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Full text of "Novelle morali di Francesco Soave. Nuova ed., riv. ed arr. di note tedesche"

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NOVELLE  MORALL 


NOVELLE  MORALI 


DI 


FRANCESCO  SOAVE. 


NUOVA  EDIZIONE 

RIVEDUTA,  ED  ARRICCHITA  DI  NOTE  TEDESCHE. 


VIENNA 

TENDLEE  &  COMPAGNIE. 


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NOVELLA  L 
fjJL  VEDOVA  AlfllEAIiATJL. 

LI olce  in  ogni  tempo  è  il  beneficio,  ma  vie  più  dolce  ^) 
quand'è  accompagnato  dalla  j*orpresa. 

Mentre  un  altissimo  personaggio  passava  una  mat- 
tina per  tempo,  incognito  e  tutto  solo,  per  un  sobborgo 
di  Vienna,  vide  accostarsegli  un  giovinetto  d'intorno 
a  dodici  anni,  il  quale  con  occhi  bassi ^)  e  lagrimosi, 
e  con  voce  smarrita  si  fece  a  domandargli  qualche  soc-  • 
corso.  L' aria  gentile  ^)  del  giovinetto ,  il  portamento 
composto  *),  il  rossore  che  il  volto  gli  coloriva,  in- 
terrotta ,  la  voce  inceri  a ,  fecer  sull'  animo  di  questo 
signore  una  viva  impressione.  Voi  non  avete  sem- 
bianza, gli  disse,  di  esser  nato  per  chiedere  la  li- 
mosina. E  che  mai  vi  muove  a  ciò  ?  —  Io  non  son 
nato  certamente ,  rispose  il  giovinetto  con  un  sospiro, 
in  cosi  misera  condizione-  le  sventure  di  mio  padre  e 
lo  stato  infelice ,  in  cui  trovasi  mia  madre ,  mi  vi  co- 
stringono. —  E  chi  è  vostro  padre  ?  —  Egli  era  un  nego- 
ziante che  acquistato  già  avea  di  molto  credito,  e  in- 
cominciava a  formare  la  sua  fortuna.  Il  fallimento  dun 
suo  corrispondente  lo  ha  rovinato  ad  un  tratto  da  capo 
a  fondo.  Per  nostro  male  maggiore  ei  non  potè  soprav- 
vivere alla  sua  sciagura,  e  dopo  un  mese  n'è  morto 

*)  Vie  più  dolce  —  beflo  fù§er.  —  2)  Bassi  —  nicbcrgefc^ta* 
8<n.  —  ')  L'aria  gentile  —  ^aé  frcunblic^c  9lu3fe^en.  —  *)  Porta- 
mento composto  —  ber  anfìónbige  ©ang. 

Soave,  Novelle.  I 


3  NOVELLA   I. 

di  rammarico  *).  Mia  madre ,  un  fratello  minore  ed  io 
siamo  rimasti  nell'  estrema  miseria.  Io  ho  trovalo  rico- 
vero presso  un  amico  di  mio  padre.  Mia  madre  s'  è  ado- 
perata finora  co'  suoi  lavori  a  sostener  sé  medesima  ed 
il  fratello  minore.  Ma  questa  notte  ella  è  stata  sorpresa 
da  un  male  violento ,  che  mi  fa  temere  della  sua  vita. 

10  son  privo  di  tutto,  ne  so  in  qual  guisa  poter  soc- 
correrla. Non  assuefatto  a  mendicare,  io  non  ho  pur 
coraggio  di  presentarmi  a  chi  mi  potrebbe  riconoscere. 
Voi,  signore,  mi  sembrate  straniero:  dinanzi  a  voi 
per  la  prima  volta  io  mi  sono  fatto  animo  ^)  a  vincere  il 
rossore  che  sento.  Deh!  abbiale  pietà  dell'infelice  mia 
madre  •  fate  eh'  io  possa  aver  modo  ')  di  sollevarla. 

Così  dicendo ,  proruppe  in  dirotto  pianto ,  da  cui 
l'incognito  si  sentì  tutto  commosso.  —  Sta  assai  lontano 
di  qui  vostra  madre?  — Ella  è  al  fine  di  questa  via, 
neir  ultima  casa  a  manca ,  al  terzo  piano.  —  Ce  egli 
stato  nessuno  a  visitarla?  —  Io  andava  appunto  cer- 
cando di  un  medico ,  ma  non  so  come  ricompensarlo, 
né  come  provvedere  ciò  che  per  essa  verrà  ordinato. 

11  signore  trasse  di  borsa  alcuni  fiorini,  e  a  lui  por- 
gendoli: Or  via,  correte  subito,  disse,  a  procu- 
rarle alcun  medico  e  a  sovvenirla.  Il  giovinetto  con 
le  più  semplici,  ma  insieme  più  energiche  espressioni 
di  un  cuore  riconoscente ,  rendutegli  le  grazie  più  vive, 
partì  di  volo. 

L' incognito  personaggio  frattanto ,  allorché  que- 
gli per  altra  parte  si  fu  allontanato,  deliberò  d'andare 
egli  stesso  a  visitare  l' inferma  vedova.  Salite  le  scale, 
entrò  in  unsf  cameretta ,  ove  altro  non  vide  che  pochi 
e  poveri  arnesi*) una  tavola  mal  commessa^),  un  vecchio 

^)  N'è  morto  di  rammarico  —  cr  #aib  barùber  oué   ®ram.  - 
~2)  ^^ij  son   fatto  animo— i(^  fa^te  SWnt^.  —  »)  Ch'io  possa 
aver  modo  —  ba^  ià)  SWtttel  imb  SfDegc  finbe.  —  *)  Poveri  arnesi 
—  atmfelige^  ^au^geròtl^.  —  ^)  Mal  commessa — ft^fedjt  giifams 
mcngefùgt. 


l.A    VEDOVA  AMMALATA.  3 

armadio,  un  letto,  ove  giaceva  rinferma.  e  un  altro 
letticciuolo  accanto.  La  donna  era  nel  più  profondo  ab- 
battimento, e  il  piccolo  figlio  appiè  del  letto  struggevasi 
in  pianto.  Cercava  quella  di  confortarlo;  ma  troppo 
ella  medesima  di  conforto  avea  mestieri.  li  personag- 
gio s'  accosta  intenerito ,  e;  fattole  cuore ,  incomin- 
cia, da  medico,  ad  interrogarla  del  suo  male.  Essa 
r  espone  succintamente  ;  indi  con  un  sospiro  :  Ah  ! 
signore ,  da  troppo  alta  cagione  deriva  il  mio  male,  e 
e  r  arte  medica  non  vi  ha  rimedio.  Io  son  madre ,  e  ma- 
dre infelice  di  troppo  miseri  figli.  Le  mie  sciagure  e 
quelle  de'  figli  miei  hanno  trafilto  già  questo  cuore 
troppo  profondamente.  La  sola  morte  può  metter  fine 
ai  miei  mali,  ma  questa  istessa  mi  fa  tremare  per  la 
desolazione  in  che  i  poveri  miei  figli  si  rimarranno.  E 
qui  si  fece  ad  esporre  le  sue  sventure ,  che  il  supposto 
medico  dissimulò  di  sapere,  e  che  gli  trassero  nuove 
lagrime.  Alla  fine:  Or  via,  disse,  non  disperale.  Com- 
piango le  vostre  calamità  ;  ma  il  cielo  è  provvido  ;  voi 
non  sarete  abbandonata.  Pensate  intanto  a  conservare 
una  vita ,  che  troppo  è  preziosa  pe'  vostri  figli.  Avre- 
ste voi  qui  un  po'  di  carta,  ove  scrivere  una  ricetta*? 
Essa  staccò  *)  un  foglietto  da  un  librettino,  sopra  del 
quale  esercitavasi  il  fanciullo  di  circa  a  sette  anni,  che 
era  appiè  del  letto.  L'incognito,  scritto  che  ebbe: 
Questo  rimedio,  disse,  comincerà  a  confortarvi;  ad 
altro  migliore ,  ove  bisogni ,  procederemo  in  appresso, 
e  fra  poco  io  vi  spero  guarita.  Lasciò  il  viglietto  sul 
tavolino  e  partì. 

Trascorsi  pochi  momenti,  ritornò  il  figlio  mag- 
giore. Cara  madre,  diss'egli,  pigliate  animo:  il  cielo 
ha  pietà  di  noi.  Vedete  come  un  signore  m' ha  larga- 
mente  sovvenuto  questa  mattina  :  questo  ci  basterà  per 

^)  Staccò  —  rif  ani. 

1*-      . 


4  NOVELLA  IL 

più  giorni.  Io  son  purito  pel  medico ,  e  sarà  qui  a  mo- 
menti: chetate  il  vostro  dolore  e  racconsolatevi.  Ah! 
figlio,  disse  la  madre ,  vieni  ch'io  t'abbracci:  il  cielo 
assiste  la  tua  innocenza:  deh!  possa  egli  proteggerla 
lungamente.  Un  medico  ,  eh'  io  non  conosco ,  è  partito 
in  questo  punto;  vedine  la  ricetta  sul  tavolino:  va  e 
recami  ciò  che  prescrive. 

Il  figlio  prende  il  viglietto,  e,  scorrendolo,  fa  un 
atto  di  estremo  stupore  :  il  riguarda  quindi  da  capo ,  il 
rilegge  ;  poi  alza  un  grido  :  Ah  madre  !  che  è  questo 
mai!  La  madre  attonita  gliel  leva  tosto  di  mano-,  e, 
leggendolo  impaziente  . . .  Cielo  !  .  . .  L' Imperadore! ... 
In  così  dire  le  cade  di  mano  il  foglio ,  e  sviene  *).  Il 
viglietto  era  un  ordine  dell'  augusto  Giuseppe  II,  in  cui 
le  assegnava  della  sua  cassa  privata  un  generoso  sov- 
venimento.  Il  medico  sopraggiunse  *)  opportuno  per  ri- 
chiamare la  madre  dallo  svenimento  in  cui  la  sorpresa 
l'avea  fatta  cadere.  Gli  apprestati  rimedi  in  breve  la 
riebbero  dalla  malattia,  prodotta  in  gran  parte  dalle 
afflizioni  dell'animo,  e  cosi  il  generoso  monarca,  ri- 
colmo di  lodi  e  di  benedizioni,  ebbe  il  piacere  di  ren- 
derle la  sanità  e  la  vita,  e  di  formare  la  felicità  di  un' 
onesta  famiglia  aspramente  perseguitata  dalla  fortuna. 


NOVELLA  IL 
RICCARDO    JUAClllIi. 

Kiccardo  Macwil,  figlio  di  un  r̀co  mercatante  di 
Dublino ,  all'  avvenenza  della  persona  e  alla  sagaci- 
tà')  dello  spirito  univa  un  cuor  compassionevole, 
che  ben  più  pregevoli  rendeva  in  lui  gli  altri  doni  della 

^)  Sviene — toirb  o^nmàc^tig. —2^  sopraggiunse  opportuno 
—  fam  gclegen.  — 3)  Sagacità  dello  spirito  — «Sc^arfiinn. 


RICCARDO  MACWIL.  5 

natura.  Trovandosi  egli  per  commerci  in  Algeri,  vide 
un  giorno  approdare  un  naviglio,  su  cui  erano  due 
giovani  donne  che  dirottamente  piangevano.  Intenerito 
a  tal  vista ,  si  avvicinò  a  domandarne  contezza  ;  e  udì 
che  erano  due  giovani  schiave  predate  recentemente, 
e  là  condotte  a  mercato.  Spinto  da  un  dolce  moto  di 
compassione,  ei  tosto  si  presentò  a  comperarle;  e,  pa- 
gato quanto  gli  avidi  corsari  da  lui  pretesero ,  con  pa- 
role cori  esi  si  fece  a  confortarle,  le  accompagnò  sulla 
sua  nave ,  dichiarò  ad  ambedue  eh'  esse  eran  libere ,  e 
eh'  egli  era  presto  ad  ogni  cosa  che  loro  abbisognasse. 
Caddero  a  si  inaspettata  generosità  le  due  donne  fra 
lo  stupore  e  la  gioia  a' suoi  piedi,  e  i  gemiti  si  conver- 
tirono nelle  voci  più  vive  di  giubilo  e  di  gratitudine. 

Erano  queste  amendue  di  aspetto  nobile  e  gentile,  e 
una  pur  anche  di  singolare  bellezza.  Riccardo  ne  fu 
colpito  *),  e  i  sentimenti  di  compiacenza  che  ispirar 
sogliono  ad  un  uomo  benefico  un  dolce  interesse  per 
le  persone  beneficale ,  i  sentimenti  di  riconoscenza  che 
nella  giovane  ravvisava ,  soprattutto  i  meriti  che  venne 
in  lei  discoprendo,  l'accorgimento,  l'ingegno,  la  sen- 
satezza, lo  spirito,  la  dolcezza  del  carattere,  la  leg- 
giadria delle  maniere,  gli  aperti  indizi  infine  di  una 
nobile  e  saggia  educazione ,  fecero  in  modo  eh'  egli  ne 
concepì  a  poco  a  poco  un  amore  ardentissimo.  La  don- 
zella, dal  conto  suo  già  a  lui  stretta  coi  dolci  legami 
di  gratitudine ,  vedendo  crescere  in  lui  ognor  più 
le  cortesi  premure,  trovando  in  esso  congiunti  ad 
un'  avvenenza  non  ordinaria  i  pregi  molto  migliori  di 
un  animo  collo  e  di  un  cuore  ben  fatto,  non  potè  a  meno 
di  non  sentire  per  lui  un'eguale  inclinazione. 

Riccardo  1'  andò  più  volle  pregando  con  dolce 
istanza*)  che  il  suo  nome,  la  sua  famiglia,  la  sua  pa- 

*)  Ne  fu  colpito  —  »urbe  bovon  tdxo^tn.  —  ^)  Istanza  — 
anfuc^en. 


NOVELLA.  II. 


tria  volesse  manifestargli.  Ella  fu  paga  di  palesargli 
che  Costanza  era  il  suo  nome,  che  Isabella  chiamavasi 
la  sua  compagna  ;  ma  il  pregò  a  volerle  permettere  di 
tacere  il  restante.  Bastivi,  disse,  che  il  cielo  non  mi 
fé'  nascere  indegna  delle  cortesi  attenzioni  che  voi  m' u- 
sate,  e  che  un  giorno  ben  esser  potrebbono  ricom- 
pensate. 

Arrivato  a  Dublino ,  Riccardo  presentò  al  padre 
le  due  donzelle,  narrò  per  qual  modo  le  avesse  acqui- 
state, né  seppe  tacergli  i  teneri  sentimenti  che  Costanza 
aveagli  ispirato.  Lodò  il  buon  padre  la  generosa  azione 
da  lui  fatta  nel  riscattarla,  ma  non  lodò  il  maritaggio 
eh'  ei  bramava  di  stringere  con  questa  giovane  straniera, 
non  parendogli  sulle  prime  che  troppo  bene  si  conve- 
nisse. Non  andò  guari  ^)  però  che ,  vinto  egli  pure 
dalle  nobili  maniere  e  à&lìe  amabili  qualità  che  in  lei 
riconobbe ,  a'  ferventi  desìderj  e  alle  ripetute  istanze 
del  figlio  non  seppe  più  far  contrasto.  Quando  Costanza 
udì  Riccardo  scoprirle  palesemente  l' amore  che  a  lei 
portava ,  amore  di  cui  ben  datò  aveva  innanzi  già  chiari 
segni,  madie  non  avea  mai  ardito  di  palesare  aperla- 
mente,  e  l'udì  insieme  offerirle  pur  la  sua  mano,  ben- 
ché ,  giiì  accesa  per  lui  del  pari,  vivissima  compiacenza 
nell'animo  ne  risenlisse;  ciò  non  pertanlo,  dubbiosa, 
anzi  agitata  si  stette  per  lungo  tempo.  Alfine  amore  la 
vinse ,  Riccardo  vide  coronati  i  suoi  voti  ;  e ,  innanzi  al 
finire  dell'anno,  un  figlio  il  più  vago  che  fosse  mai 
fu  il  dolce  frutto  della  loro  felice  unione. 

Passati  così  due  anni  ancora  fra  le  dolcezze  della 
domestica  pace  e  delfamor  più  puro,  Riccardo  fu  ob- 
bligato da'  suoi  affari  ad  intraprendere  una  nuova  e  più 
lunga  navigazione.  Al  dipartirsi  dalf  amata  sposa  le  la- 
grime furon  molte ,  uè  seppe  indurvisi  senza  portarne 

*)  Non  andò  guari-— Jiic^t  Irttigc  na^btt. 


RICCARDO  MACWIL. 


seco  il  ritratto ,  eh'  ei  fé'  legare  in  un  anello.  Dopo  vari 
viaggi  capitò  a  Palermo .  ove  un  giorno ,  mentre  egli 
stava  fissamente  contemplando  la  cara  immagine  ,  da 
cui  non  sapeva  tener  lungamente  lontani  gli  occhi ,  av- 
venne che  un  uom  di  corte  a  lui  dappresso  trovandosi 
la  riconobbe ,  e  al  re  prontamente  ne  die  Y  avviso.  Il 
re,  fattolo  tostamente  chiamare,  e  fingendo  tutt'  altro, 
e  il  discorso  traendo  di  una  in  altra  cosa ,  si  fé"  atten- 
tamente ad  osservare  l'anello.  Al  primo  mirarlo  ei 
sentì  nascere  in  cuore  un  turbamento  grandissimo  ;  ma 
pur,  vincendosi  e  dissimulando,  gli  chiese  placida- 
mente chi  queir  immagine  rappresentasse.  —  Gli  è  il 
ritratto  di  mia  moglie,  rispose  Riccardo.  —  Di  tua  mo- 
glie !  e  dove  si  trova  ?  —  A  Dublino  con  mio  padre.  — 
Oual  è  il  suo  nome  *?  —  Costanza.  —  È  naiiva  di  Dublino, 
o  straniera  ?  —  Ella  è  straniera ,  ma  di  qual  patria ,  o 
sire,  io  non  saprei.  E  qui  si  pose  a  narrargli*),  come 
tratta  l'avesse  di  mano  a' corsari,  come  condotta  seco  a 
Dublino ,  come  fatta  sua  sposa.  Il  re ,  tutto  udito  atten- 
tamente 5  senz'  altro  dire ,  comandò  eh'  ei  fosse  arre- 
stato. Fé' quindi  allestire  una  nave  immantinente  e  la 
spedi  a  Dublino,  perchè  tosto  Costanza  col  figlio  e  con  Isa- 
bella gli  fosse  condotta  di  ritorno.  Chi  dir  saprebbe  abba- 
stanza qual  fosse  la  costernazione  del  misero  sposo  allor- 
ché xide  il  pericolo  a  cui  l' imprudenza  del  suo  racconto 
l'avea  tratto?  Quale  l'orrore  e  lo  spavento  dell  in- 
felice Costanza,  quando  per  ordine  del  re  suo  padre  »i 
vide  presa?  Qu^lo  in  Dublino  la  desolazione'  del  mi- 
sero vecchio,  che  tutto  a  un  tratto  spoglialo  si  vide 
della  nuora ,  del  nipote  e  del  figlio  ? 

Arrivata  Costanza  a  Palermo ,  e  recata  innanzi  al 
re ,  sul  primo  affacciarsegli  ebbe  a  cader  di  terrore  *). 

*)  Si  pose  a  narrargli  —  fìng  an  i^m  ^u  erjà^tcìi.  —  2)  Sul 
primo  affacciarseg  i  ebbe  a  cader  di  terrore  —  bei  et^en  @ca 
fc^ctnen  ful^r  er  bctnaf;c  ani  ©c^recfcn  jufammen. 


S  NOVE  LLA  II. 

Pur  rincorata  e  prostesa  appiè  di  lui:  Sire,  gli  disse, 
io  debbo  rea  apparirvi  per  mille  capi ,  e  con  sommis- 
sione attendo  gli  effetti  dell'  ira  vostra.  Ma  questo  te- 
nero figlio,  ma  l'infelice  suo  padre  sono  innocenti,  e 
questi  io  prego  che  siano  salvi.  Sebbene ,  ove  pur  vo- 
lesse lo  sdegno  in  voi  dar  luogo  per  un  momento  all'usa- 
ta vostra  pietà,  me  stessa  forse  voi  trovereste  men 
rea  di  quel  che  or  debbo  sembrarvi.  Nel  fatai  giorno 
che  a  voi  mi  tolse ,  io  me  ne  stava  a  diporto  con  Isa- 
bella in  quella  parte  de'  reali  giardini  che  stendesi  verso 
al  mare.  Una  truppa  di  genie  ch'era  in  agguato  all'im- 
provviso ci  si  avventa,  e  via  ne  porta  amendue.  Lo  spa- 
vento ,  il  dolore ,  la  disperazione  ci  fece  mettere  altis- 
sime grida,  ma  furon  vane.  Il  Duca  di  Bari,  autore 
del  tradimento ,  ne  fé'  recar  sulla  nave  che  non  lungi 
avea  disposto ,  e  dar  subito  le  vele  ai  venli.  Io  con- 
fesso a' vostri  piedi,  o  sire,  che  il  mio  cuore  non  avea 
prima  saputo  schermirsi  da  lui  abbastanza;  ma  vi 
giuro  eziandio  che ,  ben  lontana  dal  condiscendere  ad 
una  fuga  sì  rea ,  da  quel  momento  io  lo  riguardai  come 
r  uomo  il  più  abbominevole  della  terra.  Arrivati  in  alto, 
noi  fummo  sorpresi  da  un  naviglio  di  pirati.  Il  combat- 
timento fu  lungo  e  ostinato.  Il  Duca  pugnò  da  uom  fu- 
rioso-, ma  alfine  pagò  con  la  morte  la  pena  del  suo  de- 
litto. Noi,  fatte  schiave ,  fummo  condotte  in  Algeri  per 
esser  vendute.  Un  giovare  ignoto  là  parve  spedito  dal 
cielo  a  nostro  scampo  0-  Ei ,  mosso  da  una  generosa 
compassione,  offerse  gran  prezzo  pel  nostro  riscatto  ^), 
e  r  ottenne.  Rendutaci  la  libertà,  non  v'ebbe  cortesia 
che  non  ci  usasse.  Ei  chiese  più  volte  qual  fosse  la  no- 
stra patria,  e  colà  promise  d'accompagnarci.  Ma  io, 
temendo  il  sospetto  che  voi  giustamente  aver  dovevate 
«h' io  fossi  complice  della  fuga,  temendo  gli  effetti  del 

^)  Scampo  —  3lettun0.  —  ^)  Riscatto—  goéfawfung. 


RICCARDO  MACWIL.  »• 

vostro  risentimento  %  mai  non  ebbi  coraggio  di  pale- 
sarmi. Ei  mi  condusse  a  suo  padre;  e,  dopo  avermi 
mostrate  per  lungo  tempo  le  cure  più  rispettose  ,  ben- 
ché straniera  gli  fossi ,  benché  ostinata  a  nascondermi, 
pure  m' offerse  generosamente  la  sua  mano.  Io  v'  ho  of- 
feso, 0  sire;  io  più  forse  non  merito  di  essere  da  voi 
riguardata  siccome  figlia  ;  ma  abbandonata .  com'  io 
credevami  da  lutto  il  mondo,  agitata  da  un  timore 
insuperabile  del  vostro  sdegno ,  disperata  di  mai  più  ri- 
vedervi, vinta  pur  anche  da  un  sentimento  di  tenera 
riconoscenza,  vinta,  diroltò  ancora ,  da  un  sentimenta 
più  dolce  che  m  ispiravano  le  sue  maniere  adorabili ,  io 
cedetti  e  accettai  d' essergli  sposa.  Punite  pure ,  o  sire,, 
punite  la  vostra  figlia ,  s'  ella  ha  meritato  il  vostro  ri- 
gore; io  non  saprò  lamenlarmene.  Ma  il  generoso  be- 
nefattore, cui  debbo  la  libertà  e  la  vita,  ma  questo  te- 
nero pargoletto  innocente ,  deh  !  non  vogliate  che  sof- 
frir debban  la  pena  di  un  delitto  che  lutto  è  mio. 

All'  udire  questo  discorso ,  che  1'  espressione  degli 
occhi,  del  volto  e  della  voce  rendea  più  energico  e 
più  efficace^),  il  re,  che  irato  e  severo  mostrai^ 
erasi  da  principio ,  sentì  calmarsi  a  poco  a  poco ,  e  finì 
per  esserne  infenerito.  L'atto  umile  e  dimesso')  in  cui 
era  Costanza,  i  suoi  singhiozzi  e  le  sue  lagrime,  il 
pianto  con  cui  il  tenero  fanciullino  vie  più  avvalorava 
quel  della  madre,  ebbero  pure  sul  cuor  di  lui  un  vi- 
gore grandissimo.  Egli  stese  alla  figlia ,  tuttor  prostesa 
a' suoi  piedi*)  amorevolmente  la  mano;  e,  sollevan- 
dola: Tu  m'hai  offeso,  le  disse,  slringendoti  senza 
mio  assenso  a  nodo  si  disuguale  ;  più  m' hai  offeso  du- 
bitando della  mia  clemenza  ,.  se  la  tua  fuga  era  stata  in- 

^)  Risentimento  —  Uniciflc.  —  2)  Efficace  —  irirffam.  — 
^)  L' atto  umile  e  dimesso  —  bic  bcmiitéige  unb  untcrtoùrfìgc  ^aU 
lunq.  — *;  Tuttor  prostesa  a' suoi  piedi  —  noc^  immer  gu  feincn 


IO  NOVELLA   H. 

nocenfe  -,  ma  poiché  io  veg^o  eh'  effetto  di  debolezza, 
non  di  animo  reo ,  sono  gli  oltraggi  che  tu  m' hai  fatto, 
io  mi  ricordo  tultora  che  ti  son  padre ,  e  ti  perdono. 
Cosi  dicendo ,  amorosamente  la  strinse  ,  e  ordinò  che 
Riccardo  gli  fosse  condotto  innanzi.  Un  torrente  di  la- 
grime versò  Costanza  a  questo  atto ,  lagrime  di  tene- 
rezza, di  gioia,  di  gratitudine;  e  il  re,  maggior- 
mente commosso,  pur  colle  sue  le  venne  accompag- 
nando. 

Riccardo  intanto,  che  era  stalo  sì  lungamente  in- 
cerlo  della  sua  sorte ,  agitato  a  questo  nuovo  ordine  da 
mille  terrori ,  pallido  se  ne  venia  e  tremante.  Allorché 
vide  Costanza,  un  gelo  improvviso  gli  corse  per  tutto  il 
«angue.  Ma  a  questo  succedendo  ben  tosto  un  ardore 
^e  un  trasporto  più  vivo ,  senza  riguardare  a  circostanti, 
.si  lancia  tra  le  sue  braccia,  e  lei  stringendo  ed  il  figlio 
alternamente ,  avvinto  ad  amendue  si  stette  per  lungo 
tempo  senza  potere  articolar  parola  ^).  Da  loro  alfine 
spiccatosi*),  e  cadendo  a' piedi  del  re:  Accetto,  disse, 
accetto,  0  sire,  oggimai  di  buon  grado  qualunque  sia 
il  vostro  decreto.  Poiché  m'é  dato  di  rivedere  i  due 
oggetti  a  cui  tutti  miravano  i  miei  voti ,  altro  più  non 
desidero.  Solo  vi  prego  che  essi ,  che  il  padre  mio . . . 
No ,  figlio ,  il  re  l' interruppe ,  no ,  non  prenderti  af- 
fanno, non  temere.  Al  tuo  racconto  ed  a  quello  di 
mia  figlia  (accennando  Costanza)  conosco  la  tua  inno- 
cenza ed  ammiro  il  tuo  animo  generoso.  Il  cielo  ha  vo- 
luto ricompensartene,  e  adoro  i  suoi  consìgli.  Vivete 
felici  amendue,  e  siano  i  vostri  figli  il  conforto  della 
mia  vecchiezza.  Crebbero  qui  le  tenerezze ,  gli  abbrac- 
ciamenti ed  il  pianto.'  Il  re  al  tempo  stesso  spedì  una 
nave  a  Dublino ,  invitando  il  padre  di  Riccardo  a  venir 
.seco  alla  corte ,   il  quale  con  dolce  trasporto  di  giubilo 

*)  Articolar  parola  — ®ort  nu^fpred^en.  —  2)  Spiccatosi  — 


NOVELLA  UL  11 

immantinente  vi  corse.  Benedetti  dal  cielo  qui  vissero 
tutti  insieme  i  di  più  lieti  e  più  giocondi-  e  Riccardo 
ebbe  pure  il  piacere  di  poter  quivi  più  largamente  eser- 
citare quella  beneficenza  che  era  stata  il  principio  della 
sua  fortuna.  

NOVELLA  III. 
Ili    QUADRO. 

J^on  è  ancora  gran  tempo  che,  èssendo  governatore 
di  Roma  monsignore  Enea  Silvio  Piccolomini,  un  onest' 
uomo,  a  cui  l'età  avanzala,  e  la  salute,  già  fattasi 
cagionevole  *),  non  permetlea  di  più  occuparsi  in  quel- 
l'arli  con  cui  sé  e  la  vecchia  sua  moglie  avea  sostenuto 
fino  a  queir  ora ,  costretto  videsi  dal  bisogno  a  dover 
vendere  di  mano  in  mano  le  poche  suppellettili  che  pur 
avea  per  mantenersi.  Era  tra  queste  un  piccol  quadro 
di  RafTaelo,  lasciatogli  già  da' suoi  avi,  ma  di  cui  egli 
non  sapea  conoscere  il  prezzo.  Il  fummo  che  l' avea  of- 
fuscato e  la  polve  onderà  lordo  pur  concorrevano  a 
farglielo  riputare  di  minor  conto.  Per  trarne  alcun  da- 
naro egli  raccomandossi  ad  un  pittore ,  il  quale  era  più 
abile  a  trafficare  di  quadri  altrui  che  a  farne  di  propri. 
Costui  non  si  tosto  ^)  veduta  ebbe  la  tela ,  che  ne  ri- 
conobbe il  pennello  ed  il  pregio.  Ma  abusare  volendo 
dell' imperizia^  e  della  necessità  der  buon  vecchio ,  in- 
cominciò a  beffarsene')  come  di. cosa  vile*,  e,  offerti- 
gli pochi  paoli,  cui  finse  pure  di  dargli  per  alto  più 
di  limosina  che  di  compenso  *)  al  valore  del  quadro, 
esultando  in  suo  cuore  del  ricco  acquisto  e  ridendosi 
della  dabbenaggine^)  del  povero  uomo,  sei  portò  via. 

*)  Cagionevole—  Qfhvt(S)lià).  —  ^)  Non  sì  tosto ~fo  6a(b 
ale.  —  3)  Beffarsene  —  barùber  gu  fpotten.  —  *)  Compenso  —  ©ts 
fa^.  —  5)  Dabbenaggine  — (Sinfàltigfeit. 


18  NOVELLA    III. 

Avvenne  dopo  alcuni  giorni  che  a  casa  di  questo 
capitò  un  vecchio  amico,  il  quale,  non  vedendo  più  il 
quadro  che  avea  veduto  altre  volte ,  gli  domandò  che 
ne  fosse.  Ei  rispose  di  averlo  venduto ,  e  disse  a  chi  e 
per  quanto.  Fremè  d'indegnazione  *)  l' onesto  amico  al 
veder  sì  tradita  la  semplicità  del  buon  vecchio  ;  e ,  as- 
sicuratolo che  l'opera  era  di  mano  maestra  e  di  gran 
valore ,  gli  fé'  coraggio  a  richiamarsene  innanzi  ^)  al 
governatore ,  al  quale  per  animarlo  vie  più  si  offerse 
egli  stesso  d'accompagnarlo. 

Il  saggio  Prelato,  udito  il  fatto  attentamente,  si 
fé' lasciare  le  misure  del  quadro,  e,  presa  notizia  di 
ciò  che  questo  rappresentava,    i  congedò  amendue. 

Erano  nella  sua  galleria  fortunatamente  due  qua- 
dri corrispondenti  a  un  di  presso  nella  grandezza  a 
quello  di  cui  trattavasi.  A  un  di  questi  ei  fé'  levare  la 
telale,  chiamato  a  se  il  pittore  :  Sapreste,  disse,  per 
avventura  trovarmi  una  tela  da  empiere  quella  cornice 
e  da  accompagnare  quest'altro  quadro?  —  Io  l'ho  ap- 
punto ,  rispose ,  ed  è  pittura  insigne  di  Raffaello  :  essa 
par  fatta  a  bello  studio  per  esser  posta  là  dentro.  — 
Or  bene ,  fate  dunque  eh'  io  la  vegga ,  replicò  Mon- 
signore: e  il  pittore,  partendo,  ritornò  tosto  col 
quadro. 

Figurava  ®)  questo  una  sacra  Famiglia  toccata  con 
la  maggior  maestria.  Ripuliti  dal  fumo  e  dalla  polve ,  i 
colori  n'erano  usciti  a  perfezione:  vi  si  vedeva  tutta 
r  esattezza  de' contorni,  la  morbidezza  delle  carna- 
gioni *),  la  vaghezza  dei  panneggiamenti  ^),  l' eleganza 
delle  figure ,  la  verità  dell'  espressione  che  caratteriz- 
zano Raffaello.  Messa  a  luogo  la  tela,  ove  quadrava  as- 

*)  Fremè  d'indegnazione  —  gitteru  i?or  Uiiwiden. — 2)  Ri- 
chiamarsene innanzi  —  iì)n  rufeu  obn  yorforDern.  —  ^)  Figurava 
—  fltUtc  bar. —  *)  Morbidezza  delle  carnagioni —bie  SQBeidj^eit 
ter  ^autfflrbe.  —  ^)  Panneggiamento  —  ìDrapirung. 


IL   QUADRO.  IS 

sai  bene  5  e  consideratala  per  alcun  tempo,  il  Prelato 
ne  chiese  il  prezzo.  Io  n'  ho  2:ià  pronti ,  disse  il  pittore, 
dugento  zecchini  :  ieri  un  amico  me  gli  ha  offerti  per 
un  Inglese  eh'  è  impaziente  di  farne  acquisto.  Io  gli  ho 
rifiutati ,  tenendomi  fermo  *)  sopra  i  dugento  cinquanta, 
che  r  opera  ben  li  vale  :  pur  quando  a  Vostra  Eccel- 
lenza ella  piaccia,  di  qualunque  accrescimento  alla 
prima  esibizione  mi  terrò  pago. 

Inorridì  il  Prelato  alla  malvagità  del  ribaldo  :  ma, 
tuttavia  dissimulando,  venne  dicendogli  tranquillamente 
eh'  ei  già  non  voleva  contendere  che  il  quadro  non  fosse 
di  molto  pregio;  e  che  molto  non  meritasse:  ma  che 
non  sapea  con  tuttociò  persuadersi  eh'  egli  avesse  avuto 
cuore  di  ricusare  una  esibizione  sì  fatta.  Uscì  il  pittore 
nelle  proteste  più  gravi  e  più  solenni ,  che  punto  non 
aggiungeva  alla  verità,  e  che,  quando  a  Monsignore 
fosse  piaciuto,  l'amico  stesso  gli  avrebbe  condotto  in- 
nanzi per  confermarla. 

Voi  n  avete  dunque  di  certo,  replicò  quegli,  1'  e- 
sibizione  di  dugento  zecchini?— Io  l'ho,  Monsignore, 
e  assai  più  ancora  posso  sperarne.  —  Or  bene  :  non  più. 
Aprasi  tosto  quella  portiera,  disse,  rivolto  ad  uno 
de'  camerieri.  Fu  aperta  :  ed  ecco  apparire  il  buon 
vecchio  che  egli  aveva  fatto  a  sé  venire  e  tenere  frat- 
tanto colà  nascosto.  E  facile  a  concepire  qual  colpo 
orribile  fosse  al  pittore  questa  veduta  improvvisa.  Egli 
impallidì  e  incominciò  a  tremar  tutto  quanto.  Il  Prelato, 
lasciatolo  alcun  tempo  alla  sua  confusione,  quindi 
con  aria  ^)  di  severa  autorità  :  Così ,  scellerato,  s'  a- 
busa,  disse,  dell'ignoranza  e  della  necessità  di  un 
infelice?  Nell'atto  che  tu  il  tradivi  sì  iniquamente,  non 
hai  tu  allora,  sciagurato,  sentito  fremere  la  natura? 
Il  pane  che  tu  frodavi  ad  un  vecchio  cadente  non  ha 

*)  Tenendomi  fermo  sopra  —  bej^anb  ouf.  —  ^)  Con  aria 
ec  —  trai  i^m  mit  ®rn|ì  cntgcgen. 


14  NOVELLA  IV. 

saputo  niun  rimorso  destarti  in  cuore*?  Anima  esecra- 
bile! ben  sai  la  pena  che  alla  tua  malvagità  si  dov- 
rebbe. Troppa  clemenza  è  il  darti  sol  la  condanna  che 
hai  tu  medesimo  pronunziata  :  ma  il  ciel  ti  guardi  da 
nuovo  delitto ,  che  il  fio  ben  pagherai  aspramente  del- 
l'uno  e  dell'altro  ad  un  tempo  solo.  Or  i  dugento 
zecchini  che  per  tua  confessione  quella  tela  si  merita 
e  che  protesti  d' aver  già  pronti ,  darai  tu  incontanente 
a  quest'  uomo:  una  nuova  frode  che  di  te  giungami  al- 
l' orecchio  sarà  la  tua  perdita. 

Atterrito ,  interdetto  partì  il  pittore  ;  con  lagrime 
di  tenerezza  e  di  riconoscenza  il  buon  vecchio  benedisse 
mille  volte  il  suo  saggio  benefattore:  questi  gustò 
con  pienezza  il  piacere  di  aver  sollevato  un  miserabile 
oppresso,  e  colto  nella  propria  rete  un  truifatore 
ribaldo  *). 

NOVELLA  IV. 
DAlflOJVi:   E   PITIilL. 

Ij'emea  Siracusa  sotto  alla  tirannia  di  Dionigi.  Quest' 
uomo  feroce,  usurpato  con  le  frodi  e  con  le  violenze 
il  trono,  col  terrore  e  con  la  crudeltà  cercava  soste- 
nerlo. I  sudditi  infelici  nell'  atto  che  tutto  il  peso  sen- 
tivano dello  sue  oppressioni ,  eran  coslretfi  a  soffocare 
loro  malgrado  anche  i  più  giusti  lamenti:  ogni  do- 
glianza^)  che  avessero  osato,  era  delitto  di  morte. 

In  mezzo  allo  spavento  universale  Pitia,  giovane 
fervido  e  risolulo  *),  non  seppe  frenare  i  trasporti 
della  sua  indegnazione.  Ad  un  esempio  eh'  ei  vide  della 
barbarie  del  tiranno  osò  levare  la  voce  e  deplorare  al- 

^)  Truffatore  ribaldo  —  flciiber  atelier,  ©auner.  —  ^)  Do- 
glianza —  ^rage.  —  ^)  Fervido  e  risoluto  —  glu^enb  unb  tnU 
fc^loffen. 


DAflONE  E  PITIA.  16 

tamente  le  calamità  della  sua  patria  ;  ma  troppo  caro 
ebbe  a  costargli  il  suo  sfogo  ')  e  la  sua  imprudenza. 
Le  spie  che  Dionigi  teneva  per  ogni  parte  assoldate  ne 
recarono  prontamente  l' annunzio.  Il  tiranno ,  acceso 
d' ira ,  ne  giurò  fiera  vendetta  •  e  il  giovane  infelice  si 
vide  tosto  da  una  squadra  d' iniqui  satelliti  *)  circon- 
dato e  tratto  prigione. 

In  queir  istante  s' avviene  in  lui  Damone ,  giovane 
d  esimia  virtù,  e  che  amava  Pitia  quanto  sé  stesso. 
Colpito  a  tal  vista  dal  più  vivo  dolore,  a  lui  s'accosta 
affannoso.  Mio  caro  Pitia,  deh  eh' è  mai  questo*?  Che 
hai  tu  fatto?  Forse  la  tua  inavvedutezza,  il  tuo  ardore 
soverchio  *? . . .  Sì ,  amato  Damone ,  quello  che  tu  hai 
predetto  più  volte  è  alla  fine  avvenuto.  Io  non  ho  sa- 
puto imitarti ,  non  ho  saputo  abbastanza  seguire  i  tuoi 
consigli:  ho  detestata  lungamente  in  segreto  la  cru- 
deltà del  tiranno,  facendo  forza  a  me  medesimo  per 
obbedirti,  ma  alla  fine  il  mio  sdegno  ha  voluto  mani- 
festarsi ;  a  tanti  esempi  di  barbarie  non  ha  saputo  più 
star  nascosto.  Veggo  che  io  ne  morrò,  ma  ad  una 
schiavitù  si  obbrobriosa  la  morte  è  da  preferire-  Solo 
m' incresce  del  vecchio  mio  padre,  della  mia  tenera 
sposa,  de' figli  miei.  A  te,  amico,  li  raccomando:  tu 
li  consola  per  me  \  tu  gli  assisti  :  io  non  avrò  più  a 
lagnarmi  del  mio  destino.  I  rei  ministri  non  consenti- 
rono che  i  due  dolenti  amici  s' intertenessero  più  a 
lungo  :  strappati  a  forza  l' uno  dall'  altro ,  rimasero 
crudelmente  divisi:  Pitia  fu  strascinato  alle  carceri,  e 
a  Damone  non  fu  pur  concesso  di  seguitarlo. 

Oppresso  dal  più  intenso  dolore  andò  questi  per 
r  animo  ravvolgendo  mille  diversi  pensieri ,  cercando 
pure  se  alcuna  via  trovar  potesse  a  scamparlo^)  ma 
niuna  se  gli  offeriva.  Dopo  molto  riflettere  e  molto  on- 

*)  Sfo^o  —  @rgie^unfl   feineé  .^et^en^.  —   ^)    Satelliti  — 
•Óàfe^er.  —  ^  )  Sraraparlo  —  iì}n  gii  relten. 


16  NOVELLA  IV. 

deggiare  *),  or  l' una  cosa  scegliendo ,  ora  V  altra ,  e 
tutte  poi  rigettando  siccome  inutili  o  inopportune ,  ri- 
solvette alla  fine  di  presentarsi  a  Dionigi  medesimo. 
In  mezzo  a  guardie  numerose,  da  cui  il  tiranno,  agitato 
da  mille  interni  timori,  non  era  mai  abbandonato  un 
momento ,  egli  venne  alla  presenza  di  lui  introdotto. 
Prosteso  ^)  a  lui  dinanzi  :  Signore ,  gli  disse ,  un  gio- 
vane infelice  è  stato  per  tuo  comando  testé  condotto 
in  catene.  Io  non  vengo  a  far  difese  per  lui,  né  a  chie- 
der perdono  :  sebbene  il  suo  delitto  sia  stato  effetto 
soltanto  d'impeto  giovanile,  egli  è  reo  a' tuoi  occhi, 
e  ciò  basta.  La  sola  grazia  eh'  io  ti  domando  è  che  la 
pena  che  gli  destini  sia  differita  di  qualche  giorno. 
Egli  ha  lontano  di  qui  il  padre  languente ,  la  sposa ,  e 
due  teneri  figli  che  troppo  hanno  mestieri  della  sua 
presenza.  Permetti,  signore,  ch'io  m'offra  ostaggio 
per  lui ,  che  io  prenda  per  pochi  giorni  le  sue  catene, 
che  a  lui  sia  libero  intanto  di  rivedere  per  l' ultima 
volta  la  sua  famiglia,  comporne  gli  affari,  riceverne 
gli  estremi  abbracciamenti.  Ei  tornerà  senza  dubbio  al 
fissato  termine;  e,  dove  pur  mancasse,  la  morte  mia 
pagherà  il  suo  ritardo. 

Stupì  Dionigi  all'  udir  sì  nuova  profferta  ;  e,  mosso 
a  curiosità  di  vederne  l' effetto  :  Ebbene ,  disse ,  due 
giorni  io  gli  concedo:  tu  intanto  sarai  prigione  per  lui; 
ma  pon  mente  che  se  l' aurora  del  terzo  giorno  non  lo 
rivede  in  Siracusa  tu  sarai  il  primo  a  portarne  la  pena- 
Lieto  Damone  della  risposta,  corre  immantinente 
alla  carcere  dell'amico,  Ivi  di  propria  mano  disciolti 
a  lui  i  ferri,  e  cintone  sé  medesimo'),  con  affettuosa 
premura:  Va,  dice,  tu  stesso,  va  a  confortare  tatua 
infelice  famiglia:  due  giorni  interi  t'accorda  Dionigi, 
de'  quali  potrai  usare  senza  sospetto.  Questi  bastano  a 

*)  Ondeggiare  —  fdjtoanfcit,  — 2)  Prosteso  —  niebergefatten. 
—  ^)  cintone  sé  medesimo  —  M  f»l&l^  bamit  umgùrtenb. 


D AMONE   E  PITU.  1» 

procurarti  una  nave  e  salvarti;  sollecitudine  soprattutto 
fa  di  mestieri  :  vanne .  non  perder  tempo. 

Attonito  Pitia  a  queste  parole  :  Io  fuggire  ì  io,  la- 
sciarti al  furore  dello  spietato  tiranno?  Deh  cosi  dun- 
que or  mi  conosce  Damone?  Rendimi  tosto,  rendimi 
quelle  catene ,  se  è  tuo  avviso  *)  che  in  animo  ca- 
der mi  possa  viltà  e  perfidia  sì  esecrabile.  — No,  rispose 
Damone ,  viltà  e  perfìdia  non  sanno  aver  luogo  in  un 
animo  qual  è  il  tuo  ;  se  io  potessi  in  te  sospettar  senti- 
menti siffatti,  già  non  saresti  mio  amico.  Ma  né  viltà, 
né  perfidia  farà  eseguire  quel  ch'io  t'impongo.  Tu  hai 
un  padre,  una  moglie,  due  figli,  a  cui  devi  la  tua 
vita ,  e  che  mal  potrebbero  senza  te  sostenersi.  Io 
non  ho  più  nessuno  per  cui  importi  di  vivere:  e 
il  morire  per  un  amico,  qual  tu  mi  sei,  il  più  dolce 
per  me  sarà  di  tutti  i  piaceri.  —  Ah!  d'un  piacere  sì 
fatto  tu  non  godrai  certamente ,  replicò  Pitia  :  andrò  a 
compiere,  io  medesimo,  poiché  t' aggrada  '),  gli  estremi 
uffici  di  natura;  ^ andrò  a  dar  l'ultimo  addio  a  mio  pa- 
dre ,  alla  mia  sposa ,  a'  miei  figli  :  ma  domani  al  pri- 
mo romper  dell'alba  mi  rivedrai.  Te  ad  essi  lasciando 
in  mia  vece ,  farò  loro  un  dono  più  grande  :  e  con 
questo  bene  io  spero  di  consolarli.  Cosi  dicendo ,  ab- 
bracciò caramente  il  generoso  amico,  che  seco  confuse 
i  baci  ed  il  pianto ,  e  frettoloso  s' fncamminò  alle  sue 
terre. 

Ma  cade  il  secondo  giorno  e  forse  il  terzo ,  e 
Pitia  non  si  vede  comparire,  Damone,  persuaso  nell'  a- 
nimo  che ,  cedendo  alle  lagrime  della  desolala  famiglia, 
procurato  ei  si  fosse  Io  scampo,  era  pieno  di  giubilo. 
Dionigi ,  all'  incontro ,  credendosi  da  lor  beff'ato ,  salì 
nell'estreme  furie:   e  nel  bollore  dell'ira  sua  ordinò 

*)   Se  è  tuo   avviso  —  tìjenr.    2>u    ì>n    SJieinung   tifi.  — 
T' aggrada  —  2)ic  bdieU. 

Soave,  yovclle.  O 


18  NOVELLA   IV. 

che  Damone  fosse  tratto  immantinente  al  supplizio  che 
aveva  a  Pitia  destinato. 

Sparsesi  per  la  città  il  tristo  annunzio,  e  folto 
s'aduna  il  popolo  sulla  piazza  a  vedere  il  miserando 
spettacolo.  Quale  compiange  quivi  il  tradito  amico, 
quale  detesta  la  perfidia  del  traditore,  ognuno  con- 
danna fra  se  medesimo  la  crudeltà  del  tiranno.  Questi 
in  mezzo  a  mille  armati  sedendo  su  d'alto  trono  gira 
d'intorno  terribile  gli  occhi  infiammati  di  sdegno,  e 
tutta  mostra  l' impazienza  della  vendetta.  Damone  inca- 
tenato si  avanza  col  carnefice  a  fianco.  Ognun  s' arre- 
tra 0  alla  vista  compassionevole  :  un  fremito  di  pietà 
insieme  e  di  raccapriccio  commove  ogni  cuore  ;  su  gli 
occhi  di  tutti  si  veggono  tremolare  le  lagrime ,  che  più 
non  sanno  celarsi.  Nel  comune  dolore  Damone  sereno 
si  mostra;  ei  benedice  in  suo  cuore  gli  Dei  che  riu- 
scite sieno  a  buon  termine  le  sue  brame ,  che  il  caro 
amico  sia  salvo. 

Arrivato  in  mezzo  alla  piazza ,  tranquillamente  sta 
egli  attendendo  il  fatai  colpo  :  e  già  bendati  son  gli  oc- 
chi, già  nudo  è  il  collo,  *ià  il  ferro  lampeggia  in  alto, 
quando  all'improvviso:  Ferma,  s'ode  gridar  di  lon- 
tano, ferma,  crudele;  e  ansante,  e  tutto  coperto  di 
polvere  e  di  sudore  si  vede  un  giovane  precipitoso  af- 
frettarsi. A  tal  voce  ognun  si  volge  sospeso,  e  gli  fa 
largo.  Egli,  giunto  nel  mezzo:  Sien  grazie,  esclama 
raccogliendo  affannosamente  gli  spiriti,  sien  grazie  al 
cielo,  che  il  dovere  di  figlio  non  mi  ha  tolto  ili  com- 
piere a  quel  d'amico  :  poi  corre  impaziente  a  Damone, 
e  sul  collo  se  gli  abbandona.  Qui  nasce  nel  popolo  un 
bisbiglio^)  confuso  di  pietà ,  di  maraviglia ,  di  gioia: 
È  Pitia,  è  desso,  l'un  dice  all'altro:  deh  chi  l'avrebbe 
mai  più  aspettato  ?  Chi  1  crederebbe? 

*)  S' arretra  —  6ei)t  ^mM.  —  ^)  Bisbiglio  —  ©efìùfter. 


DAMONE  E    PITIA.  19 

Pitia  intanto,  staccatosi  dall'amico,  intrepido  sì 
presenta  a  Dionigi,  che  estatico  lo  riguarda,  e  appena 
crede  a  se  stesso.  Qui  alfin  tu  miri,  gli  dice,  la  tua 
vittima;  mi  s'affretti  il  supplizio,  e  l'innocente  si 
sciolga.  Troppo  dura  necessità  mi  ha  costretto  a  sì  lungo 
ritardo  :  il  padre  mio,  misero  padre  !  all'  udire  la  nuova 
del  mio  destino  cadde  improvvisamente ,  quasi  colpito 
da  fulmine ,  e  indarno  io  ho  usato  ogni  mezzo  per  ri- 
chiamarlo ;  a  dispetto  d' ogni  arte  questa  notte  mede- 
sima io  ho  avuto  il  dolore  di  vederlo  spirare  sotto  a' 
miei  occhi.  Qui  il  pianto  per  alcuni  momenti  lo  inter- 
ruppe :  e  poi  ripigliò  :  A  tutta  forza  io  mi  rapii  tosta- 
mente alle  braccia  della  sposa  desolata  e  dei  figli,  e 
m'  aff'rettai  al  ritorno.  Ma  cercar  volendo  la  via  più 
breve,  nel  buio  della  notte,  io  mi  smarrii,  per  un  bosco, 
dove  errai  fino  all'alba  per  intralciali  sentieri  che  mi 
guidarono  più  lontano.  Rimesso  finalmente  sul  noto 
cammino,  raddoppiai  i  passi,  e  troppo  godo  di  es- 
sere giunto  a  tempo.  Rendimi  adunque,  rendimi  i  miei 
ferri ,  e  l' amico  sia  libero  :  altro  da  te  non  bramo. 
A  tale  racconto  ninno  v'ebbe  che  più  potesse  frenar 
le  lagrime;  e  il  tiranno  medesimo  sentì  in  cuore 
un  movimento  di  nascente  pietà  che  cercò  invano  di 
soffocare.  Ordinò  egli  frattanto  che  Damone  fosse  di- 
sciolto ').  Ma  qui  ecco  sorgere  un  nuovo  prodigio, 
che  vieppiù  accresce  negli  spettatori  la  maraviglia 
ed  il  pianto.  Damone  ricasa  che  più  si  debbano  a 
Pitia  le  sue  catene.  È  già  trascorso ,  dice  egli,  il  pre- 
scritto tempo  ;  ora  a  me  tocca  il  morire  ;  tu  alla  sposa 
ritorna  ed  ai  figli.  —  II  tempo  di  renderti  la  libertà, 
risponde  Pitia  piangendo,  finché  tu  vivi,  non  può 
mai  esser  trascorso;  e  ([uesta  per  ogni  legge  e  per 
ogni  ragione  è  a  te  dovuta.  Damone  insiste    nel  ricu- 

*)  Disciolto  —  befreit, 

2* 


30  NOVELLA  V. 

sare  ;  la  nobil  gara  ')  s'  accende  vie  più  ;  ognun  dei  due 
ad  alta  voce  domanda  a  Dionigi  la  libertà  per  Y  amico 
e  la  morte  per  sé  medesimo. 

A  si  virtuoso  contrasto,  quel  cuore,  benché  di 
ferro  ,  non  seppe  più  lungamente  resistere.  Vinta  la  na- 
tiva crudezza  ^)  la  libertà,  la  vita  si  deve,  disse,  ad 
amendue,  e  ad  amendue  la  dono.  Ma  una  si  rara  amici- 
zia merita  di  vantaggio  ;  ella  è  degna  d'un  re,  ed  io 
sarò  terzo  fra  voi.  Cosi  dicendo,  scese  dal  trono ,  e  af- 
fettuosamente corse  ad  abbracciarli.  In  quella  guisa  che 
sulle  scene  si  vede  talvolta  a  un  batter  d' occhio  can- 
giarsi un  dirupo  ^)  in  un  ridente  giardino ,  così  in  un 
subito  cangiò  allora  nel  popolo  ogni  cosa  d'  aspetto. 
Alla  tristezza  ed  al  pianto  succedette  la  festa  ed  il 
giubilo  5  ognuno  affrettavasi  a  mirar  da  vicino  i  due 
amici  incomparabili  5  ognuno  di  liete  viva  e  d'  applau- 
si faceva  1'  aria  echeggiar  da  ogni  parte  ;  quasi  in 
trionfo  vennero  essi  a' fianchi  del  re  da  tutto  il  popolo, 
accompagnati  al  reale  palagio. 


NOVELLA  V. 
KTfiliREDO. 

ttimasto  in  età  giovanile ,  padrone  di  sé  medesimo  e 
del  trono  d'Inghilterra,  Etelredo  per  tempo  si  abban- 
donò all'  imprudenze  e  agli  errori ,  in  cui  è  troppo  fa- 
cile a  cadere  un  giovane ,  il  quale  nel  primo  bollore  *) 
non  sa  ascoltare  che  V  impeto  delle  sue  passioni.  Es- 
sendo un  giorno  alla  caccia ,  gli  venne  veduta  una  gio- 
vane contadinella ,   che  lietamente  cantando    si    stava 

*)  Nobil  gara  —  cblcr  SBettei fer. —2^  Crudezza— ©raufam-- 
feit.— 3)  Dirupo  — Stliflur^  —*)  "Bollore  —  aufioatten. 


ETELREDO.  Si 

alla  guardia  di  una  sua  piccola  greggia:  e  come  bella 
e  graziosa  gli  parve ,  cosi  incontanente  se  ne  accese. 
Persuaso  egli  che  ad  un  're  nulla  avesse  a  far  con- 
trasto '),  credette  al  primo  assalto  di  dover  vìncerla  fa- 
cilmente ;  ma  trovò  la  virtù  di  Etelwige  ,  che  tal  chia- 
mavasi  la  pastorella ,  assai  più  forte  che  non  aveva  im- 
maginato. Ogni  arte  di  vezzi,  e  di  bei  doni  e  di 
larghe  promesse  ei  mise  in  opera  per  sedarla;  ma 
ogni  arte  riuscì  vana.  Lungi  però  dal  temperare 
r  ardore  della  sua  passione  ,  la  resistenza  non  fece  che 
accenderla  maggiormente.  L' immagine  di  Etelwige 
aveva  egli  mai  sempre  dinanzi  agli  occhi  :  o  vegliasse, 
o  dormisse,  altro  più  non  vedeva  se  non  lei  sola:  a 
mano  a  mano  egli  giunse  a  termine,  che  senza  lei  più 
non  parvegli  di  poter  vivere.  Non  v'  era  però  altro 
mezzo  ad  espugnare  l'invitta  costanza  di  lei,  che  of- 
frirle la  propria  mano.  Ma  come  degradarsi  a  questo 
segno?  Come  osare  di  porre  sul  trono  una  misera  vil- 
lanella? In  tanta  tempesta  di  pensieri  egli  ondeggiò 
lungamente;  alfine  la  passione  lo  vinse:  ed  Etelwige, 
che  a  tutte  le  altre  lusinghe  avea  resistito  invincibil- 
mente ,  non  seppe  resistere  a  quelle  della  nuova  gran- 
dezza che    inaspettatamente  si  vide  offerta. 

Troppo  «  raro  però  che  una  subita  e  straordina- 
ria elevazione  apporti  una  vera  felicità.  Etelwige  ben 
tosto  ebbe  a  pentirsi  del  suo  cangiamento,  e  a  deside- 
rare nuovamente  le  liete  campagne  e  la  conlenta  sem- 
plicità in  cui  era  nata.  Le  nozze  di  Etelredo  vennero 
biasimate  altamente  da  tutto  il  regno  ;  contumeliose 
dicerie*)  ne  corsero  tosto. per  ogni  parte;  e  l'infelice 
regina ,  sprezzata  da  ognuno  e  abbandonata ,  si  vide  in 
mezzo  alla  corte  ridotta  alfa  solitudine  più  umiliante  e 
più  disgustosa. 

^)  Far  contrasto  —  SBibettìanb  leifìtn.  —  ^)    Contumeliose 
(licerle  — f<^ni5l^li(^cé  ©ef^toà^. 


,St  NOVELLA  V. 

A  poco  a  poco,  ciò  nondimeno,  la  saviezza  di  lei, 
la  dolcezza  delle  8ue  maniere  seppe  vincere  l'al- 
terigia*) de' grandi;  e,  nel  loro  animo  insinuandosi, 
ella  giunse  a  vedersi  in  fine  qual  loro  sovrana  pubblica- 
mente per  essi  riconosciuta  e  corteggiata.  Ma  questa 
nuova  fortuna  non  servì  che  a  renderle  più  tormento;^ 
que'  mali  che  a  lei  già  stavansi  preparando.  Etelredo, 
abbandonandosi  alla  incostanza  del  suo  cuore ,  in  breve 
tempo  dimenticò  quell'ardore  che  avea  per  lei  conce- 
puto  ;  e ,  più  di  lei  non  curando ,  in  nuovi  amori  inco- 
minciò a  dissiparsi.  Soffocò  Etelwige  per  alcun  tempo 
il  suo  dolore;  ma,  vedendo  ognor  crescere  l'avver- 
sione del  re,  tentate  inutilmente  diverse  vie  per  richia- 
marlo all'  antico  affetto ,  osò  per  ultimo  di  provare 
se  le  sue  lagrime  almeno  potessero  avere  sopra  di  lui 
qualche  forza.  Misera!  pur  non  l'avesse  osato  mai! 
Non  fecer  queste  che  inasprir  V  animo  d' Etelredo  più 
fieramente.  Il  crudele  nel!'  impeto  del  suo  furore  or- 
dinò che,  tolta  di  corte,  ella  fosse  racchiusa  in  un 
castello,  per  sempre.  I  sospiri  ed  il  pianto  furono 
quivi  la  sola  compagnia  e  il  solo  sfogo  della  sciagu- 
rata regina ,  finché ,  consumata  a  poco  a  poco  dall'  in- 
terno cordoglio,  alla  sua  disavventura  più  non  potè 
sopravvivere.  Lungi  contuttociò  daU'  osar  mai  di  farne 
al  re  alcun  rimprovero  o  alcun  lamen'.o,  nell'  atto 
stesso  che  avvicinare  si  vide  il  termine  degli  affannosi 
suoi  giorni ,  a  lui  scrivendo ,  usar  non  seppe  che  le  più 
tenere  espressioni  ;  e ,  datogli  con  queste  1'  estremo 
addio ,  miseramente  perì  nell'eia  di  vent'  anni. 

Il  re  udì  la  morte  dell', infelice  con  sentimenti  più 
di  barbara  compiacenza  ,  che  non  di  pietà  o  di  ramma- 
rico ;  e ,  gettata  in  disparte  la  lettera  senza  neppur  cu- 
curarsi  d' aprirla ,  tutti  rivolse  i  pensieri  a  stringere  un 

*)  Alterigia— '§0(^ttiutr;. 


ETELREDO.  *  t9 

nuovo  legame  con  la  principessa  Emma ,  sorella  di  Ric- 
cardo duca  di  Normandia ,  di  cui  un  ritratto  avealo  in- 
namorata. 

Non  andò  però  lungo  tempo  che  incominciò  con 
essa  a  pagare  per  tristo  modo  la  pena  della  sua  passa- 
ta infedeltà  e  barbarie.  Nel  carattere  fiero  e  riso- 
luto della  nuova  regina  già  non  trovò  la  dolcezza  di 
quella,  che  prima  avea  sì  iniquamente  sacrificata.  Lo 
spirito  incostante  di  Etelredo  incominciò  a  disgutarsene, 
la  regina  se  ne  risenti  altamente ,  la  discordia  dome- 
stica si  fé'  palese  alla  città  ed  al  regno:  la  nazione  si 
divise  in  due  partiti:  tutto  si  mise  in  tumulto  e  in 
iscompiglio  '),  tutto  fu  pieno  di  turbolenze  e  di  rivolu- 
zioni. Quante  volte  non  andò  egli  allora  chiamando  la 
tradita  Etelwige!  quante  volte  non  pianse  la  crudeltà 
che  avea  contro  di  lei  usata  !  Ma  troppo  tardi. 

Un  giorno  che  solitario  nelle  sue  stanze  iva  scor- 
rendo alcune  carte,  la  lettera  di  Etelwige,  l'ultima  let- 
tera, che  gettato  egli  avea  trascuratamente  senza  de- 
gnarsi pure  d'aprirla,  gli  venne  improvvisamente  sot- 
t' occhio.  Al  primo  vederla  ne  riconosce  ejìì  tosto  il  ca- 
rattere ;  un  fremito  di  rimorso  e  d' orrore  incontanente 
r  assale  ;  stende  ad  essa  la  mano  tremante ,  V  apre ,  e 
legge  queste  parole  : 

„Ricevete,  osire,  rultimo  addio  della  moribonda 
Etelwige.  Degnatevi  almeno  di  non  odiare  la  sua  me- 
moria quand' ella  non  vivrà  più.  Ah!  chi  mai,  chi  mai 
potrà  amarvi  com'  ella  vha  amato I  Infelice!  ella  non 
vivea  che  per  voi  solo ,  non  respirava  se  non  per  voi  ^ 
per  voi  erano  tutte  le  sue  occupazioni  e  i  suoi  pen- 
sieri. Voi  la  abbandonate  . . .  voi  la  tradite ,  crudele  .. . 
ella  muore." 

Questa  lettera  fu  ad  Etelredo  come  uno  scoppio  di 

^)  Scompiglio— S3«toirrung. 


34  NOVELLA  VI. 

folgore  :  parvegli  di  vedere  1'  estreme  agonie  della  tra- 
dita sua  sposa ,  parvegli  di  udirne  l' estremo  sospiro  : 
gettò  un  altissimo  grido  :  Tu  ;  barbaro ,  disse ,  (u  1'  hai 
uccisa  :  e  immerso  restò  in  un  mare  di  pianto. 

Dopo  quel  momento  ei  non  seppe  trovar  più  pace 
o  conforto.  Pensoso  e  dolente  andavasi  qua  e  là  aggi- 
rando, senza  sapere  il  dove;  e  da  per  tutto  sembrava- 
gli  di  vedere  l'ombra  di  Etelwige  che  l'inseguisse.  Se- 
polto in  una  profonda  tristezza,  lungi  dall' occuparsi  de- 
gli antichi  piaceri,  abbandonava  pur  anche  le  cure  del 
regno ,  e  abborriva  perfino  la  stessa  luce.  Crescevano 
frattanto  i  torbidi  -e  gli  scompigli;  e  i  nemici  esteri  pur 
s'  unirono  agi'  interni  per  affrettargli  l' estrema  rovina.^ 
Il  re  di  Danimarca  1'  assalse  con  poderoso  esercito  ;  ei 
.si  oppose  :  la  battaglia  fu  sanguinosa  ;  ma  al  fine ,  co- 
stretto a  cedere  ed  a  fuggire,  sorpreso  da  una  febbre 
violentissima,  straziato  da  mille  rimorsi,  oppresso  dal 
peso  delle  sciagure  che  troppo  avea  meritato,  finìjni- 
«eramente,  terribile  esempio  alle  anime  disleali  e 
crudeli. 


NOVELLA  VI. 
TERESA  BAIinUCCl. 

-Cirano  due  anni  che  Teresa  Balducci,  gentildonna  di 
Fireitze ,  vedova  si  trovava  con  due  figli.  Usciti  questi 
già  di  lutela  ^),  possessori  d'un  ampio  patrimonio,  non 
ritenuti  più  da  niun  freno,  e  animati  da  perniciosi  com- 
pagni ,  si  erano  dati  in  preda  a  tutte  le  sregolatezze  *) 
di  una  gioventù  sconsigliata.  Invano  la  madre  adopera- 

^)  Tutela  —  ^ormunbfc^Qft.  —   2)    Sregolatezze  —  2Cu«5 


TERESA  BALDDCCI.  3& 

vasi  con  le  ragioni,  con  le  preghiere  ,  a  richiamarli  dal. 
mal  costume;  non  era  più   ascoltata.    11  maggior  de' 
fratelli  dimorava  tuttora  in   Firenze  ;    il  minore   erasi 
posto  a  viaggiar  per  lllalia. 

Una  sera  che  1"  afflitta  madre  si  stava  sola  piangen- 
do i  disordini  de'  figli  suoi ,  vede  repentinamente  spa- 
lancare le  porte,  ed  entrare  precipitoso  *),  uno  straniero 
tutto  ansante^),  cogli  occhi  torbidi,  col  volto  scomposto  ^), 
e  con  una  spada  insanguinata  alle  mani.  A  tal  vista  improv- 
visa ella  balzò  di  terrore  •  ma  lo  straniero,  gettandosi  a' 
pie  di  lei:  Deh!  abbiate, -le  disse,  compassione  d' un  in- 
felice. Io  son  Romano,  qui  giunto  da  pochi  giorni.  Com- 
piuti gli  affari  che  qua  mi  avevan  condotto ,  io  me  ne  ri- 
tornava poco  fa  all'albergo  per  dispormi  a  ripartire.  Non 
lungi  di  qui  uno  sconosciuto  m'incontra,  e  nel  passarmi 
d' appresso  mi  urta  villanamente  *).  Io  mi  lagno  del  suo 
modo  inurbano  ;  egli  alla  scortesia  aggiugne  gli  insulti 
e  gli  strapazzi  ^)  io  mi  risento  ®)  ;  egli  accresce  le  vil- 
lanie, e  osa  pur  anche  di  minacciarmi  arrogantemente. 
Insofferente  di  questa  estrema  insolenza,  io  trassi  la 
spada;  egli  fece  lo  stesso,  e  ferito  d'un  colpo  è  cadu- 
to a  terra.  Sa  il  cielo  s' io  son  dolente  di  questo  invo- 
lontario delitto.  Ma  voi ,  signora ,  abbiate  pietà  d'  uno 
sciagurato.  Confuso  e  fuor  di  mi  stesso  io  mi  son  dato 
immantinente  alla  fuga;  non  sapendo  ove  aggirarmi, 
ho  ardito  di  penetrare  in  questa  casa ,  che  la  fortuna 
m'ha  fatta  trovare  aperla.  Deh!  non  vi  spiaccia  che 
questa  mi  sia  d' asilo  per  qualche  ora ,  finché ,  sottrat- 
to alle  ricerche  di  chi  potesse  inseguirmi,  possa  a 
notte  più  oscura  assicurarmi  lo  scampo, 

Gelò  d'orrore  la  gentildonna  a   questo  racconta 

')  Entrare  precipitoso  —  fìùrgt  ^inein  —  ^)  Ansante-— 
fd^luer  at^ment)  —3)  Scomposto  —  cntf^eKt  —  *)  Mi  urta  villana- 
mente—jìopt.grob  ouf  nii(^.—  ^)  Strapazzi  —  SWip^anbtung. — 
*)  Io  mi  risento  —  i^  to<rbe  unici ttig. 


9B  NOVELLA  VI. 

da  un  nero  presentimento  invasa ,  ma  pure ,  non  ascol- 
tando in  quel  momento  che  le  voci  dell'  umanità  e  della 
compassione ,  il  fé'  entrare  nel  suo  gabinetto  e  colà  il 
racchiuse. 

Non  furon  vani  i  presentimenti  della  misera  madre. 
Passati  pochi  istanti  ella  udi  un  nuovo  rumore ,  e  palli- 
da nella  sala  avanzandosi,  recar  si  vide  dinanzi  il  figlio, 
che  da  una  larga  ferita  che  aveva  nel  petto  versava 
rivi  di  sangue.  Mise  essa  un  alto  grido ,  e  il  figlio ,  che 
quasi  esangue  ')  già  vicino  sentivasi  al  fatai  punto, 
raccogliendo  1'  estreme  forze  ;  e  rivolto  alla  madre  : 
Voi  mirate  in  me,  disse,  un  esempio  della  giusta 
punizione  del  cielo:  io  l'ho  meritata:  vaglia  al- 
meno la  mia  morte  al  mio  fratello  d' avvertimento.  Se 
il  mio  uccisore  fosse  arrestato,  voi,  madre,  pigliatene 
le  difese.  Egli  è  innocente  ,  io  sono  che  l'  ho  pro- 
vocato. 

Egli  spirò  a  tai  voci ,  e  la  madre  cadde  su  lui 
tramortita^).  Staccata  dal  cadavere  del  figlio,  lasciò 
essa  per  lungo  tempo  i  circostanti  indubbio  della  sua 
vita;  né  si  riebbe  che  a  g^^an  fatica,  e  per  abbando- 
narsi a  dirottissimo  pianto.  Ella  andava  ad  ogn'  istante 
richiamando  suo  figlio  ;  volle  rivederlo ,  e  d'  estrema 
forza  fu  d' uopo    per   discostarnela  ^). 

Qual  non  fu  intanto  il  dolore  e  lo  spavento  del 
giovane  straniero ,  il  quale  dal  gabinetto ,  dov'  era 
chiuso,  sentiva  tutto  l'orrore  di  questa  tragica  scena 
a  cui  egli  sciaguratamente  avea  avuta  la  prima  parte  ! 
Da  un  canto  il  cordoglio  d'  aver  formata  l' infelicità  di 
una  madre  rispettabile  gli  facea  desiderare  d"  esser  ca- 
duto in  vece  egli  stesso  sotto  ai  colpi  del  suo  nemico  ; 
dall'  altro  il  timore  d"  esser  sorpreso   facevagli  ad  ogni 

')  Quasi  esangue  —  6clnaf;e  tìcrtlutet.  —  ^)  Tramortita  — 
ol^nmàrfitig.  —  ^)  Discostarnela  -  |ìe  »on  i^m  ju  trennen,  cnt* 
fernen. 


TERESA    BALDUCCL  89 

nuovo  movimento,  ad  ogni  nuovo  rumore  gelare  il 
sangue. 

In  quest'  angustia  egli  stette  lin  oltre  alla  mezza- 
notte :  quando ,  essendo  già  tutto  tranquillo ,  e  avendo 
il  dolor  della  madre  pur  dato  luogo  alla  riflessione,  ella 
andò  al  gabinetto  e  Taperse.  Prosti'ossi  il  giovine  a  pie 
di  lei,  e:  Il  cielo,  disse,  il  cielo  io  chiamo  in  testi- 
monio ,  se  tutto  il  mio  sangue  io  non  darei  volontieri . . . 
—  Alzatevi,  disseta  gentildonna:  voi  m'avete  renduta 
la  più  infelice  madre  che  mai  vivesse ,  ma  so  la  vostra 
innocenza.  Mio  figlio  m' ha  ordinato  pur  di  difendervi, 
ed  io  lo  debbo.  Un  calesse  ven'à  fra  poco  a  levarvi  : 
uno  de'  miei  domestici  vi  sarà  scorta  sino  ai  confini  ; 
questa  borsa  vi  servirà  di  sussidio:  il  cielo  vi  dia  quel- 
la tranquillità  che  a  me  avete  rapita. 

Il  giovane  romano  si  senti  struggere  *),  a  questa 
generosità,  di  dolore  e  di  tenerezza.  Ah!  mai,  disse, 
mai  non  saprò  perdonare  a  me  stesso  d'  aver  afflitta 
una  dama  sì  adorabile.  Fece  per  lei  mille  voti,  baciò 
mille  volte  la  sua  mano  benefica,  e  parti  conte  lagrime, 
risoluto  di  fare  ogni  opera  per  provarle,  quando  la  for- 
tuna i  mezzi  gliene  offerisse ,  il  suo  rammarico  e  la  sua 
riconoscenza.  La  fortuna  non  tardò  molto  a  presentar- 
gliene l'occasione.  Passato  appena  Viterbo,  s'abbatte 
in  un  giovine  che ,  assalito  da  due  masnadieri,  a  grave 
stento  si  difendeva.  Ei  balza  subito  di  calesse ,  vola  a 
soccorrerlo,  gli  assalitori  prendon  la  fuga:  ma  il  gio- 
vine era  ferito.  Presolo  in  sua  compagnia,  a  Viterbo 
cortesemente  ei  lo  riconduce:  e  come  per  buona  ven- 
tura la  ferita  era  leggiera,  cosi  ben  presto  quegli  ne 
fu  sanato.  Mille  ringraziamenti  il  salvato  giovine  ren- 
dette al  suo  liberatore  ;  ma  chi  può  esprimere  la  con- 
solazione ed  il  giubilo  che  questi  ebbe ,  allorché  intese 

*)  Struggere— jerjìief«;n. 


86  NOVELLA  VI. 

lui  essere  il  fratello  di  quello  stesso  che  sgraziatamente 
egli  aveva  ucciso  in  Firenze  ?  Teneramente  abbraccian- 
dolo: Quante  grazie,  disse,  io  debbo  al  cielo  che m  ab- 
bia offerto  il  modo  di  ricambiare  in  qualche  parte  il  be- 
neficio che  dalla  madre  vostra  adorabile  Iio  ricevuto  ! 
Eternamente  io  F avrò  scolpito  nell'  animo;  e  mai  per 
ninna  cosa  la  mia  gratitudine  verrà  meno.  Voi,  af- 
frettatevi intanto  a  rivederla  :  ella  ha  estremo  bisogno 
di  voi ,  e  vi  sospira  ardentemente.  Ditele  che  quel  me- 
desimo a  cui  ella  ha  salvata  la  vita  ha  avuto  or  la  for- 
tuna d' impiegarla  per  voi ,  e  che  tutto  il  restante  desi- 
dera pur  di  spendere  interamente  per  amendue. 

Sorpresa  amarissima  fu  al  giovine  Balducci  quando 
arrivò  a  Firenze  l'intendere  dalla  madre  ciò  che  era  av- 
venuto. Il  dover  riconoscere  in  una  persona  medesima 
r  uccisore  di  suo  fratello  e  il  proprio  liberatore  gli  ec- 
citava una  confusione  di  affetti  0  che  si  combattevano 
stranamente  V  un  1'  altro.  Udendo  però  l' innocenza  di 
luì ,  scemò  r  orrore  che  sulle  prime  contro  di  esso  avea 
conceputo;  e  il  sentimento  della  gratitudine,  per  la 
vita  che  gli  dovea,  riprese  tutta  la  sua  forza.  Piangen- 
do la  morte  del  fratello  non  potè  a  meno  di  non  adope- 
rarsi egli  stesso  perchè  l'uccisore  ne  rimanesse  assolto. 
-Frattanto  i  due  spaventevoli  esempi ,  che  aveva  dinanzi 
agli  occhi,  gli  fecero  la  più  profonda  impressione.  Vide 
a  quai  pericoli  espongono  gli  errori  d'  una  incauta  gio- 
ventù ,  cambiò  interamente  costume,  e  con  la  sua  sag- 
gia condotta  consolò  finalmente  la  madre  dell'  amara 
perdita  che  aveva  fatta. 


