittadino,
che vi ha istrutti e onorati, e con una calda ed animosa filo-,
sofia ha osato perorar la causa degli uomini più meschini é
maltrattati, e la perorò non senza pericolo, e con esito feli-
ce. La tirannia ne impallidi, r umanità palpitante fece ascol-
tar la sua voce ; gli strazj, le torture, le atrocità furono o
tolte afi^tto o diminuite in tutte le procedure criminali; e
questa è l'opera di un libro solo. Cittadini municipalisti, fate
che cessi da questo momento la macchia d'ingratitudine.
Mostrate che conoscete il merito : che sapete onorarlo, che
P. VERRI. Appendice, . — 8*
00 MOZIONE ALLA MUNICIPALITÀ DI MILANO.
siete grati ai benefattori del genere amano, e a quei clic
hanno onorato il nome di Uìlaneae.
Decreiate an busto di marmo a Cena-e Beccaria^ citta-
dino milanese, autore del libro De^deUUi e delle pene^ e que-
sto busto Tenga nobilmente collocato nella sala del Comune,
dove tenete le vostre adunanze.
A Paolo Frisi sta un piccolo monumento nella cbìesa
dove é sepolto, e un altro in di luì onore in una chiesa cam-
pestre di Ornago. L' amicizia potè compiere in parte a que-
sto dover pubblico verso di un grand' uomo, perchè avendo
egli rivolte le speculazioni del suo sublime ingegno sulle forze
motrici del sistema solare, e sulle leggi idrauliche, co' suoi
placidi sludj non s' erano tanto insospettiti . i custodi della
pubblica autorità. Vennero stampate le memorie di soa vita,
il che non si osò fare di Beccaria. Però non dovete , citta-
dini, lasciar la gloria alla privata amicizia d' un solo dì av^
onorata e ricompensatala memoria d'un Hlustre matematico
del primo ordine, ascritto atte primarie accademie d'Europa,
dalle quali riportò più volle i premj de 'concorsi ; e quindi a
Paolo Frièi, cittadino milanese, autore della cosmografia, per
pubblico decreto sarebbe da farsi parhnenti un busto di mar-
mo da collocarsi nella sala del Comune accanto a Beccaria.
Ricordatevi che il collegio degl' ingegneri è stato riformato
da lui, e che i soggetti colti e dotti che vi sono, oscirono dalla
sua scuola.
BcnaverUwa. Cavalieri^ il precursore di Aet&lon, era ono-
ralo da tulli i matematici, e non se ne sapeva nemmeno il
nome in Milano, dove nacque nel secolo passato. Egli illustrò
la patria colie sue scoperte nd caicolo sublime; creò naovi
metodi, e lasciò un gloriee» vestigio odia scienza. Leggete
r elogio che ne ha fatto Paolo Frisia e liberatevi dalla mac-
chia di lasciar più lungamente nella dimenticanza mi illastre
cittadino, che ha fatto sommo onore alla patria. Sta questo
il terzo busto da collocarsi insieme cogli altri.
Lodovico SeUaia viveva nel [urineipio del secolo passala
Fu un medico di sommo grido, ch'esercitò l'arte liberalmente
su tanti anche più poveri cittadinL La fama di lei era tale,
che i principi stranieri a lui ricorrevano per consiglio neloro
MOZlQfiE ALLi MUNICIPALITÀ DI MILANO 91
mali. Malgrado la tacilarnità e il mistero, con che s'am-
mantavano ne'suoi tempi le opinioni dei gabinetti, il suo trat-
tato suHa politica lo dimostra un uomo che avea veduta la
verità, e avea cuore di dirla. Io lo credo un cittadino meri-
tevole di ottenere onori distinti dalla sua patrìa, e propongo
che per esso pare si faccia il quarto basto.
Manfredo Settala^ figlio di LodomcOy che formò la galle-
ria celebre per tutta l'Europa, fece conoscere le curiontà
della stona naturale, della fisica, della meccanica, ^ arricchì
la patria di un museo dì curiosità, che ora miseramente fu
dissipato. Come cittadino distintamente benemerito, vi pro-
pongo di decretargli il quinto busto.
Giorgio Giulini fu un uomo, in cui l'esimie qualità mo-
rali compensarono quanto poteva mancargli di filosofia, e in
cui la veracità e l'esattezza supplivano ai difetti della grazia
e del gusto. Egli ha compilati tutti 1 fatti de' secoli più tene-
brosi della nostra storia; ha portato una sana critica nell'esa-
me delle carte de' bassi tempi. Ha sacrificato i comodi, ab-
breviata la vita per illustrare le antichità patrie, come real-
mente le ha Illustrate. Merita il sesto busto daUa civica
riconoscenza.
Questi sei cittadini cavati per opera vostra dalla dimen-
ticanza, e collocati nella vostra sala, saranno un solenne te-
stimone del sentimento che avete pel merito, della ricono-
scenza che deve la patria ai cittadini che l' hanno (worata.
Attesteranno in favore de' vostri lumi, che conoscono l' inti-
ma connessione che passa fra i progressi della ragione e la
felicità sociale. Serviranno di stimolo ad altri per incammi-
narsi nell'onorata carriera delle scienze. A Verona, a Vi-
cenza, a Padova, le sale del Comune sono ornate colle me-
morie de' cittadini più illustri, e si gloriano di mostrarle ai
passaggeri. Togliamoci noi la macchia o di non avere avuti
mai uomini di merito, o di non averli mai saputo onorare.
Ricordatevi che uno dei primi passi che fece la Francia
nella sua rivoluzione fìi l'onorare Bousseau e Voltaire.
È cosa invidiosa il parlarvi de' viventi; una eccezione
sola io farò. Maria Agnesi vive tuttora oscuramente. Nes-
suna altra donna d'Europa ha potuto pareggiarla nella scienza
02 MOZIONE ALLA MUNICIPALITÀ DI MILAKO.
soblime dell' algebra. Le sue hliluzioni analUiehe passano per
il più bel libro nel soo genere. Benedetto XIV, cb' era sen-
sibile al merito, la pose nel ruolo de' professori dì Bologna.
La sua modestia la fece vivere ignorata e senza alcana ri-
compensa nel paese. Cittadini, voi non darete gli onori se non
a chi v' importuna, o a chi fa briga per ottenerli? Andate
voi in cerca del merito nascosto; nominate a ufià cattedra di
scienza analitica questa ìllastre donna; assegnatele uno sti-
pendio, lasciandola libera a dare o non dare le lezioni : in
tal modo vedranno i dotti nazionali e gli esteri, cbe n^a
Lombardia spanta l'aurora di un nuovo giorno.
93
METODO DA CANGIARE LE OPINIONI
DEGLI DOMINI.
Gli abitanti di Lesbo farono un tempo attaccali da una
malattia nervosa, per cai ^oelF isola celebre deir arcipelago
divenne memorando oggetto della commiserazione di tutta
la Grecia. L'origine del male si attribaiva a cattivi alimenti
da essi prescelti, suir opinione che anzi fossero ottimi per la
sakibrità; alimenti senza sugo, e di apparenza schianto*
Quindi è che questi isolani pallidi e scarnati vedevansi tri-
stamente passeggiare con lentezza e a stento per le vie,
ascendere le gradinate con affannoso re^piro; e ciò dicasi
de' meno ammalati, giacché i più miseri non si reggevano
sulle gambe, e stavansene sdraiati nelle case, loro tollerando
appena una scarsa luce, perché l'aperto chiaro del giorno gli
scuoteva dolorosamente; un rumore che fosse più d'un sem>
plice mormorio era un tormento al loro oreccbio. A tale
estenuazione finalmente erano giunti^ che tutto spirava graci-
lità, languore, tristezza, consunzione ^ termine vicino ; né
mai sospettavano della cagione di tale sciagura^ e credevano
anzi che gli alimenti tenuissimi che prendevano, fossero
quelli ai quali erano debitori d' essere ancora vivi. Tanto
può sul destino di un popolo una opinione! Giunse la fama
di tale sciagura nella Beozia, dove una setta di empirici ro-
busti, e persuasi di non ingannarsi giammai, prese la risolu-
zione d' imbarcarsi, e far vela r Lesbo, promettendosi la
guarigione immediata di quegl' isolani. Un suono improvviso
di squilla spaventò gì' infermi all' arrivo degli empirici, i
quali dapprima si posero a declamare sulle piazze di Lesbo
contro la stolidità degli abitanti, perché credessero salubri
94 METODO DA CANGIARE LB OPINIONI DEGLI UOMINI.
gli alimenti de' quali facevan uso. Ignoranti, stupidi, imbe-
cilli, uomini da nulla, questi^ erano i vqzzi dell'eloquenza de-
gli empirici beoti. I gracili Lésbiani non avevano mezzi per
corrispondere alle ingiurie, ma fremevano air oltraggio. A
tal preludio successero i fatti. Armati gli empirici di fasci
d'ortiche, di verghe, di flagelli, scorrevano per le vie per ob-
bligare i languenti a camminare risolutamente. Quindi altri
di questi rimiravansi caduti, altri ansanti angosciosamente,
altri quasi moribondi impetrando dal cielo i fulmini che in-
cenerissero quel branco dì fanatici. Le case de' poveri Lé-
sbiani erano violentemente forzate, le finestre tutte spalan-
cate, eie deboli pupille de' più ammalati tormentate da' raggi
cocenti del sole. Gli infelici si appiattavano ne' ripostigli, sve-
nivano d^ angoscia, era l'isola piena di agonizzanti; e il caso
venne a sapersi per ventura in Atene, dove Leucippo, che
era onorato come uno fra ì migliori che sostenevano la glo-
ria della scuola di Socrate, mosso da generoso sentimento di
umanità, radunò un-drappello di amici, e con essi si affidò al
mare, affine di salvare dall' eccidio gli sventurati Lésbiani. I
venti fiirono propizj, e ben tosto giunsero alle spiagge del-
l' isola questi amici della virtù, ed apostoli della filosofia.
Bisognò loro adoperare dapprima la forza per sottomettere
l' audacia deglfempirìci, e riuscì loro felicemente; ma come
ir fine che si erano proposti gli Ateniesi, non era di soggio-
gare que' Beoti, ma di renderli innocui; cosi Leucippo, radu-
natili, prese a parlar loro in tal forma: ^ Chi y^ insegnò mai,
incauti che s^ète, a voler rimediare agli effètti senza prima
ascendere alle cagioni? Chi v' istrusse mai a irritare contro
di voi gli uomini per ottenere presso di essi fiducia nette
nuove opinioni che loro volete innestare? Prima di affiron-
tare gli errori deglf uomini, imparale a dubitare. Il daUbio
è il padre della verità. L' ignoranza sola ò la madre dell'au-
dacia, e. reca la desolazione. Partite. Non oltraggiate più a
lungo Vumatoità.— Esffl abbandonarono kr sponde di Lesbo. I
lésbiani benedicevano Leucippo e gli amici suoi, e ringrazia-
vano gli Dei, che gli avessero loro spediti a liberarli dalle
fauci della morte. Gli Ateniesi ben presto si fecero stretti
amici de' Lésbiani; moderavano qoe'filosofi il tuono delia lor
METODO DA CANGIARE LE OPINIONI DEGLI UOMINI. 95
voce alla sensibililà ; le epìnionì si cangiarono sul modo di
nodrìrsi, e gli atleti di Lesbo vennero celebrati per fama in
tutta la Grecia. Allora fu che nacque il proverbio, che degli
uomini il Governo non ne fa quello che ne vuol fare; ma
bensì quello che ne sa fare.