*)  Gli  eccitava  una   confusione  di  affetti  —  ertcecf te  in  il^m 
fine  ^cvn.nrrung  ter  ©emut^ékweQnngen. 


S9 

NOVELLA  Vn. 

AEiITIlIH   O  li  A  FELICITÀ. 

Noi^eìla  Aruba. 

1^  on  ci  ha  uomo ,  il  quale  non  ami  d' esser  felice ,  e 
che  moli'  opera  non  impieghi  per  divenirlo  ;  e  non  ci  ha 
uomo,  il  quale  non  si  lagni  di  non  poter  mai  giugnere 
a  quella  felicità,  che  con  tanta  fatica  e  tanto  affanno  va 
ricercando.  Ma  donde  avviene  egli  mai  che  fra  tanti, 
che  di  continuo  e  sì  premurosamente  ne  corrono  in 
traccia  '),  niuno  o  quasi  ninno  mai  possa  giugnere  a 
rivenirla?  Sarebbe  mai  che  il  più  degli  uomini,  dietro  a 
false  guide  ^\  disviassero  ^)  dal  cammino  che  a  lei  con- 
duce ,  e  colà  appunto  l' andassero  ricercando,  ov'  è  più 
difficile  il  ritrovarla'?  Io  ne  dubito  fortemente  ,  e  la  se- 
guente novella  potrà  offerirci  per  avventura  sopra  di 
questo  un'  immagine  opportuna  in  cui  specchiarci.  Ella 
é  favolosa;  ma  spesso  di  gran  verità  sotto  al  velo  delle 
favole  si  nascondono. 

Un  pastore  d'Arabia,  per  nome  Alimek,  mentre 
un  giorno  con  la  sua  greggia  vagando  andava  oziosa- 
mente dall'uno  all' altro  pascolo  ^),  vide  sotto  ad  uu 
monte  una  grotla  coperta  all'intorno  di  piante  e  di  ce- 
spugli,, e  fu  vago  *)  di  entrarvi.  Era  questa  al  primo  in- 
gresso tenebrosa,  ma  si  vedeva  dal  fondo  illuminata 
da  un  raggio  di  luce  che  scendeva  dall'alto.  Avanza- 
tosi a  quella  volta  trovò  da  un  canto  della  caverna  una 
borsa,  un  anello  ed  un  vecchio  papiro.  Stese  egli  tosto 
alla  borsa  avidamente  la  mano;  ma  affatto  vota  senten- 
dola: Deh!  mal  ti  sia,  disse,  che  altro  non  hai  saputo 
fuorché  lusingarmi  senza  profìtto.  Oh  !  s'  ella  era  piena 
(1  oro! . . .  Ma  che  giova  il  bramarlo?  Or  vanne,  e  resta 

^)  Corrono  in  traccia  —  fuc^en  nac^.  —  *)  Disviarsi  —  wxtt 
rec^tcn,  SBegc  obtodc^en.  —3)  Pascolo  — 5Deibc,  —  *)  Vago  —  bc^ 
3i«rig. 


so  NOVELLA    VII. 

in  tua  malora  ove  finora  se'  stata;  e  così  dicendo,  gei- 
lolla  sdegnosamente  per  terra. 

Al  battere  eh'  ella  fé'  sovra  un  sasso ,  Alimeli  udì 
un  suono  che  parve  d'oro.  Attonito  la  raccoglie  di  nuovo, 
e  la  trova  piena. —  Cielo!  che  è  questo  mai?  Per  Ma- 
cone,  qui  v'ha  un  incanto.  Ma  checché  sia,  di  quest'o- 
ro io  mi  godrò  a  buon  conto.  Ciò  detto ,  piglia  l'anel- 
lo e  il  papiro,  e  s'incammina  a  passi  concitati  fuor  della 
grotta.  All'  uscirne  :  Addio ,  selve ,  diss'  egli  :  finché 
ho  quest'  oro  io  vo'  trastullarmi  :  ah  !  s' io  fossi  alla 
Mecca!...  Non  ebbe  campo  a  finire,  che  già  alla  Mecca 
si  ritrova.  Stordito  più  che  mai,  apre  con  man  tremante 
il  papiro ,  e  vi  legge  :  La  borsa  sarà  piena  d' oro  qualor 
tu  vorrai  ;  colf  anello  sarai  tostamente  dovunque  ti  sarà 
in  grado. 

A  tale  avviso  la  curiosità  di  veder  nuove  terre  fu 
la  prima  che  Alimek  sentì  nascere  in  cuore,  e  che  volle 
subito  appagare.  La  felicità  di  trasportarsi  da  un  luogo 
air  altro  fece  che  in  poco  tempo  ei  potè  correre  una 
gran  parte  di  mondo.  Trovò  egli  a  principio  diletto 
grandissimo  nell'  osservare  la  varietà  de'  paesi ,  la  dif- 
ferenza dei  climi,  i  prodotti  diversi  della  natura,  i 
diversi  sforzi  dell'  arte ,  la  diversità  de'  costumi  e  degli 
usi  delle  varie  nazioni.  Ma  dopo  alcun  tempo  questo 
diletto  incominciò  a  scemare  *)  più  inoltravasi,  e  più  ve- 
deva che  la  varietà,  onl'  era  stato  allettato  in  sulle 
prime,  andavasi  diminuendo;  che  le  arti  e  la  natura 
offerivano  pressoché  da  per  tutto  gli  stessi  oggetti  o 
lor  somiglianti;  che  gli  usi  e  i  costumi  degli  uomini 
tutti,  prodotti  dalle  medesime  passioni,  non  si  distin- 
guevano che  per  piccole  differenze.  Cessando  il  solle- 
tico ^)  della  novilà,  cessò  pur  anche  la  curiosità  inte- 
ramente ;  e,  sazio  di  viaggiare,  egli  pensò  di  riposarsi. 

*)  Scemare  — abncl^mcn.  —  ^)  Solletico  —  diii^. 


ALIMEK    0   LA  FELICITÀ.  31 

Scelse  a  tal  fine  la  città  di  Costantinopoli,  ove  gli 
parve  di  poter  meglio  godere  di  que'  piaceri  che  le 
sue  ricchezze  agevolmente  potevano  procurargli,  e  dove 
il  concorso  di  tante  genti  diverse  potea  servire  a  rinno- 
vargli la  memoria  di  ciò  che  ne'  suoi  viaggi  aveva  in 
diversi  luoghi  osservato.  Si  diede  ei  quivi  pertanto  a 
gustare  d'  ogni  passatempo  *),  a  soddisfare  ogni  sorta 
di  capriccio,  a  nuotare  nelle  delizie  e  nei  sollazzi.  Ma 
non  andò  guari  che  anche  di  questi  si  trovò  stanco.  A 
forza  d'uso,  le  voluttà  più  squisite  gli  diventarono  in- 
sipide: più  studiavasi  di  variare,  e  più  incontrava  da 
per  tutto  la  sazietà;  Y  animo  disoccupato  era  oppresso 
da  una  noia  insoffribile.  Una  infermità  che  gli  soprav- 
venne, e  che  era  effetto  de'  suoi  disordini,  fini  di  con- 
vincerlo che  la  felicità  non  è  posta  in  una  vita  molle, 
voluttuosa;  e  determinossi  di  ricercarla  nell'occupa- 
zione e  negl"  impieghi. 

La  vastità  delle  sue  richezze  gli  procurò  facil- 
mente de  protettori  e  degli  amici:  le  cognizioni,  che 
avea  aquistate  ne'  suoi  viaggi  il  fecero  agevolmente  ri- 
putare abilissimo  agli  affari  più  grandi.  Ei  salì  presto 
di  grado  in  gi-ado  alle  cariche  più  sublimi,  finché  pur 
giunse  alla  massima  di  gian  Visir.  Qui  gli  affari  inco- 
minciarono ad  assediarlo  da  ogni  parte:  ora  gli  ordini 
del  sovrano ,  ora  i  ricorsi  de'  sudditi  non  gli  lasciavano 
un  momento  di  libertà  e  di  riposo.  I  capricci  dell"  effe- 
minato monarca,  l'inquietudine  delle  donne  del  serra^ 
glio,  le  cospirazioni  e  le  cabale  degl'  invidiosi  e  degli 
emoli  lo  tenevano  continuamente  in  agitazione  e  in 
timore.  Ei  cominciò  a  ijentire  per  prova  che  le  di- 
gnità e  gli  onori  non  ad  altro  riescono  ')  finalmente 
che  ad  un'  illustre  schiavitù.  Sazio  di  questi  ancora, 
pensava  già  a  ritirarsi ,   quando ,  arrivala  la  nuova  a 

-  ^)  Passatempo   -  3«t0frttf ib,  —  ?)  Riescono  —  gcrcit^en. 


38  jsovEij.A  VII. 

Costantinopoli  che  la  Persia  disponevasi  a  muover 
guerra,  incaricato  di  affrettarsi  con  forte  esercito  a  fre- 
nare l'orgoglio  de' nemici,  si  senti  pungere  dal  deside- 
rio della  gloria,  e  v'ax^corse. 

Le  prime  due  battaglie  riuscirongli  felicissime  ^) 
sbaragliati^)  i  nemici,  gli  obbligò  a  ritirarsi  intera- 
mente dal  Turchestan,  che  già  avevano  occupato.  Ei 
fu  ricolmo  perciò  d'  elogi  e  d'onori:  il  nome  di  Alimek 
risuonava  d'applausi  per  tutto  l'impero:  e  il  gran  Sul- 
tano già  preparavasi  a  riceverlo  nella  capitale  con  pom- 
pa solenne ,  quando ,  avanzatosi  con  troppo  ardore  nel 
paese  nemico,  ei  cadde  imprudentemente  in  un  ag- 
guato') non  preveduto,  e  non  potè  liberarsene  se  non 
con  grave  perdita  dell'  esercito.  La  scena  cangiò  allora 
ad  un  tratto:  gli  elogi  mutaronsi  in  esecrazioni;  in 
luogo  del  preparato  trionfo  ei  si  vide  presentare  nel  cor- 
don  d'oro  la  morte. 

Fortunatamente  l' anello  il  trasse  fuor  di  pericolo  : 
egli  scomparve  :  e  dopo  avere  trascorse  varie  parti  del- 
l' Indie ,  seco  portando  sempre  il  disgusto  e  la  .inquietu- 
dine, si  fermò  da  ultimo  nella  città  di  Golconda. 

Signoreggiava  colà  una  principessa'di  tal  bellezza, 
che  riputavasi  la  niaraviglia  dell'  Asia.  Alimek  al  primo 
vederla  ne  fu  colpito ,  e  cercò  tosto  di  essere  introdotto 
alla  corte.  La  magnificenza,  con  cui  presentossi,  la 
molta  avvenenza,  ond'  ei  pure  si  distingueva,  le  sue 
maniere  nobili  e  leggiadre,  i  suoi  discorsi  eleganti, 
vivi  e  variati ,  le  notizie  dei  vari  paesi  che  aveva  tra- 
scorsi, attrassero  l'attenzione  di  Selima,  che  tal  no- 
mavasi  la  principessa,  e  gradita  a  lei  fecero  la  com- 
pagnia di  Alimek.  Ei  fu  invitato  a  trattenersi  in  Gol- 
conda,  invito  che  ben  accettò  di  buon   grado:  furono 

^)  Riuscirongli  felicissime  —  fteten  fiir  i^n  fe^r  gtucftic^  an^. 
—  2)  Sbaragliati  —  jerf^jrengt.  —  3)  Agguato  —  ^olk. 


\LIMEK   0    L.\  FELICITÀ.  SS 

a  «uo  rig^uardo  apprestate  0  feste,  cacce,  divertimenti: 
egli  lial  canto  suo ,  negli  abiti ,  nelle  gioie ,  nel  ricco 
corteggio^),  andava  ognora  manifestando  vie  più  Jia 
sua  ricchezza  e  il  suo  gusto.  Selima  a  poco  a  poco 
entrò  seco  in  intima  confidenza:  parve  eziandio  infiam- 
marsi per  lui  d'amore:  giunse  pur  anche  a  fargli  spe- 
rare la  sua  mano:  ebbro  di  contentezza,  Alimek  già 
credevasi  pervenuto  a  quella  felicità  che  andava  da 
tanto  tempo  cercando,  quando  l'invidia  de'  cortigiani, 
che  troppo  mal  sofferivano  di  dover  servire  ad  uno 
straniero,  seppe  ordire^)  contro  di  lui  una  si  nera  ca- 
lunnia, e,  con  tutti  i  colori  della  verità  e  dell! evidenza, 
agli  occhi  della  regina  si  ben  dipingerla ,  che  ella  de- 
cretò immantinente  la  di  lui  morte  ;  e  al  valore  del  suo 
anello,  fu  a  lui  mestieri  ricorrere  nuovamente  per  li- 
berarsi. 

Di  là  partito  coli"  animo  pien  di  rammarico  e  di 
dispetto  che  svanite  fossero  in  un  punto  le  sue  spe- 
ranze, e  riuscita  al  nulla  tutta  quella  felicità  che  so- 
gnava d'  aver  trovata,  alla  fine,  cercate  varie  altre 
parti  dell'Asia  senza  sapere  ove  mai  arrestarsi,  inquieto 
sempre  e  scontento  di  sé  medesimo,  determinò  final- 
mente d' incamminarsi  verso  alla  Cina.  Qui ,  mentre 
solo  e  occupato  da'  suoi  tristi  pensieri  aggiravasi  un  di 
fra  romite  campagne ,  udì  da  un  lato  il  rimbombo  ài 
lieti  suoni  e  di  canti,  e  mosso  a  curiosità  di  sapere 
che  fosse,  colà  si  volse  d'onde  partivano.  Giunto  ad 
una  casa  campestre,  ci  vide  una  turba  di  contadini  e 
contadinelle ,  che  suonando  e  cantando,  e  fra  loro  fe- 
stose danze  intrecciando,  allegramente  si  sollazzavano. 
Maravigliato  al  mirare  la  gioia ,  che  si  pura  e  sincera 
su  d'  ogni  volto  appariva ,  ei  s' accostò  ad  un  vecchio 
di  veneranda  canizie,  ilqual  nell'ilare  aspetto  mostrando 

*)  Apprestate  —  (tereitct,  tìeranfìaUet.  —  2)  Corteggio  —  53e? 
^tcitiing.  —  ')  Ordire  —  an^ticU. 

Soave ^  Novelle.  3 


34  NOVELLA   VII. 

tuttora  la  giocondità,  e  il  vigore  d'un  corpo  e  d'un 
animo  nulla  abbattuto  *)  dagli  anni ,  Io  loro  feste  si  stava 
con  giubilo  riguardando;  e  a  lui  richiese  qual  la  ca- 
gione si  fosse  di  quello  straordinario  tripudio.  Ei  non  è 
punto  straordinario  per  noi,  disse  il  vecchio,  nei  dì 
consecrati  al  riposo,  prestato  il  debito  culto  al  Dio  tu- 
telare de'  nostri  campi,  con  innocente  sollazzo  così  si 
passano  lietamente  fra  noi  le  ore  che  ne  rimangono» 
Voi  compensate  ben  dolcemente,  disse  Alimek,  il  peso 
delle  fatiche  che  vi  convien  sostenere ,  e  della  vita  in- 
felice che  siete  astretti  a  menare  negli  altri  giorni.  Il 
vecchio,  a  lui  sorridendo:  Io  ho  già  corsi,  rispose, 
oltre  a  settant'  anni  in  questa  vita  medesima ,  ne  saprei 
dirvi  di  averla  trovata  mai  infelice.  So  che  a  voi  grandi 
non  sembra  potersi  avere  felicità  ove  molto  oro  e  molto 
argento ,  e  preziose  gemme  non  si  veggan  risplendere  ; 
ma  a  noi  contadini,  allorché,  entrando  nelle  vostre 
città,  veggiamo  i  tumulti  e  le  inquietudini  che  vi  re- 
gnano, le  vostre  ricchezze  destano  ben  più  sovente  com- 
passione che  invidia.  La  tranquillità  non  è  fatta  per  voi  ; 
l' avarizia  e  l' ambizione  ve  la  rapiscono  ad  ogni  tratto  ; 
e  ove  non  è  tranquillità,  la  felicità  non  ha  luogo. Noi 
siammen  ricchi  di  voi;  l'oro  e  l'argento  appena  da  noi 
si  conoscono:  ma  ciò  che  con  questi  voi  comperate, 
la  nostra  greggia  e  le  nostre  terre  ci  forniscono  ab- 
bastanza; e  noi  Siam  contenti  e  felici. 

Sorpreso  Alimek  alle  parole  del  vecchio,  e  desi- 
deroso di  pur  sapere  com'  ei  potesse  tra  la  povertà  e  le 
fatiche  godere  di  quella  felicità  che  in  mezzo  agli  agi 
e  air  opulenza  ei  non  aveva  potuto  trovar  ancora ,  prese 
deliberazione,  d' intertenersi*)  alquanto  con  lui.  Ben, 
disse,  è  strano  per  me,  che  uomini,  siccome  voi, 
astretti  a  vivere  di  continuo  fra  le  fatiche  e  gli  stenti, 
^)  Abbattuto  —  niebergeBeugt.  —  '^)  Intertenersi  —  jx(3&  gu 


ALIMEK  0  LA  FELICITÀ.  35 

possan  mai  dirsi  felici. — Il  lavoro,  rispose  il  vecchio, 
a  chi  è  avvezzo  da  lungo  uso  ad  un  ozio  perpetuo,  può 
sembrar  forse  di  grave  pena,  ma  a  noi  non  è  che  un 
sollievo.  Io  non  ho  mai  passate  ore  si  Iris' e  come  quan- 
do talvolta  mi  son  veduto  costretto  a  cessare  da'  miei 
usati  esercizi,  e  a  rimanermi  senza  far  nulla.  Il  tempo 
m'andava  allora  d'una  lentezza  insoffribile,  e  mille  anni 
pareami  ogni  momento.  AUor  eh'  io  sono  occupato  a' 
miei  lavori ,  io  mi  trovo  al  fine  della  giornata  senza 
pur  quasi  avvedermene ,  né  sento  mai  un  istante  il  peso 
gravissimo  della  noia  che  ho  provato  si  intollerabile 
ogni  qualvolta  sono  stato  forzato  a  rimanermi  ozioso. 
Ma  il  peso  continuo  della  fatica,  disse  Alimek,  vi 
conviene  soffrire ,  che  è  ben  ancora  più  grave  e 
più  intollerabile.  —  Il  peso  della  fatica,  rispose  il  vec- 
chio, è  grave  per  uno  schiavo  che  è  costretto  a  sof- 
frirla suo  malgrado  forzatamente ,  e  senza  potere  pur 
riposarsi  quando  il  bisogno  lo  chiede.  Ma  tale  non  è 
fra  noi:  ove  sia  stanco,  io  mi  riposo  tranquillamente 
quant'  è  mestieri ,  per  quindi  riprendere  il  mio  lavoro 
con  maggior  lena:  io  non  soffro  pur  mai  che  altri  fa- 
tichi oltre  al  dovere  o  alle  sue  forze.  La  fatica  allora 
non  è  più  un  peso,  ma  un  piacevole  esercizio:  ella  ci 
occupa  e  ci  distoglie  ')  da  ogni  tristo  e  noioso  pensiero  ; 
il  corpo  n'accjuista  più  sanità  e  robustezza,  e  va 
esente  da'  mali,  a  cui  gli  uomini  scioperati^)  sono  sog- 
getti cosi  sovente  :  il  cibo  ed  il  sonno  dopo  di  quella 
ci  son  dolcissimi;  e  nel  tempo  medesimo  eh' ella  dura, 
il  pensiero  de' frutti,  che  hanno  a  derivarcene,  è  per 
noi  un  diletto  continuo,  che  voi  ricchi  e  grandi  non  co- 
noscete. Ogni  solcò ') 'ch' io  fo  nel  mio  campo  mi  richia- 
ma alla  mente  il  lieto  giorno  della  raccolta ,  e  questo 
pensiero  me  ne  fornisce  tutto  il  piacere  innanzi  tratto. — 

')  Distoglie  — kingt  un«  ab.  —2)  Scioperato  —mfipig.  — 
»)  Solco  —  ^m(S)c. 


36  NOVELLA    va. 

Ma  il  frutto  che  da  sì  lunghe  fatiche  voi  raccogliete, 
di-se  Alimek,  alla  fine  è  ben  piccola  cosa,  se  a  quello 
si  paragoni,  che  i  ricchi  godono  senza  fatica,  né  stento 
alcuno.  ^Ouand' io  mi  traggo  pienamente  la  sete  *),  ri- 
spose il  vecchio ,  a  questo  piccol  ruscello  che  qui  ac- 
canto ci  scorre ,  che  importa  a  me  che  altri  beasi  tutto 
THoango?  Il  mio  campo  e  la  mia  greggia  mi  dan  quan- 
to basta  a  soddisfare  a'  miei  desiderj  e  a  farmi  conten- 
to :  che  deggio  io  chieder  di  più  ?  La  felicità  non  è  po- 
sta nell'aver  molto,  ma  nel  sapere  tranquillamente  go- 
dere di  ciò  che  ne  dà  l'industria  o  la  fortuna,  e  sa- 
pere appagarcene.  Voi,  che  nuotate  nell'abbondanza, 
voi  siete  realmente  di  me  più  poveri,  perchè  sempre 
più  lungi  si  stendono  le  vostre  brame.  Pochi  bisogni 
impone  a  noi  la  natura,  e  questi  son  facili  a  soddi- 
sfare. Mille  altri ,  eh'  io  non  conosco  e  non  curo ,  a 
voi  ne  forma  continuamente  il  capriccio ,  e  il  poter 
appagarli  vi  è  poi  cagione  perpetua  di  amarezze  e  d' in- 
quietudini. Tre  cose  (e  voi  potete  ben  prestar  fede  ad 
un  vecchio,  a  cui  è  stata  maestra  una  lunga  esperien- 
za, e  che  nel  corso  de'  giorni  suoi  ha  veduto  sovente 
non  meno  il  moto  e  il  bisbiglio  della  città,  che  la 
quiete  e  il  silenzio  delle  campagne),  tre  cose  alla  feli- 
cità si  ricchieggono ,  e  non  più ,  ma  queste  son  tutte  e 
tre  indispensabili;  io  voglio  dire  tranquillità,  occu- 
pazione e  contentezza.  Sappiate  serbar  l'animo  tran- 
quillo ,  tenendo  lungi  le  nimistà ,  le  discordie ,  fre- 
nando le  passioni,  vincendo  o  sopportando  con  fer- 
mezza i  mali  indispensabili  all'  umana  condizione  ;  sap- 
piate fuggir  la  noia  col  fuggire  lozio ,  ed  utilmente 
occuparvi;  sappiate  goder  saggiamente  de' beni,  o  po- 
chi o  molti ,  che  il  ciel  vi  comparle ,  e  accontentate- 
vene  ^)  :  ^  voi  sarete  felice. 

0  Trarre  la  sete  —  ben  Sutfì  fìitten.  —  ^)  Accontentate- 
vene —  ^egnùgt  (§u<ì). 


ALIMEK  0  LA  FELICITÀ.  99 

Stupì  Alimek  al  trovar  tanto  senno  in  un  uomo  di  villa, 
e  r  ultima  parte  del  suo  ragionamento  gli  si  stampò  più 
di  tutto  profondamente  nelF  animo.  Preso  da  lui  con- 
gedo ,  andò  fra  se  ripetendo  ciò  che  avea  da  lui  udito  ; 
e  più  in  suo  cuore  vi  ripensava,  più  vere  pareangli  le 
sue  sentenze.  Che  veramente,  dicea  fra  sé  medesimo, 
quella  felicità ,  eh'  io  son  ito  finora  cercando  con  tanto 
studio  ,  alberghi  fra  le  campagne ,  ov'  io  son  nato ,  e 
ch'io,  da  lor  partendo,  non  abbia  falto  che  andar  pur 
sempre  da  lei  più  lontano?  Ah!  ben  funesto  allora  si 
avrebbe  a  dire  il  segreto  eh'  io  ho  trovato  là  nella 
grotta ,  e  di  cui  tenevami  sì  fortunato  !  Ma  se  pur  ben 
vi  ripenso ,  che  posso  io  dirne  altrimenti  'ì  Qual  prò 
finora  da  un  tal  segreto  m'ho  io  raccolto  V)*?  Stanco  e 
annoiato  dal  vagai'  qua  e  là ,  da  cui  altro  non  ho  ap- 
preso fuorché  la  trista  cognizione  della  malvagità  de- 
gli uomini ,  da  per  tutto  uniforme,  e  delle  loro  strava- 
ganze pazzamente  variate-  nauseato  da  insulsi  piaceri, 
che  mai  un  istante  di  vera  soddisfazione  non  mhan 
prodotto,  e  m'hanno  in  vece  condotto  al  margine^) 
della  tomba  ;  oppresso  per  una  vana  ambizione  da  un 
tumulto  (h'  brighe ,  d^  inquietudini ,  di  disgusti ,  che  ho 
veduto  pur  finalmente  ricompensati  con  un  capestro'); 
iniquamente  tradilo  da  una  donna,  che  simulava  d'a- 
marmi ,  e  che  tanto  avea  lusingate  le  mie  speranze ,  io 
YO  ora  aggirandomi  senza  saper  il  dove,  fatto  oggimaf 
odioso  e  insopportabile  a  me  stesso.  Quanto  era  meglio 
il  restarmi  nelle  native  campagne  e  nella  mia  primiera 
.semplicità!  Il  cibo,  ch'io  là  gustava,  era  meno  arti- 
ficioso-, ma  r appetito ,  che  mai  non  mancava,  quanto 
rendevalo  saporito  !  Le  vesti  eran  semplici,  ma  quanto 
meglio  mi  riparavano  dalle  intemperie  delle  stagioni, 
che  quelle  che  m' ha  prescritte  dappoi  qua  e  là  il  ca- 
priccio  volubile   della  moda!    Era  povera  la  mia  ca- 

')  Raccolto  -geerntct.  — 2)  Margine  —  JXan^  —  »)  Cape- 
stro—©trfcf. 


3S  NOVELLA  VII. 

panna  5  ma  quanto  dolci  in  essa  io  dormiva  i  lunghi 
sonni  5  lontano  da  ogni  inquietudine ,  da  ogni  moleisto 
pensiero!  La  guardia  del  gregge,  o  la  coltura  del 
campo  5  mi  occupava  fra  la  giornata-,  ma  quanto  era 
da  preferire  siffatta  occupazione  all'  ozio ,  compagno  in- 
separabile della  noia  che  tante  volte  m' ha  oppresso  ! 
Ah!  ben  ragione  ha  il  venerabile  vecchio,  che  il  ciel" 
m'ha  fatto  incontrare,  per  tonni  d'inganno:  egli  è  la 
voce  d'  un  Dio  propizio  che  mi  richiama  sul  buon  sen- 
tiero ond'  io  ho  traviato ,  e  convien  seguitarlo. 

Passata  tutta  la  notte  fra  questi  pensieri,  al  primo 
spuntar  dell'  alba  ei  si  leva  subitamente ,  e  al  buon 
vecchio  tornando,  il  prega  a  voler  consentire  ch'ei  seco 
viva  per  1'  avvenire ,  e  incominci  pur  finalmente  a 
gustare  con  lui  di  quella  felicità  che,  cercata  per  ogni 
parte  a  quel  tempo,  l'avea  sempre  fuggito.  Il  vecchio 
con  un  piacevol  sorriso;  Io  godo,  a  lui  disse,  chela 
semplicità  e  l'innocenza  del  viver  nostro  assai  più  fe- 
lice vi  paia  che  forse  ieri  non  vi  sembrava  ;  ma  questa 
vita  né  or  sarebbe  per  voi ,  né  la  felicità  alberga  solo 
fra  le  campagne.  In  mezzo  ancora  al  tumulto  delle 
città ,  in  mezzo  ancora  all'  opulenza  voi  potete  trovarla 
qualor  vogliate.  Basta  che  la  tranquillità  dello  spirito 
serbar  sappiate  costantemente  ;  che  sappiale  esser  pago 
dei  voslri  beni,  frenando  i  soverchi  desiderj ,  insazia- 
bili sempre  di  lor  natura,  e  lungi  dall'  ozio  sappiate 
in  alcuna  cosa  onestamente  e  saggiamente  occuparvi: 
altro  di  più  non  si  chiede. 

Tutto  potrei,  ben  lo  veggo,  rispose  Alimek,  ma 
troppa  faìica  mi  costerebbe  il  cercarmi  per  me  medesimo 
una  via  per  esser  felice,  che  voi  già  pronta  mi  presen- 
tate. Dall'  altro  canto  il  viver  campestre  non  è  si  nuovo 
per  me,  eh'  io  non  possa  agevolmente  accomodarmivi  ^). 

*)  Accomodarmivi  —  mid^  barati  Uqmmtn. 


ALIMEK.  0  LA   FELICITA.  99 

£  qui  si  fece  a  narrargli  qual  fosse  l' origin  sua ,  come 
avesse  trovato  là  nella  grotta  la  fatai  borsa  e  l'anello, 
quah  vicende  ^)  gli  fossero  poscia  accadute.  Indi  al 
buon  vecchio  e  l' uno  e  Y  altra  porgendo  ;  A  voi,  disse, 
io  ne  fo  dono  ,  sol  che  vi  piaccia  eh'  io  più  quind'  in- 
nanzi da  voi  non  abbia  a  partirmi.  Il  saggio  vecchio,^ 
ciò  udendo:  Or  bene,  rispose,  poiché  v'aggrada,  io 
accelto  il  vostro  dono,  ma  non  per  usarne ,  che  il  ciel 
mi  guardi  da  cosi  tristo  pensiero  ;  sol  per  serbarvelo, 
quando  pure  giugnesse  un  tempo  che  ,  stanco  della  fru- 
galità e  semplicità  della  vita  che  qui  si  mena ,  amaste 
di  ripigliarlo.  Comunque  savio  sia  il  consiglio  che  avete 
preso,  ei  parmi  tuttavia  un  po'  precipitato,  e  ad  un 
tardo  pentimento  potrebbe  un  giorno  condurvi.  Voi  fa- 
rete ,  finché  v'  é  a  grado ,  l' esperimento  di  ciò  che  si 
usa  fra  noi:  ove  questo  vi  piaceli,  il  restare  sarà  in 
poter  vostro  ;  ma  quando  venga  a  dispiacervi ,  io  non 
voglio  che  per  alcuno  vi  sia  disdetto  *)  il  riprendere 
i  vostri  doni,  e  partirne. 

Lietissimo  fu  Alimek  dell'  amorevole  accoglimento 
e  della  saggia  deliberazione  del  vecchio;  e,  deposti 
incontanente  i  vani  pensieri  che  in  mille  guise  fino  a 
quel  punto  l' avevano  travagliato ,  nella  tranquillità, 
nella  parsimonia  e  nella  occupazione  incominciò  a  sen- 
tire quel  piacer  puro  e  quella  piena  soddisfazione  del- 
l' animo  che  dapprima  non  conosceva.  Trascorso  alcun 
tempo,  lungi  dal  pentirsi  della  presa  risoluzione,  tro- 
vandosi anzi  di  lei  più  pago  ogni  giorno ,  pensò  a  co- 
ronare interamente  la  sua  felicità  e  fissarla  per  modo, 
che  più  non  avesse  a  fuggirgli.  Avea  il  buon  vecchio 
una  figlia ,  in  cui  la  bellezza  era  eguale  al  candor  de' 
costumi.  Alimek ,  quando  parvegli  di  aver  dato  siffatto 
saggio  di  se  medesimo,  che   il  padre  dubitar  non  do- 

*)  Vicende— Stbenteuet.— 2)  Disdetto  —  tjetfagt. 


40  NOVELLA     Vili. 

vesse  di  accordargliela  in  isposa  ,  a  lui  ne  fece  istan- 
temente l'inchiesta;  ma  troppo  questi  per  lungo  uso 
conoscendo  l'.incostsnza  dell' uman  cuore,  e  troppo  an- 
cor diffidando  della  fermezza  di  Alimek ,  volle  che  assai 
più  a  lungo  continuasse  l' incominciato  esperimento. 
Alla  fine  sì  certe  prove  in  lui  vide  d' un  animo  piena- 
mento  contento  del  nuovo  stato  che  aveva  assunto ,  e 
lontano  dall' aver  più  pensiero  di  dipartirsene,  che  dif- 
ferir più  non  volle  ad  appagare  i  suoi  voti  :  e  Alimek, 
giunto  pur  finalmente  a  quel  colmo  di  felicità ,  che  le 
richezze ,  i  piaceri ,  gli  onori  non  avean  saputo  mai 
procacciargli ,  volle  che  la  borsa  e  l' anello  fossero  se- 
polti in  parte,  ove,  non  più  trovati  da  venm  altro, 
più  non  potessero ,  siccome  a  lui ,  destare  il  funesto 
pensiero  di  rendersi  infelice  col  ricercare  la  felicità  dove 
meno  può  ritrovarsi.       


l^OVELLA  Vili. 


J^idney 


Bidulph,  d'illustre  e  ricca  famiglia  dell'Inghil- 
terra, rinunziato,  per  obbedire  alla  madre,  il  partito 
di  lord  Falkland ,  signore  ricchissimo ,  da  cui  era  ado- 
rata, e  eh'  ella  amava,  si  unì  in  vece  a  Mr.  Arnold,  che 
dopo  averla  trattata  nella  maniera  più  dura,  e  aver 
perduti,  parte  per  la  sua  scostumatezza,  e  parte  per 
una  lite  sciagurata,  quasi  tutti  i  suoi  beni,  la  lasciò 
vedova  con  due  figlie.  Ebbe  poscia  il  dolore  di  per- 
dere anche  la  madre,  ch'era  il  suo  solo  sostegno,  e 
interamente  abbandonata  da  un  ricco  fratello ,  insultata 
iniquamente  da  una  cognata  orgogliosa  ed  avara,  co- 
stretta si  vide  a  ricoverarsi  entro  una  povera  casa  in 
due  piccole  camerette  ad  un  ultimo  piano,  ed  ivi  pas- 
sare oscuramente  i  >8U0i  giorni  quasi  nell'ultima  mendi- 


SIDNEY.  é\ 

cita.  Per  colmo   di  disavventura  le  due  piccole  figlie, 
eh'  ella   amava   teneramente ,  furono  quivi  sorprese  da 
un  vainolo  maligno,  che  dopo  aver  tenuta  1" afflitta  ma- 
dre in  un"  angustia  acerbissima  per  più  giorni,  prese 
finalmente  una  piega  migliore,  ma  la  costrinse  frattanto 
a  consumare  in  soccorrerle  tutto'  quel  poco  che  ancora 
le  rimaneva.   Più  di  un  mese  le  conveniva  per  anche 
aspettare  innanzi   di  riscuotere  quella  terme  pensione, 
frutto  di  un  avanzo  della  sua  dote ,  che  per  la  crudeltà 
del  fratello  era  divenuta  la  sua  unica  sussistenza.  Le 
figlie  intanto  incominciavano  a  risanarsi:  ma  la  debo- 
lezza, in  cui   erano,  esigeva  un  nutrimento  migliore, 
ed  ella  più  non  poteva  oggimai  procurarne   loro  d'al- 
cuna   sorta.  A  questi  estremi  la  misera  non  trovò  al- 
tro  partito  che    di    spogliarsi    interamente    de'  pochi 
abbigliamenti  che  le  restavano,  e  convertirli  in  danaro. 
■Commise  ^)  pertanto  a  Patty,  suafedel  cameriera, 
(che  dopo  averla  accompagnata  costantemente  in  tutte 
le  sue  sciagurate  vicende,  non  volle  pure   negli  ultimi 
mali  da  lei  staccarsi)  di  trovarne  in  qualche  modo  lo 
spaccio,  per  provvedere  a  sé  medesima  e  alle  sue  figlie. 
La  giovane  affettuosa,  guardandola  con  aria  di  compas- 
sione ,  che  ben  mostrava  quanta  pena  nell'  animo  ne  ri- 
sentisse :  Voi  non  siete ,  le  disse  con  voce  dubbia ,  non 
siete  per  anche ,  madama ,  a   si  dure  estremità.  —  Io 
lo  sono,   Patty;    quel   ch'io    aveva,  e    ben  sai  s'era 
scarso ,  è  già  del  tutto  consumato.     Dall'  altra  parte 
io   non  ho  più  mestieri    di   questi  vani  ornamenti ,  e 
patir  ncn  posso   (\i  vedere  le  mie  povere   liglie  man- 
car di  quello  che  loro  è  necessario  a  pienamente  ri- 
stabilirsi. —  Non  ne  mancheranno  pure ,  madama ,  sol 
che  vogliate  permettermi  di  provvedermi.  —  lo  conosco, 
mia  cara  Patty,  il  tuo  buon  cuore,  ma  come  puoi  tu 

*j  Commise— bfaujìragff. 


48  NOVELLA  Vili. 

essere  in  grado  di  sovvenirle  ?  -^  Voi  sapete  eh'  io  ho 
qualche  destrezza  *)  a'  donneschi  lavori.  La  nostra  al- 
bergatrice  in  siffatte  opere  è  sempre  di  molto  affac- 
cendata :  io  le  ho  offerto  i  miei  servigi ,  e  d'  un  lavoro 
che  le  ho  fatto  in  questi  ultimi  giorni  ho  già  avuto 
trenta  scellini.  —  Come!  trenta  scellini!  s'io  non  t'ho 
quasi  vedula  mai  occupata  in  altro  che  a  meco  divi- 
dere l'assistenza  per  le  mie  figlie!  —  Io  suppliva  la  notte 
a  quello  che  non  poteva  fra  '1  giorno ,  e  l' assiduità  mi 
ha  fatto  compiere  assai  più  eh'  io  medesima  non  ispe- 
rava  dapprima.  Or  se  v' aggrada ,  madama,  io  seguirò 
a-  far  lo  stesso,  e  il  mio  lavoro  potrà  bastare ,  io  spero, 
senza  che  abbiate  a  spogliarvi  pur  di  quel  poco  che 
avete  ancora. 

Sidney ,  piangendo  di  tenerezza  e  di  gratitudine  : 
Mia  cara  Patty,  le  mie  lagrime,  disse,  abbastanza  ti 
danno  a  conoscere  quanto  io  sia  sensibile  alla  bontà  del 
tuo  cuore ,  ma  a  Dio  non  piaccia  eh'  io  voglia  ritenere 
il  frutto  della  tua  industria  e  delle  tue  fatiche.  Quello 
che  tu  puoi  guadagnarti,  debbe  esser  tuo;  né  io  mai 
soffrirò  che  tu  abbia  a  spenderlo  per  mio  riguardo. 

L' amorosa  giovane  fra  la  confusione  e  la  pena  : 
Io  vi  prego  ,  disse ,  a  perdonarmi ,  se  ho  forse  ardito 
soverchiamente ,  ma  io  ho  già  impiegata  a  questo  fine 
una  parte  del  danaro  che  ho  riscosso.  Io  ho  creduto 
che  le  vostre  bambine,  adesso  convalescenti,  avesser 
uopo  di  qualche  ristoro  per  rinforzarsi,  e  voi  stessa, 
madama,  dopo  le  fatiche  e  le  inquietudini  che  la  lor 
malattia  v'ha  cagionato,  parmi  che  avreste  pure  biso- 
gno d' un  tal  soccorso.  Io  ho  dunque  comperato  alcune 
piccole  bagattelle  che  ho  creduto  più  convenevoli:  deh! 
non  abbiatelo  in  mala  parte. 

Ah ,  mia  cara  Patty,  rispose  Sidney ,  stringendole 

*)  Destrezza  —  @efc^i(fli(^feit. 


SIDNEY.  4S 

amorosamente  la  mano  e  fortemente  piangendo ,  mia 
troppo  tenera  e  affettuosa  Patty,  io  non  posso  già  certo 
averlo  a  malgrado;  io  ne  sono  anzi  penetrata  profonda- 
mente: accetto  il  tuo  dono:  ma  deh!  sia  T  ultimo:  io 
ne  sarei  troppo  vivamente  commossa.  Or  che  le  figlie 
mi  lascian  tempo  ,  m' applicherò  io  stessa  al  lavoro,  an- 
ziché spogliarmi  di  cosa  alcuna ,  giacché  pur  veggo 
che  ciò  ti  dà  si  gran  pena. 

Sazia  però  ancor  non  era  la  rea  fortuna  di  tor- 
mentar r  infelice  Sidney.  Appena  le  figlie  incomincia- 
rono a  rinvigorirsi ,  ella  medesima  fu  assalita  danna 
crudel  malattia  prodotta  dalle  afflizioni  che  avea  sofferto 
e  dai  disagi  a  cui  l'infermità  delle  figlie  l'avea costretta*, 
malattia.  che>  facendosi  di  giorno  in  giorno  più  grave, 
la  mise  in  pericolo  della  vita  e  la  tenne  per  lunga  pezza 
inchiodata  in  un  letto.  In  questo  ella  si  vide  obbligata 
pur  suo  malgrado  a  dover  usare  dei  soccorsi  della  fe- 
dele Patty  5  che  troppo  avventurata  si  riputava  di  poter 
gì  bene  impiegarli.  Alla  fine  il  male  pur  cominciò  a  ral- 
lentarsi ,  ed  ella  ebbe  frattanto  eziandio  un  trimestre 
della  sua  tenue  pensione,  di  cui  volle  tosto  che  una  parte 
si  occupasse  a  rimborsare  Patty  di  quello  che  avea 
speso  per  lei,  serbando  al  mantenimento  di  se  e  di  sua 
famiglia  il  restante. 

Non  era  per  anche  del  tutto  ristabilita ,  quando  un 
vecchio,  poveramente  vestito ,  alla  casa  di  lei  presen- 
tandosi, domandò  di  parlarle.  Fattolo  introdurre,  ed 
accoltolo  cortesemente,  ella  chiesegli  q  lal  cagione  colà 
lo  guidasse.  Il  vecchio,  attentamente  guardandola,  in- 
cominciò a  sospirare,  e  poscia  in  aria  timida  e  som- 
messa'): Vi  sovverrebbe,  disse,  egli  mai  d'aver  avuto 
«n  parente  nomato  Warner,  che  passò  all'  Indie  Orien- 
tali, or  sono  circa  a  trentanni?  — Me  ne  sovviene, 

*)  Aria  timida  e  sommessa  —  mit  fc^euer  utrt  unterwiiirfìa«r 
mitnt. 


44  NOVELLA    Vm. 

risposegli  dolcemente  Sidney.  Ah!  voi  mirate  ora 
qiiest'  infelice ,  soggiunse  il  vecchio.  Io  aveva  fatto  colà 
qualche  tenue  fortuna.  Il  desiderio  di  rivedere  la  patria 
mi  trasse  a  caricare  sopra  una  nave  tutt'  i  miei  beni  e 
partire  per  l'Inghilterra.  Noi  fummo  assaliti  presso  alla 
Bretagna  da  un  armatore  *)  francese  che ,  superiore  di 
forze,  dopo  un  fiero  combattimento  ci  vinse  e  ci  spo- 
gliò d'ogni  cosa.  Rilasciato  nel  porto  di  Brest,  io  mi 
sono  strascinato  alla  meglio  perfino  a  Londra.  Qui  giunto 
jer  l'altro,  ho  chiesto  subito  di  lord  Bidiilph,  vostro 
padre  e  mio  zio  ;  perocché  ben  sapete  che  mia  madre 
gli  era  sorella.  Udendo  eh'  ei  più  non  vivea ,  ho  cercato 
di  presentarmi  a  milord  vostro  fratello;  ma  ei  m'ha  ri- 
cevuto con  isdegno  e  rimandato  senza  soccorso.  Or  ve- 
niva per  supplicarne  almen  voi  ;  ma  dalle  angustie  in 
cui  vi  miro  ,  ben  m'avveggo  ch'io  non  debbo  sperarne: 
più  non  mi  resta  che  soffrire  in  pace  la  mia  sciagura 
e  morire. 

Sidney  più  volte  avea  udito  parlare  di  M.  Warner, 
e  attentamente  osservandolo ,  ben  riconobbe  in  esso  la 
somiglianza  con  un  ritratto  che  già  n'  avea  veduto.  Al- 
l' intendere  la  sua  sciagura ,  ella  ne  fu  vivamente  com- 
mossa. Mio  cugino  5  gli  disse ,  Iddio  sa  se  mi  duole  di 
non  poter  sovvenire  alla  vostra  disgrazia  coni' io  vorrei; 
ma  avrò  almeno  il  piacere  di  soccorrervi  come  posso: 
noi  divideremo  insieme  la  mensa  frugale  che  a  me  serve 
e  alle  mie  figlie  :  la  nostra  alberga trice  ha  pur  una  ca- 
mera ,  ch'io  farò  cedermi,  ed  ella  sarà  per  voi.  Se 
questo  danaro  frattanto  può  bastare  alle  spese,  che 
avrete  dovuto  fare  in  questi  giorni,  io  ve  1'  offro;  se  di 
più  vi  bisogna,  voi  non  avete  che  ad  avvisarmene  :  il 
cielo  è  pietoso  e  provvederà  a  tutti  insieme  per  qualche 
modo.   In  cos)  dire  gli  porse  cinque  sceliini. 

*)  Armatore  —  ^alHV. 


SIDNEY.  45 

Il  vecchio  neir  atto  di  stender  la  mano  proruppe  in 
un  dolce  pianto  di  tenerezza  ;  e  in  una  viva  esclama- 
zione: Ah,  il  cielo,  disse,  il  cielo  ben  dee  provve- 
dere a  tanta  virtù ,  e  troppo  felice  io  sono  che  voglia 
valersi  del  mezzo  mio  per  compensarla.  Mia  cara  cugi- 
na! io  accetto  il  vostro  presente,  e  il  terrò  per  eterna 
memoria  del  vostro  cuore  generoso  :  ma  questa  carta 
incominciate  voi  pure  ad  accettare  in  ricambio  *)  :  e, 
cosi  dicendo,  le  offerse  una  cedola  di  banco  di  due 
mila  lire  sterline.  Sidney  al  vederla  rimase  attonita, 
e  quasi  sognasse ,  più  non  sapea  ne  dove  fosse,  né  che 
si  dire.  Warner,  la  mano  stringendole  affettuosamente  : 
Mia  cara  cugina,  ripigliò,  perdonate  alla  sorpresa  ch'io 
ho  voluto  farvi.  Io  non  son  sì  povero,  qual  mi  son 
finto  ;  sotto  di  questi  cenci  voi  mirate  uno  de'  più  ric- 
chi uomini  dell'Inghilterra.  Partito  per  l'Indie  con  tutta 
l'eredità  di  mio  padre,  io  mi  son  dato  quivi  al  commer- 
cio ,  e  il  cielo  r  ha  prosperato  in  modo  che  vi  ho  gua- 
dagnato di  somme  immense.  Rimasto  colà  senza  moglie 
già  da  sei  anni ,  e  perduto  ultimamente  pur  Y  unico  figlio 
che  io  avea,  io  mi  sono  deliberato  di  ritornare  alla  pa- 
tria, e  fra  voi  e  vostro  fratello  dividere  le  mie  sostanze. 
Io  ho  voluto  però  innanzi  discoprir  l'animo  de' miei  ere- 
di 5  e,  travestito  qual  mi  vedete,  ho  incominciato  a  pre- 
sentarmi a  lord  Bidulph:  io  non  oso  più  onorarlo  col 
nome  di  vostro  fratello:  ei  non  merita  più  questo  titolo. 
Con  che  orgoglio  il  crudele  e  con  che  barbarie  m'ha 
discacciato  !  Ben  prevedendo  che  qualora  in  un  arnese 
si  povero  io  mi  fossi  all'  anticamera  dichiarato  col  mio 
nome ,  io  non  sarei  stato  ammesso ,  mi  feci  annunziar 
solamente  com'uno  che  era  giunto  recentemente  dal- 
l' Indie  e  aveva  a  parlargli  a  nome  di  M.  Warner.  Per 
questo  mezzo  fui  introdotto.  Egli  era  sdraiato  orgoglio- 

*)  Ricambio  —  93ergeltujig. 


46  NOVELLA  VIIL 

semente  su  diiii  sofà,  ed  aveva  a  canto  Miledi  sua 
moglie  5  che  stava  per  ozio  trastullandosi  0  con  un  sua 
cane.  Al  mio  entrare  incominciarono  amendue  a  misu- 
rarmi cogli  occhi  da  capo  a  piedi ,  e  a  sogghignare  fra 
loro.  Io .  chinandomi  ossequioso  :  Avreste  mai  per  av- 
ventura ,  dissi  a  3Iilord ,  qualche  rimembranza  dell'  in- 
felice che  osa  di  presentai*\isi ?  —  Io  no  certamente,  ri- 
spose egli  con  un  riso  amaro  e  insultante.  Io  non  sa 
d'avervi  veduto  mai. — Voi  avete  dunque,  soggiunsi  io,, 
dimenticato  interamente  il  misero  vo^stro  cugino  Odoardo 
Warner?  A  questo  nome  egli  guardò  Miledi  con  atto 
fra  la  sorpresa  e  lo  scherno  :  mi  fissò  gli  occhi  addosso 
nuovamente,  mi  venne  tutto  considerando;  poi  final- 
mente :  Io  so  bene ,  rispose ,  d"  aver  avuto  un  parente 
di  questo  nome  :  ma  è  si  gran  tempo  eh"  egli  è  partito 
di  qui .  eh'  io  certo  più  non  saprei  riconoscerlo.  —  la 
ben  appieno  vi  riconosco ,  gli  replicai  ;  voi  avevate  già 
dodici  anni  quand' io  partii:  quante  volte  io  vho  te- 
nuto fra  le  mie  braccia  I  Da  quel  tempo  io  debbo  essere 
ben  cangiato:  le  fatiche ,  il  clima,  F  età  denno  avere 
alterati  i  miei  lineamenti;  pur  qualche  tratto  ne  do- 
vrebbe essere  ancor  rimasto:  il  tuon  di  voce..  . —  Or 
ben  non  giova,  disse  egli  impaziente,  il  disputare  sì 
a  lungo  sulla  qualità  della  vostra  persona  :  che  avete 
voi  ora  a  comandarmi?  —  Ah!  il  povero-  risposi  io, 
ubbidisce  e- non  comanda.  Quindi  mi  feci  ad  esporgli 
la  mia  supposta  disavventura  a  un  dipresso  ne'  termini 
che  ho  usato  con  voi.  Miledi,  guardandomi  alcuna  volta 
con  aria  d' insulto ,  seguiva  a  trastullarsi  col  suo  cane  ; 
Milord  agitavasi  inquieto ,  e  allor  eh*  io  giunsi  allo  spo- 
glio che  di  noi  fece  l'annatore  francese,  non  volle 
più  altro  udire.  Levandosi  con  dispetto,  si  mosse  come 
per  uscire    di  camera:   qmndi  volgendosi  incollerito: 

')  Trastullandosi  —  fìc^  unter^alt<nb. 


SIDNEY.  4  7 

Ve'  bel  garzone!  diss'egli,  che  s'introduce  in  mia  casa 
sotto  pretesto  di  avere  a  darmi  novelle  di  un  mio  pa- 
rente, e  poi  si  scopre  per  questo  parente  medesimo, 
che  viene  a  chiedermi  la  limosina.  Bella  sorpresa,  per 
fede  mia  !  —  Io  vi  chieggo  perdono ,  risposi ,'  s' io  non 
mi  son  a  dirittura  annunziato  per  quel  che  era:  con 
questo  arnese  ho  creduto  che  non  convenisse  di  farmi 
conoscere  ai  vostri  domestici.  —  Or  bene .  comunque 
sia,  replicò  dispettoso,  io  non  posso  nulla  per  voi: 
che  pretendereste  voi  eh'  io  facessi  ?  —  Io  non  ho  pen- 
siero ,  gli  dissi ,  di  esservi  a  carico.  Io  sono  stato  alle- 
vato nel  commercio,  ho  buon  carattere,  ho  esperienza 
di  ciò  che  appartiene  alla  mercatura  ;  conto  di  pormi 
al  servigio  di  qualche  negoziante,  da  cui  spero  d'essere 
accettato  ;  ma  intanto  io  muoio  di  fame  :  qualche  piccol 
soccorso  per  qualche  giorno  è  quel  solo  che  vi  domando. 
Ei  pose  la  mano  in  lasca  per  trarne  qualche  moneta. 
Miledi  vedendolo:  E  che  volete  voi,  disse,  pigliarvi 
pensiero  di  tutti  cotesti  cenciosi  *)  ?  Datene  a  uno,  ne 
verran  cento  :  e  la  porta  sarà  sempre  assediata  da  sif- 
fatti importuni:  dite  che  torni  alle  sue  Indie,  o  vada 
altrove  a  provvedersi.  Voi  ben  potete  immaginare ,  mia 
cara  cugina ,  qual  bile  mi  movesse  un  discorso  cosi 
aspro  e  inumano  ;  pur  feci  forza  a  me  medesimo,  e  mi 
contenni').  Sperava  di  vedere  in  vostro  fratello,  che 
ben  m'avea  riconosciuto,  una  minor  crudeltà;  ma  ei 
pure,  pentito  della  disposizione,  in  cui  sembrava  di 
darmi  qualche  sussidio  :  Gli  è  vero ,  disse ,  io  mi  la- 
sciava vincere  da  una  pietà  importuna  :  andate ,  qui  non 
v'ha  nulla  per  voi:  e,  in  ciò  voltandomi  bruscamente 
le  spalle 5  mi  obbligò  a  partire.  Io  fremea  di  sdegno; 
pure  volli  dissimulare,  aspettando  miglior  tempo  a 
farli  pentire  amendue.   Chiesi  tosto  conto  di  voi,  e  qui 

*>  Cenciosi  ^  gerlumvt.  —  2)  Contenersi  —  inne  f^alUn. 


48  NOVELLA    Vin. 

entrando,  io  vi  confesso  che  Tira  più  fieramente  .mi  si 
raccese.  Come  è  egli  possibile  che  un  signore ,  allog- 
giato superbamente  in  un  sontuoso  palazzo ,  lasci  cosi 
languire  una  sorella,  come  voi  siete,  imprigionata  in 
un  vile  abituro  siccome  è  questo  ch'io  veggo?  Non 
avrebbe  egli  a  vergognarsene  per  sé  medesimo  ? 

Mio  fratello  ,  rispose  Sidney ,  avrebbe  voluto  ve- 
dermi unita  ad  un  suo  amico,  a  cui  pure  m'avea  pro- 
messa ;  mia  madre  s' oppose  :  io  credetti  di  doverla  ub- 
bidire :  da  quel  tempo  ei  cominciò  a  scemar  quelf  amore 
che  mi  portava  dapprima.  Il  marito ,  che  per  consiglio 
di  mia  madre  io  scelsi  in  appresso,  era  da  lui  malve- 
duto ,  e  non  gli  parve  pure  conveniente  al  suo  grado, 
indispettito  vie  più ,  ei  non  volle  mai  più  mirarmi.  Mio 
marito  fu  sciagurato  :  un'  ingiusta  sentenza  gli  tolse 
.  tutto ,  e  poco  dopo  morì.  Questo  però  non  valse  a  ri- 
conciliarmi il  fratello  :  ei  dice  eh'  io  ho  meritata  la  mia 
disgrazia,  ch'io  l'ho  voluta,  ch'io  deggio  soffrirla,  e 
ostinato ,  ad  essa  mi  abbandona. 

Anima  vile  spietata!  esclamò  Warner:  più  non  mi 
fa  maraviglia  eh'  egli  abbia  scacciato  sì  villanamente  un 
cugino ,  quand'  egli  giugne  a  trattare  una  sorella ,  e 
sorella  rispettabile  qual  siete  voi ,  in  un  modo  sì  inde- 
gno. Ma  egli  pagherà  il  fio  della  sua  inumanità  ;  io  vo- 
glio che  senta  tutto  il  prezzo  di  ciò  che  questa  gli  ha 
fatto  perdere  ;  vo'  che  si  roda  e  strugga  *)  d' invidia  e 
di  rabbia.  Tutte  le  mie  ricchezze  fin  d'ora  sono  per 
voi ,  e  a  patto  che  a  lui  non  debba  toccarne  nemmeno 
la  minima  parte.  Sidney ,  che ,  comunque  trattata  dal 
fratello  iniquamente  ,  pur  non  aveva  mai  cessato  di  nu- 
trire per  lui  quella  tenerezza ,  che  la  virtù  sa  ispirare 
ad  un  cuore  ben  fatto,  cercò  di  rimovere  il  vecchio  cu- 
gino da  questo  proponimento;   ma  egli  vi  persistette 

*)  Roda,  e  strugga  —  jtd^  àrgorn,  imb  i)crg€(;eti. 


SIDNEY.  4* 

immutabile.  Anzi  io  voglio  ancora  di  più,  le  soggiunse  ; 
la  pena  non  vale,  se  tulio  il  peso  l'iniquo  iion  ne  ri- 
sente. Io  vo  tosto  a  procacciarvi  il  più  superbo  palazzo 
che  aver  si  possa  :  quanto  sarà  a  lui  più  vicino ,  sarò 
più  pago.  Gli  addobbi  più  preziosi  vo'  che  ne  facciano 
l'ornamento;  una  corte  numerosissima  vo'ehe  sia  al 
vostro  servigio  :  in  vesti ,  gioie ,  carrozze  ,  ed  in  ogni 
altra  maniera  di  fasto  ninna  dama  di  Londra  vo'  che  non 
possa  uguagliarvi.  Vedrà  il  ribaldo  lo  sfoggio  a  cui  sa- 
lirete e  che  doveva  con  voi  dividere  ;  vedrà  l'orgogliosa 
sua  moglie  la  magnificenza  ed  il  lustro  a  cui  quel  cen- 
cioso da  lei  sprezzalo  saprà  condurvi.  Ne  fremeran  dì 
livore*);  io  riderò  ai  vedere  la  loro  rabbia  e  la  loro 
umiliazione.  Egli  fece  esaltamente  ciò  che  avea  propo- 
sto. Non  passarono  molti  giorni,  che  trovato  non  lungi 
dalla  casa  di  lord  Bidulph  un  palagio  magnifico,  e  fatto- 
lo ornare  nella  maniera  più  splendida,  Sidney  vi  con- 
dusse quasi  in  trionfo.  Non  è  a  dire  ')  qual  mortifica- 
zione ne  risentisse  Milord ,  e  più  ancora  la  superba  Mi- 
ledi,  e  quante  volle  si  rimproverassero  scambievolmente 
la  loro  durezza  e  il  loro  orgoglio.  Ma  il  fatto  non  era 
riparabile. 

Sidney  frattanto,  amata  universalmente  e  rispettata, 
ebbe  il  piacere  di  goder  alla  fine,  dopo  un  cumulo  d'af- 
flizioni e  di  sciagure ,  una  vita  lieta  e  felice ,  di  prov- 
vedere agiatamente  all'educazione  delle  sue  figlie  ch'e- 
rano la  sua  più  dolce  premura ,  e  di  ricompensar  de- 
gnamente la  sua  fedele  Patty,  che  dopò  aver  passati 
con  lei  tuttavia  alcuni  anni,  a  maniera  di  compagna 
piuttosto  che  di  servente,  con  ricca  dote  congiunta  si 
vide  a  leggiadro  e  virtuoso  giovane,  ch'ella  scelse,  e 
che  formò  la  felicità  de' suoi  giorni. 

*)  Livore  — ®cof(.  —2)  iVon  è  a  dire  — CiJ  (àpt  jìc^    iiic^t 
Soave^  Vovelle.  4 


60 

NOVELLA  IX. 

Li  imiocenza  è  costretta  a  sofferire  talvolta  le  più  cru- 
deli persecuzioni ,  ma  con  vergogna  e  con  danno  della 
calunnia  e  della  malvagità  alla  fine  pur  ne  trionfa.  Ec- 
cone un  esempio. 

Mentre  Pisa  e  Firenze  formavano  due  distinte  re- 
pubbliche, ed  amendue  erano  continuamente  agitate 
dalle  guerre  intestine  de'  Guelfi  e  de'  Ghibellini,  avvenne 
in  Firenze  che  Antonio  Bandiaelli,  il  quale  era  de' 
Guelfi  5  aggiungendo  alle  ragioni  di  partito  altre  ragioni 
private ,  concepì  contro  .Federico  tanucci ,  eh'  era  de' 
Ghibellini,  la  più  feroce  inimicizia.  Trovatolo  im giorno 
fuori  delle  mura  a  passegiar  solitario  lungo  F  Arno ,  ei 
cominciò  a  provocarlo  da  lungi  con  detti  ingiuriosi  e 
villani,  e  tratta  quindi  la  spada,  pieno  di  maltalento  *), 
corse  ad  investirlo  0.  Lanucci,  costretto  a  difendersi, 
ricevè  di  pie  fermo  il  nemico ,  e  dopo  un  lungo  com- 
battimento, essendo  questi,  nel  ritirarsi,  caduto  a 
terra ,  ei  gli  fu  con  la  spada  alla  gola ,  e  intimandogli 
di  non  far  motto:  Or  ben  tu  vedi,  gli  disse,  che  la  tua 
vita  è  in  mia  mano  ;  io  te  la  dono  contuttociò  di  buon 
grado ,  ma  a  patto  che  ogni  privata  inimicizia  da  questo 
punto  sia  fra  noi  terminata.  Bandiiìelli,  trovandosi  a 
queir  estremo ,  tutto  promise ,  ma ,  appena  il  generoso 
avversario  si  fu  ritratto,  levandosi  furioso,  gli  vibrò 
un  colpo  per  trapassarlo.  Lanucci  ebbe  appena  tempo' a 
schermirsi^),  poi,  trasportato  da  viva  indegnazione: 
Anima  vile  !  gli  disse ,  la  morte  vuoi  dunque  ad  ogni 
costo?  ben,  mori;  e  trafìttolo  fieramente,  il  lasciò  in 
un  lago  di  sangue. 

1)  Mal  taìeiito— ^u(!c.  — -)  Investirlo  —  ifin  iiberfaflcu.  — 
3)  Schermirsi— ftd^  frfjn^ciL 


FEDERICO    LAìSUCa.  51 

Ricoveratosi  in  Pisa  presso  un  amico ,  scrisse  egli 
tosto  a  Firenze  quanto  era  d'uopo  a  giustificarsi.  Ma  ^ 
per  sua  disavventura  1'  iniquo  Bandinelli  tuttor  vivea. 
Trovato  a  tempo  da'  contadini ,  che  su  quella  strada 
s' avvennero ,  ei  fu  recato  in  Firenze ,  e  la  ferita .  seb- 
ben  cavissima ,  non  fu  tuttavia  riconosciuta  mortale. 
II  ribaldo  all'antico  sdegno  aggiungendo  il  dispetto  e 
la  rabbia  di  essere  stato  vinto ,  immaginò  le  più  nere 
calunnie  per  vendicarsi.  La  mancanza  di  testimoni,  che 
valessero  a  smentirlo ,  gli  diede  maggior  coraggio.  Egli 
disse  che  a  tradimento  era  stato  assalito,  colpito  a  tra- 
dimento: lutto  il  partito  dei  Guelfi  si  sollevò  controLa- 
nucci;  e  lo  sventurato,  malgrado  la  sua  innocenza  e 
le  sue  proteste,  fu  dichiarato  capitalmente  bandito,  e 
confiscati  indegnamente  si  vide  tutti  i  suoi  beni. 

L'  amico  Belfiore ,  che ,  dopo  d' aver  usata  ogni 
opera  per  sua  difesa,  gli  ofi*erse  in  Pisa  generosamente 
un  perpetuo  asilo  nella  sua  casa ,  era  il  solo  conforto 
che  nella  sua  crudele  disavventura  gli  rimanesse.  Ma 
questa  dovea  farsi  ben  tosto  ancor  più  atroce.  La  ca- 
mera ove  dormiva  Lanucci  era  divisa  da  quella  del  ge- 
neroso amico  per  una  sala  ^  eh'  era  frammezzo ,  e  che 
ad  amendue  comunicava:  una  notte,  mentre  egli  era 
sopito,  destar  si  sente  all'  improvviso  da  un  rumore  che 
pargli  udir  nella  sala.  Trae  il  capo  fuor  delle  coltri  ^), 
e  tende  l'orecchio,  non  ode  più  nulla.  Credendo  ciò 
essere  slata  una  illusione,  si  corica  nuovamente;  ma 
dopo  pochi  istanti  torna  ad  udire  un  basso  gemito  che 
vemr  sembragli  dalla  camera  dell'  amico.  Balza  incon- 
tanente sul  letto,  e  raddoppia  l'attenzione;  il  gemito 
si  rinnova ,  e  più  languidamente.  Inquieto  allora  egli 
corre  alla  camera  di  Belfiore ,  e-  lo  chiama  più  volle  ; 
niun  risponde:   s'accosta  al   letto,  cerca  l'amico,  lo 

0  Coltri  — ^tfttWcf?. 

4* 


OS  KOVcUA   IX, 

scuote-  in  non  ai  deió'Vd.  Agiato  da  miìie  spaventi,  torna 
^alla  6ua  camera,  accende  prestamente  uà  lume,  si  reca 
di  nuovo  al  letto  di  Belfiore;  spettacolo  orribile  !  trova 
l'amico  infelice  con  un  coltello  fìtto  nella  gola,  che 
tutto  immerso  nel  proprio  sangue  trae  languidamente 
l'estremo  sospiro.  Eg-li  alza  un  grido  a  questa  vista; 
gli  cade  di  mano  il  lume:  si  getta  sovra  Belfiore,  e 
riman  senza  senso. 

11  rumore  frattanto  sveglia  i  domestici  e  lì  fa  ac- 
correre d'  ogni  parte.  Entrano  e  veggono  la  terribile 
^jcena  ,  iì  padrone  ucciso ,  Lanucci  tutto  insanguinato  e 
giacente  sovra  di  lui ,  cogli  occhi  inunobili ,  col  volto 
pallido  e  contraffatto ,  e  con  la  candela  a'  piedi  tuttor 
fumante.  Alzano  tutl' insieme  uno  strido  d'orrore:  La- 
iRicci  si  scuote,  e  levandosi  furioso  :  Ah  !  dove,  grida, 
dov'  è  il  ribaldo ,  il  traditore  ?  questo  pugnale  ,  questo 
medesimo  ,  che  non  poss'  io  allo  scellerato  tutto  immer- 
gere in  seno  I  . . .  Misero  amico  !  Ijifelice  Belfiore  !  e, 
rompendo  in  uno  scoppio  di  pianlo  *)  senza  più,  nuo- 
vamente sovra  di  lui  si  abbandona.  Confusi,  attoniti, 
inorriditi  rimangon  tutti .  e  ninno  sa  più  né  che  dirsi  ne 
che  pensare. 

Il  seguente  mattino  la  nuova  del  caso  atroce  si 
sparse  tosto  per  ogni  canto ,  e  tutta  Pisa  ne  fu  ripiena. 
Arrestati  vennero  subilamente  quanti  erano  nella  casa 
del  trucidato  Belfiore,  e  fra  gli  altri  pur  anche  lo  sven- 
turato L  ìuucci.  Chi  dir  potrebbe  di  qual  rammarico  a 
lui  fosse  il  vedersi  confuso  infra  coloro  ch'esser  pote- 
vano accagionali  dell"  esecrando  assassinio!  Ma  pure 
infelicemente  tutti  gli  indizi  cadevano  anzi  sopra  lui  solo. 
Il  luogo  in  cui  fu  sorpreso,  il  sangue  del  quale  era 
lordo,  il  pallore. e  il  turbamento  che  portava  dipinìo  in 
viso,  il  lume  spento  di  fresco  che  aveva  a' piedi,  la 
^)  l\onipciulo  ili  imo  s(?oppio  di  pianto — in  Xf^iàncn  \ant 


FEDEU5C0  L-iNUCCI.  5-» 

fama  del  tradimento  commesso  dinanzi  in  Firenze,  tutte 
eran  voci  che  lo  gridavan  reo.  Inteso  il  sospetto  che 
sovra  di  lui  si  fondava,  egli  uscì  nelle  smanie  più  vio- 
lente. Io,  disse,  io  uccidere  il  solo  amico  che  aveva 
al  mondo,  quello  a  cui  pur  doveva  questo  debole  avanzo 
di  vila,  che  ormai  detesto-,  quel  ch'io  amava  più  (U  me 
stesso,  e  per  cui  tutto  il  sangue  infino  all'  ultima  stilla  ') 
avrei  mille  volte  versato:  io  ucciderlo  barbaramente'. 
io  stesso  con  le  mie  mani  atrocemente  assassinarlo!  e 
in  qual  guisa  ?  di  notte ,  addormentato ,  sotto  al  velo 
ed  alla  difesa  dell"  ospitalità  e  dell"  amicizia  '?  Vn  animo 
sì  spietato  e  sì  codardo  può  dunque  in  me  sospettarsi? 
A  questo  ^^ado  d'estrema  umiliazione  sono  io  dunque 
ridotto  ?  Dio  o-iiisto!  Dìo  terribile!  non  m'hai  tu  (h\n- 
que  provato  ancora  abbastanza  ? 

Cosi  dicendo  ei  rimase  nel  più  profondo  abbattimento. 
Ma  tutto  questo  non  dileguava  i  sospetti ,  non  distrug"- 
geva  gT  indizi  che  troppo  apertamente  parlar  sembra- 
vano contro  di  lui.  Nell'adunanza  dei  giudici  fa  tuttavia 
chi,  mosso  dal  suo  dolore  e  dall'aria  d'ingenuità  che 
in  bii  discopriva,  osò  di  prenderne^  le  difese;  ma  la  più 
parte  a  finzione  o  rimorso  a'tribuirono  le  sue  smanie; 
dissero  che  troppo  manifeste  erano  le  prove  th»l  suo  de- 
litto ,  che  il  Iradimento  commesso  già  in  Firenze  vie  più 
lo  avvalorava  *),  che  il  rigor  delle  leggi  dovevasi  ri- 
spettare, che  l'atrocità  del  misfatto  chiedeva  un  esempio, 
che  il  popolo  l'attendeva,  che  indugiar  non  potevasi più 
a  lungo  :  e  il  misero  quasi  a  piene  voci  fu  condannato. 

La  fatai  nuova  gli  fu  recata  mentre  egli ,  lacerato 
dal  più  cnido  (hdore,  prosteso  a  terra  fra  le  catene 
andava  pure  Ira  sé  gridando  :  Io,  accusato  del  suo  as- 
sassinio! io  creduto  il  traditore!  e  tu,  giusto  Dio,  il 
consenti?  Quando  udì  legrg^ersi  la  sentenza  che  reo  lo 

^)  ■  f'iììUi  —  5'tr^iffr.  —  2)  Avvalorare  —  Mràftijjfn. 


'51  NOVELLA.   IX. 

dichiarava ,  scoppiò  nell'  ultime  furie,  a  cui  succedette 
una  prosti-azione  ')  totale ,  che  parve  simile  alla  morte. 
Da  questa  non  si  riscosse  ^)  che  per  uscire  in  nuove 
smanie  più  feroci ,  e  ricadere  poi  dopo  nel  suo  abbatti- 
mento :  in  sì  fiera  vicenda  egli  passò  tutta  la  notte. 
Piangevano  i  circostanti,  e  invano  s'argomentavano  di 
acchetarlo  ;  1'  orror  della  morte  non  era  quello  che  il 
commovesse:  dopo  la  perdita  dell'amico  questo  mo- 
mento era  da  lui  riguardato  siccome  jl  termine  de'  suoi 
mali;  il  crudele  pensiero  di  essere  egli  medesimo  di- 
chiarato autore  dell'assassino  era  il  solo  che  atroce- 
mente lo  straziava^). 

Alla  fine  però ,  a  conforto  dell'  abbaltxita  natura, 
si  mosse  la  religione.  In  un  momento  di  calma  ei  fissò 
gli  occhi  attentamente  sur  un  crocifisso  che  gli  fu  posto 
dinanzi.  Immobile  per  alcun  tempo  si  stette  egli  a  con- 
templarlo. Mentre  era  assorto  ne'  suoi  pensieri,  parvegli 
che  in  voce  tenera  ed  amorosa  questi  all'  animo  gli  di- 
cesse: Io  ben  era  più  innocente  che  tu  non  sei:  pur  vedi 
a  qual  termine  fui  condotto.  Colpito  da  questa  voce  di- 
vina ,  improvvisamente  egli  s'  alza ,  abbraccia  la  sagra 
immagine,  e  al  petto  stringendola  teneramente  :  Mio  Dio, 
esclama,  mio  Dio  !  avete  vinto  :  deh  !  perdonale  a  miei 
folli  trasporti  *)  :  la  morte,  l' infamia  più  non  ricuso,  lo 
non  v'  ho  imitato  vivendo  ;  godrò  di  potervi  almen  da 
lungi  seguire  in  morte.  Troppo  degno  amico  e  troppo 
infelice  !  il  tuo  fedele  Lanucci  a  te  sen  vola  :  la  sorte 
iniqua  non  ha  voluto  che  a  tempo  giugnessi  di  trarli 
dalle  mani  del  tuo  crudele  assassino  :  or  io  vengo  al- 
meno contento  ad  abbracciarti.  Deh  !  s'  afl'retti  il  fatale 
momento  ,  s'  aftVetti  ;  io  lo  sospiro.  Cosi  dicendo ,  pro- 
ruppe in  un  dolce  pianto ,    che  un  toiTente    di  lagrime 

^)  l*rostrazioiie  —  S'Jiebergefc^rajfit^eit.  —  -)  Riscosse — n> 
^oUt.   —    3^   Straziare  —  qiiàleii.  ~  *)   t'olii  trasporti  —  Usi-. 


FEDERICO  LANUCCr.  55 

trasse  a  tutti  gli  spettatori.  Niuno  più  v'  ebbe  allora  che 
dubitasse  della  sua  innocenza  :  ognuno  l"  avrebbe  voluto 
salvo  j  ognuno  sarebbesi  fatto  mallevadore,  per  lui  :  un 
bisbiglio  crescente  destavasi  già  d'ogni  parte ,  susurra- 
vasi  che  era  d*  uopo  sospendere  la  troppo  precipitata 
sentenza ,  che  nuove  informazioni  e  nuovi  esami  erano 
necessari,  che  il  tempo  aM'ebbe  scoperto  il  reo,  che 
Lanucci  non  potea  non  essere  innocente,  che  dilazione, 
in  somma,  e  diligenza  maggiore  si  richiedeva:  moUi 
eran  già  fermi  di  ricorrere  ai  giudici  solennemente  ;  la 
pubblica  opinione  già  era  tutta  per  lui,  quando  un  e  r- 
riero,  affretlatosi  da  Firenze  a  tutto  corso ,  opportuna- 
mente pur  giunse  a  confermarla,  ed  empi  tutta  Pisa  di 
gaudio  e  di  tripudio. 

L' uccisore  di  Belfiore  era  stato  un  sicario  *)  spe- 
dito dallo  scellerato  Bandinelli  per  trucidare  Lanucci. 
Non  contento  il  fellone  ^)  d'  aver  con  ree  calunnie  spo- 
gliato il  suo  nemico  di  tutti  i  beni .  e  fattolo  esiliare  per 
sempre,  volle  pur  anche  vederlo  tolto  di  vita.  Ad  un 
ribaldo  ei  promise  larghissima  ricompensa,  ove  l'avesse 
di  ciò  appagato.  Costui  recatosi  a  Pisa,  e  spiato  quanto 
era  d'uopo  ,  segretamente  erasi  introdotto  nella  casa  di 
Belfiore  ;  e  tenutosi  quivi  nascosto  fin  olire  alla  mezza- 
notte, nella  oscurità  e  nel  silenzio  maggiore  salito  era  a 
compiere  il  suo  reo  disegno.  Ma  in  vece  di  ammazzare 
Lanucci ,  scambiata  nella  confusione  di  queir  istante 
terribile  la  'direzione  dall'  una  camera  all'  altra ,  uccise 
Belfiore.  Fuggito  velocemente  di  Pisa ,  ei  fu  poscia  sor- 
preso presso  a  Firenze  da  un  altro  della  sua  tempra*), 
che  il  reo  Bandinelli  aveva  mandato  per  torlo  dimezzo*), 
temendo  eh"  ei  non  venisse  a  scoprirsi ,  e  confessasse  da 
chi  avea  l'ordine  ricevuto  dell'  uccisore  di  Lanucci.  Ma 

*)  Sicario  —  (jcbuttgencr  SWeuc^elmórbcr.  —  2_)  (.-filone  —  tu(^» 
loi.  —  ^)  Tempra  —  felnc^gtfic^eii.  —  *)  Torlo  di  mezzo  —  i^tt 
lunbringen. 