97
MODO DI TERMINARE LE DISPUTE.
Giovanni Locke neW Analisi dell* iniendimenlo umano,
fra le grandi verità che ci fece conoscere, c'insegnò anche
qaesla, che la maggior parte delle dispute sono non di cose^ ma
di parole, atteso che gli uomini al medesimo vocabolo attri-
buiscono idee differenti. Una buona definizione chiara e pre-
cisa toglierebbe la maggior parte delle dispute, singolar-
mente nella politica, dove le idee non sono semplici, ma
astratte, e dove gli uomini alle parole Libertà, Giustizia, Go-
verno ec. attribuiscono delle idee vaghe, e non ben contor>
nate. Sarebbe un servigio assai importante che si renderebbe
al pubblico neir attuai rivoluzione delle idee, qualora si ret-
tificasse un piccolo vocabolario, e che T evidenza della defi-
nizione obbligasse gli uomini ad attribuire V idea medesima
alla stessa parola. Ma quest'opera non verrà mai a uscire- se
non da una mente profonda, pacata, e abituata a svolgere le
proprie idee, e da un cuore bastantemente nobile per non sa-
crificare agli idoli, ma unicamente all'augusta verità*
Libertà. Questa parola significa la sicurezza di godere
delle facoltà fisiche e morali, e delle proprietà sin tanto che
la legge non lo vieti. In ciò consiste la libertà civile, ma
la piena libertà comprende la sicurezza che la legge non vieti
mai se non le azioni che violino la libertà altrui.
Tirannia. Con questa parola s' intende quel governo, in
cai gli uomini in carica possano più che non può la legge,
e dove le leggi che si pubblicano, o vietino o comandino
azioni, che non abbiano per oggetto la conservazione della
libertà altrui.
Anarchia, £ un disordine generale della società, dove
P. VlRM. Appendice. 9
98 MODO DI TERMINARE LE DISPUTE.
gli audaci usurpano il potere, seducono colla speranza del
bottino, e traggono dal loro partito un branco di disperati, i
quali, senza legge o freno, col pretesto di ben pubblico in-
vadono le proprietà, insultano al buon senso, e riducono un
popolo o alla agonia, ovvero alla guerra civile.
Popolo. È la massa di tutti gli uomini cbe sono nella
nazione. Qualunque unione d'uomini, che ardisca di operare
0 parlare a nome del popolo, a meno che non sia la maggio-
rità della nazione, è una unione ribelle e usurpatrice.
Governo legiUimo. È quello che ne' suoi atti e nelle sae
leggi rispetta e seconda la volontà generale del popolo, per
il quale è institaito.
Governo tuurpaio. È quello che ponendosi in guerra ma-
nifesta coi popolo, lo atterrisce con atti arbitrar], e proclama
regolamenti e ieggi oppressive del popolo.
Tributi. Sono il sacrificio d' una porzione della propria
fortuna consegnata al pubblico erario pet la tutela generale
della società. Il limite di tal sacrifìcio è fissato da quello dei
veri bisogni: tutto il di pia sarebbe usurpazione. Ogni altro
metodo è tiranniee. La pubblicità dei conti è una parte es-
senziale à' un governo giusto: il mistero e l' oscurità sono
indizio di rapina.
Leg^. Debb' essere universale per esser giusta. Un tem-
porario regolamento che particolarmente concernesse alcone
professioni, può esser giusto; ma quello che risguardasse
alcuni ceti (se pure vi son ceti) non può esser giusto giam-
mai. Ogni uomo è cittadino ugwile a ogai altro in faccia delia
legge.
EguagUanza. V uomo virtuoso ii<m sarà ma! uguale al
birbante ; Y uomo d' ingegno non lo sarà mai allo scimunito;
l'uomo fermo e coraggiose non sarà mai uguale al pusillani-
me: quindi vi SODO delle disuguagliamse morali fra gli uomini,
come ve ne sono delle fisiche fra il vecchio e il giovine, fra
lo storpie e il ben organizzato, fra l'atleta e l'infermo. U
voler portar l'uguaglianza fra queste classi sarebbe una vera
stolidità. Basta che siano gli uomini tutti uguali innanzi alia
legge, e che la nascita non dia privilegio alcuno, nel che solo
può consistere l' uguaglianza.
MODO DI TERMINÀBE LE DISPUTE. 99
Patriotismo, Qaesto vocabolo signjOca un disinteressato
e costante amore della patria. Nelle rivoluzioni politiche i
faziosi e turbolenti ne inalberano la insegna, e con questa
maschera cercano di farsi valere. Ma chi serve a una fazio-
ne, chi sconvolge Y ordine sociale, chi eccita la guerra civi-
le, chi calpesta la morale, chi non paga i suoi debiti, chi in-
vidiosamente attenta alle proprietà, non è un patriota, ma
bensì un catilinario, un ipocrita, uno scolorato. Volete* voi co-
noscere on buon patriota? Fatevi render conto di quanto ha
fatto per la patria.
Civismo» Vocabolo nuovo cavato dalla voce latina Civis,
Non è già sinonimo di buon cittadino, cioè di un uomo che
ami i suoi paesani, allontanando per quanto può i mali della
patria, che sia fedele a' proprj doveri, d' un uomo benefico,
confortatore, ìsiruttivo, salutare al paese. Civismo è parola di
partito.
Misura. La lingua francese fa uso di questa parola vys-
iure per dinotare una risoluzione presa, una determinazione
fatta, uno spedìente trascelto. Gr Italiani, che hanno questi
modi più esatti per esprimersi, lascialo ai falegnami, calzo-
lai, martori, il vocabolo di misura, poiché non hanno bisogno
dell'allegoria. Questa parola in italiano s'adopera ordinaria-
mente per indicare uno slancio al di là del buon ordine.
Aristocratico. L'etimologia significa il governo degli ot-
timati. Qualora un governo s' affidi agli uomini migliori del
paese pel merito delle loro virtù e per superiorità del loro in-
gegno, gli uomini saranno felici. In questo senso l'aristocra*
tico sarà il migliore di tutti i governi. Questo nome i ci visti
U) 4AQno per ingiuria. Giacobino, aristocratico, molinista,
giansenista, eretico, papista, sgraziati vocaboli inalberati da
partiti che si odiano e che dilaniano la città, la quale noii
può avere altra divisione, che savj e pazzi.
Aristocrazia* Quantunque in origine significasse gli uo-
mini prescelti a governare^ si corruppe dappoi quando i go-
vernanti giunsero a fare che i figli loro succedessero nelle
loro cariche, e quindi ndla repobblica apparve una classe se-
parata di famiglie governanti, e venne condannata la parte
maggiore del popolo a servire; e gli onori è i premj e le for-
fOO MODO DI TEBtflNARE LB DISPUTE.
tune divennero privative de' nobili! Quindi VarislocraziaèW
migliore fra i governi, presa nel suo originario significalo,
essendo che nella massa di mille uomini for^e appena due
hanno i talenti e V animo per governare bene uno Stato.
Democrazia. & il governo di tutti, cioè ogni nomo go-
verna, ed è governato. Considerato esattamente un tal go-
verno, non ha esistito giammai, perchè in ogni unione o
comizio sempre taluno primeggia, e ottiene, e carpisce l'as-
senso della docile e incerta moUitadine. In qualche modo
ne' piccolissimi paesi può trovarsi quella democrazia, che la-
scia il voto a chiunque nella sala delle pubbliche determi-
nazioni ; ma in ogni altro luogo il governo sarà sempre una
aristocrazia o permanente o temperarla, non rimanendo in
questo secondo caso al popolo che l' elezione degli ottimati.
Cittadino. Questo vocabolo non con.viene che per dino-
tare un repubblicano, ossia un uomo che ha una Patria, e
una Città propria. Gli abitanti delle città signoreggiate non
sono popolate da cittadini, ma bensì da sudditi. Il nome ono-
revole di cittadino non si debbe rendere abusivo, altrimenti
vairrà quanto quello di conte a chi non possedeva contea;
marchese a chi non dominava una marca ; principe a chi non
regnava su di uno Stato. Ne' paesi conquistati e sudditi é
tanto vano il titolo che gli abitanti sì danno di cittadino,
quanto quello che i paglietti di Napoli si danno di duca e
principe.
Energia. Se dalla azione in cui è lodevole, si trasporti
al pensiero, ella disordina l'intelletto, e guida l'uomo al de-
lirio. Operare con energìa, ma prima di determinarsi, tanto
più si debbono maturare i consigli, quanto più importante è
r oggetto. L' energia nel giudicare conduce alla ferocia e al
delitto.
Scioano. £ il nome di una famiglia di Francia.^ Se ne fa
uso da taluni per dileggiare, e rendere odiosi coloro che non
si uniscono al loro partito. Gli uomini sono sempre gli stessi.
' Non h ^ik il nome d* una famìglia , ma tibbene quello del partito reaUita
francese, che nella Vaodca e nelle provincie dell'ovest aveva preso le armi contro
la rivoluzione, nel i 790; e deriva da chai-huanij dal grido con cui que' parti-
giani solevano ragunarsi.
MODO DI TERMINARE LE DISPUTE. 101
Scioano serve presso de' civisli, come presso gP ipocriti ser-
vivano anni sono le voci incredulo, novatore. Sono accuse che
si danno a chi non presenta nella sua vita altro appìglio per
accusarlo. Questi pensieri mi meriteranno il nome di Scioano
(Ghouanj.
Repubblicano. Chiamo con tal vocabolo un uomo, di cui la
probità forma il carattere, di cui gli affetti signoreggia la fi-
lantropia ossia la benevolenza, che ha una costante avver-
sione per qualunque ingiustizia^ che odia la prepotenza e la
tirannia sotto qualunque titolo e pretesto ella si presenti, e
che non s' avvilisce mai ad essere schiavo d' alcun uomo, o
d' alcuna fazione. Tali furono Catone, Bruto, Cicerone, veri
repubblicani.
Schiavitù. Il primo grado è quando si viola la proprietà
reale, e chi governa toglie arbitrariamente la fortuna del go-
vernato. Il secondo grado è quando si viola la libertà de' peti-
sieri, e chi governa animando alla delazione, aprendo le let-
tere, premiando il tradimento, obbliga gli uomini a fìngere
sentimenti e opinioni, rende sospetto l' amico, il parente, e
quindi proscrive la gioia, la confidenza, e ogni sentimento
sociale. Il terzo e sommo grado di schiavitù è quando Fuomo
perde la proprietà della persona propria, costretto a prestarsi
a un determinato servigio senza poter destinare chi suppli-
sca per lui. Sarebbe un insulto impudente fatto al buon senso
se si osasse vantare libertà sotto tali governi.