56  NOVELLA  X. 

la  nuova  perfìdia  del  moslro  esecrabile  fa  appunto  la 
sua  rovina,  e  la  salute  deli' ingiustamente  perseguitato 
nemico.  L' iiccisor  di  Belfiore ,  ferito  a  morte,  quando 
si  vide  lìgli  estremi ,  palesò  l' assassinio  commesso  in 
Pisa  per  ordine  di  Bandinelli*  e  arrestato  questo  subita- 
mente ,  si  spedi  a  Pisa  sollecito  un  corriere  che  1'  an- 
niinzio  arrecasse  di  ciò  eh' era  avvenuto. 

il  giubilo  di  tutto  il  popolo ,  che  già  avea  per  lin- 
fe lice  Lanucci  concepito  un  vivo  interesse,  fu  infinito- 
Ma  poco  mancò  che  l'annunzio  avventurato  in  vece  di 
camparlo  non  gli  affrettasse  la  morte.  All'udire  improv- 
visamente riconosciuta  la  sua  innocenza,  egli  cadde 
senza  respiro ,  e  pressoché  senza  vita.  A  poco  a  poco 
però  ili  amministrati  soccorsi  lo  richiamarono,  e  con 
solenne  onore  ei  fu  tratto  dalle  carceri  e  restituito  alla 
pristina  libertà.  Frattanto  l' iniquo  Bandinelli  confessò 
non  pur  gli  assassinj  che  aveva  ordinato,  ma  ancora 
le  calunnie ,  con  cui  prima  aveva  oppresso  il  suo  inno- 
cente avversario,  e  fu  punito  di  tutte  le  sue  scellerag- 
gini  come  si  conveniva.  Lanucci,  all'opposto,  con 
onorevol  decreto  fu  richiamato  a  Firenze  ;  e  ,  ricevuto 
in  essa  quasi  in  trionfo ,  venne  rimesso  immantinente 
al  possesso  di  tutti  i  s;ioi  beni ,  e  porzione  pur  anche 
di  quelli  di  Bandinelli  vi  fu  aggiunta.  Mai  però  non  potè 
consolarsi  della  morte  del  suo  amico  Belfiore,  di  cui 
era  stato  innocente  bensì,  ma  troppo  sventurata  ca- 
gione. 

NOVELLA  X. 

i^ippo  E  :ME:i\iec€r]0. 

i^ali  In  uno  stesso  villaggio  presso  Salerno,  e  cre- 
sciuti insieme,  avevano  Pippo  e  Menicuccio  contratta 
fin  dag/i  anni  più  teneri  la  più  stretta  amicizia.    Parca 


riPPO   E  MENICUCCIO.  57 

che  r  uno  non  sapesse  star  senza  1'  altro  ;  cercavansf 
prenuirosamente  a  vicenda;  comuni  erano  le  occupa- 
zioni e  i  divertimenti ,  la  volontà  era  una  sola  in  amen- 
due.  Rimasto  Pippo  senza  parenti  in  età  danni  undici^ 
era  stato  da  suo  padre  raccomandato  a  quello  di  Meni- 
cuccio,  che  in  qualità  di  tutore  l'aveva  tolto  in  sua 
casa ,  e  allevato  come  suo  figlio.  Vissero  così  i  due 
giovani  affezionati  sempre  più  l'uno  all' altro  fino  all'età 
di  ventanni,  quando  una  fortuna  inaspettata  di  Pippo 
venne  a  dividerli. 

Avea  questi  uno  zio  che ,  partito  di  casa  in  età  gio- 
vanile ,  dopo  vari  viaggi  e  varie  vicende ,  stabilitosi  in 
Cadice,  e  introdottosi  presso  ad  un  mercatante ,  n'  avea 
con  la  sua  abilità  acquistata  la  confidenza  per  modo  che 
r  unica  di  lui  figlia  ne  ottenne  pure  in  isposa.  Alla  morte 
del  vecchio  suo  padre  questa  non  sopravvisse  di  molto, 
e  lasciò  un  figlio,  che  presto  pure  mori.  Lo  zio  di  Pippo 
si  trovò  dunque  con  ciò  signore  di  copiose  ricchezze; 
ed  essendo  lui  pure  venuto  a  morte,  l'eredità  andò 
tutta  a  ricadere  su  Pippo,  siccome  il  solo  che  al  defunto 
appartenesse. 

La  nuova  che  a  Salerno  ne  giunse ,  colmò  di  egual 
gioja  amendue  gli  amici,  e,  costretto  Pippo  a  partire 
per  Cadice,  non  ebbe  maggior  cordoglio  *)  che  di  do- 
vere abbandonare  Menicuccio.  Il  pregò  quindi  con  fer- 
vorose ^)  istanze  a  non  volerlo  dimenticare ,  a  scriver- 
gli di  sovente,  a  procurargli  così  il  piacere  di  seco  per 
qualche  modo  inlertenersi  pur  di  lontano  ;  promise  che 
egli  dal  canto  suo  non  avrebbe  lasciato  partir  corriere 
senza  sue  lettere;  che  avrebbe  serbato  sempre  di  Ini  la 
più  dolce  e  più  tenera  ricordanza,  che  sbrigati  gli  affari 
e  raccolta  l'eredità,  si  sarebbe  affrettato  a  ri}(M*nare  a 
^Salerno  per  seco  dividere  le  sue  fortune. 

*)  Cordoglio  —  ®ram.  —  ')  Fervorose  istanze  —  infìànM* 


58  NOVELLA   X. 

Egli  attenne  infatti  per  alcun  tempo  la  sua  parola. 
Le  lettere  che  scriveva  eran  piene  delle  espressioni  più 
amorevoli  e  più  obbliganti,  non  era  mai  sì  contento, 
come  quando  arrivavangli  le  risposte  e  le  novelle  di 
Menicuccio  :  rinunziò  pur  anche  sul  primo  giugnere  in 
Cadice  a  favor  di  lui  il  tenue  patrimonio  che  aveva  in 
Salerno,  disposto  a  fargli  in  appresso  beneficj  assai 
maggiori.  Ma  questo  ardore  e  questa  premura  non  seppe 
durar  lungamente. 

Innanzi  di  dar  sesto  *)  a  tutti  i  suoi  affari ,  di  rac- 
cogliere i  capitali  di  suo  zio ,  dispersi  in  varie  piazze, 
(\i  mettersi  al  possesso  di  tutta  l'eredità,  egli  dovette  in 
Cadice  trattenersi  più  di  tre  anni.  Sin  dalla  fine  del  primo 
anno  V  ardor  primiero  incominciò  a  raffreddarsi.  La  lon- 
tananza, le  occupazioni,  i  nuovi  oggetti  andavano  a 
poco  a  poco  in  lui  dileguando  la  memoria  dell'  amico. 
Al  secondo  anno  più  non  gli  scrisse  che  assai  di  rado  e 
freddamente.  Al  terzo  anno  più  non  rispose,  e  ogni  car- 
teggio fu  interrotto.  Le  grandi  richezze  di  cui  si  vide 
in  possesso,  cominciarono  a  creargli  pensieri  alti  di 
sfoggio^)  e  di  magnificenza ,  e  l'amicizia  di  Menicuc- 
cio più  non  gli  parve  esser  degna  del  suo  stato.  Unafa- 
migliarilà  fanciullesca,  diceva  egli,  sussiste  infin  che 
dura  la  prima  età ,  e  che  mantengonsi  le  circostanze 
che  rhan  prodotta.  La  prima  età  è  passata,  cambiate 
sono  le  circostanze:  ora  deve  cessare. 

La  prima  volta  che  Menicuccio  si  vide  senza  ri- 
esposta, credendo  pur  che  la  lettera  fosse  smarrita,  ne 
replicò  una  seconda;  e  non  avendone  ancora  riscontro'), 
cominciò  dolcemente  a  lagnarsi  con  Pippo  del  suo  si- 
lenzio: vedendolo  continuar  tuttavia,  con  amichevole 
libertà,  ma  in  modi  gentili,  si  fece  a  rimproverarlo 
della  sua  scemata  amorevolezza.  Pippo ,  cresciuto  già 

*)  Dar  sesto  —  inDrbnimg  bringcn. — '2)  Sfoggio  — 9tufwanb 
—  ^)  Riscontro  —  (Sntgcgnitng,  9lntn?ort. 


PIPPO  E  MEMCUCCCO.  5» 

troppo  d' orgoglio .  ne  fa  irritato  :  all'  in  scienza ,  dis- 
s'  egli,  e  alle  rampogne  *)  osa  arrivare  costui?  ben  gli 
*la  veramente  siffatto  ardire  ;  egli  ha  ragion  di  lagnarsi 
della  mia  poca  amorevolezza ,  dopo  eh'  io  scioccamente 
gli  ho  ceduto  assai  più  eh*  ei  non  poteva  aspettarsi  da 
tjuo  padre.  E  può  ben  ringraziar  la  fortuna  che  oggetti 
si  piccoli  più  non  meritino  i  miei  pensieri  ;  se  ciò  non 
fosse ,  io  saprei  ben  punirlo  della  sua  arroganza.  Dopo 
quel  tempo  la  memoria  di  Menicuccio  fu  cancellata  in- 
teramente; le  nuove  lettere  che  di  lui  sopravvennero 
furono  gettate  al  fuoco  senza  esser  lette:  ogni  imma- 
gine, ogni  pur  menoma  idea  che  a  Menicuccio  e  all'in- 
trinsichezza ^)  con  lui  "avuta  si  riferisse,  era  bandita  dal- 
l' animo  incontanente  come  una  viltà  e  un  vitupero. 

Compiuti  gli  affari,  ei  raccolse  tutte  le  sue  ric- 
•chezze ,  e  pomposamente  sen  venne  a  Napoli.  Qui  alla 
^ua  vanità  un  titolo  romoroso  si  richiedeva;  ei  profuse 
tesori  per  comperarlo  :  ed  eccoti  Pippo  divenuto  il  prin- 
cipe di  Calandrone.  Menicuccio,  udita  appena  la  sua 
venuta,  non  sospettando  nell'animo  di  lui  un  cangia- 
mento siffatto,  attribuendo  a  tutt' altra  cagione  il  te- 
nuto silenzio,  ansioso  pur,  d'altra  parte,  dimostrar- 
gli la  sua  costante  affezione  e  la  sua  riconoscenza,  s'af- 
frettò d'andare  a  Napoli  per  abbracciarlo.  Il  principe 
di  Calandrone  non  si  degnò  di  receverlo.  Più  d'una 
volta  avvenne  pure  che  tratto  questi  per  le  vie  più. popo- 
lose in  un  cocchio  magnifico,  ove  giaceva  alteramente 
«drajato  '),  vide  giù  tra  la  folla  pedestre  confuso  pur  Me- 
nicuccio, e  lo  riconobbe;  ma  schifosamente  ognor  no 
torse  Io  sguardo,  come  da  cosa  che  stomaco  gli 
movesse. 

Pieno  frattanto  di  sé  e  de'  suoi  tesori,  incomin- 
ciò a  versarli  a  larga  mano.     Poco   gli   era   costato 

*)  Rampogne  —  Sorluurfe.  —  2)  Intrinsichezza  — 33ertrflus 
lii^Feir.  —  3j  S(lraj;ito  —  ^ingcjlrcrft. 


%0  JiOVEI.LV  X. 

r  averli,  poco  costavaoli  il  dissiparli^).  Il  .suo  palazzo 
fu  addobbato  deoli  arredi  più  preziosi,  ed  ivi  fu  aperto 
r  adito  a  tutti  i  parassiti  che  non  mancarono  di  presta- 
mente aifollarvisi.  11  numero  do  servitori  fu  qual  appena 
potea  convenire  al  più  alto  principe  ;  e  largamente  trat- 
tati, aveano  pur  tutto  l'agio  <li  profittare  liberamente 
di  ciò  che  lor  capitasse  sotto  alle  mani.  Le  prime  mode 
e  più  dispendiose  erano  tosto  seguite  negli  abiti ,  nelle 
carrozze,  negli  ornamenti  d'ogni  maniera,  e  come  troppo 
.sapea  ili  basso  e  di  triviale  ciò  che  era  nato  in  seno  alla 
.stupida  Italia,  tutto  traevasi  a  gran  prezzo  da  Lione, 
da  Parigi,  da  Londra,  da  Amburgo,  da  Amsterdam, 
da  Brusselles,  e  sino  da  Copena.Q-hen  e  da  Pietroburgo^ 
I  banchetti  eran  continui,  e  imbanditi  '^)  de"  cibi  più  de- 
licati che  cuoco  francese  condir  sapesse.  Frequenti  erano 
le  feste  di  ballo,  e  la  squisitezza  de' rinfreschi  egua- 
gliava la  loro  profusione.  Le  sue  ville  erano  il  ridotto^) 
di  tutti  i  ghiottoni*),  che  andavano  e  venivano,  e  trat- 
tenevansi  liberamente  come  e  quanto  loro  piacesse.  La 
folla  de"  cortigiani  e  degli  adulatori  è  troppo  facile  a 
comprendere  quanto  dovesse  crescere  per  questi  mezzi; 
il  nome  del  principe  di  Calandrone  sonava,  per  ogni 
parte  :  ei  solo  fornito  era  d'  ogni  più  raro  .talento,  solo 
.sapea  vivere  come  conviene:  egli  era  il  solo  modello 
che  ogni  signore  propor  si  dovesse  ad  imitare.  11  buon 
principe  ne  trionfava  e  ringalluzzavasi  ®),  e  a  larghi 
.sorsi  bevea  le  lodi  e  gli  applausi  lusinghieri,  e,  gonfio 
divento,  più  non  capiva  in  sé  stesso^). 

Ma  il  bel  trastullo  non  durò  a  lungo.  Le  spese 
enormi  che  questi  sfoggi  inconsiderati  assorbivano,  le 
non  minori  ('he  gli  rapivano  le  malvagie  persone,  alle 

*)  ì)issipare  —  iwc^fiiben.  —  ")  Im}),inditi  —  angeildjtct  — 
^)  Ridotto  —  iCcvfammhuig^Lnt.  —  '*)  ('. li i ottono  —  «^rcffer.  — 
'')  Ringalluzznv.isi  —  cr  fcrùftcte  ficf).  —  ^)  Più  non  capiv.'«  in  sé 
slesso  —  er  fonntc  fìd;  nid;t  ntcf;r  fflfen. 


PllTO   L  MENICUCCIO.  61 

quali  s'abbandonava,  le  perdite  imnieni>e  che  fece  al 
«:iuoco,  in  poco  tempo  il  ridussero  al  nulla.  Ag:gravato 
di  debiti  da  ogni  parte,  si  vide  tutto  a  un  tratto  asse- 
dialo da  ogni  parte  danna  turba*)  di  creditori  che  case 
e  mobili,  e  quanto  avea,  tutto  g:li  tolsero  in  un  momento. 
A  questa  tempesta  gli  adulatori,  i  parassiti  e  ogni  altra 
genia  sì  fatta,  che  prima  lo  circondavano  con  tanto 
studio  5  tutti  scomparvero  immantinente.  Isolato  e  men- 
dico, ei  tuttavia  si  consolò,  sperando  di  trovar  soccorso 
ne'  tanti  amici  che  procacciato  gli  avea  la  sua  passata 
opulenza.  Vana  e  folle  lusinga!  Alcuni  appena  mostra- 
rono di  riconoscerlo,  altri  cercarono  con  ogni  cura  di 
evitarlo:  v'ebbe  chi  giunse  perfino  alla  barbarie  d'in- 
sultarlo e  deriderlo  ;  i  più  discreti  finsero  di  compas- 
sionarlo ,  protestando  però  con  dispiacere  infinRo  di  non 
poterlo  soccorrere.  Che  lezione  terribile  di  disinganno 
non  fu  questa  per  lui!  Ridotto  all'estrema  indigenza, 
più  non  sapea  che  farsi.  Gli  risovvenne  allora  di  Me- 
nicuccio:  il  carattere  dolce,  affettuoso,  compassio- 
nevole ,  che  aveva  sempre  sperimentato  nel  suo  amico, 
ben  potea  dargli  speranza  di  un  pronto  soccorso:  ma 
come  osare  di  presentarsegli  dopo  averlo  sprezzato  sì 
alteramente?  Benché  la  nei^essità  lo  spingesse,  il  ros- 
sore pur  lo  ritenne,  e  in  vece  di  recarsi  a  Salerno,  de- 
liberò d'incamminarsi  alla  volta  di  Roma,  a  cercare 
colà,  dove  ignoto  sperava  di  giugnere ,  e  non  aver  chi 
guardandolo  1' umiliasse,  nii  qualche  mezzo  alla  sua 
^sussistenza. 

Con  questo  proponimento  partito  da  Napoli,  arrivò 
«ulla  sera  ad  una  casa  campestre,  ove  chiese  di  pò  ter 
passare  la  notte.  Una  giovane  contadinella  che  egli  vide 
4:o\à  sedere,  e  a  cui  si  diresse,  accoltolo  cortesemente  : 
Voi   siate  pure  il  ben  venuto,    gli  disse-  mio  marito 

*)  Turba  —  ^c^oav. 


62  jsovella  X. 

non  può  tardare  che  pochi  istanti  ;  egli  ha  diletto  gran- 
dissimo di  offerir  quei  servigi  che  gli  consente  lo  stata 
suo  a'  passeggieri  a  cui  occorre  alcuna  volta  di  qui 
trattenersi:  voi  potrete  restar  a  vostro  buon  grado: 
entrate  frattanto ,  e  riposatevi  fmch'  io  do  ordine  a 
queste  poche  faccende  che  ancor  mi  rimangono.  Entrò  il 
misero  principe,  e  fu  sorpreso  al  vedere  una  casa  che 
nella  sua  semplicità  spirava  da  ogni  parte  i  caratteri 
di  una  tranquilla  abbondanza.  Mentre  egli  ammiran- 
dola invidiava,  la  sorte  de'  suoi  felici  abitatori,  ecco 
arrivarne  il  padrone. — ^ Cielo!  che  veggo  mai?  (gridò 
egli  osservandolo  da  lontano).  Menicuccio!  ah  dove 
ascondermi?  dove  mai  profondarmi?  Un  rossore  im- 
provviso tutto  gì' infiammò  il  volto,  e  un  tremito  lo  colse 
per  tutte  le  membra. 

Menicuccio  s' avvanzava  a  eran  corso  in  un  cales- 
setto ,  ma  avea  la  mestizia  dipinta  in  viso.  La  moglie 
si  affrettò  ad  incontrarlo  :  ei  sospirando:  Tutte  le  mie 
ricerche ,  le  disse ,  non  hanno  giovato  punto  :  egli  è 
partito  da  Napoli  disperato,  né  alcuno  ha  saputo  ad- 
ditarmi qual  via  abbia  preso.  Chi  sa  qual  fine  egli  ha 
fatto,  0  qual  tristo  fine  l'attende!  Qui  non  potè  tratte- 
nere il  pianto,  e  le  lagrime  della  moglie  intenerita 
l'accompagnarono.  Quindi  essa  gli  annunziò  il  forestiere 
che  era  giunto  poc'  anzi  a  chieder  l'alloggio  per  quella 
notte,  e  che  nella  sala  egli  slava  attendendo.  Menicuc- 
cio :  Il  cielo,  disse,  pur  sia  lodato:  io  avrò  almeno  il 
piacere  di  far  del  bene  a  qualcuno:  questo  conforto  mi 
era  necessario  per  sollevarmi  dal  tristo  pensiero  di  non 
aver  potuto  giovare  al  mio  amico.  Ah  s' io  avessi  un  sol 
giorno  innanzi  saputo  la  sua  sciagura! , . .  Così  dicendo 
si  affrettò  nella  sala. 

Pippo,  nascosto  in  un  angolo  *),  coprendosi  conte 

')  Angolo  —  (Scfe. 


PIPPO   E  MENICUCCIO.  99 

mani  il  volto ,  che  era  tutto  di  fuoco ,  e  tremando  da 
capo  a  piedi ,  non  osava  di  levar  gli  occhi.  Menicuccia 
al  veder  un  uomo  in  tal  atto  m  sulle  prime  rimane  esta- 
tico: si  appressa  quindi,  il  contempla — ^ M'inganno  iot 
—  r  esamina  più  da  vicino.  —  Gli  è  desso  al  certo  :  qui 
non  v'ha  dubbio ...  Cielo  !  l'amico  mio!  —  e.  corren- 
dogli al  collo  con  braccia  aperte,  il  copre  di  baci  e 
di  lagrime  senza  poter  altro  dire.  Pippo^  fralallegrezza 
e  il  rossore .  trovavasi  nell'  estrema  confusione.  Meni- 
cuccio,  levandosi,  e  sovra  lui  ricadendo:  Io  v'ho  pur 
dunque  fra  le  ni: e  braccia*?  siete  dimque  pur  voi  mede- 
simo? Ah  il  cielo,  il  cielo  non  m'ha  voluto  infelice: 
sia  egli  piu"  benedetto.  Io  non  ho  inteso  che  ieri  la  vo- 
stra disgrazia.  Questa  mattina  era  corso  a  Napoli  per 
rintracciarvi:  dopo  mille  ricerche,  udita  la  vostra  par- 
tenza senza  sapere  a  qual  volta  '),  più  non  isperava  di 
ritrovarvi:  io  era  nell'ultima  afflizione:  ora  son  l'uomo 
il  più  felice  del  mondo.  Qui  tornò  ad  abbracciarlo  e  ba- 
ciarlo novellamente. 

Pippo ,  intenerito  e  confuso  più  che  mai ,  sforza- 
vasi  pur  di  dire  alcuna  cosa,  ma  non  sapeva  trovar  pa- 
role :  r  amico  non  gli  diede  pur  campo,  così  ripigliando  : 
Voi  non  siete  più  gran  signore ,  gli  è  vero ,  ma  siete 
ancor  grande  abbastanza  per  poter  consolarvi.  Il  patri- 
monio che  già  alle  mie  cure  affidaste  era  di  diecimila  du- 
cati; altrettanti  all'incirca  io  n'ho  ereditati  da  mio  padre; 
con  questi  due  capitali  insieme  uniti  io  ho  comperato  il 
fondo  che  qui  vedete.  Egli  era  a  mal  partito^)  quanda 
io  ne  sono  entrato  al  possesso.  Ma  coli'  assidua  diligenza 
io  Iho  ridotto  gi'd  a  segno  che  oltre  a  mille  ducali 
mi  rende  annualmente.  Continuando  le  cure  ei  potrà 
rendere  in  avvenire  ancor  di  vantaggio.  Ora  noi  il 
divideremo,  siccome    cosa    comune,    fra   di   noi   due 

')  A  qual  volta—  nrol^in,  in  irefc^er  Sìic^tung.  —  2)  A  mal 
partito  — in  )^Uà)tan  3wftanbe. 


«4  ,  NOVELLA    X. 

o  r  amministreremo  di  compagnia,  .'^e  più  v'aggrada.  Voi 
avrete  da  ciò  onde  poter  vivere  tuttavia  bastantemente. 

À  questo  tratto  di  generosità  inaspettata  Pippo  non 
potè  più  resistere:  prorompendo  in  dirotto  pianto,  e 
abbracciando  l' amico  teneramente  :  Ali  qual  amico, 
qual  uomo  incomparabile  la  mia  malnata  alterigia  m'a- 
vea  mai  fatto  abbandonare!  Io  sento  tutto  il  prezzo 
della  vostra  generosità  e  della  vostra  dilicatczza.  Quanta 
differenza  ♦*  fra  voi  e  tante  anime  vili  che,  dopo  avermi 
divorato  insino  all'  ultimo .  mi  han  lasciato  sì  crudel- 
mente !  Non  crediate  però  che,  malgradj  la  mia  scia- 
gura, della  vostra  generosità  io  voglia  abusare;  ione 
sarei  troppo  indegno.  Il  patrimonio ,  di  cui  dite  ch'io 
la  cura  soltanto  v'ho  affidata,  fu  in  dono  libero  e  per- 
petuo da  me  ceduto  ;  ed  ora  è  vostro ,  né  io  avervi  più 
debbo  alcun  diritto.  La  mia  disgrazia,  comunque  grande, 
è  stata  da  me  meritata  ;  il  solo  avervi  lasciato  si  inde- 
gnamente ne  meritava  una  peggiore ,  ed  io  debbo  sof- 
frirla. Ovunque  mi  guidi  il  mio  destino ,  mi  basterà  il 
piacere  di  aver  aquistato  pur  nuovamente  la  vostra 
amicizia. 

Voi  non  l'avete  punto  riacquistata,  rispose  Meni- 
<;uccio  :  voi  la  sdegnate  tuttora  se  da  me  pensate  ad 
allontanarvi.  Qiinì  che  sia  stato  allora  il  vostro  pensiero, 
quel  che  m'avete  lasciato  ,  ora  deve  esser  vostro,  e  il 
torto  non  mi  farete  di  rifiutarlo.  Riguardatene  la  resti- 
tuzione come  atto  o  di  giustizia  o  dauìicizia,  ciò  non 
importa;  ma  voi  dovete  accettarla.  —  lo  né  il  debbo, 
uè  il  posso,  replicò  Pippo,  piangendo  e  singhiozzando 
più  fortemente  ;  ma  io  non  sarò  pure  sì  ingrato  da  al- 
lontanarmi mai  più  da  un  amico  come  voi  siete.  Io 
starò  eternamente  con  voi,  e  porrò  quindi  innanzi  tutta 
la  mia  premura  e  il  piacer  mio  a  secondare  le  vostre 
cure:  troppo  felice  io  mi  terrò  di  poter  riparare  in 
qualche  parte  all'  iniqua  ingiuria  che  vi  ho  fatto.  Anima 


NOVELLA  XI.  —  UGGERO  IL  DANESE.  65 

generosa,  anima  impareggiabile  !  ...  Or  bene,  rispose 
Menicuccio ,  voi  resterete  ;  questo  è  che  mi  preme  :  di 
tutto  quello  che  è  qui  voi  godrete  liberamente  come  di 
cosa  vostra;  quest'  è  ch'io  esigo:  a  qual  titolo,  ne  par- 
leremo altra  volta.  Eccoti  il  mio  caro  amico ,  soggiunse 
quindi  rivolto  alla  moglie ,  che  ad  una  scena  sì  tenera 
già  non  poteva  frenar  le  lagrime  :  dopo  il  giorno  avven- 
turato che  a  te  m' ha  congiunto ,  questo  è  il  giorno  più 
bello  e  più  felice  della  mia  vita. 

Pippo  ebbe  a  durar  lungo  tempo  *)  a  rinvenire  dal 
suo  sbalordimento.  Qual  anima  incomparabile  !  egli  an- 
dava ognor  ripetendo:  Qual  diversità  da  tante  anime 
indegne,  la  cui  amicizia  interessata  e  menzognera 
m'avea  fatto  così  orgoglioso! 


NOVELLA  XL 
DCSGERO  Ili  DAIVESE. 

leggero,  figlio  di  Goffredo,  re  di  Danimarca,  fu  uno 
de"  gueiTÌeri  più  valorosi  de'  tempi  di  Carlo  Magno. 
Egli  apprese  il  mestier  dell'  armi  sotto  al  duca  Namo  di 
Baviera ,  e  venuto  seco  in  Italia ,  allorché  Carlo  Magno 
con  poderoso  esercito  *)  corse  a  salvar  Roma  da  Sara- 
ceni 5  fin  dalla  prima  battaglia  in  cui  si  trovò  fé'  tali 
prodigi  di  valore,  quali  appena  aspettar  polevansi  dal 
cavaliere  più  prode  e  più  sperimentato.  Aveano  i  Sara- 
ceni rapila  ai  Cristiani  la  grande  Orifiamma  ')  lor  sacra 
e  rispettata  bandiera  :  Uggero ,  pieno  di  nobile  zelo  e 
di  fermo  coraggio,  si  scaglia  sovra  di  essi,  e  lor  la 
ritoglie  ;  né  pago  di  questo  solo ,  s' avanza  animoso  in 

*)  Ebbe  a  durar  lungo  tempo  — brandite  larice,  tte»or  a. — 
2)  Poderoso  esercito  —  \taxUe  ^m.  —  »)  Orifìamma  —  Dri» 
^amme. 

Soave,  Novelle.  '  5 


66  NOVELLA  XL 

mezzo  air  armi ,  e  giugne  ad  involare  pur  anche  ai 
nemici  medesimi  lo  stendardo  di  Maometto.  A  queste 
prove  sublimi  di  forza  e  di  valore  ei  fu  dall' impera- 
dore  e  da  tutto  r esercito  colmato  d'elogi  e  di  onori 
oltre  ogni  esempio. 

Trovavasi  al  campo  un  figlio  dell'imperadore  mede- 
simo ,  che  Carlo  pur  nominavasi.  Egli  era  di  età  eguale 
ad  Uggero ,  e  a  lui  compagno  nell'  armi,  ma  d' animo 
quanto  vile,  altrettanto  invidioso  e  maligno.  La  gloria 
d'  Uggero  ,  lungi  dall'  ispirargli  una  generosa  emula- 
zione *),  non  fé'  che  accenderlo  contro  lui  di  un  odio 
feroce.  Ne  questo  fu  già  momentaneo  ;  che  anzi,  accre- 
scendosi ognor  maggiormente  per  nuove  illustri  azioni 
la  fama  di  Uggero ,  tanto  che  a  poco  a  poco  non  pur 
la  Francia,  ma  tutta  l'Europa  ne  fu  ripiena,  di  altret- 
tanto si  venne  pur  sempre  aumentando  la  malignità  e 
r  invidia  del  suo  codardo  '^)  rivale.  Ogni  mezzo  il  cru- 
dele andò  più  volte  cercando  per  riuscire  ad  opprimerlo, 
ora  tramandogli  insidie,  or  facendo  nelle  battaglie  eh'  ei 
fosse  esposto  a'  maggiori  pericoli  ;  ma  Uggero ,  a  tutto 
superiore ,  ne  uscì  sempre  vittorioso. 

Avea  questi  un  figliuolo  di  somma  aspettazione  *) 
il  qual  chiamavasi  Baldovino.  Lasciatolo  nei  primi  anni 
alla  corte  di  Danimarca ,  allor  che  tempo  gli  parve ,  lo 
chiamò  seco  a  Parigi  per  addestrarlo  ei  medesimo  nel= 
l'arte  della  guerra.  Il  giovine  valoroso  vi  fé'  in  breve 
tempo  maravigliosi  progressi,  e  al  coraggio,  alla  forzi 
alla  destrezza,  all' accorgimento  ben  degno  mostrava^ 
d'  un  sì  gran  padre.  Carlo ,  ognor  simile  a  sé  stesso^ 
queir  odio  atroce  che  da  gran  tempo  nutriva  contro  d'Ug^ 
gero,  rivolse  pure  contro  del  figlio^  e,  per  isfogare^ 
ad  un  tratto  contro  amendue  la  sua  rabbia ,  un  giorno 
che  Baldovnio,   da  lui  insultato  villanamente,  ebbe  il 

*)  Emulazione  —  S^ad^eiferung.  —  ^)  Codardo  —  feigi^er^ig. — 
^)  Aspettazione  —  (Svtoartung. 


UGGERO  IL  DANESE.  69 

coraggio  di  francamente  rispondergli,  il  brutale,  tratta 
furiosamente  la  spadai,  sen^  lasciargli  pur  tempo 
di  mettersi  ?ulle  difese  ,  iniquamente  il  trafisse. 

Allorché  al  misero  padre  ne  fu  recata  la  nuova, 
egli  al  primo  colpo  rimase  stupido  e  immobile.  Quindi 
allo  sbalordimento  ^)  sottentrandò  la  furia  più  terribile, 
ei  corse  qual  forsennato  ')  tutta  la  corte  in  traccia  di 
Carlo  per  vendicarsi.  Questi  erasi  ritirato  presso  all'  im- 
peradore.  Uggero  informatone ,  entra  furibondo  con  la 
spada  sguainata*),  spirando  fiamme  dagli  occhi,  spi- 
rando morte.  Il  vigliacco  assassino,  atterrilo  e  tremante, 
dietro  all' imperadore  medesimo  si  nasconde.  Uggero 
non  sente  che  l'impeto  del  suo  furore:  Pur  ti  ho  giunto, 
ribaldo,  gli  grida  ;  difenditi ,  se  pur  sai  ;  e,  in  ciò  dire, 
precipitoso  ver  lui  s' avventa.  L' imperadore  s'oppone  in- 
darno; il  traditore  già  era  perduto,  se  i  cavalieri  e  le 
guardie  che  l' imperador  circondavano,  riusciti  non  fos- 
sero a  salvarlo. 

Era  tra  quelli  il  duca  JVamo,  che  Uggero  avea 
ognor  rispettato  siccome  padre.  Trattolo  fuori  della 
sala,  questi  gli  fé'  comprender  l'eccesso  a  cui  il  suo  fu- 
rore l' avea  condotto,  e  lo  costrinse  a  partire.  Frat- 
tanto egli  con  tutti  i  Pari  i  loro  uffici  interposero  e  le 
loro  preghiere  per  ottenergli  dall' imperadore  il  perdono. 
Ma  questi  era  troppo  irritato  per  consentire  a  piegarsi. 
E  certamente  l'ingiuria  che  Uggero  avea  fatto  alla  im- 
periale dignità,  assalendo  con  mano  armata  un  figlio 
dell'  imperadore  medesimo  nelle  sue  stanze ,  e  sotto  a' 
suoi  occhi,  era  gravissima.  Le  circostanze  che  a  questo 
trasporto  l'avcan  sospinto  potevan  sole  scusarlo.  Ma 
Carlo  Magno  più  non  mirava  che  ai  diritti  della  sua 
dignità  oltraggiata.  Per  lungo  tempo  adunque ,  esiliato 

*)  Tratta  la  spada  —  bae  ©c^iuett  gcjùcf K  —  2)  Sbalordi- 
mento —  Setóubung.  —  3)  Forsennato  —  rafeiib.  —  *)  Con  la  spada 
sguainata  —  mit  Q^OQtmm  Sà}mxk. 


eS  NOVELLA  XI. 

^alla  corte  e  dalla  Francia ,  dovette  Uggero  andar  va- 
gando per  varie  parti  j^qua  e  là  frattanto  a  prò  d' altrui 
impiegando  il  suo  valore ,  finché  per  ultimo  l' impera- 
dore  medesimo,  pur  suo  malgrado,  costretto  videsi  a 
richiamarlo. 

I  Saraceni  sotto  alla  guida  di  Bruj ero  avevano  rin- 
novata la  guerra  ^  e ,  fatto  uno  sbarco  ^  in  Provenza, 
vittoriosi  già  s' erano  avanzati  fino  a  Parigi.  L' impera- 
dore,  rinchiuso  nell'assediata  città,  aveva  colà  raccolte 
le  sue  schiere;  ma,  privo  in  quel  tempo  de'  paladini 
più  valorosi ,  a  grave  stento  *)  potea  con  queste  soste- 
ner r  impeto  dei  nemici.  Avventuratamente  Bruj  ero,  af- 
fidato nelle  sue  forze,  e  premuroso  di  sollecitar  la  vit- 
,toria,  propose  di  terminare  la  guerra  con  un  duello. 
Uggero  allora  trovavasiin  Inghilterra,  e  tutti  ben  videro 
che  egli  solo  poteva  reggere  al  paragone,  e  far  fronte 
al  terribil  nemico.  La  corte  e  l'esercito  già  sospira-J 
vano  il  suo  ritorno;  l' imperadore  da  ogni  parte  fusti- 
molato  a  richiamarlo  ;  la  necessità  più  di  tutto  lo  co- 
strinse a  consentirvi.  Accettò  Uggero  l'invito  ,  ma  volh 
il  patto,  che  quando  ei  restasse  vittorioso,  €arlo  gl^ 
fosse  dato  per  prigioniero.  A  questo  patto  si  scossi 
r  imperadore ,  e  s'  oppose  ;  ogni  altra  cosa  in  vece  s'of-i 
ferse  pronto  ad  accordargli;  ma  Uggero  si  tenne  fermo: 
e  dal  bisogno  pressante  Carlo  Magno  alla  fine  fu  obbli- 
gato ad  arrendersi. 

Tornato  l'invitto  guerriero,  al  terzo  giorno  fu 
stabilito  il  combattimento.  Di  buon  mattino  si  aprì  1( 
steccato  ^),  i  due  valorosi  nemici  v'  entrarono ,  e  i  du< 
eserciti  stettero  dall'  una  e  dall'altra  parte  schierati  a  ri- 
guardar la  battaglia.  Era  Brujero  di  smisurata*)  cor-j 
poratura  e  di  terribili  forze.   Uggero  lo  superava  nella 

*)  Sbarco  —  ^Sanbunjj.  —  ^^  A  grave  stento  —  mit  tjiefec 
ajlùl^e.— 3)  Steccato— ^flami)f^(cl^.  —  *)  Smisurato  —  umrmpfs 
\i^,  nngo^cuer. 


CGGERO  IL  DANESE.  S9 

destrezza  e  nel  maneggio  *)  dell'armi.  II  primo  in- 
contro *)  fu  orribile,  le  lance  andarono  in  mille  pezzi, 
ma  i  cavalieri  non  si  mossero  dall'  arcione  ').  Trassero  ' 
allora  amendue  le  spade,  e  con  fieri  colpi  cominciarono 
a  tempestarsi  *).  Brujero,  usando  della  sua  forza,  non 
mirava  che  ad  offendere  il  nemico;  Uggero,  accorta- 
mente aggirandosi,  rendea  vani  gli  assalti  dell' avver- 
sario, e  coglieva  opportunamente  le  occasioni  di  bat- 
terlo. Già  da  più  parti  infatti  Brujero  miravasi  insan- 
guinato ;  Uggero  vedevasi  tuttora  intatto.  Acceso  di 
rabbia  il  feroce  Saraceno,  se  gli  scaglia  addosso  ^)  con 
impeto,  e  gli  cala  un  gran  fendente  ®) ,  che  di  terrore 
empi  r  esercito  de'  Cristiani.  Il  paladino  accortamente 
seppe  ritrarsi ,  ma  non  potè  essere  cosi  pronto  che  il 
colpo  orribile  non  rovinasse  addosso  al  cavallo,  che 
sotto  gli  cadde  morto.  Fortunatamente  egli  si  trovò  in 
piedi,  e  ferito  in  un  fianco  il  cavallo  nemico,  egual- 
mente lo  mise  a  terra.  Qui  incominciarono  a  piedi  una 
pugna  ancor  più  crudele.  Già  l' uno  e  l' altro  da  più 
parti  spezzata  aveano  l'armatura;  già  da  più  parti 
air  uno  e  all'  altro  sgorgava  il  sangue.  Uggero  però 
fino  allora  avea  avuto  maggior  vantaggio.  Infuriato  il 
re  africano,  e  impaziente  di  terminar  la  battaglia,  get!a 
la  scudo ,  investe  Uggero  con  impeto ,  e  raccogliendo 
tutte  le  sue  forze,  cala  un  gran  colpo  a  due  braccia. 
Tutta  l'agilità  del  Danese  fu  di  mestieri  per  evitarlo. 
Ei  però  prontamente  balzò  da  un  lato,  e  colto  quindi 
il  momento  propizio,  nel  fianco  scoperto  immerse  pure 
a  Brujero  profondamente  la  spada.  Cadde  a  quel  colpo 
lo   smisurato  Africano  ;  un  grido  d' orrore  e  di  dispe- 

*)  Maneggio  —  ^anb^aSung.  ^)  Il  primo  incontro  — ba«  etjlc 
3ufammentrcffcn.  —  *)  Arcione  —  Éatkl.  —  *^  Tempestarsi 
—  fìc^  ju  ftljfagfn.  —  ')  Scagliarsi  addosso  —  auf  cinen  Io«« 
lìùr^en.  —    ^)  Gli  cala  un  gran  fendente  --   »ccfc$tc  if}m  cium 


aO  NOVELLA  XI. 

razione  alzò  l' esercito  de'  Saraceni  :  un  grido  di  giu- 
bilo e  di  festa  alzò  il  campo  dei  Cristiani.  Uggero  in 
trionfo  al  padiglione  dell' imperadore  fu  accompagnato. 

Qui,  ricevuti  gli  applausi  e  gli  elogi  di  tutto  l' eser- 
cito, ei  chiese,  che  mantenuta  gli  fosse  la  data  fede. 
Impallidì  Carlo  Magno ,  che  troppo  temea  gli  eifettì 
dell'ira  e  della  vendetta  d'Uggero;  ma  la  promessa 
era  troppo  solenne,  non  era  più  tempo  di  ritirarsi. 

Il  crudele  assassino  del  figlio  d' Uggero,  disarmato, 
pallido,  palpitante  gli  fu  condotto  dinanzi.  Ei  fieramente 
guardandolo  :  Or,  disse,  è  tempo  che  alfìn  tu  paghi  la 
pena  del  tuo  barbaro  tradimento  :  quindi,  presolo  con 
la  sinistra  pe'capegli,  alzò  coli' altra  furiosamente  la 
spada  in  atto  di  trucidarlo.  Mise  l' imperadore  un  forte 
grido  5  tremare n  gli  astanti  e  inorridirono  :  il  prigioniero 
cadde  tramortito  per  lo  spavento.  Allora  Uggero,  gettando 
ai  piedi  di  Carlo  Magno  la  spada,  e  nell'atto  stessa 
prostrandosi  dinanzi  a  lui:  Da  questo  momento,  disse, ^ 
ben  dei  apprendere,  o  sire,  quanto  costi  al  cuor  d'un, 
padre  la  morte  di  un  figlio  assassinato.  Io  tuttavia  il  tuoi 
figlio  ti  rendo;  cosi  il  crudele  potesse  rendermi  il  mio. 

A  quest' atto  rimasero  tutti  sorpresi.  Carlo  fu  tratto 
in  altra  parte:  l' imperadore  passò  dallo  spavento  alla 
tenerezza,  e  con  le  lagrime  agli  occhi  abbracciò  stretta- 
mente Uggero  :  i  cavalieri  gli  fecer  tutti  corona ,  esal- 
tando del  pari  la  sua  generosità  e  il  suo  valore.  L' in- 
degno figlio  di  Carlo  Magno  però  non  andò  per  questo 
impunito:  sepolto  nel  suo  avvilimento,  e  coperto  d' ob- 
brobrio, ei  dovette  pur  tuttavia  finir  tra  non  molto  mise- 
ramente i  suoi  giorni. 


ai 

NOVELLA  XII. 

A]¥T09fI0  liEOlVELIiT. 

JLia  povertà  è  sovenle  di  pretesto  ^)  a  molti  per  farsi 
lecite  assai  cose  che  le  leggi  inviolabili  dell'  onesto  per  niun 
modo  non  debbono  consentire.  Da  un  tal  pretesto  però 
non  lasciò  vincersi  un  savio  giovane,  per  nome  Antonio 
Leonelli,  neppure  in  tempo  che  dalle  angustie  più  cru- 
deli trovavasi  tormentato ,  e  della  sua  onestà  non  ebbe 
ad  essere  che  più  contento. 

Dopo  aver  egli  passati  moli' anni  fra  le  dolcezze  di 
un'  agiata  ^)  fortuna ,  per  un  rovescio  ^)  inaspettato  si 
vide  ad  un  tratto  ridotto  quasi  all'  estrema  indigenza. 
Il  padre  di  lui,  che  era  dapprima  ricchissimo  mercatante, 
.ma  che,  geloso  di  tutto  reggere  da  sé  solo ,  ed  essere 
il  sol  padrone  di  tutto,  mai  non  l' aveva  di  nulla  voluto 
mettere  a  parte,  fra  per  la  mala  condotta  ne' suoi  affari, 
e  per  impensate  sciagure,  venne  a  fallfr  d'improvviso, 
e  dai  creditori  affollati  venne  spogliato  di  tutto. 

Aveva  il  giovane  Leonelli  in  isposa  una  bellissima 
e  soavissima  donna,  per  nome  Isabella,  che  egli  amava 
come  sé  stesso,  e  da  cui  era  amalo  teneramente.  Due 
figli ,  le  più  vezzose  e  più  care  creature  del  mondo, 
formavano  la  lor  delizia  comune.  Mille  disegni  lusin- 
ghieri ne' loro  dolci  trasporti  essi  andavano  fabbricando 
sull'allevamento  *)  di  questi  teneri  frutti  dell' amor  loro, 
su  i  fausti  presagi  ')  della  lor  riuscita,  sul  lor  futuro 
ingrandimento  ;  quand'  ecco  veggonsi  in  un  punto  tutto 
quanto  atterralo.  Perduta  ogni  cosa,  alJro  a'  miseri  più 
non  rimane  che  un  picciol  fondo,  il  quale  era  stato  da 
Isabella  recato  in  dote. 

Lungi  contuttociò  che  mai  osi  il  savio  giovine  di 

*)  Pretesto  —  Sottooiib.  —  ^)  Agiata  fortuna  —  ]^àu3ti^<« 
@Iù(f.  —  3)  Rovescio  —  Uiig'iicféfan.  —  *)  AlJevamento  —  ©rs 
jie^ung.  —  ^)  Presagio  —  SSorbebeutung. 


'93  KOVELLA  XII. 

farne  ali'  imprudente  suo  padre  la  più  leggiera  doglianza, 
adopera  anzi  ogni  mezzo  per  confortarlo,  e  per  ren- 
dergli più  sopportabile  la  disgrazia,  che  erasi  in  molta 
parte  da  sé  medesimo  procacciata.  Isabella  ancora  con 
lui  s'unisce  a  far  ogni  sforzo,  onde  trarre  il  misero 
vecchio  dal  suo  estremo  abbattimento.  —  Il  frutto  della 
mia  dote,  comunque  tenue,  basterà ,  ella  dice ,  frattanto 
a  sostentarci  ;  il  cielo  provvedere  in  appresso  per  qualche 
modo  ;  facciamci  cuore  e  consoliamoci. 

Ma  il  cielo  parve  che  far  volesse  l'ultime  prove 
della  sofferenza  di  questi  due  sposi  infelici.  Il  picciol 
fondo,  sostanza  unica  che  tuttavia  lor  rimaneva ,  trova- 
vasi  alle  sponde  di  un  fiume  :  allo  sciogliersi  ')  delle 
nevi  una  piena  ^)  furiosa  l'investe:  i  miseri,  senza 
potervi  oppor  argine  ^),  sono  costretti  a  vederselo  sotto 
agli  occhi  dall'  impeto  della  corrente  rapito  per  la  più 
parte.  La  rendita  troppo  scarsa  di  ciò  che  era  campato 
al  furore  dell' «eque  più  non  bastava  per  sostenerli. 
Fu  quindi  mestieri  a  poco  a  poco  andar  vendendo  ciò 
che  avean  tuttora  di  qualche  prezzo,  finché  si  videro 
quasi  ridotti  all'  estrema  miseria. 

Il  cuore  dell'  infelice  Leonelli  spezzavasi  di  dolore 
al  mirare  l' amata  sposa,  che  aveva  per  lui  rinunziato  a 
un  de' più  ricchi  partili,  ridotta  ad  angustie  sì  tormen- 
tose. Pur  la  speranza  di  un  impiego,  che  ognor  parca 
vicino,  nel  suo  cordoglio  1'  andava  racconsolando.  Ei 
lusingavasi  di  poter  giugnere  pur  finalmente  a  riparare 
almeno  in  parte  le  passate  disavventure.  Ma  l' ostinazione 
<leir  avversa  fortuna  era  troppo  più  possente  di  tutti  gli 
sforzi  eh'  egli  faceva  per  superarla.  Di  parecchi  diversi 
impieghi,  che  successivamente  il  tennero  lusingato,  ninno 
gli  potè  mai  venir  fatto  di  conseguire.  Dopo  mille  sol- 
lecitudini e  mille  preghiere,  dopo  aver  dovuto  arrossir 

^)  Sciogliersi  —  fc^mer^en.    —  ^)  Piena   —  9{nf(^ttjet^tt  beé 
^Bflfferé.  ~  3)  Argine  —  2^amni. 


ANTONIO  LEONELLI.  93 

inille  volte  ora  dinanzi  a  persone  superbe ,  che  a  gran 
pena  degnavansi  di  ascoltarlo,  or  raccomandandosi  a 
freddi  amici,  che  ogni  modo  cercavano  di  schermirsi  *), 
ora  abbassandosi  a  supplicar  que'  medesimi,  che  suppli- 
chevoli innanzi  a  sé  ed  a  suo  padre  avea  più  volte  ve- 
duto in  altri  tempi;  quando,  vinti  con  la  costanza  e 
con  la  attività  indefessa  tutti  gli  ostacoli,  ogni  cosa 
parea  disposta  a  favor  suo,  la  prepotenza  di  uno,  la  vo- 
lubilità di  un  altro,  le  disgrazie  d' un  terzo ,  faceano  ro- 
vinar tutto  quanto,  e  svanire  tutte  le  sue  speranze. 

Un  momento  v'  ebbe  alla  fine,  in  cui  egli  credette 
di  non  aver  più  a  dubitare.  Il  conte  di ... ,  uom  di  molte 
aderenze,  e  che  assai  credito  aveva  alla  corte,  trovan- 
dosi allor  vacante  un  posto  fra  i  segretari,  fece  opera 
che  fosse  a  lui  accordato,  e  n'ottenne  promessa.  Più 
non  mancavano  che  pochi  giorni  all'  adempimento  ;  quando 
lo  scellerato  con  le  sue  proprie  mani  rovesciò  1'  edifizio 
che  avea  condotto  a  termine  si  felice ,  e  di  protettore 
cangiandosi  nel  più  fiero  nemico,  ad  ogni  altra  speranza 
gli  chiuse  pure  iniquamente  la  strada.  Le  sollecitudini 
che  avea  mostrate  per  Leonelli,  e  che  questi  credea 
prodotte  da  uno  spirito  di  generosa  beneficenza,  non 
<?rano  effetto  che  d'una  rea  passione  che  egli  aveva 
concepito  per  Isabella.  Dopo  avere  fino  a  quell'  ora 
dissimulato,  allora  tempo  gli  parve  di  dichiararsi,  e  da' 
giusti  rifiuti  della  savia  e  castissima  donna  indispettito, 
volgendo  in  odio  implacabile  il  mal  conceputo  amore, 
non  solo  fece  che  la  promessa  carica  fosse  accordala 
a  tutt'  altri,  ma  ogni  passo  di  Leonelli  andò  pure  ma- 
lignamente spiando  per  attraversargli  ^)  da  ogni  parte 
ogni  adito  a  qualunque  altra  fortuna. 

Lo  sventurato,  abbandonato  da  ognuno,  e  per- 
seguitato da  un  malvagio  potente ,  era  condotto  oggi- 

*)  Schermirsi  —  auéwcic^en.    —    ^)   Attraversare  —  bucc^« 
frcujcn. 


94  JJOVELLA   XII. 

mai  alla  più  crudele  disperazione.  Venduto  già  lutto 
quello  che  egli  e  la  virtuosa  sua  moglie  avevano  di 
maggior  conto,  venduta  già  molta  parte  di  quella 
stesso  che  agli  usi  e  ai  comodi  d'una  famiglia  è  pres- 
soché indispensabile,  più  non  sapea  che  farsi  per  ritro- 
var sussistenza.  Due  amici,  che  soli  eran  rimasti  di  tanti 
che  il  circondavan  dapprima,  formavano  tutto  il  suo 
sostegno.  Ma  questi  erano  di  troppo  scarse  fortune 
per  aiutarlo  quanto  era  d'uopo.  Là  moglie,  più  non 
potendo,  si  sproveduta  com'  era,  mostrarsi  in  pubblico, 
era  obbligata  a  rimanersi  nel  suo  tugurio  perpetuamente 
imprigionata;  il  padre,  oppresso  dall'età  e  dal  pesa 
delle  sue  disgrazie,  consumavasi  lentamente  in  un. 
letto;  i  due  piccioli  figli  languivano  a  poco  a  poco 
d'inedia;  egli,  già  fatto  macilento,  sfinito  di  forze^ 
divorato  da  una  febbre,  che  interamente  lo  distruggeva, 
cogli  occhi  incavali  0  profondamente,  col  volto  ormai 
cadaverico,  ad  ogni  tratto  vicino  credeva  il  termine 
dell'  infelice  sua  vita. 

Un  giorno  la  sua  angustia  giunse  all'estremo» 
Egli  trovasi  privo  interamente  di  ogni  cosa  ;  vede  il 
padre  languente,  i  figli  che  piangendo  gli  chieggon 
pane,  la  moglie  che  soffoca  in  silenzio  i  suoi  sospiri 
per  non  attristarlo  vie  più,  ma  che  non  può  tutto  nas- 
condere il  suo  dolore  :  esce  coli' anima  aggravata  d' an- 
goscia; va  in  traccia  dei  due  amici,  da  cui  soli  potea 
promettersi  qualche  soccorso;  e  non  trova  né  l'un  ne 
l'altro  :  non  sapendo  a  qual  parte  rivolgersi,  vince  la 
naturai  ripugnanza,  e,  appressandosi  al  primo  che  in- 
contra, gli  chiede  qualche  sussidio  :  non  è  ascoltato  : 
lo  chiede  a  un  secondo  ;  ei  si  scusa  e  trapassa  :  s'ac- 
costa ad  un  terzo;  ne  é  rigettato  sdegnosamente.  Mio 
Dio  !  grida  appassionato,  voi  pur  vedete  la  sciagurata 
mia  famiglia  :  che  lutti  abbiamo  quest'  oggi  a  perir  dì 
*j  Occhi  incavati  —  eingefaltenc  Stugeii. 


ANTONIO  LEONELLI.  7^ 

fame!  Egli  era  nel  colmo  dell' abbattimento  ;  più  non 
sapeva  dove  aggirarsi,  le  gambe  più  non  potevano  pur 
sostenerlo.  Mentre  con  passo  tardo ,  col  capo  chino  a 
terra,  coli" anima  straziata  da  mille  tristi  pensieri,  ab- 
borrendo  oggimai  il  consorzio  degli  uomini,  abbor- 
rendo  pur  quasi  la  luce  stessa  del  giorno,  va  avanzan- 
dosi lentamente  in  una  via  remota,  gli  viene  a  casa 
veduto  per  terra  un  picciol  piego  :  per  macchinai  mo- 
vimento ei  si  china  a  raccoglierlo  ;  l' apre  (inaspettato 
prodigio  !)  :  vi  trova  chiusa  una  cedola  di  cento  scudi. 
—  Dio  immortale  !  Dio  pietoso  !  ben  io  sapea  che  voi 
non  mi  avreste  abbandonato.  Gran  Dio  !  Dio  immortale  l 
Per  r  allegrezza  già  più  non  cape  in  sé  stesso.  — 
Ah  !  r  infelice  mia  famiglia  più  non  perirà.  Dio  miseri- 
cordioso !  Grande  Iddio  !  —  La  gioja  gli  rende  tutte  le 
forze:  a  gran  passi  s'invia  a  consolare  l'afflitto  suo 
padre,  la  moglie  addolorata,  i  figli  affamati:  mille 
dolci  pensieri  per  via  lo  accompagnano  ,  mille  idee  lu- 
singhiere ei  va  rivolgendo  sull'impensata  fortuna  che 
il  ciel  gli  ha  mandata,  sulla  nuova  serie  di  lieti  giorni, 
che  ancor  l'attendono,  quando  un  contrario  pensiero 
l'arresta  tutto  ad  un  tratto,  e  l'agghiaccia.  —  Come 
poss'io  formare  questi  disegni  su  quello  che  non  è  mio? 
Questa  è  cosa  smarrita  ;  il  padrone  ha  ragion  di  ripe- 
terla*, io  debbo  restituirla.  —  Ma  io  frattanto?  ma 
l'abbandonata,  affamata  mia  famiglia?  —  Dio  saprà 
sostenerla  :  Dio  sa  eh'  ella  esiste ,  sa  le  sue  angustie  ; 
io  per  essanon  debbo  impiegare  quel  ch'è  d'altri.  —  Ma 
perchè,  s' io  non  dovea  valermene ,  mi  ha  Iddio  fatto 
trovare  questo  soccorso  in  un  tempo  di  così  estremo 
bisogno?  a  qual  fine?...  Io  non  debbo  esser  giudice 
de'  suoi  consigli  •  io  devo  aspettare  i  decreti  della  sua 
provvidenza  :  ma  ciò  eh'  è  d' altrui  io  debbo  intanto  re- 
stituirlo. Dopo  alcuni  momenti  d'  ondeggiamento: 
Grande  Iddio!  dice  egli,  io  piego  la  fronte  alle  vostre 


19B  NOVELLA    XII. 

leggi  adorabili  ;  io  v'  ubbidisco,  e  senza  più  alla  casa 
del  paroco  s'incammina.  Quivi  a  lui  consegna  la  cedola, 
ond'  ei  ne  cerchi  il  padrone ,  gli  addita  il  luogo  ove 
r  ha  rinvenuta,  confessa  i  disegni  che  nel  primo  tras- 
porto avea  formato  sopra  di  essa;  espone  le  circo- 
jstanze  orribili  in  cui  egli  si  trova.  Il  buon  pastore  a 
questo  racconto  ne  fu  commosso  fino  alle  lagrime. 
Iddio,  gli  disse,  benedirà  certamente  la  vostra  onestà. 
Questo  vaglia  intanto  a  ristorarvi  per  ora  (e  con  ciò 
alcune  monete  gli  diede)  :  il  padrone  di  questa  carta 
non  lascerà,  io  spero,  di  ricompensarvi  più  largamente. 

Leonelli,  contento  del  ricevuto  sussidio  e  della  sua 
buona  azione,  corre  immantinente  a  provvedersi  di 
cibo,  e  di  volo  si  reca  alla  famiglia  abbandonata.  Parve 
il  suo  arrivo  quello  d'un  angelo  consolatore  al  padre, 
alla  moglie,  ai  figli,  che  da  più  ore  già  l'attendevano, 
e  già  trovavansi  nell'estremo  languore.  Egli  abbrac- 
ciando teneramente  or  l'uno,  or  l'altro:  Mio  padre, 
xìice,  mia  cara  sposa!  il  cielo  non  ne  ha  peranche  del 
tutto  dimenticati;  nell'ultima  disperazione  queslo  soc- 
corso pur  s' è  degnato  di  mandarci  impensatamente  :  e 
qui  da  capo  facendosi ,  loro  narra  a  parte  quant'  era 
occorso.  Allorché  giunse  alla  determinazione,  che  ei 
prese  dopo  vari  contrasti,  di  consegnare  la  cedola  alle 
mani  del  paroco,  Isabella,  che  era  stala  sospesa  fino  a 
quel  punto,  con  dolci  lagrime  a  sé  stringendolo  :  Ah  ! 
no,  disse,  no,  Iddio  non  ci  ha  peranche  dimenticati, 
giacché  egli  non  ci  ha  permesso  che  il  bisogno  mede- 
simo avesse  forza  di  farti  reo  ;  le  migliori  speranze  io 
■concepisco  dalla  tua  degna  azione  :  ella  sarà  certamente 
<lal  cielo  ricompensata  :  sì,  dolce  amico,  non  dubitarne. 

Il  paroco  intanto ,  fatte  le  debite  diligenze,  trovò 
ben  presto  il  padrone  della  carta  smarrita.  Era  questa 
di  un  ricco  signore,  a  cui  era,  di  là  passando,  inavve- 
dutamente caduta.  Il  buon  pastore  nell'  atto  di  renderla 


NOVELLA  xm.  GUGLIELMO   TELL.  97 

non  potè  a  meno  di  non  esaltar  l'onestà  di  Leonelli, 
e  di  non  fare  una  patetica  descrizione  de' suoi  casi  e 
dell'estremo  bisogno  in  cui  egli  si  ritrovava.  Il  Mar- 
chese di....  a  cui  essa  apparteneva,  intenerito  a  questa 
narrazione,  cinquanta  scudi  immantinente  a  lui  rimise: 
E  questi,  disse ,  per  mia  parte  consegnerete  a  questo 
uomo  degno  ;  indi  tutta  la  sua  autorità  e  il  suo  favore 
impegnò,  di  maniera  che  Leonelli  ben  presto  fu  im- 
piegato onorevolmente  a  dispetto  del  reo  Cónte  di  . . . 
che  fino  a  quel  punto  gli  s'  era  iniquamente  opposto, 
e  che  poco  dopo  scoperto,  qual  era,  cadde  in  piena 
disgrazia  della  corte,  e  per  sempre  ne  fu  esiliato. 


NOVELLA  Xin. 
GCCSIilEIilflO  TJBIili. 

JTria  che  l'Elvezia  acquistasse  coli' armi  la  libertà,  che 
ha  di  poi  mantenuto  costantemente,  fu  già  in  Altorfo 
un  governatore  per  nome  Gessler,  il  quale,  abusando 
del  potere  affidatogli,  si  diede  ad  esercitare  iniqua- 
mente la  più  crudel  tirannia.  L' interesse  o  il  capriccio 
gli  era  norma  di  giustizia:  vendevansi  le  sentenze;  pu- 
nivansi  ili  pene  arbitrarie  gl'innocenti;  i  ministri  del 
tiranno  commettevano  impunemente  ogni  delitto;  tutto 
era  confusione  ed  orrore. 

Alla  crudeltà  egli  aggiunse  puranche  la  strava- 
ganza *).  Fatto  in  mezzo  alla  piazza  piantare  un  palo, 
e  80\Tappo:stovi  un  cappello  ,  ordinò ,  sotto  pena  di 
morte,  che  chiunque  colà  passasse  dovesse  innanzi  ad 
esso  chinarsi,  e  cosf  riverirlo  come  se  fosse  la  sua  per- 
sona medesima. 

*)  Strava  ganza  —  2Dunberli(^ffit. 


«8  .    NOVELLA    XIII. 

Era  in  que'  contorni  un  uom  di  ruvide  0,  ma  schiette 
e  franche  maniere,  chiamato  Guglielmo  Teli.  Venuto 
questi  per  suoi  affari  in  Altorfo,  capitò  sulla  piazza, 
osservò  il  palo;  il  cappello  che  eravi  soprapposto,  il 
tenne  un  momento  fra  il  riso  e  Io  stupore;  ma  non 
sapendo  quel  che  si  fosse,  e  poco  curioso  d' informar- 
sene, trascuratamente,  e  ridendo  ,  vi  passò  innanzi. 
L' irriverenza  commessa  al  palo ,  e  l' infrazione  ^)  del 
severo  editto  fu  tosto  recata  all'  orecchio  del  governa- 
tore,  il  quale  furioso  diede  ordine  che  il  reo  fosse  im- 
mantinente arrestato.  Condotto  che  gli  fu  avanti,  ei 
r  accolse  coli'  aspetto  d' un  uom  crudele ,  che  per 
bassezza  di  animo  estremamente  geloso  della  sua  auto- 
rità, orribilmente  inferocisce  quando  la  crede  de- 
risa. Guatandolo  fieramente,  e  fuoco  spirando  dagli 
occhi  :  Così,  ribaldo ,  gli  disse ,  rispettansi  i  miei  de- 
creti ?  tu  osar  di  beffarmi  ?  tu  insultare  audacemente 
al  poter  mio?  Or  ben  tutto  il  peso  ne  sentirai,  scelle- 
rato, e  tristo  esempio  sarai  altrui,  che  la  mia  dignità 
impunemente  ^)  non  è  vilipesa  *).  Attonito  a  questa  in- 
vettiva ^),  ma  non  però  sgomentato  ^),  siccome  quegli 
che  di  niun  delitto  era  conscio  a  sé  stesso,  Guglielmo 
Teli  domandò  francamente  di  che  venisse  accusato. 
Inteso  che  n'  ebbe  il  motivo ,  gli  parve  si  strano,  che 
non  potè  a  men  si  sorriderne.  Rispose  in  prima  che 
ninna  notizia  egli  avea  dell'editto;  quindi  con  rustica 
libertà  pur  aggiunse  eh'  ei  non  avrebbe  sognato  mai  che 
ad  un  palo  s' avesse  a  dar  il  buon  giorno ,  e  che  il 
passarvi  dinanzi  senza  far  di  berretta  avesse  ad  essere 
un  crimenlese.  Sali  sull'ultime  furie  a  quest'aria  d'ir- 
risione il  giudice  inviperito;  e  la  ragionevolezza  della 

*)  Ruvido,  schietto  —  xauf},  frcimiit^ig.  —  ^)  Infrazione  — 
Itcbertrctung.  —  ^)  Impunemente  —  llngeffraft.  —  *)  Vilipesa 
—  serad^tct.  —  ^)  Invettiva  —  «Strafrebe.  —  ^)  Sgomen- 
tato —  bejìùqt. 


GUGLIELMO  TELL.  99 

risposìa  umiliandolo  vie  più,  lo  rendè  più  smanioso.  Co- 
mandò che  strascinalo  egli  fosse  nella  prigione  più  tetra, 
e  quivi  carico  di  catene  attendesse  la  sua  vendetta. 

Inquieto  e  fremente ,  mille  maniere  di  nuovi  sup- 
plizi egli  andava  nell'  animo  ravvolgendo  per  isfogare 
con  un  esempio  tanto  più  strepitoso  la  sua  rabbia.  Mentre 
incerto  ondeggiava ,  uno  che  mosso  a  compassione  osò 
pure  adoprarsi  per  ammansarlo  '),  e  ottenere  alla  ru- 
stichezza del  misero  Teli  il  perdono,  gli  suggerì,  non 
volendo ,  una  specie  tutta  nuova  e  più  orribile  di  ven- 
detta. Fra  Taltre  cose  che  diluì  disse,  eì  venne  pure 
esaltando  la  singolare  destrezza  che  questi  avea  nel  ti- 
rar d' arco  ^),  e  la  certezza  onde  sempre  colpia  nel  se- 
gno; e  aggiunse  che  troppo  mal  gli  sapea  che  un  uom 
sì  prode  avesse  miseramente  a  perire.  Or  bene,  rispose 
il  giudice  dispietato,  noi  ne  vedremo  la  prova-,  eì  fia 
salvo  se  accerta  il  colpo  ^J,  ma  ninno  il  trarrà  dalla 
morte  s'ei  va  fallito*). 

Aveva  Guglielmo  un  figlio  unico  di  circa  dieci 
anni ,  che  amava  teneramente.  Or  parve  al  tiranno  di 
non  poter  meglio  saziare  il  suo  furore ,  che  esponendo 
r  infelice  padre  a  certo  pericolo  di  averlo  a  trafiggere 
di  propria  mano.  Ordinò  adunque  che  fosse  tosto  a  lui 
condotto  il  fanciullo ,  che  in  mezzo  alla  piazza  un  pomo 
a'  avesse  a  porgli  sul  capo  ;  che  il  padre  per  esser  salvo, 
alla  fissata  distanza  qu  esto  pomo  avesse  a  colpire  con 
una  freccia.  Gelò  d'orrore  il  misero  padre  a  si  barbara 
condizione ,  mille  supplizi  s' offerì  pronto  a  patir  piut- 
tosto che  avventurarsi  al  crudele  esperimento.  Invano 
fi'adoperaron  pur  molti,  inorriditi  air  iniquo  patto,  dì 
trarre  il  giudice  a  consentire  che  altrove  fosse  fissato 
il  bersaglio;  troppo  il  feroce  sì  compiaceva  della  sua 

*)  Ammansare  — befànftigen.  —  ^)  Tirar  d'arco  — Sogcns 
fc^icgen.  — 3)  Se  accerta  il  colpo  ~n?enn  cr  fic^et  trift.  —  *)  Va 
fallito  — fe^l  fc^làgt. 


611  NOVELLA  Xiri. 

barbara  invenzione.  Ei  pressò  il  paziente  o  ad  accettare^ 
senza  più  il  cimento ,  o  a  vedersi  immantinente  strasci- 
nato al  supplizio.  In  quelle  angustie  terribili  mille  pen- 
sieri s'  offersero  al  mìsero  in  un  momento.  Fremea  da 
un  canto  all'immagine  dell' alroce  pericolo,  e  veder 
già  parevagli  il  tenero  pargoletto ,  trafitto  da  lui  me- 
desimo, nuotar  nel  sangue  ,  e  agitarsi  negli  estremi  pal- 
piti della  morte;  dall'altro  l'immagine  non men tormen- 
tosa delle  calamità  in  cui  morendo  il  lasciava,  lo  riem- 
piva d' orrore  e  di  ambascia.  Combattuto  così  e  con- 
fuso ,  quasi  una  voce  improvvisa  si  sentì  in  cuore  che  il 
trasse  dell'  incertezza.  Tuo  figlio  è  perduto ,  dicea ,  se 
più  ricusi;  alla  tua  morte  ei  non  può  sopravvivere;  ei 
pure  dovrà  hen  presto  morirne  o  di  dolore  o  di  miseria! 
accettando ,  tu  puoi  salvarlo  ;  il  cielo  è  giusto  :  ei  non 
vorrà  abbandonare  la  sua  innocenza  e  la  tua.  A  questa 
pensiero  ei  si  desta ,  e  rivolto  al  giudice  fieramente  : 
Or  bene,  gli  dice,  crudele,  tu  sarai  pago;  accetta 
r  orribil  prova  ;  qua  1'  arco  e  gli  strali. 

Discende  il  giudice  nella  piazza  ,  da'  suoi  statelliti 
accompagnato  ;  il  misero  figlio  ,  trattovi  in  mezzo ,  al 
palo  iniquo  si  lega,  e  il  fatai  pomo  gli  è  posto  in  capo  : 
a  un  canto  della  piazza  è  condotto  il  più  misero  padre, 
a  cui  dipinte  si  veggon  sul  volto  le  più  crudeli  agita- 
zioni; una  folla  immensa  di  genie  empie  d'intorno  ogni 
spazio.  Il  truce  Gessler  in  mezzo  all'  armi  tripudiar  già 
si  vede  di  una  gioia  maligna  :  un  fremito  d'  orrore  e  di 
sorde  imprecazioni  si  ode  in  vece  nel  popolo  da  ogni 
parte  :  il  tenero  figlio  trema  e  si  scioglie  in  pianto:  più 
trema  il  padre  infelice ,  e  d' un  orrendo  palpito  gli  batte 
il  cuore.  Pur  si  riscuote  alla  fine ,  e  si  fa  animo  :  alza 
gli  occhi  e  le  mani  al  cielo  :  Tu ,  Dio  pietoso,  esclama  ; 
tu,  Dio  giusto,  tu  reggi  il  colpo.  Ciò  detto:  con  mano 
ferma  impugna  1'  arco  ^)5  incocca  il  dardo  ^)  :  un  grida 

0  Impugna  l' arco  —  nimmt  ben  SSogen  in  bic  -^ant».  —  *)  In- 
cocca il  dardo  —  Icgt  ben  ^feil  auf. 


GUGLIELMO  TELL.  81 

sorge  per  tutta  la  piazza,  un  cupo  silenzio  subito  gli 
succede.  Teli  prende* con  fermo  volto  la  mira,  trae  la 
corda,  il  dardo  parte.  Dei  circostanti,  chi  abbassa  il 
guardo  inorridito ,  a  chi  l' anima  coiTe  su  gli  occhi  per 
veder  V  esito.  ..Ei  fu  qual  tutti  desideravano:  il  dardo 
vola  fischiando,  colpisce  il  pomo  di  netto,  e  il  fan- 
ciullo appena  sentesi  lambir  *)  la  chioma.  Un  grido  fe- 
stoso d'  applauso,  un  battimento  fragoroso  di  mani  si 
leva  tosto  per  ogni  canto:  il  popolo  n  è  tutto  ebbro  di 
gioia;  il  solo  giudice,  nella  sua  crudele  aspettazione 
deluso  ,  freme  di  dispetio  e  di  rabbia. 

Quand'  ecco  nel  girar  gli  occhi  sovra  di  Teli ,  ei 
mira  cader  a  questo  un  altro  dardo  che  seco  aveva  re- 
calo. Lieto  della  scoperta,  ei  "medita  incontanente  altro 
mezzo  di  vendicarsi.  Fattolo  a  sé  chiamare,  e  fìngendo, 
per  vie  meglio  ingannarlo ,  maniere  dolci  e  cortesi ,  ei 
comincia  a  lodare  la  maestria  di  cui  avea  data  sì  bella 
prova ,  ad  applaudirlo  del  colpo  si  bene  accertato ,  a 
dichiarar  sé  medesimo  appien  soddisfatto ,  e  lui  intera- 
mente assoluto  da  ogni  pena.  Quindi  gli  chiede  piace- 
volmente perchè  due  dardi  avesse  recato ,  non  avendo 
a  fare  che  un  solo  tratto.  Io  non  soglio,  rispose  Teli, 
andar  mai  fornito  di  un  dardo  solo.  No,  amico,  replicò 
il  governatore  con  artificioso  sorriso ,  tu  vuoi  celarmi 
il  mo:ivo ,  ma  io  lo  veggo  abbastanza  :  or  che  tutto  è 
finito,  che  giova  il  nasconderlo?  A  me  serbato  era 
l'altro  dardo:  confessalo  pur  francamente:  io  avrò  cara 
la  tua  schiettezza ,  e  anticipatamente  già  ti  perdono. 
Rassicurato  per  questo  modo  :  Poiché  vi  piace ,  rispose 
Teli ,  eh'  io  parli  liberamente,  già  non  dirò  che  espresso 
animo  io  avessi  di  usarne  contro  di  voi;  ma  se  la  rea 
fortuna  avesse  pure  voluto  eh  io  mi  vedessi  per  cagion 
vostra  l'unico  figlio  cader  trafitto  dinanzi,  io  non   so 

')  Lambire  —  fircifcn. 
Soace^  Novelle.  6 


82  NOVELLA  Xin. 

certamente  quello  che  avreste  potuto  aspettarvi  dalla 
disperazione  d' un  padre.  Io  non  mi  son  dunque  ingan- 
nato, riprese  il  giudice  furibondo,  deposta  la  rea  ma- 
schera che  aveva  assunto:  or  bene  adunque,  io  ben 
«apro,  traditore,  in  un  fondo  di  torre  frenar  il  tuo  ar- 
dimento e  dalle  tue  insidie  assicurarmi:  sia  di  nuovo 
incatenato  costui,  e  ricondotto  alle  carceri.  A  questo 
tratto  inaspettato  di  malignità  e  di  perfida,  sdegnati 
fremono  d' ogni  intorno  i  circostanti  :  più  freme  il  mi- 
sero Teli ,  ed  implora  soccorso ,  ma  ninno  ardisce  di 
opporsi  alla  forza  dell'  armi;  e  lo  sciagurato  è  costretto 
a  cedere  e  ad  ubbidire. 

Sul  lago,  che,  incominciando  presso  ad  Altorfo, 
si  stende  sino  a  Lucerna,  da  cui  prende  il  nome,  è  un 
antico  castello  chiamato  Kussnacht.  In  questo  il  feroce 
Gessier  pensò  di  confinarlo,  siccome  in  luogo,  onde 
era  impossibile  trovar  lo  scampo  ;  e ,  fatta  perciò  alle- 
stire prontamente  una  nave ,  vel  fece  porre  scortalo  da 
guardie;  e,  per  meglio  assicurarsi  dell'  eseguimento 
della  rea  sentenza,  egli  stesso  pur  volle  accompagnarlo. 
Giunti  che  furono  in  mezzo  al  lago,  ecco  dietro  ad  un 
monte  levarsi  all'improvviso  un  g  ruppo  di  dense  nubi  *), 
che,  spinte  da  vento  furioso,  in  poco  tempo  ricoprono 
tutto  il  cielo:  i  tuoni  mugghiano  orribilmente,  scop- 
piano i  fulmini,  la  furia  del  vento  solleva  Tonde  a 
scompiglio,  e  la  barca  agitata  è  vicina  al  naufragio. 
Tentano  invano  i  remiganti  d' opporsi  all'impeto  della 
tempesta:  ella  cresce,  e  la'  morte  già  sembra  inevita- 
bile. In  sì  terribil  frangente  ^)  uno  di  essi ,  rivolto  al 
governatore:  Noi  siamo  tutti  perduti,  gli  dice,  se  a 
Teli  non  date  la  libertà  di  soccorrerci;  la  sua  forza  è 
la  sola  che  possa  trarci  a  salvamento.  Atterrito  dal  pe- 
ricolo, non  esitò  il  governatore  a  permettere  eh'  ei  fosse 

')  Dense  nubi  — Htfe  SBolfen.  — 2^  Frangente  —  ©efa^r. 


GUGLIELMO  TELL.  83 

sciolto.  L' uom  forte,  presi  due  remi,  incominciò  a  con- 
trastare coir  onde  a  tutta  lena  '),  e  aiutato  dagli  altri, 
a  cui  il  suo  esempio  rinnovò  il  coraggio ,  dal  mezzo 
del  lago  gli  riuscì  a  trarre  la  barca  vicino  al  lido.  Era 
quivi  uno  scoglio  che  alquanto  sporgeva  innanzi,  e  che 
i  fluiti  agitati  coprivano  alternamente.  Allorché  a  questo 
si  vide  presso,  Guglielmo  Teli,  prontamente  gettati  i 
remi,  d'un  salto  vi  balza  sopra,  e  coir  urto  del  piede 
la  barca  in  mezzo  all'  onde  ne  risospinge. 