Egoismo. Significa un concentramento d'affetti a ciò che
ha relazione con noi. Qualora 1' ordine sociale sia corrotto e
pervertito, e che nella nazione sia stupido il senso morale,
e sieno annebbiati gli oggetti del diritto pubblico, non ri-
mane al saggio altra scelta che o l' imprudenza o l'egoismo.
Un uomo di spirito posto in simili circostanze diventava lu-
maca (cosi diceva} , cioè si rannicchiava nel suo guscio.
p. TEHRi. Jpiiendie»,
103
DEL FILOSOFX) N. N. AL MONARCA N. N.
Vi esporrò danqae la verità poiché voi lo volete, e neUe
langhe conversazioiii, efae avete bramate di aver meco, ve
ne siete mostrato degno. Aecostandomi ad un principe, come
voi, che regna sa di una nazione, la prima cosa che debbo
fare é il lodarvi ; cosi sì è fatto sempre, ma non sempre con
tanta verità e ragione quanto ne trovo io. Voi siete un vero
prodigio. Allevato in mezzo aRe ilfosioni ; circondato dall'adu-
lazione ; ascoltando la dottrina constante d' essere voi pa-
drone vero di tutto Io Stato, d' essere questo un podere ere-
ditario neHa vostra augusta famiglia ; incensato con adora^
zione dagli interessati cortigiani ; ogni vostro detto applau-
dito come mai posso non considerarvi per un vero
prodigio se avete preservato il buon senso ; se siete da voi
medesimo giunto a conoscere gF inganni che prevennero la
ragione; se trovate in voi una mente illesa, e un cuore retto
e sensibile ; e se passionatamenle cercate V ajuto altrui per
meglio distinguere la verità I Ora che vi ho reso T omaggio
puro che vi è dovuto, dall' ammirazione passo a rendervi il
servigio che è degno di voi.
Sé vm permanete nello stato ^ella vostra fortuna, e che
passiate il rimanente di vostra vita sul trono, voi non sarete
felice. Per un uomo sensibile come voi, egli è uno stato come
di solitudine e d' isolamento il non potervi mai trovare con
vostri eguali. Tutti gli applausi, tutte le compiacenze che vi
vengono usate, voi stesso pure mei diceste, vi sono insipide,
perchè sempre dubitate che tàt^w\ m-iìQriose. L'uomo è come
tèi LETTERA DEL FILOSOFO N. N. AL MONARCA M. N.
nel deserto quando non trova ì suoi simili. Il vivere è noio-
so, o si vìva co' superiori, ovvero cogli ìnferìorì. La ugua-
glianza è la sola che ammette società, gioia, cordialità. Voi
padrone, gli altri sudditi, tutto è studiato, tutto è artefatto,
la natura non la trovate mai ; fra gli amalissimi Muddili e
r adorato sovrano non v' é altro commercio che di menzogna
e frode ; perciò i principi hanno un vero bisogno di cercare
dissipazione nella caccia, o nella guerra, o nella vita milita-
re, ne' viaggi, ne' lavori di mano; e smaniosamente se ne
interessano per riempire il vuoto della giornata, che sempre
è lunga e noiosa a un animale che non convive co' suoi si-
mili. Un monarca è un uomo quasi sempre annoiato.
A questa noia aggiungasi la inquietudine propria della
fine del secolo XVIII. Se per lo passato i monarchi erano la
viva immagine di Dio, gli unti del Signore, ora una setta che
va dilatandosi sempre più gli chiama tiranni, mangiatori
d'uomini, pubblici nemici del genere umano. I monarchi si
dileggiano e s'insultano ne' giornali, si rendona odiosi ne'li-
bri, sì espongono al ridicolo dai pantomimi, e la tragedia
col pugnale insanguinato gli abbatte con pubblico applauso.
Il patìbolo è il genere di morte che taluno ha subito, altri
balzati dal trono vanno errando mendichi con un titolo in-
signìOeante. E come si può mai fare un si pericc^so mestiere
senza continua inquietudine? Dunque, vivendo nello stato nel
quale la nascita vi ha collocato, avrete sempre al fianco la
noia e la inquietudine, due socie che non rendono mai pos-
sibile che viviate felice ; indi quand' anche la vita vostra sia
lunga, e non sia abbreviata da violente cagioni, voi finirete
oscuro in un aveUo, e il nome vostro sarà d' uso per le ta«
vole cronologiche, e non più. Voi non siete nato né per on
si triste mestiere, né per una eterna oscurità. Voi siete de-
gno di fare epoca immortale^ di collocarvi fra gli eroi, ed
io ve ne spalanco la vìa.
Non sono rare nelle storie le abdicazioni spc^itaneameiitè
fotte dai monarchi : scesero dai loro troni per la noia insop-
portabile che stavaglt sempre al ^nco; ma scesero essi e
lasciarono che un successore vi si collocasse col medesimo
potere. Costoro provvidero alla propria Moità, nulla fecero
LETTERA DEL FILOSOFO N. N. AL MOHAEGA N. N. lOtt
per beneficio della nazione nell' atto in cai, con poca fatica
e con somma loro gloria, poteyan faHo. Meglio per voi, che
potete essere il primo cKe generosamente liberi ana nazione
é* uomini oppressi e inerti. Il nome vostro passerà agli uo-
mini venturi famoso, come quei di Ercole, di Teseo e d'altri
pochi. Rinunziato al diritto d' opprimere (sebbene voi non lo
abbiate esercitato mai, lo possedete}, e abolite radicalmente
la degradazione degli uomini del vostro Stato. Già ne' nostri
colloqoj siamo giunti a questo punto, e la vostra anima si è
slanciata olire la piccola sfera d' ambizione de' sovrani, e
aspira ad ottenere 1' ammirazione e V amore della genera-
zione presente , e la riconoscenza eterna dell' universo. Ri-
mane che io vi proponga il metodo eh' io giudico adattato
a tal fine.
Le scosse violente portano la rovina di varj, la desola-
zione di molti, e lo sbigottimento universale. Voi monarca
assoluto, avete tutti i mezzi di fare che il vostro popolo giunga
ad avere un governo ragionevole senza soffrire alcuna scossa.
Ho osservato che intorno a voi avete uomini d'un onesto ca-
rattere, e sensibili ; non poteva essere altrimenti presso un
principe che conosce la virtù, e quindi ha ribrezzo pe' dela-
tori, pe' buffoni, e per ogni viltà. Il primo passo sia quello
di formare un senato, lasciando la nomina de' senatori al
vostro popolo, e dando a quel corpo la facoltà di fare le leggi,
poi quella delle imposizioni; dar indi le armi al popolo, e or-
ganizzare una milizia nazionale ; finalmente pubblicare una
costituzione democratica, e abdicare la vostra dignità, collo-
candovi a passare i vostri giorni all' ombra di sante leggi fra
cittadini resi liberi.
Eccovi la illustre carriera che in due anni di tempo po-
tete scorrere, aiutando colla medesima autorità vostra quei
moti che l'inesperto popolo malamente intraprendesse. Ec-.
covi il luminoso sentiero della gloria aperto; la fortuna lo
presenta a voi il primo. Slanciatevi sulla carriera della eter-
nità, e siate pur certo che il cambiamento delle opinioni po-
litiche è fatto in tutta l'Europa. Le monarchie e le domina-
zioni di qualunque sorta hanno il tarlo alla radice, e il male
noii ha rimedio. Le inquisizioni, gli ergastoli, le atrocità non
106 LETTEBA DBL VHjOÌOPD II.H. AL ■ORAMIA II.H.
ÀraBDO che aeeekraie la caitala de'lnmi; bob à patri |kd-
Imgare il destino le aon cel goyenio della giostiziay e pro-
fenrendo la raiMiia, F ingidia e 1* orgoglio. Voi non aspette-
nte il desliaOy lo sigaoieggìeffete leadeadovi padre della li-
bertà del Teatro popolo.
107
DIALOGUÉ DES MORTS.
Le Roi FRÉDÈRIG et VOLTAIRE.
Prédéfic, Oh eh, patriarche Voltaire! tudìeu, je vous
tronve irne boline fois! Qae diable faites-vous ìci-bas?On vous
cberche pàrloot, et òn ne tous rencontre jamais.
Voltaire, Ah sìrel... c'est bien voas... rindéfinissable
Frédéric... que je fois? Je vous ai cherché de méme; mais là-
haot Bons étions aniques en notre espéce; ici notis né som-
mes que du peuple.
Frédéric. Rien n'est plus vrai: ici nous sommes conlem-
porains de tous les grands hommes qui ont successi vement
honoré te terre. Tontefors il me paralt qu'après avoir un
peu satisfait ma eifrioi^té ))ar la connoissance de nos ancè-
tres, on trouve plus de sympathie à s'approcher de ceux qui
vivaìent de notre temps: ce sont pour ainsì dire nos com-
patfiotes.
Vollairé. Ne serail-ce pas Tespérance d'obtenir encore
les hommages de ceux qui étoient accoutumés à vous en
rendre? car les ombres, toutcis ombres que nous sommes,
coDservent toujours quelque reste de lieurs habitudes. Toute-
fois, voas n'avez plus de quei flatter leur amour-propre, ni
aucun moyen de relever votre gioire; ainsi ce qui cimentait
notre union n'est plus.
Frédéric, Pas cela, cher patriarche; c'est que les événe-
menls qui nous intéressent sont très indìlTérents pour les
aotres. Par exemple, Cesar, avec lequel je viens d'avoir
une longue conversation, m'a bàillé vìngt fois en face au
récit que je lui fìs de la revolution qui vient d*arriver en
Franco: il regarde toujours les Gaules comme un petit obj et.
Voltaire. Il n*a pas tort; tout est relatif. Eh bien, sire,
108 DIALOGOE DES MOKTS.
avoDez qae voas voas ètes moqné un pea mal à propos dcs
géomètres, et qoe voas étiez prophéte malgré vons lorsqoe
voas croyìez dire une absurdité: savoir que les géomètres
devoient changer la constitutìon fran^ise et la rendre répa-
blicaine. L'esprit géométrique a réussi.
Frédéric. Avouez aussi, patriarche, que voas voas ètes
moqué un pea mal à propos de M. Lefranc de Pompignan:
sa verta, son patriotisme, lui méritèrent la charge de presi-
dent de TAssemblée Nationale.
Voltaire, Eh bien, c'est ce qui arrivo dans le monde: on
se trompe! Voos avez em que les géomètres ne voas esti-
maient. guèr.e: vous ne leur pardonnìez pas de débiter que
les conqnérans étaient des monstres, qui à la téle des boor-
reaux mercenaires exer^aient impunément tous les crìmes.
Je ne pardonnais pas non plus à Tévèque Lefranc de Pompi-
gnan d'avoir osé relever mes travers. Nous nous sommes
égarés dans nos jugemens par notre amour-^propre; nous
n'avons rien à noas reprocher là-dessus.