Non  è  da  dire  sé  urlasse  terribilmente  di  rabbia  e 
di  spavento  il  deluso  Gessler  al  vedersi  in  novello  peri- 
colo, e  nuovamente  costretto  ad  errare  in  balia  dei  flutti. 
Guglielmo  intanto ,  corso  velocemente  a  riprendere  le 
sue  armi,  si  fé' a  mirare  dall'  alto  il  successo  dell'agitato 
naviglio.  Dopo  essere  stato  per  lungo  temp»  qua  e  là 
balzato  dall'  onde ,  chetato  il  vento ,  arrivò  esso  pur 
finalmente  a  prender  terra. 

Il  governatore  fremente  di  sdegno,  e  più  che  mai 
anelante  alla  vendetta,  uscito  appena  di  barca,  si  af- 
frettò a  ritornare  ad  Altorfo  per  dar  ordine  che  Teli 
d'ogni  parte  fosse  cercato  subitamente.  Questi  frattanto 
sopra  al  sentier  montuoso,  che  egli  doveva  tenere ,  s'a- 
scose in  luogo  ove  potesse  vederlo  senza  essere  da  lui 
scoperto.  Allorché  fu  vicino,  l'udì  gridar  furibondo:  se 
negli  abissi  puranche  s' andasse  a  profondare ,  io  saprò 
ben  cavamelo  ;  ninno  potrà  rapirlo  alle  mie  mani  ;  e 
una  morte  la  più  crudele  dee  saziare  la  mia  vendetta. 
Irritato  a  ciò  Guglielmo.  Ah  barbaro!  disse,  tu  muori 
primo  frattanto;  e  cosi  dicendo,  dall'  agguato,  ove  sta- 
vasi ,  vibratogli  un  dardo  in  mezzo  al  cuore ,  il  lasciò 
senza  vita.  Tal  fine  ebbe  la  crudeltà  e  la  ferocia  del- 
l'empio Gessler;  e  nel  luogo  ove  ei  cadde,  siccome  pur 
sullo  scoglio  ove  Teli  avea  trovato  lo  scampo ,  due  mo- 

»)  A  tutta  lena  — mit  oUer  ihoft. 

6* 


«4  NOVELLA   XIV. 

numenti  in  onor  di  questo  furono  innalzati,  che  a  per 
petua  memoria  tuttor  si  conservano. 


NOVELLA  XIV. 
1  DVE  FRATElilil. 

I;  igli  di  un  padre  medesimo,  ma  di  madre  diversa,  Ce- 
sare ed  Everardo  aveano  pur  sortito  un  carattere  affatto 
oppofito.  Quanto  il  primo  era  dolce,  amorevole,  savio, 
applicato  '):  altrettanto  aspro,  intrattabile^  bisbetico, 
dissipato  ^)  era  il  secondo.  La  madre  a  tutto  questo  prin- 
cipalmente contribuiva.  Accecata  da  un  falso  amore  pel 
fig'liuol  suo ,  ogni  vizio  veniva  in  lui  fomentando ,  e  la 
parzialità  eie  carezze  eran  tutte  a  lui  profuse:  ei  non 
avea  che  a  desiderare  per  tutto  ottener  prontamente- 
ogni  suo  capriccio ,  solo  che  fatto 'n'  avesse  cenno,  era 
subito  soddisfatto.  A  Cesare ,  per  lo  contrario,  ella  mo- 
stravasi  la  più  ingiusta  e  più  crudele  matrigna:  a  hi 
eran  serbati  tutti  i  rimproveri  e  gli  strapazzi;  egli  non 
era  mai  appagato  di  cosa  alcuna  ;  nelle  dissensioni,  che 
per  l'umore  altero  e  feroce  di  Everardo  sorgeano  fre- 
quenti fra  i  due  fratelli ,  il  torto  sempre  era  tutto  di 
Cesare.  Il  buon  giovine  nondimeno  sofferiva  paziente- 
mente ogni  cosa;  quanto  più  ruvido  e  più  scortese  era 
il  fratello,  tanto  egli  cercava  maggiormente  di  vincerlo 
con  la  sua  dolcezza;  e  de'  trattamenti  iniqui  della  ma- 
trigna si  consolava  sulla  giustizia  che  rendevagli  il  pa- 
dre, riguardando  con  occhio  assai  più  ragionevole  la 
sua  condotta. 

Appena  fu  questi  venuto  a  morte,  la  matrigna  volle 
tosto  che  il  figliuol  suo  dal  fratello  si  separasse.  Divise 

*)  Applicato —tefìtffeti.  — 2)  Aspro,  intrattabile,  bisbetico, 
dissipato — xanf},  unlenffam,  ivunberlic^,  ijerfc^iuenbcrifc^. 


I  DDE  FRATELLI.  8&- 

pertanto  furono  le  sostanze  ;  ed  Everardo ,  presosi 
quanto  gli  apparteneva .  con  la  madre  ne  andò  in  altra 
parte.  Erano  a  lui  toccate  di  sua  ragione  presso  a  ven- 
timila lire  di  rendita.  Ma  che  sono  mai  queste  a  un  dis- 
sipatore e  ad  uno  sventato  ?  Nel  corso  di  pochi  anni  iti 
giuochi,  in  feste,  in  iscialacquamenti  d'ogni  maniera 
egli  andò  consumando  e  rendite  e  capitali ,  finché  si  ri- 
dusse a  non  aver  quasi  più  nulla.  Nel  suo  impoverimento 
contuttociò  egli  punto  non  si  sgomentava  :  la  ricca  ere- 
dità, che  attendeva  da  un  vecchio  zio,  a  tutto  gli  dava 
maggior  coraggio. 

La  morte  dello  zio  avvenne  infatti  allora  appunta 
che  egli,  già  consumata  ogni  cosa,  e  aggravato  puranca 
di  molti  debiti,  si  ritrovava  in  maggior  bisogno.  Non  erano 
ancora  al  defunto  compiuti  gli  estremi  uffici ,  eli"  egli 
con  sua  madre  incominciò  a  tormentare  Jl  fratello  per 
avere  ciò  che  credeva  dovergli  appartenere.  Cesare^ 
che  ben  sapeva  come  Everardo  trattato  era  nel  testa- 
mento, dissimulando  contuttociò,  e  mosso  al  tempo 
stesso  da  un  sentimento  di  generosità:  Voi  avrete,  gli 
disse ,  più  ancora  che  non  vi  tocca  :  ma  ora  gli  estremi 
doveri  si  compiano  innanzi  lutto.  A' miei  doveri  so  come 
e  quanto  si  abbia  a  soddisfare,  rispose  l'altero  Everardo; 
né  ho  punto  mestieri  che  altri  facciami  da  precettore: 
io  voglio  ora  quello  eh'  è  mio ,  e  il  vo'  senza  indugio  : 
qua  il  testamento ,  e  veggasi  ciò  che  mi  viene.  Cesare 
tuttor  con  dolcezza:  Non  è  ancor  tempo,  gli  disse, 
d'intertenerci  di  questi  affari;  se  alcuna  cosa  ve  d'uopo 
intanto,  io  vi  fornirò  tutto  quello  che  vi  aggrada:  ma 
non  cercate  ora  più  oltre.  —  Che  intanto,  e  che  fornirmi* 
replicò  Everardo  tulio  sdegnoso:  perchè  deggio  essere 
a  voi  tenuto  di  ciò  che  è  mio ,  o  chi  vi  fa  si  ardito  da 
voler  ritenere  a  vostro  talento  ciò  ch'i'  d'altrui? — Io 
non  terrò  nulla  di  ciò  eh'  è  vostro.  —  Il  testamento 
adunque  si  vegga.  —  E'  non  conviene  peranche:  ciò  si 


86  NOVELLA  X[V. 

farà  a  miglior  tempo  :  quanto  bramate  frattanto  ?  Eve- 
rardo  infuriato  vie  più,  e  aizzato  ^)  pur  dalla  madre, 
incominciò  a  caricare  il  fratello  di  ogni  sorta  di  ingiurie, 
accusandolo  di  villano  ,  orgoglioso ,  prepotente  ,  e  per- 
fin  i\i  maligno  e  di  truffatore,  quasiché  per  pigliar  tempo 
a  gabbarlo  ^)  ei  volesse  tenergli  il  testamento  nascosto. 
Cesare  allora:  Tu  lo  vuoi  dunque  ad  ogni  patto*?  gli 
disse  con  aria  di  giusto  risentimento  ;  or  bene,  ingrato, 
mira  oggimai  la  tua  confusione.  Apresi  il  testamento: 
Everardo  lo  scorre  con  ansietà ,  e  in  leggendo ,  v'  incon- 
tra queste  parole  terribili:  ,, Essendosi  con  la  sua  trista 
condotta  Everardo  mio  nipote  renduto  affatto  indegno 
de'  miei  beneficj ,  istituisco  Cesare  suo  fratello  erede 
inico  e  universale  di  tutti  i  miei  beni." 

Rimasero  a  questo  tratto  egli  e  la  madre  affatto  istu- 
piditi; e  già  erano  per  uscir  nelle  smanie  di  una  estrema 
disperazione  ,  quando  Cesare  con  raro  esempio  loro  ne 
tolse  il  modo,  così  confortandoli:  Io  ho  già  detto  pocanzi 
che  assai  più  avreste  avuto  che  non  vi  si  spetta;  e,  lungi 
dal  pentirmene,  ora  pure  il  confermo.  A  parte  io  vi 
terrò  d'ogni  cosa  ben  di  buon  grado;  ma  un  ricambio 
pur  ne  desidero  ,  ed  è  che  voi  mi  siate  veracemente  fra- 
tello e  voi  madre.  Deh!  ogni  discordia  sia  oggimai  ter- 
minata fra  noi;  e  in  dolce  unione  pur  una  volta  viviamo 
fra  noi  congiunti.  Qual  frutto  ci  sia  venuto  dalle  lunghe 
nostre  dissensioni,  voi  il  vedete:  a  voi  prodotta  han  la 
perdita  di  tutto  quanto  ;  a  me  il  rammarico  di  avervi 
.sempre  lontani. 

L'animo  altero  di  Everardo  e  della  madre,  avvilito 
dal  primo  colpo  ,  si  ritrovò  dal  secondo  umiliato  insieme 
6  compunto.  Abbracciandolo  amendue  teneramente,  con 
mille  segni  di  riconoscenza  acceltaron  essi  il  generoso 
partito;  e  Cesare  più  di  loro  fu  lieto  di  vedere   nella 

M  Aizzato  -  01'tei^t.  — '^^  Gabbare  —  bctrùgcn. 


NOVELLA  XV.  TIOHANG.  87 

«ua  casa  ristabilita  pur  alla  fine  quella  concordia  che  so- 
spirava da  sì  ^ran  tempo.  Ma  quanti  Everardi  si  veggono 
tra  i  fratelli,  e  quanto  é  difficile  trovarvi  un  Cesare  ! 


NOVELLA  XV. 

T  I  O  H  A  1%  €: 

Novella  Cinese. 

M.  iexin ,  uno  de'  letterati  della  città  di  Taming ,  che  è 
delle  principali  nella  provincia  di  Pekino,  aveva  un 
figlio  per  nome  Tiohang,  giovine  d'ingegno  pronto  e 
vivace ,  e  di  animo  nobile  e  generoso.  Spedito  questi  a 
Pekino  per  istruirsi  nella  letteratura  cinese,  in  pochi 
anni  vi  ottenne  il  grado  di  baccelliere  '),  che  colà  chia- 
masi Siou-tsai ,  e  mentre  fregiato  della  vesle  azzurra, 
con  cui  distinguonsi  i  Siou-tsai,  alla  patria  faceva  ritorno, 
costretto  a  dover  passare  la  notte  in  un  borgo  discosto  da 
Taming  circa  mezza  giornata,  domandò  quivi  l'albergo 
presso  una  buona  femmina,  in  cui  s'avvenne,  e  che, 
giusta  il  costume  antichissimo  de'  Cinesi ,  con  tutte  le 
espressioni  di  ospitale  amorevolezza  cortesemente  l'ac- 
colse. 

Mentre  con  lei  trattenevasi,  osservò  che  ella  andava 
sospirando  tratto  tratto,  e  mettea  pur  qualche  lagrima') 
secretamente.  Commosso  a  tal  vista ,  ei  si  fece  animo  a 
domandarne  la  cagione-  ed  ella  con' un  profondo  so- 
spiro: Ah!  troppo  temo,  rispose,  che  il  mio  dolore  non 
abbia  a  farsi  ancor  più  grande.  L'afflizione  inconsola- 
bile di  mio  figlio,  lo  stato  di  abbattimento,  in  cui  egli  si 
trova,   lo  slato  ancora  peggiore   che  ne  pavento,    mi 

*)  Baccelliere  —  59acca(aureu«,  —  ^)  Metter  lagrime  — 
tocinm. 


88  NOVELLA    XV. 


.1 


empie  l'anima  di  tristezza.  Egli  amava  ardentemente 
una  giovane  di  Taming,  quanto  bella,  altrettanto  pur 
saggia  e  virtuosa;  ed  era  egualmente  da  lei  amato- 
Chiestala  a' genitori  in  isposa,  aveala  ottenuta,  e  il  dì 
sospirato  delle  lor  nozze  già  s'  appressava ,  quand'  ecco 
improvvisamente  il  mandarino  primario  della  città,  il 
barbaro  Takuai,  per  alcuni  de' suoi  ministri  fé' iniqua- 
mente rapir  la  donzella,  né  si  sa  ancora  in  qual  parte 
ei  la  tenga  racchiusa.  Mio  figlio  all'udire  la  trista  nuova 
corse  a  Taming  prontamente  ;  fece  ogni  sforzo  per  ria- 
vere r  amata  sposa,  ma  tutto  fu  invano.  Sepolto  ora  in 
un  profondo  abbattimento,  oppresso  da  una  angoscia 
inconsolabile,  più  non  si  pasce  che  di  lagrime  e  di  do- 
lore. Indarno  ho  cercato  più  mezzi  per  confortarlo;^ 
non  hanno  fatto  che  esacerbar  maggiormente  la  sua  fe- 
rita. Una  lenta  febbre  pur  da  sei  giorni  lo  ha  assalito, 
che  a  poco  a  poco  lo  strugge,  e  fra  non  molto  io  temo, 
ohimè!  di  vederlo  agli  estremi,  e  di  non  avere  più 
figlio.  Qui  tacque,  e  sottentrò  alle  parole  un  dirotto 
pianto. 

Intenerito  il  giovine  Tiohang,  e  animato  da  un  vivo 
coraggio:  Prendete  cuore,  le  disse,  e  consolatevi;  il 
male  non  è  peranche  senza  rimedio  :  ov' è  vostro  figlio? 
mi  sarebb' egli  permesso  di  visitarlo?  La  buona  donna 
il  guidò  alla  camera  ove  ei  giaceva.  Abbandonato  sovra 
di  un  letto  ei  mira  un  giovine  a  cui  la  prima  lanuggine  *) 
spuntava  appena.  I  lineamenti  nel  suo  viso  annunziavano 
ima  bellezza  non  ordinaria;  ma  scarno  e  smunto  ei  vi 
portava  allora  impresso  il  dolore  e  ilpallor  della  morte. 
1  languid'  occhi ,  ognora  gravi  di  pianto ,  giravansi  a 
fatica,  e  richiudendosi  pareano  fuggire  la  luce.  Un  fre- 
quente singulto  interrotto  da  caldi  sospiri  batteagli  il 
petto  profondamente ,  e  una  voce  flebile  di  quando  in 

*)  Lanuggine  —  JBad^oarf, 


TIOHAKG.  8» 

quando  si  ascollava,    che  andava  sol   ripetendo:   Ah 
Sohepin  !  troppo  cara  e  troppo  amabile  Sohepin  ! 

Accostatosi  Tiohang,  e  la  mano  stringendogli  amo- 
rosamente: Deh  non  vogliate,  gli  disse,  abbandonarvi 
a  un  disperato  dolore  :  Y  amata  sposa  non  è  ancor  per- 
duta del  tutto:  il  sublime  monarca,  che  il  ciel  prepose 
al  nostro  impero ,  spande  i  raggi  della  sua  giustizia 
egualme/ite  in  ogni  parte.  Non  avete,  voi  fatto  ancora 
a  lui  penetrare  i  vostri  lamenti  ?  —  Ah  !  come,  rispose 
il  giovine  Sahikou,  come  fino  al  suo  trono  inaccessibile 
far  arrivare  il  mio  pianto?  —  Orbene,  disse  Tiohang, 
io  stesso  saprò  spianarvi  la  via.  Più  volte  io  ho  avuto 
già  modo  d"  introdurmi  presso  al  gran  mandarino  :  ai 
mi  conosce  ;  dinanzi  a  lui  saprò  io  guidarvi ,  e  in  lui 
troverete  il  protettore  e  il  sostegno  alla  vostra  scia- 
gura. A  questo  raggio  di  nuova  speranza  balenando 
d'insolita  gioia  l'addolorato  Sahikou:  Deh  non  sia 
questa,  esclamò,  una  vana  lusinga!  la  mia  morte  sa- 
rebbe inevitabile.  —  No ,  confortatevi ,  rispose  Tio- 
hang:  domani  al  sorger  dell'alba  io  m'  affretterò  di  re- 
carmi a  Taming  a  rivedere  i  parenti  miei ,  da  cui  sono 
assente  da  alcuni  anni.  Essi  consentiranno  ben  volen- 
tieri che  per  si  giusta  cagione  io  impieghi  l'  opera  mia. 
Ripartirò  immantinente,  ed  alla  capitale  dell'  impero  vi 
sarò  guida  e  compagno. 

Al  primo  albore,  di  fatto,  il  sensibile  Tiohang 
s'incammina  verso  la  patria,  avvivato  da  una  dolce 
compiacenza  di  aver  trovato  un'occasione  si  bella  di 
fare  un'  azione  generosa  ;  e  pieno  di  speranza  che  la  sua 
virtuosa  risoluzione  sarebbe  dai  genitori  applaudita. 
Ma  qui  al  primo  entrare  in  sua  casa  una  scena  gli  si 
presenta  che  Tempie  di  maraviglia  e  di  terrore.  Popo- 
lala era  questa  dapprima  continuamente  di  persone,  che 
pe'loro  affari  a  suo  padre  avean  ricorso:  or  egli  la 
trova  affatto  deserta.  S' inoltra  nelle  sale  ;  non  altri  in- 


90  NOVELLA  XV. 

contra  che  un  vecchio  famiglio,  a  cui  chiede  di  suo 
padre  ,  e  che  sol  con  le  lagrime  gli  risponde.  Agitato 
da  mille  inquietudini,  ei  s'affretta  di  presentarsi  alla 
madre  per  saper  pure  che  sia  avvenuto,  e  sepolta  la 
trova  nella  costernazione  e  nel  pianto.  Ah  !  dunque, 
egli  grida  precipitandosi  nello  braccia  di  lei,  dunque 
mio  padre  più  non  esiste  ?  La  madre ,  stringendolo  e 
soUevandos  i  con*  ìsforzo  :  Ei  vive,  o  figlio ,  sì,  vive  an- 
cora, ma  nell'obbrobrio  e  nello  squallore.  Un  vecchio 
infelice,  a  cui  il  barbaro  Taknai  ha  rapita  l' unica  figlia, 
è  ricorso  a  tuo  padre  ,  perchè  egli  l' opera  sua  inter- 
ponesse, onde  giugnere  a  riaverla.  Tuo  padre  ha  osato 
di  prenderne  vivamente  la  difesa.  Il  crudel  mandarino, 
irritato  contro  di  lui,  l'ha  fatto  indegnamente  arrestare, 
e  già  da  più  giorni  ora  geme  ne' ferri.  —  Ah,  mostro! 
gridò  Tiohang  trasportato  di  sdegno ,  io  quest'  eccesso 
non  m'  aspettava  di  scelleraggine  ;  ma  non  andrà  lunga- 
mente superbo,  no;  tremi  alla  vendetta  che  già  gli 
fischia  sul  capo.  Cosi  dicendo,  ei  si  divelse  dalle  brac- 
cia materne,  e  precipitoso  corre  alle  carceri. 

Procuratosi  quivi   l'accesso,  ei  trova  il  rispetta- 
bile vecchio,  che  in  un  fondo  di  torre,  ove  un  languido 
raggio  di  luce  scendeva  a    stento,   giacea  sulf  umida 
terra,  aggravato  dal  peso  di  raddoppiate  catene,  ma 
che   nel  volto  tranquillo  mostrava  tuttavia  la  serenità 
d'un  animo  virtuoso,   oppresso   dalle   sciagure  bensì, 
ma  non  abbattuto.    A  questa  vista  il  giovane  Tiohang 
alza  un  grido,  e  sul  padre  si  abbandona.  Egli  placida-^ 
mente  :   Un  esempio  in  me  tu  vedi ,  o  figlio ,   d' inuJ 
mana  ingiustizia.  Ma  la  virtù  è  pur  un  dolce   conforti 
in  questi  casi  terribili.  Tra  lo  squallore  di  questo  orride 
carcere  io  son  più  contento  che  il  reo  tiranno  che  mi 
opprime  non  è  fra  la  pompa  delle  sue  sale.  Io  ho  voluto 
difendere  l' innocenza  e  la  miseria  oppressa  dall'  ingiu- 
stìzìsL  e  dalla  prepotenza  :  quand'  anche  avessi  a  morirne. 


TIOHANG.  91 

troppo  dolce  mi  sarà  sempre  il  pensiero  di  aver  fatta 
una  buona  azione. 

Ah!  egli  è  il  ribaldo  che  merita  mille  morti, 
gridò  Tiohang  furibondo  ;  cfuesta  mano,  si  questa  mano 
medesima  farà  le  vostre  vendette.  —  No,  figlio,  guar- 
dati dal  disonorare  te  stesso  e  tuo  padre  con  un  tras- 
porto inconsiderato.  La  mia  innocenza  si  farà  mani- 
festa ,  non  dubitare.  Il  cielo  è  giusto.  —  Or  bene, 
adunque,  replicò  Tiohang,  a  me  s'aspetta  il  far  mani- 
festa la  vostra  innocenza  e  la  vostra  virtù.  Il  cielo, 
che  è  giusto,  saprà  secondarmi.  Ditemi  ove  soggiorna 
il  vecchio  infelice,  che  voi  avete  cercato  in  vano  di  di- 
fendere ?  Al  tempo  stesso  gli  spiega  il  suo  disegno, 
discopre  la  deliberazione  già  presa  con  Sahikou.  Il 
padre  l'abbraccia  teneramente,  e,  baciandolo:  Or  ben, 
gli  dice,  in  te  riconosco  mio  figlio;  vanne;  alla  tua 
pietà  il  cielo  sarà  propizio. 

Pieno  di  ardore  e  di  speranza  il  giovane  Tiohang 
corre  a  trovare  il  padre  della  rapita  donzella-,  e,  riscuo- 
tendolo dal  suo  dolore ,  il  determinava  a  venir  seco  a 
Pekino.  Passa  quindi  a  consolar  sua  madre ,  e  la  sera 
medesima  giunge  col  vecchio  alla  casa  di  Sahikou.  Par- 
liti di  buon  mattino  tutti  e  tre  il  dì  seguente ,  furono  in 
pochi  giorni  a  Pekino.  Quivi  il  giovane  accorto  e  inde- 
fesso, usando  di  tutta  la  sua  attività,  riusci  prestamente 
a  presentarsi  co' due  compagni  al  gran  mandarino. 
Spiegò  innanzi  a  lui  con  tutta  la  forza  della  sua  elo- 
quenza r  oppressione  sotto  di  cui  gemeva  la  misera 
Sohepin,  il  cadente  di  lei  padre,  lo  sposo  afflitto  e 
disperato;  e,  giunto  poi  a  dipingere  lo  squallore  in 
cui  languiva  suo  padre  medesimo  per  aver  difesa  una 
causa  si  giusta,  egli  animò  il  suo  discorso  d' un  fuoco 
si  vivo,  e  d'un  patetico  sì  commovente.,  che  il  gran 
mandarino  non  potè  trattenere  le  lagrime. 

Non  tardò  egli  quindi  un  momento  ad  informare  di 


98  ~     KOVELIA   XVI. 

tutto  quanto  Y  imperatore,  il  quale,  inorridito  alla  scel- 
leraggine  di  Taknai,  commosso  all'oppressione  di 
Tiekin,  e  dolcemente  intenerito  alla  generosità  di  lui  e 
del  figlio  5  ordinò  immantinente  che  il  mandarino  mal- 
vagio, spogliato  di  tutti  gli  onori  e  infamato ,  fosse  re- 
legato nella  parte  più  orrida  e  più  selvaggia  della  Tar- 
taria-  che  Tiekin  sottentrasse  alla  carica,  di  cui  il 
ribaldo  sì  era  fatto  sì  indegno  ;  e  che  il  giovane  Tio- 
hang  sotto  all'  imperiale  protezione  fosse  in  Pekino  alle- 
vato alle  dignità  delF  impero. 

Ebbe  il  giovane  valoroso  il  piacere  di  recare  egli 
stesso  questi  ordini  a  Taming;  e,  sollevato  dalle  car- 
ceri alla  carica  più  sublime  della  sua  patria  il  virtuoso 
suo  padre,  godette  di  render  quivi  di  propria  mano  ad 
un  vecchio  cadente  la  cara  figlia,  e  la  sposa  ad  un  te- 
nero amante.  Tornato  poscia  a  Pekino  ei  salì  di  mano 
in  mano  a'  più  cospicui  gradi ,  sinché  pur  giunto  •  col 
tempo  a  quello  di  gran  mandarino,  si  rese  il  modello 
de' saggi  ministri,  e  divenne  l'amore  e  1' ammirazionfr 
di  tutto  r  impero. 


NOVELLA  XVI. 

Hira  Corrado  III  imperatore  acceso  di  fierissimo  sdegno 
contro  di  Guelfo ,  duca  di  Baviera ,  e  giurato  n'  aveva 
atroce  vendetta.  Assediatolo  nella  città  di  Weinsberg, 
ei  già  r  aveva  ridotto  agli  estremi,  quando  Guelfo,  che 
modo  più  non  trovava  a  resistere,  e  in  procinto,  vedeva 
le  sue  genti  di  perir  dalla  fama,  incominciò  pei  suoi  messi 
ad  offerirgli  la  resa  ') ,  quelle  condizioni  chiedendo 
che  aver  potesse  migliori.  Ma  di  troppo  inasprito  ^)  era 

^)  Resa  —  Uebergo^e.  —  ")  Inasprito  —  ixhitkxi. 


LE  DONNE  DI  WEINSBERG.  93 

r  animo  di  Corrado,  e  non  che  alcuna  accordargli  delle 
condizioni  onorevoli  ch'ei  domandava,  nemmeno  ad  al- 
cuna si  volle  arrendere  delle  più  gravose  e  più  umi- 
lianti, a  cui  Guelfo  apparecchiato  si  offeriva  a  sotto- 
mettersi, sol  che  la  vita  di  sé  e  di  quelli  che  seco  erano 
fosse  salva.  A  ferro  e  a  fuoco  volea  1"  irato  imperatore 
che  tutto  andasse  senza  riserva,  e  a  placarlo  né  pre- 
ghiere valeano,  né  querele ,  né  pianti.  Il  misero  duca, 
altro  più  non  potendo,  a  discrezione  se  gli  rimise, 
questa  sola  grazia  chiedendo,  che  alle  donne  almeno 
volesse  aver  riguardo,  né  permetter  che  esposte  fossero 
miseramenle  alla  licenza  e  al  furor  do' soldati;  ma  con- 
sentire che  con  quel  tanto  che  seco  recar  potessero, 
venisse  lor  accordato  di  uscire  della  città,  e  ridursi  in 
«alvo.  Corrado,  che,  contento  di  sfogare  contro  degli 
uomini,  e  contra  il  duca  singolarmente,  lo  sdegno  suo, 
niuno  stimolo  avea  a  dover  infierire  contro  le  donne, 
a  quest'  una  condizione  cede  di  buon  animo  ,  e  volen- 
itieri  s' arrese. 

Come  la  nuova  ne  giunse  nella  città,  si  fé' d'ogni 
parte  grandissima  fesla,  e  poco  a  ciascuno  parca  di 
dover  perdere,  benché  la  libertà,  o  la  vita  fosse  lor 
tolta,  quando  nelle  lor  mogli  e  nelle  figlie,  e  nelle  so- 
relle, e  nelle  madri  libere  e  salve  potessero  soprav- 
vivere. 11  duca  sopra  ogni  altro  ,  che  la  moglie  sua 
amava  del  più  tenero  amore,  di  questa  nuova  fu  il  più 
consolato  e  più  lieto  uomo  che  mai  fosse.  Ma  non  già 
liete  del  pari  eran  le  donne,  che  i  mariti  loro  ed  i  figli, 
e  i  genitori  e  i  fratelli,  e  quanto  aveano  di  più  caro, 
vedeano  dover  lasciare  senza  speranza  di  più  rivederli,' 
che  0  trafitti  barbaramente,  o  crudelmente  straziati  fra 
le  catene. 

Quindi  un  misto  di  grida  e  di  lagrime ,  là  di  gioia 
e  qui  di  dolore ,  e  un  suon  di  viva  per  una  parte,  e  di 
strida    di  disperazione  per  l'altra.  E  già  il  più  delle 


94  NOVELLA   XVL 

donne  fermamente  negavano  di  volere  per  modo  alcuno 
da  lor  dipartirsi,  e  apparecchiate  si  dichiaravano  a  vo- 
ler patire  con  essi  qiial  mai  si  fosse  sciagura  ^).  Quando 
una  di  loro,  quasi  ispirata  da  celeste  consiglio:  E  perchè, 
disse,  non  possiam  noi  ad  un  tempo  solo  e  a  noi  me- 
desime campar  la  vita  e  a  coloro  che  più  della  vita  ci 
sono  cari  ?  Corrado  stesso  ce  n'  offre  il  mezzo  senza  av- 
vedersi, e  qualche  celeste  genio  ha  chiuso  a  lui  gli 
occhi,  sicché  la  via  non  ravvisasse  eh'  ei  ci  prestava  a 
salvezza  comune.  Ei  consente  che  libere  noi  usciamo 
con  quello  che  noi  siam  atte  a  portare  sopra  di  noi.  Or 
chi  ci  vieta  che  ognuna  il  fratello  o  il  padre  o  il  marito 
0  il  figlio  non  ci  rechiamo  sopra  le  spalle,  e  noi  por- 
tiamo a  salvamento? 

Un  grido  universale   d'applauso  e  di  vivo  giubilo- 
si  levò  tosto  da  ogni  lato  a  questi    detti,  e  lodi  non 
v'  ebbero  che  non  si  dessero  all'  accorta  donna  e  al  suo 
nobile   ritrovato,  e  a  tutti  parve   in  quel  momento   di 
sorgere  a  nuova  vita.  Né  tardar  vollero  pur  un  istante 
a  mettere  ad   effetto  il  divisato   consiglio.   Più  tenero 
spettacolo  chi  vide  mai,   che  un'infinita  moltitudine  di 
donne  di  ogni  età  e  di  ogni  condizione,  tutte  concorde- 
mente in  sì  pietosa  opera  occupate,  scambievolmente  ') 
animandosi,  uscire  a  gara,  e  le  mogli  portarsi  i  mariti 
loro,  e  le  vecchie  madri  i  teneri  nipoti,    e  le  giovani 
donzelle  il  vecchio  avo,  o  il  genitore,  o  i  fratelli,  e  il 
duca  innanzi  a  tutte  portato  dalla  tenera,  affettuosa  con- 
sorte ,  che  mai  sì  ferma  ne  sì  robusta  non  si  credette 
come  amore  la  fé' in  quel  punto? 

A  tal  vista  sì  inaspettata  e  sì  pietosa  Corrado 
istesso  fu  vivamente  colpito ,  e  ne  pianse  di  tenerezza. 
Quindi,  rivolto  al  duca:  Poiché  sì  amorevole  e  sì  in- 

0  Patir  sciagura  —  Ungtiitf  ettrogen.  —  ^^  Scambievol- 
mente —  gegcnfeitig. 


NOVELLA  XVII.   IBRAIM.  "  95 

gegnosa  hai  tu  trovato  la  donna  tua,  e  in  tanto  pregio 
io  veggo  e  in  tanto  affetto  che  sono  tutti  costoro  alle 
lor  donne,  che  essi  soli  antepongano  ad  ogni  altra  cosa, 
ben  egli  è  giusto  ch'io  pure  e  voi  ed  esse  onori  quanto 
conviene.  La  vita  adunque,  che  queste  v'hanno  sì  no- 
bilmente salvata,  sia  pure  a  tutti  illesa,  e  ognuno  pensi 
oggimai  a  spenderla  per  tal  modo  che  degna  ricompensa 
ne  abbiano  quelle  a  cui  la  dovete.  La  nimistà,  che 
divisi  ci  ha  tenuti  finora,  abbia,  o  Guelfo ,  pur  fine  da 
questo  punto.  Io  ti  perdono  oggimai,  e  dimentico  quanto  mi 
ha  finora  acceso  contro  di  te,  e  perpetua  e  ferma  ami- 
cizia sarà  quindi  innanzi  fra  di  noi  due.  E  fatte  poscia 
alle  donne  le  più  graziose  e  più  cortesi  accoglienze,  e 
molto  lodatele  dell'amor  loro  e  del  loro  caraggio,  con- 
cesse a  ciascuno  di  ritornare  alle  sue  case  tranquilla- 
mente; ed,  entrato  egli  pure  non  più  nemico,  ma  intimo 
e  compagno  col  duca  in  Weinsberg,  tutto  quel  giorno, 
e  molti  altri  appresso,  la  ricomposta  pace  ^)  e  la  ge- 
nerosa azione  delle  amorevoli  donne  con  lieta  festa  ce- 
lebrarono. 

NOVELLA   XVIL 

IBRAIJVI. 

Noveìla    Persiana, 

J\ello  Schirvan,  provincia  della  Persia,  regnava  già 
da  molt'  anni  una  pace  tranquilla,  e  i  felici  abitanti  go- 
deano  hetamente  tutli  que'beni  che  un  saggio  principe 
a' suoi  sudditi  agevolmente  sa  procacciare.  Era  questi 
Ibraim  ,  che  tutto  inteso  alla  felicità  de'  suoi  popoli ,  e 
con  ottime  leggi  moderando  il  suo  impero,  e  attenta- 
mente vegliando  perchè  da' ministri  suoi  incorrotta  giu- 

*)  Ricomposta  pace  —  ber  toiebfrgcf(^(offeue  g^riebe. 


»6  NOVELLA  XVII. 

sHzia  fosse  a  tutti  renduta ,  e  animando  provvidamente 
V  industria  nelU  agricoltura  e  nell'  arti,  e  premj  e  pene, 
secondo  che  conveniva,  accortamente  distribuendo, 
avea  saputo  stabilire  fermamente  la  tranquillità  in  ogni 
parte,  e  introdurvi  una  lieta  e  felice  abbondanza. 

Mentre  eran  que' popoli  nel  colmo  *)  della  lor gioia, 
e  con  tenera  riconoscenza  il  lor  signore  concordemente 
benedicevano,  ecco  giugnere  infausto  annunzio,  che 
tutti  pose  in  fierìssima  costernazione  ^).  Il  superbo  Ta- 
merlano,  divenuto  allora  il  terrore  dell'  Asia ,  avido  di 
estendere  sempre  più  i  confini  del  suo  impero,  alla  pro- 
vincia di  Schirvan  già  appressavasi  con  esercito  nume- 
roso per  soggiogarla  ed  aggiugnerla  alle  sue  conquiste. 
Alla  trista  novella,  sollecito  Ibraim  più  de' suoi  po- 
poli, cui  vedea  minacciati  de' mali  estremi,  che  di  sé 
stesso,  chiama  immantinente  i  ministri  suoi  a  consiglio, 
onde  con  essi  deliberare  di  quello  che  avesse  a  farsi. 
Osman,  il  generale  dell'armi,  uom  fiero  e  valoroso: 
Guerra,  tosto  esclamò,  guerra  fa  di  mestieri.  Pur  venga 
il  feroce  Tamerlano  -,  qui  troverà  chi  alla  fine  sappia 
fiaccare  il  suo  orgoglio  ^).  Ninno,  o  re,  è  fra  noi,  che 
tutto  per  te,  pe'  suoi  figli,  pei  campi  suoi ,  per  la  patria 
non  sia  pronto  a  versare  il  suo  sangue.  Vedrà  il  superbo 
quanto  sia  duro  il  combattere  genti  determinate  a  tutto 
perdere,  anziché  sottomettersi  al  crudele  suo  giogo. 
Ma  d'  altra  parte  levandosi  Usbec,  eh'  era  il  custode  de'j 
reali  tesori  :  Io ,  disse ,  primo  di  tutti,  o  sire ,  offro  pei 
te  il  mio  sangue  e  la  vita  mia,  se  alla  guerra  ti  appigli,5J 
e  se  credi  che  aver  da  q  lesta  possiamo  alcuno  scampo. 
Ma  contro  esercito  sì  possente,  animato  da  lunghe  vittorie,^ 
come  potranno  le  nostre  genti,  di  numero  assai  minorici 
.  e  al  combattere  per  lunga  pace  già  disusate  *) ,  oppor 

^)  Colmo  —  ®{}?fel.  —  ^)  Costernazione  —  Sefìùrgung.  — 
^)  Fiaccare  il  suo  orgoglio  —  feiueit  ^oc^mut§  bcCi^en,  *)  Dis- 
usate —  eiittDó^nt. 


IBRAIM.  B9 

resistenza  *)  che  basti?  Pace  piuttosto,  a  parer  mio, 
sarebbe  a  chiedersi,  se  dal  crudel  Tamerlaiio  altra  pace 
sperar  si  potesse  che  una  schiavitù  intollerabile  e  ver- 
go^osa.  Altro  scampo  io  non  trovo  che  nella  fuga  ;  i 
tuoi  tesori  e  te  slesso  tu  dei  ricovrare  sollecitamente 
in  altre  terre;  fedeli  noi  seguiremo  i  tuoi  passi,  ovun- 
que a  te  piaccia  di  ripararti:  Tamerlano  non  resterà 
lungamente  in  un  vóto  regno;  l'ambizion  sua  lo  por- 
terà immantinente  a  più  tonfane  conquiste  ;  e  '1  cielo 
forse,  passato  il  turbine ,  una  nuova  via  ci  aprirà  onde 
tornar  nuovamente  alle  nostre  sedi,  e  rientrare-  agli 
antichi  soggiorni. 

Divisi  erano  i  pareri  de'  circostanti  fra  i  due  opposti 
partiti  ;  e  chi  voleva  che  alle  forze  di  Tamerlano  la 
forza  e  l'intrepidezza  ^)  si  opponesse,  chi  giudicava  più 
saggio  consiglio  evitarne  l' impeto  con  la  fuga.  Ibraimo 
udite  d' ambe  le  parti  le  opposte  sentenze  :  Io  lodo, 
disse,  il  coraggio  ed  il  valore  di  chi  è  pronto  ad  esporre 
animosamente  per  me  a  sì  certo  risico  ')  la  vita  sua, 
e  a  queste  prove  ben  più  vivamente  ancora  in  me  l'a- 
more s'  accenderebbe  per  voi.  se  più  amar  vi  potessi; 
ma  il  mio  amore  appunto  non  soffre  ch'io  vegga  per  me 
versalo  un  sangue  che  m'è  si  caro.  La  fuga  ben  ri- 
parar mi  potrebbe  :  ma  vie  più  fiero  per  1  a  mia  fuga 
ficoppierebbe  lo  sdegno  di  Tamerlano  su  1  miseri  che 
rimanessero  preda  del  suo  furore.  Lode  però  al  cielo 
che  altro  miglior  consiglio  mi  suggerisce,  col  quale 
tutti  io  spero  di  farvi  salvi.  Voi  lo  saprete  fra  breve  : 
frattanto  il  cielo  per  voi  si  preghi  ardentemente  ond'  ei 
-secondi  i  miei  voti. 

Disciolto  *)  il  consiglio,  ei  si  diede  immantinente 
ad  apprestare  ricchissimi  doni  d'ogni  maniera,  e  con 

*)  Oppor  resistenza    —    SSiberfiani)  leiflett.  —   ^)  Intrepi- 
dezza —  Unerf(^r(3(fen^eif.   ~   »)  Risico  —  Oefal^r.  -—  *)   Di- 
sciolto —  aufgctófl,  auéciuanbcr  gegangeu. 
Soave,  Novelle.  7 


98  N  OVELLA  XVn.     IBRAIM. 

questi  si  dispose  a  farsi  incontro  *)  a  Tamerlano , .  per 
ottenere  al  suo  popolo  la  salute.  Era  uso  di  Tamerlano 
e  ordine  per  lui  fissato  nella  sua  corte ,  che  i  presenti, 
che  a  lui  si  offerivano ,  tutti  fossero  nella  specie  loro 
al  numero  di  nove.  A  questo  ordine  conformandosi  Ibrai- 
mo,  a  lui  fattosi  innanzi,  nove  superbi  destrieri^)  gli 
presentò  riccamente  bardati  e  d' oro  ornati  e  dì  perle, 
nove  leopardi,  ammaestrati  alla  caccia  tutti  con  vaghe 
collane  d'oro,  nove  tende  di  seta  a  ricami  finissimi 
d'argento  e  d'oro,  nove  tappeti  dell'  Indie,  lavorati 
col  più  sottil  magistero ,  nove  vasi  d' oro  contornati  da 
preziosissime  gemme,  e  cosi  pure  degli  altri  doni,  tutti 
ricchissimi  e  di  singolare  lavoro  ;  per  ultimo ,  gli  pre- 
sentò alcuni  schiavi;  ma  questi  non  erano  che  otto  soli. 
Ov'è  l'altro  schiavo?  chiese  allor  fieramente  il  re  tar- 
taro. Egli  è  a'  piedi  tuoi,  disse  Ibraimo,  prostrandosi 
a  lui  dinanzi.  Schiavo  tu  non  avrai  di  me  più  sommesso 
né  più  fedele ,  e  troppo  dolci  a  me  saranno  le  mie  ca- 
tene ,  ove  per  esse  io  ottenga  '  dall'  ira  tua  salute  e 
scampo  al  mio  popolo  desolato.  Deh!  a  questo  solo  abbi 
pietà  ;  ei  sia  salvo  da  ogni  offesa  :  di  me  disponi  come 
t'aggrada;  io  già  son  tuo.  Commosso  a  quest'atto 
queir  animo  per  natura  feroce ,  e  tutto  cangiato  in  sé 
medesimo,  cortesemente  rilevandolo  :  Ben  altro,  disse, 
che  schiavitù  si  debbe  ad  una  virtù  così  bella.  Tu  il 
primo  sarai  fra  i  miei  più  intimi  amici ,  tu  in  conto  mi 
sarai  di  fratello  e  di  padre.  Torna  lieto  a'  tuoi  popoli, 
segui  a  farli  felici,  siccome  hai  fatto  sinora.  Se  me  ad 
imprese  più  vaste  e  più  romorose»non  chiamasse  il  mio 
destino ,  miglior  piacere  io  non  saprei  ritrovare ,  che, 
vivendo  in  piccol  regno ,  usare  ognf  opera  per  imitarti. 


*)  Farsi  incontro— cntgegen  gel^en.  —  2)  Destrieri  —  <Shcits 
tof,  eble^  JRofi. 


99 

NOVELLA  XVIU. 

I.É  GIOIE  Ii\VOIiAT£. 

i\ella  prima  delle  novelle,  che  a  queste  precedono, 
noi  abbiam  ricordato  uno  di  quegli  atti  di  beneficenza, 
che  laugusto  Giuseppe  II sa  collocare  si  acconciamente 
e  condire  per  dolce  modo ,  che  più  n  accresce  il  va- 
lore, e  più  vivo  ne  fa  sentire  il  godimento.  Quanto 
egli  però  è  ingegnoso  nel  compartire  i  suoi  beneficj, 
altrettanto  sagace  ^)  sa  dimostrarsi,  e  fecondo  di  accor- 
tissimi ritrovati  '^),  ove  giustizia  il  richiede ,  per  isco- 
prire  la  verità ,  e  render  ragione  a  chi  si  conviene. 

Non  è  ancora  gran  tempo  che  in  Vienna  un  giovane 
cavaliere,  consumata^)  avendo  nel  giuoco  la  miglior 
parte  de'  suoi  averi ,  trovossi  a  quelle  angustie ,  a  cui 
questo  vizio  suol  ben  sovente  condurre  i  mal  accorti  *), 
che  vi  si  abbandonano.  Spogliato  già.  ora  mai  d'  ogni 
cosa .  e  impotente  a  più  soddisfare  la  passione  che  il 
dominava,  né  sapendo  tuttavia  astenersene,  perchè 
ognor  vinto  dall'  ingannevol  lusinga  ^)  di  poter  giugnere 
finalmente  a  riscattarsi  delle  sue  perdile,  incominciò  a 
pensar  fra  sé  slesso  qual  mezzo  trovar  potesse  a  pro- 
cacciare nuovo  danaro ,  onde  nuovamen:e  alla  fortuna 
avventurarsi.  Ben  ei  vedeva  che  per  onesti  modi  gli 
era  impossibile  di  acquistarne,  e  che  troppo  era  mala- 
gevole rincontrare  chi  fosse  sì  poco  avveduto^)  dal 
volergliene  più  affidare  ninna  parte.  Altro  mezzo  non 
v'  era  che  ricorrere  alle  astuzie  ed  alle  frodi  ^).  Ma  'il 
ritenea  tuttora  un  avanzo  di  quei  principj  di  probità, 
che  nella  prima'  educazione  erangli  stati  inspirati.  Se 
non  che  troppo  deboli  sono  questi,  allorché  il  vizio  co- 

^)  Sagace  —  fd&rau.  —  2)  Accortissimi  ritrovati  —  fc^r  lijìigc 
Clrfìnfcungen.  — 3j  Consumata — bur%ebra4)t.  —  *)  Mal  accorto 
—  ùbel  htxati)en.  —  ^)  Lusinga  — Stniocfung.  —  ^)  Avveduto  — 
flug.  —  '')  Astuzia,  frode  —  SijJ,  93etrug. 

7* 


lOO  NOVELLA   XVIIL 

mincia  a  prender  potere ,  e  che  il  cuore  n'  è  già  cor- 
rotto. L' interna  pugna  fra  l'onestà  da  un  canto ,  che  il 
riteneva ,  e  la  passione ,  che  lo  spingeva  dall'  altro  ,  fu 
breve  \  e  questa  per  sua  sciagura  ne  trionfò. 

Un  giorno  adunque ,  pensati  vari  artificj,  né  ancor 
trovato  a  qual  dovesse  appigliarsi,  sovvennegli  del  gioiel- 
liere 5  dal  quale  pochi  anni  innanzi  comperate  aveva 
le  gioie ,  di  cui  la  sua  sposa  avea  riccamente  fornita  ;  e 
come  uom  semplice  e  di  buon  cuore  lo  conosceva ,  così 
parvegli  che  più  agevolmente  d' ogni  altro  verrebbegli 
fatto  0  d'ingannarlo.  A  lui  quindi  portatosi,  incominciò 
a  domandargli  che  quanto  avesse  di  più  prezioso  in  dia- 
raan'i  e  in  rubini ,  e  in  ogni  altra  maniera  di  gemme, 
volesse  mostrargli  -,  ed  or  questa,  or  quella  esaminando, 
e  il  prezzo  chiedendo  or  dell'  una  ,  or  dell'  altra ,  e  in 
lunghi  discorsi  intertenendosi  sulle  varie  mode  e  sulle 
forme  migliori  onde  comporle  e  legarle,  e  fattele  se- 
condo vari  disegni  e  in  varie  ligure  da  lui  ordinare, 
alla  fine:  Or  cosi,  disse,  mi  pare  che  alla  moglie  mia 
piacer  dovrebbono  ,  a  cui  vo'  farne  un  presente.  Fra 
quanti  giorni  me  le  sapreste  voi  dare  belle  e  legate? 
eh'  io  vorrei  fargliene  una  dolce  sorpresa.  Le  pietre  son 
molte  3  rispose  il  gioielliere ,  e  lungo  e  penoso  esser  ne 
debbe  il  lavoro.  Io  vedrò  d'affrettarlo  con  ogni  cura; 
ma  innanzi  a  due  mesi  io  non  oserei  di  promettere  che 
fosse  a  termine.  Ohimè  !  (disse  il  cavaliere)  —  Questa 
ritardo  sconcerta  Iroppo  i  miei  disegni^)  ....  Seb- 
bene io  penso  che  si  vario  sovente  e  sì  strano  ®)  è  delle 
donne  il  capriccio ,  che  quella  forma  che  a  noi  aggrada, 
a  lei  potrebbe  spiacere.  Sarà  dunque  meglio  che  a  lei 
ne  porti  i  modelli  senza  altro  indugio ,  e  eh'  io  compia 
il  dono  mio  col  lasciare  eh'  ella  medesima  si  scelga  a 

^)  Verrebbegli  fatto  — c3  tìjurbe  t^m  getiuf^en.  —  *)  Scon- 
certa i  miei  disegni  —  anbert  meineti  ?)31an.  —  ^)  Strano  —  tuun* 
berlid^. 


LE  GIOIE  INVOLATE.  lOl 

SUO  talento  ciò  che  più  ama.  Venite  meco.  E,  ciò  detto, 
prese  le  gioie ,  e  seguito  dal  gioielliere  s' incamminò 
verso  casa.  Ma  destramente  egli  aveva  colto  il  momento 
in  cui  sapeva  che  sua  moglie  ne  era  fuori.  Qui  dopo 
varie  simulate  dimostrazioni  di  dispiacere  di  non  averla 
trovata  :  Or  bene,  disse,  a  me  lasciate  le  gioie  :  io  gliele 
mostrerò  al  suo  ritorno ,  e  domani  voi  ne  avrete  ris- 
posta ;  ma  raccomandovi  innanzi  tratto  che  sollecito  il 
più  che  si  può  e  diligente  ne  sia  poi  ii  lavoro. 

Il  gioielliere ,  che  ricco  giovane  e  buon  pagatore 
conosciuto  Tavea  per  l' addietro,  e  che  nulla  sapea  del 
suo  giuocar  rovinoso  *),  né  delle  perdite  che  avesse 
fatte ,  nulla  temendo  di  frode,  e  a  lui  fidandosi  buona- 
mente, se  ne  partì. 

Lieto  il  reo  giovane  soprammodo  della  felice  avven- 
tura, neir  ubbriachezza  del  suo  tripudio,  quasi  non  con- 
tento d' avere  ingannalo  un  solo,  pensò  col  mezzo ,  che 
la  sua  frode  aveagli  procacciato,  di  farsi  beffe*)  ancor 
della  moglie ,  ed  acchetare  con  ciò  i  lamenti  eh'  ella 
facea  continui  per  le  gioie  che  a  lei  medesima  involate 
egli  avea,  e  con  tutto  il  resto  perduto  al  giuoco.  Fat- 
tosele adunque  innanzi  al  suo  ritorno,  e  mostrate  4e 
gemme  che  avea  seco:  Or  più,  disse,  non  avrai  tu  a 
intronarmi*)  l'orecchio,  e  a  menar  tanto  rumore*)  pqr  le 
tue  gioie:  vedi  se  di  migliori  io  so  compensarti.  Ben 
io  sapeva  che  la  fortuna  non  m' avea  sempre  ad  esser 
nemica.  Un  buon  momento  mi  ha  rifatto  a  dovizia  ^)  di 
tutto  ciò  che  ho  perduto  in  più  anni-  e  l'amor  mio  vuol 
prima  di  tutto  eh'  io  pensi  a  rendere  a  te  con  usura  ^ 
quello  che  ti  ho  tolto.  Scegli  ora  fra  questi  gioielli  quei 
che  ti  sono  più  in  grado:  domani  io  darò  ordine  al 
gioielliere  che  sien  legati  in  quella  guisa  che  più  vor- 

')  Rovinoso  —  toUtùÌ)n.  —  2)  Farsi  beffe  —  «Spott  trei6<n.  — 
*)  Intronare  —  bctaubcn.  —  *)  .Alenar  rumore  —  £àrm  fd^logcn.  — 
*)  A  dovizia— rci(^U<t>.—^)  Lsura  —  SBuc^cr. 


102  NOVELLA  XVm. 

rai.  Fa  intanto  di  porli  ben  chiusi  in  luogo ,  ove  siano 
pienamente  sicuri,  e  non  farne  motto  a  persona*),  se 
pur  ti  preme  di  averli  ;  eh'  io  non  vo'  che  nessuno  ne 
abbia  sentore,  prima  che  te  li  vegga  dattorno.  Contenta 
oltremodo  la  moglie,  promettendogli  il  segreto,  li 
serrò  a  chiave  nel  più  riposto  luogo  e  più  custodito,  ed 
egli  intanto  di  lei  ridendo,  andò  qua  e  là  tacitamente 
spiando  ove  trovare  potesse  occasioni  di  cambiarli  in 
danaro,  senza  essere  scoperto. 

Venuta  la  notte ,  il  gioielliere  .non  fu  senza  tur- 
bamento ^),  pensando  fra  sé  medesimo  alla  sua  troppa 
fidanza  e  alla  poca  accortezza  con  C!ji  aveva  lasciata 
in  mano  ad  un  giovane  una  somma  di  sì  gran  prezzo. 
Nondimeno  considerando  che  nobile  egli  era,  e  nobil- 
mente allevato,  né  fatta  avrebbe  azione  che  indegna 
fosse  de'  suoi  natali  o  di  que'  sentimenti  d' onore  che 
a  cavalier  si  convengono ,  e  persuaso  eh'  ei  fosse  pur 
tuttavia  sì  ampiamente  fornito  dei  beni  della  fortuna, 
come  eralo  per  l' innanzi ,  e  perciò  lontano  come  da 
ogni  bisogno ,  così  anche  da  ogni  menoma  tentazione 
a  voler 'far  suo  r  altrui ,  andavasi  racconsolando ,  seco 
però  proponendo  di  voler  essere  altre  volte  più  avve- 
duto ,  né  più  dar  luogo  a  sì  fatte  inquietudini. 

Giunto  il  mattino ,  e  crescendo  in  lui  vie  più  1'  an- 
gustie ,  risolvette  di  andare  egli  stesso  alla  casa  del  ca- 
valiere a  udir  la  risposta ,  e  riportarne  le  gioie,  senza 
aspettare  più  oltre.  Questi  fé'  dirgli  in  sulle  prime  ') 
eh'  egli  era  tuttora  a  letto ,  e  che  più  tardi  a  lui  ritor- 
nasse. Ma  il  gioielliere,  non  si  volendo  partire  senza 
le  gioie,  gli  fé' rispondere  che  nulla  aveva  di  premuroso 
che  altrove  il  chiamasse ,  e  che  quanto  a  lui  fosse  pia- 
ciuto aspettato  l'avrebbe.  Dopo  alcun  tempp,  vedendo 
il  cavaliere  che  quest'  incontro  o  tosto  o  tardi  per  niuii 

*)  Farne  motto  a  persona  — ja  mit  9l(emonb  ba»ou  tebcn. — 
*)  Turbamento  —  Untume.  —  ^)  In   sulle  prime  —  jucrfl. 


LE  GIOIE  INVOLATE.  lOS 

modo  polea  schivarsi *),  fattosi  animo  a  sostenerlo,  e 
alla  frode  unendo  la  sfrontatezza,-  ritiratosi  in  parte,  ove 
<la  alcuno  non  fosse  inteso ,  il  fé'  introdurre ,  e  come 
se  uomo  nuovo  gli  fosse ,  e  ninno  affare  avesse  con  lui 
avuto  giammai,  tranquillamente  il  domandò  che  volesse. 
Io  ho  creduto  mio  debito ,  disse  il  gioielliere,  di  affret- 
tarmi a  udire  ciò  che  avete  ordinato  per  quei  gioielli  che 
jeri  mi  commetteste,  e  risparmiare  a  voi  la  briga*)  di 
riportarmene  la  risposta.  —  Gioielli!  rispose  il  cavaliere 
con  fermo  viso,    e  in  finto  atto   di  maraviglia:  di  che 
gioielli  parlate  voi?  —  Come!  di  che  gioielli?  Tutto  tur- 
bato replicò  il  gioielliere  :    Non  foste  voi  jeri   in  mia 
casa ,  e  non  m'  ordinaste  voi  di  mostrarvi   quanto  io 
avessi  di  gemme  più  preziose ,  e  di  comporne  vari  di- 
segni; e  le  gioie  cosi  disposte,  non  vi  portaste  voi  qui 
per  udire  la  scelta  di  vostra  moglie ,  a  cui  dicevate  vo- 
lerne fare  un  presente?  e,  non  avendola  qui  trovata, 
non  mi  diceste   voi  che  gliele  avreste  mostrate  al  suo 
ritorno ,   e  che  stamane  le  gioie  avreste   a  me  riportate 
insiem  con  l' ordine  di  ciò  che  ella  s' avesse  scelto ,  e 
eh'  io  far  mi  dovessi  per  contentarla  ?  —  Io  non  so  né 
di  gioie,  né  di  disegni,  nò  di  che  altro  \  andate  dicendo, 
rispose  con  l'atto  stesso  xli  simulata  ammirazione,  e 
con  viso  egualmente  intrepido  il  cavaliere:  o  voi  mi 
scambiate ,  o  voi  sognate  lutt'  ora.  Il  gioielliere   a  lai 
delti  incominciò  a  disperarsi,  e,  cadutogli  innanzi,  il 
pregò  con  le  lagrime  agli  occhi  per  quanto  v'  ha  di  più 
sacro,  o  ch'egli  potesse  aver  di  più  caro,  a  non  voler 
desolarlo;  che  se  quelle  gioie  rendute  ei  non  gli  avesse, 
egli  era  del  tutto  perduto  ;  che  egli  e  la  moglie  sua   ei 
suoi  teneri  figli  più  non  aveano  scampo  onde  non  esser 
costretti  a  morir  di  fame  :  gli  ricordò  ciò  che  debbe 
ogni  uomo ,  e  più  un  cavaliere,  a  cui  i  sentimenti  d'in- 

*)  Schivare —  toermeiben.  —  'J  Briga  — SKù^e^ 


ia4  NOVELLA   XVIII. 

tegrità  e  d' onore  più  altamente  esser  debbono  impressi  ; 
il  pregò  a  non  volere  sì  mal  compensare  la  fidanzi 
ch'egli  avea  in  lui  posta:  il  minacciò  finalmente  pur  dei 
giudizi  di  Dio  5  a  cui  tutto  è  palese ,  e  che  severo  puni-j 
tore  è  dei  malvagi.  Ma  il  cavaliere,  di  tutto  befFandosiJ 
ed  or  d'  abbaglio  accusandolo,  ed  or  di  sogno,  e  taJ 
lor  eziandio  d' ubbriachezza  e  di  delirio,  si  tenne  ognoi 
fermo  a  negare  che  mai  né  gioie,  né  altro  avesse  di 
lui  avuto  :  e  ultimamente ,  incominciando  il  gioiellier( 
per  disperazione  a  gridare  quegli  pur  gridando  di  fintj 
collera  e  caricandolo  di  villanie,  il  fé'  trascinare  giù  pei 
le  scale ,  e  cacciar  di  sua  casa. 

Jl  miser'  uomo ,  che ,  non  ave  ndo  né  testimoni ,  né 
scritto  alcuno  a  cui  appoggiare  0  le  sue  ragioni,  ben 
vedeva  che  inutile  sarebbe  stato  il  richiamarsi  ai  tribu- 
nali, e  perduta  credendo  ogni  cosa,  era  per  uscir  di 
sé  slesso  ^)  tanto  il  pungeva  ^)  la  perdita  e  lo  sdegno  del 
tradimento.  Quando  in  buon  punto  sovvennegli  d'  aver 
ricorso  all'  Imperadore ,  e ,  gittandosi  a  lui  dinanzi,  luf 
far  suo  giudice  e  suo  sostenitore  :  Egli  è  troppo  saggio,^ 
diceva,  e  ben  saprà  egli  discernere  chi  dica  il  vero- 
è  troppo  giusto ,  perch'  io  non  abbia  a  sperare  eh'  egli 
mi  renda  ragione. 

Chiestagli  adunque  udienza ,  che  facile  ottenne  da 
quella  benignità  con  cui  l'animo  di  questo  augusto  Mo- 
narca é  sempre  aperto  ad  udire  ed  a  riparare  i  malide'' 
suoi  sudditi,  gli  esptDse  minutamente  quanto  eragli  oc- 
corso^), affermando  con  giuramento  tutto  esser  vero. 

V  Imperadore ,  che  dalle  lagrime  e  dal  dolore  del- 
l' uom  dabbene  più  che  da'  suoi  giuramenti  ben  com- 
prendeva che  vero  doveva  essere  quanto  egli  asseriva^ 

^)  Appoggiare  —  anscrtroucn.  — ^)  Uscire  di  sé  stesso  — 
aué  btm  èhm  fommen. —  ^)  Pungeva  la  perdita  —  ^einigtc  i^n 
-ber  SJcrrufI  jc.  —  *)  Occorso  —  gugefìof en,  gef(^er;fn. 


LE  GIOIE  INVOLATE.  105 

fattolo  ritirare  in  disparte  *),  mandò  tosto  pel  cavaliere, 
ordinando  che  ovunque  si  ritrovasse  ,  immantinente  a 
lui  fosse  condotto.  Si  scosse  questi  al  comando  in- 
aspettato, e  tutto  in  sulle  prime  sentissi  da  capo  a  piedi 
raccapricciare^);  ma  richiamala  ben  presto  l'usata  intre- 
pidezza, e  in  ciò  fidandosi,  che  ninna  prova  poteva  il 
gioielliere  contro  di  lui  arrecare ,  con  fermo  animo  si 
presentò,  e  quanto  gli  fu  opposto,  tutto  negò  ardita- 
mente. 

L"  Imperadore ,  vedendo  che  ninna  confessione  po- 
teva da  lui  aversi,  una  esatta  ricerca  deliberato  già 
aveva  di  ordinare  che  in  casa  di  lui  fosse  fatta  per  ogni 
parte.  Ma  come  altrove  potevan  esser  le  gioie,  o  poste 
in  luogo  dove  non  fosse  facile  il  rinvenirle ,  per  trarne 
più  prontamente  la  verità ,  immaginò  di  far  uso  di  uno 
stratagemma'),  che  ebbe  esito  felicissimo.  Ben  egli  ar- 
gomentandosi che  alla  moglie  il  segreto  non  doveva  es- 
sere interamente  nascosto ,  impose  al  cavaliere  di  scri- 
verle incontanente  questo  viglietto  :  „Se  vi  sta  a  cuore 
di  salvar  la  mia  vita,  fate  che  tosto  sian  rimesse  al  pre- 
sentatore di  questo  le  gioie  che  voi  sapete." 

A  tal  ordine  il  cavaliere  impallidi,  tutto  egli  cadde 
d'animo*),  e  prostrato  a  pie  del  Monarca,  si  fé' tre- 
mante a  confessare  il  suo  delitto.  Il  gioielliere  riprese 
novella  vita,  attesoché  per  l'accortezza  del  jsuo  so- 
vrano era  pervenuto  a  riaquistare  felicemente  quanto  per 
la  sua  soverchia  fidanza  e  dabbenaggine  avea  perduto; 
ed  al  malvagio  non  valse  però  la  tarda  e  forzata  con- 
fessione a  camparlo  <lal  meritato  castigo. 


*)  Disparto  —  bti  Seitc  —  ^)  Raccapricciare  —  ficfe  tntf 
fe^en.  —  *)  stralagerama  —  Jlun^grlf.  —  *)  Tutto  egli  cadde 
d'animo  —  er  »erlor  fcinen  SWutfi. 


t06 

NOVELLA  XIX. 

Ili  TORTO  >)  RIPARATO. 

Vccorre  alcune  volte  che  quelli,  i  quali  hanno  comando 
sopra  d'altrui,  o  per  mala  prevenzione^),  o  per  false 
accuse ,  o  per  impeto  di  passione  verso  alcuno  de'  lor 
soggetti  divengano  ingiusti ,  e  li  puniscano  senza  ra- 
gione. Chi  è  altrui  sottoposto ,  ove  ciò  avvenga ,  dee 
sapere  prudentemente  frenare  i  moti  che  desta  in  sulle 
prime  un' ingiusta  condanna,  e  in  luogo  di  rivoltarsi  o 
di  mormorarne,  aspettar  pazientemente  che  occasioni 
opportune  gli  dian  campo  ^)  a  scoprire  la  sua  innocenza, 
o  che  il  tempo ,  il  qual  suole  alla  fine  condurre  in  luce 
la  verità,  per  sé  medesimo  la  manifesti;  e  chi  regge, 
cessato  il  bolior  primo,  che  lo  ha  tratto  a  precipitata 
sentenza,  dee  aprir  1'  adito  liberamente  ad  ogni  giusti- 
fieazione  o  discolpa  5  e  riconosciuta  1'  innocenza  di 
quello  che  prima  reo  gli  parve ,  dee  f  arsi  un  dovere  di 
riparare  il  torto  fatto.  Dell'  una  e  dell'  altra  cosa  un 
chiarissimo  esempio  ci  han  fornito,  non  ha  gran  tempo, 
due  di  quegli  uomini,  i  quali,  percliè  troppo  da  noi 
disgiunti  di  costumanze  e  di  clima ,  troppo  inferiori  a 
noi  si  sogliono  riputare  dal  nostro  orgoglio,  e  disprez- 
zar come  barbari. 

Ayder-Alì*),  che  negli  anni  ultimamente  trascorsa 
tanto  lunga  e  penosa  briga*)  seppe  dare  agli  Inglesi 
sulle  coste  di  Coromandel ,  stretto  era  di  alleanza  e  dì 
amistà  co'  Francesi  infìn  dal  tempo  che  altra  ferocissimi 
guerra  fra  queste  due  nazioni  rivali  s'accese  nel  ITSSj 

*)Torto  — Unrcc^t.  — 2)  Prevenzione  — tìorijcfa^te  SWetnitnaJ 
—  ')  Gli  dian  campo  — i^m  bie  @<legcn^eit  barbieten.  —  *)  Dar 
briga  — i?u  t^un  geben. 

*)  Così  è  chiamato  dall'  autore  della  sua  vita ,  benché  più 
comunemente  sia  conosciuto  sotto  al  nome  di  Hyder-Alì. 


IL    TORTO   RIPARATO.  IO 7 

la  quale,  a  par  dell' ultima ,  non  solo  in  Europa,  ma 
neir Africa  ancora  e  nell'Asia  e  nell'America  per  ogni 
parte  ne  diffuse  l'incendio  e  le  rovine.  Or  avendo  in 
que'  tempi  nell"  Indie  posto  gV  Inglesi  l' assedio  a  Pon- 
dichery,  città  primaria  e  la  più  cospicua  che  il  francese 
dominio  avesse  in  quelle  parti,  avvertirono  Ayder-Ali,  il 
quale  benché  si  trovasse  egli  medesimo  da  Canero,  suo 
crudele  nemico,  e  da'  Maratti,  bellicosissima  gente  ,  nel 
suo  paese  di  Bengalor  fieramenle  assalito,  spedi  nondi- 
meno sotto  agli  ordini  di  Mortum-Saib  quanto  potè  di 
truppe  e  di  soccorsi  per  liberar  la  città  assediata.  Era 
Mortimi  espertissimo  capitano  ;  e  malgrado  la  vigilanza*) 
assidua  de'  nemici,  tanto  seppe  introdurvi  e  di  genti 
e  d'armi  e  di  vittovaglie ,  che  dove  per  difetto^)  di 
opportuna  difesa  sarebbe  stata  dapprima  costretta  a  ce- 
dere in  pochi  giorni,  pei  suoi  soccorsi  potè  lungamente 
far  fronte  ^)  al  feroce  impeto  degl'  Inglesi.  Alla  fine 
però,  essendo  questi  troppo  di  forze  superiori,  ogni 
resistenza  ed  ogni  aiuto  fu  vano,  e  la  città  dovette  ren- 
dersi in  poter  loro. 

Ne  udì  Ayder-Ali  la  spiacevole  nuova  nel  tempo 
appunto  che ,  sconfitti  in  sanguinosa  battaglia  Canero  e 
i  Maratti,  aveva  egli  di  questi  riportata^ una  intera  vit- 
toria. Di  ciò  orgoglioso,  troppo  di  onore  ei  riputò  che 
si  scemasse  alle  sue  armi  *)  se  in  ogni  parte  non  erano 
egualmente  vittoriose  :  e  credendo  che  a  colpa  di  Mor- 
lum  si  dovesse  attribuire,  se  il  soccorso  spedito  all'as- 
sediala città  riuscito  era  senza  alcun  frutto ,  contro  di 
lui  fieramente  s'accese:  e  tornato  che  fu  appena,  senza 
lasciargli  pur  tempo  a  difendersi,  caricatolo  di  amari 
rimproveri ,  ogni  grado  gli  tolse ,   il  dispogliò  d' ogni 

0  Vigilanza  —  2Ca4>famf€Ìt.  —  «)  Difetto  —  JWan^cI.  — 
')  Far  fronte  —  Xxc^  hitUn.  —  *)  Troppo  di  onore  ei  riputo 
che  si  scemasse  alle  sue  armi  —  cr  (^lanbU,  bap  bic  Qf)xt  feincc 
2Dafai  attju  ft^t  leiben  teiitbe,  totnn  jc. 


108  NOVELLA  XIX. 

onore  ,  e  sprezzalo  e  avvilito  alla  condizione  il  ridusse 
del  più  abbialo  privato. 

Sostenne  Mortum  con  forte  animo  la  trista  umilia- 
zione; e  contento  di  trovar  nella  propria  coscienza  un 
testimonio  ed  un  giudice  della  sua  innocenza,  senza 
resistere ,  o  far  lamenti ,  alla  pena  non  meritata  si  sot- 
topose. 

Ma  troppo  altamente  doleva  a'  soldati  che  sotto 
di  lui  avevano  militato,  e  che  non  meno  l'amavano  per 
la  sua  virtù ,  di  queilo  che  1'  apprezzassero  pel  suo  va- 
lore ,  di  vedere  sì  mal  compensati  i  meriti  di  tant'  uomo  ; 
e  alcuni  Francesi ,  che  fra  questi  erano ,  sì  tosto  che  vi- 
der  nel  re  calmato  l'impeto  del  primo  sdegno,  inco- 
minciarono a  dimostrargli  che  Mortum  nulla  avea  trala- 
sciato di  ciò  che  ad  esperto  e  fedelissimo  generale  s'ap- 
partenesse di  operare  ;  e  che  per  lui  solo  avea  la  città 
assediala  potuto  reggere  0  sì  lungamente  agli  assalti  ne- 
mici, e  che  premio  ed  onore  doveasi  non  punizione  ed 
infamia,  alle  valorose  azioni  da  lui  fatte  in  difesa  di 
quella. 

Ayder-Alì ,  che  quanto  ardente  e  feroce  nei  primi 
impeti,  altrettanto  era  giusto  e  generoso,  quando,  ces- 
sato il  turbamento  dell'animo,  la  ragione  in  lui  ripi- 
gliava il  suo  impero ,  chiamati  a  pieno  consiglio  i  capi 
dell'  esercito,  che  erano  stati  a  quella  spedizione ,  volle 
da  tutti  udire  parlitamente  ^)  ciò  che  ivi  fosse  avvenuto,^ 
e  quali  fossero  slate  le  cure  usate  dal  comandante,  e 
quali  gli  ordini  dati,  e  le  imprese  tentate ,  e  quali  i  fatti, 
e  come  condotti ,  e  con  qual  esito ,  e  quali  gli  ostacoli 
incontrati  ad  imprese  più  grandi  e  più  gloriose.  Nulla  di 
questo  esame  ei  non  raccolse ,  che  da  ogni  sospetto  di 
colpa  non  assolvesse  Mortum,  e  che  a  lode  di  lui  gran- 
dissima non  ritornasse.  Pentito  quindi  del  suo  ingiusto 

^)  Reggere—  Stonb  ^alien. —  ^)  Parlitamente  —  «injeln. 


IL  TORTO  RIPARATO.  109 

e  inconsiderato  trasporto ,  ei  pensò  tosto  a  ripararlo  ; 
e  come  pubblico  era  stalo  lo  scorno  *)  a  lui  fatto,  cosi 
pubblico  parimente  volle  che  fossene  il  compenso. 

Dato  pertanto  ordine  che  nella  più  splendida  pompa, 
che  fosse  mai,  si  allestisse  immantinente  il  fastoso  cor- 
redo *)  con  cui  egli  solea  mostrarsi  in  pubblico  ne'  dì 
solenni,  accompagnato  non  pure  dalle  sue  guardie ,  ma 
da  tutti  i  grandi  della  sua  corte  e  da  tutti  quelli  che  seco 
tenuto  avea  a  consiglio,  alla  casa  di  Mortum  si  in- 
cammina. 

Questi,  che  nulla  di  ciò  sapeva,  e  a  cui  la  fortuna 
ben  tolto  avea  lo  splendore  delle  superbe  dignità  ,  ma 
non  la  virtù  e  la  quiete  dell'  animo ,  stavasi  tranquilla- 
mente vagando  in  abito  semplice  in  un  suo  giardino,  ed 
occupandosi  piacevolmente  d' intorno  all'  erbe  ed  alle 
piante  che  ivi  erano. 

Ayder-Ah  lo  scorge  dall'alto  del  maestoso  elefante 
su  cui  sedeva;  e  fatto  incontanente  sostare^)  tutto  il  cor- 
leggio  5  e  sceso  a  terra ,  a  Morlum  corse  incontro ,  e 
gettategli  le  braccia  al  collo  :  Io  deggio ,  disse,  arros- 
sire del  torto  fatto  alla  tua  virtù ,  ma  godo  almeno  di 
aver  ben  presto  incontrato  chi  mi  ha  tolto  d' inganno, 
e  di  potertene  or  ristorare  *).  So  che  la  tua  condotta  è 
stata  cosi  degna  di  lode,  come  io  di  biasimo  l'avea  ri- 
putata meritevole.  Or  abbi  tu  dunque  pur  di  bel  nuovo 
tulli  gli  onori ,  che  a  lei  si  debbono ,  e  dalla  mia  ami- 
cizia e  dall'  ajiior  mio  chiedi  liberamente  ciò  che  più 
brami.  —  Nella  mia  sciagura,  rispose  sommessamente 
Mortum ,  nulla  altro  mi  dolse  che  di  avere  perduto  un 
cuor  generoso,  siccome  è  il  vostro:  orii  che  voi  vi 
degnate  di  rendermelo ,  qual  altra  fortuna  poss'  io  de- 
siderare? 

^)  Scorno  —  <B^mcià).  —  ^)  Fastoso  corredo  —  pruntuoffe 
5tu3ftattung.  —  3)  Sostare — <&aU  tnod^en.  —  *)  Ristorare  —  ent« 
((^àbigcn. 


no  NOVELLA  XX. 

Ayder-Alì,  riabbracciatolo,  il  fé' salire  con  pompa 
sul  suo  elefante,  edei,  precedendolo  a  cavallo  tra  le 
infinite  acclamazioni  del  popolo ,  che  al  meritato  onor 
di  Mortum  egualmente,  e  al  generoso  atto  del  re  ap- 
plaudiva, a  maniera  di  trionfo  nella  sua  reggia  lo  ri- 
condusse ;  e  quivi ,  rendutegli  tutte  le  dignità ,  1'  ebbe 
poi  sempre,  infin  che  visse,  come  il  più  riputato  e  più 
caro  della  sua  corte ,  offerendo  con  ciò  ad  altrui  un 
solenne  esempio  del  modo  con  cui  un  cuore  magnanimo 
dee  riparare  i  torti  fatti  allorché  giugne  a  discoprirli. 


NOVELLA  XX. 
Ili  COIVTE  D'OREIVCiO  O  li'EDlJCAZIOMi:. 

Il  più  pericoloso  momento  per  un  giovane  cavaliere, 
è  che  spesso  decider  suole  di  tutta  la  sua  vita,   gli  è 
quello  in  cui ,  sciolto  da'  vincoli  ^)  della  educazione,  ei 
comincia  a  divenir  padrone  di  sé  medesimo.  Non  obbli- 
gato (come  veggiamo  essere  la  più  parte)  ad  alcuna  oc- 
cupazione ,  e  abbandonato  ad  un  ozio  perpetuo ,  s' egli 
s'  abbatte  ^),  siccome  è  facile,  ad  accompagnarsi  con  altri 
giovani,  al  par  di  lui  sfaccendati  o  viziosi,  ei  perde  ii 
breve  tempo  l' intero  frutto  della  educazione  ancor  pii 
saggia  e  più  accurata ,   dimentica  tutte  le  massime,  la-1 
scia  da  parte  ogni  istruzione,   e  sedotto  ^)  dalle  prave 
insinuazioni*)   di  quelli,  coi  quali  usa,    animato   da* 
contagiosi  esempi,  determinato  sovente  dal  tedio  ®)  me- 
desimo della  vita,  per  non  sapere  che  farsi ,  a  poco  a 
poco  a  tutti  i  vizi  si  dà  in  preda  ^). 