Frédéric, Mais en conscience, cher patriarche, croyez*
voas que les infinis de premier ordre, les abscisses, les or^
données, la raison dìrecte ou inverse, aient cansé la Révola-
tioB? Sottises que toat celai
Voltaire, En vérité, sire, jé crois qoe l'esprit géométri-
que répandu sur la masse de la nalion lai a donne Thabi-
tade de raisonner, et qu'appliquant la raison aux objets da
gonvernement, la nalion s'est éclairée : elle a era d'abord
que le gouvernempnt la foalait aux pìeds, par pure iUosioii;
qu'elle est la plus forte ; que la force de tout gouvernemeot
n'est qu'une portion de la force nationale. Elle a vu qoe tout
gouv^rnement doit èlre fait poor le bien-ètre de la natioD,
et que c'est une absurde prévarication de rendre la natioo
le jouet da caprice du gouvernement: cotte majeslé magiqae
et imposante, que la Ggure, le ton, l'air de grandear de
Louis XIY répandaient autour du tròno, Téclat des exploils
de ses armes ; la Hollande humiliée, le Palatinat aoéanti)
l'Espagne réduite en province, le théàtre frangais enrichi
des chefs -d'oeuvre sous sa proteclion, Téloquence animée)
tous les beaux-arts embellissant son tròno ; la laogue frao-
DIALOaOE DE9 MORTS. 109
Qoise devenae la langoe de TEarope : toule cette pompe,
celle magniflcence réanies avaienl inspiré aax Fran^ais un
eothodsiasme d'adoralion ; ils ne sentaienl plas lenrs cbalaes,
glorìeux de la gioire de leur monarque. Mais, sire, pea à peu
la forlune a changé: le successeor n*avait pas cet ascendant
personnel; la gioire des armes.francaises s'est éclipsée: vons
savez, sire, quel Iraitemenl yous lear files à Rosbach. Une
immense delle loajours plus pesanle par la dissìpalion d'ane
cour où la prodigalité était aa rang des qnalilés royales; des
matlresses choisies, lirées de la lie du peuple, qui filaienl le
Irésor de la nailon, et qui faisaienl sauler les minislres au
gre de ìeurs caprices : tout cela enfin fit disparailre le pres-
tige.
Frédérie. Ecoulez, mon cher philosophe; sì j'avais élé à
la place de Louis XVI, on ne se serali sùrement pas ainsi mo-
qué de moi, et je n'anrais pas rhonqenr d'ètre le reslaura-
leur de la liberlé fran^aise.
Voltaire. Je le crois, mais vous auriez laissé ce tilre à
volre successeur. Tonte puissance civile ou mililaire n'est
fondée que sur l'opinion, sire; et dé9 queTopinion nationale
est changée, la revolution est inévitable. Un grand bomme
peut prolonger ce terme, iL est vrai; mais il ne cbangera pas
pour cela Tordre des choses.
Frédérie. L'opinion, diles-vous? l'opinion!... je m'en
moque, et je m'en suis toujours moqué, mon cher palriarche.
Lorsqu'on est à la téle d'une centaine de milliers de soldals
bien aguerris, qu'on a de quei les nourrir, et qu'on sait
mouvoìr la machine, on se flche de l'opinion.
VolUiire. A vous enlendre on s'aper^oit que vous avez
élé roì, car malgré volre esprit, vous en avez conserve les
travers. Mais ces soldals sur lesquels vous complez» sire,
sonl-ils aulre chose que des hommes? Tanl que leur abru-
tissement leur rend supportable leur esclavage, vous failes
tout ce que vous voulez avec ces aulomales; mair dans un
pays où la ralson a fait des progrés, vos soldals mal nour-
rìs, mal payés, mal Irailés, au lieu de comballre l'insurreclion
des peuples, s'accordent avec lui pour briser leurs chalnes,
comme cela est arri ve à point nommé. Ainsi l'opinion se mo-
P. VEnRI. Appendice. 10
110 DUL06ITS BES VOln-S.
qne des rofs, s'ite osent Fatlaqner lorsqo'elle est assez ré-
pandoe.
FridéTie. Eh, mon cher raonsienr, c'est qne la discipline
mìlitalre élait négltgée en France: yotlà le yrai motif de la
désertion de la troape.
Voltaire. Cesi qo'à mesore qa'an penple sort de la bar-
bàrie, et qoe la masse des eonnoìssances s'agrandit, il faut
que la discipline militai re se relftche. A mesaré qne votre
discipline est plas rigide, on a plus de diflSeulté à faire des
recraes^; à mesare qne cela deyient plus difficile, il fant mal-
tiplier les avanies, les injnstices et la vidlence pour recmter:
ainsi on rend foojoars plus apparente la tyrannie, et p1a8
haissable le gouvemement. G*est de la classe de la nature
humaine qn'il fant tirer vos hérod: nn citoyen bien né ne
Yoit que la honte de derenir le support de la tyrannie s'il
endosse ranifbrme ; ainsi vous n'arez ponr ofliciers qae
le rebut de la sociélé. L'honneur est nn mot vide de sens :
chez nne telle milìce la senle organisation mécanìque la
sontient ; cheque indivlda ne cherche qa'à s'échapper s'ìl
peut ; les penples détestent la forme militaire dn gouveme-
ment: nn moment de'relàche, une fante sente fait sauter en
l'air le despote et renverse le tròne.
Frédéric, Eh bien, monsieur le docteur, qn'auriez-yoùs
dono fait de mieux, si vous étiez né sur le tròno?
Voltaire. Si j'élais né roi, j'aurais été bercé dans mon
enfance tout comme un autre : les flattenrs m'auraient gate.
Il est si donx de se persuader que nous valons mieux qae
4ous les hommes; que toiile une generation est faite poor
obéir à nos volontés; il est si séduisant d'ètre nn Dien adoré,
que la fatuité se serait emparée de moi-méme, et j'aurais era
de bonne foi que le despotisme est l'état naturel de l'homme,
jusqu'à ce que mon penple, levant enfin la tète, me fit sentir
ses forces et me réveillàt d'un bon rève.
Frédéric. De la fatuité? cela est un peu fort, mon cher
Voltaire! Ehi pour le vulgaire des rois, passe encore; mais
poni Frédéric, colui que vous appeliez le Salomon dn Nord,
cehii qui attira à sa cour Voltaire, qui était l'ami du mar-
quis B'Argens, colui qui fonda une Académie des sciences, et
DIALOGUB DB8 MOBTS. Ili
y placa llaupertais et Eoler; Frédéric, qaì enireleDail une
correspondance amicale avec D'Alembert; Tami d'AlgarotU,
le protecteor de Deuina; du moins Frédéric sera une excep-
Uon à la règie. J'ai toujoors honoré le ménte.
Vollaire, Sice, le temps de Tillusion est passe; nous som-
mes des ombres. Yous éliez ambilieux, vous sentiez le be-
soia de vous attacher tes bommes de leCtres pour embellìr
vos onvrages, et vous rendre célèbre : les bons écrtvains
soat les seuls conducteurs qui unissent un grand homme
avec la posiérité I mais dans le fond vous étiez tout comme
les antres: vous Q'aimtez les gens d'esprit qu'aulantqu'ilsen
avaient assez pour vous connoitre et vous juger; vous les
auriez écrasés. Jourdain élait votre fait. Pour moi, vous esti-
miez mes conooissancesen me détestant, car vous aviez de«
viné que je vous avois défini. D'Alembert étaìt assez peu
p^iilosopbe pour adorer votre. faveur, malgré les coups de
patte un peu rudes que lui donnait votre corFespondance :
cela a dure de loin ; mais dès qn'il vous a a[^roché, il a pre-
teste sa sante pour faire retraite au plus t^t. Vous le regar-
diez comme le chef de la cabale pbilosophique de Paris, et
le flattiez par intervalle sans Taimer. Les autres bommes de
lettres ont tous décampé, et à la 6n vous aviez fait banque-
route tout de bon, et à la place des philosopbes vous^ aviez un
Lucchesioit... Accoutumés à distrìbuer les rangs, les menar-
ques s'indignent qu'un homme se fasse par lni*mème un nom
indépendamment d'eux; et cela non pas seulement dans la
philosophie, mais mème à la guerre.
Frédéric. Mais vous, monsieur de Voltaire, veus Ten-
nemi acbarné de J.-B. Rousseau parce qu'il était meilleur
poète lirìque que yous; vous l'ennemi implacable de Man-
pertuis parce qn'il était plus mathématicien que vous;
vous qui aviez tant d'aversion contre J.-J. Rousseau parce
qu'il étaìt éloquent et plus profond philosophe que vous;
étiez-voos tout de bon Fami dn mérite ? Ao diable Fhypo-
crisie! Yous vous accointez des rois, vous leur prodiguez
l'encens par pure ambition, sans les aimer; vous tenez
des deux parts, par commerce de vanite réciproque: nous
n'avoDS point de reproches à nous faire, pas mème sur cet
112 DIALOGUK DBS HOBTS.
article. Rancane à part. Et que dìMI, volre grand Choiseul,
de cette révolatlon? L'avez-vous vo?
Voltaire. Qae yoolez-yous qu'il dise? qne pent-il dir
de bon? Vous vons ètes moqaé de lui, sire, et yoiis afiex
raison. G'était un petit homme sana principes, glorìeux,
vaio, bardi, remuant, qui à force de répét^er — je suit un grand
ministre — est parvenu à le faire croire aux antres et i le
croire luì-mème tout de bon. 11 sera persuade que toot cela
n'est que la punition des renvois qu'on lui a doanés, el qoe
si on lui laissait le temps d'acbever ses projets, le tròoe se^
rait afiermi. Cboiseul était un homme d'Étatfanraron;aas8Ì
c'était assez à la mode de notre temps. Il n'y avait que yoos,
sire, qui n'étiez pas régenté: les autres pays étaient goover-
nés par des cbarlatans qui en imposaient aux monarqaes par
le ton, par l'encolure, par le mainlien mystérieux, par le
don de la parole: ils se croyaient perdus sans leor secoars.
Les yrais bommes d'État ne peuyent avoir part à radmiois-
tratìon que* dans un gouvernement où la yertu pr^ide. Les
princes faibles sònt gouvemés par des courtìsans ou des en-
piriques; les despotes sont servis par des esclayes sans moears;
les bons princes qui respectent la dignité de Thomme Mot
aidés par des bommes yertueux, amis de la liberté.
Frédéric, Mais enGn je suis curieux d'apprendre ce qoe
la Franco ya devenir; jusqu'à présent je n'y vois qu'ane re-
volution. Pour le roi, mòn confrère sera dans Theareiue
jmpuissance de ne pouvoir nuire à personne, non plus qoe
colui. d'Angleterre. Mais vos beaux-esprits, votre Bayle, vo-
tre Necker, votre Mirabeau, réussironl-ils à fofmer une cons-
tìtution, à la faire agréer à T Assemblée Nationale? L'amoar-
propre d'auteur y entrera-t-il à contrarier, & prodqire des
débais ? Le Francais réussira-t-il à fixer une Assemblée Na-
tionale, à élablir la forme de son électìon ?
Voltaire. Eh pourquoi non, sire, dès que des hommes de
. genie s'en mèlent, dès qu'on est sensible à la gioire ^'^^
le bienfaiteur de sa patrie?
Frédéric. Mais que deviendra l'Europe, cher Vollaìrei
et l'équilibre tant vanlé? et toules les menées sourdes da^
cabinets, que deviendront-elles?
DIALOGUB DBS HORTS. I13
Voltaire. Elles devìendroot ce qu'elles pourront; mais
quand méme la poliiìqqe changerail de face, le genre homaìn
auraìt-il de quoi.se pJaindre? La France jnsqa'à présent a
donne d^s pompons, des danseors, des frìseurs et desxoisi-
uiers au reste de TEarope;^ son tour est vena de lui don-
ner le sentiment de la Uberté. Tant que les prindpes dù
droit des ciloyens ont élé naturels à la Grande-Bretagne, ìls
étaienl détachcs du continent; le vulgaire regardait les Ab-
glais eòrame de bizarres hérétiques qui avaient une morale
feroce: inainlcnant, sire, c'est dans le centro du cóntinene
que les vérités lumineuses ònt para au grand jour; elles sont
respeclées, et le sereni dans des Itvres qui passent dans les
mains de toul le monde; on sera témoin de sa gioire et de
son bonheur. Enfantés par la nouvelle législatioo, on sera à
mème de comparer le despolisme que Fon souffre, avec la
liberto qu'on voit régner à deux pas: Tabus da poavoir de-
yieodra insapporlablcvle peuple sentirà ses forces, et suirra
tòt au tard Texemple de la France»
Frédéric. Ecoutez, patriarcJie, entre nons, jen'en serais
pas fàché; que mes suecessetrrs y pensent, c'est lear affaire.
Pour le roi mon nevea, illnminé, il joue le ròle de Louis XV;
colui qui lui succèderà pourra à son tour élre le restaarateor
de la liberté du Brandebourg, car Guillaume-Frédéric est à
l'abri par la gioire de mon règne» qui ne sera pas si tòl oublié.
Si les rois mes voisins n'avaient pas élé des despotes, s'ils
ne m'avaienl pas ìnsollé, croyez-vous que j'aurais quitte mon
cabinet, ma musique, la soeiété aimable des. gena de goùt et
d'esprit, pour les horreurs et le carnage de la vie miliiaire ?
A Vienne on se moquait de moi , on me raillait comme un
parvenu à la royauté: la hauleur autrichienne me for^a,
malgré moi, de devenir mt eonquéranL Les cabales des
cours, les inlrigues, les menées de cabinet me forcérent à
cabaler^ à intriguer, à surprendre à mon tour, et à foire
voir que méme dans ce métier j'étais babile aulant qu'un
autre. L'acharnement de mes ennemis, qui dans le Cond
haì'ssaient l'usage que je faisais de ma raison^et ne me par-
donnaient pas d'avoir foùlé aux pieds les préjugés dont ìls
étaient les esclaves, leur acharnement, dis*je, me forca à
114 DIALOGUB DKS MOtTS.
devenir soldat. Si l'Emope de mon temps eùt é(é gOQTernée
par des monaniaes limilés dai» leor poayoir; si les aatres
natioBS de l'Eorope eossent Teca sous ane constUnlìon libre,
je me aeraìs conteDté de yivre en paiT, de joair des plaisirs
dea beaax^rta, de les yoir éclore et flearir antonr de moi,
de rendre heareox mea compatriótes: ainsì, loin de m'oppo-
ser à Tolre présage, cher Voltaire, je regrette qu'il n'aìt pas
élé ayéré od aiécle ploa tòL
VcUafre. Je ne sais pas si yoes ètes sincère dans ce
moment; je sais hien qae voas prenez votre parti, mème fcì-
basy en homme d'esprit, eomme voas avez toojoars foit
Toatefois ne craignez pas poar yos soccessears : TAIlema-
gne ne se hàtera pas d'imi (er. Il faat qae les Espagnols et les
Italiens aìent aaparavant lear toar. Malgré lenr sapersCitìon,
malgré la corraplion des monirs, ils ont plas d'éteffé qoe
vos Allemands.
Frédéric. Adiea, Voltaire; je vais chercher Marie-Tlié-
rèse: je suis curieux de savoir la sensation qa'elle aora recoe
par les noavelles da joar, car elle ne les ignorerà sàrement
pas: ce gras Foulon en arrivant ici a fait tant de tapaget
Adiea, patrìarche.
Voliaire. Adiea, sire; et moi je m'en vais chercher ma
bonne marquise da Ghàtelet: il y a tonte apparence qoe ma
conversation sera plas amicale.
115
OSSERVAaONI
SULLE PROPOSTE FATTE DAI DELEGATI
AL CONSIGLIO GENERALE DI MILANO,
nella Consulta del 20 di gennaio 4792. *
Tre oggetti prìneipalnieiite si hanno di mira nella Con-
8uUa( sono: procurare un numeroso concorso alle adunanze
del Consìglio; discutere gli affari nella maniera più utile; e
rianimare la pubblica estimazione verso del Corpo Decurìona-
le. La proposizione di questi argomenti prova che aUualmente
vi sono (re mali da riparare, cioè: Y indifferenza di alcuni
Decurioni, un vizio nei determinare gli aflarì, e finslmenie
una diminuzione nella conQdenza pubblica verso del Corpo
che rappresenta la Ciltà. Questi mali essenzialissimi, perchò
di sommo pregiudizio alla patria, hanno eccitalo lo zdo dei
Signori Delegati ad opinare sui mezzi a ripararli ; ciascuno,
in seguito, venne incaricato d'esaminare la Consulta, ed espor-
re il proprio sentimento. Siamo concordi nell' ammettere i
mali ohe ci attorniano: ma non tnttr siamo della stessa opi-
nione sulla scelta dei rimedj.
Nella Consulta si considera necessaria la frequenza delle
adunanze, per rendere più solenni ed autorevoli le deHberatio^
ni, 0 per servire di esempio aUe altre civiche carieke. Io però
* Era gili al lermine la stampa di qaesto volume, quando ci pervenne copia
ddle presenti Osservaaioni ; alle quali siamo lièti di potere dar luogo, siccome
quelle che sebbene tpparìscano rapidamenu dettate, rivelano larghi coneetti , e
dinotano sempre più quanto fosse veggente lo ingegno del nostro Autore nel
concepire ed applicare i principi! di quel sistema parlamentare^ che trept^ anni
dopo divenne gius pubblico in Italia.
L'EniToKB.
110 OSSBRYAZIONI 9ULLB PBÒPOSTE
considero, che le adunanze le qoali devonsi tenere, come la
nostra, a porte chiuse, non sono atte a tal fine; ed altronde,
la pompa ed il decoro non sono certamente gli oggetti pri-
mari, né conformi ai tempi ed alle circostanze. — La fre-
quenza nelle adunanze è necessaria, perchè la Città è muta,
e non parla che per la bocca dei Sessanta Decurioni, che se-
condo la pratica di due secoli e mezzo sono destinati a par-
lare per tutti; e gli interessi di tutti debbono non essere
trascurati, ma conosciuti, esaminati, e discussi dal maggior
numero, e colla maggiore attenzione, dei Rappresentanti del
Pubblico. — Questo è il vero motivo per cui la indifferenza
di chi trascura di frequentare le adunanze è un male. Sa-
rebbe anzi colpevole questa indifferenza-, se nelle adunanze,
quali sono le nostre, si potessero realmente conoscere, esa-
minare e discutere gli interessi della patria; ma disgraziata-
mente non vi può essere colpevole alcuno neir attuale re-
golamento; quindi lo credo che non sia fondata la Consulta,
laddove sembra incolpare che la frequenza manchi per dì*
felto jdégli $timoli d^ onore e di patrioUitmo. Io sono stato de'
più negligenti nel presentarmi alle adunanze; e certamente
non sono mai stato insensibile agli stimoli d'onore e all'amore
della patria; e credo che lo' stesso che asserisco io con ve-
rità, k) potranno del pari asserire gli altri Signori Decarìoni
che rare volte Comparvero alle adunanze. Esaminiamo come
si tengano le Sessioni, e come vi si deliberino gli afikri.
Un biglietto d'avviso indica il giorno e l'ora, ma non
l'oggetto dell'adunanza. Compaiono i Decurioni, ignari del-
l'argomento, di nulla prevenuti. Si legge una Consulta, una
relazione , una proposizione qualùnque , che giunge naova
ed impensata al maggior numero. Non sempre, nemmeno
il subalterno lettore, ha chiarezza di voce e pronuncia
felice per essere inteso. La maggior parte, nella quale io
mi ripongo, rimane nell' oscurità sul merito dell'affare. Nes-
suno parla; nessuno può cercare lumi o spiegazione. Com-
paiono i bussoli. Si fa la proposizione; le rosse indicano:
amfàirme alla Consulta; le bianche: fare altra determinazione.
Conviene determinarsi: o ciecamente, o di credulità abban-
donarsi alla opinione di chi distese la Consulta, ovvero eie-
FATTB àt CONSIGLIO GENERALE DI MILANO. 117
camente rìcasarla. — Se prevalgono le bianche (caso assai
raro), allora V altra deierminazione da farsi ritorna agli stesai
Delegati di prima, ai qaali vagamente è notò che la prima
proposizione è bensì esclusa, ma ne ignorano il perchè; e
quindi stendono an' altra proposizione che viene poi nuova-
mente letta, e come la prima, difllcìlmente intesa ; onde, per
non lasciare eternamente in sospeso ogni affare, convien
pure una volta concorrere ; e postochè non mai è possibile di
schiarire col tempo dippiù gli affari, toma meglio approvare
di slancio le proposizioni. Asserisco quindi, che i Decurioni
sono coartati a dare una palla per il si o per il no sui pub-
blici oggetti, la maggior parte delle volte, senza poterli com-
prendere; per modo che, tutta la cognizione e potere del Con-
siglio generale condensato in alcuni pochi Decurioni, si ridaee
il maggior numero alla umiliante e noiosa comparsa di essere
affatto inutile al servizio del pubblico. -^ In questo stato, gli
stimoli d' onore ed il patriottismo allontanano dall' essere te-
stimonio insignificante del disordine.