1)  Vincoli  —  S3anb.  —  2)  S' egli  s' abbatte  ec.  —  toenn  (é  i^m 
jufàllig  Bfgegnet  Jc.  —  3)  Sedotto  —  »crfù^rt.—  *)  Insinuazione 
—  ©infd^meidjelung.  —  5)  Tedio  —  Uebcrbiu^.  —  ^)  Darsi  in 
preda  —  |ic^  pxeieQtUn. 


L'EDUCAZIONE.  Ili 

In  tale  stato  trovossi  appunto  il  giovane  conto 
d' Orengo  al  primo  uscir  di  collegio.  Egli  era  unico 
figlio  di  un  ricchissimo  padre,  ed  abbandonato  a  sé 
stesso  senza  esperienza  e  senza  guida,  entrato  nel  vor- 
tice ^)  del  gran  mondo,  fu  attorniato  immantinente  da 
una  folla  di  giovani  del  bel  tempo,  di  cui  tosto  apprese 
tutti  i  costumi.  Disoccupato  interamente,  or  coli' uno 
or  coir  altro  di  questi  ei  cercava  di  riempiere  il  voto  ^ 
della  sua  vita ,  dividendo  con  essi  le  ore  tra  le  frivo- 
lezze ')  ,  il  libertinaggio  ed  il  giuoco.  All'  alimento  di 
tali  vizi  mal  poteva  bastare  il  danaro  che  il  padre  for- 
nivagli  mensualmente.  Ma  i  compagni  delle  sue  pra- 
tiche *),  e  quei  che  il  frutto  godevano  delle  sue  profu- 
sioni, sepper  ben  presto  trovargli  degli  usurai,  che  ad 
inique  condizioni ,  e  sotto  false  scritture  il  dieci  pre- 
standogli per  aver  cento,  somministravangli  tutto  quello 
oh'  ei  richiedeva.  Per  questi  mezzi  egli  venne  in  breve 
a  caricarsi  di  debiti  oltre  misura,  i  quali  una  gran 
parte  della  paterna  eredità  gli  avrebbono  assorbito ,  se 
il  padre  in  quel  tempo  fosse  venuto  a  mancargli.  Questi 
frattanto  ogni  cosa  ignorava,  e  sedotto  da  apparenti  di- 
mostrazioni di  ossequio  e  di  figliai  deferenza,  che 
quegli  aveva  imparato  a  simulare  per  vie  meglio  asso- 
pirlo,' credeva  che  tutto  secondo  i  suoi  desiderj  proce- 
desse. Una  perdita  straordinaria,  che  fece  quegli  sul 
giuoco,  fu  il  primo  rumore  che  destò  il  padre,  e  che, 
determinandolo  ad  esplorare  minutamente  i  passati  an- 
damenti del  figlio,  venne  a  scoprirgli  tutto  l' abisso  in 
cui  era  precipitato. 

Il  primo  pensiero  che  l'ira  gli  suggerì  a  siiTatta 
scoperta,  la  quale  tanto  più  lo  colmò  di  amarezza  e  di 
sdegno,  quanto  era  meno  aspettata,  fu  di  cacciar  da  sé 

*)  Vortice  —  <StrubeI.  —  2)  vóto  —  Sitcfc ,  2ecre.  — 
*)  Frivolezze  —  S^id^rigfeitcti.  —  *)  I  compagni  delle  sue  pra- 
tiche —  bic  ©ffa^rltn  ffincó  (ctferen  ^ebené. 


118  NOVELLA   XX. 

il  figlio  immantinente,  e  fargli  in  un  castello  pagar  il 
fio  delle  passate  dissolutezze  *).  Ma  rientrando  in  sé 
stesso,  egli  vide  che  ciò  ben  serviva  a  punirlo,  ma  non 
però  a  correggerlo ,  e  che  la  pena  già  non  avrebbegli 
estirpato  ^)  dal  cuore  il  vizio ,  ma  solo  1'  avrebbe  più 
fieramente  contro  del  punitor  esacerbato').  Conobbe 
egli,  dall'  altro  canto,  che  a  sé  gran  parte  doveva  im- 
putar della  colpa  nell'  averlo  si  poco  accortamente  ab- 
bandonato a  sé  medesimo,  e  quasi  necessitato ,  col  la- 
sciarlo ozioso,  a  divenir  vizioso  e  scostumato. 

Pensò  egli  dunque  a  riparare  il  mal  fatto  :  e  chia- 
mato a  sé  il  figlio ,  che  troppo  conscio  'della  sua  reità, 
appena  aveva  coraggio  di  presentarglisi,  cosi  gli  disse  : 
La  tua  confusione  abbastanza  dimostra  che  ben  tu  sai 
qual  guiderdone  dovrebbesi  alla  tua  passai -a  condotta. 
Ma  comunque  reo  tu  sii,  e  indegno  della  paterna  amore- 
volezza, io  non  so  ancor  tuttavia  dimenlicarmi  che  ti  son 
padre.  L'  amore  che  più  non  meriti,  ma  eh'  io  non  voglio 
ancor  bandir  dall'animo,  fa  che  per  ora  io  ti  perdoni.  La 
tua  condotta  in  avvenire  farà  ch'io  determini  se  riguar- 
dare ancor  ti  debba  ed  amar  come  figlio,  o  esecrare  per 
sempre.  Ma  i  tuoi  disordini  intanto  voglion  essere  ripa- 
rati. So  i  debiti  enormi  che  d' ogni  parte  hai  contratto  ; 
e  benché  a  te  dovessi  lasciarne  il  peso,  io  non  vo'  tutta- 
via che  mentre  ho  posta  sempre  ogni  cura  a  soddisfare 
sollecitamente  ciascuno  di  ogni  cosa  ch'io  gli  dovessi, 
abbia  il  nome  d'  un  mio  figlio  a  rimaner  presso  altrui 
segnato  fra  quelli  dei  debitori.  Palesami  adunque  tutti 
coloro  a  cui  tu  devi,  e  quanto  devi  a  ciascuno ,  e  per 
qual  modo.  La  somma  o  il  numero  non  ti  ritenga,  che 
a  qualunque  eccesso  io  già  son  preparato  ;  e  voglio  che, 
almeno  in  questo,  abbia  la  bontà  mia  un  compenso 
dalla  tua  sincerità.  Quando  pur  tu  volessi  celarne  al- 

^)  Dissolutezze  —  Siebevlid^feit.  —   ^)  estirpato  —  au^ge* 
tottet.  —  3)  Esacerbato  —  crbittert. 


L'EODCAZIONE.  113 

cuno,  io  avrei  modo  di  giugnere  a  discoprirlo,  e  tu  non 
faresti  che  divenir  mentitore,  e  demeritarti  interamente 
e  per  sempre  quella  affezione  che  per  te  voglio  serbar 
tuttora. 

Percosso  a  questo  parlare,  misto  d'amore  insieme 
e  di  giusto  sdegno ,  si  senti  il  giovane  al  cuore  i  più 
acuti  rimorsi  ;  e  il  dover  al  padi*e  manifestare  tutti  gli 
affetti  de' suoi  passati  traviamenti  *)  il  copri  di  confu- 
sione e  di  rossore.  Vide  ciò  non  ostante  che  troppo 
per  ogni  conto  gli  conveniva  d'  esser  sincero ,  e  lo  fu 
senza  nulla  tacergli. 

Il  padre ,  udita  ogni  cosa  :  I  tuoi  debiti,  disse  con 
atto  serio,  saran  soddisfatti  :  né  altro  a^giugnendo,  che 
ben  vedeva  non  esserne  mestieri  ^) ,  il  licenziò  tutto 
pieno  di  peniimento  insieme  e  di  tenerezza  e  di  ver- 
gogna. 

Citati  ')  quindi  a  parte  a  parte  i  creditori  di  lui, 
con  ciascuno  convenne  di  ciò  che  ragion  voleva  che  a 
debiti  di  tal  natura  si  detraesse  *);  e  ciò  stabilito,  fatte 
apprestar  due  gran  tavole  nella  sala,  ordinò  che  su 
d' una  fossero  stese  in  tanti  scudi  d' argento  le  somme 
che  a  ciascun  de'  creditori  pagar  dovevansi ,  e  sull' 
altra  per  egual  modo  le  somme  che  egli  aveva  fermo 
con  essi  che  si  dovesser  detrarre. 

Indi  chiamati  tutti  i  creditori  ad  un  tempo,  e  fatto 
venir  il  figlio,  volle  che  sotto  agli  occhi  di  lui  fosse 
contato  a  ciascuno  quel  che  a  ciascuno  apparteneva- 
e  congedati  per  questa  guisa  ad  uno  ad  uno,  allorché 
solo  con  lui  rimase,  in  voce  amorevole  :  Se  meglio  tu 
avessi  saputo  ciò  che  costar  ti  dovevano  le  tue  follie, 
io  ben  credo  che  più  saggiamente  pur  ti  saresti  con- 
dotto. Or  tu  r  hai  veduto  cogli  occhi  propri ,  e  da  te 

^)  Traviamenti  —  SSericrungen.  —  ^)  Non  esserne  mestieri 
—  baf  (S  ùberfìùfflg  h?àrf.  —  3)  Citati  —  ju  fìc^  flcrufcn.  — 
*)  Detrarre  —  ot'jie^en. 

Soave j  Novelle.  8 


114  NOVELLA  XX. 

resta  il  pigliarne  esempio.  Il  contante ,  che  ancor  miri 
su  quella  tavola ,  tutto  insieme  col  resto  rapir  ti  do- 
vevano le  male  genti,  alle  quali  ti  sei  fidato,  che  a  tanto 
ascendeva  l' intera  somma  onde  fatto  ti  eri  lor  debitore. 
Io  ho  saputo  salvartelo  ;  e  alla  mia  morte  ti  sarà  dato» 
Ma  questo  è  il  solo  dono  che  per  me  devi  aspettarti, 
ove  maggiori  non  sappia  tu  meritarne  con  un  novello 
tenor  di  vita.  Se  ciò  non  veggo,  quello  che  le  mie  cure 
mi  han  procacciato,  anziché  esser  sciupato  *)  indegna- 
mente da  un  dissipatore  ^) ,  verrà  assai  meglio  da  me 
impiegato  a  prò  di  altri,  che  meglio  sappiano  meri- 
tarlo e  farne  un  uso  più  saggio.  Io  voglio  frattanto  da 
un  esperimento  conoscere  quello  che  posso  da  te  pro- 
mettermi. Per  (lue  anni  io  vo'  che  la  cura  di  una  por- 
zione dei  miei  beni  a  te  venga  affidata.  Il  modo  con 
cui  saprai  regolar  quelli,  e  te  stesso,  mi  servirà  di  norma 
per  l'avvenire. 

La  vista  della  quantità  enorme  d'argento,  che  egli 
conobbe  d' aver  profuso,  e  che  sì  grande  mai  non  aveva 
immaginato,  ignaro ,  come  sovente  assai  costi  nel  fatto 
ciò  che  ben  presto  è  pronunziato  con  le  parole,  riempì 
il  giovane  «conte  di  uno  stordimento  sì  grande,  che  stu- 
pido ei  ne  rimase.  Più  ancor  l' atterrì  la  minaccia  del 
padre ,  che  troppo  bene  ei  però,'  conosceva  quanto  si 
fosse  giusta  e  ragionevole. 

Contuttociò  in  pochi  giorni  dileguato  forse  sareb- 
besi  lo  stupore  e  lo  spavento,  e  a  poco  a  poco,  siccome 
avvenne  già  di  molt'allri,  ritornato  ei  sarebbe  al  pri- 
miero costume,  se,  lasciato  nuovamente  all'antica  scio- 
peratezza, egli  avesse  dovuto  pur  di  bel  nuovo  con  le 
medesime  pratiche  e  cogli  stessi  compagni,  o  lor  so- 
miglianti, cercarsi  un  passatempo.  Ma  la  novella  occu- 
pazione, in  cui  fu  posto,  divenne  la  sua  salute. 

*)  Sciupato  —  »erfd^rt5eRbet.  —  2)  Dissipatore  —  33ergeuber. 


L'EDUCAZIONE.  115 

Applicato  seriamente  a' domestici  affari,  ei  si  di- 
stolse dal  circolo  degli  oziosi  e  dalle  lor  tresche  *) ,  e 
ben  fu  lieto  di  trovar  modo  onde  passare  più  utilmente 
i  suoi  giorni,  e  non  meno  piacevolmente.  Al  termine 
dei  due  anni  suo  padre  ne  fu  sì  pago ,  che  1"  ammini- 
'  strazione  a  lui  rimise  ancor  degli  altri  suoi  beni ,  sol 
riserbandosi  d' indirizzarlo  ed  assisterlo,  ove  occorresse 
co'  suoi  consigli.  Una  saggia  e  onestissima  dama ,  a  cui 
si  strinse  in  matrimonio,  finì  di  coinpiere  in  lui  la  bra- 
mata riforma  del  viver  suo,  e  a  farlo  in  appresso  lo 
specchio  de'  cavalieri  più  saggi  e  più  costumati. 

Alla  morte  del  padre,  che  vivamente  compianse, 
rimasto  erede  di  tutto,  ei  trovossi  un  dei  più  ricchi 
signori.  Ma  ricordevole  di  ciò  che  era  a  lui  avvenuto, 
pensò  a  impiegar  soprattutto  le  sue  ricchezze  a  bene 
allevare  il  figlio  che  gli  era  nato,  convinto  in  sé  piena- 
mente che  quando  pure  la  maggior  parte  avesse  in  ciò 
a  consumarne,  abbastanza  dovizioso  verrebbe  sempre  a 
lasciarlo,  quando  il  lasciasse  ben  educato. 

Appena  cominciò  questi  a   poter  reggersi,    ed  a 

mostrare  i  primi  lumi  della  ragione,  di  man  togliendolo 

alle  fantesche  '),  che  empir  il  sogliono  di  pregiudizi  e 

.     d'errori,  e  il  seme  infondervi,  o  alimentarvi  de' primi 

*     vizi ,   volle  egli  che  seco   fosse   mai    sempre ,   o  con 

la  madre;  e  l'uno  e  l'altro  con  la  dolcezza  continua  e 

con  la  ragione  temperando  il  raro,  ma  inesorabil  rigore, 

che  le  occorrenze  talor  richiedevano,  il  seppe  rendere 

sì  docile,  e  al  tempo  medesimo  sì  gioviale,  si  aperto  e 

sì  vivace,  che  il  lor  trastullo  ei  divenne  e  il  lor  piacere, 

come  il  piacere  e  1'  ammirazione  d' ognuno  che  lo  vedeva. 

Giunto  che  fu  all'  età  d' anni  sette  ,  ei  cominciò  a 

pensare  come  fornirlo  di  ottimo  precettore ,  che  negli 

studi  non  meno  che  nei  doveri  ad  uomo  onesto,  a  cilta- 

^)  Tresche  —  ®cto9e.  —  *)  Fantesche  —  S)icnfìmàb(i&fn. 

8* 


]  tft  N0VEIX\   XX, 

dino,  a  cavaliere  convenevoli  l istruisse.  Ricerca  ei  ne 
fece  per  varie  parti;  ma  que' che  atti  sarebbono  stati  por 
saviezza  e  per  dottrina  a  ben  allevarlo,  mal  si  sapean 
ridurre  a  sacrificare  la  vita  loro  con  un  fanciullo,  e 
quei  che  presti  si  oflTerivano  a  tal  impiego,  ei  non  tro- 
vava ben  atti  a  sostenerlo.  Molto  pensiero  gli  dava  pure 
il  vedere  che  più  cresceva  in  età ,  e  meno  era  possibile 
di  tenerlo  ognor  lontano  dalle  fantesche  e  da'  servidori, 
che  spesso  o  coi  mali  esempi,  o  coi  discorsi  inconside- 
rati, 0  con  le  vili  adulazioni,  o  con  le  insinuazioni  per- 
verse guastano  in  un  sol  punto  il  frutto  di  molti  mesi 
o  di  anni!  interi.  In  questa  perplessità  corsegli  allamente 
il  collegio  dov'egli  era  stato  allevato;  ma  il  poco  utile, 
che  ei  ne  avea  ritratto  ,  da  quello  interamente  1"  allon- 
tanava. 

Pur  ripensandovi  attentamente,  ei  si  sovvenne  che 
l'indocilità  *),  la  dissipatezza  ^),  l'avversione  agli  sludi 
e  i  primi  germi  del  mal  costume  ei  non  aveva  colà  sen- 
tito, se  non  allor  quando,  già  adulto ,  egli  aveva  inco- 
minciato a  scuotere  il  giogo  della  disciplina,  e  che  il 
rigor  delle  regole  più  non  era  ascoltato:  ma  che  ne' 
primi  anni,  quando  la  tenera  età  costringevalo  a  dover 
vivere  ubbidiente  sotto  l'impero  e  la  cura  assidua  di  chi 
era  preposto  a  governarlo,  serbata  in  lui  erasi  l'inno- 
cenza: e  che  la  pietà,  la  docilità  d'amore  allo  studio 
a  questa  andavano  pur  congiunti.  Vìi  vantaggio  egli 
vide  ancora  d'  averne  tratto  in  quegli  anni ,  che  il  con- 
versare co' suoi  eguali,  e  ognor  sotto  agli  occhi  di  chi 
vegliava  sopra  di  loro ,  e  liberato  1'  avea  da  più  pre- 
giudizi d' orgoglio  e  di  presunzione  che  avea  seco  por- 
tato dalla  casa  paterna,  e  datogli  luogo  ad  osservare 
per  tempo  e  vie  meglio  conoscere  i  vari  caratteri  delle 
persone ,  e  fornitagli  V  occasione  a  farsi  di  molti  amici 

^)  Indocilità  —  Ungete^rigfeìt.  —  ^)  Dissipatezza  —  Stu^s 
gelaffen^eit. 


L'EDCCAZIONE.  119 

in  varie  parti,  la  corrispondenza  de'  quali  tuttor  com- 
piacevasi  di  mantenere,  e  offertogli  un  libero  sfogo  e 
innocente  a' puerili  trastulli,  che  tanto  alla  fisica  co- 
stituzione contribuiscono,  e  che,  soppressi  forzata- 
mente in  una  privata  educazione  da  chi  d'un  fanciulla 
vuol  far  un  uomo  a  dieci  anni,  scoppiano  poi  disaccon- 
ciamente più  tardi,  e  ne  fanno  un  fanciullo  a  venti.  Ciò 
ben  ponderato  *),  egli  avvisò  che  in  que' primi  anni 
migliore  allevamento  suo  figlio  potesse  avere  in  un 
collegio  che  altrove,  e  vel  pose. 

Tosto  che  questi  incominciò  a  toccare  i  quattor- 
dici, e  che  uscito  già  il  vide  di  que'principj  pedan- 
teschi, che  tanto  noiano  un  uomo  di  senno  che  am- 
maestrar ne  debba  i  fanciulli,  toltolo  di  collegio,  si 
die  a  cercare  un  uom  probo ,  prudente ,  di  colte  ma- 
niere e  di  profonda  dottrina,  che  nelle  lettere,  nella 
filosofia  e  nel  diritto  lo  istruisse,  e  seco  usando  più  da 
compagno  e  da  amico,  che  da  pedante,  nel  viver  onesto 
^  civile  al  tempo  medesimo  lo  ammaestrasse,  e  dagli 
esempi  altrui  e  dalle  attente  osservazioni  su  gli  atti  loro 
e  su  i  brodetti  cogliesse  opportunamente  le  occasioni 
per  informarlo  di  ciò  che  fare  o  dir  conviene,  e  de' 
modi  con  cui  è  bene  di  contenersi;  e  tutta  insomma 
quella  cura  e  quel  pensiero  ne  prendesse  che  ad  esperto 
e  savio  educatore  s'appartiene.  Né  col  riguardevole 
stipendio  e  con  le  onorevoli  condizioni,  che  gli  prof- 
ferse,  gli  fu  allora  difficile  di  ritrovarlo. 

Intanto  di  abili  maestri  pur  lo  forni ,  che  nelle 
lingue  e  nell'arti  cavalleresche ,  in  giorni  e  in  ore  op- 
portunamente divise ,  lo  istruissero ,  sicché  uno  studia 
all'altro  non  arrecasse  confusione,  e  il  variar  d'appli- 
cazione e  d'  (  sercizi  di  sollevamento  gli  fosse  in  vece 
d'essere  di  oppressione  e  di  peso.  Nella  musica  ancora 

*)  Ponderato  —  ertoogen. 


118  NOVELLA  XX. 

e  nel  disegno  volle  eh'  ei  fosse  ammaestrato ,  perchè 
seco  stesso  un  divertimento  avesse  sempre  e  una  dolce 
occupazione  nell'  ozio  e  nell'  ore  noiose. 

A  vent'  anni  pur  con  lo  stesso  amico  e  governa- 
tore, fornito  di  tutte  quelle  raccomandazioni  che  con- 
venivansi,  ei  lo  spedì  a  far  il  giro  dell'Italia  e  dell' 
Europa,  onde  conoscere  sotto  alla  scorta  *)  di  lui  e  la 
varia  posizione  de'  luoghi ,  e  i  prodotti  vari  della  na- 
tura, e  i  più  pregevoli  monumenti  dell'  arti,  e  i  letterali 
e  gli  artisti  d' ogni  paese  più  rinomati,  e  le  costituzioni, 
e  le  leggi,  e  gli  usi,  e  i  costumi  delle  varie  nazioni. 

Due  anni  egli  stette  assente,  dopo  de' quali,  pieno 
d'utili  cognizioni  alla  patria  si  rese  e  ai  genitori,  che  pre- 
murosi non  meno  di  vedere  in  lui  perpetuata  la  loro 
stirpe,  che  di  prevenire  un  pericoloso  dissipamento, 
il  loro  desiderio  gli  mostrarono  che  con  la  scelta  di  una 
sposa  degna  di  lui,  e  la  propria  felicità  e  la  loro  com- 
pir volesse. 

Celebrate  con  lieta  festa  le  nozze ,  il  padre,  pre- 
solo in  disparte  :  Or  tu ,  gli  disse ,  ben  presto ,  se  il 
ciel  seconda  i  miei  voti,  padre  sarai  di  una  nuova  fa- 
miglia: e  i  beni  che  io  posseggo,  forse  avverrà  franon 
molto  eh'  io  debba  a  te  rimettere,  perchè  tu  ad  essa  poi 
li  tramandi.  Egli  è  giusto  pertanto  che  tu  conosca  in- 
nanzi tratto  quello  che  debbe  esser  tuo ,  e  che  impari 
per  tempo  a  governarlo.  Vedi  qual  parte  de'  domestici 
affari  ami  che  a  te  s'affidi,  o  se  più  ami  nel  reggimento 
di  tutti  divider  meco  le  cure.^  —  Io  ho  ferma  speranza, 
rispose  il  figlio,  che  i  vostri  beni  per  lungo  tempo  da 
niun  altro  avran  mestieri  di  esser  retti  che  da  voi 
stesso  ;  pur  sotto  agli  ordini  vostri  e  alla  vostra  guida 
io  farò  lutto  ciò  che  a  voi  piaccia,  e  eh'  esser  vi  possa 
d' alleviamento  e  di  conforto. 

*)  Scorta  —  Seitung. 


NOVELLA  XXl.  LA   SPOSA  AMOREVOLE.  119 

Entrato  dunque  con  ess(f  a  parte  di  tutti  gli  affari  ; 
e  tra  le  cure  domestiche  e  gli  studi  suoi,  e  gli  onesti 
trattenimenti  le  ore  sue  compartendo ,  il  savio  giovine 
visse  contento  in  sé  stesso ,  e  amato  sempre  e  ammi- 
rato da  tutti  ;  e  il  conte  d'  Orengo  ,  prevenendo  per 
questo  modo  nel  figlio  suo  ciò  che  suo  padre  opportu- 
namente, quantunque  tardi,  aveva  in  lui  riparato ,  ebbe 
il  piacere  di  godere  in  sé  stesso,  e  di  lasciare  nella  sua 
famiglia  quella  tranquillità  e  felicità  che  tanto  è  cercata, 
e  che  è  sì  rara  ad  incontrarsi  fra  gli  uomini. 


NOVELLA  XXI. 
liA  SPOSA  AlfMOKEVOLK. 

J^eir  inverno  pur  or  trascorso  (*),  che  per  la  copia 
delle  nevi  e  pe'geli  ostinati  si  rigido  ')  si  fé' sentire 
ancor  fra  noi,  e  che  nei  climi  men  temperati  della  Ger- 
mania e  della  Francia  fu  orridissimo  fino  ad  agghiac- 
ciarne i  più  vasti  e  più  rapidi  fiu^i,  e  a  farne  morir  le 
genti,  avvenne  in  Metz,  città  della  Lorena,  che  in  una 
delle  più  rigide  notti,  in  cui  spirava  un  crudissimo  vento 
di  tramontana'),  fu  destinato  per  guardia  ad  un  luogo, 
che  più  era  esposto  al  freddo  soffio ,  un  soldato  ,  il 
quale  già  da  alcun  giorno  mal  fermo  in  salute  correa 
gran  rischio  di  esserne  assai  peggio  ridotto. 

Avea  questi  una  giovane  a  cui  promesso  era  sposo, 
e  che  amavalo  teneramente,  la  quale,  come  intese  do- 
ver lui  essere  quella  notte  esposto  a  si  rigido  cielo,  in- 
cominciò fortemente  a  turbarsi,  troppo  temendo  non 
potesse  egli  reggere  a  stagione  si  cruda  nello  stato  ia 
cui  si  trovava  sì  cagionevole.  Agitata  da  questo  pensiero, 

*)  Rigido  —  rau^,  —  2)  Vento  di  tramontana  — Qlotbtoìnb 
(*)  ÌNcl  1784. 


120  NOVELLA    XXL 

non  seppe  ella'non  che  chMder  occhio,  ma  neppur  ri- 
solver a  coricarsi;  e  l'angoscia,  crebbe  vie  più  quando» 
tempo  le  parve  che,  montala  la  sguardia ,  si  stesse  egli 
già  esposto  al  rigore  del  freddo,  da  cui  nel  suo  animo 
già  tutto  intirizzito  *)  sei  figurava. 

Durar  non  sapendo  in  siffatta  inquietudine,  nel 
più  buio  *)  della  notte,  malgrado  i  ghiacci  e  le  nevi 
e  il  forte  vento,  ella  esce  di  casa,  che  per  ventura  dal 
luogo  ove  quegli  era  posto  in  sentinella  non  era  guari  ') 
lontana,  e  là  soletta  si  porta  coraggiosamente.  Ella 
trova  in  fatti  l' infelice  soldato,  che,  al  rigore  del  freddo 
omai  più  reggere  non  poteva.  Cominciò  adunque  a 
pregarlo  e  a  scongiurarlo  *)  che  nella  sua  casa,  ove  un 
buon  fuoco  ella  aveva  apprestato,  ritirar  si  volesse  per 
riscaldarsi  ;  ma  il  soldato,  che  ben  sapeva  che  a  troppo 
gran  fallo  ciò  gli  verrebbe  imputato,  ringraziandola, 
si  tenne  fermo  nel  ricusarlo.  —  Almeno  qualche  mo- 
inento,  disse  ella,  tanto  che  sciolgasi  il  gelo,  da  cui 
vi  veggo  compreso.  —  A  cui  il  soldato  rispose  che 
ninno  potuto  avrebbe  ^  salvarlo ,  che  condannato  non 
fosse  immantinente  alla  morte,  ove  questo  fosse  venuto 
a  risapersi.  >—  Ma  voi  qui  stando,  replicò  ella  viva- 
mente ,  già  ne  morrete  senza  alcun  fallo ,  e  questa 
morte,  che  è  certa,  prima  di  tutto  dovete  ora  evitare. 
Che  il  fatto  giunga  ad  orrecchio  altrui,  né  è  certo,  né 
a  quest'  ora  è  verisimile  ;  e  il  cielo,  che  è  pietoso,  non 
vorrà  esservi  di  tanto  avverso.  —  Comunque  ignoto 
restar  dovesse ,  disse  il  soldato  ,  vorrete  voi  che  il 
posto  affidatomi  io  osi  abbandonare  senza  custodia  cosi 
vilmente?  Ne  il  mio  dovere,  né  l'onor  mio  può  com- 
portarlo. —  Ancorché  voi  partiate,  rispose  ella  con 
fermo  animo,  io  non  ho  già  pensiero  che  il  luogo  si 

*)  Intirizzito  —  crftarrt ,  erfroren.  —  *)  Buio  —  «^injiernifi. 
■ —  ^)  Non  era  guari  lontana  —  gar  nic^t  ireit  entlegftì  War.  — 
*3  Scongiurarlo  —  il^n  kfc^njcren. 


LA    SPOSA   AMOREVOLE.  Ì31 

resti  abbandonato;  per  brevi  istanti  io  avrò  bastante 
coraggio  onde  supplire  per  voi.  Su  dunque ,  non  più. 
E  tanto  qui  aggiunse,  e  tanto  rinforzò  con  le  lagrime 
le  preghiere,  che  il  soldato,  vinto  da  quelle ,  e  spinto 
per  una  parte  dal  bisogno,  giacché  ben  vedeva  di  non 
poter  più  resistere  lungamente ,  nello  slato  in  cui  era, 
e  confortato  per  1'  altra  dalla  speranza  che  dopo  pochi 
momenti  al  suo  luogo  restituendosi,  il  fatto  si  rima- 
nesse celato,  alla  donna  acconsentendo,  e  date  a  lei  le 
armi,  e  con  esse  il  berrettone  M  e  il  cappotto  ^) ,  e 
fidatole  il  segnale   '),  se  ne  parti. 

Il  piacere  d' aver  salvato  lo  sposo  faceva  si  che  la 
tenera  giovane,  sebbene  l'acutezza  del  freddo  già  fosse 
quasi  intollerabile,  appena  il  rigore  ne  risentisse.  Quand' 
ecco ,  non  molto  dopo ,  arrivare  improvvisamente  la 
ronda  *).  Atterrita  dall'  impensato  accidente  in  luogo  di 
dare  il  noto  segno,  la  sopraffatta  giovane  sentissi  a  un 
tratto  mancar  la  voce.  La  ronda  che  nulla  ode ,  addor- 
mentato credendo  o  fuggito  il  soldato,  v'accorre  tosto, 
e  trova  con  maraviglia  in  luogo  di  lui,  e  sotto  alle  sue 
spoglie,  una'  giovane  donna  ;  che,  spaventata  e  confusa, 
non  seppe  trovar  parole  onde  dar  conto  come  là  fosse. 

Condotta  al  corpo  di  guardia,  e  ripreso  cuore, 
palesò  ella  piangendo,  e  pietà  implorando  al  suo  sposo, 
ciò  che  era  avvenuto.  Fu  tosto  spedita  alla  casa  di  lei, 
e  là  trovossi  il  soldato,  ma  si  intirizzito,  che  poco  spe- 
ravasi  di  riaverlo;  incominciando  tuttavia  a  poco  a 
poco  a  riscaldarlo ,  e  sì  lungamente  continuando,  e  a 
grado  a  grado  ')  accrescendogli  il  calore,  si  giunse 
alla  fine  a  ravvivarlo. 

Ma  per  essere  riserbato  a  una  morte  più  dura, 
videsi  r  infelice  tornato  in  vita.  Tenutosi  il  dì  appresso 

^)  Berrettone  —  grope  SWù^e.  —  ^)  cappotto  —  Ucbevrocf. 
—  ■)  Fidatole  il  segnale  —  bic  «ofung  if)V  an»€rtraut.  — 
*)  Ronda  —  bif  fRmU.  —  *)  A  grado,  a  grado  —  nad?  unb  mà^. 


133  JSOVELLAXXI. 

consiglio  di  guerra ,  fu  egli ,  ciò  che  aveva  ben  preve- 
duto ,  dal  rigor  delle  leggi  condannato  a  dover  essere 
appiccato  ^).  Chi  dir  potrebbe  qual  fosse  V  angoscia 
della  misera  giovane 5  che,  oltre  a  dover  perdere  per 
si  fatto  modo  quello  che  amava  sì  vivamente,  aveapure 
il  rimorso  di  averlo  tratto  ella  medesima  a  fine  sì  lut- 
tuoso ?  11  dolore  però,  in  vece  di  abbatterla,  maggior 
coraggio  le  aggiunse  e  maggior  vigore.  Sparsa  le 
chiome  ^)  e  tutta  in  lagrime,  ella  corse  tosto  dovunque 
potesse  sperare  assistenza  e  soccorso.  Il  caso  nuovo  e 
inaudito  già  troppo  per  sé  medesimo  in  ogni  cuore  de- 
ntava compassione  per  amendue,  e  ammirazione  verso 
alla  tenera  giovane ,  che  dato  avea  prove  di  un  amore 
isì  vivo  e  sì  coraggioso.  Ogni  ordine  di  persone ,  e  le 
più  raguardevoli  specialmente ,  non  furon  tarde  a  inter- 
porre i  loro  uffici  perchè ,  avuto  rispetto  alle  straordi- 
narie circostanze ,  il  rigor  delle  leggi  si  temperasse.  Le 
donne ,  più  di  tutt'  altri ,  qual  nuovo  onore  del  loro 
sesso  la  virtuosa  giovane  considerando,  tanto  usar  sep- 
pero di  maneggi  e  d'istanze  e  di  preghiere,  che  al  reo 
la  grazia  fu  conceduta  ;  e  la  donzella  non  solo  ebbe  il 
contento  di  farlo  salvo  ,  ma  poco  dopo  a  lui  con- 
giunta con  ricca  dote  (per  quanto  al  suo  stato  si 
conveniva),  a  cui  tutti  si  fecer  premura  di  contri- 
buir qualche  parte ,  coronati  pur  vide  i  suoi  voti 
compiutamente. 


*)  Appiccato  —  gel^enft.  — ^)  Sparsa  le  chiome  —  mit  auf« 
gclóflen  «i^aarcn. 


183 


NOVELLA  XXn. 
li»  A  V  I  1>  I  T  À  1). 

Lj  avidità  può  guidare  talvolta  anclie  l' anime  giova- 
nili agli  estremi  eccessi.  Un  esempio  n'abbiam  noi  avuto 
recentemente  non  molto  lungi  di  qui,  che  deve  istruire 
ciascuno  a  saperne  sollecitamente  frenare  i  moti  ^)  infm 
da'  primi  principj. 

Una  dama  ,  rimasta  essendo  vedova  e  sola ,  nojata 
del  tumulto  e  delle  frivolezze  del  mondo,  pensò  a 
chiudere  tranquillamente  in  un  ritiro  il  restante  de'  suoi 
giorni.  Entrata  in  un  monastero ,  godea  quivi  di  divider 
le  ore ,  parte  agli  usati  esercizi  di  pietà  e  parte  al  la- 
voro ,  alcune  pur  riserbandone  alla  letlura  di  utili  libri, 
e  il  resto  del  tempo  occupando  nell' intertenersi  con  le 
fanciulle  che  quivi  erano  per  educazione,  con  l'opera 
sua  assistendo  e  co"  suoi  consigli  le  religiose  che  lor  pre- 
sedevano. 

Una  giovane  era  fra  l'altre,  che  per  prontezza  d'in- 
gegno su  tutte  si  distingueva,  e  che'  non  meno  prege- 
vole pur  appariva  per  docilità  d'indole  e  per  candor') 
di  coslumi.  A  questa  ella  pose  affetto  grandissimo;  e 
parendole  che  essa  pure  corrispondesse  del  pari,  seco 
stessa  deliberò  di  averla  in  luogo  di  figlia.  Con  essa 
adunque  ella  godeva  di  starsi  più  spesso  ;  e  nell  istruirla 
di  tutto  ciò  che  a  savia  ed  onesta  giovane  si  conviene, 
quella  stessa  cura  prendeva  che  fatto  avrebbe  una  madre. 
Né  di  ciò  pur  contenta,  ella  pensò  a  stender  più  oltre 
i  suoi  beneficj.;  e  come  ninno  aveva  che  a  lei  stretta- 
mente congiunto  fosse  di  sangue,  e  sapea  che  pocofor- 

*)  Avidità  —  ©icri^feit.  —  ^)  I  moti  —  2(ntrif6.      3)  caudorc 


184  NOVELLA   X\n. 

niti  de'  beni  della  fortuna  i  parenti  della  donzella  di 
poco  potevano  provvederla ,  determinò  di  supplire  co' 
propri ,  e  di  tutte  le  sue  sostanze  lasciarla  erede. 

Posta  ad  effetto  la  sua  deliberazione ,  e  già  assi- 
curatale per  testamento  V  eredità ,  pensò  un  giorno  di 
manifestarle  quanto  aveva  fatto  a  prò  di  lei,  per  vie 
più  animarla  a  secondar  le  sue  cure  e  a  meritarsi,  l'af- 
fetto che  a  lei  portava.  Per  allettarla  a  ciò  maggior- 
mente, una  casseltina  Ji  gioie,  che  ella  tenea  rinchiuse, 
isi  fé' a  mostrarle,  e:  Queste,  disse,  con  tutto  il  resto 
eh'  io  posseggo ,  già  ho  fermo  nel  mio  testamento  che 
voi  abbiate,  se  tale  pur  sarà  sempre,  siccome  io  spero, 
la  saggia  vostra  condotta  0,  eh'  io  non  abbia  mai  a  pen- 
tirmi di  ciò  che  ho  stabilito. 

Ma  assai  contrario  effetto  al  suo  pensiero  ebbe 
questa  imprudente  manifestazione.  L'avidità  delle  pompe 
e  de'  vaghi  abbigliamenti  ^)  ,  sì  naturali  in  cuor  di  fem- 
mina, che  nel  cuor  della  giovane  era  stala  fino  a  quel- 
l'ora sopita^),  a  sì  larghe  promesse  incominciò  a  risve- 
gliarsi; l'abbagliante  splendore*)  di  quelle  gioie  sempre 
ella  aveva  negli  occhi ,  e  mille  anni  pareale  di  poter 
adornarsene  :  il  ricco  stato  che  1'  attendeva,  e  la  libertà 
e  i  piaceri  che  questo  avrebbele  procacciato,  e  che  ella 
già  preveniva  col  desiderio,  vie  più  acerbo  e  penoso 
rendeale  il  chiuso  luogo  e  la  vita  frugale  e  sommessa 
all'  altrui  volere ,  e  he  era  quivi  astretta  a  condurre.  Di- 
venne a  poco  a  poco  agitata  nell'animo,  inquieta,  im- 
paziente, e  non  sapendo  alle  sue  brame,  già  troppa 
vive  e  impe,tuose,  più  tener  freno®),  e  temendo,  dal- 
l'altro canto,  che  il  cangiamento  del  suo  spirito  non  si 
venisse  a  scoprire   e  non  le  togliesse  que'  beni  che  sì 

*)  Condotta  —  Wuffùr;run9.  --  ^)  Vaghi  ab])igliameiili — 
teigcnbir  ©c^murf. — ^^  ;^'opjt^^._jìngj|-^jj^jjj  — <tj  Abbagliante 
splendore.  — Henbenber  C*)lang.  —  ^)  Tener  freno  — Bfgòfjtnen. 


l'avidità.  It5 

l  infiammavaRO,  accecata  dalla  violenta  passione,  pensò 
col  più  nero  misfatto  M  ad  assicurarsene  il  possesso. 

Frequentemente  la  buona  dama ,  come  seco  l'avea 
il  più  del  tempo  fra  la  giornata,  cosi  compagna  pur  la 
voleva  nelle  sue  camere  al  pranzo  ed  alla  cena.  Una 
sera  la  trista  giovane ,  avuto ,  non  so  per  qual  mezzo, 
un  veleno ,  segi*etamente  a'  cibi  lo  mescolò ,  e  a  lei, 
che  nulla  di  somigliante  avrebbe  mai  sospettato ,  lo  fé' 
inghiottire  ').  Sperava  ella  che  avesser  le  tenebre  della 
notte  a  coprire  il  suo  delitto  ;  ma  non  andò  guari  che 
la  tradita  dama  incominciò  a  sentirsi  straziare  da  dolori 
acutissimi  :  ella  usci  in  alte  grida  ;  queste  s' udirono  : 
la  trista  nuova  si  sparse  tosto  pel  monastero  ;  tutto  fu 
in  turbamento  e  in  iscompiglio;  e  fatto  immantinente 
chiamar  il  medico,  ei  gninse  per  buona  ventura  a  tempo 
di  raA-visare  il  male  e  di  ripararlo. 

L'orrore,  allor  che  seppesi  del  veleno,  fu  uni~ 
versale  ;  e  la  giovane  infelice,  lacerata  da  suoi  rimorsi^ 
col  suo  turbamento  medesimo  non  tardò  molto  a  sco- 
prirsi rea.  Pena  ninna  e  niun  supplizio  bastante  non  sì 
credeva  punirne  l' eccesso  atroce.  Ma  la  virtuosa  dama, 
volendo  pur  salvarla,  pregò  che  in  arbitrio  di  lei  la  col- 
pevole fosse  rimessa:  e  fattala  a  sé  chiamare,  con  voce 
tenera  ed  amorosa  cosi  le  disse  :  Io  veggo  ciò  che  v'ha 
tratta  si  di  repente  ad  essere  cosi  dissimile  da  ciò  che 
foste  dapprima.  Fu  error  mio  il  non  prevedere  ciò  che 
può  sovra  d' un  animo  giovenile  il  desiderio  di  cosa  che 
fortemente  l'alletti,  e  che  siagli  rilardata.  Que' gioielli, 
da  quali  foste  si  presa,  io  doveva  o  per  sempre  occul- 
tarvi ,  0  rinunziarveli  al  tempo  stesso  che  vaghezza  ^ 
ini  venne  di  porveli  innanzi.  Ma  ciò  che  allora  non  av- 
vertii posso  or  riparare,  che  ancor  n'  è  tempo.  Io  non 
voglio  che  abbiate  a  desiderare  più  a  lungo  ciò  che  a 

M  Misfatto    —  aWiffet^at.  —2)  Ingtiioltire  ec.  —  »etf(^h'n» 
gen.— 3)  Vaghezza —  Su jì. 


126  NOVELLA  XXIII. 

me  più  non  giova ,  e  che  veggo  che  a  voi  si  piace.  Io 
fin  d'ora  ve  gli  abbandono  adunque,  e  voi  quell'uso 
potrete  farne  che  più  v'  aggrada.  Al  più  pronto  e  più 
onorevole  vostro  collocamento  io  porrò  anche  ogni  pen- 
siero 5  e  da  me  non  sarà  certamente  che  voi  non  siate 
la  più  felice  donna  che  far  vi  possa.  Or  sol  vi  prego  a 
non  volermi  più  invidiare  que'  pochi  giorni  che  tanto 
mi  saran  cari,  quanto  potrò  impiegarli  per  vostro 
bene. 

'Uno  scoppio  di  dirottissimo  pianto  fu  la  sola  ri- 
sposta che  la  giovane  annichilita^)  potè  dare  a  quest'atto 
di  grandezza  d'animo  e  di  generosità  senza  pari.  Ma 
quanto  piacque  a  Dio ,  che  certo  non  può  dubitarsi ,  la 
rara  virtù  dell'incomparabile  dama,  altrettanto  volle 
la  sua  giustizia  che  il  delitto  della  mal  consigliata  gio- 
vane non  andasse  impunito.  I  crudeli  rimorsi  che  il  suo 
misfatto  ebbe  tosto  compagni,  il  timore  che  subito  l'as- 
sali di  non  essere  scoperta,  la  confusione  e  l'obbrobrio 
che  senti  all'  animo  allorché  il  vide  palese ,  lo  spavento 
della  pena  terribile  che  ben  sapeva  d'  aver  meritata,  l'op- 
pressero per  si  fatta  maniera,  che  all'orrore,  in  cui 
aveva  sé  medesima ,  più  non  potè  sopravvivere ,  e  una 
febbre  violentissima  se  la  rapì  in  pochi  giorni. 


NOVELLA  XXIIL 
li  A  BKIVKFICKNZii.  IlVCiEO^^OSA-). 

Gorgon  talora  degli  uomini  che  pel  bene  dell'umanità 
sarebbe  a  desiderare  che  fossero  immortali.  Ma  pochi 
sono  per  nostra  disavventura  ;  e  per  maggiore  eziandio 
par  che  la  morte ,  qualor  si  mostrano,  goda  involarceli 

^)  Annichilita  —  i)erni(^tet.  —  ^)  Beneficenza  ingegnosa  — 
finnr:eic^c  SBo^tt^at. 


I 


LA  BENEFICENZA  INGEGNOSO.  1Z7 

prima  degli  altri.  Ebbe  nel  passato  giugno  *)  la  Francia 
a  piangere  innanzi  tempo  la  perdita  di  uno  appunto  di 
questi  uomini  singolari  che  più  meriterebbon  di  vivere 
eternamente.  Monsignore  di  Apchon,  arcivescovo  d'Auch, 
metropoli  della  Guasct)gna5  l'immagine  ci  ridiiamava 
di  quegli  antichi  pastori  che  altro  bene  non  conosce- 
vano fuor  che  il  far  bene  ad  altrui.  Assiduo  nelle  pa- 
storali sue  cure,  ei  non  perdeva  occasione  o  momento 
di  giovare  per  ogni  modo  a  chiunque  gli  si  offerisse. 
Egli  era  il  consolator  degli  afflitti,  il  sostegno  degl'in- 
felici, come  itile  proprie  ei  riguardava  le  indigenze 
d'ognuno,  e  delle  ricchissime  rendite,  che  possedeva, 
mai  per  sè^istesso  non  impiegò  pur  la  decima  parte:  il 
rimanenle  era  altrui  dispensato.  Mille  atti  raccontansi 
del  suo  cuor  generoso:  noi  due  soli  ne  sceglieremo, 
r  uno  de'  quali  dimostra  con  qual  artificio  sapesse  egli 
velare  i  suoi  beneficj,  onde  togliere  anche  ogni  peso  di 
obbligazione  a  chi  era  da  lui  sovvenuto  :  e  l' altro  a 
qual  eroico  coraggio  la  sua  carità  sapesse  animarlo. 

Chi  è  nato  di  onorevole  condizione .  e  per  colpa 
della  fortuna  ridotto  trovasi  a  basso  stato ,  ben  più  de- 
gli altri  è  meritevole  di  compassione ,  siccome  quegli 
che ,  dal  rossor  ritenuto ,  meno  degli  altri  osa  scoprire 
le  sue  indigenze  e  domandarne  il  soccorso.  Nò  basta 
pur  con  essi  l'aver  generoso  animo  nel  sovvenirli;  la 
vera  pietà  vuole  ancora  che  abbiasi  attenzione  di  farlo 
per  tal  maniera,  che  del  beneficio  non  abbian  eglino 
ad  arrossire.  Dacché  l'opinione  degli  uomini  ha  dato  il 
sommo  pregio  alle  ricchezze,  e  fatto  che  a  vile  si  ten- 
gano que'  che  ne  sono  sforniti  ^),  la  povertà,  che  quando 
è  congiunta  con  la  virtù  dovrebbe  avere  i  primi  onori, 
è  diventata  un    obbrobrio;  e  il  disprezzo,  che  da  lei 

*)  Sforniti—  etitMópt. 
*)  Del  1783. 


188  NOVELLA   XXm. 

viene ,  da  quelli  è  più  temuto  che  per  la  nascita  loro 
hanno  altronde  maggior  diritto  ad  essere  rispettati. 
Quindi  è  che  sovente  scelgono  essi  piuttosto  di  languire 
occultamente  nella  miseria,  che  di  cercarne  il  soccorso 
manifestandola;  e  il  sovvenirli  per  modo  che  vengasi 
loro  a  rimproverare  il  bisogno  in  cui  sono ,  è  sovente 
luv  ingiuria  piuttosto  che  un  beneficio.  Convien  soccor- 
rerli con  tal  arte ,  che  non  si  mostri  pur  di  conoscere  o 
di  sospettare  ch'essi  ne  abbian  mestieri  0;  e  un  pre- 
claro esempio  di  ciò  appunto  monsignor  di  Apchon  ha 
saputo  fornirci  infin  dai  primi  momenti  che  alla  sede  ar- 
civescovile di  Auch  egli  fu  destinato. 

Giunto  colà ,  egli  intese  che  due  sorelle  ivi  erano 
di  chiara  e  illustre  famiglia,  le  quali  rimaste  sole  e 
mal  provvedute  di  beni,  per  povertà  eran  costrette  a 
viversi  ritirate  5  ma  che  savie  persone  esse  erano  e  vir- 
tuose, e  con  animo  paziente  e  rassegnato  portavan  la 
loro  disavventura.  Sentì  ©gli  compassion  del  loro  stato, 
■e  ingegnoso  com'  era  nella  sua  beneficenza,  pensò  hen 
tosto  come  poter  ristoramele  destramente  ^).  A  dimo- 
strazione del  molto  pregio  in  cui  le  aveva,  ad  esse  in- 
cominciò egli  a  far  visita  prima  che  a  tutt' altri,  dando 
con  questo  a  conoscere  di  onorarle  e  rispettarle  sopra 
d' ognuno.  Dopo  le  prime  accoglienze  ®),  con  esse  in- 
tertenendosi  in  ragionamenti,  i  quali  per  accorta  e  non 
affettata  maniera  valessero  a  confermarle  del  conto 
clV  egli  faceva  di  loro,  come  per  caso  mostra,  che 
r  occhio  cadessegli  sopra  d' un  quadro  che  là  avevano, 
e  incominciò  fortemente  a  lodarlo,  e  a  dire  eh' ei  dato 
avrebbe  di  buona  voglia  duemila  scudi  ad  esserne  il 
possessore,  e  che  di  niuna  altra  pittura  era  mai  stato 
così  invaghito ,  e  che  se  temuto  non  avesse  che  troppo 

*)  Abbian  mestieri  —  nótlfiQ  f)aUn.  —  ^)  Destramente  — 
auf  eìnc  gefd^icftc  2Dftfe.  —  3)  Accoglienze  —  framblic^c  STuf* 
itof/me. 


LA  BENEFICENZA  INGEGNOSA.  189 

fosse  a  lor  cara ,  avrebbe  osato  pregarle  a  volergliela 
cedere  a  qualunque  prezzo.  Risposer  le  dame  che  troppo 
eran  contente  che  in  casa  loro  egli  avesse  trovato  cosa 
la  quale  fessegli  di  piacimento,  e  che  senza  alcun  prezzo 
troppo  onorate  credevansi  quand'  ei  volesse  accettarla. 
Rendette  loro  il  prelato  le  grazie  più  vive,  come  di 
compiacenza  che  sommamente  il  toccasse;  e  tornato 
appena  al  suo  palazzo,  mandò  incontanente  pel  quadro, 
e  fé'  loro  presentare  i  duemila  scudi;  e  per  togliere 
ogni  sospetto  che  ciò  fosse  un  dono  che  di  far  loro  in- 
tendesse ,  tanti  ringraziamenti  fé'  rinnovare ,  che  cre- 
der anzi  dovessero  lui  riputare  un  dono  grandissimo 
quel  che  da  lor  riceveva. 

Dalla  ingegnosa  generosità  del  piissimo  uomo  fu- 
ron  le  dame  in  tal  modo  soccorse ,  senza  che  avessero 
luogo  di  vergognarsi,  né  quasi  pur  d'avvedersene;  ed 
egli  amò  piuttosto  d'incontrar  presso  altrui  la  taccia 
di  poco  esperto  conoscitore  (che  di  non  molto  prezzo 
era  in  sé  veramente  quella  pittura),  che  di  lasciarle 
senza  sostegno,  o  mancare,  giovando  loro ,  a  quella 
delicatezza  che  al  loro  grado  si  richiedeva.  Ma  un 
tratto  di  virtù  ancor  più  grande  di  quest'  uomo  insigne 
noi  ben  vedremo  nella  seguente  novella. 


NOVELLA  XXIV. 
li'  INCEIVDIO 1). 

Hirasi  una  notte  ad  una  casa  di  poveri  abitanti  appreso 
violentissimo  fuoco  ^).  Da  una  stanza  a  pian  terra, 
ov'era  stato  male  spento  e  mal  ricoperto,  cominciò 
questo  ad  appigliarsi  ad  alcune  vicine  legne,  quindi  al- 

*)  L'incendio — bie  gfcucréSrunft.  — 2)  Appreso  violentis- 
simo fuoco  —  feftr  Fieftigcé  ^i\xtx  auégebroc^cn. 

Soave,  Rotelle.  9 


130  NOVELLA  XXIV. 

r  aride  masserizie  che  eran  d' intorno,  e  giunto  all'uscio 
e  abbruciatolo ,  si  propagò  alla  scala ,  eh'  era  di  legno 
essa  ancora,  e  per  questa  salendo  portò  la  vampa  ^)  su 
fino  al  tetto. 

Gli  abitatori ,  eh'  emno  tutti  nel  primo  sonno ,  de- 
stati dal  fumò,  e  dal  crepitar^)  delle  fiamme,  corsero, 
per  salvarsi ,  alia  scala  ;  e  trovandola  incendiata ,  in- 
cominciarono da  ogni  parte  a  mettere  altissime  strida. 
Atterriti  i  vicini  dallo  schiamazzo ,  si  alzano ,  e  accor- 
rendo si  veggono  innanzi  la  scena  più  spaventevole  che 
fosse  mai  :  il  pian  terreno  già  tutto  a  fuoco ,  che  co- 
municato si  era  alle  contigue  stanze,  e  per  le  soffitte  ') 
già  propagatasi  ai  piani  superiori  :  il  tetto  sormontato 
da  altissima  fiamma  desta  dal  fuoco ,  che  asceso  eravi 
per  la  scala  ,  e  le  finestre  tutte  ripiene  di  gente,  che 
chiusa  tra  due  fuochi ,  e  privo  dell'  unico  scampo,  che 
la  scala  avrt  bbe  potuto  somministrarle  ,  gridava  dispe- 
ratamente, chiedendo  aiuto. 

Non  furon  lenti  a  recare  subitamente  chi  da  una  e 
chi  d'altra  parte  più  scale  a  mano,  che  applicate  alle 
finestre ,  diedero  campo  a  quegli  infelici  d' uscirne  e  di 
salvarsi.  Alcuni  de'  più  coraggiosi  pur  si  salvarono  per 
le  funi*),  que'  che  trovavansi  alle  finestre  più  basse, 
per  esse  d' un  saltò  balzarono  a  terra  ^  tutti  in  fine, 
chi  per  un  modo  e  chi  per  un  altr  )  avventuratamente, 
camparono  ^). 

Sol  rimanevano  due  fanciulli,  che  in  una  piccola, 
stanza  irovavansi  al  più  alto  pijano.  Il  loro  padre  as- 
sente allor  col  padrone  a  cui  serviva,  aveali  per  loro 
disavventura  lasciati  soli.  Non  potendo  essi  per  alcun 
modo  aiutarsi,  col  pianto  e  con  le  strida  chiedevano 
l'altrui  soccorso;    ma  benché  ognuno  de'  circostanti 

1)  Vampa  —  aBtm)?eI,  g^lammc.  —  2  )  Crepitare  —  ^rac^cn.  — 
3)  Soffitta  — Dbcrboben.  —  *)  Fune  — (Seit,  «Stricf.  —  s)  Campa- 
rono —  retlcten  fictl. 


L'INCENDIO.  131 

sentisse  per  compassione  strapparsi  il  ^uore ,  niun  sa- 
peva come  camparli.  Altra  uscita  non  aveva  la  camera 
dove  essi  erano ,  che  sopra  una  loggia  di  legno  *),  che 
tutta  già  era  preda  del  fuoco  ;  né  alla  camera  per  altra 
via  poteasi  penetrare ,  se  non  entrando  per  la  finestra 
di  una  stanza  vicina ,  che  ad  essa  comunicava.  Ma  oltre 
che  questa  era  altissima .  già  le  fiamme,  vi  si  erano  in- 
trodotte, e  manifesto  sembrava  il  pericolo  di  perder 
sé  stesso  a  chi  avesse  voluto  per  questa  via  cercar  la 
loro  salvezza. 

Sopravvenne  in  questo  punto  monsignor  d'Apchon, 
e  al  vedere  in  sì  terribile  sciagura  i  due  miseri  fan- 
ciullini,  si  senti  tutto  commover  l'animo  di  pietà  in- 
sieme e  di  raccapriccio^).  Non  gli  parendo'  tuttavia  sì 
evidente  il  pericolo  di  chi  affrettato  si  fosse  a  liberarli, 
incominciò  a  proporre  ad  alta  voce ,  per  animare  qual- 
cuno all'  impresa ,  il  premio  di  cento  luigi  d'  oro.  Non 
vedendo  niuno  moversi  a  tal  profferta'),  dubitando  non 
si  credesse  proporzionata  al  rischio  la  ricompensa,  ne 
promise  tosto  dugento.  Ma  questo  pure  non  valse ,  che 
troppo  ognuno  s'aveva  cara  la  vita,  né  a  qualunque 
costo  sapea  indursi  con  tanto  pericolo  ad  avventurarla  *). 

Scorgendo  inutile  ogni  promessa ,  il  piissimo  e  va- 
lorosissimo prelato  :  A  Dio  però  non  piaccia,  esclamò, 
che  noi  abbiamo  a  starci  qui  tutti  sì  neghittosi  a  mirare 
quelle  due  vittime  sventurate  perir  colà  tra  le  fiamme. 
Ciò  che  altri  non  osa ,  saprò  osarlo  io  stesso  •  e  fatte 
presto  con  corde  unir  due  scale  ,  che  una  sola  fin  colà 
giugnère  non  poteva,  applicoUe  alla  finestra  della  stanza, 
che  era  contigua,  e  su  ascesovi  animosamente,  per 
essa  in  mezzo  alle  fiamme  sen  corse  al  luogo  dove  essi 
erano .  e  un  di  loro  recandosi   sulle  spalle ,  e  1*  altro 

*)  Loggia  di  legno  —  ^ólgemer  Slltan.  —  ^)  Raccapriccio 
—  (Sntf^^en.  —  ')  Profferta  —  9lnefbicten.  —  *)  Avventurarla  — 
ed  gu  ioageii. 

9* 


133  ,  NOVELLA    XXV. 

sotto  al  braccio,*  giù  per  la  scala  medesima,  fra  Io  stu- 
pore e  le  acclamazioni  del  popolo  attonito  e  intenerito, 
amendue  portossegli  a  salvamento. 

Uomini  così  fatti  perchè  son  eglino  sì  rari  al  mondo! 
e  perchè,  appena  ci  nascono,  soso  essi  al  bene  ed 
all'  esempio  degli  altri  sì  prestamente  involati  *). 


NOVELLA  XXV. 
Ili  iHATRIllOlVIO. 

In  una  piccola  città  della  Romagna  un  uomo  assai  fa- 
coltoso ^)  trovavasi  con  figlia  la  qual  unica,  di  tutto 
doveva  esser  erede.  Toccava  (juesta  l' età  di  anni  se- 
dici; e  come,  oltre  ad  essere  molto  ricca,  era  pur 
bella  della  persona,  e  fornita  di  quelle  grazie  che  a 
savia  e  ben  costumata  giovane  si  convengono,  fu  a 
gara  da  tutti  i  primari  del  paese  ben  presto  ricercata 
in  matrimonio.  Il  padre  s'  avvide  che  la  sperata  eredità 
movea  più  che  tutt'  altro  i  concorrenti  ;  e  ninno  fra 
questi  ei  non  trovava  che  pe'suoi  costumi  e  pel  suo 
carattere  il  contentasse.  Era  uno  d' illustre  famiglia,  e 
decaduto  per  colpa  de'  suoi  maggiori  dall'  antica  opu- 
lenza, che  bramava  con  queste  nozze  di  ritornarvi ,  ma 
dalla  sua  nascita  non  altro  aveva  appreso  che  un  vano 
orgoglio  e  r  abborrimento  ^)  a  qualunque  occupazione, 
quasi  avesse  pur  l' ozio  a  chiamarsi  il  pregio  più  lumi- 
noso d'  un  uom  ben  nato.  Aveva  un  altro  passato  più 
anni  nello  studio  delle  leggi:  ma,  lontano  dagli  occhi 
de'  genitori,  e  corrotto  da  viziosi  compagni,  nella  dissi- 
pazione e  nella  dissolutezza,  avea  fatti  di  maggiori  pro- 
gressi, che  negli  studi  a  cui  si  era  appigliato.  L'uno, 

0  Involati  —  haanU,   cntriffen.  —    2^    Facoltoso  —    »er« 
mógeni».  —  ^)  abborrimento  —  Stbfc^eu. 


IL^  MATRIMONIO.  133 

perduto  nel  giuco,  in  quello  consumava  gran  parte  pur 
delle  notti,  non  che  l' intere  giornate.  V  altro  ,  inva- 
ghilo *)  di  sé  medesimo ,  il  più  del  giorno  impiegava 
neir  acconciarsi  ^)  ;  e  primo  a  tener  dietro  ^)  a  tutte 
le  nuove  mode,  co'  vezzi  affettati  *)  e  con  le  effeminate  ®) 
maniere  alla  conquista  aspirava  ^)  di  tutte  le  vanerelle  '), 
cui  somigliava.  Chi  troppo  dava  sospetto  ®)  di  sé  me- 
desimo pe'  suoi  trasporti  ^)  di  animo  feroce  ed  iracondo  ; 
chi  si  rendeva  fastidioso  *°)  per  una  insopportabile  stu- 
pidità e  melensaggine  ^^).  In  tutti  il  saggio  padre  trovava 
difetti,  che  troppo  male  si  componevano  col  desiderio 
che  egli  aveva  di  procacciare  a  sua  figlia  una  vera  e 
ferma  felicità. 

Presala  adunque  un  giorno  a  maturo  e  serio  ra- 
gionamento: Ben  sai,  le  disse,  mia  figlia,  che  il  sol 
conforto  della  mia  vecchiezza  è  in  te  riposto ,  e  sai  di 
guai  tenero  e  vivo  amore  io  t' ami.  Ma  il  tempo  viene 
avvicinandosi  che  tu  un  compagno  dei  sceglierti,  e 
eh'  io  dovrò  forse  soffrire  di  vederti ,  da  me  staccata, 
entrare  in  tutt"  altra  casa  di  questa,  e  far  parte  di  tutt' 
altra  famiglia.  In  un  affare  da  cui  dee  dipendere  la 
buona  o  ria  condizione  di  tutta  la  tua  vita ,  tolga  il 
cielo  che  io  voglia  imitare  que'  padri  inumani  che  osan 
por  legge  agli  affetti  de'  loro  figli.  La  scelta  dello  sposo 
che  dovrà  essere  a  te  unito  per  sempre,  da  te  mede- 
sima dee  esser  fatta.  Ma  come  ben  vedi  di  quale  im- 
portanza sia  questa  scelta ,  io  questo  solo  domando  in 
ricambio  dell'  amor  che  ti  porto ,  che  tu  consenta  che 
l'esperienza,  in  me  nata  dagli  anni,  supplisca  a  quella 

*)  Invaghito  di  sé  medesimo  —  oon  fìd^   fclèfl  eingcnom; 

nien.  —  ^)  Acconciarsi  —  fii)  f^mùcfen.  —  3)  Tener  dietro 

na4>gc^eit.  —  *)  Vezzi  affettati  —  gtffunjìelte  SieMofungen.  — 
^)  Effeminate  — -  weibift^c.  —  ^)  Aspirava  —  tìrebte  nacj  ic.  — 
')  Vanerella  —  ciUl.  —  ^)  Dava  sospetto  —   ^ex^ai)t  crregte. 

—  9)  Trasporti  —  ^cftigc  ©cmùt^Sbetocgung.   —  *")    Fastidioso 

—  langtpeiltg.  —  **)  Melensaggine  —  J^ói^cl^aftigfcit. 


134  NOVELLA  XXV. 

che  la  troppo  tenera  età  tua  non  può  averti  per  anche 
fornita,  e  che  di  lume  ti  siano  i  miei  consigli.  La  cura 
eh'  io  ho  avuto  di  le  finora,  e  la  lontananza  in  cui  sei 
vissuta  dalle  pratiche  e  da'  rumori  del  mondo  ,  mi  fa 
credere  che  '1  tuo  cuore  non  sia  per  alcuno  ancor  preve- 
nuto. Pur  questo  medesimo  io  amo  da  te  sapere  prima 
di  tutto,  e  tu  dei  confessarlo  senza  riserbo  ;  eh'  io  già 
non  sono  per  contrastare  agli  affetti  tuoi ,  ove  già  per 
alcuno  ti  fosser  nati,  ma  per  dirigerli  solamente. 

Avendo  la  figlia  affermato  che  il  suo  cuore  era 
libero  tuttavia,  e  che  dai  consigli  dì  suo  padre  ella  mai 
non  sarebbesi  dipartita  *),  così  egli  continuò:  Tu  dei 
adunque  sapere  che  molti  sono  i  quali  desiderosi  sa- 
rebbero della  tua  mano  ;  ma  di  quanti  me  1'  hanno  chiesta 
finora  alcun  non  veggo  cui  io  creda  essere  a  te  giove- 
vole l'accordarla.  Gl'insegnamenti  ch'io  t'ho  dato  non 
faranno,  che  tu  aspiri  a  persona  che  sia  di  te  più  no- 
bile e  più  illustre.  Privata  e  semplice  cittadina ,  come 
-tu  sei,  per  le  ricchezze  ch'io  son  disposto  a  lasciarti, 
non  verrai  punto  a  crescere  l'origin  tua;  e  quando  ad 
alcun  cavaliere  tu  fossi  congiunta,  ciò  solo  guadagne- 
resti, che  né  con  le  tue  pari  più  viver  potresti  a  tuo 
agio  ^) ,  perchè  non  vorrebbelo  consentire  il  marito, 
né  con  le  dame,  che  nate  sono  di  te  maggiori,  perchè  o 
ne  saresti  rigettata,  o  sofferta  con  isdegno  e  con  disprezzo. 
L'eguaglianza  cercar  si  vuol  tra  gli  sposi,  o  la  vici- 
nanza almeno,  così  nell'età,  come  nella  condizione, 
onde  sian  felici.  Ma  ciò  non  basta.  I  costumi  è  d' uopo 
esaminar  soprattutto  nella  persona  con  cui  tu  devi  le- 
ganti in  un  vincolo  cosi  solenne ,  e  a  cui  fidare  per 
sempre  la  tua  fortuna  e  te  stessa.  Un  giuocatore ,  un 
libertino.,  un  brutale,  un  avaro,  un  effeminato,  uno 

^)  Dipartita  —  a&gcirìd^en.  —  ^)  A  tuo  agio  —  nati)  bei* 
«ce  iWufe,   ^equemlid^feii. 


IL  MATRIMONIO.  135 

sventato  *)  ,  un  dissipatore  non  potrebbono  farti  pas- 
sare che  giorni  tristi  ed  amari.  Or  di  quanti  io  qui  co- 
no^^co.  che  aspirar  possano  alle  tue  nozze ,  pur  uno  io 
non  veggo  che  d'alcuno  di  tali  vizi  non  sia  macchiato  ^). 
Odi  dunque  un  mio  pensiero.  A  città  assai  più  grande 
di  questa ,  io  credo  che  torni  meglio  ')  di  trasferirci  *). 
Ivi  fra  una  maggior  moltidudine  più  agevole  ti  pwtrà 
esser  la  scelta,  e  il  cielo  più  facilmente  potrà  scoprirti 
quello  che  abbia  a  formar  la  serenità  ^)  e  la  dolcezza 
della  tua  vita.  E  se  il  cielo  volesse  ancora  che  la  tua 
mano  dovesse  esser  premio  alla  virtù  di  qualunque  in- 
giustamente perseguitato  dalla  fortuna,  quanto  ,  o  mia 
figlia,  io  mi  terrei  consolato!  Già  tu  curare  non  dei 
che  il  tuo  sposo  sia  molto  o  poco  dovizioso  ^):  i  molti 
beni  che  il  ciel  mi  ha  dato,  e  che  tuoi  debbon  esser  ben 
presto,  assai  bastano  perchè  tu,  come  cittadina ,  possa 
viver  con  essi  e  col  tuo  sposo ,  qualunque  siasi,  agia- 
tamente. 

La  figlia  con  dolce  e  tenera  commozione  :  S' io 
molto  vi  debbo,  o  padre,  per  questa  vita,  che  da  voi 
;engo,  assai  più  vi  debbo  per  l'amor  vostro  e  perla 
cura  onde  voi  sostenuta  avete  finora  l'età  mia  debole 
ed  inesperta.  E  a  chi  meglio  fidar  poss'io  me  stessa 
che  a  voi?  Io  tutta,  o  padre,  alla  vostra  cura  e  all' 
amor  vostro  mi  abbandono.  E  se  al  cielo  piacesse  pure 
che  i  vostri  beni  esser  dovessero  la  ricompensa  di  un' 
oppressa  virtù,  che  altro  per  me  si  potrebbe  desiderare 
se  non  che  quello,  a  cui  ciò  toccasse,  mai  non  avesse 
a  pentirsi  d'aver  me  pure  -acquistato  sopra  di  essi?  Ma 
io  tanto  più  spero  eh'  ei  non  avrebbe  a  pentirsene, 
in  quanto  potendosi  allora  più  facilmente  ottenere  ch'ei 

*)   Uno  sventato  —   ein  Unbcfonncncr.  —  2)  Macchiato  — 

bejlecft.    —    •)    Cile    torni  meglio   —    baf   eé   l'effcr    tuàrc.  — 

*)  Agevole  ~  ltiti)t ,  bcqucm.  —  ^)  Serenità  —  ^eitcrfeit.  — 
^)  Dovizioso  —  tc{(^. 


136  NOVELLA   XXV. 

venga  a  starsi  con  voi  e  a  divenir  vostro  figlio,  io  non 
sarei  mai  disgiunta  dalla  vostra  compagnia  e  da'  vostri 
consigli. 

II  padre,  compreso  *)  da  un  dolce  trasporto  di  viva 
gioia,  abbracciata  la  figlia  e  baciatala  teneramente  :  Sì 
virtuosi,  disse,  e  sì  bei  sentimenti  il  cielo  sempre  ti 
serbi,  o  figlia,  che  la  delizia  or  formi,  e  ognor  forme- 
rai la  felicità  di  tuo  padre  :  e  tutto  lieto ,  apprestata 
ogni  cosa,  si  dispose  con  essa  a  partire  per  Roma.  Là 
giunto,  ei  si  diede  con  ogni  cura  a  ricercare  chi  meglio 
alla  figlia  sua  potesse  scegliersi  per  marito.  Dopo 
lunghe  e  accurate  ricerche:  Io  credo  alfine,  le  disse 
un  giorno,  d'aver  trovato  chi  potrà  farti  felice.  Il 
figlio  d'un  uom  di  legge,  assai  ripulato  pel  suo  valore, 
non  meno  che  per  la  sua  integrità  *) ,  savio  giovine 
egli  stesso,  e  che,  nella  paterna  professione  addestran- 
dosi^), col  suo  studio  e  col  suo  ingegno  promette  d'  u- 
guagliarne  la  fama,  amerebbe  di  aver  la  tua  mano. 
Resta  soltanto  che  a  te  piaccia;  ed  io  troverò  modo 
onde  tu  possa  vederlo,  e  parlandogli,  non  men  1'  esterno 
della  persona ,  che  l' interno  dell' animo  esaminare.  Ma 
un  sacrificio  io  debbo  chiederti,  o  figlia,  che  dalla  tua 
virtù  oso  pur  di  promettermi.  Io  già  ti  dissi  che  tuoi 
sarebbero  slati  tutti  i  miei  beni,  né  certo  persona  è  al 
mondo,  a  cui  abbia  pensato  mai  che  meglio  si  potesser 
lasciare.  Ma  un  accidente  occorsomi  quesla  mattina  fa 
ch'io  desideri  che  una  parte  altrui  ne  sia  data.  Essendo 
da  un  banchiere  mio  amico,  io  vidi  un  giovane  di  circa 
vent'  anni,  avvenente  della  ptirsona  e  gentile  nelle  ma- 
niere, che  mi  colpì  dolcemente,  e  eh'  io  chiesi  al  ban- 
chiere se  a  lui  fosse  figlio.  Ei  mi  rispose  che  no,  ma 
ch'era  figlio  di  uno  ch'io  già  conobbi  altre  volte  qui 

*)  Compreso   —  burc^brungen.  —  ^)  Integrità   —  llnbc* 
^à)olUìif)dt.  —  3)  Addestrarsi  —  fi^  fà^ig  mac^en. 


IL   MATRIMONIO.  13» 

in  Roma,  e  che  era  onestissimo  negoziante,  ma  per  vari 
sciagurati  accidenti  perde  tutto  quanto ,  e  mori  fra 
l'angustie  e  fra  'l  dolore.  Egli  ha  lasciata  la  moglie 'con 
questo  figlio,  soggiunse  il  banchiere,  ed  io  1"  ho  tolto 
a  scrittore  nel  mio  banco,  onde  abbia  modo,  con  quello 
che  ne  ritrae  *),  a  sostener  sé  e  la  madre.  Ei  tutto 
infatti  per  essa  impiega,  e  come  né  più  abile,  né  più 
attento,  né  più  costumato  giovine  io  ebbi  mai,  così 
non  ha  molto  ^)  eh'  io  gli  ho  pur  cresciuto  il  suo  ordi- 
nario stipendio  :  ma  i  suoi  costumi  e  la  sua  virtù  meri- 
terebbono  cerlamente  miglior  fortuna.  Io,  mosso  a 
questo  racconto ,  vergognai  di  me  stesso ,  che  sovve- 
nuto mai  non  mi  fosse  di  visitare  la  madre  ,  che  pur 
conobbi  in  altri  tempi,  e  che  sapea  essere  savissima 
ed  onestissima  donna;  né  tardar  volli  più  lungamente 
a  compiere  questo  dovere.  Io  la  trovai  tutta  sola,  e 
datomi  a  conoscere ,  e  messala  sul  discorso  de"  suoi 
passati  avvenimenti,  più  volte  ebbi  a  piangere  per  te- 
nerezza all' udire  con  qual  animo  rassegnato  ella  soffriva 
la' sua  sciagura,  e  con  quai  sentimenti  di  gratitudine 
il  cielo  benediceva  che ,  tolto  avendole  e  marito  e 
fortune,  un  figlio  si  amoroso  e  si  caro  lasciato  le 
avesse  in  compenso  di  tutti  i  suoi  mali.  Or  io  ben  so 
che  se  a  pari  angustie  di  fortuna  noi  fossimo  pur  ri- 
dotti, troppo,  o  figlia,  ti  piacerebbe  che  per  alcuno 
noi  fossimo  sollevati:  e  senza  questo  pensiero ,  io  ho 
pur  ferma  speranza  che  il  tuo  cuore  affettuoso  già  non 
vorrebbe  che  due  persone  di  tal  virtù  si  restassero  ab- 
bandonate. Io  penso  adunque  d'impiegare  una  parte 
de' miei  beni  ad  aiutarle.  A  te  nondimeno  ne  rimarranno 
abbastanza  :  e  quando  al  giovane,  eh'  io  t' ho  proposto, 
ti  piaccia  pur  di  congiungerti,  essendo  egli  assai  ricco, 
maggior  dovizia  tu  non  avrai  a  desiderare. 

*)  Ne  ritrae  —  bacon  UiUf)t.  —   «)  Non  ha   molto  —  e« 
ifl  ni^t  lange  ^cr. 


138  NOVELLA   XXV. 

La  figlia  intenerita  per  una  parte  a  questo  discorso, 
e  alquanto  in  sé  turbala  per  l'altra:  Dei  beni  vostri, 
rispose,'  a  voi  sta  0  ordinare  come  v'  aggrada  ;  né  cer- 
tamente altra  occasione  io  sapr'ei  mai  conoscere,  ove 
meglio  pot  este  voi  impiegarli.  Ma  ben  dolente  io  debbo 
essere  che  sedi  tanta  virtù  è  cotesto  giovane,  come 
voi  dite,  n  on  a  lui  piuttosto  che  ad  altri  e  tutti  i  vostri 
beni  e  me  stessa  destiniate.  Pur  sembrami  che  tal  fosse 
una  volta  il  vostro  disegno.  Ma  troppo  tristo  voi  forse 
credete  ora  il  dono  che  gli  fareste,  se  me  pur  anche ... 

Ah ,  figlia  ammirabile  e  incomparabile  !  disse  il 
padre.  Quante  grazie  io  debbo  rendere  al  cielo,  che 
una  figlia  mi  abbia  dato  come  tu  sei,  e  fornita  d'un 
animo  si  virtuoso  !  Anziché  credere  che  le  tue  nozze 
gli  abbian  ad  esser  di  rincrescimento ,  tu  sei  il  dono 
più  grande  che  a  qual  si  fosse  più  raro  giovane  io  mai 
credessi  di  poter  fare  :  ma  ad  un  eh'  è  sfornito  di  ogni 
cosa,  come  poss'  io  proporti  se  tu  noi  scegli  per  te  me- 
desima ?  Tu  vedrai  dunque  e  l'uno  e  l'altro,  e  fra  i 
due  tu  eleggerai  quale  abbia  ad  esserti  sposo  ;  che 
sebben  questo  secondo  non  ti  abbia  veduta  ancora,  io 
già  non  dubito  che  sopra  ogni  uomo  non  debba  cre- 
dersi fortunatissimo ,  ove  egli  giunga  a  conseguirti. 
Ma  perchè  tu  non  abbia  a  pentirti  mai  della  scelta,  io 
vo' che  l'altro  pur  vegga,  al  quale  io  sarò  contento I 
del  pari  che  sii  congiunta,  quand'egli  da  te  ottenga  laj 
preferenza. 