Fintanto che il Consigliò generale della Città fu compo-
sto di cittadini eletti dalla Città stessa , per esercitare una
temporaria commissione, sempre si trattarono gli oggetti deHa
patria coli- uso deHa parola ; di che ci fanno fede i documenti
antichi. Poi, sotto il duro governo del Lautree, che di sua
autorità nominò sessanta, individui, destinandoli a parlare
per la Città, la cosa «ambiò di natura; e siccome quasi- tutta
l' incuinbenza del Consiglio dopo quell' epoca si limitò unica-
mente alle nomine, nulla vi è di strano se cessasse ogni oc-
casione di trattar affari còlla parola , ed unicamente colla
ballottazione si palesassero i suffragj. Cosi venne a stabilirsi
V usafìza di rimanere sempre in silenzio e passivi, non gi4i
per legge, ma per opportunità della cosa. Ma ora che il gè*
nerale Consiglio non solamente è ripristinato nelle sue anti
che costumanze, ma inoltre è aeereseiulo di rilevanti faeoUà
e prerogative, come leggesi nella Consulta, la necessità di
dipartirsi dall' adunanza muta, sembra indispensabile , se si
voglia che i lumi e le cognizioni de' Decurioni > liberamente
concorrano, come ò ragionevole, neNa determinazione degli
affari.
lig OSSBAVAXIOM SULLE PROPOSTE
Si {HTopone neUa Goosulta, per ottenere la frequenza
nelle aduoanze, di porre la pena ai mancanti. Ghiimqae, per
ite adunante consecutive» non intervenga, sarà privato per
«n anno d$l diriUo d* intervenire in Consiglio; i recidivi ri-
marranno sospesi per dae anni; e gli oUeriormenie conto-
mact a mancare, potranno anche essere aeacciati dal Corpo
Decurionale. — Questa legge umiliante e scolastica certa-
mente non contribuirebbe a conciliar la venerazione del po-
polo verao il ceto de' Decurioni. — Io non considero che sia
un diriUo personale questo d' intervenire in Consiglio: lo con-
sidero im ufi9cio pubblico. La frequenza alle adunanze è ne-
cessaria, perchè tutti gli agenti della Città concorrono a
provvedere agli ailari. Se per un anno veng^ interdetto ano
degli agentif la Città avrà un aiuto di meno. Se varj incor-
rono nella pena, si può ridurre in piccol numero r arbitrio
di disporre del denaro, pubblico. Quindi si accrescerebbe ii
male che si tenta di togliere; e la legge camminerebbe al
fine opposto a quello che si prefigge. Sarebbe minor male
il rieorrere al violento e duro partito di cassare per sempre
y individuo trascurato, anziché conservarlo nel ceto deca-
rionale dopo averlo macchiato colla interdizione d'un anno.
Non pare adunque ammissibile una tal legge, e sembra che
loveee di percuotere gli effetti convenga rimediare ^e ca-
gioni, riduoendo le Sessioni utili; offerendo i mezzi per ri-
fchiaiare le menti di ognnno sugU affari; aprendo T adito
ai suggerimenti di chiunque in Ì>enefìcio pobUico; uod oc-
cultando le cognizioni, ma spandendole, offrendole, e ditor
landò la confidenza e la luce. Cosi si renderanno le ado-
Banie tali, che ameranno d' intervenirvi lutti i buoni;
ponendo in comune le opinioni, ciascuno sarà animato dalla
speranza di contribuire ai servigio della patria. Allora na-
scerà la voiglia e Io zelo d' intervenire alle adunanze, dalle
quali allontanano presentemente la noia , il tedio è V omi-
liazione d' una antonomlca seduta, e la distanza mortificante
posta fra i pochi che conoscono e dirigono gli affari, ed i
■tolti che eondannati al meccanismo delk ballottazione noz
vi prestano ohe la presenza ed il nome.
Posto adunque per principio, che l'attuale mancaoza
FATTE AL CONSIGLIO GB>KRALE DI MILANO. ^1^
dalle Sessioni nasca dalla viziosa maniera colla quale si itàU
tano gli affari, il rimedio al primo disordine emanerà dal
baon sistema che s'introduca nella discussione degli attarì.
Conviene formarsi idee precise su questo importante ogget-
to. Gli affari si propongono prima, indi si esaminano, final-
mente si determinano. Se^ dopo la proposizione, cada im-
mediatamente la determinazione, tutto è azzardo e confusione.
NeMa Consulta si tratta di due estremi, cioè della "proposizwwie
e della deteriahiazione degli affari; e questi due estremi si
toccano per modo che sembra voglia escludersi per sistema
Tesarne, che è il vero ed unico fine per cui si fa l'adu-
nanza.
Nella Consulta sì suggerisce il continuare neW antico si-
stema, tuttavia osservato, di presentare lutti gli affari in
iscrìtto. Sicuramente che tale debb' essere per necessità il
modo d' ogni proposizione, non potendo fondarsi veruna de-
terminazione sulla mutabilità d'una vocale proposizione
che svanisce colle reminiscenze. Anche fe verbale relazione
converrà sempre si scriva all'atto in cui venga falla, e vò^-
gliasì indi passare a stabile determinazione. Stìnbfa qulihfi
da approvarsi pienamente il modo proposto nella Consulta ;
cioè la proposizione d' ogni affare sempre sia ridotta a scrit-
tura. Quanto alla determinazione dell'affare da prendersi
a palle segrete, sem1>ra opportunissimo il suggerimento della
Consulla dì prescrivere, e convalidare anche, se bisogna, con
nuovo decreto questo provvido metodo. — Ma debbo dire
che sarà sempre viziosissima la maniera di trattare gli affa-
ri , qualora gli stringano fra i due estremi, proposizione e de-
terminazione, escludendo l'esame intermedio, che n' è l'anima.
Questo esame non si può fare altrimenti che coli' uso
della parola. Tutte le adunanze 1' hanno sempre ammessa,
per modo che non solamente le altre Mense civiche e tutti
i Consigli delle città provinciali, tua perfino tutti i Capitoli
regolari e secolari, tulli i ceti, anche di più centinaia di
persone, non l' hanno proscritta giammai. Una adunanza di
muli, avanti di cui si fa una proposizione, e che sempre
passa, a palle segrete, a decidere senza discussione inter-
media, è un vero mostro che non ha esempio nel regola-
120 ossmr AZUMI sculb paoronB
mento di ogni alln adoDanza. Tale azzardo eia tollera-
bile fin tanto che il Consiglio generale si radunava, come
dissi, qoan nnicamente per ludlottare le elezioni e le no-
mine, come per lo passato ; ora che col soo assenso obbliga
il patrimonio di lotti i cittadini, e dispone delle spese, non é
possibile che la Città che rappresentiamo abbia la confi-
denza in noi, se trascuriamo di operare con inlnizione od
esame, e ciecamente ci riposiamo snila penetrazione e zelo
di alcuni pochi, ai quali accediamo per credulità. È un do-
yere della nostra onestà di considerarci come curatori del
patrimonio dei nostri concittadini, e non prestare mai l'as-
senso nostro, se non a causa ben conosciuta, con lealtà ed
esame. Non è possibile il tarlo in un' adunanza dove sia in-
terdetto per legge V uso della parola.
La mente degli uomini è fatta in modo, che facilmente
r attenzione si svia e si rivolge ad altri pensieri, quando ven-
ga ad ascoltare la lettura d' un affare il quale sempre non può
interessare per sé medesimo. A me, che non ho un orecchio
bastantemente sensibile, sfuggono anche le parole ed i pe-
riodi; se egualmente accada ai più remoti, ne dubito: ma,
dato che esattamente giunga il suono delle voci , asserisco con
franchezza e verità, che pochi reggono^ impadronirsi di slan-
cio, e cella prima lettura, della massima dell' affare. Nei tri-
bunali, per quanto un relatore sia esatto e chiaro sempre,
deve ascoltare delle interpellazioni, e ripetere cose già dette.
La natura umana è falla cosi; ed a meno di non volere che
la massa de' Decurioni precipiti , senza conveniente istruzio-
ne, la decisione degli affari, non si può contendere loro l' uso
della parola: la qual legge nuova, senza esempio, e direi an-
che ingiuriosa al Corpo Decurionale, crederebbesi dal pub-
. blico immaginala per l'odioso principio di conservare dispo-
ticanienle nelle mani di alcuni pochi individui tutta I' auto-
rità di cui a giuslo titolo deve parlecipare l' intero ceto de'
Sessanta. Io so che il pubblico farebbe torto ad alcuni col
supporre questa voglia esclusiva di dominazione; ma sicura-
mente una tal legge farebbe nascere siffatta opinione*
La singolarità poi di una legge, che proscriva da un Corpo
deliberativo l' uso delia parola, rende interessante l' esame
FATTE AL CONSIGLIO GENERALE DI MILANO. 121
dei motivi che hanno fatto nascere la proposizione. La Con-
salta gli espone eolle seguenti parole: Molli inconvenienti in-
separabili dalla manifestata conlrarielà delle opinioni, dalVim-
pegno di sostenerle reciprocamente , dalla conseguente collisione
e rivalità di parliti ^ e dalla seducente eloquenza non sempre
accompagnata dalla ragione o dalla prudenza.... Se questi mo<
tivi fossero attendibili , converrebbe dire, che latte le nume-
rose adunanze, nelle quali è permesso Tuso della parola, aves-
sero traviato, e che il migliore fra tutti i modi per dilucidare
e ben comprendere gli affari fosse la taciturnità. La conse-
guenza emana direttamente, e dalla natura di essa si pa-
lesa r indole della proposizione. Esaminiamo questi motivi.
Si teme la ma$Hfestata contrarietà delle opinioni. Temiamo
anzi le occulte contrarietà delle opinioni. -> Le adunanze si
fanno appunto per manifestarle in un liberale conflitto: cia-
scuno presenta il parer suo; si sviluppa l'affare, si mostra
sotto i varj aspetti, e si pone Y adunanza in grado di dare
i segreti suflragj a causa conosciuta. Le opinioni basse o in-
tetessate non osano manifestarsi; le opinioni erronee di
buona fede perseverano nel silenzio, e cedono alla luce della
verità.
Si teme l' impegno di sostenere le proprie opinioni. Chi so-
stiene una opinione ragionevole con impegno, è un uomo fer-
mo; chi con impegno sostiene una opinione irragionevole, è
un ostinato; non sembra esservi nulla da temere. La ballot-
tazione segreta decide.
Si temono collisioni e rivalità di parlilo. Se vi fossero
partiti, e rimanessero coperti dal silenzio, sarebbero più in-
sidiosi e funesti. I partiti manifesti produrebbero V ottimo
effetto della gara di vegliare perché nessuno oltrepassi i pro-
prj doveri , o li trascuri.
Finalmente si teme una eloquenza seducente, irragionevole
e imprudente. A me sembra che nessun motivo siavi di te-
mere quest' eccesso di raffinamento, e quest' abuso della elo-
quenza. Primieramente, non vedo che gli oggetti che noi trat-
tiamo possano somministrare materia per la seducente elo-
quenza, non sempre accompagnata dalla ragione, che è la
base della eloquenza. Poi, non credo incauti a tal segnò i Dc-
P. TF-ERI. Jppeiufice. . Il
i22 OSSiaVAXlOlfl STLU PftOrOlSTE
eorioBi da eedere faalneiile alb fedasìoiie. È ver» dM deHa
parola può fanene abuso come d'ogni altra cosa; na chi
volesse proibife il fioco, per limore ét^ incendj, toglie-
rebbe alla città qb elemento necessario alla vita. Chi da mia
adunanza proscrìTesse per legge Foso ddla parola, per evi-
tare P animosità , togliereUie da qnefla adunanza il solo
mezzo per esaminare gli oggetti soi quali deve determinare.