Esegui  il  saggio  padre  il  suo  disegno ,   e  per  :^c-j 
concia  maniera^)  fé' che   la  figlia,   e  l' uno  e  l'altro 
veggendo,  e  con  loro  intertenendosi,  1'  animo  ne  cono- 
scesse. Ma  benché  degno  per  molti  capi  il  primo  pur 
ritrovasse,  la  virtù  del  secondo  fu  preferita,  e  con  in- 

^)  A  voi  sta  —  eó  fcmmt  ettc^  gu.  —  -)  Acconcia  maniera 
'—  gefd^icftc  9lrt. 


NOVELLA     XXVL    L'AMOR   DELLA  PATRIA.  139 

tera  gioia  d'ambe  le  parti  si  fer  le  nozze,  di  cui  né 
più'  liete  si  vider  mai.  né  più  durevolmente  felici. 


NOVELLA  XXVL  . 
li'AlflOR  UEl.Ii.%  PATRIA. 

v/elebrati  vergiamo  altamente  presso  gli  antichi  scrit- 
tori alcuni  che  a  deliberata  ')  morte  si  esposero  per  la 
patria,  siccome  Codro  fra  i  Greci,  e  Marco  Curzio,  e  i 
due  Decj  fra' Roma  ni.  E  certo  che  azione  più  generosa 
e  più  commendevole  ^)  non  può  farsi  che  offerir  corag- 
giosamf  nte  sé  stesso  per  la  salute  d' altrui.  Ma  da  una 
vana  superstizione  e  da  un  cieco  errore  furon  condotti 
quegli  antichi,  credendo  Marco  Curzio  che  col  gittarsi 
nella  voragine  ') ,  apertasi  nel  Foro  romano,  egli 
avesse  a  placar  V  ira  degli  Dei,  e  allontanare  da  Roma 
la  minacciata  rovina:  e" Codro,  e  i  Decj  che,  coli' 
esporsi  senza  armi  a  farsi  uccidere  dai  nemici,  aves- 
sero a  procurar  la  vittoria  a'ior  cittadini;  dimodoché*) 
in  essi  l'intenzione  fu  da  lodare  piuttosto  che  l'azione 
per  sé  medesima.  Ma  lina  morte  egualmente  nobile  per 
coraggio,  e  assai  più  utile  pei  suoi  effetti,  fu  quella  a 
cui  spontaneamente  andò  incontro  sul  cominciare  di 
questo  secolo  un  uomo  appena  noto  fra  noi,  chiamato 
Pietro  Micca,  della  terra  d'Andorno,  il  quale  di  cele- 
brità potrebbe  vincere  quegli  antichi,  se  egual  numero 
di  eccellenti  scrittori  ei  trovasse,  i  quali  prendessero 
a  commendarlo  *). 

*)  Deliberata  —  oorfà^li*.  —  2)  Commendevole  —  iobenii 
tCdiff.  —  ^)  Voragini  —  Stbgrunb.  —  *)  Dimodoché  ,— - 
io  ba^. 

*)  Ln  meritalo  elogio  è  stato  poi  pubblicato  di  quesf 
uomo,  non  ha  gran  tempo. 


140  NOVELLA    XXVI. 

Era  la  città  di  Torino  nel  1706 «assediata  con  po- 
deroso 0  esercito  da' Francesi -,  e  benché  gli  assediati  op- 
ponessero la  più  vigorosa  difesa,  rendendo  inutili  o 
disturbando  gli  attacchi  ^)  de'  nemici,  e  nuocendo  loro  col 
fuoco  continuo  che  faceano  dalle  mura,  e  con  le  uscite 
frequenti  e  improvvise ,  si  erano  però  questi  dopo  tre 
mesi  di  ostinato  assedio  già,  avanzati  di  tanto  ,  che  le 
molte  fortificazioni  esteriori  già  erano  quasi  tutte  ca- 
dute in  lor  potere,  e  una  sola  ne  rimaneva,  tolta  la 
quale ,  percossa  la  cittadella,  e  dominata  sì  da  vicino , 
più  non  avrebbe  potuto  far  resistenza. 

Il  governatore,  che  era  il  conte  di  Daun,  vedendo 
che  pur  quest'  ultimo  riparo  accingevansi*)  i  nemici  ad  at- 
taccar fortemente,  e  già  disposte  avevano  contro  fli  esso 
le  lor  terribili  batterie ,  ordinò  a'  suoi  minatori  che  per 
sotterranee  vie  cercassero  di  là  condursi,  e  con  uno 
scoppio  *)  improvviso  tentassero  di  distruggere  le  loro 
opere ,  e  vani  rendere  i  loro  sforzi.  Capo  di  questi  era 
Pietro  Micca,  il  quale  con  viva  sollecitudine  e  con  in- 
defesso lavoro,  ubbidendo  agli  ordini  del  comandante, 
seppe  di  tanto  colà  sotto  innoltrarsi,  che  già  disposta 
e  perfezionata  la  mina ,  più  non  mancava  che  apporvi 
r  usata  traccia  di  polvere ,  e  uscendone  darvi  il  fuoco. 
Quand'  ecco  dal  crollar  del  terreno  e  dal  rumore  ei  s'av- 
vede Che  i  nemici  tentan  di  rompere  il  suo  lavoro  e  di 
sventarlo.  Già  eran  essi  vicini ,  e  pochi  momenti  eh'  ei 
ritardasse  la  sua  fatica  era  tutta  a  vóto  ^).  Che  far  però, 
s' egli  aveva  appena  tempo  di  ritirarsi ,  per  non  cadere 
nelle  lor  jnani  non  che  di  apprestare  le  necessarie  guide, 
con  cui  potere  da  lungi  alla  mina  aprir  lo  Scoppio?  Altro 
mezzo  non  gli  rimaneva,  onde  questa  avesse  effetto, 
che  darvi  fuoco  di  propria  mano  incontanente  e  dap- 

1)  Poderoso—  mac^tig,  fiaxl—^)  Disturbando  gli  attacchi 
—  bic  Slngtip  fìórcnb.— 3)  Accingersi  ~ftc^anf^t(fen.—  *)  Scop- 
pio —  @d)lag.  —  ^)  A  voto  —  oemtelt. 


NOVELLA    XXVII.    I  FANTASMI  NOTTyRNI.  141 

presso,  esponendo  se  medesimo  al  pericolo  di  una  morte 
inevitabile.  Pietro  Micca  .  infiammato  da  un  vivo  amor 
per  la  patria  e  pel  suo  re,  a  questo  mezzo  appunta 
s'appiglia  *);  ed  anziché  permettere  che  i  nemici,  ren- 
dendo vana  l'opera  sua,  togliessero  alla  città  quel  solo 
riparo  che  ancor  le  restava^  delibera  di  perire  con  essi. 
Ordina  immantinente  a'  compagni  di  ritirarsi:  Ricor- 
divi ,  dice  loro  pietosamente ,  di  raccomandare  al  pa- 
terno cuore  del  re  i  miei  teneri  figli:  sia  egli  loro  so- 
stegno e  loro  padre  ;  io  lieto  muoio  per  lui.  Quindi  con 
animo  coraggioso  s'accosta  *)  ove  chiuse  eran  le  pol- 
veri incendiarie,  e  con  la  miccia')  che  aveva  in  mano, 
intrepido  v'  appicca  il  fuoco.  Scoppiano  queste  in  un 
momento  con  tutto  il  lor  impeto:  s'apre  la  terra,  l'opere 
de'  nemici  van  tutte  a  soqquadro  *),  molti  di  loro  peri- 
scono •  ed  ei  con  essi  riman  sepolto  fra  le  ruine. 

Al  generoso  atto  di  Micca  dovette  allora  Torino 
in  gran  parte  la  sua  salvezza.  Questo  sconcertò  in  modo 
gli  attacchi  degli  avversari,  e  di  tanto  ritardò  le  loro 
imprese,  che,  sopraggiunto  con  forte  esercito  il  prin- 
cipe Eugenio  in  soccorso  della  città,  con  la  memorabil 
vittoria,  che  poco  dopo  sovra  di  lor  riportò,  li  co- 
strinse a  sciorre  V  assedio  ed  a  fuggire  precipitosi. 


NOVELLA  XXVII. 
I  FA^T.4.S]fil  ]VOTTIJR]V15). 

Jr  u  già  un  tempo  che  in  ogni  parte  lé  antiche  case 
disabitate,  e  soprattutto  i  vecchi  castelli,  assediati  cre- 
devansi  dagli  spiriti,  e  mille  cose  si  raccontavano  delle 

*)  A  questo  s'appiglia  — er  crgretft  biefe«  SKittcl,  —2)  S'ac- 
costa—nó^ert  fì(!&.  —  *)  Miccia —  Sunte.  —  *)  Vanno  a  soq- 
quadro —  tDcrbctt  gerjlórt.  — 5)  Fantasmi  —  ®ef^cn<ìcr. 


148  NOVELLA    XXVII. 

loro  apparizioni ,  e  de'  terrori  o  dei  mali  che  produce- 
vano a  chi  ardisse  di  soggiornarvi.  A  poco  a  poco  si 
è  discoperto  che  tali  apparizioni  e  tali  spaventi  o  erano 
un  giuoco  d' immaginazione  riscaldata  ,  o  effetto  di  na- 
turali cagioni  non  avvertite  dapprima ,  o  espressa  opera 
di  malvage  persone  che  usavano  di  questo  mezzo  per 
tener  lontano  da  que'  luoghi ,  ove  nascondevano  le  loro 
malvagità,  chiunque  avesse  potuto  scoprirle.  Oggimai 
non  v'ha  persona  di  senno  ^)  che  presti  più  alcuna  fede 
a  terrori  siffatti.  Dal  popolo  tuttavia  1'  antico  pregiu- 
dizio non  è  ancor  tolto  del  tutto,  e  di  tali  novelle  si 
odono  raccontar  qualche  volta  anche  a'  di  nostri.  Un 
uom  prudente,  ove  ciò  avvenga,  si  appaga  ^)  di  riderne, 
senza  più:  alcuni,  che  aman  far  mostra^)  del  lor  co- 
raggio ,  vanno  anche  arditamente  ad  affrontare  il  pe- 
ricolo che  disprezzano  ;  ma  l' esempio  del  duca  di  Vil- 
lars  dee  rendere  ognuno  accorto  a  non  avventurarvisi 
innanzi  di  aver  ben  presa  ogni  sicurezza  per  ripararsi 
da"  mali  che ,  da  cagion  naturale  o  dalla  malvagità  di 
persone  colà  nascoste ,  possono  facilmente  soprav- 
venire. 

Mentre  questi  era  giovane  tuttavia,  spedito  dal  r^j 
suo  signore  per  affari  importanti  in  Alemagna,  al  rU 
torno  fu.  sopraggiunto  dalla  notte  e  da  una  pioggia  di- 
rotta in  un  tristo  villaggio  ,  ove,  fuori  di  poche  e  me- 
schine *)  capanne  di  contadini,  altro  biogo  non  v'  era  al 
ricoverarsi.  Vedeasi  però  non  lunge  un  antico  castello  d 
e  come  a  lui  parea  di  poter  ivi  passar  la  notte  più  agia-| 
tamente,  così  domandò  chi  là  fosse,  e  se  quivi  sareb-j 
basi  potuto  avere  albergo  ^),   La  buona  gente  risposa 
che  ninno  ardiva  di  alloggiare  là  dentro ,  perchè   daglfj 
strepili  spaventevoli  che  si  iidivan  fra  notte,  e  da'  fan- 

*)  Persona  di  senno— oerfìSnbigei'  5()ìcttfcl^.  —  ^)  Si  appaga 
—  bcgtiùgt  fì{^.  —  3)  Par  mostra  —  §ur  Scèau  tragcn.  — *)  Me- 
schino— clcnt».  —  ^)  Alljergo  —  «i^erbcvge. 


I  FANTASMI  NOTTURNI.  143    ' 

tasmi  che  si  vedevano ,  tutti  erano  atterriti.  Rise  il  gio- 
vane Villars  della  loro  semplicità  ;  e ,  —  Io  avrò  ben 
piacere ,  lor  disse ,  di  mirare  anch'  io  questi  fantasmi  e 
di  udir  questi  strepiti  spaventosi.  Quindi ,  dato  ordine 
ai  suoi  di  rimaner  nel  villaggio ,  per  dichiarar  vie  me- 
glio quanto  ei  si  beffasse  *)  di  tali  fole  ^) ,  prese  le  sue 
armi,  e  fatto  recar  del  vino,  e  accender  buon  fuoco 
per  ristorarsi,  tutto  solo  s'incamminò  al  castello. 

Passata  la  mezzanotte,  ecco  incomincia  a  farsi  udir 
di  lontano  un  confuso  gettar  d"  urli  ') ,  e  uno  strepito 
orribile  di  catene.  Villars  senza  punto  atterrirsi  pon  mano 
air  armi,  e  si  mette  in  sulle  guardie  *).  Lo  chiamazzo  ^) 
e  lo  strascico  ^)  delle  catene  si  fa  ognor  più  forte  e  più 
vicino.  Villars  con  animo  sempre  fermo  coraggiosa- 
mente ne  sta  attendendo  la  riuscita.  Quand"  ecco  con  un 
fracasso,  come  se  tutto  ne  rovinasse  il  castello,  spa- 
lancare ei  si  vede  le  porte ,  ed  entrare  un  mostruoso 
fantasma  di  enorme  grandezza,  tutto  coperto  di  bianco, 
e  seguito  da  quattro  furie  con  faci  funeree  nelle  mani. 
Arrestatosi  il  fantasma  a  pochi  passi,  e  volto  a  Villars  : 
Temerario  !  gli  grida  in  tuon  cupo  e  tremendo  :  tu,  che 
osasti  di  penetrare  in  questi  luoghi  terribili ,  sgombra 
di  qua  immantinente  '),  e  salvati,  o  trema  per  la  tua 
vita.  Io  tremare?  risponde  il  giovane  coraggioso:  or 
tu  vedrai,  scellerato,  se  sa  tremare  Villars:  e  senza 
più  con  impeto  furioso  gli  corre  incontro.  Fugge  pre- 
<npitoso  il  fantasma  :  Villars  gli  tien  dietro  ;  trapassate 
appena  due  camere,  ecco  profondasi  il  pavimento®), 
scompare  la  visione  •  ed  egli  trovasi  tutto  solo  in  luogo 
ignoto,  e  in  una  oscurità  spavejitevole.    Qual  fosse  il 

*)  Beffarsi  —  n<^  (uftlg  ma4)en  ùber  jc.  —  ^)  Fole  —  ^^Joffen. 
^)  Confuso  gettar  d'urli  —  etn  »ernjirrtc«  @e^cul  ausifìo^en.  r— 
*j  Si  mette  in  sulle  guardie—  fìcUtfìc^  jur  fficfjre.  -  S)  Loschia- 
*  TDazzo  —  taé  ©cfc^rcx.  —  ^)  Strascico  —  f(^l/t)pen,  fc^tcifen.  — 
''')  Sgombra  immantinente—  jiel^e  auf  ber  ®r?Ue  von  l^ier  teeg.  — 
^)  Profondasi  il  pavimento  —  ber  53oben  fìnft  ein. 


144  NOVELLA  XXVII. 

terrore  e  l'agitazione  diVillars  in  quel  orribil momento, 
è  troppo  facile  a  concepire.  Ei  non  avea  per  sua  ven- 
tura sofferto  alcun  male  nella  caduta,  ma  ben  vedeva 
che  là  racchiuso  non  dovea  aspettarsi  più  uscita,  né 
scampo  ^). 

Restato  cosi  lunga  pezza  fra  il  tumulto  di  mille 
pensieri,  scorge  alla  fine  un  lieve  barlume')  attraverso 
alla  fenditura  *)  di  un  uscio  che  mettea  nel  vicin  sotter- 
raneo,  e  sente  un  bisbiglio*)   che  sembragli  di  voci 
umane.  Tende  V  orecchio  ^)y  e  riesce  con  suo  maggiore 
spavento  a  distinguere  che  fra  una  truppa  di  male  genti 
si  fa  ivi  consulta  sulla  maniera  di  trarlo  a  morte.  Dopo 
vari   dibattimenti  che  fra  l'angustie  il  tennero  lunga- 
mente 5  ode  uno  alla  fint; ,   il  qual  dice  :    Troppo  peri- 
coloso per  noi  può  essere  l'ammazzarlo:  egli  è  persona 
di  troppo  conto  ^)  domani    ne   sarà   fatta  ricerca  per 
tutto  il  castello,   e   noi  saremo  scoperti:   mio  parere 
è  che  aprasi  e  si  rimetta  in  libertà.  Villars   a  ciò  rin- 
corato ^)  :  Sì ,  troppo  caro ,  lor  grida,  il  vostro  atten- 
tato vi  costerebbe.  Io  ho  lettere  importanti,  eh' esser > 
deggiono  rimesse  al  re  in  propria  mano  :  ho  nel  vicino! 
villaggio  quattro  persone  di  mio  servigio  :  la  morte  miaj 
né  star  potrebbe  nascosta,  né  rimarrebbesi  invendicata. 
Aprite:   io  prometto  a  tutti  il  segreto,  e  una  ricom-1 
pensa  degna  di  Villars.  Dopo  breve  consiglio  fu  allori 
risoluto  di  liberarlo,   obbligandolo  però  a  giurare  chef 
altro  detto  ei  non  avrebbe,  se  non  d' avere  là  dentro  ve-j 
duto  e  udito  cose  terribili;    e  ben  certamente  il  potea| 
dir  con  ragione. 

Passato  alcun  tempo ,   mentre  in  una  sua  villa  si 

')  Uscita,  né  scampo  —  »ebcr  Sluégang ,  nod^  9lettung.  — 
^)  Barlume  —  cin  fdf)tDarf)er  (Sd^lmmer.  —  ')  Fenditura — ?^i^. — 
*)  Bisbiglio  —  ©ffìiifìer.  —  ^)  Tende  l' orecchio  —  f^JÌ^tbie  D^reru 
—  ^)  È  persona  di  troppo  conto  —  (Se  ijì  eine  aUjuttJÌ<^tigc$et« 
fon.    '  ')  Rincorato  —  aufgf muntert. 


NOVELLA  XXVlli.  ANEDDOTO  DEL  MAilESClALLO  DI  TURUENA.     145 

stava  egli  tra'  suoi  amici ,  videsi  un  uomo  ignoto  venir 
davanti ,  il  quale  due  leggiadri  destrieri  a  lui  presen- 
tando: Questo  dono,  gli  disse,  preganvi  d'accettare 
coloro,  a' quali  il  segreto  già  prometteste  entro  il  ca- 
stello, e  che  si  fedelmente  avete  finor  tenuto.  Or  li- 
beran  essi  la  vostra  fede,  poiché,  usciti  del  regno,  e 
posti  in  sicuro,  né  più  abbisognano  di  cosa  alcuna,  né 
cosa  alcuna  più  hanno  a  temere. 

Narrò  egli  allora  ciò  eh"  entf o  al  castello  gli  era 
avvenuto.  I  cinque  spettri  erano  cinque  fabbricatori  di 
false  monete,  che  là  con  altri  si  occultavano'):  il  pavi- 
mento profondato  era  uno  dei  trabocchetti,  di  cui  al 
tempo  delle  guerre  intestine  e  de'  piccioli  tiranni ,  quasi 
tutti  i  castelli  erano  provveduti.  Lieto  Villars  di  aver 
potuto  scamparne,  ogni  volta  che  poi  il  fatto  ne  rac- 
contava, mai  non  lasciava  di  biasimare  il  suo  sover- 
chio ardimento ,  e  di  proporre  sé  stesso  in  esempio  de' 
pericoli  a  cui  può  condurre  un  coraggio  inconsiderato. 


NOVELLA    XXVin. 

ANEDDOTO   DEIi  JHARES^CIAIìIìO   DI 
TIJRREIVA, 

Una  troppo  piccola  cosa  noi  prendiamo  qui  a  riferire 
d' un  uom  sì  grande ,  come  fu  il  celeberrimo  mare- 
sciallo di  Turrena.  Ma  ella  varrà  a  dimostrare,  come 
uppunto  gli  uomini  grandi  sappiano  contenersi  in  que' 
«  asi,  per  cui  sogliono  inasprire  ^)  quelli  che  sono  di  mi- 
nor conto. 

Prestissimi  in  fatti  sono  costoro  ad  irritarsi  *),  ed 
a  mostrare  il  loro  risentimento  *)  per  le  più  piccole  of- 

*)  Occultarsi  ~  fìc^  vctborgcn  ^oUcn.  —  ^)  Inasprire  —  erbita 
tern.  — 3)  Irritarsi  —  enuruen.  —  •)  Risentimento  —  SSertrug, 
UntoiUe. 

Soavci  Notelìe.  10 


146  NOVELLA,    XXVIIL 

fese,  ancorché  siano  involontarie.  Poco  trovando  in  se 
stessi  che  possa  renderli  rispettabili,  temono  ognora 
di  essere  disprezzati-  ed  ogni  lieve  sospetto,  che  altri 
non  faccia  di  lor  quella  stima  ch'essi  vorrebbono,  è 
una  ferita  intollerabile  al  loro  orgoglio,  che  inconta- 
nente li  porta  all'  estreme  furie.  Gli  uomini  illustri ,  per 
lo  contrario ,  sicuri  che  l' onor  loro  non  viene  punto  a 
scemare  per  bagattelle  di  simil  conto,  più  agevolmente 
san  pure  dissimularle  o  soffrirle  con  tranquillità  e  non 
curanza.  Molti  esempi  n'  abbiam  fra  gli  antichi  :  noi  fa- 
remo cenno  soltanto  d' un  più  recente  che  il  celebre 
maresciallo  di  Turrena  ci  ha  offerto. 

Egli  era  in  guerra  il  terror  degli  eserciti ,  ed  ha 
formato  per  lungo  tempo  il  sostegno  e  la  gloria  della 
Francia.  Ma  nel  suo  viver  domestico  egli  era  semplice 
affatto  e  dimesso  *),  era  modesto  negli  abiti  e  nel  por- 
tamento; nel  conversare  era  umano  ed  affabile  con 
chicchessia. 

Avvenne  una  mattina  d' estate ,  che  uscendo  per 
tempo  della  sua  camera  così  com'  era ,  in  farsetto  ^)  e 
mezzo  scalzo'),  si  mise  a  passeggiar  tutto  solo  per  le 
anticamere ,  e  fattosi  quindi  ad  una  finestra,  appoggiato 
sovr'  essa  coi  gomiti  *),  e  col  mento  in  fra  le  mani,  si 
stette  a  riguardar  nel  giardino.  Mentre  era  in  questo 
atteggiamento^),  capita  un  famiglio,  il  qual,  creden- 
dolo uno  de' suoi  compagni,  s'accosta  bel  bello ^),  e 
con  servitoresca  dimestichezza  '^)  applicatogli  un  gran 
colpo  ®)  ridendo  si  tira  da  canto  ^).  Il  Maresciallo,  trai 
quillamente  volgendosi  :  Amico,  disse,  la  mano  vi  pesi 

^)  Dimesso  —  X)itabla^'enì>.—")  Farsetto  —  2Bamm^,  ^a^i 
—  3)  Scalzo  —  baarfu^.  —  *)  Gomiti  — (Stieubogcn.  —  ^)  Atteg- 
giamento— ©tettuujj.  —  6)  S'accosta  bel  bello  —  uàl^cct  fif 
leifc  — '^)  Dimestichezza—  S3citraun^feit.  —  ^)  AppUcatogli  uu 
gran  colpo  — nad&bcm  er  il^m  eineu  jìavfen  ^^lag  mit  bcc  ^an^ 
secfe^t  f}aU(.  —  ^)  Si  tira  da  canto  — jie^t  ft(^  jurùdf. 


NOVELLA  XXIX.  LO  SCHIAVO  RISCATTATO.  147 

forte  :  uiv  altra  volta  ricordivi  di  calcar  meno.  II  fami- 
glio, alla  voce  ed  alla  vista  riconoscendolo,  ebbe  a 
cader  tramortito.  Gettandosi  quindi  a*  piedi  suoi  tutto 
tremante,  gli  domandò  con  le  lagrime  compatimento  e 
perdono .  dicendo  che  preso  avealo  pel  Giannotto  suo 
compagno.  Il  Maresciallo  pur  con  la  stessa  serenità: 
L"  error  maggiore ,  rispose ,  non  è  degli  occhi ,  ma 
della  mano:  anche  al  Giannotto  il  saluto  potea  sem- 
brare un  po'  brusco  :  io  vi  consiglierei  quindi  innanzi  a 
dar  il  buon  di  con  la  voce  piuttosto  che  non  coi  gesti. 
Poi  rilevatolo  ,  e  confortatolo,  si  ritirò  chetamente  nella 
sua  camera ,  lasciandolo ,  non  si  saprebbe  ben  dire,  se 
colmo  più  di  confusione  o  di  tenera  maraviglia. 


NOVELLA  XXrX. 

ILO  SCHIAVO  RISCATTATO. 

feon  molli  che,  quando  pur  si  conducono  a  fare  alcun 
bene  ad  altrui,  ne  menano  sì  gran  pompa  *),  che  fanno 
arrossire  il  beneficato ,  e  perdono  per  vanità  e  per  or- 
goglio tutto  il  pregio  che  alla  loro  liberalità  si  dovre"bbe. 
Air  incontro  diceva  Seneca  che  il  beneficio  dee  chiuder 
la  bocca  a  chi  Io  fa  ,  ed  aprirla  a  chi  lo  riceve  :  e  noi 
vedremo  da  un  memorabile  esempio  quanto  ben  persuaso 
di  questa  massima  fosse  un  uom  grande  dell'  età  nostra, 
è  (^anto  egli  abbia  saputo  ben  praticarla. 

Trovandosi  questi  in  Marsiglia ,  e  andato  una  do- 
menica sera  d' estate  a  rinfrescarsi  nel  porto ,  volle  sa- 
lire su  d'un  battello  per  far  un  giro  nel  molo  *).  Chiesto 
d' alcuno  che  lo  guidasse ,  accorse  un  giovane  di  vago 

*)  Ne  menano  si  gran  pompa  —  ^Jrunfen  fo  fel^r  bamit,  bap  jc. 
—  ^)  Molo  —  -^afenbamm.  ,  ' 

IO* 


j'48  NOVELLA  \X1X. 

aspetto  e  di  graziose  maniere ,  che  presto  si  offerse  ad 
ubbidirlo.  Attentamente  ei  riguardandolo,  e  assai  più 
collo  vedendolo  della  persona ,  e  più  civile  negli  atti, 
che  esser  non  sogliono  quei  che  «on  nati  in  siffatta  con- 
dizione :  Voi  non  m' avete,  gli  disse,  l' aria  di  marinaio, 
e  dubito  non  per  sollazzo  piuttosto  che  per  mestiere 
amiate  in  questo  d'esercitarvi.  —  Io  non  son  nato,  di 
fatto,  rispose  egli,  a  questa  condizione  di  vita,  né 
questa  è  l'arte  ch'io  professo*,  ma  la  sciagura  di  mio 
padre  mi  ha  condotto  ad  apprendere  questa  ancora  per 
trarne  qualche  profitto  ne'  dì  festivi.  E  qual  disgrazia, 
disse  il  forestiere,  a  vostro  padre  è  intervenuta  ?  Egli 
è  schiavo ,  rispose  il  giovane  con  le  lagrime  agli  occhi  : 
né  io  ho  modo  di  riscattarlo,  se  coli'  opera  mia  e  con 
le  m  e  fatiche  noi  mi  procuro.  —  Schiavo  !  e  da  quanto 
tempo  ,  e  dove  ?  —  Già  da  sei  mesi  egli  è  ne'  ferri  a 
Tetuan.  Fattosi  co'  suoi  risparmi  un  piccolo  capitale, 
egli  lo  caricò  sur  una  nave  che  andava  a  Smirne,  e  volle 
recarvisi  egli  pure  ,  per  ingegnarsi  con  la  sua  industria 
a  meglio  avvantaggiarlo.  Ma  la  nave  fu  presa  dai  Bar- 
bareschi, ed  ei  fatto  schiavo  con  tutti  gli  altri.  Due 
mila  scudi  pretendonsi  pel  suo  riscatto  *)*,  ma  siccome 
egli. in  partendo  quasi  tutto  avea  seco  portato,  noi  siam 
ben  lontani  da  questa  somma.  Tuttavolta  mia  madre  e 
due  mie  sorelle  faticano  dì  e  notte  per  veder  pure  di 
radunarla  :  io  fo  lo  stesso,  e  curo  di  mettere,  per  quanto 
posso ,  a  profitto  ^)  ancor  le  feste.  Credeva  in  sulb 
prime  di  poter  liberarlo  col  farmi  schiavo  in  sua  vece. 
Ma  il  seppe  mia  madre,  o  il  sospettò:  assicurommi  che 
il  mio  disegno  era  vano  ^  e  temendo ,  né  senza  ragione, 
ch'io  pur  volessi  avventurarmivi  ad  ogni  costo,  fece 
vietare  a  tutti  i  capitani  dijseco  prendermi  a  bordo.- 

1)  Riscatto  — So^faufutig,  — 2^  Curo  di  mettere  a  profitto 
ià)  troc^te  gu  tenuteti  k. 


LO   SCHIAVO  RISCATTATO.  149 

Avete  di  lui  mai  avuto  novella  alcuna?  Sapete  a  chi 
serva .  e  in  qual  modo  ne  sia  trattato  ?  —  Ei  serve  al 
soprastante  ^)  dei  reali  giardini ,  e  n"  è  trattato  umana- 
mente :  ma  questo  è  per  lui  troppo  picciol  conforto  :  egli 
è  schiavo  a  buon  conto ,  e  lontano  da  noi .  lontano  da 
una  moglie  che  ama .  e  da  tre  figli  che  ha  sempre  aniato 
teneramente.  —  Che  nome  ha  egli?  —  Roberto.  ~  Che 
età? — È  poco  lungi  dai  cinquantacinque.  —  Voi  meri- 
tate certamente  miglior  veniura  ^)  :  io  ve  la  desidero  ben 
di  cuore  :  e ,  riguardando  alla  vostra  virtù ,  oserei  pure 
di  presagir\'ela  '). 

Giunta  la  notte ,  il  forestiere  ordinogli  di  andar  a 
terra:  «,  uscito  prestamente  dal  batello*),  non  gli  diede 
pur  tempo  a  ringraziarlo  della  borsa  che  gli  lasciò  in 
ricompensa.  Eranvi  otto  luigi  doppi  e  dieci  scudi.  Il 
giovine,  sorpreso  da  tal  generosità,  n'andò  in  traccia  ^) 
più  giorni  per  nuovamente  incontrarlo  ed  esprimergli  la 
sua  riconoscenza ,  ma  non  gli  venne  mai  fatto  ^). 

Dopo  due  mesi,  mentre  q  està  onesta  famiglia 
in  una  povera  cameretta  si  stava  a  povera  mensa  '), 
ecco  arrivare  inaspettatamente  Roberto.  Un  grido  ®)  di 
gioia  e  di  stupore  mettono  tutti  a  quésta  vista  improv- 
visa: e.  dubbiosi  di  sé  medesimi,  quasi  agli  occhi  pro- 
pri non  osano  di  prestar  fede.  Egli ,  abbracciando  te- 
neramente or  Tuno  or  1" altro:  Ah,  sposa!  dice,  ah 
ligli  miei,  quanto  io  debbo  alla  pietà  vostra  e  alle  vo- 
stre tenere  cure!  Ma  come  mai  avete  potuto  voi  così 
presto  salvarmi,  come  spedirmi  tanto  sussidio?  La 
somma  pel  mio  riscatto,  i  cinquanta  luigi  di  scoria^), 

*)  Soprastante  —  9tuff<f;f r.  —  '■^)  Miglior  ventura  —  befferei 
iooé.  —  *)  Presagirvela— e^  mi)  iJoraué  gu  fageu.  —  *)  Battello 

—  ©c^iff.  —  5)  >'  audò  in  traccia  -—  fucate  iijn  auf.  —  ^)  IVoii  gli 
venne  mai  fatto —  eé  gclang  immote.  —  '^)Sì  stava  a  povera  men§a 

—  ^iclt  i1)t  fatgee  aWa^l.  —  «*)  Mettere  un  grido  —  ein  ®ef<^m  qu*^ 
ftogcn.  — 9)  Scorta  —  ©rfpQtntf. 


I 


150  NOVELLA   XXÌX. 

queste  vesti,  l' imbarco  pagatomi  imianzi  tratto,  tutt» 
mi  empie  di  maraviglia.  Sebbene  a  quale  stato,  a  qu: 
misero  stato  io  vi  veggo  per  me  ridotti!...  La  moltit 
dine  e  l'impeto  degli  affetti  non  lascia  alla  moglie 
forza  pur  di  rispondere:  essa  gli  corre  al  collo*  e  di 
sciolta  in  lagrime  *),  sovra  di  lui  s'abbandona:  le  figlie 
accompagnano  il  pianto  della  madre  :  il  figlio  si  resta 
immobile,  e  eviene. 

Le  sparse  lagrime  rendono  finalmente  alla  moglie 
la  voce  e  la  parola  :  ella  abbraccia  nuovamente  il  ma- 
rito ,  riguarda  il   figlio  ,    ed  a  lui  additandolo  :  Ecco, 
disse,  ecco  il  vostro  liberatore.  Due  mila  scudi  chiede- 
vansi  pel  vostro  scampo;  noi  fin  ora  alla  metà  non  era- 
vamo ancor  giunti,  e  di  quello  che  abbiam  raccolto,  la 
maggior  parte  si   deve  pure  ali"  assiduità  indefessa  di 
vostro  figlio.  Questo  figliuolo  adorabile  dee  aver  tro- 
vato  de*  protettori ,  che  ,  mossi  dalle  sue  virtù  ,  l' haii 
soccorso  :    èi   disegnava   segretamente    a  principio  di 
mettersi  in  luogo  vostro  :  a  lui  certamente  noi  dobbiar 
ora  la  vostra  salvezza,  ed  egli,  in  luogo  di  prevenirci^ 
ha  pur  voluto   lasciarcene  la   sorpresa.    Mirate   com^ 
ora  n'  è  penetrato.*  j\Ia    affrettiamoci  a  soccorrerlo  . . , 
Le  sorelle  già  erano  in  ciò  occupate:  i  genitori  vi  si 
aggiungono  :  e  non  senza  difficoltà  riescono  pur   final- 
mente a  trarlo  dal  suo  deliquio  *).   Ma'  nell"  atto  eh' e^ 
volge  al  padre  i  languidi  occhi,  e  non  ha  forza  ancor 
di  parlare,  il  padre  intanto  si  fa   pensoso  '),  e  dalla 
gioia  passa  improvvisamente  al  turbamento*)  e  alla  tri 
.stezza.  A  lui  quindi  volgendosi,   in  tuon  di  sdjegno 
Ah,  sciagurato  !  dice ,  che  hai  tu  fatto  ?  Io  certo  nont 
posso  esserti  debitore  di  questa  libertà,  che  mi  era  si^ 

*)  Disciolta  in  lagrime  —  in  Xf)xànen  ^ev^ojfen.  —  ''^)  De- 
liquio —  Df)nma^t.  —  ^)  8i  fa  pensoso  —  h^irb  tieffìnnig.  — 
*)  Turbamento  —  Unrul^e. 


LO  SCHUVO  RISCATTATO.  151 

cara,  senza  averne  a  inorridire  0.  Come  hai  lu  potuto 
osar  (li  farne  un  mistero  a  tua  niradre,  se  non  mi  hai 
ricomprato  con  un  delitto  ?  Figlio  d' uno  schiavo  mise- 
rabile 5  ed  in  età  così  fresca ,  non  è  credibile  che  per 
oneste  vie  lu  sii  giunto  a  procacciarti  soccorsi  di  tal 
natura.  Tremo,  in  pensando  che  lamor  filiale  abbia 
potuto  condurli  ad  una  scelleratezza  *).  Toglimi  imman- 
tinente di  questo  dubbio,  sii  veritiero ,  e  piuttosto  — 
—  Ah  no,  tranquillatevi,  mio  padre,  risponde  egli 
allora  levandosi  con  isforzo;  abbracciate  pur  vostro 
figlio  ;  io  non  sono  indegno  di  questo  nome  ;  ma  non 
è  pure  né  a  me,  né  ad  alcun  di  noi  che  voi  siete  tenuto 
del  vostro  scampo  ').  Il  nostro  benefattore  è  tutt'  altri, 
ed  io  ben  il  conosco.  Ah  madre ,  quel  forestiero,  che 
già  la  borsa  mi  lasciò  in  dono  con  un  atto  si  generoso, 
mi  fé'  pur  anche  di  molte  e  replicate  domande  :  da  lui 
certamente  ora  viene  la  nostra  felicità.  Deh,  s'io  po- 
tessi mai  incontrarlo  novellamente  !  s'io  il  potessi!  ,.. 
Ma  non  lascerò  diligenza  per  trarne  almeno  qualche 
notizia.  —  Narra  quindi  a  suo  padre  quanto  coli' in- 
cognito gli  era  avvenuto,  e  d'ogni  timore  per  questo 
modo  Io  rassicura. 

Dopo  due  anni  d"  inutili  ricerche  ei  rincontra  una 
mattina  nel  porto.  —  Ah  mio  sommo,  mio  unico  bene- 
fattore, mio  sostegno,  mia  vita,  mio  tutto!...  Gli  é 
quanto  ei  potè  dire  gettandosi  a'  più  di  lui ,  e  abbrac- 
ciandoli con  trasporto.  —  Che  avete  voi  *?  che  fate  ? 
disse  r  incognito ,  rilevandolo  *).  —  Ah  mio  signore  ! 
potete  voi  ignorarlo?  Avete  voi  del  tutto  dimenticato  il 
figlio  dell'  infelice  Roberto,  che  avete  salvalo  si  gene- 
rosamente? —  Voi  prendete  abbaglio  ^),  amico;  io  sono 

*)  Averne  ad  inorridire  —  o^ne  ©(^oubern  ^n  miifen,  — 
2)  Scelleratezza  —  JRuc^Ioftgfn't ,  SSerbrfdjen.  -~  ^)  Scampo  — 
Slcttun^.  —  *)  Rilevandolo  —  i^ii  oufrit^tenb.  —  •'»)  Pj-endere 
abbaglio  —  fid^  lóuft^en. 


15S  NOVFXLA  XXtX. 

im  forestiero  qui  giunto  da  pochi  giorni.  —  Ciò  ben 
sarà  :  ma  sovvengavi  che  già  vi  foste,  ora  sono  ventisei 
mesi;  ricordivi  il  giro  che  voi  faceste  nel  molo;  la 
borsa  che  mi  donaste,  la  viva  compassione  per  la  scia- 
gura di  mio  padre ,  le  premurose  domande  che  mi  fa- 
cesie  su  tutto  quello  che  dar  vi  potea  lume  a  liberarli:». 
Voi  avete  con  ciò  formatala  felicità  d'un' intera  famiglia, 
che  altro  più  non  desidera  se  non  la  vostra  presenza  per 
ricolmarvi  di  mille  benedizioni.  Deh  !  non  negatevi  a' 
nostri  voti...  Venite.  —  Bel  bello  0,  amico:  gli  è 
troppo  facile  l'ingannarsi:  voi  forse...  —  No,  io  non 
m' inganno  punto.  I  vostri  lineamenti  sono  troppo  alta- 
mente impressi  nell'  animo  mio  per  iscambiarli.  Venite 
di  grazia ...  e  cominciò  a  pigliarlo  pel  braccio  ,  e  a 
fargli  una  dolce  violenza  per  trarlo  seco. 

Al  loro  contrasto  molte  persone  si  fecero  d'in- 
torno ^).  L' incognito  era  nel  colmo  della  sua  gloria  : 
ma  in  luogo  d' invanirsene  '),  ebbe  il  coraggio  di  resi- 
ster pur  anche  ai  movimenti  di  una  giusta  compiacenza, 
e  di  volere  costantemente  restar  celato.  S'andò  egli 
quindi  sempre  schermendo,  infino  a  tanto  che  ,  presa 
l'occasione  opportuna,  jsi  mischiò  tra  la  folla,  e  scom- 
parve. 

Nascosto    sarebbe  egli  luttora,    se  alla  morte  di 

un  negoziante  di  Marsiglia   la  sua  gente,    trovata  fra 

alcune  carte  una  nota  di  7500   franchi  spediti   a  Ro 

berlo  Mayn  di  Cadice,  non  gliene  avessero  chiesto  conto. 

Questo  famoso  banchiere  inglese  rispose  d' averne  fall 

uso  per  liberare,   giusta    gli   ordini  del  sig.  Carlo  d 

Secondai,  barone  di  Montesquieu ,  presidente  nel  par 

lamento  di  Bordeaux,  un   di  Marsiglia,  chiamato  Ro 

berlo,  schiavo    a  Tetuan.   Quell'uomo   insigne  era  uso 

di  tempo  in  tempo  a  visitare   sua  sorella  mad.  dEri- 

')  Bel  bello  —  Ìaà)U,  fa*te.  —  2)  Si  fecero  d' intorno  — 
fte  ircvbcn  itm^^ei^cn  'oon  k.  —  ')  Invanire  —  ftotj  tocrben. 


i 


NOVELLA    XXX.   BALDASSARE   DE  LAMA.  153 

court,  maritata  a  Marsiglia.  L'azione  generosa,  che 
quivi  fece,  che  abbiamo  or  raccontata,  non  gli  merita 
certamente  minor  commendazione  che  l'  opere  letterarie 
con  cui  si  è  fatto  immortale  *). 


NOVELLA  XXX. 
BAIiDAISSARi:  UE  liAìflA. 

librano  .state  in  Lisbona  tra  le  due  illustri  famiglie  Suarez 
e  Suza  lunghissime  dissensioni  *).  Ricomposta  la  pace  ^), 
stabilirono  amendue  di  vie  meglio  ')  assicurarla  con  le 
nozze  d"  Elvira  e  di  Emanuele ,  unici  eredi  delle  due 
famiglie.  Tutto  era  già  preparato:  i  due  sposi,  che 
amavansi  vivamente,  non  altro  attendevano  che  il  mo 
mento  felice  che  avea  ad  unirli  ;  quando  Baldassare  de 
Lama,  uom  di  fortuna,  ma  altero  per  le  sue  ricchezze 
e  pel  credito  che  godeva  alla  corte ,  desideroso  d' illu- 
strarsi, stringendosi  in  parentela  con  la  famiglia  Sua- 
rez,  dopo  aver  prima  tentata  inutilmente  ogni  via  per 
riuscirvi,  ricorse  finalmente  alla  corte,  e  oltenne  dal  re 
un  impiego  possente  a  favor  suo  col  grado  di  viceré 
dell'  Indie  come  presente  di  nozze. 

Alle  istanze  del  re  i  parenti  d'Elvira  non  ebber 
coraggio  d" opporsi:  cedettero,    benché  a  mal  grado:, 

*)  bissensioiic — ^me^palt.  —  ^^  Hicomposl.i  la  pace  — 
na^bem  ber  >?riebc  gcfrf)Ioffen  toar.  —  3)  ^'i^  meglio  —  tt>eit  mel^r. 

•)  Quest'aneddoto  del  barone  di  Montesquieu  è  stato 
pubblicato  dal  sig.  ]\Iingard,  il  quale  n'ha  avuto  la  notizia  da 
un  vecchio  amico  del  medesimo  Montesquieu,  che  dell'ultima 
parte  era  slato  pur  testimonio  oculare.  In  una  raccolta  di 
.Novelle  IMorali  si  è  creduto  che  non  si  avesse  ad  oramettere. 
Si  sono  però  moderate  parecchie  espressioni  dell'originale, 
che  troppo  uscivano  dalla  natura,  e  varie  circostanze,  certa- 
mente aggiunte  dallo  scrittore ,  che  rendevano  il  fatto  men 
verisimile. 


154  NOVELLA    XXX. 

e  il  superbo  de  Lama  andò  orgoglioso  della  sua  vitto- 
ria. JVon  soffrì  però  Emanuele  che  questi  impunemente 
ne  trionfasse:  trasportato  dall'amore  e  dall'ira,  si 
fé' con  aspre  parole, a  sfogare  contro  di  lui  il  suo  fiero 
risentimento  *);  e  la  cosa  procedette  sì  oltre.,  che, 
traile  le  armi,  si  azzuffarono  ^)  furiosamente  ambedue, 
e  de  Lama,  inferiore  di  destrezza  e  di  forze ,  rilevate 
già  due  ferite  ^j,  correa  pericolo  di  soccombere,  se 
da  gente,  che  sopraggiunse ,  non  fosse  stato  opportu- 
namente scampato. 

R'ecatosi  egli  tosto  alla  corte ,  fece  alte  doglianze 
contro  de  8uza,  aggravando  il  fatfo  malignamente, 
sicché  de  Suza  fu  imprigionato  •  ed  era  già  condannato 
alla  morte,  quando  Elvira,  ferita  a  tal  nuova  dal  più 
vìyo  dolore,  non  sapendo  a  qual  altra  via  appigliarsi 
onde  salvarlo,  si  volse  allo  stesso  de  Lama. 

Malgrado  l'assenso  de' genitori,  ella  aveva  tino  a 
quell'ora  tuttor  ricusalo  di  dar  la  mano  ad  un  uomo 
che  mortalmente  abborriva.  Il  crudele  si  valse  di  questa 
occasione  per  vincerla  ^  esigendo  che  le  pronte  nozze 
di  lei  esser  dovessero  il  prezzo  dello  scampo  d'Ema- 
nuele. Indarno  gli  venne  ella  rappresentando  l'insu- 
perabile avversione  che  gli  portava,  e  l'impossibilità 
in  cui  era  d' amarlo  5  rimproverò  indarno  la  sua  ninna 
delicatezza,  la  feroce  sua  ostinazione:  egli  fu  irremo- 
vibile ;  e  per  salvare  la  vita  all'  infelice  de  Suza ,  El- 
vira costretta  si  vide  a  sottoscrivere  alle  inique  condì-, 
zioni,  e  sacrificarsi. 

Le  nozze  furono  celebrate  con  superba  magnifi- 
cenza, e  de  Suza  ottenne  il  perdono  :  ma  non  fu  liberato 
se  non  dopo  che  Elvira  con  lo  sposo   furono  partiti  . 
per  l'Indie. 

*)  Sfogare  il  suo  risentimento  —  fciuen  llni»iU<n  au^s 
laffen.  —  2)  Azzuffarsi  —  ^anbgemein  toerbcn.  —  ^)  Rilevate  due 
ferite  —  jjrei  aPitnbfn  fcf;on  erl^alten. 


X        BAUDASSARE   DE  LAMA.  15^ 

Giunto  colà,  il  novello  viceré  cominciò  a  menare  or- 
goglio  ')  nel  modo  più  ributtante^);  e  questo,  unito  alla 
crudeltà  del  suo  cuore,  fece  che  gii  animi  degV  Indiani 
presto  si  alienarono,  e  cominciarono  a  sollevarsi.  El- 
vira, per  lo  contrario,  con  la  sua  umanità  e  conia 
dolcezza  delle  sue  maniere  fatta  si  era  1"  oggetto  dell' 
amore  e  dell'  ammirazione  d' ognuno.  Il  confronto  ren- 
dea  de  Lama  vie  più  abborrito,  quando  una  circostanza 
s"  aggiunse  ancora  per  accendere  vie  maggiormente 
contro  di  lui  Y  odio  e  V  abbominazione  comune.  Una 
principessa  del  Malabar,  fuggita  pe"  suoi  disordini,  venne 
ad  implorare  asilo  e  soccorso  dal  viceré  di  Goa  contro 
alle  pretese  persecuzioni  ^)  del  re  suo  fratello.  1  tratti 
lusinghieri  di  questa  donna,  le  sue  maniere  insi- 
nuanti, e  più  il  titolo  di  principessa  presto  sedussero 
l'animo  ambizioso  del  uperbo  de  Lama.  Ei  se  n'ac- 
cese, e  a  tal  segno  portò  la  sua  passione ,  che  comin- 
ciò a  trattare  Elvira  non  pur  con  freddezza,  ma  con 
dispregio,  e  a  tenerla  duramente  imprigionata  nelle 
sue  stanze.  La  cosa  si  fé'  palese,  ed  eccitò  l'universale 
indignazione;  ognuno  ne  fremeva  in  suo  cuore,  ognuno 
altamente  ne  mormorava;  ma  il  viceré,  occupato  inte- 
ramentedal  suo  novello  amore,  punto  non  curava  *) 
quel  eh'  altri  dicesse  della  sua  rea  infedeKà  o  della  sua 
barbane. 

In  questo  tempo  Emanuele  de  Suzn  soffrir  non  po- 
tendo di  stare  più  lungamente  lontano  dalla  persona 
che  amava  più  di  sé  stesso ,  determinossi  di  partirsi  in- 
cognito con  due  de  suoi,  e  d'imbarcarsi^)  per  l'Indie. 

Arrivato  a  Goa,  intese  i  barbari  trattamenti^)  che 

*)  Menare  orgojgiio  —  ^o(^mut^ig  irctbcn.  —  2)  Nel  motto 
più  ributtante  —  auf  bfe  ahfà)e\d\é)^t  9ixt.  ■-  ^)  Pretese  per- 
secuzioni —  iJcnncintlit^c  Oierfolgungen.  —  *)  Punto  non  curava 
—  cr  beaà)teU  (\ax  mà)te.  —  ^)  Imbarcarsi  —  ft(^  einfc^iffen, 
-^  ^)  Trattamenti  —  53e!ianMun9, 


15«  NOVELLA  XXX. 

erano  fatti  alla  infelice  Elvira ,  la  compassione  che  tutti 
per  lei  sen  tivano ,  Io  sdegno  onde  tutti  erano  animati 
contro  r iniquo  de  Lama,  e  la  principessa  che  l'avea 
sedotto.  Sospirò  altamente  a  queste  nuove  ^  un  impeto 
di  primo  sdegno  portato  T  avrebbe  a  punire  il  brutale,  e 
a  vendicare  l' oppressa  viceregina ,  ma  vide  il  pericolo 
a  cui  esponevala,  i  sospetti  che  formati  sarebbonsi  contro 
di  lei,  l'obbrobrio  di  cui  verrebbe  a  coprirla  in  faccia 
alla  corte  e  a  Lisbona,  con  una  vendetta  di  cui  Y  avreb- 
bono  creduta  complice  ;  moderò  l' ira ,  e  pensò  a  gio- 
varle con  più  cautela  o  più  sicurezza.  Impone  ad  uno 
de'  suoi  che  trovasse  modo  d' introdursi  alla  corte  del 
viceré,  e  d'esser  ammesso  al  servigio  d'Elvira,  al- 
l'altro d'insinuarsi  presso  alla  principessa  onde  spiare 
ciò  che  questa  e  1"  infedele  de  Lama  contro  di  lei  mac- 
chinassero. 

Non  andò  mollo  eh'  ei  venne  a  scoprire  1"  infame 
orditura  *)  del  più  orribile  tradimento.  Acciecato  de 
Lama  dalla  sua  indegna  passione  acciecato  dalla  mal- 
nata ambizione  di  vedersi  unito  con  real  sangue,  sti- 
molato dalle  contmue  istigazioni  ^),  della  scellerata  fem- 
mina ,  s"  arrese  all'  esecrabil  partito  di  sbrigarsi  d'Elvira 
con  un  veleno,  per  quindi  passare  a  nuove  nozze  con 
la  principessa  che  iniquamente  adorava. 

Il  veleno  le  fu  recato  di  fatto  :  ma  Elvira  ne  venne 
a  tempo  avvertita.  Il  rumore  di  questo  indegno  atten- 
tato si  sparse  subito  per  la  corte  e  per  la  città:  gli 
animi,  già  per  l'innanzi  inaspriti,  non  sépper  reggere 
a  questo  nuovo  orrore  :  un  fremito  d'  abbominazione  e 
di  sdegno  andò  serpeggiando  ^)  per  ogni  parte  ;  i  più 
malcontenti  e  più  ardimentosi  uscirono  a  furia  aperta; 
sollevarono  il  popolo,  assediarono  la  corte,  assalirono 
r  appartamento  della    principessa  e  la  trucidarono.    II 

*)  Orditura  --  ^(nfd^lag,  ©eluebe.  —  2)  [stigazioue   —  5ln« 
Pifhmg.  —  3)  Serpeggiando  —  cinfc^lcic^enb. 


BALDASSARE  DE  LAMA.  IS? 

viceré  infuriato  accorse  *  tosto  alla  difesa ,  ma  non  era 
più  a  tempo  :  ed  ei  medesimo  sarebbe  dalla  rabbia  del 
popolo  rimasto  ucciso,  se  Emanuele,  temendone  le  con- 
seguenze, coi  due  suoi  fidi  combattendo  per  lui  valoro- 
samente, non  si  fosse  interposto  a  salvarlo. 

Non  è  da  dire  la  confusione  dell'  orgoglioso  de 
Lama,  quando  conobbe  di  dovere  la  vita  al  suo  stesso 
rivale,  e  in  un  momento  in  cui  la  rea  coscienza  ben  lo 
convinceva  quanto  egli  avesse  meritato  la  morte.  Il 
dolore  di  vedersi  rapita  la  principessa  che  amava,  e  che 
tanto  avea  lusingata  la  sua  vanità,  la  vergogna  di  ve- 
dere scoperta  la  sua  scelleraggine,  l'  abbattimento  nel 
mirarsi  dal  popolo  generalmente  esecrato ,  il  timore 
che  tutto  non  si  risapesse  a  Lisbona,  e  non  ne  fosse 
acerbamente  punito,  il  rimorso  del  suo  delitto  mede- 
simo, tutto  il  gittò  in  una  estrema  costernazione  •  e  as- 
salito da  una  febbre  violenta,  ei  si  vide  ben  presto 
vicino  al  suo  termine  e  in  queir  ora  suprema,  ei  vide 
la  serie  t\i  tutte  le  sue  malvagità,  vide  tutto  l'orrore 
dell"  ultimo  tradimento;  e,  tocco  da  pentimento,  fatti  a 
sé  chiamare  Elvira  ed  Emanuele,  con  le  lagrime  agli 
occhi  cosi  lor  disse:  Elvira,  che  mia  sposa  non  oso  più 
nominare,  io  conosco  tutte  le  atroci  ')  offese  che  vi  ho 
fatto.  Quanta  virtù  nel  più  barbaro  modo  ho  io  per- 
seguitata ed  oppressa,  e  per  quanto  tempo!  Ah,  il  cielo, 
il  cielo  alfine,  ha  avuto  pietà  di  voi;  esso  alfine  vi  toglie 
ad  un  uomo  che  troppo  renduto  si  era  di  voi  indegno. 
Se  le  mie  vaste  fortune  possono  compensare  in  qualche 
parte  i  torli  che  vi  ho  fatto,  io  tutte  ve  le  abbandono. 
Ma  a  ciò  che  lor  manca,  supplirà  un  dono  più  prezioso. 
Emanuele!  Lavila,  che  generosamente  voi  avete  cer- 
calo di  conservarmi,  or  piace  al  cielo  di  togliermi.  Io 
lo  ringrazio,  che  troppo  in  orrore  io  sarei  stalo  a  me 

^)  Atroci  —  Qraufom. 


158  NOVELLA    XXXI. 

medesimo  sopravvivendo  al  mio  misfatto.  Voi  solo  era- 
vate dégno  d'Elvira,  io  ve  l'ho  iniquamente  rapita,  or 
ve  la  rendo.  Fatela  voi  cosi  lieta  e  felice,  com'  io  l'ho 
fatta  infelice  sinora.  Una  sola  grazia  oso  chiedere  ad 
amendue,  ed  è  che,  dimentichi  di  quanto  ho  fatto  fm 
qui,  serbiate  la  memoria  di  questo  solo  momento,  e 
questa  memoria  non  sia  da  voi  abborrita.  Abbraccia- 
temi in  segno  del  vostro  perdono  per  l' ultima  volta  :  io 
muojo  contento.  Cosi  spirò  tra  le  loro  braccia,  bagnato 
ancora  del  loro  pianto;  ma  portò  seco  il  rammarico  *) 
d'avere,  pel  suo  orgoglio  e  la  sua  crudelià,  così  indeg- 
namente disonorata  la  sua  vita. 


NOVELLA  XXXL 
Ili  FRATBIiliO  QEMeROISO. 

Wia'  un  raro  esempio  di  fraterna  amorevolezza  ^)  ab- 
biamo noi  riportato  nella  novella  de'  Due.  Fratelli.  Un 
secondo  ci  è  avvenuto  d' incontrare  recentemente  ;  e 
benché  a  quello  di  molto  si  rassomigli,  non  vogliam 
tuttavia  lasciare  di  riferirlo.  L'amor  tra' fratelli,  che  ispi- 
rato dalla  natura  medesima  esser  dovrebbe  sì  universale 
e  6i  vivo,  si  vede  spesso  illanguidir  ^)  a  poco  a  poco  ed 
estinguersi;  e  talvolta  ancora  con  sommo  scandalo  quei 
che  fra  loro  son  più  congiunti  di  sangue,  si  veggono  di- 
venii-e  lun  contro  l'altro  i  più  fieri  e  più  arrabbiati  ne- 
mici. Molte  son  le  cagioni  che  traggono  *)  gli  uomini  a 
rompere,  e  in  si  vituperevoli)  maniera,  i  più  sacri  vincoli 
della  natura  ;  ma  1'  interesse  è  quello  che  più  sovente  a 
ciò  gli  spinge  ^).  Un  idolo  troppo  caro  di  lui  si  formano  gli 

*)  Rammarico  —  ®tam.  —  ^)  Amorevolezza  —  fiicBe.  — 
^)  Illanguidir  —  ermatten.  —  *)  Traggono  —  ucrtciten.  — 
^)  vituperevole  —  fd^ànUic^.  —  ^)  Spinge  —  hmtQt,  i\t)iuqt. 


IL  IR ATELLO  GENEROSO.  15# 

uomini,  e  a  lui  ogni  cosa  iniquamente  corrono  a  sacri- 
ficare. Possan  gli  esempi  di  generosità,  che  andiamo 
narrando,  eccilare  una  nobile  emulazione,  e  fornirci 
spesso  il  piacere  di  ricordare  delle  azioni  egualmente 
magnanime  e  gloriose  ! 

Era  gi'd  lungo  tempo  che  Alberto  Gualtieri  inutil- 
mente avea  messo  in  opera  ogni  mezzo  per  richiamare  *) 
FeiTante,  suo  figlio,  da'  vizi  a'  quali  abbandonavasi, 
e  ridurlo  sul  buon  sentiero  dal  quale  si  era  SA'iato.  Le 
aff'ettuose  ammonizioni  più  non  avevano  alcuna  forza  ; 
le  riprensioni  e  le  minacce  *)  non  erano  ascoltate,  i 
castighi  Io  irritavano;  il  misero  padre,  più  non  sapendo 
a  qual  parlilo  tenersi,  avealo  fatto  chiudere  in  una 
torre,  e  star  là  dentro  più  mesi,  ma  non  ne  era  us- 
cito che  più  caparbio  e  più  sfrontato  ^). 

Stanco  di  più  sofferirlo,  un  giórno  che  ebbe  questi 
r  ardire  di  volgersi  contro  ii  padre  medesimo,  e  con 
arroganti  parole  oltraggiarlo,  deliberò  di  cacciarlo  im- 
mantinente di  casa:  e,  fornitolo  di  una  piccola  por- 
zione de'  suoi  beni ,  privarlo  di  tutti  gli  altri,  lasciarne 
intero  erede  il  secondo  figlio,  chiamato  Arrigo,  il 
quale,  per  indole  *)  e  per  costumi,  tanto  eragli  di  sod- 
disfazione e  di  conforto,  quanto  di  sdegno  e  di  ramma- 
rico gli  era  il  primo. 

Ferrante  a  si  grave  punizione  non  solo  per  niun 
modo  non  si  mostrò  né  corretto ,  né  sbigottito  ^),  ma 
anzi,  sconsigliato  com'  era,-  lieto  si  tenne  di  potere 
liberamente,  e,  senza  chi  lo  rimbrottasse  ^) ,  far  paghi 
lutti  i  suoi  vizi,  e  soddisfare  '^)  appieno  il  suo  mal  ta- 
lento. Ma  a  poco  a  poco  mancandogli  que'  sussidj  che 

^)  Richiamare  —  abbringen,  —  ^)  Riprensioui  minacce  — 
^ttmie,  3>ro^urg  —  3)  Caparbio  sfrontato  —  ^aléflórrig,  fted^. 
—  •)  Indole  —  @emùt^.  —  S)  Sbigottito  —  bc|ìùrjt.  —  6)  Rim- 
biottasse  —  »oriDcrf€n,  au«f(^clten.  —  ''')  Soddisfare  il  suo  mal. 
talento  —  fciwm  bókn  ■i&ange  nac^geben. 


160  NOVELLA  XXXI. 

il  padre  avevagli  accordato,  e  eli'  egli  affrettato  isi  era 
a  dissipare,  vedendo  la  povertà  ed  il  bisogno  a  gran 
passi  innollrarsi,  incominciò  ad  entrare  in  sé  stesso 
e  a  pentirsi  della  sua  passata  condotta.  Venneglì  allora 
più  volte  all'  animo  di  ritornare  dal  padre ,  e ,  giran- 
dosi ai  piedi  suoi,  implorarne  il  perdono.  Mala  ver- 
gogna da  un  canto,  e  dall'  altra  il  timore  di  essere  ri- 
gettato lo  riteneva  ;  e  mentre  ei  viveva  in  questa  dubbi^età 
di  consigli  ^),  la  morte,  che  il  padre  gli  ^olse  improvvisa- 
mente, troncò  ogni  cosa"),  e  il  lasciò  nel  dolóre  di  una 
quasi  totale  indigenza. 

Non  avendo  allora  più  altro  partito,  ei  si  die  di 
proposito  ad  un  tenore  di  vita  ^)  assai  diverso  :  e,  la- 
sciata ogni  pratica  *)  ed  ogni  vizio,  incominciò  ad 
occuparsi  seriamente,  e  con  l'industria  sua  e  con  le 
sue  fatiche  a  procacciarsi  quel  tanto  che  dalla  perduta 
eredità  più  non  poteva  aspettare.  Non  fu  degli  ultimi 
Arrigo  ad  avvedersi  di  questo  cambiamento  felice-  » 
come  virtuoso  egli  era  e  di  cuore  ben  fatto ,  e  assai 
più  amareggiato  lo  aveano  i  disordini  del  fratello,  di 
quello  apprezzasse  l'  eredità  per  essi  acquistata,  del. 
ravvedimento  ®)  di  lui  fu  il  più  lieto  uomo  del  mondo 
Come  però  il  pentimento  prodotto  dalla  necessità,  ove 
questa  venga  a  cessar  troppo  presto,  suol  bene  spesso 
con  lei  finire  e  dimenticarsi,  cosi  egli  deliberò  di  la- 
sciarlo a  quella  per  alcun  tempo ,  onde  il  suo  nuovo 
proponimento  ^)  fosse  più-  fermo,  ed  egli  avesse  pur 
campo  di  sperimentare  con  1'  uso  quanto  una  vita  savia 
e  costumata  sia  per  sé  medesima  da  preferire  ad  una 
sregolata  e  licenziosa.  Allorché  parvegli  di  esserne  as- 
sicurato abbastanza,  senza  dir  nulla  a  chi  che  fosse, 

*)  Dubbietà  di  consigli  —  atat^tojigleit.  —  ^)  Troncò  ogni 
cosa  —  J^i^fc^tug  ober  yercitclte  Sltteé.  —  ^)  Tenore  di  vita  — 
SeBenétoanbel.  —  *)  Pratica  — -  fc^lcd&ter  Umgang.  —  ^)  Ravvedi- 
mento —  dìtwi,  —  ^)  Proponiraento  —  SJorfa^, 


IL  FRATELLO  GENEROSO.  161 

prese  il  testamento  paterno,  e,  compiegatolo  *)  a  un 
suo  viglietto,  glielo  trasmise,  così  scrivendogli  : 

5.MÌ0  caro  Ferrante:  Io  vi  rimetto  le  carte  con 
cui  nostro  padre  mi  ha  fatto  erede  di  tutti  i  suoi  beni. 
S'  egli  vivesse  tuttora,  io  so  che  adesso  ben  altrimenti 
ne  disporrebbe.  E"  gli  ha  tolti  a  ciò  che  voi  foste  ^)  •  io 
godo  di  renderli  a  ciò  che  or  siete.  Gradite  un  atto  di 
giustizia  e  di  dovere  che  di  buon  cuore  adempio  verso 
di  voi.  —  Vostro  fratello  Arrigo." 

Era  il  di  primo  dell'  anno  quando  Ferrante  si  vide 
recare  questo  viglietto  accompagnato  da  un  siffato  pre- 
.sente,  che  certo  non  avrebbe  potuto  mai  aspettarsi. 
L'  espressioni  amorevoli  del  fratello  altamente  1'  intene- 
rirono, la  rara  generosità  lo  sorprese  :  ma  non  volendo 
tuttavia  essere  da  meno,  né  abusarne,  rimandandogli 
il  testamento,  così  rispose:  —  Degno  e  incomparabil 
fratello  :  La  vostra  generosità  troppo  giustifica  le  dis- 
posizioni di  nostro  padre.  Io  ve  le  rimando,  che  niuno 
potea  meglio  di  voi  merilarle.  Quando  poco  ho  apprez- 
zato i  suoi  saggi  consigli  quando  ei  vivea ,  altrettanto 
io  debbo  onorare  la  sua  memoria  e  rispettare  gli 
<  Mremi  di  lui  voleri.  L'  aver  ricuperato  l'amor  vostro, 
e  la  vostra  stima  olbliga  ^)  abbastanza  la  riconoscenza 
di  vostro  fratello  Ferrante.  — 

Arrigo,  avuta  questa  risposta,  corse  da  lui  imman- 
tinente, e  abbracciandolo  :  La  troppo  cara  e  rispettabii 
memoria  di  nostro  padre  non  meglio,  disse,  può  ono- 
rarsi che. distruggendo,  come  farebbe  egli  stesso,  un 
alto,  il  quale  se  giusto  potè  sembrare  una  volta,  ora 
sarebbe  ingiustissimo.  Nel  sacro  nome  adunque  di  lui 
medesimo  io  lo  abolisco  per  sempre,  e  voi  rientrate  in 

*)  Compiegatolo  —  c3  bcigefiigt,  teigefc^Ioffen.  —  ^)  E'  gli 
ha  tolti  a  ciò  che  voi  foste  —  cr  Ijat  [ie  eud^  ivcggenommen  iti 
^nUtxQ^i  bcfjTcn,  it>a6  i^r  toarb.  —  ^)  Obbliga  —  xxrHnbfn,  »ers 
Binblicf)  ma^en. 

Soave,  Novelle.  1 1 


162  NOVELLA  XXXn. 

que'  diritti  che  dato  vi  ha  la  natura,  e  che  la  virtù  vo- 
stra v'  ha  racquistati.  Ciò  detto ,  senza  aspettarne  pur 
replica,  da  lui  staccandosi,  e  corso  al  fuoco,  diede  alle 
fiamme  il  testamento  e  l' incenerì. 

Un  tenero  contrasto  d'  affetti  e  di  generosi  senti- 
menti qui  nacque  tra  i  due  fratelli,  negando  l'uno  di 
ripigliare  ciò  a  cui  diceva  d'  aver  perduto  ogni  diritto, 
e  r  altro  di  ritenere  ciò  che  affermava  non  essere  più 
a  lui  dovuto.  Alla  fine  Arrigo  la  vinse  ^),  volendo  ad 
ogni  patto  che  almeno  egualmente  ambedue  de'  paterni 
Leni  godessero,  lasciandoli  fra  se  indivisi;  e,  ciò  da 
Ferrante  accettato ,  cosi  poi  vissero  sempre  fra  loro 
congiunti,  che  fratelli  mai  non  si  videro  uè  più  amore- 
voli, né  più  concordemente  contenti. 


NOVELLA  XXXÌI. 

Iti  CAmiBIO  AVVENTURATO  ^h 

Jiudossio  e  Leonzio  nati  erano  amendue  di  mediocri 
fortune,  ma  per  virtù  e  per  senno  amendue  di  lunga 
mano  su  i  loro  eguali  si  distinguevano  ^).  Aveano  in- 
sieme compiuto  il  corso  de'  loro  studi;  e  contratta  fin 
dai  primi  anni  un  intima  dimestichezza,  la  qual  durò 
fino  air  ultimo  dei  loro  giorni;  non  tolse  questa  però*) 
che  amendue  ad  un  diverso  tenor  di  vita  non  s'  appi- 
gliassero, prendendo  ognun  quella  via  a  cui  dal  genio  e 
dalla  natura  sentiasi  invitato.  Eudossio,  d'  animo  intn 
prendente ,  attivo ,  pronto ,  avveduto ,  e  qual  richiede 
a  grandi  affari,  si  diede  agi'  impieghi  politici;  e  con 
sua  destrezza  e  co'  meriti  suoi  avanzandosi  di  grado 


e 

1 


*)  La  vinse  —  fe^te  e$  bmdi).  —  2)  \[  cambio  avventurato 
—  bet  g(ù(fncl&c^aufi&.  — i^)  Di  lunga  mano  si  distinguevano  — 
jtc  if)aten  ftc^  M  mìUm  ^evijor,  ttekn  n.  —  *)  IVon  tolse  però  — 
Btnberte  et5  abn  ni^i. 


IL  CAMBIO  AVVENTURATO.  163 

grado,  giunse  col  tempo  a  grandi  onori  ed  a  vaste  for- 
tune. Leonzio,  di  animo  più  pacato  e  tranquillo,  alieno 
da'  tumulti  e  dalle  brighe ,  e  contento  della  sua  libera 
mediocrità ,  tutto  intero  applicossi  alla  quieta  coltura 
delle  scienze,  nelle  quali  fece  si  alti  progressi,  che 
uno  de'  più  dotti  nomini  dell'  età  sua  fu  riputato. 

Amici  sempre  ed  intrinsechi  *)  al  pari,  sebbene 
di  occupasùoni  fra  loro  e  di  grado  cosi  disgiunti, 
amendue  vissero  fin  oltre  agli  anni  quaranta  senza  le- 
garsi ad  alcuna  donna.  Giunti  che  furono  a  quella  età, 
di  concerto  deliberarono  di  ammogliarsi;  e  comeEudos- 
sio  già  era  stanco  de'  lunghi  affari  e  degli  strepiti  della 
corte,  e  del  tumulto  <!elle  città  pur  noiato  da  lungo 
tempo  era  Leonzio ,  insieme  determinarono  di  ricove- 
rarsi fra  la  quiete  ed  il  silenzio  delle  campagne  ,  e 
quivi  in  seno  all'  amicizia,  non  più  disgiunti  da  cosa 
alcuna,  passar  lietamente  ciò  che  restava  del  viver  loro» 
Eudossio  con  le  sue  ampie  dovizie  in  luogo  ameno  e 
ridente  si  comperò  un  ricco  feudo;  e  presso  a  lui  un 
piccol  podere  pure  acquistossi  Leonzio,  che  con  le  sue 
cure  poi  seppe  rendere  di  maggior  prezzo,  e  colà 
amendue  con  le  lor  donne  tranquillamente  si  ritirarono. 

Avvenne  che  queste  pressoché  al  tempo  medesimo 
si  trovarono  vicine  al  parto  ;  e  quella  di  Eudossio  diede 
alla  luce  un  bel  maschio ,  quella  di  Leonzio  una  bellis- 
sima figlia,  di  che  amendue  contenti  furono  oltre  ogni 
credere,  e  lieta  festa  ne  fecero  concordemente.  Ma  il 
loro  giubilo  venne  ben  presto  a  turbarsi  ;  che  sorpresa 
la  moglie  di  Leonzio  pochi  (fi  dopo  il  parto  da  male 
violentissimo,  nel  più  bel  fioro  degli  anni  miseramente 
fu  dalla  morte  rapita.  Il  dolor  di  Leonzio  a  questa  per- 
dita per  lungo  tempo  fu  inconsolabile ,  e  senza  i  con- 
forti e  le  tenere  cure  e  le  amorose  «ollecitudini,  onde 

^)  Intrinseco  —  ttertraut. 

II* 


164  NOVELLA  XXXIL 

Eudossio  prendeva  parte  al  suo  rammarico  e  seco  stu- 
diavasi  di  dividerlo,  ei  non  avrebbe  potuto  si  lunga- 
mente r  acerbità  comportarne,  che  non  venisse  a  soc- 
combere. Sostenuto  dalle  premure  amorevoli  dell'  amico, 
ei  cominciò  poco  a  poco  a  temperare  il  suo  cordoglio; 
ma  un  molesto  pensiero  tuttora  Io  affliggeva ,  che  mal 
sapeva,  essendo  egli  uomo,  e  solo ,  come  potere  alla 
figlia  sua,  allor  che  fosse  cresciuta,  dare  siffatta  edu- 
cazione, che  non  pur  saggia,  ma  ancor  leggiadra  e 
manierosa  giovane  divenisse,  e  ben  esperta  di  tutto 
ciò  che  a  gentildonna  è  conveniente. 

Un  di  che  stava  con  Eudossio  intertenendosi  *)  con 
quella  intrinsichezza  che  un'antica  amicizia  suol  ispi- 
rare *),  ei  venne  manifestandogli  questa  spina  ^)  che 
il  cuor  gli  pungeva,  e  si  fece  a  pregarlo  che  volesse 
alla  donna  sua  raccomandar  la  bambina,  affinchè,  quando 
venuto  ne  fosse  il  tempo,  sotto  alla  sua  cura  si  conten- 
tasse di  prenderla,  e  seco  medesima  cortesemente  alle- 
varla. Eudossio  promise  tosto  che  fatto  avrebbelo  vo- 
lentieri. Ma  un  compenso,  gli  disse ,  da  voi  pur  anchj 
io  bramerei.  Questo  figlio,  che  il  ciel  m'ha  dato,  iP 
vorrei  pure  che  degno  un  giorno  si  dimostrasse  della 
fortuna  in  cui  debbo  lasciarlo,  e  che  buon  uso  sapesse 
farne.  Ma  avvezzo  finora  al  rumor  della  corte  ed  al 
tumulto  degli  affari,  niun  pensiero  io  ho  potuto  dar  mai 
a  ciò  che  meglio  per  una  saggia  educazione  conven- 
gasi, ne  abbastanza  per  me  medesimo  saprei  condurli 
Oltre  a  questo,  io  temo  ancora  che  se  il  figlio  mi 
giugne  per  tempo  a  conoscere  il  ricco  stato  in  ci 
debbe  trovarsi,  fatto  di  ciò  orgoglioso,  a  tanti  ali 
non  si  assomigli,  i  quali  credono  che  ninna  cultui 
d'animo,  e  ninna  sorta  di  proprio  merito  sia  neces- 
saria a  chi  è  nato  di  ampie  fortune ,  e  che  le  richezze 

*)  Interteuersi  —  fi^  unUxf)(xiUn.   —  ^)  Ispirare  —  cin» 
ftófien.  —  »)  Spina  —  S)orn,  (Stac^el. 


IL  CA^fBIO  AVVENTURATO.  J6ft 

suppliscano  per  tutto  quanto.  Io  vorrei  dunque  ch'egli 
ignorasse  per  lungo  tempo  la  propria  condizione;  e 
poiché,  d' altra  parte,  migliore  educatore  io  non  potrei 
né  sperare  ,  né  ottenere  che  voi  medesimo ,  io  brame- 
rei, mentre  teneri  sono  tuttora  amendue  ed  ignoti  a  sé 
«tessiy  che  un  cambio  tra  noi  facessimo  de'  nostri  figli, 
e  voi,  il  mio  prendendovi,  la  vostra  figlia  a  me  lasciaste, 
e  cosi  amendue  gli  allevassimo  come  se  fossero  nostri 
propri. 

Con  lieto  animo  accettò  Leonzio  il  partito,  e  pronto 
«i  offerì  ad  impiegare  ogni  cura  onde  "il  figlio  di  Eu- 
dossio  tal  divenisse  qual  egli  il  desiderava.  Resta  sol- 
tanto, diss'  egli,  che  questo  cambio  alla  vostra  donna 
pur  non  dispiaccia,  e  che  ella  sostenga  di  vedersi  stac- 
cato ^)  il  suo  figlio.  Io  prendo,  rispose  Eudossio, 
sopra  me  stesso  il  carico  di  far  eh'  ella  pure  ne  siai 
contenta.  E  come  ella  era  savissima  donna,  cosi  non  fu 
punto  difficile  *)  il  persuaderla ,  tanto  più  eh'  ella  ben 
sapea  a  chi  il  figlio  suo  raccom^andavasi,  e  che  stando 
essi  d' abitazione  l' un'  all'  altro  vicini ,  poteva  agevol- 
mente col  figlio  intertenersi  ogni  qual  volta  l'avesse 
desiderato. 

Ciò  adunque  tra  lor  fermato ,  tardar  non  vollero 
a  metterlo  ad  effetto:  e  fatto  il  cambio,  ciascun  di  loro 
pel  figlio  che  aveasi  adottato  prese  sì  forte  amore  e  si 
tenera  cura,  che  ninno  avrebbe  potuto  non  che  avve- 
dersi, ma  neppur  mai  sospettare  che  vero  padre  ciascun 
non  fosse  di  quello  che  allevava.  I  due  bambini  pur- 
anche ,  a  mano  a  mano  che  venner  crescendo,  d'  egual 
amore  e  di  egual  tenerezza  a"  supposti  lor  genitori  si 
corrisposero,  e  così  bene  degli  ottimi  ammaestramenti 
approfittarono,  ne' quali  furono  educati,  che  la  gioia 
divennero  e  la  delizia  di  tutti  insieme. 

*)  Staccato  — gctrennt.  —*)  Punto  difificile  —  ^at  nic^tfc^\oer. 


166  NOVELLA  XXXII. 

Il  giovin  Flavio  soprattutto ,  figlio  credendosi  'dì 
Leonzio,  e  veggendo  le  tenui  sostanze  che  questi  aveva, 
comprese  che  nel  suo  studio  soltanto  e  nella  sua  in- 
dustria ogni  sua  speranza  potea  riporre  ;  e  desideroso, 
per  altra  parte,  di  presto  mettersi  in  grado  di  compen- 
sare coir  opera  sua  e  coi  suoi  acquisti  le  cure  amorose 
d'un  sì  buon  padre,  si  die  con  tanta  applicazione  a 
tutto  ciò  che  questi  venne  insegnandogli,  che  in  breve 
tempo  in  ogni  genere  di  dottrina  fu  profondissimo  ,  e 
superando  la  sua  età  di  gran  lunga,  fu  qual  prodigio 
ammirato  da  tutti  quelli  che  il  conoscevano. 

Intanto  come  frequentemente  egli  usava  in  casa 
di  Eudossìo,  veggendo  quivi  la  giovane  che  avea  questi 
adottato,  e  che  ogni  dì  più  pregevole  diveniva  per 
bellezza  e  per  grazie ,  e  per  ogni  maniera  di  onesto 
costume,  ei  nepres«  insensibilmente  un  amore  arden- 
tissimo.  Di  non  minore  eziandio  per  lui  s' accese  la 
giovane;  ma  non  osando  1' uno  pur  lusingarsi  che  una 
donzella,  erede  unica  d' un  patrimonio  vastissimo ,  po- 
tesse mai  esser  data  a  lui ,  che  era  (ìi  così  scarse  for- 
tune, 6  non  sofferendo  all'  altra  pur  V  animo  di  pensar 
cosa  che  ai  suoi  parenti  spiacer  potesse ,  ardevano  se- 
gretamente amendue,  senza  aver  cuore  di  palesarsi 
r  amore  che  si  portavano. 

Mentre  erano  essi  in  tale  stato,  Eudossio,  il  qual 
vedeva  suo  figlio  già  essere  divenuto  il  più  savio  e  va- 
loroso giovane  che  mai  poi  esse  bramare,  impaziente  di 
richiamarlo  a  sé  stesso  e  manifestargli  l'origin  sua, 
rendute  a  Leonzio  le  grazie  più  vive,  il  pregò  a  voler- 
glielo ritornare.  Questi,  che  già  1" amava  come  suo 
proprio  figlio,  provò  grandissima  pena  a  doversi  da  lui 
dividere,  e  togliere  a  sé  medesimo  una  sì  dolce  illu- 
sione. Pur  convenend  ogli  cedere,  chiamato  il  giovane 
in  disparte,  gli  ordinò  che  ad  Eudossio  andar  dovesse, 
che  di  gravissimo  affare  avea  seco  a  trattenersi  :  e  non 


IL  CABIBIO   AVVENTURATO.  16» 

potendo  di  più  aggiugnere  per  le  lagrime  che  gli  so- 
pravvennero, baciatolo  più  volte  teneramente ,  e  con 
isforzo  da  lui  staccatosi,  licenziandolo,  si  ritirò. 

Sorpreso  il  giovane  a  questo  pianto  e  agli  atti  di 
tenerezza  insieme  e  di  dolore ,  di  cui  non  sapea  com- 
prendere la  cagione,  agitato  da  mille  dubbi  e  da  mille 
diversi  pensieri,  ad  Eudossio  si  fece  innanzi.  Il  trasporto 
di  giubilo  e  di  amore,  con  cui  Eudossio  corso  tosto  ad 
abbracciarlo  ,  incominciò  a  dargli  animo  ;  ma  troppo 
lungi  essendo  egli  tuttora  dal  sospettare  che  questi  po- 
tesse a  lui  esser  padre,  allorché  inteselo  di  sua  bocca, 
e  udì  il  cambio  che  con  Leonzio  egli  avea  fatto,  rimase 
estatico  e. quasi  interamente  fuor  di  sé  stesso.  Tornato 
a  sé  medesimo,  ei  cadde  a' piedi  di  Eudossio,  e  tene- 
ramente abbracciandoli.  Gli  atti  di  dolce  amorevolezza, 
che  voi  m'avete  cotante  volte  mostrato,  ben,  disse, 
avrebbero  potuto  indurmi  sospetto  di  quello  che  or  vi 
degnate  di  palesarmi  :  ma  chi  avrebbe  potuto  creder 
giammai  che  la  tenera  cura,  che  di  me  avea  Leonzio, 
altro  esser  potesse  che  effetto  d'amor  paterno?  Qual 
padre  mai  altrettanto  si  vide  fare  per  un  suo  figlio?  Io 
godo  adunque,  o  signore,  di  riconoscere  in  voi  quello 
a  cui  debbo  questa  mia  vita ,  che  oggimai  sarà  tutta 
vostra,  ma  veri  dovete  pur  comportare  ch'io  segua, 
qual  altro  padre,  a  riguardare  colui,  al  quale  tenuto  io 
sono  di  tanto.  Delle  fatiche  che  egli  ha  soiferto  e  delle 
sollecitudini  che  ha  usato  nell' allevarmi  io  gli  debbo 
aver  gratitudine  infin  che  viva  :  né  s' io  vivessi  mill' 
anni,  credo  che  mai  potrei  giugnere  a  compensarlo 
abbastanza.  Un  piccol  compenso  però,  o  padre,  voi  gli 
potreste  pur  dare,  che  il  colmo  porrebbe  insieme  alla 
mia  felicità.  Isabella,  che  voi  avete  finor  tenuta  in  luogo 
di  figlia,  è  gran  tempo  che  con  la  sua  bellezza  e  più 
con  le  dolci  maniere,  di  che  a  voi  e  alla  madre  mia  è 
debitrice,  mi  ha  acceso  del  più  vivo  amore  che  in  alcun 


168  NOVELLA  XXXII. 

giovane  ardesse  mai;  ma  non  osando  io  aspirare  alle 
sue  nozze,  che  di  troppo  a  me  credevala  superiore ,  io 
mi  son  contentato  di  adorarla  in  mio  cuore  segreta- 
mente senza  giammai  palesarmi.  Or  quando  voi  nella 
figlia  voleste  il  padre  ricompensare,  io  vorrei  pregarvi 
a  scoprirle  l' affetto  mio,  e  fare  che,  a  me  stringendosi, 
a  parte  resti  tuttora  dei  vostri  beni,  e  che  amendue  per 
questo  modo  di  voi  e  di  Leonzio  seguiam  tuttora  ad 
esser  figli. 

Eudossio  a  queste  parole  con  vie  più  vivo  trasporto 
di  gioia  riabbracciandolo  :  Ah  figlio,  disse,  che  la  mia 
dolce  speranza  fmor  sei  stato ,  e  che  ora  sei  la  mia 
piena  felicità,  questi  tuoi  sentimenti  di  grato  animo 
quanto  maggiormente  a  me  dimostrano  la  tua  virtù,  e 
quanto  mi  danno  a  conoscere  ciò  eh'  io  debbo  a  Leonzio 
d'averti  fatto  qual  ti  palesi!  Se  la  virtù  di  quell'uomo 
incomparabile  altro  premio  potesse  desiderare  fuori  di 
quello  che  suol  portare  con  se  medesima,  cioè  la  dolce 
soddisfazione  di  aver  bene  operato,  certamente  non  vi 
ha  cosa  che  io  per  lui  non  facessi;  ma  oggimai  di  tutti 
ì  miei  beni  ei  potrà  meco  disporre  a  suo  talento.  Ri- 
spetto alla  figlia  sua,  che  qual  mia  propria  io  m'ho  fmor 
riguardata,  non  tanto  a  lui,  quanto  a  me  medesimo  tu 
fai  la  più  cara  e  più  dolce  cosa  del  mondo  chiedendo 
di  essere  a  lei  congiunto.  Il  più  vivo  desiderio  di  me, 
non  meno  che  di  tua  madre,  hai  tu  con  ciò  prevenuto. 
Ma  questa  pure  è  oggimai  impaziente  di  abbracciarti  : 
andiamo^  che  tal  conforto  non  è  a  lei'  da  tardarsi  più 
lungamente. 

La  madre ,  cui  mille  anni  pareva  ogni  momento, 
al  primo  vederlo  ebbe  a  struggersi  di  tenerezza  e  di 
gioia,  e  saziar  non  potevasi  di  abbraciarlo  e  di  baciarlo. 
Più  crebbe  ancora  la  contentezza,  quand'ella  udi  che 
il  figlio  suo  riacquistando,  perduto  non  avrebbe  tutta- 
via Isabella,   cui  sotto  altro  titolo  più  non  sapea  ri- 


NOVELLA  XXXUI.  IL  FALLIMENTO.  169 

guardare  che  come  un'altra  sua  figlia.  Questa  da  lei 
istruita  di  lutto  ciò  ch'era  occorso,  benché  sorpresa  e 
attonita  in  sulle  prime  si  rimanesse,  lieta  poi  venne 
oltremodo  all'in'endere  che  la  fortuna,  tutto  serbandole 
ciò  che  si  dolce  le  era  stato  fino  a  queir  ora ,  un  padre 
si  rispettabile  ed  uno  sposo  si  caro  pur  le  donava.  E 
chiamato  Leonzio,  che  pieno  di  tenerezza  sen  corse  ad 
abbracciar  la  sua  figha,  e  fatte  le  nozze  col  più  vivo 
giubilo  di  tutti  insieme ,  altro  più  non  formarono  che 
una  sola  famiglia ,  in  cui  Y  amicizia ,  e  l' amore  scam- 
bievole non  meno  sacri  legami  e  men  preziosi  divennero, 
che  fosser  quelli  del  sangue. 


NOVELLA  XXXin. 
Ili    FAIilillflEIITO. 

Avvien  talora  che  uomini  spensierati  *)  e  di  mala  fede, 
avviluppandosi  in  intralciati  negozi  ')  che  atti  non  sono 
a  sostenere,  o  sfoggiando  un  lusso  ^)  superiore  alle 
loro  forze,  vengonsi  caricando  di  debiti  eccessivi,  e 
finiscon  per  ultimo  a  tradire  i  lor  creditori  con  un  vitu- 
perevole fallimento.  A  costoro  ninna  compassione  è  do- 
vuta, e  severamente  avrebbesi  contro  di  essi,  e  per 
«sempio  altrui,  ad  esercitare  tutto  il  rigore  delle  leggi. 
Ma  avviene  pure  talvolta  che  uomini  saggi  ed  onesti, 
per  a\^'ersi  accidenti,  che  l'umana  industria  non  può 
riparare ,  condotti  si  trovino  alla  stessa  sciagura  :  e 
questi  d'ogni  pietà  cer  amente  son  meritevoli.  Degni 
sarebbono  essi  ancora  che  anime  generose  ai  ritro- 
vassero, le  quali,  accorrendo  a  tempo  in  lor  soccorso, 

*)  Spensierati  —  fal^rtàffig.  —  ^)  Avviluppandosi  in  intral- 
ciati negocj  _  ftc^  in  »crtt)i(fcUen  ®ef(^àftett  eintoffen.  — 
')  Sfoggiando  un  lusso  —  9(uftt)anb  matì^en. 


190  NOVELLA  XXXIII. 

ne  prevenissero  l'infortunio;  ma  di  atti  si  grandi  son 
troppo  rari  gli  esempi.  Uno  poro  l'Inghillerra  ce  n'ha 
offerto,  non  è  gran  tempo:  e  tanto  più  volentieri  noi 
prendiamo  a  raccontarlo;  quanto  più  merita  (ìi  essere 
commendato. 

Era  in  Londra  un  negoziante  ,  che ,  parcamente 
vivendo  *) ,  e  i  suoi  affari  reggendo  con  cura  attenta 
e  indefessa  5  discreto  altronde  ne' prezzi,  onestissimo 
ne' contratti  5  avea  acquistata  grandissima  ripu!  azione, 
e  avvantaggiata  di  molto  ^)  la  sua  fortuna.  Estendendo 
egli  il  suo  commercio  a  misura  che  in  lui  crescevano 
ì  fondi  e  le  sostanze,  arrivò  ad  aver  ricco  traffico  non 
pure  con  varie  parti  dell'  Europa,  ma  coli'  America  an- 
cora e  coir  Indie.  Quand'ecco  improvvisamente  nel  più 
bel  fiore  di  sua  fortuna  si  vide  egli  in  procinto  *)  di 
perdere  d' un  tratto  il  frutto  di  tutte  le  sue  passate  fa- 
tiche. Una  nave  egli  attendeva  da  lungo  tempo  carica 
di  ricche  merci.  Un  di  gli  giugne  l'avviso  che,  assalita 
da  furiosa  tempesta  *) ,  aveva  questa  rotto  ad  un  sco- 
glio ^),  e  che  salvatisi  appena  alcuni  dei  marinai,  lutto 
il  resto  era  ito  a  fondo  *^).  Avvicinavasi  il  termine  de' 
pagamenti,  e  sprovvedulo  trovandosi,  né  sapendo  in  si 
grave  perdita  dove  avere  ricorso,  ei  credeasi  già  ro- 
vinato senza  riparo. 

Mentre  era  nel  colmo  dell'afflizione,  il  cassiere 
d'uno  de' suoi  creditori  gli  si  presenta,  e  gli  porge 
una  lettera.  Non  dubitando  che  questa  non  fosse  un' 
intimazione  a  dover  prontamente  soddisfare  al  suo  de- 
bito, ei  riguardava  già  questo  momento  come  il  prin- 
cipio della  sua  totale   rovina.  Apre   quindi    con   man 

^)  Parcamente  vivendo  —  màpig  leben.  —  ^)  Avvan- 
taggiata di  molto  etc.  —  l'ebeutenb  feinc  Sage  gcbefìfect.  —  *)  In 
procinto  ~  in  ber  ^uc^jien  ©efal^r.  —  *)  Assalita  da  furiosa 
tempèsta  —  »om  (Sturine  angecjriffen.  —  ^)  Rotto  ad  uno  sco- 
glio —  an  eine  Mi)ppe  gerfd^tagen.  —  ^>lto  a  fondo—  311  ©rmibe 
gegangcn. 


IL  FALLIMENTO.  171 

tremante  la  lettera,  siccome  uomo  il  qual  portare  si 
vegga  la  fatai  sentenza  di  morte,  e  facendosi  sforzo 
per  leggerla,  che  appena  il  cuore  gli  reggeva,  vi  trova 
queste  espressioni: 

„Amico!  So  la  disgrazia  che  vi  è  accaduta; 
ma  come  so  altronde  la  vostra  probità,  attività  e  intelli- 
genza, ho  risoluto  di  aiutarvi.  Fatevi  adunque  coraggio. 
Al  debito,  che  voi  avete  con  me,  adempirete  ad  altro 
tempo-  Perchè  frattanto  possiate  soddisfar  prontamente 
a  quei  che  avete  con  altri,  il  mio  cassiere,  che  è  il  por- 
tatore della  presente,  vi  rimetterà  in  contanti  la  somma 
di  cinquemila  lire  sterline,  ed  egli  ha  pur  ordine  di 
pagare  una  lettera  di  cambio  di  egual  somma,  che  voi 
mi  addosserete  ')  quando  vi  aggrada  ^).  Gli  è  quanto 
ho  potuto  or  fare  di  fretta,  per  timor  che  il  soccorso 
non  vi  avesse  a  giugnere  troppo  tardi.  Ma  se  questo 
non  basta,  ihfino  a  cinquantamila  lire  sterline  voi  po- 
tete sopra  di  me  riposarvi  ').  Egli  è  ciò  assai  meno  di 
quello  che  a  voi  si  debbe;  ed  io  rischierei  questa 
somma  pur  di  buon  grado  per  salvare  un  uomo  onesto 
come  voi  siete.  —  Vostro  servidore  ed  amico  Gu- 
glielmo P." 

Non  ebbe  pur  tempo  di  giugnere  al  fine,  che  la 
sorpresa ,  il  giubilo,  la  gratitudine ,  lo  fecero  uscire  di 
se;  e  poiché  si  riebbe  *),  un  dirotto  pianto  di  gioia  e 
di  tenerezza  fu  il  primo  sfogo  in  che  usci:  né  vi  furono 
benedizioni  eh'  ei  non  rendesse  al  suo  magnanimo  bene- 
fattore. 

Era  questi  un  ricco  banchiere ,  che  conoscendolo 
da  lungo  tempo,  e  avendo  la  sua  onestà  e  la  sua  in- 
dustria ammirato  più  volle ,  ebbe  compassione  che  un 
uom  sì  fatto  avesse  così  ad  esser  giuoco  della  nemica 

*)  Addosserete  —  htla^en.  —  *)  Quando  vi  aggrada  — 
toonn  c«  cuc^  bclicbt.  --  ^)  Riposarvi  —  ouf  mic^  oerlaffen.  — 
*j  E  poiché  si  riehbe  —  imb  ali  cr  gu  fic^  fam. 


193  NOVELLA   XXX[V. 

fortuna;  e  appena  ebbe  udita  la  sua  sciagura,  mos 
da  generoso  animo,  deliberò  incontanente  di  farsi  egl 
suo  riparo  e  sostegno  *)  contro  all'  imminente  rovina 

Il  contante  di  fatto  lasciatogli  dal  cassiere  valse 
soddisfar  con  prontezza  a'  debiti  più  pressanti  :  la  lettera 
di  cambio  servì  a  sostenere  il  suo  credito ,  che  ninno 
più  dubitò  non  dovesse  egli  avere  tuttora  di  molti 
fondi  e  di  molte  sostanze,  se  un  banchiere  così  accorto, 
com'  era  Guglielmo  P ,  una  lettera  sì  rilevante  ac- 
cettava da  lui  senza  esitazione  e  senza  contrasto. 

Ordinate  in  tal  modo  le  cose  sue ,  il  negoziante 
potè  continuar  lietamente  il  suo  commercio,  che  il 
cielo  felicitare  pur  volle  per  molte  vie  :  e  in  pochi  ann  i 
non  solamente  ei  fu  in  grado  di  reintegrare  ^)  appieno 
del  suo  credito  il  generoso  banchiere,  ma  ebbe  pure  il 
contento  di  essergli  utile  in  più  incontri,  e  in  più  modi 
mostrargli  la  sua  costante  e  tenera  riconoscenza. 


■  1 


NOVELLA  XXXIV. 

Ma'  I]v«ratit  VDi^ri:. 

J-  ratto  d' avidità  di  guadagno  *)  Tommaso  Inkle,  figlio 
di  un  mercatante  di  Londra,  compiuta  appena  la  fresca 
età  di  vent'  anni,  nulla  temendo  i  pericoli  di  una  lunga 
navigazione,  deliberò  d'imbarcarsi  per  T  Indie  Occi- 
dentali, e  sull'Achille,  che  era  presto  a  far  vela  a 
quella  volla  con  un  capitale  affidatogli  da  suo  padre, 
nel  di  16  giugno  del  1674  se  ne  parti.  Il  vascello,  dopo 
assai  lungo  e  penoso  viaggio,  scoperto  alfin  di  lontano 

*)  Riparo,  e  sostegno  —  èefd^ù^eu.  —  ^)  Reintegrare  — 
«ntfc^àbigcn,  jurùcfbeja^lcn.  —  3)  Tratto  d' avidità  di  guadagno 
—   ^on  ber  ©ierigfcit   be8    ©etoinneé  fortgeriffen. 


L'  INGRATITODINE.  ,  «  193 

il  continente  dell'  America,  venne  a  dar  fondo  *)  in  un 
piccol  seno ,  ove  il  capitano ,  che  d'  acqua  e  d'  altre 
provisioni  sentiva  grave  difetto,  calato  in  mare  lo 
schifo  *) ,  ordinò  ad  alcuni  de'  suoi  che  a  terra  n'  an- 
dassero a  procacciarne.  Mosso  da  curiosità  di  conoscere 
il  paese,  Tommaso  Inkle  n'  usci  con  essi:  ma  inoltra- 
tisi tutti  insieme  entro  terra  soverchiamente,  assaliti  si 
videro  d' improvviso  da  una  banda  di  que'  selvaggi,  che, 
fattisi  loro  sopra,  n'  uccisero  la  più  parte,  e  costretti 
gli  altri  a  fuggire ,  così  li  dispersero,  che  pochi  pote- 
rono sullo  schifo  al  vascello  restituirsi. 

Il  giovin  Inkle  nella  confusione  della  fuga,  cre- 
dendosi ognora  d'  aver  la  morte  alle  spalle,  andò  er- 
rando per  lungo  tempo  ne'  boschi,  finché,  salila  un'  al- 
tura ')  che  più  delle  altre  inospita  gli  pareva,  sfinito  di 
forze,  e  tutto  ansante,  sovra  alla  terra  prosteso  si  ab- 
bandonò. I  più  tristi  pensieri  l'occuparono,  che  ben  ve- 
deva non  poter  altro  in  que'  barbari  luoghi  avvenirgli, 
che  di  morir  di  fame,  o  fra  l'unghie*)  delle  bestie 
feroci,  0  fra  le  mani  di  quei  selvaggi  più  crudi  ancor 
delle  fiere.  Menti'c  abbattuto  da  queste  immagini  spa- 
ventevoli egli  piangeva  dirottamente,  ode  un  romor  tra 
le  fronde,  e  di  terrore  balzando  in  piedi  ^),  e  volto 
a  fuggire  ^),  vede  una  giovine  donna  che  a  quella  parte 
tranquillamente  se  ne  veniva,  e  che  dolcemente  guar- 
dandolo gli  fé'  cenno  di  arrestarsi.  Alquanto  a  ciò  rin- 
corato, egli  si  getta  a  pie  di  lei  supplichevole,  e  con 
le  lagrime,  e  co'  gesti  '),  come  può  meglio,  la  prega  a 
volergli  avere  compassione,  e  trovar  modo  di  salvarlo, 
lariko,  che   tal  chiamavasi  la  giovin  donna,    benché 

*)  Venne  a  dar  fondo  —  (egte  ftc^  t>ox  Stnf^r.  —  ^)  Schifo 

—  53oot.  —  3)  Salita  un'  altura  —  auf  cine  ^nf)ói)t  gclìiegen.  — 
*)  L'unghie  —  Jllauen.  —  ^)  Balzando  in  piedi  —  auffpringen. 

—  6)  E  volto  a  fuggire  —  unb  im  SScgtifc,  btc  ^tnà)t  311  ìxqxìU 
fen.  —  ')  Gesti  ~  ©ehtte. 


l»4  NOVELLA  XXXIV. 

selvaggia ,  pure  sortito  dalla  natura  aveva  pietoso  ani- 
mo *),  e  mossa  per  una  parte  dall'  avvenenza  del  gio- 
vine, e  intenerita  per  1'  altra  dalle  preghiere  di  lui, 
amorosamente  rilevandolo  ^),  il  condusse  ad  una  sua 
grotta,  e  quivi  fattolo  trattenere,  ella  per  breve  tempo 
«i  dilungò  ®),  poi  tornando,  gli  recò  varie  frutta  di 
que'  contorni,  ond'  egli  si  ristorasse  *),  e  Io  scortò  ^) 
ad  un  vicin  fonte,  onde  potesse  trarsi  la  sete. 

Parve  all'  Inglese  giovane  di  rivivere,  e  con  mille 
atti  le  espresse  la  sua  viva  riconoscenza,  di  che  la 
giovin  selvaggia  sempre  più  tocca,  l'assicurò  che  ogni 
timor  deponesse,  che  ella  avrebbe  presa  di  lui  ogni 
cura,  ne  alcun  male  mai  gli  sarebbe  avvenuto.  Ella 
passava  di  fatto  il  più  del  tempo  con  lui,  e  di  tutto 
quello  che  al  vitto  gli  bisognava  il  forniva  ampiamente, 
e  in  sua  guardia  vegliava  mentre  ei  dormiasi,  e  tutta 
quella  sollecitudine  ne  prendeva  che  avrebbe  potuto 
fare  per  un  fratello  o  per  qual  che  siasi  più  stretta- 
mente congiunto. 

Il  giovin  Inkle,  con  lei  trattenendosi,  incominciò 
a  poco  a  poco  a  comprenderne  il  linguaggio,  e  a  farsi 
da  lei  intendere  ;  e  or  d'  una  cosa  interrogandola,  ora 
d' un'  altra,  giunse  in  non  molto  tempo  a  pigliar  cogni- 
zioni di  quei  luoghi ,  e  delle  genti  che  colà  erano ,  e 
delle  cose  migliori  onde  il  paese  abbondava.  Desideroso 
mostrandosi  di  pur  vedere  alcuno  di  quei  prodotti,  egli 
si  fece  a  pregarla  di  voler  alcuno  recargliene,  di  che 
lariko  volonterosa  la  soddisfece:  e  come  preso  forte- 
mente il  mirava  da  questi  doni,  e  vago  d' averne  tuttor 
di  nuovi,  ella,  che  compiacevasi  di  contentarlo,  con 
qualche  nuovo  presente  ogni  giorno  a  lui  sen  veniva, 

*)  Sortito  avea  dalla  natura  pietoso  animo  —  'oon  (Watur 
ùui  mitkìH^oU.  —  2)  Rilevandolo  —  tf;n  empoxì)iUn.  —  »)  Di- 
lungò —  entfctnte  fld^.  —  *)  Ristorarsi  —  ftc^  crf^olcrt.  —  5)  Scortò 
—  geteitete. 


L'  INGRATITUDINE.  19  Ò 

e  quando  un  pezzo  d'  argento,  e  quando  uno  d'oro,  e 
talor  ricche  gemme ,  e  spesso  vaghissime  piume  di 
quegli  uccelli,  e  morbidissime  pelli  di  quegli  animali 
venivagli  apportando. 

Per  questa  guisa  Tommaso  Inkle  in  poco  tempo 
si  vide  richissimo,  e  già  in  suo  cuor  cominciava  a  rin- 
graziar la  fortuna  che  a  si  buon  fine  rivolto  avesse  la 
^ua  sciagura  medesima.  Solo  restava  di  trovar  modo 
onde  potere  di  là  partirsi:  né  era  ciò  da  sperare  se 
non  col  mezzo  di  qualche  nave  europea  che  si  acco- 
stasse a  quelle  spiagge.  Ma  troppo  ei  prevedeva  che  a 
lariko  sarebbe  stato  discaro  *)  il  lasciarlo  da  sé  allon- 
tanare, né  facil  cosa  era  il  fuggire  e  imbarcarsi,  allor- 
ché presentatasi  fosse  1'  occasione,  senza  che  ella  se  ne 
avvedesse.  Ei  prese  adunque  consiglio  d'  indurre  lei 
stessa  a  volerlo  seguire,  e  tante  cose  le  venne  di 
cendo  dell'  Europa  e  delle  vaghe  e  magnifiche  abi- 
tazioni in  cui  avrebbe  quivf  alloggiato  ben  assai  meglio 
che  in  ruvide  grotte  o  a  cielo  aperto,  e  delle  vesti  pom- 
pose con  cui,  in  luogo  di  starsene  mezza  ignuda, 
avrebbe  colà  riparato  alle  ingiurie  delle  stagioni  e  alla 
sua  bellezza  aggiunto  vezzo  e  decoro  ^),  e  dei  cibi  e 
liquori  squisiti  che  vi  avrebbe  gustato,  ben  più  prege- 
voli che  non  fosse  l'  acqua  eh'  ella  beveva,  o  le  fruita 
silvestri  di  cui  pascevasi,  e  dei  sollazzi  d'  ogni  maniera 
che  vi  avrebbe  goduto,  or  veleggiando  sul  mare,  ora 
volando  sui  cocchj,  ora  passando  le  notti  in  liete  danze, 
o  fra  i  suoni ,  e  fra  i  canti ,  e  fra  i  deliziosi  conviti, 
che  la  giovine  americana  senti  destarsi  vaghezza  di 
veder  tutte  si  falle  cose,  e  di  seguitarlo.  Senza  di 
questo, 'puranche  ella  era  già  a  lui  si  stretta  d'  affe- 
zione, che  a  qualunque  parte  del  mondo  sarebbe  stata 
apparecchiata  a  correre  con  esso  lui  qualunque  fortuna. 

*)  Discaro  —  unlicB.  —  ^)  Alla  sua  bellezza  aggiunto  vezzo 
€  decoro  —  i^re  (Sc^ón^eit  reijcnbcr  unb  toùrMger  gemac^t. 


1^6  NOVELLA    XXXlV. 

Stavansi  dunque  amendue  ansiosamente  aspettando  che 
qualche  nave  il  ciel  mandasse  in  quelle  parti,  e  dì  e 
notte  alternatamente  vegliavano  spiando  in  mare.  Dopo 
assai  tempo  scoperta  venne  a  lariko,  che  era  di  acutis- 
simo sguardo,  alcuna  cosa  da  lungi,  e  datone  ad  Inkle 
l'avviso,  questi  ben  presto  si  avvide  dover  ciò  essere 
un  naviglio  che  con  placido  vento  veniva  solcando  ^) 
queir  onda  ;  e  fatti  i  noti  segnali,  ottenne  eh'  ei  s'  ac- 
costasse :  intantochè  venuta  la  notte ,  sul  palischermo, 
che  gli  fu  a  terra  spedito,  ei  potè  con  la  giovane  donna 
e  co'  molti  doni  da  lei  avuti  sicuramente  imbarcarsi. 

Non  è  a  dire  se  lieto  fosse  V  inglese  giovane;  ma 
lariko  al  dovere  abbandonare  la  patria,  che  troppo  è 
cara,  qualunque  siasi,  a  chi  v'  è  nato,  e  i  parenti  suoi 
e  gli  amici  per  non  mai  più  rivederli,  sentissi  un  vivo 
dolore,  che  molte  lagrime  le  trasse  e  molti  sospiri,  né 
così  presto  sarebbesi  consolata ,  se  stati  non  fossero  i 
conforti  di  Inkle,  che  luogo  ormai  le  teneva  e  di  pa- 
parenti  e  di  patria  e  d'  ogni  cosa.  Lei  però  infelice! 
che  non  sapea  a  qual  tristo  giovane  ed  ingrato  si  fosse 
abbandonata. 

Il  legno,  che  avealì  in  sé  raccolti,  era  inglese,  di 

che  il  giovane  fu  assai  contento,  e  con  ricche  merci  e 

con  molti  Negri  comperati   sulle    coste   della  Guinea 

viaggiava  alla  volta  della  Barbada,  isola  delle  Antille, 

singolarmente  per  zuccheri  fertilissima,  alla  coltura  de' 

quali  soglion  que'  miseri  impiegarsi.  AH'  approdare  che 

colà  fece  il  naviglio,  fu  tosto  pieno  di  genti  il  porto,  e 

come  d' ogni  altra  derrata  ^),  così  de  Negri  spezialmente 

si  aperse  tosto  mercato;  eterno  vituperio  dell'Europa, 

che  indegno  traffico    fa   di  quegli   uomini  sciagurati, 

come  di   buoi  e  di  pecore  appena   oserebbesi  di  far 

altrove  !  Vedendo  il  barbaro  Inkle  a  quel  tristo  mercato 

1)  Solcando  etc.  —  Me  SBfHen  burt^f^ndóen.  —  2)  Derrata 
—  ffluflici^e  SBaore. 


L'  INGRATITUDINE.  UJ 

molti  essere  i  compratori,  e  che  a  caro  prezzo  uomini 
e  donne  vendevansi,  tratto  dall'  avarizia  sua,  e  dimen- 
tico d' ogni  senso  di  dovere,  di  gratitudine,  d'  umanità, 
allo  stesso  mercato  come  sua  schiava  espose  scellera- 
tamente la  sventurata  lariko.    Nulla  valse  alla  misera 
il  piangere  e  il  disperarsi   e  il  chiedergli  pietà  e  mer- 
cede, e  lo  scongiurarlo  che  se  in  luogo  di  schiava  voleva 
averla,  almeno  come  tale  presso  di  sé  medesimo  la  te- 
nesse; nulla  il  ricordargli  ciò  che  avea  fatto  per  lui, 
e    come  campatolo    dalle    mani   de'  suoi,    che  pronti 
r  avrebìjono  traito  a  morte,  e  come  sostenuta  per  tanto 
tempo  a  lui  la  vita,  provvedendolo  di  ogni  cosa  con  le 
sue  cure,  e  come  arricchito  di  tanti  doni,  e  come  per 
lui,  per  lui  solo  è  parenti ,  e  patria ,   e  quanto  le  era 
più  caro  ella  avesse   abbandonato;  nulla  il  disfogarsi 
in  amare  invettive  *),  e  il  chiamarlo  ingrato  e  perfido 
e  inumano,  e  caricarlo  di  mille  esecrazioni,  e  il  cielo 
chiedere  in  testimonio  e  vendicatore  di  tanta  scellera- 
tezza :  egli  più  crudo  di  qual  mai  fosse  più  cruda  fiera, 
sordo  ad  ogni  di  lei  più  giusto  rimprovero,  o  più  amaro 
lamento  o  più  tenera  e  affettuosa  preghiera;   e  in  ciò 
contento  che  lo  straniero  di  lei  linguaggio  non  era  per 
altri  inteso,  né  ad  altri  palese  esser  poteva  la  sua  mal- 
vagità, vendutala  a  un  mercatante,  ed  avutone  il  prezzo, 
senza  neppur  riguardarla,  si  diparti. 

L' infelice  lariko  assai  .'più  morta  che  viva  se  ne 
rimase;  e  dal  suo  non  men  barbaro  compratore,  che 
nulla  al  pianto  di  lei  si  mosse,  condotta  a  casa ,  o  là 
tratta  piuttosto  e  strascinata,  tra  pel  dolore  che  la 
struggeva,  e  la  dura  vita  che  fu  costretta  a  menare,  e 
r  enormi  fatiche  di  che  veniva  aggravata  (che  dispo- 
gliati di  ogni  senso  d' umanità  colà  un  tempo  solevano 

^)  Disfogarsi  in  amare  invettive  —jl(^  in  bittercn  SSomurfen 
crgicpcn. 

Soave,  Novelle.  l '^ 


jy©  NOVELLA    XXXIV. 

gli  Europei,  ne  l' iniquo  costume  è  del  tutto  cessato 
ancora,  così  trattare  que"  miseri,  come  se  bestie  fossero 
ed  ancor  peggio)  in  breve  tempo  consunta  miseramente 
finì  di  vivere. 

Frattanto  Inkle  col  prezzo  che  aveva  per  lei  avuto, 
e  co'  ricchi  doni  che  le  aveva  carpito  *),  datosi  a  traf- 
ficar largamente,  n'  ebbe  di  molti  vantaggi,  e  crescendo 
ognor  più  di  richezze,  la  sua  fortuna  lodava,  e  la  sua 
industria  e  il  suo  ingegno  ;  e  se  i  rimorsi  gli  si  desta- 
vano del  suo  delitto,  il  che  avveniva  spessissimo,  alla 
sua  presente  prosperità  rivolgendo  il  pensiero  li  sof- 
focava *). 

Ma  per  tardare  che  faccia  *),  già  non  dimentica  il 
cielo  la  gius  (a  punizione  degli  uomini  scellerati.  Ricco 
già  divenuto  oltremodo,  ma  non  mai  sazio  per  questo, 
anzi  sempre  più  avido  di  arricchire,  l' iniquo  risovvenen- 
dosi del  luogo,  ove  stato  già  era  sì  lungo  tempo  con 
r  ingannata  lariko ,  e  dell'  argento  e  dell'  oro  e  delle 
gemme  che  quivi  erano  in  larga  copia,  deliberò  con 
altri  di  armare  un  vascello,  e  colà  portarsi ,  e  prender 
possesso  di  quei  tesori.  Sbarcato  su  quelle  spiagge  co 
suoi,  s'inoltrò  nel  paese,  e  ben  presto  i  selvaggi  gli 
furono  sopra  ;  ma  essendo  egli  maggior  di  forze,  riusci 
facilmente  a  dissiparli.  Da  ciò  animato ,  andò  più  in- 
nanzi, e  trovate  due  ricche  miniere,  dall'  avidità  euro- 
pea non  ancor  tocche,  già  cominciava  ad  eslrarne  le 
preziose  materie,  quando  i  selvaggi,  cresciuti  a  più 
doppi  di  numero,  e  d'armi  meglio  agguerriti,  novella- 
mente^ lo  assalirono,  e  uccisi  molti  de'  suoi,  lui  vivo 
ebbero  nelle  mani.  Tutta  allor  la  vendelta  del  cielo 
sovra  di  lui  si  scoperse,  e  parve  che  quei  selvaggi  sa- 
pessero che  all'  ombra  della  tradila  lariko  il  sangue  di 

*)  Carpito —  eiiirilfcn. —  ^)  Soifocare  —  ettìirfen.  —  3) Per 
lardare  che  faccia  —  ungeoc^tct  ber  SSergogerung. 


NOVELLA  XXXV.      GUGLIELMO  PENN.  199 

lui  si  cLoveva  :  sì  tormentosa  carnificina  ne  fecero  '),  e 
al  crudamente  stracciato  a  brani  sei  divorarono  !  Questa 
scena  di  orrore  ah  perchè  spettatori  d"  intorno  e  testi- 
moni non  ebbe  tutti  coloro,  a  cui  la  perfidia  è  un 
giuoco,  e  uno  scherzo  V  ingratitudine  ! 


novella  xxxv. 
€ìugIìIk:i<:vio  privx. 

ir  er  ben  diversa  maniera  in  quelle  infelici  regioni,  ove 
apersero  gli  Europei  sì  abbominevol  teatro  di  crudeltà 
e  di  rapine,  seppe  condursi  un  altro  Inglese,  il  cui  nome 
nella  memoria  dei  posteri  viverà  immortale.  Guglielmo 
Penn,  ottenuto  da  Carlo  IL,  re  d' Inghilterra,  il  possesso 
di  quella  parte  dell' America  settentrionale,  che  Pensil- 
vania  dal  suo  nome  e  dalle  molte  se\\c  che  v'  erano  fu 
poi  chiamata,  in  vece  di  straziare  ')  que'  miseri,  com' 
altri  fecero,  altra  cura  non  ebbe  che  di  sollevarli,  e 
con  la  sua  umanità  e  cogli  atti  frequenti  di  sua  bene- 
ficenza eterno  oggetto  divenne  della  loro  aniniirazione 
e  del  loro  amore. 

In  sul  principio  però  la  diffidenza  in  cui  erano 
quelle  genti  e  V  inimicizia  per  lor  giurata  agli  Europei 
furon  cagione  che  molti  contro  lui  pure  si  sollevassero, 
e  che  assalito  da  essi  ferocemente,  per  sua  difesa 
ci  fosse  costretto  a  prender  l' armi.  Avutane  segnalata 
vittoria  ') ,  e  fatti  molti  prigioni ,  accadde  eh'  ei  fii  ve- 
desse fra-  gli  altri  una  bellissima  giovane  condurre 
innanzi.    Piangeva  quesla  a  dirotle  lagrime  *),  uè  la 

^)  Si  tormentosa  carnifìcina  eie.  —  [o  quatooH  lourbc  tv 
jcrfìeifc^t,  unb  in  Stùrfcn  graufam  jtrriffcn  tìjurbc  ev  serfpeifet.  — 
2)  Straziare  —  mortetn,  mipl^anbcln.  —  ^)  Segnalata  vittoria  — 
glòngenbtrr  <BifQ.  —  *;  Piangeva  a  dirotte  lagrime  —  in  ^^xàntn 

12* 


180  NOVELl.A  XX XV. 

perduta  libertà  solamente  era  a  lei  di  rammarico ,  ma 
altra  perdita  ancor  più  grave  la  traffiggeva  0-  Amava 
ella  di  tenero  amore  un  giovane  a  lei  pari  di  età  e  di 
bellezza,  dal  quale  era  amata  pur  egualmente.  Il  giorno 
delle  lor  nozze  già  era  vicino,  allorché  i  torbidi  della 
guerra  venuti  erano  a  distornarle:  ed  or  chiusa  nei 
ferri,  speranza  alcuna  più  non  aveva  non  che  di  unirsi 
con  lui ,  ma  neppure  di  mai  più  giugnere  a  rivederlo. 
Anzi  ancora  più  acerbamente  la  tormentava  il  timore 
che  vittima  sotto  all'  armi  nemiche  caduto  ei  fosse, 
perochè  troppo  il  coraggio  di  lui  e  1"  impeto  conosceva, 
e  ben  sapea  che  non  altrove  sarebbe  egli  stato  nella 
battaglia,  che  dove  ardeva  più  fiera  e  più  sanguinosa 
la  mischia  ^). 

Guglielmo  Penn ,  intenerito  al  suo  pianto ,  con 
quella  umanità  e  dolcezza,  che  era  suo  costume,  cer- 
cava di  consolarla  :  quand'  ecco  un  giovane  americano, 
tutto  intriso  di  sangue  ^)  e  armato  d'  asta  e  di  frecce, 
colà  venirne  precipitoso  *).  Al  primo  giugnere  accorre 
questi  alla  giovane  prigioniera,  che  fra  la  stupore  ^), 
la  gioia  e  lo  spavento,  alza  un  grido ,  e  cade  tramor- 
tita nelle  sue  braccia.  Ei  confortandola  la  richiama  a 
sé  stessa-  poi  gettando  a' piedi  del  vincitore  le  armi: 
Questo  sangue,  gli  dice,  e  queste  armi  ben  ti  dimo- 
strano che  non  viltà  mi  ha  qui  condotto,  né  fuga  de' 
miei,  né  catene  che  i  tuoi  mi  abbian  saputo  imporre  ^). 
Niuna  cosa  avrebbe  potuto  mai  fare  '^)  eh'  io  vivo  ca- 
dessi nelle  tue  mani,  se  questa  donna  Y  iniqua  fortuna 

^)  La  traffiggeva  —  f(^meqte  jìe.  ~  ^)  Dove  ardeva  più 
fiera,  e  più  sanguinosa  la  mischia  —  \vo  ber  JTampf  am  l^ef(i(^fìcn 
unb  groufamfìen  entbrannte.  —  ^)  Inti-iso  di  sangue  —  bfuttvie* 
f cnb.  —  *)  Armato  d'  asta ,  e  di  frecce  colà  venirne  precipi  • 
toso  —  mit  San^e  itnb  ^feitcn  beitjaffnet  bort^in  fìiiqen.  —  ^)  Stu- 
pore —  f^auucn.  —  ^)  Impor  catene  —  ^itkn  aniegen.  — 
')  Niuna  cosa  avrebbe  potuto  mai  fare  ec.  —  nid^ti^  f;St(e  uiid^ 
^itingen  fotinett;  tu  beine  2)^acf;t  ju  fatten,  iyenn  ti. 


GUGLIELMO  PENN.  181 

non  m'  avesse  oggi  rapito,  e  mentre  da  lei  lontano  e 
av\'olto  nel  furore  della  battaglia  *)  io  Aion  potea  di- 
fenderla, data  non  I'  avesse  in  poter  tuo.  Or  sappi  che 
più  delia  libertà  e  della  vita  ella  m'  è  cara,  e  che  altro 
da  lei  non  potrà  mai  disgiungermi  fuorché  la  morte. 
Io  non  vengo  però  qui  a  chiedere  che  tu  la  renda  a' 
voti  miei:  sì  alta  generosità  non  osiam  noi  sperare  dalle 
genti  feroci,  che  il  ciel  nemico  a  noi  manda  dal  maro 
per  nostra  pena*  Ma  questo  almeno  la  vostra  crudeltà 
non  saprà  contrastarmi,  eh"  io  divida  le  sue  catene,  e 
che  vostro  schiavo  qui  con  lei  mi  rimanga. 

Attonito  ^)  Guglielmo  Penn  alla  intrepidezza  ^j  e 
alla  magnanima  risoluzione  del  giovane,  abbracciandolo 
con  paterna  amorevolezza  :  Mal  tu  misuri  *),  o  figlio, 
rispose,  da  ciò  che  tu  hai  udito  o  veduto  forse  d'  al- 
cuni, V  animo  ed  il  costume  di  tutti  gli  Europei.  Non 
a  rapire  le  vostre  spose,  o  i  vostri  beni,  o  a  cac- 
ciarvi dai  vostri  lidi,  o  a  farvi  schiavi  son  io  venuto, 
ma  a  chieder  pace  e  amizia  con  voi.  L' inimicizia  e  i 
vostri  oltraggi  ^)  m'han  solo  costretto  ad  impugnare 
quest'  armi  *;  •  e  da  voi  stessi  dipende  il  far  che  tosto 
io  le  deponga,  solo  che  pace  e  alleanza  vi  piaccia  con 
noi  d"  avere.  Ou<''^la  giovane  intanto,  che  la  vittoria  ha 
posto  in  mia  mano,  ben  volentieri  io  ti  rendo,  e  tu  con 
essa  liberamente,  quando  t'  aggrada,  alle  tue  terre  puoi 
ricondurti.  Gli  altri  prigioni  io  renderò  pur  non  meno, 
quando  cessate  io  vegga  dal  canto  vostro  le  scorrerie') 
e  le  stragi,  e  sicure  le  mie  genti  da'  vostri  insulti. 

Tu  genoroso  a  questo  segno  !  (gridò  sorpreso  il 

giovane  americano)...  Ah,   dunque   un  Dio   tu  sei,  o 

_  0  A\  volto  nel  furor  delia  liattaglia  — mitteu  in  b^r  J&i^e  ber 
^(S)la<S)t.  —  2)  Attonito  —  erfìount.  —  3)  Intrepidezza  —  Itncr* 
fc^rocfen^eit.  —  *)  Mal  misuri  ec.  —  bu  wergteic^fì  f(^(cc^t,  mit 
htm,  toaé  bu  k  —  »)  Oltraggio  —  (£(^mól;ung.  —  ^)  Impugnare 
quest'  armi  —  bie  l^affcn  frgrfìf<n.  —  '')  Scorrerie  —  ®iv<U 
fertifn,  ^lùnbfrungen. 


183  NOVELLA    XXXV. 

d' altro  sangue,  che  gì' inumani,  i  quali  si  sitibondi') 
si  mostrano  del  nostro.  Or  bene,  mirami  ai  piedi  tuoi 
dalla  tua  magnanimità  assai  più  vinto  che  non  potrei 
essere  dalle  tue  armi.  Io  volo  fra  i  miei  a  mostrar  loro 
questo  inaspettato  testimonio  della  tua  virtù-  e  ben 
presto  qui  con  la  pace,  se  il  tuo  volere  è  sincoro,  tu 
mi  vedrai  ritornare. 

Guglielmo  amorosamente  riabbracciandolo  :  Più 
caro  dono ,  gli  disse ,  o  figlio ,  tu  non  puoi  farmi  di 
questo.  Vanne  ;  sia  teco  la  sposa  tua,  e  presto,  e  qwal 
io  lo  bramo,  sia  il  tuo  ritorno. 

Ebbri  di  gioia  ") ,  slringendo  le  sue  ginocchia  ^) 
teneramente,  e  bagnandole  del  lor  pianto,  partirono 
i  due  amanti,  e  giunti  fra  i  loro  compagni,  tanto  dissero 
della  generosità  di  quest'uomo  ammirabile,  e  della 
sua  dolcezza,  e  de' suoi  pacifici  desiderj,  che,  persuasi 
gli  animi  di  tutti  quanti ,  a  lui  tosto  spediti  furono  am- 
basciadori,  e  fra  quesli  il  giovane  valoroso,  a  terminare 
ogni  contesa,  e  a  stringere  una  perpetua  pace,  anzi 
pur  fratellanza  *) ,  che  tale  volle  che  fosse  il  magna- 
nimo vincitore ,  onde  Filadelfia  pur  ordinò  che  la  sua 
città  si  chiamasse  ;  quasi  città  di  persone  d'amor  fra- 
terno tra  lor  congiun'e. 

Ah  possano  gì'  illustri  concittadini  e  successori 
di  queir  nomo  grande,  or  che  hanno  scosso  con  la  loro 
fermezza  e  con  l'armi  il  giogo  ^)  che  altri  tentavano 
di  lor  imporre  ^),  cosi  aver  sempre  dinanzi  agli  occhi 
i  sublimi  esempi  di  lui,  che  la  nuova  repubblica  da  lor 
fondata,  non  meno  per  virtuoso  costume  che  per  valore 
e  per  sagacità  d'ingegni,  risplenda  ognor  gloriosa! 

^)  Sitibondo  —  bitvtlig.  —  ")  Ebbri  di  gioj.»  —  ^^^ceube» 
tiunfcii  —  ^)  Stringendo  le  sue  ginocchia  —  feiue  ^nice  unu 
faffen.  —  *)  Fratellanza  ~  ^rùbertic^feit.  —  ^)  Scosso  il  giogo 
—  iiaé  3od^  abgciuorfen.  —  ^)  Imporre  il  giogo  ad  alcuna  — 
Sfiiianbeu  imtec'^  ^oè)  bfmgeti. 


18S 
NOVELLA  XXXVL 
liA  PROBITÀ  RI€09IP£!irS JlTA    0 

Jttitoriiando  un  mercadante  da  una  fiera ,  su  la  strada 
incontrò  un  bracqo  di  fiume  *)  ,  che  necessariamente 
convenivagli  attraversare  ^).  L' acqua  non  era  gran  fatto 
profonda  *) ,  e  a  cavallo  passare  poteasi  dall'una  all' 
altra  sponda,  purché  giunti  alla  metà  del  fiume  si  avesse 
l'attenzione  di  non  tenersi  troppo  alla  dritla,  poiché 
trovavasi  colà  un  profondo  abisso,  ove  più  di  un  viag- 
giatore perduto  avea  la  vita.  Avvisato  il  mercadante  di 
tal  periglio,  più  d'una  volta  Tavea  schivato  ^),  ma 
nell'incontro  ^),  di  cui  ragiono,  mancato  avea  di  pre- 
cauzione, essendosi  troppo  avvicinato  a  quel  precipizio  ; 
sente  all'  improvviso  inabissarsi  '^)  il  cavallo,  e  mandar 
fuori  un  acuto  nitrito  ^).  Un  coltivatore,  di  là  non 
molto  discosto ,  scorgendo  il  pericolo  in  cui  trovavasi 
queir  infelice  ,  stacca  incontanente  un  cavallo  dall'  ara- 
tro ^),  avanzasi  coraggiosamente  verso  quel  precipizio, 
ed  ha  la  buona  sorte  di  afferrar  il  negoziante  pel  fer- 
raiuolo  *^),  e  trarlo  feliceniente  a  terra.  Quanto  al 
cavallo  di  colui  al  quale  salvata  si  avea  la  vita ,  egli 
andò  miseramente  perduto,  e  il  peso  d' una  valigia  **), 
che  portava,  lo  strascinò  nell'imo  dell'acque  ^*). 

Il  conladino  e  la  di  lui  famiglia  molla  fatica  dura- 
rono a  richiamare  ai  sensi   l*  ospite ,  quasi   morto    di 

')  La  probità  riconj])eiis.ila  —  bie  hdoffnit  (S^rli(^feit.  — 
2)  Braccio  di  fiume  —  ber  9lrm  eineé  gluffcé.  —  ')  Attraversare  — 
quer  bur*fa^rfn.  —  ♦)  Gran  fatto  profonda  —  aiff  fcinen  ^all  fc^r 
ticf.  —  ^)  Schivato  —  au^geiuic^cn.  —  ^)  Incontro  —  (Sceignif» 

—  '')  Inabissarsi  —  scrftnfni.  —  ^)  Mandar  fuori  un  acuto 
nitrito  —  ^ffliq  tvif^ern.  —  ^)  Stacca  un  cavallo  dall'  aratro  — 
l>annf  ein  ^ferb  som  ^ffu^e  ab.  —  »")  Afferrare  il  negoziante 
pel  ferraiuoio  —  ben  jtaufmann  bcim  élantd  anjupacfcn.  — 
")  Valigia  —  ^etteifen.  --  12^  j^  strascinò  nell'imo  dell' aque 

—  ri^  i^n  in  ben  ?t&gcunb    mit. 


184  .NOVELLA  XXXVI. 

freddo  e  di  raccapriccio.  Ei  rientrò  finalmente  in  sé 
stesso,  ma  per  abbandonarsi  intieramente  al  dolore. 
Di  tutti  i  benij  che  possedeva  un  quarto  d'ora  prima, 
altro  più  non  gli  rimaneva  fuor  della  vita;  e  ciò  che 
più  l'affliggeva,  erasi  la  perdita  d'una  borsa  di  cuoio  '> 
che  attaccata  aveasi  alla  cintola  ^j,  e  che  racchiudeva 
gr^n  quantità  di  diamanti  e  di  perle.  Egli  era  poco  ve- 
risimile che  perduta  l'avesse  nell'acqua,  e  per  conse- 
guenza lutti  i  suoi  dubbi  ^)  caddero  sopra  del  suo  li- 
beratore, il  quale  nel  suo  smarrimenlo  *)  poteva  avergli 
levato  d' addosso  ^)  quel  prezioso  tesoro.  Il  contadino, 
all'  opposto,  dal  canto  suo  protestava  di  non  aver  co- 
gnizione alcuna  di  quella  borsa  ;  e  lo  sgraziato  nego- 
ziante ,  che  fondato  avea  sopra  di  essa  la  speranza 
d'un  vantaggioso  commercio,  vivamente  sentiva  F infe- 
licità della  sua  situazione. 

Questi  avrebbe  potuto  far  chiamare  il  contadino  in 
giudizio,  e  dar  a  quell'  onesto  uomo  delle  brighe  assai 
serie,  tanto  tutte  le  apparenze  erano  a  lui  svantag- 
giose -,  ma  egli  avea  un'  anima  troppo  generosa  per  dar 
peso  a  cosiffatta  idea.  Tu,  mettendo  in  rischio  la  tua, 
a  me  salvala  hai  la  vita ,  diceva  egli  al  contadino  ;  ma 
tu  mi  chiudi  l' adito  a  darti  delle  prove  del  grato  micv 
animo.  L' unico  contrassegno  ®)  ch'io  possa  darti  della 
mia  gratitudine,  si  è  di  non  querelarti  '^)  innanzi  al  tri- 
bunale del,  furto  da  te  commesso  ;  e  astenendomi  dal 
perseguitarti  in  giudizio,  ti  do  un  largo  compenso  delle 
piccole  spese  che  ti  ho  cagionate.  Ma  da  te  richieda 
che  mi  dii  un  po'  di  danaro  per  passare  alla  più  vicina 
città,  ove  troverò  gente  di  mia  conoscenza  e  soccorsi 
per  vivere.   Tu  levarmi  d'addosso  non  avresti  dovuto 

*)  Borsa  di  cuoio  —  (eberner  55eutcf.  —  *')  Attaccata  alla 
cintola  —  &n  ben  ©ùrici  gcbunben.  —  ^)  Dubbi  —  Sbixia(i)t.  — 
*)  Smarrimento—  £)§nmad^t.  —  s)  Levato  d'addosso  —  gè» 
fioì)Un.  —  ^)  contrassegno  —  ®cn)ei^.  —  ')  Querelarti  ce.  — 
V\à}  onflcjgen. 


I,A   PROBITÀ  RICOMPENSATA.  ISS- 

la  borsa;  essa  sarebbe  stata  tua,  e  ciò  che  conteneva 
non  avrebbe  per  avventura  bastato  per  ricompensare  il 
servigio  a  me  reso  :  io  ti  debbo  assai  più  di  quello  che 
potrò  darti  in  verun  tempo,  benché  mediante  l'industria 
ed  il  lavoro  possa  sperare  di  ristabilire  un  giorno  la  mia 
fortuna. 

Il  povero  contadino  era  inconsolabile  per  non  po- 
ter provare  la  sua  innocenza,  poiché  invant)  l'affermava 
con  le  proteste  e  con  le  lagrime.  Finalmente  accomia- 
tossi  *)  r  ospite  suo ,  separandosi  l' uno  assai  malcon- 
tento dell"  altro. 

Alcuni  mesi  dopo  la  partenza  del  mercante,  il  con- 
tadino volle  letamare  ^)  il  suo  campo,  e  nell'  evacuare 
una  fossa  piena  di  concime  '),  pender  vide  dalla  forca*) 
una  lunga  borsa  di  cuoio  :  si  pone  tantosto  ad  esami- 
narla più  d' appresso,  e  nell'  aprirla  vi  ritrova  le  gioie, 
la  cui  perdita  avea  cotanto  amareggiato  il  negoziante. 
Ma  come  mai  trovossi  colà  quella  borsa,  mi  si  chiederà, 
senza  dubbio?  Ciò  non  é  malagevole  a  spiegarsi, 
giacché,  appena  ritratto  il  mercante  dal  fiume ,  si  avea 
preso  cura  di  spogliarlo  e  di  coricarlo  su  della  paglia, 
*  in  tantoché  gli  si  riscaldava  un  letto:  la  borsa,  che|in 
quel  momento  di  confusione  restò  inosservata ,  insieme 
con  la  paglia  fu  qualche  tempo  dopo  gettata  nel  letamaio. 

A  quale  partito  doveva  allora  appigliarsi  il  conla- 
dino? Ove  rinvenire  il  proprietario  della  borsa?  Ei non 
sapeva  il  luogo  in  cui  facesse  soggiorno.  Potuto  avrebbe 
senza  dubbio  deporre  quel  tesoro  nelle  mani  del  magi- 
strato,  o  farne  annunziare  il  ritrovamento  ne' pubblici 
fogli.  Ma  colali  mezzi,  usati  dall'onesta  gente  quando 
trovano  cose  preziose  che  non  han  diritto  di  possedere, 

*)  Accomiatossi  —  naljm  9tbfc^itb.  —  ^)  t.etamare  ; — 
bùngen.  —  ^)  Evacuare  una  fossa  piena  di  concime  —  eiue 
©rufcecoU  Smunger rcinigen,  auéUeren. —  *)  Pender  dalla  forca  ec. 
—  an  b.r  -^fUQabel  ^óngen. 


186  NOVELLA  XXXVl. 

non  vennero  in  mente  al  nostro  coltivatore.  Verso  il 
ritorno  del  tempo  della  fiera  sovenle  meltevasi  a  pas- 
seggiare snila  strada  maestra,  e  spesso  vi  mandava  pure 
la  moglie  e  i  figli  sulla  speranza  d' incontrare  il  nego- 
ziante. Due  anni  corsero  primachè  lor  fosse  fatto  di 
riscontrarlo:  ma  mentre  una  sera  il  contadino  con  la 
sua  famiglia  frugalmente  cenava  si  udi  lo  strepito  d' una 
vettura  che  s' arrestava  in  faccia  alla  loro  casuccia. 
Guarda  dalla  finestra  il  padre  di  famiglia ,  e  scender 
vede  parecchi  uomini  dalla  carrozza  viatoria  *).  Impalli- 
discono tosto  di  raccapriccio  i  due  genitori,  persuasi 
che  fra  quelli  vi  fosse  il  proprietario  della  borsa  che 
colà  giugnesse  per  loro  nuocere  :  tutti  qua  e  là  fuggono 
per  nascondersi,  ecceltuatone  il  padre,  che  con  V  offe- 
rire al  negoziante.il  suo  tesoro,  sperava  di  poter  disar- 
mare il  suo  sdegno.  Mentre  era  agitato  da  siffatla  idea, 
il  negoziante,  seguito  dai  suoi  compagni  di  viaggio, 
entra  nella  casa ,  si  getta  al  collo  del  suo  liberatore, 
assicurandolo  che  non  gli  sarebbe  ridomandata  la  borsa. 
,5A1  presente,  soggiuns'  egli,  non  conservo  alcun  dubbio 
sulla  vostra  onestà,  né  per  altro  vengo  qui  se  non  per 
dimostrarvi  cogli  effetti  la  gratitudine  deir  animo  mio. 
Fino  ad  ora  non  sono  stato  in  grado  di  farlo,  e  quand' 
anche  V  avessi  potuto ,  non  avrei  voluto  a  ciò  discen- 
dere, fintantoché  aveva  de"  sospetti  contro  di  voi. 

Sorpreso  da  siffatto  discorso  il  contadino,  gli  chiede 
perchè  avesse  di  lui  [sospettato  altre  volte,  e  donde  ve- 
niva ^)  che  lo  giustificasse  al  presente.  In  tutti  i  viaggi 
da  me  fatti  alla  fiera  ^) ,  ripigliò  il  mercatante ,  io  ho 
segretamente  spiato  lo  vostra  condotta  *),  mi  sono  per- 
fino inoltrato  nel  vostro  villaggio  per  informarmi  sullo 
.stato  de"  vostri  affari,,  e  per  sapere  se  aveste  per  avven- 

*)  Carrozza  viatoria  —  JRctfewagen.  —  *)  E  donde  veniva 
—  unb  ìDO^er  cg  fam,  fea^  h.  —  *)  Fiera—  Ttaxtt.  —  *)  Spiate 
la  vostra  condotta  —  if;ren  Sebcnéiwanbel  au^gefpà^t. 


LA  PROBITÀ  RICOMPENSATA.  18» 

iura  dilatato  il  vostro  podere  ^),  o  fatto  qualche  nuovo 
acquisto  ;  ma  ullimamente  ho  saputo  che  ,  lungi  dal  vi- 
vere con  più  agiatezza  '),  la  carestia  delle  due  scorse 
annate  ^)  vi  ha  ridotto  alla  mendicità  *),  che  avete  ven- 
duto il  vostro  bestiame,  e  che  non  potendo  pagare  un 
debilo  di  cinquanta  scudi,  il  vostro  podere  è  sul  punto 
d'esser  esposto  alla  vendita.  Io  voglio,  poiché  il  cielo 
m' ha  favorito,  pagare  il  debito  vostro,  e...  Il  conta- 
dino a  questi  delti  versò  delle  lagrime,  e  senza  far  pa- 
rola entrò  in  un'  altra  camera,  e  un  momento  dopo  con 
grande  stupore  degli  astanti  ritornò  con  la  borsa  in 
mano,  e  la  posò  sulla  tavola.  Che  vuol  ciò  dire?  es- 
clamarono essi.  —  Tenete,  replicò  il  contadino:  voi 
vedrete  che  non  vi  manca  nulla. 

U  mercadante  aperse  la  borsa,  e  vi  trovò  tutto  fino 
alla  più  piccola  perla ,  fino  al  più  minuto  grano  d"  oro 
che  vi  avea  riposto. 

Il  contadino  allora  gli  racconta  come  erasi  sniar- 
rita  ^),  e  come  ritrovata ,  confessandogli  che ,  atteso  il 
bisogno  in  cui  Irovavasi,  era  slato  sovente  tentato  di 
farne  uso,  ma  piuttoslochè  commettere  una  tale  ingiu- 
stizia, avea  preferito  di  soffrir  la  fame  e  vendere  per- 
fino r  ultima  sua  giumenta  ®).  Soggiunse  che  la  Prov- 
videnza gli  aveva  sempre  somministrato  qualche  risorsa 
pel  mantenimento  della  sua  famiglia:  finalmente  non 
mancò  ili  manifestare  al  mercatante  quante  volte  erasi 
recato  sulla  strada  maestra  ')  verso  il  tempo  della 
fiera,  sperando  sempre  d'imbattersi  in  lui  ^).   AH* udir 

*)  DUatato  il  Nostro  podere  —  i^r  JBaucrngut  tergrupert, 
auégfb^^nt,  —  ^)  J.iingi  dal  vivere  con  più  agiatezza  —  iccit 
fntfernt  mit  tne^r  S3t\iuem(ic^fcit  ^u  Icbcii.  —  3)  i.a  carestia  delie 
due  scorse  annate  —  tnxif)  ble  Xf)tneviin^  ber  jiuei  »erfìrif()enen 
3a^re.  —  *)  \  i  ha  ridotto  alla  mendicità  —  fìnb  an  b»n  ^-ììitkU 
fìab  gcratf)cn,  —  ^)  Smarrita  —  yerlor.n  g^gangcn.  —  ^)  Giu- 
menta —  Sajìt^icr.  —  ')  Strada  maestra  —  ^auptfìvape.  — 
**)  FmJ»attersi  in  lui  —  it>m  ju  bcgegnen. 


188  NOVELLA   XXXVII. 

questi  (ietti,  le  lagrime  inondarono  le  guance  al  nego- 
ziante :  in  pria  non  volle  ripigliarsi  neppure  la  borsa  ; 
poi  dopo  un  momento  di  riflessione:  ^Amico,  tu  hai 
ragione,  disse  al  contadino  :  non  conoscendo  il  valor  dì 
coleste  gioie,  appena  tu  potresti  ricavare ,  vendendole, 
il  terzo  della  loro  valuta  :  ma  il  miglior  podere ,  che 
acquistar  si  possa  in  cotesto  villaggio  sarà  per  te." 
Pochi  giorni  dopo  si  presentò  l'occasione  d'un  tale 
acquisto,  e  pagatolo,  ne  fece  dono  al  conladino. 

Or  tutte  le  volte  che  quest'uomo  riconoscente  passa 
per  quella  campagna,  non  lascia  di  visitare  il  suo  libe- 
ratore, facendo  sempre  qualche  regaluccio  alla  di  lui 
famiglia. 

NOVELLA  XXXVIL 
liA   l§AC2GIA  FAiVCIUIiliA. 

Avea  due  fanciulli  il  signor  di  Mairan  :  un  pressante 
afl'are  l'obbligava  insieme  con  la  consorte  ad  allonta- 
narsi dalla  sua  patria.  Prima  di  partire,  l"  uno  e  T  altra, 
intenti  al  bene  dei  propri  tìgli  *),  ^ìi  affidarono  ad  una 
saggia  direttrice ,  pregandola  instantemenic  che  non  li 
lasciasse  uscir  di  casa  se  non  sotto  la  di  lei  scorta,  o 
sotto  quella  di  Mad.  d'Orvigny,  loro  zia.  Il  primo- 
genito di  cotesti  fanciulli,  chiamato  Ferrandino,  era 
dell'età  di  ott'anni:  Enrichetta,  di  lui  sorella,  avea 
un  anno  di  meno,  ma  in  saggezza  lo  superava  d"  assai. 
Quanto  mi  è  molesta,  diceva  ella,  la  partenza  dei  miei 
genitori  !  io  non  avrò  più  il  piacere  di  far  carezze  ^) 
al  padre  mio,  né  d' intertenermi  con  la  cara  genitrice  ; 
ma  nella  lor  assenza  procurerò  di  far  tanti  progressi^ 
che  saranno  molto  contenti  in  vedermi  al  loro  ritorno.  — 

')  Intenti  al  bene  dei  propri  figli  —  imi-  ciuf  bné  3Cof;(  ber 
cigencn  Mintix  hdai^i.  —  ^)  Far  carezze  —  f(^mci(^«In. 


LA   SAGGIA    FANCIDLI.A.  I  99 

Per  me ,  diceva  il  di  lei  fratello  Ferrandino ,  io  pro- 
curenò  di  divertirmi  coi  miei  fantocci  *)  nel  tempo  che 
mancano  i  genitori,  e  spero  che  ritornando  me  ne  por- 
teranno di  nuovi,  poiché  quelli  che  tengo  non  mi  piac- 
ciono molto,  né  i>ono  tali  a  servirmi  di  sollazzo  per 
sempre  *). 

Madama  d"  Orvigny  dovette  per  affari  recarsi  in  una 
vicina  città,  e  poco  tempo  dopo  la  direttrice  de*  fanciulli 
cadde  ammalata.  Ecco  dunque  quei  ragazzini  obbligati 
a  restare  in  casa:  ciò  dispiaceva  grandemente  a  Ferran- 
dino, il  quale-  dopo  aver  fatto  molte  corse  nel  giardino  '), 
ritornava  nel  salone  della  casa,  occupavasi  alcuni  mo- 
menti coi  suoi  giuocolini*):  indi,  annoiato  di  giuocare 
e  di  correre,  sdraiavasi  ^)  su  d'un  sofà,  sbadigliava, 
s' addormentava  e  risvegliavasi  di  cattivo  umore.  Ecco 
r  impiego  ^)  eh'  ei  faceva  della  giornata. 

Enrichetla  faceva  un  uso  tutto  diverso  del  tempo, 
ed  era  sempre  allegra.  ,,Come  fai  tu  per  essere  sempre 
contenta,  le  diceva  un  giorno  il. fratello:  io  non  ti  ho 
mai  veduta  malinconica,  fuorché  al  momento  della  par- 
tenza de'  nostri  genitori ,  e  nel  giorno  che  la  direttrice 
nostra  era  angustiata  da  atrocissime  doglie  ?  —  E  tu, 
caro  fratello,  gli  rispos"  ella,  tu  sei  rare  volte  di  buon 
umore ,  e  ciò  mi  dà  pena  :  ma  sai  tu  perche  t' annoj  ? 
—  Oh!  la  ragione  né  chiara:  io  non  ho  quanti  fan- 
tocci vorrei  ^  e  poi  ti  par  nulla  il  non  poter  andare  a 
passegiar  fuori  di  casa? — No,  caro  amico,  la  tua  noia 
non  deriva  da  ciò  che  tu  dici,  ma  bensì  dal  non  amare 
né  a  leggere,  né  a  scrivere,  né  a  studiar  la  geogra- 
fia :  un  giorno  ho  voluto  imitare  il  tuo  modo  di  vivere, 

^)  Fantoccio—  *iJm)pc.  2j  S'è  sono  tali  a  senirmi  di  sol- 
lazzo per  sempre  —  ftnb  nic^t  ber  9trt,  ba^  fìe  mi(^  auf  immer 
gu  unter^alten  scrmigen.  —  «)  Molte  corse  nel  giardino  —  »ictc 
^^aiiergange  im  ®artcn.  —  *)  Giuocolini  —  (SjJtelerei.  — 
^)  Sdraiavasi  —  flrecEte  ft(^  ^in.  —  ^)  Impiego  —   QSccrfd^tung. 


190  NOVELLA   XXXVII. 

non  lessi  una  parola ,  non  imparai  nulla ,  non  diedi  un 
punto  al  mio  lavoro  ^),  e  la  sera  non  mi  pia-ceva  niente 
affatto  il  mio  fantoccio  :  non  avea  voglia  ne  di  cantare, 
né  di  giuocare,  né  di  andar  correndo  qua  e  là  per  la 
casa,  e  la  maestra  mi  disse  che  aveva  l'aria  sgarbata^), 
e  che  se  mia  madre  mi  avesse  veduta,  non  avrebbe  vo- 
luto nemmeno  darmi  un  bacio.  Un  tal  discorso  mi  fece 
molta  pena,  e  all'indomani,  svegliandomi,  ho  fatto  il 
proposito  ^)  d'impiegar  bene  il  tempo,  perchè  il  con- 
tinuo divertirsi  riesce  noioso.'* 

Madama  d' Orvigny  ritornò  prima  che  la  direttrice 
de'  fanciulli  fosse  ristabilita,  e  con  gran  premura  le 
dimandò  come  in  sua  assenza  avevano  i  suoi  nipoti 
adempiuto  a'  loro  doveri.  ,,Ah!  madama,  le  disse,  qual 
differenza  fra  questi  due  fanciulli!  8e  voi  aveste  veduto 
le  attenzioni,  le  inquietudini,  che  Enrichetta  aveva  per 
me,  nel  tempo  eh'  io  era  ammalata  !  Ella  non  voleva 
uscir  di  casa  affin  di  potermi  prestare  alcuni  piccoli 
servigi:  ella  leggeva  a  canto  del  mio  letto  per  solle- 
varmi, studiava,  adempiva  tutti  i  suoi  doveri,  senzachè 
alcuno  fosse  obbligato  a  farglieli  sovvenire.  Ferrandino,. 
air  opposto,  di  rado  veniva  nella  mia  camera ,  e  quelle 
poche  volte  che  vi  entrava,  il  suo  principale  oggetto  si 
era  di  battere  il  tamburo,  strascinar  intorno  il  suo  car- 
retto*), ed  intronarmi  r  orecchio  ^)  a  segno,  che  il  mio 
male  si  faceva  maggiore  ;  Enrichetta  allora  procurava 
di  farlo  andare  a  passeggiar  nel  giardino  per  lasciarmi 
tranquilla.  „Madama  d'  Orvigny  diede  un'  occhiata  alla 
scrittura  ^)  e  agli  altri  lavori  di  sua  nipote,  e  ne  restò 

')  Non  diedi  un  punto  al  mio  lavoro  —  gar  mé)t  meine 
Qlxheit  angcritf;rti  cber  in  bie  .^anb  genommen.  —  2j  L'aria  sgar- 
bata —  baf  ìc^  io  garfiig  auéfcfje,  —  ^)  Ho  fatto  il  proposito  — 
icJ;  f}aU  ben  33orfa^  g'^faf  t.  —  *)  Strascinar  intorno  il  suo  caretta 
—  fein  30àgcl^eu  ^crumfd^lep^en.  —  ^)  Intronarmi  1'  orechio  — 
unb  fo  einen  Sàrm  anfcf^tagen,  bajg  —  ^)  Diede  un'  occhiata  alia 
scrittura  —  tt)arf  fincn  ^licf  aiif  bie  ©d^rift. 


LA   SAGGIA  FANCIULLA.  J91 

contentissima.  Volendo  in  seguito  esaminare  i  progressi 
di  Ferrandino,  trovò  che  da  tre  mesi  in  poi  non  ne 
aveva  fatto  alcuno.  Ei  non  potea  legger  due  righe  senza 
far  due  o  tre  falli  -,  la  di  lui  scrittura  poi  non  era  nem- 
meno leggibile.  .,Io  sono,  disse  allora  la  zia,  altret- 
tanto contenta  della  sorella,  quanto  lo  sono  poco  del 
fratello  :  è  lungo  tempo  che  non  sei  uscita  di  casa,  mia 
cara  Enrichetta:  tu  verrai  a  pranzar  meco,  e  questa 
sera  ti  condurrò  al  passeggio  o  alla  comedia.  Ma  voi, 
signor  Ferrandino,  avete  si  male  impiegato  il  vostro 
tempo,  che  non  meritate  eh"  io  cerchi  di  procurarvi 
qualche  divertimento."  A  queste  parole  il  fanciullo  si 
mise  a  piangere,  perchè  doveva  restare  in  casa:  e  tanto 
se  ne  crucciava,  che  la  buona  sorella,  mossa  dal  di 
lui  dolore,  disse  alla  zia:  „Mi  sarebbe  assai  grato 
il  profittare  della  vostra  bontà:  avrei  molto  piacere 
d'  uscir  di  casa  con  voi;  ma  osservate  coni*  è  malinconico 
«  mesto  mio  fratello!  Perdonategli,  ve  ne  prego.  — 
Questo  non  può  essere,  mia  cara  fanciulla.  —  Ebbene, 
affinchè  non  si  affliga  tanto,  verrò  un"  altra  volta  da  voi, 
ed  oggi  resterò  seco  lui  per  consolarlo.  —  Ciò  di- 
pende da  te,  disse  la  zia:  e  la  generosa  Enrichetta 
tenne  compagnia  a  suo  fratello.  Madama  d"  Orvigny, 
siccome  sapeva  che  Ferrandino  era  alquanto  ghiotto  ^^^ 
volle  vedere  se  si  era  almeno  corretto  da  questo  difetto. 
Ella  portò  un  giorno  nella  camera,  in  cui  si  trovava, 
una  focaccia,  ben  avviluppata  in  una  salvietta  ^),  perchè 
non  la  potesse  vedere,  e  gli  disse  che  aveva  qualche 
cosa  di  buono  da  dargli,  purché  si  applicasse  a  bene 
scrivere,  e  non  t'iccasse  ciò  che  posto  avea  sopra  la 
tavola.  Ciò  detto,  la  zia  si  ritirò.  Ferrandino,  restato 
solo,  si  mise  a  scrivere,    ma  appena  ebbeffatto  due 

^)  Alquanto  ghiotto  —«in  !{eine«  ^(fcrmaut  iDar,  —«^  Fo- 
caccia bene  avviluppata  in  una  salvietta  —  ein  ©rotfuci^cn  in 
fine  ©ertoiettc  el»gett)t(fflt. 