11 ceto de' Decurioni è tale pel numero, età, nascita ed edu-
cazione, che sicuramente si può parlare senza temere al-
cun inconveniente; ma sicuramente non si potranno mai far
comprendere ad essi gli affari , sintanto che vengono condo-
nati al silenzio, opportuno per le elezioni, inc<Nmpatibile colla
disamina degli aflkrì.Credo quindi non doversi in verun confo
stabilire per legge quel silenzio che sinora non è stato che
per usanza conservato. Credo anzi doversi espressamente di*
chiarare libera la parola a chiunque, giacché pia non ci ra-
duniamo per semplici elezioni e nomine, come dissi, ma per
conoscere della amministrazione dell'erario civico; e il si-
lenzio diventa nel nuovo ordine di cose incompatibile.
Né sarebbe di bastante supplemento alla discussione il
partito suggerito nella Consulta, cioè di lasciare alcuni giorni
di spazio fra la proposizione dell' affaree la decisione, e V esi-
bire in quell' intervallo le scritture nella Segreterìa; acciocché,
volendo un Decorìone esaminarle, lo possa, e stenderne anche
i rìliev] per consegnarli al capo del Consiglio, al quale deb-
bano parteciparsi. 11 qoal partilo, secondo leggesi nella Con-
sulta, ai signori Delegati sembra talmente opportano che
dicesi: CoW accennalo metodo si oUerrà il IripUee vantaq^,
d* informare più esallamenU deUe cose da determinarsi dai si-
gnori votanliy di risolvere i duòbjy e di abilitarli ad assentire
0 dissentire con piena cognizione di cauta. Su di che si pre-
sentano alcune osservazioni/
Si crede dunque, col proposto metodo, di poter émfor-
mare più esattamente delle cose da determinarsi dai signori vo-
tanti. I votanti ascolteranno la lettura di due earte, cioè la
relazione ed i rilievi ; e come si è detto' di sopra che di slan-
cio la semplice lettara non basta (laddove sia proibito V in-
terpellare e chiedere schiarimento)» invece di avere più schia-
FATTE AL CONSIGLIO GKNEfiALB DI MILANO. S23
riiè le menti» si accrescerà V oscarità e V incertezza , essendo
più difficile prestare l' attenzione seguita a dae carte che non
ad una sola. Potrà certamente esaere nel soo voto più intbr*
mate qoell' individuo che voglia frequentare abitaalmenle la
Segreterìa, e porsi a leggere i éocamenti; ma non è né co-
modo il metodo, né sperabile che i Decarìoni, oltre le Ses-
sioni, si assogettino a simile disciplina. Fare le adunanze
proibendo in esse ogni schiarimento, e condannare i volanti
ad informarsi nell^Archivio, per poi determinare in una se-
conda adunanza, non pare un metodo piano e ragionevole.
Si crede col metodo dì risolvere i dulbj. Non si risolve-
ranno certamente coiy ascoltare a leggere due carte, cioè la
proposizione e le opposizioni. I dubbj, non è possibile il ri-
solverli, ae non è permesso di proporli. Molti dubbj nascono
dalla intelligenza che ciascuno può dare ad utìa proposizio-
ne; mostrando il dubbio, si scioglie; nel silenzio non si
svolge mai, né si rischiara: i dubbj si propongono sul campo.
Si crede che col metodo suggerito potranno i Signori
Decurioni abilitarsi «d assentire o dissentire con piena co^i-
zione di causa. Anche i Signori Delegati conoscono adunque,
che nel modo attuale son costretti ì Signori Decurioni ad as-
sentire o dissentire senza piena cognizione di causa ; e que-
sto solo basta, perchè cessi il dubbio , gli assenti mancare
degli slimoli d'onore e di patriottismo. Ma col metodo propo-
sto, non si otterrà il fine, perchè pochi hanno ozio, mezzi,
abitudine al lavoro di p^nna, e pochi vorranno esporre la
estimazione propria in una scrittura polemica, alla quale
molti uomini, sebbene dotati di buon senso, sebbene anche
colti, o per mancanza di uso o per diffidenza di loro mede-
simi, difficilmente si esporrebbero; tanto più che colui che
prende la penna per esporre un parere contrario alla Con-
sulta, sarà sempre uno contro più ; e le animosità e i parliti
più facilmente nasceranno col mezzo della scrittura, che più
impegna, di quello che non facciano la voce e le obbiezioni
verbali.
Conchiudo dunque che il proposto mezzo non avrebbe
giammai il fine di recar lume bastante \yer determinare a
cosa conosciuta; mentre, come dissi, la rapida iettora della
124 OSSBRVAZIOm SULLS 1PROP08TB
proposta, e delle obbiezioni, e della risposta, caderà sempre
sotto la legge d'ogni scritto ascoltato leggere, ebe dai pia non
verrà mai esattamente compreso : oltre di che, le opiniooi di
ciascuno rimanendo sempre isolate (qniind' anche ciascano
potesse dare il suffragio con cognizione). Terrebbe tolto dalla
adonanza il fine stesso per cui le adunanze si fanno, cioè
quello di rischiarare reciprocamente le menti, palesando i
diversi pensieri, e discutendo opinione controt>pìnione ; unico
mezzo per accertare convenev4>lmente un partito: il che qua-
lora si faccia, saremmo sicuri che le proposizioni, che in av-
venire usciranno dal Consiglio di Città, saranno tali da poter
comparire ragionevoli ed opportune al Governo e ai triba-
nali: né ciò è seàipre accaduto per lo passato, con morti-
ficazióne anco di alcuni Decurioni, i quali avrebbono dalo
un suffragio opposto a quello che diedero, qualora aves-
sero avuto le notizie dell' affare che col discorrere acquista-
rono poi.
Né si creda mai che chi suggerisce di far uso della pa-
rola nel Consiglio de' Sessanta Decurioni intenda di permet-
tere un cicaleccio, e una contemporanea licenza di parlare.
Questo è quello che sembra assai temuto dai Signori Dele-
gati ; ma nessuna adunanza può tollerare un tal disordine.
Chiunque abbia a fare un breve quesito, e voglia anche dif-
fusamente parlar sull'affare, s'alzi ; e se è solo alzato, parfi,
e nessuno T interrompa. Se più ad un tempo s'alzassero,
parli prima l'anziano, indi tutti, secondo l'anzianità. Cessati
i discorsi, si paesi alla ballottazione. Se, dopo letta la propo-
sizione, nessuno si alzasse, si passi come ora alla ballottazio-
ne ; ma non saprei come potesse accettarsi la nuova proget-
tata legge d* inibire qualsivoglia mozione, rilievo ed arringo
verbale da* Signori Decurioni nel Consiglio, sotto V espressa
legge 4:he dal capo del medesimo col suono del campanello s* im-
ponga immeditOo silenzio altrasgressore, n( debba o possa aversi
alcun riguardo all'esposto in tal forma: legge, che sarebbe anche
da estendersi ai rilievi in iscritto prodotti suUe cose o risohi-
xioni della corrente Sessione.
Né credo possibile che i Signori Sessanta Decurioni, che
attualmente sono liberi, e potrebbero, volendo, parlare, siano
FATTE AL CONSIGLIO GENBBALB DI MILANO. 125
per proibire con legge a loro medesimi la facoltà di parlare,
e cosi condannarsi a perseverare neir ingiusta ed irragio-
nevole condizione di deliberare su i pubblici oggetti senza
poterli bene ed accertatamente conoscere.
Io non escluderei il savio ed opportuno suggerimento
proposto nella Consulta di non determinare gli affari di slan-
cio, ma d'interporre un termine adeqwHo a ciascun agl'are,
entro il quale siano le carte esposte nella Segreteria alla vi-
sione dei Signori Decurioni. Questo è un previde pensiero da
adottarsi ; ma non sempre otto giorni sarebbero un tempo
bastante, come infatti sì è veduto nella presente occasione
in cui si ò dovuto accordare più ampio spazio per V esame.
Né mi sembra conveniente il proibire che si faccia copia di
alcuna scrittura, qualora il Decurione da sé la faccia, e non
venga a stornarsi il lavoro de' scrivani della Segreteria, d'onde
non debbono uscir mai gli originali. Sembra conveniente
pure la consueta facoltà a ciascun Decurione di porre il suo
voto in iscritto, e consegnarlo al capo del Consìglio, per es-
servi letto ; ma non pare che sìa necessario porre in iscritto
il proprio sentimento, essendo ragionevole che anche a vo-
ce, ed a più universale intelligenza ciascuno lo possa espor-
re. Sembra ragionevole la proposta comunicazione de' rilievi
in iscritto ai delegati o Mense che fecero la proposizione;
ma se nella loro replica prendessero mai de' nuovi equivoci,
è giusto che finalmente chi vota nel Consiglio possa sulla re-
plica dire le sue occorrenze. Il tutto è maggiore della parte:
il Consiglio è più che la Delegazione: ella prepara gli affari, e
quello li determina ; quindi non sembra da adottarsi che le
risposte della Delegazione si debbano a dirittura leggere nel
Consiglio e tosto mandare a palle segrete : il qoal metodo da-
rebbe tutto il vantaggio contro dell'individuo che avesse
fatti i rilievi, che pure dev'essere ascoltato prima che si
passi alle palle segrete. Mi sembra però opportunamente
fatta la classificazione degli affari meritevoli di dilazione ,
quale viene posta all' allegato XIII della Consulta, il quale
in massima sembra da ritenersi, cioè : Bilanci preventivi e
consuntivi delle imposte; spese straordinarie di entità. E io
direi tutte le straordinarie aoche minime, contratti, e desi-
P. TERBI. Àpptndice, W
1^ o*atLVi\ hzio^i sCLLm WKirosiE
derafi d'oeiù serta- propoM««ni e «pplicic al SovraMo o al
GoT^rno, nuove oreantaaansni civiche e sislemaiiMn. c»se
<li petenti, éispense d'ordini, e deereli di ^M di mjfwimiix
oggetti lotti da detenùnr» non di slamò» neiCoMBgiio in
M MIO pmpe0ti, sa bensì cai tmpo pvemHnie cvnsmo
per esaminare le carte.
Nella Conwlla *i tratta del casn in cu « iniMyìdiio *rf
CoflMlio m adenti daBa (sessione eia cominciaiB. Si fii di-
slinjione dala Sessione per nomina, db Sessione per a^h-
rt -^ Si propone eh» qualora drihènai fcre nna nomina o
elexìone, si facciano dóndeie le saie dri palano prina^ per
VHOefhià d^mfpraqj eMugimlmmaro ée'r^tnti; e «pondo
mai venisse «ale ad m indivich» ■*& SesoioM, nele quali
dehbonsi defiberare gli aferi, propone la Consnlla in tal ear-
genza mmHMfifer HUenemmio, ed H rmUaiie immem pmm
amlémmire tsàUdmmmée fe méUeUe iéef^mtm e dMmiw.mm
Còda plnra^tUà ad eme reloHeeL Qoande pure Teusseil caso dì
differii asaentare an individoo daBa Sessione di nomine o
eiezioni, la Consnlta dice: rfeonofCMRio iwfepnMBftito 3 prwr-
gtghe la wkakme eM ntper$ti(€ nrnmnv, li^nehè smorv. Aspo
di atere adunque distinii i due casi di adnnansa per nomine,
e di adunanza per deliberazioni d* affari, e ncIT uno e nel-
l'aHro opinano i Signori Delegati non doversi scio^ere Tada-
nainra qualora lalimo à ossenti; H el« è talmente tagìoae-
Toir, cl»e non pare siasene fatto un problema. Soggiungeva
Consilia: Cùmprendermmo fe Eceettenze Vottre la noiaòHe di-
vtrrtlà dei due cari, e la raqkme nel primo di precwrmre néik
éUxi&ni oRe cariche ed impieghi la manima egua^iamadivoti,
emù la am$eguefuea nel ucondo di aiteneni àlwuiggior nuvnero
deqH hMrtdui odvmaH. lo non comprende alcuna notabile di-
versftà« Le elezioni cadono so quello cbe abbia ottenuto un
maggior nomerò df suffragi favorevoli; fa fluuftmà eguagUania
di voli, invece di contribuire alle elezioni, le rende incerte e
bisognose d'on secondo esperimento. Il Beeorione cbe si as-
senta dopo eorofttciata V adunanza non produce altro effetto
se non di sottrarre il suo volo; e cosi tanfo le deliberazioni
cbe le elezioni aliora saranno fatte con un voto di meno.
FATTE AL CONSIGLIO GENERALE DI MILANO. 127
Non sembra che questo sia un oggetto che meriti alcana di-
scussione, né sembravi motivo per formare un carcere o un
conclave per le elezioni; giacché questa antica usanza intro-
dotta per conservare il mistero, non serviva punto air og-
getto nemmeno allora, e tutto ciò che abbagliava e ne im-
poneva altre volte ai cittadini, inopportunamente si cerche-
rebbe di farlo ora rivivere, attese le mutazioni essenziali
accadute nelle opinioni generali da ctaqnant' anni a questa
parte; convenendo anche a noi , di collocarci in qualche
modo al livello de' tempi ne' quali vìviamo, e modellarci non
salle opinioni che furono, ma bensì sa quelle che sono nella
mente degli uomini nostri contemporanei.
I fallimenti sono un oggetto sul quale la Consulta ha
suggerito una legge, che, in massima, non può jueritare che
applauso. — Un uomo fallito è civilmente morto, e macchiato
d' infamia ; e con ciò solo si rende indegno di rimanere nel
Corpo rappresentante la Città. Un fallito é interdetto dal-
l'amministrazione del proprio patrimonio; e sarebbe un
vituperio ed un assurdo che potesse essere un agente ed
amministratore della Città. Pare saggia ed accettabile la pro-
posta legge con qualche piccola variazione : se per espellere
dal Corpo Decurionale un fallito abbia ciò la farsi mediante
fprtvia deliberazione del Consiglio, si dovrji temere che più
d' una volta la legge rimanga ineseguita. Le lagrime della
moglie , k) spettacolo de' figli innocenti , 1 riguardi per le
adunanze, porranno in tsonflitto l'umanità e la compassione
col dovere. Siccome il fallimento è un fatto legalmente ma-
nifesto, e sul quale non potrà mai nascere controversia, così
sembrerebbe più certa V esecuzione di quesla legge provvi-
da, qualora V atto stesso del legale aprìmento del concorso
tenesse luogo di deliberazione, e che prima di quest'atto
legale ognuno ricevesse sempre gli avvisi ; al momento dopo
quest'atto, autenticamente manifestato al Consiglio^ si pas-
sasse a considerare vacante la piazza.
Sembra fuori d' ogni dubbio la giustizia della legge pro-
posta, perchè esca datt' adunanza un Decurione, tostochè si
abbia a deliberare sopra di affare a cui siavi interesse perso-
nale 0 reale di persona congiunta in primo grado di parentela.
128 OSSERVAZIONI SULLE PROPOSTE
Parimenti^ le rinanzie al Decurionalo opportunamente
si consalta che né sieno condizionate né verbali.
Cosi pnre la nnova modula del giuramento, semplice e
chiara, persuade per adottarla.
E rispetto poi alla proposizione, che leggesì nella Con-
sulta relativamente alle elezioni de' nuovi Decurioni, di esclu-
dere tuta quelli che per le altuaU loro cariche, ingerenze ed
occupazioni saranno realmente e slàbilmenie impediti dal pro-
miscuo esercizio e disimpegno delle civiche; \* è da temere con
ciò si apra l'adito ai pochi che formano lo scrutinio, di re-
stringere la facoltà del Consiglio nella scelta, essendo inde-
terminati e vaghi i limiti, quali cariche o ingerenze sieno
incompatibili ; e, altronde, non è mai da presumersi che la
maggiorità de' voti del Consiglio generale sia per anteporre
soggetti inutili.
Il rimedio al disordine attuale consiste nel rìchiamare
all' intero Corpo la cognizione degli affari ; giacché é sempre
un pessimo sistema, quando le deliberazioni si fanno a nome
d' un Corpo numeroso, ove la collegialità sia di mera appa-
renza: essendoché ivi alcuni pochi, che realmente dispongo-
no degli affari, nemmeno compromettotio il loro nome; e po-
trebbero, volendo, impunemente coprire coi suffragi oUenuU
senza cognizione tutte le private loro mire a danno stesso
della cosa pubblica.
Per ultimo, si propone di formare una delegazione per
una generale riforma di ordini civici a qualunque rapporto,
segnatamente delle vettovaglie. Ne' tempi addietro si crede-
va che r unico mezzo per conservare 1* abbondanza fossero
le leggi vincolanti e coercitive; e se si farà la raccolta degli
ordini sulla vittovaglia, non si troveranno che le prove di
questa asserzione. L'uscHa dallo Stato della granaglia, il
trasporto interno, l'ammasso, erano proibiti, né si eseguiva-
no se non con licenza; ora non più vi sono tali impedimenti,
non notiOcazione di grani, non coartata introduzione nella
città. I principj dell' economia civile sono mutati, e sebbene
i vincoli diano un grado di autorità a chi amministra , da
molti si pensa che il moto spontaneo dell' industria e la
concorrenza libera dei mercanti stabiliscano su basi più si-
FATTE AL CONSIGLIO GENERALE DI MILANO. 129
cure la provvisione e il prezzo. Su di ciò, moir anni sono,
avendo io esposto il mio sentimento colla stampa, non pos&o
dipartirmene, perchè lutto quello che ho potuto osservare
ne' vent' anni consecutivi, mi ha confermato nella mia opi-
nione.
Ho esposto il mio sentimento coli' ùnico oggetto di sug-
gerire quello che a me sembra opportuno per rendere ope-
róso e sempre più onorato dal pubblico il Consiglio g^n^ale
della Città. Non si tratta se non di provvedere acciocché
regolarmente ciascuno dei Signori Sessanta possa contri-
buire al bene della patria. Tosto che questa strada venga
aperta, come è ragionevole, né scarseggerà la frequenza alle
adunanze, né si precipiteranno le determinazióni sugli affa-
ri, né mancherà la pubblica estimazione col suo assenso dt
convalidare la rappresentanza che assumiamo.
. Per ricapitolare quanto si è esposto, si subordinano gli
articóli,che, qualora fossero adottati dall'eccelso generale Con-
siglio, mi sembrerebbero conducenti a stabilire il buon ordi-
ne nelle venture Sessioni.
I. Gli affari, per regola generale, si proporranno in iscrit-
to. Se però a voce venisse fatta qualche proposizione, su di
essa non potrà prendersi deliberazione alcuna prima che sia
ivi scritta e letta.
II. Le deliberazioni sempre si faranno a ballottazione
segreta, e sarà nulla qualunque determinazione che fosse
presa altrimenti.
III. Dopo la proposizione d'un affare, chi abbia qualche
schiarimento da chiedere o riflessione da fare, dovrà, alzan-
dosi, dimostrarlo; e se trovisi solo alzato, potrà dire 1^ sue
occorrenze.
lY. Qualora più d'uno contemporaneamente si alzi, la
parola V avrà prima il più anziano, e poi per ordine di an-
zianità r avranno gli altri.
y. Non sarà permesso giammai l'interrompere chi parla;
ed in caso che ciò accadesse, il signor vicario per ufficio do-
vrà ricordare la legge a chi la trasgredisca.
VI. Gli affari del bilancio preventivo e consuntivo delle
imposte, le spese straordinarie, i contratti, le gapi^tche al
i30 OSfiBBTAZIOn SCLLB MOPOSTK EC
SoTrano o ^ Goremo, le nnoTe orgmiziazìoni ciylclie, le
dispeiue d'aldini e gli afiari di massimay dou si determiae-
raoBO nella adunanza in coi si |»ropongono, ma bensì in
esia si stabiltrà on tempo congruo per .esaminare le carte
nella Segreteria; indi in nnoTa adunanza saranno deliberate.
YIL Sarà lecito a ciasenno degli indiyidai dì avere nella
Segreterìa la comonicazione delle carte, delle quali al n^ YI;
però gli originali staranno sempre nella Segreteria, né sarà
lecito distrarre gir officiali per farpe copia.
yiIL Ciascuno dei Signori Deeorìonì potrà dare, anche
in iscritto, la sua opinione, la quale letta nella adananza,
dopo r uso conreniente, rimarrà poi negli alti.
IX. Se sopray venga ovvero parta alcuno dei Decurioni
durante la Sessione, non perciò rimarrà sospesa.
X. Dovrà assentarsi d^ll' aula chiunque, allorché sì ab-
bia a trattar afiari risgoardanti interesse personale o reale
di un di luì congianlo in primo grado. Ciò però non avrà
luogo per. le nomine.
XI. Tosto che sarà aperto il legale concorso dei credi-
tori sulla sostanza d'un Decurione, la di lui piazza rimarrà
vacante senz' altra determinazione, e si passerà nelle forme
alla successiva nomina.
XII. Non si ammetteranno rinuncie de'Sìgnorì Becu-
noni, se non lìbere ed in iscritto.
XIII. Si presterà dai nuovi eletti il giuramento , se-
condo la presentata modula più semplice.
FINE.
131
i INDICE.
I
S —
I
Pensieri sullo stato politico del Milanese nel i790 Pag. 1
' Orasione funebre per Giuseppe Secondo Inoperatore e Re 39
I * Dfcadensa del Papato, idea del Governo di Venetia e degli Italiani io
generale 47
I Memoria su Nicola Pecci 63
Dialogo fra T Imperatore Giuseppe Secondo ed un Filosofo 69
Pensieri di un buon vecchio, che non è letterato 79
Mosione del cittadino Verri municipalista alla Municipalità di Milano. 89
Metodo da cangiare le opinioni degli uomini 93
Modo di terminare le dispute 97
Lettera del Filosofo N. N. al Monarca N. N i03
Dialogue des Morts. 107 ,
Osseryaiioni sulle proposte fatte dai Delegati al Consiglio generale di
Milano, nella Consulta del 20 di gennaio 1792. . .' 115
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