198  NOVELLA   XXXVII. 

righe,  che  si  levò  per  vedere  ciò  che  recato  avea  la 
zia.  Ei  non  ardi  a  bella  prima  *)  di  aprire  interamente 
r  inviluppo  ^),  ma,  esaminandolo,  conobbe  benissimo  che 
racchiudeva  una  focaccia.  Enrichetta  entra  in  quel 
punto  nella  camera;  egli  le  raccontò  e  la  promessa  e 
la  proibizione  di  madama  d'  Orvigny.  Malgrado  a  tut- 
tociò,  diss'  egli,  ho  gran  voglia  di  assaggiare  quella 
focaccia  ;  cara  Enrichetta,  prendiamone  una  briciola  ') 
ciascheduno.  —  No,  fratel  mio,  io  non  consentirò  mai 
a  far  questo,  e  ti  consiglio  di  non  appressarvi  nemmeno 
la  mano.  Ma  la  zia  a  te  non  Y  ha  già  proibito,  soggiunse 
Ferrandino;  ed  ella:  Ciò  è  vero,  ma  questa  focaccia 
non  mi  appartiene ,  e  perciò  sarebbe  indiscreta  cosa  il 
mangiarne.  Madama  d'  Orvigny  fece  in  questo  punto 
chiamar  Enrichetta,  e  Ferrandino  restò  solo.  Allora 
«gli  si  mise  di  nuovo  ad  esaminare  ciò  che  gli  solleti- 
cava il  palato  :  guarda  dall'  una  e  1'  altra  parte  la  fo- 
caccia, la  solleva  in  alto,  e  finisce  con  lasciarla  cadere 
per  terra:  la  caduta  la  fece  andar  in  pezzi,  e  Ferran- 
dino non  potè  far  a  meno  di  mangiarne  un  tantino.  Indi 
non  molto  si  venne  ad  avvertirlo  di  mettersi  a  tavola, 
ed  all'ultima  portata  Madama  d' Orvigny  fece  recar  la 
focaccia.  Scioltone  Y  inviluppo  :  Che  vuol  ciò  dire,  con 
sorpresa  esclamò;  essa  è  tutta  infranta,  e  ve  ne  manca 
un  pezzetto  !  Ferrandino,  vi  avreste  mai  appressato  la 
mano  ?  —  No ,  cara  zia ,  io  vi  assicuro . . .  rispose  il 
fanciullo,  arrossendo.  —  Saresti  dunque  stala  tu,  En- 
richetta? poiché  tu  pure  sei  entrata  nella  camera?  — 
Gli  è  stato  per  pigliare  un  libro,  ma  io  non  ho  toccata 
la  focaccia.  —  A  questo  passo  interruppe  la  maestra: 
Voi  potete  riposare  sulla  parola  di  Enrichetta:  ma  veggo 
che  Ferrmidino  è  oggi  nello  slesso  tempo  disubbidiente, 
ghiotto  e  mentitore.  —  Ciò  mi  spiace,  rispose  Madama 

^)  A.  bella  prima  —  jucvfì.  —  ^)  U  inviluppo  ~  Umfd^fag. 
—  3)  Briciola  —  ©tùcfci^en. 


LÀ  SAGGU  FANCIULLA.  199 

d'Orvigny:  di  malgrado  m'induco  a  punire,  ma  vi 
sono  costretta:  gli  è  mio  dovere,  e  questa  volta  fa 
d'uopo  d'un  doppio  gastigo.  Primieramente  voi  non 
mangerete  più  di  cotesta  focaccia:  io  la  do  tutta  ad 
Enrichetta,  che  se  ne  riserberà  la  metà  per  domani.  Vi 
avverto  poi  che  vostro  padre  e  vostra  madre  giungeran 
qua  domani  a  sera,  io  monterò  per  tempo  in  carrozza 
per  andar  loro  incontro,  e  la  mia  intenzione  era  di 
prendervi  ancora  voi,  se  foste  stato  docile  ed  appli- 
cato *)  :  ma  non  siete  stato  né  l' uno  né  l' altro  :  io 
non  sono  soddisfatta  né  della  vostra  scrittura,  né  della 
vostra  condotta,  perciò  voi  sarete  privo  di  vedere  i 
vostri  genitori  qualche  momento  prima.  Enrichetta  sola 
mi  accompagnerà.  Ferrandino  proruppe  in  un  dirotits- 
simo pianto;  sperava  nondimeno  che  sua  sorella  avrebbe 
ancora  tanta  bontà  per  restar  secolui ,  ma  s' ingannava. 
Se  non  ,si  trattase,  gli  diss'  ella  quando  furono  soli,  che 
di  andare  al  passeggio,  al  ballo  o  alla  commedia,  io 
resterei  teco  per  consolarti;  ma  si  tratta  di  vedere  il 
padre  e  la  madre,  e  non  posso  sacrificarti  siffatto  pia- 
cere; ciò  é  impossibile:  spiacemi  in  vederti  cotanto 
afflitto:  prendi,  mio  caro,  tutta  la  focaccia  che  mi  ri- 
mane: poiché  mia  zia  me  l'ha  donata,  io  posso  farne 
quel  che  mi  aggrada.  —  Io  ti  ringrazio ,  cara  sorella, 
veggo  che  tu  sei  molto  buona,  disse  Ferrandino  un 
po'  consolato. 

Il  giorno  seguente,  essendo  giunti  in  sulla  sera  i 
di  lui  genitori,  non  gli  fu  fatta  alcuna  carezza ,  poiché 
erano  stati  fatti  consapevoli  eh'  egli  non  avea  bene  im- 
piegato il  suo  tempo,  e  che  non  si  era  ravveduto  de' 
suoi  difetti.  Noi  vi  abbiamo  recalo  dei  fantocci,  disse 
la  madre  a  Ferrandino,  ma  non  li  vedrete  se  pria  non 
cambierete  condotta.  Per  te^  mia  cara  Enrich  etta,  con- 

*)  Applicato  —  flJfi^ig. 
Soave,  Novelle.  13 


]94  NOVELLA  XXXVII. 

tiniiò  ella,  eccoti  dei  libri  e  delle  stampe  che  ti  da- 
ranno diletto,  ed  alcuni  fantocci  che  potrai  regalare 
alleine  amiche.  Enrichetta,  tutta  contenta,  fece  mille 
ringraziamenti  alla  madre,  e  Ferrandino  nuovamente 
s'addolorò.  Qual  differenza  si  fa  fra  mia  sorella  e  me 
diceva  egli;  ella  riceve  degli  elogi,  delle  carezze  e  dei 
doni,  e  a  me  non  vengono  compartiti  che  de'  rimproveri. 
Enrichetta,  continuamente  afflitta  pei  dispiaceri  di  suo 
fratello,  gli  dava  sovente  delle  stampe  perchè  potesse 
divertirsi,  e  gli  raccontava  le  storiette  contenute  ne' 
suoi  libri.  A  poco  a  poco  il  buon  esempio  della  sorella 
corresse  il  fratello.  Enrichetta  è  sempre  contenta,  di- 
ceva egli;  le  si  accorda  tutto  quello  che  brama:  con- 
viene dunque  che  imiti  la  di  lei  condotta,  perchè  possa 
avere  i  miei  fantocci  ;  fa  d'  uopo  ch'io  faccia  il  mio  do- 
vere per  piacer  a' miei  genitori.  Ei  mantenne  la  parola, 
e  si  diede  all'  applicazione  assai  più  che  non  faceva  per 
r  addietro.  A  prima  giunta  egli  durò  in  vero  fatica  ad 
avvezzarvisi  *),  ma  in  seguito  lo  studio  gli  divenne  sì 
grato ,  che ,  lungi  dall'  affaticare  per  avere  i  suoi  fan- 
tocci, trovava  nell'applicazione  un  vero  piacere.  Quando 
i  suoi  genitori  lo  videro  si  l)ene  disposto ,  lo  amarono 
egualmente  che  la  sorella,  e  gli  procacciarono  ogni 
sorta  di  divertimenti.  Ferrandino,  diventato  saggio, 
non  ebbe  più  bisogno  di  ricorrere  alla  menzogna  per 
nascondere  i  propri  difetti ,  e  1'  allegrezza  brillava  ^) 
tutto  giorno  sul  di  lui  volto.  Enrichetta  divenne  più 
felice  ancora  che  per  lo  passato,  poiché  prendeva  parte 
a  tutt'  i  piaceri  di  suo  fratello. 


')  Avvezzarvisi  — -  M  baran  ju  getoòl^nen.  —  ^)  Brillava  — 
flcal^lte. 


195 


NOVELLA  XXXVin. 

ROSJlIìIA. 

« 

In  un  antico  castello  menava  solitaria  vita  ^)  il  vecchio 
cavalier  Faramondo;  avea  secolui  Rosalia  sua  nipote, 
unica  superstite  ^)  di  nove  figli,  cinque  figlie  e  ventidue 
nipoti.  Ei  sopravvivea  a  tanti  cari  oggetti  che  avea 
veduto  trasportare  al  sepolcro  ,  ed  egli  stesso  sparso 
avea  de  "fiori  sulle  loro  tombe,  e  piantato  all'intorno 
de'  funerei  cipressi.  L' anima  sua ,  fidente  in  un  felice 
avvenire,  non  si  lasciava  punto  sopraffar  ®)  dal  dolore. 
Cosi  un  detenuto  dal  fondo  dell'  oscura  carcere  travede 
un  raggio  di  luce  ;  figurasi  in  mente  le  magnifiche  scene 
che  l'abitatore  dei  monti  gode  al  momento  in  cui  l'aurora 
annunziatrice  del  giorno  rallegra  tutta  la  natura.  I  tre 
figli  maggiori  di  Faramondo,  a'  quali  non  avea  potuto 
prestare  gli  eslremi  uffizi,  erano  morti  lungi  dal  padre 
in  un  combattimento  contro  gl'Infedeli. 

Sul  far  della  sera  mettevasi  sovente  a  sedere  sotto 
un  fronzuto  *)  castagno  in  compagnia  della  giovane 
Rosalia,  unica  consolazione  di  tante  perdite.  Là  egli 
l'interteneva  sulla  pietà  di  sua  madre,  sulle  virtù  dell' 
avo,  e  sulle  gloriose  azioni  de'  figli  suoi  :  la  giovanetta 
allora  con  cuore  agitalo  cadeva  fra  le  braccia  di  quel 
venerabile  vecchio ,  e  versava  un  torrente  di  lagrime. 
Per  un  sentiero  angusto  e  tortuoso  ^)  ei  la  conduceva 
sino  alla  sommità  d' una  montagna,  ove  le  aveva  pre- 
parato un  sedile  coperto  di   muschio  ^);   i  fluiti  spu- 

*)  Menava  solitaria  vita  —  Ubh  ganj  cinfam  ober  juriicfge* 
gtjgen. —  2)  Unica  superstite  —  bie  einjigc  bic  ì>on  ....  ùbers 
Ubtt.  —  3)  Sopraffare  —  ùbcrttjàltigcn.  —  *)  Fronzuto  castagno 

—  belaubter  ^afìani'cnbaum.  —  ^)  Sentiero    angusto       tortuoso 

—  fc^maler  unb  gerc^Iàngclter  %\\^\teìQ.  —  ^)  Sedile  coperto  di 
muschio  —  S)tooiha\\f. 

li* 


196  NOVELLA    XXXVm. 

manti  spezzavansi  a  pie  dello  scoglio  *),  e  con  grande- 
strepito  muggivano,  allorché  il  tempestoso  turbine  scon- 
volgeva i  più  profondi  abissi  del  mare. 
^  Ma  la  burrasca  facevasi  di  rado  sentire.  Sovente 
in  una  bella  notte  d'estate,  oppur  la  sera  d'un  bel 
giorno  d'  autunno ,  allorché  la  luna  brillava  nel  cielo 
azzurro,  conducea  per  mano  Rosalia  o  sulla  sommità 
del  monte,  o  sotto  ad  una  delle  vòlte  guernite  d'  edera  ^), 
che  coprivano,  le  caverne  di  quello  scoglio.  Ivi  con- 
templava la  natura  e  ne  sentiva  il  suo  divino  influsso. 
Se  la  notte  del  dolore  avea  ottenebrata  ^)  la  di  luì 
anima,  essa  bentost©  si  dissipava  *),  il  di  lui  spirito 
diveniva  sereno  come  un  ciel  senza  nubi ,  il  suo  umore 
era  placido  come  lo  splendore  della  luna  ;  sembravagli 
che  gli  amati  suoi  figli  volgessero  dal  celeste  soggiorno 
qualche  sguardo  sopra  di  lui,  e  lo  chiamassero  in  quelle 
beate  abitazioni.  In  mezzo  a'  suoi  santi  pensieri  veniva 
sovente  interrotto  dalle  fanciullesche  dimande  di  Ro- 
salia. La  di  lei  voce  era  quella  dell'innocenza,  gli 
sguardi  esprimevano  la  tenerezza  e  la  bontà ,  e  tutta  la 
fìsonomia  annunziava  già  un'  anima  grande.  „Padre  mio 
(che  così  poteva  ben  chiamarlo),  diceva  ella,  impri- 
mendo de' baci  sulla  mano  di  quel  rispettabile  vecchio, 
perchè  avete  un'aria  così  seria  e  trista?  guardatemi; 
osservate  come  la  luna  mi  sorride,  e  tuttavia  sono  ben 
lungi  dall' amarla  tanto  come  am^  voi."  Il  vecchio, 
allora  teneramente  l'abbracciava,  e  con  le  lagrima 
bagnava  le  rosee  guance  di  quella  amabile  fanciullinj 
Sovente,  dopo  averla  condotta  al  luogo  ove  prendej 
riposo  la  notte,  appoggiato  al  suo  bastone  ei  ritornavi 
sulla  spiaggia  del  mare ,   e   colà  restava  solingo  sin( 

^)  I  flutti  spumanti  spezzavaiisi  a  pie  dello  scoglio  — 
t)ie  f(5àumcni)cn  5BeHen  gerfc^lugen  fìd^  an  bie  Mipìpt.  —  ^)  Volle 
guernite  d'edera  —  SBód^ungcn  mit  (Bpf)ni  ufer^ogen.  — 
^)  Ottenebrata  —  xm^ìipxi.  —  *)  Si  dissipava —ierjìmtf e  fic^. 


ROSALIA.  199 

all'apparire  dell'aurora;  poi  ritornava  alla  casa  pa- 
terna ,  e  un  lieve  sonno  ricreava  la  sua  vecchiezza. 
Appena  risvegliato,  ei  trova  Rosalia  occupata  nel  pre- 
parare i  cibi  e  la  bevanda  con  cui  ristoravasi  ^)  :  ella 
era  molto  giovane,  ma  il  più  dolce  pensiero  di  lei  era 
quello  di  servir  l'avo,  di  abbellire  i  suoi  giorni,  e  di 
allontanare  da  esso  la  malinconia  che  talora  gli  pesava 
.sull'animo.  La  solitudine,  in  cui  vivea,  disponeva  il 
cuore  di  lei  a  sentimenti  sublimi  e  teneri  ;  la  natura  all'in- 
torno di  essa  era  maestosa  e  selvaggia  :  tutto  concorreva 
a  dar  alla  su-a  fantasia  delle  alte  idee ,  che  i  discorsi 
dell'  avo  aumentavano.  I  di  lei  occhi  stavano  immoti 
su  que'  di  Faramondo ,  allorché  narrava  ad  essa  le 
gloriose  gesta  de' suoi  antenati;  come  un  di  essi  alla 
testa  di  pochi  guerrieri,  avea  affrontato ,  il  mare  e  gli 
assalti  dei  nemici  per  liberare  un  popolo  straniero  dalla 
servirtù  ;  come  un  altro  avea  messo  dei  villaggi  e  delle 
città  intere  al  coperto  ^)  del  furore  de'  masnadieri; 
come  la  saggezza  di  un  di  essi  riconciliato  avea  due 
fratelli  nemici,  o  ricondotto  dei  figli  ingrati  all'obbe- 
dienza del  lor  genitore.  Nel  suo  ragionare  non  obbliava 
Faramondo  le  gesta  della  sua  giovinezza,  la  sua  schia- 
vitù in  Africa ,  ove  per  tre  anni  vissuto  era  co'  Mori, 
dai  quali  erasi  liberato  su  d'una  navicella,  esponen- 
dosi agi"  insulti  del  mare.  Ricordava  pure  come  avea 
liberato  dalla  prigione  un  giovane  di  alto  rango,  rite- 
nuto in  ferri  per  gelosia  d'  un  prepotente  rivale  ;  come 
l'avea  ricondotto  presso  l'affettuosa  amante,  la  quale, 
nel  riveder  l' oggetto  della  sua  tenerezza,  proruppe  in 
pianto  di  gioja  ')  a' pie  del  liberatore. 

In  certi  giorni,  come  l' anniversario  della  nascita  e 
della  morte  de' suoi  figU,  era  principalmente  consacrato 

*)  Ristoravasi  —  fid)  cxquidte.   —  ^)  Mettere  al  coperto  — 
gefc^ù^t  »oc  jc.  —  ^)  Proruppe  in  pianto   di  gioja  —  biat^  in 


198  NOVELLA  XXX Vili. 

alia  memoria  de' trapassati,  Rosalia  vestita  di  bianco^ 
e  cinta  il  capo  d'una  ghirlanda  di  rose  '),  per  mano 
veniva  condotta  dal  vecchio  nel  bosco  de'  cipressi, 
mentre  il  sole,  vicino  già  al  suo  tramonto,  vibrava  fra 
i  rami  degli  alberi  qualche  raggio  di  luce  sulle  tombe 
che  racchiudevano  le  spoglie  degli  oggetti  sì  cari  a  Fara- 
mondo  :  colà  sovente  si  tratteneva  fino  allo  spuntar  della 
luna,  magnificava  allora  il  vecchio  le  bellezze  della  na- 
tura e  i  benefìcj  del  Creatore  ;alzavasi  col  pensiero  verso 
le  celesti  regioni  di  quelli  che  hanno  amato  Iddio  e  la 
virtù  sopra  ogni  bene  t  erreno.  Rosalia  ascoltava  in  si- 
lenzio gl'inni  del  vecchio,  ed  il  suo  cuore  intenerito 
riempivasi  di  gioia  celeste. 

Con  tal  tenore  di  vita  ")  giunse  ella  al  quattor- 
dicesimo anno  dell'età  sua  :  quando  ^)  una  nuova  dis- 
grazia minacciava  il  saggio  vecchio  e  la  graziosa  di 
lui  compagna.  Durante  una  tetra  not'e  *),  in  cui  la  terra 
esalava  de'  maligni  vapori  ^) ,  Faramondo  ,  stremo  di  ^ 
forze ^),  si  lasciò  cadere  a  pie  d'un  albero  un  grave 
sonno  r  oppresse,  e  Y  esalazioni  sulfuree  ')  della  terra 
gli  copriron  d'  un  fosco  velo  gli  occhi,  dimodoché ,  ris- 
vegliatosi, non  ebbe  più  la  facoltà  di  rivedere   il  sole. 

Rosalia,  sorpresa  dall'assenza  del  vecchio,  con 
inquietudine  ne  va  in  traccia  nei  luoghi  ov'era  solito  di 
trattenersi,  ma  le  sue  ricerche  riescono  vane.  Final- 
mente ella  si  disponeva  a  violare  la  proibizione  fattale 
dall'avo  di  salir  da  sé  sola  la  rupe,  di  là  non  molto-i 
discosta,  quando  tutto  ad  un  tratto  le  risuona  una  vocej 
all'orecchio:  ella  precipita  i  suoi  passi  verso  quel 
luogo,  e  riconosce  venir  quel  grido  dall'  avo  suo ,  ch( 

*)  Cinta  il  capo  d'una  ghirlanda  di  rose  —  mit  einem  dioi 
fenfronjc  gcfd^miidt.  —  ^)  Con  tal  teno  re  di  vita —  Bei  folc^enij 
ìthtnSWanid.  —  ')  Quando  —  aU.  —  *)  Durante  una  tetra 
notte—  JDÓl^retib  einec  bùfìcrcn  ^adijt.  —  5)  Maligni  vapori  — 
Bóéartigc  Otuébunjìungcn.  —  «)  Stremo  di  forze—  erfc^vH'ft. — 
^)  Sulfuree  —  fc^tpffelortig. 


ROSALIA.  1»» 

intendeniTo  i  gemiti  *)  della  fanciulla ,  avea  drizzato  i 
suoi  passi  verso  di  lei  ^). 

Ella  finalmente  lo  trova,  e  raccapriccia  in  vederlo 
immobile  e  silenzioso  ;  si  prost:  a  ..'  di  luì  piedi.  Cara 
Rosalia,  disse  allora  il  vecchio,  con  qual  piacere  ti 
stringo  al  mio  seno,  quanto  grate  mi  sono  le  lagrime 
che  spargo  sulle  tue  guance.  —  Ah!  padre  mio,  quanto 
la  vostra  lontananza  mi  ha  angustiata!  io  temeva  di 
avervi  sempre  perduto.  —  Io  son  cieco  ;  io  non  ti  vedrò 
mai  più  ^)  :  la  luce  del  sole,  la  bellezza  della  natura 
non  potranno  più  ricreare  il  mio  animo.  —  Rosalia  al- 
lora proruppe  in  un  dirottissimo  pianto,  e  nientemeno 
conservava  ancora  qualche  speranza  che  gli  fosse  re- 
stituita la  vista,  persuadendosi  che  i  vapori  della  notte 
gliel'  avessero  solo  intorbidita.  Abbassando  il  suo  capo 
sulla  raggrinzata  fronte  *)  del  vecchio,  cercava  di  dis- 
sipar ^)  coir  alito,  e  col  tatto  delle  sue  dilicate  dita  la 
nube  che  ingombrava  gli  occhi  dell'  avo ,  di  tratto  in 
tratto  ^)  chiedendogli  se  ci  vedea.  Allora  il  vecchio 
.sospirando  esclamò:  —  Tu  sei  e  sarai,  finché  io  viva, 
la  delizia  dell'  anima  mia;  ma  questi  occhi  non  rive- 
dranno mai  più  no,  non  rivedranno  più  la  mia  diletta 
Rosalia.  —  Dopo  avere  sparso  le  più  amare  lagrime,  la 
fanciulla  raccoglie  tutte  le  sue  forze  ')  onde  alzar  da 
terra  il  misero  vecchio,  il  quale,  appoggiato  al  di  lei  brac- 
cio, tremante  giunge  nel  silenzioso  ritiro  del  suo  castello. 

In  tale  stato  visse  Faramondo  due  anni ,  solo  go- 
dendo di    quei   piaceri   che  suppliscono  al  difetto  del 

*)  Gemili  —  9Dcf;f(agcn.  —  ^)  Avea  drizzato  i  suoi  passi 
verso  di  lei  —  ging  il^r  «ntgegen.  —  ')  lo  non  ti  vedrò  mai  più  — 
id)  totthe  bi4  nimmer  feF;cn.  —  *)  Raggrinzata  fronte  —  gerungcttc 
Stime.  —  ^)  Dissipar  coli'  alito,  e  col  tatto  la  nube,  che  in 
gombrava  gli  occhi  — gcrt^cilcn  mit  bcmJ&aii^e  imb  ber  i^ii^tfraft 
iì)Xtr  finger  bic  SSolfe ,  njetc^c  bic  9(iigen  beVccftc  h.  —  ^)  Di 
tratto  in  traUo  --  »on  3eit  gu  3eit.  — -  ')  Raccoglie  tutte  le  sue 
forze  —  wenbft  otte  i^re  J?ràft«  on. 


200  NOVELLA  XXXVm.  « 

senso  che  avea  perduto.  Tostochè  sentiva  il  calore  dei 
raggi  solari,  o  la  deliziosa  freschezza  dell'  aurora,  ed 
i  profumi  eh'  esalano  i  fiori,  oppure  all'  ora  in  cui 
r  astro  del  giorno  vibra  gli  ultimi  raggi,  ei  si  facea 
guidar  dalla  nipote  ne'  luoghi,  la  cui  vista  tante  volte 
ricreato  V  avea.  Egli  ascoltava  allora  il  melodioso 
canto  degli  uccelli,  e  passava  dell'  intere  giornate  sulla 
spiaggia  del  mare.  Era  grato  al  suo  orecchio  lo  stre- 
pitare dell'onde  0,  perchè  ^li  faceva  risovvenire  in- 
teressanti oggetti.  Rosalia  gli  facea  pur  sovente  udire 
i  dolci  accenti  della  sua  voce  :  ella  cantava  gì'  inni  che 
imparato  avea  da  lui. 

Un  giorno,  mentre  stavano  assisi  sulla  spiaggia 
del  mare,  vede  Rosalia  alcuni  vascelli,  i  quali  si  avvi- 
cinavano sempre  più  finché  presero  terra  *).  Un  giovane 
d'  aspetto  nobile  scende  con  poco  seguito  dalla  nave  : 
saluta  rispettosamente  Faramondo  e  Rosalia.  La  beltà, 
incantatrice  e  modesta  di  lei  sveglia  una  viva  impres- 
sione sul  cuore  dello  straniero,  il  quale,  dopo  breve 
colloquio,  all'  udire  il  nome  del  cavalier  Faramondo, 
sentissi  riempier  1'  anima  d' inusitato  piacere.  Il  padre 
di  lui  era  slato  pure  un  nobile  cavaliere,  il  quale  cam- 
biato avea  le  sue  armi  con  quelle  di  Faramondo;  con 
lui  s' era  provato  in  un  combattimento,  e  le  loro  forze 
s'  erano  trovate  eguali.  Lo  straniero  mostra  le  armi, 
salutando  Faramondo  con  più  rispetto  ancora,  ed  il 
vecchio  cavaliere  l'accoglie  come  se  fosse  suo  figlio. — 
Ecco  dunque  le  armi  della  mia  giovanezza,  diceva  egli, 
tentando  di  alzarle  da  terra  ;  voi  non  servirete  più  ad 
acquistarmi  un  nobile  amico ,  né  a  soggiogare  un 
audace  avversario.  —  A  questo  passo  gli  caddero  delle 
lagrime —  —  Rosalia,  sono  lucide  queste  armi?  —  Sì. 
Esse  brillano  come  il  sole  nascente.  —  Guidarono  al- 

*)  Lo  strepitare  delle  ondo  —  bo3  9taufci^en  ber  SBeKen.  — 
^)  Prender  terra  —  anianben. 


R0S.4UA.  20]( 

lora  al  castello  il  giovane  forestiere  e  la  di  lui  comi- 
tiva ^),  e  li  trattarono  con  la  maggiore  ospitalità. 
L'ospite  novello  raccontò  i  suoi  viaggi:  ei  giungeva 
dalle  contrade  di  Spagna,  e  proseguir  dovea  il  suo 
viaggio  per  eseguire  gli  ordini  di  suo  padre.  Egli 
avrebbe  voluto  passar  la  vita  insieme  con  Rosalia:  la 
preferisce  a  tutte  le  donne ,  e  in  aria  timida  e  rispet- 
tosa ardisce  di  manifestarsi  *)  a  lei.  Rosalia  amava  pure 
il  giovane  forestiero,  e  spiacevale  il  dover  separarsene  : 
tuttavia  si  fa  coraggio  a  dirgli:  —  Non  amarmi,  o  Ri- 
naldo (che  tal  era  il  suo  nome)  5  io  non  posso,  né  debbo 
seguirti  :  a  mio  padre  consacrar  devo  il  mio  amore  ed 
i  miei  giorni:  nulla  potrà  separarmi  da  lui.  Mi  porrò 
io  a  scorrere  dei  mari  e  delle  contrade  ignote,  e  la- 
ncerò solo  quello  cui  debbo  la  vita ,  quello  eh'  ebbe 
cura  de'  miei  primi  anni,  e  di  cui  posso  consolar  la 
vecchiezza  ed  alleviarne  le  infermità?  — Pronunciando 
questi  detti,  Rosalia  si  copriva  d'  un  velo  onde  nascon- 
dere il  pianto.  —  No,  tu  non  1'  abbandonerai,  replicò 
vivamente  il  cavaliere  ;  il  padre  seguirà  i  figli  suoi. 
Guardati  bene  da  ciò  pensare,  gli  rispose  ella  :  io  non 
posso  acconsentire  ad  esporre  la  sua  vecchiezza  a'  di- 
sagi del'mare:  parti,  giovane  forestiero,  ritorna  al 
padre  che  ti  aspetta,  renditi  alla  patria  cui  appartieni  : 
tu  in  questi  luoghi  restar  non  puoi.  —  Rinaldo  partì,  e 
la  sua  giovane  amante  salì  sopra  di  un  colle  d' onde  lo 
vide  imbarcarsi  coli' equipaggio,  e  spiegare  al  vento  le 
vele.  L'immagine  di  Rosalia  gli  era  sempre  presente 5 
si  die  fretta  *)  di  eseguir  il  paterno  comando,  sperando 
di  ottener  da  essolui  la  licenza  di  ritornare  al  felice 
soggiorno  di  Faramondo  per  unirsi  a  Rosalia,  condurla 
in  Ispagna,  0  dimorar  nel  castello  finché  vivesse  quel 
rispettabile  vecchio. 

')  Comitiva  —  ®tfo\^t.  —  *)  Manifestarsi  —  fl(^  ctffàrm. 
—  »J  Si  die  fretta  —  becilte  ftd^. 


S03  NOVELLA  XXXVIII. 

Rosalia  era  occupata  di  Rinaldo,  che  credeva  di 
non  poter  più  rivedere:  ma  benché  il  vecchio  non  fosse 
più  r  unico  oggetto  de'  suoi  pensieri,  la  tenerezza  tut- 
tavia e  le  attenzioni  per  lui  non  venivano  meno. 

Un  giorno,  durante  il  calore  del  mezzodì,  ella  era 
seduta  presso  una  fonte,  cui  facevano  ombra  i  rami 
degli  alberi,  quando  tutto  ad  un  tratto  vide  comparire 
una  leggiadra  figura  circondata  d'  un  vivo  splendore. 
I  cuori  innocenti  e  puri  non  van  soggetti  al  timore.  Ro- 
salia non  sente  che  un  soave  fremito:  si  alza  non  già 
per  fuggire ,  ma  eccitata  da  un  sentimento  di  venera- 
zione j;  e  la  figura  così  le  prende  a  favellare:  „Rosalia, 
egli  è  in  tuo  potere  il  restituir  la  vista  a  tuo  padre, 
ma  ciò  ti  costerà  un  sacrifizio.  —  Ah  !  qual  è  questo 
sacrifizio?  rispose  Rosalia  con  vivacità.  Dovrò  perder 
la  vista,  la  vita  istessa*?  tutto  farò  di  buon  grado.  — ^ 
No,  non  è  la  morte  o  la  perdita  della  vista  che  ti  so- 
vrasta ;  tu  vivrai  con  tutti  i  sensi  illesi  :  ma  puoi  tu  ac- 
consentire a  perder  1'  avvenenza ,  e,  ciò  clv  è  ancora 
più  prezioso,  la  giovanezza?  Mira  questo  nappo  0;  il 
liquor  contenutone  è  amaro:  se  tu  lo  bevi  sarai  tras- 
formata, ma  dissiperassi  1  velo  che  copre  gli  occhi  del 
padre  tuo.  Rosalia  prende  quel  nappo:  specchiasi  un 
istante  nel  fonte,  alza  gli  occhi  al  cielo  e  sospira  pen- 
sando a  Rinaldo;  indi  trangugia  ^)  Y  amaro  liquore, 
mirasi  di  nuovo  nella  sorgente,  e  si  fa  indietro  *)  con 
raccapriccio.  La  celeste  vision  disparì.  Rosalia  versa 
qualche  lagrima  sulla  perduta  bellezza  indi  affrettasi  a 
raggiugnere  il  vecchio  per  essere  spettatrice  della  sua 
gioia  nel  riacquistare  la  vista.  Ma  giunta  al  luogo  in 
cui  si  trovava,  s'  arresta  in  distanza  per  non  esser  ve- 
duta dal  padre  cosi  difformata,  il  quale  non  1'  avrebbe 
forse  riconosciuta. 

*)  Nappo  —  S3ed)er.  —  ^)  Trangugia  —  t^erfd^lucft.  — 
•)  Si  fa  indietro  —  gi»^t  fìc^  eniff^t  gurùcf." 


ROSALIA.  S03 

Dopo  di  aver  udito  le  grida  d'  allegrezza  dell'  avo^ 
che  tutto  ad  un  tratto  uscendo  dalle  tenebre  della  notte^ 
rìvedea  la  natura  intera  in  tutto  il  suo  splendore,  Rosa- 
lia vede  presso  di  sé  l'ombra  celeste  cheerale  poco 
innanzi  apparuta;  questa  le  presenta  un'  altra  volta  il 
medesimo  nappo,  sollecitandola  a  trangugiarlo.  Rosalia 
senza  esitare  lo  prende,  e  ne  sugge  il  liquore.  Ciò- 
fatto,  sparisce  la  celeste  visione.  Rosalia  presentasi  al- 
l'avo, il  quale  gode  in  vederla  ornata  di  tutti  i  vezzi  della 
giovanezza.  Chi  descrivere  potria  questa  scena  di  stu- 
pore, di  gratitudine,  d'  amor  filiale  e  di  tenerezza  pa- 
terna? Raccontatone  al  vecchio  il  fatto  accaduto, 
amendue  s" avviano  alla  sorgente  ove  avea  veduto  l'om- 
bra celeste  :  visitano  tutti  i  luoghi  in  cui  s'  erano  deli- 
ziati altre  volte  :  il  vecchio  rivede  le  tombe  degli  og- 
getti a  lui  sì  cari,  e  Rosalia  raccoglie  dei  fiori  per  ispar- 
gerveli  sopra  in  quel  solenne  giorno. 

Pochi  giorni  dopo  approda  a  quella  spiaggia  Ri- 
naldo: Faramondo  unisce  le  mani  e  i  cuori  de'  due 
amanti,  che  si  giurano  perpetua  fede  :  ei  li  benedice, 
alzando  gli  occhi  al  cielo  scintillanti  V)  di  tenerezza  e 
di  gioia.  In  quel  castello  passarono  tutti  e  tre  alcuni" 
anni  senza  pene  e  in  perfetta  tranquillità.  Ma  un  giorno, 
preparandosi  Rinaldo  e  Rosalia  a  celebrare  V  anniver- 
sario della  nascita  di  Faramondo ,  carichi  di  fiori  es- 
sendo entrati  nel  bosco  dei  cipressi,  in  cui  erasi  recato 
il  vecchio  innanzi  all'  auròra,  con  dolore  lo  rinvennero 
steso  per  terra,  con  le  mani  giunte  sulla  tomba  della 
trapassata  consorte.  Rosalia,  a  tal  vista,  getta  un  affan- 
noso grido,  e  cade  a'  piedi  dell'  avo,  ma  i  di  lei  gemiti 
non  hanno  forza  di  risvegliarlo:  ella  deplora  lunga- 
mente si  amara  perdita,  e  Rinaldo  prende  parte  al  do- 
lore di  lei.  Dopo  un  anno  partono  per  la  Spagna,  patria 

*)  ScinlilJanti  —  funlelnb,  fìro^Icnb. 


304  NOVELLA  XVXIX. 

di  Rinaldo.  Quante  lagrime  non  isparse  Rosalia  all' 
istante  di  abbandonar  que'  luoghi  eh'  erana  stati  testi- 
moni dei  dolci  piaceri  della  sua  giovanezza.  L"  era  so- 
prattutto molto  amaro  l' allontanarsi  dal  bosco  de"  ci- 
pressi, il  quale  racchiudeva  tante  tombe  sacre  per  lei. 
Andata  in  Ispagna ,  sovente  si  risovveniva  de'  luoghi 
che  r  aveano  veduta  nascere  ;  sembravale  andar  errando 
tuttora  in  quei  solitari  recinti  *)  in  compagnia  dell'  avo, 
talor  credeva  essere  con  lui  sulla  sommità  del  monte, 
ed  or  sulla  spiaggia  del  mare.  Rinaldo  entrava  a  parte 
di  questi  sentimenti:  il  giorni  loro  scorrevano  a  guisa 
d' un  placido  ruscello  :  facean  loro  corona  molti  graziosi 
ed  amabili  figliuolini  :  senza  amarezza  alcuna  passarono 
il  restante  della  vita,  finché  la  morte  venne  a  condurli 
all'eterno  riposo  e  ad  unirli  alle  anime  de'  trapassati 
lor  avi. 


NOVELLA  XXXIX. 
Ili  JflATTIT^O  FORTCHrATO. 

iVlentre  un  padre  di  famiglia  era  occupato  un  mattino 
nel  far  colezione  in  compagnia  de'  suoi  figli,  vide  en- 
trar nella  camera  un  de'  suoi  gastaldi,  il  qual  recavagli 
del  danaro.  Contatane  la  somma,  fra  le  monete  sulla 
tavola  sparse  trovavasi  uno  scudo  nuovo,  il  cui  splen- 
dore e  la  graziosa  impronta  colpirono  gli  occhi  del  più 
giovane  de'  suoi  figli.  Ei  l' esaminava  con  una  certa  non 
so  qual  aria,  che  facea  comprendere  che  gli  sarebbe 
stato  grato  T  averlo.  Il  padre  prese  lo  scudo,  e  mostran- 
doglielo da  tutti  i  canti  :  È  forza  convenir^,  disse  egli 
al  fanciullo,  che  questa  moneta  è  graziosa:  si  può  di- 
vertirsi un  momento  nel  considerare  il  suo  splendore 
V  Solitario  recinto  —  cinfamt!  ©cgenl). 


IL  MATTINO  FORTUNATO.  20» 

e  le  leggiadre  figurine  che  vi  si  dinstinguono  5  ma  tal 
divertimento  poco  dura ,  e  quando  si  conosce  una  di 
queste  monete,  è  Io  stesso  che  si  fosser  vedute  tutte 
le  altre  ;  d'  altronde ,  essa  non  brillerà  lungamente. 
Esamina"  quest'  altra:  ella  ha  perduto  lo  splendore, 
r  impronta  n'  è  pressoché  cancellata,  né  più  a  sé  trae 
lo  sguardo.  Cotesta  moneta  in  sé  stessa  non  ha  quasi 
nulla  per  procurrarci  qualche  piacere,  e  se  non  la  met- 
tiamo in  circolazione,  non  ci  potrà  arrecare  alcun  utile. 
Veggiamo  un  poco  cosa  possiamo  farne?...  Gettarla 
per  terra  e  trastullarci  nel  vederla  rotolare  *),  oppur 
servircene  per  giuocare  alle  piastrelle'^)?...  Noi  potre- 
mo pur  farne  uso  applicandola  come  peso  alla  bilancia, 
o  coir  appendertela  al  collo.. '.Ecco  a  un  dipresso  tutto 
ciò  che  ne  possiamo  fare,  e  tutto  questo  é  assai  poco. 
Un  pezzo  di  piombo  servirebbe  cosi  bene ,  e  forse  an- 
che meglio  a  questi  diversi  usi.  Ma  se  facciamo  passar 
dalle  nostre  nelle  altrui  mani  questa  moneta,  essa  potrà 
recarci  dei  vantaggi  senza  confronto  maggiori.  Vo- 
gliamo noi  acquistar  qualche  cosa  che  ci  ricrei  la  vi- 
sta; con  questo  scudo  comprar  potremo  una  stampa, 
un  capo  d'  opera  dell'  arte ,  che  se  lo  mirerem  venti 
volte,  ei  ci  cagionerà  un  piacer  sempre  eguale  e  no- 
vello. Egli  è  certo  che  se  impieghiamo  a  considerar 
questo  scudo  tutto  quel  tempo  che  avremmo  potuto 
consumare  la  stampa,  il  nostro  piacere  sarà  infinita- 
mente minore... 

Noi  possiamo  pur  con  questa  moneta  comperar  un 
giovane  albero ,  il  quale,  trapiantato  nel  nostro  giardino, 
ci  somminislrerà  per  più  anni  un'  ombra  ricreatrice . . .  ') 
Se  vogliamo  farla  servire  in  cose  più  essenziali,  dia- 
mola al  panatlfere  *)  che  ci  fornirà  del  pane  in  quantità 

')  Rotolare  —  fortroUen ,  ttJÓljen.  —  2^  Giuocare  alle  pia- 
strelle —  <Stfint^en  fpiclen.  —  ')  Ombra  ricreatrice  —  «quirfrns 
ber  <Bà)QÌt(n.  —  *)  Panaltiere  —  JBrobfScfcr. 


306  NOVELLA   XXXIX. 

<ia  nutrirci  per  diversi  giorni. . .  Noi  possiamo  comperar 
=con  essa  delle  patate  ^)  onde  sostentar  nel  rigoroso 
verno  una  povera  famiglia...  Oppure  lo  scudo  servirà 
per  pagar  delle  medicine ,  le  quali ,  coli'  aiuto  celeste, 
potranno  forse  restituire  in  salute  un  povero  padre  di 
famiglia  oppresso  da  tormentosi  affanni ,  ecc.  Tu  vedi, 
figlio  mio,  che  possiamo  scegliere  fra  molti  usi,  o  utili, 
o  gradevoli,  e  cosi  pure  per  indicarti  delle  maniere 
ancor  migliori  d' impiegar  questa  moneta . . .  Noi  pos- 
jsìamo  darla  ad  un  mendico,  privo  di  tutti  i  mezzi  onde 
procacciarsi  la  sussistenza,  e  renderlo  felice  per  qualche 
tempo  ;  noi  vedremo  scorrer  sulle  sue  guance  sparute  ^) 
delle  lagrime  di  riconoscenza  e  di  gioia:  ed  alla  vista 
della  sua  felicità  non  sentiremo  entro  di  noi  una  dolce 
soddisfazione?  — 0  padre  mio,  disse  allora  il  fanciullo, 
prendendo  per  mano  il  genitore,  io  vorrei  che  ci  fosse 
un  poverello  a  portata  ®)  ;  qual  piacere  avrei  nel  vederlo 
contento?...  — Ebbene,  replicò  il  padre,  usciamo  tosto 
di  casa,  che  non  andremo  per  avventura  molto  lungi 
^enza  trovarne  uno.  — 

Uscirono,  adunque,  e  a  poca  distanza  incontra- 
rono una  povera  donna  che  dietro  si  menava  un  asi- 
nelio che  portava  due  panieri  *),  in  ciascuno  dei  quali 
trovavasì  un  fanciullo  :  tutto  annunziava  in  essi  l' indi- 
genza ;  erano  coricati  sulla  paglia  e  coperti  di  cenci  ^)  ; 
nulladimeno  graziosamente  sorridevano  verso  i  passeg- 
gieri,  non  avendo  ancora ,  il  sentimento  della  propria 
miseria.  La  madre  arresta  1'  asinelio,  mostra  quelle  in- 
felici creaturine  a'  passeggieri ,  chiedendo  loro  qualche 
soccorso.  Neil'  istesso  punto  passarono  per  colà  un 
vecchio  ed  una  vecchia,  infermi  amendue  e  mendici, 
che  tenendosi  per  le  braccia  camminavano  appoggiati 

^)  Patata  —  Gtbdpfel.  —  ^)  Guance  sparute  —  t)aQtxt  SOatii 
Qcn.  —  3)  A  portata  —  bei  bei*  -^anb  tt»are ,  cber  lf;lft:  ivave.  — 
*)  Panieri  —  ^oxh.  —.  ^)  Cenci  —  Sum^>cn. 


IL  MATTINO   FORTUNATO.  SOV 

SU  d'  un  bastone.  La  vecchia  donna  guarda  quei  fan- 
ciulli infelici  con  un  aria  esprimente  in  un  tempo  la  più 
viva  compassione  e  '1  dispiacere  di  non  poterli  soccor- 
rere... Poveri  fanciuUini!  esclamò  essa  con  commo- 
vente'sospiro.  A  così  tenero  spettacolo  il  buon  padre 
di  famiglia  diede  lo  scudo  alla  madre  di  quei  poveri 
bambini.  La  vechia  donna  allora  :  Il  cielo  vi  benedica  ! 
disse  al  benefattore,  con  viso  altrettanto  lieto  quanto 
mesto  per  l' innanzi.  È  agevole  poi  il  congetturare,  ma 
diificile  a  descriver,  la  gioia  e  la  riconoscenza  della 
madre  :  eccita  ella  i  suoi  figliuolini  a  mandar  con  le 
tenere  mani  dei  baci  al  benefattore,  e  a  balbettare  *) 
qualche  parola  in  segno  di  ringraziamento. 

Il  buon  padre  di  famiglia  allora,  volgendosi  verso 
il  figlio:  Ebbene,  disse,  non  siam  noi  fortunati?  l'  im- 
piego dello  scudo  non  ci  fa  egli  provare  la  più  para 
e  tenera  gioia?  —  Oh!  rispose  il  figlio  con  tronca 
voce  ^),  io  non  sono  mai  stato  tanto  contento ...  da  non 
so  qual  forza  mi  sento  stringere  il  cuore ...  ed  eccitare 
al  pianto ...  e  tuttavia  ciò  mi  riesce  più  grato  che  Io 
scoppiare  di  risa ...  Io  non  ho  per  anche  provato  un 
tal  sentimento.  —  Gioia  mia,  replicò  allora  il  padre, 
stringendolo  fra  le  braccia,  è  1'  emozione  della  benefi- 
cenza, il  piacere  proveniente  dalla  virtù  che  tu  provi 
entro  di  te.  Tu  ti  rallegri  in  veder  sorridere  una  donna, 
il  cui  aspetto  annunziava  un  momento  prima  che  il  di 
lei  cuore  oppresso  era  da  cruda  tristezza;  tu  godi  in 
sapere  che  due  fanciulli  miserabili ,  incapaci  di  sentire 
la  lor  miseria  e  di  procacciarsi  il  sostentamento,  avran- 
no con  che  nutrirsi  diversi  giorni  5  tu  provi  un'  interna 
compiacenza  per  aver  fatto  una  buona  azione,  e  ti  sov- 
vieni ancora  di  queir  altra  donna,  che  mostrava  tanta 
compassione  verso   que'  bamboli  *)  sfortunati,  e  che  ci 

*)  Balbettare  —  ialUn.  —  ^)  Tronca  voce  —  oBgc&rot^cue 
<Stimme.  —  3)  Bamboli  —  ^inUx. 


208  NOVELLA   XXXIX. 

benedì   non   altrimenti   che  s'  ella  medesima  ricevuta 
avesse  il  dono  che  fatto  abbiamo  alla  povera  madre. — • 
Oh  questo  sì,  interrupe  il  figlio,  la  buona  vecchia  !  ella 
sembrava  povera  altresì  .  .  .   Avrebbe    forse   bisogno 
d'uno  scudo?    ho    da  correre  in  traccia  di  lei,  caro 
padre  *?  voi  avete  con  che  soccorrerla.  —  Avrei  senza 
dubbio  piacere,  replicò  il  padre,  di  beneficare  una  per- 
sona, la  quale,  benché  soffra,  oppressa  da'  propri  mali, 
prova  nuUadimeno  tanta  pietà  per  gì'  infortuni  altrui. 
Ma,   figlio  mio,    siamo  noi  certi  che  1'  offerta  d'uno 
scudo  fosse  per  farle  piacere  ?  Un  infelice  che  ha  sen- 
timenti d'  onore  riducesi  agli  estremi  pria  di  risolversi 
a  ricever  così  1'  elemosina.  Fintantoché  bassi  qualche 
risorsa  per  viver  senza  gli  altrui    soccorsi,    convien 
farlo,  e  quando  tutto  manca,  è  meglio  aver  ricorso  a 
quelli  che  distribuiscono  le  pie  offerte  destinate  a*  poveri, 
piuttostochè  andar  mendicando  per  le  pubbliche  strade. 
La  femmina  che  abbiamo  testé  assistito   é   forse 
una  straniera,  la  quale  altro  non  fa  che  atttraversar  la 
città:  non  conoscendo  alcuno,   ella  non  può  in  questo 
momento  né  procurarsi  del  lavoro  onde  sussistere,  né 
saper  ove  può  ottener  degli  aiuti.  Ma  la  vecchia  donna, 
che  passò  avanti  di  noi,  non  chiedeva  nulla  ;  così  saper 
non  possiamo  se  le  sarebbe  grato  di  ricevere  il  nostro 
dono  in  siffatta  maniera.  Oltre  di  ciò ,  se  le  avessi  of- 
ferta r  elemosina ,   eli'  avrebbe  potuto  trovarsene  of- 
fesa, sembrando  eh'  io  rimunerar  volessi  con  quel  re- 
galo un  nobile  sentimento  di  benevolenza,  che  non  può 
essere  pagato  adeguatamente  ^)    con  tutto   1'  oro  del 
mondo  .  .  .  Non  conviene  tuttavia  che  la  perdiamo  di 
vista  ;  m' informerò  della  sua  dimora ,  e  se  mai  ella  si 
trova  in  circostanza  che  abbia  bisogno  dei  nostri  soc- 
corsi, non  ricuseremo  di  assistere  gente  così  merite- 

^)  Adeguatamente  —  atigemeffen. 


NOVELLA  XL.     L'OPPRESSORE  PUMTO,  209 

Tole ...  In  questo  frattempo  pensa,  diletto  figlio,  al 
piacere  che  possiam  procurarci  col  nostro  danaro,  e  al 
gran  compenso  che  ne  ritrarremo.  Questo  e'  insegni  a 
non  impiegarlo  in  bagattelle,  poiché  gli  è  un  chiu- 
derci la  via  di  farne  un  uso  più  importante  e  più 
grato,  quando  l'  occasione  si  presenta.  Oual  ramma- 
rico, qual  perdita  non  sarebbe  stata  per  noi  se  ci 
avessimo  lasciato  sfuggir  tale  incontro ,  e  se  ci  aves- 
simo privati  d' un  vero  piacer  per  avere  scialacquato  *) 
il  danaro  in  coso  di  poco  valore,  e  da  cui  ritratto  non 
avessimo  verun  frutto? 

Così  dicendo,  il  padre  di  famiglia  si  avvia  verso 
la  sua  abitazione.  Colà  giunto:  Ecco,  disse  al  figlio, 
questi  sono  due  scudi:  passati  quindici  giorni,  saper 
voglio  r  impiego  che  ne  avrai  fatto.  Oh,  rispose  il  figlio, 
io  ne  farò  un  buon  uso:  ei  prese  il  danaro,  e  tutto  gio- 
joso*)  si  accostò  alla  tavola  per  mangiar  la  sua  parte 
della  rimasta  colezione. 


NOVELLA    XL. 

li*OPPKE».^OKK  PUHTIIO. 

Nocella  OrienUile. 

£àuì2l  Zarak,  così  detto  perchè  portava  sempre  Io  staf- 
file '),  in  eredità  possedeva  una  terra  di  dieci  leghe 
d'  estensione:  padrone  d'infiniti  tesori,  egli  aveva  tutto 
ciò  che  poteva  desiderare  il  suo  cuore.  Il  castello,  in 
cui  fissato  avea  la  sua  dimora,  era  fabbrcato  su  di 
un'  alta  rupe,  e  la  torre  fattavi  costruire,  da'  suoi  an- 
tenati perdevasi  nelle  nubi.  Collocato  in  mezzo  alle  sue 
possessioni,   ei  ne  scorgeva  in  un  girar  di   ciglio  la 

*)  Scialacquato  —  octfc^toenbct.  —  '^)  Tutto  giojoso  —  frof;» 
locfcn.  —  3)  staffile  —  ^citfc^f. 
Soave,  Novelle.  14 


2  IO  NOVELLA    XL. 

meta  *).  Non  passava  giorno  in  cui  non  salisse  la  torre, 
d'  onde  compiacevasi  nel  contemplare,  i  suoi  schiavi  e 
le  sue  mandre.  Egli  aveva  1'  occhio  intento  principal- 
mente su' servi,  e  quando  affaticati  dal  lavoro  riposa- 
vano un  solo  istante ,  ei  dava  nelle  furie  ^),  ne  verun 
ritegno  arrestar  poteva  il  suo  furore.  Cinquanta  basto- 
nate distribuite  da  una  furiosa  mano  erano  il  solito  ca- 
stigo del  fallo,  ed  egli  stesso  si  compiaceva  ad  inflig- 
gerlo. Qual  mostro!  Ma  Iddio  è  giusto,  né  lascia  im- 
punito il  delitto.  Zuta  Zarak,  che  in  mezzo  alle  richezze 
passava  i  suoi  giorni,  che  possedeva  dieci  leghe  di  ter- 
reno, e  degli  uomini  che  lo  riconoscevano  per  padrone 
senza  eh'  egli  li  compensasse  col  mostrarsi  loro  qual 
padre,  Zuta  Zarak  tutto  ad  un  tratto  perdette  per  di- 
vina disposizione  la  vista.  Ciò  non  ostante  egli  andava 
ancora  sulla  sommità  della  torre,  tormentato  per  la  sua 
cecità,  e  più  ancora  per  non  poter  diverlirsi  col  fla- 
gellare ')  i  suoi  schiavi.  Per  lo  spazio  di  venti  anni  il 
suo  cuore  fu  chiuso  ad  ogni  gioja.  Le  sorgenti  d' ogni 
piacere  erano  chiuse  per  lui.  In  tutto  il  tempo  che  \isse, 
se  una  simile  esistenza  merita  il  nome  di  vita,  ei  non 
conobbe  ne  la  sanità,  né  la  pace.  Ei  beveva  in  nappo 
d'  oro  il  frullo  de'  sudori  che  grondavano  dalla  fronte 
degl'  infelici  suoi  servi,  ma  si  sentiva  lacerar  le  vis- 
cere*) da  cocentissimi  dolori.  Né  la  sua  abitazione,  né 
la  torre  sentivano  mai  rimbombare  i  sacri  canti,  che  i 
pietosi  ed  innocenli  suoi  schiavi  facevano  continuamente 
salir  verso  te,  o  Creatore  !  Ei  non  godeva  nemmeno  le 
dolcezze  del  sonno,  che  veniva  ad  alleviare  dalle  fa- 
tiche lo  schiavo.  Eterno  Dio  !  tu  sei  giusto  ;  lo  mani- 
festerò a  Itutto  il  creato  ;  poiché  Zuta  Zarak,  trovan- 
^)  Ne  scorgeva  in  un  girar  di  ciglio  la  meta  —  er  ù&erfar; 
fu  alte  in  einem  5(ugenblicfe.  —  ^)  Dava  nelle  furie  —  er  gertct^ 
tn  SButl^.  —  *)  Flagellare  —  geifeln.  —  *)  Si  sentiva  lacerar  le 
viscere  da  cocentissimi  dolori  —  er  Hit  on  ben  ^eftigfìen 
@(^merjcn. 


NOVELLA  XLI.   IL  RICCO  INDIANO.  SII 

dosi  solo  un  giorno  nel  più  alto  luogo  della  torre,  fu 
all'improvviso  colpito  da  un  fulmine,  e  in  un  pre  cipitato 
a'  pie  de'  suoi  schiavi.  Questi  si  ragunano  in  folla,  lo 
circondano,  e  compiangendolo,  drizzano  al  cielo  questa 
preghiera:  ,,Ah!  giusto  Dio!  possa  il  tuo  fulmine  aver 
colpito  in  buon  punto  Zuta  Zarak,  ed  aver  resa  migliore 
la  ài  lui  anima!*'  Tale  fu  il  loro  voto.  0  uomini!  quanto 
è  meglio  in  questo  mondo  l"  essere  uno  schiavo  simile 
a  questi,  piuttostochè  esser  padrone  d'immense  richezze 
coir  anima  d'  un  Zuta  Zarak!  0  uomini!  se  V  anima 
vostra  è  ricca  in  virtù!  se  gode  d'una  perfetta  salute, 
non  invidiate  la  sorte  di  qual  si  voglia  Zuta  Zarak,  che 
fu  un  mostro  fra  gli  uomini. 


NOVELLA  XLL 
Ili  RICCO  IXDIA!VO. 

Uopo  aver  passati  trent'  anni  nell"  Indie  il  signor  Billon 
ritornò  in  Europa  con  un'  immensa  fortuna.  Nel  ritorno 
che  facea  alla  città  ov'  era  nato,  la  prima  sua  cura  fu 
di  andare  a  trovar  un  mercante  con  cui  era  stato  in  cor- 
rispondenza. Recatosi  alla  casa  di  lui,  dopo  vari  collo- 
qui, cosi  gli  prese  a  parlare  :  ,,Io  non  ho  verun  figlio, 
non  ho  avuto  fratelli  né  sorelle ,  e  non  devo  avere  che 
dei  parenti  assai  lontani  :  dipende  da  me  l'arricchire  chi 
più  mi  piacerà,  ed  ho  deciso  di  divider  le  mie  richezze 
con  quello  de'  miei  parenti  che  sembrerammi  più  degno 
di  possederle  :  soccorretemi,  vi  prego,  a  discoprirmelo. 
—  Io  non  ho  giammai  conosciuto  la  famiglia  vostra, 
rispose  il  mercante,  ma  so  bensi  che  avete  due  cugine 
stabilite  in  questa  città;  sono  esse  sorelle;  tutte  due 
hanno  della  fortuna;  ma  differente  poi  è  il  loro  carat- 
tere. La  primogenita,  eh' è  madama  Dorvilliers,  è  quasi 

14* 


213  NOVELLA   XLI. 

invisibile,  mal  alloggiata,  servita  non  è  che  da  un  solo 
domestico ,  ed  altro  piacere  non  ha  che  d' ammassare  e 
riscontrare  i  suoi  tesori  ^).  La  baronessa  di  Seranges, 
all'  opposto,  non  ha  piacere  più  grande  che  di  dispensare 
il  suo;  ama  il  fasto  ma  i frivoli  piaceri  di  quello  punto 
non  la  impediscono d' esser  caritatevole:  tutte  le  setti- 
mane, a  un  giorno  destinato,  una  dozzina  di  poveri  re- 
cansi  alla  sua  porta ,  ed  ella  fa  loro  dispensare  delle 
limosine.  —  Il  ritratto  di  quest'ultima,  disse  l' Indiano, 
benché  abbia  i  suoi  difetti,  non  mi  dispiace  poi  tanto; 
ma,  rapporto  a  madama  di  Dorvilliers ,  non  ho  alcuna 
voglia  di  vederla  :  tanto  a  me  sono  odiosi  gli  avari."" 
All'  indomani  tosto  recossi  da  madama  di  Seranges,  che 
mille  cortesie  gli  fece,  e  che  amabilissima  la  trovò. 

L'unica  serva  d^madama  Dorvilliers  era  sorella 
del  domestico  che  serviva  il  mercante  amico  del  signor 
Billon.  Era  presente  questo  domestico  allorché  1"  In- 
diano dichiarò  eh'  egli  punto  non  si  muoverebbe  per 
vedere  questa  sua  avara  cugina.  Andò  egli  tosto  a  tro- 
var sua  sorella,  e  tutto  ciò  che  avea  inteso  le  raccontò, 
..Ecco  la  padrona  vostra  ben  punita  della  sua  avarizia, 
diss'egli  alla  sirocchia  '^);  il  signor  Billon  può  disporre 
delle  sue  immense  ricchezze ,  e  certo  sono  che  nulla 
le  dà;  imperciocché  ella  non  ne  sa  far  buon  uso."  Ma- 
dama Dorvilliers,  ognor  diffidente,  avendo  inteso  che 
qualcuno  era  entrato  in  sua  casa,  si  era  levata  al  primo 
rumore,  e  camminando  sulla  punta  de' piedi,  avvici- 
nossi  in  modo  da  non  esser  veduta,  ed  in  questo  collo- 
quio nulla  dissero  che  da  essa  inteso  non  fosse.  Grande 
fu^l  suo  stupore  nell'udir  questa  strana  novella.  Quel 
tesoro  che  avea  ammassato  con  tanta  cura,  che  si  caro 
le  era,  nulla  sembravale  in  confronto  di  quelle  immense 
ricchezze  che  suo  cugino  avea  seco   portate.   „Come 

^)  Ammassare,  e  riscontrare  i  suoi  tesori   —  {f;ve  (Sci^a^e 
ati^àufen  unb  mà)iàl)Un.  —  ^)  Sirocchia  —  ©c^lDefìer. 


IL  RICCO  INDIANO.  313 

potrò  io  fare,  diss' ella, per  guadagnar  la  sua  stima?  . , . 
Io  lo  so  bene  :  fa  d' uopo  che  divenga  generosa .  im- 
perciocché non  accorda  la  sua  amicizia  che  a  coloro 
che  fanno  del  bene.  Ma  potrò  discendere  a  privarmi  di 
quel  poco  che  mi  resta  ?  questa  cosa  sarebbe  ben  dura. 
Nulla  ostante  io  non  trovo  altro  mezzo  che  questo." 
Dopo  avere  alquanto  pensato  a  qual  partito   dovesse 
appigliarsi,  madama  Dorvilliers  prende  la  risoluzione 
di  andare  a  trovar  madama  di  Seranges  con  la  spe- 
ranza di  riscontrarsi  col  ricco  Indiano.  In  effetto  ella 
lo  trovò  dalla  sorella  :  procurò  di  conciliarsi  1"  amicizia 
di  lui  con  istudiate  adulazioni  -,  e  con  un  tuono  il  più 
dolce  5    lo    ricercò  ^) ,   perchè    non    era  stato  ancora 
a  visitarla.  —  Senza  dubbio,  signore ,  soggiunse  ella, 
voi  ignoravate  che  vi  restasse  ancora  una  cugina,  oltre 
madama  di  Seranges.  —  Io  sapeva  benissimo ,  rispose 
r  Indiano ,    che  madama  Dorvilliers  era  mia   consan- 
guinea, ma  sapeva  ancora  che  altriinenti  ella  pensa  di 
me.  Voi  amate,  le  dice,   d'ammassar  ricchezze;    per 
me  io  non  le  amo  che  per  essere  liberale.   —  Egli  è 
vero,  replicò  madama  Dorvilliers,  che  sono  stata  avi- 
dissima dopo  la  morte  di  mio  marito;  vengo  tacciata 
di  avarizia  ^),   ma  vedete   quanto    sono  scellerati  gli 
uomini:   se  ho  vissuto   con  tanta  economia;   se  sono 
pervenuta  a  radunare  ne'  miei  scrigni  ')  una  somma  con- 
siderabile, è  stato  ciò  per  mettermi  in  istato  di  fondare 
un  nuovo  ospitale  in  questa  città.  Domani  maKina  andrò 
da  uno  de'  nostri  magistrati  a  fine  di  prendere  le  mi- 
sure sopra  questo  soggetto.    Io    gli  deposito  cinque- 
cento ducati;  questa  è  una  parte  della  somma  che  de- 
stino alla  compra  del  terreno  sopra  cui  voglio  edificare 
questa  casa.''  Il  fiig.  Billon,  mollo  sorpreso,   riguardò 

')  Lo  ricercò  —  fìe  fni(^  iiju.  —  ^)  Tacciata  d' avarizia  — 
i)(é  @eijf5  befdjulbigt.  —  3j"j.(.rjgno  —  M^à)€v. 


214  NOVELLA  XLI. 

fissamente  madama  Dorvilliers.  ,,E  ciò  vero?  diss' 
egli . . .  Quanto  sono  ingiusti  gli  uomini.  Voi ,  che  vi 
credeva  la  più  avara  delle  donne ,  avete  avuta  l' anima 
sì  nobile  di  privarvi  di  tutte  le  dolcezze  della  vita  per 
acconsentire  a  comparire  avara ,  e  ciò  a  fine  di  met- 
tervi in  istato  di  consolare  gli  afflitti.  In  verità  io  vi 
rispetto  al  presente  quanto  fino  ad  ora  vi  dispregiai. 
Andiamo,  mia  generosa  cugina,  voglio  esser  a  parte 
ancor  io  d'un' opera  cosi  generosa:  dimani  mattina 
verrò  a  prendervi,  e  insieme  ci  presenteremo  al  magi- 
strato." Madama  Dorvilliers  ritornò  a  casa  piena  di 
gioia,  credendosi  sicurissima  di  aver  acquistato  la  stima 
del  ricco  Indiano.  Egli  mantenne  la  parola,  e  all'  indo- 
mani si  rese  da  lei  ^)  con  una  somma  considerabilis- 
sima, che  fu  rimessa  nelle  mani  del  magistrato  ,  unita- 
mente ai  cinquecento  ducali  della  vedova. 

,,Io  sono  stato  ingannato  intorno  al  carattere  di 
questa  donna,  dicea  il  signor  Billon  al  suo  amico  mer- 
cante. Oual  anima  generosa!  le  limosine  di  madama  di 
Seranges  nulla  sono  a  petto  ^)  di  ciò  eh' ella  fece .. .  Sì, 
io  la  preferisco  a  sua  sorella,  e  questa  è  quella  ch'io 
voglio  arricchire.  —  Un  vecchio  domestico  del  padre 
di  queste  due  dame  è  qui ,  disse  il  mercante  ;  egli  è 
venulo  per  informarsi  ove  voi  alloggiate,  e  chiede  istan- 
temente di  trattenersi  secovoi.  —  Fatelo  venire  al  più 
presto,  disse  it  signor  Billon:  senza  dubbio  egli  ha  bi- 
sogno di  me.  „8i  fece  entrar  il  povero  Bertrad,  che 
tale  è  il  suo  nome."  Che  posso  io  fare  per  voi,  mio 
caro  amico,  gli  disse  l' Indiano  *?  —  Ahimè  !  signore, 
io  sono  liu  infelice ,  e  voi ,  si  dice ,  che  siete  buono  : 
ecco  ciò  che  mi  ha  condotto  a  voi.  Io  sono  stato  vert' 
anni  continui  al  servigio  di  vostro  zio  ;  dopo  la  sua 
morte  mi  sono  maritato,  feci  un  piccolo  commercio;  ma 

^)  Si  rese  da  lei  —  tvgab   fid^   gu  i^r,  -^  ^)  A  petto  — 
in  JBcrgleic^. 


IL  RICCO  INDIANO.  815 

un  incendio  m'ha  consumato,  tre  anni  sono,  quasi 
tutte  le  mie  mercanzie.  Questa  disgrazia  mi  pose  fuori 
di  stato  di  alimentare  e  d'allevare  la  mia  famiglia.  Io 
vengo  a  pregarvi  di  porgermi  i  mezzi  per  fare  appren- 
dere un  mestiere  a  mio  figlio  *). 

,,E  perchè  non  avete  fatto  voi  ricorso  a  Madama 
Dorvilliers  o  a  Madama  di  Seranges  ? 

„Io  lo  feci,  signore,  ma  in  vano:  Madania  Dor- 
villiers mha  rifiutato  i  soccorsi:  l'altra,  a  dir  vero, 
m' ha  offerto  una  leggiera  assistenza ,  ma  a  condizione 
però  che  andassi  a  prenderla  unitamente  agli  altri  po- 
veri, a'  quali  dà  ella  l' elemosina  nel  giorno  da  lei  de- 
stinato. Ma  se  non  ama  ella  nasconder  i  suoi  benefizi, 
amo  ben  io  tener  nascosta  la  mia  miseria ,  e  ben  dura 
cosa  sembrami  andare  a  mendicar  il  mio  pane  alla  porta 
d'un  casa  che  vent'anni  continui  fedelmente  servii.  A 
.sì  duro  passo  ho  preferito  rimanermi  nella  mia  miseria. 

,,E  cosa  è  divenuto  dei  vostri  figliuoli  ? 

..Mia  figlia  ha  la  felicità  d' essere  allevata  da  una 
vostra  cugina,  chiamata  Sofia.  Questa  generosa  per- 
sona 3  povera  ella  medesima,  trova  nulla  ostante  an- 
cora il  mezzo  di  far  del  bene. 

„Che  dite  voi?  ho  io  una  cugina  povera  e  gene- 
rosa, ed  io  non  la  conosco  !  Chi  adunque  è  ella  ? 

,,Questa  è  la  sorella  delle  dame  Dorvilliers  e  di 
iSeranges,  la  terza  figlia  del  vostro  zio. 

„Come  è  ciò  possibile?  le  sorelle  giammai  non 
,me  ne  hanno  parlato?  dove  dimora  ella?  e  donde 
viene  la  sua  povertà  ? 

,,Dopo  la  morte  di  suo  padre  confidò  la  più  gran 
parte  de' suoi  beni  ad  un  mercante,  il  quale  persegui- 
tato dall'  avversa  fortuna  ebbe  a  fallire.  Vedendo  ella 
che  non  aveva  facoltà  bastanti  per  vivere  in  città,  si 

*)  Far  apprendere  un  mestiere  a  mio  figlio  — '  um  meincm 
(Hof;ne  ein  J&anbwerf  Icrncn  ju  laffen. 


316  NOVELLA  XU. 

ritirò  in  campagna  da  un'  amica,  moglie  di  un  ministro 
di  villaggio.  Là  ella  mena  una  vita  la  più  rispettabile, 
impiega  una  parte  del  suo  tempo  a  fare  degli  abiti  per 
i  poveri  e  nell'istruzione  di  due  o  tre  fanciulle.  Co' 
suoi  discorsi,  col  suo  esempio  le  ammaestra  ad  esser 
docili,  operose  e  sofferenti.  Se  v'è  qualche  ammalato 
nel  villaggio,  va  ella  tosto  a  fargli  visita,  e  la  sua 
presenza  lo  consola  e  gli  fa  del  bene. 

„Ecco  la  persona  ch'io  cercava,  disse  il  signor 
Billon  :  mio  caro  Bertrad,  domani  io  monterò  in  vet- 
tura, e  partirò  pel  villaggio  di  Sofia  ;  voi  verrete  con 
me.  Non  abbiate  più  inquietudine  per  i  vostri  figli;  io. 
m'incarico  di  farli  allevare.  Voi  siete  troppo  vecchio 
per  servire;  andate  a  domandar  congedo  *)  al  vostro 
padrone;  io  voglio  che  tranquillamente  passiate  il  resto 
de'  giorni  vostri. 

„Io  impiegherolli  a  benedir  voi  e  Matlamigella 
Sofia." 

Il  giorno  seguente  il  signor  Billon,  giunto  al  vil- 
laggio, chiede  di  parlare  al  ministro,  e  gli  fa  alcune 
domande  sulla  condotta  di  sua  cugina.  „Ah!  ^signore, 
gli  rispose  il  ministro.  Sofia  è  un  angelo.  Qualunque 
altra  persona  si  sarebbe  data  in  braccio  alla  più  cru- 
dele afflizione  perdendo  i  suoi  beni,  ma  per  lei  questa 
disgrazia  non  ha  potuto  scemare  la  sua  bontà,  e  questa 
bontà  è  che  felice  la  rende.  —  Io  vi  prego,  signore, 
disse  l'Indiano,  annunziarle  che  un  parente,  che  non 
ha  ancora  veduto ,  è  impazientissimo  di  conoscerla"' 
Sofia,  sbigottita  da  tanta  premura,  ricevette  il^signor 
Billon  con  la  sua  gentilezza  e  con  le  grazie  sue  ordi- 
narie. Dopo  avere  ragionato  qua  Iche  tempo  seco  lei ,  le 
disse  l'Indiano:  „Io  sono  incantato  di  voi,  mia  cara 
cugina  ;  voi  mi  piacete  mille  volte  più  senza  ornamenti 
cogli  abiti  vostri  di  tela,  che  la  baronessa  di  Seranges 
^)  Domandar  congedo  —  fcinc  (^ntlajTuiig  mà)\nà)m. 


IL  RICCO  INDIANO.  21»^ 

con  tutta  la  magnificenza  sua;  e  benché  povera,  mi 
sembrate  all'  aria  d'  esser  cento  volte  più  contenta  che 
Madama  Dorvilliers  con  tutte  le  sue  ricchezze.  Ma  come 
è  ciò  che  queste  dame  non  mi  hanno  parlato  di  voiT 
siete  forse  in  discordia?  Non  sanno  esse  forse  dove 
voi  siate  ?  —  Ho  troppo  interesse  per  le  mie  sorelle, 
rispose  Sofia ,  per  non  aver  trascurato  di  conservare 
una  corrispondenza  con  esse  :  egli  è  tre  giorni  eh'  io 
scrissi  e  all'una  e  all'altra.  —  Oh,  cuori  malvagi, 
esclamò  il  signor  Billon,  io  non  posso  perdonar  ad  esse 
questa  indifferenza  per  una  sorella  così  amabile.  — 
Perdonate  loro ,•  ve  ne  prego,  disse  Sofia:  questo  è 
un  errore  eh'  esse  in  seguito  ripareranno.  —  No ,  non 
è  questo  un  errore,  disse  l'Indiano:  sanno  esse  be- 
nissimo nel  fondo  del  loro  cuore  quanto  migliore  di 
essQ  voi  siate  ;  e  per  tal  motivo  non  voleano  eh'  io  vi 
conoscessi;  soprattutto  volevano  profittar  sole  delle 
ricchezze  che  dall'  Indie  io  avea  riporlate.  Ma  s' ingan- 
narono nel  loro  progettò:  non  voglio  lasciar  la  mia 
fortuna  certamente  a  madama  di  Seranges,  imperciocché 
non  fa  del  bene  che  per  vanità,  a  fine  di  passar  per 
caritatevole;  né  voglio  arricchire  Madama  Dorvilliers, 
perché  non  fa  del  bene  che  per  interesse.  La  prova  n'  è 
che  tutte  e  due  rifiutarono  di  soccorrere  secretamente 
un  vecchio  domestico  del  .padre  loro.  Dopo  che  intesi 
questa  circostanza,  non  sono  più  grato  a  Madama  Dor- 
villiers dell'ospitale  che  voleva  far  edificare,  ed  io 
suppongo  che  non  ha  formato  questo  disegno  che  per 
tirare  a  sé  la  mia  fortuna.  Per  voi,  mia  cara  Sofia,  voi 
fate  del  bene  perché  é  pregevole  e  grata  cosa  il  farlo; 
perciò  risolsi  di  dichiararvi  mia  sola  erede,  ed  al  pre- 
sente potrete  disporre  di  tutto  ciò  che  è  in  poter  mio. 
Io  Io  so,  voi  non  avete  bisogno  d' esser  ricca  per  esser 
felice,  ma  molti  saranno  felici  se  voi  possederete  delle 
ricchezze. 


I  IK  ])  1  e  E. 


L. 


Novella  I.  JLia  Vedova  ammalata pag.     1 

II.  Riccardo  Macwil »  4 

III.  Il  Quadro •.     .     .  »  11 

IV.  Damone  e  Pilla »  14 

V.  Etelredo j,  20 

VI.  Teresa  Balducci »  24 

VII.  Alimek  o  la  Felicità,  Novella  Araba      .  »  29 

Vili    Sidney       »  40 

IX.  Federico  Lanucci >,  50 

X.  Pippo  e  Menicuccio »  56 

XI.  Uggero  il  Danese »  65 

XII.  Antonio  Leonelli »  71 

XIII.  Guglielmo  Teli »  77 

XIV.  I  due  Fratelli »  84 

XV.   Tiohang,  Novella  Cinese       »  87 

XVI.  Le  Donne  di  Weinsberg »  92 

XVII.  Ibraim,  Novella  Persiana »  95 

XVIII.  Le  Gioje  involate »  99 

XIX.  Il  Torto  riparato     .     .' »  106 

XX.  Il  Conte  d'Orengo,  o  l'Educazione     .     .  »  110 

XXI.  La  Sposa  amorevole »  119 

XXII.  L'Avidità »  123 

XXIII.  La  Beneficenza  ingegnosa »  126 

XXIV.  L'Incendio »  129 

XXV.  Il  Matrimonio »  132 

XXVI.  L' Amor  della  patria     .......  »  139 

XXVII .  I  Fantasmi  notturni »  141 

XXVIII.  Aneddoto  del  maresciallo  di  Turrena     .  »  145 
XXIX.  Lo  Schiavo  riscattato       ♦  »  147 

XXX.  Baldassare  de  Lama   . »  153 


XXXI.  11  Fratello  generoso pag.  158 

XXXII.  Il  Cambio  avventurato s  162 

XXXIII.  Il  Fallimento »  169 

XXXIV.  L'Ingratitudine »  172 

XXXV.  Guglielmo  Penn »  179 

XXXVI.  La  Probità  ricompensata ^  1 83 

XXXVII.  La  saggia  Fanciulla »  188 

XXXMII.  Rosalia      . »  195 

XXXIX   11  Mattino  fortunato »  204 

XL.  L'Oppressore  punito,  Novella  Orientale  »  209- 

XLI.  II  ricco  Indiano »  211 


E  r  r  a  t  a. 


Corrige, 


'Pag-. 


1 

interrotta,  la  voce  incerta 

la  voce    incerta,  interrotta. 

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23 

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92 

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95 

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132 

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134 

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159 

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1 

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365A6 

IS52 

Soave,  Francesco 

Novelle  morali  di  Francese 
Soave 

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